e-mail
info.ptpl@tiscali.it

APPALTI
CONVEGNI
FORUM
G.U.R.I. - G.U.U.E. - B.U.R.L.
LINK
NEWS PUBBLICATE:
1-aggiornam. pregressi
2-Corte dei Conti
3-
dite la vostra ...
4-dottrina e contributi
5-funzione pubblica
6-giurisprudenza
7-modulistica
8-news
9-normativa
10-note, circolari e comunicati
11-quesiti & pareri
12-utilità
- - -
DOSSIER
:
13-
ABBAINO
14-
ABUSI EDILIZI
15-
AFFIDAMENTO IN HOUSE
16-AGIBILITA'
17-AMIANTO
18-ANAC (già AVCP)
19
-APPALTI
20-ARIA
21-ASCENSORE
22-ASL + ARPA
23-ATTI AMMINISTRATIVI
24-ATTI AMMINISTRATIVI (accesso esposto e/o permesso di costruire e/o atti di P.G.)
25-ATTI AMMINISTRATIVI (impugnazione-legittimazione)
26-ATTIVITA' COMMERCIALE IN LOCALI ABUSIVI
27-BARRIERE ARCHITETTONICHE
28-BOSCO
29-BOX
30-CAMBIO DESTINAZIONE D'USO (con o senza opere)
31-CANCELLO, BARRIERA, INFERRIATA, RINGHIERA in ferro - SBARRA/STANGA
32-CANNE FUMARIE e/o COMIGNOLI
33-CARTELLI STRADALI
34-CARTELLO DI CANTIERE - COMUNICAZIONE INIZIO LAVORI
35-CERTIFICATO DESTINAZIONE URBANISTICA
36-CERIFICAZIONE ENERGETICA e F.E.R.
37
-C.I.L. e C.I.L.A.
38
-COMPETENZE GESTIONALI
39
-COMPETENZE PROFESSIONALI - PROGETTUALI
40-CONDIZIONATORE D'ARIA
41-CONDOMINIO
42-CONSIGLIERI COMUNALI
43-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE
44-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (gratuità per oo.pp. e/o private di interesse pubblico)
45-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (prescrizione termine dare/avere e legittimazione alla restituzione)
46-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (rateizzato e/o ritardato versamento)
47-DEBITI FUORI BILANCIO
48-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
49-DIA e SCIA
50-DIAP
51-DISTANZA dagli ALLEVAMENTI ANIMALI
52-DISTANZA dai CONFINI
53-DISTANZA dai CORSI D'ACQUA - DEMANIO MARITTIMO/LACUALE
54-DISTANZA dalla FERROVIA

55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
103-SEMINTERRATI
104-SIC-ZSC-ZPS - VAS - VIA
105-SICUREZZA SUL LAVORO
106
-
SILOS
107-SINDACATI & ARAN
108-SOPPALCO
109-SOTTOTETTI
110-SUAP
111-SUE
112-STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
113-
TELEFONIA MOBILE
114-TENDE DA SOLE
115-TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE
116-TRIBUTI LOCALI
117-VERANDA
118-VINCOLO CIMITERIALE
119-VINCOLO IDROGEOLOGICO
120-VINCOLO PAESAGGISTICO + ESAME IMPATTO PAESISTICO + VINCOLO MONUMENTALE
121-VINCOLO STRADALE
122-VOLUMI TECNICI / IMPIANTI TECNOLOGICI

123-ZONA AGRICOLA
124-ZONA SISMICA E CEMENTO ARMATO

NORMATIVA:
dt.finanze.it
entilocali.leggiditalia.it

leggiditaliaprofessionale.it

SITI REGIONALI
STAMPA
 
C.A.P.
Codice Avviamento Postale

link 1 - link 2
CONIUGATORE VERBI
COSTO DI COSTRUZIONE
(ag
g. indice istat):

link 1-BG - link 2-MI
link 3-CR
DIZIONARI
indici ISTAT:
link 1 - link 2 - link 3-BG
link 4-MI

interessi legali:
link 1
MAPPE CITTA':
link 1 - link 2
METEO
1 - PAGINE bianche
2 - PAGINE gialle
P.E.C. (indirizzi):
delle PP.AA.
delle IMPRESE e PROFESSIONISTI
PREZZI:
osservatorio prezzi e tariffe

prodotti petroliferi
link 1
- link 2
PUBBLICO IMPIEGO:
1 - il portale pubblico per il lavoro
2
- mobilità
 

QUESITI & PARERI

Alcuni files sono in formato Acrobat (pdf): se non riesci a leggerli, scarica gratuitamente il programma Acrobat Reader (clicca sull'icona a fianco riportata).  -      segnala un errore nei links                                                                                

ANNO 2022

ANNO 2021

ANNO 2020


* * * * *

SINO ALL'ANNO 2019

SINO ALL'ANNO 2014

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANNO 2022

per approfondimenti di vario genere vedi anche:

M.I.T. (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) - Servizio Contratti Pubblici - Supporto Giuridico <---> Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
Ministero dell'Interno
Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica:
inquinamento acustico <---> interpelli ambientali su Economia Circolare <---> interpelli ambientali su Energia <---> interpelli ambientali su Valutazioni ed autorizzazioni ambientali
* * * * *
Regione ABRUZZO <---> Regione EMILIA ROMAGNA <---> Regione FRIULI VENEZIA GIULIA <---> Regione MARCHE <---> Regione LAZIO <---> Regione LIGURIA <---> Regione LOMBARDIA <---> Regione PIEMONTE <---> Regione Valle d'Aosta
* * * * *
Comune di Roma Capitale

* * * * *
La Posta del Sindaco (Halley)
* * * * *
acque/scarichi <---> ambiente ed istituzioni <---> aree protette e tutela territorio
<---> polizia giudiziaria ambientale <---> rifiuti <---> sanzioni amministrative ambientali

aggiornamento al 30.01.2022

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOL'ufficio personale di questa Regione è venuto a conoscenza della situazione di una dipendente risultata positiva al covid-19. La stessa, però non ha presentato alcun certificato medico attestante la sua condizione.
Può lavorare da casa in smart working?

Tra i doveri del prestatore di lavoro sanciti sia dal Testo Unico del Pubblico Impiego (D.Lgs. 30.03.2001, n. 165) sia dalla contrattazione collettiva vi è sicuramente quello di dover informare il datore di lavoro circa il proprio stato di salute qualora questo impedisca il regolare svolgimento della prestazione lavorativa (malattia).
La dipendente, pertanto, aveva il dovere di comunicare tempestivamente il suo stato di positività all'amministrazione e la mancata comunicazione la espone al rischio di una infrazione disciplinare.
La possibilità di prestare la propria attività lavorativa in modalità agile è oggi fortemente legata alle condizioni poste dal DM 08.10.2021 e vanno distinti i casi di quarantena precauzionale e di positività conclamata al Covid-19.
Fermo restando che anche con l'ultima Circ. 05.01.2022 congiunta del Ministero della Funzione Pubblica e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali u.s. (rinvenibile qui) i Ministri invitano a "usare al meglio la flessibilità già consentita dalle regole vigenti", con il Msg. 09.10.2020, n. 3653 l'INPS ha chiarito che, nei casi in cui il lavoratore in quarantena o in sorveglianza precauzionale perché soggetto fragile continui a svolgere, in accordo con il proprio datore di lavoro, l'attività lavorativa presso il proprio domicilio, non è possibile ricorrere alla tutela previdenziale della malattia ed in questi casi infatti non ha luogo la sospensione dell'attività lavorativa con la correlata retribuzione.
Di contro, con riferimento agli eventi certificati come malattia conclamata da Covid-19, (art. 26, comma 6, D.L. 17.03.2020, n. 18) le indicazioni ricevute da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali autorizzano il riconoscimento della tutela della malattia secondo l'ordinaria gestione pertanto sembra escluso che il dipendente positivo al Covid-19 possa continuare a rendere la propria prestazione lavorativa in "smart working".
Per ciò che concerne la peculiarità del pubblico impiego evidenziamo come sia altresì da escludere che un dipendente possa essere collocato in modalità agile per consentirgli di espletare la prestazione lavorativa nel caso risulti positivo al COVID-19 in quanto le amministrazioni nel programmare e consentire l'accesso al lavoro agile devono "garantire un'adeguata rotazione del personale che può prestare lavoro in modalità agile, dovendo essere prevalente, per ciascun lavoratore, l'esecuzione della prestazione in presenza".
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
Msg. 09.10.2020, n. 3653 dell’INPS - DM 08.10.2021 della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dip. funz. pubbl.
Documenti allegati

Circ. 05.01.2022 del Ministero della Funzione Pubblica e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
(26.01.2022 - tratto da https://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

EDILIZIA PRIVATA: Questo ufficio tecnico ha ricevuto una segnalazione di abuso edilizio su un immobile datato oltre 50 anni ma appena ereditato dai figli del de cuius.
L’ufficio tecnico comunale può emanare un provvedimento amministrativo che ordina il ripristino dello stato dei luoghi o il reato è prescritto?

Come da giurisprudenza amministrativa consolidata, la fattispecie dell’abuso edilizio ha natura permanente e ciò significa che l’intervento repressivo dell’ufficio tecnico è sempre possibile, anche a distanza di molti anni (ad esempio TAR Liguria, Sent. n. 907/2017).
Tanto premesso, e ritenuto che, secondo nella situazione proposta nel quesito, la sanzione astrattamente prevedibile per la tipologia di abuso sarebbe l’ordinanza di demolizione e la riduzione in pristino, dobbiamo evidenziare come anche l’autorevole giurisprudenza del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria, sent. n. 9/2017) ha affermato che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
Nel caso de quo, il Consiglio di Stato ha affrontato il tema di un abuso assai risalente nel tempo e che aveva comportato la condanna del responsabile, in sede penale, per il reato di cui all’articolo 17, lettera b), della L. 27.01.1977, n. 10 ‘Norme in materia di edificabilità dei suoli').
Detto ciò, riteniamo che se viene constatato un abuso edilizio per il quale è prevista la sanzione della demolizione, è irrilevante il tempo, anche lungo o lunghissimo, che intercorre tra la data di realizzazione dell’abuso e la data di azione del provvedimento, con la conseguenza che il provvedimento è dovuto anche a distanza di decenni.
Pertanto, a nostro parere, e come sopra ampiamente descritto, l’ufficio tecnico comunale dovrà provvedere con i susseguenti atti amministrativi.
---------------
Riferimenti di giurisprudenza
TAR Liguria. Sez. I, Sent., 05.12.2017, n. 907 - Cons. Stato (Ad. Plen.), Sent., 17.10.2017, n. 9 (10.01.2022 - tratto da https://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOD.L. 172/2021. Estensione dell’obbligo vaccinale, come introdotto dal D.L. 172/2021, al personale della polizia locale.
L’obbligo vaccinale, come introdotto dalle recenti disposizioni normative, è previsto soltanto per il personale che svolge l’attività lavorativa, con la conseguenza che il predetto obbligo non dovrebbe sussistere in tutte le situazioni di sospensione del  rapporto di lavoro (intervenute prima dell'entrata in vigore del citato obbligo), in cui detta attività non viene svolta (come, ad esempio, nel caso di fruizione del congedo straordinario per assistenza a disabili).
In base all'ordinamento regionale (cfr. l.r. 5/2021), il personale (di categoria B-C o D) che svolge attività amministrative per la polizia locale, non è “personale della polizia locale” in senso stretto, con la conseguenza che allo stesso non si dovrebbe applicare l’obbligo vaccinale introdotto dall’art. 2 del DL 172/2021.

L’Ente chiede alcuni pareri in ordine all’estensione dell’obbligo vaccinale, come introdotto dal d.l. 26.11.2021, n. 172, anche ai dipendenti inseriti nell’area della polizia locale. In particolare, gradirebbe conoscere se l’Amministrazione sia tenuta ad invitare il dipendente, che sta usufruendo di un congedo straordinario per assistenza a familiare con grave disabilità ex art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001, a produrre la documentazione di cui all’art. 4-ter, comma 3, secondo e terzo periodo, del d.l. 44/2021, ovvero se tale richiesta debba essere inoltrata in occasione del rientro in servizio dello stesso. Inoltre chiede conferma del fatto che l’obbligo vaccinale non sussiste per il personale amministrativo della Polizia Locale, inquadrato in altre categorie (B-C e D).
È doveroso premettere che allo stato attuale non sono state fornite dalle Autorità competenti in materia interpretazioni univoche della normativa in esame; pertanto, in assenza di una maggiore chiarezza e in attesa di un definitivo chiarimento e in via meramente collaborativa, si esprimono le seguenti considerazioni.
Com’è noto, l’art. 2, comma 1, del citato decreto ha inserito, dopo l’articolo 4-bis del decreto legge 01.04.2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28.05.2021, n. 76, l’articolo 4-ter.
Detta norma, al comma 1, dispone che, dal 15.12.2021, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 si applica a determinate categorie di lavoratori, nel dettaglio individuate.
La lettera b) del comma in esame prevede espressamente che detto obbligo riguardi il personale del comparto della difesa, sicurezza e soccorso pubblico, nonché il personale della polizia locale.
Il successivo comma 2 stabilisce inoltre che la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati ai sensi del comma 1.
Pertanto, stante la formulazione delle richiamate norme, l’obbligo vaccinale è previsto soltanto per il personale che svolge l’attività lavorativa
[1], con la conseguenza che il predetto obbligo non dovrebbe sussistere in tutte le situazioni di sospensione del rapporto di lavoro, in cui detta attività non viene svolta.
Si consideri che in tale posizione rientra sicuramente anche chi usufruisce del congedo per l’assistenza a familiari disabili gravi, come disciplinato dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001. A mente di quanto disposto anche dall’art. 4, comma 2, della l. 53/2000, infatti, durante il periodo di congedo per gravi e documentati motivi familiari, il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione (ma a un’indennità corrispondente
[2]) e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa.
Si aggiunge che, nelle fattispecie in cui la legge prevede in modo specifico la sospensione del rapporto con diritto a conservare il posto di lavoro e a percepire la retribuzione o (come nel caso del congedo straordinario) un analogo compenso di natura indennitaria, ritenere che l’obbligo di vaccinazione sussista anche durante il periodo di assenza dal servizio, con applicazione delle conseguenti sanzioni in caso di inadempimento
[3], produrrebbe conseguenze irragionevoli, atteso che di fatto risulterebbero vanificate le disposizioni che stabiliscono espressamente ipotesi di sospensione lavorativa legittima con diritto al mantenimento del trattamento retributivo.
Per quanto concerne il secondo quesito formulato, si osserva che l’art. 20, comma 5, della LR 5/2021 recita testualmente: “Al fine di favorire lo svolgimento delle funzioni operative sul territorio, le attività amministrative connesse allo svolgimento dei compiti di polizia locale sono svolte dal personale amministrativo degli enti locali, salvo che, eccezionalmente, ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
   a) le attività siano immediatamente correlate alle violazioni accertate;
   b) le attività riguardino l'acquisizione di dotazioni strumentali dello stesso personale di vigilanza finalizzate allo svolgimento del servizio"
.
Pertanto, in base al nostro ordinamento, il personale (di categoria B-C o D) che svolge attività amministrative per la polizia locale, non è “personale della polizia locale”, con la conseguenza che allo stesso non si dovrebbe applicare l’obbligo vaccinale introdotto dall’art. 2 del DL 172/2021.
Un tanto pare confermato anche dal tenore delle vigenti previsioni contrattuali (ad esempio, l’art. 30 del CCRL del 01.08.2002), ove per “personale della polizia locale” si intende propriamente “il personale dipendente appartenente all’area della polizia locale”, articolato nelle tre categorie PLA, PLB e PLC.
---------------
[1] Conferma di un tanto si ricava anche da altre disposizioni contenute nella norma in esame. Ad esempio, al comma 3 dell’art. 2 è previsto che “l’atto di accertamento dell’inadempimento determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa…….; al successivo comma 4 si fa riferimento allo “svolgimento dell’attività lavorativa in violazione dell’obbligo vaccinale…..”.
[2] Ossia sospensione dal lavoro senza retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati (art. 4-ter, comma 3, DL 44/2021).
[3] L’art. 42, comma 5-ter, del d.lgs. 151/2001 prevede che il dipendente, durante il periodo di congedo, ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento
(28.12.2021 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

aggiornamento al 25.01.2022

EDILIZIA PRIVATADa accertamenti è emersa la realizzazione di un soppalco all'interno di una abitazione con la presenza di posti letto aggiuntivi ed un locale ufficio. Come si qualifica sotto il profilo edilizio questo intervento?
La realizzazione di un soppalco, in linea teorica, può essere qualificata come attività edilizia che rientra nell'ambito degli interventi di restauro o risanamento conservativo.
Tuttavia, la giurisprudenza ha sottolineato come tale intervento ricada nella disciplina della ristrutturazione edilizia, qualora determini una modifica della superficie utile dell'appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico
Il D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 3, lett. d), definisce infatti "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
L'elemento che, in linea generale, contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma, in quest'ultimo caso, con ricostruzione, se non fedele, comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente.
Gli interventi edilizi che alterano, anche sotto il profilo della distribuzione, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportano l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano appunto nell'ambito della ristrutturazione edilizia come il caso della realizzazione di un soppalco con aumento del carico urbanistico.
La giurisprudenza penale ha sottolineato come gli interventi di "ristrutturazione edilizia", la cui realizzazione senza il preventivo rilascio del permesso di costruire integra il reato di cui all' art. 44, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, comprendono l'esecuzione di lavori consistenti nel ripristino o nella sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, ovvero nella eliminazione, modificazione e inserimento di nuovi elementi ed impianti, e sono distinguibili dagli interventi di "risanamento conservativo", i quali si caratterizzano per il mancato apporto di modifiche sostanziali all'assetto edilizio preesistente, alla luce di una valutazione compiuta tenendo conto della globalità dei lavori eseguiti e delle finalità con questi perseguite.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 3
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. IV, 07.04.2015, n. 1763 - TAR Campania-Napoli Sez. IV, 05.02.2015, n. 869 - TAR Lazio-Roma Sez. I-quater, 12.01.2015, n. 347 - Cons. Stato Sez. V, 05.12.2014, n. 5988 - Cass. pen. Sez. III, 06.11.2014, n. 49221 (rv. 261216) - TAR Campania, sez. VII, 09.12.2013, n. 5641 - TAR Lombardia-Milano, sez. II, 02.10.2003, n. 4502
(10.06.2015 - tratto da https://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ANNO 2021
aggiornamento al 31.12.2021

COMPETENZE PROGETTUALI: Oggetto: La competenza degli Architetti nell’edilizia cimiteriale (15.01.2019 - tratto da www.architettilucca.it).
---------------
La questione sottoposta alla mia attenzione è stata oggetto di alcune pronunce amministrative che hanno originato un vivace dibattito, approdato a diversi interventi -su sollecitazione di alcuni degli Ordini locali- da parte del Consiglio Nazionale degli Architetti.
Darò, dunque, conto del dibattito maturato sul tema.
La sentenza che ha dato vita alla querelle tra i due ordini professionali (ingegneri ed architetti) risale al 2000, quando il Consiglio di Stato con la pronuncia della IV Sez. del 22.05.2000 n. 2938, disattendendo le pretese avanzate da un Ordine degli architetti in riforma della decisione del Tar Veneto, ha ritenuto che la realizzazione delle opere cimiteriali sia di competenza esclusiva degli ingegneri, partendo dalla considerazione che la progettazione di opere infrastrutturali (quali idrauliche, igieniche sanitarie e viarie) che -non sono a servizio di un fabbricato di edilizia civile- ricadono al di fuori delle competenze dell’architetto. (...continua).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Titoli edilizi rilasciati dal comune in assenza di autorizzazione paesaggistica - applicabilità del divieto di sanatoria a immobili realizzati ex ante (MIBACT, Ufficio Legislativo, nota 16.01.2017 n. 1070 di prot.).

aggiornamento al 29.11.2021

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Nomina dipendente di altro ente componente commissione concorso.
DOMANDA
Alla luce delle novità introdotte dal decreto legge 30/12/2019, n. 162 (convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge 28/02/2020, n. 8) all'art. 3 della Legge 19/06/2019, n. 56, si chiede:
   - quali siano le modalità per nominare un dipendente di altro Ente pubblico come componente esterno di commissione concorsuale;
   - se il compenso debba essere corrisposto direttamente al suddetto componente esterno oppure all'Amministrazione di appartenenza;
   - quale sia il trattamento fiscale e contributivo a cui è soggetto il compenso;
   - nel caso in cui sia l'Amministrazione di appartenenza a riconoscere il compenso (dopo aver ricevuto il relativo importo dall'Amministrazione che ha indetto il concorso), se l'Amministrazione di appartenenza debba sostenere il costo aggiuntivo riguardante Cpdel e Irap a proprio carico oppure se l'importo (pagato dall'Amministrazione che ha indetto il concorso) sia al lordo di tutti gli oneri e quindi non vi sia alcun costo aggiuntivo.
RISPOSTA
Per gli Enti locali una disposizione legislativa cardine è quella contenuta nell'art. 70, comma 13, D.Lgs. n. 165 del 2001 secondo cui "In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal D.P.R. 09.05.1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli artt. 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti".
Gli enti territoriali, nell’esercizio della potestà regolamentare degli enti locali in materia di organizzazione dei propri uffici e servizi e del reclutamento del personale attribuita prima dall’art. 6 della legge n. 127/1997 e poi dal nuovo assetto costituzionale introdotto dalla legge costituzionale n. 2/2001, fatto salvo l’obbligo di conformarsi ai meccanismi oggettivi e trasparenti, necessari per la verifica del possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire, possono disciplinare in modo autonomo l’organizzazione e lo svolgimento dei concorsi rispetto a cui le disposizioni del DPR n. 487/1994 e ss.mm.ii. costituiscono principi generali a cui attenersi.
Infatti, gli Enti pubblici diversi dalle Amministrazioni dello Stato a cui la Costituzione o la legge attribuisce potestà legislativa o anche solo normativa (statutaria o regolamentare) possono adottare proprie fonti che disciplinino le procedure di reclutamento, nel rispetto della L. 241/1990 e del D.lgs. n. 165/2001 e dei principi contenuti nel Regolamento nazionale adottato con DPR 487/1994, recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi.
A tale riguardo l’art. 9 del citato DPR dispone che per gli enti locali territoriali la presidenza delle commissioni di concorsi può essere assunta anche da un dirigente della stessa amministrazione o di altro ente territoriale; b) per i concorsi per la quinta e la sesta qualifica o categoria: da un dirigente o equiparato, con funzioni di presidente, e da due esperti nelle materie oggetto del concorso; le funzioni di segretario sono svolte da un impiegato appartenente alla settima qualifica o categoria; c) per le prove selettive previste dal capo terzo del presente regolamento, relative a quei profili per il cui accesso si fa ricorso all'art. 16 della legge 28.02.1987, n. 56 , e successive modifiche ed integrazioni: da un dirigente con funzioni di presidente e da due esperti nelle materie oggetto della selezione; le funzioni di segretario sono svolte da un impiegato appartenente alla sesta qualifica o categoria.
La preferenza per personale interno, salvi casi di conflitto d’interesse, di incompatibilità, di mancanza di specifica competenza in determinate materie di concorso, è legata al principio di tutela della finanza pubblica in ordine all’utilizzo delle risorse umane di cui la PA dispone atteso che come affermato dalla giurisprudenza (cfr. Tar Veneto, Sezione II, sentenza 700/2007), “la partecipazione alle commissioni giudicatrici per i componenti interni rientra nell’ordinario contenuto del rapporto di impiego con l’Amministrazione che ha indetto il concorso, il quale ben può comprendere anche prestazioni lavorative occasionali (che, proprio per tale loro specifica natura, non sono previste dalla contrattazione collettiva di settore). Ed è evidente come, in tale contesto, quelle prestazioni occasionali non possano che essere remunerate con la normale retribuzione se svolte durante l’orario di servizio, ovvero, al di fuori di esso, con il compenso aggiuntivo previsto per il lavoro straordinario”.
Il quadro normativo anzidetto si è arricchito delle novità introdotte dai commi 11, 12, 13 dell’art. 3 della L. 56/2019, ma con la successiva abrogazione del comma 12 da parte dell’art. 18, comma 1-ter, lett. b), del DL 162/2019 convertito con modificazioni dalla legge 8/2020, per cui è venuta meno la disposizione in base alla quale gli incarichi di presidente, di membro o di segretario di una commissione esaminatrice di un concorso pubblico per l'accesso a un pubblico impiego, anche laddove si tratti di concorsi banditi da un'amministrazione diversa da quella di appartenenza e ferma restando in questo caso la necessità dell'autorizzazione di cui all'art. 53 d.lgs. n. 165/2001, si considerano ad ogni effetto di legge conferiti in ragione dell'ufficio ricoperto dal dipendente pubblico o comunque conferiti dall'amministrazione presso cui presta servizio o su designazione della stessa.
Ciò premesso, si ritiene quanto segue:
   - la nomina di un dipendente di un altro ente dovrebbe avvenire in presenza delle condizioni prima evidenziate (conflitti, incompatibilità, mancanza di competenza per materia di esame, componenti esperto assente nell’ente e simili) attestate dal dirigente che nomina la commissione di concorso, altrimenti si deve ricorrere a personale interno.
A seguito dell’abrogazione della citata disposizione, dovrebbe essere ripristinato il precedente regime di compenso di collaborazione occasionale per attività svolta al di fuori del rapporto di servizio con il proprio ente, compenso soggetto solo a trattenuta irpef; per cui il componente esterno al termine delle proprie attività consegnerà apposita notula di pagamento all’amministrazione presso cui ha operato, fatte salve le autorizzazioni preventive dell’ente di appartenenza e le comunicazioni successive allo stesso dei compensi erogati ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 (12.06.2020 - tratto da e link a https://lapostadelsindaco.it).

aggiornamento al 15.06.2021

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Una recente sentenza di Cassazione (Sez. VI penale, sentenza 07.12.2020 n. 34776) ha confermato che il visto contabile del responsabile finanziario non ha natura meramente formale di copertura della spesa ma la normativa primaria prevede la possibilità di opporsi alla liquidazione, espressione di un suo potere di vigilanza e di legalità.
Si può chiarire l'espressione "potere di vigilanza e di legalità", cosa vuole significare, in che consiste?

Si ritiene che dato il tenore della pronuncia della Corte di Cassazione penale occorre soffermarsi sugli istituti che governano l'attività oggetto della richiamata pronuncia.
Come evidenziato dalla sentenza, il Tuel prescrive che ogni Determinazione dell'ente comunale che preveda un impegno di spesa da parte di quest'ultimo devono essere svolti dei controlli fiscali e contabili in adempimento di quanto previsto dal combinato disposto degli art. 49, comma 1 e 184, comma 4 del Testo Unico.
In particolare la giurisprudenza della corte Conti ha evidenziato che: "con il "parere di regolarità contabile" il fine perseguito dal legislatore è stato quello di assegnare al responsabile del servizio di ragioneria un ruolo centrale nella tutela degli equilibri di bilancio dell'ente e, a tal fine, nell'esprimere tale parere egli dovrà tener conto, in particolare, delle conseguenze rilevanti in termini di mantenimento nel tempo degli equilibri finanziari ed economico-patrimoniali, valutando:
   a) la verifica della sussistenza del parere di regolarità tecnica rilasciato dal soggetto competente;
   b) il corretto riferimento (si sottolinea effettuato dall'organo proponente) della spesa alla previsione di bilancio annuale, ai programmi e progetti del bilancio pluriennale e, ove adottato, al piano esecutivo di gestione
" (Corte dei Conti Calabria Sez. giurisdiz. sentenza 27.05.2019 n. 185).
In sostanza chi ricopre funzioni di responsabile del servizio finanziario all'interno dell'ente locale, attraverso l'esercizio del potere di firma, deve svolgere un controllo formale e sostanziale sugli ordinativi di pagamento; ciò in ragione del fatto che "..... le procedure di spesa previste dalla legge, oltre che dal regolamento di contabilità degli enti locali, sono volte ad assicurare il buon fine del pagamento, cioè che la somma indicata sul mandato sia accreditata al legittimo beneficiario, e che il pagamento stesso sia inequivocabilmente ricondotto all'ambito di una determinata procedura di spesa pubblica e quietanzato come tale" (Corte dei Conti Piemonte Sez. giurisdiz. sentenza 06.09.2016 n. 248).
In conclusione, quindi, il potere di vigilanza e legalità va letto nel senso che
il responsabile del servizio contabile ha un obbligo di controllo effettivo sulla legittimità degli atti comportanti l'impegno di spesa.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, 184
Riferimenti di giurisprudenza

Corte dei Conti Calabria Sez. giurisdiz. Delib., 27.05.2019, n. 185 - Corte dei Conti Piemonte Sez. giurisdiz. Delib., 06.09.2016, n. 248
(17.12.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sintesi/Massima
Deliberazioni di giunta immediatamente eseguibili. Sulla materia il giudice amministrativo ha precisato che “… la clausola di immediata eseguibilità dipende da una scelta discrezionale dell’amministrazione, comunque pur sempre correlata al requisito dell’urgenza, che deve ricevere adeguata motivazione nell’ambito dello stesso atto” (TAR Piemonte nella sentenza n. 460 del 2014).
Testo
Sono state esposte alcune doglianze in ordine alla dichiarazione di immeditata eseguibilità delle deliberazioni di giunta del comune in oggetto.
In particolare, è stato segnalato che le dichiarazioni di immediata eseguibilità apposte alle delibere giuntali risultano prive di specifica motivazione.
Sulla materia il giudice amministrativo ha precisato che “… la clausola di immediata eseguibilità dipende da una scelta discrezionale dell’amministrazione, comunque pur sempre correlata al requisito dell’urgenza, che deve ricevere adeguata motivazione nell’ambito dello stesso atto” (TAR Piemonte nella sentenza n. 460 del 2014).
Al riguardo, si rappresenta che il vigente ordinamento, come noto, non prevede poteri di controllo di legittimità sugli atti degli enti locali in capo a questa Amministrazione.
Pertanto gli eventuali vizi di legittimità degli atti adottati possono essere fatti valere solo nelle competenti sedi, secondo le consuete regole vigenti in materia
(parere 03.01.2018 - link a https://dait.interno.gov.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sintesi/Massima
Art. 134, comma 4, decreto legislativo n. 267/2000. Deliberazioni del Consiglio e della Giunta dichiarate immediatamente eseguibili, nel caso di urgenza, con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti.
Il TAR Piemonte, nella sentenza n. 460 del 2014, ha ritenuto che “… la clausola di immediata eseguibilità dipende da una scelta discrezionale dell’amministrazione, comunque pur sempre correlata al requisito dell’urgenza, che deve ricevere adeguata motivazione nell’ambito dello stesso atto”.
Testo
Si fa riferimento alla nota sopradistinta con la quale è stato chiesto un parere circa la necessità di una specifica motivazione giustificativa della formula di “immediata eseguibilità” delle deliberazioni del Consiglio e della Giunta, ai sensi dell’art. 134, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000.
Al riguardo si osserva che, in linea generale, in base alla disposizione citata, la dichiarazione di immeditata eseguibilità risponde all'esigenza di porre in essere le deliberazioni urgenti quindi, limitatamente a tali casi, deve scaturire da apposita separata votazione che la approvi con il voto favorevole della maggioranza dei componenti del collegio, non essendo sufficiente il voto della maggioranza semplice dei votanti o dei presenti.
Siffatta decisione di attribuire ad una deliberazione la connotazione dell'immediata eseguibilità assume autonoma valenza rispetto all'approvazione del provvedimento cui si riferisce, restandone logicamente distinta.
Si segnala in proposito come il TAR Liguria, sez. II, con decisione n. 2/2007 ha affermato che in virtù dell'art. 134, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000, la necessità che la dichiarazione di immediata eseguibilità –per motivi di urgenza– di una delibera di consiglio o di giunta, sia oggetto di un'autonoma votazione, fa sì che tale dichiarazione, pur accedendo alla delibera, non si identifichi con essa.
Lo stesso Tribunale ha puntualizzato che il legislatore non ha ritenuto la clausola di immediata eseguibilità quale attributo necessario di ogni delibera, ma ha inteso farla dipendere da una scelta discrezionale –basata sul requisito dell'urgenza– dell'amministrazione procedente. Sullo specifico quesito formulato, si ritiene di condividere le osservazioni formulate dal TAR Piemonte nella sentenza n. 460 del 2014 circa la indefettibilità di una adeguata motivazione giustificativa della dichiarazione di immediata eseguibilità.
Nella citata pronuncia il giudice amministrativo ha ritenuto che “… la clausola di immediata eseguibilità dipende da una scelta discrezionale dell’amministrazione, comunque pur sempre correlata al requisito dell’urgenza, che deve ricevere adeguata motivazione nell’ambito dello stesso atto
(parere 17.02.2017 - link a https://dait.interno.gov.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sintesi/Massima
Delibera di variazione di bilancio e delibera di salvaguardia degli equilibri di bilancio – applicazione art. 134, coma 4, tuel n. 267/2000.
La dichiarazione di immeditata eseguibilità, per motivi di urgenza, discende da una scelta discrezionale dell’amministrazione procedente, con autonoma valenza rispetto al provvedimento cui si riferisce.
Testo
E' stato chiesto un parere in merito alla regolarità di adozione delle delibere specificate in oggetto non munite della dichiarazione di immediata eseguibilità ai sensi dell'art. 134, comma 4, TUEL.
In linea generale si evidenzia che in base alla disposizione citata la dichiarazione di immeditata eseguibilità risponde all'esigenza di porre in essere le deliberazioni urgenti quindi, limitatamente a tali casi, deve scaturire da apposita separata votazione che la approvi con il voto favorevole della maggioranza dei componenti del collegio, non essendo sufficiente il voto della maggioranza semplice dei votanti o dei presenti.
Siffatta decisione, di attribuire ad una deliberazione la connotazione dell'immediata eseguibilità, assume autonoma valenza rispetto all'approvazione del provvedimento cui si riferisce, restandone logicamente distinta, anzitutto perché presidiata dalla maggioranza qualificata e comunque perché ciascun componente dell'organo collegiale potrebbe esprimere valutazioni differenziate sul merito del provvedimento e sulla opportunità della sua immediata esecuzione.
Si segnala in proposito come il TAR Liguria, sez. II, con decisione n. 2/2007 ha affermato che 'in virtù dell'art. 134 comma 4, del d.lgs.vo n. 267/2000, la necessità che la dichiarazione di immediata eseguibilità –per motivi di urgenza– di una delibera di consiglio o di giunta, sia oggetto di un'autonoma votazione, fa si che tale dichiarazione, pur accedendo alla delibera, non si identifichi con essa'. Lo stesso Tribunale ha puntualizzato che il legislatore non ha ritenuto la clausola di immediata eseguibilità quale attributo necessario di ogni delibera, ma ha inteso farla dipendere da una scelta discrezionale –basata sul requisito dell'urgenza– dell'amministrazione procedente.
Proprio per tale scelta discrezionale, ad avviso della scrivente, la situazione di urgenza, che per opportunità dovrebbe essere indicata nel dispositivo del provvedimento, scaturisce certamente da motivazioni che, rientrando nell'ambito della sfera di valutazione afferente la discrezionalità politica, comunque sono rilevabili esclusivamente dall'organo deliberante il quale si assume la responsabilità della decisione adottata.
Si evidenzia infine come il Consiglio di Stato con sentenza n. 107/2009 ha chiarito che 'la pubblicazione dell'atto amministrativo quando è prescritta, non costituisce requisito di validità ma solo di efficacia del provvedimento, la quale attiene al diverso fenomeno della produzione degli effetti che si realizza quando si è perfezionato l'iter procedimentale (estrinseco) previsto per la formazione dell'atto'.
L'Alto Consesso ha puntualizzato, altresì, che con la dichiarazione di immediata esecutività, viene rimosso ogni impedimento estrinseco alla produzione degli effetti dell'atto (ovvero della sua temporanea inefficacia –o meglio– in operatività in pendenza dell'affissione).
Siffatte considerazioni possono certamente valere anche per la deliberazione di salvaguardia degli equilibri di bilancio che, consistendo nell'accertamento della permanenza del pareggio di bilancio, di per sé può non richiedere il requisito dell'urgenza.
Infatti, lo strumento previsto dal comma 2 dell'art. 193 per assicurare il rispetto degli equilibri di bilancio nel corso della gestione prevede la deliberazione del consiglio, il quale deve provvedere, almeno una volta all'anno, e comunque entro il 30 settembre, ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi. Il corretto esercizio di questo compito, che rientra nell'ambito delle funzioni di indirizzo e controllo attribuite ai consigli dall'art. 42 del testo unico, presuppone un bilancio di previsione annuale che sia stato elaborato nella logica della relazione previsionale e programmatica e del bilancio pluriennale.
Il rilievo fondamentale degli adempimenti posti dalla citata norma, volti a garantire una corretta gestione finanziaria, emerge quindi dall'attribuzione al consiglio comunale della competenza all'adozione della relativa delibera e dalla circostanza che l'omissione dei provvedimenti di riequilibrio, da adottare successivamente e separatamente solo ove necessari in conseguenza della ricognizione effettuata dall'organo consiliare, è equiparata 'ad ogni effetto' alla mancata approvazione del bilancio di previsione
(parere 13.10.2009 - link a https://dait.interno.gov.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sintesi/Massima
Le deliberazioni di Giunta o di Consiglio comunale dichiarate immediatamente eseguibili con il voto della maggioranza dei componenti in base all’articolo 134, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 sono eseguibili dal momento della loro adozione.
Testo
E' stato chiesto se le deliberazioni di Giunta o di Consiglio comunale dichiarate immediatamente eseguibili con il voto della maggioranza dei componenti in base all'articolo 134, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 siano eseguibili dal giorno della loro adozione o della pubblicazione e, quindi, se gli atti conseguenti possano essere adottati, rispettivamente, dal giorno della adozione o dal giorno della pubblicazione.
Al riguardo, si rappresenta che nel quadro della normativa sopra citata, la dichiarazione di immediata eseguibilità corrisponde all'esigenza di porre immediatamente in essere le deliberazioni urgenti e che l'esecutività è 'in re ipsa' per il solo fatto che la stessa venga votata dalla maggioranza dei componenti del consiglio o della giunta.
L'immediata esecuzione delle delibere è, pertanto, esclusivamente subordinata ad una dichiarazione in tal senso da parte dell'organo collegiale con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti.
Peraltro, come affermato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1070/2009 'la pubblicazione dell'atto amministrativo quando è prescritta, non costituisce requisito di validità ma solo di efficacia del provvedimento, la quale attiene al diverso fenomeno della produzione degli effetti che si realizza quando si è perfezionato l'iter procedimentale (estrinseco) previsto per la formazione dell'atto'.
L'Organo giurisdizionale di secondo grado ha puntualizzato, altresì, che con la dichiarazione di immediata esecutività, viene rimosso ogni impedimento estrinseco alla produzione degli effetti dell'atto (ovvero della sua temporanea inefficacia –o meglio– inoperatività in pendenza dell'affissione)
(parere 09.04.2009 - link a https://dait.interno.gov.it).

aggiornamento al 30.04.2021 (ore 23,59)

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Riscontro richiesta di parere della Direzione Tecnica del Municipio XV prot. CU 97347 del 25.11.2020 (pervenuta al D.P.A.U. con prot. QI 138499 del 25.11.2020), inerente la richiesta di chiarimenti in merito alle “Tolleranze costruttive” di cui all’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 (Comune di Roma, nota 11.12.2020 n. 148518 di prot.).
---------------
Si leggano, al riguardo, altri precedenti pareri collegati:
  
Oggetto: Riscontro richiesta di parere della Direzione Tecnica del Municipio VII prot. Cl 146146 del 26.06.2018 (pervenuta al D.P.A.U. con prot. Ql 113427 del 03.07.2018), inerente l'applicabilità dell'art. 34, comma 2-ter, dpr 380/2001 per la chiusura di una loggia (Comune di Roma, nota 08.08.2018 n. 135807 di prot.).
   ●
Oggetto: Riscontro richiesta parere U.O.T. Municipio III (ex IV) prot. 125685 del 14.12.2015 (acquisita al D.P.A.U. con prot. 207401 del 18.12.2015), inerente le intervenute modifiche al dpr 380/2001 con la Legge 106/2011 - art. 34, comma 2-ter (Comune di Roma, nota 15.02.2016 n. 26496 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Con l'art. 34-bis, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 è stato introdotto il concetto di "tolleranza esecutiva per le irregolarità geometriche".
Ora il caso riguarda un edificio residenziale di tre piani e 6 appartamenti degli anni '60, che prevedeva per il soggiorno 2 finestre e una porta finestra, mentre è stata realizzata una finestra e una porta finestra per tutte e 6 le unità senza la presentazione di una variante; catastalmente è regolare.
Considerato a mio avviso che la geometria di un edificio non riguarda solamente la sagoma ma anche le proporzioni delle facciate, è ammissibile pensare che l'eliminazione di una finestra possa essere considerata una irregolarità geometrica?
Si precisa che il rapporto aero-illuminante è rispettato.

Si ritiene che al fine di dare adeguata risposta al quesito posto giovi preliminarmente inquadrare lo stato dell'arte normativo.
In particolare, il D.L. 16.07.2020, n. 76 (c.d. "Decreto Semplificazioni"), poi recepito con la legge di conversione L. 11.09.2020, n. 120, ha introdotto una nuova e importante disciplina in merito alle tolleranze costruttive in caso di parziali difformità rispetto al titolo edilizio abilitativo, disponendo l'abrogazione del comma 2-ter, art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e introducendo una nuova disciplina con l'inserimento del nuovo art. 34-bis, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 medesimo.
Giova quindi evidenziare come già la giurisprudenza formatasi sotto la previgente normativa aveva trattato la c.d. tolleranza di cantiere del 2%, o regime di franchigia, di cui all'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, disposizione in base alla quale "non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Il Consiglio di Stato Detta chiamato a pronunciarsi sul teme ha stabilito che: "Si tratta, come appare evidente, di una disposizione di tolleranza rivolta a disciplinare in senso, per dir così "liberalizzatorio", interventi edilizi aventi una consistenza minima" (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 23.07.2018, n. 4504).
Da tali presupposti consegue che già sotto il previgente regime normativo un intervento, in se parzialmente difforme, realizzato però entro il limite della c.d. "tolleranza di cantiere", non fosse riconducibile nella categoria della difformità parziale, ma rientrava nella irrilevanza ai fini edilizi, con la conseguenza della sua non sanzionabilità anche sotto il profilo di violazione minore (difformità o assenza di Scia o Pdc).
La modifica di recente introduzione quindi ha dettagliato un principio già formatosi sulla scorta della interpretazione giurisprudenziale; pertanto alla luce di quanto sopra si ritiene che la difformità descritta nel quesito sia riconducibile alla nuova tipologia di tolleranza costruttiva e pertanto possa giovarsi di quanto previsto al nuovo art. 34-bis.
----------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34-bis
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 23.07.2018, n. 4504 (23.10.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

EDILIZIA PRIVATAIl quesito che intendo sottoporre riguarda un ampliamento di volume in sopraelevazione, di un edificio unifamiliare posto all'interno della fascia di rispetto stradale, di cui al D.Lgs. 30.04.1992, n. 285.
Tale ampliamento, già realizzato, rispetta il 2% previsto dall'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e pertanto è ammesso anche se è in zona di vincolo paesaggistico, come riportato dal D.P.R. 13.02.2017, n. 31.
Dato che il Codice della Strada non contempla tolleranze, come invece previsto dalle norme su citate, si chiede se il 2% in ampliamento, che non è considerato ai fini edilizi come parziale difformità, può essere applicato, per analogia, anche all'art. 16 del C.d.S. vigente.

L'avanzato quesito riguarda un'interessante fattispecie, coinvolgente problematiche di natura edilizia e di disciplina delle distanze. Precisamente, la concreta fattispecie può essere così sintetizzata:
   - In un edificio unifamiliare, posto all'interno del vincolo della fascia di rispetto stradale, come disciplinata dal Codice della strada (D.Lgs. 30.04.1992, n. 285), è stato realizzato un intervento edilizio, comportante un ampliamento di volume, che si sviluppa in una sopraelevazione.
Siffatto ampliamento rispetta le cd. "tolleranze di cantiere", disciplinate dall'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Conseguentemente, l'intervento, in quanto rientrante nelle predette "tolleranze", non dà luogo ad alcuna difformità, neppure parziale, rispetto al titolo edilizio che ha legittimato il medesimo intervento.
A questo punto, si chiede di sapere se il consentito ("tollerato") ampliamento dei "distacchi", cioè della distanza fra due edifici fronteggianti, trova una legittimazione anche sul versante della fascia di rispetto stradale. In altri termini, si chiede di sapere se la prevista "tolleranza" della costruzione edilizia, in termini di "distacchi", pari al 2% delle misure progettuali, trova applicazione anche nei riguardi dei limiti afferenti la fascia di rispetto stradale.
Primariamente, occorre ricordare che il richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce quanto segue: "Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2, lettera "a", n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106. La disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art. 32, comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle misure progettuali. Gli elementi sono:
   - Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
   - Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
   - Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della sagoma esterna del manufatto;
   - Altezza degli edifici.
Orbene, occorre osservare che la "fascia di rispetto", ai sensi dell’art. 3, comma 1, n. 22 del Codice della strada, costituisce una striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili.
Le fasce di rispetto stradali, normate dal Codice della Strada e dal suo Regolamento attuativo (D.P.R. 16.12.1992, n. 495), hanno lo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e la loro potenziale pericolosità a costituire, per la prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone. Attraverso la fascia di rispetto, si garantisce un'area utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni. Di regola, le fasce di rispetto vengono istituite con l'approvazione del Progetto definitivo dell'opera stradale e permangono per tutta la vita utile della strada medesima.
All'interno delle fasce di rispetto, vige il vincolo di inedificabilità. Ed, infatti, la giurisprudenza conferma che: "In materia edilizia il vincolo delle fasce di rispetto stradale o viario è di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale; detto divieto, inoltre, opera direttamente ed automaticamente, per cui una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere dell'amministrazione sull'istanza di condono non può che essere negativo” (TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584).
Dal vincolo di in edificabilità discende il conseguente corollario che non sono previste, dalla normativa in materia, "tolleranze" o forme equivalenti. Infatti, l'art. 16, del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto fuori dai centri abitati, non contempla alcuna tolleranza. Il comma 1° di tale articolo rinvia, per la concreta tipologia dei divieti, al Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice della strada (D.P.R. 16.12.1992, n. 495). Il Regolamento non prevede, agli articoli 26 e seguenti, alcuna forma di tolleranza. Parimenti, l'art. 18 del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto nei centri abitati.
Pertanto, non appare possibile alcuna applicazione analogica della peculiare disciplina delle cd. "tolleranze di cantiere". Ciò, anche per un'altra ragione: l'indicata disciplina consacra l'irrilevanza degli scostamenti, entro il limite del 2%, nella discrasia fra la precisione teorica degli elaborati tecnici e la concreta esecuzione degli interventi (Il comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, consente di escludere dall'ambito delle difformità rilevanti ai fini sanzionatori quelle che si verificano a causa di un fisiologico scarto tra la precisione del disegno e la realizzazione, o dalla consistenza dei materiali, o dalla necessità di modesti adeguamenti in sede esecutiva e, pertanto, non possono che rilevare le misure effettive delle opere realizzate. Peraltro è la stessa norma che espressamente correla la soglia del 2% alle "misure progettuali"; TAR Veneto Venezia Sez. II, 20.09.2019, n. 1013).
In relazione alla fascia di rispetto stradale, non si pone alcun problema di "scostamenti" fra quanto previsto e quanto effettivamente realizzato. Ragion per cui l'analogia non può trovare spazio alcuno.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 28.02.1985, n. 47, art. 32 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 3 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 16 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 18 - D.P.R. 16.12.1992, n. 495, art. 18 - D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34 - D.P.R. 13.02.2017, n. 31
Riferimenti di giurisprudenza

TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584 - TAR Veneto, Sez. II, 20.09.2019, n. 1013
(20.02.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Indicazioni applicative in merito alle tolleranze costruttive, alla verifica dello stato legittimo degli edifici da demolire, alla sanatoria di immobili soggetti a vincolo paesaggistico e al divieto di modificare la Modulistica Unificata Edilizia e di richiedere altra documentazione (Regione Emilia Romagna, nota 05.06.2018 n. 410371 di prot.).
---------------
La Circolare fornisce indicazioni applicative in merito alla tolleranza costruttiva disciplinata dall’art. 19-bis, della L.R. n. 23 del 2004 sulla vigilanza in materia edilizia.
In seguito alle importanti modifiche apportate dalla L.R. n. 12 del 2017 e dalla L.R. n. 24 del 2017, si distinguono quattro fattispecie di opere edilizie realizzate in parziale difformità dal titolo abilitativo che non sono considerate violazioni edilizie e non comportano l’applicazione delle relative sanzioni amministrative.
La circolare chiarisce le modalità per accertare e rappresentare nelle pratiche edilizie le difformità tollerate.
Sono trattate, inoltre, la verifica dello stato legittimo degli edifici interessati da demolizione e ricostruzione, la sanatoria degli abusi commessi in immobili soggetti a vincolo paesaggistico e il divieto di modificare la Modulistica Unificata Edilizia regionale e di richiedere altra documentazione”.

EDILIZIA PRIVATALa previsione dell'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, per cui non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o sup. coperta che non eccedano il 2% delle misure progettuale, può prescindere dalle norme igienico-sanitarie?
Ad esempio, potrebbe assentire la presenza di locali abitativi con altezza inferiore ai canonici 270 cm minimi?

Il quesito in esame ha ad oggetto la non ignota questione delle cd. "tolleranze costruttive o di cantiere", cioè le eventuali e possibili difformità costruttive, che, in sede di esecuzione, si possono manifestare rispetto a quanto previsto dai titoli edilizi rilasciati sui progetti approvati.
Nello specifico, il quesito pone in relazione l'attuale disciplina in materia (art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380) con la normativa igienico-sanitaria. Precisamente, si chiede di sapere se le "tolleranze" per le violazioni di altezza, attualmente consentite nella misura del 2% delle misure progettuali, sono ammissibili anche nei riguardi delle altezze minime interne (metri 2,70), previste dalla preesistente normativa del 1975.
Procediamo con ordine.
Il Decreto Ministero della sanità del 05.07.1975 ("Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20.06.1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione"), all'art. 1, stabilisce che "l'altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m. 2,70, riducibili a m. 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli". Trattasi di una norma avente natura tecnica, finalizzata a tutelare evidenti interessi igienico-sanitari.
Il richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce quanto segue: "Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2, lett. a), n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106. La disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art. 32, comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle misure progettuali. Gli elementi sono:
   - Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
   - Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
   - Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della sagoma esterna del manufatto;
   - Altezza: riferita solo all'esterno dell'edificio od anche agli ambienti interni.
Indubbiamente, l'ultimo elemento ("altezza") è quello che presenta maggiore complessità ed ambiguità, non essendo chiaro se riguardi anche l'altezza all'interno degli alloggi, in particolare i famigerati 2,70 metri tra pavimento e soffitto necessari come altezza minima abitabile.
Quindi, ritornando al quesito in esame, la disposizione normativa, di cui all'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, trova applicazione anche per le altezze interne dei locali adibiti ad abitazione?
Al riguardo, occorre prendere atto di un'importante sentenza. Precisamente, la sentenza n. 1061 del 26.06.2015, emessa dal Tar Piemonte, sez. II.
In tale pronuncia, i giudici amministrativi hanno esaminato un caso di contestazione di diversi abusi, afferenti una costruzione di civile abitazione, assentita con permesso di costruire. Uno di questa abusi consisteva nel mancato rispetto delle altezze interne dei vani abitabili al piano terreno (soggiorno, cucina, camera e cameretta), i quali, secondo la contestazione del Comune, risultavano inferiori all'altezza minima di metri 2,70.
In merito a tale contestazione, il Tar ha statuito quanto segue: "Portata assorbente assume il secondo motivo di gravame, incentrato sul principio della c.d. tollerabilità di cantiere.
Anche prima dell'introduzione del nuovo comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (avvenuta con il D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106), la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che lievi scostamenti rispetto alle misurazioni previste in progetto, i quali si presentino plausibili nell'ambito della tecnica costruttiva utilizzata, non possono considerarsi come difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato (Cons. Stato Sez. IV, 10.05.2007, n. 2253), dovendosi essi farsi rientrare nel margine di tollerabilità consueto, legato sia alla difficoltà di perfetta realizzazione delle previsioni di progetto sia ai limiti degli strumenti di misurazione (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 28.07.2009, n. 4469).
E' appena il caso di aggiungere che quell'orientamento giurisprudenziale poc'anzi citato è ormai divenuto legge per effetto del già richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, a norma del quale "non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali": misura che, nel caso di specie, è stata pacificamente rispettata
".
In buona sostanza, il Tribunale amministrativo piemontese, anche sulla base di pregressi arresti giurisprudenziali, ha statuito i seguenti principi:
   a) sussiste, in materia di variazioni intervenute in sede di esecuzione, un generale principio di "tollerabilità di cantiere";
   b) si tratta di un principio che conosce altri precedenti giurisprudenziali, fondati sulla considerazione che occorre tener conto delle difficoltà di perfetta realizzazione di un progetto, oltre che dei limiti degli strumenti di misurazione;
   c) siffatto principio è diventato legge, in quanto è stato recepito dal già richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, come integrato nel 2011;
   d) tale principio si applica anche nel caso di mancato rispetto di altezze interne dei vani abitabili, nei limiti, ovviamente, dell'indicata disciplina.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34 - D.M. 05.07.1975, art. 1
Riferimenti di giurisprudenza

TAR Piemonte, Sez. II, 26.06.2015, n. 1061
(20.03.2018 - tratto da https://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ANNO 2020
aggiornamento al 15.09.2020

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPubblicazione dati dirigenti cessati.
Domanda
Nel nostro ente, il 31 agosto, è cessato dall’incarico un dirigente a contratto, ex art. 110, comma 1, del TUEL 267/2000, al quale è stato applicato un nuovo contratto triennale a far data dal 01 settembre.
I dati del dirigente vanno pubblicati nella sotto-sezione Personale > Dirigenti cessati?
Risposta
L’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nella sua ultima versione modificata dal d.lgs. 97/2016, prevede per i dirigenti –posizioni organizzative, negli enti senza dirigenza– e per i titolari di incarichi politici l’obbligo di mantenere pubblicati i rispettivi dati “per i tre anni successivi dalla cessazione del mandato o dell’incarico”.
Nel caso prospettano nel quesito, in realtà, il dipendente assunto a tempo determinato, con la qualifica dirigenziale, in applicazione ad una specifica norma del Testo Unico degli Enti Locali, non cessa dall’incarico che, infatti, prosegue, senza soluzione di continuità, per ulteriori tre anni.
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) nei suoi documenti e Linee guida ha sempre sostenuto –si veda ad esempio l’Atto di segnalazione n. 6 del 20.12.2017– che le P.A. debbano attenersi al divieto di duplicazione dei dati riguardanti il medesimo soggetto, che devono trovare allocazione all’interno della sezione Amministrazione trasparente, solamente una volta, secondo le indicazioni contenute, per le pubbliche amministrazioni, nell’allegato “1”, della delibera ANAC n. 1310, del 28.12.2016.
Medesima indicazione si rinviene nei documenti dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali italiana, quali, ad esempio, le “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri soggetti obbligati”, contenute nel provvedimento n. 243 del 15.05.2014.

Nel vostro caso, quindi, l’obbligo che si appalesa è quello contenuto nell’articolo 14, commi 1 e 1-bis, del d.lgs. 33/2013. La pubblicazione dei dati del dirigente a contratto devono, pertanto, essere pubblicati su Amministrazione trasparente > Personale > Titolari di incarichi dirigenziali (dirigenti non generali), magari aggiornati –entro tre mesi dall’inizio del nuovo incarico– rispetto a quelli già pubblicati in precedenza, a seguito del primo contratto di lavoro a tempo determinato.
Trascorso il nuovo triennio di incarico, qualora il dipendente cessi effettivamente dall’incarico dirigenziale, i suo dati dovranno essere trasferiti nella sotto-sezione Personale > dirigenti cessati, per la durata di anni tre (15.09.2020 - link a www.publika.it).

TRIBUTILa modifica di aliquote e tariffe di tributi per gli enti che hanno gia’ approvato il bilancio di previsione 2020-2022.
Domanda
Il mio comune ha già approvato il bilancio di previsione 2020-2022 lo scorso 13 febbraio. E’ ancora possibile intervenire sulle aliquote tributarie?
Risposta
Come è ormai noto, la crisi da Covid-19 ha comportato l’ulteriore differimento del termine per l’approvazione del bilancio di previsione 2020-2022 al 30 settembre prossimo. A farlo, da ultimo, è stato l’art. 106, comma 3-bis, del d.l. 34/2020 aggiunto dalla legge di conversione n. 77 del 17.07.2020.
Il dubbio del lettore è condiviso –oggi come in passato– da molti amministratori locali e responsabili finanziari. Su di esso è intervenuta incidentalmente Ifel con propria nota del 7 agosto scorso (qui il testo integrale della nota). Dopo aver analizzato nel dettaglio gli effetti del differimento di detto termine sulla scadenza dei termini per l’approvazione di regolamenti, tariffe e aliquote dei tributi locali, la nota ha affrontato proprio il tema oggetto del quesito.
Ifel conferma il proprio orientamento ormai consolidato da anni secondo il quale la proroga dei termini di legge per l’approvazione del bilancio di previsione consente ai comuni, anche laddove la sua approvazione sia già avvenuta, di modificare la propria disciplina tributaria. Ciò, a maggior ragione nel caso di variazioni dettate da sopravvenute modifiche del quadro normativo di riferimento o da situazioni di emergenza quale è proprio quella derivante dal Covid-19.
La variazione di gettito conseguente alla determinazione di diverse aliquote tributarie, rispetto a quelle a suo tempo approvate unitamente al bilancio di previsione, dovrà essere accompagnata o seguita da una coerente variazione di bilancio, debitamente motivata, senza che vi sia “alcun obbligo di procedere alla ripetizione ex novo del processo di formazione del bilancio”. Ricorda poi Ifel che allo stesso modo si è espresso a suo tempo il MEF con propria risoluzione n. 1/DF del 02/05/2011 (qui il testo integrale).
In quell’occasione il MEF, pur rilevando che le delibere di approvazione delle tariffe ed aliquote costituiscono un allegato al bilancio di previsione, dà atto che nel caso in cui questo sia già stato approvato, l’ente può legittimamente approvare o modificare le delibere tariffarie, unitamente alla contestuale variazione del bilancio di previsione medesimo, senza necessità, appunto, di una sua riapprovazione integrale.
Sul tema, ricorda infine la nota IFEL, era intervenuta anche la VI Commissione Finanze, con la risoluzione del 21.11.2013, nella quale si afferma “(…) come il competente Ministero dell’Interno esprima l’avviso che le eventuali modifiche da apportare al bilancio di previsione da parte degli enti, che tengano conto delle intervenute novità introdotte nei regolamenti riguardanti le entrate tributarie dell’ente, possano essere recepite attraverso successive apposite variazioni al documento contabile già approvato da parte dei comuni, senza che sia indispensabile l’integrale approvazione di nuovo bilancio”.
Quindi, in conclusione: piena libertà per tutti gli enti (con bilancio già approvato ovvero ancora da approvare) di intervenire sulle proprie aliquote e tariffe tributarie entro il prossimo 30 settembre, naturalmente nel rispetto degli equilibri di bilancio, ad esclusione di Icp e Dpa che devono essere deliberate entro il 31 marzo. In caso di mancata adozione della deliberazione, si intendono prorogate le tariffe vigenti (14.09.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOTempo determinato oltre 36 mesi.
Domanda
È consentita la stipulazione tra il lavoratore ed il medesimo datore di lavoro di contratti di lavoro a tempo determinato della durata superiore di 36 mesi, a seguito di selezioni concorsuali diverse?
Risposta
In generale, nel caso in cui un Ente decida, motivandolo adeguatamente, di riutilizzare il lavoratore oltre il periodo di 36 mesi previsto dalla legge, il Dipartimento della Funzione Pubblica, con nota n. 37.562/2012, ha evidenziato che il superamento di un nuovo concorso pubblico a tempo determinato consente di azzerare la durata del contratto precedente ai fini del computo del limite massimo dei 36 mesi previsto dal d.lgs. 368/2001 (si veda il primo paragrafo di pagina 4).
L’indicazione può ritenersi applicabile anche dopo l’adozione del D.Lgs. n. 81/2015, che non ha innovato o modificato le regole in materia già vigenti in precedenza.
Non vi sono però norme di legge a supporto di tale interpretazione, né indicazioni specifiche nell’art. 50 del CCNL del comparto “Funzioni Locali” sottoscritto in data 21.05.2018 (10.09.2020 - link a www.publika.it).

TRIBUTIQuesto Comune, ha confermato, nel proprio regolamento IMU aggiornato alla L. 27.12.2019, n. 160 appena approvato, la riduzione del 50% del tributo per gli immobili concessi in comodato d'uso ai parenti in linea retta entro il primo grado (come previsto dalla Legge di Stabilità 2016 - art. 1, comma 10, L. 28.12.2015, n. 208).
Si chiede se, in base alla nuova normativa introdotta dal 01.01.2020, tale agevolazione sia riconoscibile al dichiarante anche senza la registrazione del contratto di comodato.

Per rispondere al quesito proposto non possiamo che riprendere testualmente la previsione di cui all'art. 1, comma 747, Legge di Bilancio per il 2020 (L. 27.12.2019, n. 160) che ha istituito la c.d. "Nuova IMU" a decorrere dal 01.01.2020 abrogando le previgenti disposizioni in materia di componente IMU dell'Imposta Unica Comunale (IUC).
La richiamata disposizione infatti prevede che "la base imponibile è ridotta del 50 per cento nei seguenti casi ….. c) per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda una sola abitazione in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l'immobile concesso in comodato".
Pertanto, anche a seguito delle precisazioni offerte dal Dipartimento delle finanze con propria Ris. 17.02.2016, n. 1/DF emanata sull'impianto normativo della "vecchia IMU" (che sostanzialmente è ripreso dalla nuova normativa), non possiamo che affermare che tale beneficio può essere concesso, in materia di IMU, solamente nel caso in cui l'immobile venga concesso in comodato d'uso tra parenti in linea retta entro il primo grado, alle condizioni stabilite, soltanto previa stipula e registrazione di apposito contratto di comodato, escludendo, al momento, altre possibilità di riconoscere l'agevolazione di cui trattasi.
----------------
Riferimenti normativi e contrattuali
Ris. 17.02.2016, n. 1/DF - Art. 1, comma 747, L. 27.12.2019, n. 160 (09.09.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTILa pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la Pubblica Amministrazione.
Domanda
Al fine di verificare la moralità di un operatore ai sensi dell’art. 80, co. 1, del codice dei contratti, è sufficiente accertare l’insussistenza di uno dei delitti elencati al citato comma?
Risposta
L’art. 80, co. 1, del d.lgs. 50/2016, individua una serie di delitti in presenza dei quali l’esclusione dell’operatore economico costituisce un atto dovuto, salvo i casi elencati al comma 3 del citato articolo (depenalizzazione del reato, riabilitazione, estinzione della pena accessoria o della condanna, completa effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata nei confronti dei cessati dalla carica), o a seguito di adozione di misure di self cleaning di cui al co. 7, dell’art. 80, oppure per la decorrenza del termine della pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione.
Per completezza si riportano di seguito i delitti di cui al comma 1:
   a) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416 (Associazione per delinquere), 416-bis (Associazione di tipo mafioso) del codice penale ovvero delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’art. 74 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del decreto del Presidente della Repubblica 09.10.1990, n. 309, dall’articolo 291-quater (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) del decreto del Presidente della Repubblica 23.01.1973, n. 43 e dall’articolo 260 (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, in quanto riconducibili alla partecipazione a un’organizzazione criminale, quale definita all’articolo 2 della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio;
   b) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 317 (Concussione), 318 (Corruzione per l’esercizio della funzione), 319 (Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-ter (Corruzione in atti giudiziari), 319-quater (Induzione indebita a dare o promettere utilità), 320 (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio), 321 (Pene per il corruttore), 322 (Istigazione alla corruzione), 322-bis (Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri), 346-bis (Traffico di influenze illecite), 353 (Turbata libertà degli incanti), 353-bis (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), 354 (Astensione dagli incanti), 355 (Inadempimento di contratti di pubbliche forniture) e 356 (Frode nelle pubbliche forniture) del codice penale nonché all’art. 2635 (Corruzione tra privati) del codice civile;
   c) frode ai sensi dell’articolo 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee;
   d) delitti, consumati o tentati, commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell’ordine costituzionale reati terroristici o reati connessi alle attività terroristiche;
   e) delitti di cui agli articoli 648-bis (Riciclaggio), 648-ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e 648-ter.1 (Auto riciclaggio) del codice penale, riciclaggio di proventi di attività criminose o finanziamento del terrorismo, quali definiti all’articolo 1 del decreto legislativo 22.06.2007, n. 109 e successive modificazioni;
   f) sfruttamento del lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani definite con il decreto legislativo 04.03.2014, n. 24;
   g) ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Con riferimento al quesito in premessa, e sulla base della disposizione sopra evidenziata, non è sufficiente verificare la presenza nel certificato del casellario giudiziale di uno dei delitti di cui all’art. 80, co. 1, lettere da a) a f), ma occorre accertare l’assenza di differenti fattispecie delittuose rispetto a quelle tassativamente elencate, che hanno comportato l’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione
Dal documento acquisito tramite AVCPass o altri canali tradizionali occorre pertanto accertare la natura della fattispecie delittuosa, la pena principale e la sua durata, nonché l’eventuale pena accessoria e la sua durata (il tempo in cui l’operatore deve rimanere fuori dalle gare) (09.09.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAggiornamento Codice di comportamento.
Domanda
Il codice di comportamento del nostro comune è stato adottato nel 2014. È necessario predisporre un nuovo codice di comportamento di ente?
Risposta
La legge Severino (legge 06.11.2012, n. 190), all’articolo 1, comma 44, ha sostituito l’intero articolo 54, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 ed ha stabilito, per la prima volta (comma 5), che le previsioni del codice di comportamento nazionale, fossero integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni. Come tutti sappiamo, il nuovo codice di comportamento nazionale venne, poi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 16.04.2013, n. 62, il quale, all’articolo 1, comma 2, non poteva che ribadire l’obbligo per le P.A. di dotarsi di un codice di comportamento di ente.
Così è stato fatto –tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014– dalla totalità delle pubbliche amministrazioni italiane ed oggi, il codice nazionale e quello di ente fanno buona mostra di sé, nei siti web di tutte le P.A. nella sezione: Amministrazione trasparente> Disposizioni generali > Atti generali.
Per rendere più cogente l’obbligo, il legislatore nazionale intervenne scrivendo l’articolo 19, comma 5, lett. b), del decreto-legge 90/2014, in cui si stabiliva una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro per i soggetti che omettevano la redazione del codice di comportamento di ente. L’ANAC –nella sua fase di massimo “splendore creativo”– riuscì, con un regolamento del 09.09.2014, ad allargare le maglie della legge, prevedendo la medesima sanzione, anche per gli enti che avevano adottato un codice di ente meramente riproduttivo del Codice di comportamento emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 16.04.2013, n. 62 o l’approvazione di un provvedimento, il cui contenuto riproduca in modo integrale analoghi provvedimenti adottati da altre amministrazioni, privo di misure specifiche introdotte in relazione alle esigenze dell’amministrazione interessata.
Insomma: l’ANAC prometteva multe per tutti. Per chi non provvedeva, ma anche per chi copiava la legge senza integrarla a sufficienza o per chi –complice il web– aveva copiato dal vicino di banco.
Nel Piano Anticorruzione Nazionale (PNA) dell’anno 2019 –delibera n. 1074 del 21.11.2018– l’ANAC ha utilizzato tutto il paragrafo 8 per spiegarci che aveva deciso “di condurre sul tema dei codici di comportamento un notevole sforzo di approfondimento sui punti più rilevanti della nuova disciplina e partendo dalla constatazione della scarsa innovatività dei codici di amministrazione che potremmo chiamare “di prima generazione”, in quanto adottati a valle dell’entrata in vigore del d.P.R. 63/2013 e delle prime Linee Guida ANAC dell’ottobre del 2013. Tali codici, infatti, si sono, nella stragrande maggioranza dei casi, limitati a riprodurre le previsioni del codice nazionale, nonostante il richiamo delle Linee guida ANAC sulla inutilità e non opportunità di una simile scelta”.
Sull’argomento, l’ANAC preannunciava –per i primi mesi del 2019– l’emanazione di apposite (nuove) linee guida generali con le quali “si daranno istruzioni alle amministrazioni quanto ai contenuti dei codici (doveri e modi da seguire per un loro rispetto condiviso), al procedimento per la loro formazione, agli strumenti di controllo sul rispetto dei doveri di comportamento, in primo luogo in sede di responsabilità disciplinare”.
Le Linee guida non hanno visto la luce nel promesso anno 2019 (annus horribilis per l’Autorità), ma in quello successivo, per il tramite della delibera ANAC n. 177 del 19.02.2020, suddivisa in sedici paragrafi, per un totale di 36 pagine.
In soldoni, le nuove linee guida ribadiscono che i codici di comportamento di ente –quelli che sarebbero di “seconda generazione”– devono integrare e specificare i contenuti del codice generale. Che la loro adozione deve essere preceduta da una “procedura aperta alla partecipazione” e che sulla stesura definitiva, occorre il parere obbligatorio (ma non vincolante) dell’OIV o Nucleo di valutazione. Non grandissime novità –potremmo dire– dal momento che si tratta di disposizioni legislative note dal novembre del 2012.
Svolta questa lunga  e forse inutile– premessa, si risponde al quesito nel modo seguente:
   a) Non è obbligatorio rifare il codice di comportamento di ente;
   b) Non c’è una legge che lo preveda o un termine da rispettare;
   c) Non ci sono sanzioni per chi decide di tenersi quello che ha già, se funziona;
   d) Può essere utile e, in alcuni casi necessario –dopo sei anni del “vecchio codice”– prevedere un tagliando anche alla luce delle esperienze maturate nell’ente, dell’applicabilità del vecchio codice, della eventuale necessità di aggiornarlo e renderlo più chiaro ed efficace, soprattutto per ciò che concerne i comportamenti, le dichiarazioni e comunicazioni dei dipendenti (artt. 5, 6 e 13 codice generale) e la loro tempistica;
   e) Se il RPCT decide di metterci le mani –magari perché la misura è stata anche prevista nel PTPCT 2020/2022– occorre fare riferimento alle Linee guida ANAC, prestando una particolare attenzione ai paragrafi:
– 11. Procedura di formazione dei codici;
– 12. Struttura dei codici;
– 15. Formazione sui contenuti dei codici di comportamento;
– 16. Vigilanza sull’applicazione dei codici (08.09.2020 - link a www.publika.it).

EDILIZIA PRIVATAL'ufficio tecnico di questo Comune si trova ad analizzare progetti che contengono strutture, definite in planimetria come volumi tecnici, senza poter reperire una definizione normativa degli stessi.
A quali disposizioni occorre fare riferimento?

Con Circ. 31.01.1973, n. 2474 il Ministero dei lavori pubblici ha dato la seguente definizione di "volumi tecnici" ai fini del calcolo della cubatura degli edifici: "Devono intendersi per volumi tecnici, ai fini della esclusione del calcolo della volumetria ammissibile, i volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non possono per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche".
Tale definizione trova conferma e riscontro in un consolidato orientamento giurisprudenziale che sottolinea come il volume tecnico è tale se:
   - non impiegabile né adattabile ad uso abitativo;
   - privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale;
   - strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all'interno dell'edificio.
L'importanza della qualificazione di un volume come "tecnico" sta nel fatto che i volumi tecnici -purché in rapporto di funzionalità necessaria rispetto alla costruzione cui ineriscono- non vanno computati nel calcolo della volumetria massima consentita, in quanto per definizione essi non generano autonomo carico urbanistico.
Tuttavia vi sono alcune limitazioni:
   • nell'ambito della tutela paesaggistica il divieto di incremento dei volumi esistenti si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno;
   • la nozione di volume tecnico può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale per impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere ubicati all'interno di essa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 32 - Circ. 31.01.1973, n. 2474 del Ministero dei Lavori pubblici
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. IV, 07.07.2020, n. 4358 - Cons. Stato Sez. VI, 15.06.2020, n. 3805 - Cons. Stato Sez. II, 01.04.2020, n. 2204 - Cons. Stato Sez. II, 12.03.2020, n. 1808 - Cons. Stato Sez. II, 25.10.2019, n. 7289 - Cons. Stato Sez. II, 29.08.2019, n. 5981 - Cons. Stato Sez. VI, 23.04.2019, n. 2577 - Cons. Stato Sez. VI, 29.03.2019, n. 2101 - Cons. Stato Sez. VI, 05.12.2018, n. 6904
Riferimenti di dottrina

- Interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica e nuova procedura semplificata, in Ambiente e sviluppo, 2017, 5, 343
- La tutela del patrimonio culturale nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in Giornale Dir. Amm., 2017, 1, 116 - Gabriele Sabato
- L'Autorizzazione paesaggistica in sanatoria e i volumi tecnici, in Corriere Merito, 2013, 10 - Romani Francesca
- Le sanzioni conseguenti all'annullamento del titolo edilizio, tra interpretazione letterale e principi generali, in Urbanistica e appalti, 2013, 6, 719 - Micalizzi Raffaele
 (02.09.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

CONSIGLIERI COMUNALI: Commissione consiliare statuto e regolamento. Atto di convocazione viziato. Conseguenze.
L’avviso di convocazione di una seduta di commissione comunale, completo di tutti i suoi elementi e pervenuto nei termini richiesti, fatto da un soggetto non legittimato in base alla norma regolamentare dell’Ente (in particolare, dal responsabile amministrativo anziché del Presidente del consiglio comunale) non integra alcuna fattispecie di invalidità.
Dalla previsione di cui al secondo comma, prima parte, dell’articolo 21-octies della legge 241/1990 deriva, infatti, l’irrilevanza della violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell'atto quando il contenuto dispositivo dello stesso "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Le consigliere comunali chiedono un parere in merito alla legittimità o meno della convocazione di una seduta della commissione consiliare statuto e regolamento viziata, secondo quanto dalle stesse sostenuto, essendo stata la stessa convocata da un responsabile amministrativo del Comune invece che dal Presidente della commissione, in conformità alla previsione del regolamento sul funzionamento del consiglio comunale.
In via preliminare, si osserva che non compete a questo Ufficio esprimersi in merito alla legittimità degli atti degli enti locali stante l’avvenuta soppressione del regime dei controlli ad opera della legge costituzionale 3/2001. Di seguito, pertanto, si forniranno una serie di considerazioni giuridiche che si ritiene possano risultare di utilità in relazione alla problematica posta.
L’articolo 11 dello statuto comunale, al comma 1, prevede che: “Il Consiglio comunale nomina la commissione consiliare per lo Statuto ed i regolamenti nonché le altre commissioni previste come obbligatorie dalla legge.” Il successivo comma 5 stabilisce, poi, che: “Le attribuzioni, l’organizzazione, l’attività e le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni consiliari sono stabiliti dal regolamento per la disciplina ed il funzionamento del Consiglio comunale”.
Quest’ultimo, all’articolo 13, disciplinante il funzionamento delle commissioni consiliari, al comma 3, recita: “La prima convocazione delle commissioni viene fissata dal Sindaco con avviso scritto da recapitarsi ai componenti con un preavviso di almeno cinque giorni.” Il successivo comma 5 dispone, poi, che: “Le successive riunioni della commissione sono convocate dal rispettivo presidente, con le modalità di cui al comma 3. Su espressa indicazione degli interessati, l’avviso stesso può essere sostituito da comunicazione informatica”.
Nel caso di specie, l'avviso è stato fatto dal responsabile amministrativo anziché dal Presidente, come previsto dal regolamento; di qui la necessità di valutare le conseguenze eventualmente scaturenti da tale comportamento.
In particolare, ai fini della valutazione del tipo di vizio di cui si sarebbe in presenza e delle eventuali conseguenze che dallo stesso potrebbero scaturire si prende in considerazione il disposto di cui all’articolo 21-octies della legge 07.08.1990, n. 241, rubricato “Annullabilità del provvedimento”, il quale, al comma 1, recita: “E' annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.
Il successivo comma 2, tuttavia, stabilisce che: “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis.”
A parere di chi scrive, avuto riguardo alla previsione del comma 2 dell’articolo 21-octies richiamato, nel caso di specie, non ricorrono le circostanze per ritenere esistente una fattispecie di invalidità.
Dalla previsione di cui al secondo comma, prima parte, dell’articolo 21-octies della legge 241/1990 deriva, infatti, l’irrilevanza della violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell'atto quando il contenuto dispositivo dello stesso "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato
[1].
La novella dell'articolo 21-octies della legge sul procedimento amministrativo codifica “quelle tendenze già emerse in giurisprudenza mirate a valutare l'interesse a ricorrere, che viene negato ove il ricorrente non possa attendersi, dalla rinnovazione del procedimento, una decisione diversa da quella già adottata.”
[2]
Nel caso in riferimento si verserebbe proprio in tale fattispecie, atteso che l’avviso di convocazione, in caso di sua rinnovazione, manterrebbe un contenuto analogo a quello in concreto adottato. Ne consegue che pare risultare preclusa l’annullabilità, per incompetenza relativa, dell’avviso di convocazione di cui trattasi e, dunque, anche degli eventuali provvedimenti conseguenti, per invalidità derivata.
[3]
Quanto detto sopra circa il fatto che l’avviso di convocazione, in caso di sua rinnovazione, manterrebbe inalterato il suo contenuto -e per questo il fatto che lo stesso sia stato comunicato da soggetto incompetente non integra un vizio invalidante- è dovuto al fatto che detto atto possiede già tutti i requisiti sostanziali necessari per raggiungere il proprio scopo che è quello, proprio degli atti di convocazione in generale, di mettere i consiglieri in condizione di partecipare ad una determinata seduta esercitando i diritti inerenti il proprio munus pubblico.
In proposito si riportano alcune considerazioni espresse con riferimento all'avviso di convocazione dei consigli comunali.
Afferma, al riguardo, la dottrina
[4] che “la funzione dell’avviso è quella di garantire una “preinformazione” ai consiglieri comunali sugli argomenti in discussione senza pretendere di entrare nel contenuto degli stessi: […] la comunicazione assolve una funzione prestabilita di “informazione”; deve contenere gli argomenti posti in discussione (oggetto sintetico); individua il luogo, il giorno, e l’ora della seduta; va consegnata a “domicilio”; avviene in forma libera, non è prevista la notificazione (ex art. 21-bis della Legge n. 241 del 1990). Si deve, quindi, desumere che l’avviso di convocazione ha una funzione tipica di “strumento di conoscenza”, con una natura “recettizia”, […] è importante che il consigliere comunale sia posto nelle condizioni di conoscere tutti gli elementi utili per la partecipazione ai lavori, e questa conoscenza può essere aliunde dimostrata qualora si possa constatare che l’interessato ne era reso edotto”.
Anche la giurisprudenza, ha rilevato che “l’avviso di convocazione delle sedute consiliari è lo strumento indispensabile per il corretto e regolare funzionamento dell'organo consiliare, consentendo ai consiglieri comunali, diretti rappresentanti della comunità, non solo di essere informati delle riunioni dell'assise cittadina, ma soprattutto di potervi partecipare attivamente […].”
[5]
Il Ministero dell’Interno
[6], relativamente ad una fattispecie afferente un avviso di convocazione recante la data sia di prima che di seconda convocazione di una seduta consiliare, non comunicato nei termini quanto alla prima convocazione, ha affermato che “la irregolarità della convocazione del Consigliere comunale, come può essere sanata attraverso la convalida, così costituisce motivo di annullamento degli atti deliberativi adottati soltanto nel caso in cui alla stessa possa essere riconosciuta una efficacia preclusiva della piena capacità del Consigliere di esprimere il voto in seno al collegio di appartenenza.” [7]
In conclusione, in relazione al contenuto dell’avviso di convocazione e alla sua funzione, come esplicitati dagli orientamenti sopra riportati, ne deriva che, come già affermato, nel caso in esame il vizio contestato non risulta invalidante, in quanto il contenuto dell’avviso di cui si tratta non sarebbe diverso in caso di rinnovazione e il fatto che l’avviso in questione possiede tutti i requisiti funzionali al suo scopo porta ad escludere che nel caso di specie possa ritenersi leso il diritto alla partecipazione dei lavori della commissione consiliare dei consiglieri comunali, ai quali lo stesso è stato comunicato nei termini e con i contenuti ad esso propri.
[8]
---------------
[1] Benché l’articolo 21-octies della legge 241/1990, nella prima parte del comma 2, circoscriva il rimedio alle ipotesi di atto vincolato, tuttavia, come rilevato dalla dottrina “è però evidente che un’interpretazione strettamente letterale dell’aggettivo “vincolato” circoscriverebbe di molto, e senza una ragionevole spiegazione, l’operatività della norma, stante la scarsità, in natura, di atti vincolati, ossia privi di margini di discrezionalità.
Sotto questo profilo, appare perciò plausibile assumere che la disposizione si rivolga, piuttosto che ai soli atti astrattamente privi di profili di discrezionalità, a tutti quei provvedimenti che, muovendo da presupposti di fatto e di diritto pacifici ed incontestati, possono dar luogo, nel concreto, ad una sola scelta da parte dell’amministrazione” (così, R. Porcelli, “Art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990. Analisi della giurisprudenza”, in “Il diritto amministrativo, Rivista giuridica”, Anno XII, n. 07 - Luglio 2020).
[2] TAR Lazio, Roma, sez. I, sentenza dell’08.06.2009, n. 5460.
[3] Peraltro, di difficile individuazione sarebbe l’atto “definitivo” eventualmente suscettibile di impugnazione per invalidità derivata. Al riguardo si ricorda che le commissioni consiliari si configurano come articolazioni interne al consiglio comunale. Come rilevato dal Ministero dell’Interno (parere del 03.04.2014) “esse non sono organi necessari dell’ente locale, cioè non sono componenti indispensabili della sua struttura organizzativa, bensì organi strumentali dei consigli ed, in quanto tali, costituiscono componenti interne dell’organo assembleare, prive di una competenza autonoma e distinta da quella ad esso attribuita.
In altri termini, le commissioni consiliari operano sempre e comunque nell’ambito della competenza dei consigli”. Con specifico riferimento alle competenze delle commissioni consiliari soccorre l’articolo 11, comma 4, dello statuto dell’Ente il quale attribuisce alle stesse una funzione istruttoria e consultiva nei confronti del consiglio comunale.
[4] M. Lucca, “Norma regolamentare per la convocazione, con strumenti informatici, del consiglio comunale”, in www.segretarientilocali.it
[5] TAR Campania, Napoli, Sez. I, sentenza del 22.10.2018, n. 6129. Nello stesso senso si veda, anche, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza del 14.09.2012, n. 4892.
[6] Ministero dell’Interno, parere del 18.03.2005.
[7] Nel caso esaminato dal Ministero dell’Interno, la prima seduta consiliare, non comunicata nei termini previsti, era andata deserta. Atteso che la mancata comunicazione nei termini dell’avviso di convocazione aveva riguardato solo tre consiglieri il Ministero dell’Interno ha rilevato come “in nessun caso l'assenza di detta irregolarità avrebbe potuto portare ad un esito diverso della seduta, dal momento che, anche se i tre si fossero presentati, l'adunanza avrebbe dovuto ugualmente essere dichiarata deserta.
In altri termini, poiché alla 'prova di resistenza' la irregolarità riscontrata non risulta in grado di modificare l'esito della seduta, cosicché il presupposto della 'seconda convocazione' (seduta deserta) non può ritenersi ad essa condizionato, non sembra che il vizio della prima convocazione si estenda alla seconda”.
[8] Nel caso di specie, sotto questo profilo, si osserva che mancherebbe l’interesse a ricorrere stante la mancata lesione dello ius ad officium del consigliere. Al riguardo, si osserva che, in linea generale, il consigliere comunale è legittimato ad impugnare le sole deliberazioni emanate dal consiglio quando esse ledano un suo interesse personale diretto.
La giurisprudenza, al riguardo, ha affermato che “il consigliere dell’ente locale deve essere considerato di per sé privo della legittimazione ad agire in giudizio, posto che quest’ultima non risiede nella semplice deviazione dell’atto impugnato rispetto allo schema normativamente previsto, occorrendo quanto meno che da tale deviazione derivi la compressione di una sua prerogativa inerente all’ufficio (e salve le questioni inerenti l’effettiva incidenza del vizio procedimentale sulla legittimità sostanziale dell’atto emesso in sede collegiale); in quest’ottica è indispensabile aver riguardo alla natura e al contenuto della delibera impugnata, e non alle norme interne relative al funzionamento dell’organo, per cui è irrilevante ogni altra violazione di forma e di sostanza nell’adozione di una deliberazione” (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 02.12.2015, n. 5459).
La dottrina, nel richiamare recente giurisprudenza sull’argomento (TAR Campania, sez. I, sentenza del 05.06.2018, n. 3710) ha, ulteriormente, precisato che “l’impugnativa di singoli consiglieri può ipotizzarsi soltanto quando vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio dei medesimi e, quindi, su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere, dovendosi escludere che ogni violazione di forma o di sostanza nell’adozione di una deliberazione, che di per sé può produrre un atto illegittimo impugnabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dal medesimo, si traduca in una automatica lesione dello ius ad officium”
(03.08.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

aggiornamento al 31.08.2020

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOQuesto Comune, nel corso dell'anno 2020, ha registrato alcune cessazioni di personale riconducibili a diverse fattispecie (dimissioni volontarie, pensionamento e mobilità).
Alla luce del Decreto Interministeriale del 17.03.2020, in attuazione del D.L. 30.04. 2019, n. 34, si chiede un vostro parere sul fatto che l'Ente, a prescindere dai valori soglia e dalla percentuale di assunzioni massima stabilita dallo stesso decreto, possa procedere alla sostituzione del personale cessato?

Per rispondere al quesito proposto segnaliamo come sul tema specifico sia intervenuta la prima pronuncia della Magistratura Contabile con parere della sezione regionale di controllo per la Regione Lombardia n. 93 del 30.07.2020.
La Corte dei Conti lombarda nel ricordare che la nuova normativa introdotta dal legislatore fornisce un nuovo ambito di applicazione della c.d. capacità assunzionale basato sulla "sostenibilità finanziaria" della spesa, ossia sulla sostenibilità del rapporto tra spese di personale ed entrate correnti, rimarca il fatto che la stessa sezione si è già espressa (con deliberazione nella predetta Delib. 74/2020/PAR) anche sull'ambito temporale di estensione nella nuova normativa per cui, secondo il c.d. principio del tempus regit actum, per le assunzioni da effettuare dall'entrata in vigore della nuova normativa, i nuovi spazi assunzionali sono legati alla regola della sostenibilità finanziaria della spesa misurata attraverso i valori soglia per come definiti nella disciplina normativa sopra richiamata.
Secondo la corte, infatti, la peculiarità del nuovo parametro è infatti da ricercarsi nella "flessibilità che in una situazione fisiologica (e dunque al netto di quella contingente, eccezionale e di emergenza) responsabilizza l'ente sul versante della riscossione delle entrate il cui gettito medio nel triennio potrà, se in aumento, offrire anche ulteriori spazi assunzionali" e ne consegue il fatto che, in risposta alla domanda odierna, che, per le procedure effettuate dal 20.04.2020 (termine dettato dalla circolare esplicativa al DM assunzionale), i comuni non possono procedere alla sostituzione del personale cessato nell'anno (per dimissioni volontarie, pensionamento o mobilità), a prescindere dai valori soglia e dalle percentuali assunzionali stabilite dal D.L. 30.04.2019, n. 34 e dalla normativa di attuazione contenuta nel D.M. 17.03.2020 della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.L. 30.04.2019, n. 34, art. 33 D.L. 34/2019 - D.M. 17.03.2020 della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dip. funz. pubbl.
Documenti allegati

Circ. 17.03.2020 del Ministero dell'Interno
(26.08.2020 - tratto da
http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

PUBBLICO IMPIEGO: Congedo per i genitori con figli di età non superiore ai dodici anni, di cui agli artt. 23 e 25 del D.L. 18/2020, convertito dalla L. 27/2020. Effetti sulle ferie.
Poiché le norme disciplinanti lo speciale congedo istituito al fine di consentire ai genitori di provvedere alla cura dei minori di età non superiore ai dodici anni durante il periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole, conseguente all’emergenza epidemiologica da COVID-19, non chiariscono gli effetti sulle ferie della relativa fruizione, nelle more di un auspicabile tempestivo chiarimento da parte dei competenti Uffici e Organismi dello Stato, si ritiene che la questione possa essere risolta estendendo al congedo in esame la disciplina legale dettata dall’art. 34, comma 5, del D.Lgs. 151/2001 per i congedi parentali “ordinari”, in base alla quale i periodi di fruizione dei congedi non sono utili ai fini della maturazione delle ferie.
Il Comune chiede di conoscere se la fruizione del congedo previsto dall’art. 23
[1] del decreto-legge 17.03.2020, n. 18 [2], convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27, incida sul computo delle ferie spettanti al lavoratore e, in caso affermativo, con quale modalità di calcolo esse vadano rideterminate.
Occorre premettere che il congedo di cui trattasi –fruibile dai dipendenti del settore pubblico nei termini previsti dal successivo art. 25
[3], di cui si dirà in seguito– riveste natura straordinaria e provvisoria, essendo stato istituito al fine di consentire ai genitori di provvedere alla cura dei minori durante il periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole, conseguente all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
L’art. 23 del D.L. 18/2020 prevede –per quanto qui rileva– che qualora ricorrano le condizioni ivi stabilite, ciascun genitore lavoratore dipendente del settore privato ha diritto a fruire, per un periodo continuativo o frazionato comunque non superiore a trenta giorni, per la cura dei figli di età non superiore ai dodici anni, fatto salvo quanto previsto al comma 5
[4], di uno «specifico congedo», per il quale è riconosciuta un’indennità pari al cinquanta per cento della retribuzione [5]. La norma chiarisce che «I suddetti periodi sono coperti da contribuzione figurativa» (comma 1).
La disposizione stabilisce, poi, che gli eventuali periodi di congedo parentale, di cui agli artt. 32
[6] e 33 [7] del decreto legislativo 26.03.2001, n. 151 [8], fruiti dai genitori durante il periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole «sono convertiti nel congedo di cui al comma 1 con diritto all’indennità e non computati né indennizzati a titolo di congedo parentale» (comma 2).
L’art. 25, comma 1, del D.L. 18/2020, estendendo la disciplina del congedo in esame ai lavoratori del pubblico impiego:
   1) stabilisce una diversa ampiezza temporale per la sua fruizione
[9], rispetto a quanto previsto per i dipendenti del settore privato [10];
   2) sancisce che i genitori hanno diritto a fruire dello specifico congedo e relativa indennità di cui all’art. 23, commi 1, 2, 4
[11], 5 [12], 6 [13] e 7 [14], tranne qualora «uno o entrambi i lavoratori stiano già fruendo di analoghi benefici».
Il comma 2 del medesimo art. 25 stabilisce, poi, che «L’erogazione dell’indennità, nonché l’indicazione delle modalità di fruizione del congedo sono a cura dell’amministrazione pubblica con la quale intercorre il rapporto di lavoro.».
Ciò posto, si osserva che la disciplina del congedo in argomento non contiene alcuna indicazione circa gli effetti sulle ferie della fruizione dello stesso, né tale questione risulta affrontata nei documenti parlamentari concernenti il D.L. 18/2020 e la relativa legge di conversione e neppure negli atti interpretativi e di indirizzo riguardanti il nuovo istituto
[15].
Considerato che:
   a) gli eventuali periodi di congedo parentale “ordinario”, di cui al già richiamato D.Lgs. 151/2001, fruiti dai genitori durante il periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole sono convertiti ex lege nello speciale congedo oggetto di disamina;
   b) ambedue le tipologie di assenza dal lavoro perseguono il medesimo fine e fanno riferimento ai figli di età non superiore ai dodici anni;
   c) entrambi i congedi prevedono la corresponsione di un’indennità, determinata in base al medesimo parametro
[16] e in misura inferiore [17] rispetto alla retribuzione in godimento;
sembra che i due istituti possano ritenersi assimilabili.
Al riguardo, si segnala la posizione assunta dall’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS)
[18] che, pur esprimendosi su questione diversa [19] da quella oggetto di disamina, rileva che il “congedo COVID-19” si ispira alla medesima ratio juris che caratterizza i congedi parentali di cui agli artt. 32 e seguenti del D.Lgs. 151/2001, propendendo apertamente per l’assimilazione dei due istituti e per l’estensione della normativa disciplinante i congedi parentali al “congedo COVID-19”.
Occorre, pertanto, valutare la possibilità di risolvere il quesito posto applicando al “congedo COVID-19” la disciplina dettata per il congedo parentale “ordinario”.
Fermo restando che, trattandosi di norme statali, l’interpretazione delle relative disposizioni compete esclusivamente agli Uffici e agli Organismi dello Stato preposti alla trattazione della materia, nelle more di un auspicabile tempestivo chiarimento da parte degli stessi, si formulano, in via collaborativa, le seguenti considerazioni.
L’art. 34, comma 5, del D.Lgs. 151/2001 stabilisce che «I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia.».
Come chiarito dall’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN)
[20] la norma deve intendersi nel senso che i periodi di fruizione dei congedi parentali non sono utili ai fini della maturazione delle ferie [21], tranne qualora sia diversamente stabilito da un’eventuale disciplina di maggiore tutela [22], espressamente consentita dall’art. 1, comma 2 [23], del D.Lgs. 151/2001.
Poiché occorre individuare la regola utile a risolvere il quesito posto, si ritiene che essa debba rinvenirsi nell’ordinaria disciplina legale, non potendosi fare riferimento, per via analogica, ad un’eventuale disposizione derogatoria della stessa
[24].
Quanto al quesito volto a stabilire con quale modalità di calcolo vadano rideterminate le ferie, si segnala che l’ARAN
[25] afferma che «relativamente alla particolare problematica della determinazione dei giorni di ferie maturati mensilmente dal dipendente, in presenza nel mese di periodi di assenza dal lavoro non utili a tal fine, come già evidenziato in precedenti orientamenti applicativi, l’avviso della scrivente Agenzia, in generale, è nel senso che, in mancanza di una regola contrattuale espressa, una possibile soluzione, sulla base dei consueti principi di logica e ragionevolezza, potrebbe essere quella di applicare in materia un principio di stretta proporzionalità».
Pertanto, secondo l’ARAN, «si dovrebbe procedere alla individuazione della quantità delle ferie spettanti per mese, tenendo conto dell’incidenza in ciascuno di essi degli eventuali periodi di assenza che non danno luogo a maturazione di ferie».
---------------
[1] «Congedo e indennità per i lavoratori dipendenti del settore privato, i lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26 della legge 08.08.1995, n. 335, e i lavoratori autonomi, per emergenza COVID-19».
[2] «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19».
[3] «Congedo e indennità per i lavoratori dipendenti del settore pubblico, nonché bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting per i dipendenti del settore sanitario pubblico e privato accreditato, per emergenza COVID-19».
[4] «Ferma restando l’estensione della durata dei permessi retribuiti di cui all’articolo 24, il limite di età di cui ai commi 1 e 3 non si applica in riferimento ai figli con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 05.02.1992, n. 104, iscritti a scuole di ogni ordine e grado o ospitati in centri diurni a carattere assistenziale.».
[5] Calcolata ai sensi dell’art. 23, eccettuato il comma 2, del D.Lgs. 151/2001.
[6] «Congedo parentale (legge 30.12.1971, n. 1204, articoli 1, comma 4, e 7, commi 1, 2 e 3)».
[7] «Prolungamento del congedo (legge 05.02.1992, n. 104, art. 33, commi 1 e 2; legge 08.03.2000, n. 53, art. 20)».
[8] «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 08.03.2000, n. 53».
[9] «A decorrere dal 05.03.2020, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 04.03.2020, e per tutto il periodo della sospensione ivi prevista […]».
[10] «Per l’anno 2020, a decorrere dal 5 marzo e fino al 31 agosto […]».
[11] «La fruizione del congedo di cui al presente articolo è riconosciuta alternativamente ad entrambi i genitori, per un totale complessivo di trenta giorni, ed è subordinata alla condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o altro genitore disoccupato o non lavoratore.».
[12] Vedi nota n. 4.
[13] «In aggiunta a quanto previsto nei commi da 1 a 5, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato con figli minori di anni 16, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia altro genitore non lavoratore, hanno diritto di astenersi dal lavoro per l’intero periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, senza corresponsione di indennità né riconoscimento di contribuzione figurativa, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro.».
[14] «Le disposizioni del presente articolo trovano applicazione anche nei confronti dei genitori affidatari.».
[15] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministro per la Pubblica Amministrazione, circolare n. 2/2020 del 01.04.2020; Istituto Nazionale Previdenza Sociale: messaggio n. 1281 del 20.03.2020, circolare n. 45 del 25.03.2020, messaggio n. 1621 del 15.04.2020, messaggio n. 1648 del 16.04.2020, circolare n. 81 dell’08.07.2020; messaggio n. 2968 del 27.07.2020.
[16] L’art. 23, comma 1, primo periodo, del D.L. 18/2020 stabilisce che l’indennità è «calcolata secondo quanto previsto dall’articolo 23 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26.03.2001, n. 151, ad eccezione del comma 2 del medesimo articolo».
[17] Nel congedo “ordinario” l’indennità è pari al 30%, mentre nel congedo “COVID-19” è pari al 50% della retribuzione.
[18] Messaggio n. 2968 del 27.07.2020, cit.
[19] Valutabilità dei periodi di assenza dal lavoro per fruizione del “congedo COVID-19” ai fini delle prestazioni previdenziali di fine servizio (TFS-TFR).
[20] Vedi, in particolare, gli orientamenti applicativi RAL 1950 e RAL 1951 del 06.11.2017.
[21] Si veda, per completezza, anche l’orientamento applicativo ARAN EPNE 146 del 02.08.2012.
[22] Che, in questo contesto territoriale, è recata dall’art. 5, comma 9, della legge regionale 27.11.2006, n. 23, secondo il quale «Per il personale degli enti locali, a decorrere dall’01.12.2005, nell’ambito del periodo di astensione dal lavoro previsto dall’articolo 32 del decreto legislativo 26.03.2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 08.03.2000, n. 53), per le lavoratrici madri o in alternativa per i lavoratori padri, i primi sessanta giorni, computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche frazionatamente, non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell’anzianità di servizio e sono retribuiti per intero, con esclusione dei compensi per lavoro straordinario e le indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute.».
La previsione è stata recepita dall’art. 20, comma 1, del Contratto collettivo regionale di lavoro del personale non dirigente del Comparto unico del pubblico impiego regionale e locale del Friuli Venezia Giulia del 07.12.2006 – Quadriennio normativo (II fase) 2002-2005 e biennio economico 2004-2005.
[23] «Sono fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione.».
[24] Un tanto ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile.
[25] Vedi, in particolare, gli orientamenti applicativi RAL 1871 dell’11.10.2016 e RAL 1889 del 18.11.2016
(17.08.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

INCENTIVO FUNZIONI TECNICHELa P.O. dell'area tecnica e RUP al fine di ottenere il compenso incentivante ai sensi dell'art. 113, comma 2, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50 ha presentato una "dichiarazione sulla corretta effettuazione delle attività e prestazioni affidategli e sullo svolgimento delle stesse senza errori e/o ritardi" e predisposto la relativa determina di liquidazione.
Tra gli appalti per i quali si chiede l'incentivo se ne riscontra uno in particolare che ha dato avvio ad un lungo contenzioso con sentenza del Consiglio di Stato che ha dato ragione al ricorrente.
Si chiede se sussistono elementi per non liquidare l'incentivo per il caso in questione e chi può decidere nel merito (segretario/giunta).

Il quesito proposto trova risposta in una recente sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sez. lavoro n. 10222 del 28.05.2020.
Nel caso di specie è esaminata una vicenda in cui gli incentivi tecnici non sono stati liquidati dall'Ente perché l'opera pubblica non è stata più realizzata ma le conclusioni cui sono addivenuti i giudici sono assimilabili al caso odierno.
Nello specifico, la Corte di Cassazione, sconfessando il Regolamento di cui l'Ente si era dotato (che prevedeva appunto il pagamento degli incentivi soltanto alla conclusione dell'opera) ha sancito il principio secondo il quale "la sorte della retribuzione accessoria reclamata dai dipendenti non può essere condizionata alla mancata conclusione delle successive fasi (oppure nel caso di specie dalla soccombenza ad un contenzioso), tanto che in mancanza di queste ultime verrebbero meno le precedenti attività pur completate".
Tale conclusione è molto importante e deriva dal fatto che i citati incentivi derogano alla disciplina generale del trattamento accessorio dettata dal D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 (art. 45), in quanto il legislatore ha previsto, in una logica premiale ed al fine di valorizzare le professionalità esistenti all'interno delle pubbliche amministrazioni, un compenso ulteriore, da attribuire, secondo le modalità stabilite dalle diverse versioni della norma succedutesi nel tempo, al personale impegnato nelle attività di progettazione interna agli enti oltre che in quelle di esecuzione dei lavori pubblici.
A nostro parere, pertanto, l'incentivo è comunque da riconoscere e liquidare al personale dell'Ente per le specifiche attività svolte, secondo le previsioni del proprio regolamento comunale, fermo restando l'eventuale accertamento (con conseguente mancata partecipazione alla ripartizione degli incentivi), a carico dei dipendenti coinvolti, del mancato rispetto di obblighi di legge e/o regolamentari o il mancato svolgimento dei compiti assegnati secondo la dovuta diligenza richiesta (se previsto nel proprio regolamento).
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 45 - D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 113
Riferimenti di giurisprudenza

Cass. Civ., Sez. lavoro, 28.05.2020, n. 10222
(17.08.2020 - tratto da
http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

URBANISTICA: L'art. 103 con le modifiche di cui alla legge di conversione del D.L. 17.03.2020, n. 18 (Cura Italia) dispone che "i termini dei relativi piani attuativi e di qualunque altro atto ad essi propedeutico, in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020, sono prorogati di novanta giorni" e che tale proroga “si applica anche ai diversi termini delle convenzioni di lottizzazione di cui all'art. 28, L. 17.08.1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale nonché dei relativi piani attuativi che hanno usufruito della proroga di cui all'art. 30, comma 3-bis , D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 09.08.2013, n. 98.".
Tale ultimo capoverso è da intendersi nel senso che sono prorogati i "diversi" termini (rispetto a validità ed inizio e fine lavori di cui al primo capoverso) previsti dalle convenzioni o dai piani attuativi che hanno usufruito della proroga del Decreto del Fare?

Va innanzi tutto ricordato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato in più occasioni ha evidenziato come l 'art. 28, della predetta L. 17.08.1942, n. 1150 ha dato un particolare rilievo al ruolo dei piani di lottizzazione che sono divenuti oramai nella prassi gli strumenti urbanistici specifici di maggior utilizzo ed alternativi rispetto ai piani particolareggiati.
Tale circostanza porta come diretta conseguenza che deve essere applicato in via analogica, a questi ultimi l'applicabilità del termine massimo di validità decennale entro il quale devono essere attuati previsto per i piani particolareggiati (art. 16, comma 5, L. 17.08.1942, n. 1150) (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 03.11.1998, n. 1412; Cons. Stato Sez. IV, 25.07.2001, n. 4073).
Il Consiglio di Stato ha infatti evidenziato come "la durata massima dei piani di lottizzazione, se ad essi non fosse applicabile il termine decennale di efficacia dei piani particolareggiati, sarebbe quella, indeterminata, degli strumenti urbanistici generali, invece di quella decennale dello strumento urbanistico attuativo: il che costituirebbe di per sé motivo di incoerenza" (Cons. Stato, sez. IV, 06.04.2012, n. 3969).
Pertanto si è consolidato il principio secondo cui la validità dei piani urbanistici di cui all'art. 28, L. 17.08.1942, n. 1150 non è sine die ma di durata decennale.
Successivamente con il D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito con la L. 09.08.2013, n. 98 (il cosiddetto decreto del Fare) si è introdotta una disposizione, art. 30, comma 3-bis, volta ad ampliare le tempistiche per il completamento degli interventi edilizi previsti nei piani di pianificazione urbanistica ex art. 28, L. 17.08.1942, n. 1150, prevedendo una proroga triennale di validità delle convenzioni urbanistiche medesime nonché dei termini di inizio e fine lavori.
Detta norma si inserisce come una deroga speciale al principio della validità decennale dei piani attuativi come già sopra richiamato.
La giurisprudenza ha ravvisato che la Deroga introdotta nel 2013 deve essere interpretata come la proroga triennale dei soli piani attuativi non ancora scaduti alla data di entrata in vigore (21.08.2013) della legge ciò in ragione del consolidato principio secondo cui "la proroga dei termini di efficacia stabiliti da un atto amministrativo, in generale, non è ammissibile qualora l'atto la cui efficacia si intenda prolungare sia già scaduto, richiedendosi cioè che il provvedimento da prorogare sia ad "efficacia durevole" Cons. Stato Sez V, 18.09.2008, n. 4498.
Or bene venendo al caso che ci occupa si ritiene che la dicitura "diversi termini" debba necessariamente riferirsi alla validità, inizio e fine lavori, riferiti a quei piani attuativi che hanno beneficiato della proroga disposta dal Decreto Del Fare, ciò in ragione del fatto che il Decreto del Fare ha introdotto uno speciale regime di favore che si riferiva espressamente ed esclusivamente alla validità, inizio e fine lavori dei piani attuativi urbanistici.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 17.08.1942, n. 1150, art 28 - L. 09.08.2013, n. 98, art. 30
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez V, 18.09.2008, n. 4498 - Cons. Stato Sez. IV, 25.07.2001, n. 4073 - Cons. Stato Sez. IV, 03.11.1998, n. 1412
Documenti allegati

Cons. Stato Sez. IV, 06.04.2012 n. 3969
(07.05.2020 - tratto da
http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIn un Comune, nella stessa area contabile-amministrativa, vi sono due funzionari con inquadramento D3 e tre D2.
A prescindere dai requisiti soggettivi degli stessi, l'incarico di PO può essere assegnato al dipendente di qualifica D2?

Alla luce di quanto si dirà nel prosieguo della risposta alla domanda del gentile lettore, si ritiene sia possibile attribuire la P.O. ad un dipendente con la qualifica di D2.
Il Quaderno ANCI, dal titolo "Regolamento sugli incarichi di posizione organizzativa - aggiornamento al CCNL 21/05/2018" afferma che "L'istituzione delle posizioni organizzative deve avvenire con riferimento a posizioni di lavoro che presentino le caratteristiche della particolare complessità ed elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa. In alternativa, l'istituzione di posizioni organizzative può riguardare attività ad alto contenuto professionale per le quali è richiesta una elevata competenza specialistica (maturata o mediante titoli di livello universitario o attraverso rilevanti e consolidate esperienze professionali, in posizioni di responsabilità o di alta qualificazione professionale), che deve essere verificata in sede di conferimento attraverso l'esame del curriculum.
I criteri generali devono da un lato dettagliare, per ciascuna posizione organizzativa istituita, i requisiti culturali, le attitudini, la capacità professionale e l'esperienza acquisita, e dall'altro considerare la natura e le caratteristiche dei programmi da realizzare. Per il conferimento degli incarichi gli Enti tengono conto:
   - delle funzioni e attività da svolgere;
   - della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare;
   - dei requisiti culturali posseduti,
   - delle attitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisiti dal personale della categoria D (salva, ove possibile, la possibilità di applicare la disciplina prevista dall'art. 13, comma 2, lett. a), del CCNL);
   - gli esiti delle valutazioni individuali in attuazione del D.Lgs. 27.10.2009, n. 150.
Gli incarichi possono essere revocati prima della scadenza con atto scritto e motivato, in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di valutazione negativa della performance individuale. I risultati delle attività svolte dai dipendenti cui siano stati attribuiti gli incarichi di posizione organizzativa sono soggetti a valutazione annuale in base al sistema a tal fine adottato dall'ente. La valutazione positiva dà anche titolo alla corresponsione della retribuzione di risultato di cui all'art. 15 del nuovo CCNL
".
L'ARAN con la risposta "RAL_1547_Orientamenti Applicativi" alla domanda relativa se ai fini dell'attribuzione dell'incarico di posizione organizzativa, nell'ambito della categoria giuridica D, deve tenersi conto del requisito del più elevato inquadramento economico di un dipendente rispetto ad un altro (D4 in luogo di D2), ha affermato che "Nell'ambito della vigente disciplina contrattuale (art. 8 e ss., CCNL del 31.03.1999), gli incarichi di posizione organizzativa possono essere conferiti solo a personale della categoria D, salvo che non si tratti di enti la cui dotazione non preveda posti di categoria D; solo in tali ultimi enti, l'incarico di posizione organizzativa può essere conferito a personale della categoria C e B, in relazione alla propria grandezza demografica, e nel rispetto delle generali regole in materia (art. 11, comma 3, CCNL 31.03.1999); ad avviso della scrivente Agenzia, tale regola vale anche per gli eventuali incarichi di supplenza.
All'interno della categoria D, data la unitarietà della stessa, gli incarichi di posizione organizzativa possono essere conferiti, indifferentemente, sia a personale di tale categoria in possesso di profili con trattamento stipendiale iniziale corrispondente alla posizione economica D1 sia a quello collocato in profili con trattamento stipendiale iniziale corrispondente alla posizione economica D3. Pertanto, ove nel caso di specie venga in considerazione un dipendente comunque inquadrato nella categoria D, allo stesso potrà essere legittimamente conferito un incarico di posizione organizzativa.
Quello che effettivamente rileva in materia è il rigoroso rispetto da parte dell'Ente dei criteri di conferimento dallo stesso preventivamente adottati nell'osservanza delle previsioni dell'art. 9, comma 2, CCNL 31.03.1999. Tale clausola contrattuale, infatti, espressamente stabilisce "Per il conferimento degli incarichi gli enti tengono conto -rispetto alle funzioni ed attività da svolgere- della natura e caratteristiche dei programmi da svolgere, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisiti dal personale della categoria D
".
---------------
Documenti allegati
Quaderno ANCI, Regolamento sugli incarichi di posizione organizzativa - Aggiornamento al CCNL 21.05.2018 - ARAN "RAL_1547_Orientamenti Applicativi"
(07.05.2020 - tratto da
http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAOggetto: Parere in merito all'applicazione delle misure di salvaguardia e possibilità di rilasciare permessi di costruire a seguito dell'adozione del Piano Regolatore Generale (Regione Lazio, nota 08.03.2006 n. 335 di prot.).

aggiornamento al 24.08.2020

ATTI AMMINISTRATIVIQuesta amministrazione regionale è regolarmente iscritta all'IPA ma non ha ancora registrato l'indirizzo PEC nel "Reginde".
E' possibile eccepire la nullità della notifica effettuata tramite PEC di atti, provvedimenti e soprattutto ricorsi amministrativi avverso i propri atti?

