dossier ABBAINO |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
risposta a quesito su classificazione di "abbaino"
(Regione Emilia Romagna,
nota
18.04.2019 n. 392864 di prot.). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Circa la realizzazione di
abbaini muniti di finestra sul tetto, in giurisprudenza si è pacificamente
ritenuto che trattasi di opera:
a) che determina un aumento di volumetria e che incide sulla sagoma
dell'edificio;
b) che, quindi, rientra nella tipologia della ristrutturazione "con
mutamento di sagoma", subordinata a permesso di costruire ai sensi dell'art.
10, comma 1, lettera "c" del D.P.R. n. 380/2001;
c) che, infine, fuoriuscendo dalla sagoma preesistente della
copertura del tetto, è da considerarsi "costruzione" -agli effetti delle
distanze previste dall'art. 873 del Codice Civile e dalle norme dei
regolamenti integrativi della disciplina codicistica- come tale dovendosi
intendere, secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, qualsiasi opera
non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed
immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione
dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione.
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Quanto alla realizzazione degli
abbaini muniti di finestra sul tetto dei fabbricati, va, in ogni caso,
evidenziato che in giurisprudenza è pacificamente ritenuto che trattasi di
opera:
a) che determina un aumento di volumetria e che incide sulla sagoma
dell'edificio (TAR Napoli, sez. VII, 09.06.2010, n. 13309; TAR Veneto, sez.
II, 07.03.2003, n. 1692; Cons. St., sez. V, 14.06.1996, n. 689);
b) che, quindi, rientra nella tipologia della ristrutturazione "con
mutamento di sagoma", subordinata a permesso di costruire ai sensi
dell'art. 10, comma 1, lettera "c" del D.P.R. n. 380/2001 (n.d.r. art. 19,
comma 1, lett. c), l.r. n. 19/2009);
c) che, infine, fuoriuscendo dalla sagoma preesistente della
copertura del tetto, è da considerarsi "costruzione" -agli effetti
delle distanze previste dall'art. 873 del Codice Civile e dalle norme dei
regolamenti integrativi della disciplina codicistica- come tale dovendosi
intendere, secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, qualsiasi opera
non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed
immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione
dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione (Cass. civ.
sez. II, 03.01.2013, n. 72; id., sez. II, 22.02.2011, n. 4277; id., sez. II,
04.10.2005, n. 19350) (TAR
Friuli Venezia Giulia,
sentenza 30.07.2018 n. 268 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: L’innalzamento
della linea di colmo della nuova copertura, realizzato dagli appellanti, si
configura non come ristrutturazione di tipo B ma come sopraelevazione e,
quindi, intervento di nuova costruzione per il quale non basta la d.i.a. ma
occorre il permesso di costruire.
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Con la costruzione di abbaini viene in discussione un intervento il quale
determina un mutamento di sagoma e un incremento di volumetria riconducibili
alla tipologia d’intervento di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del
d.P.R. n. 380/2001, con la conseguente creazione, a causa di un incremento
volumetrico e di un’alterazione della copertura, di un organismo edilizio in
parte diverso dal precedente, con l’applicabilità delle NTA del PRG nella
parte in cui è prevista una distanza minima dal fabbricato preesistente di
mt. cinque, nella specie non rispettata, e con l’assoggettamento
dell’intervento al rilascio di permesso di costruire ex art. 10/c) cit..
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L’innalzamento della linea di colmo della nuova copertura, realizzato dagli
appellanti, si configura non come ristrutturazione di tipo B ma come
sopraelevazione e, quindi, intervento di nuova costruzione per il quale non
basta la d.i.a. ma occorre il permesso di costruire.
Sulla questione relativa alla costruzione degli abbaini, bene la sentenza,
anche alla luce delle precisazioni contenute nella relazione comunale del
07.09.2010, ha affermato che viene in discussione un intervento il quale
determina un mutamento di sagoma e un incremento di volumetria riconducibili
alla tipologia d’intervento di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del
d.P.R. n. 380/2001, con la conseguente creazione, a causa di un incremento
volumetrico e di un’alterazione della copertura, di un organismo edilizio in
parte diverso dal precedente, con l’applicabilità delle NTA del PRG nella
parte in cui è prevista una distanza minima dal fabbricato preesistente di
mt. cinque, nella specie non rispettata, e con l’assoggettamento
dell’intervento al rilascio di permesso di costruire ex art. 10/c) cit. (sul
carattere di novità dell’organismo edilizio realizzato, rispetto a quello
autorizzato, qualora l’organismo realizzato si presenti diverso da quello
assentito ad esempio attraverso l’innalzamento del tetto, la
riorganizzazione della facciata, l’inserimento di abbaini, l’apertura di
finestre e l’inserimento di balconi, v. Cons. Stato, sez. VI, n. 5804 del
2013)
(Consiglio
di Stato, VI,
sentenza 16.07.2015 n. 3558 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di un abbaino è da qualificarsi quale "nuova
costruzione".
