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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
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66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
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105-SICUREZZA SUL LAVORO
106
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SILOS
107-SINDACATI & ARAN
108-SOPPALCO
109-SOTTOTETTI
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115-TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE
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117-VERANDA
118-VINCOLO CIMITERIALE
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dossier LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
anno 2022

EDILIZIA PRIVATA: La collocazione a distanza dei fondi costituisce un elemento di discontinuità tale da impedirne l’accorpamento al fine dello sfruttamento edificatorio di proprietà in quanto non è ravvisabile il presupposto dell’appartenenza ad un medesimo contesto unitario.
Non vi è dubbio che l’istituto dell'asservimento di un fondo astrattamente serve proprio ad accrescere la potenzialità edilizia di un altro fondo, sfruttando in tutto o in parte la cubatura ancora esprimibile dal primo; in tal caso, la volumetria spettante al fondo cedente viene “trasferita” sul fondo di intervento, che, per l’effetto, va considerato come “idealmente unitario”; in tale evenienza, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, si deve computare non solo la superficie del lotto di intervento, ma anche quella del fondo cedente, che va ad aggiungere la propria cubatura residua proprio al fine di incrementare la potenzialità edificatoria del primo.
Tuttavia, pur a fronte dell’astratta utilità dell’istituto dell’accorpamento, nella specie è risultato carente un importante indicatore che la giurisprudenza ha individuato come necessario per il legittimo operare del trasferimento di cubatura utile, quello della contiguità dei due fondi (cedente e cessionario). Detto requisito è inteso dalla giurisprudenza non in senso letterale e fisico, ossia adiacenza o contiguità territoriale, ma nel senso che, anche qualora quella manchi, tra area cedente ed area ricevente sussista pur sempre una effettiva e significativa vicinanza, con la precisazione che tale continuità viene comunque a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
Invero, come ribadito anche di recente dalla Corte di legittimità, la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale, in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Tuttavia, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è soggetto a determinate condizioni, una delle quali è costituita dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
Quanto alla individuazione dei criteri in base ai quali procedere alla valutazione della contiguità dei fondi, è stato anche di recente ricordato come la giurisprudenza amministrativa sia concorde nel ritenere che la contiguità deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza, che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano tra loro confinanti.
Ciò significa che in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
---------------

L’appello è infondato.
Come accennato, la controversia è insorta a seguito del rigetto, da parte del Comune di Ladispoli, dell’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001, e della conseguente adozione dell’ordinanza di demolizione, di intervento in difformità del permesso di costruire consistente nell’ampliamento, mediante chiusura del terrazzo coperto al terzo piano (di 67 mq), che ha determinato un incremento di volumetria di circa 200 mc., che la ricorrente riteneva di poter conseguire grazie alla cessione di cubatura di altro fondo sito a circa 250 metri di distanza.
Non vi è dubbio che l’istituto dell'asservimento di un fondo astrattamente serve proprio ad accrescere la potenzialità edilizia di un altro fondo, sfruttando in tutto o in parte la cubatura ancora esprimibile dal primo; in tal caso, la volumetria spettante al fondo cedente viene “trasferita” sul fondo di intervento, che, per l’effetto, va considerato come “idealmente unitario”; in tale evenienza, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, si deve computare non solo la superficie del lotto di intervento, ma anche quella del fondo cedente, che va ad aggiungere la propria cubatura residua proprio al fine di incrementare la potenzialità edificatoria del primo.