Non è possibile o quantomeno è estremamente improbabile l'accoglimento di tale eccezione e non corrisponderebbe ai criteri di buona fede nei rapporti con il cittadino.
L'indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi (IPA), gestito dall'Agenzia per l'Italia Digitale, è l'elenco pubblico (attualmente disponibile liberamente su indicepa.gov.it) di fiducia contenente i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l'invio di documenti validi a tutti gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati.
Esso è istituito dall'art. 6-quater, D.Lgs. 07.03.2005, n. 82 (CAD) "al fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi".
Lo stesso CAD rafforza l'obbligo di fornire i dati per implementare il registro attraverso il comma 3 del citato articolo che dispone "3. Le amministrazioni di cui al comma 1 e i gestori di pubblici servizi aggiornano gli indirizzi e i contenuti dell'Indice tempestivamente e comunque con cadenza almeno semestrale, secondo le indicazioni dell'AgID. La mancata comunicazione degli elementi necessari al completamento dell'Indice e del loro aggiornamento è valutata ai fini della responsabilità dirigenziale e dell'attribuzione della retribuzione di risultato ai dirigenti responsabili".
Ciò premesso sono intervenute sul punto varie pronunce della giurisprudenza (consolidata anche a livello di Consiglio di Stato) nelle quali si legge:
   - "In materia di notificazioni al difensore, l'introduzione del domicilio digitale che corrisponde all'indirizzo di posta elettronica certificata che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza, preclude la possibilità che le comunicazioni o le notificazioni possano essere fatte presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite".
   - "La notifica di un ricorso effettuata all'amministrazione pubblica a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo tratto dall'elenco presso l'Indice PA è pienamente valida ed efficace essendo quest'ultimo un pubblico elenco ancora utilizzabile per le notificazioni alla pubblica amministrazione soprattutto nel caso in cui la stessa sia rimasta inadempiente all'obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell'elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia".
   - "Dopo l'entrata in vigore del Pat, la notificazione del ricorso, a mezzo posta elettronica certificata, effettuata all'amministrazione all'indirizzo tratto dall'elenco presso l'Indice PA è pienamente valida ed efficace in quanto comunque effettuata presso un domicilio telematico PEC contenuto in un elenco pubblico a tutti gli effetti. D'altra parte, l'amministrazione, secondo i canoni di autoresponsabilità e legittimo affidamento cui deve ispirarsi il suo leale comportamento, non può trincerarsi -a fronte di un suo inadempimento- dietro il disposto normativo che prevede uno specifico elenco da cui trarre gli indirizzi PEC ai fini della notifica degli atti giudiziari, per trarne benefici in termini processuali, così impedendo di fatto alla controparte di effettuare la notifica nei suoi confronti con modalità telematiche".
Alla luce di tali orientamenti ne deriva l'obbligo per l'amministrazione di tenere aggiornato l'indice e di considerare validamente notificati ogni tipo di atti, compresi quelli di natura processuale, ricevuti da parte degli interessati.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 07.03.2005, n. 82, art. 6-quater - D.Lgs. 02.07.2010, n. 104, art. 52 - D.P.C.M. 16.02.2016, n. 40 - L. 12.08.2016, n. 161, art. 1
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. IV, 04.09.2019, n. 6089 - Cons. Stato Sez. II, 05.06.2019, n. 3805 - Cons. Stato Sez. V, 14.03.2019, n. 1687 - Cons. Stato Sez. III, 27.02.2019, n. 1379 - Cons. Stato Sez. V, 12.12.2018, n. 7026 - Cons. Stato (Ad. Plen.), 19.09.2017, n. 6
(08.01.2020 - tratto da
http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVINell'ambito della manovra dell'approvazione del bilancio di previsione, nella seduta del consiglio comunale, posto che prima dell'approvazione del bilancio, nella sequenza dell'ordine del giorno, si intende approvare una modifica ad un regolamento tributario, questa delibera di modifica di regolamento che va ad incidere sul bilancio stesso, può essere dichiarata immediatamente eseguibile o le modifiche dei regolamenti non lo possono essere?
Il quesito in esame riguarda la declaratoria di "immediata eseguibilità", relativa alle deliberazioni degli organi collegiali: Giunta e Consiglio. Precisamente, si chiede di sapere se le deliberazioni consiliari di modificazione di regolamenti in materia tributaria possano essere oggetto dell'indicata declaratoria.
In via preliminare, occorre chiarire il concetto di "eseguibilità" e ben distinguerlo da quello di "esecutività". Orbene, per "esecutività", si intende la formale idoneità di un provvedimento a produrre effetti. Viceversa, per "eseguibilità", si intende la concreta idoneità di un provvedimento a produrre effetti. In altri termini, il provvedimento, seppur non esecutivo, può essere attuato (posto in esecuzione) mediante la dichiarazione di eseguibilità, che impone una precisa assunzione di responsabilità. L'eseguibilità costituisce, quindi, un'anticipazione dell'esecuzione, sulla base di una dichiarazione di assunzione di responsabilità.
Chiarito il concetto, procediamo alla lettura dell'art. 134, comma 4, D.Lgs 18.08.2000, n. 267, il quale stabilisce quanto segue: "Nel caso di urgenza le deliberazioni del consiglio o della giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti".
Il tenore letterale della disposizione normativa pone in essere un generico riferimento alle deliberazioni del consiglio o della giunta, senza operare alcuna limitazione. Dunque, in base ad un'interpretazione meramente letterale appare facile desumere che, non sussistendo limitazioni espresse, anche le deliberazioni modificative di regolamenti in materia tributaria possono essere dichiarate immediatamente eseguibili.
Ed, infatti, la giurisprudenza, che si è più volte occupata dell'istituto, non ha mai evidenziato limitazioni di "categorie" di provvedimenti deliberativi o di "materia" eventualmente oggetto di declaratoria. Precisamente, la giurisprudenza ha evidenziato quanto segue:
   - La funzione della dichiarazione di immediata eseguibilità è quella di garantire l'effettività delle decisioni assunte, nelle more della pubblicazione dell'atto deliberativo: "Si tratta di una norma che tende a salvaguardare l'effettività di quanto deciso dall'organo politico nelle more della pubblicazione dell'atto, al fine di evitare uno spazio temporale (dal giorno della deliberazione a quello dell'effettiva pubblicazione), che potrebbe tradire l'obiettivo della delibera medesima in modo deleterio per il pubblico interesse di volta in volta perseguito, così eliminando l'"effetto annuncio" connaturato all'ordinaria regola di cui al terzo comma dell'art. 134 (in base alla quale la delibera diventa ordinariamente esecutiva solo trascorsi dieci giorni dalla sua pubblicazione)" (TAR Piemonte Torino Sez. II, 14.03.2014, n. 460);
   - Conseguentemente, la dichiarazione di immediata eseguibilità accede alla deliberazione principale, ma non si identifica con essa, ed è proprio la necessità di una votazione separata a rivelarne l'autonomia sotto il profilo strutturale e funzionale (in tal senso: TAR Liguria Genova Sez. II, 09.01.2007, n. 2);
   - La dichiarazione di immediata eseguibilità costituendo una scelta discrezionale dell'Amministrazione, deve essere ben motivata: "La clausola di immediata eseguibilità dipende da una scelta discrezionale dell'amministrazione, comunque pur sempre correlata al requisito dell'urgenza, che deve ricevere adeguata motivazione nell'ambito dello stesso atto" (TAR Liguria Genova Sez. II, 09.01.2007, n. 2).
   - Non occorre la previa pubblicazione della deliberazione: "L'immediata eseguibilità di una deliberazione consiliare o giuntale non presuppone la previa pubblicazione dell'atto. In caso contrario il comma 4 dell'art. 134 avrebbe dovuto essere diversamente formulato, non potendosi lasciare nel vago un profilo così rilevante" (TAR Marche Ancona Sez. I, 23.07.2014, n. 713).
Orbene, in base ai riportati indirizzi giurisprudenziali, appare ben chiaro che la dichiarazione di immediata eseguibilità non incontra alcun limite di "categorie" o di "materia" e può anche trovare applicazione in relazione alle deliberazioni consiliari di modifica di regolamenti tributari. Ad ogni modo, occorre prestare la massima attenzione al profilo motivazionale, corredando la dichiarazione di un'adeguata giustificazione, esplicativa delle ragioni di urgenza. Ed, infatti, l'evidente necessità di una congrua motivazione è ribadita anche da un parere reso dal Ministero dell'interno: "La clausola di immediata eseguibilità dipende da una scelta discrezionale dell'amministrazione, comunque pur sempre correlata al requisito dell'urgenza, che deve ricevere adeguata motivazione nell'ambito dello stesso atto" (parere 17.02.2017).
Ovviamente, la concreta ed effettiva produzione di effetti giuridici deve essere coordinata con le vigenti disposizioni in materia di tributi locali, tenendo conto, soprattutto, dell'art. 1, comma 169, L. 27.12.2006, n. 296, il quale stabilisce che: "gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno".
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs 18.08.2000, n. 267, art. 134 - L. 27.12.2006, n. 296, art. 1, comma 169
Riferimenti di giurisprudenza
TAR Liguria Sez. II, 09.01.2007, n. 2 - TAR Piemonte Sez. II, 14.03.2014, n. 460 - TAR Marche Sez. I, 23.07.2014, n. 713
Documenti allegati

Parere 17.02.2017 del Ministero dell'Interno
(10.01.2019 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIA seguito di diverse criticità, afferenti la redazione del Rendiconto 2016, si chiede di sapere se talune "condotte" (riferite al Responsabile Area Finanziaria, al Revisore del Conto ed al Segretario Comunale) possano essere considerate legittime, anche in relazione ai rapporti con il Consiglio Comunale.
Le condotte possono essere così sintetizzate ed illustrate:
   a) a fronte di riscontrate criticità relative al rendiconto, il (nuovo) Responsabile Area Finanziaria ed il Revisore non vogliono formulare il loro parere (come dovuto) in relazione alla proposta di approvazione del rendiconto. Siffatta condotta di omissione è legittima? Quali sono le conseguenze in relazione al concreto e agire del "agire" del Consiglio Comunale?
   b) se il Consiglio (rectius: il gruppo consiliare di maggioranza) ritiene (dopo diffida ed adeguata motivazione) di dover procedere comunque all'approvazione del Rendiconto, il Segretario Comunale, ritenendo la decisione illegittima, può mettere a verbale la propria valutazione?

   1) Relativamente alle condotte di cui al punto a), siamo in presenza di "atti dovuti", che trovano il loro fondamento in diverse fonti normative. Per tale ragione, occorre distinguere.
Per quanto riguarda il Responsabile del Settore Finanziario, l'art. 49, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, stabilisce, al comma 1°, che: "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione".
La "lettera" della prescrizione normativa non da adito ad alcun dubbio: siamo in presenza di un obbligo, cioè di un "dovere di ufficio". Il Responsabile deve (non può!) formulare il parere. L'obbligatorietà della formulazione del parere è confermata dal fatto che il medesimo non vincola, di certo, l'organo deliberante, il quale, come espressamente previsto dal comma 4, laddove "non intendano conformarsi ai pareri di cui al presente articolo, devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione". Tutto chiaro: il parere del Responsabile deve essere dato, ma questo non vincola la Giunta o il Consiglio, che, se non condividono il parere, possono, con adeguata motivazione, non conformarsi.
Tuttavia, residua il problema posto in quesito: cosa accade se il parere non viene dato?
Fermo restando l'obbligatorietà del parere (che deve essere sollecitato e richiesto anche attraverso un'espressa diffida!), in caso di persistenza dell'omissione (che se continua può dar luogo ad un inadempimento di prestazione lavorativa ed anche far configurare un fumus di "omissione di atti d'ufficio", di cui all'art. 328 c.p.), si determina una situazione che viene diversamente interpretata dalla giurisprudenza. Ed, infatti, secondo l'orientamento assolutamente dominante, "la mancata acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile non comporta l'invalidità delle deliberazioni della giunta o del consiglio comunale, ma la loro mera irregolarità, atteso che la disposizione posta dall'art. 49 del TUEL, ha l'unico scopo di individuare i responsabili in via amministrativa e contabile delle deliberazioni, ma senza che l'omissione del parere incida sulla validità delle deliberazioni stesse" (TAR Marche, Sez. I, n. 623/2015; poi: TAR Sardegna, Sez. II, n. 968/2015; Cons. di Stato, Sez. V, n. 1663/2014).
Quindi, la deliberazione assunta in assenza del parere del responsabile è pienamente valida, non costituendo il parere medesimo un requisito di legittimità della deliberazione. Aderendo a questo indirizzo, il Consiglio Comunale non avrebbe alcun problema a procedere.
Tuttavia, occorre tener conto di un recente (ed invero minoritario) indirizzo espresso dalla Corte dei Conti (parere n. 62/2017, espresso dalla sezione di controllo dell'Emilia Romagna) in base al quale "la mancata acquisizione dei parere di regolarità tecnica e contabile nelle deliberazioni di Giunta e di Consiglio (che non siano meri atti di indirizzo) determina l'illegittimità degli atti".
E' evidente che, aderendo a tale indirizzo, cambia lo scenario complessivo, nel senso che l'omessa formulazione del parere, dovuto da parte del Responsabile, "blocca" l'organo deliberante, nel senso che gli impedisce di assumere le proprie decisioni. Allora, a fronte di siffatti opposti indirizzi, appare fortemente plausibile diffidare il Responsabile, evidenziando che la normativa pone a suo carico un obbligo: il Responsabile deve dare il parere, qualunque ne sia il contenuto. Poi, si potrebbe valutare con attenzione e prudenza l'eventuale adesione al primo indirizzo e deliberare comunque, evidenziando le ragioni di pubblico interesse sottese all'approvazione del rendiconto, che deve essere posta in essere.
Per quanto riguarda il Revisore del Conto, occorre osservare che l'art. 239, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 stabilisce che il medesimo deve redigere una specifica "relazione" in merito alla proposta di deliberazione consiliare di approvazione del rendiconto. Anche in questo caso si tratta di un atto dovuto, per cui possono essere effettuate le medesime riflessioni in merito alla "doverosità". Tuttavia, in caso di immotivata e colpevole inerzia del Revisore, sembra che gli "spazi di azione" del Consiglio siano lievemente più limitati rispetto a prima (omissione colpevole del Responsabile), in quanto il comma 2, dell'art. 227, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, stabilisce che il rendiconto viene deliberato "tenuto motivatamente conto della relazione dell'organo di revisione".
Quindi, potrebbe insorgere il sospetto che, non essendoci la relazione (che non è un semplice parere), il Consiglio non possa decidere in modo motivato. Ad ogni modo, al fine di evitare gli effetti perniciosi della mancata approvazione del Rendiconto, il Consiglio, dopo una adeguata illustrazione della situazione creatasi, potrebbe considerare l'ipotesi di addivenire comunque all'approvazione, in quanto la colpevole omissione del Revisore non può impedire il legittimo esercizio dei poteri da parte del Consiglio.
In ogni caso, si raccomanda vivamente di diffidare il Responsabile ed il Revisore, evidenziando loro le responsabilità, anche presuntivamente penali, connesse all'omissione.
   2) Rispetto alla condotta di cui al punto b), il Segretario Comunale, ai sensi dell'art. 97, comma 4, lettera "a", "partecipa con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione". Secondo il consolidato indirizzo della Corte dei conti (ex multis: Corte conti, sez. giurisdizionale Lombardia, n. 324/2009), il Segretario ha il dovere di segnalare eventuali illegittimità presenti nella deliberazione.
Ciò, in base, appunto, alla sua funzione di "assistenza". Quindi, a questo punto, potrebbe svilupparsi un proficuo "dialogo" preventivo fra il Segretario Comunale ed il Consiglio, finalizzato a verificare se la mancanza dei pareri e della relazione determina inevitabilmente l'illegittimità della deliberazione, oppure se sussistono spazi motivazionali, per giustificare, comunque, un intervento di approvazione del Consiglio, diretto, fra l'altro, ad evitare lo scioglimento del medesimo, con tutti i conseguenti e negativi effetti sull'ente.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 227 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 239
Riferimenti di giurisprudenza
TAR Marche Ancona Sez. I, Sent., 20.08.2015, n. 623
Documenti allegati

Corte Conti, sez. controllo Emilia Romagna, 11.04.2017, n. 62/2017/PAR
(29.01.2018 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIIl comune di appartenenza fa parte di una Unione di comuni alla quale è stata trasferita la gestione delle Risorse Umane.
Tutti gli atti afferenti il tema (assunzioni, cessazioni, mobilità, Fondo premialità, Piano triennale fabbisogno, ecc..) vengono assunti con delibera della giunta comunale del comune interessato e parere tecnico del responsabile dell'area amministrazione, vista la bozza di atto istruita dal Dirigente servizio Risorse Umane dell'Unione.
Non avendo il responsabile dell'area amministrazione alcuna competenza professionale al riguardo, né risorse strumentali (umane ed economiche) di cui disporre per formarsi un'idea in materia, si chiede se il parere apposto sugli atti di giunta sia legittimo e valido.
Si tenga presente che a tali delibere di giunta fa seguito una determinazione dirigenziale sempre del responsabile dell'area amministrazione sulla base di bozza preparata dal servizio risorse umane dell'unione di appartenenza.

Nella definizione delle procedure delegate all'Unione il Comune e l'Unione possono definire forme di partecipazione dei relativi responsabili nell'ambito dei procedimenti gestiti in forma associata.
In questa prospettiva appare legittima la previsione di un intervento del Dirigente del settore competente del Comune nella predisposizione della bozza di atto che poi sarà sottoposto all'approvazione della Giunta Comunale e la previsione del suo parere di regolarità tecnica (parere obbligatorio e non vincolante ai sensi dell'art. 49 del TUEL).
Ciò premesso, sotto il profilo strettamente giuridico, l'attribuzione della competenza all'espressione del parere di regolarità tecnica non presuppone un accertamento sulla competenza professionale specifica (che si presume con la nomina a responsabile dell'area) né una verifica sul "carico di lavoro" del servizio.
Tali aspetti sono rimessi all'autonoma valutazione dell'ente e se appare ragionevole non inviare una richiesta di parere ad un soggetto privo di specifica competenza o in difficoltà ad operare per carenza di adeguato organico, ciò non influisce sulla procedura di approvazione dei relativi atti.
Ciò a maggior ragione ove si consideri che è in ogni caso indispensabile l'espressione di un parere di regolarità tecnica (come detto obbligatorio anche se non vincolante) per l'approvazione degli atti dell'organo collegiale comunale. E tale parere non può essere fornito dal Responsabile dell'Unione, formalmente soggetto distinto dall'Ente Locale competente.
Da valutare è l'opportunità di rivedere la procedura attivata soprattutto in relazione all'approvazione di atti di natura dirigenziale che potrebbero essere assegnati direttamente all'Unione senza passare dalla previa delibera di Giunta e, quindi, dal relativo parere di regolarità tecnica.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 (14.09.2017 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIArt. 49 TUEL: riflessi diretti e indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente.
In caso di situazioni in cui non sono ben individuabili i riflessi indiretti, si chiede se è opportuno che venga rilasciato comunque il parere di regolarità contabile, oppure indicare la non rilevanza contabile.
In tale ipotesi, il non aver rilasciato il parere di regolarità contabile, ma l'attestazione di non rilevanza contabile, può inficiare la deliberazione?

Il quesito attiene al parere di "regolarità contabile", attualmente disciplinato dall'art. 49, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (noto anche come Testo Unico Enti Locali).
Al riguardo, occorre osservare che il parere in questione, fin dal suo sorgere nel lontano 1990, ha conosciuto, attraverso le intervenute modificazioni normative, un chiaro ampliamento del suo oggetto, significato e funzione. Infatti, il vecchio art. 53, L. 08.06.1990, n. 142 non definiva l'oggetto, ma si limitava a prescrivere quanto segue: "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica e contabile, rispettivamente del responsabile del servizio interessato e del responsabile di ragioneria, nonché del segretario comunale o provinciale sotto il profilo di legittimità. I pareri sono inseriti nella deliberazione".
Successivamente, con il Testo Unico Enti Locali, il Legislatore ha provveduto a dettagliare il contenuto del parere di regolarità contabile, stabilendo, all'art. 49, che: "su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile".
Come si può facilmente desumere, con l'art. 49, il Legislatore ha inteso collegare l'obbligo di parere ad ogni proposta deliberativa, comportante effetti diretti sul bilancio dell'ente, o attraverso l'assunzione di un impegno di spesa o attraverso una diminuzione di entrata.
Ora, tale ampliamento del concetto di parere di regolarità contabile ha conosciuto un ulteriore sviluppo. Precisamente, con la riforma dei controlli interni, introdotta dal D.L. 10.10.2012, n. 174, convertito in L. 07.12.2012, n. 213, l'art. 49 è stato rivisitato, assumendo la seguente ed attuale veste prescrittiva: "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione. La giurisprudenza contabile è prontamente intervenuta ad interpretare la novella normativa, precisando che la fondamentale novità consiste essenzialmente nell'avere sostituito l'espressione "qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata" con "qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente" (C. Conti Marche Sez. contr., 05.06.2013, n. 51).
La nuova formulazione comporta un ampliamento dei casi in cui è necessario il parere di regolarità contabile, con l'assegnazione al responsabile dell'Area Finanziaria di un ruolo centrale nella tutela degli equilibri di bilancio dell'ente. Tale interpretazione è rafforzata dall'introduzione del comma 4, il quale, ferma restando la valenza non vincolante del parere, ha significativamente previsto un onere di motivazione specifica del provvedimento approvato in difformità dal parere contrario reso dai responsabili dei servizi. Ad avviso della Corte, la nuova formulazione dell'art. 49 consente di ritenere che nel concetto di "riflessi diretti" siano ricompresi certamente gli effetti finanziari già descritti nella disposizione previgente ("impegno di spesa o diminuzione di entrata"), ma anche le variazioni economico-patrimoniali conseguenti all'attuazione della deliberazione proposta.
Occorre osservare, venendo ad uno dei punti specifici del quesito, che il parere di regolarità contabile deve essere rilasciato solo se sono individuabili effetti diretti oppure indiretti, che la proposta di deliberazione produce sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente. Infatti, il riportato comma 1 utilizza la disgiunzione esclusiva "o" e non la congiunzione "e": qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente. Quindi, se si è in presenza di effetti diretti oppure (ipotesi alternativa ed esclusiva della precedente) solo effetti indiretti (a maggior ragione se sono presenti entrambi gli effetti), il parere deve essere rilasciato. Ovviamente, se non sussiste una delle due tipologie di effetti viene meno l'obbligo.
Invero, il problema si pone in caso di incerta individuazione, cui sembra alludere il quesito. In tal caso, cioè in presenza di un'effettiva situazione di incertezza o di ambiguità, al fine di dissipare possibili equivoci in relazione alla condotta del Responsabile (eventualmente censurabile per un'ipotetica omissione), appare fortemente opportuno che il medesimo illustri le ragioni, secondo la sua prospettazione, che comprovano l'assenza di uno degli effetti in questione. In altri termini, il Responsabile deve indicare le motivazioni che lo inducono a non formulare il parere, cioè deve giustificare che nessuno dei due cennati profili sussiste. Ciò, si ribadisce, solo nei casi in cui sussista un'effettiva situazione di incertezza.
A questo punto, nel quesito si afferma quanto segue: In tale ipotesi, il non aver rilasciato il parere di regolarità contabile, ma l'attestazione di non rilevanza contabile, può inficiare la deliberazione?
Orbene, l'attestazione di non rilevanza contabile, cioè l'indicazione delle ragioni che inducono il Responsabile a non formulare il parere, assolutamente non "inficia" la deliberazione, se, ovviamente, i richiamati effetti diretti o indiretti non sussistono. Se, viceversa, l'interpretazione fornita dal Responsabile appare errata, nel senso che gli effetti in questione (anche uno solo dei due) sussistono, allora la deliberazione è irregolare. In tal caso, il soggetto che contesterà l'interpretazione fornita e scritta dal Responsabile ha l'onere di dimostrare la non fondatezza dell'interpretazione medesima.
Si ribadisce che la deliberazione priva del parere di regolarità contabile (laddove, ovviamente, necessario in base a quanto sinora detto) non comporta illegittimità della medesima, ma solo irregolarità, come, da tempo, indicato dalla giurisprudenza: La mancata acquisizione del parere di regolarità contabile, ex art. 49 T.U.E.L., non comporta l'illegittimità della delibera, avendo piuttosto lo scopo di individuare il soggetto che formalmente assume la responsabilità sul riscontro della regolarità contabile della proposta di provvedimento (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 31.05.2011, n. 1385). In tal senso, ancor più recentemente:
   - La giurisprudenza sembra ormai consolidarsi sull'orientamento secondo cui la mancata acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile non comporta l'invalidità delle deliberazioni della giunta o del consiglio comunale, ma la loro mera irregolarità, atteso che la disposizione posta dall'art. 49 del TUEL, ha l'unico scopo di individuare i responsabili in via amministrativa e contabile delle deliberazioni, ma senza che l'omissione del parere incida sulla validità delle deliberazioni stesse (TAR Marche Ancona Sez. I, Sent., 20.08.2015, n. 623; poi: TAR Sardegna Cagliari Sez. II, Sent., 29.07.2015, n. 968).
   - "I pareri, previsti per l'adozione delle deliberazioni comunali (prima ex art. 53, L. 08.06.1990, n. 142, e poi ex art. 49, D.Lgs. 18.08.2000, n. 256), non costituiscono requisiti di legittimità delle deliberazioni cui si riferiscono, in quanto sono preordinati all'individuazione sul piano formale, nei funzionari che li formulano, della responsabilità eventualmente in solido con i componenti degli organi politici in via amministrativa e contabile, così che la loro eventuale mancanza costituisce una mera irregolarità che non incide sulla legittimità e la validità delle deliberazioni stesse. D'altra parte è appena il caso di rilevare che la mancanza potrebbe tutt'al più rilevare sotto il profilo della carenza istruttoria del provvedimento ovvero sulla corretta formazione della volontà dell'amministrazione" (Cons. Stato Sez. V, 08.04.2014, n. 1663).
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.L. 10.10.2012, n. 174 - L. 07.12.2012, n. 213
(24.10.2016 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVISi premette che questo ente si trova in stato di dissesto finanziario dichiarato nel 2015, che l'ultimo bilancio approvato risale al 2013 e che non è stata approvata l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.
Il responsabile finanziario ha dato parere contrario di copertura finanziaria al servizio di ricovero dei disabili psichici, motivandolo col fatto che le entrate accertate non consentono la copertura della spesa ai sensi dei nuovi principi di finanza armonizzata.
Posto che si tratta di un servizio obbligatorio per espressa previsione di legge e che la spesa è stata ridotta di oltre il 20% rispetto al 2013 e che comunque rientra nelle previsioni dell'ultimo bilancio approvato, nel pieno rispetto dell'art. 250, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, come può la Giunta Comunale adottare l'atto superando il parere contrario per scongiurare il formarsi di un debito fuori bilancio?

La risoluzione del quesito in esame impone la focalizzazione di due importanti e delicati istituti: il parere di regolarità contabile del Responsabile del servizio finanziario e la gestione del bilancio dopo la dichiarazione di dissesto finanziario e durante la procedura di risanamento.
Istituti che, nella concreta fattispecie, si intrecciano fra di loro, in quanto il punto cruciale della vicenda medesima è il seguente: il Responsabile del servizio finanziario ha dato parere contrario, circa la regolarità contabile, in merito alla proposta di impegno di spesa correlato al servizio di ricovero dei disabili psichici, per una chiara ragione: mancano entrate accertate, idonee a finanziarie la copertura della spesa. A fronte di tale obiezione, la Giunta evidenzia il fatto che si è in presenza di un "servizio obbligatorio per legge" e che occorre evitare il formarsi di un debito fuori bilancio.
Allora, per quanto concerne il parere, occorre ricordare che la nuova versione dell'art. 49, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 stabilisce quanto segue: "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione".
La giurisprudenza contabile è prontamente intervenuta ad interpretare la novella normativa, precisando che la fondamentale novità consiste essenzialmente nell'avere sostituito l'espressione "qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata" con "qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente" (C. Conti Marche Sez. contr., Delib., 05.06.2013, n. 51).
La nuova formulazione determina, dunque, un ampliamento dei casi in cui è necessario il parere di regolarità contabile, con l'assegnazione al responsabile dell'Area Finanziaria di un ruolo centrale nella tutela degli equilibri di bilancio dell'ente. Tale interpretazione è rafforzata dall'introduzione del comma 4°, il quale, ferma restando la valenza non vincolante del parere, ha significativamente previsto un onere di motivazione specifica del provvedimento approvato in difformità dal parere contrario reso dai responsabili dei servizi. Ad avviso della Corte, la nuova formulazione dell'art. 49 consente di ritenere che nel concetto di "riflessi diretti" siano ricompresi certamente gli effetti finanziari già descritti nella disposizione previgente ("impegno di spesa o diminuzione di entrata"), ma anche le variazioni economico-patrimoniali conseguenti all'attuazione della deliberazione proposta.
Quindi, appare ben chiaro che l'ambito di valutazione del Responsabile del servizio finanziario, in sede di formulazione di parere di regolarità tecnica, è ben ampio. Invero, nella concreta vicenda, il Responsabile ha fondato il suo negativo parere su di un profilo, già da tempo indiscusso in legislazione e dottrina: la carenza di copertura finanziaria della spesa proposta. Tale profilo è ben chiaro e non merita ulteriori approfondimenti, nel senso che il Responsabile lamenta una carenza primaria: l'insufficienza delle entrate accertate a garantire la copertura della spesa.
Ora, "caliamo" tali principi nella problematica della gestione del bilancio dopo la dichiarazione di dissesto finanziario e durante la procedura di risanamento.
Tale delicata vicenda della "vita" dell'ente locale è espressamente disciplinata dall'art. 250, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, il quale, al 2° comma, stabilisce quanto segue: "Per le spese disposte dalla legge e per quelle relative ai servizi locali indispensabili, nei casi in cui nell'ultimo bilancio approvato mancano del tutto gli stanziamenti ovvero gli stessi sono previsti per importi insufficienti, il consiglio o la giunta con i poteri del primo, salvo ratifica, individua con deliberazione le spese da finanziare, con gli interventi relativi, motiva nel dettaglio le ragioni per le quali mancano o sono insufficienti gli stanziamenti nell'ultimo bilancio approvato e determina le fonti di finanziamento. Sulla base di tali deliberazioni possono essere assunti gli impegni corrispondenti. Le deliberazioni, da sottoporre all'esame dell'organo regionale di controllo, sono notificate al tesoriere".
La disposizione normativa è abbastanza chiara e può essere così sintetizzata:
   a) Se sussistono spese previste come obbligatorie dalla legge o correlate a servizi indispensabili (come nella concreta fattispecie);
   b) e mancano o sono insufficienti i relativi stanziamenti nell'ultimo bilancio approvato (quello del 2013);
   c) la Giunta (con successiva ratifica del Consiglio) deve individuare la spesa correlata al servizio di ricovero dei disabili psichici, che intende finanziare;
   d) la Giunta deve, poi, indicare le ragioni (motivazione) per le quali mancano o sono insufficienti gli stanziamenti nell'ultimo bilancio approvato (quello del 2013);
   e) la Giunta deve, soprattutto, "determinare le fonti di finanziamento", cioè deve individuare le risorse finanziarie idonee a coprire la prospettata spesa;
   f) solo in tal modo, possono essere assunti gli impegni di spesa.
Appare evidente che il punto focale dell'illustrata disposizione normativa (art. 250, comma 2) è costituito dal punto "e", cioè dalla necessità di individuare le fonti di finanziamento. Questo è, purtroppo, il vero punto dolens della concreta vicenda. E' vero che il servizio è obbligatorio, è vero che la Giunta può intervenire; ma, è parimenti vero che la medesima Giunta, anche al di là del negativo parere del Responsabile, deve determinare le fonti di finanziamento.
Ora, se il Responsabile, in sede di parere di regolarità tecnica, afferma che la copertura finanziaria non sussiste, la Giunta, se intende garantire l'obbligatorio servizio, non può far altro che, anche fruendo della collaborazione del Responsabile medesimo, cercare di individuare, reperire nell'ultimo bilancio approvato e sulla base delle entrate accertate le fonti di finanziamento. Altrimenti, la decisione di garantire il servizio non potrà che far configurare un debito fuori bilancio.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 250
Riferimenti di giurisprudenza

C. Conti Marche Sez. contr., Delib., 05.06.2013, n. 51
(21.04.2016 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVINel parere di regolarità contabile è da comprendere, oltre che la verifica dell'esatta imputazione della spesa al pertinente capitolo di bilancio ed il riscontro della capienza dello stanziamento relativo, anche la valutazione sulla correttezza sostanziale della spesa proposta da parte del responsabile del Servizio finanziario.
Si chiede un approfondimento del concetto di valutazione sulla correttezza sostanziale della spesa, suffragato dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Il parere di regolarità contabile, fin dal suo sorgere nel lontano 1990, ha conosciuto attraverso le intervenute modificazioni normative, un chiaro ampliamento del suo oggetto, significato e funzione. Infatti, il vecchio art. 53, L. 08.06.1990, n. 142 non definiva l'oggetto, ma si limitava a prescrivere quanto segue: "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica e contabile, rispettivamente del responsabile del servizio interessato e del responsabile di ragioneria, nonché del segretario comunale o provinciale sotto il profilo di legittimità. I pareri sono inseriti nella deliberazione".
Successivamente, con il Testo Unico Enti Locali, cioè con il D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, il Legislatore ha provveduto a dettagliare il contenuto del parere di regolarità contabile, stabilendo, all'art. 49, che: "su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile".
Come si può facilmente desumere, con l'art. 49, il Legislatore ha inteso collegare l'obbligo di parere ad ogni proposta deliberativa, comportante effetti diretti sul bilancio dell'ente, o attraverso l'assunzione di un impegno di spesa o attraverso una diminuzione di entrata. Ora, tale ampliamento del concetto di parere di regolarità contabile ha conosciuto un ulteriore sviluppo.
Precisamente, con la riforma dei controlli interni, introdotta dal D.L. 10.10.2012, n. 174, convertito in L. 07.12.2012, n. 213, l'art. 49 è stato rivisitato, assumendo la seguente veste prescrittiva: "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione".
La giurisprudenza contabile è prontamente intervenuta ad interpretare la novella normativa, precisando che la fondamentale novità consiste essenzialmente nell'avere sostituito l'espressione "qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata" con "qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente" (C. Conti Marche Sez. contr., 05.06.2013, n. 51).
La nuova formulazione comporta un ampliamento dei casi in cui è necessario il parere di regolarità contabile, con l'assegnazione al responsabile dell'Area Finanziaria di un ruolo centrale nella tutela degli equilibri di bilancio dell'ente. Tale interpretazione è rafforzata dall'introduzione del comma 4°, il quale, ferma restando la valenza non vincolante del parere, ha significativamente previsto un onere di motivazione specifica del provvedimento approvato in difformità dal parere contrario reso dai responsabili dei servizi.
Ad avviso della Corte, la nuova formulazione dell'art. 49 consente di ritenere che nel concetto di "riflessi diretti" siano ricompresi certamente gli effetti finanziari già descritti nella disposizione previgente ("impegno di spesa o diminuzione di entrata"), ma anche le variazioni economico-patrimoniali conseguenti all'attuazione della deliberazione proposta.
Orbene, anche prima della riforma dei controlli interni, la giurisprudenza aveva affermato che il parere di regolarità contabile deve dar luogo anche ad una "valutazione sulla correttezza sostanziale della spesa proposta". Precisamente, la giurisprudenza contabile è arrivata a tale ampliamento dell'oggetto del parere di regolarità contabile, ponendosi, primariamente il problema di definire il concetto di "contabilità pubblica", per poi individuare il precipuo contenuto del parere di regolarità contabile.
La Corte dei conti, sez. giurisd. Sicilia, sviluppando precedenti arresti giurisprudenziali anche propri (Sent. n. 1058 del 2011; C. Conti Puglia Sez. giurisdiz., 01.03.2006, n. 207; Corte conti Toscana, Del. n. 114/2010/PRSE), nella Sent. 24.04.2012, n. 1337, ha statuito quanto segue: "Ad avviso di questo collegio, la norma che individua il vero principio fondamentale in materia, individuando e distinguendo il controllo finanziario relativo nel nostro caso all'attestazione della copertura finanziaria, da quello contabile, è l'art. 20, R.D. 12.07.1934, n. 1214 TU Corte dei conti, ove si prevede:
- La Corte vigila perché le spese non superino le somme stanziate nel bilancio e queste si applichino alle spese prescritte, perché non si faccia trasporto di somme non consentite per legge, e perché la liquidazione e il pagamento delle spese siano conformi alle leggi e ai regolamenti. Tale norma che si applica all'attività di controllo della Corte dei conti e definisce il concetto di contabilità pubblica, per la sua ampia definizione, si configura come riferimento fondamentale per i concetti di regolarità finanziaria e contabile, tale che, per la sua generalità è estensibile a qualsiasi organo pubblico che svolga tali funzioni. Nel parere di "regolarità contabile" infatti, è da comprendere, oltre che la verifica dell'esatta imputazione della spesa al pertinente capitolo di bilancio ed il riscontro della capienza dello stanziamento relativo, anche la valutazione sulla correttezza sostanziale della spesa proposta. Dunque per regolarità contabile deve intendersi legittimità della spesa, ossia conformità di essa alle leggi ed ai regolamenti
".
Appare ben chiaro l'approdo ermeneutico, cui è pervenuta la giurisprudenza: il parere di regolarità contabile ricomprende anche i profili di "correttezza sostanziale" della spesa, cioè la sua conformità alla legge. Tale asserzione trova la sua chiara conferma nella già indicata riforma dei controlli interni. Infatti, il modificato art. 147-bis, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, ha introdotto il nuovo controllo di regolarità amministrativa e contabile, il quale, nella fase preventiva della formazione dell'atto, deve estrinsecarsi attraverso il rilascio del parere attestante la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa.
Quindi, il parere di regolarità contabile assume i chiari connotati di una valutazione della correttezza dell'azione amministrativa. A sua volta, la correttezza non può che colorarsi di profili sostanziali, divenendo, appunto, "correttezza sostanziale". Questa afferisce al rispetto della legge e dei regolamenti, con un ineludibile esito interpretativo: il parere di regolarità contabile, anche in ragione della riforma dei controlli interni, non può che comportare la verifica della correttezza sostanziale della spesa proposta, cioè manifestarsi come parere preventivo di legittimità della spesa, volto a garantire la sua conformità alle leggi ed ai regolamenti.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 08.06.1990, n. 142, art. 53 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.L. 10.10.2012, n. 174 - L. 07.12.2012, n. 213
Riferimenti di giurisprudenza

C. Conti Marche Sez. contr., 05.06.2013, n. 51 - C. Conti Sicilia Sez. giurisdiz., Sent., 24.04.2012, n. 1337
(11.03.2016 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIL'art. 49 del TUEL stabilisce, tra l'altro, che su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che comporta riflessi indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, deve essere richiesto il parere del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile.
Si chiede di chiarire questo concetto anche con esempi concreti.

La ratio dell'art. 49 del TUEL (la cui formulazione era già contenuta, per quanto interessa, nell'art. 53, L. 08.06.1990 n. 142) è quella di garantire un vaglio di natura tecnica (obbligatoria) e finanziaria (eventuale) a tutti i provvedimenti degli organi collegiali al fine di ridurre i margini per l'adozione di provvedimenti illegittimi (irregolarità tecnica) o non sorretti da adeguata copertura finanziaria.
La disposizione rappresenta una combinazione, coerente e ragionevole, dell'autonomia dell'organo politico (titolare del potere decisorio) e del rispetto del principio di legalità dell'azione amministrativa.
In ossequio al principio di separazione fra tecnica e politica, alla base del TUEL, la normativa e la giurisprudenza hanno inoltre chiarito che i dirigenti/funzionari che esprimono il parere rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi (TAR Sardegna Cagliari Sez. II, 19.05.2006, n. 1022).
In base allo stesso principio i pareri in questione sono obbligatori ma non vincolati. Infatti il comma 4 dell'art. 49 dispone che "Ove la Giunta o il Consiglio non intendano conformarsi ai pareri di cui al presente articolo, devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione". In questo caso rispondono in via amministrativa e contabile i membri dell'organo collegiale che hanno votato a favore della deliberazione risultata poi illegittima.
L'art. 53, L. 08.06.1990 n. 142 disponeva "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio...deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile". La nuova formulazione dell'art. 49, come modificato dall'art. 3, comma 1, lett. b), D.L. 10.10.2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla L. 07.12.2012, n. 213, non richiama più i concetti di "impegno di spesa" o "diminuzione di entrata" (cioè la causa) ma fa esclusivo riferimento agli "effetti" del provvedimento.
Quanto agli effetti "diretti" si può ritenere che essi coincidano con il precedente riferimento all'impegno di spesa o alla diminuzione di entrata.
Sugli effetti indiretti manca una ulteriore precisazione normativa e pertanto si dovrà fare riferimento ai principi generali ed alla logica.
Ad avviso di chi scrive il legislatore ha inteso delineare un concetto "ampio" di effetti delle delibere degli organi collegiali al fine di contrastare un fenomeno, diffuso nella prassi amministrativa, di adozione di deliberazioni di indirizzo politico che, direttamente, non comportano effetti sulle finanze o sul patrimonio dell'ente, ma che, una volta attuate, possono avere una rilevanza (anche significativa) sul bilancio.
Alcuni casi possono essere:
   - delibere di accettazione di donazioni (di beni mobili o immobili)
   - delibere di acquisizione gratuita di beni immobili al patrimonio dell'ente (in conseguenza di abusi edilizi)
   - delibere di concessione gratuita del patrocinio ad iniziative che si svolgono sul territorio da cui seguono necessarie attività di intervento dell'Ente (maggiore sorveglianza della Polizia Locale, provvedimenti sulla circolazione stradale, pulizia delle aree ecc...)
   - delibere di approvazione di disposizioni normative (regolamenti, disciplinari ecc...) che comportano un facere per l'amministrazione.
In definitiva il compito dell'organo politico (anche tramite il supporto del Segretario) dovrà essere quello di verificare attentamente (pena l'illegittimità del provvedimento) se la delibera di indirizzo o di approvazione di disposizioni normative che non producono effetti finanziari diretti, possano essere la causa diretta immediata o mediata di effetti finanziari (indiretti).
Nel dubbio si dovrà comunque propendere per l'acquisizione del parere di regolarità contabile.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 08.06.1990 n. 142, art. 53 - D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, art. 49 - D.L. 10.10.2012, n. 174, art. 3
Riferimenti di giurisprudenza

Cass. Pen. Sez. III Sentenza, 29.01.2013, n. 13746 - TAR Sardegna Cagliari Sez. II, 19.05.2006, n. 1022
(
01.10.2015 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIL'art. 49 del TUEL stabilisce, tra l'altro, che su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo, deve essere richiesto il parere del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile.
Si chiede di chiarire questo concetto anche con esempi concreti.

La ratio dell'art. 49 del TUEL (la cui formulazione era già contenuta, per quanto interessa, nell'art. 53, L. 08.06.1990 n. 142) è quella di garantire un vaglio di natura tecnica (obbligatoria) e finanziaria (eventuale) a tutti i provvedimenti degli organi collegiali al fine di ridurre i margini per l'adozione di provvedimenti illegittimi (irregolarità tecnica) o non sorretti da adeguata copertura finanziaria.
La disposizione rappresenta una combinazione, coerente e ragionevole, dell'autonomia dell'organo politico (titolare del potere decisorio) e del rispetto del principio di legalità dell'azione amministrativa.
In ossequio al principio di separazione fra tecnica e politica, alla base del TUEL, la normativa e la giurisprudenza hanno inoltre chiarito che i dirigenti/funzionari che esprimono il parere rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi (TAR Sardegna Cagliari Sez. II, 19.05.2006, n. 1022).
In base allo stesso principio i pareri in questione sono obbligatori ma non vincolati. Infatti il comma 4 dell'art. 49 dispone che "Ove la Giunta o il Consiglio non intendano conformarsi ai pareri di cui al presente articolo, devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione". In questo caso rispondono in via amministrativa e contabile i membri dell'organo collegiale che hanno votato a favore della deliberazione risultata poi illegittima.
Ciò premesso appare dunque conseguente a tale impostazione il principio per il quale, qualora la delibera abbia un contenuto che prescinde da profili tecnici (in senso stretto) e non abbia riflessi diretti o indiretti di natura finanziaria, non sussiste alcun margine per l'espressione del parere da parte dei dirigenti/funzionari.
Pertanto il legislatore ha previsto che gli atti amministrativi che costituiscono "mero atto di indirizzo" non sono soggetti ai citati pareri.
Sul punto manca una casistica ufficiale o una casistica elaborata dalla giurisprudenza salve rare pronunce fra cui quella che si riporta "La ricapitalizzazione di una società partecipata incorsa in perdite reiterate è comunque un atto a carattere discrezionale per l'ente partecipante. Come tale, la relativa deliberazione deve essere adeguatamente motivata in relazione alla prevalenza dei benefici sui correlativi costi e, non rappresentando un mero atto di indirizzo, anche corredata dei pareri obbligatori dei responsabili del servizio interessato e di quello finanziario" (C. Conti Lombardia Sez. contr. Delibera, 05.03.2014, n. 96).
Da questa pronuncia si può ricavare il principio per il quale il mero atto di indirizzo non coincide con gli atti "ampiamente discrezionali". L'ampia discrezionalità non esclude il ricorso a criteri e meccanismi tecnici di valutazione (nel caso indicato di natura economico-finanziaria).
Altro passaggio interessante è quello di questa sentenza "In quanto tale, il parere di regolarità tecnica va acquisito anche sulla proposta di delibera inerente la revoca del Presidente del Consiglio Comunale, in quanto i presupposti di tale provvedimento sono rigorosamente disciplinati dalla norma ed attengono esclusivamente alla violazione dei doveri di imparzialità e degli altri doveri istituzionali connessi alla carica e pertanto la loro sussistenza può essere valutata dal funzionario responsabile del procedimento, anche a garanzia della trasparenza e della correttezza dell'azione amministrativa a tutela degli stessi consiglieri comunali" (TAR Sicilia Catania Sez. I Sent., 03.05.2007, n. 759).
Anche in questo caso si ritiene doverosa l'acquisizione del parere di regolarità tecnica pur a fronte di un atto "politico" quale è la revoca del Presidente del Consiglio Comunale, proprio per la presenza di elementi normativi vincolanti a cui dover fare riferimento.
Alla luce di questa (scarna) casistica, e per esclusione, si può ritenere che:
   - la regola stabilita dal legislatore rimane quella dell'obbligo di acquisizione del parere di regolarità
   - in caso di dubbio si dovrà pertanto provvedere alla sua acquisizione pena l'illegittimità del provvedimento (secondo la tesi maggioritaria: TAR Campania, Napoli, Sez. I, 13.05.2004, n. 8718; Cons. Stato, Sez. V, 15.02.2000, n. 808; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 09.01.1995, n. 26)
   - per atto di mero indirizzo deve intendersi una manifestazione di volontà politica, non vincolata da norme di settore (di natura tecnica o finanziaria) né vincolante sull'azione successiva dell'apparato amministrativo con il quale l'organo collegiale esprime la propria valutazione in merito a determinati argomenti, problematiche o eventi.
La prassi mette in luce, spesso, un "abuso" nell'utilizzo degli atti di mero indirizzo, spesso utilizzati per dare "direttive" o veri e propri "ordini" a uffici o singoli dipendenti circa l'adozione di conseguenti provvedimenti amministrativi. In questo caso non si tratta di meri atti di indirizzo, ma di una invasione di competenze (spesso richiesta da dirigenti e funzionari per "dare copertura" a decisioni difficili) a discapito del citato principio di separazione.
Tali atti, che violano il principio di separazione fra tecnica e politica, non solo non trovano fondamento nell'art. 49, ma appaiono addirittura ex se illegittimi (o potenzialmente "disapplicabili").
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 08.06.1990 n. 142, art. 53 - D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, art. 49 - D.L. 10.10.2012, n. 174, art. 3
Riferimenti di giurisprudenza

Cass. Pen. Sez. III Sentenza, 29.01.2013, n. 13746 - C. Conti Lombardia Sez. contr. Delibera, 05.03.2014, n. 96 - Cons. Stato, Sez. V, 15.02.2000, n. 808 - TAR Sicilia Catania Sez. I Sent., 03.05.2007, n. 759 - TAR Sardegna Cagliari Sez. II, 19.05.2006, n. 1022 - TAR Campania, Napoli, Sez. I, 13.05.2004, n. 8718 - TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 09.01.1995, n. 26
(01.10.2015 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIL'art. 49 del TUEL recante "Pareri dei responsabili dei servizi", concerne i pareri di regolarità tecnica e contabile sulle proposte di deliberazione della Giunta e del Consiglio.
Al riguardo si chiede un approfondimento, supportato anche dalla giurisprudenza, circa i concetti di "mero atto di indirizzo" e "riflessi indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente".

L'art. 49, comma 1, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, prima delle modifiche apportate dall'art. 3, comma 1, lett. b), D.L. 10.10.2012, n. 174, convertito con L. 07.12.2012, n. 213 stabiliva che "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione".
Per effetto del D.L. 10.10.2012, n. 174, la versione attuale dell'art. 49, comma 1, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 recita come segue: "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione".
Evidente che le modifiche riguardano esclusivamente i presupposti dell'obbligatorietà del parere del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile, avendo la novella sostituito l'espressione "impegno di spesa o diminuzione di entrata" con il riferimento ai "riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente".
Ai fini dell'interpretazione della norma de qua, può essere utile richiamare Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per le Marche, parere 05.06.2013 n. 51.
In merito al concetto di "mero atto di indirizzo", la Deliberazione richiama alcune precedenti pronunce del giudice amministrativo. In particolare, si segnalano:
   1) TAR Campania, Salerno, Sez. II, 12.04.2005, n. 531, secondo cui la categoria degli atti di mero indirizzo ricomprende "gli atti che, senza condizionare direttamente la gestione di una concreta vicenda amministrativa, impartiscono agli organi all'uopo competenti le direttive necessarie per orientare l'esercizio delle funzioni ad essi attribuite in vista del raggiungimento di obiettivi predefiniti";
   2) TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 14.03.2013, n. 326 che ha qualificato mero atto di indirizzo una delibera in cui venivano compiute scelte di programmazione della futura attività a fronte della drastica riduzione delle risorse economiche sofferte dall'ente interessato, scelte che peraltro necessitavano ulteriori atti di attuazione e di recepimento, anche se di natura vincolata, da parte di altri organi e dirigenti dell'ente stesso;
   3) Cons. Stato Sez. VI, 10.10.2006, n. 6014 che ha escluso, nel caso di specie, la qualificazione di un atto come atto di mero indirizzo sulla base della motivazione che segue: "Peraltro, neppure si può parlare di atto di indirizzo politico, che potrebbe consistere, nel caso, nella manifestazione di una volontà tesa a porre obiettivi per l'attività di livello normativo spettante ad organi comunali, perché il contenuto dell'atto non pare in alcun modo correlabile con la prefissione di obiettivi, in qualche modo dotati di astrattezza e generalità, per una presunta e non identificabile attività normativa dell'organo consiliare o della Giunta. Assorbente al riguardo è il rilievo che il contenuto dell'atto consiste nella pretesa e conclamata volontà di tutelare un interesse pubblico specifico con riferimento ad un caso concreto, con un'integrale corrispondenza alla tipologia dell'atto amministrativo provvedimentale".
In merito alla seconda questione, relativa all'espressione "riflessi indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente", la Deliberazione ha evidenziato che "non vi è dubbio che questa possa ingenerare problemi applicativi, sotto il profilo della estensione del rapporto "causa-effetto" astrattamente ipotizzabile tra il contenuto della proposta di deliberazione sottoposta a parere e la situazione economico-finanziaria o patrimoniale dell'ente. Il criterio interpretativo deve pertanto essere incentrato sulla probabilità che certe conseguenze si verifichino nell'esercizio finanziario in corso o nel periodo considerato dal bilancio pluriennale. Ulteriore criterio utile a definire l'ambito di applicazione della norma è il vincolo del rispetto dell'equilibrio del bilancio, oggi costituzionalizzato nel novellato art. 119, comma 1, Cost. (in vigore dal 2014)" (sottolineatura aggiunta).
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49
Riferimenti di giurisprudenza

C. Conti Marche Sez. contr., Delib., 05.06.2013, n. 51 - Cons. Stato Sez. VI, 10.10.2006, n. 6014 - TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 14.03.2013, n. 326 - TAR Campania, Salerno, Sez. II, 12.04.2005, n. 531
(08.10.2014 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVICon riferimento all'art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 e ss.mm.ii., si chiedono chiarimenti, anche con esempi, in merito al parere richiesto al responsabile di ragioneria, qualora la proposta di deliberazione da sottoporre alla Giunta o al Consiglio, comporti riflessi indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente.
La Corte dei Conti, sezione regionale controllo Marche, con deliberazione n. 51 del 04.06.2013, ha reso un parere che ad oggi costituisce il più autorevole sforzo interpretativo dell'art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 come modificato dall'art. 3, comma 1, lett. b), D.L. 10.10.2012, n. 174, convertito in L. 07.12.2012, n. 213.
La massima fondamentale, che innanzitutto va tratta per orientarsi nel cogliere le novità introdotte nell'art. 49 in argomento, è che il responsabile del servizio finanziario ha l'onere di valutare gli aspetti sostanziali della deliberazione dai quali possano discendere effetti economico-patrimoniali per l'ente.
Tale massima discende ex lege dall'esonero per il mero atto di indirizzo, concetto nel quale rientrano le scelte di programmazione della futura attività, che "necessitano di ulteriori atti di attuazione e di recepimento" da adottarsi da parte dei dirigenti preposti ai vari servizi, secondo le proprie competenze (cfr. TAR Piemonte Torino Sez. II, Sent., 14.03.2013, n. 326; TAR Lombardia Milano Sez. III, Sent., 10.12.2012, n. 2991).
Con siffatta scrematura, appare evidente, come del resto è fatto osservare nel quesito, che il campo delle decisioni politiche prive di effetti diretti ed indiretti sui conti dell'ente amministrato è assai ristretto.
Nulla quaestio, secondo la citata sezione regionale di controllo della Corte dei conti, riguardo ai "riflessi diretti": la nuova formulazione dell'art. 49 consente di ritenere che nel concetto siano ricompresi certamente gli effetti finanziari già descritti nella disposizione previgente ("impegno di spesa o diminuzione di entrata"), a cui vanno aggiunte le variazioni economico-patrimoniali conseguenti all'attuazione della deliberazione proposta.
Riguardo invece ai riflessi indiretti, concetto che sta generando i maggiori dubbi applicativi, la Corte propende per un criterio interpretativo incentrato sulla probabilità che certe conseguenze si verifichino nell'esercizio finanziario in corso o nel periodo considerato dal bilancio pluriennale; ulteriore criterio utile a definire l'ambito di applicazione della norma è il vincolo del rispetto dell'equilibrio del bilancio, oggi costituzionalizzato nel novellato art. 119, comma 1, Cost. (in vigore dal 2014).
Sostanzialmente i riflessi indiretti sono quelli potenziali in virtù dell'adozione di un atto che (anche eventualmente) è soltanto preliminare o prodromico ad altro atto che comporti effettiva nuova spesa, entrata o variazione patrimoniale. Tale potrebbe essere l'atto di indirizzo di ricognizione e valutazione del patrimonio immobiliare al fine della successiva dismissione.
Riguardo alle modalità di espressione del parere, la Corte riconosce la difficoltà di indicare un criterio uniforme, poiché il tema della quantificazione degli oneri o delle conseguenze economico-patrimoniali conseguenti all'esecuzione di un provvedimento amministrativo risente dell'applicazione della normativa di natura sostanziale disciplinante una determinata materia e, soprattutto, dell'ineliminabile scostamento tra la mera previsione e la realizzazione effettiva di un dato fenomeno incidente sugli equilibri di bilancio o patrimoniali.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49
Documenti allegati

C. Conti Marche Sez. contr., Delib., 04.06.2013, n. 51
(10.01.2014 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIIn un Comune di 9000 abitanti il titolare di U.O. (responsabile dell'area economico-finanziaria) è inquadrato in cat. D3.
Il funzionario responsabile dei tributi nominato dalla Giunta comunale secondo l'art. 11, comma 4, del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504 e artt. 11, 54 e 74 del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, oltre che responsabile IMU e TARES è un dipendente appartenente alla stessa area, ma non è apicale in quanto in cat. D2.
Si chiede chi dei due debba esprimere il parere tecnico sulle delibere che riguardano i tributi ai sensi dell'art. 49 e 147-bis D.Lgs. 18.08.2000, n. 267.

Preliminarmente, si ricorda la normativa di riferimento per la risposta al quesito:
   - Art. 49, comma 1, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, avente ad oggetto "Pareri dei responsabili dei servizi":
"Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione";
   - Art. 50, comma 10, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, avente ad oggetto "Competenze del sindaco e del presidente della provincia":
"Il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali";
   - Art. 11 comma 4 del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504, avente ad oggetto "Liquidazione ed accertamento":
"Con delibera della giunta comunale è designato un funzionario cui sono conferiti le funzioni e i poteri per l'esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale dell'imposta; il predetto funzionario sottoscrive anche le richieste, gli avvisi e i provvedimenti, appone il visto di esecutività sui ruoli e dispone i rimborsi".
Alla luce del quadro normativo sopra esposto, si può affermare che il responsabile della gestione del tributo si configura come un referente preciso, individuato dalla Giunta, per svolgere tutte le funzioni di carattere organizzativo e gestionale in relazione ad ogni tributo (avvisi di accertamento, di liquidazione, rimborsi, emissione di ruoli ecc...). Tale ruolo, che di norma viene conferito al responsabile del servizio tributi, può ben essere assegnato ad un dipendente interno al servizio stesso; in tal caso, l'assunzione di atti a rilevanza esterna, diversi da quelli individuati in capo al funzionario responsabile del tributo, competerà esclusivamente al responsabile del servizio tributi.
A parere dello scrivente, stante quanto sopra ricordato, l'espressione del parere tecnico sulle delibere inerenti la disciplina dei tributi non potrà che competere al responsabile del servizio stesso, in ossequio all'art. 49 del T.U.E.L. sopra citato; quindi, nel caso specifico, il responsabile inquadrato in categoria D2 di codesto Ente dovrà firmare il parere tecnico solamente nel caso in cui sia stato nominato, con atto formale del Sindaco, quale responsabile del servizio tributi; diversamente, se il dipendente inquadrato in categoria D3, responsabile dell'area economico finanziaria, è stato nominato anche responsabile del servizio tributi è allo stesso che spetterà di firmare il parere tecnico sulle deliberazioni in materia, indipendentemente dal fatto che altri soggetti siano stati nominati funzionari responsabili.
----------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 50 - D.Lgs. 30.12.1992, n. 504, art. 11 - D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, art. 11 - D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, art. 54 - D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, art. 74 (27.06.2013 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIPer quali atti il responsabile del servizio finanziario deve rilasciare il parere, alla luce delle disposizioni del D.L. n. 174/2012?
L'art. 3 del D.L. 10.10.2012, n. 174 convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 07.12.2012, n. 213 ha sostituito l'art. 49 del T.U.E.L. prevedendo che: "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione.
Omissis
I soggetti di cui al comma 1 rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi.
Ove la Giunta o il Consiglio non intendano conformarsi ai pareri di cui al presente articolo, devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione
".
Il D.L. 10.10.2012, n. 174 ha ampliato la casistica degli atti per i quali è obbligatorio acquisire il parere di regolarità contabile che deve essere rilasciato, oltre che sugli atti che comportano impegni di spesa o diminuzioni di entrata, come in precedenza, anche su tutti gli atti che comportano riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente.
Qualora l'organo esecutivo o il Consiglio non intendano conformarsi al parere del funzionario, a differenza di quanto disposto dalla suddetta normativa prima della modifica, devono darne adeguata motivazione nel testo del provvedimento.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.L. 10.10.2012, n. 174, art. 3 (26.06.2013 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVICon riferimento al novellato art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267 si chiede di specificare l'esatta distinzione tra responsabilità amministrativa e contabile e in che modo il responsabile di ragioneria risponde in via amministrativa del citato parere.
In particolare si chiede se può rifiutarsi di apporre il parere di regolarità contabile restituendo al proponente tecnico una proposta di deliberazione, qualora constati irregolarità concernenti il parere tecnico già apposto.

La recente giurisprudenza di alcune Sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti ha ribadito che il parere di regolarità contabile di cui all'art. 49 del T.U.E.L. non può limitarsi a verificare l'esistenza della copertura finanziaria in relazione a provvedimenti deliberativi degli organi di indirizzo politico-amministrativo, ma deve necessariamente operare una verifica sulla legittimità della spesa.
In questo senso:
   - Corte dei Conti Toscana Sezione Giurisdizionale Sentenza 25.03.2010, n. 114.
"Considerato, infatti, che l'art. 49, terzo comma, D.Lgs. 267/2000, prevede che i responsabili dei servizi interessati e della ragioneria rispondano, in via amministrativa e contabile, dei pareri di regolarità tecnica e contabile previsti dal primo comma dello stesso articolo, è evidente che, a fortiori, debba ritenersi che del danno conseguente agli indebiti pagamenti effettuati in esecuzione di una delibera debba rispondere il responsabile del servizio competente, omissis.... Se può certamente convenirsi sul rilievo che il legislatore non attribuisce alcun potere discrezionale e di merito al responsabile del servizio finanziario in sede di espressione del parere di regolarità contabile, non può di converso consentirsi sull'assunto difensivo per cui ne esulerebbe qualunque accertamento sulla legittimità della spesa.
Contrariamente all'assunto difensivo, il parere di regolarità contabile investa anche e soprattutto la legittimità della spesa. Depone, in tal senso.... omissis .... la considerazione che, a termini dell'art. 184, quarto comma, D.Lgs. 267/2000, il servizio finanziario -cui è preposto il ragioniere cui il precedente l'art. 49 demanda l'espressione del parere di regolarità contabile- deve effettuare "secondo i principi e le procedure della contabilità pubblica, i controlli e riscontri amministrativi, contabili e fiscali sugli atti di liquidazione", e che, come è dato evincere dall'art. 147, primo comma, lett. a), D.Lgs. cit., in tema di controlli interni, la regolarità amministrativa e contabile, oggetto dei controlli e dei riscontri demandati al servizio finanziario, si identifica con "la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa", sicché sarebbe evidentemente incongrua un'interpretazione per cui, in sede di espressione del parere di regolarità contabile di cui all'art. 49 D.Lgs. cit., che si colloca a monte delle fasi di gestione della spesa pubblica, il responsabile del servizio finanziario non fosse tenuto ad evidenziare l'illegittimità della spesa oggetto della proposta di deliberazione. ...omissis ... Né, in contrario, può argomentarsi dalla circostanza che, ove il parere di regolarità contabile investisse anche la legittimità della spesa, potrebbe verificarsi (in specie nelle ipotesi in cui il responsabile del servizio, competente ad esprimere il "parere di regolarità tecnica", fosse investito di competenze più propriamente amministrative che tecniche) una possibile "sovrapposizione di competenza", con le conseguenze .. di una "confusione di ruoli e, soprattutto, di responsabilità" omissis ... Alla luce delle suesposte considerazioni, deve ritenersi che il parere di regolarità contabile investa necessariamente anche la legittimità delle deliberazioni proposte
".
   - Corte dei Conti Puglia Sezione Giurisdizionale Sentenza 01.03.2006, n. 207;
   - Corte dei Conti Sicilia Sezione Giurisdizionale Sentenza 23.03.2011, n. 1058.
In merito al secondo quesito, si precisa che il responsabile del servizio finanziario risponde in via amministrativa per danni causati all'ente nell'ambito del rapporto di lavoro, qualora ponga in essere una condotta dolosa o gravemente colposa che abbia causato un danno all'erario, quindi anche attraverso il rilascio di un parere contabile che avalli una spesa non legittima, nel senso sopra riportato.
In merito al terzo quesito, si ritiene che il responsabile del servizio finanziario debba rifiutarsi di rilasciare un parere contabile favorevole su proposte tecniche che importino una spesa non legittima, anche qualora riscontri la copertura finanziaria; ovviamente, ciò non implica un controllo su tutti gli atti tecnici propedeutici all'adozione della proposta, ma solo sugli aspetti legati alla legittimità della spesa (esempio: nell'atto di impegno di spesa per la manutenzione di un'autovettura il responsabile del servizio finanziario non avrà l'onere di verificare la correttezza della procedura di gara con cui è stato scelto il soggetto che effettuerà la manutenzione stessa, ma dovrà accertare, oltre all'ovvia esistenza della copertura finanziaria, che l'atto non violi le limitazioni poste dalla legge a tale tipologia di spesa dal D.L. 31.05.2010 n. 78).
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, art. 49
Riferimenti di giurisprudenza
Corte dei Conti Sicilia, Sez. Giurisdiz., sentenza 23.03.2011, n. 1058 - Corte dei Conti Puglia, Sez. Giurisdiz., sentenza 01.03.2006, n. 207
Documenti allegati

Corte dei Conti Toscana, Sez. Giurisdiz., sentenza 25.03.2010, n. 114
(02.01.2013 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

PUBBLICO IMPIEGOPuò l'Amministrazione comunale ridurre i servizi assegnati ad una categoria giuridica D3 (responsabile area economica e finanziaria - personale - tributi) e creare un'altra area (tributi e personale) sotto la responsabilità del Segretario comunale e della Giunta o si può considerare demansionamento (infatti è da tener presente che il responsabile dell'area amministrativa è stata sottoposta ad un intervento oncologico)?
Si chiede se tale atteggiamento è regolare visto che la delibera con cui è stata modificata la pianta organica è stata approvata dalla Giunta senza la preventiva informazione alle Organizzazioni sindacali e parere revisore dei conti.

Ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, come modificato dal D.Lgs. 27.10.2009, n. 150 "Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l'attuazione dei princìpi di cui all'articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa. Nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti".
Pertanto, se la scelta di creare un'altra area risponde alle finalità di cui all'art. 2, comma 1, del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, codesto Ente può legittimamente, nella piena autonomia, approvare una riorganizzazione dei servizi, per la quale comunque, ai sensi dell'art. 7, comma 1, del CCNL 01.04.1999, occorreva informare le OO.SS. ed acquisire il parere del collegio dei revisori, in quanto è stata riapprovata la dotazione organica che, probabilmente, potrebbe determinare una maggiore spesa di personale. Si fa presente, comunque, in merito alla scelta di affidare la responsabilità della nuova area "al Segretario ed alla Giunta" il disposto dei seguenti articoli:
   - art. 49, comma 2, del TUEL;
   - art. 97, comma 4, lettera d), del TUEL;
   - art. 109, comma 2, del TUEL;
   - art. 53, comma 23, della L. 23.12.2000, n. 388.
Qualora, invece, come pare di capire dal quesito, la nuova organizzazione sia stata attuata in seguito alla malattia del soggetto che finora ha ricoperto il ruolo di responsabile dei servizi indicati nella domanda, si ritiene che, sulla base della ricostruzione dell'intera vicenda e di tutti gli elementi di fatto e di diritto della stessa (di cui chi risponde non è a conoscenza), il soggetto interessato potrebbe avviare una vertenza davanti al Giudice del Lavoro per demansionamento; resta inteso, però, che l'Amministrazione avrebbe comunque il diritto a riorganizzare i servizi, togliendo la responsabilità di alcuni di essi ad un soggetto affetto da una patologia tale che ne comprometta permanentemente la concreta possibilità di gestione dei medesimi, perché, in tal caso, la scelta sarebbe motivata dal superiore interesse pubblico.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
Acc. 01.04.1999, art. 7 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 97 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 109 - L. 23.12.2000, n. 388, art. 53 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 2 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 5
(31.03.2011 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIIl parere di regolarità tecnica su un atto deliberativo del Consiglio o della Giunta deve essere congruamente motivato dal responsabile del servizio competente?
I pareri di regolarità tecnica previsti dall'art. 49, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, (T.U.E.L.), non necessitano di motivazione, la quale è un requisito del provvedimento, e non già degli atti prodromici.
Detta motivazione potrà esservi e potrà costituire un riferimento del provvedimento finale ma non è elemento proprio ed indefettibile del parere di regolarità.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. V, 31.07.2006, n. 4704
(15.05.2009 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

aggiornamento al 17.08.2020

EDILIZIA PRIVATA: E' pervenuta al Comune una proposta progettuale concernente il cambio di destinazione d'uso da deposito a distribuzione commerciale all'ingrosso.
L'edificio oggetto della richiesta, avendo destinazione d'uso "deposito" usufruisce dell'esenzione dal pagamento del costo di costruzione (art. 19, comma 1, D.P.R. 06.06.2001, n. 380) per le attività produttive/artigianali.
Si chiede se, ai sensi dell'art. 23-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e dell'art. 4, L.R. Puglia 16.04.2015, n. 24, l'attività di commercio all'ingrosso sia da considerarsi produttiva di un mutamento della categoria funzionale di appartenenza (nella specie, da produttiva/artigianale a commerciale, precisando, tra l'altro, che l'intervento proposto non sarebbe urbanisticamente rilevante in quanto la superficie oggetto del cambio d'uso è nettamente inferiore al 50% della superficie totale del capannone, che resta ad uso deposito/logistica e quindi produttiva).

Al fine di dare adeguata risposta al quesito giova precisare quanto segue.
Preliminarmente occorre affrontare la questione di principio sottesa al concetto di cambio di destinazione e per farlo pare opportuno richiamare alcuni chiarimenti forniti dalla Giurisprudenza in materia.
Il cambio destinazione uso, anche se attuato senza la realizzazione di opere edilizie, comporta l'obbligo di corrispondere al Comune il contributo di costruzione di cui all'art. 16, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, per la quota-parte commisurata agli oneri di urbanizzazione ed in misura rapportata alla differenza tra quanto dovuto per la nuova destinazione rispetto a quella già in atto, allorquando la nuova destinazione sia idonea a determinare un aumento quantitativo e/o qualitativo del carico urbanistico della zona, inteso come rapporto tra insediamenti e servizi.
Il mutamento di destinazione uso comporta di per sé che la quota parte relativa al costo di costruzione è comunque dovuta "...anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o comunque per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico" (Cons. Stato, Sez. IV, 03.09.2014, n. 4483).
Pertanto, alla luce di quanto sopra, nel caso di specie è indubbio che il cambio di destinazione d'uso da deposito a distribuzione commerciale all'ingrosso "si rivela produttivo di vantaggi economici connessi" (per usare l'espressione giurisprudenziale sopra citata) e quindi ad avviso di chi scrive comporta l'obbligo di pagare il relativo importo afferente al contributo di costruzione.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 16
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato, Sez. IV, 03.09.2014, n. 4483
(27.07.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: LA LEGGE REGIONALE N. 18/2019 - MISURE DI SEMPLIFICAZIONE E INCENTIVAZIONE PER LA RIGENERAZIONE URBANA E TERRITORIALE - Domande dei partecipanti e risposte della D.G. Territorio e Protezione Civile della Regione Lombardia (21.07.2020 - tratto da https://architettibergamo.it).
---------------
ANCE Bergamo, in collaborazione con gli ordini professionali, ha organizza un convegno on-line sulla Legge Regionale n. 18/2019, che contiene misure di incentivazione e semplificazione per la rigenerazione urbana e territoriale ed ha l'obiettivo di favorire la riqualificazione di edifici e aree, superando i fenomeni di degrado urbano e migliorando la qualità del costruito con incentivi economici e volumetrici per il recupero.

COMPETENZE GESTIONALI: Organo competente al rilascio del permesso di costruire – art. 22, L.R. n. 19/2009; art. 107 del TUEL.
L'art. 107 del TUEL prevede il principio della separazione tra competenze gestionali dei dirigenti e funzioni di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente e in particolare attribuisce ai dirigenti “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e concessioni edilizie” (comma 3, lett. f).
La giurisprudenza amministrativa ha osservato che la concessione edilizia è un atto per sua natura vincolato, sicché rientra nell'ambito specifico della gestione amministrativa.
L'art. 22, comma 1, L.R. n. 19/2009, nell'ambito della competenza primaria della Regione, in materia di ordinamento degli enti locali e in materia urbanistica, dispone che “Il permesso di costruire è rilasciato dal Sindaco o dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, in relazione alle competenze individuate dallo statuto comunale...".
In assenza di previsione statutaria dell'ente al riguardo, si ritiene che la competenza in ordine al rilascio del permesso di costruire sia del dirigente/responsabile del servizio, in applicazione del principio di separazione delle funzioni, di cui all'art. 107, del TUEL, riconducibile all'art. 97 della Costituzione, come affermato dalla Corte costituzionale.

Il Comune chiede un parere in merito all'organo competente a rilasciare il permesso di costruire, ai sensi dell'art. 22, L.R. n. 19/2009, tenuto conto che lo statuto comunale nulla prevede al riguardo e considerate le disposizioni di cui all'art. 107 del TUEL in ordine alla separazione tra competenze gestionali dei dirigenti e funzioni di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente.
Sentito il Servizio pianificazione paesaggistica, territoriale e strategica della Direzione centrale infrastrutture e territorio, competente ad esprimersi in particolare sull’interpretazione ed applicazione delle disposizioni del Codice regionale dell'edilizia, si espongono le seguenti considerazioni.
L'art. 22, comma 1, L.R. n. 19/2009, dispone che “Il permesso di costruire è rilasciato dal Sindaco o dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, in relazione alle competenze individuate dallo statuto comunale, in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
L'art. 107 del TUEL ha attribuito ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dagli organi di governo dell'ente (comma 3) e, in particolare, “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e concessioni edilizie” (comma 3, lett. f).
Sul piano dell'ordinamento statale, dunque, la competenza a rilasciare il permesso di costruire spetta al dirigente comunale, nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici.
In tal senso, si è espressa la giurisprudenza amministrativa secondo cui “poiché il provvedimento di concessione edilizia non discende dall'esercizio di poteri di indirizzo e controllo spettanti agli organi politici comunali e non può, quindi, dirsi espressione dei loro compiti di definizione di obiettivi e programmi o di determinazione di direttive generali, ma è un atto, per sua natura vincolato, che rientra nell'ambito specifico della gestione amministrativa, esso deve ritenersi sottratto alla competenza dell'assessore delegato, appartenendo più propriamente alla sfera di attribuzione del dirigente
[1].
Peraltro, l'art. 107, comma 4, del TUEL, consente la deroga alle attribuzioni dei dirigenti e stabilisce che ciò può avvenire soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.
In proposito si osserva che, secondo l’orientamento della Corte costituzionale, la separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa costituisce un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost.
[2]. E in particolare, la Consulta ha affermato che “l’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa, però, spetta al legislatore. [3]”.
Il legislatore regionale, nell'ambito della sua competenza primaria in materia di ordinamento degli enti locali e in materia urbanistica (art. 4, comma 1-bis e comma 12, dello Statuto del Friuli Venezia Giulia) ha previsto, all'art. 22 della L.R. n. 19/2009, che la competenza al rilascio del permesso di costruire spetta al sindaco o al dirigente, in relazione alle competenze individuate dallo statuto comunale.
Il legislatore regionale, con la disposizione richiamata, ha inteso demandare allo statuto comunale –atto che stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente– la determinazione dell’organo competente in relazione all’adozione del permesso di costruire.
Atteso che lo statuto di codesto Comune non contiene un’espressa indicazione in ordine all’allocazione della competenza in argomento -fermo che spetta all’ente l’interpretazione delle proprie disposizioni statutarie- si ritiene che l’attribuzione di tale potere in capo al dirigente/responsabile del servizio derivi dall’applicazione del principio generale di separazione delle funzioni, di cui all’art. 107 del TUEL, espressione dell’art. 97 della Costituzione.
Si suggerisce, comunque, in via collaborativa, di procedere all’inserimento nello statuto di una disposizione che individui espressamente l’organo competente a rilasciare il permesso di costruire.
---------------
[1] Consiglio di Stato, sez. IV, 01.04.2011, n. 2050 e sez. V, 09.10.2007, n. 5232; conformi: TAR Sicilia, Catania, 10.12.2018, n. 2360, sulla natura vincolata di un provvedimento di diniego di concessione edilizia in sanatoria; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 18.12.2007, n. 6674; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 05.12.2006, n. 1573.
[2] Si vedano Corte cost., sentenza 03.05.2013, n. 81 e le altre pronunce della Consulta ivi citate.
[3] La Corte precisa, inoltre, che “a sua volta, tale potere incontra un limite nello stesso art. 97 Cost.: nell’identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della pubblica amministrazione”
(17.07.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Un dipendente di questo Comune ha fatto domanda di andare in pensione anticipata.
E' stata adottata una determinazione del funzionario come atto amministrativo per il riconoscimento dei requisiti per il diritto alla pensione e per il collocamento a riposo.
Si chiede di sapere se l'adozione di tale sia corretta per la gestione del rapporto di lavoro o se, ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 fosse più corretto adottare un atto datoriale.
L'adozione di uno o dell'altro atto sono altresì da ritenersi equivalenti ai fini del riconoscimento della pensione?
Producono, nell'ambito del riconoscimento al diritto della pensione, degli effetti giuridici differenti in termini di ricorso alle vie giurisdizionali?

Si ritiene che la questione vada letta alla luce di un recente pronuncia della Suprema Cass. pen. Sez. IV Sent., 20.04.2018, n. 43829.
Detta pronuncia affronta in via incidentale la questione relativa all'individuazione del datore di lavoro nell'ambito delle pubbliche amministrazioni specie nell'ipotesi di delega di funzioni.
Nella citata sentenza infatti la Corte una volta definito il Datore di lavoro come: "...Il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa" individuando detta definizione sulla scorta di quanto codificato dall'art. 2, lett. b), D.Lgs. 09.04.2008, n. 81, delinea poi gli aspetti specifici che contraddistinguono detta figura all'interno della pubblica amministrazione".
La Corte quindi rileva che: "nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo" precisando, altresì, che "...l'individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro è demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l'attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale, non potendo tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico." .
Alla luce di quanto delineato dalla Corte quindi viene affermata la necessità di un atto espresso da parte della pubblica amministrazione mediante il quale il dirigente o il funzionario viene individuato nella funzione di datore di lavoro con il conseguente conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale.
In conclusione quindi nel caso che ci occupa l'atto del funzionario può ritenersi legittimo ove quest'ultimo sia stato previamente individuato come soggetto depositario della funzione di Datore di lavoro ovvero, ai sensi dell'art. 17, D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 sia stato delegato dal Dirigente preposto al compimento di specifiche funzioni tra cui quella oggetto del quesito.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 1 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 17 - D.Lgs. 09.04.2008, n. 81, art. 2
Riferimenti di giurisprudenza

Cass. pen. Sez. IV Sent., 20.04.2018, n. 43829
(06.07.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

aggiornamento al 05.08.2020

INCENTIVO FUNZIONI TECNICHEDecorrenza incentivi.
Domanda
Come noto la Corte dei Conti – Sezione Autonomie – con la delibera n. 26/2019, ha espresso l’indirizzo in merito agli incentivi tecnici di cui all’art. 113, comma 2, del d.lgs. 50/2016 e tetto dei trattamenti accessori di cui all’art. 1, comma 236, della l. 208/2015.
Come funziona l’esatto limite temporale?
Risposta
La nuova disciplina (svincolo dai tetti di spesa del personale), inizia ad applicarsi alle procedure la cui programmazione della spesa è approvata dopo il 01.01.2018, stante la intima compenetrazione sussistente tra tale programmazione ed i relativi stanziamenti con accantonamento di risorse nel Fondo costituito ai fini della successiva ripartizione e liquidazione dei compensi incentivanti.
Per cui la nuova dimensione elastica, inizia ad applicarsi ai contratti pubblici il cui progetto dell’opera o del lavoro siano stati approvati ed inseriti nei documenti di programmazione dopo il 01.01.2018 (cfr. Corte dei Conti, sezioni regionali di controllo, Lazio n. 57/2018, Lombardia n. 258 del 27.09.2018 e n. 304 del 06.11.2018) (30.07.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVIQuesto Comune ha dichiarato il dissesto finanziario, ai sensi dell'art. 244 del TUEL, nel corso dell'esercizio 2018.
Il Comune, per consentire la rilevazione della massa passiva, ha trasmesso all'OSL (organo straordinario di liquidazione), nominato ed insediato nel gennaio 2019, un elenco dei debiti fuori bilancio per fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, pur in mancanza della delibera consiliare di riconoscimento prescritta dall’art. 194 del Tuel.
L'OSL ha eccepito che i predetti debiti, pur ricadendo nell'arco temporale di propria competenza, necessitano della preventiva deliberazione del Consiglio Comunale.
Si chiede se l'indicazione fornita dall'OSL sia corretta.

Il quesito proposto, a differenza di orientamenti consolidati da parte delle Sezioni Regionali della Corte dei Conti che si erano quasi sempre espresse, nella situazione di cui trattasi di Enti in dissesto finanziario ex art. 244 del TUEL, nel favor del preventivo riconoscimento dei debiti fuori bilancio da parte dell'organo consiliare, ai sensi dell'art. 194 del TUEL (cfr. parere Corte dei Conti Puglia Sez. contr. Delib., 14.11.2019, n. 104 e parere Corte dei Conti Sicilia Sez. contr. Delib., 17.06.2019, n. 124), ha trovato recente soluzione nella Corte dei Conti, sezione Autonomie Delib. n. 12/SEZAUT/2020/QMIG pubblicata lo scorso 20 luglio.
I magistrati contabili della sezione autonomie hanno pertanto, contrariamente a quanto disciplinato in precedenza dai colleghi delle sezioni regionali, sancito un principio fondamentale ovvero quello secondo il quale "Per i debiti fuori bilancio rinvenienti da atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre precedente a quello dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, non assume carattere indefettibile la previa adozione della deliberazione consiliare di riconoscimento, spettando all'organo straordinario di liquidazione ogni valutazione sull'ammissibilità del debito alla massa passiva".
La Corte dei Conti, infatti, ha stabilito che il discrimine fondamentale che dirime la questione è la distinzione tra la "gestione ordinaria" e la "gestione straordinaria" dell'Ente locale che si avvia con la dichiarazione del dissesto finanziario ex art. 244 del TUEL creando un c.d. "microsistema extra ordinem" al quale vanno ricondotte le disposizioni che regolano, nel dettaglio, l'intera attività dell'organo straordinario di liquidazione ed al quale va riconosciuto un proprio statuto informato al principio della par condicio creditorum ed alla tutela della concorsualità.
Di qui, dunque, la possibilità di operare un netto discrimen tra le regole ordinarie che presidiano la gestione dell'Ente in bonis e quelle proprie, eccezionali ed inderogabili applicabili alla gestione dissestata che prevedono "non solo procedure straordinarie ad hoc per il dissesto, ma anche competenze straordinarie ad hoc ed un organo straordinario ad hoc, in funzione sostitutiva di quelli ordinari".
Sulla scorta di quanto detto, non può che affermarsi che, per gli Enti in dissesto, al fine del riconoscimento dei debiti fuori bilancio rivenienti da atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre a quello dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, la deliberazione di Consiglio Comunale di riconoscimento di debiti fuori bilancio ex art. 194 del TUEL non è condizione necessaria per la rilevazione degli stessi nella massa passiva da parte dell'organo straordinario di liquidazione che può autonomamente procedere sulla valutazione dell'ammissibilità del debito di cui trattasi.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 194 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 244 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 253 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 254
Riferimenti di giurisprudenza
Corte dei Conti Sicilia Sez. contr. Delib., 17.06.2019, n. 124 - Corte dei Conti Puglia Sez. contr. Delib., 14.11.2019, n. 104
Documenti allegati

Corte dei Conti, sezione Autonomie Delib. n. 12/SEZAUT/2020/QMIG
(29.07.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl DURC dopo il decreto semplificazioni.
Domanda
È possibile richiamare la normativa che prevede la conservazione della validità dei documenti scaduti nel periodo compreso tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020, per i successivi novanta giorni alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, anche con riferimento al DURC, ai fini dell’aggiudicazione di un appalto?
Risposta
Con la pubblicazione del d.l. 19.05.2020 n. 34, ed in particolare con l’art. 81, co. 1, viene modificato l’art. 103, co. 2, primo periodo, del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27, in materia di sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi, con l’inserimento di una disposizione specifica relativa ai DURC, che si riporta in grassetto: “Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza,
ad eccezione dei documenti unici di regolarità̀ contributiva in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020, che conservano validità̀ sino al 15.06.2020”.
In sede di conversione del decreto, con la legge 17.07.2020 n. 77, il sopra citato comma 1 dell’art. 81, viene soppresso, e per l’effetto, come indicato anche sui siti dell’Inail e dell’Inps, i durc con scadenza compresa tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020 conservano la loro validità fino al 29.10.2020.
Disposizione che tuttavia non si applica, ai sensi dell’art. 8, co. 10, del d.l. 16.07.2020 n. 76 c.d. “decreto semplificazioni” nel caso di verifiche dell’operatore aggiudicatario di un appalto o per la stipula del contratto [1].
Al momento sia l’Inail che l’Inps hanno riportato sui loro siti esclusivamente un comunicato sulle diverse e vigenti disposizioni normative con riferimento ai DURC, ma non hanno ancora emanato circolari operative sulle differenti modalità di consultazione e/o richiesta degli stessi, in base alle specifiche funzioni della certificazione.
È opportuno tuttavia segnalare che in questo periodo con riferimento alla visualizzazione e rilascio dei DURC, i due siti, quello dell’Inail e quello dell’Inps, non sono allineati, tanto che alcuni certificati sono visualizzabili in un sito ma non nell’altro. In attesa che venga risolto il problema, per evitare ritardi nell’efficacia dell’aggiudicazione e/o stipula dei contratti, si consiglia una doppia consultazione.
----------------
[1] L’art. 8, co. 10. d.l. 76/2020 In ogni caso in cui per la selezione del contraente o per la stipulazione del contratto relativamente a lavori, servizi o forniture previsti o in qualunque modo disciplinati dal presente decreto, è richiesto di produrre documenti unici di regolarità contributiva di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30.01.2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 01.06.2015, ovvero di indicare, dichiarare o autocertificare la regolarità contributiva ovvero il possesso dei predetti documenti unici, non si applicano le disposizioni dell’articolo 103, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020, relative alla proroga oltre la data del 31.07.2020 della validità dei documenti unici di regolarità contributiva in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020 (29.07.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOProcedure connesse all’assunzione di incarichi extra istituzionali.
Domanda
Un dipendente comunale ha svolto nei mesi scorsi, per conto di una società privata, alcuni incarichi retribuiti di docenza ed ora si è rivolto all’ufficio personale dell’Amministrazione per poter essere autorizzato, ai sensi dell’art. 53, comma 9, del d.lgs. 165/2001.
L’impiegato si è scusato dicendo di non conoscere la normativa e ha chiesto di poter sanare nel timore di incorrere in sanzioni.
Come si deve regolare l’Amministrazione?
Risposta
In linea generale, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni possono svolgere incarichi retribuiti conferiti da altri soggetti, pubblici o privati, solo se autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. L’articolo 53, del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165, dispone, al comma 7, che “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi…” e, ai commi 8 e 9, precisa che, dal canto loro, le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi.
La tipologia di incarico in questione rientra fortunatamente in una delle deroghe elencate nel comma 6
[1], del medesimo art. 53; ai sensi della lettera f-bis), infatti, per le “attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica”, non è necessario acquisire l’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza.
L’occasione è utile tuttavia per ricordare alcuni aspetti della disciplina degli incarichi extraistituzionali e, in particolare, quali siano le conseguenze in caso di violazione del divieto di cui al comma 7 e se sia possibile acquisire la prescritta autorizzazione dopo lo svolgimento dell’incarico.
In caso di inosservanza del divieto, il compenso dovuto per le prestazioni svolte deve essere versato, a cura del soggetto che lo eroga o, in difetto, del dipendente che lo percepisce, all’Amministrazione di appartenenza del dipendente.
L’omissione del versamento delle somme percepite costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti.
Resta ferma, altresì, la responsabilità disciplinare del dipendente che ha svolto attività professionale non autorizzata (nonché, nel caso di conferimento da parte di altra pubblica amministrazione, del funzionario responsabile del procedimento).
Alla domanda se sia possibile, come richiesto dal dipendente del comune, che l’autorizzazione venga rilasciata successivamente allo svolgimento dell’incarico (con la formula: ora per allora), la giurisprudenza risponde negativamente.
L’orientamento dei Tribunali Amministrativi Regionali
[2] era già nel senso che “sarebbe un controsenso autorizzare ex post un incarico in base ad un potenziale conflitto di interessi, se si considera, altresì, che il fondamento della disciplina della norma citata deve rintracciarsi negli articoli 97 e 98 della Costituzione, ovvero nelle garanzie di imparzialità, efficienza e buon andamento dei pubblici impiegati che sono a servizio esclusivo della Nazione. Sussiste in questa materia una presunzione legale di carattere generale in relazione all’incompatibilità degli incarichi esterni con i doveri d’ufficio…”.
Analogamente la Cassazione, in una recente pronuncia
[3] equipara l’autorizzazione “ora per allora” alla “autorizzazione postuma” e nega la possibilità di concedere successivamente e con efficacia sanante l’autorizzazione di cui all’art. 53, comma 7, del d.lgs. 165/2001.
Il Supremo Giudice afferma, infatti, che “Seppure, dunque, il principio di tipicità degli atti amministrativi non impedisce che il momento di esercizio del potere amministrativo possa essere spostato in avanti in tutti i casi in cui sia ancora possibile effettuare le valutazioni che ne sono alla base (come per le autorizzazioni postume in relazione ad attività edilizie ovvero paesaggistiche: Cons. Stato, sez. VI, 30.03.2004, n. 1695), ciò va escluso nell’ambito specifico degli incarichi dei pubblici dipendenti, che consente che il dipendente medesimo, in presenza di una specifica e preventiva autorizzazione rilasciata da parte dell’amministrazione di appartenenza, possa eccezionalmente ricoprire incarichi ulteriori al di fuori di quelli istituzionali. Invero, l’autorizzazione postuma (id est, con riferimento allo specifico caso in esame, l’autorizzazione “ora per allora”) risulta ontologicamente incompatibile con la finalità dell’istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, è quella (come detto) di verificare, necessariamente ex ante, l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi.“.
In conclusione, non si pongono problemi con riferimento al caso proposto, stante l’esclusione dall’obbligo della previa autorizzazione per gli incarichi di docenza, ai sensi della lettera f-bis) dell’art. 53, comma 6. Tuttavia, la circostanza che il dipendente affermi candidamente di non conoscere la normativa, deve far riflettere l’Amministrazione e, in particolare, il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza, in merito all’adeguatezza della strategia di prevenzione della corruzione e del livello della formazione somministrata ai dipendenti.
Il RPCT dovrà probabilmente proporre, ai sensi dell’art. 1, comma 10, della legge 06.11.2012, n. 190, una modifica del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT), implementando le misure di informazione e formazione, in materia di conflitto di interessi, rivolte ai dipendenti.
---------------
[1] … Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi derivanti:
   a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
   b) dalla utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;
   c) dalla partecipazione a convegni e seminari;
   d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
   e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;
   f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;
   f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica
[2] Tar Emilia Romagna-Parma Sez. I, Sent., 17.07.2017, n. 263; Tar Emilia Romagna-Parma, Sez. I, 05.06.2017, n. 191; Tar  Calabria-Reggio Calabria, sez. I, 14.03.2017, n. 195; Tar Lombardia-Milano, Sez. IV, 07.03.2013, n. 614
[3] Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 23/01/2020) 18.06.2020, n. 11811
(28.07.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALINessuna rendicontazione per i contributi straordinari per emergenza da Covid-19.
Domanda
È prevista qualche forma di rendicontazione per i vari contributi straordinari a favore degli enti locali a seguito dell’emergenza da Covid-19? Se sì, con quali modalità?
Risposta
La domanda dell’attento lettore è di assoluto interesse per gli uffici finanziari e per gli amministratori degli enti locali.
Da mesi ormai, questi si chiedono se i contributi straordinari previsti dai vari provvedimenti normativi emanati a seguito dell’emergenza da Covid-19 siano da assoggettare o meno a qualche forma di rendicontazione circa il loro effettivo utilizzo. E, in caso di utilizzo parziale, siano in qualche modo da restituire per la parte eventualmente eccedente.
Pensiamo ai contributi per la solidarietà alimentare stanziati dall’Ordinanza della Protezione civile n. 658/2020, o a quelli finalizzati alla sanificazione dei locali e degli edifici previsti dal decreto legge n. 18/2020 (c.d. ‘Cura Italia’), o ancora a quelli per la riapertura dei centri estivi previsti dal decreto legge n. 34/2020 (c.d. ‘Decreto Rilancio’) e, da ultimo, a quelli per l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’art. 106 del medesimo provvedimento.
La risposta la troviamo nell’art. 112-bis del decreto legge n. 34/2020. Si tratta di una norma introdotta ex novo, passata quasi in sordina, in sede di conversione del decreto ‘Rilancio’, avvenuta con la legge n. 77 del 17/07/2020, pubblicata allo scadere dei sessanta giorni previsti dalla Carta Costituzionale sulla Serie generale della G.U. n. 180 del 18/07/2020 (qui il link al testo del decreto legge coordinato con le modifiche introdotte durante il lungo iter parlamentare).
Vediamo nel dettaglio la norma, contenuta nel secondo periodo del comma 4 di tale articolo.
Esso dispone che: “Per il medesimo anno [2020], l’articolo 158 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, non si applica in relazione alle risorse trasferite agli enti locali ai sensi di norme di legge per fronteggiare l’emergenza”.
L’art. 158 del Tuel, norma assai bistrattata e spesso dimenticata, dispone infatti che:
   1. Per tutti i contributi straordinari assegnati da amministrazioni pubbliche agli enti locali è dovuta la presentazione del rendiconto all’amministrazione erogante entro sessanta giorni dal termine dell’esercizio finanziario relativo, a cura del segretario e del responsabile del servizio finanziario.
   2. Il rendiconto, oltre alla dimostrazione contabile della spesa, documenta i risultati ottenuti in termini di efficienza ed efficacia dell’intervento.
   3. Il termine di cui al comma 1 è perentorio. La sua inosservanza comporta l’obbligo di restituzione del contributo straordinario assegnato.
   4. Ove il contributo attenga ad un intervento realizzato in più esercizi finanziari l’ente locale è tenuto al rendiconto per ciascun esercizio.
Nella sua formulazione essa risale addirittura al d.lgs. n. 77/1995 e nel corso di questi venticinque anni non ha mai subito alcuna modifica da parte del Legislatore. Ora, dalla lettura del combinato disposto delle due norme emerge chiaramente come i contributi straordinari a favore degli enti locali assegnati da amministrazioni pubbliche a seguito dell’emergenza da Covid-19 non sono soggetti ad alcun tipo di rendicontazione.
Si tratta senza dubbio di una norma di buon senso che ben si inserisce nell’ottica di semplificazione che il Governo ha inteso intraprendere in questa difficile fase emergenziale.
E’ del tutto evidente che essa non autorizza gli enti locali ad un uso disinvolto di tali somme; essa ha invece l’indubbio pregio di sollevare gli uffici finanziari da obblighi di rendicontazione spesso gravosi e complessi che mal si coniugano con l’esigenza di celerità e semplificazione dei procedimenti di spesa della Pubblica Amministrazione (27.07.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGORiduzione orario.
Domanda
Se la richiesta di un dipendente di trasformazione da full-time a part-time non comporta la trasformazione del posto in dotazione organica e non ci sono altre richieste di trasformazione in corso, è sufficiente la determinazione del responsabile del settore oppure l’atto autorizzatorio è in ogni caso competenza della giunta comunale?
Risposta
In relazione al quesito esposto si ricorda che la riforma Madia con il D.Lgs. 25.05.2017, n. 75 ha modificato l’art. 6 del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, introducendo un sistema di dotazione organica flessibile, legata al concetto di spesa massima potenziale (come somma del personale in servizio e di quello di cui è programmata l’assunzione) confermato, altresì, dalle Linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale delle amministrazioni pubbliche pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 27.07.2018.
Nella fattispecie concreta l’ente non si trova nella situazione di rivedere il PTFP perché è mutato il proprio fabbisogno quantitativo e qualitativo del personale, posto che le modifiche al PTFP sono consentite in corso d’anno a fronte di situazioni nuove e imprevedibili che richiedono una adeguata motivazione, ma semplicemente nel contesto di dare attuazione alla disciplina contrattuale di comparto in materia, determinata dalla richiesta del dipendente di trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part-time.
Pertanto, non sarà necessario alcun atto autorizzatorio della giunta comunale, considerato che la determinazione del responsabile del servizio di appartenenza del dipendente interessato alla trasformazione de qua, rientra tra le funzioni dirigenziali di cui all’art. 107, comma 3, lett. e), del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, espletate previa verifica dei presupposti di cui all’art. 53, comma 2 del CCNL 21/05/2018.
La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale dovrà avvenire mediante accordo tra le parti risultante da atto scritto.
In tale accordo, le parti, in conformità alla disciplina di cui all’art. 53, comma 12, del CCNL 21/05/2018 possono eventualmente concordare anche un termine di durata per il rapporto di lavoro a tempo parziale che si va a costituire (23.07.2020 - link a www.publika.it).

PUBBLICO IMPIEGOUn dipendente di questo Ministero ha richiesto di poter usufruire dei permessi ex art. 33, L. 05.02.1992, n. 104 dichiarando che nel medesimo giorno, il coniuge assistito, lavoratore del settore privato, ne usufruisce al fine di sottoporsi a terapie salvavita.
Si chiede se tale possibilità di utilizzo contemporaneo del medesimo istituto sia contemplata dalla normativa vigente e/o dal CCNL Funzioni Centrali.

Nel quesito proposto dobbiamo innanzitutto distinguere la portata delle due diverse disposizioni normative, che vengono in contatto ma afferenti al medesimo corpo legislativo, ovvero il comma 3 dell'art. 33, L. 05.02.1992, n. 104 per ciò che concerne la situazione del dipendente Ministeriale ed il successivo comma 6 del medesimo art. 33, L. 05.02.1992, n. 104 in riferimento alle terapie salvavita del coniuge assistito.
A tale riguardo, si evidenzia come né la stessa L. 05.02.1992, n. 104 né la contrattazione collettiva per il comparto Funzioni Centrali (CCNL 12.02.2018) prevedono preclusioni a riguardo dell'utilizzazione congiunta dei due distinti istituti sopra elencati che anzi, a nostro parere dovrebbe rappresentare la modalità ordinaria di utilizzo, consentendo al familiare di prestare assistenza nel momento in cui il soggetto lavoratore in situazione di handicap grave si assenta dal lavoro.
Infatti, per ciò che concerne la richiesta del vostro dipendente, il già richiamato comma 3 dell'art. 33, L. 05.02.1992, n. 104 prevede tra i presupposti oggettivi per la fruizione dei permessi in esame l'assenza di "ricovero a tempo pieno" della persona assistita.
A tale riguardo, va richiamata la Circ. 03.12.2010, n. 155 dell'INPS in cui si chiarisce che per "ricovero a tempo pieno" si intende quello, per le intere ventiquattro ore, presso strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa. Nella stessa circolare si chiarisce altresì che tra le eccezioni a tale presupposto vi è l'interruzione del ricovero a tempo pieno per necessità del disabile in situazione di gravità di recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie appositamente certificate.
Riteniamo quindi che se le terapie salvavita non vengono svolte in regime di ricovero a tempo pieno, o se l'interruzione del ricovero avviene secondo quanto sopra specificato, non sussistono ostacoli alla concessione dei permessi come nella situazione prospettata.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 05.02.1992, n. 104, art. 33 - CCNL 12.02.2018 Funzioni centrali - Circ. 03.12.2010, n. 155 (22.07.2020- tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTICommissione giudicatrice – Adempimenti per la nomina.
Domanda
In una procedura di gara con offerta economicamente più vantaggiosa, per una corretta nomina della commissione giudicatrice è sufficiente che il Responsabile adotti il provvedimento di nomina, previa acquisizione dei soli curriculum, e successiva pubblicazione dei citati atti su Amministrazione trasparente, nella sezione Bandi – composizione della commissione giudicatrice e curricula, oppure occorre acquisire ulteriore documentazione?
Risposta
La nomina della commissione giudicatrice in una procedura di gara è possibile definirla come una fase dell’affidamento che richiede diversi adempimenti e verifiche. Piuttosto corpose
[1] sono le disposizioni che disciplinano la costituzione della commissione, così come numerose le pronunce giurisprudenziali sulla legittimità della nomina e sull’operato di questo collegio.
In attesa di un definitivo superamento, almeno si auspica, dell’art. 77, co. 3, del codice, che riguarda la scelta dei commissari fra gli esperti iscritti all’albo istituito presso ANAC (norma sospesa fino al 31.12.2020), al momento, ai sensi dell’art. 216, co. 12, del d.lgs. 50/2016, la commissione giudicatrice deve essere nominata dall’organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante.
Questa fase di individuazione dei commissari, non si esaurisce tuttavia nel solo provvedimento di costituzione e pubblicazione dei curricula, ma presuppone ulteriori diversi adempimenti che si differenziano a seconda che i commissari siano scelti all’interno della Stazione Appaltante, ovvero all’esterno della stessa, e in quest’ultimo caso distinguendo le ipotesi di soggetti dipendenti pubblici piuttosto che liberi professionisti/altro:
Si riportano di seguito i principali adempimenti che riguardano la nomina della Commissione giudicatrice:
   • richiesta di autorizzazione alla pubblica amministrazione di appartenenza nel caso di commissario esterno all’ente dipendente di una pubblica amministrazione;
   • acquisizione dichiarazione ex art. 53, co. 7 e 10, del d.lgs. 165/2001 della pubblica amministrazione di appartenenza nel caso di commissario esterno all’ente;
   • acquisizione dichiarazione ex art. 15, co. 1, del d.lgs. 33/2013 nel caso di commissario esterno NON dipendente di una pubblica amministrazione (tale dichiarazione deve essere trasmessa all’ufficio interno competente alla pubblicazione dei dati in Amministrazione trasparente, sotto-sezione collaboratori e consulenti, anche tramite il link ipertestuale del sistema PerlaPa)
   • acquisizione dei Curriculum da pubblicarsi in Amministrazione trasparente, sotto sezione Bandi di gara e contratti – composizione della commissione giudicatrice e curricula, nonché sul Sistema Contratti Pubblici del Ministero/Osservatorio regionale;
   • attestazione da parte del Responsabile che procede alla nomina dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni anche potenziali di conflitto di interesse ai sensi dell’art. 53, co. 14, del d.lgs. 165/2001 (da trasmettere all’ufficio interno competente alla pubblicazione dei dati in Amministrazione trasparente, sotto-sezione collaboratori e consulenti, anche tramite il link ipertestuale del sistema PerlaPa);
   • acquisizione dichiarazione inesistenza cause di esclusione di cui ai punti 3.1 e ss. delle linee guida n. 5, e cause di incompatibilità di cui ai cc. 4, 5 e 6 dell’art. 77, del d.lgs. 50/2016 e contestuale accettazione incarico, previa determinazione del compenso nel caso di commissario esterno;
   • acquisizione dichiarazione inesistenza cause di incompatibilità di cui al co. 6 dell’art. 77, del d.lgs. 50/2016 del segretario verbalizzante;
   • adozione del provvedimento di nomina della Commissione giudicatrice da pubblicarsi in Amministrazione trasparente, sotto sezione Bandi di gara e contratti – composizione della commissione giudicatrice e curricula, nonché sul Sistema Contratti Pubblici del Ministero/Osservatorio regionale;
   • verifica a campione delle dichiarazioni.
---------------
[1] Regolamento interno della stazione appaltante; Linee guida ANAC n. 5 “Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici” (cfr. art. 1, co. 1. lett.. c) del d.l. n. 32/2019 convertito in L. 14.06.2019 n. 55 che sospende l’applicazione dell’art. 77, co. 3, relativo all’obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti all’Albo fino al 31.12.2020); D.M. 12.02.2018 “Determinazione della tariffa di iscrizione componenti delle commissioni giudicatrici e relativi compensi” (Annullato dal TAR Lazio, sez. I, sent. 31.05.2019 n. 6926); Linee guida ANAC n. 15 “Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici”; Delibera ANAC n. 25 del 15.01.2020 “Indicazioni per la gestione di situazioni di conflitto di interesse a carico dei componenti delle commissioni di gara per l’affidamento di contratti pubblici”; art. 15, co. 1, del d.lgs. 33/2013; art. 29 del d.lgs. 50/2016 (22.07.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALIÈ illegittima la nomina di un RT diverso dal RPC?
Domanda
Nel nostro comune, il responsabile della trasparenza è figura diversa dal responsabile della prevenzione della corruzione (segretario comunale). A un corso di formazione ci hanno detto che tale situazione è illegittima.
È veramente così?
Risposta
L’articolo 43, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nel testo modificato dall’articolo 34, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 25.05.2016, n. 97, prevede testualmente che: 1. All’interno di ogni amministrazione il responsabile per la prevenzione della corruzione, di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 06.11.2012, n. 190, svolge, di norma, le funzioni di Responsabile per la trasparenza, di seguito «Responsabile», e il suo nominativo è indicato nel Piano triennale per la prevenzione della corruzione. Il responsabile svolge stabilmente un’attività di controllo sull’adempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, assicurando la completezza, la chiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubblicate, nonché segnalando all’organo di indirizzo politico, all’Organismo indipendente di valutazione (OIV), all’Autorità nazionale anticorruzione e, nei casi più gravi, all’ufficio di disciplina i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione.
Come ben si comprende, l’indicazione del legislatore nazionale –dal 2016– è quella di unificare sotto la stessa persona –negli enti locali “di norma” il segretario comunale– i compiti di responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, utilizzando, appunto, l’acronimo di RPCT.
Analoga posizione è stata poi assunta dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), la quale –nella delibera n. 1310 del 28.12.2016, (di commento del d.lgs. 97/2016)– sostiene che: “Ad avviso dell’Autorità, considerata la nuova indicazione legislativa sulla concentrazione delle due responsabilità, la possibilità di mantenere distinte le figure di RPCT e di RT va intesa in senso restrittivo: è possibile, cioè, laddove esistano obiettive difficoltà organizzative tali da giustificare la distinta attribuzione dei ruoli. Ciò si può verificare, ad esempio, in organizzazioni particolarmente complesse ed estese sul territorio e al solo fine di facilitare l’applicazione effettiva e sostanziale della disciplina sull’anticorruzione e sulla trasparenza. E’ necessario che le amministrazioni chiariscano espressamente le motivazioni di questa eventuale scelta nei provvedimenti di nomina del RPC e RT e garantiscano il coordinamento delle attività svolte dai due responsabili, anche attraverso un adeguato supporto organizzativo”.
Il contenuto letterale della disposizione non prevede affatto, dunque, l’obbligo di avere, in ogni ente e amministrazione, un unico responsabile per la prevenzione della corruzione e trasparenza, quindi l’indicazione del relatore circa la presunta illegittimità della nomina del RT appare non ancorata a nessuna fonte normativa. Resta pertinente, invece, la specificazione dell’ANAC, la quale raccomanda che l’atto di nomina emanato dal sindaco sia debitamente motivato, circa le ragioni (legate a obiettive difficoltà organizzative) del discostamento dal “di norma”.
Se l’ente intende confermare la propria posizione di avere due distinti responsabili (RT e RPC), sarà poi necessario definire nel PTPCT gli ambiti di collaborazione sinergica tra le due figure, tenendo comunque conto che la redazione della proposta del PTPCT, compresa la sezione dello stesso dedicata alla Trasparenza, compete esclusivamente al Responsabile della prevenzione della corruzione, come previsto dall’articolo 1, comma 8, della legge 190/2012. Stessa cosa vale per la relazione annuale recante i risultati dell’attività svolta, prevista dal comma 14, del citato articolo 1, della Legge Severino.
Si ricorda, infine, che i dati relativi al Responsabile della trasparenza e al Responsabile della prevenzione della Corruzione vanno pubblicati su Amministrazione trasparente, all’interno della sotto-sezione: Altri contenuti > Prevenzione della Corruzione (21.07.2020 - link a www.publika.it).

PUBBLICO IMPIEGOL’ufficio personale di un ente strumentale della Regione ha ricevuto le dimissioni di un proprio dipendente di ruolo a tempo indeterminato per aver raggiunto i requisiti per il collocamento a riposo con la c.d. "Quota 100".
Le suddette dimissioni sono state presentate in modalità cartacea, ma il dipendente ha avvertito per le vie brevi che avrebbe proceduto all'immissione delle stesse mediante l'applicativo informatico dedicato.
Si chiede se la forma di presentazione cartacea sia ancora valida e se pertanto le dimissioni sono da considerare già efficaci.