Nell'ambito delle opere edilizie, la semplice "ristrutturazione"
si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni
esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del
quale sussistano e rimangano inalterate le componenti
essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture
orizzontali, la copertura, mentre si verte in ipotesi di "nuova
costruzione", come tale sottoposta alla disciplina in
tema di distanze vigente al momento della medesima, quando
la fabbrica comporti una variazione rispetto alle originarie
dimensioni dell'edificio e, in particolare, comporti aumento
della volumetria.
Nella specie, la Corte di Appello ha constatato che gli
abbaini hanno determinato un aumento di volumetria del
fabbricato di parte convenuta e, conseguentemente, ha
esattamente concluso che essi costituiscono nuova
costruzione.
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RITENUTO IN FATTO
1. — In accoglimento delle domande proposte da Fr.Ir. nei
confronti di Se.Wa., Se.Lu. e Fr.Br., il Tribunale di
Bolzano condannò i convenuti all'arretramento —fino alla
distanza legale— di due abbaini edificati dai medesimi nel
loro immobile e di un'antenna televisiva ivi installata,
nonché al risarcimento del danno; accertò inoltre il confine
tra i fondi delle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
...
2. — Col secondo motivo di ricorso, si deduce la
violazione e la falsa applicazione di norme di diritto,
nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per
avere la Corte territoriale qualificato gli abbaini come "nuove
costruzioni" in contrasto con la previsione dell'art. 52
del regolamento di esecuzione alla legge urbanistica
provinciale di Bolzano e per avere erroneamente ritenuto che
gli abbaini determinavano un aumento di volumetria del piano
sottostante al sottotetto.
Le doglianze non possono trovare accoglimento.
Il primo profilo, relativo al regolamento provinciale
risulta nuovo e, perciò, inammissibile, non avendo peraltro
parte ricorrente dedotto —come era suo onere— di aver posto
la questione a fondamento di apposito motivo di appello.
Il secondo profilo è infondato.
Invero, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione
del principio di diritto secondo cui, nell'ambito delle
opere edilizie, la semplice "ristrutturazione" si
verifica ove gli interventi, comportando modificazioni
esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del
quale sussistano e rimangano inalterate le componenti
essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture
orizzontali, la copertura, mentre si verte in ipotesi di "nuova
costruzione", come tale sottoposta alla disciplina in
tema di distanze vigente al momento della medesima, quando
la fabbrica comporti una variazione rispetto alle originarie
dimensioni dell'edificio e, in particolare, comporti aumento
della volumetria (Cass., Sez. Un., n. 21578 del 2011).
Nella specie, la Corte di Appello ha constatato che gli
abbaini hanno determinato un aumento di volumetria del
fabbricato di parte convenuta (p. 19 sentenza impugnata) e,
conseguentemente, ha esattamente concluso che essi
costituiscono nuova costruzione.
La motivazione del giudizio di fatto circa la sussistenza di
aumento di volumetria è esente da vizi logici e giuridici e
rimane, pertanto, non sindacabile in sede di legittimità
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 17.02.2017 n. 4255). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
serie di opere sistematicamente volte a determinare il cambio di
destinazione d’uso da soffitta ad abitativo.
La realizzazione di un abbaino, munito di finestra sul
tetto del fabbricato, oltre a determinare un aumento di volumetria, incide
sulla sagoma dell'edificio e rientra quindi nella tipologia della
ristrutturazione con mutamento di sagoma, che è subordinata a permesso di
costruire, giusta quanto dispone l'art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R.
06.06.2001 n. 380.
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Le opere eseguite e in corso di esecuzione (quanto alla parte impiantistica)
sono idonee a modificare radicalmente la destinazione d’uso della soffitta
in locale abitabile, incidendo in modo determinate sul carico urbanistico.