Tuttavia, pur a fronte dell’astratta utilità dell’istituto dell’accorpamento, nella specie è risultato carente un importante indicatore che la giurisprudenza ha individuato come necessario per il legittimo operare del trasferimento di cubatura utile, quello della contiguità dei due fondi (cedente e cessionario). Detto requisito è inteso dalla giurisprudenza non in senso letterale e fisico, ossia adiacenza o contiguità territoriale, ma nel senso che, anche qualora quella manchi, tra area cedente ed area ricevente sussista pur sempre una effettiva e significativa vicinanza, con la precisazione che tale continuità viene comunque a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
Invero, come ribadito anche di recente dalla Corte di legittimità (cfr., Cass., Sez. 3 Penale, sentenza n. 43253 del 19/09/2019), la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale (per tutte si veda Consiglio di Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Tuttavia, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è soggetto a determinate condizioni, una delle quali -rilevante proprio nella vicenda esaminata- è costituita dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
Quanto alla individuazione dei criteri in base ai quali procedere alla valutazione della contiguità dei fondi, è stato anche di recente (Cons. Stato, Sez. 2, n. 544 del 2020) ricordato come la giurisprudenza amministrativa sia concorde nel ritenere che la contiguità deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza (cfr. Cons St, sez. V, n. 1525/2004), che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano tra loro confinanti. Ciò significa che in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
In tale ottica del tutto adeguata risulta la scelta del primo giudice di procedere a verificazione al fine di accertare la concreta situazione. E’ così emerso:
   - che i fondi in questione sono siti a distanza di 260,41 metri l’uno dall’altro, sicché per nulla evidente è la loro contiguità in rapporto all’estensione complessiva del Comune (quasi 26 kmq) ed alla lunghezza dell’area urbanizzata, (di circa 2,8 km);
   - che sussistono comunque strutture capaci di rompere l’ideale “unità” dell’area di insistenza dei fondi, in quanto gli stessi sono separati da alcune strade e da abitazioni, che operano un effetto "barriera" e interrompono la continuità spaziale;
   - che le caratteristiche del tracciato viario seguono il classico modello a cardine e decumano, utilizzato anche all’epoca della fondazione della cittadina di Ladispoli;
   - che Viale Italia costituisce l’asse viario principale (collegante la stazione ferroviaria al lungomare Regina Elena) e ha le caratteristiche classiche del “Corso” in cui sono siti i negozi, cinema, piazza principale contornata da giardini, inclusi tra le parallele Via Ancona e Via Odescalchi;
   - che lateralmente l’ambito è definito da Via Venezia (a sinistra) e Via Trieste (a destra);
   - che la proprietà dell’appellante è sita nella centralissima Via Ancona (SP 14b), nel lato a destra del “Corso” Italia, così come il fondo di cui vorrebbe sfruttare parte della potenzialità edificatoria residua, che è collocato a Via Genova 12, parallela di Via Trieste;
   - che si tratta di vie previste nel PRG che dividono il tessuto urbano in isolati secondo uno schema che intende distribuire la volumetria nei diversi quadranti dalla stessa spartiti.
Sulla base di tali elementi, ragionevole e sufficientemente motivato risulta il provvedimento di diniego, secondo il quale la collocazione a distanza dei fondi in parola costituisce un elemento di discontinuità tale da impedirne l’accorpamento al fine dello sfruttamento edificatorio di proprietà in quanto non è ravvisabile il presupposto dell’appartenenza ad un medesimo contesto unitario.
Per giunta, come rilevato dal TAR, il fondo cedente, sito in via Genova, risulta collocato ai margini del confine del nucleo storico, in prossimità del canalone (Fiume Sanguinara), che segna l’originario “confine” della cittadina, in posizione eccentrica rispetto al fondo di destinazione, aumentando l’effetto disgregatore del tracciato ortogonale delle vie, che definiscono i diversi “isolati”, separati tra loro, giustamente considerati dal Comune “unità a sé stanti” con conseguente esclusione dell’accorpabilità dei fondi al di fuori di tali “comparti”.
Né possono avere valore determinante le considerazioni dell’appellante, secondo cui, invece, il fondo cedente, sito in via Genova, non sarebbe ai margini del nucleo storico e le Vie Ancona, Trieste, Venezia e Genova, più che dividere il tessuto urbano in isolati, avrebbero una “funzione di collegamento, di comunicazione tra le diverse parti del territorio e riconduzione ad un medesimo contesto unitario”; invero, trattasi di mere opinioni personali, prive di oggettività, incapaci di palesare una evidente illogicità della valutazione posta a base della scelta discrezionale dell’Amministrazione.
In definitiva, come già affermato dal TAR, nel caso in esame, non si può affermare la ricorrenza di alcun irragionevole operare dell’Amministrazione.
Inoltre, deve pur sempre considerarsi che compete alla parte richiedente l’onere di provare che, al momento della presentazione dell’istanza, sussista l’asserita irrilevanza del trasferimento di cubatura ai fini dell’equilibrio urbanistico (profilo ostativo pure implicitamente evocato dall’Amministrazione laddove, nel preavviso di rigetto, evidenzia la non omogeneità dei comparti edilizi interessati dal trasferimento).