Il D.M. 15.12.2015 (Ministro del Lavoro e delle politiche sociali) in attuazione della previsione contenuta nel D.Lgs. 14.09.2015, n. 151, ha previsto, che a partire dal 12.03.2016, le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura on-line accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (c.d. ClicLavoro).
Il successivo D.Lgs. 24.09.2016, n. 185, all'art. 5, comma 6,, in modifica dell'art. 26, D.Lgs. 14.09.2015, n. 151 sopra richiamato, recita che "le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165".
Nel ricordare che il decreto istitutivo del pensionamento anticipato con la c.d. "Quota 100", prevede in capo ai Pubblici Dipendenti l'obbligo di presentare le proprie dimissioni con un preavviso di almeno sei mesi (art. 14, D.L. 28.01.2019, n. 4), l'Ente Regionale rientra evidentemente a pieno titolo tra le Amministrazioni Pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 (Per amministrazioni pubbliche si intendono …….le Regioni, …….e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, ……..tutti gli enti pubblici non economici …... regionali) e pertanto è escluso dall'applicazione della procedura on-line di cui trattasi.
Questo implica che, in riferimento al quesito posto, le dimissioni del dipendente presentate al protocollo dell'Ente in modalità c.d. "cartacea" sono immediatamente efficaci, fermo restando la verifica sui requisiti dichiarati.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 14.09.2015, n. 151 - D.M. 15.12.2015 del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali - D.Lgs. 24.09.2016 n. 185 - D.L. 28.01.2019, n. 4
(15.07.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTIPubblicità legale e amministrazione trasparente.
Domanda
Per il raggiungimento delle finalità previste dalla pubblicità legale di bandi o avvisi è sufficiente pubblicare nella sezione “Amministrazione trasparente” ed in particolare nelle varie sotto-sezioni individuate in base alla tipologia di prestazione?
Risposta
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 14.03.2013 n. 33 “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazione”, ed in particolare dell’art. 37 si sono delineati due sistemi diversi di pubblicità in materia di contratti pubblici di appalti e concessioni. Uno che attiene agli obblighi di pubblicità legale, ed un altro legato al concetto di trasparenza quale strumento di controllo da parte dei cittadini sull’attività amministrativa e sull’utilizzo corretto delle risorse pubbliche, anche quale misura di prevenzione della corruzione.
Tale articolo va collegato con le disposizioni codicistiche e con il decreto del MIT del 02.12.2016 “Definizione degli indirizzi generali di pubblicazione degli avvisi e dei bandi di cui gara di cui agli artt. 70, 71 e 98 del d.lgs. 50/2016”, operazione non particolarmente semplice per il difetto di coordinamento di alcune disposizioni.
Nello specifico gli artt. 72, 73 e 98 del d.lgs. 50/2016 riguardano quella forma di pubblicità che possiamo definire indispensabile per la validità stessa delle procedure, essendo finalizzata a rendere le gare conoscibili e accessibili per l’attuazione di quell’imprescindibile principio comunitario in materia di appalti e concessioni, ossia la libera concorrenza.
Affinché tale forma di pubblicità produca gli ulteriori effetti giuridici che gli sono propri, e quindi in base al valore delle procedure, la decorrenza ad esempio dei termini per la partecipazione, nonché quelli relativi all’impugnazione dei bandi di gara e/o avvisi, si ritiene che gli stessi debbano essere pubblicati sul profilo committente, nella sezione dedicata, denominata Bandi di gara, direttamente raggiungibile dalla home page, con funzione appunto di albo on-line (cfr. art. 4 del d.P.C.M. del 26.04.2011 “Pubblicazione nei siti web di atti e provvedimenti su procedure ad evidenza pubblica o di bilanci”).
Il richiamo al profilo committente, come sezione diversa rispetto all’Amministrazione trasparente, di cui ovviamente si consiglia un link di collegamento per evidenti ragioni di semplificazione, sembra ricavarsi anche da una lettura combinata degli artt. 73, co. 4, 36, co. 9, del d.lgs. 50/2016, art. 2, co. 1 del D.M. 02.12.2016.
In “Amministrazione trasparente” vengono poi pubblicate sia le informazioni in formato tabellare di cui all’art. 1, co. 32, della l. 190/2012, nonché tutte quelle previste dallo stesso codice dei contratti ed in particolare dall’art. 29, come specificate nella delibera ANAC n. 1310 del 28.12.2016 “Prime linee guida recanti indicazione sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato da d.lgs. 97/2016”. Elenco che richiama anche la pubblicazione di bandi, avvisi ed esiti, seppur per finalità diverse.
Probabilmente la volontà del legislatore era quella di attribuire all’“Amministrazione trasparente” la doppia funzione di pubblicità legale e di informazione generale, tanto che molte amministrazioni hanno eliminato la sezione dedicata di cui al sopra citato d.P.C.M. 26.04.2011.
Tuttavia, in assenza di un chiarimento a livello prudenziale si consiglia di mantenere separate le due sezioni prevedendo nell’home page sia quella denominata “Bandi di gara” ove pubblicare tutti i bandi, gli avvisi e gli esiti, con un link diretto all’“Amministrazione trasparente” e alle varie sotto-sezioni di riferimento (15.07.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVIRPCT e attestazione obblighi trasparenza.
Domanda
Sono un RPCT e nel mio comune l’OIV non mi ha coinvolto affatto nella procedura per l’attestazione del corretto adempimento degli obblighi, richiesta dalla delibera ANAC n. 213/2020, mentre il mio collega di un altro ente locale mi riferisce di aver condotto le verifiche e predisposto le griglie in totale autonomia, in quanto l’OIV non si è affatto interessato della questione.
Vorrei sapere quale è la procedura corretta e se devo prendere qualche iniziativa.
Risposta
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha adottato la delibera n. 213 del 04.03.2020, nell’esercizio delle funzioni di controllo di cui all’art. 45, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 (c.d. “decreto trasparenza”).
Per espressa formulazione, l’ANAC si rivolge sia alle Amministrazioni e agli altri soggetti di cui all’art. 2-bis, ai quali si applica il decreto trasparenza, sia ai rispettivi Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV) o organismi con funzioni analoghe, chiamati ad attestare l’assolvimento degli obblighi di pubblicazione, ai sensi dell’art. 14, comma 4, lett. g), del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150.
Come noto, l’OIV rappresenta una figura di riferimento per l’ANAC, in merito all’attuazione degli obblighi di trasparenza, analogamente al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT), che è un soggetto interno all’amministrazione.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 45, comma 2, del d.lgs. 33/2013, “L’autorità nazionale anticorruzione controlla l’operato dei responsabili per la trasparenza a cui può chiedere il rendiconto sui risultati del controllo svolto all’interno delle amministrazioni. L’autorità nazionale anticorruzione può inoltre chiedere all’organismo indipendente di valutazione (OIV) ulteriori informazioni sul controllo dell’esatto adempimento degli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente”.
Dal canto suo, il RPCT è la figura chiave in materia di trasparenza all’interno dell’Amministrazione, dovendo svolgere un ruolo stabile di promozione e controllo del rispetto degli obblighi di pubblicazione, ai sensi dell’art. 43, del d.lgs. n. 33/2013 e, prima ancora, della “legge Severino” (legge 06.11.2012, n. 190).
Premesso che, tra l’OIV e il RPCT deve instaurarsi, in materia di trasparenza e in generale di prevenzione della corruzione, un rapporto di piena e stretta collaborazione, va precisato che, con riferimento al caso specifico –attività di verifica del corretto assolvimento degli obblighi– la scelta in merito alle modalità di coinvolgimento del RPCT è rimessa alla discrezionalità dell’OIV.
Ai sensi dell’8-bis, della legge 190/2012, infatti “l’Organismo medesimo può chiedere al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del controllo”.
Coerentemente con tale quadro normativo, nella delibera ANAC n. 213/2020, si dice che, ai fini della predisposizione dell’attestazione, “gli OIV, o gli altri organismi con funzioni analoghe, si possono avvalere della collaborazione del RPCT il quale, ai sensi dell’art. 43, co. 1, del d.lgs. 33/2013, «svolge stabilmente un’attività di controllo sull’adempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, assicurando la completezza, la chiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubblicate», segnalando anche agli OIV «i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione».”.
Non si può, dunque, stabilire a priori quale delle prassi adottate nei due comuni sia corretta. È chiaro che la responsabilità di quanto riportato nella attestazione è essenzialmente dell’OIV, il quale non può certo disinteressarsi dell’istruttoria, dovendola recepire nella sottoscrizione del documento di cui all’Allegato 1, della delibera 213/2020.
Le procedure e le modalità, seguite dall’OIV per la rilevazione, devono essere indicate nella scheda di sintesi di cui all’Allegato 3, della medesima delibera, nella quale si forniscono i seguenti suggerimenti:
A titolo esemplificativo e non esaustivo, si indicano alcune modalità, non alternative fra loro, che potrebbero essere seguite:
   • verifica dell’attività svolta dal Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza per riscontrare l’adempimento degli obblighi di pubblicazione;
   • esame della documentazione e delle banche dati relative ai dati oggetto di attestazione;
   • colloqui con i responsabili della trasmissione dei dati;
   • colloqui con i responsabili della pubblicazione dei dati;
   • verifica diretta sul sito istituzionale, anche attraverso l’utilizzo di supporti informatici
.”
È corretto d’altro canto che, qualora il RPCT non venga per nulla coinvolto nell’attività di controllo, si chieda se e in che termini proporre all’OIV la propria collaborazione, essendo legittimato senz’altro a prendere l’iniziativa, ai sensi degli articoli 43 e 44, del d.lgs. 33/2013 e articolo 1, comma 7, della legge 190/2012.
Al di là dell’obbligo di segnalare eventuali disfunzioni o situazioni di mancato o ritardato adempimento, resta inteso che il RPCT può trasmettere all’OIV, in sede di attestazione annuale come anche in corso d’anno, le proprie valutazioni positive, relazionando sulle modalità di assolvimento degli obblighi di trasparenza e sul grado di attuazione di quanto previsto nel Piano Triennale di Trasparenza e Prevenzione della Corruzione (14.07.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI FORNITUREImputazione a bilancio delle fatture per conguaglio di utenze: il recente parere della corte dei conti valdostana.
Domanda
A fine maggio ho ricevuto alcune fatture per conguagli delle utenze di luce e acqua relative al 2019. Non avendo conservato alcun residuo passivo a consuntivo, è possibile impegnarle sul 2020?
Risposta
Il tema posto dal lettore si presenta con una certa frequenza agli uffici finanziari e agli uffici tecnici dei comuni e meriterebbe un più ampio approfondimento. Molto spesso le fatture a conguaglio delle utenze pervengono nell’anno successivo a quello di riferimento. Come comportarsi allora?
Su di esso le sezioni regionali della Corte dei conti sono intervenute più volte in passato. Di recente lo ha fatto la sezione Valle d’Aosta con il parere 24.04.2020 n. 4 in risposta ad un quesito posto dal comune di Saint-Vincent.
Il quesito posto atteneva a fatture relative a consumi dell’anno 2019 per le quali non è stato possibile assumere il relativo impegno di spesa nel corso dell’anno passato. Va evidenziato che in esso non si precisava se le fatture fossero state emesse nel 2020 o nel 2019. La sezione regionale afferma che quelle per utenze sono il tipico esempio di spese a carattere continuativo, per le quali la somma da pagare non è determinata, bensì solo genericamente determinabile a priori.
Il relativo impegno di spesa è pertanto inevitabilmente presunto. Qualora poi, nel corso dell’esercizio emergano maggiori somme dovute rispetto a quelle impegnate, l’ordinamento contabile prevede appositi strumenti di copertura, quali la variazione di bilancio (art. 175 TUEL) o il prelevamento dal fondo di riserva (artt. 166 e 176 TUEL), di competenza, rispettivamente, dell’organo consiliare e dell’organo esecutivo dell’ente locale.
Per la sezione valdostana siamo in presenza di un debito fuori bilancio riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL. Diversamente, sostiene la Corte, verrebbe disatteso il principio per il quale gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste il previo impegno contabile, registrato sul competente programma del bilancio di previsione e la relativa attestazione di copertura finanziaria.
Il bilancio di previsione è triennale ed autorizzatorio e, come tale costituisce “(…) limite, partitamente per ciascuno degli esercizi considerati, ai relativi impegni e pagamenti (…)”. Non è possibile, conclude la Corte, “(…) allocare le maggiori somme maturate nel corso dell’esercizio finanziario di competenza su impegni di spesa relativi a programmi di bilancio di anni successivi (…)”.
Il parere sopra illustrato è tranchant e non lascia dubbi, né alternative. Esso si pone però in netto contrasto con un parere reso nel 2015 dalla sezione Lombardia a fronte di analogo quesito. Con proprio parere 23.02.2015 n. 82 essa era giunta a conclusioni diametralmente opposte e ben più condivisibili.
Dopo un’interessante disamina degli strumenti del ‘debito fuori bilancio’ e delle ‘passività pregresse’, nonché delle distinte nozioni di ‘competenza finanziaria’ e di ‘competenza economica’ che, afferma la Corte, “(…) tendono a disallinearsi, vale a dire [che] l’imputazione temporale di un costo è di norma diversa da quella che caratterizza l’esigibilità del credito da parte del creditore (…)”, giunge alle seguenti conclusioni: “(…) appare evidente che il debito in questione, relativo a conguagli per il consumo di energia elettrica in esercizi finanziari differenti, è per competenza finanziaria riferibile solo all’anno delle liquidazione degli importi; pertanto, l’imputazione al bilancio non può che avvenire nell’anno della comunicazione della fattura con la procedura ordinaria di spesa (art. 191 TUEL) mediante integrazione dell’impegno di spesa sino alla concorrenza del dovuto e, in caso di incapienza dei capitoli, mediante le necessarie variazioni di bilancio, sotto il controllo e il giudizio dell’organo deputato ad autorizzare e controllare la spesa, vale a dire il Consiglio comunale. Nel caso in cui, invece, al reperimento della fattura non sia seguito nello stesso anno regolare impegno e correlativa formazione di residui per gli anni successivi, esso costituirà debito fuori bilancio, riconoscibile nei termini e alle condizioni di cui all’art. 194 TUEL (…)”.
Concludendo, il recente parere della sezione valdostana appare essere assai più rigido di quello un po’ più datato, ma sicuramente più condivisile, della sezione lombarda. Ancora una volta, sarebbe auspicabile un orientamento univoco, che senz’altro darebbe maggiori certezze agli amministratori e ai funzionari degli enti locali (13.07.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPausa turnisti.
Domanda
Stiamo variando i turni del nostro personale che opera in una struttura sanitaria. La programmazione prevede turni di 7 ore al giorno e turni di 7,5 ore al giorno.
Il dubbio riguarda la legittimità di un turno che supera le 6 ore e l’obbligo della pausa.
Risposta
La disciplina contrattuale contenuta all’art. 26, CCNL 21.05.2018, enuclea la regola generale per cui il personale ha diritto di fruire di una pausa di almeno trenta minuti, quando la prestazione di lavoro giornaliero ecceda le sei ore, purché si tratti di personale non inserito in una organizzazione del lavoro per turni.
La nuova disposizione ha inteso salvaguardare quelle esigenze di continuità nello svolgimento delle attività e di erogazione dei servizi che sono collegati ad organizzazione di lavoro per turni. La deroga è, tuttavia, limitata solo sotto il profilo della durata e consentita solo nelle fattispecie considerate nell’art. 13 del CCNL 09.05.2006.
Ciò significa che l’obbligo di osservare una pausa per i lavoratori turnisti, non può essere dichiarato rinunciabile in ragione della formulazione contrattuale. Ciò che può essere operata è una compressione temporale della durata della pausa che comunque non può valicare il limite minimo fissato dalla fonte legale dei 10 minuti.
Detto in altri termini, l’ente può comprimere la sola durata della pausa obbligatoria per i lavoratori turnisti, in ragione delle esigenze prevalenti di servizio che richiedono di essere soddisfatte, ma non può tollerare il mancato godimento della stessa nella misura minima fissata dalla fonte legale. Non può nemmeno sopprimerla con atto unilaterale per evidente contrasto con la legge e con il contratto collettivo nazionale e tanto meno dichiarala rinunciabile dalla contrattazione integrativa non figurando questo profilo tra le materie ad essa demandate dal contratto nazionale.
Il quadro è coerente con le logiche insite nel rapporto tra fonte legale e fonte contrattuale così come enucleato nel testo unico del pubblico impiego. Dopo il d.lgs. 75/2017, la formulazione dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. 165/2001, significa un contratto che può derogare ad una norma di legge a meno che la stessa non lo escluda. Tale possibilità, tuttavia, è limitata esclusivamente alle materie sui cui il legislatore detta disposizioni che si applicano esclusivamente al pubblico impiego, mentre il d.lgs. 66/2003 è una norma che si applica a tutto il pubblico impiego.
È chiaro che nel caso in cui un reparto richieda la presenza minima in servizio di un certo numero di operatori, la pausa obbligatoria va goduta alternativamente e può evidentemente essere goduta anche prima dello scoccare delle 6 ore continuative di servizio, garantendo in questo modo sia il rispetto della norma che il godimento di quanto non si configura come rinunciabile (09.07.2020 - link a www.publika.it).

aggiornamento al 09.07.2020

CONSIGLIERI COMUNALIQuesto Comune sta continuando a svolgere le sedute di Giunta e Consiglio in modalità remota, ma sono giunte alcune lamentele a riguardo della mancata trasmissione via streaming delle sedute consiliari.
Il regolamento di funzionamento del Consiglio Comunale, essendo abbastanza datato ed in procinto di essere modificato, non prevede una disciplina.
E’ possibile procedere?

L’art. 73, comma 1, del D.L. “Cura Italia” 17.03.2020 n. 18 denominato “semplificazioni in materia di organi collegiali” recita testualmente che “al fine di contrastare e contenere la diffusione del virus COVID-19 e fino alla data di cessazione dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31.01.2020, i consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane e le giunte comunali, che non abbiano regolamentato modalità di svolgimento delle sedute in videoconferenza, possono riunirsi secondo tali modalità, nel rispetto di criteri di trasparenza e tracciabilità previamente fissati dal presidente del consiglio, ove previsto, o dal sindaco, purché siano individuati sistemi che consentano di identificare con certezza i partecipanti, sia assicurata la regolarità dello svolgimento delle sedute e vengano garantiti lo svolgimento delle funzioni di cui all'articolo 97 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, nonché adeguata pubblicità delle sedute, ove previsto, secondo le modalità individuate da ciascun ente”.
Pertanto, la normativa emergenziale che ha consentito lo svolgimento delle sedute degli organi collegiali degli Enti Locali in modalità “da remoto” anche in assenza di apposita regolamentazione dell’Ente pone una serie di questioni e di paletti nella sua applicazione:
   • tale possibilità, in assenza di regolamentazione, è valida fino alla cessazione dello Stato di emergenza (attualmente al 31 luglio p.v.);
   • i criteri, per ciò che concerne nello specifico lo svolgimento del Consiglio Comunale, devono essere preventivamente fissati da apposito decreto del Presidente del Consiglio (o del Sindaco se non previsto dalla legge o dallo Statuto);
   • deve essere garantita l’adeguata pubblicità delle sedute.
In linea generale, tanto la normativa sulla privacy (il garante si è espresso con un parere abbastanza datato nel marzo 2002) che il Ministero dell’Interno (con un primo parere del 20.12.2004 ed un successivo molto più recente del 28.06.2018) hanno chiarito la possibilità della ripresa, registrazione e diffusione delle immagini delle sedute consiliari, previa l’adozione di apposita regolamentazione ed informativa resa ai presenti.
Il Ministero dell’Interno, nel primo parere più datato del 2004, addirittura prevedeva, in assenza di regolamentazione, la possibilità di disciplinare la fattispecie, volta per volta, da parte del Presidente del Consiglio.
Detto tutto ciò, possiamo affermare che, almeno fino alla cessazione dello Stato di Emergenza ed in assenza di regolamentazione nonché di previsione normativa specifica, il Presidente del Consiglio (o il Sindaco qualora ricorra la fattispecie) può disciplinare con proprio decreto le specifiche modalità di registrazione, trasmissione e diffusione delle sedute consiliari che si svolgono con le modalità di cui al citato D.L. 18/2020 in modo da garantire quei criteri di trasparenza e pubblicità dallo stesso richiamati (es. diretta sul sito web del Comune, diretta facebook). Lo stesso decreto potrà, ad esempio prevedere che la registrazione (e la conseguente diffusione extra canali istituzionali) non possa essere effettuata in proprio né dai consiglieri comunali e né dai cittadini che assistono virtualmente alla seduta.
Successivamente, qualora l’Ente terminato lo Stato di Emergenza, decida di dotarsi di apposita regolamentazione per lo svolgimento dei lavori anche in modalità “da remoto”, potrà procedere alla registrazione, trasmissione e diffusione delle immagini esclusivamente con le modalità che saranno ivi disciplinate.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.L. 17.03.2020. n. 18 - Parere garante Privacy Marzo 2002 - Parere Ministero Interno 20.12.2004 - Parere Ministero Interno 28.06.2018 (08.07.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTIIn tema di margine di utile e fissazione di soglie nella legge speciale di gara.
Domanda
Nella predisposizione di alcuni appalti di servizi, come RUP, mi sto ponendo la questione sul margine di utile spesso oggetto di contestazione che in passato ha determinato frequenti richieste di accesso dei vari concorrenti.
A questo punto, volevo capire se nella legge speciale di gara (nelle lettere di invito, per essere più chiaro), potevo inserire un margine minimo di utile e se ciò sia corretto.
Risposta
La questione del margine dell’utile, evidentemente, rappresenta uno degli aspetti più delicati nella analisi/scomposizione dell’offerta soprattutto, poi, in fase di verifica della potenziale anomalia considerato che i vari concorrenti (ed in particolare quelli ben posizionati nella gradutatoria finale) possono presentare richieste di accesso agli atti per verificare la “credibilità/congruità/sostenibilità” della proposta tecnico/economica dell’aggiudicatario.
Venendo poi alla possibilità (o meno) del RUP di prevedere già in fase di gara una percentuale di utile minimo indispensabile (che le varie proposte economiche già debbano assicurare), pare di poter esprimere immediatamente un parere negativo: non è possibile procedere con la fissazione formale dell’utile minimo.
Però, a corredo, occorre fare un ulteriore ragionamento. E’ chiaro che nel momento in cui il RUP procede con la “costruzione” della base d’asta, un margine di utile deve pur prevederlo o meglio deve prevedere, al netto dei vari costi, un minimo di margine di utilità per chi partecipa alla gara visto che non sono nè serie né ammissibili partecipazione in perdita. Anzi, queste sono sicuramente da respingere visto l’insidia costituita dall’ottenimento di prestazioni assolutamente inaccettabili da parte della stazione appaltante (prestazioni scadenti sotto vari profili).
Quindi, se nella costruzione della base d’asta il RUP deve tener conto di un vantaggio economico (che costituisce anche incentivo a partecipare alla competizione), è altrettanto vero che non può porre dei limiti visto che la partecipazione può essere utile ed opportuna all’appaltatore anche per il curriculum derivante dalla partecipazione alla competizione.
Tale considerazione è stata di recente ribadita dal Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza del 25.06.2020 n. 4090 in relazione alla dinamiche che il RUP deve presidiare nella verifica della congruità dell’offerta.
Il giudice di Palazzo Spada, ossequiando l’orientamento consolidato, ha evidenziato che secondo le stabili indicazioni giurisprudenziali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 269 del 17.01.2018), “al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico”.
Paradossalmente un limite generico può essere individuato nell’utile pari a zero: circostanza questa che solleciterà l’adeguata verifica di congruità fermo restando che solo l’aggiudicazione di offerta in perdita deve essere considerata assolutamente patologica ed in quanto tale inaccettabile (08.07.2020 - link a www.publika.it).

PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALILe dichiarazioni del d.lgs. 39/2013: obblighi e verifiche.
Domanda
Le dichiarazioni in materia di inconferibilità e incompatibilità, previste dall’articolo 20, del d.lgs. 39/2013, vanno presentate ogni anno?
E che obblighi di pubblicazione sono previsti?
Risposta
La materia del quesito è disciplinata dal decreto legislativo 08.04.2013, n. 39, recante “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 06.11.2012, n. 190”.
L’art. 20, comma 1, del d.lgs. 39/2013, prevede che all’atto di conferimento dell’incarico i dirigenti, il segretario comunale e le posizioni organizzative negli enti senza dirigenti (ex art. 2, comma 2, d.lgs. 39/2013), compresi gli incarichi conferiti ai sensi dell’art. 110, del TUEL 267/2000, abbiano l’obbligo di presentare una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di inconferibilità del citato decreto legislativo. Come aggiunge il comma 4, del medesimo articolo, la dichiarazione è condizione per l’acquisizione dell’efficacia dell’incarico.
Il comma 2, dell’articolo in trattazione, invece, prevede che i titolari degli incarichi di cui sopra, annualmente debbano presentare una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di incompatibilità, trattate nel d.lgs. 39/2013.
Le due dichiarazioni (comma 3), vanno pubblicate nel sito web del comune, nella sezione Amministrazione Trasparente > Personale.
Se, come spesso accade nei comuni piccoli e medi, gli incarichi di posizione organizzativa hanno durata annuale, risulta evidente che le due dichiarazioni vanno rese simultaneamente, anche utilizzando un unico modello, come da fac-simile, che si allega alla presente risposta.
All’ente, ricevute le dichiarazioni e pubblicatele nel sito, resta l’obbligo di procedere alla verifica, anche a campione, come previsto dalla delibera ANAC n. 833 del 03.08.2016, recante “Linee guida in materia di accertamento delle inconferibilità e delle incompatibilità degli incarichi amministrativi da parte del responsabile della prevenzione della corruzione. Attività di vigilanza e poteri di accertamento dell’A.N.AC. in caso di incarichi inconferibili e incompatibili”.
Pertanto, è opportuno prevedere nel Piano Triennale Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) delle idonee misure di verifica sulle dichiarazioni rese dai soggetti che ne sono obbligati. Tra le più semplici ed efficaci è prevista quella di richiedere il certificato penale e carichi pendenti dei soggetti interessati, onde verificare la non presenza di sentenza, anche non passate in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I, del titolo II, del libro secondo del codice penale, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale (c.d. patteggiamento) (07.07.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALIRientrano nel limite di indebitamento (art. 204 TUEL) le lettere di patronage ‘forte’ a meno che l’ente costituisca apposito accantonamento di bilancio.
Domanda
Da pochi mesi sono responsabile finanziario del mio comune. Nei giorni scorsi sono venuto a conoscenza di una lettera di patrongeforte’ sottoscritta dal sindaco a favore della società partecipata ‘X’. A bilancio non ve n’è alcuna traccia.
E’ corretto?
Risposta
Il tema delle lettere di patronage rilasciate a favore di società partecipate dagli enti locali è sempre di sicuro interesse. Anche per la Corte dei conti, che non a caso nei propri questionari sui rendiconti di esercizio ne chiede conto all’ente qualora ne ricorra la fattispecie. E, in tal caso, chiede di fornire ogni dettaglio sui destinatari delle operazioni, l’ammontare previsto, nonché il piano delle erogazioni ed il piano di ammortamento distintamente per quota capitale e quota interessi. L’ente dovrà altresì allegare le relative deliberazioni.
In più occasioni le singole sezioni regionali hanno fornito chiarimenti a fronte di specifici quesiti posti da enti locali. Da ultimo lo ha fatto la sezione Piemonte con deliberazione n. 36/2020/SRCPIE/PAR (qui il testo integrale).
Nell’esaminare il caso sottoposto e richiamando la deliberazione della Sezione Autonomie n. 30/2015, la sezione piemontese ricorda quanto disposto in materia dal punto 3.17 dell’allegato n. 4/2 al d.lgs. n. 118/2011. In particolare, evidenzia come la concessione di garanzie incida sulla capacità complessiva di indebitamento degli enti, e soggiace necessariamente ai limiti imposti dall’art. 119, ultimo comma, Cost. Questo, lo ricordiamo, vieta il ricorso all’indebitamento per spese diverse da quelle di investimento.
La vigente normativa in materia di garanzie prestate dagli enti locali trova l’unico temperamento nella clausola di salvezza, contenuta nella parte finale dell’art. 204, comma 1, del Tuel, laddove si prevede di escludere, dal calcolo del limite quantitativo di indebitamento, le rate sulle garanzie prestate, a condizione che l’ente abbia provveduto ad accantonare “l’intero importo del debito garantito”.
Solo in tal modo si realizza un’idonea copertura degli oneri conseguenti all’eventuale escussione del debito da parte del terzo, per il quale la garanzia è stata concessa. Secondo la sezione Autonomie, prosegue quella piemontese, il ricorso al termine “garanzie” di cui all’art. 204 del Tuel, va inteso in senso ampio. Esso ricomprende infatti tutti i negozi giuridici attualmente riconducibili a tale categoria, e pertanto non soltanto i contratti aventi natura fideiussoria (art. 207 del Tuel) ma “ogni negozio giuridico (es. contratto autonomo di garanzia, lettera di patronage ‘forte’) caratterizzato da finalità di garanzia e diretto a trasferire da un soggetto ad un altro il rischio connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale (Cassazione, Sezioni unite, sentenza n. 3947/2010)”.
L’orientamento della Corte dei conti per cui le lettere di patronage devono considerarsi una potenziale fonte di indebitamento, e come tali, da assoggettare ai limiti dettati ai sensi dell’art. 204 del Tuel è ormai consolidato. Ciò è vero anche nel caso in cui la sua sottoscrizione sia avvenuta da parte di organo non competente (nel caso di specie: il sindaco pro tempore: il che conferma, seppure indirettamente, che la competenza alla loro sottoscrizione è della parte tecnica, sebbene si tratti di pratica notoriamente disattesa).
Quindi, prosegue la sezione Piemonte, il riferimento va fatto al punto 5.5 del Principio contabile, il quale prevede che: “il trattamento delle garanzie fornite dall’ente sulle passività emesse da terzi è il seguente: al momento della concessione della garanzia, in contabilità finanziaria non si effettua alcuna contabilizzazione”, giacché il debito in oggetto è solo eventuale, e discende unicamente dall’ipotesi in cui la società partecipata –debitore principale– risulti inadempiente o insolvente “(…) nel rispetto del principio della prudenza, si ritiene opportuno che, nell’esercizio in cui è concessa la garanzia, l’ente effettui un accantonamento tra le spese correnti tra i “Fondi di riserva e altri accantonamenti”. Tale accantonamento consente di destinare una quota del risultato di amministrazione a copertura dell’eventuale onere a carico dell’ente in caso di escussione del debito garantito”.
In mancanza, verrebbe compromessa la veridicità e l’attendibilità del bilancio stesso, a meno che gli oneri per interessi, assunti con la lettera di patronage, siano computati nel calcolo del limite stabilito dall’art. 204 del Tuel.
Si perviene pertanto alla conclusione che l’esclusione dal calcolo dei limiti di indebitamento della quota interessi relativa alle garanzie prestate dagli enti territoriali, è consentita, nel rispetto dell’art. 204 del Tuel, soltanto nelle ipotesi di accantonamento dell’intero importo del debito garantito a “fondo rischi e passività potenziali”, vincolando così una quota del medesimo importo dell’avanzo di amministrazione.
Ciò permetterà infatti all’ente di sopperire tempestivamente in caso di riconoscimento (transattivo o giudiziale) della pretesa del terzo creditore. Infine, conclude la Corte, l’opzione contabile di cui al punto 5.5 dell’Allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011 non implica, nei confronti dei terzi, un tacito riconoscimento della fondatezza della loro pretesa (06.07.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAumento ore part-time.
Domanda
Aumento delle ore di un dipendente a part-time o trasformazione a tempo pieno: cosa cambia dal punto di vista delle capacità assunzionali?
Risposta
In base all’art. 3, comma 101, della l. 244/2007 la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a full time può avvenire nel rispetto e nelle modalità previste dalle disposizione vigenti in tema di assunzioni.
Secondo diverse pronunce della Corte dei Conti, un mero aumento orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, in assenza di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, non integra al contrario una nuova assunzione, sempre che ciò non costituisca una manovra elusiva (ex plurimis, Sez. controllo Lombardia n. 462/2012/PAR; Sez. controllo Campania n. 20/2014/PAR; Sez. controllo Sicilia n. 68/PAR/2017; Sez. controllo Sicilia n. 176/PAR/2017; Sez. controllo Molise n. 40/2017/PAR; Sez. controllo Abruzzo n. 12/2017/PAR).
E’ stato, invece, ritenuto elusivo l’incremento orario del rapporto di lavoro a tempo parziale a 35 ore settimanali (Sez. controllo Sardegna n. 67/2012/PAR; SS.RR. Sicilia, n. 96/2012/PAR; Sez. controllo Lombardia n. 462/2012/PAR).
Quindi, si ritiene che, ad esempio, un incremento da 15 a 20 ore del rapporto di lavoro a tempo determinato di un dipendente, nel rispetto dei vincoli in materia di spesa di personale e di reclutamento con rapporti flessibili, non debba seguire le procedure previste per una nuova assunzione (02.07.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOL'ufficio personale di questo Comune, con riferimento alla previsione di cui all'art. 87, comma 4-bis, D.L. 17.03.2020 n. 18 ed alla possibilità di cessione, tra pubblici dipendenti, delle ferie e dei riposi maturati (c.d. ferie solidali), chiede di chiarire la portata di tale disposizione, con particolare riferimento ai termini di fruizione di tale istituto nonché all'eventuale applicabilità anche alle ferie pregresse derivanti da annualità precedenti.
L'art. 87, comma 4-bis, D.L. 17.03.2020 n. 18 (c.d. Decreto "cura Italia") convertito, con modificazioni dalla L. 24.04.2020 n. 27 ha testualmente disciplinato che "fino al termine stabilito ai sensi del comma 1 (n.b. fino alla cessazione dello stato di emergenza al momento fissato al 31 luglio), e comunque non oltre il 30.09.2020, al fine di fronteggiare le particolari esigenze emergenziali connesse all'epidemia da COVID-19, anche in deroga a quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali vigenti, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, possono cedere, in tutto o in parte, i riposi e le ferie maturati fino al 31.12.2019 ad altro dipendente della medesima amministrazione di appartenenza, senza distinzione tra le diverse categorie di inquadramento o ai diversi profili posseduti. La cessione avviene in forma scritta ed è comunicata al dirigente del dipendente cedente e a quello del dipendente ricevente, è a titolo gratuito, non può essere sottoposta a condizione o a termine e non è revocabile. Restano fermi i termini temporali previsti per la fruizione delle ferie pregresse dalla disciplina vigente e dalla contrattazione collettiva".
Tale disciplina, pertanto, è andata ad integrare per il periodo di emergenza sanitaria legata alla diffusione del Coronavirus, l'istituto delle c.d. ferie solidali recepito, ad esempio, dall'art. 30 del nuovo CCNL del Comparto delle Funzioni locali per il triennio 2016/2018 (in vigore dal 21.05.2018 ed a seguito dell'introduzione di tale istituto nella normativa giuslavoristica con l'art. 24, D.Lgs. 14.09.2015, n. 151).
Premessa la disciplina normativa dell'istituto di cui trattasi, possiamo procedere a definire la portata applicativa in merito ai quesiti che sono stati posti all'attenzione, evidenziando innanzitutto che non sono stati registrati interventi esplicativi in materia, ad eccezione delle personale della Polizia di Stato per il quale si è espresso il Ministero dell'Interno, Direzione centrale per le risorse umane con una propria nota 27.05.2020 n. 333/A che comunque è possibile parzialmente mutuare quale riferimento. Sulla scorta di quanto innanzi possiamo tranquillamente affermare che tale nuova disposizione amplia in buona sostanza la possibilità di cessione delle ferie ai colleghi ed in particolare:
   - non vi è un limite di giorni cedibili
   - non vi sono causali vincolanti
   - riguarda tutte le ferie ed i riposi maturati alla data del 31.12.2019 e pertanto si estende anche ai riposi per il recupero psicofisico, ai quattro giorni all'anno di festività soppresse, e a quelli compensativi, ad esempio dello straordinario.
I vincoli da rispettare, pertanto, sono unicamente quelli imposti dalla contrattazione collettiva (ai sensi dell'ultimo capoverso dell'articolo in analisi) e dai quali dobbiamo snodare l'analisi per rispondere compiutamente a quanto richiesto e capire quindi quali siano i c.d. "giorni cedibili".
Secondo la disciplina contrattuale, infatti:
   - le ferie non richieste nell'anno di maturazione possono essere fruite entro il 30 aprile di quello successivo, fatte salve eccezionali ragioni organizzative in presenza delle quali la fruizione può essere procrastinata dal datore di lavoro fino al 30 giugno;
   - i riposi compensativi dello straordinario confluito in banca ore sono utilizzabili entro l'anno successivo a quello di maturazione, mentre i riposi compensativi maturati per il lavoro straordinario non retribuito vanno goduti compatibilmente con le esigenze di servizio.
L'interpretazione letterale della norma, pertanto, comporterebbe che possano essere ceduti solo quanto maturato nel 2019.
A tal uopo viene in aiuto all'odierna analisi e partendo dal concetto che le ferie maturate comunque non si perdono (in quanto destinate al recupero psicofisico del lavoratore), l'orientamento applicativo 795-18115 dell'Aran, secondo cui, nelle ipotesi (patologiche) di mancata fruizione delle ferie entro i termini di legge, il dipendente può fruirne anche al di là dei termini fissati ma è l'amministrazione, eventualmente, a fissare i periodi di fruizione, in applicazione dell'art. 2109 c.c. (le ferie sono assegnate dal datore di lavoro tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del lavoratore).
Per quanto esposto, si ritiene dunque che tale disciplina normativa consenta di cedere a propri colleghi anche le ferie derivanti da annualità precedenti.
Per ciò che concerne invece i termini di fruizione di tale istituto, in assenza come detto di una qualsiasi specificazione da parte degli organi competenti, non possiamo che rifarci alla letteralità della norma ove è previsto che "….entro il 30 settembre….i dipendenti….possono cedere…".
Tale termine del 30 settembre, pertanto, non può che riferirsi alla data limite entro la quale debba essere quantomeno manifestata l'intenzione (o ancor meglio concluso il procedimento con l'accettazione della controparte) di cedere i propri giorni di riposo maturati e non già quella entro la quale gli stessi debbano essere fruiti (anche per via del fatto che la norma recita che la cessione non può essere sottoposta a termine o condizione).
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 14.09.2015, n. 151, art. 24 - CCNL del Comparto delle Funzioni locali per il triennio 2016/2018, art. 30 - D.L. 17.03.2020 n. 18, art. 87 - L. 24.04.2020 n. 27 - Nota 27.05.2020 n. 333/A del Ministero dell'Interno
Documenti allegati

Orientamento applicativo n. 795-18115 dell'ARAN
(01.07.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTICosto della manodopera e piattaforma Mepa.
Domanda
E’ possibile richiedere in una RDO su Mepa l’indicazione obbligatoria da parte dell’operatore economico dei costi sulla manodopera di cui all’art. 95, co. 10, del d.lgs. 50/2016 direttamente in piattaforma, senza prevedere un allegato all’offerta economica?
Risposta
Sulla mancata indicazione dei costi della manodopera in sede di offerta economica ai sensi dell’art. 95, co. 10, del d.lgs. 50/2016, la recente giurisprudenza si è pronunciata in modo differente, sulla base delle diverse modalità di costruzione della gara nelle piattaforme telematiche, nonché del contenuto stesso della lex specialis.
Indipendentemente dall’esito delle decisioni, quello che rileva è il richiamo nelle varie pronunce alla decisione del giudice comunitario del 02.05.2019 C-309/18, che con riferimento allo specifico obbligo di indicazione dei costi della manodopera ha ritenuto “che i principi di certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previsti dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione (sul punto tale obbligo discende chiaramente dal combinato disposto degli artt. 95, co. 10 e 89, co. 9, del d.lgs. 50/2016). Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Fatta questa opportuna premessa, si riportano i passaggi da seguire in sede di costruzione di una RDO su Mepa per consentire agli operatori l’inserimento del proprio costo della manodoepra direttamente in piattaforma, in alternativa all’allegato all’offerta economica, ovviamente per quelle procedure di appalto diverse dalle forniture senza posa in opera, dai servizi di natura intellettuale e dagli affidamenti ai sensi dell’art. 36, co. 2, lett. a).
(... continua) (01.07.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAmministrazione trasparente: le sezioni sono obbligatorie?
Domanda
Sulla base del gestionale informatico che è stato acquistato di recente, abbiamo notato che nella sezione Amministrazione trasparente, compare anche la sotto-sezione "Strutture sanitarie private accreditate".
Essendo un ente locale (comune sotto 10.000 abitanti) è possibile eliminare la sotto-sezione dall’Albero?
Risposta
Come previsto nell’articolo 48, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, modificato dall’articolo 39 del d.lgs. 97/2016, all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) viene demandato il compito di definire i criteri, i modelli e gli schemi standard per l’organizzazione, la codificazione e la rappresentazione dei documenti, delle informazioni e dei dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, ai sensi della normativa vigente, nonché relativamente all’organizzazione della sezione «Amministrazione trasparente».
L’ANAC ha provveduto, da ultimo, a svolgere il compito assegnatole dal legislatore nazionale, mediante l’adozione dell’Allegato “1” alla delibera n. 1310 del 28.12.2016, dove sono state previste n. 26 sotto-sezioni di Livello 1, tra le quali, figura tutt’ora la sotto-sezione “Strutture sanitarie private accreditate” a cui si fa riferimento nel quesito.
Come ben specificato nel comma 4, dell’articolo 41, del d.lgs. 33/2013, l’obbligo riguarda la pubblicazione annuale dell’elenco delle strutture sanitarie private accreditate. Devono essere, inoltre, pubblicati gli accordi con esse intercorsi.
L’articolo 41, del decreto Trasparenza è, appunto, rubricato “Trasparenza del servizio sanitario nazionale”.
Tra i svariati compiti e funzioni riservati ai comuni dalle leggi nazionali e regionali non compare la competenza per l’accreditamento delle strutture sanitarie, compito che, come sappiamo, è svolto dalle regioni.
Chiarito, pertanto, che i comuni non sono soggetti a nessuna pubblicazione nella sotto-sezione in parola, resta da definire se è possibile eliminare la sotto-sezione dall’alberatura.
A parere di chi scrive, la risposta è negativa dal momento che il d.lgs. 33/2013, all’art. 48, comma 4, prevede che gli standard e i modelli dell’Alberto della Trasparenza debbano assicurare “la soddisfazione delle esigenze di uniformità delle modalità di codifica e di rappresentazione delle informazioni e dei dati pubblici”.
In aggiunta, si ricorda che l’Allegato A, del d.lgs. 33/2013, ben specifica che le sotto-sezioni devono essere denominate esattamente come indicato in Tabella 1, lasciando chiaramente intendere che la struttura di Amministrazione trasparente non è modificabile a piacere dai singoli enti. La stessa ANAC, a conferma di quanto sopra, suggerisce che non è consigliabile lasciare le sotto sezioni vuote. L’Autorità considera questi casi specifici, infatti, come omessa pubblicazione. Meglio inserire una dicitura (o un documento) che dia conto delle motivazioni della mancanza dei contenuti. Nel caso del vostro comune la dicitura che si consiglia di inserire è la seguente: “Disposizione non applicabile al comune. La sezione è di esclusiva competenza delle amministrazioni facenti capo al Servizio Sanitario Nazionale”.
Chiudiamo con un piccola curiosità.
Per formulare la presente risposta ci è capitato di consultare numerosi siti web, sezione Amministrazione trasparente di alcune pubbliche amministrazioni. Tra queste, per esempio, il sito della presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero della Salute, Ministero Interno, Giustizia, MIT, MIUR, Esteri e Ministero dello sviluppo economico (MISE). Oppure, restando ai comuni, quelli di Milano, Bologna, Roma e Napoli. Come verifica finale abbiamo pensato di andare a consultare l’Albero della Trasparenza di ANAC (se non lo sanno loro…)
Ebbene, in nessuno di questi siti, nella sezione Amministrazione Trasparente, compare il link “Strutture sanitarie private accreditate”, che risulta presente, invece, nei siti web del Garante privacy italiano, CNEL, ANCI (Ass. Comuni Italiani), Ministero della Difesa, AGID-Agenzia per l’Italia Digitale, Corte dei Conti, comune Trento, comune Catanzaro, Camera Commercio Padova, Le Gallerie degli Uffizi, eccetera eccetera.
Quindi, la risposta, revisionata, al quesito diventa la seguente “fate come volete” (30.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Dal 1° luglio scatta l’obbligo di inserire nei mandati di pagamento (OPI) la scadenza delle fatture.
Domanda
Se non ricordo male, sul finire del 2019 si parlava di nuovi adempimenti nel corso del 2020 a carico dei comuni per i mandati di pagamento di fatture elettroniche.
Di cosa si tratta? Mi potete aiutare?
Risposta
La novità oggetto del quesito è quella prevista dall’art. 50, comma 3, del d.l. n. 124/2019, come modificato dall’art. 1, comma 855, della legge n. 160/2019. Vediamo di cosa si tratta.
Tale norma prevede che: “Entro il 01.07.2020 le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31.12.2009, n. 196, che si avvalgono dell’Ordinativo Informatico di Pagamento (OPI) (…), sono tenute ad inserire nello stesso Ordinativo la data di scadenza della fattura. Conseguentemente, a decorrere dalla suddetta data, per le medesime amministrazioni viene meno l’obbligo di comunicazione mensile di cui all’articolo 7-bis, comma 4, del decreto-legge 08.04.2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.06.2013, n. 64”.
Quindi il nuovo obbligo, che decorre dal prossimo primo luglio (termine così anticipato dalla Legge di bilancio 2020 in luogo del precedente termine inizialmente fissato dal decreto legge n. 124/2019 al 01/01/2021), è proprio quello di inserire nei mandati di pagamento la data di scadenza delle fatture pagate. Essa dovrà essere inserita nel campo «data_scadenza_pagam_siope» del file XML dell’ordinativo di pagamento informatico.
Le software house che forniscono i gestionali della contabilità ai comuni dovrebbero essersi già adeguate da tempo, visto che la norma risale allo scorso anno, prevedendone l’automatismo. L’unica attività da svolgere in questi giorni è verificare se tale adeguamento sia già stato effettuato oppure no. In quest’ultimo caso si dovrà sollecitare la propria ditta fornitrice del software affinché vi provveda con la massima celerità. La data di scadenza viene ricavata dalla fattura elettronica che l’ente riceve dal fornitore attraverso lo SDI.
D’ora in poi, e ancora più che in passato, diviene fondamentale verificarne la correttezza da parte degli uffici ragioneria. Sono infatti frequenti i casi in cui la data di scadenza indicata in fattura dalla ditta creditrice non rispetti il dettato normativo di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 231/2002 (ovvero, di norma: trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura).
Spesso infatti essa coincide con la data di emissione della stessa fattura che, talora, è addirittura antecedente alla stessa data di ricezione da parte dell’ente destinatario. In tali casi è necessario modificarla manualmente all’interno del proprio gestionale in modo che essa venga correttamente riportata sull’OPI all’atto del suo pagamento. Viceversa, all’interno della PCC rimarrebbe la data di scadenza errata, a cui erroneamente potrà corrispondere un pagamento tardivo da parte dell’ente.
Ciò produrrebbe riflessi negativi sull’indicatore di tempestività dei pagamenti dei propri debiti commerciali, con importanti conseguenze in vista dell’avvio –dal 2021– della disciplina del nuovo Fondo garanzia pagamento debiti commerciali (FGDC) di cui ai commi 859 e seguenti della L. 145/2018. Ricordiamo infatti che quest’ultima obbliga gli enti che sono in ritardo nel pagamento dei propri debiti commerciali ad accantonare somme in tale Fondo. L’importo dell’accantonamento è crescente al crescere del ritardo con cui vengono pagate le fatture rispetto ai termini di legge stabiliti dall’art. 4 del d.lgs. 231/2002.
La stessa norma contenuta nel d.l. 124/2019 prevede inoltre che sempre a partire dal 01.07.2020 venga meno l’obbligo di comunicazione mensile di cui all’art. 7-bis, comma 4 del d.l. 35/2013. Di cosa si trattava?
Tale norma si riferiva all’obbligo per le amministrazioni pubbliche di comunicare entro il 15 di ciascun mese alla stessa PCC i dati relativi ai debiti non estinti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazioni, forniture e appalti e obbligazioni relative a prestazioni professionali, per i quali, nel mese precedente, fosse stato superato il termine di decorrenza degli interessi moratori di cui all’articolo 4 del suddetto d.lgs. 231/2002.
La ragione di tale abrogazione è evidente: visto che d’ora in poi la PCC ‘vede’ in autonomia la scadenza delle fatture, non avrà più bisogno che sia l’ente a comunicarle i pagamenti tardivi. Questi ultimi emergeranno automaticamente dal semplice confronto fra la data di scadenza della fattura e la data di emissione del mandato di pagamento (29.06.2020 - link a www.publika.it).

aggiornamento al 25.06.2020

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Congedo dei padri.
Domanda
Spettano anche nel 2020 i giorni di congedo obbligatorio e congedo facoltativo dei papà? Sono congedi utilizzabili anche dai neopapà dipendenti pubblici?
Risposta
La Legge di Bilancio 2020, all’art. 1, comma 342, si è occupata di modificare la Legge di disciplina dei congedi oggetto del quesito, prorogando e ampliando i congedi obbligatori in giorni 7 per l’anno 2020 e confermando in 1 giorno, il congedo facoltativo.
La legge di prima introduzione dei congedi è la Legge Fornero n. 92 del 28.06.2012 la quale ha inteso dare attuazione alla Direttiva 18/UE del Consiglio dell’Unione Europea dell’8 marzo 2010.
La Direttiva 2010/18 è stata abrogata e sostituita dalla Direttiva 2019/1158 del 20.06.2019, nella quale si invitano gli stati membri, entro il 2022, in relazione ai congedi di paternità, di adottare le misure necessarie a garantire al padre (secondo genitore) un congedo di paternità di 10 giorni lavorativi da fruire in occasione della nascita di un figlio.
Sin dal 2012, tuttavia, detti congedi non possono essere goduti dai neo papà lavoratori pubblici.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con nota del 20.02.2013, ha chiarito infatti che la disciplina non è direttamente applicabile ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e nessuna novità è intervenuta nel merito.
Questo a significare evidentemente che l’elemento di discriminazione tra lavoro femminile e maschile, quando riferito alla maternità, appare maggiormente tutelato nel pubblico impiego rispetto al modo privato.
L’obbligo di fruire di un congedo obbligatorio da parte del padre, entro i primi 5 mesi di vita del bambino, si prefigura infatti di contenere un diverso e discriminante trattamento nel rapporto di lavoro tra uomini e donne.
Il dettaglio della disciplina rispetto alle corrette modalità di utilizzo dei congedi è contenuto nel decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, del 22.12.2012.
Nel 2020, quindi, i neo papà lavoratori privati, avranno diritto:
   • 7 giorni di congedo obbligatorio
   • 1 giorno di congedo facoltativo
Le interferenze con il pubblico impiego riguardano la sola ipotesi in cui il padre goda del congedo facoltativo, in quanto, mentre il congedo obbligatorio si rappresenta come aggiuntivo rispetto ai congedi della madre, il congedo facoltativo è sostituivo e va ad inficiare la durata del periodo di astensione obbligatoria della madre.
L’ipotesi è quella di un padre lavoratore privato, e di una madre (dello stesso figlio) lavoratrice pubblica. Nel caso in cui il padre goda del giorno di congedo facoltativo, la madre lavoratrice pubblica, terminerà il periodo di astensione obbligatoria un giorno prima del previsto.
Il messaggio INPS n. 679 del 21.02.2020 recepisce il contenuto della Legge di bilancio e conferma le istruzioni di compilazione delle domande valevoli per i soggetti privati (25.06.2020 - link a www.publika.it).

TRIBUTI: L'ufficio Tributi di questo Comune intende procedere alla notifica dei c.d. "accertamenti esecutivi" durante il periodo di sospensione "Covid".
Quale è l'attuale disciplina con riferimento al termine attuale fissato al 31 agosto?

Per rispondere al quesito proposto occorre innanzitutto ripercorrere le tappe fondamentali della normativa di cui trattasi.
In primis
, fu il comma 1 dell'art. 67, D.L. 17.03.2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 24.04.2020, n. 27 a stabilire la sospensione, dall'8 marzo al 31.05.2020, dei termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori, ivi compresi quelli degli enti locali. È bene sottolineare che comunque questa disposizione non sospende l'attività degli enti impositori ma prevede esclusivamente la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza delle predette attività nel periodo individuato.
Il comma 1 dell'art. 68 dello stesso D.L. 17.03.2020, n. 18 dispone invece, con riferimento alle entrate tributarie e non tributarie, la sospensione dei termini dei versamenti, scadenti nel periodo dall'08.03. al 31.08.2020, derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, nonché dagli avvisi previsti dagli artt. 29 e 30, D.L. 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30.07.2010, n. 122 (avvisi di accertamento e riscossione emessi rispettivamente dall'Agenzia delle Entrate e dall'Inps).
Il successivo comma 2, poi, stabilisce che la sospensione in discorso si applica anche alle ingiunzioni di cui al R.D. 14.04.1910, n. 639, emesse dagli enti territoriali, nonché agli atti di accertamento esecutivo di cui all'art. 1, comma 792, L. 27.12.2019, n. 160.
Per completezza di analisi bisogna citare in ultimo anche la norma di cui all'art. 12, D.Lgs. 24.09.2015, n. 159 ("Sospensione dei termini per eventi eccezionali"), richiamata nel comma 1 dell'art. 68: nel periodo di sospensione in parola l'agente della riscossione non procede alla notifica delle cartelle di pagamento, come disposto dal comma 3 del medesimo art. 12. A chiarire però la portata di tali disposizioni, che a prima lettura sembrerebbero includere "nella scure" della sospensione anche la nuova fattispecie dell'accertamento esecutivo, è intervenuto, nei giorni scorsi, il Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle finanze con la propria Ris. 15.06.2020, n. 6/DF.
Tale documento, per ciò che concerne la fattispecie tributaria che si sta analizzando, ovvero quella dell'accertamento esecutivo, sottolinea che tale atto, di cui all’art. 1, comma 792, L. 27.12.2019, n. 160, racchiude in sé due distinti atti che prima della riforma caratterizzavano la riscossione, vale a dire l'avviso di accertamento o l'atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali e la cartella di pagamento o l'ingiunzione fiscale.
Sulla scorta di ciò, il Ministero ritiene che, nell'ambito dell'applicazione del richiamato art. 68, D.L. 17.03.2020, n. 18, tale atto possa rientrare solo dopo che lo stesso sia divenuto esecutivo ai sensi della lett. b), dello stesso comma 792, con la conseguenza che gli enti locali e i soggetti affidatari non possono attivare procedure di recupero coattivo né adottare misure cautelari, in accordo a quanto disposto dal comma 3 dell'art. 12, D.Lgs. 24.09.2015, n. 159, mentre, al contempo e per effetto dello stesso art. 68, per il contribuente è prevista la sospensione dei versamenti.
Pertanto, sulla scorta di quanto specificato dal MEF nella propria risoluzione, l'ufficio tributi è legittimato a procedere alla notifica degli atti di accertamento esecutivo anche durante il periodo di sospensione, individuato dall'art. 68, D.L. 17.03.2020, n. 18, che termina il 31.08.2020, in quanto tali atti racchiudono al loro interno sia l'atto di accertamento sia quello esecutivo.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 24.09.2015, n. 159, art. 12 - L. 27.12.2019, n. 160, art. 1, comma 792 - D.L. 17.03.2020, n. 18, art. 67 - D.L. 17.03.2020, n. 18, art. 68 - D.L. 17.03.2020, n. 18 - R.D. 14.04.910, n. 639 - L. 24.04.2020, n. 27 - Ris. 15.06.2020, n. 6/DF del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle finanze
 (24.06.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTIConsorzio e consorziate – onere di dichiarazione requisiti generali.
Domanda
Nel caso di consorzio di produzione e lavoro costituito a norma della legge 25.06.1909 n. 422 di cui all’art. 45, co. 2, lett. b), del d.lgs. 50/2016, in sede di gara è necessario richiedere e verificare i requisiti generali di tutte le consorziate, ancorché non indicate quali esecutrici della prestazione?
Risposta
I consorzi di cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25.06.1909 n. 422 si presentano come organismi con scopo mutualistico che acquisiscono appalti per conto delle consorziate, a cui forniscono un supporto tecnico oltre che economico. In particolare ai citati consorzi è consentita la partecipazione alle procedure di affidamento ai sensi dell’art. 45, co. 2, lett. b), del d.lgs. 50/2016, con indicazione in sede di offerta delle consorziate per le quali concorrono (art. 48, co. 7, del d.lgs. 50/2016).
La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi più volte sulla qualificazione del consorzio, come autonomo soggetto distinto dalle consorziate che lo compongono, orientamento sintetizzato da ultimo nella sentenza del C.d.S. 14.04.2020 n. 2387, che nel richiamare la propria decisione n. 6632 del 23.11.2018 ha rilevato:
   • che detti consorzi partecipano alla procedura di gara utilizzando requisiti loro propri, e nell’ambito di questi, facendo valere i mezzi nella disponibilità delle cooperative che costituiscono articolazioni organiche del soggetto collettivo, e cioè i suoi interna corporis;
   • ciò significa che il rapporto organico che lega le cooperative consorziate, ivi compresa quella incaricata dell’esecuzione dei lavori, è tale che l’attività compiuta dalle consorziate è imputata unicamente al consorzio;
   • il concorrente è quindi solo il consorzio, mentre non assumono tale veste le sue consorziate, nemmeno quella designata per l’esecuzione della commessa.
Il Consiglio di Stato ha dato una definizione del rapporto organico esistente tra il consorzio e le singole consorziate, quale situazione che non comporta un assorbimento della soggettività delle stesse, ma mero modello organizzativo che regola, per il caso di specie, la loro partecipazione alle procedure di gara.
In particolare il soggetto che presenta offerta è solo il consorzio di cooperative di produzione e lavoro, e non le consorziate, neppure quelle indicate per l’esecuzione delle prestazioni. Consorzio che ai sensi dell’art. 47, co. 1, del d.lgs. 50/2016 deve comprovare il possesso dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria secondo le modalità previste dal codice, nonché i requisiti generali di cui all’art. 80. Tale dichiarazione deve essere resa anche dalla/e consorziata/e esecutrice/i quale diretta conseguenza dell’esecuzione, proprio per evitare che l’ente collettivo diventi uno strumento di copertura per la partecipazione di soggetti privi dei requisiti generali di cui all’art. 80 del codice.
Pertanto, sulla base di questa condividibile sentenza non è necessario in sede di gara, richiedere e verificare il possesso dei requisiti generali in capo alle consorziate non esecutrici (24.06.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIDiffusione nominativi defunti covid-19 e tutela dei dati personali.
Domanda
Nel nostro Comune, da molti giorni non si registrano più nuovi contagi, ma il bollettino delle vittime purtroppo è stato elevato.
In occasione della cerimonia per festa del Patrono, il sindaco avrebbe intenzione di ricordare pubblicamente i nostri concittadini deceduti in conseguenza del COVID-19, ma vorremmo sapere se ci sono problemi di privacy.
Risposta
Il quesito posto richiede una premessa relativa al trattamento dei dati personali delle persone decedute.
Il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.04.2016 (GDPR), non contempla una disciplina specifica in merito, rinviando alla legislazione degli Stati membri. La clausola di salvaguardia contenuta nel Considerando 27, prevede che il presente regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute. Gli Stati membri possono prevedere norme riguardanti il trattamento dei dati personali delle persone decedute?
Il decreto legislativo 30.06.2003, n. 196 (Codice Privacy italiano), come ampiamente modificato dal decreto legislativo 10.08.2018, n. 101, disciplina, all’art. 2-terdecies, i diritti riguardanti le persone decedute, disponendo, al comma 1, che i diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione. Da ciò deduce che i dati personali del defunto meritano tutela sia nell’interesse del defunto stesso che dei suoi familiari.
Sul punto si espresso chiaramente il Garante per la protezione dei dati personali (Garante Privacy italiano) il 10.02.2019, con riferimento ad un diniego di accesso da parte di una azienda sanitaria al percorso clinico di un paziente, affermando che “ai dati personali concernenti le persone decedute continuano ad applicarsi le tutele previste dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali”.
Nel caso di specie occorre, peraltro, tener conto della circostanza che si tratta di persone decedute per contagio da COVID-19.
Come noto il Garante privacy, sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, ha ritenuto ammissibili le limitazioni del diritto alla privacy soltanto se giustificate dall’esigenza di contenere il contagio e dunque nella misura strettamente necessaria alla tutela del diritto alla salute della collettività
Il Comune detiene i nominativi dei soggetti colpiti da COVID-19 per finalità connesse alla gestione dell’emergenza e non può farne un uso diverso. Inoltre, la diffusione di dati relativi alla salute è vietata espressamente dall’art. art. 2-septies, comma 8 del Codice Privacy.
Il Garante Privacy ha ricevuto segnalazioni e reclami con i quali viene lamentata, da parte dei familiari, la diffusione sui canali social e sugli organi di stampa, anche on-line, di dati personali riguardanti soggetti risultati positivi al Covid 19. Nello stigmatizzare questo comportamento degli organi di stampa, il Garante precisa che l’obbligo di rispettare la dignità e la riservatezza dei malati vige anche per gli utenti dei social, a cominciare da alcuni amministratori locali, che spesso diffondono dati personali di persone decedute o contagiate senza valutarne interamente le conseguenze per gli interessati e per i loro famigliari.
Seppure l’iniziativa del comune finalizzata semplicemente a celebrare la memoria dei propri concittadini, considerate le circostanze della malattia e del decesso, è possibile che i parenti delle vittime vogliano mantenere il silenzio. A fronte di tale iniziativa, pertanto, non si può escludere il rischio di denunce nei confronti del comune per cui si consiglia, quanto meno, di acquisire il consenso dei familiari (23.06.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Durata turni.
Domanda
In caso di lavoro articolato in turni, ritenete che un turno di lavoro che va dalle 18.00 alle 23.00 possa essere considerato turno notturno?
In particolare, tenuto conto della durata (5 ore) e della fascia oraria che copre?
Risposta
La disciplina contrattuale contenuta all’art. 23 del CCNL 21.05.2018, individuando i criteri distintivi il lavoro in turno, rinvia a prestabilite articolazioni giornaliere effettuate in orario antimeridiano, pomeridiano e, se previsto, notturno, non precisando alcunché circa la durata minima o massima dei diversi turni di lavoro.
È del tutto evidente che la durata della prestabilita articolazione giornaliera dovrà tenere conto delle primarie esigenze di servizio da soddisfare e di quanto indicato al comma 3 del medesimo articolo di contratto:

3. Per l’adozione dell’orario di lavoro su turni devono essere osservati i seguenti criteri:
   a) la ripartizione del personale nei vari turni deve avvenire sulla base delle professionalità necessarie in ciascun turno;
   b) l’adozione dei turni può anche prevedere una parziale e limitata sovrapposizione tra il personale subentrante e quello del turno precedente, con durata limitata alle esigenze dello scambio delle consegne;
   c) all’interno di ogni periodo di 24 ore deve essere garantito un periodo di riposo di almeno 11 ore consecutive;
   d) i turni diurni, antimeridiani e pomeridiani, possono essere attuati in strutture operative che prevedano un orario di servizio giornaliero di almeno 10 ore;
   e) per turno notturno si intende il periodo lavorativo ricompreso dalle ore 22 alle ore 6 del giorno successivo; per turno notturno-festivo si intende quello che cade nel periodo compreso tra le ore 22 del giorno prefestivo e le ore 6 del giorno festivo e dalle ore 22 del giorno festivo alle ore 6 del giorno successivo.


Alla luce di quanto sopra precisato non si rinviene alcun divieto nel prevedere un turno di lavoro della durata di 5 ore a condizione ovviamente che il debito orario derivante dall’obbligazione contrattuale venga interamente assolto.
Per quanto attiene al secondo quesito, la disciplina delle turnazioni contenuta all’art. 23 del CCNL 21.05.2018 non individua le fasce orarie del turno antimeridiano e pomeridiano, limitandosi a delineare un turno diurno dalle ore 6 alle ore 22 ciò in quanto tale distinzione non assume rilevanza dal punto di vista della quantificazione dell’indennità, dal momento che in entrambi i casi si applica il compenso per il turno diurno stabilito nella maggiorazione oraria del 10%.
L’articolazione dei turni risponde a precise esigenze organizzative e funzionali del servizio da svolgere e l’assegnazione ad essi del personale, in linea con la disciplina contrattuale, dovrà rispondere a criteri di rotazione, equilibrio e avvicendamento.
La norma di legge che perimetria un limite non valicabile è l’art. 7 del d.lgs. 66/2003 dove individua nelle 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore, un diritto indisponibile non rinunciabile, fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati.
Questo significa che il “negativo” del riposo giornaliero si rappresenta in un intervallo temporale di 13 ore (24h – 11h), in linea teorica lavorabili dai dipendenti.
La fonte contrattuale intende e realizza di contenere la durata della prestazione giornaliera all’art. 38 del CCNL 14.09.2000, comma 6, dove dispone che la prestazione individuale di lavoro, a qualunque tritolo resa non può, in ogni caso, superare, di norma, un arco massimo giornaliero di 10 ore.
Premesso quanto sopra, risulta legittimo un turno di lavoro di 10 ore consecutive ma solo a condizione che venga rispettato il disposto dell’art. 26 del CCNL 21.05.2018, ovvero che il lavoratore, dopo 6 ore continuative di servizio, effettui una pausa non inferiore ai 10 minuti.
Pausa indisponibile, non rinunciabile e oggetto di timbratura (18.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Verifiche dei requisiti speciali tramite AVCPass.
Domanda
Al fine di verificare l’operatore economico aggiudicatario, in particolare per i requisiti generali, ricorro all’AVCPass.
È possibile utilizzare tale sistema anche per l’acquisizione d’ufficio dell’attestazione di regolare esecuzione di un servizio prestato presso altra pubblica amministrazione e dichiarato in sede di gara?
Risposta
L’AVCPass è uno strumento che attraverso un sistema di cooperazione applicativa con gli enti certificanti, consente alle pubbliche amministrazioni di acquisire i certificati a comprova del possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario dichiarati in sede di gara, ai fini della successiva stipula di un contratto pubblico.
Il presupposto affinché il RUP possa procedere alle verifiche attraverso questa modalità è la richiesta del CIG mediante SIMOG, nonché la specificazione in sede di definizione dello stesso, che trattasi appunto di una procedura non esclusa dall’acquisizione obbligatoria dei requisiti ai fini dell’AVCpass.
Si precisa che la richiesta del CIG nella forma del SIMOG è possibile anche per importi inferiori ad euro 40.000,00; modalità tra l’altro suggerita per ogni affidamento di valore superiore ad € 5.000,00, in ragione della tempestività del rilascio di alcuni dei certificati da richiedersi a comprova dei requisiti dichiarati in sede di gara.
È consigliato, inoltre, l’utilizzo dell’AVCPass anche per l’acquisizione d’ufficio dell’attestazione e/o certificazione o mera dichiarazione di regolare esecuzione di un servizio prestato presso una pubblica amministrazione, proprio per la pronta collaborazione degli enti coinvolti a fronte di una richiesta presentata per il tramite dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Da un punto di vista operativo sul portale dell’ANAC, anche in assenza della specifica riga relativa al requisito di ordine speciale-tecnico-professionale, è sempre possibile inviare una pec verso ente non in cooperazione (nello specifico un’altra pubblica amministrazione), selezionando una riga qualsiasi dei requisiti di ordine generale (cfr. immagine).

Quindi:

   • AVANTI
   • ALTRI DOCUMENTI
   • Ricercare nelle pagine a video la riga NON CLASSIFICATO – PEC VERSO ENTE NON IN COOPERAZIONE e selezionarla  (cfr. immagine)

   • AVANTI
   • Completare gli spazi indicando l’indirizzo pec del destinatario, l’indirizzo pec del richiedente , l’indirizzo pec a cui inviare la risposta, l’oggetto della richiesta e il testo della richiesta
   • Invia Richiesta  (cfr. immagine) (17.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIQuesto Comune, in data 10.05.2020, ha verificato ai sensi dell'art. 48-bis, D.P.R. 29.09.1973, n. 602 l'inadempienza di una ditta creditrice dell'Ente al momento dell'emissione di un mandato di pagamento dell'importo imponibile di euro 7.900.
Non avendo a tutt'oggi ricevuto alcuna notifica di pignoramento dall'agente della riscossione, a seguito dell'inadempienza, ci chiediamo come sia necessario procedere in tale situazione?

Come giustamente segnalato nel quesito proposto, l'art. 153, D.L. 19.05.2020, n. 34 (pubblicato in pari data sul supplemento ordinario n. 21 della Gazzetta Ufficiale n. 128) c.d. "Decreto rilancio" ha testualmente previsto che "nel periodo di sospensione di cui all'articolo 68, commi 1 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27 non si applicano le disposizioni dell'articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602".
Tale disposizione implica pertanto due diverse disposizioni:
   • per tutte le Pubbliche Amministrazioni, la sospensione dall'08.03. al 31.08.2020, delle verifiche di inadempienza da effettuarsi, ai sensi dell'art. 48-bis, D.P.R. 29.09.1973, n. 602, prima di disporre pagamenti -a qualunque titolo- di importo superiore a cinquemila euro;
   • la sospensione decorre dal 21.02.2020 per i soli contribuenti che, alla medesima data, avevano la residenza, la sede legale o la sede operativa nei comuni della c.d. "zona rossa" (allegato 1 DPCM 01.03.2020).
Lo stesso art. 153, nel secondo periodo, disciplina che "Le verifiche eventualmente già effettuate, anche in data antecedente a tale periodo, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, per le quali l'agente della riscossione non ha notificato l'ordine di versamento previsto dall'articolo 72-bis, del medesimo decreto restano prive di qualunque effetto e le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, nonché le società a prevalente partecipazione pubblica, procedono al pagamento a favore del beneficiario".
L'espressione letterale che prevede che "l'inadempimento resti privo di qualunque effetto se l'Agente di riscossione non ha notificato l'ordine di pagamento" comporta pertanto che tale sospensione si applichi anche a tutte le verifiche già effettuate nelle settimane passate e per cui, nonostante sul sistema di verifica risulti "un blocco" derivante dall'inadempimento, questo non debba essere considerato se, alla data di entrata in vigore del citato D.L. 19.05.2020, n. 34 (19.05.2020) l'Agente della riscossione non abbia notificato all'amministrazione procedente l'ordine di versamento della somma dovuta in luogo del pagamento in favore della ditta creditrice.
Per tutto quanto sopra esposto, si può affermare che nel caso di cui trattasi, l'Amministrazione potrà procedere all'emissione del mandato di pagamento in favore della ditta creditrice in quanto quest'ultima, seppur risultata inadempiente alla verifica di cui all'art. 48-bis, D.P.R. 29.09.1973, n. 602, l'Agente della riscossione non ha notificato l'ordine di pagamento entro la data di entrata in vigore della disposizione richiamata introdotta dal D.L. "Rilancio" (19 maggio u.s.).
----------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 29.09.1973, n. 602, art. 48-bis - D.L. 17.03.2020, n. 18, art. 68 - L. 24.04.2020, n. 27 - D.L. 19.05.2020 n. 34, art. 153
(17.06.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOIndicizzazione dei dati: quando è vietata.
Domanda
Il nostro Nucleo di Valutazione ci ha fatto notare che nell’attestazione da compilare per la rilevazione di quest’anno sugli obblighi di pubblicazione in Amministrazione Trasparente, c’è una novità riferita alle modalità adottate dall’ente per indicizzare o meno i dati pubblicati.
Cosa riguarda? Cosa dobbiamo fare?
Risposta
Il principale riferimento normativo rispetto a quanto l’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) chiede di dichiarare nel documento di attestazione, a cura degli Organismi Indipendenti di Valutazione –OIV– (o dei Nucleo di Valutazione), in occasione della rilevazione 2020 sulle pubblicazioni di Amministrazione Trasparente, è il cosiddetto decreto Milleproroghe (n. 162 del 30.12.2019), che prevede lo slittamento di una serie di termini legislativi in materia finanziaria, di organizzazione di pubbliche amministrazioni e magistrature.
Tra le varie disposizioni sostanziali, il Milleproroghe, l’articolo 1, comma 7-ter, nel testo introdotto dalle legge di conversione n. 8 del 28.02.2020, stabilisce che “non è comunque consentita l’indicizzazione dei dati e delle informazioni oggetto del regolamento di cui al comma 7”, diversamente da quanto dispone in merito il decreto Trasparenza (d.lgs. 33/2013) che evidenzia, invece, l’obbligo di indicizzazione in due specifiche norme:
   • all’articolo 9, comma 1;
   • articolo 7-bis, introdotto dal decreto legislativo n. 97/2016.
Il regolamento interministeriale citato con riguardo ai dati non indicizzabili, non è ancora stato adottato (lo sarà entro il 31.12.2020, salvo proroghe) e si riferisce, in particolare, ai dati e alle informazioni relativi ai titolari di incarichi politici, di direzione e di governo, oltre ai dirigenti e alle posizioni organizzative con funzioni dirigenziali, così come evidenziati dall’articolo 14, comma 1, del d.lgs. 33/2013, come modificato dal d.lgs. 97/2016. Tale regolamento, avrà lo scopo di individuare con precisione i dati e le informazioni –riguardanti i soggetti citati– che saranno oggetto di pubblicazione nella sezione di Amministrazione Trasparente del sito web istituzionale, sulla base di determinati criteri, secondo il (giusto) principio della “graduazione dell’obbligo”.
Pertanto, possiamo rappresentare il quadro normativo nel modo seguente:
   1. il decreto Trasparenza prevede l’obbligo generale di indicizzare i dati, evitando di disporre filtri o altre soluzioni tecnico–informatiche che impediscono ai motori di ricerca di rintracciare dati e informazioni pubblicate nella sezione del sito web istituzionale di Amministrazione Trasparente, permettendo, quindi, il loro riutilizzo nel rispetto dei principi sul trattamento dei dati personali;
   2. il decreto Milleproroghe introduce una misura di tutela disponendo, invece, che non siano indicizzabili i soli dati relativi ai titolari di incarichi politici, di direzione e di governo, oltre ai dirigenti e alle posizioni organizzative con funzioni dirigenziali.
È importante evidenziare che fino al 31.12.2020 –data ultima in cui il regolamento interministeriale dovrà essere adottato– risultano sospese le sanzioni disposte dal decreto Trasparenza (articoli 46 e 47) per la mancata pubblicazione dei dati e delle informazioni citate sopra al punto 2), nelle more dell’adozione di provvedimenti che chiariscano la questione sollevata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 20 del 23.01.2020.
Comunque, gli obblighi di pubblicazione di tali dati continuano a permanere! È stata temporaneamente sospesa solamente l’applicazione delle sanzioni.
Tornando a quanto riportato sul documento di attestazione, che deve essere compilato dall’Organismo Indipendente di Valutazione –OIV– (o dal Nucleo di Valutazione) in occasione della rilevazione 2020 sull’adempimento degli obblighi di pubblicazione in Amministrazione Trasparente, l’ente deve dichiarare, quindi, di essersi o meno già allineato alla normativa, comunicando all’OIV (o al Nucleo) se ha o meno adottato filtri e/o altre soluzioni tecniche, allo scopo di impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare ricerche che abbiano per oggetto i dati e le informazioni che il legislatore ha individuato come non rintracciabili (16.06.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOQuesto Comune ha avviato due procedure concorsuali a dicembre 2019 ma, a seguito della sospensione per l’emergenza coronavirus, non si sono ancora concluse.
Dopo l’emanazione del Decreto Interministeriale 17.03.2020 è ora possibile procedere alla conclusione delle suddette procedure con l’assunzione dei vincitori sulla scorta della programmazione del fabbisogno di personale 2019-2021?

Il Decreto Interministeriale 17.03.2020, emanato in attuazione dell’art. 33 del decreto-legge 30.04.2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28.06.2019, n. 58 (c.d. Decreto “Crescita”), non ha testualmente previsto alcuna disposizione transitoria per le procedure assunzionali già avviate prima dell’emanazione dello stesso.
Nelle scorse settimane, è divenuta pubblica una “bozza” di circolare esplicativa del Ministero della Funzione Pubblica (che però non è stata mai effettivamente emanata e pubblicata) che faceva salve dall’applicazione dei nuovi calcoli assunzionali tutte le procedure assunzionali per le quali, alla data di pubblicazione del suddetto Decreto Interministeriale in Gazzetta Ufficiale (27.04.2020), era stata avviata la procedura di mobilità obbligatoria ai sensi dell’ art. 34–bis del D.Lgs. 165/2001 ed era stata prenotata in bilancio la relativa spesa.
Nei giorni scorsi, però, in attesa della quanto mai attesa circolare esplicativa del Ministero, è intervenuta, con un proprio parere, la magistratura contabile della Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Lombardia (parere 29.05.2020, n. 74) che non può che essere attualmente l’unico riferimento da utilizzare per rispondere al quesito proposto.
Nel suddetto parere, i giudici contabili hanno sottolineato il fatto che, non essendo stata prevista nel decreto alcuna disciplina transitoria per le procedure in essere, l'applicazione delle disposizioni dettate dall'articolo 33, comma 2, del decreto legge n. 34/2019 (cosiddetto decreto Crescita) come attuato dal decreto 17.03.2020 avviene de plano su tutte le assunzioni non ancora concluse alla data di emanazione del decreto stesso.
La conseguenza di tale parere per gli Enti, è sicuramente quella di dover procedere alla riapprovazione dei piani triennali di fabbisogno di personale almeno per quei comuni in cui il decreto interministeriale 17.03.2020 consente minori spazi assunzionali rispetto a quelli previsti dal precedente sistema.
Secondo i giudici lombardi, infatti, il piano triennale del fabbisogno “essendo preliminare e distinto dalla procedura assunzionale, non può segnare con la sua adozione la data per l'individuazione della normativa da applicare a detta procedura, e segnatamente ai criteri di determinazione della relativa spesa, sottoposta, invece, sulla base del principio tempus regit actum, alla normativa vigente al momento delle procedure di reclutamento”.
Pertanto, sulla scorta di quanto detto, la risposta a quesito non può essere che orientata in tal senso: al fine di procedere alla conclusione delle procedure concorsuali in essere l’Ente dovrà innanzitutto calcolare la “propria posizione/capacità assunzionale” sulla base dei nuovi parametri individuati dal Decreto Interministeriale e se tale calcolo posizionasse l’Ente al di sopra delle soglie individuate lo stesso vedrà necessariamente una compressione della propria capacità assunzionale per dover rientrare nei parametri prescritti (entro il 2024) con l’immediata conseguenza di poter procedere alla conclusione delle prove concorsuali e alla conseguente assunzione dei vincitori solamente dopo aver proceduto all’approvazione del nuovo piano triennale del fabbisogno di personale sulla scorta dei nuovi parametri individuati dal Decreto Interministeriale e pertanto ritenendo ormai “superata” la programmazione 2019-2021 sulla scorta della quale le procedure sono state avviate.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
Decreto Interministeriale 17.03. 2020 - D.L. 30.04.2019, n. 34, art. 33 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 34–bis
Documenti allegati

Corte dei Conti Lombardia Sez. contr., Delib. 28.05.2020, n. 74
(10.06.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: MATERIALI DI RIPORTO.
Sono titolare di un’impresa edile che ha presentato al Comune un progetto che prevede la demolizione di alcuni vecchi edifici e la costruzione di una serie di villette, con la previsione della realizzazione di opere di urbanizzazione primaria a scomputo degli oneri anche su un terreno di proprietà del Comune.
Sennonché, ho scoperto che su tale terreno esiste una contaminazione storica in relazione al parametro amianto; inoltre è stata accertata la presenza saltuaria di piccoli frammenti contenenti amianto in matrice compatta. Ho quindi presentato un progetto di bonifica del terreno, ma il Comune l’ha respinto.
Come mai?

La questione è spinosa, e non conoscendo altri dati dalla vicenda (se non che esiste una “contaminazione storica” non meglio precisata) posso dirle quanto segue.
Partiamo dal quadro normativo.
Il Codice dell’ambiente disciplina, nella Parte Quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati.
L’art. 185, in particolare, esclude dall’applicazione della normativa sui rifiuti:
   - “il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminate” nonché
   - “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.
La disposizione in parola è stata oggetto d’interpretazione autentica, in base alla quale “i riferimenti al suolo” ivi contenuti “si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’Allegato 2 alla Parte IV del medesimo decreto legislativo, costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri”.
Inoltre, l’art. 183 TUA pone delle definizioni rilevanti, sempre ai fini dell’applicazione della normativa sui rifiuti, chiarendo tra l’altro che sono da considerarsi rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo”.
Alla luce di questo quadro normativo, il punto fondamentale per risolvere la questione è se sia o meno possibile ricondurre l’amianto presente nel suolo ai materiali di riporto e, quindi, assoggettarli all’intervento di bonifica (e non alla disciplina dei rifiuti che ne imporrebbe lo smaltimento).
Secondo una recente sentenza del TAR Milano (n. 2691/2019) il fatto che i materiali contenenti amianto (MCA) siano ex lege assimilabili alle matrici materiali di riporto (MMR) non comporta l’automatico assoggettamento alla disciplina sulle bonifiche, dovendo essere dimostrata, caso per caso, la riconducibilità in concreto dei residui di amianto a tale categoria di materiali: deve esserci una prova, a valle di un’indagine sull’origine e sulle caratteristiche merceologiche dei materiali in questione.
A mero titolo di esempio, l’accatastamento del materiale e la sua provenienza dalla demolizione delle case preesistenti sono due aspetti che, secondo la giurisprudenza, fanno propendere per l’inquadramento dei MCA come rifiuti.
Inoltre, a parere della giurisprudenza, quando l’amianto perde la sua destinazione d’uso e rischia di disperdere fibre nell’ambiente in concentrazioni superiori a quelle ammesse dall’art. 3, Legge n. 257/1992 può essere oggetto soltanto di smaltimento e non più di bonifica.
È necessario, pertanto, valutare caso per caso e verificare, in concreto, la riconducibilità dei MCA ai materiali di riporto, anche attraverso un’analisi dei “paletti” che la giurisprudenza ha messo nel tempo (Ambiente & Sicurezza n. 5/2020).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: ETERNIT, INERZIA DEL SINDACO, OMISSIONE ATTI D’UFFICIO.
Sono anni che segnalo al Sindaco la presenza nel cortile del mio vicino di lastre di eternit già sgretolate ed in pessime condizioni, ma il Comune non si è mai mosso.
Il Sindaco non è tenuto a fare qualcosa?

Assolutamente sì, specie in casi nei quali sono investiti aspetti sanitari.
Il Sindaco risponde infatti del reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 cod. pen.) se, a fronte di reiterate denunce di organi pubblici nonché di privati cittadini, omette di assumere qualunque iniziativa atta ad imporre al proprietario dell’amianto lo smaltimento dello stesso.
Il Sindaco avrebbe dovuto (dovrebbe ... non so se sia già stato indagato) emettere un’ordinanza contingibile e urgente per imporre al proprietario di intervenire con un progetto di rimozione e smaltimento, al fine di determinare la cessazione del pericolo di contaminazione delle aree territoriali limitrofe.
Ed è indubbia la sussistenza del pericolo per l’incolumità pubblica: la pericolosità dell’amianto consiste, infatti, come noto, nella capacità dei materiali da esso composti di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, laddove contenute in materiali friabili.
Sostanzialmente in questi termini si è espressa, di recente la Corte di cassazione penale (sentenza n. 1657/2019), relativa ad un caso analogo a quello da lei sinteticamente delineato nel suo quesito, riguardante lastre di eternit accatastate alla rinfusa, all’aperto, su un terreno privato.
La Cassazione ha rigettato il ricorso avverso la condanna ribadendo che trattasi di reato a consumazione istantanea che può, tuttavia, palesarsi sotto forma di rifiuto implicito, ovvero di persistente inerzia omissiva, senza che quindi lo si possa inquadrare come reato permanente.
In definitiva, in caso di mancata adozione da parte del Sindaco di atti del suo ufficio in situazioni “potenzialmente pregiudizievoli per l’igiene e la salute pubblica è opportuno affermare con nettezza che il reato è consumato ogni volta che l’imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di formali sollecitazioni prospettanti la sussistenza di quella particolare situazione concreta” (Ambiente & Sicurezza n. 5/2020).

aggiornamento all'11.06.2020

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOModalità fruizione festività soppresse.
Domanda
La l. 937/1977 ha stabilito che qualora le 4 giornate di festività soppresse non siano fruite, per motivate esigenze inerenti all’organizzazione dei servizi, nel corso dell’anno solare le stesse vengono retribuite.
L’Ente può inserire nel proprio regolamento la modalità di richiesta di queste giornate?
Risposta
In relazione al quesito formulato si evidenzia che sin dall’art. 18 del CCNL del 06.07.1995 la cui disciplina oggi è stata trasfusa nell’art. 28, comma 6, del CCNL 21/05/2018, sono stati contrattualizzati gli effetti della l. 937/1977, stabilendo che il dipendente ha diritto a fruire nel corso dell’anno solare, in aggiunta ai giorni di ferie, anche a ulteriori quattro giorni di riposo, da utilizzare ai sensi ed alle condizioni stabilite nella citata l. 937/1977.
Il predetto comma 6 dispone quanto segue: «6. A tutti i dipendenti sono altresì attribuite quattro giornate di riposo da fruire nell&#39;anno solare ai sensi ed alle condizioni previste dalla menzionata legge n. 937/77. E’ altresì considerato giorno festivo la ricorrenza del Santo patrono della località in cui il dipendente presta servizio, purché ricadente in un giorno lavorativo.»
Il tenore letterale della disposizione in esame consente di affermare che, sulla base della normativa, i giorni di riposo devono essere fruiti esclusivamente nell’anno di riferimento e che, conseguentemente, non è possibile in alcun modo la trasposizione di quelli maturati in un anno nell’anno successivo.
Nel caso di mancata fruizione nell’anno di maturazione, imputabile solo a ragioni di servizio, il lavoratore in passato aveva diritto alla monetizzazione degli stessi, nella misura stabilita dall’art. 52, comma 5, del CCNL del 14.09.2000, come sostituito dall’art. 10 del CCNL del 09.05.2006.
Quanto sopra deve ormai ritenersi superato a seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni contenute nell’art. 5, comma 8, della l. 135/2012 (cd. “Spending Review”) che hanno stabilito il divieto della monetizzazione delle ferie non godute dei pubblici dipendenti, incidendo, in modo riduttivo, sulla disciplina prevista in materia dall’allora art. 18, comma 16, del CCNL del 06.07.1995 (oggi art. 28 CCNL 21/05/2018).
Pertanto, l’ente potrà sicuramente disciplinare modalità di fruizione delle quattro giornate de quo, tali da garantirne il godimento entro l’anno solare.
Potrà, ad esempio, disciplinare che i primi giorni di assenza (ad eccezione delle assenze individuate da istituti specifici, ad esempio permesso per motivi personali, concorsi ed esami, ecc.) vengano imputati al godimento delle quattro giornate di festività soppresse.
In tal modo, si garantirà l’effettuazione delle stesse entro l’anno, tutelando sia il dipendente (che altrimenti non usufruendo delle stesse entro l’anno ne perderebbe il diritto al godimento) sia l’amministrazione medesima (per eventuali situazioni di contenzioso) (11.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIOmissione sottoscrizione digitale da parte della mandante.
Domanda
In sede di apertura di una gara telematica il documento d’offerta generato dal sistema Sintel Regione Lombardia non risulta firmato digitalmente dalla mandante di un operatore economico che partecipa in raggruppamento.
È corretto procedere all’esclusione del raggruppamento?
Risposta
La questione evidenziata nel quesito, in assenza di indicazioni precise sulla modalità di costruzione della procedura di gara, non è di facile soluzione, stante, tra l’altro, le differenti posizioni assunte dalla giurisprudenza.
Occorre in primo luogo fare una distinzione tra “offerta economica” in senso stretto e “documento d’offerta generato” da un sistema telematico.
Nel primo caso, ovvero offerta economica in senso stretto, si ritiene di aderire all’orientamento del C.d.S. sez. III, sent. n. 2542 del 25.05.2017 che, relativamente alla partecipazione da parte di un RTI da costituirsi, rileva come l’offerta debba essere sottoscritta digitalmente dai legali rappresentanti dei singoli operatori associati, pena la mancanza di un elemento essenziale dell’offerta stessa, non sanabile ex post a mezzo del c.d. soccorso istruttorio.
È opportuno evidenziare come sul punto la giurisprudenza non sia assolutamente unanime, consentendo talvolta la “soccorribilità” nel caso di carenza di sottoscrizione da parte della mandante. Trattasi, tuttavia, di procedure che richiamando situazioni caratterizzate da specificità particolari, non credo possano ritenersi tali da rappresentare massime giurisprudenziali di applicazione generale (cfr. TAR Toscana, Firenze sent. n. 288 del 06.03.2020, TAR Calabria, Catanzaro, sent. 836 del 07.05.2020).
Diverso è il caso dell’eventuale carenza di sottoscrizione del documento d’offerta generato in automatico dal sistema telematico. Per quanto riguarda il Mepa ad esempio, tralasciando la questione dell’eventuale raggruppamento, il TAR Calabria, Catanzaro sent. n. 08.11.2019 n. 458, ha ritenuto che la presentazione di un’offerta, firmata digitalmente, redatta senza utilizzare il file generato direttamente dal sistema telematico, ma mediante la compilazione di un proprio modello, non sia causa di esclusione, a nulla rilevando la mancata sottoscrizione e allegazione della bozza di offerta generata in automatico dallo strumento informatico.
Con riferimento al quesito in premessa, ed in particolare alla gestione della piattaforma Sintel, il RTI dovrà essere escluso qualora il documento offerta (generato dal sistema) costituisca l’unico atto in cui l’operatore economico fa proprie le dichiarazioni riportate a video, quali ad esempio offerta economica, costi della sicurezza interna e della manodopera ex art. 95, co. 10, del d.lgs. 50/2016. In questo caso, solo con la firma del documento d’offerta l’operatore assume la paternità delle dichiarazioni rese, come effettiva espressione di una manifestazione di volontà, e come tale da sottoscriversi digitalmente, a pena di esclusione, dalla capogruppo e delle mandanti.
Qualora invece il Documento d’offerta generato dal sistema sia meramente riepilogativo di dichiarazioni regolarmente presentate in altri step, ovvero nella Busta Amministrava, Busta Tecnica e Busta Economica, secondo il Tar Lombardia Milano sez. I 24.03.2020 n. 555, trattasi di una mera “formula di sintesi”, connessa alla peculiarità della procedura e che non integra e/o modifica o sostituisce la volontà negoziale dell’operatore economico, la cui irregolarità è meritevole di essere sanata tramite il soccorso istruttorio (10.06.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPubblicazione dati personali dei dipendenti (telefono privato) in emergenza da Covid-19.
Domanda
Nell’ambito del lavoro agile, è consentito al comune di pubblicare le utenze telefoniche personali (telefono cellulare) dei dipendenti, per favorire la prenotazione di appuntamenti da parte dei cittadini e utenti dei servizi?
Risposta
Le vigenti disposizioni normative per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 hanno chiaramente stabilito l’obbligo di limitare, quanto più possibile, la presenza del personale dipendente negli uffici pubblici, mediante il ricorso, in via prioritaria, al lavoro agile, così come stabilito all’articolo 87, comma 1, lettera a) del decreto-legge 17.03.2020, n. 18 e relativa legge di conversione 24.04.2020, n. 27.
Più di recente, l’art. 263, comma 1, del decreto-legge 19.05.2020, n. 34 (cd: decreto Rilancio), nel riconfermare le disposizioni del decreto Cura Italia (d.l. 18/2020), ha anche previsto che le pubbliche amministrazione devono adeguare le previgenti disposizioni alle esigenze della progressiva riapertura di tutti gli uffici pubblici e a quelle dei cittadini e delle imprese, connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali.
Per tale finalità il lavoro dei dipendenti e l’erogazione dei relativi servizi, devono essere organizzati:
   • introducendo una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro;
   • rivedendo l’articolazione giornaliera e settimanale;
   • introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza.
La norma si conclude, illustrando che ulteriori modalità organizzative potranno essere individuate tramite appositi decreti del Ministro della pubblica amministrazione.
Alla luce delle disposizioni sopra citate, dunque, è possibile prevedere che le attività di ricevimento o di erogazione diretta dei servizi al pubblico –in questo periodo emergenziale– siano garantite con modalità telematica o comunque con modalità tali da limitare la presenza fisica negli uffici (ad es. appuntamento telefonico o assistenza virtuale), ovvero, predisponendo accessi scaglionati, anche mediante prenotazioni di appuntamenti.
Nel rispetto dei principi di protezione dei dati [articolo 5, Regolamento (UE) 2016/679], la finalità di fornire agli utenti recapiti utili a cui rivolgersi per assistenza o per essere ricevuti presso gli uffici, può essere utilmente perseguita pubblicando i soli recapiti dell’ufficio di riferimento (numero di telefono, e-mail e indirizzo PEC) e non quelli dei singoli funzionari preposti agli uffici. Ciò, anche, in conformità agli obblighi di pubblicazione concernenti l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, previste nell’articolo 13, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, il quale stabilisce l’obbligo di pubblicate l’elenco dei numeri di telefono nonché delle caselle di posta elettronica istituzionali e delle caselle PEC dedicate, cui il cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta inerente i compiti istituzionali.
In periodo di smart working e di presenza non continuativa in ufficio dei dipendenti, una soluzione molto utile –largamente praticata e rispettosa delle normative in materia di tutela dei dati personali– risulta essere quella di attivare il servizio di trasferimento di chiamata dal numero fisso dell’ufficio al numero di utenza telefonica mobile (privato) del dipendente. L’operazione richiede il preventivo assenso dell’interessato e la garanzia che l’utente che chiama il numero dell’ufficio non sia in condizione di vedere, né memorizzare il numero dell’utenza mobile che risponde alla chiamata (09.06.2020 - link a www.publika.it).

CONSIGLIERI COMUNALIAccesso agli atti C.E.C..
Domanda
In vista della campagna elettorale delle prossime elezioni comunali, un consigliere attualmente in carica –delegato di una lista– chiede di avere copia degli atti di approvazione delle liste dei candidati alle scorse elezioni comunali, esaminate dalla Commissione elettorale circondariale.
È possibile dare parere positivo a questa istanza di accesso e concedere le copie di quanto richiesto?
Risposta
L’art. 43 del D.Lgs. n. 267/2000 prevede che: “2. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge.”
Gli articoli 22 e seguenti della legge 241/1990 regolano il diritto di accesso agli atti amministrativi.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato, i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle loro funzioni, ciò anche al fine di permettere di valutare –con piena cognizione– la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
In base a quanto sopra citato il consigliere in questione ha, credo indubbiamente, diritto ad accedere ai dati richiesti. Peraltro anche il Garante della Privacy si è più volte espresso in materia, ritenendo legittimo l’accesso.
A mio modo di vedere però la richiesta di accesso deve essere inoltrata alla Commissione Elettorale Circondariale, che è l’organo competente all’esame ed all’ammissione delle liste e che detiene la documentazione in questione.
Perché è vero che l’art. 22 della legge 241/1990 parla di accessibilità dei documenti “detenuti” dalla pubblica amministrazione, ma lo stesso articolo, al comma 6, chiarisce che il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione “ha l’obbligo di detenere” i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere.
Nell’ambito della presentazione delle liste per le elezioni comunali, la procedura dettata dal D.P.R. 16.05.1960, n. 570, prevede che i documenti siano presentati alla segreteria comunale nelle date stabilite dalla legge. Il segretario comunale però deve immediatamente inoltrare il tutto alla Commissione elettorale circondariale, organo competente ad effettuare l’ammissione vera e propria.
Secondo il mio punto di vista l’obbligo giuridico di detenere i documenti è della Commissione elettorale circondariale, che resta l’unico organo competente per le attività sopra descritte (05.06.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - VARI: Legittimazione passiva del Comune in un giudizio per mancata e/o irrituale notifica di cartella di pagamento per violazione del codice della strada.
Il diritto di credito per somme dovute per violazione del codice della strada si prescrive in cinque anni dalla violazione commessa, salvo atti interruttivi (art. 209, D.Lgs. n. 285/1992; art. 28, L. n. 689/1981).
In caso di affidamento dell’attività di riscossione all’agente di riscossione, questi, in forza del ruolo ricevuto dall’ente impositore, redige la cartella di pagamento e la notifica al debitore (artt. 25 e 26, D.P.R. n. 602/1973).
La cartella notificata oltre il quinquennio è nulla in quanto ha ad oggetto un credito prescritto; allo stesso modo, i successivi atti dell’esattore –intimazioni di pagamento– devono intervenire entro i cinque anni dalla cartella notificata nei termini, altrimenti sono invalidi in quanto riferiti ad una cartella già prescritta.
D’altro canto, la cartella notificata oltre i due anni dalla consegna del ruolo è nulla per decadenza dei termini di notifica (art. 1, c. 153, L. n. 244/2007), ma se non sono ancora passati cinque anni dalla violazione, il credito non è ancora prescritto e potrà essere fatto valere in via giudiziaria (ma non più attraverso la cartella a mezzo agente di riscossione).
Ove il soggetto sanzionato contesti, in un giudizio promosso contro l’ente creditore e il concessionario, la mancata e/o irrituale notifica della cartella di pagamento, assumendo che questo abbia determinato la prescrizione del credito, si osserva –sotto il profilo della legittimazione passiva in giudizio– che la Corte di Cassazione riconduce l’azione per mancata notifica della cartella a un’azione di accertamento negativo del credito, inerente al merito della pretesa, in quanto volta a negare che la prescrizione sia stata interrotta dalla notifica della cartella, per cui legittimato passivo è l’ente creditore (mentre il concessionario è legittimato passivo in relazione alla contestazione della sola irritualità della notifica della cartella).
Con riferimento all’ipotesi in cui la prescrizione del credito sia riconducibile alla responsabilità del concessionario della riscossione, per ritardi o irregolarità nell’attività esattoriale, la Corte di Cassazione, argomentando dalla riconducibilità dell’affidamento della riscossione allo schema del mandato con rappresentanza ex lege, ha affermato che l’assicurazione della salvaguardia del diritto di credito rispetto all'estinzione per prescrizione rientra a pieno titolo, ai sensi dell’art. 1710 c.c., nell'ambito della responsabilità del concessionario incaricato.

Il Comune riferisce di aver irrogato nel 2010 una sanzione per violazione del codice della strada e, non essendo intervenuta la riscossione bonaria, di averla inoltrata per l’attività di riscossione coattiva all’Agenzia delle entrate competente per territorio, in base alla residenza del soggetto sanzionato. In relazione alla suddetta contravvenzione, il privato interessato ha promosso giudizio di opposizione, con atto di citazione notificato all’Ente e al concessionario della riscossione
[1], con riferimento al quale il Comune chiede un parere sull’opportunità di costituirsi, considerato che vengono contestati atti dell’esattore.
Si premette che l’attività di consulenza di questo Servizio è volta a rappresentare agli enti locali un quadro giuridico generale sulle questioni poste, che possa essere loro di aiuto per valutare, nella loro autonomia, la soluzione più opportuna nel caso concreto, in relazione alle sue specificità. Per cui in via collaborativa si esprimono le seguenti considerazioni.
Nell’atto di citazione in opposizione, l’istante chiede di accertare e dichiarare la nullità del ruolo e della relativa cartella esattoriale
[2], in quanto sostiene che la mancata e/o irrituale notifica della cartella [3] ha determinato la prescrizione del credito [4].
Inoltre, l’opponente osserva che la cartella, anche se gli fosse stata regolarmente notificata nel 2013, sarebbe comunque prescritta, essendo da allora passati cinque anni.
Su questi rilievi si esprimono alcune considerazioni in generale sulla prescrizione del credito da contravvenzione, lungi da ogni valutazione di merito sulla pretesa dell’opponente e sulla fondatezza delle argomentazioni addotte.
La prescrizione riguarda il diritto di credito e produce la conseguenza che il credito non può più essere preteso né con riscossione né tramite azione giudiziale.
In generale, in tema di sanzioni amministrative per la violazione del codice della strada, ai fini dalla riscossione delle somme dovute a tale titolo, si applica la prescrizione quinquennale, di cui all’art. 28, L. n. 689/1981, richiamato dall’articolo 209 del Codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992)
[5].
La cartella di pagamento notificata oltre il quinquennio è nulla in quanto ha ad oggetto un credito prescritto; allo stesso modo, i successivi atti di riscossione –come le intimazioni di pagamento
[6]– devono rispettare il termine di prescrizione di 5 anni dalla notifica della cartella: in caso contrario, se cioè vengono notificati oltre i 5 anni, gli stessi sono invalidi in quanto riferiti ad una cartella già prescritta e la loro invalidità può essere fatta valere, innanzi al Giudice competente, assieme alla nullità della cartella prescritta e all’estinzione del credito.
Cosa diversa dalla prescrizione è la decadenza della cartella, che riguarda l’azione di riscossione.
Ai sensi dell’art. 1, c. 153, L. n. 244/2007
[7], le somme dovute per una sanzione per violazione del codice della strada non possono essere incassate dall’agente di riscossione se sono trascorsi più di due anni dalla ricezione del ruolo da parte del Comune che ha irrogato la multa.
La cartella notificata dopo due anni dalla consegna del ruolo è dunque nulla, ma se non sono ancora passati 5 anni dalla violazione, il credito non è ancora prescritto e potrà essere fatto valere in via giudiziaria (ma non più attraverso la cartella a mezzo agente di riscossione).
Nel caso di specie, emerge che la cartella è stata notificata nel 2013, per cui in relazione alla data di trasmissione del ruolo al concessionario, l’Ente potrà valutare se siano stati rispettati dall’agente della riscossione i termini di decadenza.
Tornando all’atto di citazione in giudizio, l’opponente da un lato sostiene la prescrizione del debito per mancata e/o irrituale notifica della cartella esattoriale, dall’altro lato afferma che, anche in caso di rituale notifica della cartella, il credito sarebbe comunque prescritto essendo passati 5 anni dal 2013, anno di notifica (presunta, a suo dire) della cartella.
A questo proposito –nel ribadire l’estraneità di questo Servizio ad ogni valutazione sul merito della questione– si può solo prendere atto che il Comune riferisce che successivamente alla cartella, sono state emanate due intimazioni di pagamento, nel 2015 e nel 2019, di cui non viene fatto cenno nell’atto di citazione in opposizione.
Di tali intimazioni di pagamento, che interromperebbero la prescrizione, il Comune ha fatto richiesta all’Agenzia delle entrate Riscossione, al fine di poter difendere la posizione dell’Ente e valutare la sua costituzione in giudizio, in relazione alla correttezza dell’iter seguito dal concessionario.
In proposito –fermo restando quanto detto sopra sulla verifica del rispetto dei termini di decadenza da parte del concessionario– si esprimono delle considerazioni, muovendo dal fatto che l’opponente deduce la mancata e/o irrituale notifica della cartella di pagamento e la prescrizione del credito.
Al riguardo, si riportano le considerazioni della Corte di Cassazione a Sezioni unite
[8] espresse con riferimento all’ipotesi in cui la mancata notifica della cartella di pagamento –atto dell’esattore– sia stata dedotta per far valere la nullità dell’intimazione di pagamento, successivo atto dell’esattore.
La cartella di pagamento ha la funzione di portare a conoscenza dell’interessato la pretesa tributaria iscritta nei ruoli: ha valore di vero e proprio atto di esercizio del potere impositivo, essendo il primo atto notificato al contribuente in relazione alla pretesa erariale, e costituisce il presupposto dell’avviso di mora
[9].
Il "vizio" dell’omessa notifica della cartella di pagamento non può essere ridotto alla (mera) dimensione di "vizio proprio dell'atto", come se fosse, ad esempio, analogo ad un vizio riferito alla (pretesa) difformità del contenuto dell'atto rispetto allo schema legislativo: si tratta di un vizio procedurale più rilevante che determina l'illegittimità dell'intero processo di formazione della pretesa tributaria, la cui correttezza è assicurata mediante il rispetto dell'ordinato progredire delle notificazioni degli atti, destinati, con diversa e specifica funzione, a portare quella pretesa nella sfera di conoscenza del contribuente e a rendere possibile per quest'ultimo un efficace esercizio del diritto di difesa, sicché la legittimazione passiva resta in capo all'ente titolare del diritto di credito
[10].
Sulla scia di questa pronuncia, e al di là della situazione in cui la mancata notifica venga dedotta per far valere la nullità dell’atto consequenziale, la Suprema Corte ha affermato in generale che lamentare l’omessa notifica della cartella esattoriale è funzionale a far valere l'eccezione di prescrizione, cioè a negare che la prescrizione stessa sia stata interrotta (dalla notifica della cartella): si tratta cioè di un’azione di accertamento negativo del credito; in questo senso, la contestazione della mancata notifica è pur sempre funzionale ad una questione inerente al merito della pretesa creditoria
[11].
La Suprema Corte riconduce l’azione per mancata notifica della cartella a un’azione di opposizione all’esecuzione, che altro non è che un’azione di accertamento negativo del credito; mentre ricorre un’azione di opposizione agli atti esecutivi quando viene in rilievo, esclusivamente, la sola irritualità della notifica della cartella e non anche la mancata notifica del titolo esecutivo
[12].
La Suprema Corte precisa altresì che l’azione relativa al merito della fondatezza dell’obbligo di pagamento va notificata all'ente creditore e quella relativa alla regolarità formale della cartella al concessionario della riscossione, che è il soggetto cui è affidato l'esercizio dell'azione esecutiva
[13].
Nel caso di specie, l’opponente contesta “la mancanza e/o irritualità della notifica della cartella esattoriale” che “non può che determinare l’estinzione e/o prescrizione del presunto credito vantato” e chiede di accertare e dichiarare la nullità del ruolo e della cartella esattoriale del credito vantato, perché prescritto: valuti, dunque, l’Ente l’opportunità di costituirsi o meno in relazione alle suesposte considerazioni.
Un tanto, fermo restando quanto detto sopra circa la verifica del rispetto dei termini di decadenza da parte del concessionario: in caso di mancata notifica della cartella entro due anni dalla ricezione del ruolo, non solo si sarebbe determinata la decadenza dall’azione di riscossione, ma sarebbe altresì preclusa la possibilità di far valere il credito per le vie giudiziali, in quanto oramai prescritto.
In proposito, si esprimono alcune considerazioni sulla possibilità dell’ente impositore (creditore) di ottenere il ristoro del danno qualora si accerti che la prescrizione del credito sia riconducibile alla responsabilità del concessionario della riscossione, per ritardi o irregolarità nell’attività esattoriale.
La Corte di Cassazione, sez. lavoro, 26.10.2018, n. 27218, ha affermato che con l’affidamento in riscossione, il concessionario diviene legittimato a ricevere validamente il pagamento per conto del creditore, il quale libera il debitore ed estingue l’obbligazione sottostante, secondo lo schema di cui all’art. 1188 c.c.
Inoltre, l’affidamento della riscossione assume i connotati del mandato con rappresentanza ex lege a compiere quanto necessario affinché il pagamento possa avvenire spontaneamente o coattivamente.
In particolare, il diligente e tempestivo compimento degli atti esecutivi di tale complesso mandato è in sé in grado di comportare la salvaguardia del diritto rispetto all'estinzione per prescrizione e dunque anche l'assicurazione di tale effetto rientra a pieno titolo, ai sensi dell’art. 1710 c.c., nell'ambito della responsabilità del concessionario incaricato.
La Suprema Corte ha osservato, peraltro, che il Giudice di merito, ricostruendo in toto la vicenda inerente all'incarico di riscossione, può valutare se ricorrano o meno elementi di colpa concorrente, rilevanti ex art. 1227 c.c., in capo all'ente mandante.
---------------
[1] L’art. 10 del D.Lgs. 31.12.1992 n. 546 (recante “Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30.12.1991, n. 413”), indica, tra le parti del processo tributario, gli enti impositori e l’agente della riscossione.
[2] Ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 602/1973, il concessionario è il soggetto cui è affidato in concessione il servizio di riscossione (lett. a); il ruolo è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario (lett. b); ai sensi del successivo art. 12, il ruolo è sottoscritto dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato e con la sottoscrizione diviene esecutivo. (In giurisprudenza, v. Cass. Civ, Sez. Un., 02.10.2015, n. 19704, secondo cui il ruolo è atto proprio ed esclusivo dell’ente creditore impositore –mai del concessionario della riscossione– e costituisce titolo esecutivo).
Il concessionario della riscossione, in forza del ruolo ricevuto, redige la cartella di pagamento che, per l’art. 25, c. 2, D.P.R. n. 602/1973, “contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata” e provvede (ai sensi del successivo art. 26) alla “notificazione della cartella di pagamento” al debitore.
Ai sensi dell’art. 21, c. 1, D.Lgs. n. 546/1992, “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”.
L’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 indica gli atti impugnabili nel processo tributario: per quanto concerne gli atti esecutivi, fra gli altri: il ruolo e la cartella di pagamento (comma 1, lett. d); l’avviso di mora (comma 2, lett. e).
[3] L’opponente sostiene di aver preso conoscenza del debito da contravvenzione a suo carico da un estratto di ruolo rilasciato dall’Agenzia delle entrate su sua richiesta motivata dal voler conoscere la propria posizione per delle operazioni commerciali.
[4] Nelle premesse del ricorso, l’opponente afferma altresì che andrà dimostrata la regolarità formale degli atti se notificati.
[5] Ai sensi dell’art. 209, D.Lgs. n. 285/1992, “La prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute a titolo di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal presente codice è regolata dall’art. 28 della legge 24.11.1981, n. 689”.
Ai sensi dell’art. 28, L. n. 689/1981, “Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di 5 anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione” (comma 1). “L’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile” (comma 2).
Per l’applicazione del termine quinquennale di prescrizione, v. in giurisprudenza Cass. Civ., sez. II, 14.10.2009, n. 21881; Cass. Civ., 20.02.2008, n. 4375.
[6] L’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, indica, tra gli atti impugnabili nel processo tributario, il ruolo e la cartella di pagamento (comma 1, lett. d); l’avviso di mora (comma 2, lett. e).
Per avviso di mora, si intende ora l’avviso di intimazione, ai sensi dell’art. 50, D.P.R. n. 602/1073 e successive modifiche e integrazioni (cfr. Scuola di alta formazione Luigi Martino, Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili Milano, Mediazione e processo tributario, Processo tributario, Gli atti impugnabili, 02.12.2013, Milano).
In particolare, ai sensi dell’art. 50, D.P.R. n. 602/1073, una volta notificata la cartella esattoriale per multa, il contribuente ha 60 giorni per effettuare il pagamento, decorso il quale l’agente della riscossione può procedere con l’espropriazione forzata (comma 1). Se l'espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l'espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall'articolo 26, di un avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni (comma 2).
[7] Il citato comma 153 ha aggiunto il comma 35-bis all’articolo 3 del decreto-legge 30.09.2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 02.12.2005, n. 248, il quale recita: “A decorrere dal 01.01.2008 gli agenti della riscossione non possono svolgere attività finalizzate al recupero di somme, di spettanza comunale, iscritte in ruoli relativi a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada di cui al decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, per i quali, alla data dell’acquisizione di cui al comma 7, la cartella di pagamento non era stata notificata entro due anni dalla consegna del ruolo”.
[8] Cass. Civ. Sez. Un., 25.07.2007, n. 16412. Conformi, tra le tante: Cass. Civ., sez. V, 30.06.2009, n. 15310; Cass. Civ., sez. VI, 02.02.2012, n. 1532.
[9] La notifica dell’avviso di mora –osservano le Sezioni Unite– è, a differenza della notificazione della cartella, meramente eventuale, essendo prevista per il caso in cui il contribuente, reso edotto dell'imposta dovuta, non ne abbia eseguito spontaneamente il pagamento nei termini indicati dalla legge.
[10] Cass. Civ., Sez. Un., n. 16412/2007 cit.
[11] Cass. Civ, sez. lav., 19.06.2019, n. 16425.
[12] Cass. Civ., sez. lav., 08.11.2018, n. 28583.
[13] Cass. Civ. n. 16425/2019 cit.
(04.06.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGODiritto precedenza disabili.
Domanda
Come si applica nel caso il diritto di precedenza per le assunzioni dei lavoratori disabili?
Si chiede di chiarire quali siano le modalità operative in cui si concreta il diritto di precedenza, ovvero se sia necessario effettuare un concorso per assunzione personale categorie protette all’esito del quale, qualora risultato idoneo, il soggetto avrebbe la precedenza sugli altri in graduatoria, oppure se la precedenza operi nell’ambito dell’assunzione tramite Centro per l’Impiego.
Risposta
Posto che per assunzioni di qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, l’Ente procede alle assunzioni mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento, si precisa che, relativamente all’assunzione di personale disabile, la Pubblica Amministrazione, benché non sia prevista la chiamata nominativa, potrebbe procedere attraverso le seguenti modalità:
   1. convenzione di cui all’art. 11 L. 68/1999;
   2. richiesta di avviamento, con precisazione del diritto di precedenza a favore del dipendente.
Sul punto, si precisa infatti che con nota congiunta tra Ministero del Lavoro, Anpal e Dipartimento della funzione pubblica 10.07.2018, n. 7571, in merito a “Comunicazione ex articolo 39-quater d.lgs. 165/2001 – Monitoraggio sull’applicazione della legge 12.03.1999, n. 68”, è stata evidenziata infatti l’utilizzabilità delle convenzioni di cui al citato art. 11, ove consente che siano stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare.
Tra le modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, l’assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l’esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro.
Detto strumento permetterebbe pertanto all’Ente di inserire il diritto di precedenza nell’atto convenzionale, specificando altresì il percorso fino ad oggi svolto e prevedendo così la stipula di un contratto a tempo indeterminato fatto salvo l’esito positivo di un breve periodo formativo.
Resta inteso, tuttavia, che anche attraverso la richiesta di avviamento sarà possibile far valere il diritto di precedenza.
Questo poiché il diritto in esame è fattispecie derogatoria rispetto alle disposizioni generale di cui all’art. 8 della L. n. 68/1999 ove prevede che, presso gli uffici competenti sia istituito un elenco, con unica graduatoria, dei disabili che risultino disoccupati e che l’elenco e la graduatoria siano pubblicati e formati sulla base dei criteri indicati nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’art. 1 comma 4 della su indicata legge (04.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIAppalti e diritto di accesso.
Domanda
Sono sempre numerosi i quesiti in tema di accesso agli atti della procedura di appalto, sia della fase pubblicistica sia della fase esecutiva (in quest’ultima l’istanza di accesso, normalmente, poggia sulla esigenza di consentire all’appaltatore, non aggiudicatario, di verificare se l’esecuzione del contratto avvenga o meno secondo quanto proposto in sede di offerta).
Appare opportuno, quindi, elaborare un “riscontro cumulativo” che riassume le varie istanze presentate soprattutto alla luce delle recenti indicazioni giurisprudenziali in tema di accesso.
Risposta
Al netto delle indicazioni contenute nella disciplina specifica in tema di accesso agli atti dell’appalto, come declinate nell’articolo 53 del Codice in cui si prevede la possibiltà di un differimento –nella fase di espletamento della gara fatti salvi gli atti già adottati, si pensi alla fase formale di verifica dei documenti-, l’accesso è generalmente consentito al netto degli aspetti afferenti i segreti commerciali/aziendali che, innanzi al ricorso devono comunque essere consentiti.
Il tema dell’accesso trova però una sua compiuta definizione con l’affermata ammissibiltà dell’applicazione dell’accesso civico generalizzato o universale agli atti dell’appalto (sia della fase pubblicistica sia della fase esecutiva) come chiarito dalla sentenza del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria n. 10/2020.
L’Adunanza Plenaria ha affermato il diritto ad ottenere gli atti della fase esecutiva del contratto ai fini (potenziali) della risoluzione del contratto e successivo scorrimento della graduatoria o riedizione della gara “purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale”.
In sostanza, che richiede gli atti deve avere già gli elementi per dimostrare che l’esecuzione non sta avvenendo secondo quanto stabilito con la proposta contrattuale aggiudicata.
Non solo, quindi, il RUP è tenuto a produrre gli atti richiesti –al netto di elementi afferenti ai segreti commerciali/aziendali ex art. 5-bis comma 2, lett. c) (che possono essere oscurati se il RUP ha effettivamente constatato che si tratta di dati che non possono essere “ostesi”)-, ma è tenuto ad interpretare l’eventuale nota generica, quanto a riferimento normativo richiamato, che si limitasse a richiedere atti e dati relativi agli appalti già espletati in senso “collaborativo” e non escludente. Nel senso che non può respingere l’istanza per i solo fatto che questa non contenga un preciso richiamo normativo. In questo caso il RUP andrà ad interpretare la richiesta alla luce delle varie disposizioni in tema e, soprattutto, alla luce dell’art. 5, comma 2, del decreto legislativo 33/2013 (e quindi sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato/universale).
È questo il caso recentemente affrontato dal Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, con la recentissima sentenza del 23.05.2020 n. 162.
Nella sentenza –a fronte di una istanza tesa ad ottenere dati e provvedimenti relativi all’invito degli appaltatori in procedure sotto i 40mila euro e nel sotto soglia con conseguente rigetto (errato) della stazione appaltante– si puntualizza che il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce un “autonomo diritto all’informazione” rappresentando quindi esso stesso un “bene alla vita accordato per la tutela nel senso più ampio e onnicomprensivo del termine e, dunque, non necessariamente ed esclusivamente in correlazione alla tutela giurisdizionale di diritti ed interessi giuridicamente rilevanti”.
Per effetto di quanto, l’istanza può trovare legittimazione anche nel fine “di assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa; tale diritto all’informazione, oltre ad essere funzionale alla tutela giurisdizionale, consente agli amministrati di orientare i propri comportamenti sul piano sostanziale per curare o difendere i loro interessi giuridici, con l’ulteriore conseguenza che il diritto stesso può essere esercitato in connessione ad un interesse giuridicamente rilevante, anche se non sia ancora attuale un giudizio nel cui corso debbano essere utilizzati gli atti così acquisiti”.
È bene ricordare che il ricorso in giudizio può essere finalizzato non solo ad ottenere una “giustizia”, per così dire, immediata con l’annullamento della procedura e l’eventuale subentro ma anche ad ottenere confermata una pretesa risarcitoria qualora emergesse che la stazione appaltante abbia agito contra ius (03.06.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Personale ed Organizzazione.
L'ufficio personale di questo Ente (ente pubblico regionale) deve riprendere le prove concorsuali sospese nel periodo emergenziale.
E' possibile svolgere le prove con la presenza di candidati in sede con il segretario verbalizzante ed i membri della Commissione in collegamento da remoto?