Sicché, in materia edilizia le opere interne e gli interventi di
ristrutturazione urbanistica, come pure quelli di manutenzione
straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo,
necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qual
volta comportino mutamento di destinazione d'uso tra due categorie
funzionalmente autonome (mutamento d'uso che nella specie si deduce
dall’approntamento di opere tese a rendere abitabile uno spazio destinato a
soffitta).
Ed invero, solo il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie
omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide
sul carico urbanistico), mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie
edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, si integra in questa
ipotesi una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico
urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di
costruire, e ciò, indipendentemente dall'esecuzione di opere (che, invece,
nel caso in esame sono presenti).
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La sig.ra Ta., proprietaria di un immobile sito in Roma, via ... n. 14,
impugna l’ordinanza n. 1316 del 24.10.2007, notificata il successivo 30
ottobre, recante l’ingiunzione a demolire le seguenti opere eseguite senza
permesso di costruire: “Modifica delle quote d’imposta sia al colmo, sia
alla gronda, per m. 0,35 circa. Realizzazione, in epoca imprecisata, di un
solaio a forma di “L” delle dimensioni di m. 5,00x1,20 e m. 1,00x1,20.
Lavori d’impiantistica in corso, Chiusura porta d’accesso dal pianerottolo e
apertura nuova porta all’interno della soffitta. Apertura finestra-abbaino
di m. 0,30x1,80”.
Premesso che le opere in questione riguardano il piano di copertura,
consistente in un locale soffitta di mq. 29 sempre di esclusiva proprietà
della ricorrente, espone in fatto che le opere oggetto dell’ordine di
demolizione sono consistite in riparazioni per infiltrazioni idriche
provocate dalla preesistenza in loco di un manufatto–lucernaio e, in specie,
nella sostituzione dello stesso con una finestra–abbaino, a bocca di lupo e
con l’installazione di tegole in guaina isolante e sostituzione di travi in
legno.
Contesta, pertanto, che sia stata realizzata una sopraelevazione e che
l’opera comprenda l’installazione di impianti idrici, non essendo intenzione
della ricorrente di destinare il bene ad uso abitativo.
...
Come accennato in narrativa, è oggetto di controversia la determinazione
dirigenziale con cui il Comune di Roma ha ordinato la demolizione di talune
opere eseguita senza permesso di costruire su immobile di proprietà della
ricorrente, comportanti modifiche delle quote di imposta (sia al colmo che
alla gronda), realizzazione di un solaio a forma di “L”, chiusura di porta
d’accesso dal pianerottolo, con contestuale apertura di una nuova porta
all’interno della soffitta, apertura di finestra–abbaino, lavori di
impiantistica.
Sostiene la ricorrente che, essendosi limitata ad eseguire meri interventi
di risanamento, tesi alla conservazione del manufatto deterioratosi nel
tempo, è illegittimo il provvedimento repressivo, emanato senza tenere in
debita considerazione della sufficienza, quale titolo abilitativo,
l’avvenuta presentazione di DIA.
Il ricorso è infondato.
Il provvedimento in esame è stato emesso sulla base di accertamenti tecnici
eseguiti dal resistente Comune a seguito della presentazione di DIA per
l’esecuzione di lavori edili in locale con destinazione d’uso soffitta, nel
corso dei quali è emerso che, oltre ai dichiarati interventi di sostituzione
della copertura, senza modifica delle quote d’imposta, di posa in opera di
una rampa di scale di accesso alla soffitta e di diversa distribuzione
interna, sono state eseguite una serie di opere sistematicamente volte a
determinare in cambio di destinazione d’uso da soffitta ad abitativo, e
comunque determinanti, anche singolarmente considerate, aumento volumetrico
e modifica della sagoma dell’edificio.
Ed invero, è la stessa relazione tecnica di parte, depositata in atti dalla
ricorrente, che evidenzia come a seguito degli interventi ulteriori si sia
determinato un incremento volumetrico, con la conseguenza che non può essere
qualificato quale opera di ristrutturazione quella parte di interventi
edilizi, realizzata in difformità dalla DIA e, dunque, in assenza del
prescritto permesso di costruire, avendo comportato un maggiore ingombro a
terra e maggiore altezza al piano, con conseguente aumento di volumetria.