Per rispondere al quesito posto all'attenzione, occorre in prima battuta rimarcare come il termine del 16 maggio riguardante la conclusione della sospensione dello svolgimento delle procedure concorsuali "in sede" (definito dal D.L. 17.03.2020 n. 18 "Cura Italia" e dalla seguente legge di conversione L. 24.04.2020 n. 27) non è stato ulteriormente reiterato e pertanto è possibile per le Pubbliche Amministrazioni, procedere alla programmazione delle prove concorsuali sospese nel rispetto, evidentemente, delle norme sanitarie di contenimento della diffusione del Coronavirus quali il distanziamento sociale, il divieto di assembramento e la sanificazione dei locali.
Il Decreto Legge c.d. "Rilancio" D.L. 19.05.2020 n. 34, ha poi previsto alcune possibili novità in merito alle modalità di svolgimento delle prove concorsuali, valide de plano per i concorsi unici gestiti dal Ripam (art. 247) ma i cui principi e criteri generali, riguardanti lo svolgimento delle prove in modalità decentrata ed attraverso l'uso della tecnologia digitale, nonché di svolgimento dell'attività delle commissioni esaminatrici e di presentazione della domanda di concorso possono essere adottati da tutte le singole pubbliche amministrazioni (art. 249).
Venendo alla questione posta all'attenzione, in merito alla possibilità di svolgimento dei lavori della commissione esaminatrice (in particolare la presenza alla prova) in videoconferenza (o comunque in collegamento da remoto), il comma 7 del già richiamato art. 247 prevede espressamente che "la commissione esaminatrice e le sottocommissioni possono svolgere i propri lavori in modalità telematica garantendo comunque la sicurezza e la tracciabilità delle comunicazioni".
Tale principio, pertanto, secondo il successivo art. 249 può essere mutuato dalle pubbliche amministrazioni per lo svolgimento delle proprie prove concorsuali (tanto per i concorsi già in essere di cui sia stata svolta "anche una sola delle prove previste", ai sensi della previsione di cui all'art. 248, che dei concorsi futuri nel rispetto comunque del termine ultimo del 31.12.2020).
A ben vedere, la genericità dell'espressione utilizzata dal legislatore nel predetto articolo, conferisce, alle Amministrazioni procedenti, un ampio ventaglio di possibilità in merito all'organizzazione dei lavori delle commissioni esaminatrici fermo restando i principi di sicurezza e tracciabilità delle comunicazioni. Infatti, l'aver usato la locuzione "svolgere i propri lavori in modalità telematica" contiene in sé, tutte le attività di competenza della commissione dal suo insediamento sino alla valutazione conclusiva da rimettere al Responsabile del procedimento (fermo restando eventuali circolari esplicative da parte del Ministero della Funzione Pubblica che al momento non sono state emanate).
Nel caso proposto, si potrebbe tranquillamente dare atto che la sicurezza e la tracciabilità dei lavori della commissione viene garantita tramite collegamento audio/video con l'aula di svolgimento della prova concorsuale.
Consigliamo, però, all'Amministrazione di informare preventivamente i candidati di tale eventuale decisione (che spetta al responsabile del procedimento) con apposito avviso da pubblicarsi nelle modalità di legge (sito istituzionale, albo pretorio ed Amministrazione trasparente - sezione concorsi) unitamente all'avviso che, la sorveglianza sul corretto svolgimento della prova, sarà garantito da apposito personale munito di tesserino identificativo.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.L. 17.03.2020, n. 18, art. 103 - D.L. 19.05.2020 n. 34, art. 247
 (03.06.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

PATRIMONIO: Le locazioni nella fase dell'emergenza Covid-19.
DOMANDA:
Questa Amministrazione ha concesso in locazione i locali di un bar unitamente alla licenza per 6 anni, dal 04.02.2020 al 03.02.2026. A seguito dell'emergenza COVID il bar ha chiuso l'attivita nei mesi di marzo, aprile e per la prima metà di maggio. Sta riaprendo ora con tutte le limitazioni dettate dalla necessità di contenimento del contagio.
Il gestore ha fatto pervenire richiesta di azzeramento del canone per i periodi di chiusura e di riduzione per il periodo in cui dovranno giocoforza servire meno clienti a causa delle regole di distanziamento.
Considerato che il decreto "Cura Italia" contiene delle disposizioni in merito agli affitti privati mentre noi non ne abbiamo trovate per questo tipo di attività, chiediamo se sia possibile aderire alla richiesta di azzeramento e sulla base di quale normativa, per non incorrere nel caso di danno erariale, se un azzeramento comporti una necessità di proroga del contratto nella misura corrispondente ai mesi di chiusura e, infine, se sia configurabile una diminuzione del canone.
Si tenga presente che l'attività era molto vitale e che il bar in questione era un centro di ritrovo utile alla comunità
RISPOSTA:
L’art. 65 del D.L. n. 18/2020 convertito con Legge n. 27/2020 (cd. “Decreto Cura Italia”) ha previsto che, al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da Covid19, venga riconosciuto ai soggetti esercenti attività d’impresa, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1.
Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione e non si applica alle attività che sono state identificate come essenziali (es. farmacie, parafarmacie, punti vendita di generi alimentari di prima necessità, ecc.). Detto credito d’imposta, non concorre alla formazione del reddito ai fini dell’Ires e dell’Irap.
Fatta eccezione per tale vantaggio fiscale, nel nostro ordinamento non esiste una norma specifica che permetta al conduttore di ottenere la sospensione o la riduzione del canone di locazione nel caso si verifichino cause imprevedibili o di forza maggiore.
La possibilità di modificare il canone è dunque demandata alle parti del contratto. Sarà pertanto possibile chiedere al locatore la sospensione o la riduzione del canone, ma il medesimo non è in alcun modo obbligato ad accettare una revisione.
Nel caso del verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili che rendono eccessivamente onerosa la prestazione oggetto del contratto di locazione, il conduttore può chiedere la risoluzione del contratto ai i sensi dell’art. 1467 C.c.. Tale norma prevede infatti che “nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458”.
Con specifico riguardo ai contratti di locazione di immobili adibiti ad attività industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico l’art. 27 della Legge n. 392/1978 prevede che “indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.
Il rispetto delle misure di contenimento relative all’emergenza epidemiologica da “Covid-19” potrebbe aver creato al conduttore un danno economico-finanziario tale da incidere significativamente sull’andamento dell’attività, causandogli uno squilibrio finanziario che non rende più sostenibile il pagamento del canone di locazione, ovvero l’utilizzo dell’immobile.
In proposito è opportuno ricordare che l’art. 91 del Decreto “Cura Italia” sopra citato ha aggiunto il comma 6-bis all’art. 3 del D.L. n. 6/2020 convertito con Legge n. 13/2020, in base al quale il rispetto delle misure di contenimento relative all’emergenza epidemiologica da “Covid-19” è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 del Cc., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.
Pertanto, nel caso in cui il conduttore sia impossibilitato ad adempiere correttamente alle scadenze di pagamento dei canoni a causa dell’emergenza “Covid–19”, il medesimo potrà chiedere la sospensione dei pagamenti, senza che ciò costituisca presupposto per la decadenza del contratto o l’applicazione di interessi moratori. Rimane comunque nella discrezionalità del locatore la decisione se accettare o meno tale richiesta.
Premesso quanto sopra e tenuto conto degli strumenti giuridici che il nostro ordinamento mette a disposizione del conduttore, il medesimo potrà quindi richiedere la risoluzione del contratto oppure una sospensione del canone di locazione sino al termine del periodo di emergenza.
Nulla osta, ovviamente, alla possibilità per le parti di procedere alla rinegoziazione del canone di locazione al posto della risoluzione del contratto, anche tenuto conto che in base allo stesso articolo 1467 C.c. “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
In proposito si aggiunga quanto previsto dall’art. 1464 C.c. in base al quale “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale”.
In caso di impossibilità parziale della prestazione, dunque, la norma richiamata consente alla parte che subisce la detta impossibilità di richiedere la riduzione della prestazione da essa dovuta oppure, in alternativa, il recesso dal contratto.
Rientrano, pertanto, nella sfera di applicabilità della norma da ultimo richiamata, tutti i casi in cui una prestazione sia diventata parzialmente impossibile per cause non addebitabili al locatore (tratto da e link a www.ancirisponde.ancitel.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIncremento indennità PO.
Domanda
A seguito dell’entrata in vigore del CCNL del 21/05/2018, abbiamo operato una rivalutazione delle indennità di posizione, avvalendoci dell’art. 11-bis del d.l. 135/2018, convertito nella l. 12/2019, senza tuttavia graduarle al livello massimo consentito (di 16.000,00 euro).
Ciò premesso, si chiede se sia possibile effettuare una nuova rivalutazione, nei limiti del comma 557 della l. 296/2006, fino al massimo di 16.000,00 euro, senza computare la spesa nel conteggio del salario accessorio.
Risposta
L’art. 11-bis, comma 2, del d.l. 135/2018, convertito in l. 12/2019, afferma quanto segue: “Fermo restando quanto previsto dai commi 557-quater e 562 dell’articolo 1 della legge 27.12.2006, n. 296, per i comuni privi di posizioni dirigenziali, il limite previsto dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017, n. 75, non si applica al trattamento accessorio dei titolari di posizione organizzativa di cui agli articoli 13 e seguenti del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) relativo al personale del comparto funzioni locali – Triennio 2016-2018, limitatamente al differenziale tra gli importi delle retribuzioni di posizione e di risultato già attribuiti alla data di entrata in vigore del predetto CCNL e l’eventuale maggiore valore delle medesime retribuzioni successivamente stabilito dagli enti ai sensi dell’articolo 15, commi 2 e 3, del medesimo CCNL, attribuito a valere sui risparmi conseguenti all’utilizzo parziale delle risorse che possono essere destinate alle assunzioni di personale a tempo indeterminato che sono contestualmente ridotte del corrispondente valore finanziario.“.
Dal tenore letterale della norma sopra riportata si individua, nel rispetto dei presupposti per l’applicazione (il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio 2011-2013 e con riferimento all’anno 2008), per gli enti di piccole dimensioni (privi di personale dirigenziale), la possibilità di aumentare il salario accessorio delle medesime posizioni organizzative, stabilito prima dell’entrata in vigore del CCNL 21/05/2018 (anno riferimento 2017), in deroga al limite di cui all’art. 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017, rinunciando, per il differenziale relativo, a quote di facoltà assunzionali.
Tale possibilità è concessa agli enti solo in sede di prima applicazione del nuovo sistema di pesatura delle posizioni organizzative, previsto dal CCNL 21/05/2018, e non, invece, per ogni incremento deciso dall’amministrazione sullo stanziamento a bilancio, riferito alla retribuzione di posizione e risultato delle posizioni organizzative.
Se, quindi, l’amministrazione intende aumentare lo stanziamento a bilancio per la voce de quo dovrà procedere alla riduzione di altre voci del salario accessorio.
In particolare, l’art. 7, comma 4, lett. u), del CCNL 21/05/2018, prevede l’attivazione della contrattazione con le parti sindacali per l’incremento delle risorse di cui all’art. 15, comma 5, destinate alla corresponsione della retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative, ove implicante, ai fini dell’osservanza dei limiti previsti dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017, una riduzione delle risorse del fondo di cui all’art. 67 (28.05.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIIl decreto rilancio e le disposizioni rilevanti in materia di appalti.
Domanda
Con riferimento al decreto rilancio, quali sono le principali disposizioni che presentano una certa rilevanza sui contratti pubblici?
Risposta
La c.d. fase di “rilancio” vede pubblicato nella G.U. n. 128/2020 il decreto legge n. 34 del 19.05.2020 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, composto da 266 articoli oltre che allegati (a cui seguiranno i conseguenti decreti attuativi). Provvedimento che nell’attuale stesura è entrato in vigore immediatamente, ma che potrà subire modifiche a seguito della successiva conversione in legge, entro i 60 giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale.
L’impatto per i destinatari è sempre devastante, dato il profluvio di norme, spesso di difficile interpretazione oltre che applicazione. Per quanto attiene alle stazioni appaltanti di seguito si riportano alcune disposizioni che si ritiene possano avere una certa rilevanza sugli appalti pubblici:

Art. 65 Esonero temporaneo contribuiti ANAC
Si riporta il testo dell’articolo.
   “Le stazioni appaltanti e gli operatori economici sono esonerati dal versamento dei contributi di cui all’articolo 1, comma 65, della legge 23.12.2005, n. 266 all’Autorità nazionale anticorruzione, per tutte le procedure di gara avviate dalla data di entrata in vigore della presente norma e fino al 31.12.2020”.
Cfr. Comunicato del Presidente dell’ANAC del 20.05.2020:

Art. 81 Modifiche all’articolo 103 in materia di sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza (Validità del DURC)
Si riporta il testo dell’art. 103, co. 2, primo periodo, d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27, come modificato.
   “Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, ad eccezione dei documenti unici di regolarità̀ contributiva in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020, che conservano validità̀ sino al 15.06.2020”.

Art. 109 Servizi delle pubbliche amministrazioni
   • L’art. 48 del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27 (Prestazioni individuali domiciliari) viene sostituto.
   • All’articolo 92, comma 4-bis, primo periodo, del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27 (Disposizioni in materia di trasporto) le parole: “e di trasporto scolastico” sono soppresse.

Art. 153 Sospensione delle verifiche ex art. 48-bis DPR n. 602 del 1973 (Verifiche sui pagamenti)
Si riporta il testo dell’articolo.
   1. Nel periodo di sospensione di cui all’articolo 68, commi 1 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27 non si applicano le disposizioni dell’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602. Le verifiche eventualmente già effettuate, anche in data antecedente a tale periodo, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, per le quali l’agente della riscossione non ha notificato l’ordine di versamento previsto dall’articolo n-bis, del medesimo decreto restano prive di qualunque effetto e le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, nonché le società a prevalente partecipazione pubblica, procedono al pagamento a favore del beneficiario.
   2. Agli oneri derivanti dal presente articolo valutati in 29, l milioni di euro per l’anno 2020 che aumentano, ai fini della compensazione degli effetti in termini di indebitamento netto e di fabbisogno in 88,4 milioni di euro, si provvede ai sensi dell’articolo 265.


Art. 207 – Disposizioni urgenti per la liquidità delle imprese appaltatrici (Anticipazione)
Si riporta il testo dell’articolo.
   1. In relazione alle procedure disciplinate dal decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, i cui bandi o avvisi, con i quali si indice una gara, sono già stati pubblicati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, siano già stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi, ma non siano scaduti i relativi termini, e in ogni caso per le procedure disciplinate dal medesimo decreto legislativo avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 30.06.2021, l’importo dell’anticipazione prevista dall’articolo 35, comma 18, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, può essere incrementato fino al 30 per cento, nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento a disposizione della stazione appaltante.
   2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, l’anticipazione di cui al medesimo comma può essere riconosciuta, per un importo non superiore complessivamente al 30 per cento del prezzo e comunque nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento a disposizione della stazione appaltante, anche in favore degli appaltatori che hanno già usufruito di un’ anticipazione contrattualmente prevista ovvero che abbiano già dato inizio alla prestazione senza aver usufruito di anticipazione. Ai fini del riconoscimento dell’eventuale anticipazione, si applicano le previsioni di cui al secondo, al terzo, al quarto e al quinto periodo dell’articolo 35, comma 18, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 e la determinazione dell’importo massimo attribuibile viene effettuata dalla stazione appaltante tenendo conto delle eventuali somme già versate a tale titolo all’appaltatore
(27.05.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOEmergenza epidemiologica Covid-19: test sierologici sui dipendenti e tutela dei dati personali.
Domanda
In vista della ripresa dell’attività in sede, alcuni dipendenti chiedono che l’Amministrazione effettui test sierologici per il COVID-19. L’amministrazione condivide le preoccupazioni dei dipendenti e vorrebbe rendere obbligatori tali test per tutti i dipendenti, al fine di individuare eventuali casi di contagio e limitarne la diffusione, ritenendo che la tutela della salute sia una priorità.
Si può adottare questa misura o è necessario sempre il consenso degli interessati? La misura va concordata con il medico del lavoro?
Risposta
La posizione che ha assunto il Garante per la protezione dei dati personali, sin dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, è stata quella di contemperare il diritto alla privacy con l’esigenza di contenere il contagio. Il diritto alla privacy è un diritto di libertà e, in quanto tale, può essere compresso solo nella misura strettamente necessaria alla tutela del diritto alla salute della collettività.
Altro punto che troviamo nelle indicazioni del Garante è che i dati sanitari devono essere trattati soltanto dai soggetti a ciò istituzionalmente preposti, le istituzioni sanitarie e la protezione civile.
In particolare, con riferimento all’ambito lavorativo, occorre bilanciare l’interesse alla riservatezza dei dati personali dei lavoratori, con l’interesse alla salute e sicurezza sul lavoro. È, dunque, comprensibile che il datore di lavoro (sia esso pubblico o privato) si preoccupi di assicurare che nei propri uffici non si verifichino situazioni di contagio.
Occorre però mettere qualche paletto.
Così il Garante ha chiarito che, anche nell’attuale emergenza sanitaria, resta fermo il ruolo svolto dal medico competente (in coerenza con la disposizione dell’art. 41, del decreto legislativo 09.04.2008, n. 81 in tema di sorveglianza sanitaria) e il datore di lavoro non deve comunicare i nominativi dei contagiati al rappresentate dei lavoratori per la sicurezza. Restano fermi, infatti, i princìpi di proporzionalità e di minimizzazione dei dati, sanciti nell’articolo 5 del Regolamento (UE) 2016/679, in materia di tutela dei dati personali.
Con un comunicato del 02.03.2020 l’Autorità si era pronunciata relativamente alla possibilità o meno, per datori di lavoro pubblici e privati, di acquisire una “autodichiarazione” da parte dei dipendenti in ordine all’assenza di sintomi influenzali, e vicende relative alla sfera privata.
A tal proposito il Garante aveva precisato che i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa e che la finalità di prevenzione dalla diffusione del Coronavirus deve essere svolta da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato.
Pertanto invitava ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del Coronavirus, senza effettuare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti
A fronte del mutare degli strumenti a disposizione per limitare il contagio, il Garante fornisce ulteriori indicazioni con riferimento proprio alla questione dei test sierologici.
Con il Comunicato del 14 maggio si precisa che:
   • nell’ambito del sistema di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro o di protocolli di sicurezza anti-contagio, il datore di lavoro può richiedere ai propri dipendenti di effettuare test sierologici solo se disposto dal medico competente o da altro professionista sanitario in base alle norme relative all’emergenza epidemiologica;
   • le visite e gli accertamenti, anche ai fini della valutazione della riammissione al lavoro del dipendente, devono essere posti in essere dal medico competente o da altro personale sanitario, e, comunque, nel rispetto delle disposizioni generali che vietano al datore di lavoro di effettuare direttamente esami diagnostici sui dipendenti;
   • la partecipazione agli screening sierologici promossi dai Dipartimenti di prevenzione regionali nei confronti di particolari categorie di lavoratori a rischio di contagio, come operatori sanitari e forze dell’ordine, può avvenire solo su base volontaria.
Tale impostazione assicura il rispetto del l’art. 5 dello Statuto dei lavoratori che vieta accertamenti sanitari da parte del datore di lavoro.
Pertanto, con riferimento al quesito proposto, si ritiene che l’Amministrazione non possa procedere autonomamente all’effettuazione di test sierologici a tappeto sui propri dipendenti, tanto meno senza il consenso degli interessati. La misura deve essere disposta dalle autorità competenti e i dati personali possono essere trattati soltanto dalle medesime autorità, per disporre le misure di contenimento epidemiologico previste dalla normativa d’urgenza in vigore (es. isolamento domiciliare).
Si raccomanda invece di attenersi alle disposizioni contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro tra Governo e parti sociali del 24.04.2020, recepito nell’Allegato 6, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26.04.2020 (26.05.2020 - link a www.publika.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Regolamento comunale per la disciplina del diritto di accesso dei consiglieri comunali ai documenti amministrativi.
I regolamenti comunali in tema di diritto di accesso agli atti da parte dei consiglieri comunali devono uniformarsi ai principi elaborati dalla giurisprudenza, secondo i quali detti amministratori vantano un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle loro funzioni.
Tale diritto non incontra alcuna limitazione derivante dalla eventuale natura riservata dei documenti richiesti, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d'ufficio (fanno eccezione gli atti coperti da segreto in base a specifiche disposizioni di legge, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni). L’esercizio del diritto di accesso deve comunque avvenire con modalità tali da non recare pregiudizio all’attività degli uffici amministrativi.
Fermo che eventuali norme limitative dell’accesso dei consiglieri contenute nei regolamenti comunali devono essere interpretate ed applicate alla luce dei predetti principi, competerebbe unicamente all’autorità giudiziaria amministrativa, eventualmente adita, annullare le determinazioni amministrative illegittime.

Il Capogruppo consiliare chiede un parere in merito alla legittimità del regolamento adottato dal consiglio comunale, relativo alla disciplina del diritto di accesso agli atti da parte dei consiglieri comunali.
In via preliminare, si ricorda che non compete a questo Ufficio esprimersi in merito alla legittimità degli atti degli enti locali, stante l’avvenuta soppressione del regime dei controlli ad opera della legge costituzionale 3/2001. Di seguito, pertanto, si forniranno una serie di considerazioni giuridiche in ordine al diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali, che si ritiene possano risultare di utilità in relazione alla fattispecie prospettata.
L’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, recita: “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.
Come affermato, in diverse occasioni, dalla giurisprudenza “i consiglieri comunali vantano un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle loro funzioni; ciò anche al fine di permettere di valutare con piena cognizione la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.”
[1].
Anche il Ministero dell’Interno, ha avuto modo di precisare che «il diritto dei consiglieri ha una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini (ex articolo 10 del richiamato decreto legislativo n. 267/2000) ovvero a chiunque sia portatore di un "interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso (ex art. 22 e ss. della legge 07.08.1990, n. 241)»
[2].
E, ancora, in altra occasione, sempre il Ministero ha osservato che: “Fermo restando che l’Ente dovrebbe comunque disporre di apposito regolamento per la disciplina di dettaglio per l’esercizio di tale diritto, si osserva che la maggiore ampiezza di legittimazione all’accesso rispetto al cittadino (art. 10 del decreto legislativo n. 267/2000) è riconosciuta in ragione del particolare munus espletato dal consigliere comunale. Infatti, il consigliere deve essere posto nelle condizioni di valutare, con piena cognizione di causa, la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, onde potere esprimere un giudizio consapevole sulle questioni di competenza della P.A., opportunamente considerando il ruolo di garanzia democratica e la funzione pubblicistica da questi esercitata. A tal fine, il consigliere comunale non deve motivare la propria richiesta di informazioni, poiché, diversamente opinando, la P.A. si ergerebbe ad arbitro delle forme di esercizio delle potestà pubblicistiche dell’organo deputato all’individuazione ed al perseguimento dei fini collettivi. Conseguentemente, gli Uffici comunali non hanno il potere di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di informazioni avanzate da un Consigliere comunale e le modalità di esercizio del munus da questi espletato
[3].
Con riferimento ai limiti opponibili alle richieste di accesso dei consiglieri comunali, sulla scorta dei pronunciamenti giurisprudenziali intervenuti su tale tema è dato distinguere alcuni casi che costituiscono dei limiti formali alla richiesta di accesso da altri che, invece, riguardano il contenuto dell’eventuale documento richiesto dall’amministratore locale.
Sotto il primo profilo si segnala l’irricevibilità di richieste di accesso eccessivamente generiche o che per la loro mole possano recare pregiudizio all’attività degli uffici amministrativi. In questo senso si riporta una recente sentenza del giudice amministrativo la quale afferma che: “Le richieste di accesso agli atti fatte dai consiglieri comunali devono essere formulate in maniera specifica e dettagliata, recando l'indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora tali elementi non siano noti al richiedente, almeno di quelli che consentano l'individuazione degli atti medesimi, in modo da comportare il minore aggravio agli uffici che dovranno esitare la richiesta, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività di tipo corrente, e quindi senza pregiudizio per la corretta funzionalità amministrativa
[4].
Interessante, al riguardo, è anche una sentenza del Supremo giudice amministrativo il quale ha affermato che: “La giurisprudenza in tema di diritto di accesso ai documenti da parte dei consiglieri comunali e provinciali, e, per estensione, anche regionali, ne ha ravvisato il limite proprio nell'ipotesi in cui lo stesso si traduca in strategie ostruzionistiche o di paralisi dell'attività amministrativa con istanze che, a causa della loro continuità e numerosità, determinino un aggravio notevole del lavoro degli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull'attività dell'amministrazione. L'accesso, in altri termini, deve avvenire in modo da comportare il minore aggravio possibile per gli uffici comunali, e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche o meramente emulative
[5].
Il Ministero dell’Interno, nel fare proprie le considerazioni espresse dalla giurisprudenza e sopra riportate, ha al riguardo precisato che, tuttavia, i limiti di cui sopra non possono comportare ingiustificate compressioni all’esercizio del diritto di accesso da parte dei consiglieri, con la conseguenza che non devono essere introdotte surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso, determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della funzione dell’amministratore locale, che è quella di verificare che il Sindaco e la Giunta municipale esercitino correttamente la loro funzione.
Al riguardo si riporta un parere nel quale il Ministero ha richiamato le considerazioni espresse dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi
[6], la quale ha specificato che “in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale amministrativo (cfr., fra le molte, C.d.S., Sez. V, 22.05.2007, n. 929), riguardo le modalità di accesso alle informazioni e alla documentazione richieste dai consiglieri comunali ex art 43 TUEL, il diritto di accesso agli atti di un consigliere comunale -nell'esercizio del proprio munus publicum- non può subire compressioni di alcun genere, tali da ostacolare l'esercizio del suo mandato istituzionale, con l'unico limite di poter esaudire la richiesta (qualora essa sia di una certa gravosità) secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività di tipo corrente[7].
Con riferimento alla documentazione ostensibile ai consiglieri comunali, si ribadisce l’ampiezza che caratterizza le richieste di accesso avanzate dagli stessi: come rilevato dal Consiglio di Stato, “il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall'ente tutte le informazioni utili all'espletamento delle funzioni non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d'ufficio
[8].
Tuttavia, fermo il principio di cui sopra, la giurisprudenza ha negato l’accesso a degli amministratori locali relativamente a documentazione coperta da segreto istruttorio: “I consiglieri hanno l’incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento del loro mandato, al fine di permettere loro di valutare –con piena cognizione– la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione […]; diverso discorso è invece da farsi relativamente agli ulteriori atti di indagine penale, eventualmente delegata, che rientrano nel segreto istruttorio regolato dall’art. 329 c.p.p. e rispetto ai quali non può esercitarsi l’accesso se non nelle forme consentite dalla partecipazione al procedimento penale cui essi ineriscono
[9].
Nello stesso senso si è espresso anche il Ministero dell’Interno
[10] il quale, nel fare proprie due pronunce del Consiglio di Stato [11] ha osservato che: «L'Alto Consesso ha ritenuto che la posizione dei consiglieri comunali non possa essere talmente privilegiata da consentire loro l'accesso a tutti i documenti, anche segreti, dell'amministrazione, assumendo solo l'obbligo di non divulgare le relative notizie. […] Se ne deduce, così, che il diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai dati effettivamente utili all'esercizio del mandato ed ai soli fini di questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni […]».
Concludendo, si ritiene che i regolamenti comunali debbano uniformarsi ai principi elaborati dalla giurisprudenza sopra illustrati e che eventuali norme limitative dell’accesso dei consiglieri comunali debbano comunque essere interpretate ed applicate alla luce dei predetti principi.
In ogni caso, si rappresenta che, come tra l’altro affermato anche dal Ministero dell’Interno
[12] e dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi [13], entrambi interpellati su una questione analoga a quella in esame [14], “l’autorità competente ad annullare eventuali determinazioni amministrative illegittime è solo il Tar […] salve le iniziative di modifica rimesse alla autonoma valutazione consiliare”.
---------------
[1] TAR Sardegna Cagliari, sez. I, sentenza del 28.11.2017, n. 740; nello stesso senso, tra le altre, Consiglio di Stato, sentenza del 05.09.2014, n. 4525.
[2] Ministero dell’Interno, parere del 27.09.2018.
[3] Ministero dell’Interno, parere del 06.04.2017.
[4] TAR Campania Salerno, sez. II, sentenza del 04.04.2019, n. 545. Nello stesso senso si veda anche TAR Sardegna Cagliari, sez. I, sentenza del 13.02.2019, n. 128.
[5] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 02.03.2018, n. 1298.
[6] Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, “L’accesso ai documenti amministrativi”, anno 2011, sedute dell'11.10. e dell'08.11.2011.
[7] Ministero dell’Interno, parere del 18.05.2017.
[8] Consiglio di Stato, sez. V, sentenze del 29.08.2011, n. 4829 e del 04.05.2004, n. 2716.
[9] TAR Trento, sez. I, sentenza del 07.05.2009, n. 143. Nello stesso senso si veda Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 28.10.2016, n. 4537; TAR Sicilia, Catania, sentenza del 25.07.2017, n. 1943; TAR Potenza, sentenza del 14.12.2005, n. 1028.
[10] Ministero dell’Interno, parere del 13.02.2004.
[11] Rispettivamente Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 02.04.2001, n. 1893 e Consiglio di Stato, sentenza del 26.09.2000, n. 5105.
[12] Ministero dell’Interno parere del 18.05.2017, già citato in nota 7.
[13] Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, “L’accesso ai documenti amministrativi”, anno 2011, seduta dell'08.11.2011.
[14] In entrambi i casi si trattava della richiesta di parere in ordine alla legittimità del Regolamento per il diritto di accesso agli atti di un Comune, che si riteneva lesivo delle prerogative in materia di accesso stabilite per i consiglieri comunali
(08.05.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: COMPETENZE PROFESSIONALI – COMPETENZA DEL GEOMETRA IN MERITO ALLA CERCHIATURA DI UN VANO PORTA PER UNA COSTRUZIONE IN MURATURA - RICHIESTA PARERE.
Viene richiesto parere al Consiglio Nazionale sulla possibilità per i Geometri di progettare la cerchiatura metallica per la modifica di un vano finestra a vano porta di accesso per i disabili, per una costruzione in muratura (o se, al contrario, trattasi di “competenza specifica dell’Ingegnere”).
Si precisa inoltre che l’intervento riguarda un edificio in muratura con una superficie coperta di mq. 250,00 circa, che si sviluppa per n. 4 piani in zona sismica.

Sulla questione si osserva quanto segue.
In primo luogo, in via generale, si rammenta che non spetta al Consiglio Nazionale, bensì al Ministero della Giustizia e al Ministero dell’Università, fornire interpretazioni ufficiali delle competenze professionali ai sensi del DPR 05/06/2001 n. 328 (“Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti”).
Il Consiglio Nazionale, pertanto, può soltanto esprimere il proprio parere non vincolante, tramite formule generali, spettando poi all’Amministrazione chiamata ad esaminare il singolo progetto, di volta in volta, procedere ad applicare al caso concreto i principi e le regole generali, tramite una analisi puntuale e non astratta ed aprioristica delle caratteristiche dello specifico intervento.
Fermo restando quanto sopra –e dunque la necessità di una valutazione caso per caso, senza limitarsi ad una sintetica descrizione– al fine di fornire un ausilio e una indicazione di massima all’Ordine territoriale, in funzione di collaborazione istituzionale, si esprime l’avviso che, sul piano teorico, le attività sommariamente descritte nella nota trasmessa appaiano riconducibili alla competenza professionale (propria) dell’Ingegnere.
La progettazione di una cerchiatura si lega infatti ad una serie di considerazioni di merito su aspetti e questioni tecniche implicanti valutazioni di equivalenza di rigidezza, di resistenza della struttura e dunque di valutazione della sicurezza, sia pure di tipo locale.
Entrano in gioco, cioè, valutazioni che interagiscono necessariamente con la stabilità ed il comportamento strutturale del fabbricato e la sicurezza in generale.
Non a caso, nella circolare esplicativa delle NTC, si legge che l’intervento sulle costruzioni esistenti, proprio in forza della necessità di garantire la pubblica incolumità, determina “una particolare complessità delle problematiche coinvolte ed una difficile standardizzazione dei metodi di verifica e di progetto e dell’uso delle numerose tecnologie di intervento tradizionali e moderne oggi disponibili” (ivi).
Ebbene, a parere del Consiglio Nazionale, la progettazione di una cerchiatura metallica per la modifica di un vano, da vano-finestra a vano di una porta di accesso per disabili, all’interno di una costruzione in muratura e avente una superficie coperta di mq. 250.00 circa, che si sviluppa per 4 piani in zona sismica, non rientra –in linea generale e fatti salvi, come anticipato, gli approfondimenti comunque necessari sul caso concreto
(1)– nelle prerogative dei professionisti Geometri, esigendo la fattispecie una preparazione ed un percorso di studi di livello superiore e conoscenze approfondite (proprie della laurea specialistica o magistrale e dunque dell’Ingegnere e dell’Architetto).
Il tutto tenendo presente che per gli interventi in zona sismica la necessità di una valutazione caso per caso, che tenga conto in concreto dell’opera prevista e delle metodologie di calcolo utilizzate, dovrà essere “tanto più rigida e preclusiva, allorché l’area sia classificata con un maggiore rischio sismico” (Consiglio di Stato, 09/02/2012 n. 686).
In questi termini è il parere richiesto, salvo eventuale diverso avviso delle Autorità Ministeriali competenti.
Confidando di avere fornito i chiarimenti di pertinenza del Consiglio Nazionale, e restando impregiudicate le autonome valutazioni e considerazioni del Consiglio dell’Ordine territoriale, si inviano cordiali saluti.
---------------
   (1) Ricordiamo, infatti, che secondo la sentenza del Consiglio di Stato, 09/02/2012 n. 686, “la ricorrenza del criterio legittimante previsto ex lege –costruzioni civili semplici, con l’uso di metodologie standardizzate– non può essere aprioristicamente escluso sempre e comunque, necessitando di una valutazione caso per caso” (ovvero: occorre sempre analizzare le caratteristiche del caso concreto, con motivazione concernente il singolo progetto; attività che ovviamente non è possibile compiere da parte del CNI, il quale si limita a rendere un parere di massima, di carattere generale, sulla base dei dati e degli elementi a disposizione). La pronuncia citata del Consiglio di Stato è analizzata nella circolare CNI 27/02/2012 n. 23 (Consiglio Nazionale degli Ingegneri, parere 30.12.2019 n. 8748 di prot. - link a www.cni-online.it).

aggiornamento al 25.05.2020

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGORi-assunzione tempo determinato.
Domanda
Una dipendente a tempo determinato finisce il suo incarico a settembre. Ha ormai fatto 3 anni e anche l’anno aggiuntivo previsto dal Job act. L’amministrazione vorrebbe dare un altro incarico sempre per lo stesso lavoro.
Come potrebbe fare?
Risposta
L’art. 50 del CCNL 21.05.2018 stabilisce che:
   • un contratto a tempo determinato non può durare più di 3 anni;
   • non è possibile superare i 3 anni nemmeno sommando più contratti tra le stesse parti per le stesse mansioni, salva la possibilità di stipulare un ulteriore contratto di 12 mesi nei casi di cui al comma 11;
   • tra un contratto e l’altro ci deve essere un intervallo di tempo da 5 a 20 giorni a seconda dei casi e salve le eccezioni di cui al comma 12.
Dato che ci deve essere uno stacco, prima e dopo il periodo di interruzione si svolgono due distinti rapporti di lavoro, per l’accesso ai quali si devono necessariamente applicare le procedure previste per il reclutamento a tempo determinato nelle pubbliche amministrazioni: ad ogni assunzione si applicano le regole previste per l’accesso al pubblico impiego (principalmente: art. 97, comma 2, della Costituzione, d.lgs. 165/2001, regolamenti dei singoli enti sull’accesso all’impiego), comprese le regole previste dal bando di concorso di cui si tratta e dagli accordi tra gli enti coinvolti circa l’utilizzo condiviso delle graduatorie e circa le modalità del loro scorrimento.
Nel caso in cui, in applicazione di tali regole, venisse individuato lo stesso lavoratore che ha già prestato servizio a tempo determinato per lo stesso ente e per le stesse mansioni, è necessario rispettare l’intervallo di stacco.
Nel caso in cui, in applicazione di tali regole, venisse individuato un lavoratore che non ha già prestato servizio a tempo determinato per lo stesso ente per le stesse mansioni, non ci sono intervalli da rispettare, dato che non si verificano le circostanze con riferimento alle quali il CCNL richiede lo stacco.
Quindi, la riassunzione dello stesso lavoratore dopo lo stacco non è esclusa a priori, ma dipende quale è il canale di reclutamento utilizzato e le regole che lo disciplinano.
Nel caso descritto dal quesito è ipotizzabile anche il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, nel rispetto della disciplina di legge, contrattuale (art. 52 CCNL 21.05.2018), e contenuta nei regolamenti dell’ente: si vedano in modo particolare i regolamenti dell’ente per quanto riguarda la scelta dell’agenzia di somministrazione e per la scelta del lavoratore tra quelli proposti dall’agenzia (21.05.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI SERVIZI: Trasporto scolastico e pagamento prestazioni non rese.
Domanda
In qualità di RUP e direttore dell’esecuzione dell’appalto relativo al servizio di trasporto scolastico a seguito dei vari provvedimenti ministeriali di contenimento dell’epidemia da Covid-19, ai sensi dell’art. 107 del d.lgs. 50/2016, ho disposto la sospensione del servizio da riattivarsi al termine dell’emergenza e secondo le modalità e condizioni che saranno disposte a livello statale. L’operatore ci chiede comunque il pagamento del corrispettivo nonostante il servizio non sia stato prestato.
È legittima la richiesta avanzata?
Risposta
La questione riportata nel quesito riguarda i commi da 4-bis a 4-quater del d.l. 17.03.2020 n. 18 c.d. “Cura Italia”, aggiunti nel corso dell’esame al Senato al fine di tutelare le società che svolgono i servizi di trasporto pubblico locale e regionale e di trasporto scolastico, per contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, e approvati in via definitiva dalla Camera nella seduta del 24.04.2020.
In particolare il comma 4-bis dell’art. 92 del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27 stabilisce: “Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e delle misure di contrasto alla diffusione del virus sui gestori di servizi di trasporto pubblico locale e regionale e di trasporto scolastico, non possono essere applicate dai committenti dei predetti servizi, anche laddove negozialmente previste, decurtazioni di corrispettivo, né sanzioni o penali in ragione delle minori corse effettuate o delle minori percorrenze realizzate a decorrere dal 23.02.2020 e fino al 31.12.2020”.
La disposizione si riferisce genericamente ai “gestori di servizi” prevedendo quindi un ambito di applicazione che prescinde dal sistema di esecuzione (appalto, concessione, in house).
Pertanto, sulla base della citata norma, non solo non possono essere applicate dai committenti, neppure se negozialmente previste, sanzioni o penali in ragione delle minori corse o minori percorrenze effettuate, ma i Comuni sono tenuti a corrispondere all’appaltatore quanto contrattualmente previsto per i servizi di trasporto scolastico, ancorché non realizzato per l’inevitabile sospensione della prestazione scolastica.
Tale obbligo di pagamento del corrispettivo non è immediatamente disponibile in quanto il comma 4-quater del citato articolo, subordina l’efficacia della disposizione normativa all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che prevede appunto che siano comunicati alla Commissione europea progetti diretti a istituire o modificare aiuti.
Tuttavia l’articolo 116, comma 1, lettera b), del nuovo decreto c.d. Rilancio, in procinto di essere pubblicato in gazzetta ufficiale, modifica il comma 4-bis sopra citato permettendo di fatto tali riduzioni con riferimento ai gestori del servizio di trasporto scolastico:
all’articolo 92, comma 4-bis, primo periodo, le parole: “e di trasporto scolastico” sono soppresse” (20.05.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Adempimenti approvazione PTPCT.
Domanda
È possibile conoscere quali adempimenti dobbiamo svolgere dopo che la Giunta del nostro comune ha approvato il Piano Triennale Anticorruzione? Il Piano va spedito alla Funzione pubblica e all’ANAC?
Risposta
La legge anticorruzione (legge 06.11.2012, n. 190), all’articolo 1, comma 8, prevede che le pubbliche amministrazioni, entro il 31 gennaio di ogni anno, debbano approvare il Piano Triennale Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) e ne curano la trasmissione all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).
L’articolo 10, comma 8, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 (cd: decreto Trasparenza) prevede che ogni amministrazione ha l’obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale nella sezione: “Amministrazione trasparente”, il Piano Anticorruzione.
L’ANAC, in vari suoi documenti e da ultimo nel Piano Nazionale Anticorruzione 2019, approvato con delibera n. 1064 del 13.11.2019 (Paragrafo 6), ha specificato che nessun piano –contrariamente a quanto previsto nella legge Severino– deve essere inviato all’ANAC.
Per non disattendere completamente la disposizione legislativa, l’Autorità, in collaborazione con due università italiane, ha sviluppato una piattaforma on-line sul sito web istituzionale. La piattaforma è attiva dal 01.07.2019 ed è finalizzata alla rilevazione delle informazioni sulla predisposizione dei PTPCT e sulla loro attuazione.
Al momento, la piattaforma ha carattere sperimentale e, nella prima fase, è stata delimitata l’operatività della stessa unicamente alle amministrazioni pubbliche, di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (quindi, anche agli enti locali), agli enti pubblici economici, agli ordini professionali e alle società in controllo pubblico.
Con un comunicato datato 22.04.2020 –pubblicato nel sito web dell’ANAC il 04.05.2020– l’Autorità ha chiarito che l’acquisizione dei dati sui PTPCT, tramite la piattaforma, avviene esclusivamente mediante la compilazione di specifici moduli predisposti dall’Autorità e mai attraverso l’invio o il caricamento di documenti. In aggiunta, viene specificato che i dati sui PTPCT riferiti al triennio 2020-2022, non vanno ancora inseriti sulla piattaforma. L’Autorità fornirà, prossimamente, sul sito istituzionale specifiche informazioni in merito alle modalità di acquisizione di tali dati.
Chiarito il quadro complessivo, si risponde allo specifico quesito, illustrando che:
   a) Il PTPCT 2020/2022 deve essere pubblicato, entro un mese dall’adozione (sostiene l’ANAC, ma non la legge) nel sito web dell’ente, nella sezione Amministrazione trasparente > Altri contenuti > Prevenzione della corruzione. Il Piano va pubblicato anche nella sottosezione Disposizioni generali > Piano Triennale per la prevenzione della corruzione e trasparenza, dove, per evitare inutili duplicazioni, è possibile inserire un link che apra la prima sottosezione;
   b) è opportuno, ma non previsto da alcuna disposizione, che il Piano, approvato con deliberazione della Giunta, venga altresì trasmesso: al Responsabile Anticorruzione dell’ente e ai suoi referenti; ai dirigenti o posizioni organizzative (figure apicali), ai componenti dell’OIV o Nucleo di Valutazione.
Il PTPCT comunale, dunque, NON va trasmesso all’ANAC, né al dipartimento della Funzione pubblica, come previsto, invece, per le (sole) pubbliche amministrazioni centrali (art. 1, comma 5, legge 190/2012). Per il caricamento dei dati riferiti al Piano 2020/2022 nella Piattaforma ANAC occorre attendere le ulteriori disposizioni che l’Autorità emanerà (19.05.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMobilità e scorrimento graduatoria COVID-19.
Domanda
Mobilità e scorrimento graduatorie. Cosa si può fare e cosa è sospeso durante l’emergenza sanitaria?
Risposta
In merito a quanto esposto si ritiene di proporre delle considerazioni generali.
Per quanto riguarda la procedura di mobilità, la stessa non può ritenersi inclusa tra le procedure sospese per effetto dell’emergenza epidemiologica, trattandosi di espressione del dirigente/responsabile quale privato datore di lavoro e quindi la stessa potrebbe essere portata a compimento mediante colloquio telematico con gli aspiranti.
Per l’utilizzo delle graduatorie di un altro ente, tra l’altro da esperirsi mediante una scambio di lettere tra responsabili (no convenzione), si ricorda che è necessario procedere alla richiesta ex art. 34-bis del d.lgs. 165/2001 ed attendere poi i 45 giorni previsti dalla norma, che decorreranno dal 15.05.2020 per effetto della sospensione di cui all’art. 103 del d.l. 18/2020.
Infatti il dipartimento della Funzione Pubblica ha indicato, tra i procedimenti per i quali intende siano sospesi i termini, anche quello legato alla verifica degli esuberi ex articolo 34-bis del TUPI.
Quindi, i 45 giorni che gli enti debbono concedere al Dipartimento per effettuare le verifiche sono attualmente bloccati fino al 15 maggio compreso.
La previsione delle assunzioni in parola, se non già effettuato, dovrà essere inserita nel piano triennale di fabbisogno di personale (14.05.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIPresidente di commissione di gara e RUP.
Domanda
Nell’attuale situazione è configurabile la convivenza dei ruoli di RUP e presidente di commissione di gara? Si potrebbe avere una definitiva delucidazione del problema?
Risposta
La giurisprudenza è intervenuta –in particolare quella di primo grado– in numerose occasioni sul tema della compatibilità dei ruoli RUP/presidente di commissione di gara e della stessa possibilità, più in generale, del responsabile unico del procedimento di far parte della commissione di gara.
Occorre evidenziare che per effetto della recente legge 55/2019 (Sblocca Cantieri) l’operatività dell’Albo dei commissari (in realtà mai venuta in essere) è stata sospesa fino alla fine dell’anno (31/12/2020) e, soprattutto con l’ANCI, diverse sono le proposte di ulteriore proroga.
Tale sospensione abilita sicuramente la stazione appaltante alla nomina di commissari interni da inserire nel collegio. Anzi, si deve ritenere che prioritariamente il RUP (quale soggetto che predispone la proposta di nomina della commissione di gara) debba procedere con l’individuazione rivolgendo prioritaria attenzione ai funzionari della propria stazione appaltante per poi ampliare l’orizzonte delle verifiche a dipendenti degli enti limitrofi (con i quali si condivide l’adesione, ad esempio, ad una unione dei comuni), per proseguire con le verifiche nell’ambito di soggetti operanti nella pubblica amministrazione.
In sostanza, solo in via residuale (per appalti complessi) l’attenzione del RUP potrebbe essere rivolta a professionisti esterni sempre da nominare in modo trasparente ed oggettivo (magari con avviso pubblico e/o richiesta di almeno una terna di nominativi agli ordini su cui poi innestare il sorteggio).
In relazione alla partecipazione del RUP come componente e/o addirittura come presidente del collegio, si devono esprimere alcune perplessità.
Pur vero che dalla giurisprudenza emergono anche legittimazioni di tali modalità operative è altrettanto vero che l’ultimo orientamento, anche quello del Consiglio di Stato, si è espresso in senso contrario. Per semplificare, si può evidenziare che dalla complessiva giurisprudenza emergono orientamenti che ammettono tale prerogativa/possibilità ed orientamenti che la negano in modo assoluto.
Pertanto, si è indotti a ritenere che sia meglio evitare che il RUP venga individuato presidente del collegio (anche se dovesse coincidere con il dirigente/responsabile del servizio, rammentando che la funzione della presidenza è una funzione dirigenziale) per evitare a monte possibili contenziosi che, anche a prescindere dalla posizione espressa dal giudice, hanno l’effetto deleterio di ostacolare lo svolgimento fisiologico della procedura.
Pur vero che, con le censure il ricorrente deve dimostrare la concreta “incompatibilità” è altrettanto vero, però, che l’aver predisposto le regole della gara (o averle approvate come nel caso del dirigente/responsabile del servizio) viene considerata una incompatibilità (da ultimo si veda Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 17.04.2020 n. 2471 che afferma l’esistenza di un principio di terzietà nel procedimento amministrativo contrattuale).
Analoga considerazione deve essere espressa sulla partecipazione del responsabile unico (nonostante il comma 4 dell’articolo 77) è preferibile –almeno fino al consolidamento di un orientamento giurisprudenziale definitivo– che il RUP non faccia parte del collegio se non nel ruolo di segretario verbalizzante (13.05.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGORilevazione della temperatura corporea dei dipendenti e tutela dei dati personali.
Domanda
Nel nostro comune, al momento dell’entrata in servizio, in assenza di termoscanner, è stato predisposto un foglio con i nomi di tutti i dipendenti in cui è necessario dichiarare di non avere sintomi influenzali e una temperatura corporea inferiore a 37,5°.
La dichiarazione viene completata con la firma del dipendente e i colleghi la possono consultare trattandosi di un documento unico per tutti. Il foglio, con le dichiarazioni, viene ritirato durante la mattinata da un addetto del servizio personale.
Ci si chiede: la procedura rispetta le vigenti disposizioni in materia di privacy?
Risposta
Per fronteggiare l’aggravarsi dello scenario, legato all’emergenza epidemiologica, si sono susseguiti, in modo ravvicinato e, a volte, non sempre coordinato, numerosi interventi normativi e conseguenti atti di indirizzo tutti finalizzati a individuare misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza da Covid-19.
Tra le varie misure previste per i datori di lavoro, la più recente è il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro tra Governo e parti sociali, sottoscritto –nell’ultima versione– il 24.04.2020. Il Protocollo è stato poi trasfuso nel decreto Presidente Consiglio dei ministri (dpcm) del 26.04.2020, dove ha preso le sembianze dell’Allegato n. 6.
In particolare, il citato Protocollo prevede la rilevazione della temperatura corporea del personale dipendente per l’accesso alla sede aziendale (cfr. Paragrafo 2 del Protocollo rubricato “Modalità di ingresso in azienda”).
Sulla base delle vigenti norme in materia di tutela della privacy, la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea –quando è associata all’identità dell’interessato– costituisce un trattamento di dati personali [ex articolo 4, Paragrafo 1, 2) del Regolamento (UE) 2016/679] e, per ciò stesso, non è ammessa la registrazione del dato relativo alla temperatura corporea rilevata o, come nel caso del quesito, dichiarata dal dipendente.
A tal riguardo il Garante Privacy suggerisce:
   1. di rilevare la temperatura e non registrare il dato acquisito. È possibile identificare l’interessato e registrare il superamento della soglia di temperatura solo qualora sia necessario a documentare le ragioni che hanno impedito l’accesso ai locali aziendali;
   2. fornire al dipendente l’informativa (ex art. 13 Regolamento UE) sul trattamento dei dati personali. Si ricorda che l’informativa può omettere le informazioni di cui l’interessato è già in possesso e può essere fornita anche oralmente;
   3. definire le misure di sicurezza e organizzative adeguate a proteggere i dati. In particolare, sotto il profilo organizzativo, occorre individuare i soggetti preposti al trattamento e fornire loro le istruzioni necessarie;
   4. in caso di isolamento momentaneo dovuto al superamento della soglia di temperatura, assicurare modalità tali da garantire la riservatezza e la dignità del lavoratore.
Per tutto quanto sopra e nel rispetto del principio di “minimizzazione”, così come disciplinato nell’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), del regolamento UE citato, si ritiene che la procedura adottata nel comune, non risulti conforme alle vigenti disposizioni in materia di tutela dei dati personali e dovrebbe, pertanto, essere sostituita da altra procedura più rispettosa delle norme vigenti.
A completamento informativo, si consiglia di consultare le FAQ pubblicate nel sito web del Garante Privacy italiano al seguente link e applicare le disposizioni del Paragrafo 2, e Nota 1, del Protocollo, riportato nel dpcm del 26.04.2020, allegato 6 (12.05.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl regolamento comunale sull'Ordinamento Generale degli Uffici, adottato dalla Giunta Municipale, prevede che, in presenza di determinate condizioni, i Dirigenti possano delegare al personale appartenente alla carriera direttiva le funzioni dirigenziali per un periodo massimo di sei mesi.
Ciò premesso, si chiede se detta previsione regolamentare possa presentare profili di illegittimità considerato che manca un'esplicita previsione statutaria sull'argomento, nel senso che lo statuto comunale, nel disciplinare la dirigenza, nulla dice sulla possibilità di delegare le funzioni dirigenziali.

Per rispondere al quesito si fa riferimento a quanto disposto dal D.Lgs 18.08.2000, n. 267 (T.U.E.L.) specificamente all'art. 7 che disciplina l'adozione dei regolamenti comunali "nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto".
E' evidente che la mancanza di disposizioni statutarie non è d'ostacolo alla previsione regolamentare della disciplina della delega di funzioni dirigenziali là dove il regolamento sia conforme a legge.
Infatti, l’art. 17, comma 1-bis, D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 rubricato "Funzioni dei dirigenti" stabilisce che "I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile".
Pertanto, nei limiti stabiliti dalla norma primaria, e quindi, in presenza di specifiche e comprovate ragioni di servizio, anche in assenza di disposizioni statutarie, deve considerarsi legittima la previsione regolamentare che consenta al dirigente di delegare determinate funzioni a dipendenti apicali, ben potendo quindi il regolamento prevedere il termine di 6 mesi come termine massimo di durata.
Deve poi farsi necessariamente riferimento alla materia delle mansioni superiori ai sensi dell'art. 52, D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 i cui parametri devono essere comunque rispettati per evitare condotte rilevanti sotto il profilo erariale e disciplinare.
Infatti, l'art. 52, co. 2, stabilisce che "2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
   a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;
   b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza. 3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni
".
Evidente pertanto che la delega di funzioni dirigenziali a funzionari apicali deve essere connotata da una quantificazione, sotto il profilo qualitativo e temporale, inferiore alle mansioni proprie della qualifica direttiva che fanno ordinariamente capo al dipendente. In altre parole le funzioni delegate non devono essere quantitativamente superiori a quelle ordinariamente svolte dal dipendente e proprie della sua qualifica.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs 18.08.2000, n. 267, art. 110 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 7 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 17 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 52 (11.05.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOSvolgimento colloquio COVID-19.
Domanda
Abbiamo in corso una procedura di mobilità fra enti ex art. 30 del D.L.vo n. 165/2001. La Commissione dovrebbe ascoltare (colloquio) l’unico candidato partecipante ed ammesso.
Come possiamo procedere in questo tempo di emergenza sanitaria?
Risposta
L’art. 87, comma 5, del d.l. 18/2020, disciplina “lo svolgimento delle procedure concorsuali per l’accesso al pubblico impiego”, prevedendo apposite misure di tutela e salvaguardia della salute pubblica. L’art. 4, comma 1, del d.l. 22/2020, ha chiarito che la sospensione (per 60 giorni) riguarda esclusivamente le prove concorsuali e non le procedure concorsuali, intese in senso lato.
Chiarito il quadro normativo in cui ci si muove, si ritiene che il colloquio dell’unico candidato per una procedura di mobilità tra enti (ex art. 30, d.lgs. 165/2001) non rientri nella categoria di “prove concorsuali” per l’accesso al pubblico impiego, trattandosi di una cessione di contratto (trasferimento) di un dipendente che è già all’interno del perimetro della P.A.
Detto ciò, restano, comunque, da rispettare le disposizioni urgenti per la prevenzione del fenomeno epidemiologico da COVID-19, che obbligano i datori di lavoro privati e quelli della P.A. ad adottare idonee misure che non pongano a rischio la salute dei componenti della commissione e dell’unico candidato.
Per garantire tale passaggio, e consentirvi di concludere la procedura di mobilità (che non è un concorso), si individuano due possibili soluzioni:
   a) svolgere il colloquio in una sala ampia, alla presenza della commissione, eventuale segretario verbalizzante e candidato, debitamente distanziati, con uso di mascherine e guanti monouso. Nella sala (ampia) si può prevedere la presenza di eventuale pubblico stabilendo prima il numero massimo (per esempio tre o cinque persone). Lo sede e l’orario di svolgimento del colloquio e il numero dei posti riservati al pubblico dovranno essere comunicati via web in anticipo;
   b) in assenza di luogo idoneo, la commissione può svolgere il colloquio da remoto, con collegamento on-line. In questo caso il candidato può utilizzare un dispositivo (PC, tablet, smartphone) di sua proprietà. Il colloquio può essere registrato e, qualora richiesto da chi ne fosse interessato, può essere resa disponibile la registrazione. Il candidato dovrà essere previamente informato che il colloquio viene registrato. Il giorno e l’ora di svolgimento del colloquio e il fatto che la prova sarà registrata e eventualmente resa pubblica, può essere comunicato con apposito avviso da pubblicarsi nel sito web dell’ente (07.05.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOL'assunzione del libero professionista vincitore di concorso.
DOMANDA:
L'Ente è in procinto di assumere alcuni dipendenti a tempo determinato, per due anni, inquadrandoli in cat. D. Uno degli interessati esercita la libera professione di avvocato ed è quindi titolare di partita IVA.
L'avvocato ha posto il problema di poter ricevere alcuni crediti che comunque si manifesteranno non nell'immediato ma in futuro, come, ad esempio, quelli derivanti de sentenze favorevoli oltre a quelli per i quali non ha ancora emesso fattura, pur avendo svolto una ponderosa attività legale. Infatti, anche a voler anticipare la fatturazione per molte cause per cui aveva il mandato, per altre gli è impossibile emettere la relativa nota di addebito a causa dell'attuale indeterminatezza del credito che solo in futuro potrà essere fissato in maniera certa.
A tal fine, l'interessato ha chiesto se possa far rimanere aperta la sua posizione con partita IVA al solo fine di poter emettere le relative fatture quando i crediti saranno esigibili, senza effettuare alcuna attività ulteriore di difesa ma solo per poter estinguere le sue obbligazioni attive. Diversamente, chiede come poter affrontare e risolvere il problema senza che ciò comporti una rinuncia ai crediti maturati.
RISPOSTA:
L’Agenzia delle Entrate ad un quesito analogo a quello di specie, ovvero se sia possibile mantenere aperta la partita IVA per il tempo strettamente necessario alla riscossione dei crediti afferenti alla pregressa attività professionale e maturati prima dell’assunzione, ha risposto che “il professionista che non svolge più l’attività professionale non può cessare la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni rese in tale ambito ancora da fatturare ai propri clienti. L’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale. La cessazione dell’attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile l’attività professionale non può ritenersi cessata” (Agenzia entrate Risposte alle istanze di consulenza giuridica n. 20 del 29/11/2019).
L’Agenzia non si è invece espressa, non avendone la competenza, sull’applicazione della disciplina delle inconferibilità e incompatibilità riguardanti il rapporto di pubblico impiego. In altri termini, nell’evidenziare che, per la riscossione dei crediti, è necessario per il professionista mantenere aperta la P.iva, non si è invece pronunciata sull’aspetto principale del quesito, ossia se mantenendola aperta, sia possibile essere assunto come dipendente pubblico.
La disciplina del pubblico impiego esclude che un pubblico dipendente, a meno che non sia a tempo parziale non superiore al 50%, possa svolgere attività industriali, commerciali e professionali, cioè le attività imprenditoriali di cui all’articolo 2082 cod. civ. e le attività libero professionali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi albi o registri. Perché, in tali casi, sarebbe violato l’obbligo di esclusiva nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza. L’apertura e il mantenimento di una partita iva presuppone invece l’esercizio abituale e prevalente di una qualsiasi attività economica, e quindi è in conflitto con il vincolo di esclusività sancito dall’art. 53 del d.lgs. 165/2001.
Va però evidenziato che, in merito alla possibilità per il professionista di cessare l’attività professionale prima di avere incassato tutti i compensi, nel corso degli anni si sono alternati orientamenti diversi.
A quello sopra richiamato, contenuto già nella circolare n. 11/E del 16.02.2007 e nella risoluzione 232/E/2009 e ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8059 del 21.04.2016, se ne è contrapposto un secondo, con cui l’Agenzia ha chiarito invece che laddove un contribuente “cessi l’attività quando ancora esistono compensi fatturati e non ancora riscossi……. è rimessa alla scelta del contribuente la possibilità di determinare il reddito relativo all’ultimo anno di attività tenendo conto anche delle operazioni che non hanno avuto in quell’anno manifestazione finanziaria” (circolare 17/E/2012, paragrafo 5.1).
Adottando questa interpretazione, seguita anche nella prassi, appare possibile procedere alla fatturazione di tutti i compensi, compresi quelli ancora non riscossi e, successivamente, cessare l’attività professionale, computando nell’ultima dichiarazione annuale Iva anche le operazioni per le quali si è anticipata l’esigibilità dell’imposta rispetto al momento dell’effettivo incasso. Quest’ultima soluzione -che appare preferibile per gli specialisti del settore- prospetta la possibilità di cessare l’attività professionale “anticipatamente” rispetto alla manifestazione finanziaria delle operazioni in essere ed evita problemi di incompatibilità nell’ambito del pubblico impiego (tratto da e link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTILa modifica del contratto di appalto.
DOMANDA:
Il comune ha un contratto di pulizia degli uffici e delle palestre comunali triennale che scade il 30.05.2022. Con l'intervento dell'emergenza è stata interrotta la pulizia delle palestre fino alla ripresa dell'attività nelle stesse (si immagina a settembre). Viene mantenuta regolarmente la pulizia degli uffici comunali.
Preso atto che risulta difficile prorogare la pulizia delle palestre indipendentemente dalla pulizia degli uffici si è pensato, per non recare danno alla ditta e per utilizzare le risorse in modo congruo, di convertire le somme destinate al canone di pulizia palestre dei mesi di marzo, aprile eccetera alla sanificazione degli uffici e delle stesse palestre prima dell'apertura, utilizzando come riferimento normativo l'art. 48 D.L. 18/2020.
Si chiede se l'operazione sia fattibile con questo o altri riferimenti normativi(si tratta di una somma di circa 25mila euro) o se si debba procedere alla proroga e con quali modalità.
RISPOSTA:
I contratti di appalto e di concessione affidati in base al D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) possono essere sospesi ai sensi dell’art. 107 del Codice. Tale disposizione, prevista per i lavori si applica anche ai contratti di servizi e forniture, in quanto compatibili (comma 7).
Ai fini dell’applicabilità della norma, devono ricorrere le ipotesi ivi previste:
   - circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori/servizi/forniture procedano utilmente a regola d’arte e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto (comma 1) oppure
   - ragioni di necessità o di pubblico interesse (comma 2) oppure
   - cause imprevedibili o di forza maggiore che impediscono parzialmente il regolare svolgimento dei lavori/servizi/forniture (comma 4).
Nel caso dell’emergenza sanitaria da Covid-19, sono configurabili sia le circostanze speciali che impediscono in via temporanea l’esecuzione del contratto che le ragioni di pubblico interesse.
E’ tuttavia necessario un atto che disponga la sospensione del contratto, come previsto espressamente dallo stesso art. 107 e dall’art. 23 del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 49/2018.
Serve quindi un verbale del Rup o del Direttore dell’esecuzione del contratto, qualora individuato in un soggetto diverso, nel quale siano specificati:
   - le ragioni che hanno determinato l’interruzione dei lavori, servizi o forniture (identificabili appunto nell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e nei provvedimenti inerenti e conseguenti);
   - lo stato di avanzamento del contratto e quindi le prestazioni già effettuate,
   - le prestazioni che possono proseguire e quelle che invece sono sospese (in caso di sospensione parziale),
   - le eventuali cautele adottate affinché alla ripresa le opere/i servizi/le forniture possano essere continuate ed ultimate senza eccessivi oneri,
   - la consistenza della forza lavoro e dei mezzi d’opera esistenti in cantiere al momento della sospensione (con particolare riferimento ai lavori).
Il comma 3 dell’art. 107 prevede poi che, cessate le cause della sospensione, il Rup disponga la ripresa dell’esecuzione e indichi “il nuovo termine contrattuale”.
Analogamente ai sensi del art. 23, comma 3, del D.M. 49/2018 “non appena siano venute a cessare le cause della sospensione, il direttore dei lavori/il direttore dell’esecuzione lo comunica al RUP affinché quest’ultimo disponga la ripresa dell’esecuzione e indichi il nuovo termine contrattuale”.
Dal combinato disposto delle norme indicate sembra emergere la possibilità, in ogni caso, di prevedere un nuovo termine contrattuale rispetto a quello originariamente previsto, correlato al periodo di sospensione del contratto.
Con riferimento ai contratti di appalto ad esecuzione periodica e continuativa occorre tuttavia verificare, caso per caso, le effettive modalità di svolgimento del servizio e l’utilità della proroga in questione.
Nel caso in esame, l’Ente ritiene di non procedere con la sospensione parziale del servizio (relativamente alla pulizia delle palestre), ma di convertire le prestazioni in altre al momento più utili per l’Amministrazione.
L’art. 48 del D.L. n. 18/2020 convertito con Legge n. 27/2020 (cd. “Cura Italia”) è una norma specificatamente dettata per servizi educativi e scolastici e per le attività sociosanitarie e socioassistenziali svolte nei centri diurni per anziani e per persone con disabilità, e pertanto non può essere applicata al di fuori dei casi espressamente previsti.
Nella fattispecie in esame l’Ente può invece valutare l’applicabilità dell’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016 ai sensi del quale “Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende”.
In particolare, in base al comma 1, lett. c), di tale articolo i contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento “ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per gli appalti nei settori ordinari dal comma 7: 1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice o per l'ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all'oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d'opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti; 2) la modifica non altera la natura generale del contratto”.
Ed ancora ai sensi della lettera e) dello stesso comma 1 il contratto può essere modificato “se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4”. Una modifica è considerata sostanziale quando altera “considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti” o quando ricorrono le condizioni di cui al comma 4 del citato art. 106.
Il comma 2 del medesimo articolo disciplina poi ulteriori ipotesi che consentono la modifica del contratto senza necessità di una ulteriore procedura.
L’Ente dovrà quindi valutare quali condizioni ricorrano nel caso di specie e procedere, previa autorizzazione del Rup, a convertire le prestazioni oggetto del contratto (con gli obblighi inerenti e conseguenti previsti dall’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016).
Per quanto riguarda la fase di esecuzione del contratto, si ricorda infine che l’Anac, con delibera n. 312 del 09.04.2020, ha precisato che il rispetto delle misure di contenimento del contagio da “Covid-19” è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 Cc., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti. Questo sia con riferimento ai lavori che con riferimento ai servizi ed alle forniture (tratto da e link a www.ancirisponde.ancitel.it).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: parere in merito alla normativa da applicare alla domanda di condono edilizio in caso di vincolo di inedificabilità assoluto sopravvenuto all’abuso – G.d.F., Tenenza di Ponza (Regione Lazio, nota 06.05.2020 n. 401878 di prot.).

VARIIl Comando di questa forza di polizia riceve numerose richieste circa la possibilità di spostamento, dal 04.05.2020, per incontri con familiari e affini che si trovano per motivi di lavoro e studio fuori Regione.
Sono possibili questi spostamenti ed entro quali limiti?
Come noto l'art. 1, DPCM 26.04.2020, con decorrenza dal 4 maggio continua a mantenere forti limitazioni per gli spostamenti personali prevedendo 3 casistiche fondamentali:
   • spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative
   • spostamenti motivati da situazioni di necessità
   • spostamenti motivati da salute
Tuttavia il decreto aggiunge una ulteriore precisazione per cui "si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie".
Tale condizione rappresenta una esplicitazione della situazione di necessità, specificamente circoscritta dal decreto anche se con una formulazione alquanto "ambigua" quale la dizione "congiunti", successivamente esplicitata dalle AFQ del Governo come riferita a: i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge).
Il DPC, sempre all'art. 1 prosegue disponendo un divieto rafforzato per gli spostamenti fra le regioni, che possono ritenersi legittimati solo per:
   • comprovate esigenze lavorative
   • assoluta urgenza
   • motivi di salute
Come si può notare il decreto con include in questo caso gli spostamenti per la visita ai congiunti.
Tuttavia l'ultima parte della disposizione prevede una eccezione assoluta "è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza".
Alla luce di questo quadro normativo, in relazione al quesito formulato, si può dire:
   • non è consentito lo spostamento fuori Regione per visite a congiunti motivate esclusivamente da esigenze di ritrovo o riunione familiare
   • è consentito lo spostamento per eventuali motivi di salute (propri o dei congiunti)
   • è consentito lo spostamento per il rientro alla propria abitazione (es. figlio studente universitario che rientra dai genitori nella abitazione di proprietà o residenza)
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
DPCM 26.04.2020, art. 1 (06.05.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Possibilità di attivazione di specifica polizza sanitaria per emergenza COVID-19 a favore dei dipendenti dell'ente.
L’art. 42, c. 2, D.L. n. 18/2020, dispone che nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro il medico certificatore redige il certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato.
In forza della norma richiamata e come precisato dall’Inail (circolare n. 13/2020), le infezioni da nuovo coronavirus contratte in occasione di lavoro sono dunque coperte dalla tutela assicurativa Inail, per tutti i lavoratori assicurati dall'Istituto stesso, come infortuni di cui l’ente datoriale è tenuto a rispondere.
E ciò –avuto riguardo al datore di lavoro pubblico– corrisponde al principio generale secondo cui la pubblica amministrazione può assicurare con oneri a carico del proprio bilancio quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale, trasferendo all'assicuratore il rischio del verificarsi di un danno patrimoniale, mentre è priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale l'assicurazione di eventi per i quali l'ente non deve rispondere, che non rappresentano un rischio per l'ente medesimo.
Alla luce di detto principio, la possibilità per il Comune di stipulare una polizza assicurativa per il rischio da nuovo coronavirus, in favore del proprio personale dipendente, ulteriore a quella Inail prevista espressamente dalla legge (art. 42, c. 2, D.L. n. 18/2020), verrebbe a tradursi in una copertura assicurativa per ipotesi di infezioni non occorse in occasione di lavoro e dunque al di fuori degli eventi ricadenti nella responsabilità dell’ente, con ciò superando il limite di liceità della copertura assicurativa per gli eventi di danno riconducibili alla sfera della responsabilità patrimoniale della p.a..

---------------
Il Comune chiede un parere in merito alla possibilità di assicurare il personale dipendente dai rischi derivanti da “Covid-19”, alla luce del fatto che la polizza assicurativa in questione comporterebbe a suo carico spese ulteriori rispetto a quelle relative all’assicurazione obbligatoria per infortuni e malattie professionali e tenuto conto del fatto che l’Ente può assicurarsi solo per eventi che rientrano nella propria responsabilità patrimoniale.
In relazione alla questione posta, sentito il Servizio Funzione pubblica di questa Direzione centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
L’art. 42, c. 2, D.L. n. 18/2020
[1], dispone che “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni Inail nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro […]”.
Con circolare n. 13 del 03.04.2020, l’Inail ha puntualizzato che, secondo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie
[2], l’Istituto tutela i casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie negli ambienti di lavoro e/o nell’esercizio delle attività lavorative, i quali sono inquadrabili nella categoria degli infortuni: in questi casi, la causa virulenta è equiparata a quella violenta [3]. Fra tali affezioni morbose rientra anche l’infezione da nuovo coronavirus per tutti i lavoratori assicurati dall’Inail.
In particolare, l’Inail spiega che l’art. 42, c. 2, D.L. n. 18/2020, a conferma dell’indirizzo suddetto, chiarisce che la tutela assicurativa Inail, spettante nei casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie negli ambienti di lavoro e/o nell’esercizio delle attività lavorative, opera anche nei casi di infezione da nuovo coronavirus contratta in occasione di lavoro per tutti i lavoratori assicurati all’Inail.
Per quanto concerne le circostanze in cui possa configurarsi un’infezione da nuovo coronavirus “in occasione di lavoro
[4], l’Inail precisa che, nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus.
A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza.
In via esemplificativa, ma non esaustiva, nella circolare n. 13/2020 si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari.
Le predette situazioni non esauriscono, però –precisa l’Inail– l’ambito del suo intervento, in quanto residuano quei casi, anch’essi meritevoli di tutela, nei quali manca l’indicazione o la prova di specifici episodi contagianti o comunque di indizi “gravi precisi e concordanti” tali da far scattare ai fini dell’accertamento medico-legale la presunzione semplice.
In base alle istruzioni per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, la tutela assicurativa si estende, infatti, anche alle ipotesi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica.
Ne discende –continua l’Istituto- che, ove l’episodio che ha determinato il contagio non sia noto o non possa essere provato dal lavoratore, né si può comunque presumere che il contagio si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro elemento che in tal senso deponga, l’accertamento medico-legale seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
In forza della norma di legge di cui all’art. 42, c. 2, D.L. n. 18/2020, le infezioni da nuovo coronavirus sono dunque coperte dalla tutela assicurativa Inail, come infortuni in occasione di lavoro, di cui l’ente datoriale è tenuto a rispondere.
E ciò –avuto riguardo al datore di lavoro pubblico– corrisponde al principio generale secondo cui la pubblica amministrazione può assicurare con oneri a carico del proprio bilancio quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale, trasferendo all'assicuratore il rischio del verificarsi di un danno patrimoniale, mentre è priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l'assicurazione di eventi per i quali l'ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l'ente medesimo
[5].
Avuto riguardo a detto limite di liceità della copertura assicurativa per gli eventi di danno riconducibili alla sfera della responsabilità patrimoniale della p.a., la possibilità di una polizza assicurativa per il rischio da nuovo coronavirus, in favore del proprio personale dipendente, ulteriore a quella Inail prevista espressamente dalla legge (art. 42, c. 2, D.L. n. 18/2020), verrebbe a tradursi in una copertura assicurativa per ipotesi di infezioni non occorse in occasione di lavoro e dunque al di fuori degli eventi ricadenti nella responsabilità dell’ente.
In linea con queste considerazioni, paiono anche potersi interpretare le affermazioni della Corte dei conti Emilia Romagna n. 895/2006, secondo cui, poiché per i dipendenti pubblici, siano essi privatizzati od ancora retti da norme di diritto pubblico, l'assicurazione contro i danni subiti per infortuni avvenuti in occasione di lavoro è disciplinata dalle disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali (d.p.r. 20.06.1965 n. 1124), la possibilità degli enti di fare ricorso in tale materia a forme ulteriori di assicurazione può ritenersi lecita nei soli limiti in cui si rivolga chiaramente verso rischi non considerati e ricompresi nelle coperture assicurative previste per legge, o comunque siano contratte coperture in favore di soggetti non compresi nelle categorie dei dipendenti considerate dalle norme in materia
[6].
E avuto riguardo a detti parametri, atteso che, come sopra rilevato, la copertura assicurativa del personale dipendente in relazione alle ipotesi di contrazione dell’infezione da Covid-19 in occasione del lavoro è espressamente prevista dall’art. 42, c. 2, D.L. n. 18/2020, che la riconduce alla tutela assicurativa Inail, si ritiene che non sussista la possibilità per il Comune di stipulare ulteriori polizze assicurative.
---------------
[1] D.L. 17.03.2020, n. 18, recante: “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”. La disposizione di cui al comma 2 del citato art. 42 è applicabile ai datori di lavoro pubblici e privati.
[2] L’Inail richiama in proposito le Linee-guida per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie di cui alla Circolare Inail 23.11.1995, n. 74.
[3] Ai sensi dell’art. 2, D.P.R. n. 1124/1965 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), “L'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni” (comma 1).
[4] Sull’espressione “occasione di lavoro”, l’Inail richiama la Corte di Cassazione, sentenza n. 9913 del 13.05.2016, che ha ribadito i principi che devono essere seguiti nel determinare la riconducibilità all’“occasione di lavoro” dell’infortunio occorso al lavoratore. In particolare, secondo la Suprema Corte, affinché l’infortunio sia indennizzabile da parte dell’Inail, non è necessario che sia avvenuto nell’espletamento delle mansioni tipiche disimpegnate dal lavoratore essendo sufficiente, a tal fine, anche che lo stesso sia avvenuto durante lo svolgimento di attività strumentali o accessorie.
Sia la dottrina che la giurisprudenza di legittimità riconoscono il significato normativo estensivo dell’espressione “occasione di lavoro”. Essa comprende tutte le condizioni temporali, topografiche e ambientali in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è imminente il rischio di danno per il lavoratore, sia che tale danno provenga dallo stesso apparato produttivo e sia che dipenda da situazioni proprie e ineludibili del lavoratore.
[5] Corte dei Conti-Lombardia, sez. contr., deliberazione 21.12.2011, n. 665. La deliberazione esprime l’orientamento costante della Corte dei conti nel senso di esplicitare il limite di assicurabilità della p.a. individuandolo nel divieto di assumere a proprio carico rischi non propri; al riguardo, v. Corte dei conti, Sezioni Riunite, sentenza n. 707-A del 5.4.1991; Corte dei conti Abruzzo, sentenza 27.10.2011, n. 353; Corte dei conti Emilia Romagna, sentenza 01.08.2006, n. 895.
Corollario ed espressione di detto principio è anche il fatto che l’ente pubblico non può assicurare la responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti per condotte contraddistinte da dolo e colpa grave, di cui gli stessi possono essere chiamati a rispondere dinanzi alla Corte dei conti, ai sensi dell’art. 1, L. n. 20/1994 (cfr. Corte dei conti Emilia Romagna n. 895/2006 cit., che richiama l’orientamento costante della magistratura contabile nel senso dell’illegittimità dell’assicurazione per la responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti per i danni cagionati alle pubbliche finanze con dolo o colpa grave nell'esercizio delle loro funzioni).
[6] Corte dei conti Emilia Romagna n. 895/2006 cit., chiamata ad esprimersi, fra l’altro, sulla legittimità di alcune polizze infortuni in favore di amministratori, personale dipendente e soggetti non dipendenti ma collaboranti
(06.05.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

APPALTILa nuova procedura aperta al mercato su MEPA.
Domanda
Sulla piattaforma Mepa di Consip nel caso di utilizzo della Richiesta di Offerta “RDO” con invito rivolto a tutti gli operatori iscritti alla categoria merceologica può ritenersi superato il principio di rotazione con l’eventuale aggiudicazione del contraente uscente?
Risposta
Il d.lgs. 50/2016 all’art. 36, rubricato “Contratti sotto soglia”, prevede che l’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’art. 35 avvengano, tra gli altri, nel rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti. Normativa che stante la difficile applicazione ha visto numerose e contrastanti pronunce giurisprudenziale, nonché differenti posizioni dottrinarie.
Personalmente ritengo di pregio la definizione del principio di rotazione dei Giudici Siciliani del 2017 (sentenza n. 188), che osservano “come la principale ragione invocata a sostegno delle declinazioni più morbide del principio di rotazione è quella che riguarda proprio la tutela della concorrenza. Si afferma infatti che far derivare dal criterio della rotazione una regola di non candidabilità per il gestore uscente entrerebbe in rotta di collisione con i principi del Trattato”.
L’ANAC poi, con le Linee guida n. 4, al paragrafo 3.6 precisa come la rotazione non si applichi laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione.
Si tratta di capire quando la Richiesta di Offerta su Mepa possa considerarsi aperta al mercato.
Sicuramente nel caso di RDO “Aperta”, ovvero quel tipo di procedura a cui possono partecipare tutti i fornitori abilitati allo specifico bando collegato alla categoria merceologica, nonché coloro che entro i termini di scadenza previsti per la presentazione dell’offerta ne ottengono l’abilitazione.
Ma anche la RDO c.d. ad invito, qualora la Stazione appaltante in sede di costruzione della gara estenda l’invito a tutti gli operatori abilitati alla categoria merceologica di riferimento. Almeno secondo una recente pronuncia del Consiglio di Stato n. 875 del 04.02.2020 n. 875, che confermando la posizione del TAR Lazio (sentenza n. 527/2019), ha ritenuto che l’estensione dell’invito a tutte le ditte operanti nel settore (nel caso di specie invito a tutti gli operatori iscritti sul Mepa nella specifica categoria), determini l’inapplicabilità delle limitazioni previste dall’art. 36 in ordine alla rotazione delle imprese aggiudicatarie (il principio di rotazione non trova applicazione laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure nelle quali la stazione appaltante non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione. Il principio è stato di recente confermato da questo Consiglio (sez. V, 05.11.2019 n. 7539) sul rilievo che anche “alla stregua delle Linee guida n. 4 A.N.A.C., nella versione adottata con delibera 01.03.2018 n. 206 (v. in part. il punto 3.6), deve ritenersi che il principio di rotazione sia inapplicabile nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei partecipanti attraverso inviti").
Può inoltre considerarsi procedura aperta al mercato su Mepa, la RDO ad invito preceduta dalla pubblicazione di un avviso di indagine di mercato senza limitazione del numero degli operatori da invitare.
Ovviamente in un’ottica di semplificazione lo strumento da preferire è quello definito dal sistema Mepa “RDO Aperta” (06.05.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVISospensione dei termini in materia di accesso.
Domanda
L’amministrazione deve ancora dare riscontro ad una richiesta di accesso civico generalizzato, pervenuta in data 12.02.2020.
È possibile applicare l’articolo 103, del decreto Cura Italia o esiste una diversa disposizione in merito ai termini del procedimento per l’accesso? Quale è precisamente il termine entro cui deve rispondere l’amministrazione?
Risposta
Il comma 1, dell’articolo 103, del decreto- legge 18/2020, detta una disposizione di carattere generale, che si applica a tutti i procedimenti amministrativi, sia ad istanza di parte che d’ufficio, pendenti alla data del 23.02.2020 o iniziati successivamente a tale data, in relazione ai quali dispone che, ai fini del computo dei termini, non si tiene conto del periodo compreso tra tale data e il 15.04.2020. L’art. 37, comma 1, del decreto legge 08.04.2020, n. 23, ha prorogato tale termine al 15.05.2020.
Le uniche eccezioni all’applicazione della sospensione dei termini sono quelle previste dai commi 3 e 4, del medesimo articolo 103, del d.l. 18/2020
[1].
Considerato che il comma 3, esclude l’applicazione di tale disposizione nel caso di termini stabiliti da specifiche disposizioni dello stesso decreto-legge, occorre verificare che non vi sia una norma speciale concernente i termini del procedimento di accesso generalizzato.
Con una interpretazione evidentemente bizzarra, qualche commentatore ha ritenuto che il comma 3, dell’articolo 67, potesse consentire una sospensione fino al 31.05.2020.
Tale norma prevede che “Sono, altresì, sospese, dall’8 marzo al 31.05.2020 … le risposte alle istanze formulate ai sensi dell’articolo 22 della legge 07.08.1990, n. 241, e dell’articolo 5 del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33”, ma si inserisce nella disciplina speciale concernente la “sospensione dei termini relativi all’attività degli uffici degli enti impositori”. Essa, dunque, si applica soltanto ai procedimenti di accesso del settore dell’amministrazione fiscale, come precisato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, in apposito Comunicato del 3 aprile.
Si richiamano anche i due Comunicati del 3 aprile e del 9 aprile pubblicati sul sito del Centro nazionale di competenza FOIA (istituito presso il Dipartimento della Funzione Pubblica). È certo, pertanto, che “La sospensione dei termini, data la sua portata generale, interessa anche i procedimenti in materia di accesso, incluso l’accesso civico generalizzato. Pertanto, ove nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 15.05.2020 siano pendenti richieste di accesso civico generalizzato (o di altro tipo), le amministrazioni possono avvalersi della sospensione del termine di conclusione dei relativi procedimenti per il periodo indicato (23 febbraio-15.05.2020)”.
Ad una lettura attenta, anche il Comunicato del 9 aprile dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) concernente “Indicazioni in merito all’attuazione delle misure di trasparenza di cui alla legge 06.11.2012, n. 190, e al decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nella fase dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e all’attività di vigilanza e consultiva dell’ANAC”, nel menzionare i diversi termini di sospensione del comma 3, dell’art. 67, ricorda che essi valgono per i soli enti impositori.
In merito al computo del nuovo termine a disposizione dell’amministrazione, trattandosi di sospensione e non di interruzione, occorre tener conto soltanto del tempo residuo, da aggiungere al termine della sospensione (15 maggio).
Rispondendo nello specifico al quesito, considerato che la richiesta di accesso è pervenuta il 12 febbraio –e dunque, al momento della sospensione (23 febbraio) erano decorsi 10 giorni,– restano da aggiungere 20 giorni, pertanto il nuovo termine scadrà il 04.06.2020.
È auspicabile, tuttavia, che l’amministrazione, in applicazione dei principi di buona amministrazione, proceda il più celermente possibile a dare riscontro all’istanza. L’art. 103, opportunamente precisa che “Le pubbliche amministrazioni adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati.”.
---------------
[1] 3. Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai termini stabiliti da specifiche disposizioni del presente decreto e dei decreti-legge 23.02.2020, n. 6, 02.03.2020, n. 9 e 08.03.2020, n. 11, nonché dei relativi decreti di attuazione.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai pagamenti di stipendi, pensioni, retribuzioni per lavoro autonomo, emolumenti per prestazioni di lavoro o di opere, servizi e forniture a qualsiasi titolo, indennità di disoccupazione e altre indennità da ammortizzatori sociali o da prestazioni assistenziali o sociali, comunque denominate nonché di contributi, sovvenzioni e agevolazioni alle imprese comunque denominati
(05.05.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI SERVIZI: Rinegoziazione contratti a seguito della stipula di nuovo CCNL.
Secondo il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, ai fini della quantificazione della somma dovuta dalla pubblica amministrazione a titolo di revisione prezzi deve essere applicato l’indice ISTAT dei prezzi al consumo di famiglie di operai e impiegati (FOI).
L’utilizzo del predetto parametro non esonera la stazione appaltante dall’obbligo di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, ma segna il limite massimo oltre il quale l’amministrazione non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, «salvo circostanze eccezionali, che devono essere provate dall’impresa».
Pertanto, qualora l’appaltatore dimostri l’esistenza di circostanze eccezionali, quali eventi straordinari e imprevedibili, che esulano dalla normale dinamica di un rapporto contrattuale di durata, la quantificazione del compenso revisionale potrà essere effettuata ricorrendo a differenti parametri statistici.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che tra tali circostanze eccezionali non rientri l’aumento del costo del lavoro né, in particolare, la stipulazione di un nuovo CCNL.

Il Comune riferisce di avere in essere alcuni contratti con cooperative sociali, i quali prevedono la revisione dei prezzi ai sensi dell’art. 106 del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, tenendo conto delle variazioni rilevate dall’ISTAT.
Poiché le cooperative sociali richiedono altresì l’aggiornamento del prezzo in base alle variazioni intervenute sul costo del lavoro, a seguito di stipula del nuovo CCNL di categoria, il Comune chiede di conoscere se –anche alla luce del parere legale allegato– tale ulteriore richiesta debba essere accolta e, in caso affermativo, come debbano essere considerati gli adeguamenti già applicati in base ai parametri stabiliti dalla legge di gara.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza della Direzione centrale patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi, si formulano le seguenti considerazioni.
Occorre, anzitutto, rilevare che, qualora i contratti ai quali il Comune fa riferimento attengano a servizi socio-sanitari ed educativi, viene senz’altro in rilievo l’aspetto dell’elevata incidenza del costo del lavoro, trattandosi di attività ad alta intensità di manodopera.
In un siffatto contesto, quindi, la stipulazione di un nuovo CCNL costituisce evento che si ripercuote inevitabilmente sul margine di utile spettante all’appaltatore.
Tuttavia, pur se nel merito parrebbe auspicabile rinvenire uno strumento giuridico capace di ristabilire il sinallagma contrattuale, si deve indagare sulla fattibilità di una tale operazione in termini di legittimità.
A differenza della previgente disciplina (recata dall’art. 115, comma 1
[1], del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163), che imponeva alle stazioni appaltanti di prevedere una clausola di revisione periodica del prezzo in tutti i contratti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa, dalla formulazione dell’attuale art. 106, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 50/2016 si evince che una tale previsione è meramente facoltativa.
La norma predetta stabilisce, infatti, che «Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:
   a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. […]
».
Pertanto, nell’odierno assetto normativo, la revisione dei prezzi contrattuali è ammessa esclusivamente se è stata prevista dalla lex specialis di gara e disciplinata con clausole chiare, precise e inequivocabili (“in maniera tale da essere conoscibili da parte di tutti i concorrenti nel rispetto dei princìpi di trasparenza e parità di trattamento
[2]), che individuino la portata, la natura e le condizioni per la loro applicazione, considerando le fluttuazioni dei prezzi e dei costi standard.
Definendo i poteri spettanti all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), l’art. 213 del D.Lgs. 50/2016 stabilisce che essa, «al fine di favorire l’economicità dei contratti pubblici e la trasparenza delle condizioni di acquisto, provvede con apposite linee guida, fatte salve le normative di settore, all’elaborazione dei costi standard dei lavori e dei prezzi di riferimento di beni e servizi, avvalendosi a tal fine, sulla base di apposite convenzioni, del supporto dell’ISTAT e degli altri enti del Sistema statistico nazionale, alle condizioni di maggiore efficienza, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione, avvalendosi eventualmente anche delle informazioni contenute nelle banche dati esistenti presso altre Amministrazioni pubbliche e altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici
[3].
Poiché i suddetti prezzi di riferimento di beni e servizi non sono mai stati definiti
[4], il Consiglio di Stato, con orientamento costante e consolidato, afferma che ai fini della quantificazione della somma dovuta dalla pubblica amministrazione a titolo di revisione prezzi deve essere applicato, in via suppletiva, l’indice ISTAT dei prezzi al consumo di famiglie di operai e impiegati
(FOI) [5], affinché le operazioni siano conformi a criteri oggettivi anche quanto alla soglia massima, onde scongiurare squilibri finanziari nel bilancio, alla stregua della riconosciuta ratio dell’istituto volta a tutelare la prosecuzione e la qualità della prestazione ma, prima ancora, l’esigenza della pubblica amministrazione di non sconvolgere il proprio quadro finanziario [6].
Il Giudice amministrativo sostiene, infatti, che l’istituto della revisione è preordinato alla tutela dell’esigenza, propria della P.A., di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto, mentre solo in via mediata esso tutela l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni.
Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, l’utilizzo del predetto parametro non esonera la stazione appaltante dall’obbligo di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale
[7], ma segna il limite massimo oltre il quale l’amministrazione non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, «salvo circostanze eccezionali, che devono essere provate dall’impresa».
Pertanto, qualora l’appaltatore dimostri, durante l’istruttoria, l’esistenza di circostanze eccezionali, che giustifichino la deroga all’indice FOI, la quantificazione del compenso revisionale potrà essere effettuata ricorrendo a differenti parametri statistici
[8].
Il Consiglio di Stato afferma, inoltre, che la periodicità della revisione «non implica affatto che si debba azzerare o neutralizzare l’alea sottesa a tutti i contratti di durata», rilevando che «risulterebbe ben singolare una interpretazione che esentasse del tutto, in via eccezionale, l’appaltatore dall’alea contrattuale, sottomettendo in via automatica ad ogni variazione di prezzo solo le stazioni appaltanti pubbliche, pur destinate a far fronte ai propri impegni contrattuali con le risorse finanziarie provenienti dalla collettività»
[9].
Effettuata questa necessaria premessa in termini generali, occorre ora soffermarsi sulla specifica questione posta, ossia se risulti plausibile ritenere che, pur essendosi visto riconoscere la revisione generale dei prezzi in base al parametro stabilito in sede di indizione della procedura di affidamento (indice FOI), l’appaltatore possa aspirare ad un diverso (ma in ogni caso non ulteriore
[10]) aggiornamento, corrispondente all’incremento del costo del lavoro, a seguito dell’avvenuta stipulazione del nuovo CCNL di categoria.
Occorre, anzitutto, ribadire che, su richiesta dell’appaltatore, spetta alla stazione appaltante effettuare, caso per caso, l’istruttoria preordinata a verificare, alla luce delle clausole previste dalla lex specialis e della specifica situazione di fatto, la sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale.
Ciò posto si segnala che il Consiglio di Stato, trattando della dimostrazione, da parte di un’impresa, dell’esistenza di circostanze eccezionali che giustificherebbero la deroga all’indice FOI
[11], afferma che non basta richiamare l’aumento del costo dei mezzi o del costo del lavoro, nello specifico settore, per sostenere che dovrebbe applicarsi un indice diverso, in grado di “riequilibrare” il sinallagma funzionale del contratto, «poiché il compenso revisionale può essere riconosciuto, in misura superiore a quello del FOI, solo in presenza di circostanze eccezionali, quali eventi straordinari e imprevedibili, che esulano dalla normale dinamica di un rapporto contrattuale di durata» [12].
Infatti –precisa il Collegio– l’aumento del costo dei mezzi e del costo del lavoro «sono eventi ordinari e ordinariamente prevedibili da un’impresa qualificata del settore specifico […] e certo non può supplire agli effetti economici sfavorevoli all’appaltatore, cagionati dalla loro sopravvenienza in corso di rapporto, l’istituto della revisione che, come detto, risponde a ben altra e principale e, comunque, precipua finalità, dovendo altrimenti ammettersi che ogni aumento dei costi di una certa rilevanza imponga all’Amministrazione ipso facto la revisione del compenso»
[13].
Con una più recente pronuncia, il Consiglio di Stato affronta proprio la tematica della richiesta di riconoscimento della revisione prezzi relativa al costo del lavoro in misura superiore all’indice ISTAT, applicato dalla stazione appaltante, motivata dal maggior onere scaturente dall’intervenuta stipulazione del nuovo CCNL cooperative sociali
[14].
Il Giudice respinge il ricorso dell’appaltatore, avuto riguardo tanto al pacifico orientamento circa la necessaria applicazione dell’indice ISTAT, quanto in base alla considerazione che «il nuovo CCNL non costituisce una circostanza eccezionale ed inoltre tale contratto collettivo è stato stipulato nel 2008
[15], quindi era conoscibile al momento della stipula del contratto di appalto [16] e, come tale, costituiva una circostanza prevedibile, essendo quindi inidoneo al fine di giustificare una deroga dal limite dell’indice ISTAT» [17].
Occorre, poi, segnalare al Comune che il riconoscimento della revisione prezzi sulla base di un parametro diverso da quello originariamente previsto, sempre che non ricorrano le “circostanze eccezionali e specifiche” che lo consentano, oltre a confliggere con i princìpi di trasparenza e di par condicio, configurerebbe una modifica sostanziale del contratto, in aperta violazione delle disposizioni recate dall’art. 106, comma 1, lett. e)
[18] e comma 4 [19], del D.Lgs. 50/2016.
Per quanto sin qui rilevato non appare condivisibile la diversa tesi prospettata nel parere legale trasmesso dall’Ente, posto che i richiami normativi, giurisprudenziali
[20] ed interpretativi ivi contenuti non sembrano pertinenti.
Va, anzitutto, ribadito che la norma di riferimento in materia di revisione dei prezzi è contenuta nel comma 1, lett. a)
[21] e non già nel comma 2 [22] dell’art. 106 del D.Lgs. 50/2016.
Infatti, poiché il comma 2 esordisce disponendo che «I contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, […]» deve ritenersi che si tratti di evenienze diverse da quelle disciplinate in precedenza.
D’altronde non appare verosimile che il legislatore, dopo aver espressamente menzionato la revisione dei prezzi nell’ambito delle ipotesi regolamentate al comma 1, appronti, al comma 2, una disciplina generale che possa risultare applicabile
[23] al medesimo istituto.
La conferma del differente ambito oggettivo che i commi in argomento sono destinati a disciplinare si rinviene nell’atto di segnalazione n. 4 del 13.02.2019
[24], con il quale l’ANAC, dopo aver analizzato il comma 1 del predetto art. 106, afferma che il successivo comma 2 «contempla una ulteriore modifica del contratto».
Ciò posto si rileva che gli ulteriori richiami e le considerazioni contenuti nel parere legale di cui trattasi riguardano la fase della scelta del contraente, che va tenuta distinta dalla fase relativa alla conclusione ed esecuzione del contratto, nell’ambito della quale si colloca l’istituto della revisione dei prezzi.
Le disposizioni legislative ivi citate stabiliscono, infatti, parametri e limiti da considerare ai fini della corretta individuazione dell’importo da porre a base di gara (cosicché sarebbe precluso all’Ente tener conto di futuri incrementi di costo, peraltro non quantificabili a priori) e della valutazione di anomalia dell’offerta, la quale rileva, evidentemente, ai soli fini dell’aggiudicazione della gara.
Ci si può dolere del fatto che il legislatore abbia approntato una serie di tutele relative al costo del lavoro nell’ambito della fase di scelta del contraente
[25], ma non anche in quella di esecuzione del contratto; ciò non consente, tuttavia, all’interprete di porvi alcun rimedio.
Occorre, poi, considerare –qualora si dovesse invocare un intervento normativo sul tema in discussione– che la disciplina di entrambe le fasi risulta riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientrando la prima nella materia trasversale “tutela della concorrenza
[26] e la seconda nella materia “ordinamento civile[27].
Quanto all’affermazione del legale secondo la quale “La stessa sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, 05.11.2018, n. 6237, non pare vietare una revisione prezzi fondata sulla modifica del contratto collettivo.” si ritiene di dover dissentire, considerato che il Giudice sancisce che «il nuovo CCNL non costituisce una circostanza eccezionale ed inoltre
[28] tale contratto collettivo è stato stipulato […]». Appare, perciò, che il Collegio abbia voluto statuire in via generale che l’approvazione di un nuovo CCNL non rappresenta una circostanza eccezionale.
Non si ritiene condivisibile nemmeno l’opinione del legale in base alla quale “un rinnovo contrattuale che interviene a distanza di molti anni da quello precedente assume una certa connotazione di straordinarietà e imprevedibilità” ritenendosi, al contrario, che il decorso del tempo, rispetto ad un evento obbligatorio e necessario, renda sempre più probabile il suo verificarsi a breve termine.
In conclusione, come già segnalato, spetterà comunque al Comune valutare di volta in volta, mediante apposito procedimento, tutte le circostanze del caso concreto, al fine di stabilire l’eventuale ricorrenza di evenienze eccezionali (ossia impreviste ed imprevedibili), che possano essere ritenute idonee a consentire il riconoscimento della revisione dei prezzi in misura superiore all’indice FOI.
La presente nota viene trasmessa, per conoscenza, al Servizio politiche per il terzo settore della Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità, affinché esso possa esprimere eventuali ulteriori considerazioni in ordine alla tematica trattata.
----------------
[1] Il quale stabiliva che «Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5.».
I dati ai quali faceva riferimento la disposizione erano costituiti dai “costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali”, che avrebbero dovuto essere determinati annualmente dall’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, avvalendosi dei dati forniti dall’ISTAT e tenendo conto dei parametri qualità-prezzo di cui alle convenzioni stipulate dalla CONSIP, ai sensi dell’art. 26 della legge 23.12.1999, n. 488. A tal fine l’ISTAT avrebbe dovuto curare la rilevazione e l’elaborazione dei prezzi di mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni aggiudicatrici, provvedendo alla comparazione, su base statistica, tra questi ultimi e i prezzi di mercato.
[2] Così P. Cartolano, Ius variandi nel d.lgs. n. 50/2016, reperibile in www.mediappalti.it.
[3] Così il comma 3, lett. h-bis).
[4] Nemmeno nella vigenza delle precedenti disposizioni.
[5] Cfr., più recentemente, Consiglio di Stato, Sez. III, 09.01.2017, n. 25 e 25.03.2019, n. 1980.
[6] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III n. 25/2017, cit. e 05.11.2018, n. 6237.
[7] Il Consiglio di Stato precisa che la determinazione della revisione prezzi viene effettuata, dalla stazione appaltante, all’esito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente (cfr. Sez. III, 02.05.2019, n. 2841).
[8] Cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. III, 01.04.2016, n. 1309, n. 25/2017, cit., n. 1980/2019, cit.
[9] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1980/2019, cit. e n. 2841/2019, cit.
[10] Si ritiene, infatti, condivisibile la posizione dell’Ente (desumibile dal testo del quesito posto) circa l’inammissibilità di accogliere integralmente la richiesta avanzata dalle cooperative sociali, stante la parziale duplicazione di beneficio che essa comporterebbe.
[11] Nella fattispecie, l’aggiudicataria di un servizio di elisoccorso, a conclusione del procedimento revisionale avviato ai sensi dell’art. 115 del D.Lgs. 163/2006, si vedeva applicato l’indice FOI, altro e diverso parametro statistico rispetto all’indice NIC – Trasporto Aereo Passeggeri (sottovoce 0733), inizialmente previsto per l’adeguamento dei prezzi.
La stazione appaltante, che aveva già accordato, per alcune annualità, il compenso revisionale in base al predetto indice NIC, aveva poi provveduto a riformare, in autotutela, le relative deliberazioni, rideterminando il quantum della revisione in base all’indice FOI, in considerazione del consolidato orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto. Il Consiglio di Stato, richiamando la ratio dell’istituto e il predetto orientamento, ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione.
[12] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1309/2016, cit.
[13] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1309/2016, cit.
[14] Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, cit.
[15] Precisamente il 30.07.2008.
[16] Avvenuta il 10.03.2008.
[17] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, cit.
[18] «Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:
   […]
   e) se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4. […]».
[19] «Una modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi del comma 1, lettera e), quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. In ogni caso, fatti salvi i commi 1 e 2, una modifica è considerata sostanziale se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte:
   a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;
   b) la modifica cambia l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale;
[…]».
[20] Fatta eccezione per la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, da ultimo esaminata.
[21] In base alla quale è consentito modificare i contratti d’appalto durante il periodo di efficacia se, a prescindere dal loro valore, le modifiche sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, «che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi».
[22] «I contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, senza necessità di una nuova procedura a norma del presente codice, se il valore della modifica è al di sotto di entrambi i seguenti valori:
   a) le soglie fissate all’articolo 35;
   b) il 10 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di servizi e forniture sia nei settori ordinari che speciali ovvero il 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori sia nei settori ordinari che speciali. Tuttavia la modifica non può alterare la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro. In caso di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche. Qualora la necessità di modificare il contratto derivi da errori o da omissioni nel progetto esecutivo, che pregiudicano in tutto o in parte la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione, essa è consentita solo nei limiti quantitativi di cui al presente comma, ferma restando la responsabilità dei progettisti esterni.».
[23] Sempre che non venga alterata la natura complessiva del contratto.
[24] Concernente gli obblighi di comunicazione, pubblicità e controllo delle modificazioni del contratto ai sensi dell’art. 106 del D.Lgs. 50/2016 e approvato con delibera n. 112 del 13.02.2019.
[25] Non senza rilevare, peraltro, che l’art. 97, commi 5 e 6, del D.Lgs. 50/2016, disciplinando l’anomalia dell’offerta, stabilisce l’inderogabilità unicamente dei “minimi salariali retributivi” o dei “trattamenti salariali minimi”.
[26] V. l’art. 117, comma 2, lett. e), della Costituzione.
[27] V. l’art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione.
[28] Avverbio corrispondente a locuzioni quali: “per di più”, “oltre a ciò”, “ulteriormente”, “come se non bastasse”, “in aggiunta”
(30.04.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Qualificazione di intervento di demolizione e ricostruzione, con mantenimento della stessa volumetria fuori terra, e contestuale costruzione di un piano interrato adibito a superficie accessoria (Regione Emilia Romagna, nota 29.04.2020 n. 327081 di prot.).
---------------
1. Si chiede come debba essere considerato un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio, con mantenimento della stessa volumetria fuori terra, e contestuale costruzione in ampliamento di un piano interrato adibito a Superficie accessoria. In particolare, si chiede se tale intervento complessivo e contestuale si debba configurare una nuova costruzione (NC) oppure se è possibile considerare RE l’intervento fuori terra e NC la costruzione del volume interrato.
Si chiede di specificare inoltre come considerare l’intervento anche se i due volumi (quello fuori terra e quello interrato) non fossero collegati tra loro. (...continua).

aggiornamento al 30.04.2020

PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALICompenso vice-segretario.
Domanda
Nel caso in cui un titolare di posizione organizzativa venisse nominato vice segretario, quali sono le possibilità di remunerazione di tale funzione ed i limiti ai quali la stessa retribuzione è sottoposta?
Risposta
Si rileva preliminarmente che l’art. 97 del d.lgs. 267/2000, al comma 5, stabilisce che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere un vice segretario per coadiuvare il segretario o sostituirlo nei casi di vacanza, assenza o impedimento.
L’ente, quindi, nell’ambito delle proprie scelte regolamentari, mediante le quali esercita la propria potestà auto organizzatoria individua, qualora voglia esercitare la facoltà di prevedere la figura del vice segretario, il posto, i requisiti e le relative funzioni.
L’art. 45 del d.lgs. 165/2001 (Testo Unico Pubblico Impiego), come modificato dal d.lgs. 150/2009 stabilisce l’importante principio che Il trattamento economico fondamentale ed accessorio del personale del pubblico impiego è definito dai contratti collettivi.
Tale principio è stato richiamato dall’ARAN in un parere fornito ad un ente (SEG_047), riferito alla possibilità di estendere la maggiorazione relativa alla segreteria convenzionata, di cui all’art. 45 del CCNL segretari comunali e provinciali del 16/05/2001, anche al vice segretario.
L’Agenzia ha chiarito che al vice segretario, non essendo lo stesso dirigente, non si può estendere, per analogia, la disciplina applicabile al personale dirigenziale.
I contratti collettivi vigenti non prevedono compensi aggiuntivi per il dipendente nominato vice segretario al di fuori delle previsioni contenute nell’art. 11 del CCNL 09/05/2006.
Se lo stesso dipendente è titolare di posizione organizzativa allo stesso sarà corrisposta la retribuzione di posizione e risultato con le modalità ed i limiti di cui all’art. 15 del CCNL 21/05/2018 (30.04.2020 - link a www.publika.it).

VARI: All’ufficio SUAP di questo Comune giungono richieste in merito alla riapertura di attività, dal 4 maggio, da parte di imprese che vorrebbero prepararsi con ordini, pulizia e sanificazione dei locali.
E’ possibile autorizzare l’accesso ai locali aziendali?

Il D.P.C.M. 26.04.2020 contenente "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23.02.2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale" prevede all’art. 2 una specifica disciplina transitoria per le attività sospese che riprenderanno l’attività dal 4 maggio disponendo che queste possono svolgere tutte le attività propedeutiche alla riapertura a partire dalla data del 27.04.2020.
Il comma 8 dispone inoltre che "per le attività produttive sospese è ammesso, previa comunicazione al Prefetto, l'accesso ai locali aziendali di personale dipendente o terzi delegati per lo svolgimento di attività di vigilanza, attività conservative e di manutenzione, gestione dei pagamenti nonché attività di pulizia e sanificazione. È consentita, previa comunicazione al Prefetto, la spedizione verso terzi di merci giacenti in magazzino nonché la ricezione in magazzino di beni e forniture".
Quindi la normativa consente, già dal 27 aprile di riavviare le operazioni commerciali ed anche logistiche, con accesso ai locali aziendali per le attività di pulizia, sanificazione ed ogni altra attività "propedeutica" alla riapertura, così da poter, il 4 maggio, avviare operativamente e concretamente l’attività senza ulteriori attese.
Non spetta all’Amministrazione comunale né al SUAP autorizzare tale attività che potrà essere svolte sulla base delle disposizioni del DPCM e se del caso previa comunicazione al Prefetto.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.C.M. 26.04.2020, art. 2 (29.04.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTIIl CIG e la proroga tecnica.
Domanda
In sede di richiesta del CIG, ai fini del valore dell’appalto, è necessario considerare la proroga tecnica di cui all’art. 106, co. 11, del codice, oppure, data l’eccezionalità della fattispecie e la difficoltà nel determinare il valore, può prescindersi dal computo?
Risposta
Secondo l’art. 106, co. 11, del d.lgs. 50/2016, “La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante”.
L’articolo disciplina la cd. proroga tecnica, ovvero uno spostamento in avanti della scadenza contrattuale, esercitabile qualora prevista nei documenti di gara al solo fine di garantire la continuità della prestazione nelle more della selezione di un nuovo contraente. Dal che discende che l’adozione della determinazione di proroga, da adottarsi prima della scadenza del termine contrattuale, presupponga l’avvio di una procedura di gara per la scelta di un nuovo aggiudicatario.
Con riferimento all’obbligatorietà di considerare l’importo della proroga tecnica nel valore dell’appalto, occorre rifarsi alla posizione espressa da ANAC.
In particolare nella Relazione AIR al bando tipo n. 1, alla proposta di inserire il valore della proroga tecnica nella quantificazione dell’appalto, è seguita una riposta negativa, motivata dalla circostanza che in base al dato normativo la durata e l’importo, non sono né prevedibili, né quantificabili alla data di pubblicazione del bando. Lasciando comunque la possibilità alle stazioni appaltanti, ove lo ritengano possibile, di procedere ad una stima di massima, che se determinata dovrà essere computata ai fini delle soglie di cui all’art. 35 del codice.
Anche dalla lettura delle FAQ A46 e A31 di ANAC, sotto riportate, dove si stabilisce di utilizzare lo stesso CIG per comunicare la parte maggiorata, si ammette la possibilità di un aumento del valore contrattuale rispetto al dato economico originariamente indicato in sede di acquisizione del CIG.
Ritornando al quesito si ritiene pertanto che non sia obbligatorio computare la proroga tecnica ex art. 106, co. 11, del codice, quanto piuttosto una scelta della stazione appaltante, qualora ritenga possibile (opportuno) quantificare il valore della stessa (nella prassi di molte amministrazioni stimato in un semestre).
---------------
FAQ ANAC A.46. Quali sono le corrette modalità di adempimento degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari e contributivi e informativi verso l’Autorità in caso di proroga c.d. “tecnica”?
In caso di proroga c.d. “tecnica” del contratto, esercitabile nei casi previsti dallo stesso (molto ristretti) la comunicazione dei dati deve avvenire proseguendo con lo stesso CIG. Le schede così comunicate metteranno in luce tramite il conto finale della scheda di “collaudo/regolare esecuzione” la parte maggiorata rispetto all’importo di aggiudicazione.
Ai fini della tracciabilità, quindi, resta valido il CIG originario.
Proseguendo le comunicazioni con lo stesso CIG non scattano ulteriori oneri contributivi rispetto a quelli già sostenuti in fase di bando e offerta.
FAQ ANAC A31. Nel caso di proroga (cosiddetta tecnica) del contratto deve essere richiesto un nuovo codice CIG?
Non è prevista la richiesta di un nuovo codice CIG nei casi di proroga del contratto ai sensi dell’art. 106, comma 11, del Codice dei contratti pubblici, concessa per garantire la prosecuzione delle prestazioni nelle more dell’espletamento delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo soggetto affidatario (29.04.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I dubbi degli Enti sulla corretta applicazione delle norme antipandemiche.
Ancora prosegue la sequenza di dubbi ed incertezze che attanagliano le amministrazioni pubbliche dopo l’intervento dei numerosi provvedimenti di normazione d’urgenza che il Governo ha adottato per arginare la diffusione della pandemia da COVID-19.
I provvedimenti di normazione primaria e secondaria via via varati dal Governo, infatti, hanno determinato una serie di prescrizioni che interessa anche la disciplina del lavoro pubblico, finalizzata a regolare una fase, che si auspica effettivamente transitoria, nella quale si devono conciliare esigenze assai diversificate, che vanno dal normale funzionamento dei servizi istituzionali ed indifferibili degli enti, all’ordinata tenuta degli istituti correlati alla gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti del settore pubblico, fino all’esigenza di contrastare e contenere, il più possibile, il fenomeno diffusivo di questa pandemia.
In questo quadro di emergenza assoluta e generale le richieste di aiuto delle amministrazioni non si placano, come dimostrano i quesiti che continuano a pervenire. Di seguito alcuni esempi.

Egregi, vorrei sapere se, in questa fase di emergenza, è possibile liquidare ulteriori buoni pasto (normalmente sono due a settimana) alla polizia municipale ed anche al Comandante (Dirigente della P.L.).
Gli stessi ne hanno fatto già richiesta anche per i giorni in cui, oberati dall'emergenza stanno svolgendo lavoro straordinario per sopperire agli eventi eccezionali.