Per altrettanto, non è inquadrabile nelle suddette opere di ristrutturazione
la realizzazione dell’abbaino munito di finestra sul tetto del fabbricato in
quanto, oltre a determinare un aumento di volumetria, incide sulla sagoma
dell'edificio e rientra quindi nella tipologia della ristrutturazione con
mutamento di sagoma, che è subordinata a permesso di costruire, giusta
quanto dispone l'art. 10, comma 1, lett. c). d.P.R. 06.06.2001 n. 380.
In ogni caso, non può sottacersi che le opere eseguite e in corso di
esecuzione (quanto alla parte impiantistica) sono idonee a modificare
radicalmente la destinazione d’uso della soffitta in locale abitabile,
incidendo in modo determinate sul carico urbanistico.
Ritiene il Collegio che, in materia edilizia, le opere interne e gli
interventi di ristrutturazione urbanistica, come pure quelli di
manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo,
necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qual
volta comportino mutamento di destinazione d'uso tra due categorie
funzionalmente autonome (mutamento d'uso che nella specie si deduce
dall’approntamento di opere tese a rendere abitabile uno spazio destinato a
soffitta).
Ed invero, solo il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie
omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul
carico urbanistico), mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie
edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, si integra in questa
ipotesi una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico
urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di
costruire, e ciò, indipendentemente dall'esecuzione di opere (che, invece,
nel caso in esame sono presenti).
In conclusione, è legittimo il provvedimento impugnato con cui, in
applicazione dell’art. 33, comma 1, d.p.r. n. 380/2001, è stata ordinata la
demolizione delle opere di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 10,
comma 1, lett. c), siccome eseguite in assenza di permesso di costruire, ed
il ricorso deve essere respinto
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 11.09.2015 n. 11216 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
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EDILIZIA
PRIVATA: La
realizzazione di abbaini muniti di finestra sul tetto
trattasi di opera:
a) che determina un aumento di volumetria e che incide sulla
sagoma dell'edificio;
b) che, quindi, rientra nella tipologia della
ristrutturazione "con mutamento di sagoma", subordinata a
permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1,
lettera "c" del D.P.R. n. 380/2001;
c) che, infine, fuoriuscendo dalla sagoma preesistente della
copertura del tetto, è da considerarsi "costruzione" -agli
effetti delle distanze previste dall'art. 873 del Codice
Civile e dalle norme dei regolamenti integrativi della
disciplina codicistica- come tale dovendosi intendere,
secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, qualsiasi
opera non completamente interrata, avente i caratteri della
solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche
mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad
un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione.
Quanto alla realizzazione degli
abbaini muniti di finestra sul tetto dei fabbricati, va
condivisa la conclusione cui perviene la relazione del
07.09.2010 secondo cui trattasi di opera:
a) che determina un aumento di volumetria e che incide sulla
sagoma dell'edificio (TAR Napoli, sez. VII, 09.06.2010, n.
13309; TAR Veneto, sez. II, 07.03.2003, n. 1692; Cons. St.,
sez. V, 14.06.1996, n. 689);
b) che, quindi, rientra nella tipologia della
ristrutturazione "con mutamento di sagoma",
subordinata a permesso di costruire ai sensi dell'art. 10,
comma 1, lettera "c" del D.P.R. n. 380/2001;
c) che, infine, fuoriuscendo dalla sagoma preesistente della
copertura del tetto, è da considerarsi "costruzione"
-agli effetti delle distanze previste dall'art. 873 del
Codice Civile e dalle norme dei regolamenti integrativi
della disciplina codicistica- come tale dovendosi intendere,
secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, qualsiasi
opera non completamente interrata, avente i caratteri della
solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche
mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad
un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione (Cass. civ. sez. II, 03.01.2013, n. 72; id.,
sez. II, 22.02.2011, n. 4277; id., sez. II, 04.10.2005, n.
19350)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 20.03.2014 n. 481 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA: Va
rilevato come l’edificazione dei cinque abbaini in luogo dei
preesistenti lucernai abbia indubbiamente determinato
un’alterazione della sagoma dell’edificio, comportando
altresì un aumento della volumetria.
Stante la rilevanza edilizia delle opere, che hanno
comportato una sopraelevazione ed un incremento dell’altezza
massima relativamente alle diagonali della precedente
copertura, nonché un incremento di volume in rapporto alla
sostituzione di ciascun lucernaio con un abbaino, è indubbio
che ci si trovi di fronte ad un significativo mutamento
della preesistente costruzione, con una parziale costruzione
‘nuova’ in senso tecnico.
Per la giurisprudenza che la Sezione condivide e fa propria,
una sopraelevazione, pur se di ridotte dimensioni, nella
parte in cui determini aumento della volumetria e della
superficie di ingombro, va qualificata come nuova
costruzione.
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La distanza tra gli edifici va calcolata con riferimento ad
ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano, sicché nella specie risulta illegittimo l’atto
che ha consentito la creazione di una sopraelevazione, nella
forma di un abbaino, in sostituzione di un preesistente
lucernaio, che ha determinato, per alcune parti del tetto,
una distanza inferiore a quella prevista per le nuove
costruzioni dalle NTA.
Sotto un profilo fattuale, va rilevato come l’edificazione
dei cinque abbaini in luogo dei preesistenti lucernai abbia
indubbiamente determinato un’alterazione della sagoma
dell’edificio, comportando altresì un aumento della
volumetria.
Stante la rilevanza edilizia delle opere, che hanno
comportato una sopraelevazione ed un incremento dell’altezza
massima relativamente alle diagonali della precedente
copertura, nonché un incremento di volume in rapporto alla
sostituzione di ciascun lucernaio con un abbaino, è indubbio
che ci si trovi di fronte ad un significativo mutamento
della preesistente costruzione, con una parziale costruzione
‘nuova’ in senso tecnico.
Per la giurisprudenza che la Sezione condivide e fa propria,
una sopraelevazione, pur se di ridotte dimensioni, nella
parte in cui determini aumento della volumetria e della
superficie di ingombro, va qualificata come nuova
costruzione (Cassazione civile, Sezione terza, 01.10.2009,
n. 21059).
Le nuove opere così realizzate, in ragione della loro
rilevanza, non potevano quindi considerarsi sottratte
all’obbligo del rispetto delle distanze minime (5 metri) di
cui all’art. 16 delle NTA del piano regolatore comunale di
Vercelli.
La risalenza dell’edificio (nella sua originaria
consistenza) esclude, evidentemente, che debba richiedersi ‘retroattivamente’
–a seguito delle modifiche apportate– il rispetto della
distanza di cinque metri, oggi prevista dalle NTA: è ovvio
che una disposizione (di per sé innovativa) sulle distanze
non rende contra ius un manufatto realizzato in
precedenza.
Tuttavia, non può ammettersi che le modifiche dell’edificio
comportino una distanza tra i due edifici che sia inferiore
alla misura imposta da una disposizione nel frattempo
entrata in vigore: l’art. 16 si applica senz’altro per la
nuova costruzione che si intenda realizzare su un edificio
preesistente.
Peraltro, la distanza tra gli edifici va calcolata con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole
parti che si fronteggiano (Consiglio di Stato Sezione
Quarta, 02.11.2010, n. 7731, e 05.12.2005, n. 6909), sicché
nella specie risulta illegittimo l’atto che ha consentito la
creazione di una sopraelevazione, nella forma di un abbaino,
in sostituzione di un preesistente lucernaio, che ha
determinato, per alcune parti del tetto, una distanza
inferiore a quella prevista per le nuove costruzioni dalle
NTA (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.09.2013 n. 4501 - link a
www.giustizia-amministrativa). |
CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA:
In base all’art.
11, comma primo, del d.P.R. 06.06.2001 n. 980, il permesso
di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a
chi abbia titolo per richiederlo.
Quindi, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre
l'onere di verificare la legittimazione del richiedente,
accertando che questi sia il proprietario dell'immobile
oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne
abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire
l'attività edificatoria.
---------------
Nel caso di specie è pacifico che gli interventi per i quali
è stato richiesto il titolo edilizio riguardano, non solo le
unità immobiliari poste all’ultimo piano dell’edificio, ma
anche il tetto di quest’ultimo: in particolare riguardano
anche la creazione di cinque abbaini e tre prese di luce,
due delle quali apribili.
Ciò premesso va osservato che, in base all’art. 1117, n. 1,
del codice civile, il tetto è oggetto di proprietà comune
dei proprietari delle singole unità immobiliari che
compongono l'edificio.
Ne consegue che i singoli proprietari non possono,
singolarmente, apportare modificazioni allo stesso, essendo
invece necessaria, ai sensi dell’art. 1120 del codice
civile, una apposita deliberazione dell’assemblea
condominiale, assunta con le maggioranze stabilite dall’art.
1136 dello stesso codice.