Con riferimento al quesito posto si ritiene ammissibile che l’amministrazione riconosca buoni pasto agli addetti alla Polizia Municipale impiegati nell’ambito delle attività derivanti dalle misure di contenimento dell’estensione pandemica, ulteriori rispetto a quelli normalmente erogati.
Tale riconoscimento, tuttavia, potrà essere ammissibile esclusivamente laddove sussistano tutte le condizioni prescritte dal vigente quadro normativo, in particolare dall’art. 45, comma 2, del Ccnl 14.09.2000 del comparto Regioni ed Enti Locali, il quale prescrive, in materia che “2. Possono usufruire della mensa i dipendenti che prestino attività lavorativa al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane, con una pausa non superiore a due ore e non inferiore a trenta minuti. La medesima disciplina si applica anche nei casi di attività per prestazioni di lavoro straordinario o per recupero. Il pasto va consumato al di fuori dell'orario di servizio.”.
Si ricorda, altresì, per quanto attiene all’istituto in parola, la statuizione dettata dall’art. 13 del successivo Ccnl 09.05.2006, a mente della quale "1. Nell’ambito della complessiva disciplina degli artt. 45 e 46 del Ccnl del 14.09.2000, gli enti individuano, in sede di contrattazione decentrata integrativa, quelle particolari e limitate figure professionali che, in considerazione dell’esigenza di garantire il regolare svolgimento delle attività e la continuità dell’erogazione dei servizi e anche dell’impossibilità di introdurre modificazioni nell’organizzazione del lavoro, con specifico riferimento a quelli connessi all’area della protezione civile, all’area della vigilanza e all’area scolastica ed educativa ed alla attività delle biblioteca, fermo restando l’attribuzione del buono pasto, possono fruire di una pausa per la consumazione dei pasti di durata determinata in sede di contrattazione decentrata integrativa, che potrà essere collocata anche all’inizio o alla fine di ciascun turno di lavoro.”.
Si ritiene, inoltre, che tali oneri sostenuti dalle amministrazioni pubbliche -ferma restando, comunque, la sussistenza delle condizioni erogative del buono-pasto- possano essere computati nell’ambito degli appositi fondi stanziati dal Governo ai sensi dell’art. 115, commi 1 e 2, Dl 18/2020, il quale prevede che, per il corrente anno 2020, le risorse destinate al finanziamento delle prestazioni di lavoro straordinario del personale della polizia locale dei comuni, delle province e delle città metropolitane direttamente impegnato per le esigenze conseguenti ai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico da COVID-19 e limitatamente alla durata dell’efficacia delle relative disposizioni attuative, siano finanziate attraverso un apposito fondo costituito presso il Ministero dell’Interno e non siano soggette ai limiti del trattamento accessorio previsti dall'articolo 23, comma 2, Dlgs 75/2017.
Si è dell’avviso, infatti, che, laddove l’erogazione del buono-pasto sia strettamente collegata a prestazioni in orario straordinario rese dal personale della polizia locale per fronteggiare le esigenze di contrasto alla diffusione pandemica, l’onere conseguente a tale riconoscimento possa pienamente rientrare nei previsti trasferimenti statali, trattandosi di adempimento contrattuale strettamente strumentale all’effettuazione di attività in orario straordinario.

Vi indico di seguito le domande che vorrei fare:
   1) durante la prestazione dell'attività lavorativa in modalità "Lavoro agile", le indennità collegate all'effettiva presenza in servizio di cui all'art. 70-bis del Ccnl 21.05.2018 vanno riconosciute?
   2) nel periodo di esenzione previsto dall'art. 87, Dl 17.03.2020 al personale educatore dell'asilo nido comunale va riconosciuta l'indennità di cui all'art 31 Ccnl 14.09.2000, e agli altri dipendenti vanno riconosciute le indennità collegate all'effettiva presenza in servizio di cui all'art. 70-bis del Ccnl 21.05.2018?
   3) con circolare n. 45 del 2020 Inps (messaggio n. 1516 del 07.04.2020) è stata prorogato al 13 aprile la possibilità di fruire del congedo di cui all’articolo 23, Dl 18/2020 per la cura dei figli durante il periodo di sospensione delle attività scolastiche Circolare 45/2020, in favore dei lavoratori dipendenti del settore privato, dei lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 08.08.1995, n. 335, e dei lavoratori autonomi. Detta proroga è valida anche per i dipendenti pubblici?

In relazione ai diversi quesiti formulati si ritiene utile rappresentare quanto segue. La prestazione lavorativa resa mediante la forma del lavoro agile, di cui agli artt. 18-23, legge 81/2017, costituisce una specifica modalità di assolvimento dell’obbligazione contrattuale, da parte del lavoratore, che muta il contesto spaziale e temporale di erogazione prestazionale, potendo incidere, altresì, in taluni casi, anche sui fattori circostanziali di effettuazione della stessa.
Ciò sta a significare che gli emolumenti economici di natura indennitaria riconosciuti, al lavoratore, nel contesto della normale produzione dell’attività lavorativa potrebbero subire modificazioni a seguito della diversa modalità di prestazione resa in lavoro agile. Si pensi, ad esempio, per stare nell’ambito del sistema contrattuale del comparto Funzioni Locali, all’indennità per le specifiche condizioni di lavoro disciplinata dall’art. 70-bis del Ccnl 21.05.2018, la quale, nella sua configurazione giuridica di origine contrattuale, assorbe le “vecchie” indennità di rischio, di disagio e di maneggio valori.
Laddove, infatti, tale emolumento venisse riconosciuto al dipendente in ragione dell’esposizione dello stesso a particolari fattori di rischio e/o di disagio nell’esplicazione della prestazione lavorativa a mezzo della tradizionale forma di presenza sul posto di lavoro, potrebbe essere plausibile, per contro, che tale esposizione, nella diversa formula di esecuzione della stessa prestazione attraverso il lavoro agile, possa venir meno a seguito della variata modalità di fornitura dell'attività lavorativa, determinando, di conseguenza, la sopravvenuta elisione dei presupposti giuridici e fattuali di riconoscimento di tale emolumento.
Per quanto attiene, poi, al periodo di eventuale esenzione dal lavoro di cui all’art. 87, comma 3, Dl 18/2020, si è dell’avviso per il quale non possano essere riconosciuti istituti economici di carattere effettivamente indennitario, ovvero presupponenti l’effettiva prestazione di lavoro, in ragione dell’assenza, nel caso di specie e per tali componenti economiche, dei presupposti giuridici che legittimano detto riconoscimento retributivo.
I compensi che presentano concreta origine indennitaria, infatti, adducono, quale presupposto indefettibile, la necessità della effettiva prestazione di lavoro resa, dal dipendente interessato, in presenza fisica o in lavoro agile, ove permangano i presupposti, in assenza della quale, a qualsiasi motivo dovuta, come anche per l’esenzione dal servizio indicata nel quesito, il regime indennitario non può giuridicamente funzionare per la finalità tipica per la quale è stato normativamente congegnato, con conseguente impossibilità riconoscitiva che, non di meno, in tal caso, solo una norma di legge o contrattuale generale potrebbe espressamente consentire in deroga al funzionamento ontologico di tale istituto.
Infine, per ciò che concerne l’impiego dello speciale congedo disciplinato dall’art. 23 del richiamato Dl 18/2020, il successivo art. 25 del decreto stesso, che ne estende l’applicazione anche ai lavoratori del settore pubblico, prescrive espressamente che, a decorrere dal 5 marzo 2020, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, di cui al Dpcm 04.03.2020, e per tutto il periodo della sospensione ivi prevista, i genitori lavoratori dipendenti del settore pubblico hanno diritto a fruire del predetto congedo e della relativa indennità.
Tale estensione legislativa è da intendersi, ad oggi, riferita alla sospensione dei servizi educativi e scolastici di ogni ordine e grado disposta dall’art. 1, comma 1, lett. k), del recente Dpcm 10.4.2020, con effetti protratti sino al 3 maggio p.v., secondo le prescrizioni di vigenza dettate dall’art. 8, comma 1, del Dpcm stesso, di talché la fruizione dell’istituto in parola è da ritenersi operante sino a tale termine di sospensione dei servizi in questione (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 29.04.2020).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Amministrazioni in difficoltà nella giungla delle disposizioni emergenziali.
Non è ancora finita: continuano a giungere norme e disposizioni che, nel tentativo di riordinare prescrizioni già in vigore o già superate per disapplicazione o per spirare del termine di efficacia, aggiungono statuizioni su statuizioni, progressivamente stratificando un insieme di norme che, varate nel giro di pochi mesi, non ha un precedente in questo Paese.
Questo la dice lunga sulla situazione di emergenza che stiamo vivendo, come di emergenza oramai si parla per la ridda di previsioni normative, di legge ed amministrative, che tutti gli operatori di sistema sono chiamati ad applicare, non ultimi gli addetti ai servizi del Personale che, in prima linea sull’attuazione delle previsioni legislative e delegificate che regolano questo straordinario momento di lotta al virus COVID-19, si dibattono tra disposizioni normative speciali ed istituti transitori di nuovo conio in grado di mettere a dura prova competenze, preparazione, organizzazione e pervicacia nel tenere la trincea di questa guerra senza quartiere.
La prova di questa encomiabile tenacia e della particolare attenzione che gli enti stanno ponendo nella pratica traduzione delle disposizioni antipandemiche sta tutta nell’incessante flusso di questioni e di quesiti che le amministrazioni pubbliche continuano a porre sul fronte attuativo della normazione emergenziale, di cui offriamo, di seguito, alcuni interessanti spunti.

Pongo un quesito (anzi due) in merito al congedo straordinario di 15 giorni riconosciuto ai genitori dall’art. 25, comma 1, Dl 18/2020.
Per la richiesta di tale congedo ho predisposto un modulo in cui il dipendente dichiara anche tutte le altre condizioni rispetto al coniuge e che non chiederà il voucher baby sitter.
In assenza di altre indicazioni, lo applicherei con le stesse modalità al Dlgs 151/2001: se richiesto per un periodo continuativo, i 15 giorni comprendono anche i giorni non lavorativi; se chiesti frazionatamente, si contano i singoli giorni lavorativi, purché interrotti dalla ripresa (quindi se chiedo il venerdì ed il lunedì, conto anche il sabato e la domenica).
Ora, una collega mi chiede il congedo dal 13 al 27 marzo, precisando però che chiede 11 giorni: secondo me i giorni sono 15. Cosa ne pensate?
Inoltre ho un problema di questo tipo: una collega aveva chiesto congedo parentale a ore per 4 mezze giornate, tra il 9 e il 16 marzo.
Ora l’art. 23, comma 2 del suddetto D.L. 18/2020 dice “Gli eventuali periodi di congedo parentale di cui agli articoli 32 e 33 del citato decreto legislativo 26.03.2001, n. 151, fruiti dai genitori durante il periodo di sospensione di cui al presente articolo, sono convertiti nel congedo di cui al comma 1 con diritto all’indennità e non computati né indennizzati a titolo di congedo parentale”.
Credete che anche tali congedi ad ore siano convertibili? E ritenete quindi possibile chiedere il congedo straordinario indennizzato al 50% ad ore?

In relazione ai quesiti posti, occorre preliminarmente delineare il quadro normativo che regola le fattispecie.
In particolare, le disposizioni che qui interessano attengono all’art. 25, comma 1, Dl 18 del 17.03.2020, il quale testualmente prescrive che "1. A decorrere dal 05.03.2020, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 04.03.2020, e per tutto il periodo della sospensione ivi prevista, i genitori lavoratori dipendenti del settore pubblico hanno diritto a fruire dello specifico congedo e relativa indennità di cui all’articolo 23, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7. Il congedo e l’indennità di cui al primo periodo non spetta in tutti i casi in cui uno o entrambi i lavoratori stiano già fruendo di analoghi benefici.”, nonché, per quanto attiene al secondo quesito posto, all’art. 23, comma 2, del ridetto Dl 18/2020, che così statuisce: "2. Gli eventuali periodi di congedo parentale di cui agli articoli 32 e 33 del citato Dlgs 151/2001, fruiti dai genitori durante il periodo di sospensione di cui al presente articolo, sono convertiti nel congedo di cui al comma 1 con diritto all’indennità e non computati né indennizzati a titolo di congedo parentale.”.
Ciò evidenziato, pertanto, per quanto attiene alle modalità di calcolo fruitivo del congedo straordinario e temporaneo di cui al citato art. 25, comma 1, si ritiene che le stesse debbano essere conformi al normale sistema di computo che, generalmente ed in assenza di specifiche disposizioni di segno opposto, presiede tale tipologia di istituto, a differenza del metodo di applicazione relativo al diverso istituto del “permesso”.
Tale regime attuativo del congedo, pertanto, conduce a ritenere che lo stesso operi con riferimento alle giornate calcolate secondo il calendario civile, ovvero ricomprendendo, nell’ambito dei periodi ininterrotti di godimento, anche le giornate non lavorative, di riposto settimanale e di festività infrasettimanali.
Nel caso di specie, pertanto, il periodo di fruizione richiesto attiene ad un intervallo temporale privo di interruzione esteso, dal 13 al 27.03.2020, per il quale, dunque, alla luce di quanto sopra rappresentato, il congedo di che trattasi viene utilizzato per un periodo di quindici giorni e non, invece, per gli undici giorni richiesti dalla dipendente.
Con riferimento al secondo quesito formulato, poi, si premette che, in assenza di un’espressa previsione normativa, il congedo straordinario in parola non possa essere utilizzato ad ore, posto che la norma prevede il temine temporale di fruizione dello stesso calcolato a giornata, non legittimando, pertanto, deroghe di sorta rispetto all’impiego per l’unità di base temporale statuita dalla disposizione.
Relativamente, quindi, alla conversione del diverso regime congedale previsto dagli art. 32 e 33, Dlgs 151/2001 nell’istituto in questione -in disparte la circostanza per la quale tale conversione è da ritenersi ammissibile esclusivamente laddove il regime economico applicato a seguito di tale trasformazione sia maggiormente favorevole al lavoratore rispetto a quello in godimento al momento di utilizzo del congedo parentale- si è dell’avviso che la conversione prospettata nel quesito sia certamente ammissibile, calcolando, infatti, le quattro mezze giornate già fruite a titolo di congedo parentale in due giornate intere computate a titolo di congedo straordinario ex cit. art. 25.

In riferimento alle disposizioni contrattuali sulla cadenza di utilizzo delle ferie maturate al 31.12 e alle previsioni dell’art. 87, Dl 18/2020 ritiene legittimo non assegnare le ferie relative ad anni precedenti in questo momento di emergenza Covid-19 entro il 30.04.2020?
Si fa seguito al quesito posto per evidenziare quanto segue.
Occorre, preliminarmente, osservare, in materia di legittimo utilizzo delle ferie annuali, che le vigenti norme contrattuali nazionali, non dissimili, peraltro, dalle precedenti omologhe prescrizioni negoziali in materia, fondano un principio generale e solo eccezionalmente derogabile, ovvero che il periodo delle ferie maturate in un anno deve necessariamente essere fruito nello stesso anno di maturazione, a tutela delle posizioni giuridiche e di fatto dei lavoratori interessati, in funzione del recupero delle energie psico-fisiche dagli stessi disperse nell’assolvimento annuale dell’attività lavorativa di competenza.
L’art. 28, comma 9, del vigente Ccnl 21.05.2018 del comparto contrattuale Funzioni Locali, infatti, scolpisce tale principio affermando, testualmente, che “9. Le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili. Esse sono fruite, previa autorizzazione, nel corso di ciascun anno solare, in periodi compatibili con le esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste del dipendente.”.
Come si vede, dunque, il diritto-dovere del dipendente, prescritto dall’assetto negoziale generale che regola la specifica materia, è rappresentato dalla fruizione, normale ed ordinaria, dei giorni di ferie maturati nell’anno di riferimento nello stesso anno solare, compatibilmente con le esigenze di servizio. Tale principio di carattere generale, poi, trova un tenue temperamento limitatamente a due sole fattispecie, per le quali il termine di godimento dell’istituto può essere legittimamente derogato mediante una proroga temporalmente contenuta del termine finale annuale di fruizione.
E così, infatti, i commi 14 e 15 del richiamato art. 28 prescrivono che “14. In caso di indifferibili esigenze di servizio che non abbiano reso possibile il godimento delle ferie nel corso dell'anno, le ferie dovranno essere fruite entro il primo semestre dell'anno successivo. 15. In caso di motivate esigenze di carattere personale e compatibilmente con le esigenze di servizio, il dipendente dovrà fruire delle ferie residue al 31 dicembre entro il mese di aprile dell'anno successivo a quello di spettanza”.
Appare del tutto evidente, pertanto, come uno spostamento del limite temporale annuale di fruizione dell’istituto in questione sia legittimamente ammissibile esclusivamente con riferimento alle causali tassativamente indicate dal riportato sistema contrattuale nazionale, ovvero, da un lato, le indifferibili esigenze di servizio, per le quali il termine è, comunque, ultimamente indicato nel semestre successivo al periodo annuale di maturazione, e, dall’altro lato, le motivate esigenze di carattere personale, che consentono la proroga del termine conclusivo di fruizione delle ferie al 30 aprile dell’anno successivo a quello di maturazione.
Non vi sono altri termini di legittimo impiego di tale istituto che siano sdoganati dal vigente ordinamento che regola la materia, tanto meno le prescrizioni dettate dal Dlgs 66/2003 recante l'attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, il cui art. 10, comma 1, infatti, nel contesto della disciplina dell’istituto, rimette ai contratti collettivi di lavoro la facoltà, come nel caso di specie, di introdurre clausole migliorative rispetto al generale assetto introdotto dalla norma di derivazione comunitaria.
Alla luce, pertanto, di quanto rappresentato, si ritiene che in nessun caso il lavoratore possa risultare titolare di ferie pregresse relative ad annualità precedenti al 2019 e, per quanto attiene a tale annualità, esclusivamente laddove il maturato non utilizzato consegua rigorosamente alle ipotesi eccezionali e derogatorie sopra richiamate, per cui, con specifico riferimento al quesito posto, si è dell’avviso che le giornate di ferie ancora giacenti e maturate negli anni pregressi debbano necessariamente essere fruite a tutela della posizione del lavoratore interessato (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 28.04.2020).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCondanna penale e commissione di concorso.
Domanda:
Un dipendente di categoria C, a tempo indeterminato, del nostro comune ha subito una condanna penale, ancora in primo grado, per il reato di truffa (art. 640 c.p.). Può svolgere il compito di segretario di una commissione di concorso? È opportuno che lo faccia?
Risposta
Per rispondere al quesito occorre rifarsi alle disposizioni contenute nell’articolo 35-bis, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, rubricato: “Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici”.
Tale norma, inserita nel Testo Unico del Pubblico Impiego, dall’articolo 1, comma 46, della legge 06.11.2012, n. 190 (cosiddetta: legge Severino, in materia di prevenzione della corruzione), prevede che coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I, del titolo II, del libro secondo del codice penale non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l’accesso o la selezione a pubblici impieghi.
Il richiamo normativo include nel divieto gli articoli da 314, sino a 335-bis, del codice penale e concerne tutta la casistica dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione, anche con sentenza di primo o secondo grado.
Tra questi reati ostativi, quindi, NON compare il reato di truffa, per cui il vostro dipendente potrebbe ricoprire l’incarico di segretario della commissione di concorso, non ricorrendo la fattispecie disciplinata nell’art. 35-bis del d.lgs. 165/2001.
Per quanto riguarda l’opportunità di tale nomina non è possibile fornire indicazioni di sorta, trattandosi di questione rimessa alla libera valutazione del dirigente/funzionario che sarà chiamato a nominare la commissione giudicatrice del concorso. A mero titolo di indicazione, si suggerisce di valutare la possibilità di evitare la nomina, in presenza, nell’organico comunale, di altro dipendente in grado di svolgere il medesimo compito.
A completamento informativo, si ricorda che l’articolo 87, comma 5, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18 e l’articolo 4 del decreto-legge 08.04.2020, n. 22, hanno stabilito la sospensione delle prove concorsuali per sessanta giorni dalla data del 17.03.2020. La sospensione non riguarda la procedura di nomina della commissione che può essere disposta anche prima del 17.05.2020 (28.04.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCoronavirus: ancora incertezze applicative sulle disposizioni emergenziali in materia di lavoro pubblico.
I quesiti operativi posti dalle amministrazioni continuano a riguardare quelle situazioni limite, non trattate direttamente dalla normazione d’urgenza, che devono essere risolte tenendo conto della disciplina legale e contrattuale dei singoli istituti di cui costituiscono estensione o con il ricorso ai principi generali che governano il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Di seguito una selezione di quesiti riguardanti i concorsi pubblici, l’utilizzo dei congedi parentali, e le assenze per dipendenti in condizioni di disabilità più o meno grave.

Un Ente ha bandito un concorso per il quale le domande di partecipazione scadevano dopo l'entrata in vigore dei provvedimenti che prevedono "la sospensione delle procedure concorsuali " a meno che che.........etc., cosa deve fare l'Ente?
Con riferimento al quesito posto, si ribadisce che l’art. 87, comma 5, Dl 18/2020 sospende per 60 giorni, quindi fino al 16 maggio, tutte le procedure concorsuali per l’accesso al pubblico impiego per le quali devono svolgersi le prove in presenza fisica dei candidati. Se si rientra in questa ipotesi a nulla rileva che l’indizione della procedura concorsuale sia avvenuta prima dell’entrata in vigore del predetto decreto legge.
Le ipotesi in cui le procedure concorsuali possono proseguire sono quelle per le quali si procede alla sola valutazione su basi curriculari, ovvero in modalità telematica, ovvero ancora quelle per le quali risultava già completata la valutazione dei candidati. In estrema sintesi, quindi, le procedure concorsuali attivabili e, se già attivate, effettuabili non devono determinare spostamenti dei soggetti interessati (candidati) sul territorio, quale inibizione dettata dalla prevenzione diffusiva della pandemia in atto.

Buongiorno, chiedo come conciliare il congedo parentale al 30% fruito a mezza giornata con il congedo genitori di cui all'art. 25, Dl 18/2020. Caso: dal 5 marzo al 17 marzo fruizione di 8 mezze giornate di congedo al 30%.
   1) Come converto le suddette giornate pregresse di marzo nel congedo art. 25? Si conteggiano 4 giornate intere, oppure non sono convertibili penalizzando l'interessata?
   2) Dal 18 marzo la collega è in smart working: può fruire del congedo parentale al 30% a mezza giornata? Può fruire del congedo genitori art. 25 a mezza giornata?

Con riferimento ai quesiti posti, si rappresenta quanto segue.
I congedi parentali usufruiti a partire dal 5 marzo devono essere convertiti nello specifico congedo previsto dall’art. 23, comma 1, del decreto legge n. 18/2020 e fino a concorrenza delle 15 giornate ivi previste. Ovviamente tale conversione, essendo dettata nell’interesse del lavoratore, non può operare laddove la fruizione del congedo parentale in atto abbia dato luogo, per espresse previsioni migliorative dettate dalle norme contrattuali di comparto, ad un trattamento economico superiore a quello previsto dalla norma di legge in questione, atteso che, in caso contrario, la disposizione legislativa avrebbe introdotto una previsione pregiudizievole rispetto alla posizione economica del lavoratore e non, invece, maggiormente favorevole a tutela dello stesso.
La richiamata disposizione legislativa, non consente alcun impiego frazionato inferiore alla singola giornata che compone il periodo complessivo di fruizione dell’istituto, tenuto anche conto della specifica ratio dell’istituto e la sua natura eccezionale, che non consente applicazioni analogiche o assimilative di modalità fruitive applicate ad altri diversi istituti legali o contrattuali.
Si deve ritenere, infatti, che la frazionabilità ad ore del congedo non sia possibile in quanto l’unico riferimento contenuto nell’art. 23 prevede la possibilità di utilizzare i 15 giorni in modo continuativo o frazionato, ma tale ultima formulazione non sembra riferirsi alla frazionabilità ad ore del congedo, bensì alla singola giornata che compone il periodo complessivo previsto dalla legge; manca, altresì, un espresso riferimento al Dlgs 151/2001, come, per contro, avviene all’art. 24 per i permessi di cui alla Legge 104/1992, per cui non sembrerebbe trattarsi di una estensione dei congedi parentali ivi previsti, che ne avrebbe, viceversa, consentito la fruibilità ad ore, anche per il richiamo effettuato dall’art. 43 del Ccnl 21.05.2018.
Per quanto riguarda il primo quesito e limitatamente alla fruizione del congedo utilizzato prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, si deve ritenere che la conversione possa operare nel senso indicato nel quesito, ovvero calcolando 4 intere giornate; ciò in quanto la previsione dello stesso decreto-legge non può che far salve, ai fini della conversione espressamente prevista, le modalità fruitive legittimamente operate prima della sua entrata in vigore.
Relativamente al secondo quesito si ritiene che la fruizione debba essere calcolata per giornate intere e debba riguardare, fino al raggiungimento delle 15 giornate previste dall’art. 23, comma 1, Dl 18/2020, esclusivamente lo specifico congedo ivi previsto. Si deve osservare, inoltre, come generalmente e fatta salva una diversa previsione normativa, l’istituto del congedo, a differenza di quello del permesso, produce effetti giuridici e viene calcolato secondo il calendario civile, per cui il relativo periodo di fruizione ricomprende, nel computo delle giornate di godimento, anche i giorni di riposo settimanale (normalmente la domenica), i giorni festivi e quelli non lavorativi.
Tale forma di fruizione e di corrispondente calcolo, infatti, costituisce elemento differenziale di tale istituto dal permesso, il quale, normalmente, produce gli effetti che gli sono propri di giustificazione dell’assenza dal lavoro da parte del dipendente, esclusivamente in relazione ai giorni in cui viene effettivamente prestata l’attività lavorativa, cioè alle giornate nelle quali la prestazione deve essere resa, escludendo, quindi, dalla portata applicativa dello stesso, le giornate in cui l’attività lavorativa non viene legittimamente prestata a diverso titolo.
Da tale considerazione, pertanto, consegue che, laddove s'intendesse estendere, all’istituto del congedo, la stessa efficacia giuridica propria del permesso, trattandosi di operatività derogatoria, la norma, legale o contrattuale, che ne dettasse la relativa disciplina dovrebbe necessariamente disporre espressamente in tal senso. L’assenza di tale previsione nel contesto normativo che regola lo specifico istituto, conclusivamente, depone a favore dell’impossibilità applicativa del congedo di che trattasi limitata alle sole giornate in cui viene prestata l’attività lavorativa, dovendosi ritenere, pertanto, che il beneficio, in carenza di specifiche previsioni normative al riguardo, debba essere fruito e calcolato secondo il normale calendario civile, comprensivo, dunque, delle giornate di riposo settimanale, dei giorni festivi e di quelli non lavorativi.

Ai sensi dell'articolo 26, Dl 18/2020, fino al 30 aprile, i dipendenti disabili gravi riconosciuti tali ai sensi dell'art. 3, comma 3, Legge 104/1992, possono assentarsi dal lavoro e tale assenza è equiparata al ricovero ospedaliero. La norma parla di "il periodo di assenza prescritto dalle competenti autorità sanitarie": ciò significa che il dipendente deve farsi redigere un certificato medico di malattia?
Con riferimento al quesito posto la disabilità con connotazioni di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, Legge 104/1992, deve essere accertata dalle aziende sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'art. 1, Legge 295/1990, che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto dei casi da esaminare, in servizio presso le aziende sanitarie locali.
Nel caso in cui gli accertamenti riguardino persone in età evolutiva, le commissioni mediche sono composte da un medico legale, che assume le funzioni di presidente, e da due medici, di cui uno specialista in pediatria o in neuropsichiatria infantile e l'altro specialista nella patologia che connota la condizione di salute del soggetto. Tali commissioni sono integrate da un assistente specialistico o da un operatore sociale, o da uno psicologo in servizio presso strutture pubbliche.
Analogamente per i soggetti che presentino “una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione” (art. 3, comma 1, Legge 104/1992), non connotata da particolare gravità, è possibile riconoscere lo stesso beneficio (assenza equiparata a ricovero ospedaliero) qualora vi sia una certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali dell’azienda sanitaria di competenza, che attesti una condizione di rischio derivante:
   a) da immunodepressione;
   b) da esiti da patologie oncologiche;
   c) dallo svolgimento di relative terapie salvavita.
Occorre osservare, tuttavia, nel caso di specie, che, da un lato, la ratio normativa sottesa alle prescrizioni dettate dal comma 2, dell’art. 26, Dl 18/2020, che appare chiaramente finalizzata a tutelare, anche negli spostamenti lavorativi, personale svantaggiato ed in particolare situazione di maggiore esposizione al rischio infettivo, e, dall’altro lato, la previsione espressamente dettata dal comma 6 del ridetto art. 26 che fa espresso riferimento al medico curante, la certificazione della condizione di rischio di cui sopra possa essere rilasciata anche dal medico appartenente al servizio sanitario nazionale o con questo convenzionato (medico di base o medico di medicina generale convenzionato) (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 27.04.2020).

ENTI LOCALICoronavirus: la corretta imputazione a bilancio dei contributi per sanificazione e polizia locale.
Domanda
Come devono essere iscritti a bilancio i contributi per la sanificazione e quelli per il lavoro straordinario della polizia locale stanziati dal decreto ‘Cura Italia’?
Risposta
I contributi in oggetto sono previsti dagli articoli 114 e 115 del decreto legge n. 18/2020. Si tratta in tutto di 80 milioni di euro che sono stati così ripartiti:
   a) 70 milioni (di cui 65 milioni ai comuni e 5 milioni a province e città metropolitane) per il concorso al finanziamento delle spese di sanificazione e disinfezione degli uffici, degli ambienti e dei mezzi, a rischio di contagio da Covid-19;
   b) 10 milioni quale contributo per l’erogazione dei compensi per le maggiori prestazioni di lavoro straordinario del personale della polizia locale direttamente impegnato per le esigenze di contenimento del contagio da Covid-19 e per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale del medesimo personale.
Nei giorni scorsi gli enti locali hanno già ricevuto le somme loro spettanti. I criteri di riparto sono indicati nella ‘nota metodologica’ allegata a ciascuno dei due decreti ministeriali del 16 aprile. In particolare: i contributi per sanificazione sono ripartiti per 1/3 in base alla popolazione residente e per i restanti 2/3 in base al numero di contagi accertati. E’ comunque prevista per tutti i comuni una quota fissa di € 1.000,00. Gli stessi criteri sono stati applicati per i contributi per il lavoro straordinario della polizia locale ma con percentuali di ponderazione invertite e senza la previsione di alcuna quota fissa. Questi ultimi, precisa l’art. 115 del decreto legge, non sono soggetti ai limiti del trattamento accessorio previsti dall’articolo 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017, fermo restando il rispetto dell’equilibrio di bilancio.
In merito alla loro corretta allocazione a bilancio, come da nota trasmessa agli enti locali dalla RGS, essendo contributi correnti dallo Stato, essi devono essere iscritti al titolo 2, tipologia 101, categoria 1 con Piano finanziario: E.2.01.01.01.001 – Trasferimenti correnti da Ministeri. Si ritiene opportuna l’istituzione di un capitolo ad hoc per una loro maggiore identificabilità e visibilità a bilancio. Sul versante della spesa essi andranno così destinati:
   a) quelli per interventi di sanificazione con il seguente piano finanziario:
      • acquisto di materiale per la sanificazione: U.1.03.01.02.999 – Altri beni e materiali di consumo n.a.c.;
      • acquisto di dispositivi di protezione individuale per il personale dell’ente addetto alla sanificazione (ad es: mascherine): U.1.03.01.02.003 – Equipaggiamento;
      • acquisto del servizio di sanificazione degli uffici e ambienti dell’ente: U.1.03.02.13.002 – Servizi di pulizia e lavanderia;
      • trasferimento di risorse a terzi, con il vincolo di destinazione di provvedere alla sanificazione degli ambienti dell’ente (ad esempio biblioteche comunali, asili nido comunali, ecc.): codice SIOPE previsto per i trasferimenti correnti, attribuito attenendosi alla “regola del primo beneficiario” in virtù della quale il trasferimento è classificato in considerazione del soggetto che effettivamente riceve il trasferimento.
   b) quelli per il lavoro straordinario della polizia locale con il seguente piano finanziario:
      • straordinario per il personale a tempo indeterminato: U.1.01.01.01.003;
      • contributi sociali effettivi a carico dell’ente: U.1.01.02.01.001;
      • imposta regionale sulle attività produttive (IRAP): U.1.02.01.01.001.
L’incasso del trasferimento determina cassa vincolata.
L’iscrizione a bilancio potrà avvenire con variazione da deliberarsi da parte della giunta con i poteri d’urgenza del consiglio ai sensi dell’art. 175, comma 4, con ratifica consiliare da adottarsi nel rispetto della sospensione di termini di cui all’art. 103, comma 1 del d.l. n. 18/2020. Resta fermo l’obbligo per l’ente locale di adottare ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione del procedimento, con priorità per quelli da considerare urgenti.
Si ritiene inoltre che i contributi per la sanificazione dei locali non possano essere destinati alle scuole del territorio, in quanto l’art. 77 del d.l. n. 18/2020 già stanzia 43,5 milioni di euro a favore delle istituzioni scolastiche proprio per tali finalità. Si evidenzia infine come né gli artt. 114 e 115 del d.l. 18/2020, né i due decreti attuativi prevedano alcuna forma di rendicontazione circa l’utilizzo dei contributi (27.04.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGODisabili e diritto precedenza.
Domanda
Come funziona il diritto di precedenza per l’assunzione dei lavoratori disabili previsto dall’art. 36, comma 2, del d.lgs. 165/2001?
Risposta
Il posto di ruolo riservato ai lavoratori disabili (in quota d’obbligo) può essere coperto riconoscendo al lavoratore citato il diritto di precedenza se sono rispettati i seguenti presupposti:
   • il lavoratore è disoccupato e iscritto nelle liste dei lavoratori con disabilità che beneficiano del collocamento obbligatorio;
   • il suo precedente rapporto di lavoro con lo stesso ente (comprensivo della proroga, che, a differenza del rinnovo, consiste nel concordare, prima dell’originaria scadenza del rapporto, un posticipo del termine finale del rapporto stesso) ha avuto una durata di almeno 6 mesi e atteneva alle stesse mansioni previste per il posto che si intende coprire in modo stabile;
   • il lavoratore ha dato il suo consenso all’esercizio di questo diritto di precedenza entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto a termine;
   • il primo giorno del rapporto di ruolo non è oltre i 12 mesi dall’ultimo giorno del rapporto a termine.
Considerato che si tratta di assunzioni che devono comunque essere svolte in collaborazione con i servizi territoriali per l’impiego e per il collocamento mirato, è necessario che la procedura si attenga alle istruzioni di dettaglio fornite da tali servizi.
In generale, la procedura deve includere i seguenti passaggi.
   1) Il piano triennale dei fabbisogni di personale deve prevedere il fabbisogno stabile dell’unità lavorativa di cui si tratta a partire dall’anno nel quale si intende procedere all’assunzione di ruolo e dare atto che l’ente intende riservare il posto ai lavoratori con disabilità ai fini della copertura della quota d’obbligo prevista dalla legge 68/1999.
   2) È necessario segnalare ai servizi per l’impiego sia la scopertura nelle quote assunzionali d’obbligo riservate ai lavoratori con disabilità, sia le caratteristiche del posto che si intende coprire (in particolare: mansioni e requisiti di accesso), sia tutte le circostanze sopra richiamate che dimostrano la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del diritto di precedenza da parte del lavoratore che aveva svolto il rapporto a termine (indicando naturalmente i dati personali di quest’ultimo lavoratore).
   3) A seguito della verifica da parte dei servizi territoriali per l’impiego dei presupposti di cui sopra, andrà stipulata –con gli stessi servizi– un’apposita convenzione che preveda la chiamata diretta del lavoratore beneficiario del diritto di precedenza, ai sensi dell’art. 11 della legge 68/1999.
Per quanto riguarda gli adempimenti per la trasparenza si ricorda che:
   •– il piano triennale dei fabbisogni di personale, comprendente le informazioni sopra citate, deve essere pubblicato nell’ambito di Amministrazione Trasparente – Personale – Dotazione Organica, ed essere trasmesso al Dipartimento della Funzione Pubblica – Mef mediante l’applicativo Sico, entro 30 giorni dalla sua approvazione o aggiornamento (art. 6-ter d.lgs. 165/2001);
   •– vanno pubblicate le informazioni cui fa riferimento il seguente passaggio della stessa direttiva 1/2019:
“In ragione poi di quanto previsto dall’articolo 1 del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, recante “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, secondo cui, in base al comma 1, la trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, è plausibile ritenere che le amministrazioni debbano pubblicare sul proprio sito istituzionale i dati relativi alla quota d’obbligo e alle procedure attivate per la copertura della stessa, fermo restando quanto previsto dall’articolo 39-quater, comma 2, del d.lgs. 165/2001.
In particolare, le amministrazioni dovranno indicare:
   – la dotazione organica necessariamente distinta per aree o categorie;
   – il numero delle persone con disabilità da assumere in base alle previsioni dell’articolo 3 della legge 68/1999;
   – il numero delle persone con disabilità già reclutati a copertura della quota obbligatoria;
   – le procedure avviate per il collocamento obbligatorio, con indicazione del tipo di avviamento al lavoro, comprese le eventuali convenzioni ai sensi dell’articolo 11 della legge 68/1999, finalizzate al completamento della quota obbligatoria”.
Naturalmente i dati personali del lavoratore non vanno pubblicati (23.04.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: La sospensione del termine del soccorso istruttorio integrativo ai sensi dell’articolo 103 del DL 18/2020.
Domanda
Vorremmo sapere in che modo si rapporta la sospensione dei termini del procedimento amministrativo prevista dall’articolo 103 del DL “cura Italia” con le procedure di affidamento, in particolare in relazione al soccorso istruttorio.
Risposta
Il momento attuale che sta vivendo il Paese (e non solo) ha portato il legislatore, come noto, a disporre una “generale” sospensione dei procedimenti amministrativi. In particolare, come si rammenta nel quesito, con le disposizioni declinate nell’articolo 103 del DL 18/2020 attualmente in fase di conversione (e si anticipa che in questa norma, non solo viene confermata ma addirittura ampliata con previsioni ulteriori, almeno negli schemi resi noti).
Il procedimento amministrativo contrattuale –e non solo la vera e propria fase pubblicistica- viene, ovviamente, inciso dalla disposizione in commento. Il procedimento di affidamento ben potrebbe essere configurato come procedura avviata d’ufficio.
Sulle questioni specifiche poste dal quesito, ed in particolare –ma non solo– sui tempi del soccorso istruttorio (tanto nella fattispecie specificativa quanto in quella integrativa) ex art. 83, comma 9, ha in tempi recentissimi fornito dei chiarimenti anche l’autorità anticorruzione con la deliberazione n. 312/2020.
Si assiste, in generale e semplificando, ad una generale sospensione di ogni termine. Ed in questo senso nella delibera si legge che la “sospensione si applica a tutti i termini stabiliti dalle singole disposizioni della lex specialis e, in particolare sia a quelli “iniziali” relativi alla presentazione delle domande di partecipazione e/o delle offerte, nonché a quelli previsti per l’effettuazione di sopralluoghi, sia a quelli “endoprocedimentali” tra i quali, a titolo esemplificativo, quelli relativi al procedimento di soccorso istruttorio e al sub-procedimento di verifica dell’anomalia e/o congruità dell’offerta”.
Nelle nuove scadenze dei termini già assegnati vengono sostanzialmente posposti e “riprenderanno a decorrere per il periodo residuo” dal 16.05.2020 (il congelamento riguarda il periodo intercorrente tra il 23 febbraio e il 15 maggio).
Sono possibili delle deroghe alla sospensione da parte del RUP nel caso in cui il tipo di procedura e la fase della stessa lo consentano” ovviamente con il consenso degli interessati nel senso che il responsabile del procedimento non potrà “vessare” l’operatore imponendo l’adempimento.
Infatti, nella stessa deliberazione si precisa che “nel caso in cui le amministrazioni intendano avvalersi” dell’interruzione della sospensione dovranno “acquisire preventivamente la dichiarazione dei concorrenti in merito alla volontà di avvalersi o meno della sospensione dei termini disposta dal decreto-legge n. 18/2020, così come modificato dall’articolo 37 del decreto-legge n. 23 dell’08/04/2020”.
È in facoltà del RUP, poi, concedere “proroghe e/o differimenti ulteriori rispetto a quelli previsti dal decreto-legge in esame, anche su richiesta degli operatori economici, laddove l’impossibilità di rispettare i termini sia dovuta all’emergenza sanitaria” (22.04.2020 - link a www.publika.it).

VARI: L'ufficio SUAP di questo Comune riceve numerose richieste di imprese che hanno codici ATECO principali non rientranti nell'elenco dei codici ammessi (quindi sono attività sospese) e che vorrebbero proseguire l'attività previa comunicazione al Prefetto.
E' necessario attendere la risposta dalla Prefettura o la comunicazione è abilitante?

Una premessa. A partire dal 2008 Istat ha adottato la classificazione delle attività economiche Ateco 2007 quale strumento di classificazione delle attività economiche per una finalità principalmente statistica. L'Agenzia delle Entrate e le Camere di Commercio hanno aderito a questa nuova classificazione facendovi riferimento nella gestione delle proprie procedure (es. attribuzione di partita IVA e iscrizione al registro imprese).
Pertanto a classificazione ATECO rappresenta la classificazione delle attività economiche sviluppata e utilizzata dall'Istat esclusivamente per finalità statistiche ed al fine di individuare le attività economiche da sospendere, in applicazione delle misure indicate dalla vigente normativa occorre precisare che si deve far riferimento a quanto dichiarato dai soggetti interessati presso le Amministrazioni di riferimento ossia Registro delle Imprese delle Camere di Commercio e, per i soggetti non iscritti a tale registro, a quanto dichiarato sui modelli fiscali (Anagrafe Tributaria dell'Agenzia delle Entrate).
Il D.P.C.M. 10.04.2020 ha dettato la disciplina attualmente applicabile alle attività economiche nel periodo di emergenza sostituendo le disposizioni contenute in precedenti D.P.C.M. (D.P.C.M. 08.03.2020, D.P.C.M. 09.03.2020, D.P.C.M. 11.03.2020 e D.P.C.M. 22.03.2020) e ordinanze ministeriali e dettando questa sintetica disciplina:
   - tutte le attività sono sospese/chiuse ad eccezione di quelle espressamente indicate nell'articolato del DPCM (es. edicole, farmacie ecc..) o negli allegati 1, 2 e 3;
   - le attività "non sospese" possono proseguire l'attività senza necessità di adempimenti amministrativi (comunicazioni al SUAP, Regione, ASL o Prefetto) salvi gli obblighi di sicurezza verso lavoratori ed utenza previsti dallo stesso DPCM anche nell'allegato 5.
Qualora dunque una impresa intenda esercitare una delle attività indicate nei citati allegati 1, 2, 3, a prescindere dal fatto che possieda un Codice Ateco principale o secondario abilitante, occorre fare riferimento all'oggetto specifico dell'attività a prescindere dal carattere principale o secondario del codice.
Se l'attività è consentita (anche con codice Ateco secondario) essa potrà essere svolta dall'impresa senza preventiva comunicazione al Prefetto.
Viceversa dovrà essere presentata comunicazione motivata al Prefetto in presenza delle condizioni indicate nel D.P.C.M. 10.04.2020. In particolare nella comunicazione "sono indicate specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite, anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all'allegato 3, nonché delle filiere delle attività dell'industria dell'aerospazio, della difesa e delle altre attività di rilevanza strategica per l'economia nazionale, autorizzate alla continuazione, e dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui al comma 4".
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.L. 25.03.2020, n. 19, art. 2 - D.P.C.M. 10.04.2020 (22.04.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAncora incertezze applicative sulla normativa emergenziale in materia di lavoro pubblico.
L’utilizzo delle ferie e dei congedi straordinari costituiscono ancora temi sui quali vi sono dubbi interpretativi che, nonostante lo sforzo del Dipartimento della Funzione pubblica con le risposte fornite sul sito istituzionale, meritano ancora la giusta attenzione al fine di fornire un adeguato supporto alla soluzione dei casi concreti che si presentano all’attenzione dei dirigenti chiamati a rispondere alle richieste dei propri collaboratori.
Di seguito vengono fornite risposte ad una ulteriore selezione di quesiti.

Ho lavorato fino a venerdì scorso in un comune. Ho la figlia studentessa universitaria rientrata da U.K. domenica notte, dove hanno chiuso l'università per coronavirus. Ho comunicato all'amministrazione lo stato di quarantena della ragazza ed il mio e della madre, in quanto coabitiamo con la figlia, al medico di base ed al 112.
Ho proceduto a comunicare per iscritto via mail all'amministrazione tale stato di autoquarantena per 14 giorni come da Dpcm ed ordinanze regionali Sardegna. Dall'amministrazione mi comunicano che considereranno l'assenza come ferie. Io credo che non potendo lasciare la residenza per motivi sanitari, non sia così.
Potete darmi una risposta?

Il personale, impedito alla fornitura della prestazione lavorativa dalle norme di contenimento della diffusione del coronavirus di cui ai Dpcm dell’8 marzo u.s., è soggetto alle disposizioni generali che regolano le assenze dal lavoro dei dipendenti pubblici nel presente frangente di eccezionalità determinato dall’emergenza pandemica di cui al COVID-19 in atto.
Ciò premesso, pertanto, la norma di riferimento, allo stato, è da ritenersi individuabile nell’art. 87, comma 3, Dl 17.03.2020, n. 18, il quale dispone letteralmente: "3. Qualora non sia possibile ricorrere al lavoro agile, anche nella forma semplificata di cui al comma 1, lett. b), le amministrazioni utilizzano gli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva. Esperite tali possibilità le amministrazioni possono motivatamente esentare il personale dipendente dal servizio. Il periodo di esenzione dal servizio costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge e l'amministrazione non corrisponde l'indennità sostitutiva di mensa, ove prevista.”.
Come si vede, pertanto, le amministrazioni pubbliche -ove non sia possibile utilizzare il personale dipendente mediante l’impiego del lavoro agile o mediante diversa adibizione di tale personale ai servizi di competenza che sono tenute ad assicurare (diversi da quelli di ordinaria destinazione) e compatibilmente con l’esigibilità delle prestazioni riferite alla categoria giuridica di inquadramento- devono preventivamente utilizzare tutte le forme di istituti, legali o contrattuali, che giustifichino l’assenza dal lavoro con mantenimento della retribuzione, ivi comprese le ferie pregresse, da intendersi sia quella maturate nel corso del 2019 e non ancora fruite, sia quelle maturate nel corso del 2020 sino al momento del collocamento d’ufficio in ferie.
Solamente laddove sia esaurito o fosse oggettivamente impossibile l’impiego di tali istituti e non sia, altresì, possibile destinare diversamente il personale interessato, anche mediante l’utilizzo dello stesso in modalità remota con smart working su altri servizi da garantire, l’amministrazione potrà, eccezionalmente ed in via residuale, con atto adeguatamente motivato (posto che viene erogata la retribuzione in assenza di prestazione), collocare lo stesso in esenzione lavorativa, con mantenimento del trattamento economico in godimento, alla stregua di servizio prestato a tutti gli effetti di legge.
L’art. 19, comma 3, Dl. 9/2020 deve, quindi, ritenersi superato.

Dovendo giustificare le assenze del personale non coinvolto, o solo parzialmente coinvolto in attività da rendere in presenza, né avente possibilità di smart working o permessi particolari, si chiede se, oltre alle ferie ancora spettanti per l'anno 2019 occorra cominciare ad attingere anche a quelle del 2020.
In questa seconda ipotesi, alcuni dipendenti potrebbero non avere più ferie per il periodo estivo.

L’amministrazione può disporre l’utilizzo delle ferie maturate nel corso del 2020 sino al momento del collocamento d’ufficio in ferie. Solamente laddove sia esaurito o fosse oggettivamente impossibile l’impiego di tali istituti e non sia, altresì, possibile destinare diversamente il personale interessato, anche mediante l’utilizzo dello stesso in modalità remota con smart working su altri servizi da garantire, l’amministrazione potrà, eccezionalmente ed in via residuale, con atto adeguatamente motivato (posto che viene erogata la retribuzione in assenza di prestazione), collocare lo stesso in esenzione lavorativa, con mantenimento del trattamento economico in godimento, alla stregua di servizio prestato a tutti gli effetti di legge.
Infatti l’esenzione dal servizio costituisce l’estrema possibilità offerta alle amministrazioni quando tutte le altre possibilità previste dalla normativa non siano utilizzabili. Va, infine, precisato che, se è vero che l’art. 87 fa riferimento alle ferie pregresse, la possibilità di disporre la collocazione in ferie del personale costituisce potere datoriale la cui fonte è rinvenibile nell’art. 2109 del codice civile e, pertanto, riguarda anche le ferie maturate fino alla data in cui ne viene disposta la fruizione.

Una dipendente in congedo di maternità facoltativa, sarebbe intenzionata a richiedere il congedo parentale straordinario previsto dall’art. 25 , Dl 18/2020. Si rappresenta che:
   a) la figlia di mesi cinque e non ha ancora iniziato a frequentare il servizio educativo nido;
   b) l’inserimento al nido era in fase di programmazione ma è stato rimandato,
   c) in situazioni” normali” la dipendente sarebbe rientrata al lavoro.
Richiamato l’art. 25 del decreto legge n. 18/2020 a mente del quale non viene elencato come requisito l’iscrizione ad un istituto scolastico o servizio educativo, si chiede se sia corretto concedere la fruizione del congedo straordinario.

Si deve ritenere che, l’espresso richiamo effettuato dall’art. 23, comma 2, Dl 18/2020 degli artt. 32 e 33, Dlgs 151/2001, consente la conversione del congedo parentale in quello disciplinato in via straordinaria dal comma 1 dell’art. 23.
Per le pubbliche amministrazioni non vi sono dubbi circa l’applicabilità ai propri dipendenti considerato il richiamo espresso effettuato dal successivo art. 25. La formulazione del primo comma dell’art. 23 consente di affermare che i 15 giorni di congedo straordinario sono un diritto, per il cui esercizio è sufficiente avere dei figli di età non superiore ai 12 anni, che non ammette ulteriori condizioni.

Il Comune di … gestisce direttamente un asilo nido, un museo e una biblioteca. Dall’inizio dell’emergenza tutti e tre i servizi sono stati chiusi e il relativo personale è a casa. L’art. 19, c. 3, Dl 02.03.2020, n. 9, considera servizio prestato a tutti gli effetti di legge i periodi di assenza del personale imposti dai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico.
Questa situazione continua a coinvolgere anche il museo e la biblioteca?

Con riferimento al quesito posto, occorre osservare che, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del decreto-legge 02.03.2020, n. 9, fuori dei periodi trascorsi in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, che sono equiparati, dal comma 1 del medesimo art. 19, al periodo di ricovero ospedaliero, i periodi di assenza dal servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, Dlgs 165/2001, imposti dai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico costituiscono servizio prestato a tutti gli effetti di legge.
In applicazione di tale previsione normativa, pertanto, tutte le fattispecie di assenza dal lavoro di dipendenti dell’amministrazione pubblica direttamente imposti dalla normativa emergenziale di contrasto alla diffusione pandemica del coronavirus sono da ritenersi equiparati a servizio effettivamente prestato.
Occorre, tuttavia, sottolineare che tale prescrizione si ritiene applicabile ai soli casi in cui l’interdizione lavorativa sia conseguenza diretta e prescrittiva dell’applicazione di disposizioni normative di lotta all’emergenza epidemiologia e non, invece, alle diverse fattispecie riconducibili alle più generali misure di contrasto affidate alle autonome valutazioni delle singole amministrazioni nell’organizzazione e gestione dei servizi di competenza istituzionale, per le quali valgono, viceversa le misure dettate dall’art. 87 del recente decreto-legge 17.03.2020, n. 18.
Ai presenti fini, poi, necessita fare riferimento alle limitazioni dettate, con effetti sino al 3 aprile p.v., dall’art. 1, comma 1, let. l), Dpcm 08.03.2020, estese, per effetto dell’art. 1, comma 1, Dpcm 09.03.2020, all’intero territorio nazionale e con efficacia prodotta nel periodo dal 10.03.2020 sino, come cennato, alla data del 3 aprile p.v.. Tali statuizioni, in particolare, prescrivono che, per il predetto periodo temporale, sono chiusi i musei e gli altri istituti e luoghi della cultura di cui all'art. 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui Dlgs 42/2004, il quale annovera, nell’ambito delle proprie previsioni, quali istituti e luoghi della cultura, i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.
Ciò evidenziato, pertanto, atteso che l’impedimento lavorativo del personale adibito ai predetti servizi consegue alla diretta attuazione di un'apposita disposizione legislativa riferibile alle misure emergenziali di lotta alla diffusione virale di che trattasi, è da ritenere che i dipendenti dell’amministrazione pubblica adibiti alla gestione di tali servizi siano esentati dalla prestazione lavorativa ai sensi di quanto disposto dal ripetuto art. 19, comma 3.
A parere di chi scrive, tuttavia, tale esclusione della prestazione lavorativa costituisce misura estrema, ancorché non soggetta ad alcuna condizione prescritta per legge, in caso, cioè, d’impossibilità di diversa utilizzazione dei lavoratori destinati ai servizi interessati, pur nell’ambito del ruolo rivestito e del principio di esigibilità di tutte le funzioni ascritte alla categoria giuridica d’inquadramento, atteso che lo status di esentato dal lavoro implica un riconoscimento retributivo di natura integrale a fronte della carenza di fornitura di alcuna attività di lavoro, ciò che, infatti, se non adeguatamente giustificata dall’impossibilità di diverso impiego del lavoratore, ben potrebbe tradursi in un indebito patrimoniale per danno in pregiudizio degli interessi pubblici di cui l’amministrazione è istituzionalmente portatrice (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 22.04.2020).

APPALTI FORNITURE: Emergenza sanitaria: erogazione contributi per Buoni Spesa Alimentari – obblighi di pubblicazione.
Domanda
Con determinazione dirigenziale del Responsabile dell’Ufficio servizi sociali sono stati erogati i contributi per i Buoni Spesa Alimentari, di cui all’Ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile n. 658 del 29/03/2020.
Quali obblighi di trasparenza è necessario assolvere?
Risposta
Per far fronte alla grave situazione economica determinatasi per effetto delle conseguenza dell’emergenza COVID-19, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso il Capo del dipartimento della Protezione civile, ha erogato la somma complessiva di euro 400 milioni, suddivisa tra tutti i comuni italiani.
Sulla base del finanziamento ricevuto, ogni comune ha pubblicato un avviso, raccolto le domande degli interessati ed erogato le somme ai beneficiari, previste nello specifico provvedimento comunale, qualora si sia scelta la modalità prevista nell’articolo 2, comma 4, lettera a), della citata ordinanza n. 658/2020 (buoni spesa utilizzabili per l’acquisto di generi alimentari).
Se l’erogazione è stata effettuata con determinazione dirigenziale, il primo obbligo sarà quello di pubblicare l’atto su albo pretorio on-line, come previsto da alcune sentenze del Consiglio di Stato, tra le quali si ricordano la n. 1370 del 15.05.2006 e quella della Sezione V, del 11.05.2017.
Per quanto riguarda gli obblighi di pubblicità e trasparenza conseguenti all’esecuzione di tale procedimento amministrativo, le disposizioni da applicare sono quelle previste negli articoli 26 e 27 del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, che possiamo riassumere secondo i seguenti passaggi:
   a) Pubblicare nella sezione Amministrazione trasparente > Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici > Criteri e modalità, la disciplina comunale prevista per l’erogazione dei Buoni Spesa. Si immagina che tali disposizioni propedeutiche siano state approvate con determina dirigenziale del responsabile dei servizi sociali;
   b) Pubblicare nella sezione Amministrazione trasparente > Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici > Atti di concessione, l’elenco dei vari beneficiari, sostituendo i dati personali delle persone fisiche (cognome e nome, residenza o altri dati personali) con un codice identificativo sostitutivo, così come dettagliatamente specificato nell’articolo 26, comma 4, del citato d.lgs. 33/2013. In questo caso l’anonimizzazione si rende necessaria ed indispensabile perché i beneficiari rientrato tutti nella categoria connessa alla situazione di disagio economico-sociale, conseguente all’epidemia sanitaria da COVID-19. Si tenga conto che l’obbligo (art. 26, comma 2), si riferisce a contributi di importo annuo superiore a mille euro nell’anno solare. Al riguardo, però, è bene specificare che numerose amministrazioni hanno stabilito, nella sezione trasparenza del loro PTPCT, di pubblicare i contributi di qualsiasi importo, interpretando –a parere di chi scrive correttamente– il principio di accessibilità totale ai documenti e informazioni detenuti dalle P.A.
Tali informazioni vanno pubblicate in formato tabellare aperto, con aggiornamento tempestivo e per la durata di cinque anni, contati dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di pubblicazione, per effetto dell’art. 26, comma 3, del d.lgs. 33/2013.
A titolo di esempio la pubblicazione dei dati potrebbe essere effettuata utilizzando la tabella che segue:

N. ORD.     CODICE UTENTE    IMPORTO EROGATO
                BENEFICIARIO        Euro

01            Cod. 056/2020        300,00
02            Cod. 061/2020        250,00
03            Cod. 014/2020        300,00
04            Cod. 089/2020        150,00
05            Cod. 112/2020        200,00
06            Cod. 018/2020        300,00

Come ultimo adempimento, occorre ricordarsi che tutte le informazioni devono essere organizzate, annualmente, in un unico elenco per singola amministrazione, secondo modalità di facile consultazione, in formato tabellare che ne consenta l’esportazione il trattamento e il riutilizzo, così come previsto dall’articolo 27, comma 2, del d.lgs. 33/2013 (21.04.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI FORNITUREAcquisti P.A.: come può un Ente acquistare su un sito on-line e richiedere una fatturazione in regime di “split payment”?
L’Ente scrivente chiede come può il proprio Comando dei Vigili Urbani, in vista dell’urgenza di acquistare dei termometri a distanza non presenti in Mepa, procedere all’acquisto on line tramite il sito Amazon.
Essendo richiesto come metodo di pagamento elettronico una carta di credito (in questo caso una pre-pagata), come possiamo richiedere che il documento fiscale (intestato al Comune) in regime di ‘split payment’ anche se l’importo andrà pagato per intero?

La vendita operata da Amazon rientra nell’art. 22, comma 1, del Dpr. n. 633/1972 (esonero da fatturazione) e nell’art. 2, comma 1, lett. oo), del Dpr. n. 696/1996 (esonero da certificazione), come confermato dalla Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 274/E del 2009.
Il Comune opera evidentemente detto acquisto in ambito istituzionale, alla stregua di un privato senza Partita Iva, non potendosi quindi detrarre l’Iva ai sensi dell’art. 19 del Dpr. n. 633/7192.
Atteso quanto sopra, laddove il Comune non necessitasse di fattura (da richiedere al momento dell’acquisto, ai sensi del citato art. 22, comma 1), il caso di specie, non essendo emessa fattura, rientra tra gli esoneri da “split payment”, come disciplinati dalle Circolari Entrate n. 15/E del 2015 e n. 27/E del 2017.
Pertanto, suggeriamo di verificare l’effettiva necessità che venga rilasciata fattura perché, laddove tale necessità non vi sia (essendo sufficiente una ricevuta di avvenuto pagamento, rilasciata al momento dell’acquisto operato con la carta prepagata), è possibile evitare di richiederla, per i motivi suesposti (20.04.2020 - link a www.entilocali-online.it).

ENTI LOCALI: Coronavirus: il ministero dell’interno fissa le regole per la nomina dei revisori dei conti.
Domanda
Sono l’assessore al bilancio di un comune di 6000 abitanti circa. Il revisore unico dei conti è in scadenza il prossimo 27 aprile.
Come dobbiamo comportarci alla luce dell’emergenza da Covid-19?
Risposta
Sul tema posto dal lettore è di recente intervenuto il Ministero dell’Interno con tre comunicati pubblicati sul proprio portale web, rispettivamente in data 25 e 27 marzo e 16 aprile. L’emergenza Coronavirus ha inevitabilmente interessato anche la procedura di estrazione e nomina dei revisori dei conti.
A tal proposito il Ministero ha chiarito che la sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi, prevista per il periodo decorrente dal 23 febbraio al 15 aprile e disposta dall’art. 103 del decreto legge ‘Cura Italia’ (d.l. 18/2020) si applica anche ai procedimenti inerenti l’estrazione e la nomina dell’organo di revisione contabile degli enti locali. Ciò in virtù di quanto previsto dall’articolo 235 del TUEL che, come noto, disciplina la durata di tale organo, nonché l’eventuale applicazione dell’istituto della prorogatio degli organi amministrativi di 45 giorni oltre la loro scadenza naturale di cui al d.l. 293/1994.
A tal proposito, il Viminale chiarisce che, allo scadere di detto periodo di prorogatio, ove l’ente locale, per comprovati motivi, non abbia ancora provveduto al rinnovo del proprio organo di revisione, l’incarico del revisore in scadenza è automaticamente prorogato fino al 15.04.2020.
Così ha infatti stabilito l’art. 103, comma 1, del decreto che afferma che: “Ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23.02.2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15.04.2020 (…)”.
Nell’iter di conversione in legge del decreto, ad oggi ancora in corso, il Parlamento non è intervenuto su questa norma. Lo ha fatto invece l’art. 37 del d.l. 23/2020 (c.d. ‘Decreto Liquidità’), che dispone che: “Il termine del 15.04.2020 previsto dai commi 1 e 5 dell’articolo 103 del decreto-legge 17.03.2020, n. 18, è prorogato al 15.05.2020”. Pertanto, alla luce di tale norma (sulla quale potrà intervenire ulteriormente la relativa legge di conversione), e come riportato anche nel comunicato del Ministero del 16 aprile, la validità degli organi di revisione è estesa al 15.05.2020.
In merito alle procedure di estrazione dei nominativi dei revisori dei conti, il Viminale è invece intervenuto in data 25 marzo con apposito comunicato. Dopo aver brevemente riassunto tempi e modalità per l’estrazione dei nominativi, ai sensi dell’art. 5 del Dm Interno del 15/02/2012 n. 23, adottato ai sensi dell’art. 16, comma 25, del d.l. 138/2011, in esso si prende atto che anche per la Pubblica Amministrazione il lavoro agile costituisce la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, ai sensi dell’articolo 87 del decreto legge n. 18/2020.
In considerazione di ciò il Viminale ritiene necessario ed utile delineare la nuova procedura di estrazione per uniformare le attività delle Prefetture, Ciò al fine di garantire, fino alla cessazione dell’emergenza, criteri di trasparenza, pubblicità e tracciabilità anche nelle operazioni svolte attraverso il lavoro agile. Pertanto, ciascuna Prefettura, una volta ricevuta la richiesta dell’ente locale per l’effettuazione dell’estrazione dei revisori, è invitata a:
   • dare notizia sul proprio sito internet del giorno e orario previsto per l’estrazione, precisando che le operazioni di sorteggio non potranno avvenire in seduta pubblica ma che saranno effettuate da remoto garantendo apposito collegamento video tra operatore, Prefetto o suo delegato ed ente locale e inserimento in tempo reale dell’esito del sorteggio nel sito della Direzione Centrale della Finanza locale;
   • inviare la stessa comunicazione all’ente locale il quale potrà richiedere di essere collegato in video fornendo, almeno il giorno prima, apposito contatto;
   • evidenziare che viene garantita la pubblicità e la trasparenza dell’attività amministrativa attraverso il contestuale aggiornamento dell’apposita sezione del sito internet dei Revisori degli Enti locali di cui al seguente link (20.04.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI dubbi delle amministrazioni nell'applicazione delle norme antipandemia.
Nella situazione emergenziale in cui ci troviamo oltre all’applicazione delle norme straordinarie adottate dal governo con i poteri legislativi conferitigli dalla Costituzione, in presenza dei presupposti straordinari di necessità ed urgenza, immediatamente vigenti, in attesa della conversione in legge, si presentano agli operatori problematiche che comunque devono essere affrontate non essendovi alcuna moratoria degli atti di gestione del rapporto di lavoro. Inoltre, in tema di utilizzo delle ferie permangono ancora dubbi da parte delle amministrazioni.
Di seguito vengono affrontate due problematiche molto diverse tra loro ma tutte riconducibili alla gestione del rapporto di lavoro nelle amministrazioni pubbliche.

Un dipendente transitato in Camera di Commercio con mobilità volontaria da ACI PRA (EPNE) ha diritto a mantenere con assegno riassorbibile l'indennità di ente che percepiva presso il PRA, tenuto conto che questa è stata definita dall'ARAN come fissa e ricorrente seppur finanziata con le risorse decentrate?
Vale il divieto di reformatio in peius?

In relazione al quesito posto, si riscontra come segue.
Il sistema di riferimento normativo allo stato vigente depone, inequivocabilmente, per il definitivo superamento, con effetti dal 01.01.2014, del principio del divieto di reformatio in pejus dettato, nell’ambito del pubblico impiego, dal previgente ordinamento che regolava la specifica materia.
L’art. 1, comma 458, legge 147/2013 (legge finanziari per l’anno 2014), infatti, ha espressamente abrogato, dalla data di cui sopra, le disposizioni normative che lo regolavano, statuendo, espressamente e lapidariamente, che l'articolo 202 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10.01.1957, n. 3, e l'articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24.12.1993, n. 537, sono abrogati.
Le disposizioni che vengono così elise dall’ordinamento pubblico prescrivevano, a loro volta, che, nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione, agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera, anche se semplicemente economica (cit. art. 202), nonché che, nei casi di passaggio di carriera di cui al predetto art. 202 ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all'atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione, fermo restando che tale assegno personale non è cumulabile con indennità fisse e continuative, anche se non pensionabili, spettanti nella nuova posizione, salvo che per la parte eventualmente eccedente.
Come si vede, dunque, il precedente regime era volto a preservare, in capo al dipendente trasferito da una pubblica amministrazione ad altro ente pubblico, il maturato economico conseguito presso l’amministrazione di provenienza, ove più favorevole, considerato in termini di componenti quiescibili, in particolare del trattamento fondamentale (trattamento economico contrattuale tabellare ed altri elementi di composizione del trattamento economico fondamentale, come la R.I.A., il maturato economico differenziale, l’I.I.S. etc.), e di altre componenti che, ancorché riconducibili al trattamento economico accessorio, presentassero le caratteristiche della fissità e continuità erogativa, secondo le diverse previsioni dei sistemi contrattuali nazionali in vigore, alla stregua di elementi retributivi strettamente correlati al ruolo ed alla posizione giuridica ricoperta dal lavoratore interessato, nonché caratterizzanti gli stessi.
A seguito dell’elisione del predetto principio nel lavoro pubblico privatizzato, pertanto, è stato, nel tempo, inaugurato un nuovo e diverso principio regolatore, trasfuso nell’ambito del testo unico sul pubblico impiego mediante la previsione di cui all’art. 30, comma 2-quinquies, Dlgs 165/2001, il quale, introdotto dall'art. 16, comma 1, lett. c), legge 246/2005, ha esplicitamente statuito che, salvo diversa previsione, a seguito dell'iscrizione nel ruolo dell'amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione.
Tale principio, pertanto, non pare dare adito ad alcun dubbio circa le modalità di riconoscimento economico al dipendente transitato, per cessione contrattuale, alle dipendente di altra amministrazione pubblica, atteso che la norma dispone testualmente che, allo stesso, si applica esclusivamente sia il trattamento economico fondamentale -attraverso l’applicazione delle previsioni dettate dal Dpcm 26.06.2015 in materia di definizione delle tabelle di equiparazione fra i livelli d’inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione del personale non dirigenziale– che il trattamento economico accessorio disciplinato dai contratti collettivi nazionali ed integrativi di lavoro vigenti nel comparto contrattuale cui è ascritta l’amministrazione di destinazione.
Alla luce di tale criterio applicativo, pertanto, si ritiene che, non potendosi più invocare l’abrogato principio del divieto di reformatio in pejus, al lavoratore pubblico transitato presso altra amministrazione pubblica non possa essere applicato che il regime economico e giuridico prescritto dal sistema contrattuale collettivo complessivamente operante presso l’ente cessionario, non potendosi conservare e riconoscere, dunque, assegni personali finalizzati all’osservanza del superato principio garantista.

Ringraziando anticipatamente, chiedo se, per poter attivare l'esenzione dal lavoro prevista dal Governo, nel conteggio delle ferie pregresse sono comprese anche le giornate maturate da gennaio a marzo 2020.
Con riferimento al quesito posto, la norma di riferimento, ancorché non indicata, si ritiene sia individuabile nell’art. 87, comma 3, Dl 18/2020, il quale testualmente recita: "3. Qualora non sia possibile ricorrere al lavoro agile, anche nella forma semplificata di cui al comma 1, lett. b), le amministrazioni utilizzano gli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva. Esperite tali possibilità le amministrazioni possono motivatamente esentare il personale dipendente dal servizio. Il periodo di esenzione dal servizio costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge e l'amministrazione non corrisponde l'indennità sostitutiva di mensa, ove prevista.”.
Tale prescrizione, com’è evidente, si inserisce nell’ambito delle diverse misure d’urgenza varate dal Governo per contrastare la diffusione pandemica, con la chiara finalità di scongiurare spostamenti, sul territorio, di personale dipendente dell’amministrazione pubblica, in ragione del contenimento del rischio di trasmissione virale scatenata dal COVID-19.
Tenuto conto, pertanto, della logica dispositiva cui è orientata la norma, si è dell’avviso per il quale il ricorso all’esenzione lavorativa dei dipendenti del settore pubblico costituisca estrema ratio successiva all’impossibilità di applicazione degli altri istituti indicati dalla norma, ovvero, nell’ordine richiamato dalla predetta statuizione a titolo non esaustivo, il ricorso al lavoro agile, l’utilizzo delle ferie pregresse, l’applicazione di congedo, l’utilizzo della banca-ore, l’attuazione di processi rotativi e di altri istituti aventi la stessa portata, ovvero consentire, al dipendente, l’assenza giustificata e retribuita dal lavoro.
In tale quadro prescritto, pertanto, la qualificazione di “
pregresse” riferito alle ferie pare assumere un valore meramente ordinatorio, in termini di priorità di fruizione dell’istituto, in modo tale che, prioritariamente, dovranno essere goduti prima i giorni di ferie in giacenza maturati con riferimento all’anno o, in taluni casi, agli anni precedenti, per poi fruire, laddove non sussista la possibilità di utilizzare altri istituti giustificativi e retribuiti di assenza dal lavoro, di eventuali giorni maturati nel corso del corrente anno sino al momento di fruizione degli stessi, prima di far ricorso all’esenzione lavorativa prevista, come visto, dal citato art. 87, comma 3, alla stregua di ultima ipotesi solutiva da impiegare, attesi gli oneri che tale situazione è in grado di generare, posto che, in tale stato, la retribuzione continua ad essere erogata al lavoratore pur in costanza di assenza della controprestazione lavorativa (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 20.04.2020).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI problemi della PA nella gestione delle norme emergenziali.
Non si ferma la pioggia di questioni e di problemi che le amministrazioni pubbliche stanno affrontando sulla trincea dell’attuazione pratica delle norme di emergenza che sono state adottate dal Governo dall’inizio della pandemia.
In effetti, l’urgenza di assumere provvedimenti di contrasto alla diffusione virale che ha investito il Paese, ha generato una normazione affastellata su due assetti di gestione, almeno a livello centrale, ovvero i provvedimenti d’urgenza (nella versione del decreto-legge) e le norme attuative (nella forma del Dpcm), cui si aggiungono i provvedimenti dei Presidenti delle Regioni, le ordinanze delle Autorità locali sanitarie, i provvedimenti della Protezione Civile e le circolari, le direttive e gli atti di indirizzo assunte da diversi interlocutori istituzionali.
Il tutto condito da dubbi ed incertezze, come dimostrano le richieste di aiuto che incessantemente pervengono e di cui i seguenti esempi sono rappresentazione emblematica.

L'art. 23 comma 1, Dl 18/2020 stabilisce che "… i genitori lavoratori dipendenti del settore privato hanno diritto a fruire, ai sensi dei commi 9 e 10, per i figli di età non superiore ai 12 anni, fatto salvo quanto previsto al comma 5, di uno specifico congedo, per il quale è riconosciuta una indennità pari al 50 per cento della retribuzione ..."; il comma 6 dello stesso articolo prevede che "... i genitori lavoratori dipendenti del settore privato con figli minori, di età compresa tra i 12 e i 16 anni... hanno diritto di astenersi dal lavoro per il periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, senza corresponsione di indennità né riconoscimento di contribuzione figurativa ...”; l'art. 25 poi estende tali provvedimenti anche ai pubblici dipendenti.
Chiedo: un genitore con un figlio nato il 18.10.2007, quindi 12 anni e 5 mesi di età, può presentare una richiesta di congedo ai sensi del comma 1?

Con riferimento al quesito posto, la norma di riferimento, costituita dall’art. 23, comma 1, Dl 17.3.2020, la cui previsione è stata estesa, ai lavoratori del settore pubblico, dal successivo art. 25, comma 1, dello stesso Dl. La disposizione esaminata prevede, espressamente, che “1. Per l’anno 2020 a decorrere dal 5 marzo, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo 2020, e per un periodo continuativo o frazionato comunque non superiore a quindici giorni, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato hanno diritto a fruire, ai sensi dei commi 9 e 10, per i figli di età non superiore ai 12 anni, fatto salvo quanto previsto al comma 5, di uno specifico congedo, per il quale è riconosciuta una indennità pari al 50 per cento della retribuzione, (…)”.
Ciò richiamato, pertanto, si può osservare come la disposizione in commento, quale condizione ai fini della legittima fruizione del beneficio in parola, faccia espresso riferimento alla presenza di figli di età non superiore ai 12 anni, per cui, stante il tenore letterale della norma, l’istituto non è applicabile laddove il minore abbia già compiuto il limite di età previsto dalla disposizione di che trattasi al momento della richiesta della relativa fruizione. Tale affermazione discende da un principio generale elaborato dalla giurisprudenza amministrativa, ai sensi della quale quando la legge ricollega il verificarsi di determinati effetti al compimento di una data età, questi effetti decorrono dal giorno successivo a quello del relativo compleanno (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 1353/1995).
Occorre considerare, peraltro, che il principio elaborato dalla Giurisdizione amministrativa ha trovato pieno accoglimento nella pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 21/2011, intervenuta dopo diversi contrasti giurisprudenziali in materia di superamento dei limiti di età nei concorsi pubblici.
Di diverso avviso, infatti, altra giurisprudenza dello stesso Organo giurisdizionale che, a più riprese, ha accolto il diverso principio per il quale, testualmente: "Nella vicenda in esame, il bando non effettua alcun riferimento puntuale al “compimento” del trentaseiesimo anno, ma richiama il diverso concetto dell’età “non superiore a 36 anni”. Ora, posto che non rilevano, in questo contesto, per computare l’età, le frazioni di anni, calcolate in giorni o in mesi, è evidente che, dopo il trentaseiesimo compleanno, l’interessato ha ancora un’età di 36 anni e la conserva fino al momento in cui “compie” 37 anni. Solo a partire da tale data, infatti, l’interessato acquista un’età pari a 37 anni, superiore a quella di 36. Il principio è affermato, fra le tante pronunce cha hanno affrontato specificamente l’argomento, anche da Cassazione civile, sez. lav., 26.05.2004, n. 10169, secondo la quale il decreto legislativo n. 280 del 1997, che prevede la partecipazione ad un progetto di borsa di lavoro per i giovani di età compresa tra i 21 e i 32 anni, requisito che deve essere posseduto alla data del 31.10.1997, non esclude dalla fruibilità del beneficio i soggetti che, a quella data, abbiano già compiuto il trentaduesimo anno di età, purché non abbiano ancora compiuto il trentatreesimo anno, rimanendo trascurabili, ai fini del computo, le frazioni di anno (…)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 05.03.2010, n. 1284).
Accedendo all’orientamento assunto dalla richiamata Adunanza Plenaria del Supremo consesso amministrativo, pertanto, nel caso di specie la richiedente non potrà fruire del beneficio concesso dalla previsione normativa in questione per carenza dei relativi presupposti applicativi.

Con riferimento all’emergenza COVID-19, formulo il seguente quesito. Il Comune di … non ha ancora approvato il bilancio di previsione 2020-2022.
È stato approvato il fabbisogno del personale 2020-2022, dove sono previste le sostituzioni di due unità di personale che durante l’anno 2020 cessano dal servizio.
In caso di conclusione positiva delle procedure di mobilità per la copertura dei suddetti posti, anche in assenza del bilancio approvato, è possibile procedere al trasferimento del personale dagli enti di appartenenza, una volta acquisiti i nulla osta definitivi?

Con riferimento al quesito posto, occorre, preliminarmente, inquadrare il contesto giuridico nell’ambito del quale l’amministrazione sta operando. L’ente, secondo quanto rappresentato nel quesito, intende procedere all’acquisizione di personale mediante l’istituto della cessione contrattuale (mobilità esterna) da parte di altra amministrazione (art. 30, Dlgs 165/2001), trovandosi, nel contempo, in regime di esercizio provvisorio, non avendo provveduto, nei termini di legge, all’approvazione del bilancio previsionale.
Tale esercizio, infatti, è stato recentemente assentito con Dm 28.2.2020 del Ministero dell’Interno che ha provveduto a differire ulteriormente il termine di approvazione del bilancio di previsione delle amministrazioni locali per il triennio 2020-2022 dal 31.03.2020 al 30.04.2020.
Trovandosi, pertanto, in esercizio provvisorio, l’amministrazione è tenuta all’osservanza delle disposizioni normative che regolano l’attività della stessa in questo particolare regime, con specifico riferimento, tra le altre, alle prescrizioni di cui all’art. 163, comma 5, Dlgs 267/2000, il quale vincola, espressamente, gli enti locali, nel corso dell’esercizio provvisorio, alla possibilità d’impegno mensile delle spese correnti relative a ciascun programma (oltre a quelle eventualmente correlate ed urgenti), per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente, unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti, ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato, con l'esclusione delle spese: a) spese tassativamente regolate dalla legge; b) spese non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi e c) spese a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti.
Come si può desumere dalla chiara prescrizione legislativa, pertanto, non pare che la spesa corrente correlata a nuove acquisizioni di personale, anche mediante il trasferimento dello stesso da altra amministrazione pubblica per cessione di contratto, possa rientrare nelle fattispecie derogatorie indicate dalla richiamata statuizione di legge, non trattandosi, infatti, di spese imposte da norme di legge, ma facoltativamente generate dall’ente, né di spese non frazionabili in dodicesimi, in quanto, proprio per loro natura, certamente scindibili mensilmente, né, infine, di spese finalizzate al mantenimento dei livelli quali-quantitativi dei servizi esistenti, in quanto non destinate all’acquisizione di servizi, bensì impiegate per l’assunzione di personale dipendente.
Si ritiene, pertanto, che, in assenza del bilancio previsionale approvato ed in conseguente regime di esercizio provvisorio, l’amministrazione non possa procedere all’acquisizione di risorse umane nei termini rappresentati nel quesito posto.
Tale posizione, peraltro, pare fatta propria dalla recente espressione di conforme parere, nella specifica materia, reso dalla Corte dei Conti, Sezione regionale di Controllo per La Campania, con la delibera n. 28/2020/PAR del 19.03.2020, della quale, per la rilevanza che attiene al quesito posto, si riportano i passaggi più rilevanti, come di seguito riferiti: “La questione all’esame concerne, come si diceva, la possibilità di procedere alla assunzione di unità di personale in regime di esercizio provvisorio, autorizzato, da ultimo, con Dm 28/02/2020 del Ministero dell'interno che ha ulteriormente differito, rispetto a quanto disposto con il precedente decreto del 13.12.2019, il termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2020/2022 degli enti locali dal 31.03.2020 al 30.04.2020.
Va innanzitutto premesso che in un bilancio di tipo finanziario, quale quello degli enti locali, gli stanziamenti di spesa del bilancio di previsione, come è noto, hanno natura autorizzatoria, costituendo un limite agli impegni ed ai pagamenti con la sola esclusione delle previsioni riguardanti i rimborsi delle anticipazioni di tesoreria e i servizi per conto terzi.
Ne discende che, laddove non risulti approvato, entro il 31.12 dell’anno precedente, il bilancio di previsione per l’anno in corso, il legislatore, onde evitare la paralisi dell’ente, ha comunque consentito una gestione “provvisoria” dell’esercizio, ma, proprio in quanto tale, nel rispetto di predeterminati limiti, a garanzia degli equilibri di bilancio dell’ente e riassunti nella disciplina dettata dall’art. 163, Dlgs 267/2000 (d’ora innanzi Tuel) e dall’art. 43 Dlgs 118/2011 e relativi principi contabili. (…) Rileva, viceversa, l’esercizio provvisorio allorquando venga espressamente autorizzato con legge o con decreto del Ministro dell'interno che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 151, primo comma, Tuel, differisce il termine di approvazione del bilancio, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomia locale, in presenza di motivate esigenze. (…)
Nello specifico caso, infatti, dell’“esercizio provvisorio”, cui si riferisce la richiesta di parere all’esame, gli enti possono impegnare solo spese correnti (oltre quelle correlate a partite di giro). Per la spesa in conto capitale, possono essere impegnate solo somme per lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza (cfr. art. 163, comma 3, Tuel). Il comma 5 individua, poi, ulteriori limiti, imponendo che gli enti possano impegnare mensilmente, per ciascun programma riferito alle spese di cui al precedente comma 3, importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente (unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti), ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato.
Prevede, poi, alcune eccezioni, tassativamente elencate, al suddetto limite degli impegni per dodicesimi. (…) Nel testo, invece, novellato, in vigore dal 1 gennaio 2015, ha mantenuto ferma la stessa limitazione, nel quadro, però, di una più complessa regolamentazione dell’esercizio e della gestione provvisoria, affidata anche al principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria ed ha, inoltre, implementato i casi che fanno eccezioni al suddetto limite dei dodicesimi, individuandoli nelle spese: a) tassativamente regolate dalla legge; b) non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi; c) a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti. (…)
La suddetta disciplina è sostanzialmente confermata anche dal principio contabile applicato n. 8, di cui all’ Allegato n. 4/2 al Dlgs 118/2011, che al punto 8.6, più in particolare, ribadisce: ”nel corso dell'esercizio provvisorio: a) sono impegnate nel limite dei dodicesimi le spese che, per loro natura, possono essere pagate in dodicesimi; b) sono impegnate, al di fuori dei limiti dei dodicesimi, le spese tassativamente regolate dalla legge, quelle che, per loro natura, non possono essere pagate frazionandole in dodicesimi, e le spese a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti”.
Alla luce di tutto quanto sopra e, soprattutto, della ratio posta a fondamento della disciplina dell’esercizio provvisorio, finalizzata a garantire, in tale “anomala” fase della gestione dell’esercizio, il rispetto degli equilibri finanziari, le eccezioni al prescritto limite dei dodicesimi vanno intese in senso tassativo, con la conseguente impossibilità di estenderle oltre la previsione di legge. (…)
Ne deriva, dunque, la impossibilità di assumere spese, in costanza di esercizio provvisorio, al di là del più volte richiamato limite dei dodicesimi, con la sola eccezione dei casi, tassativi, elencati dal predetto art. 163, comma 5, tra i quali non risulta annoverabile la tipologia di spesa di cui al parere in esame, non essendo la stessa riconducibile: alla eccezione di cui alla lettera a) del comma in esame, spese tassativamente regolate dalla legge, non trattandosi di una assunzione imposta ex lege, ma programmata dall’ente medesimo; alla eccezione di cui alla lettera b), non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi, attesa la pacifica frazionabilità in dodicesimi delle spese di personale; né, infine, alla eccezione di cui alla lettera c), spese a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti, riferendosi, siffatta eccezione, al caso di servizi, oggetto di contratti in scadenza, tra i quali non rileva il contratto di lavoro subordinato
.”.
A tal riguardo, poi, si precisa che la Sezione regionale di Controllo della Corte dei Conti della Campania ha recentemente fornito un ulteriore chiarimento sulla posizione così assunta con la riportata delibera n. 28/2020, specificando che eventuali assunzioni di personale, in pendenza di esercizio provvisorio, potranno essere sostenute solo se rientranti nel limite dei dodicesimi, conformemente a quanto si evince a pag. 6 della delibera stessa. Oltre tale limite, conclude la Sezione, possono essere sostenute le sole spese tassativamente elencate dall'art. 163, comma 5, del Tuel, tra le quali non rientrano le spese in questione (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 16.04.2020).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Limite P.O. in caso di convenzione.
Domanda
Come è possibile determinare il “tetto” per le posizioni organizzative in caso di convenzione?
Risposta
Nel caso di gestioni associate, come da orientamento ormai consolidato della giurisprudenza contabile, la quota di retribuzione di posizione e di risultato, “rimborsata” dai comuni, non va calcolata nel “tetto di spesa” dell’ente “A”, mentre invece dovrà essere calcolata dai comuni “utilizzatori” nel proprio tetto, riferito all’anno 2016, per quanto riguarda il calcolo della spesa del salario accessorio, ai fini del rispetto dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017.
Si specifica, infine, che la quota rimborsata va conteggiata come aggregato di spesa di personale e non va conteggiata come tetto per il lavoro flessibile, ex art. 9, comma 28, d.l. 78/2010.
Occorre guardare quindi il caso concreto e le clausole della convenzione per il riparto delle spese. Se nulla è stato previsto occorre verificare quanto ricompreso dall’altro ente, partecipante alla gestione associata, prima che la Giunta assuma deliberazione ad hoc, in modo da evitare che entrambi gli enti ricomprendano le somme di cui si tratta, alzando in modo fittizio i limiti di contenimento riferiti al salario accessorio, ormai esistenti dal 2010.
In merito all’importo del salario accessorio delle posizioni organizzative da considerare per il rispetto del limite di cui all’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 75/2017, è ormai consolidato l’orientamento dei magistrati contabili nel ritenere che per le posizioni organizzative, in enti privi di dirigenza, il limite di spesa del trattamento accessorio per l’anno 2016, deve essere quello rappresentato dall’ammontare delle risorse stanziate in bilancio nel medesimo esercizio finanziario.
Infatti, dopo la posizione iniziale assunta dalla Corte dei conti della Sicilia con la deliberazione n. 172/2018 anche i magistrati della Corte dei conti della Lombardia, con il parere n. 20/2019 hanno ribadito che «il valore della spesa da considerare ai fini del rispetto del tetto per il trattamento accessorio delle posizioni organizzative nei Comuni privi di dirigenza e quello stanziato direttamente in bilancio sempre che il valore della stessa corrisponda al valore complessivo contrattualmente previsto da attribuire ai dipendenti titolari delle posizioni organizzative» (16.04.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Emerganza COVID-19 e norme in materia di appalti.
Domanda
Quali sono le principali disposizioni che riguardano l’aggiudicazione di appalti pubblici di interesse per gli enti locali in questo periodo di contenimento del COVID-19?
Risposta
Sono moltissime le misure adottate nell’interesse degli enti locali, e non solo, connesse all’emergenza epidemiologica, incidenti sui differenti ambiti, tra i quali, per citarne alcuni, la tutela della salute, il sostegno alle famiglie, la finanza e i tributi locali, la gestione del personale e degli organi collegiali, la giustizia, e ovviamente anche gli appalti.
Rispetto a quest’ultimo settore è possibile ritenere che la disciplina prevista sia a doppio binario, uno c.d. ordinario, soggetto alla disciplina del d.l. 17.03.2020 c.d. “Decreto cura Italia”, ed in particolare dell’art. 103, di sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi, nonché uno emergenziale e derogatorio di cui all’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri dipartimento protezione civile del 25.03.2020.
Si elencano di seguito le principali disposizioni che impattano sugli appalti pubblici:
   • Comunicato del Presidente dell’ANAC del 04.03.2020 “Qualificazione per l’esecuzione di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro”, che ammette per tutti i contratti di attestazione interessati aventi scadenza entro il 31.03.2020 la sospensione dell’istruttoria fino ad un massimo di 150 giorni in luogo dei 90 (novanta) previsti dall’art. 76, co. 3, del d.p.r. 207/2010;
   • l’art. 103 del d.l. 17.03.2020, co. 1: “Ai fini del computo dei termini ordinatori e perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativo allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23.02.2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15.04.2020”.
Il MIT con la circolare del 23.03.2020, precisa che la citata previsione è applicabile con riferimento ai termini per la presentazione delle domande e/o offerte, ai termini per l’effettuazione di sopralluoghi e per il soccorso istruttorio. Pertanto di fronte a gare già bandite è possibile disporre la sospensione, oppure prorogare i termini di scadenza. Il termine del 15.04, peraltro, è stato prorogato al 15.05.2020, con l’entrata in vigore dell’art. 37 del d.l. 23/2020;
   • l’art. 35, co. 18, del codice dei contratti, come modificato dall’art. 91, co. 2, del decreto cura Italia, che prevede l’erogazione dell’anticipazione, anche nel caso di consegna in via d’urgenza, ai sensi dell’art. 32, co. 8, del d.lgs. 50/2016;
   • L’acquisto di beni e servizi informatici per la diffusione del lavoro agile e di servizi di rete ai sensi dell’art. 75 del decreto cura Italia, mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di cui all’art. 63, co. 2, lett. c), previa selezione tra almeno 4 operatori (scelti discrezionalmente), di cui almeno una start-up innovativa o una piccola o media impresa innovativa;
   • Delibera ANAC n. 268 del 19.03.2020 di sospensione dei termini dei procedimenti di competenza dell’Autorità, tra cui in particolare quelli di perfezionamento del CIG, che passa dai 90 giorni ai 150 giorni;
   • l’art. 4, co. 1, dell’ordinanza n. 25.03.2020 che a fronte di appalti di forniture e servizi finalizzati all’attuazione dei provvedimenti emergenziali e comunque volti ad assicurare la gestione di ogni situazione connessa all’emergenza epidemiologica, consente la deroga ai tempi e alle modalità di pubblicazione dei bandi di cui agli artt. 60, 61, 72, 73 e 74 del codice dei contratti pubblici;
   • Comunicato INPS n. 1374 del 25.03.2020 che precisa che i documenti attestanti la regolarità contributiva denominati Durc On Line che riportano nel campo “Scadenza Validità” una data compresa tra il 31.01.2020 e il 15.04.2020 conservano la loro validità fino al 15.06.2020 come previsto dall’articolo 103, comma 2, del decreto- legge 17.03.2020, n. 18;
   • Delibera ANAC n. 289 del 01.04.2020 di richiesta al Governo di adozione di un intervento normativo che disponga l’esonero dal versamento della contribuzione prevista per tutte le procedure di gara avviate dall’entrata in vigore e fino al 31.12.2020 (15.04.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAncora quesiti dalle amministrazioni sulle norme emergenziali.
I quesiti di fronte ai quali si trovano le amministrazioni pubbliche, in questa fase emergenziale funzionale ad impedire la proliferazione del virus COVID-19, riguardano aspetti particolari, sia relativi all’utilizzo degli istituti specificamente introdotti dalla normativa emergenziale, sia attinenti alle modalità di utilizzo di istituti già presenti nell’ordinamento legale e contrattuale, ma che dispiegano o continuano a spiegare i loro effetti nell’attuale contesto.
Di seguito alcuni dei quesiti posti dalle amministrazioni rispetto ai quali vengono fornite puntuali ed argomentate risposte.

Con riferimento ai 15 giorni di congedo per i genitori di figli fino a 12 anni introdotto dal Dl 18/2020 si chiede conferma se il richiedente deve attestare per poterne beneficiare che il coniuge, fra le altre cose, non è collocato il lavoro agile e che non è lavoratore autonomo.
Con riferimento al quesito posto, il sistema normativo di riferimento è dato dalle disposizioni recate dagli artt. 23, commi 1 e 4, e 25, comma 1, Dl 17.03.2020, n. 18.
A mente di tali prescrizioni normative, infatti, per l’anno 2020, a decorrere dal 5 marzo, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, di cui al Dpcm 04.03.2020, e per un periodo continuativo o frazionato comunque non superiore a quindici giorni, i genitori lavoratori dipendenti del settore pubblico, per effetto dell’estensione applicativa operata dall’art. 25, comma 1, dello stesso decreto-legge, hanno diritto a fruire, per i figli di età non superiore ai 12 anni, di uno specifico congedo, per il quale è riconosciuta un'indennità pari al 50 per cento della retribuzione. Per il godimento di tale istituto, poi, il quadro giuridico sopra indicato prevede, quali condizioni di utilizzo, che nel nucleo familiare del lavoratore interessato, non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito, in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa, o altro genitore disoccupato o non lavoratore, ovvero che uno o entrambi i lavoratori non stiano già fruendo di analoghi benefici.
Ciò premesso, pertanto, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del ridetto Dl 18/2020, è rimessa alla competenza dell’amministrazione pubblica con la quale intercorre il rapporto di lavoro del lavoratore interessato, l’indicazione delle modalità di fruizione del congedo di che trattasi, la quale, nell’esercizio delle proprie facoltà datoriali correlate alla gestione del rapporto di lavoro, potrà pretendere, ai fini della concessione del beneficio, che il dipendente produca apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi dell’articolo 47, Dpr 445/2000, attraverso la quale attestare la sussistenza delle condizioni imposte dalla legge per il riconoscimento applicativo dell’istituto, in particolare che:
   1) nel proprio nucleo familiare non sia presente altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito, in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa;
   2) nel proprio nucleo familiare non sia presente altro genitore disoccupato o non lavoratore;
   3) uno o entrambi i genitori lavoratori non stiano già fruendo di analoghi benefici.
Dalla lettura piana delle disposizioni non sembra vi siano ostacoli all’utilizzo del congedo nell’ipotesi in cui l’altro genitore continui a lavorare in modalità agile; in quest’ultimo caso, infatti, il lavoratore prosegue il proprio impegno nell’attività lavorativa, sebbene da remoto, non rientrando, quindi, nella nozione legale di “genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o altro genitore disoccupato o non lavoratore”, uniche ipotesi che impedirebbero l’accesso a tale forma di congedo.
D’altra parte tale posizione pare cogliere, al meglio, anche la ratio normativa che, in vero, appare chiaramente finalizzata ad assicurare un adeguato ed opportuno apporto familiare ai minori che, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, si trovano a dover permanere, loro malgrado, presso l’abitazione ed ai quali, pertanto, il genitore impegnato al lavoro, ancorché in regime di smart working, non sarebbe in grado di fornire un’adeguata assistenza e cura.

Nel ringraziare della disponibilità, chiedo se il DL n. 18/2020 ha sospeso i procedimenti disciplinari attivati dalle amministrazioni pubbliche e, in tal caso, come vanno applicate queste norme?
Cosa viene esattamente sospeso del procedimento disciplinare? Tutti i termini o solo alcuni di essi? E, in questo caso, quali sono i termini sospesi?

L’art. 103, comma 5, di tale strumento d’urgenza, infatti, statuisce, a chiare lettere, che i termini dei procedimenti disciplinari del personale delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, Dlgs 165/2001, pendenti alla data del 23.02.2020 o iniziati successivamente a tale data, sono sospesi fino alla data del 15.04.2020.
La norma ha un’indubbia rilevanza per l’economia procedimentale correlata alla gestione dei procedimenti disciplinari da parte del datore di lavoro pubblico, atteso che chiarisce, opportunamente, le modalità applicative della sospensione dei termini dettate dall’art. 103 del decreto-legge, che regola tale sospensione temporale per i procedimenti amministrativi, nell’ambito del procedimento disciplinare, il quale, costituendo profilo di gestione del rapporto di lavoro, non presenta il carattere giuridico tipico del procedimento amministrativo, posto che costituisce esercizio di potere datoriale di natura privatistica e non pubblicistico- amministrativa.
La norma sospende i termini dei procedimenti disciplinari pendenti alla data del 23.02.2020 o quelli iniziati successivamente a tale data, ma non i procedimenti da attivare nei termini di sospensione, per cui sembra lasciare immutato il termine decadenziale di trenta giorni per la contestazione dell’addebito; si deve, quindi, ritenere che il procedimento disciplinare, in presenza di un’adeguata segnalazione, debba, comunque, essere avviato, per scongiurare il rischio della decadenza, fermo restando che anche i termini di conclusione, per i procedimenti interessati dalla norma, sono sospesi sino alla stessa data del 15 aprile p.v... Sarebbe stato utile, viceversa, considerata la situazione straordinaria in cui si è venuto a trovare il Paese, prevedere anche la sospensione del temine di decadenza previsto per la contestazione degli addebiti.
Atteso il carattere derogatorio ed eccezionale di tali disposizioni legali, anche in ragione della particolare natura dello strumento straordinario che ne costituisce veicolo normativo, è da ritenersi che le stesse non possano essere estese, in applicazione, utilizzando criteri analogici o assimilativi per attrarre nella loro orbita regolativa fattispecie che non siano espressamente previste dalla legge, per cui è estraneo alla cornice prescrittiva di tale dettato ogni percorso che non possa, giuridicamente, essere ricondotto alla qualificazione di procedimento amministrativo o di procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 103 in questione, fatte salve le eccezioni espressamente indicate dal decreto-legge, così come configurate dal comma del ridetto art. 103.
Non rientrano, conseguentemente, nell’orizzonte attuativo della sospensione dei termini disciplinata dal Dl 18/2020, tutti quei processi e quelle serie di azioni che non possano, a rigore, qualificarsi come procedimenti amministrativi, ovvero come sequenza istantanea o fasica di atti univocamente preordinati alla produzione di un atto avente natura pubblicistico-amministrativa, di talché difficilmente potrebbero ricondursi a tale categoria -in disparte le eventuali previsioni derogatorie indicate dal ripetuto comma 4 dell’art. 103, che corrobora la portata del principio generale– tutti gli atti gestionali del rapporto di lavoro, in quanto atti di carattere datoriale che presentano la natura giuridica di atti di diritto comune, non annoverabili, pertanto, nel perimetro dei provvedimenti amministrativi.
In particolare i termini previsti, dall’ordinamento (art. 10, Dlgs 150/2009), per la gestione della filiera delle performance, come i termini di adozione del piano delle performance e quelli di approvazione della corrispondente relazione consuntivante, non sembrano sfiorati dalla previsione normativa sulla sospensione dei termini, anche in ragione della loro evidente origine ordinatoria, fermo restando che potrebbero essere considerate attività differibili e, quindi, da far rientrare in quelle da sospendere, laddove non sia possibile svolgerle in modalità remota.
Non è un caso, infatti, come sopra evidenziato, che correttamente il legislatore abbia espressamente indicato una fattispecie derogatoria nell’ambito della gestione privatistica del rapporto di lavoro, come la disposta sospensione dei termini nell’ambito del procedimento disciplinare.
Tale sospensione, peraltro, alla luce di quanto sopra osservato, incide esclusivamente sui termini perentori del procedimento disciplinare, come normativamente individuati, successivi al termine di contestazione degli addebiti e su quello di conclusione del procedimento disciplinare, non potendo, quindi, produrre effetti espansivi sui termini interni del procedimento disciplinare (infra-procedimentali) che, infatti, presentano dichiarato carattere ordinatorio o sollecitatorio, la cui violazione, quindi, non determina la decadenza del potere di provvedere, ancorché potrebbe produrre effetti di responsabilità per ritardo od omissione.
La sospensione dei termini, poi, non determina una nuova decorrenza integrale degli stessi, effetto proprio dell’interruzione, bensì la ripresa del decorso del termine a conclusione del periodo temporale di sospensione.

Lavoro presso il Comune di … - Servizio "Risorse Umane". Con ordinanza della Regione Lazio del 19.03.2020 il Comune di … è stato dichiarato "zona rossa". Gli uffici comunali, pertanto, sono stati chiusi ed i dipendenti lavorano in modalità smart working.
Quesito: spetta ai dipendenti che lavorano in smart working il riconoscimento dei buoni pasto?

Con riferimento al quesito posto, si ritiene che, nella modalità di esecuzione della prestazione lavorativa mediante il cd. "lavoro agile”, come anche con la diversa forma del “telelavoro”, non sia ammissibile l’erogazione di alcuna indennità sostitutiva della mensa o buono pasto, in quanto, data la particolare forma erogativa della prestazione lavorativa, che non impone la presenza fisica del dipendente sul posto di lavoro, non sussistono le ragioni, né i presupposti per il legittimo riconoscimento di tale istituto il quale, infatti, presuppone, quale condicio sine qua non, che il lavoratore beneficiario sia presente in servizio, operando in modalità di presenza fisica sul luogo di lavoro. Non avrebbe, infatti, alcuna utilità l’erogazione di tale beneficio economico laddove il dipendente, operando presso la propria sede di attività, normalmente il luogo di residenza o di domicilio, potesse agevolmente attendere ai normali processi fisiologici previsti dal ciclo circadiano, tra i quali l'ordinaria consumazione dei pasti (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 15.04.2020).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAncora incertezze applicative sulla normativa emergenziale per il rapporto di lavoro pubblico.
I quesiti posti dalle amministrazioni pubbliche in materia di gestione del rapporto di lavoro, così come influenzata dalla normativa emergenziale adottata per impedire la diffusione pandemica del virus COVID-19, riguardano anche la corretta perimetrazione della predetta normativa d’emergenza.
Insomma, i dubbi riguardano la possibilità che, in un contesto di difficoltà ad assumere decisioni di riassetto organizzativo, specialmente in quelle realtà che presentavano criticità già prima di questa fase emergenziale, possano non essere applicate alcune disposizioni in materia di incompatibilità o di conflitto di interessi.
Ciò sulla base dell’assunto che non sarebbe possibile assumere decisioni diverse, attesa le situazioni di difficoltà rese ancora più palesi dalla realtà emergenziale in atto. Altri quesiti attengono al corretto utilizzo di alcuni istituti di gestione ordinaria del rapporto di lavoro nell’attuale contesto emergenziale.
Di seguito vengono fornite le risposte ad una selezione di quesiti.

In un comune ci sono 6 posizioni dirigenziali e solo due dirigenti in servizio, tant'è che anche il Segretario è incaricato, in via eccezionale, della responsabilità di alcuni settori. Non ci sono, al momento, altre soluzioni organizzative.
In vista di una rimodulazione degli incarichi, possibile ma non ora, vista la situazione di emergenza, un dirigente può astenersi dallo svolgimento dell’incarico di direzione della esecuzione di contratti con una società in house nei confronti della quale svolge anche il controllo analogo sulla base di una presunta commistione tra controllore e controllato e, comunque, di conflitto in base al DLgs 39/2013.

Preliminarmente non è chiara quale sia la norma che viene invocata per rappresentare la presunta incompatibilità, se non il rinvio ad un generico conflitto tra controllore e controllato e al Dlgs 39/2013. Se il riferimento è l’art. 9, comma 1, del Dlgs 39/2013, la norma fa riferimento ad eventuali incarichi assunti dal dirigente nell’ente di diritto privato nei confronti del quale svolge il controllo analogo.
Nel caso specifico, sia il controllo analogo che la direzione dell’esecuzione del contratto sono espletati nell’interesse dell’amministrazione che conferisce l’incarico dirigenziale, per cui non sembra sia possibile rinvenire, neanche attraverso una interpretazione analogica, una posizione di potenziale conflitto. Qualora fosse presente, invece, un aspetto di incompatibilità in base al quale il dirigente invoca il diritto di astenersi, non sarebbe possibile soprassedere rispetto all'eventuale profilo di incompatibilità; ciò anche qualora si sia in presenza di problemi organizzativi, quali l’assenza di altre posizioni dirigenziali, oppure in considerazione della fase di straordinaria emergenza che stiamo attraversando.
Infatti, le norme emergenziali non introducono deroghe espresse al quadro ordinamentale che regola la materia, per cui tali disposizioni, avendo natura imperativa ed inderogabile, in assenza di norme che fanno eccezione ai relativi principi, sarebbero da intendersi pienamente operanti, non ammettendo deroghe.

Come deve essere giustificata nel portale l'attività del dipendente in modalità agile considerato che ovviamente non può timbrare?
Ciascun dirigente, nel rispetto della disciplina normativa e contrattuale vigente, deve adottare atti datoriali che disciplinino gli aspetti di tipo organizzativo ed i profili attinenti al rapporto di lavoro svolto in modalità agile.
L’esercizio del potere di controllo sulla presenza in servizio del lavoratore agile, quindi, deve essere regolato con riguardo al risultato della prestazione, in termini sia qualitativi, che quantitativi, in relazione alle priorità definite dai dirigenti, i quali eserciteranno il potere di controllo diretto sui dipendenti smart workers ad essi assegnati, organizzando, per essi, una programmazione settimanale-quindicinale delle priorità e, conseguentemente, degli obiettivi lavorativi di breve-medio periodo da perseguire, esercitando, pertanto, il relativo monitoraggio dinamico ed il conseguente controllo sullo stato di realizzazione.
Il lavoro agile determina lo svolgimento della prestazione lavorativa secondo nuove modalità spazio-temporali che non consentono un controllo della presenza del dipendente sul posto di lavoro, secondo le modalità classiche previste per la presenza in ufficio.
Siamo di fronte ad un quadro normativo che richiede, infatti, un cambio culturale e di approccio all’organizzazione del lavoro il quale presuppone, da parte del dirigente, una conoscenza dei processi presidiati e dei risultati che tali processi sono in grado di restituire; solo in questo modo il nuovo paradigma può prevedere una diversa modalità di verifica della prestazione lavorativa, ancora fortemente condizionata dall’orario di lavoro e dalla rilevazione della presenza secondo sistemi automatizzati.
La disciplina datoriale da attivare deve, quindi, spingersi a dare piena legittimità a tali strumenti e presuppone che, chi è posto alla direzione di una struttura, sia in grado di valutare i risultati prodotti dalle risorse umane a disposizione e, per questo, ovviamente occorre che si conoscano i processi che devono essere presidiati. Spesso le incertezze applicative ed i ritardi rappresentano il chiaro sintomo della difficoltà ad individuare ed affidare ai lavoratori obiettivi lavorativi chiari.
Vi sono alcune amministrazioni, d’altronde, che consentono l’accesso da remoto all’applicativo di rilevazione delle presenze al lavoro, attraverso il quale il dipendente è “tenuto” a comunicare che si trova attivo in servizio in modalità remota; questo approccio è utile ai fini delle determinazione della posizione giuridica del lavoratore in ciascuna giornata di lavoro (in servizio, in ferie, in permesso, in congedo, in recupero, etc.) e dei riflessi che la stessa può presentare sotto il profilo economico, ma non potrà spingersi a rilevare l’orario di inizio e di conclusione della prestazione lavorativa, in quanto sarebbe una rilevazione non controllabile come, invece, avverrebbe con la presenza fisica sul luogo di lavoro, né, d’altra parte, coglierebbe lo spirito stesso di tale modalità operativa, finalizzata alla migliore conciliazione dei tempi lavorativi con quelli familiari.

La misura dei congedi parentali COVID-19 per il pubblico impiego è di 15 gg?
L'art 25, Dl 18 del 17.03.2020 dice "...per tutto il periodo della sospensione ivi prevista...": il riferimento è al decreto del PCM del 4 marzo e quello sospendeva l’attività didattica fino al 15 marzo. Comunque, da dove si desume la possibilità di fruirne fino alla riapertura delle scuole?
I congedi possono essere fruiti anche a ore, come per la disciplina ordinaria che ne permette la frazionabilità?

Il richiamo al Dpcm 04.03.2020 deve ritenersi quale riferimento dinamico alle previsioni dei Dpcm che, successivamente a quello del 04.03.2020, hanno prorogato la sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e dell’attività didattica in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado.
In particolare, il Dpcm 08.03.2020 ha introdotto la sospensione per le zone “rosse” ivi individuate e il successivo Dpcm 09.03.2020 ha esteso tale sospensione a tutto il territorio nazionale fino al 03.04.2020. Il congedo, cui fa riferimento l’art. 25 del Dl 18/2020, è quello previsto dall’art. 23 dello stesso decreto-legge, in quanto espressamente richiamato (“hanno diritto a fruire dello specifico congedo e relativa indennità di cui all’articolo 23, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7”).
Si tratta, quindi, dell’estensione, ai lavoratori del settore pubblico, di quanto previsto dall’art. 23 del ripetuto Dl 17.03.2020, n. 18, per i lavoratori del settore privato. I 15 giorni di congedo previsti dalla disposizione richiamata possono essere fruiti nel periodo di sospensione previsto dai Dpcm citati, fermo restando che si auspica, in sede di conversione del decreto-legge, un allineamento sia sotto il profilo temporale che in termini del numero di giorni di congedo che, al momento, sono prescritti nel numero massimo di 15.
Sul punto è intervenuto, in un primo momento, l’Inps con messaggio n. 1281 del 20.03.2020 precisando che “si tratta di un congedo straordinario di massimo 15 giorni complessivi fruibili, in modalità alternativa, da uno solo dei genitori per nucleo familiare, per periodi che decorrono dal 5 marzo al 3 aprile”, senza fornire, tuttavia, il supporto normativo alla definizione di tale periodo.
Si deve ritenere che la frazionabilità ad ore del congedo non sia possibile, in quanto l’unico riferimento contenuto nell’art. 23 del ridetto decreto-legge prevede la possibilità di utilizzare i 15 giorni in modo continuativo o frazionato, ma tale ultima formulazione non sembra riferirsi alla frazionabilità ad ore del congedo, bensì alla divisione in singole o plurime giornate del periodo complessivo di 15 giorni previsto dalla norma.
Manca, altresì, un espresso riferimento al Dlgs 151/2001, come, viceversa, avviene all’art. 24, Dl 18/2020 per i permessi di cui all’art. 33, comma 3, legge 104/1992, per cui non sembrerebbe trattarsi di un’estensione dei congedi parentali ivi previsti, che ne avrebbe legittimato la fruibilità ad ore anche per il richiamo effettuato dall’art. 43 del Ccnl 21.05.2018., bensì è più attendibile ritenere che l’istituto presenti una propria autonoma configurazione legale, computata, secondo la norma che lo disciplina, a giornate e non frazionabile ad ore di utilizzo.

Relativamente al congedo parentale straordinario di 15 giorni, introdotto dall'art. 25 del Decreto Cura Italia, si chiede:
   1) i 15 giorni sono fruibili per ogni figlio, oppure sono complessivi? (ad esempio nel caso di 2 figli, il congedo è pari a 30 giorni? oppure è pari a 15 giorni a prescindere dal numero dei figli?)
   2) nel caso in cui il dipendente (che lavora su 5 giorni settimanali - dal lunedì al venerdì) usufruisca di un periodo continuativo di congedo parentale straordinario, senza riprendere servizio, in detto periodo devono essere conteggiati anche il sabato e la domenica?

Relativamente al primo quesito si deve ritenere che trattasi di un periodo complessivo di 15 giorni di congedo straordinario spettante indipendentemente dal numero dei figli di età fino ai 12 anni o di età superiore, se affetti da disabilità in situazione di gravità accertata secondo le disposizioni della legge 104/1992.
Fermo restando che, per espressa previsione dell’art. 23, è consentita la fruibilità frazionata a giornata (e non ad ore), quindi non continuativa, si deve ritenere, in applicazione di una regola generale applicabile a tali tipologie di congedi, che i periodi di assenza, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi o non lavorativi che ricadano all’interno degli stessi.
Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza, giornalieri o plurigiornalieri, non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice. Ciò si desume anche dalla particolare modalità retributiva di tale periodo di congedo (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 14.04.2020).

CONSIGLIERI COMUNALI - LAVORI PUBBLICI: Accesso a cantieri da parte di consiglieri comunali.
Non è configurabile un diritto in senso stretto dei consiglieri comunali a visitare un cantiere dove si svolgono lavori affidati dal Comune o ad effettuarvi un sopralluogo, atteso che la legge nulla prevede per quanto riguarda tale evenienza, non potendo quindi individuarsi un corrispondente obbligo dell'Amministrazione di accogliere una richiesta in tal senso.
L’esercizio delle funzioni di controllo è, infatti, riconosciuto dall’ordinamento come funzione generale al consiglio quale organo nel suo complesso, che può avvalersi di commissioni consiliari appositamente istituite.
Non sono invece contemplate dalla normativa vigente per i consiglieri comunali competenze di tipo ispettivo da esercitarsi singolarmente su attività materiali, tanto più che, trattandosi di cantieri, spetta alle figure responsabili anche sotto il profilo delle norme in materia di sicurezza, in relazione alle proprie competenze, valutare la richiesta di accesso di persone comunque estranee ai lavori.