Nel caso concreto la richiesta del controinteressato non è
stata preceduta da alcuna deliberazione avente carattere
autorizzatorio; sicché deve ritenersi che questi fosse privo
di legittimazione a richiedere il titolo edilizio.
Decisivo, ai fini della soluzione della controversia, è il
primo motivo, avente carattere assorbente, con il quale la
ricorrente lamenta che il sig. L.L., odierno
controinteressato, sarebbe stato privo della legittimazione
a richiedere il permesso di costruire poi rilasciato, atteso
che le opere che si intendono realizzare investono parti
comuni dell’edificio (nella specie il tetto), e che quindi
la richiesta avrebbe dovuto essere preceduta da una delibera
condominiale di contenuto autorizzatorio.
In proposito, va osservato che, in base all’art. 11, comma
primo, del d.P.R. 06.06.2001 n. 980, il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi
abbia titolo per richiederlo.
Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, il
Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di
verificare la legittimazione del richiedente, accertando che
questi sia il proprietario dell'immobile oggetto
dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un
titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 04.04.2012 n.
1990).
Nel caso di specie è pacifico che gli interventi per i quali
è stato richiesto il titolo edilizio riguardano, non solo le
unità immobiliari poste all’ultimo piano dell’edificio, ma
anche il tetto di quest’ultimo: in particolare riguardano
anche la creazione di cinque abbaini e tre prese di luce,
due delle quali apribili.
Ciò premesso va osservato che, in base all’art. 1117, n. 1,
del codice civile, il tetto è oggetto di proprietà comune
dei proprietari delle singole unità immobiliari che
compongono l'edificio.
Ne consegue che i singoli proprietari non possono,
singolarmente, apportare modificazioni allo stesso, essendo
invece necessaria, ai sensi dell’art. 1120 del codice
civile, una apposita deliberazione dell’assemblea
condominiale, assunta con le maggioranze stabilite dall’art.
1136 dello stesso codice.
Nel caso concreto la richiesta del controinteressato non è
stata preceduta da alcuna deliberazione avente carattere
autorizzatorio; sicché deve ritenersi, conformemente a
quanto sostenuto dalla ricorrente, che questi fosse privo di
legittimazione a richiedere il titolo edilizio (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.07.2013 n. 1820 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA-PRIVATA:
L'edificazione di abbaini sul tetto,
contraddistinti da rilevanti dimensioni tali da trasformare
la struttura preesistente, con conseguente creazione di
nuovi spazi interni dapprima non utilizzabili per esigenze
abitative, comporta aumento di volumetria, incidendo
significativamente sulla sagoma dell'edificio. Del resto, la
realizzazione di tali nuove strutture coperte laddove prima
esse non esistevano, implica una radicale trasformazione
della sagoma del tetto.
Le opere così realizzate, pertanto, proprio in virtù della
loro rilevanza edilizia, non possono considerarsi sottratte
all'obbligo generale del rispetto delle distanze. Ed
infatti, gli aumenti della volumetria o delle superfici
occupate, in relazione all'originaria sagoma di ingombro,
anche qualora siano definiti come ristrutturazione, sono
rilevanti ai fini del computo delle distanze rispetto agli
edifici contigui, come previste dagli strumenti urbanistici
locali.
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Le distanze tra edifici, anche in relazione a quanto
previsto dal d.m. n. 1444 del 1968, vanno calcolate con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole
parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e
non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto
che esse siano o meno in posizione parallela.
Nel merito si deve osservare, innanzi tutto, che
l’edificazione dei cinque “abbaini” sul tetto
dell’edificio di proprietà del controinteressato ha
determinato un’evidente alterazione della sagoma di esso
insieme ad un innegabile avanzamento (nonché innalzamento)
della struttura coperta. Sono stati, infatti, ricavati
cinque spazi chiusi innestati sulla superficie curva del
tetto con altrettante strutture aventi pavimentazione piana,
che fuoriescono notevolmente dalla struttura preesistente,
con altezza pari a m. 3,20 (cfr. tavola n. 3/5 del progetto:
doc. n. 20 del controinteressato) tale da poter essere
sfruttata anche per esigenze abitative.
Deve, in proposito, richiamarsi la giurisprudenza
amministrativa dominante, secondo la quale l’edificazione di
abbaini sul tetto, caratterizzati da rilevanti dimensioni
tali da trasformare la struttura preesistente, con
conseguente creazione di nuovi spazi interni dapprima non
utilizzabili per esigenze abitative, comporta aumento di
volumetria ed incide significativamente sulla sagoma
dell’edificio (cfr. ex multis: TAR Veneto, sez. II,
n. 1692 del 2003; Cons. Stato, sez. V, n. 689 del 1996; TAR
Campania, Napoli, sez. VII, n. 13309 del 2010).
Non può avere rilevanza, in proposito, quanto eccepiscono in
fatto l’amministrazione resistente e il controinteressato,
ossia che le cinque nuove strutture non fuoriescono né
rispetto al filo di gronda né rispetto al colmo del tetto:
se ciò è vero, è anche vero però che sono state realizzate
nuove strutture coperte laddove prima esse non esistevano,
ossia previa occupazione di spazi (sia verso l’esterno, sia
verso l’alto) prima liberi, con conseguente radicale
trasformazione della sagoma del tetto.
Le opere così realizzate, pertanto, proprio per effetto
della loro rilevanza edilizia, non potevano non considerarsi
sottratte all’obbligo generale del rispetto delle distanze:
come si precisa in giurisprudenza, infatti, gli aumenti
della volumetria o delle superfici occupate, in relazione
all’originaria sagoma di ingombro, anche qualora siano
definiti come “ristrutturazione”, sono rilevanti ai
fini del computo delle distanze rispetto agli edifici
contigui, come previste dagli strumenti urbanistici locali
(cfr., ad es.: Cassaz. civ., sez. un., n. 21578 del 2011;
TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 7505 del 2010; TAR
Liguria, sez. I, n. 3566 del 2009).
L’assunto, del resto, trova conferma anche in quelle
pronunce giurisprudenziali (come Cons. Stato, sez. IV, n.
5490 del 2011, invocata dall’amministrazione resistente)
che, pur ricordando che gli interventi di ristrutturazione
effettuati sopra un manufatto già esistente non impongono il
rispetto delle distanze minime, evidenziano però
l’inoperatività di tale “principio” allorché risulti
essere stata realizzata “un'opera difforme da quella
preesistente per sagoma, volume e superficie, anche in
termini di ampliamento e sopraelevazione” (così, per
l’appunto, Cons. Stato n. 5490 del 2011, cit.), come è
avvenuto nel caso oggetto del presente giudizio.
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Quanto, poi, all’ulteriore circostanza di fatto (evidenziata
dal controinteressato) che i due edifici “non si
fronteggiano e non vi è pericolo di creazione di
intercapedini nocive”, si deve comunque osservare che le
distanze tra edifici, anche in relazione a quanto previsto
dal d.m. n. 1444 del 1968, vanno calcolate con riferimento
ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a
quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse
siano o meno in posizione parallela (cfr., ex multis,
Cons. Stato, sez. IV, n. 7731 del 2010 e n. 6909 del 2005)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 05.07.2012 n. 807 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
1- Attività edilizia - Intervento -
Abbaini abusivamente realizzati - Visibilità dell'opera -
Punti di osservazione - Fattispecie.
2- Concessione - Zone vincolate - Vincolo paesistico -
Normativa di riferimento - Opere non preventivamente
assentite - Sanatoria - Va esclusa - Eccezioni.
4- Beni culturali ed ambientali - Vincolo - Paesaggistico -
Nozione di "paesaggio" - Riferimenti normativi -
Interpretazione - Caratteri fondamentali del concetto di
paesaggio - Individuazione - Visione di insieme - Visione
statica del paesaggio - Non va accolta - Ragioni di
incongruenza con la esigenza di tutela del paesaggio -
Fattispecie - Estensione della tutela al centro storico.
1-
La percettibilità di un'opera non è esclusa
dall'impossibilità di inquadrarla dal piano di calpestio
stradale in quanto l'incidenza nel contesto può essere
apprezzata da differenti punti di vista, come ad esempio dai
piani superiori degli edifici frontistanti ancorché
leggermente più bassi o latistanti. La non visibilità
assoluta di un intervento quando questo riguardi una parte
dell'edificio posizionata in una corte interna, come tale
impercettibile da qualsiasi punto del centro abitato e, a
fortiori, dai luoghi naturali specificati nel provvedimento
impositivo di vincolo (1). Il Collegio ha in quel caso
statuito che il compimento di opere non visibili
dall'esterno di un edificio a corte preclude a priori ogni
possibile lesione dei valori paesaggistici.