I Consiglieri comunali chiedono un parere in merito al diritto, agli stessi negato dal Comune, di accedere a cantieri nei quali si stanno realizzando alcune opere comunali, al fine di poter prendere visione personalmente dello stato di attuazione delle stesse, nell’esercizio delle funzioni loro proprie. Chiedono, altresì, che la Regione intervenga “affinché siano rimossi gli ostacoli frapposti dal Comune […] nei confronti degli scriventi Consiglieri Comunali”.
Preliminarmente, si osserva che non compete all’Amministrazione regionale intervenire su questioni siffatte: lo scrivente Servizio in questa sede si limita a fornire in via collaborativa delle considerazioni relative all’inquadramento giuridico della problematica in oggetto.
Il diritto di accesso degli amministratori locali trova la sua fonte normativa di riferimento nell’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, il quale attribuisce ai consiglieri il diritto di ottenere dagli uffici del comune, nonché dalle sue aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato.
Il fondamento di tale diritto risiede nel fatto che le informazioni acquisibili dagli amministratori dell’ente devono considerare l’esercizio, in tutte le sue potenziali esplicazioni, della funzione di cui ciascun amministratore è individualmente investito quale membro del consiglio. Di qui la possibilità per ognuno di essi di compiere, attraverso la visione dei provvedimenti adottati e l’acquisizione di informazioni, una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’amministrazione comunale, utile non solo per poter esprimere un voto maggiormente consapevole sugli affari di competenza del consiglio, ma anche per promuovere, nell’ambito del consiglio stesso, le varie iniziative consentite dall’ordinamento ai membri di quel collegio
[1].
I consiglieri hanno infatti, a norma dell’articolo 43, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 267/2000, diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio, hanno diritto di chiedere la convocazione del consiglio e di presentare interrogazioni, mozioni e ogni altra istanza di sindacato ispettivo, secondo la disciplina dettata dallo statuto e dal regolamento consiliare.
L’esercizio delle funzioni di controllo è riconosciuto dall’ordinamento come funzione generale al consiglio quale organo nel suo complesso, che può avvalersi di commissioni consiliari appositamente istituite ai sensi dell’articolo 44, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000, con funzioni di controllo e di garanzia. Il comma 2 consente l’istituzione all’interno dell’organo consiliare di commissioni di indagine sull’attività dell’amministrazione, demandando allo statuto e al regolamento consiliare la disciplina relativa a poteri, composizione e funzionamento.
Emerge di tutta evidenza che la normativa citata non contempla per i consiglieri comunali competenze di tipo ispettivo da esercitarsi singolarmente su attività materiali, tanto più che, trattandosi di cantieri, spetta alle figure responsabili anche sotto il profilo delle norme in materia di sicurezza, in relazione alle proprie competenze, valutare la richiesta di accesso di persone comunque estranee ai lavori
[2].
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, non è configurabile un diritto in senso stretto dei consiglieri comunali a visitare un cantiere dove si svolgono lavori affidati dal Comune o ad effettuarvi un sopralluogo, atteso che la legge nulla prevede per quanto riguarda tale evenienza, non potendo quindi individuarsi un corrispondente obbligo dell'Amministrazione di accogliere una richiesta in tal senso.
Ferma la mancanza di tale obbligo in capo al Comune, si ribadisce che consentire o meno l‘accesso dei consiglieri comunali ai cantieri rientra nella responsabilità dell’Amministrazione, la quale deve operare al riguardo un’attenta ponderazione della normativa in materia di sicurezza, tenendo anche in debita considerazione i provvedimenti dalla stessa adottati in attuazione del D.Lgs. 09.04.2008, n. 81.
---------------
[1] Si veda, tra le altre, TAR Campania Salerno, sez. II, sentenza del 04.04.2019, n. 545 la quale recita: “Le istanze di accesso avanzate dai componenti dei consigli comunali presentano una loro specificità rispetto a quella della generalità dei cittadini, essendo ai primi riconosciuti ampi poteri ai sensi dell'art. 43 D.Lgs. n. 267/2000. In particolare, il diritto di accesso dei consiglieri comunali, nella sua tendenziale onnicomprensività, è strettamente funzionale all'esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo degli atti degli organi decisionali dell'ente locali, consentendo loro di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione e di promuovere le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale, e quindi si configura come significativa espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza responsabile della collettività.
[2] In questo senso si è espressa anche l’ANCI in un parere del 26.10.2005 nel quale, in coerenza con quanto sopra già espresso, ha osservato che: “Si ritiene comunque che competa ai consiglieri comunali la più ampia facoltà ai sensi dell’art. 43 tuel di prendere visione ed estrarre copia di atti e documentazione amministrativa che si trovi presso gli uffici comunali. Sulla base di tali principi si può pertanto ritenere che competa ai consiglieri comunali di visionare, chiedendone se del caso copia, gli elaborati tecnici afferenti a lavori pubblici sussistendo, per converso, un correlativo obbligo degli uffici di rilasciarli; - Non appare invece ammissibile che tali stessi soggetti possano accedere, in forza della qualifica posseduta, nei cantieri per effettuare attività di vigilanza; - Ai consiglieri comunali l'ordinamento non assegna infatti poteri di "vigilanza" o "controllo" di questo tipo (che semmai competono agli organi di polizia municipale dell'ente)”
(09.04.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI dubbi delle amministrazioni pubbliche sull'applicazione della normativa emergenziale.
La situazione di emergenza nazionale generata dalla diffusione pandemica del virus COVID-19 sta ponendo gli operatori delle amministrazioni pubbliche di fronte a diversi quesiti, anche non strettamente legati alla normativa d’urgenza adottata dal Governo, che, tuttavia, in questa particolare situazione di difficoltà, presentano profili peculiari in ordine all’applicazione degli istituti cui detti quesiti sono riconducibili.
Dalle diverse questioni che vengono segnalate, cui di seguito viene dato riscontro, emerge che il datore di lavoro pubblico, da un lato, si trova a dover affrontare problematiche completamente nuove e, dall’altro lato, si trova a dover gestire tematiche, come la costituzione e l’utilizzo del fondo delle risorse decentrate, sempre attuali ed inalienabili, che la difficile situazione operativa, in cui gli enti si dibattono, non consente di accantonare proprio per la finalizzazione al finanziamento dei trattamenti economici accessori del personale dipendete che, mai come in questa fase, meritano un’oculata ed attenta gestione.

È possibile per il dipendente rifiutarsi di recarsi sul luogo di lavoro in assenza della individuazione dei servizi indifferibili che richiedono la presenza fisica sul luogo di lavoro?
L’articolo 87 del DL 17.03.2020 n. 18 introduce la previsione secondo la quale nelle amministrazioni pubbliche la modalità ordinaria di espletamento della prestazione lavorativa è il lavoro agile.
Da questa disposizione discende che in nessun caso le amministrazioni pubbliche possono tenere sul luogo di lavoro un dipendente per la cui prestazione lavorativa non sia indispensabile la presenza sul luogo di lavoro. Il dipendente pubblico può non recarsi sul luogo di lavoro senza temere sanzioni giacché di fronte all’inadempimento del datore di lavoro del suo obbligo di motivare la ragione della sua presenza fisica (che costituisce una eccezione), può opporre una eccezione di inadempimento ex art. 1460 Cc rifiutandosi di lavorare in una situazione di pericolo riconosciuta dalla legge.
Si ricorda che l’art. 2087 Cc, applicabile a tutti datori di lavoro, pubblici e privati, impone l’adozione delle misure che, “secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Nella straordinaria situazione emergenziale in corso vengono in evidenza non tanto i rischi specifici del singolo luogo di lavoro quanto il rischio generale di diffusione pandemica del virus COVID-19 che incombe su tutta la comunità nazionale e nel contempo riguarda i singoli luoghi di lavoro.
Per cui con l’articolo 87, Dl 18/2020 si è voluto fornire uno strumento per prevenire tali rischi di propagazione, obbligando i datori di lavoro pubblici a non richiedere la presenza fisica, tranne nei casi in cui, motivatamente, si tratti di prestazioni indifferibili che non possono essere svolte in modalità agile; è l’amministrazione che deve, quindi, espressamente motivare le ragioni della presenza fisica sul luogo di lavoro, per cui, in assenza di questo apparato motivazionale, le prestazioni lavorative devono essere svolte in remoto.

In regime di limitazioni da coronavirus, dovendo provvedere, comunque, alla costituzione del fondo per le risorse decentrate per l'anno 2020 chiedevo se era più corretto integrare il fondo di parte variabile dell’1,2% su base annua del monte salari dell’anno 1997, esclusa la quota relativa alla dirigenza, così come richiesto dalle parti sindacali, e successivamente operare la decurtazione di cui all’articolo 23, comma 2, Dlgs 75/2017 per il rispetto del limite 2016, oppure se, in sede di contrattazione, si debba già definire una percentuale inferiore al fine di restare all'interno del tetto 2016 considerando che non è sempre facile da quantificare?
In relazione al quesito posto, si ritiene che sia più corretto integrare il fondo con l’entità di risorse aggiuntive di parte variabile, ai sensi dell’articolo 67, comma 4, del Ccnl 21.05.2018, sino a concorrenza del limite imposto dall’articolo 23, comma 2, Dlgs 75/2017.
Mentre la parte stabile, infatti, mantiene la sua dimensione economica consolidata che viene riportata anno per anno, la parte variabile del fondo risponde ad esigenze di utilizzo ulteriori rispetto all’ordinario impiego delle risorse stabili, assecondando, di fatto e giuridicamente, fabbisogni integrativi di risorse in funzione di fronteggiare esigenze specifiche di funzionamento, anche correlate a particolari obiettivi gestionali che possano consentire, altresì, il mantenimento di servizi e/o di standard erogativi (articolo 67, comma 5, lett. b), dello stesso Ccnl).
Poiché, pertanto, l’aggregazione delle risorse variabili risponde a necessità produttive modificabili nel tempo, a differenza delle risorse stabili, la cui composizione è consolidata ed immutabile nel tempo, se non per le componenti a formazione dinamica (es. lett. c) del comma 2 del medesimo articolo 67), si ritiene non ammissibile che i flussi di composizione di tale parte del fondo prescindano da un’attenta valutazione degli effettivi fabbisogni cui corrispondere in termini di finanziamento, determinando, in tal modo, comportamenti indebiti o elusivi, come un ingiustificato incremento di risorse variabili, pur nel limite massimo previsto dalle vigenti clausole contrattuali, su cui operare, successivamente, una riduzione di livellamento imposta dal ripetuto articolo 23, comma 2, Dlgs. n. 75/2017.
Appare, pertanto, maggiormente coerente con le norme contrattuali e con i principi ordinamentali di finanza pubblica che regolano questi particolari profili gestionali, integrare la parte variabile del fondo mediante l’impiego del fattore compositivo in questione nell’entità concretamente necessaria per arginare le nuove necessità di incremento finanziario del fondo, anche laddove tale valore risulti inferiore al limite massimo di aumento consentito dalle vigenti clausole contrattuali nazionali.

Quale è l'autorità competente (competenti organi medico legali) a rilasciare la certificazione ex articolo 26, co. 2, Dl 18/2020 per i dipendenti pubblici in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità?
Inoltre l'estensione dei 12 giorni ulteriori di permessi ex lege 104/1992 riguarda soltanto i dipendenti che assistono persone con disabilità grave oppure anche i disabili stessi con connotazione di gravità?

Con riferimento alle questioni poste, si esprime il seguente avviso.
In relazione al primo quesito formulato si ritiene che l’autorità competente ai sensi delle previsioni dettate dall’articolo 26, comma 2, del Dl 17.03.2020, n. 18, sia da individuarsi nelle strutture legali dell’azienda sanitaria locale competente, anche in conformità alle prescrizioni di cui all’articolo 4, Legge 104/1992, la quale, ai fini del riconoscimento della situazione di handicap, testualmente dispone, con espresso riferimento alla connotazione di cui all’articolo 3 della stessa legge, che gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua sono effettuati dall'unità sanitaria locale competente mediante l’utilizzo di apposite commissioni mediche costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 2, Legge 295/1990, opportunamente integrate da specialisti o esperti individuati, in relazione alle fattispecie da esaminare, tra il personale in servizio presso le stesse unità sanitarie locali.
Con riferimento al secondo quesito posto, inoltre, si ritiene che la fruizione dell’estensione temporale dell’istituto di cui all’articolo 33, comma 3, Legge 104/1992 disposto dall’articolo 24, comma 1, Dl 17.03.2020, n. 18, debba essere riconosciuta in attuazione delle medesime modalità applicative che regolano l’impiego di tale istituto legale, come recate dal richiamato articolo 33, comma 3.
L’intervento delle misure di urgenza operato con il citato articolo 24, comma 1, infatti, determina una mera estensione temporale del possibile godimento del beneficio, non mutandone, pertanto, la configurazione giuridica e la conseguente portata applicativa che, infatti, restano immutate in quanto connesse al medesimo istituto legale.
Da ciò discende, pertanto, che tale ampliamento dell’entità fruibile del permesso in questione non attenga esclusivamente all’assistenza di terzi disabili, come indicati dal comma 3 dell’articolo 33, Legge 104/1992, bensì afferisca anche all’ipotesi in cui il beneficiario, lavoratore dipendente, sia esso stesso il destinatario dell’assistenza fornita, in applicazione delle previsioni recate dal comma 6 del medesimo articolo 33 (cfr.: "6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3 (…)”).
Tale posizione, infatti, appare fatta propria anche dalla recente circolare Inps n. 45 del 25 marzo u.s., con la quale l’Istituto previdenziale, fornendo istruzioni sulla cumulabilità dell’astensione dal lavoro, riconosce espressamente la fruibilità di tale estensione temporale del permesso anche a beneficio dello stesso lavoratore disabile (cfr.: “(…) il lavoratore disabile che assiste altro soggetto disabile, potrà cumulare, per i mesi di marzo e aprile 2020, i permessi a lui complessivamente spettanti (3+3+12) con lo stesso numero di giorni di permesso fruibili per l’assistenza all’altro familiare disabile (3+3+12).”) (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa dell'08.04.2020).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCoronavirus: ancora dubbi ed incertezze degli Enti sull'applicazione di norme ed istituti introdotti dalla legislazione d'urgenza.
Tra le diverse problematiche che si presentano all’attenzione degli operatori, strettamente legate alla straordinaria situazione emergenziale che stiamo vivendo e alle misure adottate dal Governo per farvi fronte e che impattano sulla gestione del rapporto di lavoro, alcune riguardano le misure di sostegno ai lavoratori pubblici per l’impatto sulla gestione e l’organizzazione familiare delle misure di limitazione alla circolazione e altre il comportamento dei datori di lavoro di fronte a sintomi che il lavoratore possa presentare e che richiedono particolare attenzione, sia sotto il profilo della salute dei singoli, che sulla diffusione epidemiologica del COVID-19.
Di seguito vengono fornite le risposte a due tra i più significativi quesiti:

Sono a chiedere quanto segue in merito all'art. 24 (Estensione durata permessi retribuiti ex art. 33, legge 104/1992), recante: 1. Il numero di giorni di permesso retribuito coperto da contribuzione figurativa di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 05.02.1992, n. 104, è incrementato di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020.
A tal proposito, UnionCamere ha affermato che si tratta di permessi solo a giorni (non ad ore in mancanza di diversa esplicita indicazione) considerato il dato letterale; sul punto l'Inps afferma che possono essere anche permessi ad ore.
Ad avviso dello scrivente, le ragioni che, in modo sintetico, sono a favore della tesi di UnionCamere sono le seguenti:
   a) il dato letterale del DL 18/2020;
   b) la previsione ad ore non è fatta dalla legge 104/1992 ma dai contratti collettivi nazionali di lavoro;
   c) in occasione del lavoro agile (quale ordinario modo di lavoro nelle pubbliche amministrazioni durante l'emergenza epidemiologica) non è consentita la riduzione oraria del lavoro per chi ha senso la previsione dei permessi a giorni;
   d) anche qualora vi fosse la necessità del lavoro in presenza, la previsione a giorni e non ad ore dell'istituto de quo risponde alla logica di scoraggiare lo "spezzettamento" del tempo tra lavoro e casa, ma intende agevolare l'allontanamento dalla sede di lavoro (quindi intera giornata) favorendo l'isolamento per evitare i contatti interpersonali.
Con riguardo alla questione posta, occorre fare riferimento alla disposizione di cui all’art. 24, Dl 17.03.2020, n. 18, che testualmente recita: ”1. Il numero di giorni di permesso retribuito coperto da contribuzione figurativa di cui all'articolo 33, comma 3, Legge 104/1992, è incrementato di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020”.
La disposizione legislativa d’urgenza, pertanto, ha inteso estendere la portata temporale dell’istituto di cui al richiamato art. 33, comma 3, Legge 104/1992, il quale prevede che "3. A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”.
La configurazione legale dell’istituto, pertanto, si sviluppa sul periodo temporale giornaliero assunto a riferimento per la legittima fruizione dello stesso.
Su tale periodo di godimento, poi, per l’area contrattuale delle Funzioni Locali, nella quale sono annoverate anche le Camere di Commercio, è intervenuto l’articolo 33, comma 1, del recente Ccnl 21.05.2018, il quale ne ha facoltizzato l’impiego anche su periodo orario, frazionando le giornate legalmente prescritte. La clausola contrattuale, infatti, dispone che "1. I dipendenti hanno diritto, ove ne ricorrano le condizioni, a fruire dei tre giorni di permesso di cui all' art. 33, comma 3, della Legge 104/1992. Tali permessi sono utili ai fini delle ferie e della tredicesima mensilità e possono essere utilizzati anche ad ore, nel limite massimo di 18 ore mensili.”.
Definito il quadro giuridico che regola la materia, si ritiene che il combinato delle due disposizioni riportate operi una mera estensione del periodo temporale di fruizione dell’istituto, come legalmente previsto, con conseguente e corrispondente ampliamento delle modalità applicative dell’istituto come delineate nei diversi ambiti di operatività dell’istituto stesso.
In altri termini, dunque, la disposizione d’urgenza varata dal Governo interviene non tanto modificando l’istituto del permesso retribuito o introducendo un nuovo e diverso istituto giuridico dallo stesso distinto e dotato di autonoma regolazione, bensì opera ampliando il periodo temporale di utilizzo dello stesso, integrandone la portata legale di ulteriori 12 giornate complessive per i soli mesi di marzo ed aprile 2020.
Se tant'è, pertanto, non si ravvisa ragione alcuna per non consentirne la fruizione con le stesse modalità che, per singolo comparto di contrattazione, la fonte negoziale ha introdotto, nel caso di specie frazionando il periodo giornaliero ad ore. Infatti, a ben vedere, le motivazioni che si portano a suffragio dell’inapplicabilità frazionata dell’istituto sono così indicate nel quesito:
   a) il dato letterale recato dall’articolo 24 si limita ad estendere la portata legale del permesso, non intervenendo, ma neppure impedendo, la sua fruizione oraria, se consentita da altra fonte normativa;
   b) la circostanza che la fruizione oraria sia stata affidata alla fonte negoziale non vale, certamente, a smentirne l’applicazione riguardo all’estensione temporale del medesimo istituto operata dalla legge;
   c) nell’ambito della modalità di fornitura della prestazione in smart working, la particolare modalità con la quale si sviluppa l’attività lavorativa è compatibile sostanzialmente con tutti gli istituti di assenza giustificata dal lavoro, anche computata ad ore, al pari del lavoro in presenza, a meno che si tratti di un numero di ore talmente limitato da poter essere riassorbito nell’ambito della flessibilità propria della modalità di lavoro agile (cfr., al riguardo, il num. 3.
Aspetti organizzativi, gestione del rapporto di lavoro e relazioni sindacali, lett. D) - Disciplina interna, num. 14, della direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri 01.06.2017, n. 3 in materia di regolazione dello smart working e del telelavoro, il quale rimette all’autonomo potere datoriale dell’ente la disciplina di diversi aspetti applicativi dell’istituto, in particolare: “14. fermo restando il divieto di discriminazione, previsione dell’eventuale esclusione, per effetto della distribuzione flessibile del tempo di lavoro, di prestazioni eccedenti l’orario settimanale che diano luogo a riposi compensativi, prestazioni di lavoro straordinario, prestazioni di lavoro in turno notturno, festivo o feriale non lavorativo che determinino maggiorazioni retributive, brevi permessi o altri istituti che comportino la riduzione dell’orario giornaliero di lavoro;”); d) l’estensione temporale di tale particolare permesso retribuito risponde alla chiara ratio di consentire la giustificazione di una maggiore entità temporale di assenza dal lavoro in conseguenza della necessità di accudire il familiare in situazione di gravità conseguente alle significative limitazioni di trasferimento che sono state introdotte dalla legislazione emergenziale, per le quali, infatti, il familiare stesso potrebbe subire una rilevante contrazione di assistenza diretta assicurata da terzi.
In conclusione, pertanto, si ritiene che la fruizione contrattuale ad ore dell’istituto in questione, come introdotta dal detto articolo 33, comma 1, del Ccnl 21.05.2018, sia da estendersi anche all’integrazione temporale dell’istituto stesso, come introdotta dall’articolo 24, comma 1, Dl 18/2010, non risultando sussistenti elementi ostativi alla sua applicazione.

Numerosi colleghi (nel piano in cui operiamo ben oltre la metà) si trovano contemporaneamente in stato di malattia con sintomi comuni quali febbre alta, mal di schiena, in alcuni casi perdita di olfatto e gusto, mal di testa, tosse… alcuni di questi hanno avuto necessità di prolungamento del periodo di congedo oltre le due settimane stante il perdurare dei sintomi.
Ci chiediamo se sia il caso procedere a verifiche sul personale “superstite” al fine di individuare o meglio di escludere la presenza di portatori asintomatici di coronavirus, in caso affermativo a chi e da chi deve essere fatta tale richiesta?

Con riferimento al quesito posto, si ritiene che l’amministrazione, generalmente e fatti salvi casi del tutto eccezionali e marginali, non possa disporre una verifica sulla diagnosi di malattia in cui versi il lavoratore disposta dal medico curante o da altro presidio medico competente.
È, infatti, competenza e responsabilità di quest’ultimo verificare e, conseguentemente, diagnosticare l’eventuale sussistenza di sintomi da COVID-19 manifestati dal lavoratore, attivando, in caso di accertamento positivo, il protocollo medico-sanitario previsto per queste particolari circostanze.
Laddove sussista fondato timore che il dipendente presenti manifestazioni sintomatiche da coronavirus, pertanto, per come rilevabili attraverso l'osservazione esterna o dichiarazioni rese dallo stesso lavoratore e non mediante esame medico, ovviamente interdetto al datore di lavoro, l’amministrazione potrà chiedere l’immediato intervento del medico competente per condurre una prima verifica sulla sussistenza e natura della sintomatologia manifestata e, successivamente, sulla base dell'eventuale positiva diagnosi medica, richiedere, allo stesso medico competente, l’attivazione dell'apposito protocollo sanitario avanti le competenti autorità medico-sanitarie (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 06.04.2020).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCoronavirus: i dubbi delle amministrazioni sulle norme emergenziali in materia di lavoro pubblico.
Nella pratica operativa continuano a presentarsi dubbi applicativi delle diverse disposizioni adottate a seguito della dichiarazione, con deliberazione del Consiglio dei ministri del 31.01.2020, dello stato di emergenza nazionale.
Proseguono, quindi, le risposte alle innumerevoli incertezze che devono affrontare gli operatori del settore pubblico, sorti nell’applicazione delle diverse disposizioni che, pur presentandosi singolarmente chiare, vanno tra di loro armonizzate e coordinate con le norme in materia di lavoro pubblico, con le disposizioni civilistiche e con i contratti collettivi nazionali.
Ecco alcuni dei dubbi più diffusi manifestati dagli enti:

Il Comune dove lavoro in Sardegna ha pubblicato il 10 marzo un concorso per n. 1 posto di assistente di biblioteca con scadenza del termine di presentazione delle domande a 30 giorni dalla pubblicazione del bando.
Nel frattempo sono intervenute:
   1) la sospensione dei termini delle procedure concorsuali come previsto dall’art. 103, Dl n. 18 del 17.03.2020 e
   2) la proroga dei termini al 31.07.2020 ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della Legge di Stabilità approvata dal Consiglio Regionale della Sardegna dell'11.03.2020 che recita testualmente “a seguito dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 e in considerazione del blocco dell'attività amministrativa degli uffici della Regione autonoma della Sardegna e di quelli delle amministrazioni locali, i termini di scadenza relativi a qualsiasi bando, procedure concorsuali, avvisi pubblici, presentazione di rendicontazioni da parte di enti pubblici e/o privati cittadini, relativi a qualsiasi fonte di finanziamento sono prorogati al 31.07.2020”.
È stato dichiarato in Sardegna lo stato di emergenza fino al 31.07.2020.
In tale situazione prevale la norma regionale e quindi la scadenza per la presentazione delle domande è il 31.07.2020?

Ai fini di ricostruire il quadro di riferimento giuridico che governa le competenze in materia di adozione di misure normative di contrasto alla pandemia in atto, occorre fare riferimento alle norme recate dal Dl 23.2.2020, n. 6, convertito in legge 05.03.2020, n. 13, con particolare riferimento all’art. 3, commi 1 e 2, del decreto-legge stesso.
Tali disposizioni, infatti, testualmente prescrivono che "1. Le misure di cui agli articoli 1 e 2 sono adottate, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale. 2. Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, nei casi di estrema necessità ed urgenza le misure di cui agli articoli 1 e 2 possono essere adottate ai sensi dell'articolo 32, Legge 833/1978, dell'articolo 117, Dlgs 112/1998, e dell'articolo 50 Tuel. Le misure adottate ai sensi del presente comma perdono efficacia se non sono comunicate al Ministro della salute entro ventiquattro ore dalla loro adozione.”.
La norma, infatti, prescrive che le misure normative con carattere di urgenza e di natura generale finalizzate al contrasto diffusivo del coronavirus siano adottate con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, affidando, ai Presidenti delle Regioni nella sola ipotesi in cui attengano esclusivamente alla Regione di competenza o ad alcune Regioni, nel qual caso la competenza resta, comunque, in capo ai rispettivi orari di vertice.
La disposizione legislativa, poi, prosegue statuendo, al comma 2, che la competenza dei Presidenti delle Regioni, in materia di igiene e sanità pubblica, può essere esercita esclusivamente a due condizioni, ovvero:
   1) nelle more dell’adozione dei provvedimenti d’urgenza ad opera del Presidente del Consiglio dei Ministri e
   2) nelle situazioni di estrema necessità ed urgenza che il fenomeno impone nell’ambito regionale di competenza.
Il richiamo normativo che, infine, viene operato dalla disposizione legislativa alle norme della legge 833/1978 e del Dlgs 112/1990 sta ad indicare, inequivocabilmente, che tali poteri sono esercitabili, dai Presidenti delle Regioni, nei limiti e con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale, nonché che l'adozione dei provvedimenti d’urgenza in materia igienico-sanitaria spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.
Stante il quadro normativo sopra delineato, pertanto, la competenza generale e primaria all’adozione di misure urgenti per scongiurare il rischio di contagio diffusivo da COVID-19 spetta prioritariamente al Governo, mentre alle Regioni è affidato un compito di assunzione di adeguate azioni locali di contrasto che, per espressa previsione normativa e per intuibili ragioni di coordinamento degli interventi, hanno carattere recessivo nel momento in cui il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti le misure nazionali necessarie.
Tale assetto di competenze e di conseguenti azioni, infatti, appare il più coerente anche con il perimetro definito dalla nostra Carta costituzionale, la quale, all’articolo 117, comma 2, prevede la forma della legislazione concorrente nella materia della salute pubblica, da esercitarsi, da parte delle Regioni, nei limiti dei principi fondamentali dettati dallo Stato, di cui la normazione legislativa sopra richiamata costituisce espressione.
Ciò esaminato, pertanto, si ritiene che, avendo, il Governo, adottato le misure d’urgenza in grado di arginare la diffusione da contagio pandemico contenute nel Dl 17.03.2020, con particolare riferimento alla sospensione disposta, per le procedure concorsuali, dall’articolo 87, comma 5, del predetto Dl, il quale testualmente prescrive che "5. Lo svolgimento delle procedure concorsuali per l'accesso al pubblico impiego, ad esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica, sono sospese per sessanta giorni a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto. Resta ferma la conclusione delle procedure per le quali risulti già ultimata la valutazione dei candidati (…)”.
Trattandosi, pertanto, di misura avente chiara natura di azione di contrasto alla pandemia in atto (vedi il comma 1 dell’art. 3, Dl 6/2020) ed in considerazione di quanto sopra detto in relazione al riparto di attribuzioni tra diversi livelli di governo competenti all’adozione di tali misure, nonché del carattere transitorio e recessivo delle misure adottate dalle Regioni in materia di contrasto alla diffusione del coronavirus, si ritiene che le disposizioni statali abbiano determinato, anche con riguardo alla legislazione delle Regioni a statuto speciale, la ritrazione delle disposizioni adottate dalla Regione Sardegna intervenute nello specifico ambito di regolazione statale.

Il dubbio che nasce nell’utilizzo del personale dei nidi e delle materne è legato al particolare profilo professionale delle dipendenti, in quanto educatrici dell'asilo nido e a quanto stabilito dall'art. 31, comma 5, del Ccnl 14.09.2000.
In relazione a quanto prescritto dall’articolo 31, comma 5, del Ccnl 14.09.2000, è da ritenere che la previsione contrattuale attenga ad una situazione del tutto normale ed ordinaria di funzionamento dei servizi e non ad un evento emergenziale come quello che stiamo attraversando, nell’ambito del quale si deve ritenere che il personale possa essere utilizzato, compatibilmente con i contenuti professionali del ruolo ricoperto, anche in altri servizi dell’amministrazione, tenuto conto che il principio generale accolto dal nostro sistema giuridico è rappresentato dall’equivalenza professionale nel contesto della categoria di ascrizione, per il quale, infatti, tutte le funzioni previste dalla categoria d'inquadramento sono esigibili dal lavoratore.
Tutto ciò, ovviamente, laddove sussista la stretta ed assoluta necessità di mantenere in servizio tale personale alla luce di quanto già detto con riferimento alle prescrizioni dettate dall’articolo 87, Dl 18/2020.

L'Amministrazione comunale può esentare motivatamente dal servizio una dipendente che non opera in alcuno dei servizi essenziali previsti dalle ultime disposizioni per il contenimento del Covid-19 e che non ha ferie pregresse né altri tipi di permessi/congedi etc. essendo stata, tra l'altro, appena assunta?
In caso affermativo tale esonero costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge?

In base al vigente ordinamento emergenziale, la circostanza che la lavoratrice non operi nell’ambito dei servizi essenziali non appare sufficiente al fine di escludere la prestazione lavorativa. Infatti, l’art. 87, commi 1 e 3, Dl 17.03.2020, n. 18, prescrive espressamente che "1. Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019, (…) il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, Dlgs 165/2001, che, conseguentemente: a) limitano la presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche in ragione della gestione dell'emergenza; (…) 3. Qualora non sia possibile ricorrere al lavoro agile, anche nella forma semplificata di cui al comma 1, lett. b), le amministrazioni utilizzano gli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva. Esperite tali possibilità le amministrazioni possono motivatamente esentare il personale dipendente dal servizio. Il periodo di esenzione dal servizio costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge e l'amministrazione non corrisponde l'indennità sostitutiva di mensa, ove prevista. (…).”.
Come si può evincere dalla riportata norma, pertanto, la lavoratrice, laddove vi siano le condizioni prescritte dalla legge, può essere adibita a servizi indifferibili che richiedono la necessaria presenza sul luogo di lavoro, anche in funzione di assicurare servizi essenziali correlati all’emergenza da coronavirus.
Laddove non sia assolutamente necessario mantenere il servizio la dipendente, anche mediante l’impiego dello smart working quale modalità di fornitura della prestazione lavorativa, e non sia oggettivamente possibile impiegare istituti retribuiti o indennizzati, legali e contrattuali, giustificativi dell’assenza dal lavoro, non resterà, come forma del tutto residuale ed eccezionale, che collocare la dipendente in esonero lavorativo ai sensi della predetta disposizione legislativa.
Si evidenzia, tuttavia, che tale collocamento dovrà essere accompagnato dall’adozione di un apposito provvedimento datoriale (di natura civilistica) che riporti le adeguate motivazioni che supportano l’applicazione dell’istituto esonerativo, tenuto conto che tale esenzione determina l’obbligo, per l’amministrazione, di considerare il periodo interessato alla stregua di servizio prestato ad ogni effetto di legge, anche ai fini retributivi, ancorché in assenza della prestazione lavorativa (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa dell'01.04.2020).

CONSIGLIERI COMUNALI: Emergenza COVID-19. Pubblicità delle sedute del consiglio comunale.
Nella situazione di emergenza da COVID -19 in atto, nel silenzio del regolamento, spetta al sindaco, quale presidente del consiglio comunale, stabilire le modalità che meglio possano soddisfare il rispetto del principio di pubblicità delle sedute consiliari.
Nel confronto tra l’effettuare la diretta streaming o, invece, il procedere alla diffusione, successivamente alla seduta, della registrazione integrale della stessa, si ritiene che la prima modalità, qualora la strumentazione necessaria sia nella disponibilità dell’Ente, configuri lo strumento che in maniera più diretta ed efficace consentirebbe di dare adeguata pubblicità alla seduta del consiglio comunale.

Il Comune chiede un parere in merito alle modalità di svolgimento delle sedute del consiglio comunale in questo particolare momento caratterizzato dalla situazione di emergenza da Covid-19 in atto. Più in particolare desidera sapere se vi sia l’obbligo che le sedute consiliari si tengano in diretta streaming o se il requisito della pubblicità possa essere soddisfatto anche in differita, per il tramite della pubblicazione della registrazione. Chiede, altresì, se, in caso di registrazione della seduta, il segretario comunale debba comunque riportare nel verbale, in sintesi, i tratti salienti della discussione.
La materia delle modalità di svolgimento delle sedute consiliari in questo momento di emergenza sanitaria in atto è stato regolamento sia dal legislatore regionale che statale. Il primo è intervenuto con la legge regionale 13.03.2020, n. 3 recante “Prime misure urgenti per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID–19”, la quale all’articolo 11 reca “Modalità di svolgimento delle sedute della Giunta regionale e del Consiglio regionale in casi di emergenza”. Tale articolo risulta di interesse anche per gli enti locali della nostra Regione stante il disposto di cui al comma 5, secondo cui “Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 possono trovare applicazione anche agli enti locali della regione, in quanto compatibili con il loro ordinamento e nel rispetto della propria autonomia”.
Nell’evidenziare che la norma sopra citata pone una facoltà (“possono”) per gli enti locali di adeguarsi a quanto disposto dalla norma stessa, si riproduce il contenuto della disposizione recentemente emanata dal Consiglio regionale secondo cui:
1. In caso di situazione di particolare gravità e urgenza, riconosciuta con provvedimento del Consiglio dei Ministri o del Presidente del Consiglio dei Ministri, che renda temporaneamente impossibile o particolarmente difficile al Consiglio regionale, alle Commissioni consiliari, alla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari o alla Giunta regionale riunirsi secondo le ordinarie modalità stabilite dalla normativa vigente, è consentito lo svolgimento delle sedute in modalità telematica.
2. Ai fini della presente legge, per seduta in modalità telematica si intendono le sedute degli organi collegiali di cui al comma 1 con partecipazione a distanza dei componenti dell’organo stesso attraverso l’utilizzo di strumenti telematici idonei a consentire la comunicazione in tempo reale a due vie e, quindi, il collegamento simultaneo fra tutti i partecipanti ed idonei, per quanto riguarda il Consiglio regionale, a permettere l’espressione del voto anche a scrutinio segreto.
3. La sussistenza delle condizioni di cui al comma 1 è riconosciuta:
   a) per il Consiglio regionale e per le Commissioni consiliari, dal Presidente del Consiglio, sentita la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari;
   b) omissis;
   c) omissis.
4. Con gli atti di rispettiva competenza gli organi di cui al comma 1 adottano le necessarie disposizioni attuative di quanto disposto dal presente articolo.
5. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 possono trovare applicazione anche agli enti locali della regione, in quanto compatibili con il loro ordinamento e nel rispetto della propria autonomia
”.
A livello di normazione statale è stato emanato in data 17.03.2020 il decreto legge n. 18 recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19” il quale all’articolo 73, comma 1, prevede che “Al fine di contrastare e contenere la diffusione del virus COVID-19 e fino alla data di cessazione dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31.01.2020, i consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane e le giunte comunali, che non abbiano regolamentato modalità di svolgimento delle sedute in videoconferenza, possono riunirsi secondo tali modalità, nel rispetto di criteri di trasparenza e tracciabilità previamente fissati dal presidente del consiglio, ove previsto, o dal sindaco, purché siano individuati sistemi che consentano di identificare con certezza i partecipanti, sia assicurata la regolarità dello svolgimento delle sedute e vengano garantiti lo svolgimento delle funzioni di cui all'articolo 97 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, nonché adeguata pubblicità delle sedute, ove previsto, secondo le modalità individuate da ciascun ente”.
Il successivo comma 5 stabilisce, infine, che: “Dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci”.
Premesso che, stante la potestà legislativa esclusiva della nostra Regione in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni
[1], esercitata con l’emanazione della legge regionale 3/2020, in Friuli Venezia Giulia trova applicazione la legge regionale in luogo di quella statale, pur tuttavia dal confronto tra le due disposizioni si evince la sostanziale conformità dei precetti dalle stesse posti.
Inoltre, quanto al requisito della pubblicità delle sedute da tenersi in modalità telematica/videoconferenza, oggetto del presente quesito, la legge regionale nulla dice espressamente, laddove, invece, il legislatore statale ha unicamente disposto che debba essere data “adeguata pubblicità delle sedute […] secondo le modalità individuate da ciascun ente”. Per tale parte si ritiene che il legislatore statale abbia espresso un principio generale applicabile anche nella nostra Regione.
Atteso che il regolamento dell’Ente non dispone alcunché circa tale aspetto, si ritiene che spetti al Sindaco, quale Presidente del consiglio comunale, stabilire le modalità che, nell’attuale situazione emergenziale, meglio possano soddisfare il rispetto del principio di pubblicità delle sedute consiliari. A tal fine, si ritiene che l’Ente debba avvalersi degli strumenti a propria disposizione, attesa anche la previsione di legge statale di cui all’articolo 73, comma 5, del DL 18/2020, secondo cui “le amministrazioni pubbliche interessate provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci”.
In particolare, delle due modalità proposte nel quesito, l’una consistente nella diretta streaming e l’altra nella pubblicazione, successivamente alla seduta, della registrazione integrale della seduta stessa, nel ribadire che spetta al Presidente del consiglio decidere quale modalità utilizzare, preferibilmente previo confronto con i Capigruppo
[2], si ritiene che entrambe le modalità prefigurate siano in grado di raggiungere lo scopo per il quale sono state predisposte e cioè consentire la pubblicità della seduta del consiglio comunale.
Ciò premesso non può sottacersi che, qualora il Comune abbia la strumentazione necessaria a consentire la diretta streaming, essa pare configurare lo strumento che in maniera più diretta ed efficace consentirebbe di dare adeguata pubblicità alla seduta del consiglio comunale.
Con riferimento all’ultima questione posta, si ritiene che il segretario comunale debba comunque indicare nel verbale, tra gli altri, l’argomento trattato nella discussione, con tale espressione intendendosi far riferimento all’indicazione dei tratti salienti della seduta stessa
[3].
---------------
[1] Ai sensi dell’articolo 4, primo comma, n. 1-bis), dello Statuto di autonomia, introdotto dalla legge costituzionale 23.09.1993, n. 2.
[2] In mancanza di diversa previsione regolamentare, attuativa delle disposizioni normative inerenti allo svolgimento delle sedute consiliari in modalità telematica/videoconferenza, si ritiene infatti che, nell’ambito della leale collaborazione tra maggioranza e minoranze consiliari, sia opportuno che il Sindaco senta i Capigruppo.
[3] L’articolo 81 del regolamento consiliare (rubricato “Processo verbale delle sedute”) prevede che il segretario debba redigere il processo verbale della seduta indicando “a) la data e l’ora della seduta; b) il numero di consiglieri presenti e le generalità degli assenti; c) l’argomento che viene trattato; d) il risultato della discussione, con l’indicazione del numero dei Consiglieri che hanno votato a favore della proposta, delle generalità di quelli che hanno votato contro la proposta o che si siano astenuti” (articolo 81, comma 2)
(31.03.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Emergenza COVID-19. Sedute del consiglio comunale.
Lo svolgimento delle sedute del consiglio comunale, nella situazione di emergenza da Covid-19 in atto, pur nell’assenza di prescrizioni normative specifiche, impositive di particolari obblighi, deve avvenire con modalità coerenti con le indicazioni che, a livello nazionale e regionale, sono fornite per cercare di limitare quanto più possibile la diffusione del virus.
Compete al presidente del consiglio comunale/sindaco stabilire tali modalità di gestione delle sedute consiliari quali la necessità che esse si tengano a porte chiuse, in guisa da evitare assembramenti di persone, o l’opportunità di limitare le sedute del consiglio a quelle aventi ad oggetto questioni urgenti e in ogni caso non differibili.

Il Comune, in considerazione della situazione di emergenza da Covid-19 in atto, chiede un parere in merito alle modalità di svolgimento dei consigli comunali. In particolare, desidererebbe avere delle indicazioni generali sulle modalità di gestione delle sedute consiliari, tra cui la necessità/opportunità di limitare le stesse ai soli casi di necessità e indifferibilità.
In via preliminare si osserva che, ai sensi dell’articolo 38, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 “il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento”.
Ai sensi dell’articolo 4 del regolamento sul funzionamento del consiglio comunale, la presidenza del consiglio spetta al sindaco (o, in caso di sua assenza, al vicesindaco) il quale, ai sensi del successivo articolo 5, provvede, tra l’altro, al “proficuo funzionamento dell’assemblea consiliare” (comma 2) ed “esercita i poteri necessari per mantenere l’ordine e per assicurare l’osservanza della legge, dello Statuto e del regolamento” (comma 3).
Spetta, pertanto, al sindaco, nella sua qualità di presidente del consiglio comunale, assumere ogni decisione circa l’ordinato e proficuo svolgimento delle sedute consiliari: nel particolare contesto in essere si ritiene che il potere del sindaco comprenda ogni decisione ritenuta idonea a fronteggiare l’emergenza esistente e, in particolare, permetta lo svolgimento delle sedute consiliari con modalità coerenti con le indicazioni che, a livello nazionale e regionale, sono fornite per cercare di limitare quanto più possibile la diffusione del virus.
Con riferimento alle norme emanate, sia dal legislatore statale che regionale, per fronteggiare l’emergenza in atto, non paiono sussistere prescrizioni specifiche, impositive di particolari obblighi circa la tenuta delle sedute consiliari.
In particolare, quanto alla normativa statale, i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri emanati in attuazione del decreto-legge 23.02.2020, n. 6 pongono l’obbligo di rispettare una serie di condizioni generali di tipo igienico-sanitario, la cui applicabilità è collegata all’esistenza di più persone che si ritrovano in un unico luogo: di qui la necessità del loro rispetto anche nel caso di sedute del consiglio comunale con la presenza “fisica” dei consiglieri
[1].
Corollario della ratio sottesa all’emanazione di tali norme (che è quella di evitare i contatti ravvicinati tra le persone al fine di limitare quanto più possibile la trasmissione del virus da un individuo ad un altro) pare essere, altresì, la necessità che, in questo momento di emergenza, le sedute del consiglio comunale si tengano a porte chiuse, in guisa da limitare assembramenti di persone
[2].
In linea con la ratio sopra indicata e con le prescrizioni che a livello statale sono state adottate per gli altri settori della vita quotidiana, si porrebbe, anche l’eventuale decisione del sindaco, quale presidente del consiglio comunale, di limitare le sedute del consiglio a quelle aventi ad oggetto questioni urgenti e in ogni caso non differibili. Nel ribadire l’inesistenza di un obbligo siffatto, una decisione di tale natura risulterebbe senz’altro coerente con l’attuale situazione emergenziale in essere e con le indicazioni esistenti a livello nazionale che depongono nel senso di limitare, sotto ogni profilo, gli spostamenti e i “movimenti” di persone.
A tale riguardo, si fa presente che in data 12.03.2020 l’Assessore regionale alle autonomie locali, funzione pubblica, sicurezza, politiche dell'immigrazione, corregionali all'estero e lingue minoritarie ha inviato a tutti i sindaci della nostra regione una nota nella quale, tra l’altro, si afferma che: “E’ evidente che la situazione emergenziale che coinvolge l’intera Nazione, comporta anche sacrifici e rallentamenti ineludibili in numerose attività anche lavorative. Ciò significa che è dovere di tutti –soprattutto di coloro che abbiano responsabilità pubbliche– discernere con serietà le attività veramente indifferibili da ogni altra che potrà essere svolta o soddisfatta successivamente”.
Inoltre, si segnala anche la legge regionale 13.03.2020, n. 3 recante “Prime misure urgenti per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID–19”, la quale all’articolo 11 reca “Modalità di svolgimento delle sedute della Giunta regionale e del Consiglio regionale in casi di emergenza”. Tale articolo risulta di interesse anche per gli enti locali della nostra Regione stante il disposto di cui al comma 5, secondo cui “Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 possono trovare applicazione anche agli enti locali della regione, in quanto compatibili con il loro ordinamento e nel rispetto della propria autonomia
[3].
Nell’evidenziare che la norma sopra citata pone una facoltà (“possono”) per gli enti locali di adeguarsi a quanto disposto dalla stessa, si riproduce il contenuto della disposizione recentemente emanata dal Consiglio regionale secondo cui:
1. In caso di situazione di particolare gravità e urgenza, riconosciuta con provvedimento del Consiglio dei Ministri o del Presidente del Consiglio dei Ministri, che renda temporaneamente impossibile o particolarmente difficile al Consiglio regionale, alle Commissioni consiliari, alla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari o alla Giunta regionale riunirsi secondo le ordinarie modalità stabilite dalla normativa vigente, è consentito lo svolgimento delle sedute in modalità telematica.
2. Ai fini della presente legge, per seduta in modalità telematica si intendono le sedute degli organi collegiali di cui al comma 1 con partecipazione a distanza dei componenti dell’organo stesso attraverso l’utilizzo di strumenti telematici idonei a consentire la comunicazione in tempo reale a due vie e, quindi, il collegamento simultaneo fra tutti i partecipanti ed idonei, per quanto riguarda il Consiglio regionale, a permettere l’espressione del voto anche a scrutinio segreto.
3. La sussistenza delle condizioni di cui al comma 1 è riconosciuta:
   a) per il Consiglio regionale e per le Commissioni consiliari, dal Presidente del Consiglio, sentita la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari;
   b) omissis;
   c) omissis.
4. Con gli atti di rispettiva competenza gli organi di cui al comma 1 adottano le necessarie disposizioni attuative di quanto disposto dal presente articolo.
5. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 possono trovare applicazione anche agli enti locali della regione, in quanto compatibili con il loro ordinamento e nel rispetto della propria autonomia
” (16.03.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Gruppi consiliari.
   1) La disciplina dei gruppi consiliari, ai sensi dell’art. 38, comma 2, del D.Lgs. 267/2000, è dettata dal regolamento sul funzionamento del consiglio comunale “nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto”. Pertanto, le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari devono essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l’ente si è dotato.
   2) Qualora un consigliere comunale esca dal gruppo di originaria appartenenza e non intenda aderire ad alcun gruppo esistente, dovrebbe essergli data la possibilità di aderire al gruppo misto, se esistente, o di costituirlo ex novo: la possibilità che il gruppo misto sia costituito anche da un solo componente soddisfa, infatti, il diritto di autodeterminazione del consigliere e consentirebbe il pieno rispetto del principio costituzionalmente garantito del divieto di mandato imperativo.

Il Consigliere comunale desidera sapere quale sia la “prassi corretta da seguire per dimettersi dal gruppo elettorale di appartenenza mantenendo però la posizione di consigliere comunale di minoranza indipendente”. La questione posta attiene la più ampia tematica della disciplina dei gruppi consiliari all’interno della compagine assembleare comunale.
In via preliminare si osserva che “il principio generale del divieto di mandato imperativo sancito dall’articolo 67 della Costituzione, e pacificamente applicabile ad ogni assemblea elettiva, assicura ad ogni consigliere l’esercizio del mandato ricevuto dagli elettori –pur conservando verso gli stessi la responsabilità politica– con assoluta libertà, ivi compresa quella di far venir meno l’appartenenza dell’eletto alla lista o alla coalizione di originaria appartenenza
[1].
Sempre in termini generali si chiarisce che, come rilevato dal Ministero dell’Interno, “i gruppi non sono configurabili quali organi dei partiti e, pertanto, non sembra sussistere in capo a questi ultimi una potestà direttamente vincolante sia per un membro del gruppo di riferimento, che per gli organi assembleari dell’ente
[2].
Interessante, al riguardo è una pronuncia del giudice amministrativo la quale ha precisato che “i gruppi consiliari, in seno al Consiglio comunale […] hanno […] una duplice natura. Essi infatti rappresentano, per un verso, la proiezione dei partiti all’interno delle assemblee, e, per altro verso, costituiscono parte dell’ordinamento assembleare, in quanto articolazioni interne di un organo istituzionale. È dunque possibile distinguere due piani di attività dei gruppi: uno, più strettamente politico, che concerne il rapporto del singolo gruppo con il partito politico di riferimento, l’altro, gravitante nell’ambito pubblicistico, in relazione al quale i gruppi costituiscono strumenti necessari per lo svolgimento delle funzioni proprie degli organi assembleari, contribuendo ad assicurare l’elaborazione di proposte e il confronto dialettico tra le diverse posizioni politiche e programmatiche
[3].
Con riferimento alla fattispecie in esame l’intenzione del consigliere comunale è quella di uscire dal gruppo originario di appartenenza costituito dai consiglieri eletti nella medesima lista. A seguito di tali dimissioni si porrebbe la questione di definire la nuova collocazione che assumerebbe l’indicato consigliere attesa la sua volontà di mantenere “la posizione di consigliere comunale di minoranza indipendente”.
La questione verrà nel prosieguo affrontata sotto il profilo della disciplina dei gruppi consiliari, e non già di quello dei gruppi politici, l’appartenenza o l’uscita dai quali è regolamentata dalle norme interne dei diversi movimenti politici, senza influenza diretta sull’attività del consiglio comunale.
Preliminarmente, si ricorda che la disciplina dei gruppi consiliari, ai sensi dell’articolo 38, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, è dettata dal regolamento sul funzionamento del consiglio comunale “nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto”, essendo riconosciuta ai consigli piena autonomia funzionale ed organizzativa. Pertanto, le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari devono essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l’ente si è dotato.
Tale disciplina è contenuta nell’articolo 30 dello statuto comunale e nell’articolo 8 del regolamento sul funzionamento del consiglio comunale.
Il primo (articolo 30 dello statuto) recita: “I consiglieri possono costituirsi in gruppi, designando il capogruppo, secondo quanto previsto nel regolamento e ne danno comunicazione al Segretario comunale. Qualora non si eserciti tale facoltà o nelle more della designazione, i capigruppo sono individuati nei consiglieri che abbiano riportato il maggior numero dei voti nella lista di appartenenza”.
Il secondo (articolo 8 del regolamento consiliare) prevede che:
   “1. I Consiglieri eletti nella medesima lista formano, di regola, un Gruppo Consiliare.
   2. Ciascun Gruppo è costituito da almeno due Consiglieri. Nel caso che una lista presentata alle elezioni abbia avuto eletto un solo Consigliere, a questi sono riconosciute le prerogative e la rappresentanza spettanti ad un Gruppo Consiliare.
   3. I singoli Gruppi devono comunicare per iscritto al Sindaco il nome del Capo gruppo, durante la prima riunione del Consiglio neo-eletto. […]
   4. Il Consigliere che intende appartenere ad un Gruppo diverso da quello in cui è stato eletto deve darne comunicazione al Sindaco, allegando la dichiarazione di accettazione del Capo del nuovo gruppo.
   5. Il Consigliere che si distacca dal gruppo in cui è stato eletto e non aderisce ad altri gruppi non acquisisce le prerogative spettanti ad un gruppo consiliare. Qualora più Consiglieri vengano a trovarsi nella predetta condizione, essi costituiscono un gruppo misto che elegge al suo interno il Capo gruppo. Della costituzione del gruppo misto deve essere data comunicazione per iscritto al Sindaco, da parte dei Consiglieri interessati.
   6. Omissis
”.
In via preliminare necessita ricordare che l’interpretazione delle norme regolamentari in oggetto spetta in via esclusiva al consiglio comunale che è l’organo competente all’adozione delle stesse. Di seguito pertanto si forniscono delle possibili interpretazioni dell’articolo 8 del regolamento per il funzionamento del consiglio che possano essere di ausilio per la soluzione della questione posta.
Quanto alle modalità da porre in essere per uscire dal gruppo di appartenenza si ritiene applicabile il disposto di cui al comma 4 dell’articolo 8 citato secondo cui “Il Consigliere che intende appartenere ad un Gruppo diverso da quello in cui è stato eletto deve darne comunicazione al Sindaco”. Si ritiene che tale norma possa applicarsi non solo nel caso, espressamente disciplinato, di uscita da un gruppo e adesione ad altro già esistente ma anche nella diversa ipotesi in cui non esista un gruppo al quale aderire.
Peraltro, l’articolo 30 dello statuto comunale prevede che la costituzione dei gruppi consiliari debba essere comunicata al segretario comunale. Al fine di coordinare le due disposizioni si ritiene opportuno che la comunicazione da parte dell’amministratore locale venga effettuata nei confronti sia del sindaco che del segretario comunale.
Si pone, poi, la questione di individuare il gruppo di successiva appartenenza del consigliere comunale in riferimento.
Attesa, infatti, l’impossibilità per il consigliere di costituire da solo un gruppo autonomo, stante la previsione di cui al comma 2 dell’articolo 8 del regolamento consiliare in base al quale “ciascun gruppo è costituito da almeno due Consiglieri”, bisogna considerare la possibilità che lo stesso entri a far parte del gruppo misto o lo costituisca, se non esistente. Non pare invece sostenibile la possibilità che un amministratore locale non faccia parte di alcun gruppo consiliare. La mancata incardinazione in un gruppo consiliare, infatti, si tradurrebbe in un’inaccettabile penalizzazione per il consigliere, attesa l’esistenza di diverse norme nel nostro ordinamento che presuppongono l’appartenenza ad un gruppo consiliare
[4].
Nel ribadire che la materia dei gruppi consiliari deve trovare la propria disciplina nelle norme statutarie e regolamentari dell’ente locale, si osserva che l’articolo 8, comma 5, del regolamento sul funzionamento del consiglio comunale parrebbe non consentire la possibilità di istituire il gruppo misto anche con la partecipazione di un unico componente. Esso, infatti, prevede che: “Il Consigliere che si distacca dal gruppo in cui è stato eletto e non aderisce ad altri gruppi non acquisisce le prerogative spettanti ad un gruppo consiliare. Qualora più Consiglieri vengano a trovarsi nella predetta condizione, essi costituiscono un gruppo misto che elegge al suo interno il Capo gruppo. Della costituzione del gruppo misto deve essere data comunicazione per iscritto al Sindaco, da parte dei Consiglieri interessati”.
Occorre, peraltro, considerare che in linea generale il gruppo misto è un gruppo consiliare con carattere residuale, nel quale confluiscono i consiglieri, anche di diverso orientamento, che non si riconoscono negli altri gruppi costituiti, o che non possono costituire un proprio gruppo per mancanza delle condizioni previste dallo statuto o dal regolamento e la cui costituzione non dovrebbe essere subordinata alla presenza di un numero minimo di componenti. La possibilità di consentire che il gruppo misto sia costituito anche da un solo componente soddisfa, in altri termini, il diritto di autodeterminazione del consigliere e consentirebbe il pieno rispetto del principio costituzionalmente garantito del divieto di mandato imperativo.
Si rileva, ancora, che fino a quando il gruppo misto è composto da un solo membro, lo stesso dovrebbe assumere automaticamente la veste di capogruppo.
Il Ministero dell’Interno, in diverse occasioni, nell’affrontare la questione in riferimento, pur premettendo che “le problematiche relative alla costituzione e funzionamento dei gruppi consiliari devono essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l’ente locale si è dotato
[5], stante la piena autonomia funzionale e organizzativa riconosciuta ai consigli comunali, ha affermato che “l’esercizio del diritto di costituire il gruppo misto non dovrebbe essere subordinato alla presenza di un numero minimo di componenti [6].
Concludendo, alla luce delle considerazioni suesposte le norme regolamentari del Comune dovrebbero rispettare i principi sopra espressi per quanto concerne la costituzione del gruppo misto. Si suggerisce, pertanto, di richiedere all’Ente di appartenenza di valutare l'opportunità di procedere alla modifica di quelle disposizioni che si pongano in contrasto con essi e che costituirebbero una lesione delle prerogative riconosciute ai consiglieri comunali.
---------------
[1] Così TAR Trentino Alto Adige, sentenza del 09.03.2009, n. 75.
[2] Ministero dell’Interno, parere del 21.01.2020.
[3] TAR Lazio, Roma, sez. II-ter, sentenza del 15.12.2004, n. 16240.
[4] Una tale necessità si desume da diverse previsioni che presuppongono l’esistenza dei gruppi consiliari all’interno del consiglio comunale. Si pensi, a titolo di esempio, alla norma di cui all’art. 38, comma 3, TUEL, ove si demanda al regolamento sul funzionamento del consiglio la disciplina, tra l’altro, anche della gestione delle risorse attribuite per il funzionamento dei gruppi consiliari regolarmente costituiti o all’art. 39, comma 4, TUEL il quale prevede che il presidente del consiglio comunale assicuri una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari sulle questioni sottoposte al consiglio.
[5] Ministero dell’Interno, parere del 12.08.2019.
[6] Ministero dell’Interno, parere del 22.11.2019. Nello stesso senso Ministero dell’Interno, parere del 21.07.2017
(05.03.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

aggiornamento al 14.04.2020

ATTI AMMINISTRATIVI: La pubblicazione delle ordinanze del sindaco per l’emergenza sanitaria da COVID-19.
Domanda
Nell’ambito dell’emergenza sanitaria da COVID-19, il sindaco ha emesso numerose ordinanze di carattere contingibile e urgente.
Dove si devono pubblicare tali atti ai fini della trasparenza?
Risposta
La potestà del sindaco di emettere ordinanze contingibili ed urgenti, in caso di emergenze sanitari o di igiene pubblica, è rinvenibile nell’art. 50, comma 5, del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, laddove vengono elencate le competenze del sindaco, in qualità di capo dell’amministrazione.
Analoga facoltà è contenuta anche nell’articolo 32, comma 3, della legge 23.12.1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale.
In relazione alla eccessiva creatività e senso spiccatamente pirotecnico di alcuni sindaci, sprigionato in modo irrefrenabile, soprattutto nella prima fase di contagio, il Governo è stato costretto ad intervenire, con somma urgenza, inserendo una specifica clausola nel decreto-legge 25.03.2020, n. 19, laddove all’articolo 3, comma 2, si specifica che: "2. I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1.".
Chiarito il percorso normativo che precede l’adozione di una ordinanza sindacale, è possibile rispondere al quesito richiamando il contenuto dell’articolo 42, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 (cosiddetto: decreto Trasparenza), il quale prevede che le pubbliche amministrazioni che adottano provvedimenti contingibili e urgenti e in generale provvedimenti di carattere straordinario in caso di calamità naturali o di altre emergenze, ivi comprese quelle relative ai compiti di Protezione civile, sono tenute a pubblicare:
   a) i provvedimenti adottati, con la indicazione espressa delle norme di legge eventualmente derogate e dei motivi della deroga, nonché l’indicazione di eventuali atti amministrativi o giurisdizionali intervenuti;
   b) i termini temporali eventualmente fissati per l’esercizio dei poteri di adozione dei provvedimenti straordinari;
   c) il costo previsto degli interventi e il costo effettivo sostenuto dall’amministrazione.
Tali informazioni vanno pubblicate nella sezione Amministrazione trasparente > Interventi straordinari e di emergenza, in formato tabellare aperto, con aggiornamento tempestivo e per la durata di cinque anni, contati dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di pubblicazione, per effetto dell’art. 8 del d.lgs. 33/2013 (14.04.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPremio 100 euro per lavoro in sede durante epidemia coronavirus.
Domanda
Come va riproporzionato il premio dei 100 euro secondo l’Agenzia delle Entrate?
Risposta
Le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate nella circolare 03.04.2020 n. n. 8/E, sono congruenti con il disposto di cui all’art. 63 del decreto cura Italia anche se trascurano dettagli rilevanti.
La previsione di fonte legale dispone che ai titolari di redditi di lavoro dipendente, che possiedono un reddito complessivo da lavoro dipendente dell’anno precedente di importo non superiore a 40.000 euro spetta un premio, per il mese di marzo 2020, pari a 100 euro da rapportare al numero di giorni di lavoro svolti nella propria sede di lavoro nel predetto mese.
La ratio dell’istituto, come confermato dall’Agenzia, è quella di dare ristoro ai dipendenti che hanno continuato a lavorare nel mese di marzo, senza poter adottare, quale misura di prevenzione, quella del lavoro agile da remoto.
È del tutto evidente che della medesima ratio va tenuto conto anche qualora siano intervenute, nel corso del mese di marzo, assenze che di fatto abbiano allontanato il lavoratore dal rischio di contagio.
L’agenzia delle Entrate, nel fornire la formula per il riproporzionamento complica la comprensione con un suggerimento che rischia di essere frainteso se non letto con molta attenzione.
Conferma che l’importo del bonus va determinato in ragione del periodo di lavoro durante il quale il dipendente presta effettivamente l’attività lavorativa presso la propria sede, escludendo quindi le giornate nelle quali, ad esempio, è stato in malattia, ferie o altra aspettativa senza corresponsione di assegni.
L’istruzione è quella di non considerare nel rapporto le giornate di assenza di ferie o malattia, togliendole quindi sia al numeratore che al denominatore.

Esempio
Per esemplificare, immaginiamo che un lavoratore abbia goduto di 6 giorni di ferie nel mese di marzo:
Il rapporto iniziale da cui partire è quello tra i 100 euro mensili e le 26 giornate lavorative (divisore previsto dal CCNL degli Enti Locali). Il rapporto, nel suo risultato, restituisce il valore giornaliero del premio, per ciascuna giornata di servizio resa in presenza (3,85 euro).
Secondo l’Agenzia delle entrate, questo rapporto deve tenere conto di sei giorni di ferie, escludendole, non considerandole, sia dal numeratore che dal denominatore. Il rapporto diventa quindi:

Il risultato al quale conduce questa operazione in relazione alla determinazione dell’importo del premio giornaliero, è uguale a quello che si avrebbe avuto nel caso in cui si fosse moltiplicato il valore giornaliero del premio (3,85 euro) per il numero di giorni di effettiva presenza, ad esclusione ovviamente delle ferie, dove non c’è presenza fisica in sede.
Dove invece l’istruzione risulta essere incompleta e poco precisa è nell’elenco delle assenze che escludono dal diritto di vedersi riconosciuto il valore del premio. L’Agenzia invita a non considerare solo i periodi di malattia, ferie e aspettative non retribuite, dimenticando di fare un cenno a tutti gli istituti che di fatto, retribuiti o meno che siano, giustificano l’assenza dal servizio reso in presenza, dei lavoratori.
Il buon senso e l’analogia interpretativa, nel rispetto della
ratio legis, coprono il vuoto e conducono ad una soluzione facile e condivisa. Ogni assenza fisica dal servizio non dà diritto, per quella giornata, a ricevere il premio, sia essa di origine contrattuale che di fonte legale.
Ragione per cui si ritiene che lo smart working, così come i congedi ex art. 25 d.l. 18/2020, i permessi ex art. 24 d.l. 18/2020 e ogni altro istituto a giustificazione di un’assenza giornaliera, non debbano essere considerati nel rapporto, né al numeratore, né al denominatore.

Esempio
Marzo 2020: 6 gg. ferie + 3 gg. L. 104/1992 + 4 gg. smart working
Pari risultato si sarebbe ottenuto molto più semplicemente con la regola suggerita nel n. 7/2020 di Personale News:
Posto che, come previsto dal CCNL, la retribuzione giornaliera è calcolata su 26 giornate mensili, la quota potrà essere erogata secondo la seguente formula:
100/26*giornate lavorate in sede nel mese di marzo 2020

Nell’esempio fatto poco sopra:

Rimangono perplessità circa l’impossibilita che ne deriva da questo calcolo, di riconoscere per intero il premio dei 100 euro, al lavoratore il cui orario di lavoro sia articolato in 5 giorni settimanali e non 6.
Il divisore mensile dei 26 giorni non garantisce mai il premio intero, nemmeno laddove sia stato lavorato tutto il mese.
Si ritiene pertanto legittimo utilizzare un divisore diverso, nel caso in cui l’articolazione dell’orario di lavoro preveda 5 giorni lavorativi, che corrisponde a 22 giorni mensili. Questo consente di riconoscere per intero il premio come la norma di legge prescrive (09.04.2020 - link a www.publika.it).

INCARICHI PROGETTUALIDirezione lavori e procedura semplificata.
Domanda
In relazione ai servizi di “Direzione Lavori” per importi pari a 80mila euro è possibile ricorrere all’affidamento diretto oppure si impone l’esigenza di invitare un numero minimo di soggetti?
Risposta
In relazione ai “servizi” di direzione lavori (diversi da quelli richiamati nel primo periodo del comma 2 dell’articolo 23) dispongono l’articolo 157 e le linee guida ANAC n. 1 (che confermano, evidentemente, il dato normativo).
In particolare, nel caso che qui interessa, il comma 2 dell’articolo 157 in cui si chiarisce che nelle fasce d’importo comprese tra i 40/100mila euro gli incarichi devono essere affidati “a cura del responsabile del procedimento, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 36, comma 2, lett. b)” e “l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti”.
Quindi al netto di situazioni particolari, che il RUP avrà cura di motivare debitamente con la determinazione di affidamento, l’assegnazione diretta per gli importi sopra pari o sopra i 40mila euro si presenta del tutto particolare ed “eccezionale”.
Da rammentare che in tema è intervenuta la recente “deroga” prevista con la legge 160/2019 (legge di bilancio per il 2020).
Più nel dettaglio (comma 258) si prevede che “Al fine di assicurare l’esecuzione degli interventi di edilizia scolastica, è destinata quota parte, pari a 10 milioni di euro, delle risorse non impegnate di cui all’articolo 1, comma 1072, della legge 27.12.2017, n. 205, già assegnate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28.11.2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 02.02.2019, in favore del Ministero dell’istruzione, del l’università e della ricerca per la messa in sicurezza degli edifici scolastici per l’annualità 2023”.
In relazione a quanto –e senza possibilità di estensione analogica– il successivo comma 259 consente una minima competizione (interventi di progettazione periodo 2020/2023) la possibilità di utilizzare la prerogativa di cui alla lettera b), comma 2, articolo 36 (5 operatori) fino a tutto il sottosoglia e non solo in relazione ad importi inferiori ai 100mila euro (08.04.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Informatizzazione della P.A..
Questo Comune si trova ad avere personale dipendente senza dispositivi elettronici nella propria abitazione. L'Amministrazione dal canto suo non è in grado, per motivi finanziari e tecnici, di dotare tutto il personale di adeguata strumentazione, almeno per il momento. Qualora sia obbligatorio consentire lo "smart working" che tipo di attività potrebbero essere svolte dal personale?
Il D.L. 17.03.2020, n. 18 "Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19" all'art. 87 stabilisce che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica (al momento il 31 luglio, salvo anticipazione o proroga) il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni.
Tale modalità prescinde dalla tipologia di lavoro svolta dal dipendente (tramite postazione informatica o meno).
Infatti lo stesso decreto stabilisce che la prestazione lavorativa in lavoro agile può (non deve) essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente implicitamente ammettendo, oltre alla ovvia opzione che sia svolta con dotazioni informatiche assegnate dall'ente, che possa svolgersi anche senza alcuna dotazione informatica (o con dotazioni con connesse alla rete internet).
Il Ministro per la pubblica amministrazione ha adottato la Circ. 01.04.2020 n. 2 nella quale ha precisato che "È altresì possibile -anzi è auspicabile che le amministrazioni si attivino in tal senso- promuovere percorsi informativi e formativi in modalità agile che non escludano i lavoratori dal contesto lavorativo e dai processi di gestione dell'emergenza, soprattutto con riferimento a figure professionali la cui attività potrebbe essere difficilmente esercitata in modalità agile e per le quali l'attuale situazione potrebbe costituire un momento utile di qualificazione e aggiornamento professionale". Con ciò invitando a valutare, prima di disporre un eventuale esonero dallo svolgimento di prestazione lavorativa, l'attivazione di percorsi di formazione ed informazione del personale dipendente.
Poi, è stato siglato il protocollo 03.04.2020 tra il ministro per la Pubblica amministrazione e Cgil, Cisl e Uil per la "prevenzione e la sicurezza dei dipendenti pubblici in ordine all'emergenza sanitaria da 'Covid-19'" nel quale si esplicita questo aspetto segnalando come, "in linea con quanto recato dalla richiamata circolare n. 2/2020, qualora non sia possibile ricorrere alle forme di lavoro agile, le amministrazioni, fermo restando l'eventuale ricorso alle ferie pregresse maturate fino al 31.12.2019, ai congedi o ad analoghi istituti qualora previsti dai CCNL vigenti, nonché, ove richiesto dai dipendenti, dei congedi parentali straordinari previsti a garanzia delle cure genitoriali da prestare, possono ricorrere, nelle modalità previste dai vigenti CCNL, al collocamento in attività di formazione in remoto utilizzando pacchetti formativi individuati dal datore di lavoro".
Alla luce di tale contesto e dei chiarimenti indicati qualora la prestazione lavorativa sia attivabile in lavoro agile (secondo una analisi oggettiva che escluda una presenza fisica in ufficio), l'eventuale mancanza (permanente o temporanea) di dotazione informatica non impedisce la relativa attivazione, ma determina un onere in carico al datore di lavoro di definire le modalità operative più idonee per svolgere altre e diverse prestazioni lavorative (sempre proprie della mansione) a cui affiancare attività di informazione e formazione.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.C.M. 22.03.2020, art. 1
Documenti allegati
Circ. 01.04.2020 n. 2 (08.04.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIPubblicazione dati personali per possesso arma da fuoco.
Domanda
Un Agente della Polizia locale chiede la rimozione di un decreto del Sindaco, adottato nell’anno 2016 e tutt’ora pubblicato nel sito web del comune nella sezione Albo Pretorio on-line, per la disciplina dell’assegnazione dell’arma da fuoco, ai componenti del comando di Polizia locale.
Dobbiamo accogliere la richiesta?
Risposta
Ai sensi della disciplina in materia –articolo 4, Paragrafo 1, n. 1, del Regolamento UE 2016/679, in materia di privacy– si considera “dato personale” qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (“interessato”). Inoltre, “si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo on-line o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale”.
Sulla base del su indicato enunciato, il trattamento dei dati personali deve avvenire nel rispetto dei principi indicati nell’articolo 5, del Regolamento UE, fra cui viene menzionato quello di “minimizzazione dei dati”, secondo il quale i dati personali devono essere “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati” (Paragrafo 1, lettera c).
Il regolamento UE 2016/679, in aggiunta, al Capo III, Sezione I, articoli da 15 a 21 prevede, in capo agli interessati, alcuni diritti, tra i quali (articolo 17), il Diritto alla cancellazione, che si sostanzia nell’ottenere, senza ingiustificato ritardo, la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, nei casi previsti dal Regolamento UE.
Dalla consultazione del documento comunale, effettuata direttamente nel sito web, è emerso che:
   • sono presenti i nominativi di tutti gli Agenti a cui viene affidata un’arma da fuoco;
   • viene riportato, per ciascuno di essi, la data e il luogo di nascita, nonché l’indirizzo di residenza;
   • vengono riportati i dati del decreto Prefettizio che attribuisce, a ciascuno di loro, la qualifica di Agente di Pubblica sicurezza.
Per quanto sopra, si consiglia, di provvedere con urgenza:
   a) ad accogliere la richiesta del dipendente, rimuovendo il decreto del sindaco, che, tra l’altro, è dell’anno 2016;
   b) evitare, per il futuro, di pubblicare simili decreti, dal momento che è sufficiente la loro notifica agli interessati, indicando l’autorità e il termine entro cui è possibile presentare ricorso (art. 3, comma 4, legge 241/1990);
   c) non si rinviene alcuna norma di legge che obbliga le P.A. a pubblicare nel sito web, tali documenti, completi di tutti dati personali, sopra meglio elencati;
   d) verificare se esiste una norma di regolamento (Regolamento del Corpo di Polizia Locale?) che prevede l’obbligo di pubblicazione del decreto del sindaco ed eventualmente modificarlo, sopprimendo l’obbligo;
   e) assicurarsi che dopo l’eliminazione, il documento non sia più consultabile in rete, né con i normali motori di ricerca, né con quelli propri del sito web dell’ente;
   f) applicare, per tutti i documenti che vengono pubblicati via web, all’albo pretorio e/o nella sezione Amministrazione trasparente, il principio di pertinenza e non eccedenza, in applicazione delle richiamate disposizioni del Regolamento UE 2016/679 e del documento del Garante privacy italiano, datato 15.05.2014, recante “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati” (07.04.2020 - link a www.publika.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAI rifiuti abbandonati sulle strade.
DOMANDA:
Spesso si rinvengono rifiuti urbani sulle piazzole delle strade provinciali senza che venga identificato il soggetto che li ha abbandonati.
Ai fini della rimozione possono nascere dei contenziosi tra Provincia e Comune in ordine a chi dei due enti debba procedere al recupero ed allo smaltimento di essi.
Si richiede pertanto, dal combinato disposto dell’art. 14 del vigente Codice della Strada e dell’art. 192 del TUA, quale dei due Enti debba procedere, con conseguente obbligo di sostenerne i costi.
RISPOSTA:
La questione posta nel quesito è stata affrontata, proprio in relazione ad un caso analogo che vedeva contrapposti un Comune ed una Provincia in ordine alla rimozione di rifiuti abbandonati da ignoti su una piazzola di sosta su una strada di proprietà della Provincia, dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza n. 3256/2012 depositata il 31.05.2012 ed è stata risolta nel senso che spetta alla Provincia, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 285/1992, rimuovere i predetti rifiuti.
I Giudici di Palazzo Spada sono pervenuti a tale conclusione in base alle motivazioni che di seguito si ritiene opportuno riportare: «Secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale, ai sensi dell’articolo 14 del Codice della strada, spetta agli enti proprietari (e ai concessionari delle autostrade) provvedere alla loro manutenzione, gestione e pulizia, comprese le loro pertinenze e arredo, nonché attrezzature, impianti e servizi e, quindi, non limitatamente al solo nastro stradale, ma anche alle piazzole di sosta, onde siano garantite la sicurezza e la fluidità della circolazione
» (C.d.S., sez. IV, 04.05.2011, n. 2677; 13.01.2010, n. 84).
È stato del resto puntualmente osservato (Cass. SS.UU. 25.02.2009, n. 4472) che, seppure per un verso non può negarsi che l’articolo 14 del D.Lgs. 05.02.1997, n. 22, oggi sostituito dall’art. 192 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, preveda la corresponsabilità solidale del proprietario o del titolare di diritti personali o reali di godimento sull’area ove sono stati abusivamente abbandonati o depositati rifiuti, con il conseguente suo obbligo di provvedere allo smaltimento ed al ripristino, solo in quanto la violazione sia imputabile anche a quei soggetti a titolo di dolo o colpa (in termini, C.d.S., sez. V, 26.01.2012, n. 333; 22.03.2011, n. 4673; 16.07.2010, n. 4614), per altro versoesigenze di tutela ambientale sottese alla predetta norma rendono evidente che il riferimento è a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli -e per ciò stessa imporgli– di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente”; è stato poi sottolineato che “…il requisito della colpa postulato da detta norma ben può consistere proprio nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficacia custodia e protezione dell’area, così impedendo che possano essere indebitamente depositati rifiuti nocivi”.
Ciò premesso, il Consiglio di Stato, nella sentenza sopra citata, dopo aver affermato che nel caso di specie non era stata contestata l’appartenenza all’Amministrazione Provinciale della strada sulla cui piazzola di sosta il Comune aveva accertato l’abbandono di rifiuti, ha precisato che «non può negarsi che la predetta Amministrazione provinciale avrebbe dovuto adottare tutte le misure e cautele opportune e necessarie quanto meno per eliminare tali rifiuti, di cui peraltro non può neppure negarsi la pericolosità oltre che per l’ambiente, anche per la stessa circolazione stradale, tale obbligo derivando direttamente dall’obbligo di custodia connesso alla proprietà/appartenenza della strada, oltre che dalla previsione dell’art. 14 del D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, secondo cui gli enti proprietari delle strade devono provvedere, tra l’altro, alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi. Né può invocarsi, a fondamento della pretesa illegittimità, sotto il profilo della contraddittorietà e della perplessità, dell’impugnata ordinanza del Comune […], la circostanza che in essa sarebbe stata richiamata non solo la speciale normativa del Codice della strada, ma anche quella del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 03.04.2006, n. 152), che subordina la legittimità dell’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati sulle aree all’accertamento della responsabilità del proprietario di quest’ultima».
Nell’esaminare e valutare il rapporto tra le due norme sopra citate, il Consiglio di Stato ha altresì precisato quanto segue: «È sufficiente rilevare che, mentre con il richiamo all’articolo 14 del Codice della strada è stata indicata la norma violata e dunque il fondamento giuridico della contestazione oggetto dell’ordinanza impugnata, con il richiamo al Codice dell’ambiente è stato invece individuato il fondamento del potere e la legittimazione dell’organo che lo ha esercitato, nonché le procedure da adottare per l’attuazione dell’ordinanza stessa, non sussistendo così tra i due complessi normativi alcuna contraddizione e incompatibilità cui genericamente ha fatto riferimento l’amministrazione appellata; del resto, diversamente opinando (ovverosia aderendo alle tesi dell’amministrazione provinciale) non solo la norma dell’art. 14 del Codice della Strada sarebbe di fatto priva di sanzione, non essendo ivi indicata l’autorità preposta all’accertamento della violazione degli obblighi, per quanto nel caso di rifiuti abbandonati sulle aree stradale (e loro pertinenze) non troverebbero tutela alcuna né gli interessi ambientali, né quelli alla sicurezza della circolazione».
Si rileva che il suddetto indirizzo giurisprudenziale pare essersi ormai consolidato, considerato che recentemente la II Sez. del Consiglio di Stato, occupandosi nuovamente della medesima questione, sebbene con riferimento ad un caso che vedeva contrapposti un Comune e l’ANAS, ed esaminando il rapporto tra l’art. 14 del D.Lgs. n. 285/1992 e l’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006, è pervenuta, nella sentenza n. 3967/2019 pubblicata il 13.06.2019, alle medesime conclusioni in base alle seguenti motivazioni: «Tra la disciplina di ordine generale contenuta nell’art. 192 del d.lgs. 152 del 2006 e quella specifica per i soggetti proprietari e concessionari di strade contenuta nell’art. 14 del d.lgs. 285 del 1992 viene pertanto ad instaurarsi un rapporto di specialità (così, da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 14.03.2019, n. 1684), contraddistinto dalla sussistenza nell’ordinamento di una norma puntuale che, al fine di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione stradale, impone in via diretta al soggetto proprietario o concessionario della strada di provvedere alla sua pulizia e, quindi, di rimuovere i rifiuti depositati sulla strada medesima e sulle sue pertinenze.
Tale obbligo può ben correlarsi anche alle concorrenti necessità dell’incolumità pubblica, nonché all’esigenza di evitare pregiudizi all’ambiente e a tutti coloro che sono insediati nel territorio, e deve pertanto essere fatto rispettare -in caso di inadempienza del proprietario o del concessionario- dall’amministrazione comunale, in quanto istituzionalmente tenuta a esercitare tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, anche con precipuo riguardo ai servizi resi alla comunità e all’assetto e all’utilizzazione del territorio medesimo (cfr. art. 13 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267).
Se così è, condivisibilmente il Comune ha dunque emesso il provvedimento impugnato nei confronti di Anas S.p.a., e ciò proprio in quanto quest’ultima è istituzionalmente e inderogabilmente obbligata a mantenere la pulizia della strada da essa gestita e delle sue pertinenze. In tal senso la disciplina dell’art. 14 del D.Lgs. 285 del 1992 si configura quale parametro normativo per l’individuazione del profilo della colpa presupposto in via generale dall’art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006; e la disciplina medesima, proprio in quanto è direttamente presupposta dalla mera circostanza della proprietà ovvero del rapporto concessorio del soggetto inderogabilmente preposto alla sua osservanza, neppure necessita di essere direttamente richiamata dai provvedimenti di rimozione dei rifiuti emessi dalle autorità comunali, essendo –per l’appunto– insito ex lege nella stessa qualità dell’ente indicato quale proprietario o concessionario della pubblica strada la conseguente necessità di ottemperare all’obbligo di legge ad esso comunque imposto
».
Per completezza, preme rilevare che anche la V Sez. del Consiglio di Stato, nella recente sentenza n. 1684/2019 pubblicata il 14.03.2019, ha ritenuto legittimo l’ordine di rimozione dei rifiuti, funzionale alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade e pertinenze, emesso da un Comune nei confronti dell’ANAS, stante la mancata attivazione del predetto gestore stradale (concessionario), ma, considerato che il Comune, nella fattispecie in esame, aveva altresì ordinato ad ANAS, oltre alla rimozione dei rifiuti, anche la bonifica, la decontaminazione e il risanamento igienico dei siti, ha precisato, in relazione specificatamente al predetto ordine di bonifica, decontaminazione e risanamento igienico dei siti, che si tratta di «adempimenti che vanno oltre la gestione e pulizia delle strade, e sono strettamente espressione di un rimedio sanzionatorio per la violazione del divieto dei abbandono dei rifiuti, rientrante nell’ambito di operatività dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006» ed ha rilevato che «la sanzione non potrebbe comunque essere direttamente (melius, in modo automatico, secondo il parametro della responsabilità oggettiva) irrogata all’A.N.A.S. senza un previo accertamento ed una coerente affermazione del titolo di responsabilità», mettendo dunque in evidenza la necessità di espletare un accertamento in contraddittorio, in quanto «è pur vero che la previsione dell’art. 14 del Codice della strada, incentrando nel gestore del servizio stradale tutte le competenze relative alla corretta manutenzione, pulizia e gestione del tratto stradale, con le annesse pertinenze, potrebbe costituire il parametro normativo per l’individuazione del profilo della colpa ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006, ma ciò non può avvenire al di fuori di un accertamento in contraddittorio, non essendo ravvisabile una responsabilità da posizione del proprietario, ovvero, nella specie, del concessionario (Cons. Stato, IV, 07.06.2018, n. 3430)» (tratto da e link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTI: Gestione dei contratti in essere.
Domanda
A seguito dell’adozione dei provvedimenti finalizzati al contenimento del COVID-19 e l’interruzione di molti servizi comunali, in qualità di Responsabile quali atti dovrei (o avrei dovuto) adottare con riferimento a quei contratti che riguardano servizi non più possibili?
Risposta
La situazione drammatica e quasi surreale che stiamo vivendo ha trovato impreparate le istituzioni e i cittadini nella gestione del quotidiano, tanto che, di fronte al susseguirsi dei provvedimenti finalizzati al contenimento del virus, le stesse amministrazioni locali sono intervenute nella gestione dell’attività amministrativa secondo un ordine di priorità, in primis quello della salute dei cittadini. Le numerose disposizioni governative
[1] e locali hanno introdotto importanti limitazioni allo svolgimento dell’attività sia pubblica che lavorativa, autorizzando solo quegli appalti di estrema urgenza e indifferibili, con l’adozione di particolari disposizioni igienico-sanitarie.
Per quei contratti in essere per i quali l’emergenza epidemiologica non consente il regolare svolgimento, quali ad esempio, solo per citarne alcuni, ristorazione scolastica, assistenza ad personam scolastica, scuolabus, ecc., occorre applicare gli artt. 107 del d.lgs. 50/2016 e art. 23, co. 1, del d.m. 07.03.2018 n. 49.
L’art. 107, comma 1, stabilisce infatti che “In tutti i casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d’arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto, il Direttore dei Lavori può disporre la sospensione dell’esecuzione del contratto, compilando, se possibile con l’intervento dell’esecutore o di un suo legale rappresentante il verbale di sospensione, con l’indicazione delle ragioni che hanno determinato l’interruzione dei lavori”.
Norma estesa anche ai contratti relativi a forniture e servizi ai sensi del successivo comma 7.
Mentre il d.m. 07.03.2018 n. 49, in specie l’art. 23, comma 1, precisa che “Il direttore dell’esecuzione, quando ordina la sospensione dell’esecuzione nel ricorso dei presupposti di cui all’articolo 107, comma 1, del codice, indica, nel verbale da compilare e inoltrare al RUP ai sensi dello stesso articolo 107, comma 1, del codice, oltre a quanto previsto da tale articolo, anche l’imputabilità delle ragioni della sospensione e le prestazioni già effettuate”;
Pertanto, sussistendo le condizioni citate in premessa, il Direttore dell’esecuzione dovrà ordinare la sospensione dell’esecuzione delle prestazioni mediante un verbale da compilare e inoltrare al RUP, nel quale indicare:
   • i riferimenti contrattuali e l’ordinaria scadenza;
   • le ragioni della sospensione;
   • la situazione organizzativa al momento della sospensione;
   • il dispositivo di sospensione con rinvio alla ripresa a seguito della cessazione dello stato di emergenza e le eventuali cautele da adottare anche ai fini del successivo riavvio.
Non appena siano venute a cessare le cause della sospensione (si spera presto) seguirà un verbale di ripresa dell’attività che riporterà il nuovo termine contrattuale.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 103, comma 4, del cd “Decreto Cura Italia“ n. 18/2020, le Pubbliche Amministrazioni sono tenute a sospendere i pagamenti di opere, servizi, forniture solo relativamente alle prestazioni contrattuali oggetto di sospensione.
---------------
[1] I principali Decreti adottati ai fini del contenimento dell’emergenza epidemiologica: decreto-legge 23.02.2020, n. 6; DPCM 01.03.2020; DPCM 08.03.2020; DPCM 09.03.2020; DPCM 11.03.2020; decreto-legge 17.03.2020, n. 18; DPCM 22.03.2020, decreto del 25.03.2020; decreto-legge 25.03.2020 n. 19 (01.04.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Assenza servizio lavoratori a rischio per coronavirus.
Domanda
L’Ufficio Personale del mio ente ha ricevuto un certificato del medico di famiglia per un dipendente affetto da patologia cronica, ai fini dell’applicazione dell’art. 26, comma 2, del d.l. 18/2020 (Cura Italia). In ogni caso, il lavoratore attualmente non gode del riconoscimento della condizione di cui alla l. 104/1992.
E’ sufficiente la documentazione prodotta per fruire del periodo di assenza previsto dalla norma? E’ sufficiente la certificazione del medico di famiglia o va allegata altra documentazione?
Risposta
L’articolo 26, comma 2, del decreto stabilisce che: ”Fino al 30 aprile ai lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 05.02.1992, n. 104, nonché ai lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima legge n. 104 del 1992, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie, è equiparato al ricovero ospedaliero di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legge 02.03.2020, n. 9”.
Nel comma sopra riportato si equiparano le assenze dal servizio prescritte dalle competenti autorità sanitarie al ricovero ospedaliero con contestuale applicazione della relativa disciplina delle seguenti categorie di soggetti:
   • disabile in condizione di gravità di cui al comma 3, dell’art. 3, della Legge n. 104/1992 (riconosciuta mediante apposita commissione medico legale);
   • disabile derivante da un quadro clinico a rischio, certificato da organi medico legali, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della Legge n. 104/1992.
Il Ministero del Lavoro, nella circolare del 24/03/2020, a proposito dell’articolo 26, comma 2, del D.L. n. 18, si è limitato solo a ricordarne i contenuti senza tuttavia fornire indicazioni operative e senza chiarire soprattutto chi siano i competenti organi medico legali che attestano le condizioni di rischio specificate dalla norma.
Specifici chiarimenti sono stati forniti nei giorni scorsi dalla nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri, indirizzata agli organi istituzionalmente competenti.
La nota chiarisce che “sono organi abilitati a certificare la condizione di cui all’art. 26, comma 2, sia i medici preposti ai servizi di medicina generale (c.d. medici di base), che i medici convenzionati con il S.S.N. (ai sensi dell’articolo 30 accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 502 del 1992), la cui qualificazione giuridica è largamente riconosciuta (a titolo esemplificativo, Cassazione Penale, sentenza n. 29788/2017, secondo cui il medico convenzionato con la ASL è pubblico ufficiale con ambito di competenza anche oltre quella territoriale della ASL, in quanto “svolge l’attività per mezzo i poteri pubblicistici di certificazione, che si estrinsecano nella diagnosi e nella correlativa prescrizione di esami e prestazioni alla cui erogazione il cittadino ha diritto presso strutture pubbliche, ovvero presso strutture private convenzionate”.
Le certificazioni di questi medici sono a tutti gli effetti da considerarsi il prodotto dell’esercizio di funzioni pubbliche, dunque proveniente da “organismi pubblici”.
Di questo avviso è anche il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 4933/2016, ha riconosciuto che la certificazione rilasciata da professionisti autorizzati a eseguire prestazioni nell’interesse del Servizio sanitario nazionale, può considerarsi proveniente da “pubblico organismo”.
A parere di chi scrive è molto interessante e sicuramente condivisibile la spiegazione che il Capo Ufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri fornisce, nel proseguo della nota, circa l’interpretazione di cui sopra: «Del resto, non seguendo tale interpretazione della norma si avrebbero due effetti ugualmente e gravemente negativi. La norma è diretta a tutelare persone che, per la loro condizione fisica di estrema fragilità, sono sottoposte ad altissimo rischio della vita stessa, in caso di contagio. E’ quindi primario interesse collettivo tutelarle e ridurne al massimo l’esposizione, ampliando la possibilità di autoisolamento. Viceversa, una interpretazione che restringa ai soli servizi di medicina legale delle ASL la possibilità di certificare, complicherebbe le modalità e le tempistiche di accesso al beneficio, paradossalmente aumentando la circolazione di queste persone
Pertanto i lavoratori classificati tra le categorie a rischio potranno astenersi dal lavoro, rimanendo all’interno della propria abitazione e questo periodo di «isolamento cautelativo» verrà equiparato alla condizione di ricovero ospedaliero, quindi con uno stato assimilabile alla malattia (senza l’applicazione della decurtazione di cui all’art. 71 del D.L. 25.06.2008, n. 112, convertito in Legge 06.08.2008, n. 133) e come tale retribuito (01.04.2020 - link a www.publika.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: La privacy al tempo del virus COVID-19.
Domanda
Un consigliere di minoranza, con una interpellanza urgente, ha chiesto al sindaco di pubblicare giornalmente, nel sito web del comune, i nominativi e gli indirizzi delle persone risultate positive ai test sul COVD-19, sulla base dei dati trasmessi dalla Prefettura, così da consentire agli altri cittadini si prendere le loro precauzioni.
E’ possibile farlo?
Risposta
L’emergenza sanitaria, che ha colpito così tanto duramente la nostra nazione –e il mondo intero– ha comportato l’adozione di misure per il contenimento del contagio molto rilevanti e inimmaginabili sino a un mese fa.
Alcune di queste limitazioni hanno toccato, persino, dei diritti fondamentali. Si pensi, per tutti, al diritto di libera circolazione e al diritto di riunione, sanciti rispettivamente dagli articoli 16 e 17 della Costituzione.
È giusto chiedersi, dunque, se lo stato di emergenza nazionale dichiarato con una delibera del Consiglio dei ministri del 31.01.2020, per la durata di sei mesi, possa, in qualche modo, incidere anche sul diritto alla tutela dei dati delle persone fisiche, così come disciplinati dal Regolamento (UE) 2016/679 e, per quanto compatibili, dal decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, alla luce delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10.08.2018, n. 101.
La domanda risulta legittima, oltre che doverosa e una prima risposta è venuta direttamente dal Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB) con la “Dichiarazione sul trattamento dei dati personali nel contesto dell’epidemia di COVID-19”, adottata il 19.03.2020.
Il massimo organismo europeo in materia di tutela della privacy afferma che: “Le norme in materia di protezione dei dati (come il regolamento generale sulla protezione dei dati) non ostacolano l’adozione di misure per il contrasto della pandemia di coronavirus. La lotta contro le malattie trasmissibili è un importante obiettivo condiviso da tutte le nazioni e, pertanto, dovrebbe essere sostenuta nel miglior modo possibile. È nell’interesse dell’umanità arginare la diffusione delle malattie e utilizzare tecniche moderne nella lotta contro i flagelli che colpiscono gran parte del mondo. Il Comitato europeo per la protezione dei dati desidera comunque sottolineare che, anche in questi momenti eccezionali, titolari e responsabili del trattamento devono garantire la protezione dei dati personali degli interessati. Occorre pertanto tenere conto di una serie di considerazioni per garantire la liceità del trattamento di dati personali e, in ogni caso, si deve ricordare che qualsiasi misura adottata in questo contesto deve rispettare i principi generali del diritto e non può essere irrevocabile. L’emergenza è una condizione giuridica che può legittimare limitazioni delle libertà, a condizione che tali limitazioni siano proporzionate e confinate al periodo di emergenza”.
Il documento, consultabile nel sito web del Garante Privacy italiano al seguente link, tratta argomenti importanti come:
   1 .La liceità del trattamento;
   2. i principi fondamentali relativi al trattamento dei dati personali;
   3. l’uso dei dati di localizzazione da dispositivi mobili;
   4. l’utilizzo dei dati nel contesto lavorativo.
In buona sostanza, anche la recentissima indicazione dell’EDPB, rileva che le esigenze di contenimento dell’epidemia (pandemia, dall’11.03.2020, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità) e la tutela dei dati “particolari” –come la salute– delle persone fisiche, rappresentano esigenze contrapposte che vanno “contemperate”. Per fare ciò è necessario eliminare gli agganci tra il dato personale di salute e la giusta necessità di informare la popolazione; ciò lo si può fare applicando la pseudonimizzazione o l’anonimizzazione.
Rispondendo, quindi, alla specifica domanda del quesito è possibile osservare che il sindaco, anche nella sua veste di autorità sanitaria locale (ex art. 32, della legge 833/1978), riceve dalle autorità sanitarie regionali o dalla Prefettura, i dati personali, completi di nominativo e indirizzo, sia delle persone risultate “positive” ai test, che delle persone collocate in quarantena fiduciaria dall’autorità sanitaria. Tale trasferimento di dati risulta indispensabile anche per poter dare modo al sindaco –tramite gli addetti della polizia locale– di procedere ai necessari controlli e verifiche, circa il rispetto del periodo di quarantena, da parte dei soggetti che ne sono obbligati.
Per quanto riguarda, invece, la comunicazione dei dati personali riferiti allo stato di salute via web in favore dei cittadini (del globo), sarà necessario rendere anonimi i dati riferiti ai nominativi e indirizzi di residenza delle persone sottoposte a misure, pubblicando solamente un dato numerico complessivo che dia conto, eventualmente, delle persone risultate positive e di quelle che sono collocate in quarantena fiduciaria.
D’altro canto, va ricordato che la “sicurezza” degli altri cittadini, viene garantita dall’autorità sanitaria competente per territorio, la quale è tenuta a svolgere un’accurata indagine epidemiologica e a porre in “quarantena con sorveglianza attiva” tutte quelle persone che possono essere entrate in contatto con il soggetto positivo. Qualsiasi altra soluzione adottata –oltre a violare gli articolo 6 e 9 del Regolamento (UE) 2016/679– darebbe lo spunto per avviare una iniqua e pericolosa “caccia all’untore” (29.03.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Equivalenza profili professionali e modifica mansioni.
Domanda
Come funziona l’equivalenza dei profili professionali e la possibilità di cambiare le mansioni dei dipendenti?
Risposta
La concreta possibilità di utile reimpiego in profili professionali equivalenti rappresenta il legittimo esercizio del potere dello jus variandi da parte del datore di lavoro pubblico.
La disciplina delle mansioni nel pubblico impiego si rinviene, in primis, secondo la gerarchia delle fonti, dall’art. 52 del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, il quale, al comma 1, prevede: «Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione
L’art. 3 del CCNL Regioni-Autonomie Locali del 31.03.1999, non disapplicato dal recente CCNL Funzioni Locali del 21.05.2018, prevede:
   • un sistema di classificazione del personale del comparto enti locali suddiviso in quattro categorie, collegate alle declaratorie di cui all’allegato «A», che descrivono requisiti professionali, competenze richieste, caratteristiche essenziali delle mansioni ascrivibili, nonché una esemplificazione di profili (art. 3, commi 1, 4, 5, 6);
   • che tutte le mansioni ascritte dal contratto all’interno delle singole categorie, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili, e che l’assegnazione delle mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro. (art. 3, comma 2).
Sulla base di quanto sopra riportato, nella fattispecie proposta, si ritiene necessario per il datore di lavoro pubblico procedere al mutamento del profilo professionale del dipendente, nel rispetto delle Declatorie- Allegato A del CCNL Regioni Autonomie Locali del 31/03/1999, come confermato da ultimo anche dall’art. 19 del CCNL delle Funzioni Locali del 21/05/2018, che disapplicando l’art. 14 del CCNL Regioni Autonomie Locali dell’06/07/1995, ha elencato tra gli elementi che devono essere indicati nel contratto individuale:
   a) tipologia del rapporto di lavoro;
   b) data di inizio del rapporto di lavoro;
   c) categoria e profilo professionale di inquadramento;
   d) posizione economica iniziale;
   e) durata del periodo di prova;f
   f) sede di lavoro;
   g) termine finale in caso di rapporto di lavoro a tempo determinato.
A conferma di quanto sopra esposto sul legittimo esercizio del potere dello jus variandi del datore di lavoro pubblico, nell’ambito dell’equivalenza delle mansioni, si nota che nell’elencazione sopra riportata non compaiono più le mansioni corrispondenti alla qualifica di assunzione, previsti invece nel disapplicato art. 14 CCNL dell’06/07/1995.
Il rifiuto a sottoscrivere un nuovo contratto di lavoro per il mutamento del profilo professionale comporta la violazione degli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà che gravano sul prestatore di lavoro pubblico. Gli stessi sono richiamati nel Codice di Comportamento (D.P.R. n. 62/2013) e comunque ricompresi nell’obbligo generico di cui agli artt. 2104 e 2105 del codice civile.
Ciò lo possiamo ricavare dal fatto che è espressamente previsto l’applicazione dell’articolo 2106 del Codice Civile nell’articolo 55, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 e tale articolo richiama proprio gli articoli 2104 e 2105 del Codice Civile (26.03.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Procedura negoziata con un numero di appaltatori inferiore a quanto stabilito dalla norma.
Domanda
Avremmo necessità di un chiarimento in ordine alla possibilità di esperire comunque una procedura negoziata per l’aggiudicazione del servizio di (…), per un importo pari a 125 mila euro, anche se nel caso di specie gli appaltatori che si sono proposti (in seguito a pubblicazione dell’avviso per manifestare interesse rimasto in pubblicazione per n. 30 giorni) sono solamente 4 e non 5 come previsto dalla norma.
Risposta
Il quesito si riferisce alla ipotesi di procedura semplificata ora prevista –secondo la riscrittura intervenuta con la legge 55/2019– nella lettera b) comma 2, dell’articolo 36 del Codice dei contratti.
La norma consente –per quanto concerne gli appalti di forniture e servizi– in relazione al range di importo pari o superiore ai 40mila euro fino a tutto il sotto soglia (per gli enti locali importi inferiori ai 214mila euro) di avviare una competizione con almeno 5 operatori individuati con l’indagine di mercato o tramite scelta dall’albo dei prestatori (interno alla stazione appaltante).
In particolare, la disposizione si esprime in termini di affidamento diretto previo confronto/competizione di almeno n. 5 operatori economici.
Chiaramente il riferimento all’affidamento diretto non è corretto considerato che l’assegnazione non può prescindere dall’escussione di diversi appaltatori.
La disposizione, come in altre circostanze segnalato, non esplicita il procedimento che il RUP deve attuare ma, secondo tradizione, è bene che il RUP pubblichi comunque l’avviso pubblico a manifestare interesse (sui cui poi innestare gli inviti) o l’avviso a presentare direttamente la propria migliore offerta.
La micro competizione è sicuramente il dato sostanziale di questo procedimento ma può anche accadere che nonostante un procedimento trasparente ed oggettivo (pubblicazione dell’avviso a manifestare interesse anche per un tempo congruo come nel caso di specie) non si riesca ad ottenere il numero minimo degli appaltatori richiesti dalla norma (ovvero 5).
A sommesso parere il RUP potrebbe avere due differenti opzioni: o valutare di integrare il numero degli operatori invitando direttamente altri appaltatori (magari scegliendoli discrezionalmente dalle vetrine del mercato elettronico, facendosi guidare da riferimenti tecnici sempre applicando la rotazione visto che si tratta di scelta discrezionale). In questo caso si potrebbe raggiungere il numero minimo richiesto dalla norma.
Potrebbe altresì, a parere di chi scrive, se sono state rispettate le condizioni di pubblicità e trasparenza (come nel caso prospettato) procedere con l’invito dei soli soggetti che hanno presentato la propria candidatura.
Da notare che tale possibilità è anche prevista nello schema di regolamento attuativo del codice dei contratti per i lavori nel range di importo tra 40/150mila euro (comma 1, art. 7).
In questo caso nella determina il RUP avrà cura di specificare che, evidentemente, il mercato –in quel contesto particolare e/o per la tipologia dell’appalto– non è grado di esprimere realtà economiche interessate all’appalto.
Sempre che tale disinteresse, evidentemente, non sia stato determinato da condizioni dell’appalto non convenienti che siano anche state segnalate formalmente all’ente (in particolare al RUP) (25.03.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI: Prevenzione della corruzione da parte di una società controllata.
Domanda
È pervenuta al nostro Comune una segnalazione concernente la mancata applicazione della normativa sulla trasparenza e prevenzione della corruzione da parte di una società a responsabilità limitata a totale partecipazione pubblica, di cui il Comune detiene una quota pari al 25%.
Il Comune è tenuto ad assumere qualche iniziativa al riguardo?
Risposta
Con le disposizioni introdotte dal decreto legislativo 25.05.2016, n. 97, le società in controllo pubblico sono assimilate alle pubbliche amministrazioni, sia ai fini degli adempimenti in materia di trasparenza, che relativamente alle misure di prevenzione della corruzione.
L’ambito soggettivo di applicazione del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 è disciplinato dal nuovo art. 2-bis che, al comma 2, lettera b), prevede che la normativa di cui al citato d.lgs. 33/2013, si applica, per quanto compatibile, alle società in controllo pubblico, come definite dal decreto legislativo 19.08.2016, n. 175.
L’estensione della normativa in materia di prevenzione della corruzione alle società a controllo pubblico si deduce invece dal comma 2-bis, della legge 06.11.2012, n. 190 introdotto dall’art. 41, comma 1, del d.lgs. 97/2016, che prevede il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) costituisce atto di indirizzo anche per i soggetti di cui all’art. 2-bis, comma 2 del d.lgs. 33/2013.
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha poi adottato la determinazione n. 1134 del 08/11/2017 contenente le “’Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”. Si tratta di un atto molto articolato nel quale sono descritti sia gli adempimenti a carico delle diverse tipologie di soggetti, sia i compiti a carico delle amministrazioni controllanti e partecipanti, sia il contenuto dell’attività di vigilanza dell’ANAC sugli enti e sulle amministrazioni controllanti o partecipanti.
Per quanto riguarda le società, si specifica che rientrano nella tipologia di società in controllo pubblico anche quelle a controllo congiunto, ossia quelle in cui il controllo, ai sensi dell’art. 2359 codice civile è esercitato da una pluralità di amministrazioni.
La società partecipata dal Comune rientra, dunque, in tale tipologia, essendo una società a totale partecipazione pubblica.
Nel paragrafo 4, della determinazione ANAC n. 1134/2017, si ricorda innanzitutto che le amministrazioni controllanti (o partecipanti) sono tenute a pubblicare sul proprio sito istituzionale i dati di cui all’art. 22, del d.lgs. 33/2013. Le amministrazioni sono, poi, chiamate a vigilare sull’adozione di misure di prevenzione della corruzione e di trasparenza da parte degli enti controllati o partecipati e a promuoverne l’adozione ove risulti che gli stessi siano inadempienti.
Compito delle amministrazioni è l’impulso e la vigilanza sulla nomina del Responsabile delle Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT) e sull’adozione di misure di prevenzione, che possono essere anche misure integrative del “modello 231”. Gli strumenti utilizzabili sono quelli propri del controllo: atto di indirizzo rivolto agli amministratori, promozione di modifiche statutarie e organizzative, altro. L’attività di impulso e vigilanza deve essere prevista nel Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) dell’amministrazione controllante o partecipante.
Nel caso di controllo congiunto le amministrazioni sono chiamate a stipulare apposite intese -anche mediante patti parasociali – per definire a quale di esse competa la vigilanza sull’adozione delle misure e sulla nomina del RPCT.
Con riferimento al quesito posto è, dunque, necessario che il comune si attivi per verificare se la segnalazione è corretta ed assumere eventualmente le iniziative indicate nella deliberazione ANAC n. 1134/2017. Si suggerisce di verificare preliminarmente se è disponibile sul sito della società la sottosezione “Società trasparente” –strutturata conformemente all’Allegato 1) della citata deliberazione– e, in caso positivo, se sono pubblicate le informazioni richieste relativamente alla sottosezione “Altri contenuti > Prevenzione della corruzione” (24.03.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Eccedenze orarie P.O..
Domanda
Alla luce delle più recenti norme contrattuali vi è una qualche possibilità di riconoscere ai dipendenti incaricati di posizione organizzativa il riposto compensativo per le ore eccedenti alle 36?
Risposta
Per quanto riguarda la problematica della durata delle prestazioni settimanali delle posizioni organizzative si ritiene utile precisare che relativamente all’orario di lavoro, il personale incaricato delle posizioni organizzative, diversamente dai dirigenti, è tenuto ad effettuare prestazioni lavorative settimanali non inferiori a 36 ore, mentre le eventuali prestazioni ulteriori che gli interessati potrebbero aver effettuato, in relazione all’incarico affidato e agli obiettivi da conseguire, non sono retribuite e neppure danno titolo o diritto ad eventuali recuperi compensativi perché non si tratta di ore di lavoro straordinario.
La durata massima non viene determinata dal CCNL perché sarà collegata, genericamente e dinamicamente, alla rilevanza ed alle effettive necessità delle funzioni da svolgere. Il maggiore impegno di tale personale trova ristoro nel riconoscimento delle specifiche voci di trattamento accessorio rappresentate dalla retribuzione di posizione e da quella di risultato (art. 15 c. 1 del CCNL 21/05/2018).
Le prestazioni ulteriori rese dal dipendente PO non possono considerarsi straordinarie o comunque aggiuntive rispetto al minimo delle 36 ore, ma sono ordinario orario di lavoro. Le regole sul riposo sostituivo dello straordinario, che presuppongono una eccedenza rispetto al debito orario settimanale, non sono applicabili ai responsabili di posizione organizzativa in quanto esclusi dalla disciplina dello straordinario.
A tali regole, fa eccezione solo il caso della prestazione lavorativa resa nel giorno del riposo settimanale, in considerazione della tutela costituzionale, legale e contrattuale apprestata per tale riposo; in presenza di questa particolare fattispecie, il titolare di posizione organizzativa avrà diritto comunque a fruire di una giornata di riposo settimanale, che potrà, dunque, essere recuperata secondo modalità da concordare con il dirigente, in modo comunque proporzionato alla durata delle prestazioni rese (19.03.2020 - link a www.publika.it).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: chiarimenti per l’applicazione degli obblighi relativi all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (Regione Lombardia, nota 16.03.2020 n. 13689 di prot.).
---------------
Con Vs. nota del 4 marzo scorso, pervenuta il 12 marzo, prot.T1.2020.0013072, è stato chiesto se gli edifici industriali, artigianali e rurali, in quanto espressamente esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina per l’efficienza energetica degli edifici (punto 3,2, lettere a) e b) del decreto 18546/2019), siano anche esclusi dagli obblighi di cui all’allegato 3 del d.lgs. 28/2011, relativo agli obblighi di copertura di parte del fabbisogno energetico con fonti rinnovabili. (...continua).

EDILIZIA PRIVATAIl quesito che intendo sottoporre riguarda un ampliamento di volume in sopraelevazione, di un edificio unifamiliare posto all'interno della fascia di rispetto stradale, di cui al D.Lgs. 30.04.1992, n. 285.
Tale ampliamento, già realizzato, rispetta il 2% previsto dall'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e pertanto è ammesso anche se è in zona di vincolo paesaggistico, come riportato dal D.P.R. 13.02.2017, n. 31.
Dato che il Codice della Strada non contempla tolleranze, come invece previsto dalle norme su citate, si chiede se il 2% in ampliamento, che non è considerato ai fini edilizi come parziale difformità, può essere applicato, per analogia, anche all'art. 16 del C.d.S. vigente.

L'avanzato quesito riguarda un'interessante fattispecie, coinvolgente problematiche di natura edilizia e di disciplina delle distanze. Precisamente, la concreta fattispecie può essere così sintetizzata:
   - In un edificio unifamiliare, posto all'interno del vincolo della fascia di rispetto stradale, come disciplinata dal Codice della strada (D.Lgs. 30.04.1992, n. 285), è stato realizzato un intervento edilizio, comportante un ampliamento di volume, che si sviluppa in una sopraelevazione.
Siffatto ampliamento rispetta le cd. "tolleranze di cantiere", disciplinate dall'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Conseguentemente, l'intervento, in quanto rientrante nelle predette "tolleranze", non dà luogo ad alcuna difformità, neppure parziale, rispetto al titolo edilizio che ha legittimato il medesimo intervento.
A questo punto, si chiede di sapere se il consentito ("tollerato") ampliamento dei "distacchi", cioè della distanza fra due edifici fronteggianti, trova una legittimazione anche sul versante della fascia di rispetto stradale. In altri termini, si chiede di sapere se la prevista "tolleranza" della costruzione edilizia, in termini di "distacchi", pari al 2% delle misure progettuali, trova applicazione anche nei riguardi dei limiti afferenti la fascia di rispetto stradale.
Primariamente, occorre ricordare che il richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce quanto segue: "Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2, lettera "a", n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106. La disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art. 32, comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle misure progettuali. Gli elementi sono:
   - Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
   - Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
   - Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della sagoma esterna del manufatto;
   - Altezza degli edifici.
Orbene, occorre osservare che la "fascia di rispetto", ai sensi dell’art. 3, comma 1, n. 22 del Codice della strada, costituisce una striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili.
Le fasce di rispetto stradali, normate dal Codice della Strada e dal suo Regolamento attuativo (D.P.R. 16.12.1992, n. 495), hanno lo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e la loro potenziale pericolosità a costituire, per la prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone. Attraverso la fascia di rispetto, si garantisce un'area utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni. Di regola, le fasce di rispetto vengono istituite con l'approvazione del Progetto definitivo dell'opera stradale e permangono per tutta la vita utile della strada medesima.
All'interno delle fasce di rispetto, vige il vincolo di inedificabilità. Ed, infatti, la giurisprudenza conferma che: "In materia edilizia il vincolo delle fasce di rispetto stradale o viario è di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale; detto divieto, inoltre, opera direttamente ed automaticamente, per cui una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere dell'amministrazione sull'istanza di condono non può che essere negativo” (TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584).
Dal vincolo di in edificabilità discende il conseguente corollario che non sono previste, dalla normativa in materia, "tolleranze" o forme equivalenti. Infatti, l'art. 16, del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto fuori dai centri abitati, non contempla alcuna tolleranza. Il comma 1° di tale articolo rinvia, per la concreta tipologia dei divieti, al Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice della strada (D.P.R. 16.12.1992, n. 495). Il Regolamento non prevede, agli articoli 26 e seguenti, alcuna forma di tolleranza. Parimenti, l'art. 18 del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto nei centri abitati.
Pertanto, non appare possibile alcuna applicazione analogica della peculiare disciplina delle cd. "tolleranze di cantiere". Ciò, anche per un'altra ragione: l'indicata disciplina consacra l'irrilevanza degli scostamenti, entro il limite del 2%, nella discrasia fra la precisione teorica degli elaborati tecnici e la concreta esecuzione degli interventi (Il comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, consente di escludere dall'ambito delle difformità rilevanti ai fini sanzionatori quelle che si verificano a causa di un fisiologico scarto tra la precisione del disegno e la realizzazione, o dalla consistenza dei materiali, o dalla necessità di modesti adeguamenti in sede esecutiva e, pertanto, non possono che rilevare le misure effettive delle opere realizzate. Peraltro è la stessa norma che espressamente correla la soglia del 2% alle "misure progettuali"; TAR Veneto Venezia Sez. II, 20.09.2019, n. 1013).
In relazione alla fascia di rispetto stradale, non si pone alcun problema di "scostamenti" fra quanto previsto e quanto effettivamente realizzato. Ragion per cui l'analogia non può trovare spazio alcuno.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 28.02.1985, n. 47, art. 32 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 3 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 16 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 18 - D.P.R. 16.12.1992, n. 495, art. 18 - D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34 - D.P.R. 13.02.2017, n. 31
Riferimenti di giurisprudenza

TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584 - TAR Veneto, Sez. II, 20.09.2019, n. 1013
(20.02.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVILE VARIE ED EVENTUALI.
D. Possiamo deliberare sulla voce "Varie ed eventuali"? E' ancora valida o vale solo per i Dipartimenti?
R. Una delle regole più importanti della collegialità amministrativa riguarda la convocazione con annesso ordine del giorno. Quest’ultimo è obbligatorio a pena di nullità e deve essere chiaro e completo, mai generico. Con queste premesse, la voce "Varie ed eventuali" è quanto di più pericoloso e quanto di più opaco possa esistere in spregio alla trasparenza amministrativa. Ed è attività ben diversa dalle deliberazioni cd “fuori sacco”, che affronteremo un’altra volta.
Orbene, deve essere premesso che ogni singolo componente ha il diritto/dovere di essere informato esaustivamente sugli argomenti in discussione. Ciò accade anche per consentire ai componenti dell’organo di potersi determinare adeguatamente sulle questioni oggetto di discussione e di deliberazione.
Inoltre, in base al "principio della immutabilità dell'ordine del giorno", nell’adunanza è possibile trattare esclusivamente argomenti che abbiano formato oggetto di preannuncio tramite l'avviso di convocazione. Una famosa pronuncia di Palazzo Spada ha chiarito il significato del principio della immutabilità dell’ordine del giorno. Infatti, non solo impedisce secondo l’accezione consueta, che possano essere trattate questioni non iscritte ma -all’inverso- che, in via generale, possano non essere trattate questioni iscritte (Consiglio di Stato, sez. VI, 25.05.1993, n. 383). Ovviamente è fatto salvo lo stralcio o il rinvio di un punto all'ordine del giorno.
Gli argomenti, quindi, debbono essere descritti in modo chiaro e inequivocabile, senza utilizzare una terminologia ambigua, dal momento che l'avviso di convocazione con annesso ordine del giorno costituisce un diritto irrinunciabile di ciascun componente del collegio insieme a tutta la pertinente documentazione a corredo (di norma, almeno 5 giorni prima della seduta, fatte salve le trattazioni d’urgenza).
La funzione dell’avviso di convocazione, infatti, è di informare preventivamente i singoli membri degli argomenti in discussione, affinché ciascuno possa intervenire adeguatamente preparato e, al limite, possa consapevolmente decidere di partecipare o meno alle singole sedute (Consiglio di Stato, sez. IV, 11.12.1981 n. 1063).
Di conseguenza, è illegittima una deliberazione su un argomento non iscritto all’ordine del giorno. Ovviamente, la questione vale sia per gli organi collegiali centrali, sia per quelli delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio.
Come statuito in un'altra sentenza di secondo grado, "Il mancato inserimento nell’ordine del giorno di una questione che abbia già formato oggetto di precedente deliberazione dell’organo collegiale non può essere sanato da una successiva deliberazione che solo a maggioranza esprima la volontà di trattare la questione in base alla voce “Varie ed eventuali” (Consiglio di Stato sez. VI, 27.08.1997, n. 1218). In concreto, le Varie ed eventuali non sono una sorta di “Refugium peccatorum”.
Il suggerimento pratico di puntodelibere è di togliere dall'avviso di convocazione la voce "Varie ed eventuali" in quanto molto pericolosa per il regolare svolgimento dei lavori di una collegialità amministrativa. Solo in casi eccezionali e se tutti gli aventi diritto sono presenti, è possibile integrare l'ordine del giorno prima dell'inizio dell’adunanza e solo se ciò avviene senza che qualcuno dei componenti eccepisca alcunché.
In conclusione, risulta evidente che l’eliminazione del punto Varie ed eventuali possa comportare qualche ritrosia e opposizione. In questo caso, il consiglio è di farne un uso oculato e attento, “cum grano salis”, comunque cassando argomenti che per la loro rilevanza non possano essere trattati senza adeguata istruzione (documentale e non). Teniamo anche presente il fatto che questi comportamenti avvengono solo nel mondo delle università e della ricerca. Negli enti locali, infatti, sarebbero stroncati sul nascere senza colpo ferire.
Consiglio salvavita di puntodelibere: mai trattare le questioni spinose fuori sacco o nelle Varie ed eventuali, semmai riconvocare il collegio d'urgenza (02.03.2018 - link a www.procedamus.it).

aggiornamento al 19.03.2020

APPALTILa cauzione provvisoria nell’infra 40.000 euro.
Domanda
Nel caso di procedura di gara infra 40.000, stante l’art. 93, co. 1, ultimo periodo del codice, è necessario richiedere la presentazione della cauzione provvisoria, strumento costoso, spesso di non tempestivo reperimento per gli operatori, e poco funzionale nelle gare di modico valore?
Risposta
L’Autorità Nazionale Anticorruzione con l’atto n. 2 del 26.02.2020 ha segnalato al Governo e al Parlamento l’opportunità di estendere la deroga prevista dall’art. 93, primo comma, ultimo periodo, del d.lgs. 50/2016, a tutti gli affidamenti di importo inferiore ad una determinata soglia, indipendentemente dalla tipologia di procedura di selezione utilizzata.
In particolare il citato articolo riconosce alla stazione appaltante la facoltà di non richiedere la garanzia provvisoria nei casi di cui all’art. 36, co. 2, lett. a).
Appare utile per poter rispondere al quesito inquadrare esattamente l’istituto e le ragioni che hanno portato all’introduzione, con il correttivo al codice, dell’ultimo periodo dell’art. 93.
La cauzione provvisoria è richiesta dalla stazione appaltante a garanzia della mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione per fatto riconducibile all’affidatario o a seguito dell’adozione di informazione antimafia interdittiva, come strumento a tutela della serietà e affidabilità dell’offerta, diretto alla responsabilizzazione degli operatori mediante l’anticipata liquidazione dei danni alla pubblica amministrazione (C.d.S. sez. V, sent. 2181/2018).
L’ANAC con la delibera n. 140 del 27.02.2019 recante “Chiarimenti in materia di garanzia provvisoria e garanzia definitiva”, ha precisato che: “nei casi di contratti di importo inferiore a 40.000 euro assegnati mediante procedure diverse dall’affidamento diretto, le stazioni appaltanti sono tenute a richiedere la garanzia provvisoria di cui all’art. 93, co. 1, ultimo periodo e la garanzia definitiva di cui all’art. 103, co. 11, del codice dei contratti pubblici”.
La posizione assunta da ANAC, in linea con il parere del Consiglio di Stato sul correttivo, si discosta dall’Atto di Governo n. 397 “Schede di lettura alle disposizioni integrative del d.lgs. 50 del 18.04.2016”, ove con riferimento all’art. 55 “Garanzie per la partecipazione alla procedura di affidamento (modifiche all’art. 93 del d.lgs. 50/2016)" evidenzia come la ratio delle principali modifiche riferite agli affidamenti sotto i 40.000 euro (per i quali la garanzia diviene una scelta facoltativa della stazione appaltante), è quella di perseguire la “semplificazione dei sistemi di garanzia per l’aggiudicazione e l’esecuzione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, al fine di renderli proporzionati e adeguati alla natura delle prestazioni oggetto del contratto e al grado di rischio connesso”.
La lettera a) introduce un nuovo periodo al comma 1 dell’art. 93 del codice in base al quale nei casi di affidamenti infra 40.000 è facoltà della stazione appaltante non richiedere le garanzie per la partecipazione alle procedure di gara previste nell’articolo medesimo.
La norma come pubblicata in gazzetta ufficiale non sembra aver raggiunto quell’obiettivo di semplificazione voluto dal correttivo, a meno che il riferimento alla lettera a) non debba essere inteso come valore economico.
Fatte queste considerazioni nell’attuazione situazione è tuttavia possibile evitare nell’infra 40.000 euro di richiedere la presentazione della cauzione provvisoria non solo nell’affidamento diretto, c.d. puro, ma anche nel caso di richiesta di preventivi per l’affidamento diretto ai sensi dell’art. 36, co. 2, lett. a), procedura assolutamente consigliata negli approvvigionamenti di importo inferiore a tale soglia.
Qualora si utilizzi la procedura procedura negoziata anche per importi inferiori a 40.000 euro (procedura sconsigliata) si dovrà richiedere la presentazione della citata cauzione (18.03.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAlcuni dipendenti di questa amministrazione regionale hanno chiesto l'attivazione del "lavoro agile" in base alla recente normativa emergenziale.
E' possibile concederlo in mancanza di una regolamentazione preventiva, criteri di assegnazione ed in alcuni casi di dotazione informatica necessaria?

Con l'approvazione del DPCM 11.03.2020 si è disposto un mutamento radicale nella definizione delle condizioni e requisiti per lo svolgimento del c.d. "smart working" disponendo che le amministrazioni assicurino "lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui agli articoli da 18 a 23 della L. 22.05.2017, n. 81 e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza", misura confermata dal D.L. 17.03.2020, n. 18, che, all’art. 87, prevede ulteriori elementi che si possono così sintetizzare:
   - la regola della prestazione lavorativa è il "lavoro agile" per tutta la durata dell'emergenza;
   - tale regola è derogabile esclusivamente per "le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro" che dovranno essere espressamente e motivatamente individuate dall'amministrazione;
   - il personale potrà utilizzare la propria dotazione informatica per lo svolgimento della prestazione lavorativa (ricordando che il lavoro agile potrebbe non comportare necessariamente una prestazione per cui si necessita di collegamento telematico);
   - qualora non sia possibile ricorrere al lavoro agile il personale non deve comunque prestare servizio in sede e dovrà fruire di ferie pregresse, congedo, banca ore, rotazione e altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva.
Qualora non risulti possibile alcuna delle citate soluzioni, in ogni caso il personale non potrà prestare servizio in sede e dovrà essere esonerato dalla prestazione lavorativa (che costituisce comunque servizio prestato a tutti gli effetti di legge e l'amministrazione non corrisponde l'indennità sostitutiva di mensa, ove prevista).
Ciò detto dunque l'amministrazione qualora non abbia proceduto ancora alla attivazione delle citate misure è situazione di violazione delle misure sanitarie del citato DPCM e potrà essere chiamato in responsabilità in caso di contrazione del virus da parte del personale per quanto attiene alle varie forme di responsabilità diretta.
L'attivazione del lavoro agile non presuppone alcuna preventiva regolamentazione, valutazione delle condizioni personali e/o istanze dell'interessato né l'esistenza di dotazione informatica idonea dell'Ente o dell'interessato.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 22.05.2017, n. 81 - DPCM 11.03.2020 (18.03.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVIAdempimenti per le griglie della trasparenza.
Domanda
Ci hanno detto che l’ANAC ha pubblicato la solita delibera annuale per la verifica delle griglie della trasparenza, con scadenza 30.03.2020. Diteci, per favore, che non è vero.
Risposta
Purtroppo, dobbiamo confermare la notizia. L’ANAC ha adottato la delibera n. 213 del 04.03.2020 –depositata presso la segretaria del Consiglio il 10.03.2020– composta da dodici pagine e undici allegati, per imporre ai soggetti che vi devono provvedere, la verifica annuale in merito all’attestazione sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione previsti dall’articolo 14, comma 4, lettera g), del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150.
Le attestazioni, come di consueto, devono essere predisposte dagli Organismi di Valutazione (OIV) o altri organismi con funzioni analoghe – negli enti locali, di norma, si tratta dei Nuclei di Valutazione.
Tali organismi sono tenuti ad attestare le avvenute pubblicazioni entro il 31.03.2020 e l’attestazione va affissa, da parte degli enti, nella sezione “Amministrazione trasparente” entro il 30.04.2020. Per le pubbliche amministrazioni le sotto-sezioni da investigare (allegato 2.1 della delibera) sono:
   1. Consulenti e collaboratori;
   2. Bandi di concorso;
   3. Attività e procedimenti;
   4. Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici;
   5. Servizi erogati;
   6. Informazioni ambientali.
Il 12.03.2020, qualche misterioso informatore, deve aver avvisato i “marziani” dell’ANAC che in Italia c’era una epidemia in corso, con un trecento morti al giorno.
Il Presidente, facente funzioni, dell’ANAC, con un comunicato del 12 marzo, di conseguenza, ha spostato i termini di verifica e di pubblicazione delle “griglie” rispettivamente al 30 giugno e 31.07.2020 (17.03.2020 - link a www.publika.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Delega funzioni.
Domanda
Il dirigente che ha delegato alcune funzioni alla posizione organizzativa conserva, in ogni caso, il potere di provvedere nell’ambito della materia oggetto della delega, in caso di assenza del delegato?
Risposta
Il ruolo di delegante (l’intrinseca perdurante piena titolarità del potere amministrativo delegato), consente al delegante d’ingerirsi costantemente nel concreto esercizio del potere de quo, anche attraverso la diretta assunzione di provvedimenti esterni, anche durante la presenza in servizio del delegato, a maggior ragione nei periodi di assenza dal servizio (per ferie o altro).
Non è assolutamente necessario un riassetto di qualsiasi genere della delega.
Si ribadisce: il delegante, con la delega, non si spoglia dei propri poteri; si limita ad individuare un’ulteriore modalità di esercizio degli stessi.
Per mere ragioni illustrative e di chiarezza, questa logica può essere esplicitata nel provvedimento di conferimento della delega (12.03.2020 - link a www.publika.it).

PATRIMONIOL'ufficio tecnico di questo Comune ha in corso lavori di ristrutturazione per un miglioramento delle prestazioni energetiche generali e specifiche di alcuni ambientali che sono stati i finanziati nell'ambito di un progetto nazionale (D.Dirett. 10.07.2019) ed è in attesa di conoscere eventuali disposizioni di proroga, annunciate come imminenti.
Ci sono novità sia per questo che per altri finanziamenti eventualmente in scadenza?

Il Ministero dello Sviluppo Economico con D.Dirett. 10.07.2019 "Modalità di attuazione dell'intervento a sostegno delle opere di efficientamento energetico e sviluppo territoriale sostenibile realizzate dai comuni" ha dato attuazione al D.L. 30.04.2019, n. 34, recante: «Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi», convertito, con modificazioni, dalla L. 28.06.2019, n. 58 che prevede l'assegnazione di contributi ai comuni per interventi di efficientamento energetico e sviluppo territoriale sostenibile, come individuati al comma 3 del medesimo articolo.
Recentemente è stata pubblicata (con entrata in vigore il 01/03/2020) la L. 28.02.2020, n. 8 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30.12.2019, n. 162, recante disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica" (cosiddetto "Milleproroghe") che contiene almeno 2 disposizioni di interesse nello specifico settore per gli Enti locali:
   1) L'art. 1 comma 8-ter che differisce al 30.06.2020 il termine entro cui i comuni beneficiari di contributi per interventi di efficientamento energetico e sviluppo territoriale sono obbligati ad iniziare l'esecuzione dei lavori (il differimento del termine previsto si applica ai comuni che non hanno potuto provvedere alla consegna dei lavori entro il termine fissato al 31.10.2019, per fatti non imputabili all'amministrazione). La norma dispone "8-ter. Il termine di cui all'art. 30, comma 5, decreto-legge 30.04.2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28.06.2019, n. 58, è differito al 30.06.2020, per i comuni che non hanno potuto provvedere alla consegna dei lavori entro il termine del 31.10.2019, per fatti non imputabili all'amministrazione".
   2) L'art. 1 comma 10-septies che differisce dal 15.01.2020 al 15.05.2020, il termine per la richiesta del contributo da parte degli enti locali, a copertura della spesa di progettazione definitiva ed esecutiva per interventi di messa in sicurezza del territorio, e proroga, altresì, dal 28.02.2020 al 30.06.2020, il termine per la definizione dell'ammontare del previsto contributo, attribuito a ciascun ente locale. La norma dispone "Per l'anno 2020, il termine di cui all'articolo 1, comma 52, della legge 27.12.2019, n. 160, è differito dal 15 gennaio al 15 maggio e il termine di cui all'articolo 1, comma 53, della citata legge n. 160 del 2019 è differito dal 28 febbraio al 30 giugno. Sono fatte salve le richieste di contributo comunicate dagli enti locali dopo il 15.01.2020 e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".
Pertanto potrete fruire del differimento approvato con il Milleproroghe per i lavori descritti nel quesito.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.L. 30.04.2019, n. 34, art. 30 - D.Dirett. 10.07.2019 del Ministero dello Sviluppo Economico - L. 27.12.2019, n. 160, art. 1, comma 52 - D.L. 30.12.2019, n. 162 - L. 28.02.2020, n. 8 (11.03.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTI: La modifica del codice unico di progetto.
Domanda
Rispetto a quanto inizialmente pensato dall’Amministrazione comunale in ordine ad interventi di manutenzione straordinaria su un immobile, si è resa la necessità di variare sensibilmente il progetto.
È necessario modificare il codice CUP inizialmente preso, quali sono le modalità?
Risposta
Il Codice Unico di Progetto (CUP) è un sistema di identificazione dei progetti di investimento pubblico
[1] per finalità di monitoraggio (Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici – MIP), nonché strumento per garantire la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari.
Come si legge dal sito governativo di riferimento la richiesta del CUP è obbligatoria per gli interventi rientranti nel Quadro Strategico Nazionale (QSN), nella programmazione dei Fondi Europei, quali ad esempio Fondi strutturali e di investimento europei (ESIF) 2014-2020 e nel Fondo di Sviluppo e Coesione.
In generale il CUP deve essere richiesto per ciascun progetto rientrante nella “spesa per lo sviluppo”, ovvero quegli interventi che, indipendentemente dalla natura contabile di spese correnti o in conto capitale, apportano miglioramenti funzionali o strutturali all’ente, o ne aumentano il patrimonio, oppure sono finanziati con risorse comunitarie o con fondi FAS.
Al contrario le spese propriamente gestionali che sono finalizzate all’ordinario funzionamento dell’amministrazione non prevedono la richiesta del CUP (es. sostituzione di alcuni arredi o computer obsoleti).
Quello che rileva quindi è il fine, l’obiettivo che con tale prestazione si vuole conseguire. In particolare, tra i principali progetti di investimento pubblico rientrano:
   • i lavori pubblici
[2];
   • gli incentivi a favore di attività produttive (es. incentivo a favore di un’azienda per la costruzione di un capannone o per l’ammodernamento degli impianti, per progetti di formazione, per progetti di ricerca finalizzati a migliorare la gestione, ecc.);
   • i contributi a favore di soggetti privati, diversi da attività produttive (es. aiuti ai cittadini proprietari di immobili danneggiati da eventi catastrofali, ecc.);
   • la realizzazione di servizi (es. affidamento di un servizio di ricerca finalizzato allo studio della qualità dell’aria nel territorio di propria competenza, realizzazione di manifestazione finalizzate allo sviluppo turistico di una zona ecc.)
   • l’acquisto di beni (es. acquisto di beni durevoli che vanno registrati al patrimonio dell’Ente, ammodernamento della strumentazione della PA, acquisto di arredi o materiale informatico per una scuola, ecc.).
Con riferimento alla modifica delle informazioni collegate al CUP una volta generato, si segnala:
   • che entro le 72 ore successive alla richiesta del CUP, è possibile procedere direttamente mediante la funzione Modifica CUP presente nel menù “Gestione”;
   • trascorse le 72 ore, la correzione richiede l’intervento della Struttura di supporto CUP (Invio Richiesta Modifica CUP” all’interno dell’area Comunicazioni nel menù “Messaggi”).
In particolare per quanto attiene al quesito, trattandosi di una modifica sostanziale di un progetto, il RUP dovrà procedere alla cancellazione del codice CUP originario sulla base delle seguenti passaggi:
   • richiesta di nuovo codice CUP;
   • inserimento della dicitura “intervento sostitutivo del CUP “………”” nel campo ALTRO della III maschera di richiesta del codice;
   • richiesta di cancellazione del precedente CUP tramite l’apposita funzione “Invio Richiesta Modifica CUP” presente all’interno dell’area Comunicazioni nel menù “Messaggi” (nel testo del messaggio dovrà essere specificato il riferimento del nuovo CUP valido che sostituisce il precedente);
   • attendere notifica di avvenuta cancellazione del vecchio codice.
---------------
[1] L’art. 11 della legge 3/2003 stabilisce che il CUP deve essere richiesto per ogni progetto di investimento pubblico senza indicare un tetto minimo di spesa.
[2] Cfr. Linee Guida elaborate dal Gruppo di Lavoro ITACA per la manutenzione ordinaria si tratta di una facoltà
(11.03.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’accesso civico generalizzato per i contributi economici.
Domanda
In una istanza di accesso civico generalizzato, un cittadino ci ha chiesto di fornire un riepilogo di tutti i contributi erogati dal comune negli ultimi tre anni, con la specificazione dei contributi erogati per ragioni di salute o per disagio socio-economico.
Come ci dobbiamo comportare?
Risposta
L’accesso civico generalizzato, noto anche con l’acronico inglese di FOIA (Freedom Of Information Act), è disciplinato dall’articolo 5, comma 2 e seguenti del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nel testo introdotto dall’articolo 6, comma 1, del d.lgs. 25.05.2016, n. 97.
In pratica, con la nuova disposizione, si stabilisce che qualsiasi cittadino ha il diritto di accedere ai dati e documenti detenuti da una pubblica amministrazione, ulteriori a quelli che risultano già oggetto di pubblicazione obbligatoria nel sito web dell’ente nella sezione Amministrazione trasparente. Tale nuova forma di accesso, però, incontra delle esclusioni e dei limiti, disciplinati nell’articolo 5-bis, del citato d.lgs. 33/2013, nel testo inserito dall’articolo 6, comma 2, d.lgs. 97/2016.
Chiarito l’ambito applicativo in cui ci si muove è possibile affermare che:
   • l’elenco dei contributi erogati dal comune, rappresenta già un obbligo disciplinato dall’articolo 27, comma 2, del d.lgs. 33/2013, laddove si prevede che gli enti devono organizzare annualmente, in un unico elenco, in formato tabellare aperto, tutti i contributi erogati nell’anno precedente, di importo superiore a 1.000 euro;
   • per quanto riguarda, invece, la pubblicazione dei dati di coloro che hanno beneficiato di un contributo pubblico, per ragioni riferite allo stato di salute e/o per situazione di disagio economico-sociale, l’articolo 26, comma 4, del d.lgs. 33/2013, prevede un vero e proprio divieto, escludendo la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche interessate;
   • con la richiesta di accesso generalizzato possono essere richiesti i documenti, dati e informazioni in possesso dell’amministrazione. Ciò significa che:
   1. il comune non è tenuto a raccogliere informazioni che non sono in suo possesso per rispondere ad una richiesta di accesso generalizzato, ma deve limitarsi a rispondere sulla base dei documenti e delle informazioni che detiene;
   2. l’amministrazione non è tenuta a rielaborare informazioni in suo possesso, ma deve consentire l’accesso ai documenti, ai dati e dalle informazioni, così come sono già detenuti, organizzati, gestiti e fruiti;
   3. sono ammissibili, invece, le operazioni di elaborazione che consistono nell’oscuramento dei dati personali presenti nel documento o nell’informazione richiesta, e più in generale nella loro anonimizzazione, qualora ciò sia funzionale a rendere possibile l’accesso;
   4. la richiesta di accesso generalizzato deve identificare i documenti e i dati richiesti. Ciò significa:
– che la richiesta deve indicare, con precisione, i documenti o i dati richiesti, ovvero
– che la richiesta deve consentire all’amministrazione di identificare agevolmente i documenti o i dati richiesti.
Dovranno essere ritenute inammissibili, pertanto, le richieste formulate in modo così vago da non permettere all’amministrazione di identificare i documenti o le informazioni richieste. In questi casi, l’amministrazione destinataria della domanda dovrebbe chiedere di precisare l’oggetto della richiesta.
Premesso quanto sopra, si consiglia di rispondere all’istanza chiarendo che:
   • le informazioni richieste si trovano già a disposizione di tutti, pubblicate nel sito web su Amministrazione trasparente > Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici > Atti di concessione, con i dati riferiti agli ultimi cinque anni, inserendo nella risposta il link di accesso;
   • la richiesta di accesso generalizzato, pertanto, non può essere presa in considerazione in quanto è riferita a documenti per i quali esiste già l’obbligo di pubblicazione (cfr. art. 5, comma 5, d.lgs. 33/2013);
   • qualora i dati non siano (tutti) pubblicati, il richiedente potrà presentare istanza, indirizzata al responsabile della trasparenza dell’ente, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del d.lgs. 33/2013, attivando l’istituto dell’accesso civico semplice;
   • i dati riferiti allo stato di salute e a situazioni di disagio socio-economico, di persone fisiche a cui il comune ha erogato un contributo non sono ostensibili, per espressa previsione di legge (articolo 26, comma 4, d.lgs. 33/2013) e sono tutelati dal Regolamento (UE) 2016/679, all’articolo 9, essendo annoverati tra i dati “particolari” (ex sensibili) (10.03.2020 - link a www.publika.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il milleproroghe amplia i possibili utilizzi dei proventi da concessioni di edificare, ma solo dal 1° aprile prossimo.
Domanda
Il mio Ente deve ancora approvare il bilancio di previsione 2020-2022. Mi sapete dire quali sono le spese finanziabili con i proventi da oneri di urbanizzazione?
Risposta
L’utilizzo degli oneri di urbanizzazione o meglio, dei proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle relative sanzioni, è disciplinato dall’art. 1, comma 460 della L. 232/2016, come modificato dall’art. 1-bis, comma 1, D.L. 148/2017.
Tale comma prevede infatti che i suddetti proventi siano destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all’acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l’insediamento di attività di agricoltura nell’ambito urbano e a spese di progettazione per opere pubbliche.
Con tale norma venivano finalmente superati –una volta per tutte– i limiti percentuali e le differenti tipologie di spese correnti che nel tempo vari provvedimenti normativi avevano individuato come finanziabili. Per individuare le spese relative ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria è necessario fare riferimento all’art. 4 della legge 847 del 29/09/1964 che elenca in maniera univoca e puntuale sia le une che le altre.
Le prime sono rappresentate da: a) strade residenziali; b) spazi di sosta o di parcheggio; c) fognature; d) rete idrica; e) rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; f) pubblica illuminazione; g) spazi di verde attrezzato; g-bis) infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 01.08.2003, n. 259, e successive modificazioni, e opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga effettuate anche all’interno degli edifici.
Le seconde sono invece costituite da: a) asili nido e scuole materne; b) scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo; c) mercati di quartiere; d) delegazioni comunali; e) chiese ed altri edifici religiosi; f) impianti sportivi di quartiere; g) centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie; h) aree verdi di quartiere.
Sul testo del comma 460 è tuttavia recentemente intervenuto il Legislatore in sede di conversione del decreto legge Milleproroghe (d.l. 162/2019) avvenuta con L. 8/2020 pubblicata sulla G.U. n. 51 del 29/02/2020 e già in vigore dallo scorso 1° marzo. In particolare, nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, è stata aggiunta una nuova tipologia di spesa finanziabile con i proventi in oggetto.
A farlo è il comma 5-quinquies dell’art. 13 del decreto che prevede testualmente che all’articolo 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232, sia infine aggiunto il seguente periodo: “A decorrere dal 01.04.2020 le risorse non utilizzate ai sensi del primo periodo possono essere altresì utilizzate per promuovere la predisposizione di programmi diretti al completamento delle infrastrutture e delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria dei piani di zona esistenti, fermo restando l’obbligo dei comuni di porre in essere tutte le iniziative necessarie per ottenere l’adempimento, anche per equivalente delle obbligazioni assunte nelle apposite convenzioni o atti d’obbligo da parte degli operatori”.
Che cosa sono i ‘piani di zona’? Si tratta di strumenti urbanistici previsti dall’art. 1 della L. 167/1962 come obbligatori per i comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di provincia. Sono invece previsti come facoltativi per tutti i restanti comuni. Essi devono individuare le zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico.
La norma ha una data di entrata in vigore ben precisa: il 1° aprile prossimo. Vista la nuova scadenza per l’approvazione del bilancio di previsione 2020-2022 fissata al 30 aprile prossimo dal d.m. Interno pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 28 febbraio, c’è tutto il tempo per avvalersene fin da quest’anno. Viceversa, per gli enti che hanno già approvato lo schema di bilancio con deliberazione di giunta, si potrà procedere o con un emendamento, ovvero con una variazione dopo la sua approvazione da parte del consiglio, in modo analogo agli enti che hanno già approvato.
Infine evidenziamo che dal tenore letterale del periodo aggiunto al comma 460 appare come questa ulteriore forma di utilizzo abbia carattere residuale rispetto a quelle elencate al periodo precedente. Riteniamo tuttavia che, data l’ampiezza di queste ultime, gli enti non alcuna abbiano difficoltà a individuare spese da finanziare con i proventi da oneri di urbanizzazione, anche in considerazione della loro ormai consolidata esiguità (09.03.2020 - link a www.publika.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Permessi giudice popolare.
Domanda
Come vanno giustificate le assenze per l’espletamento delle funzioni di giudice popolare?
Risposta
Come evidenziato dall’Aran in alcuni suoi orientamenti, tanto in riferimento al comparto delle Funzioni Locali quanto ad altri comparti (cfr., tra gli altri, il RAL 1273), la contrattazione collettiva non ha in alcun modo disciplinato le assenze per l’espletamento delle funzioni di giudice popolare.
Esse sono regolate dall’art. 11 della legge n. 278 del 01/04/1951, come sostituito dal D.L. n. 31 del 14/02/1978, convertito nella legge n. 74 del 24/03/1978.
La fonte legale, oltre a stabilire l’obbligatorietà dell’incarico di giudice di popolare, lo equipara a tutti gli effetti all’esercizio delle funzioni pubbliche elettive, il che implica, per gli enti locali, la ricorrenza delle disposizioni in materia introdotte dal d.lgs. 267/2000 (TUEL), ed in particolare l’art. 79 del predetto Testo Unico, che dispone, per tale tipo di assenze, che i dipendenti hanno diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione alle riunioni collegiali o alle sedute degli organi dei quali sono partecipanti, incluso il tempo necessario a raggiungere il luogo di svolgimento della seduta.
Si ritiene, per le ragioni di cui sopra, che analoga considerazione debba farsi pertanto per le assenze del dipendente chiamato a rendere il proprio servizio come giudice popolare.
Il dipendente è tenuto ad avvertire preventivamente l’amministrazione dell’assenza producendo copia del decreto di nomina a giudice popolare; ed al rientro, a giustificazione della stessa, dovrà produrre idonea certificazione rilasciata dalla competente autorità giudiziaria, che varrà a coprire l’assenza per alcune ore o anche per l’intera giornata in funzione di quanto ivi riportato, in relazione alla durata dell’impegno sostenuto (05.03.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Il quinto d’obbligo e la richiesta del CIG.
Domanda
Nel caso di un servizio biennale, eventualmente rinnovabile, con previsione nella lex specialis del quinto d’obbligo di cui all’art. 106, co. 12, del codice, è necessario considerare il 20% nella determinazione del valore ai fini della richiesta del CIG?
Risposta
Il TAR Milano nella sentenza n. 284 del 10.02.2020, diversamente dai giudici campani (TAR Napoli, sentenza n. 5380/2018), da una lettura dell’art. 106, co. 12, del codice, in linea con la posizione assunta da ANAC nella relazione AIR al bando tipo n. 1/2017.
L’art. 106, co. 12, testualmente recita “La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione delle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.
Secondo i giudici lombardi tale noma definisce il c.d. “quinto obbligo” come una prestazione aggiuntiva rispetto al contratto originario, che costituisce una sopravvenienza. Essa quindi si sottrae alla previsione dell’art. 35, co. 4
[1], del codice dei contratti, il quale fa riferimento a clausole già previste al momento della predisposizione degli atti di gara, ed in questa in sede inserite per effetto di una scelta discrezionale della stazione appaltate, ma rimesse, nella loro concreta applicazione ad una successiva valutazione facoltativa dell’amministrazione.
Ricostruzione che, secondo i magistrati, trova conferma nella collocazione del c.d. quinto d’obbligo nelle modifiche contrattuali, oggetto di variante, quale diritto potestativo che ha fonte legale e non negoziale, che si innesta ab externo nel contratto il cui valore può essere ridotto o incrementato per effetto di scelte operate solo ex post dalla stazione appaltante.
Proseguono affermando che nessuna norma del codice, e tanto meno l’art. 106, co. 12, stabilisce che il “quinto d’obbligo” assuma rilevanza in ordine alla determinazione del valore della gara. Si tratta infatti di un meccanismo che opera ex lege, indipendentemente dal mero richiamo o meno nella lex specialis di gara, che non presentando il carattere dell’opzione non incide sul valore complessivo dell’appalto, e non deve necessariamente rientrare ai fini della richiesta del CIG.
Queste considerazioni tuttavia non precludono, la possibilità di riportare all’interno del bando il quinto come opzione, oppure una percentuale superiore, ai sensi della lettera a) dell’art. 106 del codice, e quindi mediante una clausola chiara, precisa e inequivocabile. Operazione che ci permette di avere un CIG capiente ed evitare i ben noti problemi di sforamento del valore in caso di rendicontazione.
---------------
[1] Il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato sull’importo totale pagabile, al netto dell’IVA, valutato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. Il calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni o rinnovi del contratto esplicitamente stabiliti nei documenti di gara. Quando l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore prevedono premi o pagamenti per i candidati o gli offerenti, ne tengono conto nel calcolo del valore stimato dell’appalto (04.03.2020 - link a www.publika.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Trasparenza dei dati relativi a procedimenti disciplinari.
Domanda
Un cittadino, nonché ex dipendente dell’amministrazione, ci chiede ripetutamente di pubblicare gli atti conclusivi dei procedimenti disciplinari a carico di suoi ex colleghi, asserendo che sussista un obbligo ai sensi dell’art. 23, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, trattandosi di provvedimenti amministrativi; in alternativa ne richiede una copia mediante accesso generalizzato.
Il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPTC), sentito anche il Responsabile della Protezione Dati (RPD), ritiene che entrambe le richieste non possano essere accolte.
È corretto?
Risposta
L’orientamento del RPCT del vostro ente è senz’altro condivisibile.
In primo luogo, il riferimento all’art. 23, del d. lgs. 33/2013, non è assolutamente pertinente poiché, dopo la modifica introdotta dal decreto legislativo 25.05.2016, n. 97 e, in particolare, dopo l’abrogazione del comma 2, la norma richiamata prevede l’obbligo di pubblicazione del solo elenco dei provvedimenti.
Anche ove si proceda alla pubblicazione di singoli provvedimenti, occorre procedere all’oscuramento dei dati personali in essi contenuti. Per pubblicare i dati personali è necessario, infatti, che ci sia una specifica previsione di legge che rappresenti la base giuridica richiesta dal Regolamento (UE) 2016/679 e dall’art. 2-ter del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, come adeguato al citato Regolamento.
Con riferimento allo specifico quesito proposto è utile anche richiamare una recente pronuncia dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), nella quale si sostiene che il d.lgs. 33/2013 “non dispone per le amministrazioni pubbliche obblighi di pubblicazione di dati riferiti ai procedimenti disciplinari nei confronti dei propri dipendenti, né in forma integrale, né come dato aggregato”.
Ci si riferisce alla delibera n. 1237 del 18.12.2019, con la quale l’ANAC ha fornito indicazioni di portata generale in merito alla trasparenza dei dati relativi ai procedimenti disciplinari, ammettendo soltanto la possibilità di pubblicare i dati relativi al numero dei procedimenti avviati, unitamente alla casistica delle sanzioni disciplinari irrogate, al fine di far conoscere –e dunque prevenire– le tipologie di condotte sanzionabili in cui il dipendente può incorrere.
A ben vedere –come peraltro ricorda l’ANAC– tali dati sono già contenuti nella Relazione annuale del RPCT di cui all’art. 1, comma 14, della legge 06.11.2012, n. 190, che deve essere pubblicata in Amministrazione Trasparente nella sottosezione “Altri contenuti > Prevenzione della corruzione”.
Si vedano le domande contraddistinte con ID 12 – Procedimenti disciplinari e penali, nello schema di file Excel finora utilizzato dagli RPCT, su indicazione dell’ANAC, ovvero la sezione 8 – Monitoraggio procedimenti disciplinari, nella nuova versione della Relazione, generata attraverso la Piattaforma di acquisizione dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza.
In merito al diritto di accesso generalizzato (cosiddetto FOIA) il Garante per la protezione dei dati personali, chiamato ad esprimersi dagli RPCT, ai sensi dell’art. 5, come 7, del d.lgs. 33/2013, nell’ambito di procedimenti di riesame per diniego, ha più volte chiarito che non è ammissibile l’accesso generalizzato a tali documenti.
A titolo di esempio, si richiama il parere del 21.11.2018 [doc web 9065404], nel quale, citando precedenti pronunce, il Garante ribadisce che l’ostensione integrale del documento richiesto, unita al particolare regime di pubblicità dei dati oggetto di accesso civico, può arrecare un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali ai sensi dell’art 5-bis , comma 2, lettera a), del d.lgs. 33/2013.
Resta aperta, dunque, soltanto la possibilità di esercitare l’accesso ai sensi della legge 07.08.1990, n. 241, qualora sussista un interesse qualificato ossia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (03.03.2020 - link a www.publika.it).

PATRIMONIO: Opponibilità a terzo di servitù di veduta acquisita per usucapione.
L’acquisto della servitù può avvenire, tra l’altro, per usucapione, ove si tratti di servitù apparenti, cioè quelle al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti (artt. 1031 e 1061 c.c.).
Per quanto riguarda la proprietà di immobili e i diritti reali immobiliari, l’usucapione costituisce modo di acquisto a titolo originario, che avviene ex lege, in virtù del possesso continuato per venti anni (art. 1158 c.c.).
Ai sensi dell’art. 2651 c.c., è suscettibile di trascrizione la sentenza da cui risulti l’acquisto per usucapione di una servitù: trattasi di sentenza dichiarativa, la cui trascrizione ha funzione di sola pubblicità-notizia, non quella di risolvere i conflitti tra acquirenti a titolo derivativo e acquirenti a titolo originario.
In proposito, la giurisprudenza ha affermato il principio secondo il quale il conflitto tra l’acquisto a titolo derivativo e l’acquisto per usucapione è sempre risolto a favore del secondo, indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l’usucapione e dell’anteriorità della trascrizione di essa o della relativa domanda rispetto alla trascrizione dell’acquisto a titolo derivativo.
Ne deriva che il Comune, che ritenga di aver acquistato un diritto di servitù per usucapione, può far valere nei confronti del terzo acquirente del fondo servente detto diritto reale per il fatto della sua venuta ad esistenza, ex lege, al ricorrere dei presupposti di legge, ai sensi dell’art. 1158 c.c., non necessitando a tal fine la trascrizione.

Il Comune riferisce che un edificio di sua proprietà (fondo dominante) possiede una servitù di veduta di fatto su altro edificio di proprietà privata (fondo servente) giacente a confine.
Detta servitù si è protratta per oltre venti anni pacificamente e senza interruzioni; peraltro non è stata accertata con sentenza del Giudice e quindi non è stata trascritta nei registri immobiliari. Posto che l’immobile privato è stato di recente venduto ad un terzo, il Comune chiede se è legittimato a pretendere nei suoi confronti il rispetto della servitù di cui si tratta.
Ai sensi dell’art. 1031 c.c., la costituzione delle servitù può avvenire:
   a) in attuazione di un obbligo di legge (servitù coattive);
   b) per volontà dell’uomo (contratto, testamento: si tratta delle c.d. servitù volontarie, art. 1058, c.c.);
   c) per usucapione;
   d) per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.)
In particolare, poste le circostanze riferite dal Comune relative al protrarsi pacifico della servitù per oltre venti anni, si osserva che ove si tratti di servitù apparente, la stessa può sorgere anche per usucapione ventennale.
L’istituto dell’usucapione riguarda infatti la proprietà e i diritti reali di godimento, ad eccezione delle servitù non apparenti, che ricorrono quando non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio (art. 1061 c.c.)
[1].
Specificamente, le servitù apparenti sono quelle al cui esercizio sono destinate opere –anche formatesi naturalmente
[2]–, visibili e permanenti, obiettivamente finalizzate all’esercizio della servitù: tali cioè da appalesare in modo non equivoco, per la loro struttura e funzione, l’esistenza di un peso gravante sul fondo servente [3], al proprietario di quest’ultimo [4].
Quanto all’usucapione, l’art. 1158 c.c., in tema di beni immobili e diritti reali immobiliari, prevede che il possesso continuato per venti anni fa acquisire al possessore – attraverso l’istituto dell’usucapione – la titolarità del diritto reale (proprietà, diritti reali di godimento) corrispondente alla situazione di fatto esercitata. L’usucapione costituisce, dunque, un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti reali minori, che avviene ex lege, nel momento stesso in cui matura il termine normativamente previsto.
Le peculiarità dell’istituto dell’usucapione si ripercuotono sull’atteggiarsi della trascrizione degli acquisti per usucapione, atteso che la trascrizione riguarda atti e dunque non si presta a rispecchiare vicende di acquisto a titolo originario.
Sono, invece, suscettibili di trascrizione, ai sensi dell’art. 2651 c.c., le sentenze da cui risulta acquistato per usucapione un diritto di proprietà o un diritto reale di godimento di cui ai nn. 1, 2 e 4 dell’art. 2643, tra cui, per quanto di interesse, il diritto di servitù.
Ed invero, l’usucapiente può avere interesse, per eliminare ogni incertezza in ordine al suo acquisto ovvero per ottenere un titolo utile per la trascrizione, a promuovere un giudizio di accertamento dell’intervenuta usucapione
[5], che, in ogni caso, si concluderebbe con una sentenza avente valore dichiarativo e non già costitutivo.
La trascrizione di detta sentenza dichiarativa (ove vi sia), ai sensi dell’art. 2651 c.c. richiamato, ha funzione di sola pubblicità-notizia, cioè di rendere noti determinati fatti o atti ai terzi, ma non quella di risolvere i conflitti tra acquirenti a titolo derivativo e acquirenti a titolo originario
[6].
In proposito, la giurisprudenza ha affermato il principio secondo il quale il conflitto tra l’acquisto a titolo derivativo e l’acquisto per usucapione è sempre risolto a favore del secondo, indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l’usucapione e dell’anteriorità della trascrizione di essa o della relativa domanda rispetto alla trascrizione dell’acquisto a titolo derivativo
[7].
Calando questi principi nel caso di specie, ne conseguono alcune considerazioni per quanto riguarda l’(avvenuto) acquisto per usucapione del diritto di servitù e relativamente ai rapporti tra il Comune e il terzo acquirente che vorrebbe sopraelevare l’edificio di proprietà privata (fondo servente), impedendo così l’esercizio della servitù di veduta di cui trattasi.
Sotto il primo profilo, si osserva che il possesso ininterrotto del diritto reale di servitù per oltre venti anni –riferito dal Comune– è astrattamente idoneo a determinare in favore del Comune l’acquisto a titolo originario di detto diritto reale, ai sensi dell’art 1158 c.c., ove, beninteso, si tratti di una servitù apparente.
In proposito, con specifico riferimento all’acquisto per usucapione di una servitù di veduta, la Corte di cassazione ha affermato che la visibilità delle opere destinate all’esercizio della servitù deve far capo ad un punto d’osservazione non necessariamente coincidente col fondo servente –ipotesi normale, ma non per questo esclusiva– ma anche esterno al fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una pubblica via
[8].
Per converso, per giungere a ritenere la non visibilità delle finestre che si aprono sul fondo oggetto della veduta (fondo servente), deve essere dimostrata l’esistenza di una situazione di fatto tale che il proprietario di detto fondo non abbia avuto possibilità alcuna di vederle dal suo fondo e da alcun luogo viciniore
[9].
L’accertamento delle circostanze che integrano l’usucapione di una servitù di veduta è da farsi caso per caso
[10] ed in ipotesi di contestazione l’eliminazione di ogni incertezza al riguardo può derivare da una sentenza che accerti un tanto, che il Comune riferisce non esservi stata.
Il Comune, che ritenga di aver acquistato il diritto di servitù sull’edificio (fondo servente) per usucapione, può lo stesso far valere detto diritto nei confronti del terzo acquirente
[11]: ed invero –come suesposto– il conflitto tra l’acquisto a titolo derivativo e l’acquirente per usucapione è sempre risolto a favore dell’acquirente per usucapione, indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l’usucapione e della sua anteriorità rispetto alla trascrizione dell’acquisto a titolo derivativo.
E questo poiché, come detto sopra, la trascrizione della sentenza da cui risulti acquistato un diritto per usucapione, ex art. 2651 c.c., ove vi fosse, avrebbe solo funzione di pubblicità - notizia, e non quella di risolvere il conflitto tra acquirente a titolo originario e acquirente a titolo derivativo
[12].
Pertanto, a fronte della domanda del Comune se sia legittimato a pretendere il rispetto della servitù di veduta nei confronti del terzo acquirente, si osserva che il Comune può far valere detto diritto reale per il fatto della sua venuta ad esistenza, ex lege, al ricorrere dei presupposti di legge, ai sensi dell’art. 1158 c.c., non necessitando a tal fine la trascrizione.
---------------
[1] V. Cass., sez. un., 21.11.1996, n. 10285, secondo cui il requisito dell’apparenza è necessario per l’acquisto della servitù per usucapione.
[2] Ad es. un sentiero creatosi per effetto del calpestio, v. Cass. 27.05.2009, n. 12362.
[3] V. Cass. 31.05.2010, n. 13238.
[4] Cass. civ., sez. II, 24.09.2014, n. 24401.
[5] V. Cass. 26.04.2011, n. 9325.
[6] La sentenza avente contenuto dichiarativo non rientra, infatti, tra gli atti costitutivi di diritti reali, di cui all’art. 2643. c.c. –che al n. 14 menziona specificamente le sentenze che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione del diritto di proprietà e di diritti reali di godimento– soggetti a trascrizione, al fine di renderli opponibili a terzi, ai sensi dell’art. 2644 c.c.
In particolare, quest’ultima norma codicistica prevede che gli atti (costitutivi di dritti reali) soggetti a trascrizione, di cui all’art. 2643 c.c., non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.
[7] Cass. civ., sez. II, 06.12.2000, n. 15503; Cass. civ., sez. II, 28.01.1985, n. 443.
[8] Cass. civ. n. 24401/2014 cit.
[9] Cass. civ. n. 24401/2014 cit.
[10] Cass. civ. n. 24401/2014 cit.
[11] Ove questi contesti il fatto dell’avvenuto verificarsi dell’usucapione, si renderà, peraltro, necessario l’accertamento del Giudice.
[12] Come, invece, avviene per la trascrizione degli atti costitutivi di diritti reali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2643 e 2644 c.c. (v. nota 12)
(20.02.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Incompatibilità di un amministratore locale.
Nei confronti dell’assessore di uno dei comuni facenti parte di un’UTI che venisse assunto alle dipendenze dell’Unione medesima, soltanto qualora tale soggetto fosse componente degli organi di governo della stessa sussisterebbe la causa di incompatibilità di cui al combinato disposto degli articoli 60 comma 1, n. 7), e 63, comma 1, n. 7), TUEL, secondo cui è ineleggibile/incompatibile l’amministratore locale che sia dipendente del comune medesimo.
L’Unione territoriale intercomunale (UTI) chiede un parere in merito all’esistenza di una causa di incompatibilità per l’assessore di uno dei comuni facenti parte dell’UTI medesima qualora lo stesso venisse assunto alle dipendenze dell’Unione.
Preliminarmente si sottolinea che l’articolo 5, comma 2, della legge regionale 12.12.2014, n. 26 prevede che all’Unione territoriale intercomunale si applichino “i principi previsti per l’ordinamento degli enti locali e, in quanto compatibili, le norme di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)”.
Il comma 4 del citato articolo 32 stabilisce che all’unione si applicano, in quanto compatibili e non derogati con altre disposizioni di legge, i principi previsti per l’ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori.
Pertanto, in base a tale ultimo richiamo, le norme contemplate nel D.Lgs. 267/2000, e in particolare gli articoli 60 e 63 del medesimo decreto, in quanto compatibili e non derogate nei termini sopra indicati, devono ritenersi applicabili anche con riferimento alle unioni di comuni.
Premesso quanto sopra, si ritiene debba essere preso in considerazione l’articolo 60 comma 1, num. 7), TUEL, in combinato disposto con l’articolo 63, comma 1, num. 7), TUEL secondo cui è ineleggibile/incompatibile l’amministratore locale che sia dipendente del comune medesimo.
Quanto alla fattispecie in riferimento seguirebbe l’insorgenza dell’indicata causa di incompatibilità nel caso in cui il medesimo soggetto fosse dipendente dell’unione di comuni e, nel contempo, componente degli organi di governo della stessa.
A tale ultimo riguardo necessita segnalare che sono organi dell'Unione l'Assemblea, il Presidente e, qualora istituito, l’Ufficio di presidenza
[1].
Quanto all’assemblea essa è costituita da tutti i sindaci dei comuni aderenti a ciascuna Unione e, solo nel caso di impossibilità a partecipare alle sedute dell'Assemblea o nel caso di incompatibilità, questi possono delegare un assessore a rappresentarli.
[2]
Con riferimento al caso in esame segue che la causa di incompatibilità sopra citata verrebbe in rilievo solo nel caso in cui l’assessore divenisse componente dell’assemblea dell’UTI.
Analoghe considerazioni possono compiersi avuto riguardo all’Ufficio di presidenza: la causa di incompatibilità in esame sorgerebbe nei confronti dell’assessore qualora lo stesso fosse componente di tale organo di governo.
Non si prende, invece, in considerazione la figura giuridica del Presidente non potendo l’assessore ricoprire detto ruolo.
[3]
Da ultimo si ricorda che, ai sensi dell’articolo 28, comma 5, della legge regionale 29.11.2019, n. 21 “a far data dall'01.01.2021 le Unioni territoriali intercomunali di cui al comma 1
[4] sono trasformate di diritto nella rispettiva Comunità di montagna”.
Da tale data, pertanto, affinché non si realizzi la causa di incompatibilità sopra esaminata, necessiterà valutare che l’indicato assessore, mantenendo l’attività lavorativa alle dipendenze della costituita Comunità di montagna, non entri a far parte di alcun organo di governo della stessa.
[5]
---------------
[1] Si veda l’articolo 12, commi 1 e 2, della legge regionale 26/2014 il quale recita:
   “1. Sono organi dell'Unione l'Assemblea, il Presidente e l’organo di revisione.
   2. Lo statuto delle Unioni può prevedere l'istituzione di un Ufficio di presidenza con funzioni esecutive e, in tal caso, ne determina le competenze e la relativa composizione”.
[2] Precisamente l’articolo 13, comma 6, della legge regionale 26/2014 recita, al riguardo: “In caso di impossibilità a partecipare alle sedute dell'Assemblea, i Sindaci possono delegare un assessore a rappresentarli. In caso di incompatibilità previste dalla vigente normativa statale, la delega può essere conferita anche in via permanente.”
[3] Il Presidente, infatti, è un sindaco (articolo 14, comma 1, della legge regionale 24/2016 secondo cui: “Il Presidente è eletto dall'Assemblea tra i suoi componenti”).
[4] Si tratta delle Unioni che esercitano le funzioni delle soppresse Comunità montane di cui alla legge regionale 33/2002.
[5] Circa l’applicabilità agli organi politici della Comunità delle norme dettate dal TUEL sullo status degli amministratori locali si rileva che l’articolo 6, comma 2, della legge regionale 21/2019 in combinato disposto con l’articolo 7, comma 1, della legge regionale medesima prevede che alle Comunità di montagna “si applicano i principi e, in quanto compatibili, le norme previste per i Comuni”
(05.02.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Distanze da osservare per la realizzazione di muri di contenimento. Parere (Legali Associati per Celva, nota 27.01.2020 - tratto da www.celva.it).
---------------
Il CELVA, per conto del Comune di Saint-Vincent, ha formulato una richiesta di parere avente ad oggetto la verifica dell’applicabilità della normativa in materia di distanze legali, posta dal codice civile, alla costruzione di muri di contenimento. (...continua).

INCARICHI PROFESSIONALIIl revisore del Comune ha segnalato che la Società di cui il Comune è socio al 100% (gestrice della Casa di riposo) ha affidato, con atto dell'Amministratore unico, l'incarico di tenere la contabilità della Società pubblica ad un commercialista che risulta essere socio di una società privata in cui è socio anche l'amministratore unico.
L'incarico è stato affidato alla persona fisica e non alla società di cui anche l'amministratore unico è socio.
Si chiede se tale affidamento sia legittimo sia per quanto riguarda l'eventuale conflitto di interesse sia per la eventuale necessità di motivare la decisione di ricorrere all'esterno e non gestire la contabilità con propri dipendenti.

Il quesito in esame attiene, primariamente, all'eventuale sussistenza di un "conflitto di interessi" in una peculiare fattispecie, concretamente segnalata. In secondo luogo, viene chiesto di individuare i corretti presupposti per un legittimo affidamento all"'esterno" di attività di competenza propria di una società pubblica.
Principiamo dal primo problema, afferente, come detto, la sussistenza di un conflitto di interesse. In via preliminare, è necessario definire il concetto.
Secondo attenta e pacifica dottrina (Di Carlo E., "Il conflitto di interessi nelle organizzazioni produttive", Rivista di politica economica, 2012), il "conflitto di interessi" (sussistente o potenziale) individua la situazione in cui l'interesse secondario (interesse privato, finanziario o non finanziario) di un soggetto (agente o funzionario pubblico) tende a interferire negativamente con l'interesse primario (interesse pubblico), che deve essere perseguito dal medesimo soggetto.
Quindi, affinché ci sia "conflitto di interessi", occorre la presenza di tre elementi chiave:
   a) Una relazione di agenzia, tra un soggetto delegante (Pubblica Amministrazione) e uno delegato (Funzionario), in cui il secondo ha il dovere di agire nell'interesse (primario) del primo;
   b) La presenza di un interesse secondario nel soggetto delegato (di tipo finanziario o di altra natura);
   c) La tendenza dell'interesse secondario ad interferire, negativamente, con l'interesse primario. Il termine "tende a interferire" vuole sottolineare che l'interferenza si presenta con diversa intensità a seconda dell'agente portatore dell'interesse secondario e della rilevanza assunta da tale interesse.
Definito il concetto di "conflitto di interesse", veniamo alla concreta fattispecie. Il quesito fa riferimento ad una situazione in cui interagiscono tre soggetti (persone fisiche e/o giuridiche). Precisamente:
   1) Una
società pubblica, che gestisce una Casa di riposo. Tale società è partecipata al 100% da un Comune.
   2) L'
amministratore unico di tale società pubblica.
   3) Un
commercialista, che risulta essere anche socio di una società privata, nella quale è socio anche l'amministratore unico.
I tre soggetti sono stati opportunamente grassettati al fine di porli in giusta evidenza.
E' stata, poi, sottolineata una data situazione di fatto (sussistenza di una società privata, che vede soci due dei tre soggetti), che dovrà essere esaminata con attenzione.
Ora, accade che l'Amministratore unico della società pubblica conferisce (non è dato sapere se a seguito di gara o, peggio, mediante affidamento diretto senza alcuna preventiva selezione) al commercialista l'incarico di "tenere" la contabilità della medesima società pubblica.
Sussiste un conflitto di interesse in siffatta fattispecie? La risposta non può che essere duplice.
Da un punto di vista teorico generale, è ben evidente che l'amministratore unico riveste una duplice posizione in due distinte società (una pubblica ed una privata) tendenzialmente foriera di conflitti. In fattispecie, appare ben evidente che l'amministratore unico, "strumentalizzando" il suo potere all'interno della società pubblica, favorisce il proprio collega socio della distinta società privata (ove sono entrambi soci), conferendogli un incarico, si suppone senza gara.
La sussistenza del conflitto, quindi, da un punto di vista teorico generale, sussiste senza ombra di dubbio l'amministratore unico si fa "dominare" dall'interesse secondario (privato), che condiziona e pregiudica l'interesse primario all'imparzialità ed alla trasparenza.
Da un punto di vista prettamente giuridico, i riferimenti ed i fondamenti devono essere rinvenuti nel D.P.R. 16.04.2013, n. 62, regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
Orbene, proprio in relazione alla concreta fattispecie, occorre tener conto dell'art. 2, comma 3, del citato D.P.R., ove viene stabilito che le Pubbliche amministrazioni estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal presente codice a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione. Siffatta prescrizione normativa è importante, in quanto soprattutto il "commercialista" non risulta essere dipendente della società pubblica.
A questo punto, si impone un importante chiarimento. Precisamente, ai sensi dell'art. 2, comma 1, del citato D.P.R., il Codice di comportamento si applica, primariamente, ai pubblici dipendenti. Nei confronti di coloro che non sono pubblici dipendenti, trova applicazione la riportata disposizione (art. 2, comma 3, D.P.R. 16.04.2013, n. 62), in osservanza della quale le Pubbliche amministrazioni devono estendere gli obblighi di condotta, previsti dal Codice, ad altri soggetti, fra cui: a) il titolare di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche; b) tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo.
Ora, seppure non qualificassimo l'amministratore unico della società pubblica quale "dipendente" della medesima (ma potremmo anche addivenire a tale qualificazione), non vi è dubbio che il medesimo rientra nella categoria "a". Parimenti, non vi è dubbio che il commercialista rientra nella categoria "b".
Quindi, è ben possibile affermare che gli obblighi previsti dal D.P.R. 16.04.2013, n. 62 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici) trovano tendenziale e piena applicazione anche nei riguardi di "altri" soggetti, non propriamente dipendenti pubblici.
A questo punto, occorre tener conto dell'art. 7 del Codice, disciplinante l'obbligo di astensione, il quale stabilisce che il dipendente (o altra figura, come prima evidenziato) "si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza".
Ora, non vi è dubbio che l'amministratore unico della società pubblica si trova in palese situazione di conflitto di interesse, in quanto, da un lato riveste la predetta carica in una società pubblica, dall'altro è socio di un'altra società (privata), nella quale il beneficiato commercialista è anche socio. Appare ben evidente che, nei riguardi dell'amministratore unico, il conflitto di interessi si manifesta, gravemente, in una duplice forma:
   - in una forma diretta, in quanto si potrebbe ben sospettare che l'amministratore unico, conferendo al "proprio amico" socio dell'altra società privata, coltiva un "interesse proprio";
   - in una forma indiretta, in quanto il suo affidamento (si sospetta senza gara!) è stato effettuato in favore di un professionista, guarda caso socio in una distinta società privata, ove anche egli è socio.
Giustamente, in sede di quesito, si pone in evidenza il fatto che l'incarico è stato affidato al commercialista, quale persona fisica, e non alla società privata, che conosce la nefasta (in termini di conflitti di interesse) compresenza dei due soggetti.
Pertanto, non sembrano sussistere dubbi in merito alla sussistenza di un chiaro conflitto di interesse, confermato anche da un ulteriore elemento di analisi.
Precisamente, occorre tener conto che, per costante giurisprudenza, le situazioni di conflitto di interesse non sono tassative: "Il Collegio ritiene di poter fare applicazione, in quanto non contraddetto dalla disciplina attualmente vigente, del costante orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 19.09.2006, n. 5444) per cui "le situazioni di conflitto di interessi, nell'ambito dell'ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite" (Cons. Stato Sez. V, 11.07.2017, n. 3415).
Quindi, al di là della corretta riferibilità della concreta situazione all'art. 7, D.P.R. 16.04.2013, n. 62, occorre tener conto delle considerazioni generali e teoriche prima effettuate, che testimoniano la sussistenza di un palese conflitto di interessi.
Per quanto concerne l'altra parte del quesito, cioè "la eventuale necessità di motivare la decisione di ricorrere all'esterno e non gestire la contabilità con propri dipendenti", è possibile solo formulare considerazioni generali, in quanto non sono stati forniti elementi conoscitivi. Allora, in linea generale, occorre osservare che la "cura e la tenuta" della contabilità di una società pubblica costituisce attività propria ed istituzionale dell'Ente. Conseguentemente, occorre, senza dubbio, una congrua motivazione per l'affidamento "esterno" dell'attività.
Precisamente, la società pubblica avrebbe dovuto ben illustrare le puntuale ragioni, in base alle quali la struttura interna non è in grado di effettuare l'indicata attività. Ciò, in base ad un principio generale, ben espresso dall'art. 7, comma 6, lett. b), D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, secondo cui, in caso di "incarichi esterni", l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno
".
In altri termini, l'ente pubblico deve, innanzitutto, verificare se vi siano al proprio interno dipendenti in possesso delle professionalità specificamente richieste e, in caso affermativo, accertare se queste ultime possano essere adibite allo svolgimento dell'incarico. La giurisprudenza contabile, da tempo, richiede una rigorosa motivazione in merito.
Infatti, la sezione regionale di controllo per il Molise, con la deliberazione 23.07.2009, n. 33, ha ben specificato come la rigorosa motivazione, relativa alla necessità di ricorrere ad un apporto esterno, debba anche dare atto dell'impossibilità di non avere potuto fare fronte all'esigenza mediante il migliore o più produttivo impiego delle risorse umane a disposizione dell'ente.
Ne consegue che l'ente non potrà limitarsi, nel motivare il ricorso all'incarico, ad evidenziare l'indisponibilità del proprio personale, in quanto "sovraimpegnato per la parte ordinaria", o "impegnato nel perseguimento di altri obiettivi programmatici" (in tal senso: C. Conti, Trentino-Alto Adige, sede di Trento, Sez giurisdizionale sentenza 19.02.2009, n. 6).
Pertanto, non sussiste alcun dubbio in relazione alla necessità di una rigorosa motivazione.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 16.04.2013, n. 62, art. 2 - D.P.R. 16.04.2013, n. 62, art. 7 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 7 - Cons. Stato Sez. V, 11.07.2017, n. 3415
Documenti allegati

C. Conti, Molise, Sez. controllo, 23.07.2009, n. 33
(01.02.2018 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Comune di Ferno (VA). Richiesta di parere in merito al procedimento di permesso di costruire in sanatoria per opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica prima dell'apposizione del vincolo paesaggistico. Protocollo di riferimento regionale n. T1.2016.0051211 del 10/10/2016. COMUNICAZIONE (Regione Lombardia, nota 01.12.2016 n. 62321 di prot.).

aggiornamento al 29.02.2020

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAssenze per provvedimenti Coronavirus.
Domanda
A seguito dell’emissione delle ordinanze ministeriali/regionali recanti “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019“, abbiamo sospeso il servizio dell’asilo nido e della biblioteca civica.
Come devono essere trattate le assenze dal servizio dei questi dipendenti?
Risposta
Le misure urgenti adottate nelle ordinanze di cui al quesito, riguardano interventi volti a contenere la diffusione del COVID-19 più noto come Coronavirus. Allo scopo di evitare il diffondersi del virus è stata disposta la chiusura dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché la sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura fino al 1° marzo compreso.
Tale sospensione configura un caso di impossibilità di rendere la prestazione lavorativa non imputabile ad alcuna delle parti del rapporto di lavoro: né al datore di lavoro né al lavoratore.
L’autorità che è intervenuta e ha deciso la sospensione dei servizi non ha infatti agito come datore di lavoro ma come ufficiale di governo.
Peraltro va aggiunto che esistono due diversi tipi di situazioni riconducibili l’una alle ordinanze regionali, le altre alle ordinanze dei sindaci dei comuni sede dei principali focolai del virus.
Le ordinanze regionali sospendono il servizio degli asili nido e delle biblioteche nei rispettivi territori.
Le ordinanze dei sindaci vietano ai residenti nei comuni sedi dei principali focolai, di uscire dal territorio comunale, impedendo quindi al lavoratore di prestare il proprio servizio presso un datore di lavoro al di fuori del territorio comunale oggetto della restrizione.
Non sono rinvenibili nei CCNL vigenti, disposizioni che trattino in modo specifico la complessiva fattispecie e gli effetti che ne possono derivare sul rapporto di lavoro.
Ad oggi, pertanto, possono essere fatte valere le istruzioni fornite dall’ARAN nei casi di eventi calamitosi o eventi atmosferici avversi.
Le indicazioni dell’Agenzia sono quelle di un datore di lavoro che, pur non essendo tenuto a corrispondere la retribuzione per i periodi oggetto di assenza, potrà certamente applicare tutta una serie di istituti e discipline contrattuali che consentono di tutelare la posizione del dipendente.
Le assenze possono pertanto essere giustificate ricorrendo ad istituti contrattuali e di legge come ferie e permessi retribuiti oppure anche concordando con il lavoratore interessato, su un più ampio arco temporale, l’eventuale recupero delle ore non lavorate.
Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti degli asili nido e delle biblioteche, agli stessi, potranno essere chieste mansioni da essi esigibili in aree diverse da quelle oggetto di sospensione.
Stessa previsione non è evidentemente applicabile ai lavoratori ai quali sono rivolte le misure restrittive di tipo territoriale.
L’eccezionalità della contingenza in continuo divenire conduce a ritenere che verrà adottata una soluzione per colmare, nell’emergenza, il vuoto normativo che incide negativamente sulla sfera del lavoratore e che si colloca come elemento di differenziazione tra mondo del lavoro privato e pubblico (27.02.2020 - link a www.publika.it).

PATRIMONIOL'ufficio patrimonio di questa Regione chiede di conoscere se, relativamente a contratti di locazione di immobili di proprietà, debba procedere ai sensi del codice degli appalti (anche in relazione agli obblighi di tracciabilità) o se l'ente possa procedere in autonomia applicando le norme del Codice Civile.
L'art. 17 del Codice degli appalti (D.Lgs. 18.04.2016, n. 50) "Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi" dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. 19.04.2017, n. 56 esclude dal proprio campo di applicazione i contratti "a) aventi ad oggetto l'acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni".
Tale esclusione non determina in automatico la piena libertà di azione dell'Amministrazione in quanto, come riconosciuto dalla giurisprudenza "Gli artt. 4 e 17, lett. a), del codice dei contratti vanno interpretati nel senso che per i contratti attivi e passivi della P.A., ad oggetto l'acquisto o la locazione di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili, si devono rispettare i principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica previsti dall'art. 4 per tutti i contratti pubblici esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del codice, e spetta all'ANAC la relativa vigilanza e il controllo ai sensi dell'art. 213 del D.Lgs. n. 50/2016".
In tale ottica l'ANAC con Comunicato 16.10.2019 del Presidente "Indicazioni relative all'obbligo di acquisizione del CIG e di pagamento del contributo in favore dell'Autorità per le fattispecie escluse dall'ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici" ha previsto l'applicazione a tali contratti degli obblighi di tracciabilità mediante acquisizione del codice identificativo gara (smart-cig) a prescindere dall'importo.
Pertanto, allo stato attuale, pur fuori dal campo di applicazione del codice degli appalti, la disciplina applicabile ai contratti di locazione vede comunque l'applicazione di taluni principi e del vincolo di tracciabilità propri della disciplina generale in materia di contratti pubblici.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 17 - D.Lgs. 19.04.2017, n. 56 - Comunicato 16.10.2019 del Presidente ANAC
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. V, 29.01.2020, n. 720 - Cons. Stato Sez. comm. spec. Parere, 10.05.2018, n. 1241
(26.02.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTII poteri del RUP non dirigente/responsabile del servizio.
Domanda
Nel nostro ente (un comune) privo di dirigenti, si sta ponendo la questione dei poteri del RUP (normalmente una categoria D a volte non coincidente con il responsabile del servizio con funzioni gestionali), alla luce di quanto viene espresso in giurisprudenza secondo cui, a titolo esemplificativo, il provvedimento di esclusione dall’appalto compete al responsabile unico del procedimento anche se questo soggetto non coincide con il titolare dei poteri dirigenziali (nel nostro ente assegnati con provvedimento del sindaco ex art. 109 del TUEL).
In tale contesto, è possibile specificare nel bando di gara che i provvedimenti di esclusione verranno adottati direttamente dal responsabile del servizio su proposta del RUP? Oppure in che modo l’ente potrebbe disciplinare questi aspetti nella legge di gara?
Risposta
La tematica prende spunto, evidentemente, dalla recente giurisprudenza e dalla posizione espressa dall’ANAC (finanche nei bandi tipo oltre che nelle linee guida n. 3) di cui si è già parlato. E sul tema, chi scrive, ha avuto modo già di evidenziare la particolarità di un preteso potere attribuito anche al RUP non dirigente e non responsabile del servizio di adottare atti a valenza esterna pur non avendo la competenza esplicita e nonostante il chiaro dettato normativo di cui all’articolo 6 della legge 241/1990 ex art. 6, comma 1, lett. e) che –testualmente– puntualizza che nel caso in cui il responsabile del procedimento non abbia la competenza ad adottare il provvedimento a valenza esterna deve limitarsi a predisporre la proposta per il proprio responsabile di servizio.
Quest’ultimo, sempre in base alla norma in commento, potrà finanche discostarsi dalla proposta ma motivando adeguatamente le ragioni anche per un problema di responsabilità. È chiaro che la decisione di agire diversamente rispetto a quanto proposto dal responsabile del procedimento deve avere una adeguata “tracciatura” per evitare che quest’ultimo risponda per una decisione (contraria alla propria proposta) assunta dal proprio responsabile di servizio.
In tempi recentissimi sul tema dei poteri del RUP a valenza esterna a prescindere dalla circostanza che sia o meno un responsabile di servizio e/o dirigente si è espresso il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 1104/2020.
Il giudice di Palazzo Spada non manifesta alcuna perplessità nel ritenere che i provvedimenti di esclusione debbano essere adottati dal RUP a prescindere dalla qualifica/categoria di appartenenza. Ad esempio, nel caso di specie il RUP era un istruttore direttivo (cat. D) neanche responsabile del servizio visto che lo stesso è rimesso ad un dirigente.
Ciò nonostante, come da giurisprudenza costante (e, si ripete, secondo la prassi dell’ANAC) la statuizione è stata nel senso che i provvedimenti in parola sono di competenza del RUP.
È chiaro che, nell’ambito di una stazione appaltante priva di dirigenti e nel caso in cui il RUP non coincida neppure con il responsabile del servizio con poteri a valenza esterna, la questione può determinare non poche problematiche soprattutto per la “scarsa” propensione del RUP ad adottare provvedimenti a valenza esterna che, evidentemente, implicano gravose responsabilità.
Fermo restando che la posizione giurisprudenziale è quella appena espressa ovvero che il RUP è tenuto ad adottare i provvedimenti a valenza esterna (ammissioni, esclusioni, aggiudicazioni senza impegno di spesa), si può ritenere –a parere di chi scrive– che probabilmente la legge di gara potrebbe chiarire questo passaggio rimettendo il potere di adottare il provvedimento esterno direttamente in capo al responsabile del servizio piuttosto che al RUP.
La circostanza che ciò risulti esplicitamente chiarito potrebbe essere valutata nell’interpretazione secondo cui la responsabilità del RUP è di tipo residuale ovvero si estende ad una serie di atti (quelli appena sintetizzati) solo quando non sia stati espressamente attribuiti ad altri soggetti (art. 31 del codice dei contratti).
Rimane fermo che –a fronte della giurisprudenza che rimette le incombenze estromissive al RUP (ritenendo, ad esempio, come nel caso della sentenza ultima citata del CdS che l’esclusione comminata dalla commissione di gara –dal presidente– sia illegittima)– è necessario un chiaro intervento del legislatore o dell’ANAC per chiarire il passaggio anzidetto ovvero: se il RUP non è dirigente/responsabile del servizio può adottare atti a valenza esterna? Soprattutto negli enti locali (26.02.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLa tutela della privacy nei concorso riservati alle categorie protette.
Domanda
Quali accortezze occorre avere nella gestione di un concorso riservato alle categorie protette, per la parte di pubblicazione dei dati via web?
Risposta
Gli enti che bandiscono procedure concorsuali, riservate alla categorie protette, devono prestare la massima attenzione alla diffusione dei dati dei partecipanti, dal momento che in ballo c’è il trattamento del dato per il quale il legislatore europeo e nazionale hanno previsto il massimo della tutela: lo stato di salute.
La salute, tra tutti i dati sensibili di una persona fisica (il Regolamento UE 2016/679, all’articolo 9, li definisce “particolari”), è certamente quello che deve essere maggiormente protetto, soprattutto nelle comunicazioni via web che l’ente che bandisce il concorso è tenuto a pubblicare, nello svolgimento della selezione.
Qui di seguito, per rispondere al quesito, vengono tracciati una serie di suggerimenti legati alle singole fasi procedimentali del concorso.

Fase 1
Pubblicazione elenco degli ammessi e degli esclusi al concorso.
È possibile convocare i candidati ammessi al concorso (o alla preselezione, se prevista) con un semplice comunicato a firma del presidente della Commissione che recita più o meno così.
AVVISO
Tutti i candidati che hanno presentato domanda di partecipazione al concorso riservato alle categorie protette, per la copertura del posto di ………………. Categoria …………, come da bando pubblicato in data ………….che NON hanno ricevuto lettera di esclusione, sono convocati il giorno……., alle ore…… presso……….. per sostenere la prima prova scritta del concorso.
Sin qui, il problema dei dati, non si pone.


Fase 2
Per la comunicazione dei candidati ammessi alla seconda prova si può procedere con un comunicato del presidente della Commissione, in cui compare solamente l’elenco degli ammessi, con, a fianco, il relativo punteggio. I nominativi dei candidati dovranno essere sostituiti dall’uso delle iniziali o, meglio ancora, da dei codici identificati sostitutivi, attribuiti dalla commissione ad ogni candidato ammesso. Tramite e-mail o telefono, ad ogni candidato verrà comunicato il proprio codice identificativo. Esempio:
Posizione   Candidato                  Punteggio prova scritta
01.            Candidato 014-2020   28/30
02.            Candidato 006-2020   27/30
03.            Candidato 003-2020   26/30


Fase 3
Approvazione graduatoria finale. Anche in questo caso il nominativo del vincitore e dei candidati risultati idonei deve essere sostituito dall’uso di un codice identificativo che sarà lo stesso utilizzato per la comunicazione di ammissione alla seconda prova. Esempio:
Posizione   Candidato                 Punteggio prova scritta   Punteggio prova orale   Punteggio totale   Vincitore / idoneo
01.            Candidato 014-2020   28/30                           27/30                          55                       Vincitore
02.            Candidato 006-2020   27/30                           27/30                          54                       Idoneo
03.            Candidato 003-2020   26/30                           26/30                          52                       Idoneo


Fase 4
Approvazione verbali del concorso e della graduatoria di merito, di norma, con determinazione del responsabile del servizio personale. Anche in questo caso, dovranno essere oscurati tutti i nominativi e sostituiti con dei Codici identificati, già utilizzati in sede concorsuale. Prestare molta attenzione anche al contenuto dei verbali della Commissione che verranno allegati alla determinazione dirigenziale, provvedendo, eventualmente, all’oscuramento di alcuni dati.

Fase 5
Determinazione di assunzione in servizio del vincitore e approvazione schema di contratto individuale.
Nel testo della determinazione e nello schema di contratto individuale, verrà utilizzato il Codice matricola, attribuito preventivamente alla presa in servizio, al neo-dipendente dal servizio personale.

Ricapitolando: sull’argomento occorre prendere a riferimento le seguenti norme:
   • regolamento (UE) 2016/679, in particolare l’articolo 9, Paragrafo 4;
   • decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, articolo 2-septies, nel testo inserito dall’art. 2, comma 1, lett. f), del d.lgs. 10.08.2018, n. 101;
   • indicazioni del Garante privacy contenute nel documento del 15.05.2014, recante “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati”, in particolare il Paragrafo 3. rubricato: Fattispecie esemplificative, Parte 3.b – Graduatorie, laddove si specifica che:
Non possono quindi formare oggetto di pubblicazione dati concernenti i recapiti degli interessati (si pensi alle utenze di telefonia fissa o mobile, l’indirizzo di residenza o di posta elettronica, il codice fiscale, l’indicatore ISEE, il numero di figli disabili, i risultati di test psicoattitudinali o i titoli di studio), né quelli concernenti le condizioni di salute degli interessati (cfr. art. 22, comma 8, del Codice), ivi compresi i riferimenti a condizioni di invalidità, disabilità o handicap fisici e/o psichici.

L’insieme di tali disposizioni impedisce, pertanto, agli enti di divulgare i dati sullo stato di salute delle persone fisiche, anche se partecipano a una procedura concorsuale, riservata a soggetti in condizioni di disabilità, compresi i richiami alla legge 12.03.1999, n. 68, recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.
Il divieto risulta ancora più stringente se i dati vengono pubblicati nei siti web, sia nella sezione dedicata all’Albo pretorio on-line che sulla sezione Amministrazione trasparente > Bandi di concorso. La violazione del divieto comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da parte del Garante privacy, come è possibile verificare consultando il seguente link.
Il provvedimento sanzionatorio, nella sua parte narrativa, illustra con precisione le motivazioni che hanno indotto l’Autorità Garante a emanare una ordinanza-ingiunzione, datata 14.03.2019, dell’importo di euro 10mila, nei confronti di un comune del centro Italia, per aver effettuato un trattamento illecito di dati personali mediante la diffusione di dati idonei a rilevare lo stato di salute.
La sanzione –per la quale è stata anche concessa una rateizzazione di 25 rate mensili, da 400 euro ciascuna– rappresenta il minimo edittale previsto, dal momento che la misura della sanzione era stata stabilita (con il “vecchio” Codice privacy) da un minimo di 10.000 a un massimo di 120.000 euro (25.02.2020 - link a www.publika.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consigli, parla lo statuto. Un consigliere non può restare senza gruppo. Se non ci sono le condizioni per costituirne uno, deve confluire nel misto.
Un consigliere può essere espulso dal proprio gruppo consiliare?

Un consigliere comunale è stato espulso dal gruppo consiliare di appartenenza essendo «venuto meno il necessario rapporto di fiducia», e lo stesso amministratore non ha aderito ad alcun altro gruppo compreso il gruppo misto. Nell'ambito dei consigli comunali, i gruppi non sono configurabili quali organi dei partiti e, pertanto, non sembra sussistere in capo a questi ultimi una potestà direttamente vincolante sia per un membro del gruppo di riferimento, che per gli organi assembleari dell'ente.
Si richiama la sentenza n. 16240/2004 con la quale il Tar Lazio ha precisato che i gruppi consiliari hanno una duplice natura; essi rappresentano, per un verso, la proiezione dei partiti all'interno delle assemblee, e, per altro verso, costituiscono parte dell'ordinamento assembleare, in quanto articolazioni interne di un organo istituzionale. Nella citata pronuncia, si legge che «è dunque possibile distinguere due piani di attività dei gruppi: uno, più strettamente politico, che concerne il rapporto del singolo gruppo con il partito politico di riferimento, l'altro, gravitante nell'ambito pubblicistico, in relazione al quale i gruppi costituiscono strumenti necessari per lo svolgimento delle funzioni proprie degli organi assembleari, contribuendo ad assicurare l'elaborazione di proposte e il confronto dialettico tra le diverse posizioni politiche e programmatiche».
L'art. 38, comma 2, del Tuel demanda al regolamento, «nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto», la disciplina del funzionamento dei consigli; pertanto, le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari devono essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l'ente locale si è dotato.
Dalla lettura dello statuto e del regolamento sul funzionamento del consiglio comunale, emerge che i consiglieri possono costituire gruppi monopersonali solamente nel caso in cui sia stato eletto un solo consigliere nell'ambito di una lista, oppure, «in corrispondenza della nascita di nuovi movimenti politici a livello nazionale». Dall'esame delle norme citate emerge, altresì, che, qualora i consiglieri nel corso della consiliatura abbiano abbandonato il proprio gruppo originario, ove non abbiano diritto a costituire un gruppo di un solo componente, «vanno assegnati al gruppo misto».
Tali disposizioni, nel prevedere l'iscrizione d'ufficio al gruppo misto in assenza dei presupposti previsti a giustificazione del gruppo monopersonale, sembrerebbero escludere la possibilità che il consigliere possa decidere di non appartenere ad alcun gruppo. Nell'ambito delle surriferite fonti di autonomia locale non sembra potersi rinvenire una specifica normativa che preveda l'ipotesi della espulsione di un consigliere dal proprio gruppo di appartenenza originario.
Tanto premesso, nel ribadire che la materia dei gruppi consiliari è interamente demandata allo statuto e al regolamento sul funzionamento del consiglio, si rappresenta che è in tale ambito che dovrebbero trovare adeguata soluzione le relative problematiche applicative. Spetta, infatti, alle decisioni del consiglio comunale, valutare l'opportunità di indicare, con apposita modifica regolamentare, anche le ipotesi in argomento
(articolo ItaliaOggi del 21.02.2020).

EDILIZIA PRIVATAChiedo chiarimenti su modalità e adempimenti necessari per ottenere le agevolazioni previste per il bonus facciate.
I primi chiarimenti sul bonus facciate sono arrivati con la circolare 14.02.2020 n. 2/E dell’Agenzia delle entrate, che illustra tutte le regole e gli adempimenti da osservare per usufruire dell’agevolazione fiscale introdotta dalla legge di bilancio 2020.
Anzitutto, vi è l’obbligo per le persone fisiche non titolari di reddito di impresa di effettuare il pagamento con bonifico bancario o postale, utilizzando la stessa tipologia di bonifico predisposto da banche e Poste Spa per il pagamento delle spese che danno diritto alla detrazione per il recupero del patrimonio edilizio o per la riqualificazione energetica degli edifici (ecobonus).
Tra gli altri principali adempimenti:
   • l’invio all’Enea, entro 90 giorni dal termine dei lavori, di una scheda descrittiva, solo per gli interventi influenti dal punto di vista termico o che interessano oltre il 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda complessiva dell’edificio;
   • la comunicazione preventiva all’Asl di competenza, se prevista dalla normativa sulla sicurezza dei cantieri;
   • l’indicazione in dichiarazione dei redditi dei dati catastali identificativi dell’immobile.
Occorre poi conservare una serie di documenti inerenti gli interventi realizzati: fatture, ricevute del bonifico, abilitazioni amministrative, delibera assembleare e tabella millesimale per i lavori condominiali, asseverazione di un tecnico abilitato e attestazione di prestazione energetica (Ape) per gli interventi per i quali va fatta comunicazione all’Enea.
Per maggiori informazioni e approfondimenti si consiglia di consultare la citata circolare dall’Agenzia delle entrate e la guida pubblicata nella sezione l’Agenzia informa del suo sito internet (21.02.2020 - tratto da e link a www.fiscooggi.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Partecipazione impresa famigliare.
Domanda
È possibile per un dipendente pubblico partecipare attivamente alla gestione di un’attività del figlio in qualità di collaboratrice familiare?
Risposta
L’impresa familiare alla quale pare fare riferimento il quesito posto– è disciplinata, nel nostro ordinamento, dall’art. 230 bis del codice civile
[1], ed indica –per definizione– una tipologia di impresa caratterizzata dal lavoro dei familiari nella gestione della stessa, le cui caratteristiche principali sono riconducibili alle seguenti:
   • la presenza di un unico imprenditore;
   • la collaborazione di uno o più familiari nella gestione dell’attività.
I familiari possono lavorare nell’impresa con un contratto di lavoro dipendente, oppure prestare la propria opera in qualità di collaboratori familiari, ed, in tal caso, hanno diritto al mantenimento, alla partecipazione agli utili di impresa, alla gestione dell’attività, limitatamente alla gestione straordinaria, alla destinazione degli utili, alla produzione e alla cessazione dell’impresa. Si tratta, pertanto di una collaborazione attiva alla vita dell’impresa ed anche ai guadagni della stessa.
L’articolo 53, comma 1, del d.lgs. 165/2001, attraverso il richiamo espresso all’articolo 60 del Testo Unico n. 3/1957, sancisce il cosiddetto dovere di esclusività per i pubblici dipendenti, i quali “non possono esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente.”
Tale divieto assoluto risulta mitigato dai successivi commi del citato articolo che prevede che:
   • le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati (comma 2);
   • il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione all’esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente (comma 5).
Al fine di supportare le amministrazioni nell’applicazione della normativa in materia di svolgimento di incarichi da parte dei dipendenti e di orientare le scelte in sede di elaborazione dei propri regolamenti e nella definizione dei “criteri oggettivi e predeterminati”, il tavolo tecnico (a cui hanno partecipato il Dipartimento della funzione pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’ANCI e l’UPI, avviato ad ottobre 2013, in attuazione di quanto previsto dall’intesa sancita in Conferenza unificata il 24.07.2013) ha formalmente approvato il documento contenente “Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti”.
In tale documento, è scritto che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche –con percentuale di tempo superiore al 50%– gli incarichi, sia retribuiti che a titolo gratuito, che presentano la caratteristica della abitualità e professionalità, e si precisa che “l’incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo.”
D’altra parte, già la Circolare n. 6 del 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica citava il caso partecipazione del dipendente pubblico in società agricole a conduzione familiare, ritenendo che tale attività fosse compatibile solo se l’impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l’anno, spettando all’amministrazione di appartenenza –in sede di istruttoria della domanda di autorizzazione– valutare che le modalità di svolgimento siano tali da non interferire sull’attività ordinaria.
Alla luce di quanto sopra esposto, si esclude che la dipendente pubblica di cui al quesito possa partecipare attivamente alla gestione dell’attività di tabaccheria del figlio in qualità di collaboratrice familiare, non rinvenendosi le caratteristiche di saltuarietà ed occasionalità previste per poter legittimamente rilasciare apposita autorizzazione.
---------------
[1] Art. 230-bis Codice Civile: “Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la responsabilità genitoriale su di essi.
Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo
" (20.02.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVIA fronte di verifiche antimafia "positive" (con riscontro di interdittive) questa Amministrazione statale operante nella pubblica sicurezza procede a adottare i conseguenti provvedimenti di autotutela o cautelari.
Spesso gli interessati contestano che le informazioni antimafia siano state emesse senza contraddittorio o avvio del procedimento e ne chiedono l’annullamento.
Vi sono margini per accogliere queste lamentele?

La disciplina delle "informazioni antimafia") è contenuta nel D.Lgs. 06.09.2011, n. 159 il quale delinea un procedimento peculiare (rispetto agli ordinari procedimenti amministrativi), di natura cautelare e urgente che deroga, secondo la costante e consolidata giurisprudenza, alla disciplina della L. 07.08.1990, n. 241.
Infatti si sottolinea in modo costante come "Ai fini delle informazioni antimafia non occorre la comunicazione di avvio del procedimento, previsto dall'art. 7 della L. n. 241 e il preavviso di rigetto, previsto dall'art. 10-bis della stessa legge. L'informazione antimafia non richiede la necessaria osservanza del contraddittorio procedimentale, meramente eventuale in questa materia ai sensi dell'art. 93, comma 7, del D.Lgs. n. 159 del 2011". Ciò in quanto procedimento "intrinsecamente caratterizzato da profili di urgenza".
Ciò detto, se non è possibile dare rilievo a eventuali osservazioni concernenti le modalità di rilascio dell’informativa antimafia l’amministrazione procedente deve tuttavia valutare la necessità, nell’ambito del proprio procedimento (es. concessione di contributi, appalti ecc..) di procedere comunque tramite le garanzie previste dalla L. 07.08.1990, n. 241 in quanto, nel caso concreto, potrebbero non sussistere le ragioni di urgenza che legittimano l’omissione del contraddittorio.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 07.08.1990, n. 241, art. 7 - D.Lgs. 06.09.2011, n. 159, art. 93
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. III, 31.01.2020, n. 820 - TAR Piemonte-Torino Sez. I, 18.11.2019, n. 1152 - TAR Campania-Napoli Sez. I, 07.11.2018, n. 6465 - TAR Sicilia-Catania Sez. I, 20.08.2018, n. 1718 - Cons. Stato Sez. III Sent., 27.03.2017, n. 1378 - Cons. Stato Sez. III Sent., 28.10.2016, n. 4555 - Cons. Stato Sez. III Sent., 28.10.2016, n. 4550 - Cons. Stato Sez. III, 01.09.2014, n. 4447 (19.02.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTI FORNITURENuove categorie merceologiche soggette ad obbligo di centralizzazione.
Domanda
È possibile acquistare un’autovettura da destinare ai vari settori comunali mediante richiesta di preventivi alle concessionarie di zona?
Risposta
Con riferimento al quesito in premessa occorre richiamare il comma 581 della legge finanziaria 2020, che intervenire sull’art. 1, co. 7, del d.l. 95/2012, con l’obiettivo di rafforzare la centralizzazione e aggregazione di quelle committenze che presentano caratteristiche standardizzabili e rilevanti economicamente.
Il citato art. 1, co. 7, prevede l’obbligo di approvvigionamento attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27.12.2006, n. 296, ovvero mediante autonome procedure nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati.
Autonomia di acquisto che presuppone il rispetto del benchmark, ovvero i parametri di qualità-prezzo delle convenzioni quadro come limiti massimi per l’acquisto di beni e servizi comparabili (art. 26, l 488/1999, art. 1, co. 449-455-456, l. 296/2006).
Obbligo inizialmente previsto per alcune categorie merceologiche, quali, energia elettrica e gas, carburanti rete ed extra rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e mobile, buoni pasto (D.M. 22.12.2015), viene con la finanziaria 2020 esteso alle seguenti categorie di veicoli:
   • Autovetture (art. 54, co. 1, lett. a) del d.lgs. 285/1992 C.d.S. (veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo nove posti, compreso quello del conducente);
   • Autobus (art. 54, co. 1, lett. b) del d.lgs. 285/1992, (veicoli destinati al trasporto di persone equipaggiati con più di nove posti compreso quello del conducente), ad eccezione di quelli per il servizio di linea per trasporto di persone;
   • Autoveicoli per trasporto promiscuo (art. 54, co. 1, lett. c) del d.lgs. 285/1992, (veicoli aventi una massa complessiva a pieno carico non superiore a 3,5 t. o 4,5 t. se a trazione elettrica o a batteria, destinati al trasporto di persone e di cose e capaci di contenere al massimo nove posti compreso quello del conducente);
   • Autoveicoli e motoveicoli per le forze di polizia e autoveicoli blindati (altre tipologie di veicoli non sono state ritenute standardizzabili in quanto soggette a specifiche personalizzazioni da parte delle PA).
In presenza di queste tipologie merceologiche l’Amministrazione, indipendentemente dall’importo, potrà:
   • Aderire ad una Convenzione/Accordo quadro Consip/Centrale di committenza regionale
   • Utilizzare il Mepa o altro Strumento telematico di negoziazione della Centrale di Committenza Regionale.
Nel caso di specie qualora presente una convenzione attiva la stazione appaltante avrà la possibilità, almeno nell’infra 40.000,00 euro, di affidare direttamente, previa richiesta di preventivi alle concessionarie locali, a condizione che si rispetti il benchmark della convenzione, e che si utilizzino comunque gli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione da Consip o dalla Centrale di Committenza Regionale (19.02.2020 - link a www.publika.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGOPubblicazione provvedimenti organi indirizzo e dirigenti.
Domanda
Quali sono i provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo e dai dirigenti, oggetto degli specifici obblighi di pubblicazione, di cui all’art. 23, del d.lgs. n. 33/2013?
Risposta
L’articolo 23, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nella sua versione iniziale, prevedeva l’obbligo di pubblicare e aggiornare ogni sei mesi, in distinte partizioni della sezione «Amministrazione trasparente», gli elenchi dei provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo politico e dai dirigenti, con particolare riferimento ai provvedimenti finali dei procedimenti di:
   a) autorizzazione o concessione;
   b) scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al d.lgs. n. 163/2006;
   c) concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 150/2009;
   d) accordi stipulati dall’amministrazione con soggetti privati o con altre amministrazioni pubbliche.
Il successivo comma 2, stabiliva, invece, che per ciascuno dei provvedimenti compresi negli elenchi di cui al comma 1 doveva essere pubblicato:
   • il contenuto;
   • l’oggetto;
   • l’eventuale spesa prevista;
   • gli estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento.
La pubblicazione doveva avvenire nella forma di una scheda sintetica, prodotta automaticamente in sede di formazione del documento che contiene l’atto.
La norma originaria –peraltro non cristallina nella sua formulazione, in virtù della presenza della locuzione “con particolare riferimento”– ha subito delle sostanziali modifiche da parte dell’articolo 22, comma 1, del decreto legislativo 25.05.2016, n. 97, che ha abrogato le lettere a) e c), del comma 1 e l’intero comma 2.
Alla luce delle modifiche intervenute, il testo dell’art. 23, del d.lgs. 33/2013, risulta, oggi, così strutturato:
Art. 23 Obblighi di pubblicazione concernenti i provvedimenti amministrativi
   1. Le pubbliche amministrazioni pubblicano e aggiornano ogni sei mesi, in distinte partizioni della sezione «Amministrazione trasparente», gli elenchi dei provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo politico e dai dirigenti, con particolare riferimento ai provvedimenti finali dei procedimenti di:
[a) autorizzazione o concessione;]
b) scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al d.lgs. 18.04.2016, n. 50, fermo restando quanto previsto dall’articolo 9-bis;
[c) concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all’art. 24 del d.lgs. 150/2009;]
d) accordi stipulati dall’amministrazione con soggetti privati o con altre amministrazioni pubbliche, ai sensi degli artt. 11 e 15 della legge 07.08.1990, n. 241.
   [2. Per ciascuno dei provvedimenti compresi negli elenchi di cui al comma 1 sono pubblicati il contenuto, l’oggetto, la eventuale spesa prevista e gli estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento. La pubblicazione avviene nella forma di una scheda sintetica, prodotta automaticamente in sede di formazione del documento che contiene l’atto.]
Alla luce di quanto sopra, la risposta al quesito può essere formulata come di seguito riportato:
   – ogni sei mesi e per la durata di anni cinque, occorre pubblicare su Amministrazione trasparente > Provvedimenti, un elenco con i principali provvedimenti degli organi di indirizzo che, nei comuni, sono il Sindaco, la Giunta e il Consiglio comunale
[1], pertanto, andranno pubblicati i seguenti elenchi:
   • deliberazioni di Consiglio comunale;
   • deliberazione di Giunta comunale;
   • ordinanze del sindaco, ex art. 50 del TUEL 267/2000;
   • ordinanze del sindaco, ex art. 54 TUEL 267/2000;
   • decreti del sindaco.
Per ciò che concerne i dirigenti (o posizioni organizzative, in enti senza la dirigenza) occorre pubblicare degli elenchi semestrali di:
   • determinazioni dirigenziali;
   • ordinanze dirigenziali.
La tempistica degli obblighi di pubblicazione può essere indicata nella sezione Trasparenza, del Piano Anticorruzione, prevedendo –ma è solo una nostra indicazione– che gli elenchi del primo semestre dell’anno vengano pubblicati entro il 30 settembre del medesimo anno e gli elenchi del secondo semestre, entro il 31 marzo dell’anno successivo.
Per quanto riguarda, invece, gli atti per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, si ritiene che l’obbligo possa ritenersi già assolto, pubblicando tutti gli atti nella sottosezione Bandi di gara e contratti, come scrupolosamente previsto dall’articolo 37, del d.lgs. 33/2013
[2], mentre per gli accordi con altri soggetti, stipulati ai sensi degli artt. 11 e 15 della legge 241/1990, l’obbligo sarà già assolto con la pubblicazione degli elenchi delle deliberazioni di Giunta e di Consiglio o, in caso di accordi di rilevante impatto sull’organizzazione e sulle funzioni dell’ente, nella sottosezione Disposizioni generali > Atti generali.
L’elenco, in assenza di specifiche indicazioni della legge e dell’ANAC
[3], si ritiene che possa essere formato come da tabella sotto riportata, prestando la massima attenzione e cautela al contenuto dell’oggetto dell’atto, soprattutto alla luce delle vigenti disposizioni in materia di tutela dei dati personali (si pensi, a titolo di esempio per tutti, alle ordinanze sindacali di TSO e ASO [4]).

ATTO                     NUM.   DATA           OGGETTO
Delibera consiliare   01       07.01.2020   Approvazione …


Contrariamente a ciò che si trova pubblicato in alcuni siti web di qualche ente locale, chi scrive, ritiene che non sia più pubblicabile il contenuto (cioè il testo integrale) degli atti adottati dagli amministratori e dai dirigenti. Ciò in virtù dell’introduzione, nella legislazione italiana, proprio dal d.lgs. 97/2016, dell’innovativo (e per certi versi rivoluzionario) istituto dell’accesso civico generalizzato (cosiddetto: FOIA)
[5].
Istituto attraverso il quale, qualsiasi cittadino del mondo, potrà avanzare richiesta di accesso ai dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, in forma totalmente gratuita e senza necessità di motivazione. Una volta consultati gli elenchi e avuto contezza dell’oggetto dell’atto, sarà estremamente agevole presentare istanza di accesso con il FOIA o con la legge 241/1990 (Titolo V, motivando la richiesta ex art. 22, comma 1, lettera b
[6]). I relativi modelli per garantire l’accesso (FOIA o legge 241), dovranno essere pubblicati e resi facilmente scaricabili e compilabili, dagli enti nella sottosezione Altri contenuti > Accesso civico.
---------------
[1] Si veda articolo 36, comma 1, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267;
[2] Si veda Allegato 1, delibera ANAC n. 1310 del 28/12/2016, sottosezione “Provvedimenti”;
[3] Si veda Paragrafo 5.5, della delibera ANAC n. 1310 del 28/12/2016, recante “Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016”;
[4] TSO = Trattamento Sanitario Obbligatorio; ASO = Assistenza Sanitaria Obbligatoria;
[5] Si veda articolo 5, comma 2 e seguenti e articolo 5-bis, d.lgs. 33/2013;
[6] Legge 241/1990, art. 22, co. 1, lettera b): per “interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso
(18.02.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALINuove regole per la nomina dei revisori dei conti: già in vigore, ma solo a metà.
Domanda
Il revisore del mio Ente scadrà a metà marzo. Si applicano già le nuove regole introdotte dal decreto fiscale oppure no?
Risposta
Il quadro normativo che disciplina la nomina degli organi di revisione degli enti locali è stato profondamente modificato dall’art. 57-ter del decreto fiscale 2020 (d.l. 124/2019).
La norma ha infatti modificato il comma 25 dell’articolo 16 del decreto legge n. 138/2011, sostituendo alle parole: “a livello regionale” le parole: “a livello provinciale” ed inserito ex novo il comma 25-bis del medesimo articolo. Le novità principali che il Legislatore ha introdotto sono pertanto essenzialmente due:
   1) i nuovi revisori sono estratti a sorte da un elenco costituito su base provinciale e non più su base regionale come avveniva in passato;
   2) negli enti in cui l’organo di revisione non è monocratico bensì collegiale ai sensi dell’art. 234 del TUEL, i consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane e le unioni di comuni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali eleggono, a maggioranza assoluta dei membri, il componente dell’organo di revisione che ricoprirà il ruolo di presidente del collegio.
Questi è scelto tra i soggetti validamente inseriti nella fascia tre formata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’Interno 15/02/2012, n. 23, o comunque nella fascia di più elevata qualificazione professionale in caso di modifiche a tale regolamento. Il comma 2 dell’art. 57-ter prevede poi che Il Governo modifichi il suddetto decreto prevedendo che l’inserimento nell’elenco dei revisori dei conti degli enti locali avvenga a livello provinciale e non più a livello regionale.
I dubbi emersi fra gli operatori degli enti locali è se tale nuovo quadro normativo sia di immediata applicazione oppure sia necessario attendere l’adeguamento del suddetto decreto ministeriale. La risposta è stata fornita dallo stesso Ministero dell’Interno con un parere reso ad una prefettura e pubblicato sul sito web dello stesso Ministero (il testo integrale è reperibile al seguente link: https://dait.interno.gov.it/pareri/98126).
In esso si afferma che il riferimento dell’articolo 57-ter, comma 2 alla modifica del regolamento menzionato, vale esclusivamente per la formazione dell’elenco dei revisori su base provinciale, al fine di permettere le modifiche tecniche ed i correttivi all’attuale sistema della banca dati su base regionale. A contrario, la disposizione di cui alla lettera b) del medesimo art. 57-ter (ovvero il nuovo comma 25-bis del d.l. 138/2011), esplica i suoi effetti in via diretta dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in oggetto e non è subordinata alla modifica del decreto ministeriale n. 23 del 15/02/2012.
Pertanto, gli enti con organo collegiale a far data dal 25.12.2019 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 157 del 19/12/2019 del decreto fiscale), hanno la facoltà di applicare la nuova disposizione relativa alla scelta del presidente. Ciò vale anche per quegli enti per i quali si è proceduto ad estrazione dei nominativi prima dell’entrata in vigore della disposizione in esame, ovvero anche dopo la sua entrata in vigore, senza che siano ancora intervenute le relative nomine da parte del consiglio dell’ente. Viceversa, gli enti che hanno un organo di revisione monocratico, nelle more dell’adozione delle necessarie modifiche al d.m. 15/02/2012 n. 23, dovranno fare ancora riferimento agli elenchi su base regionale.
Ciò trova conferma nel parere ministeriale, laddove si afferma che “(…) il riferimento territoriale alla provincia, non sia immediatamente applicabile. Infatti, al fine di realizzare tale modifica, il successivo comma 2, demanda al Governo la modifica del decreto del Ministero dell’Interno 15.02.2012, n. 23, prevedendo l’inserimento nell’elenco dei revisori a livello provinciale”.
Siamo pertanto di fronte ad una norma che al momento è già applicabile ma solo parzialmente, essendone una parte subordinata alla modifica prevista dal comma 2 dell’art. 57-ter del decreto fiscale. Una norma un po’ pasticciata che se da un lato ha il vantaggio di ridurre i costi dell’organo di revisione degli enti locali, con riguardo al rimborso spese di trasferta dei revisori, dall’altro ripropone il tema del controllo politico sull’organo di controllo esterno. Almeno laddove tale organo non è monocratico.
Non a caso la norma è stata fin da subito fortemente osteggiata da Ancrel che, con apposito emendamento al decreto milleproroghe, ne ha chiesto il rinvio al 2021.
Infine, cogliamo l’occasione per segnalare che lo scorso 4 febbraio il Ministero dell’Interno ha pubblicato sul proprio sito un decreto direttoriale di modifica dell’algoritmo di estrazione dei revisori. Esso ha lo scopo di garantire una maggiore probabilità di estrazione per i nominativi che non sono mai stati estratti  (17.02.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Convezione art. 14 per utilizzo P.O..
Domanda
Potreste spiegare meglio come funziona una convenzione tra enti per l’utilizzo congiunto di un dipendente incaricato di posizione organizzativa?
Risposta
L’articolo 14 del CCNL 22/01/2004 ha introdotto la possibilità di utilizzo congiunto di un dipendente tra più enti locali, chiarendo che esso deve essere disciplinato da idoneo accordo tra le amministrazioni interessate, che disponga innanzitutto in merito alla percentuale di ripartizione della prestazione lavorativa del dipendente in favore dell’ente di appartenenza (cui rimane organicamente legato) e in favore dell’ente utilizzatore (dal quale dipenderà funzionalmente per la quota parte ad esso assegnata).
Già tale originaria disposizione pattizia, ripresa nella stessa direzione dall’articolo 17, comma 6, del CCNL 21/05/2018, aveva chiarito che nulla osta a che il dipendente in questione sia titolare di un incarico di posizione organizzativa presso uno o tutti e due gli enti coinvolti: ciascun ente, però, dovrà riproporzionare il valore dell’indennità di posizione attribuita presso di sé e derivante dal processo di pesatura effettuato secondo le proprie regole, in funzione della percentuale di attribuzione della prestazione lavorativa spettante; e ciascun ente si farà carico della propria quota di indennità, dovendo l’ente utilizzatore rimborsare all’ente di provenienza solo le normali voci retributive del dipendente e non certo la quota di indennità di posizione attribuita presso l’altra amministrazione.
Per essere ancora più espliciti, se presso l’ente A (ente di appartenenza), il dipendente è titolare di un incarico di posizione organizzativa cui è attribuita una indennità di posizione di euro 10.000,00/annui, e la convenzione per l’utilizzo congiunto del dipendente prevede una ripartizione della prestazione lavorativa al 50% (18 h/settimanali per ciascun ente), ecco che l’ente di appartenenza dovrà riproporzionare tale indennità al 50%, corrispondendo al dipendente una posizione pari ad euro 5.000,00 annui.
Nulla dovrà l’ente utilizzatore, che chiameremo B, in relazione a tale somma, che resta di esclusiva competenza e interesse dell’ente A.
Ove lo ritenga, e secondo il proprio regolamento in materia, l’ente B potrà certamente attribuire altro incarico di posizione organizzativa allo stesso dipendente, procedendo, quanto alla sua pesatura, esattamente come A, ovvero seguendo il proprio disciplinare in materia e riproporzionandola al 50%.
L’art. 16, comma 6, del CCNL 21/05/2018, all’ultimo capoverso, aggiunge solo che “al fine di compensare la maggiore gravosità della prestazione svolta in diverse sedi di lavoro, i soggetti di cui al precedente alinea possono altresì corrispondere con oneri a proprio carico, una maggiorazione della retribuzione di posizione attribuita ai sensi del precedente alinea, di importo non superiore al 30% della stessa”, intendendo che il solo ente utilizzatore, ovvero B, può riconoscere, se lo ritiene, una maggiorazione della posizione eventualmente attribuita presso di sé (e riproporzionata come illustrato sopra) fino al 30% della stessa. Tale facoltà non è concessa all’ente di provenienza.
Nell’esempio (con cifre puramente indicative) proposto, perciò:
   • Ente A è posizione euro 10.000,00 – utilizzo 50% è nuovo importo posizione euro 5.000,00 (interamente a carico di A)
   • Ente B è posizione euro 9.000,00 – utilizzo 50% è nuovo importo 4.500,00 + (eventualmente) maggiorazione 30% pari a euro 1.350,00, per un totale di euro 5.850,00 (interamente a carico di B) (13.02.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: La gara nell’ambito dei 40mila euro e l’esigenza di rispettare l’evidenza pubblica.
Domanda
Con numerosi quesiti, spesso, viene posta la questione dell’affidamento diretto entro i 40mila euro e della necessità (o meno) di una particolare motivazione soprattutto ora alla luce delle drastiche modifiche apportate all’articolo 36 del codice ed alla introduzione delle fattispecie di affidamento diretto previa consultazione di preventivi, per i servizi e per le forniture, fino al sopra soglia comunitaria che legittimerebbero il RUP ad agire discrezionalmente sugli inviti.
Risposta
Come si è rilevato in altre circostanze, la previsione dell’affidamento diretto “puro” entro i 40mila euro, tanto per forniture/servizi/lavori è una fattispecie introdotta dal legislatore che ha cercato –in questo modo– di conciliare i principi classici della trasparenza/oggettività con l’esigenza di assicurare l’assegnazione del micro-appalto in modo tempestivo.
In sostanza, in relazione ad affidamenti di importo contenuto, il legislatore ha effettuato una “prevalutazione” ritenendo preferibile far “retrocedere” –come importanza/intensità– i principi classici dell’evidenza pubblica (rigorosissimi) facendo prevalere il fattore “tempo di esperimento della procedura”. In certi casi, evidentemente, la celerità della procedura e, soprattutto, l’utilizzo di contenuti/contingentati strumenti istruttori rappresenta un valore aggiunto. Soprattutto, come detto, in relazione ai micro-appalti.
Non può sfuggire, anche ad un RUP inesperto, che avviare una autentica gara (ad esempio con bando pubblico) per aggiudicare una commessa di importi contenuti (es. 20mila) rappresenta sicuramente un aggravio di procedura. Non si può negare che l’obiettivo dell’assegnazione della commessa verrebbe raggiunto con un “costo” della stazione appaltante, in termini di tempo e di risorse finanziarie, inaccettabile/spropositato.
Per contemperare, quindi, le diverse esigenze il legislatore ha ipotizzato il c.d. affidamento diretto “puro”. Puro nel senso che –come esplicitato con il decreto correttivo 56/2017– il RUP non ha alcuna necessità di far competere più operatori e/o di richiedere più preventivi. E, a ben vedere, neppure l’obbligo di effettuare una indagine di mercato (peraltro sempre consigliabile).
Nel caso di specie, pertanto, di affidamento nell’ambito dei 40mila euro, la motivazione può essere esplicitata, in primo luogo con riferimento al dato normativo, in secondo luogo con le sottolineature che lo strumento dell’affidamento diretto appare congeniale alle necessità di speditezza dell’affidamento e che lo stesso avviene nel rigoroso rispetto della rotazione.
Come già ampiamente ribadito, il RUP non può prescindere –soprattutto nell’affidamento diretto– dal rispetto rigoroso della rotazione. Il riaffido diretto dell’appalto al precedente affidatario richiede una motivazione talmente circostanziata che, oggettivamente, il riaffido deve essere limitato ad ipotesi realmente necessarie in assenza di ogni alternativa.
Un problema di motivazione e di strutturazione corretta del procedimento amministrativo si impone, evidentemente, qualora il RUP decidesse –pur nell’ambito dei 40mila euro– di utilizzare un procedimento diverso dall’affidamento diretto valutando l’opportunità di richiedere e confrontare più preventivi.
In questo caso, il RUP non si può esimere dal rispetto massimo dei principi classici riconducibili all’evidenza pubblica a pena di illegittimità degli atti compiuti.
In tema si può citare la recentissima sentenza del Tar Basilicata, Potenza, sez. I, n. 79/2020 in cui –testualmente– si legge che “nelle gare (…)” ovvero nel caso di utilizzo di una gara vera e propria piuttosto che dell’affidamento diretto, “relative agli appalti di importo inferiore a € 40.000,00, devono essere garantiti i principi di non discriminazione e di trasparenza di cui all’art. 30, comma 1, D.Lg.vo n. 50/2016, espressamente richiamati dall’art. 36, comma 1, dello stesso D.Lg.vo n. 50/2016, che disciplina i contratti di appalto sotto soglia (...)” (12.02.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOQuesta Amministrazione (Azienda partecipata da Enti Locali) si trova a dover bandire alcuni concorsi per l'assunzione di personale di vari profili.
Quali sono i limiti legittimi per la previsione di concorsi non solo per esami ma anche per titoli volendo selezionare per alcuni di questi personale particolarmente qualificato?