Diversamente dal caso allora esaminato, nella fattispecie la
lettura della totalità degli abbaini da differenti punti di
vista -anche non coincidenti con la tradizionale visuale
dalla Piazza, dalla strada o dal marciapiede- impedisce di
escludere la percettibilità dell'intervento, viceversa
attestata dalla possibilità di cogliere l'impatto di tutti
gli abbaini dai piani superiori.
------------------------
(1) TAR Lombardia Brescia, sez. I, 06.05.2008 n. 483.
2-
La vigente normativa sull'autorizzazione paesistica
risultante dal combinato disposto dell'art. 146, co. 12, e
dell'art. 167, co. 4, D.Lgs. n. 42/2004 (2) è
particolarmente severa, in quanto esclude la sanatoria
ambientale per le opere non preventivamente assentite, con
l'eccezione di alcune fattispecie marginali: la finalità
della norma è di costituire un più solido deterrente contro
gli abusi dei privati.
Il regime previgente, che affidava all'amministrazione la
scelta tra la remissione in pristino e il pagamento di un
risarcimento ambientale (da individuare nel maggiore importo
tra il danno arrecato e il profitto conseguito dal
trasgressore), riconosceva un certo rilievo al fatto
compiuto alterando i rapporti di forza tra la parte pubblica
e quella privata a favore di quest'ultima. Il regime attuale
invece fa prevalere l'interesse pubblico a un'utilizzazione
controllata (e quindi preventivamente assentita) del
territorio caratterizzato da valori o fragilità ambientali.
-------------
(2) TAR Lombardia Brescia, sez. I, 19.03.2008 n. 317.
3-
In armonia con la nozione di "paesaggio" di cui alla
Convenzione europea per il paesaggio, sottoscritta a Firenze
il 20.10.2000 e recepita nel nostro ordinamento con L.
09.01.2006 n. 14, l'individuazione dei beni paesaggistici,
ed in particolare le cosiddette "bellezze d'insieme",
richiede una lettura territoriale che colga tra gli elementi
percepiti una trama di relazioni strutturata sulla base di
un codice culturale che conferisce "valore estetico e
tradizionale" all'insieme in cui si "compongono".
Essa enuclea i caratteri fondamentali del concetto di
paesaggio: il contenuto percettivo, in quanto il paesaggio è
comunque strettamente connesso con il dato visuale, con "l'aspetto"
del territorio; la complessità dell'insieme, in quanto non è
solo la pregevolezza intrinseca dei singoli componenti ad
essere considerata, come avviene per le bellezze individue,
ma il loro comporsi, il loro configurarsi che conferisce a
quanto percepito una "forma" riconoscibile che
caratterizza i paesaggi; il valore estetico-culturale, in
quanto alla forma così individuata è attribuita una
significatività, una capacità di evocare "valori estetici
e tradizionali" rappresentativi dell'identità culturale
di una comunità.
Alla luce di tali considerazioni, è evidente che non è
ammissibile -in ossequio all'opposta visione statica del
paesaggio- una selezione degli elementi che lo compongono
finalizzata ad isolare quelli più significativi, rientranti
nel fuoco della salvaguardia ambientale. Una tale
impostazione manifesta un'incongruenza, ossia quella di una
lettura che non contempla il territorio nel suo insieme ma "ritaglia"
soltanto alcune bellezze, che vengono singolarmente ed
autonomamente valorizzate (per esempio un Lago, la
vegetazione collinare, etc.).
Nel caso specifico il Tribunale ritiene, in coerenza con
quanto appena affermato che, l'estensione della tutela al
Centro storico di Salò deve essere apprezzata proprio
nell'ottica di una visione complessiva del valore
paesaggistico tutelato, comprendente tutti gli elementi
stratificatisi nel tempo, e quindi sia i componenti del
sistema naturale sia il patrimonio creato dall'uomo che
coinvolge anche gli insediamenti in concreto realizzati.
L'"insieme" costituisce quindi oggetto di tutela, ed
abbraccia anche gli interventi che incidono
sull'impostazione tradizionale del tessuto urbano ed in
particolare sui fabbricati civili, i quali con le loro
caratteristiche tipiche si inseriscono e si collegano
all'ambiente naturale poco distante: in definitiva non si
tratta di privilegiare i profili architettonici delle opere
ma di sottoporli ad una lettura che sappia cogliere la loro
armonia con il contesto protetto (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 04.05.2009 n. 891 - massima tratta da
http://mondolegale.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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