Le Amministrazioni pubbliche possono prevedere, nell'ambito della propria autonomia organizzativa e discrezionalità di procedere a bandi di concorso per soli esami o per titoli ed esami. Tale scelta non è sindacabile nel merito dal giudice amministrativo anche se l'individuazione dei titoli valutabili e del peso da attribuire agli stessi incontra qualche limitazione.
Il DPR 09.05.1994, n. 487, art. 8 "Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi" detta all'art. 8 alcuni vincoli di carattere generale che sono:
   - la valutazione dei titoli va effettuata previa individuazione dei criteri (da inserire nel bando)
   - la valutazione è effettuata dopo le prove scritte e prima che si proceda alla correzione dei relativi elaborati
   - ai titoli non può essere attribuito un punteggio complessivo superiore ad un terzo del massimo (10/30 o equivalente)
   - il bando indica i titoli valutabili ed il punteggio massimo agli stessi attribuibile singolarmente e per categorie di titoli.
   - la votazione complessiva è determinata sommando il voto conseguito nella valutazione dei titoli al voto complessivo riportato nelle prove d'esame.
Entro questi limiti la giurisprudenza consolidata e costante (anche recente) riconosce un ampio potere discrezionale nell'individuazione della tipologia dei titoli richiesti per la partecipazione da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire, suscettibile di sindacato giurisdizionale esclusivamente sotto i profili della illogicità, arbitrarietà e contraddittorietà e ciò sia in fase di predeterminazione (bando) che di valutazione.
Infatti "la Commissione esaminatrice di un pubblico concorso è titolare di ampia discrezionalità nel catalogare i titoli valutabili in seno alle categorie generali predeterminate dal bando, nell'attribuire rilevanza ai titoli e nell'individuare i criteri per attribuire i punteggi ai titoli nell'ambito del punteggio massimo stabilito, senza che l'esercizio di tale discrezionalità possa essere oggetto di censura in sede di giudizio di legittimità, a meno che non venga dedotto l'eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e arbitrarietà".
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 09.05.1994, n. 487, art. 8
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. VI, 24.01.2020, n. 590 - TAR Campania-Napoli Sez. II, 07.01.2020, n. 47 - TAR Campania-Salerno Sez. I, 07.01.2020, n. 5 - TAR Basilicata Sez. I, 05.12.2019, n. 879 - TAR Sicilia-Catania Sez. I, 15.11.2019, n. 2737 - Cons. Stato Sez. VI, 14.10.2019, n. 6971 - TAR Lazio-Roma Sez. III-bis, 30.09.2019, n. 11420 - TAR Campania-Napoli Sez. II, 25.09.2019, n. 4571 - TAR Lazio-Roma Sez. III-ter, 24.09.2019, n. 11306 - TAR Sardegna Sez. I, 11.12.2018, n. 1015 - TAR Lazio-Roma Sez. II-quater, 05.06.2018, n. 6227
(12.02.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

VARI: Rinuncia al diritto di proprietà immobiliare. L’eventuale esperimento dell’actio nullitatis (parere 14.03.2018 - 137948-137949, AL 37243/2017 - Rassegna Avvocatura dello Stato n. 3/2019).

aggiornamento al 12.02.2020

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALILa piattaforma ANAC per l’acquisizione dei piani triennali di prevenzione della corruzione.
Domanda
Da una lettura delle disposizioni in merito alla stesura del PTPCT 2020 e agli adempimenti da eseguire, successivamente alla approvazione definitiva, è emersa la necessità di compilare il questionario sul sito di ANAC secondo le modalità indicate nella “Piattaforma di Acquisizione dei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione e per la Trasparenza – Guida alla compilazione dei questionari per le Pubbliche Amministrazioni”.
Si chiede se tale compilazione sia obbligatoria e se è da effettuarsi entro il termine del 31 gennaio 2020, medesimo termine indicato per la approvazione del PTPCT.
Risposta
L’articolo 1, comma 8, della legge 06.11.2012, n. 190, prevede che, entro il 31 gennaio di ogni anno, l’organo di indirizzo politico, su proposta del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT), adotti il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) e lo trasmetta all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC)
Al comma 14, del medesimo articolo, si prevede che, entro il 15 dicembre di ogni anno, il RPCT trasmetta all’organo di indirizzo politico e all’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV) una relazione recante i risultati dell’attività svolta e la pubblichi sul sito web dell’amministrazione.
I due adempimenti (PTPCT e Relazione annuale) sono evidentemente collegati in quanto il nuovo PTPCT dovrà tener conto dei risultati dell’annualità precedente.
Generalmente l’ANAC, prima della scadenza del 15 dicembre, proroga il termine e lo allinea con quello previsto per l’adozione del PTPCT. Anche quest’anno l’ANAC, con il Comunicato del 13.11.2019, ha posticipato il termine per la pubblicazione della relazione annuale del RPCT al 31.01.2020.
Tra i compiti dell’ANAC, vi è quello di verificare e monitorare l’adozione, da parte delle amministrazioni, del PTPCT e l’attuazione della normativa e delle misure di prevenzione della corruzione.
Tale attività si è esplicata non solo attraverso la cosiddetta vigilanza, ma anche attraverso un’attività di monitoraggio, finalizzata a valutare la qualità dei PTPCT e delle misure di prevenzione, la congruità di tali documenti rispetto alle indicazioni fornite dall’Autorità nei Piani Nazionali Anticorruzione (PNA) e l’opportunità di eventuali correttivi.
Dal 2019 è disponibile una Piattaforma, predisposta dall’ANAC, per l’acquisizione e il monitoraggio dei Piani Anticorruzione e per la redazione delle relazioni annuali dei Responsabili. Essa può essere utilizzata anche per il monitoraggio di competenza del RPCT.
Il Presidente ANAC ne ha dato notizia con il Comunicato del 12.06.2019, consentendo di accreditarsi e di inserire i dati relativi al PTPCT 2019-2021.
La piattaforma permette:
a) all’Autorità, di condurre analisi qualitative dei dati grazie alla sistematica e organizzata raccolta delle informazioni e, dunque, di poter rilevare le criticità dei PTPCT e migliorare, di conseguenza, la sua attività di supporto alle amministrazioni;
b) ai RPCT:
   – di avere una migliore conoscenza e consapevolezza dei requisiti metodologici più rilevanti per la costruzione del PTPCT;
   – monitorare nel tempo i progressi del proprio PTPCT;
   – conoscere, in caso di successione nell’incarico di RPCT, gli sviluppi passati del PTPCT;
   – effettuare il monitoraggio sull’attuazione del PTPCT;
   – produrre la relazione annuale.
Il PNA 2019 (delibera ANAC n. 1064 del 13.11.2019) e il citato Comunicato ANAC non esplicitano in maniera chiara se sia obbligatorio procedere alla registrazione e all’inserimento dei dati relativi al PTPCT 2020-2022. Tuttavia, considerato che viene richiamato, quale base giuridica della piattaforma, il comma 8, dell’art. 1, della legge 190/2012, che prevede la trasmissione del PTPCT ad ANAC, si può ritenere che la Piattaforma sia la modalità per adempiere a tale previsione normativa.
A sostegno di tale interpretazione si richiama l’allegato 1, al PNA 2019 nel quale si dice che i RPCT “sono tenuti ora a registrarsi ed accreditarsi” sulla Piattaforma. La precisazione che, per il 2020, la Piattaforma opera in forma sperimentale, sembra relativa esclusivamente all’ambito di operatività, limitato, per ora, alle sole amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165.
L’utilizzo della Piattaforma per il monitoraggio di competenza del RPCT è, invece, facoltativo, come facoltativo è il livello di approfondimento, non obbligando il sistema all’inserimento di tutte le misure specifiche.
Non è, invece, previsto un termine per l’inserimento, che potrà essere effettuato a partire dall’adozione del PTPCT, essendo un adempimento strumentale al monitoraggio, sia dell’ANAC che del RPCT.
La Piattaforma si compone di tre sezioni:
   • Anagrafica: finalizzata all’acquisizione delle informazioni in merito all’amministrazione, al Responsabile della prevenzione della Corruzione e Trasparenza, alla sua formazione e alle sue competenze;
   • questionario Piano Triennale: finalizzato all’acquisizione delle informazioni relative al Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) e alla programmazione delle misure di prevenzione della corruzione;
   • questionario Monitoraggio attuazione: finalizzato all’acquisizione delle informazioni relative alle misure di prevenzione ed allo stato di avanzamento del PTPCT.
Per ulteriori informazioni si rinvia al box 15, dell’Allegato 1, al PNA 2019 e alle indicazioni disponibili al seguente link.
A completamento informativo, si segnala che con comunicato del 27.11.2019, il Presidente dell’ANAC precisa che l’utilizzo e la compilazione dei dati nella Piattaforma non può essere delegato a soggetti esterni all’Amministrazione, in attuazione del principio secondo cui soggetti terzi non possono predisporre il PTPCT e neppure fornire contributi per la redazione dello stesso. Nel Comunicato si specifica, anche, che non possono far parte della struttura di supporto al RPCT soggetti esterni all’amministrazione.
Per la relazione annuale 2019, l’ANAC prevede che si possa, alternativamente, utilizzare la Scheda in formato Excel, analoga a quella in uso negli anni scorsi (con due sole sezioni aggiuntive concernenti rispettivamente “la rotazione straordinaria” e “il pantouflage”), o generare in modo automatico la relazione attraverso la Piattaforma, dopo aver completato l’inserimento dei dati relativi ai PTPCT e alle misure di attuazione (vedi Comunicato del 13.11.2019).
È prevedibile che, per la relazione 2020, l’ANAC richiederà esclusivamente la seconda modalità.
Tutto ciò premesso, la risposta allo specifico quesito è la seguente:
   a) la compilazione può ritenersi obbligatoria;
   b) il termine per provvedervi non è stato definito, ma non è quello del 31.01.2020.
Per quanto sopra, l’ente interpellante ha come obbligo di pubblicare la relazione riferita all’anno 2019 e il PTPCT 2020/2022, approvato con deliberazione della Giunta comunale, nel proprio sito web nella sezione Amministrazione trasparente > Altri contenuti > Prevenzione della corruzione (11.02.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - VARICarri carnevale.
Domanda
Quali sono gli atti e i provvedimenti da adottare per la sfilata di carri allegorici in occasione del carnevale?
Risposta
Ai sensi della circolare del Ministero dell’Interno del 01.12.2009 prot. n. 17082/114 i “carri allegorici […] devono essere conformi alle vigenti normative in materia di sicurezza, in particolare sotto il profilo della sicurezza statica, elettrica ed antinfortunistica o, in assenza, a standard di buona tecnica di riconosciuta validità. In analogia a quanto previsto dall’articolo 141-bis del Regolamento del T.U.L.P.S. dovrà essere presentata una relazione tecnica a firma di un tecnico esperto, attestante la rispondenza dell’impianto alle regole tecniche di sicurezza.”
È innanzitutto indispensabile acquisire l’attestato di “rispondenza dell’impianto alle regole tecniche di sicurezza” (UNI EN 13814:2005) per ogni singolo carro allegorico, redatta e firmata da un tecnico abilitato. È necessario che la documentazione sia acquisita da parte dell’ufficio comunale che concede l’area pubblica oppure, se previsto, da altro ufficio incaricato anche a rilasciare eventuali altri provvedimenti (per esempio il SUAP).
Questo aspetto è rilevante: il provvedimento di concessione e occupazione del suolo pubblico potrebbe risultare in definitiva essere l’unico provvedimento valido rilasciato per lo svolgersi della manifestazione. Le conseguenti ordinanze adottate ai sensi degli artt. 6 e 7 del Codice della strada sono provvedimenti non discrezionali e direttamente consecutivi al fatto che il suolo pubblico non è classificabile quale “strada”, per quel periodo indicato dall’autorizzazione dell’ente proprietario, ma diventa luogo di evento.
Si rammenta che nel caso in cui la sfilata non si svolga in “luoghi ubicati in delimitati spazi all’aperto attrezzati con impianti appositamente destinati a spettacoli o intrattenimenti e con strutture apposite per lo stazionamento del pubblico”, non necessita della preventiva valutazione, ai sensi dell’art. 141 Reg. TULPS, da parte della C.C.V.L.P.S., prodromica al rilascio della licenza (o SCIA) ex artt. 68 e 69 TULPS.
Circa la “safety”, salvo nei casi in cui viene convocata la Commissione Comunale di Vigilanza sui Locali di Pubblico Spettacolo (CCVLPS), l’acquisizione e la valutazione del Piano “safety” è onere dell’ufficio comunale preposto al rilascio delle autorizzazioni alla occupazione del suolo pubblico. Il piano deve essere necessariamente redatto da un tecnico professionista e presentato successivamente alla compilazione della “scheda di valutazione del rischio” di cui la Circolare “Morcone” del 28.07.2017.
Altresì, nelle more della redazione del piano da parte del tecnico incaricato dal responsabile della manifestazione, l’organizzatore deve innanzitutto presentare, contestualmente alla richiesta di occupazione/autorizzazione del suolo pubblico, la scheda di valutazione del rischio affinché gli uffici comunali siano resi edotti del livello di rischio, legato principalmente alla stima del numero dei partecipanti.
Infine circa la “security” è necessario che l’organizzatore, in stretta collaborazione con gli uffici comunali, informi direttamente la Questura che adotterà eventuale ordinanza a firma del Questore per le misure atte a garantire e assicurare, oltre all’ordine pubblico, la sicurezza dall’esterno (come ad esempio la collocazione dei new jersey) (06.02.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOConcorsi tempo determinato e utilizzo graduatorie.
Domanda
Si possono ancora svolgere concorsi a tempo determinato o un ente è obbligato ad utilizzare le graduatorie di altri enti?
Risposta
Riportiamo, innanzitutto, l’articolo 36, comma 2, del d.lgs. 165/2001 che così prevede: “Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. È consentita l’applicazione dell’articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24.12.2003, n. 350, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato”.
Il tenore letterale della norma, evidentemente prevede una possibilità di utilizzare le graduatorie di altri enti e di certo non un obbligo. Anche il Dipartimento della Funzione Pubblica all’interno della Circolare 5/2013 scrive chiaramente che: “In caso di mancanza di graduatorie proprie le amministrazioni possono attingere a graduatorie di altre amministrazioni mediante accordo”.
È quindi evidente che si tratta di una possibilità.
In alternativa, l’ente, potrà quindi procedere con concorsi a tempo determinato. Anche in questo caso, vengono a supporto le parole del Dipartimento della Funzione Pubblica contenute nel paragrafo 2 della predetta Circolare: “Inoltre, pur mancando una disposizione di natura transitoria nel decreto-legge, per ovvie ragioni di tutela delle posizioni dei vincitori di concorso a tempo determinato, le relative graduatorie vigenti possono essere utilizzate solo a favore di tali vincitori, rimanendo precluso lo scorrimento per gli idonei.
Resta fermo che le assunzioni a tempo determinato si svolgono, sotto l’aspetto ordinamentale, tenendo conto della disciplina di cui all’articolo 36 del d.lgs n. 165 del 2001 e sotto l’aspetto finanziario nei limiti di spesa dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122, fatte salve le deroghe previste dalla legge. Si ricorda che il mancato rispetto dei limiti di cui al citato comma 28 costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale
”.
Quindi, è chiarissimo che un ente può benissimo svolgere procedure concorsuali a tempo determinato. L’unico caso in cui non può procedere è solamente in presenza di proprie graduatorie a tempo indeterminato per le quali l’art. 36 comma 2 prevede invece un obbligo di utilizzo (06.02.2020 - link a www.publika.it).

APPALTII nuovi obblighi di controllo sulle ritenute versate in caso di appalto.
Domanda
Il Comune ha affidato un servizio di ristorazione scolastica che prevede la prestazione di preparazione pasti presso la cucina, già attrezzata, della scuola di proprietà dell’ente.
Scatta l’obbligo previsto dall’art. 4 del d.l. 124/2019 in materia di ritenute fiscali?
Risposta
L’art. 4 del d.l. n. 124/2019 dopo la conversione in legge n. 157/2019 ha introdotto il nuovo art. 17-bis al d.lgs. 241/1997
[1], che prevede rilevanti novità nella gestione delle ritenute fiscali in materia di appalti, quale misura di contrasto “all’illecita somministrazione di manodopera”. Disposizione che appesantisce i già abbondanti adempimenti in capo sia ai committenti pubblici che agli operatori aggiudicatari, e rispetto alla quale si attendono chiarimenti interpretativi ed operativi che rendano omogeneo e soprattutto funzionale il nuovo onere, evitando che si traduca in una mera richiesta documentale.
Per un primo approfondimento si rinvia:
   • allo studio pubblicato dalla Fondazione Studio Consulenti del Lavoro, “Nuove misure di contrasto all’illecita somministrazione di manodopera”, di cui al seguente link;
   • alla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 108 del 23.12.2019: Oggetto: Articolo 4 del d.l. 26.10.2019 n. 124 – Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti – Chiarimenti, di cui al seguente link;
   • alle risposte ai quesiti degli esperti fornite dall’Agenzia delle Entrate il 13.01.2020 nel corso del terzo Forum sui dottori commercialisti ed esperti contabili a Milano, pubblicato sul sito dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, di cui al seguente link.
La Stazione appaltante dovrà quindi verificare quali sono gli operatori economici con i quali sono in corso di esecuzione contratti che presentano contestualmente le seguenti condizioni, come previste dalla sopra citata normativa, ovvero:
   • l’importo complessivo annuo superiore ad € 200.000 (importo annuo delle prestazioni affidate alla stessa impresa anche con più contratti di appalto, con estensione della verifica su tutti i contratti);
   • contratti caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera (si può ritenere siano quelli riconducibili all’art. 50, del d.lgs. 50/2016, ultimo periodo, ovvero quei contratti nei quali il costo della manodopera è pari ad almeno al 50% dell’importo totale del contratto. Informazione che è desumibile dagli atti di gara essendo un dato da riportare obbligatoriamente nella documentazione, ai sensi dell’art. 23, co. 16, del codice dei contratti, almeno per quegli appalti banditi successivamente al correttivo del 2017);
   • il personale impiegato presti l’attività lavorativa presso le sedi di attività del committente;
   • i beni strumentali utilizzati nell’esecuzione della prestazione siano di proprietà del committente o ad esso riconducibili in qualunque forma.
Con riferimento al quesito, se il servizio di ristorazione scolastica è prestato presso la cucina della scuola dell’ente locale e utilizza beni strumentali di proprietà dell’Amministrazione comunale, è possibile ritenere che sussistendo anche gli altri requisiti di importo, scattino gli obblighi previsti dalla vigente normativa.
---------------
[1] 1. …., che affidano il compimento di una o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000 a un’impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma, sono tenuti a richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute di cui agli articoli 23 e 24 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, 50, comma 4, del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, e 1, comma 5, del decreto legislativo 28.09.1998, n. 360, trattenute dall’impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio.
Il versamento delle ritenute di cui al periodo precedente è effettuato dall’impresa appaltatrice o affidataria e dall’impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità di compensazione
(05.02.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI SERVIZILa Centrale unica di committenza (CUC) di questa Unione di comuni intende procedere all'affidamento del servizio di raccolta rifiuti urbani ed è indeciso sulla qualificazione quale appalto o concessione.
Quale è la disciplina applicabile?

La applicabilità dell'una (appalto) o dell'altra (concessione) disciplina non dipende, nel quadro del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, dalla tipologia di servizio (raccolta di rifiuti) ma dal regime contrattuale che sta alla base del rapporto fra l'Ente locale che lo affida e il gestore.
Come evidenziato dalla giurisprudenza costante "assumono rilievo i criteri discretivi tra appalto di servizi e concessione, in considerazione del fatto che l'elemento caratterizzante la concessione è il trasferimento del c.d. "rischio economico" in capo al concessionario, inteso come possibilità che la gestione dell'attività oggetto di concessione non sia remunerativa. In difetto di detto rischio, si verte nel campo dell'appalto di servizi" (tale distinzione rileva anche ai fini dell'applicabilità della tassa sull'occupazione del suolo pubblico ed altri regimi fiscali.
Ne deriva, come sottolineato anche recentemente che "va qualificato come appalto di servizi, e non come concessione di servizi, il contratto di gestione dei rifiuti urbani che preveda che l'attività svolta sia remunerata integralmente dall'amministrazione, di modo che non gravi sull'operatore economico il rischio d'impresa".
Dalla qualificazione ne deriva l'applicazione del distinto regime giuridico, ad esempio in merito alla revisione dei prezzi (possibile per l'appalto di servizi, vietato nella concessione per la quale vige l'opposto principio della normale invariabilità del canone concessorio, salva esplicita clausola di deroga).
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 164
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. V, 24.01.2020, n. 608 - Comm. trib. prov. Puglia Lecce Sez. II, 26.06.2019 - TAR Toscana, Sez. II, 04.06.2019, n. 832 - Comm. trib. prov. Puglia Lecce Sez. IV, 02.04.2019 - Cass., S.U., 20.04.2017, n. 9965 - TAR Campania Napoli Sez. VIII, 12.01.2015, n. 114 - Cons. Stato Sez. VI, 05.06.2006, n. 3335 - Cons. Stato Sez. VI, 27.02.2006, n. 841 - Cons. Stato Sez. VI, 10.02.2006, n. 553
 (05.02.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMisure organizzative per il rispetto del divieto di pantouflage.
Domanda
Il nuovo Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) dell’Amministrazione prevede, tra le misure a carico del dirigente dell’Ufficio personale, l’introduzione della clausola di rispetto del divieto di pantouflage nei nuovi contratti di reclutamento del personale.
Vorrei sapere in quali tipologie di contratti va inserita.
Risposta
Il divieto di pantouflage o revolving doors (c.d. porte girevoli) è una delle misure concernenti l’imparzialità dei funzionari pubblici, introdotte dalla legge 06.11.2012, n. 190 (c.d. legge Severino). Si tratta di una sorta di “incompatibilità successiva” che viene a determinarsi quando un dipendente, che ha esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto di una pubblica amministrazione, viene successivamente assunto o inizia a collaborare, a titolo professionale, con il soggetto privato destinatario dei poteri autoritativi o negoziali. Il divieto è volto ad evitare che il dipendente sfrutti la propria posizione nell’intento di precostituirsi situazioni lavorative vantaggiose, pregiudicando, in tal modo, il perseguimento dell’interesse pubblico.
La norma di riferimento è l’art. 1, comma 42, lettera l), della legge 190/2012, che ha introdotto il comma 16-ter nell’art. 53 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165
[1]. La sanzione prevista dal legislatore consiste nella nullità dei contratti conclusi e degli incarichi conferiti in violazione di tale disposizione e nel divieto, per il soggetto privato che ha stipulato i contratti o conferito gli incarichi con l’ex dipendente pubblico, di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo di tre anni.
In sede attuativa il divieto del pantouflage ha avuto un particolare rilevo nell’ambito della contrattualistica pubblica, in quanto gli operatori che partecipano alle gare sono chiamati a rilasciare una dichiarazione di non aver stipulato contratti di lavoro o affidato incarichi in violazione dell’art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. 165/2001 e tale dichiarazione deve essere verificata dalla stazione appaltante. Le pronunce giurisprudenziali e la riflessione dottrinale intorno all’ambito di applicazione di tale divieto sono per lo più originati da fattispecie riconducibili a gare d’appalto.
Con l’aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) 2018 si suggerisce una misura ulteriore, consistente nel far sottoscrivere, al dipendente pubblico che cessa dall’incarico, l’impegno al rispetto del divieto di pantouflage.
Nel PNA 2019, si anticipa l’assunzione dell’impegno sin dalla fase di sottoscrizione del contratto, prevedendo che anche gli atti di assunzione del personale contemplino l’impegno a rispettare tale divieto.
A ben vedere, già il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) 2013 prevedeva che nei contratti di assunzione del personale dovesse essere inserita la clausola concernente il divieto di prestare attività lavorativa (a titolo di lavoro subordinato o di lavoro autonomo) per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto nei confronti dei destinatari di provvedimenti adottati o di contratti conclusi con l’apporto decisionale del dipendente.
Correttamente, dunque, il PTPCT dell’amministrazione prevede che l’ufficio personale adotti questa misura, che ha anche l’effetto di rendere preventivamente edotti i dipendenti del vincolo discendente dall’esercizio di poteri autoritativi o negoziali.
È ragionevole che l’ufficio personale si ponga il problema di individuare il corretto ambito di applicazione della disposizione, in quanto il divieto comporta una limitazione della libertà di iniziativa economica, costituzionalmente tutelata, e dunque la finalità di prevenzione della corruzione deve essere contemperata con il rispetto di tale libertà.
Occorre esaminare, da un lato, il tipo di rapporto di lavoro che lega il soggetto alla pubblica amministrazione e, dall’altro, il contenuto dell’attività lavorativa, in quanto il divieto discende dall’aver esercitato poteri autoritativi o negoziali.
Sotto il primo profilo, la norma utilizza la definizione “dipendenti” senza distinguere tra rapporti di lavoro a tempo determinato e indeterminato, pertanto è pacifico che si applichi ad entrambe le tipologie di contratti.
L’art. 21, del decreto legislativo 08.04.2016, n. 39 estende poi il divieto di pantouflage ai soggetti titolari di incarichi contemplati nel citato decreto, “ivi compresi” recita la disposizione “i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro subordinato o autonomo”.
A partire da tali previsioni normative l’ANAC estende l’ambito di applicazione della norma anche ad altri soggetti, legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di lavoro autonomo (parere ANAC AG/2 del 04.02.2015 ribadito nei ultimi PNA adottati). Questa interpretazione desta perplessità in quanto, al contrario, proprio la circostanza che il legislatore abbia equiparato ai dipendenti i soggetti titolari di incarichi di cui al d.lgs. 39/2013 sembrerebbe confermare che l’ambito di applicazione non può che essere quello previsto dalla legge.
Sotto il profilo del tipo di funzioni esercitate, con l’espressione “poteri autoritativi o negoziali” si intende l’attività di emanazione di provvedimenti amministrativi e il perfezionamento di negozi giuridici, mediante la stipula di contratti in rappresentanza giuridica ed economica dell’ente.
L’ANAC precisa che i dirigenti e i funzionari che svolgono incarichi dirigenziali o coloro che esercitano funzioni apicali con deleghe di rappresentanza esterna rientrano in tale ambito, come anche coloro che ricoprono incarichi amministrativi di vertice, anche se non emanano direttamente provvedimenti amministrativi e non stipulano negozi giuridici. Essi sono, infatti, senz’altro in grado di incidere sull’assunzione di decisioni da parte delle strutture di riferimento.
Andando oltre, l’ANAC ritiene che il rischio di precostituirsi situazioni lavorative favorevoli possa sussistere anche in capo al dipendente che ha comunque avuto il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto del provvedimento finale, collaborando all’istruttoria, ad esempio attraverso l’elaborazione di atti endoprocedimentali obbligatori (pareri, perizie, certificazioni) che vincolano in modo significativo il contenuto della decisione (parere ANAC AG/74 del 21.10.2015 e orientamento n. 24/2015).
Anche tale interpretazione rischia di estendere in maniera eccessiva l’ambito di applicazione del divieto, pertanto è importante che, in sede applicativa, si verifichino in concreto le funzioni svolte dal dipendente.
Ad esempio, appare eccessivo che un lavoratore che venga assunto a tempo determinato o un soggetto che stipuli un contratto di collaborazione professionale, riconducibile ad un rapporto di lavoro autonomo, debba vincolarsi, in sede di stipula del contratto, al rispetto della disposizione di cui all’art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. 165/2001, per il solo fatto che collaborerà in attività procedimentali finalizzate all’adozione di un provvedimento di autorizzazione, concessione o erogazione di sovvenzioni, sussidi o vantaggi economici. La sola collaborazione all’elaborazione dei provvedimenti o degli atti endoprocedimentali vincolanti non può giustificare la limitazione alla liberà di iniziativa economica.
Resta fermo che, se il dipendente poi, nel corso dell’attività lavorativa, abbia in concreto effettivamente svolto delle funzioni autoritative o negoziali, nei confronti di un dato soggetto privato, non possa essere assunto o collaborare con tale soggetto, per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto con la pubblica amministrazione.
Di seguito una ipotesi di formulazione della clausola: “Il sottoscritto dichiara di essere a conoscenza del divieto di cui all’art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. 165/2001 e si impegna fin d’ora, nel caso eserciti in concreto poteri autoritativi o negoziali nei confronti di soggetti privati, a non accettare incarichi lavorativi o professionali presso i medesimi soggetti, per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.”
---------------
[1] “16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti” (04.02.2020 - link a www.publika.it).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Chiarimenti in merito alla titolarità a richiedere o presentare un titolo edilizio (Regione Emilia Romagna, nota 03.02.2020 n. 79334 di prot.).

ENTI LOCALIPagoPA: dal decreto Milleproroghe ancora un rinvio (questa volta breve) per le P.A..
Domanda
Il mio Ente non ha ancora aderito al sistema ‘PagoPa’ per l’incasso delle proprie entrate. Ma qual è il termine ultimo per farlo?
Risposta
Come dovrebbe essere ormai noto, PagoPa è la piattaforma informatica attraverso cui è possibile eseguire i pagamenti dovuti nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. Questi possono infatti essere effettuati direttamente sul sito o sull’applicazione mobile dell’ente creditore ovvero attraverso i canali –sia fisici che on-line– di banche e altri soggetti Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP). Fra questi vi sono le agenzie di banca, gli home banking, gli sportelli ATM (bancomat), i punti vendita SISAL, Lottomatica, Banca 5 e gli uffici postali.
Il quadro normativo di riferimento è contenuto nel Codice dell’amministrazione digitale, approvato ormai quindici anni fa con il d.lgs. 82/2005. A prevedere il sistema PagoPa è infatti l’articolo 5, comma 1, del Codice.
Nella sua prima versione l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per l’effettuazione dei pagamenti era rivolto alle sole pubbliche amministrazioni centrali. Si trattava di una semplice facoltà e non di un obbligo. Solo in seguito ne è stata prevista l’estensione a tutte le PA e quella che era nata come una mera facoltà è divenuto un obbligo ineludibile. Naturalmente, fatte salve le varie proroghe che negli anni si sono succedute.
Da ultimo è intervenuto l’art.1, comma 8 del decreto Milleproroghe (d.l. n. 162 del 30/12/2019). Cosa prevede tale norma?
Essa prevede un ulteriore rinvio (sarà l’ultimo?) al termine previsto dall’art. 65, comma 2, del d.lgs. 217/2017 (ultimo decreto correttivo del Codice). La nuova scadenza viene ora fissata al 30.06.2020. Entro tale data le PA sono tenute a integrare i propri sistemi di incasso con la piattaforma di cui all’articolo 5, comma 2, del Codice, ovvero ad avvalersi, a tal fine, di servizi forniti da altri soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, del Codice stesso, ovvero da fornitori di servizi di incasso già abilitati ad operare sulla piattaforma PagoPa.
Questa volta il Legislatore ha però previsto sanzioni a carico degli enti inadempienti. La norma stabilisce infatti che il mancato adempimento dell’obbligo di avvio di PagoPa rileva ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili (e ovviamente delle posizioni organizzative negli enti privi di dirigenza) e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del d.lgs. n. 165/2001.
L’obbligo di avvalersi di PagoPa vige per tutte le pubbliche amministrazioni, come individuate dall’art. 1, comma 2, di tale ultimo decreto legislativo. Esso infatti vi annovera tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30/07/1999, n. 300.
Come si vede, la platea dei soggetti obbligati ad avvalersi di PagoPa è estremamente ampia, né è prevista alcuna distinzione fra enti grandi o piccoli. Il decreto Milleproroghe è ancora in fase di conversione in legge. L’iter dovrà concludersi entro il prossimo 28 febbraio e non si possono escludere ulteriori rinvii.
Va detto tuttavia che fra i molti emendamenti che Anci ha presentato in Parlamento, non ve n’è nessuno che riguardi questa scadenza. E ciò è pienamente condivisibile, perché la piattaforma PagoPa va nella direzione di avvicinare la Pubblica Amministrazione ai cittadini/utenti. E’ allora forse il caso di mettervi davvero mano e di attrezzarsi al più presto perché questa proroga potrebbe davvero essere l’ultima. Ogni ulteriore informazione in merito alla piattaforma PagoPa può essere reperita al sito https://www.pagopa.gov.it/ (03.02.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIQuesta stazione appaltante (ente pubblico economico) ha trovato, in alcune procedure di gara, dichiarazioni di avvalimento di requisiti di ordine finanziario.
In questi casi, come viene garantito dall'operatore l’avvalimento, anche ai fini del controllo da parte della nostra stazione?

La giurisprudenza ormai consolidata (anche a livello di Consiglio di Stato) ha chiarito la distinzione fra avvalimento di garanzia (quello ad esempio inerente il possesso dei requisiti di ordine finanziario) e l'avvalimento tecnico-operativo (consistente nel supporto materiale e organizzativo allo svolgimento della prestazione).
In entrambi i casi la stazione appaltante è tenuta a verificare in concreto (al di là delle formule di rito e dichiarazioni delle parti) che sussista un concreto apporto dell'ausiliaria rispetto alle attività da svolgere a cura dell'ausiliata e questa indagine va condotta "secondo i canoni enunciati dal codice civile di interpretazione complessiva e secondo buona fede delle clausole contrattuali" anche se "non è conseguentemente necessario, in linea di massima, che la dichiarazione negoziale costitutiva dell'impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o a indici materiali atti a esprimere una certa e determinata consistenza patrimoniale, ma è sufficiente che dalla ridetta dichiarazione emerga l'impegno contrattuale a prestare e a mettere a disposizione dell'ausiliata la complessiva solidità finanziaria e il patrimonio esperienziale, così garantendo una determinata affidabilità e un concreto supplemento di responsabilità".
Sempre con riferimento all'avvalimento di garanzia si evidenzia come "avendo esso ad oggetto l'impegno dell'ausiliaria a garantire con proprie risorse economiche l'impresa ausiliata, non è necessario che nel contratto siano specificatamente indicati i beni patrimoniali o gli indici materiali della consistenza patrimoniale dell'ausiliaria, essendo sufficiente che questa si impegni a mettere a disposizione la sua complessiva solidità finanziaria e il suo patrimonio di esperienza".
Le sentenze sottolineano inoltre come "l'unico responsabile dal punto di vista giuridico dell'esecuzione del contratto è il concorrente aggiudicatario e che le prestazioni in concreto svolte dall'ausiliaria sono comunque riconducibili all'organizzazione da esso predisposta per l'adempimento degli obblighi assunti nei confronti della stazione appaltante".
Quindi, alla luce del quadro normativo ma soprattutto giurisprudenziale, per rispondere al quesito formulato, si sottolinea come:
   - la prestazione contrattuale rimane in capo all'ausiliata
   - il rispetto dell'avvalimento va verificato in concreto, anche in fase esecutiva, accertando se sia dato il supporto necessario (garanzie, coperture assicurative ecc…) indicate in sede di gara.
Per le modalità di esecuzione di tale controllo la stazione appaltante potrà chiedere specifiche giustificazioni, chiarimenti e documentazione a corredo.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 89
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. V, 16.01.2020, n. 389 - Cons. Stato Sez. V, 02.12.2019, n. 8249 - Cons. Stato Sez. V, 25.07.2019, n. 5257 - Cons. Stato Sez. V, 14.06.2019, n. 4024 - Cons. Stato Sez. V, 07.05.2019, n. 2917 - TAR Piemonte Torino Sez. I, 23.04.2019, n. 459 - Cons. Stato Sez. V, 26.11.2018, n. 6693 - TAR Lombardia Brescia Sez. I, 10.12.2018, n. 1195 - TAR Marche, Sez. I, 26.06.2018, n. 471
 (29.01.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTII criteri di aggiudicazione dopo la legge 55/2019.
Domanda
Con diversi quesiti si pone la questione della chiara identificazione dell’ambito di utilizzo del criterio minor prezzo dopo le modifiche apportate con la legge 55/2019 e in che modo questo possa essere considerato “residuale” rispetto al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Riposta
Il codice dei contratti, come noto, ha superato l’equiordinazione tra i criteri di aggiudicazione dell’appalto. In sostanza, il RUP non ha più discrezionalità nella scelta dei criteri ma deve attenersi alle indicazioni della norma e non v’è dubbio che il criterio del “prezzo più basso" (ora del minor prezzo) abbia sicuramente uno “spazio” applicativo realmente residuale.
Ciò emerge, in particolare, dal comma 2 dell’articolo 95 laddove si puntualizza che gli appalti devono essere aggiudicati “sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata …”. Il comma non cita neppure il criterio dell’offerta al minor prezzo (quasi ad evidenziarne il carattere marginale).
Le disposizioni fondamentali, in tema di criteri sono quelle previste nei commi 3/6 dell’articolo 95 del codice.
La norma “guida” per il RUP –come anche la giurisprudenza ha chiarito– è quella del comma 3 in cui si precisa che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa costituisce il criterio esclusivo per aggiudicare:
   • i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera purché non riconducibili ad affidamenti entro i 40mila euro;
   • i contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro;
Infine la nuova ipotesi introdotta con la legge sblocca cantieri (legge 55/2019) che impone l’obbligo di utilizzare il multicriterio per aggiudicare “i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo”.
In sostanza, la discriminante è fissata sulla microsoglia (entro i 40mila euro) in cui il RUP gode di un’ampia discrezionalità.
Della norma appena citata è bene rammentare come non debba essere sottovalutata la questione dell’intensità della manodopera.
Spesso il RUP, anche in presenza di attività che definisce “standardizzate”, pur in presenza di intensa manodopera tende a “forzare” l’applicazione del criterio del minor prezzo anche nel caso in cui si opera nell’ambito di importo pari o superiore ai 40mila euro. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle attività di guardiania/pulizia.
Pur vero che le attività possono ritenersi standardizzate è però altrettanto vero che ci si trova in presenza di contratti con altissima intensità di manodopera. E tale indice deve essere inteso nel senso prospettato dalla norma (art. 50, comma 1).
Per la norma citata, “i servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”.
Si sconsiglia, evidentemente, ogni forzatura che avrebbe per effetto quello di rendere annullabile gli atti di gara per palese illegittimità.
In ogni caso, qualora si optasse per una “libera” interpretazione non si può prescindere dall’esigenza di specificare, fin dalla determinazione a contrarre, la motivazione. Motivazione, come detto, che compete al RUP che propone o decide quale criterio applicare (se anche responsabile del servizio).
In ordine al criterio del minor prezzo, il comma 4 è stato completamente riscritto dalla legge sblocca cantieri e l’unica ipotesi residua in cui un problema di criteri si pone con minore intensità è proprio quello delle forniture/servizi con caratteristiche standardizzate per i quali appalti, come detto, è possibile prescindere dall’offerta economicamente più vantaggiosa solamente se non insiste intensità di manodopera. In particolare la norma ore prevede il minor prezzo “per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato, fatta eccezione per i servizi ad alta intensità di manodopera di cui al comma 3, lettera a). In ogni caso, l’utilizzo del monocriterio esige una adeguata motivazione".
In tema appare utile richiamare la recente conferma intervenuta con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 20.01.2020 n. 444. In sentenza si legge che “il legittimo ricorso al criterio del minor prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma 4, lett. b) del Codice dei contratti pubblici, in deroga alla generale preferenza accordata al criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa, si giustifica, tra altro, per l’affidamento di forniture o di servizi che siano, per loro natura, strettamente vincolati a precisi e inderogabili standard tecnici o contrattuali ovvero caratterizzati da elevata ripetitività e per i quali non vi sia quindi alcuna reale necessità di far luogo all’acquisizione di offerte differenziate (Cons. Stato, III, 13.03.2018, n. 1609; 02.05.2017, n. 2014)” (29.01.2020 - link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPubblicazione dati concernenti bandi di concorso.
Domanda
Stiamo avviando una procedura di reclutamento di personale e vorremmo avere un aggiornamento sugli obblighi di pubblicazione su Amministrazione Trasparente.
Risposta
L’articolo 19, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 è la disposizione di riferimento per la trasparenza in tema di bandi di concorso. Tale norma era stata già modificata dal decreto legislativo 25.05.2016, n. 97 ed è stata recentemente integrata dall’art. 1, comma 145, della legge 27.12.2019, n. 160 (legge di Bilancio 2020).
L’attuale formulazione dell’art. 19, comma 1 prevede che siano pubblicati:
   • bandi di concorso per il reclutamento a qualsiasi titolo di personale;
   • i criteri di valutazione stabiliti dalla Commissione;
   • le tracce delle prove (da intendersi come prova teorico/pratica; scritta e orale);
   • le graduatorie finali, aggiornate con l’eventuale scorrimento degli idonei non vincitori.
La novità, dunque, riguardano l’obbligo di pubblicare le tracce di tutte le prove e non più soltanto delle prove scritte e l’introduzione dell’obbligo di pubblicare le graduatorie finali aggiornate con l’eventuale scorrimento degli idonei, anche alla luce della disposizione che ha ripristinato la possibilità per gli enti di scorrere le proprie e le altrui graduatorie (legge 27.12.2019, n. 160, art. 1, comma 148).
Considerato che si tratta di dati personali “comuni”, occorre far attenzione a pubblicare i soli dati necessari ad individuare i soggetti; è sufficiente, dunque, indicare solamente in nome e cognome, evitando luogo e data di nascita, residenza o altro. Sull’argomento si richiamano le Linee Guida del Garante privacy del 15.05.2014, pubblicate in Gazzetta Ufficiale n. 134 del 12.06.2014, che forniscono una casistica di dati eccedenti da non pubblicare e alcuni suggerimenti per coniugare adeguatamente trasparenza e privacy. Attenzione, in particolare, alle selezioni riservate a disabili (vedere l’ordinanza del Garante del 14.03.2019 – doc web 9116773).
L’art. 1, comma 145, della legge n. 160/2019, modifica poi il secondo comma dell’art. 19, del d.lgs. 33/2013, specificando meglio che i dati di cui al comma precedente devono essere costantemente aggiornati.
La nuova formulazione sopprime il riferimento ad un elenco dei bandi previsto dal previgente comma 2. Nella strutturazione della pagina di Amministrazione Trasparente > Bandi di concorso si suggerisce, per una migliore consultazione, una articolazione che distingua i bandi in corso e quelli scaduti.
In merito alla decorrenza e alla durata della pubblicazione non si dice nulla, pertanto, si applicano le disposizioni dell’art. 8, del d.lgs. 33/2013 che prevedono la tempestività di pubblicazione e il termine di cinque anni, decorrenti dal 1° gennaio dell’anno successivo.
Altra novità della legge di bilancio è l’introduzione del comma 2-bis, con il quale si prevede che le amministrazioni debbano pubblicare il collegamento ipertestuale dei dati, ai fini dell’inserimento nella banca dati del Dipartimento della funzione pubblica, di cui all’art. 4, comma 5, del decreto legge 31.08.2013, n. 101, finalizzata al monitoraggio delle graduatorie concorsuali.
Le modalità attuative di tale ultima disposizione saranno definite con decreto ministeriale da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge.
Come noto, nonché espressamente precisato nell’incipit dell’art. 19, la pubblicazione su Amministrazione Trasparente non sostituisce la pubblicità legale; pertanto resta fermo l’obbligo di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e del bando di concorso o di un avviso contenente gli estremi del bando e la scadenza dei termini di presentazione delle domande (28.01.2020 - link a www.publika.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Parere in merito alla possibilità di ricostruire fabbricati non più esistenti di cui non si conoscono le altezze originarie - Comune di Spigno Saturnia (Regione Lazio, nota 23.01.2020 n. 62118 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Parere in merito alle procedure urbanistiche necessarie per il mutamento di destinazione d'uso di un edificio ex scolastico a laboratorio artigianale/produttivo per prodotti tipici locali - Comune di Borbona (Regione Lazio, nota 23.01.2020 n. 62032 di prot.).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Programma emendabile. Parola al consiglio sulle linee del sindaco. La facoltà non è esclusa in base all'art. 42 del decreto 267/2000.
Si possono emendare le linee programmatiche presentate dal sindaco al consiglio comunale ai sensi dell'articolo 46, comma 3, del dlgs n. 267/2000?

L'articolo 46, comma 3, del dlgs n. 267/2000 demanda allo statuto il termine entro il quale il sindaco, previa audizione della giunta, presenta al consiglio le linee programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato. Il citato articolo prescrive che lo statuto disciplini anche i modi di partecipazione del consiglio «alla definizione, all'adeguamento e alla verifica periodica dell'attuazione delle linee programmatiche da parte del sindaco... e dei singoli assessori».
Il Consiglio nella sua funzione di indirizzo e controllo come enunciata dal decreto legislativo n. 267/2000 è chiamato, dunque, a partecipare al programma amministrativo sia nella fase iniziale che nelle fasi intermedie, con le modalità indicate proprio nello statuto. Lo statuto di un comune stabilisce che il sindaco, in sede di verifica annuale dello stato di attuazione dei programmi, presenta al Consiglio una relazione sul grado di realizzazione delle linee programmatiche nei termini di cui all'art. 193 del Tuoel.
Alla luce della normativa sopra richiamata, si ritiene che le linee programmatiche non possano non essere «partecipate» tramite delibere quali atti tipici con i cui gli organi collegiali manifestano la propria volontà. Pertanto non si ritiene esclusa la facoltà di proporre emendamenti alle linee programmatiche presentate dal sindaco, considerato che il disposto recato dal citato articolo 42, comma 3, del dlgs n. 267/2000 assegna al consiglio la competenza alla definizione, all'adeguamento e alla verifica periodica del programma di governo (articolo ItaliaOggi del 22.11.2019).

ATTI AMMINISTRATIVI: Profili di illegittimità di atti degli enti locali. L’istituto del cd. annullamento straordinario governativo (art. 138 d.lgs. 267/2000) (parere 16.11.2017-544677, AL 37632/2017 - Rassegna Avvocatura dello Stato n. 3/2019).

URBANISTICA: Oggetto: Parere in merito alla applicabilità dell'art. 17, comma 3, della l. 1150/1942 per modificare Ia destinazione d'uso di un sub-comparto di un piano attuativo, parzialmente attuato, di un piano regolatore delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale (Regione Lazio, nota 15.11.2019 n. 922652 di prot.).

aggiornamento al 27.01.2020

PUBBLICO IMPIEGOPermessi studio art. 45 CCNL.
Domanda
Vorremmo dei chiarimenti sui permessi per diritto allo studio di cui all’art. 45 del CCNL Funzioni Locali del 21/05/2018.
In particolare, premesso che l’ente al momento non ha provveduto a regolamentare l’istituto con proprio atto interno, si chiede se tali congedi possano essere concessi al personale iscritto ad università telematiche e, in subordine, quale documentazione debba acquisire l’ente al fine di verificare il rispetto dei requisiti previsti dalla normativa.
Infine, si chiedono chiarimenti in merito ai criteri per la concessione nel caso in cui, in corso d’anno, il numero di domande ecceda il limite fissato dalla disposizione contrattuale.
Risposta
L’art. 45 del CCNL 21/05/2018 prevede in merito al diritto allo studio, la concessione di permessi straordinari retribuiti, nella misura massima di 150 ore annue, concessi per partecipare a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento pubblico e per sostenere i relativi esami.
La disposizione in esame ricalca in larga parte quanto già sancito dal precedente art. 15 del CCNL 14.09.2000, pertanto si ritengono attualmente vigenti gli orientamenti applicativi forniti già dall’ARAN nonché dal Dipartimento della Funzione Pubblica.
Ciò posto, per quanto attiene la possibilità di riconoscere detti permessi a dipendenti iscritti a università telematiche, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca con nota del 20.05.2009 n. 9/207/RET/R, aveva interpretato in senso favorevole l’utilizzo dei permessi sostenendo che “la ratio della norma vada nel senso di garantire il diritto allo studio e quindi le 150 ore debbano essere concesse anche agli studenti delle università telematiche”.
Tuttavia, al fine di evitare l’uso distorto dell’istituto, il Dipartimento della Funzione Pubblica, con Circolare n. 12/2011, pur confermando che non vi sono preclusioni alla fruizione dei permessi studio da parte dei dipendenti pubblici iscritti alle università telematiche, ha precisato che “la fruizione risulta subordinata alla presentazione della documentazione relativa all’iscrizione e agli esami sostenuti, nonché all’attestazione della partecipazione personale del dipendente alle lezioni. In quest’ultimo caso i dipendenti iscritti alle università telematiche dovranno certificare l’avvenuto collegamento all’università telematica durante l’orario di lavoro”.
L’ARAN si è attestata sul predetto orientamento, stabilendo tuttavia che l’attestato di partecipazione o frequenza assume un rilievo prioritario in quanto certifica sia la circostanza dell’effettiva presenza alle lezioni sia quella che le medesime lezioni si svolgono all’interno dell’orario di lavoro.
A tal fine, l’autocertificazione potrebbe ammettersi nei casi in cui la PA possa procurarsi direttamente, ex se, la certificazione necessaria; contrariamente sarà necessaria una attestazione da parte della stessa università, che certifichi che quel determinato dipendente ha seguito personalmente, effettivamente e direttamente le lezioni trasmesse in via telematica.
Per quanto attiene le modalità di concessione dei permessi, posto che si consiglia all’ente di approvare apposita regolamentazione, si osserva quanto segue:
   1. l’ARAN ritiene non vi siano preclusioni circa la sostituzione di un dipendente in corso d’anno, purché sia rispettato il tetto delle 150 ore. Pertanto, se un dipendente termina l’utilizzo a marzo, potrà cedere le ore residue per l’anno solare ad altro dipendente;
   2. ove non sia prevista alcuna regolamentazione, come regola generale prescritta dall’art. 45, qualora il numero delle domande presentate dai lavoratori superi il limite massimo del 3% del personale a tempo indeterminato in servizio all’inizio di ogni anno, l’attribuzione dei permessi avviene sulla base dei criteri di priorità indicati nei commi 6, 7 e 8 (23.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOL'ufficio personale di questo ente pubblico economico (Settore Sanità) chiede quali siano gli attuali obblighi di pubblicazione degli incarichi, stipendi e redditi dei dirigenti alla luce delle recenti vicende (interventi Anac, Corte Costituzionale ecc…)?
La questione relativa agli obblighi di pubblicazione dei dati patrimoniali e reddituali dei dirigenti (art. 14, D.Lgs. 14.03.2013, n. 33) ha visto degli sviluppi particolari che merita riepilogare.
Il D.Lgs. 14.03.2013 n. 33 all'art. 14, comma 1-ter, dispone "Ciascun dirigente comunica all'amministrazione presso la quale presta servizio gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica, anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23.06.2014, n. 89. L'amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale l'ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente".
L'autorità anticorruzione (ANAC) è intervenuta a chiarire nel tempo i contenuti prescrittivi delle disposizioni in materia con:
   - Del. 28.12.2016, n. 1310
   - Del. 08.03.2017, n. 241
   - Del. 12.04.del 2017, n. 382
La questione, attraverso il ricordo di dirigenti del Garante privacy è poi giunta al vaglio della Cort. Cost. 21.02.2019, n. 20 "dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all'art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall'art. 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)".
A tale pronuncia, non del tutto esaustiva è seguita la Del. 26.06.2019, n. 586 dell’ANAC del la quale ha dato vita a polemiche ed a un nuovo ricorso (questa volta da parte di dirigenti del settore sanità) che ha portato alla sua sospensione con il provvedimento del TAR Lazio, Roma, Sez. I, sent. 21.11.2019, n. 7579.
A questa ordinanza è seguito un nuovo Comunicato 04.12.2019 del Presidente ANAC circa gli effetti della sentenza e del citato complesso di disposizioni.
La situazione, che rischiava di creare problemi interpretativi e richieste di risarcimento di danni ha convinto il Governo ad inserire una disposizione nel "Decreto Milleproroghe 2020", all'art. 1, comma 7, D.L. 30.12.2019, n. 162 il quale dispone "Fino al 31.12.2020, nelle more dell'adozione dei provvedimenti di adeguamento alla sentenza della Cort. Cost. 21.02.2019, n. 20, ai soggetti di cui all'articolo 14, comma 1-bis, D.Lgs. 14.03.2013, n. 33, non si applicano le misure di cui agli artt. 46 e 47 del medesimo decreto.
Conseguentemente, con regolamento da adottarsi entro il 31.12.2020, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23.08.1988, n. 400, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Ministro della difesa, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono individuati i dati di cui al comma 1 dell'articolo 14 del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, che le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 2-bis, comma 2, del medesimo decreto legislativo devono pubblicare con riferimento ai titolari amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, comunque denominati, ivi comprese le posizioni organizzative ad essi equiparate, nel rispetto dei seguenti criteri:
   a) graduazione degli obblighi di pubblicazione dei dati di cui al comma 1, lettere a), b), c), ed e), dell'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, in relazione al rilievo esterno dell'incarico svolto, al livello di potere gestionale e decisionale esercitato correlato all'esercizio della funzione dirigenziale;
   b) previsione che i dati di cui all'articolo 14, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, siano oggetto esclusivamente di comunicazione all'amministrazione di appartenenza;
   c) individuazione dei dirigenti dell'amministrazione dell'interno, degli affari esteri e della cooperazione internazionale, delle forze di polizia, delle forze armate e dell'amministrazione penitenziaria per i quali non sono pubblicati i dati di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, in ragione del pregiudizio alla sicurezza nazionale interna ed esterna e all'ordine e sicurezza pubblica, nonché in rapporto ai compiti svolti per la tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna
" di fatto sospendendo tutti gli obblighi di pubblicazione relativi.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 14.03.2013, n. 33, art. 14 - Del. 08.03.2017, n. 241 dell’ANAC - Del. 12.04.2017, n. 382 dell’ANAC - Del. 26.06.2019, n. 586 dell’ANAC - Comunicato 04.12.2019 - D.L. 30.12.2019, n. 162, art. 1
Riferimenti di giurisprudenza
Cort. Cost. 21.02.2019, n. 20
Documenti allegati
Del. 28.12.2016, n. 1310 dell’ANAC - TAR Lazio, Roma, Sez. I, sent. 21.11.2019, n. 7579 (22.01.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTI SERVIZIVerifica aggiudicatario affidamento servizio assicurativo.
Domanda
Siamo un ente di piccole dimensioni, ed a breve dovremmo bandire una gara per il servizio di assicurazione obbligatoria per i veicoli del comune.
Come verificare i requisiti di idoneità e di capacità economico-finanziaria o tecnica-professionale previsti per la partecipazione ad una procedura come quella che verrà indetta? È possibile utilizzare il requisito del minor prezzo?
Risposta
Data la complessità della materia assicurativa si consiglia all’ente di affidarsi ad un broker, per la valutazione e gestione dei rischi attinenti alla specifica realtà comunale, per l’analisi delle polizze e predisposizione di adeguati capitolati, per l’assistenza nella redazione della documentazione di gara, sia con riferimento ai requisiti speciali da richiedere agli operatori, che nella scelta dei criteri di aggiudicazione. Servizio, tra l’altro, che non comporta oneri diretti per l’ente pubblico.
Passando nello specifico al quesito, per quanto riguarda la verifica dei requisiti di idoneità, intesa quale abilitazione all’esercizio dell’attività assicurativa relativa al ramo di rischio oggetto della procedura, è possibile accedere al sito dell’IVASS, ed in particolare alla sezione dedicata agli albi www.ivass.it/operatori/imprese/albi/index.html.
In merito ai requisiti speciali di capacità economico e/o tecnica, sono ritenuti di regola, quali elementi significativi nella selezione di un qualificato operatore economico:
   • una data quantificazione di una raccolta premi assicurativi complessiva nel ramo “RC Autoveicoli” nel precedente triennio finanziario;
   • l’esercizio, sempre nel precedente triennio finanziario, di servizi assicurativi analoghi a quello oggetto della procedura (rischio appunto RC Auto).
Per accertare la regolarità della dichiarazione resa in sede di gara con riferimento all’ammontare della raccolta premi
[1] in alternativa alla richiesta all’operatore economico è possibile accedere al sito di ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), e prendere visione della pubblicazione “Premi del lavoro diretto italiano”.
Il secondo requisito andrà verificato mediante acquisizione d’ufficio di originale o copia conforme dei certificati rilasciati dall’amministrazione/ente pubblico contraente, con l’indicazione del tipo di polizza, effetto e scadenza della polizza e premio annuo lordo, o richiesta all’operatore aggiudicatario di analoghi documenti nel caso di committente privato.
Sulla scelta del criterio di aggiudicazione, si ritiene legittimo il minor prezzo, sia per importi infra 40.000 che superiori, ai sensi dell’art. 36, co. 9-bis, del codice, non rientrando, la prestazione in oggetto, tra quelle fattispecie descritte nell’art. 95, co. 3, del d.lgs. 50/2016.
Preme sottolineare l’opportunità di non prevedere l’esclusione automatica delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2 e ss. dell’art. 97, del codice, stante l’interesse transfrontaliero che può presentare un servizio assicurativo.
---------------
[1] La verifica va effettata per gruppo assicurativo di appartenenza (22.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

APPALTIObblighi di pubblicità e trasparenza in materia di enti pubblici.
Domanda
L’articolo 22, del d.lgs. 33/2013, detta gli obblighi di pubblicità e trasparenza che hanno, anche i comuni, in materia di enti pubblici istituiti, vigilati o finanziati dall’amministrazione medesima.
I tre requisiti citati nella norma devono intendersi in modo cumulativo o alternativo?
Risposta
Il decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, all’articolo 22, disciplina gli “Obblighi di pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici vigilati, e agli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato".
L’Albero della Trasparenza – allegato “1” alla delibera ANAC n. 1310 del 28.12.2016 – prevede una specifica sottosezione di Livello 1, nel link Amministrazione trasparente, denominata “Enti controllati”, dove adempiere ai seguenti obblighi:

Comma 1
Tutti gli enti devono pubblicare, in formato tabellare aperto:
   a) l’elenco degli enti pubblici, comunque denominati, istituiti, vigilati o finanziati dall’amministrazione medesima, nonché di quelli per i quali l’amministrazione abbia il potere di nomina degli amministratori dell’ente, con l’elencazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
   b) l’elenco delle società di cui detiene direttamente quote di partecipazione anche minoritaria indicandone l’entità, con l’indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
   c) l’elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, in controllo dell’amministrazione, con l’indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate. Ai fini delle presenti disposizioni sono enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciuti, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi;
   d) una o più rappresentazioni grafiche che evidenziano i rapporti tra l’amministrazione e gli enti;
   d-bis) i provvedimenti in materia di costituzione di società a partecipazione pubblica, acquisto di partecipazioni in società già costituite, gestione delle partecipazioni pubbliche, alienazione di partecipazioni sociali, quotazione di società a controllo pubblico in mercati regolamentati e razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche, previsti dal decreto legislativo adottato ai sensi dell’articolo 18 della legge 124/2015.

Comma 2
Per ciascuno degli enti di cui alle lettere da a) a c) del comma 1 sono pubblicati i dati relativi a:
   • ragione sociale;
   • misura della eventuale partecipazione dell’amministrazione;
   • durata dell’impegno;
   • onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l’anno sul bilancio dell’amministrazione;
   • numero dei rappresentanti dell’amministrazione negli organi di governo;
   • trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante;
   • risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari.
Devono essere pubblicati i dati relativi agli incarichi di amministratore dell’ente e il relativo trattamento economico complessivo.

Comma 3
Nel sito dell’amministrazione deve essere inserito il collegamento (tramite un apposito link) con i siti istituzionali dei soggetti di cui al comma 1.

Comma 4
Nel caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli enti di cui al comma 1, è vietata l’erogazione in loro favore di somme a qualsivoglia titolo da parte dell’amministrazione interessata, ad esclusione dei pagamenti che le amministrazioni sono tenute ad erogare a fronte di obbligazioni contrattuali per prestazioni svolte in loro favore da parte di uno degli enti e società indicati nelle categorie di cui al comma 1, lettere da a) a c).

Comma 6
Le disposizioni dell’articolo 22 non trovano applicazione nei confronti delle società, partecipate da amministrazioni pubbliche, con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione europea, e loro controllate.


Per gli enti che non provvedono alla pubblicazione dei dati su indicati o li pubblicano incompleti, l’articolo 47, comma 2, del decreto prevede una specifica sanzione amministrativa, a carico del responsabile della pubblicazione consistente nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell’indennità di risultato ovvero nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell’indennità accessoria percepita dal responsabile della trasparenza. La stessa sanzione si applica agli amministratori societari che non comunicano ai soci pubblici il proprio incarico ed il relativo compenso entro trenta giorni dal conferimento ovvero, per le indennità di risultato, entro trenta giorni dal percepimento
[1];
Delineato il quadro normativo complessivo in cui ci si muove, venendo alla questione specifica evidenziata nell’istanza, si risponde al quesito, specificando che i tre requisiti richiesti dall’art. 22, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 33/2013, ossia enti pubblici, comunque denominati, “istituiti”, “vigilati” e “finanziati” dalla amministrazione, sono da intendersi come alternativi e non cumulativi fra di loro. Ad esempio, i comuni dovranno provvedere alla pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici da loro vigilati, anche se gli stessi non risultino finanziati dalle amministrazioni
[2].
Per ciò che concerne, invece, gli obblighi di pubblicità e trasparenza delle società ed enti in controllo pubblico, occorre fare riferimento all’articolo 2-bis del d.lgs. 33/2013, nel testo introdotto dall’articolo 3, comma 2, del d.lgs. 97/2016. Con tale disposizione è stato ridisegnato l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina sulla trasparenza, rispetto alla precedente indicazione normativa, contenuta nell’abrogato articolo 11 del d.lgs. 33/2013.
I destinatari degli obblighi di trasparenza sono ora ricondotti a tre categorie di soggetti:
   1) pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2 del d.lgs. 165/2000, ivi comprese le autorità portuali nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione, destinatarie dirette della disciplina contenuta nel decreto (art. 2-bis, co. 1);
   2) enti pubblici economici, ordini professionali, società in controllo pubblico, associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato, sottoposti alla medesima disciplina prevista per le P.A. «in quanto compatibile» (art. 2-bis, co. 2);
   3) società a partecipazione pubblica, associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato soggetti alla medesima disciplina in materia di trasparenza prevista per le P.A. «in quanto compatibile» e «limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea» (art. 2-bis, co. 3)
[3].
---------------
[1] Comma così sostituito dall’articolo 1, comma 163, della 27.12.2019, n. 160 (legge di stabilità 2020);
[2] Per ulteriori approfondimento: Linee guida ANAC, delib. n. 1310/2016, Paragrafo 5.4; FAQ Trasparenza 10.1.
[3] Per gli obblighi di pubblicità e trasparenza delle società ed enti in controllo pubblico si rinvia alla delib. ANAC n. 1134 dell’08/11/2017, recante: Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici
(21.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - VARI: Lanterne volanti.
Domanda
Nell’ambito di una cerimonia privata si ha l’intenzione di lanciare le cd “lanterne volanti”. È consentito? E se sì, sono necessarie delle autorizzazioni?
Risposta
La lanterna volante è un manufatto realizzato con un corpo di carta che avvolge una struttura rigida al cui interno vi è una fonte di calore. L’aria calda all’interno del corpo, avendo una densità minore rispetto all’esterno, fa innalzare la lanterna. Le lanterne in commercio rimangono in volo libero per circa 10 minuti dopodiché, allo spegnimento della fiamma, ritornano al suolo.
È evidente che tali oggetti volanti sono potenzialmente pericolosi per due motivi: possono propagare incendi e possono generare pericolo per l’ambiente e il traffico aereo.
Per il primo motivo l’accensione di tali manufatti è soggetto alla licenza di cui art. 57 TULPS, a prescindere dal fatto che l’evento abbia carattere pubblico o privato.
Per il secondo motivo è necessario inoltrare un’istanza all’autorità aeroportuale (direzione aeroportuale ENAC – Ente Nazionale Aviazione Civile) che valuta la compatibilità dell’evento con il traffico aereo. Si rimanda alla circolare ENAC – serie Air Traffic Management (ATM) del 16.12.2010 e in particolare all’allegato A) che consiste nel modello da compilare completo di note e indicazioni tecniche.
Pertanto la licenza di cui art. 57 TULPS deve richiamare il documento “validato” dell’ENAC. La circolare del Ministero dell’Interno del 06.12.2012 e la nota della Questura di Modena del 11.02.2013 sono esaustive in questo senso.
Infine, nel caso si debba intervenire –ci si riferisce alle forze di Polizia locale– e si accerti l’assenza di autorizzazione di cui art. 57 TULPS comprensiva della relativa valutazione ENAC, risulta d’obbligo, in forza all’art. 703 del codice penale (accensioni ed esplosioni pericolose), procedere ai sensi del codice di procedura penale con l’immediata interruzione dei lanci ed il sequestro delle lanterne ancora a terra.
Si ritiene inoltre doveroso avvisare senza ritardo, anche tramite la locale Stazione dei Carabinieri, gli organi di sicurezza aerea competente per territorio (Direzione Aeroportuale/ENAC) (17.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Aumento orario temporaneo dipendente part-time.
Domanda
È possibile aumentare il tempo del lavoro di un dipendente a part-time per un determinato periodo?
Risposta
Il quesito pone in rilievo le disposizioni contrattuali in materia di rapporto di lavoro a tempo parziale, oggi disciplinate dagli articoli 53, 54 e 55 del CCNL 21/05/2018. Richiede inoltre qualche breve considerazione in merito al rispetto dei vincoli in materia di spesa di personale.
In linea generale, si ritiene possibile l’incremento dell’ampiezza percentuale di un rapporto di lavoro costituito a part-time, a condizione, innanzitutto, che vi sia l’accordo del dipendente. In tal caso, occorrerà rifarsi alle regole contrattuali in materia, ovvero procedere alla stipula di un nuovo contratto individuale di lavoro; esso dovrà contenere, ai sensi dell’art. 53, comma 11, del CCNL anzi richiamato, l’indicazione dell’inizio della nuova articolazione oraria del rapporto, la durata della prestazione lavorativa, la collocazione/articolazione temporale puntuale dell’orario e, naturalmente (ai sensi del comma 12, del tutto opportunamente a parere nostro) la durata del contratto medesimo. Le parti si daranno reciprocamente atto che, al raggiungimento del predetto termine contrattuale, torneranno a osservare la disciplina del contratto individuale di lavoro a part-time originario, costituito a tempo indeterminato.
Sotto il profilo dei vincoli alla spesa di personale, l’incremento dei costi derivante dall’aumento delle ore lavorative sarà certamente e pienamente rilevante ai fini del rispetto del limite di cui all’art. 1, comma 557 e segg., della legge 296/2006 e s.m.i.
Dal punto di vista della capacità assunzionale invece si ritiene, per giurisprudenza sufficientemente consolidata presso la Corte dei conti, che il semplice incremento orario di un rapporto di lavoro a part-time, senza il raggiungimento della consistenza di un rapporto a tempo pieno, non configuri una nuova assunzione, e non debba pertanto essere accompagnato dall’utilizzo di facoltà assunzionale, a condizione che non vengano poste in essere fattispecie potenzialmente elusive della lettera e dello spirito della norma, ovvero (detto in modo meno ortodosso) che l’incremento non sia tale da mascherare un full time dietro percentuali di part-time prossime al 100%.
Varie sezioni regionali della Corte dei conti (tra le altre, si apprezzi la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Campania, deliberazione n. 338/2016/PAR) hanno rimarcato quanto la scelta dell’individuazione di tale “limite di ragionevolezza” sia del tutto rimessa all’autonoma valutazione, e conseguente assunzione di responsabilità, da parte dell’ente.
In ogni caso, in ipotesi di incremento della percentuale di part-time in via temporanea –con “rientro” del dipendente alla quota originaria decorso qualche mese– a parere di chi scrive, difficilmente può concretizzare un utilizzo di facoltà assunzionali, giacché è una scelta, di fatto, a tempo determinato.
Per completezza, si segnala la possibilità dell’utilizzo di altro strumento contrattuale, che parrebbe poter rispondere, in alternativa e in modo probabilmente più lineare, alle esigenze di copertura di una vacanza per un periodo piuttosto breve: trattasi del lavoro supplementare, regolato dall’art. 55, commi da 2 a 6, del ridetto CCNL 21/05/2018.
Stabilisce il contratto che, con l’accordo del lavoratore (che potrebbe però rifiutare la prestazione unicamente per comprovate esigenze lavorative, di salute o familiari), l’ente possa richiedere al dipendente a part-time la prestazione di ore di lavoro supplementari (non si tratta, si presti attenzione, di lavoro straordinario) nel limite del 25% della durata dell’orario di lavoro contrattualmente stabilito, con riferimento al mese.
Rilevato su base settimanale, tale previsione consentirebbe di richiedere al dipendente, ad esempio il cui orario sia articolato su 24 ore, fino a 30 ore complessive, dovendosi semplicemente contenere l’orario giornaliero (giorno per giorno) entro quello previsto come orario ordinario di lavoro a tempo pieno del giorno di riferimento (esempio: giornata con orario a tempo pieno di 6 ore / dipendente a part-time con orario di 4 ore / lavoro supplementare fino a ulteriori 2 ore).
Il lavoro supplementare è ammesso (comma 3) per specifiche e comprovate esigenze organizzative o in presenza di particolari situazioni di difficoltà derivanti da concomitanti assenze di personale non prevedibili e improvvise.
Le ore di lavoro supplementare, entro il limite massimo del 25% suddetto, sono retribuite al dipendente con un compenso pari alla retribuzione oraria globale di fatto individuata dall’art. 10, comma 2, lett. d), del CCNL 09/05/2006 (“importo della retribuzione individuale per 12 mensilità cui si aggiunge il rateo della 13^ mensilità nonché l’importo annuo della retribuzione variabile e delle indennità contrattuali percepite nel mese o nell’anno di riferimento, ivi compresa l’indennità di comparto di cui all’art. 33 del CCNL del 22.01.2004”), maggiorata del 15%, e tali importi sono posti a carico del fondo per il lavoro straordinario.
Chi scrive ritiene che, attesa la brevissima durata del periodo di assenza/difficoltà organizzativa, rispetto al quale la scelta della stipula di un nuovo contratto a part-time incrementato potrebbe apparire forzata anche in considerazione dell’incertezza in merito all’esatto protrarsi della stessa, ove l’ente ravvisi compiutamente la sussistenza dei requisiti contrattuali su richiamati, la soluzione da ultimo analizzata possa costituire una valida alternativa (16.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

APPALTI: Informazioni sulle procedure in formato tabellare anno 2020.
Domanda
Sono correttamente adempiute le disposizioni di cui all’art. 1, co. 32, legge 190/2012 qualora si proceda all’elaborazione nel solo mese di gennaio della tabella riassuntiva in formato digitale aperto relativamente agli appalti affidati nell’anno precedente?
Risposta
Si ritiene sia parzialmente adempiuta la disposizione richiamata nel quesito. Per avere un quadro completo degli adempimenti occorre richiamare oltre all’art. 1, co. 32, della legge 190/2012
[1], l’art. 37, co. 1, lett. a), del d.lgs. 33/2013, la Delibera ANAC n. 39 del 20.01.2016 [2], nonché la Delibera ANAC n. 1310 del 2016 completa di allegati [3].
L’art. 3 della sopra citata delibera ANAC 39/2016 prevede la pubblicazione e l’aggiornamento tempestivo sul proprio sito web istituzionale, nella sezione “Amministrazione trasparente”, sotto-sezione di primo livello “Bandi di gara e contratti”, delle informazioni indicate nell’art. 1, co. 32, legge 190/2012, come elencate nella nota a pie di pagina, relative ai procedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, a cui deve associarsi ovviamente il codice CIG di riferimento. Tali informazioni devono essere riportate in formato tabellare (allegato alla Delibera ANAC n. 1310/2016).
Il comma due del sopra citato art. 3 stabilisce che entro il 31 gennaio di ogni anno le Amministrazioni pubblicano in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in formato digitale standard aperto, le informazioni di cui al comma precedente, riferite:
   • alle procedure avviate nel corso dell’anno precedente, anche se in pendenza di aggiudicazione (ad esempio anno 2019). In quest’ultimo caso verranno riportate le informazioni minime essenziali, quali CIG, struttura proponente, oggetto del bando e procedura di scelta del contraente. Nelle successive annualità si procederà all’aggiornamento e integrazione dei dati mancanti;
   • alle procedure in corso di esecuzione nel periodo preso in considerazione (ad esempio procedure bandite in anni precedenti ma in corso di esecuzione nell’anno 2019);
   • alle procedure i cui contratti nel periodo annuale di riferimento hanno subito modifiche e/o aggiornamenti (ad esempio i pagamenti effettuati nell’anno 2019 relativi a contratti derivanti da gare bandite in anni precedenti).
Nella prassi amministrativa di molti enti, compatibilmente con gli strumenti informatici a disposizione, si procede alla pubblicazione nella sezione Amministrazione trasparente di due distinte tabelle. Una prima che riguarda i dati di cui all’art. 3, co. 1, relativa ai CIG staccati nell’anno di riferimento, ed una seconda, da trasmettersi ad ANAC, nella quale sono indicati i CIG presi nell’anno oggetto di comunicazione, nonché riproposti quelli relativi ai contratti derivanti da gare bandite in anni precedenti ma in corso di esecuzione, oppure riferiti a contratti modificati o aggiornati nell’anno di interesse.
Per quanto riguarda la scadenza del 31.01.2020 e alle modalità di trasmissione del file relativo alle informazioni del 2019, si rinvia alle nuove modalità pubblicate sul sito dell’ANAC al seguente link.
---------------
[1] Con riferimento ai procedimenti di cui al comma 16, lettera b), del presente articolo, le stazioni appaltanti sono in ogni caso tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente; l’oggetto del bando; l’elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l’aggiudicatario; l’importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura; l’importo delle somme liquidate. Le stazioni appaltanti sono tenute altresì a trasmettere le predette informazioni ogni semestre alla commissione di cui al comma 2. Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all’anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Le amministrazioni trasmettono in formato digitale tali informazioni all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione.
[2] pagina web linkata
[3] pagina web linkata
(15.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOL'ufficio Personale di questo Comune chiede di conoscere il regime delle graduatorie dei pubblici concorsi a seguito delle novità normative introdotte dalla legge di bilancio 2020.
In particolare, esiste ancora il divieto di utilizzo per posti diversi da quelli messi a concorso per le graduatorie dal 2019?

La legge di bilancio 2020 (L. 27.12.2019, n. 160) ha introdotto delle novità rispetto alla disciplina limitativa introdotta con la L. 30.12.2018, n. 145.
Il comma 147 dell'art. 1 ha previsto che le amministrazioni possano "utilizzare le graduatorie dei concorsi pubblici, fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali, nel rispetto dei seguenti limiti:
   a) le graduatorie approvate nell'anno 2011 sono utilizzabili fino al 30.03.2020 previa frequenza obbligatoria, da parte dei soggetti inseriti nelle graduatorie, di corsi di formazione e aggiornamento organizzati da ciascuna amministrazione, nel rispetto dei princìpi di trasparenza, pubblicità ed economicità e utilizzando le risorse disponibili a legislazione vigente, e previo superamento di un apposito esame-colloquio diretto a verificarne la perdurante idoneità;
   b) le graduatorie approvate negli anni dal 2012 al 2017 sono utilizzabili fino al 30.09.2020;
   c) le graduatorie approvate negli anni 2018 e 2019 sono utilizzabili entro tre anni dalla loro approvazione
".
Il successivo comma ha disposto la abrogazione dei commi da 361 a 362-ter e il comma 365 dell'art. 1, L. 30.12.2018, n. 145, sono abrogati.
Fra le disposizioni abrogate vi è quella contenente l'inciso per cui le graduatorie "sono utilizzate esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso nonché di quelli che si rendono disponibili, entro i limiti di efficacia temporale delle graduatorie medesime, fermo restando il numero dei posti banditi e nel rispetto dell'ordine di merito, in conseguenza della mancata costituzione o dell'avvenuta estinzione del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori", con cioè determinando il ripristino delle possibilità di utilizzo delle graduatorie ante riforma.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 27.12.2019, n. 160, art. 1, comma 147 - L. 27.12.2019, n. 160, art. 1, comma 148 - L. 27.12.2019, n. 160, art. 1, comma 149 - L. 30.12.2018, n. 145, art. 1, comma 361 - L. 30.12.2018, n. 145, art. 1, comma 362 - L. 30.12.2018, n. 145, art. 1, comma 362-bis - L. 30.12.2018, n. 145, art. 1, comma 362-ter - L. 30.12.2018, n. 145, art. 1, comma 365 (15.01.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Quote rosa nelle giunte. Anche negli enti sotto i 3.000 abitanti. Assessori esterni al consiglio per garantire la parità di genere
I comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti sono tenuti al rispetto delle quote rosa nella composizione delle rispettive giunte?
Il comma 137 della legge n. 56/2014 dispone che «nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40%, con arrotondamento aritmetico».
Per quanto concerne i comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti, occorre tenere conto che ai sensi dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 267/2000, come modificato dalla legge n. 215/2012, è previsto che gli statuti comunali e provinciali stabiliscano norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
L'art. 2, comma 1, lett. b), della stessa legge n. 215/2012 ha modificato l'art. 46, comma 2, del Tuel disponendo che il sindaco ed il presidente nella provincia nominano i componenti della giunta «nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi».
La normativa va letta alla luce dell'art. 51 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 1/2003, che ha riconosciuto dignità costituzionale al principio della promozione della pari opportunità tra donne e uomini.
Pertanto si ritiene che per i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti debbano trovare applicazione le disposizioni contenute nei citati articoli 6, comma 3 e 46, comma 2, del decreto legislativo n. 267/2000 e nella legge n. 215/2012. Tali disposizioni, recependo i principi sulle pari opportunità dettati dall'art. 51 della Costituzione, dall'art. 1 del decreto legislativo dell'11.04.2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità) e dall'art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, non hanno un mero valore programmatico, ma carattere precettivo, finalizzato a rendere effettiva la partecipazione di entrambi i sessi in condizioni di pari opportunità, alla vita istituzionale degli enti territoriali.
Per quanto concerne la possibilità di pervenire alla nomina di assessori esterni, si richiama quanto osservato dalla scrivente amministrazione con circolare n. 6508 del 24.04.2014, nella quale gli enti locali sono stati invitati a valutare l'opportunità di procedere alle modifiche statutarie funzionali alla piena attuazione del principio di parità di genere introducendo la possibilità di ricorrere alla nomina di assessori privi dello status di consigliere comunale.
In proposito, risulta che, ai sensi dello statuto del comune che ha prospettato la questione, è prevista la possibilità di nominare gli assessori «anche al di fuori dei componenti del Consiglio fra i cittadini in possesso dei requisiti di compatibilità ed eleggibilità alla carica di Consigliere comunale». Pertanto, il sindaco dell'ente potrebbe valutare la possibilità di applicare tale disposizione statutaria al fine di conformare la composizione della giunta alle previsioni legislative.
Si fa presente, a tale riguardo, che il Tar Abruzzo, con sentenza n. 105 del 2019, ha ritenuto fondato il ricorso avverso un provvedimento di nomina della giunta in quanto non sarebbe stata effettuata «la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile anche tra cittadini al di fuori dei componenti dell'organo consiliare»
(articolo ItaliaOggi del 10.01.2020).

CONSIGLIERI COMUNALI: Incompatibilità del sindaco.
Nei confronti del sindaco, il cui fratello risulta appaltatore di lavori di manutenzione di un immobile comunale, si configura la causa di incompatibilità di cui all’art. 61, comma 1-bis, del D.Lgs. 267/2000 secondo cui “non possono ricoprire la carica di sindaco o di presidente di provincia coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali o provinciali o in qualunque modo loro fideiussore".
Il Comune chiede un parere in merito all’esistenza di una causa di incompatibilità per il sindaco atteso che suo fratello, titolare di una ditta individuale, è risultato aggiudicatario di una gara indetta dall’Ente per l’esecuzione di lavori di manutenzione di un fabbricato di proprietà comunale.
Con riferimento al quesito posto viene in rilievo la norma di cui all’articolo 61, comma 1-bis, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 ai sensi della quale: “Non possono ricoprire la carica di sindaco o di presidente di provincia coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali o provinciali o in qualunque modo loro fideiussore”.
Il Ministero dell’Interno, in un proprio parere
[1], ha rilevato che: “Solo per coloro che intendono ricoprire la carica di sindaco o di presidente della provincia, è prevista un'ipotesi d'incompatibilità, specificamente loro dettata dall'art. 61, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 267/2000, che impedisce di ricoprire le due cariche a coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali. La previsione si aggiunge a quella comune di cui all'art. 63, comma 1, n. 2, del T.U.O.E.L. e colpisce i citati amministratori anche in assenza di un vantaggio diretto o indiretto che possa essere imputato loro personalmente, ma rimanga esclusivo del parente che gestisce l'appalto o il servizio, a maggior salvaguardia del principio d'imparzialità dell'azione amministrativa e per porre al riparo coloro che svolgono una pubblica funzione dal sospetto di essere influenzati da interessi confliggenti con quelli del comune [2].
Attesa la chiarezza del dettato letterale della disposizione in esame, si ritiene che si configuri l’indicata causa di incompatibilità per il sindaco il cui fratello (parente in linea collaterale di secondo grado) risulta appaltatore di lavori di manutenzione di un immobile comunale. Tale conclusione rimane ferma indipendentemente dalle modalità di svolgimento della gara, alla quale il fratello poteva, com’è avvenuto, regolarmente partecipare e prescinde, altresì, dalla considerazione che l’applicazione di una norma siffatta potrebbe creare, di fatto, seri disagi e difficoltà nel reperimento di imprese che svolgano determinati lavori o servizi in realtà comunali dalle ridotte dimensioni demografiche e connotate da una peculiare posizione geografica.
Per completezza espositiva si ricorda che il comma 1-bis dell’articolo 61 TUEL è stato aggiunto dall’articolo 7, comma 1, lett. b-bis), n. 3), del decreto legge 29.03.2004, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 28.05.2004, n. 140, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità, avvenuta con sentenza 31.10.2000, n. 450, dell’articolo 61, n. 2, TUEL nella parte in cui prevedeva la medesima fattispecie quale causa generatrice di ineleggibilità alla carica di sindaco
[3].
---------------
[1] Ministero dell’Interno, parere del 25.05.2010.
[2] Prosegue l’indicato parere rilevando che: “Per tutti gli altri amministratori non è posta invece analoga disposizione, per cui la possibilità di conflitto fra gli interessi del consigliere e quelli del Comune non può essere presunta dall'esistenza di un rapporto di parentela con l'amministratore di un'impresa che opera in servizi o appalti dell'Ente, ma va accertata adeguatamente”.
[3] La Corte costituzionale, in altri termini, aveva cancellato dall’ordinamento una previsione legislativa che aveva finito per considerare più grave il fatto che il candidato alla carica di sindaco avesse un rapporto di parentela o affinità con un appaltatore (e, quindi, causa di ineleggibilità, ex articolo 61, n. 2, TUEL testo precedente) rispetto a quello di essere egli stesso appaltatore in proprio di lavori o servizi comunali (e, quindi, causa di incompatibilità, ex articolo 63, comma 1, num. 2, TUEL).
Nel rispetto di quanto deciso dalla Corte Costituzionale è successivamente intervenuto il decreto legge 80/2004 che ha aggiunto, come sopra già riportato, il comma 1-bis dopo il comma 1 dell’articolo 61 del D.Lgs. 267/2000
(09.01.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Richiesta di fatturato e obbligo di motivazione.
Domanda
Nel programma biennale delle forniture e servizi, la nostra stazione appaltante ha previsto l’avvio di una serie di servizi nell’annualità 2020. I RUP stanno predisponendo gli atti di gara ed in assenza di specifiche indicazioni ci si interroga sul fatturato che può essere richiesto agli appaltatori. E’ possibile avere una generale ricognizione in merito?
Risposta
In tema di richiesta di un fatturato specifico (al fine della dimostrazione dei requisiti di affidabilità economica e finanziaria) dispone il comma 4 dell’articolo 83 del codice dei contratti, nel caso di specie la lettera a) in cui si prevede che le stazioni appaltanti, nel bando di gara, possono richiedere che “gli operatori economici abbiano un fatturato minimo annuo, compreso un determinato fatturato minimo nel settore di attività oggetto dell’appalto”.
La disciplina sul tema è completata dal successivo quinto comma in cui –primo periodo (limitando l’analisi)- chiarisce che “Il fatturato minimo annuo (…) non può comunque superare il doppio del valore stimato dell’appalto, calcolato in relazione al periodo di riferimento dello stesso, salvo in circostanze adeguatamente motivate relative ai rischi specifici connessi alla natura dei servizi e forniture, oggetto di affidamento. La stazione appaltante, ove richieda un fatturato minimo annuo, ne indica le ragioni nei documenti di gara”.
Dalla disposizione ultima riportata emerge che sul RUP grava un doppio onere motivazionale, il primo nel caso in cui venga indicato un fatturato minimo annuo, il secondo –ben più intenso– nel caso in cui il fatturato richiesto superi il doppio del valore stimato dell’appalto.
Alla luce di quanto, il primo suggerimento, ovvio, è che si rispettino le indicazioni cogenti del dettato normativo e che il fatturato richiesto non superi mai il doppio del valore dell’appalto salvo che insistano oggettivamente motivazioni specifiche. Ciò appare ovvio perché, francamente, appare anche difficile trovare motivazioni –che, si ripete, devono essere esplicitate nel bando di gara– che giustifichino la richiesta di un fatturato “eccessivo”.
In tema si può anche richiamare il recente intervento dell’ANAC espresso con il parere n. 1046/2019.
Anche l’autorità anticorruzione ribadisce che in base al chiaro dettato normativo, pur vero che le stazioni appaltanti “possono richiedere, a dimostrazione della solidità economico-finanziaria degli operatori, un importo di fatturato minimo annuo e di fatturato minimo specifico non superiore al doppio dell’importo posto a base di gara” ma “va sottolineato”, prosegue la deliberazione “che, in ogni caso, detta richiesta deve essere sempre accompagnata da una specifica motivazione”.
Inoltre “nell’ipotesi in cui l’importo richiesto superi il doppio dell’importo posto a base di gara", come previsto dalla norma e chiarito dal Consiglio di Stato, è necessario che siano fornite “motivazioni relative a rischi specifici connessi alla natura dei servizi e forniture, oggetto di affidamento” (Cons. Stat., sez. III, 19.01.2018, n. 357).
Nel caso trattato dall’autorità anticorruzione dette motivazioni erano del tutto generiche e sono apparse limitative della libera concorrenza, pertanto, nel parere il procedimento avviato dalla stazione appaltante è stato considerato non conforme al dettato normativo.
A nulla, tra l’altro, è valso il richiamo –da parte della stazione appaltante interessata– che il fatturato richiesto facesse riferimento non a servizi identici ma a servizi analoghi (a dimostrare la volontà di non limitare la concorrenza). Queste “aperture” non esonerano il RUP dal chiarire, fin dall’avvio della procedura, la motivazione che induce a richiedere un fatturato superiore al doppio rispetto al valore della base d’asta (08.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Misure da adottare nel caso di indagini penali a carico di propri dipendenti.
Domanda
Il dirigente dell’ufficio contratti e un dipendente dello stesso ufficio sono indagati rispettivamente per abuso d’ufficio e corruzione. Vorrei saper cosa deve fare l’Amministrazione e, in particolare, il Responsabile della Prevenzione della Corruzione
Risposta
Premesso che il verificarsi di un episodio di malamministrazione potenzialmente configurabile come fatto penalmente rilevante, impone al RPCT una riflessione di carattere generale circa l’adeguatezza delle misure di prevenzione della corruzione nell’area a rischio “contratti”, la prima valutazione che l’Amministrazione si trova a compiere è quella relativa all’opportunità/obbligo di procedere al trasferimento del dipendente ad altro incarico.
Si tratta della misura cosiddetta della rotazione straordinaria. È bene chiarire, innanzitutto, che si sta parlando di una misura preventiva, cautelare e non sanzionatoria. Il dipendente su cui grava il sospetto di una condotta di natura corruttiva viene rimosso dall’ufficio in cui presta l’attività, al fine di prevenire il danno all’immagine di imparzialità dell’Amministrazione.
Per capire se sussista un obbligo di provvedere in tal senso o se, invece, si tratti di una misura facoltativa, occorre analizzare la normativa (art. 3, comma 1, della legge 27.03.2001, n. 97 e art. 16, c. 1, lettera l-quater del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165) e le indicazioni ANAC, contenute nella delibera n. 215 del 26.03.2019.
Inoltre, occorre compiere i necessari distinguo in ragione sia del diverso inquadramento dei dipendenti che della natura dei delitti di cui sono indagati.
L’art. 3, comma 1, della legge 97/2001, disciplina il trasferimento del dipendente per il quale è disposto il giudizio per alcuni dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale.
Per come è formulata la disposizione “… lo trasferisce ad ufficio diverso…” la misura è da intendersi come obbligatoria, al momento in cui il dipendente è rinviato a giudizio per uno dei reati indicati, tra i quali è contemplata la corruzione ma non l’abuso d’ufficio.
L’art. 16, comma 1, lettera l-quater, del d.lgs. 165/2001, contempla, tra i compiti e i poteri dei dirigenti generali, il monitoraggio “delle attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione svolte nell’ufficio a cui sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva”.
Tale disposizione è evidentemente meno precisa, sia in ordine alla natura del reato di cui è sospettato il dipendente che al momento del procedimento penale in cui occorre intervenire.
Nell’aggiornamento al PNA del 2018
[1], l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) interpretava la norma in maniera restrittiva sul piano del momento rilevante per applicare la rotazione straordinaria, individuandolo nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero al termine delle indagini preliminari.
Successivamente, con la delibera n. 215 del 26.03.2019, l’ambito di applicazione della rotazione straordinaria si è esteso, anticipando il momento dell’adozione della misura cautelare a quello in cui il soggetto viene iscritto nel registro delle notizie di reato, di cui all’art. 355 c.p.p. sulla considerazione che il termine “procedimento penale” comprende, anche, la fase delle indagini preliminari.
In merito alla nozione di “condotta di natura corruttiva” invece, l’ANAC precisa nella citata delibera i reati per i quali la misura è obbligatoria (esempio: corruzione), distinguendoli dagli altri delitti contro la P.A. (abuso d’ufficio) per i quali è, evidentemente, facoltativa.
È necessario, pertanto, che non appena l’Amministrazione venga a conoscenza di indagini penali a carico di un dipendente, acquisisca le informazioni utili a valutare se e come applicare la rotazione straordinaria.
Nella valutazione si deve tener conto della gravità delle imputazioni e dello stato degli accertamenti compiuti dall’autorità giudiziaria. In ogni caso, ciò che l’ANAC raccomanda è di adottare comunque un provvedimento in cui si dia conto dell’applicazione o meno della misura e di motivarlo adeguatamente.
Con riferimento al caso proposto, pertanto, si potrebbero fare valutazioni diverse in relazione alla tipologia di reato di cui sono sospettati (abuso d’ufficio e corruzione) e tenere conto della fase del procedimento penale.
Il Responsabile della Prevenzione della Corruzione (RPCT) deve, inoltre, segnalare la questione al Responsabile dell’Ufficio Procedimenti disciplinari (UPD), al quale spetta l’avvio del procedimento disciplinare, con l’eventuale sospensione, in attesa della definizione del procedimento penale, secondo le disposizioni previste, da ultimo, nell’articolo 62 del CCNL Funzioni locale del 21.05.2018.
In ragione della prosecuzione del procedimento, dell’eventuale rinvio a giudizio e dell’esito del processo penale, la valutazione in merito alle misure da adottare dovrà essere ripetuta. Inoltre per il dirigente occorre valutare, nel caso di sentenza di condanna, le conseguenze in termini di inconferibilità, ai sensi dell’art. 3, del decreto legislativo 08.04.2013, n. 39.
----------------
[1] Delibera ANAC n. 1074 del 13/11/2018 (07.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Paletti alle registrazioni. Non esiste un diritto a filmare le sedute. Il presidente del consiglio valuta caso per caso. Necessario un regolamento.
È possibile registrare e diffondere le immagini delle sedute di consiglio comunale pur in assenza di apposita previsione regolamentare, riconoscendo poteri autorizzativi al presidente del consiglio?
Il vigente ordinamento conferisce al consiglio comunale autonomia funzionale e organizzativa (art. 38, comma 3, Tuel) entro la quale si riconduce la potestà di regolare, con apposite norme, ogni aspetto attinente al funzionamento dell'assemblea, tra cui anche quello della registrazione del dibattito e delle votazioni con mezzi audiovisivi, sia da parte degli uffici di supporto all'attività di verbalizzazione del segretario comunale che da parte dei consiglieri, degli organi di informazione e dei cittadini che assistono alla sedute pubbliche.
In questo quadro di riferimento, norme interne possono regolare, pertanto, nell'ambito della disciplina dello svolgimento delle adunanze, anche la registrazione del dibattito e delle votazioni con mezzi audiovisivi; ciò sia per gli uffici di supporto alla verbalizzazione (art. 97, comma 4, lett. a) del decreto legislativo n. 267/2000), che per i consiglieri e i cittadini che assistono alla seduta; lo stesso regolamento può riservare all'amministrazione il compito di registrare le sedute con mezzi audiovisivi escludendo da tale possibilità altri soggetti.
La pubblicità delle sedute non implica, infatti, la facoltà di registrazione ma la libera presenza di chi abbia interesse ad assistervi (v. sentenza della Corte di cassazione, sez. I, n. 5128/2001 ove si afferma la legittimità di un regolamento consiliare che vieta di introdurre nella sala del consiglio apparecchi di riproduzione audiovisiva, se non previa autorizzazione).
La giurisprudenza (in particolare, la sentenza n. 826 del 16/03/2010 del Tar per il Veneto) afferma che in assenza di un'apposita disciplina regolamentare adottata dall'ente, non possono essere garantiti i diritti previsti dal codice sul trattamento dei dati personali di cui al dlgs 196 del 2003 e successive modifiche, non essendo consentito al sindaco-presidente estemporanei assensi, alla videoregistrazione.
È stato ritenuto, invece, immediatamente concedibile da parte del presidente del consiglio comunale, nei confronti di emittenti televisive nazionali e locali l'autorizzazione a riprendere, in via non sistematica, gratuitamente e senza diritti di esclusiva, talune brevi fasi delle sedute del consiglio comunale in quanto da tale autorizzazione non conseguono obblighi di sorta per l'amministrazione comunale quale «titolare» o «responsabile» del trattamento dei personali.
Non sussiste, quindi, un autonomo e indiscriminato diritto a procedere alla registrazione che consenta di superare gli eventuali divieti posti dall'amministrazione.
Sulla materia, anche il Garante per la protezione dei dati personali con nota del 23.04.2003 ha ritenuto che l'amministrazione comunale possa, con apposita norma regolamentare, porre delle condizioni e dei limiti alle riprese ed alla diffusione televisiva delle riunioni del consiglio comunale, prevedendo, in quella sede, l'onere di informare preventivamente i presenti nell'aula consiliare dell'esistenza delle telecamere e della successiva diffusione delle immagini, ovvero il divieto di divulgare informazioni sullo stato di salute, nonché le ipotesi in cui eventualmente limitare le riprese per assicurare la riservatezza dei soggetti presenti o oggetto del dibattito.
Con precedenti pareri, questo ministero aveva ritenuto la possibilità per il presidente del consiglio di regolare e valutare la registrazione caso per caso, seppur in assenza di espressa previsione regolamentare, nell'esercizio dei già richiamati poteri di «direzione dei lavori e delle attività del consiglio», di cui all'art. 39, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000 in stretta correlazione alle esigenze di ordinato svolgimento dell'attività consiliare ed in relazione all'oggetto dei lavori previsti all'ordine del giorno.
Tuttavia alla luce anche degli orientamenti giurisprudenziali e del Garante per la protezione dei dati personali, si ritiene, invece, opportuno un approfondimento della problematica che non può non condurre alla necessità della previa adozione di norme regolamentari entro le quali il Presidente può esercitare le proprie prerogative
(articolo ItaliaOggi del 03.01.2020).

ATTI AMMINISTRATIVI: Pubblicazione provvedimenti attributivi vantaggi economici su “Amministrazione trasparente.
Il D.Lgs. n. 33/2013 prevede, per finalità di trasparenza, l’obbligo di pubblicazione nella sezione “Amministrazione trasparente” degli atti di concessione di vantaggi economici di qualunque genere erogati in favore di soggetti pubblici o privati di importo superiore a mille euro.
Sotto il profilo dei rapporti tra trasparenza e privacy, il D.Lgs. n. 33/2013 rappresenta la base giuridica per la diffusione di dati necessari per compiti di interesse pubblico o connessi all’esercizio di pubblici poteri, la quale, secondo la normativa in materia di tutela dei dati personali, può essere solo la legge ovvero, nei casi previsti dalla legge, il regolamento (art. 6, Regolamento (UE) n. 679/2016; art. 2-ter, D.Lgs. n. 196/2003, come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018).
Peraltro, la presenza di un obbligo di legge, che imponga la pubblicazione sui siti web per finalità di trasparenza, non esime dal rispetto dei principi generali applicabili al trattamento dei dati personali, contenuti nell’art. 5 del Regolamento (UE) n. 679/2016, che, in particolare, esprime il principio di minimizzazione dei dati - rilevante in ordine all’individuazione dei dati da diffondere - secondo cui i dati personali devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati.

Il Comune chiede un parere in ordine alla pubblicità da dare ai provvedimenti di concessione di vantaggi economici a privati, non correlati –specifica– ad uno stato di disagio economico-sociale. In particolare, il Comune chiede quali dati vadano pubblicati, avuto riguardo alla normativa in tema di trasparenza e privacy, e con quali mezzi dare pubblicità.
L’art. 12, c. 1, L. n. 241/1990, prevede che “La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi
[1].
Con riferimento a detta norma, la giurisprudenza ha più volte affermato che qualsiasi genere di sovvenzione, contributo o sussidio a soggetti privati o pubblici deve essere preceduto dalla predeterminazione e dalla pubblicazione da parte delle pp.aa. procedenti dei criteri e delle modalità cui le stesse si dovranno attenere, al fine di soddisfare le esigenze di trasparenza e di imparzialità dell’azione amministrativa, nell’assegnare vantaggi economici ai soggetti amministrati
[2].
Un tanto premesso e venendo agli aspetti rilevati dall’Ente, si esprimono alcune considerazioni in relazione agli obblighi di pubblicazione previsti dal D.Lgs. n. 33/2013 per i provvedimenti di concessione di vantaggi economici, di cui all’art. 12, L. n. 241/1990, e a come gli stessi debbano rapportarsi con la normativa in materia di protezione dei dati personali delle persone fisiche, di cui al Regolamento (UE) n. 679/2016.
In particolare, l’art. 26, c. 2, del D.Lgs. n. 33/2013 stabilisce l’obbligo di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere erogati in favore di soggetti pubblici o privati di importo superiore a mille euro.
Il successivo art. 27 stabilisce le informazioni che devono essere pubblicate, tra cui: il nome del soggetto beneficiario, l’importo del vantaggio, il titolo giuridico dell’attribuzione, la modalità seguita per l’individuazione del beneficiario (comma 1). Dette informazioni sono riportate nell’ambito della sezione “Amministrazione trasparente” (comma 2)
[3].
Pertanto, in relazione al quesito dell’ente circa la modalità di pubblicazione dei provvedimenti di cui si tratta, si osserva che per espressa previsione di legge, gli obblighi di pubblicazione relativi ai provvedimenti di attribuzione di vantaggi economici sono adempiuti attraverso il sito istituzionale della p.a., nella sezione “Amministrazione trasparente
[4].
Naturalmente –in relazione alla tematica dei rapporti tra trasparenza e privacy– per gli obblighi di pubblicazione nei siti istituzionali della p.a. previsti dalla normativa vigente per finalità di trasparenza vale il principio per cui la pubblicazione deve avvenire nel rispetto dei limiti alla trasparenza posti dalle norme sulla protezione dei dati personali delle persone fisiche, di cui al Regolamento (UE) n. 679/2016.
Per meglio chiarire, va fatta una necessaria premessa: l’art. 6 (Liceità del trattamento), par. 3, del Regolamento comunitario, prevede che la base su cui si fonda il trattamento dei dati necessari per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri deve essere stabilita dal diritto dell’Unione o dal diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento.
In attuazione di tale previsione, il legislatore italiano, con l’art. 2-ter
[5], c. 1, del D.Lgs. n. 196/2003 (inserito dal D.Lgs. n. 101/2018), introducendo le “disposizioni più specifiche per adeguare l'applicazione delle norme” del regolamento (art. 6, par. 2, Regolamento comunitario), ha stabilito che la base giuridica prevista per il trattamento di dati necessari per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri possa essere solo la legge ovvero, nei casi previsti dalla legge, il regolamento (c. 1).
Inoltre, il medesimo art. 2-ter, tra le modalità di trattamento, ha definito diffusione “il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione”.
Il complesso delle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013 che impongono obblighi di pubblicazione costituisce la base giuridica per la diffusione di dati personali per compiti di interesse pubblico o connessi all’esercizio di pubblici poteri.
Peraltro, la presenza di un obbligo di legge, che imponga la pubblicazione sui siti web per finalità di trasparenza, non esime dal rispetto dei principi generali applicabili al trattamento dei dati personali, oggi contenuti nell’art. 5 del Regolamento (UE) n. 679/2016
[6].
In particolare, viene in considerazione il principio di minimizzazione dei dati, di cui all’art. 5, par. 1, lett. c), secondo il quale i dati personali devono essere “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati
[7], e che rileva in ordine all’individuazione dei dati da diffondere [8].
A tal proposito e in relazione alla domanda del Comune su quali dati vadano pubblicati, il Garante della privacy ha affermato che non risulta giustificato diffondere, tra l’altro, dati quali, ad esempio, l’indirizzo di abitazione o la residenza, il codice fiscale di persone fisiche, le coordinate bancarie dove sono accreditati i contributi o i benefici economici (codici IBAN), la ripartizione degli assegnatari secondo le fasce dell’indicatore della situazione economica equivalente-Isee, l’indicazione di analitiche situazioni reddituali, di condizioni di bisogno o di peculiari situazioni abitative
[9].
Con specifico riferimento all’operatività dell’obbligo di pubblicazione di cui agli artt. 26 e 27, D.Lgs. n. 33/2013, il Garante ha affermato che detta normativa prevede la pubblicazione obbligatoria dei soli nominativi dei soggetti destinatari di un contributo di natura economica superiore a mille euro
[10]. Di conseguenza, vanno oscurati i dati identificativi eccedenti, che non è giustificato diffondere, indicati sopra.
Infine –pur preso atto della precisazione dell’Ente sulla non afferenza dei provvedimenti di cui si tratta a situazioni di disagio economico e/o sociale dei destinatari– si richiama comunque l’attenzione sulle indicazioni del Garante secondo cui, qualora siano state formate graduatorie di ordine di priorità degli aventi diritto sulla base del reddito, andranno oscurati dagli elenchi pubblicati i dati personali dei soggetti la cui collocazione (nei primi posti) potrebbe rivelare situazioni di disagio economico
[11].
---------------
[1] L’art. 26, c. 1, D.Lgs. n. 33/2013, impone la pubblicazione degli atti con i quali sono determinati, ai sensi dell’art. 12, L. n. 241/1990, i criteri e le modalità cui le amministrazioni devono attenersi per la corresponsione di vantaggi economici.
[2] Cfr. Cons. St., sez. V, 23.03.2015, n. 1552; si veda anche: TAR Lazio Roma, sez. II-quater, 13.01.2017, n. 622, secondo cui i principi in materia di sovvenzioni pubbliche posti dall’art. 12, L. n. 241/1990, implicano il rispetto della par condicio tra i possibili destinatari; TAR Liguria Genova, sez. II, 15.02.2012, n. 293, secondo cui la pubblicazione, oltre a soddisfare esigenze di trasparenza ed imparzialità, offre saldo appiglio normativo per ritenere immediatamente impugnabili i criteri in forza dei quali l’amministrazione ripartisce le risorse.
[3] Il comma 4 dell’art. 26 del D.Lgs. n. 33/2013 esclude la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti di concessione dei benefici economici, qualora gli atti e i documenti da pubblicare siano idonei a disvelare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati.
Su questo aspetto –che l’Ente precisa non interessare il caso di specie– si rinvia alla lettura della nota di questo Servizio prot. n. 3221/2019.
[4] Ai sensi dell’art. 9, D.Lgs. n. 33/2013, ai fini della piena accessibilità delle informazioni pubblicate, nella home page dei siti istituzionali è collocata un’apposita sezione denominata “Amministrazione trasparente”, al cui interno sono contenuti i dati, le informazioni e i documenti pubblicati ai sensi della normativa vigente.
[5] Rubricato “Base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri”.
[6] Cfr. Andrea d’Agostino, Luca R. Barlassina, Vincenzo Colarocco, Commentario al Regolamento UE 2016/679 e al Codice della privacy aggiornato, TopLegal Academy, 2019, p. 76.
[7] Sul piano dell’ordinamento interno, è espressione del principio di minimizzazione l’art. 7-bis del D.Lgs. n. 33/2013, il quale, in tema di pubblicazione di dati personali nella sezione “Amministrazione trasparente” di siti delle amministrazioni pubbliche, prevede al c. 4, che “Nei casi in cui norme di legge o di regolamento prevedano la pubblicazione di atti o documenti, le pubbliche amministrazioni provvedono a rendere non intelligibili i dati personali non pertinenti o, se sensibili o giudiziari, non indispensabili rispetto alle specifiche finalità di trasparenza della pubblicazione”.
In materia di tutela dei dati personali, assume altresì rilievo il principio di limitazione della conservazione, correlato, come quello della minimizzazione, alle finalità del trattamento (cfr. Andrea d’Agostino, Luca R. Barlassina, Vincenzo Colarocco, op. cit., pp. 58 e 77).
In proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, sentenza del 13.05.2014, n. 131, ha rilevato che l’illiceità del trattamento “può derivare non soltanto dal fatto che tali dati siano inesatti, ma anche segnatamente dal fatto che essi siano inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, che non siano aggiornati, oppure che siano conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario” (v. in particolare i punti 92 e seguenti).
Questi principi sono stati ribaditi dalla Corte costituzionale, sentenza 21.02.2019, n. 20, la quale ha affermato che i principi di derivazione europea “sanciscono l’obbligo, per la legislazione nazionale, di rispettare i criteri di necessità, proporzionalità, finalità, pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati personali, pur al cospetto dell’esigenza di garantire, fino al punto tollerabile, la pubblicità dei dati in possesso della pubblica amministrazione”.
[8] Andrea d’Agostino, Luca R. Barlassina, Vincenzo Colarocco, op. cit., p. 77.
[9] Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento 15.05.2014, n. 243, recante: “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati”, parte I, par. 9.e.
[10] Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento 18.05.2016, n. 228. In quella sede il Garante ha inoltre precisato che va esclusa –in ogni caso– la diffusione di dati indentificativi (di tutti i dati identificativi, compreso il nome, n.d.r.) delle persone destinatarie dei contributi da cui è possibile ricavare informazioni relative alla situazione di disagio economico (e allo stato di salute).
[11] Cfr. provvedimento del Garante n. 228/2016 cit.
(23.12.2019 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

ENTI LOCALI: Contributo ad un Comitato di Iniziative Locali.
La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.
Ogni “elargizione” di denaro pubblico deve essere, infatti, ricondotta a rigore e trasparenza procedurale e l’amministrazione agente non può considerarsi, quindi, operante in piena e assoluta libertà dovendo rispettare i canoni costituzionali di uguaglianza e i principi stabiliti negli atti fondamentali dell’ente.

Il Comune chiede un parere in merito alla possibilità di concedere un contributo straordinario ad un Comitato Iniziative Locali che ha organizzato, in collaborazione con altre realtà locali, la “festa dell’Avvento”.
Più in particolare l’Ente riferisce dell’esistenza di una mozione della minoranza consiliare che propone all’amministrazione comunale di «concedere un contributo straordinario al CIL (quale Capofila) di € 400,00 per l’organizzazione della tradizionale giornata “Festa dell’Avvento” in data 08.12.2019», precisando, altresì, “che ciò avvenga straordinariamente
[1] (e se tecnicamente possibile) d’Ufficio in deroga alla procedura del Regolamento sopra citato [2]”.
Il Comune rileva che l’importo proposto coinciderebbe con la somma versata dal Comitato per il pagamento della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP). Si precisa, al riguardo, nella mozione che “tra le voci di spesa maggiormente impattanti per gli Organizzatori c’è il pagamento a favore del Comune di XX della Tassa di Occupazione del Suolo Pubblico che ammonta a € 400,00 circa”.
Da ultimo si chiede, altresì, se, atteso che il Presidente del Comitato in riferimento è coniuge di un consigliere comunale, si configuri per quest’ultimo un obbligo di astensione dal partecipare a eventuali sedute consiliari che riguardassero la fattispecie in oggetto.
Quanto al fatto che l’importo proposto quale entità del contributo “corrisponda” a quello versato dal Comitato a titolo di TOSAP si rileva come non sia possibile collegare giuridicamente le due somme trattandosi di importi afferenti a due titoli giuridici differenti e non “compensabili” tra loro.
In altri termini, fermo l’avvenuto versamento della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, per quanto concerne la possibilità per il Comune di concedere un contributo per l’iniziativa in oggetto risulta necessario valutare la normativa di riferimento.
Al riguardo si osserva che la legge 07.08.1990, n. 241
[3] all’articolo 12 (Provvedimenti attributivi di vantaggi economici) prevede che: “1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.
2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1
”.
Il Comune si è dotato di un proprio Regolamento per la concessione di contributi, sussidi, vantaggi economici, patrocinio comunale ad associazioni, enti, altre istituzioni
[4] il quale, prevede un procedimento ad istanza di parte che necessita di una domanda “sottoscritta dal presidente o dal legale rappresentante dell’ente [5]: la richiesta di contributo, pertanto, pare non poter essere concessa d’ufficio dall’Amministrazione comunale.
Si consideri, al riguardo, che, come rilevato dalla Corte dei Conti, «il legislatore ha circondato tale materia di particolari cautele e garanzie procedimentali: ogni “elargizione” di denaro pubblico deve esser infatti ricondotta a rigore e trasparenza procedurale e l’amministrazione agente non può considerarsi, quindi, operante in piena e assoluta libertà e, nel caso specifico, deve rispettare i canoni costituzionali di uguaglianza e i principi stabiliti negli atti fondamentali dell’Ente»
[6].
Ancora la giurisprudenza contabile ha affermato che: “Le attività di soggetti terzi possono essere sostenute da un ente locale, laddove rappresentino una modalità alternativa e mediata di erogazione del servizio pubblico, siano svolte nell'interesse della comunità e siano ritenute utili per la stessa -in attuazione, quindi, dell'art. 118 Cost.- fermo restando lo scrupoloso rispetto delle forme di trasparenza e d'imparzialità, queste ultime presidiate dalla disciplina ex art. 12, L. n. 241 del 1990 e all'art. 26, D.Lgs. n. 33 del 2013
[7].
Per completezza espositiva si segnala che il Comitato potrebbe valutare se vi sia la possibilità di ottenere in altro modo contributi o sovvenzioni a supporto dell’attività svolta. Al riguardo si rileva che la legge regionale 03.05.2019, n. 7 recante “Misure per la valorizzazione e la promozione delle sagre e feste locali e delle fiere tradizionali”, all’articolo 4, prevede che: “1. Al fine di valorizzare e sostenere manifestazioni ed eventi pubblici e/o di pubblico spettacolo, organizzati da Comuni, Enti privati, Fondazioni e Associazioni senza fini di lucro, Pro Loco e Parrocchie, da tenersi in luoghi chiusi o all'aperto, la Regione istituisce un fondo per l'abbattimento delle spese sostenute dai soggetti organizzatori per lo svolgimento dell'evento finanziato e finalizzate:
   a) all'assistenza tecnica necessaria per la presentazione della documentazione richiesta dalla legge;
   b) all'acquisto di attrezzature o materiali necessari a garantire le normative in materia di sicurezza e salute;
   c) all'acquisto di allestimenti;
   d) all'acquisizione di servizi o al noleggio di allestimenti necessari a garantire le normative in materia di sicurezza e salute ovvero la copertura di oneri assicurativi.
2. Per le finalità di cui al comma 1, la Regione riconosce in favore dei soggetti organizzatori un contributo annuo fino ad un importo massimo di 3.000 euro, indipendentemente dal numero di eventi o manifestazioni da essi organizzati nel corso dell'anno.
3. Il contributo di cui al presente articolo è concesso anche in favore degli eventi e delle manifestazioni di cui all'articolo 2.
4. Per l'erogazione dei contributi di cui al presente articolo, la struttura competente è quella in materia di Autonomie locali e sicurezza
”.
Come specificato sul sito internet della Regione Friuli Venezia Giulia
[8]la domanda di contributo deve essere presentata a posteriori, quindi per eventi già realizzati. La concessione del contributo è disposta secondo l'ordine cronologico di presentazione delle domande medesime”.
Sarà cura del Comitato, nel caso intenda valutare la possibilità di ottenimento di un contributo per l’attività svolta, assumere ogni altra informazione necessaria ai fini della presentazione della domanda nel rispetto delle condizioni richieste dalla legge e dall’Avviso pubblicato sul sito istituzionale della Regione Friuli Venezia Giulia cui si rinvia
[9].
Con riferimento all’ultima questione posta, relativa alla sussistenza o meno di un obbligo di astensione per il consigliere comunale che è coniuge del Presidente del Comitato dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere vertenti sulla fattispecie in riferimento, si ritiene che, qualora il consiglio comunale si pronunciasse sulla questione in essere, verrebbe in rilievo il disposto di cui all’articolo 78, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, il quale recita: “Gli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado”.
Come rilevato dalla giurisprudenza, «l'obbligo di astensione per incompatibilità del consigliere comunale, [è] espressione del principio generale di imparzialità e di trasparenza (art. 97 Cost.), al quale ogni Pubblica Amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione»
[10]. Ancora, si è affermato che: «L'obbligo di astensione degli amministratori locali costituisce principio di carattere generale ex art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 (T.U. Enti locali), che non ammette deroghe o eccezioni, ricorrendo ogni qualvolta sussista una correlazione diretta fra la posizione dell'amministratore e l'oggetto della deliberazione, anche se la votazione potrebbe non avere altro apprezzabile esito e la scelta fosse in concreto la più utile e opportuna per l'interesse pubblico [11]
Alla base della scelta legislativa che impone l’obbligo di astensione per le deliberazioni riguardanti questioni per le quali potrebbe esservi un interesse personale degli amministratori o dei loro parenti o affini sino al quarto grado (tra cui rientrerebbe il coniuge) “non è la sfiducia sulle capacità del singolo consigliere di saper decidere anche contro il proprio personale interesse, ma piuttosto la convinzione che il soggetto, al quale è affidata la cura di un interesse pubblico, deve essere posto in condizione di operare senza condizionamenti di sorta, realizzabili evidentemente anche attraverso la mera presenza dell’interessato nell’aula del Consiglio
[12].
---------------
[1] Si precisa che, secondo quanto contenuto nel Regolamento per la concessione di contributi, sussidi, vantaggi economici, patrocinio comunale ad associazioni, enti, altre istituzioni dell’Ente il concetto di straordinarietà è riferito alla possibilità di concedere contributi per iniziative intraprese da soggetti ulteriori rispetto alle associazioni locali, in deroga ai requisiti di ammissibilità di cui all’articolo 4 del regolamento medesimo oppure, in altra accezione, alle domande di contributo “per manifestazioni e iniziative di particolare rilevanza, che hanno carattere straordinario e non ricorrente”.
Il contributo in oggetto non rientra in nessuna delle due tipologie sopra descritte: non nella prima atteso che il Comitato organizzatore dell’evento possiede, a quanto risulta, i requisiti di cui all’articolo 4, primo comma, n. 1 del regolamento comunale; non nella seconda trattandosi di un contributo ricorrente: nella mozione si legge, infatti, che «nella giornata dell’8 dicembre, com’è ormai consolidata tradizione da qualche anno, il CIL […], con la collaborazione del […] hanno organizzato la “Festa dell’Avvento”».
[2] Trattasi, come specificato, del Regolamento per la concessione di contributi, sussidi, vantaggi economici, patrocinio comunale ad associazioni, enti, altre istituzioni.
[3] Recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
[4] Sia per attività ordinarie che per singole iniziative.
[5] Articolo 7, primo comma, del Regolamento per la concessione di contributi, sussidi, vantaggi economici, patrocinio comunale ad associazioni, enti, altre istituzioni.
[6] Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, parere n. 260 del 20.04.2016.
[7] Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 146 del 17.04.2019.
[8] Si rinvia al seguente link relativo a “Contributi per il sostentamento delle spese di assistenza tecnica e acquisizione di servizi (art. 4 l.r. 7/2019).
[9] Si veda il link indicato in nota 8.
[10] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 25.09.2014, n. 4806.
[11] TAR Calabria, Reggio Calabria, sentenza del 09.01.2014, n. 18.
[12] TAR Toscana, Sez. I, sentenza del 06.06.2007, n. 830
(20.12.2019 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).