Dimostrazione che, nel caso di specie, non può dirsi raggiunta (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 27.06.2022 n. 5305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cessione di cubatura tra diversi terreni edificabili – Indice di fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica – Illegittima cessione di cubatura – Permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica – Necessità – Art. 51 L.Reg. Puglia n. 56/1980 – Artt. 29, 31, 44, D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.) – Art. 181 d.lgs. n. 42/2004.
In materia urbanistica, è necessaria la verifica del presupposto della prossimità tra i fondi ai fini di ritenere la legittimità, sul piano urbanistico e paesaggistico, della c.d. cessione di cubatura tra diversi terreni edificabili onde realizzare su uno di questi un edificio di volumetria maggiore rispetto a ciò che sarebbe consentito in base all’indice di fabbricabilità, cumulando la cubatura che potrebbero esprimere gli altri fondi e che viene appunto fatta oggetto di cessione.
Sicché, integra il reato previsto dall’art. 44 T.U.E. la realizzazione di un immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.06.2022 n. 21908 - link a www.ambientediritto.it).
---------------
2.1. Ciò posto, al di là della riconosciuta inapplicabilità della citata legge regionale, la sentenza impugnata si è correttamente posta il problema di verificare, alla luce dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, quando la cessione di cubatura possa dirsi legittima.
Occorre richiamare, in particolare, le argomentazioni svolte nelle recenti decisioni Sez. 3, n. 38838 del 09/07/2018, Baracetti e a., n.m., Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna, n.m., Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, Rv. 274673, nelle quali si è affermato il principio secondo cui integra il reato previsto dall’art. 44 t.u.e. la realizzazione di un immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica.
Le argomentazioni esposte nelle motivazioni di queste decisioni, condivise dal Collegio, sono state peraltro riproposte in numerose altre sentenze (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 39248 del 12/07/2018, Chiarillo e a.; Sez. 3, n. 51831 del 03/10/2018, Morciano e a.; Sez. 3, n. 54706 del 13/11/2018, Bonerba e a.).
2.2. In dette sentenze si è chiarito che la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata anche dalla giurisprudenza amministrativa (per tutte si richiama C. St., Sez. V, 28.06.2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la “cessione” della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è tuttavia soggetto a determinate condizioni, una delle quali –rilevante anche nella vicenda esaminata– è costituita dall’essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l’utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
A titolo di esempio, le citate decisioni ricordano come si potrebbe verificare, laddove si ritenesse legittima la “cessione di cubatura” fra terreni fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di “affollamento edilizio” in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situati i terreni cedenti), con evidente pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Pur essendo spesso stata detta ratio decidendi associata all’ulteriore rilievo –ritenuto parimenti ostativo ad una legittima cessione di cubatura– dell’essere i terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 35166 del 28/03/2017, Nespoli e aa., n.m.; Sez. 3, n. 30040 del 30/01/2018, Strambone, n.m.; Sez. 3, n. 30025 del 04/12/2017, dep. 2018, Scrudato, n.m.; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa., Rv. 271770; Sez. 3, n. 56085 del 18/10/2017, Melcarne, n.m.; Sez. 3, n. 52605 del 04/10/2017, Renna, n.m.; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, n.m.), si è ritenuto che anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità, qual è il caso qui sub iudice, non può essere esclusa la illegalità dell’operazione effettuata (Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna; Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 51833 del 03/10/2018, Sangalli e aa.).
Va infatti richiamata l’attenzione sul significativo dato fattuale, più volte correttamente valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa, dell’assenza del necessario requisito della “contiguità” dei fondi, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez. V, n. 6734, 30.10.2003; C. St., Sez. V, n. 400, 01.04.1998; più recentemente, TAR Campania-Salerno, Sez. II n. 1675 del 19/07/2016).
Tali principi, come detto, sono stati richiamati anche da questa Corte nelle numerose decisioni più sopra citate.

EDILIZIA PRIVATA: Cessione di cubatura, le indicazioni del Consiglio di Stato su aree e trascrizione degli accordi. Con la sentenza n. 4417/2022 Palazzo Spada dà ulteriori chiarimenti sulla disciplina del trasferimento di diritti edificatori.
Il trasferimento di diritti edificatori da un fondo ad un altro per accrescere la capacità edificatorie del fondo di destinazione, non ha ancora una compiuta definizione normativa né tanto meno un inquadramento giuridico ben definito. In un quadro normativo così incerto, è la giurisprudenza che pronuncia dopo pronuncia, sta delineando i dettagli applicativi dei negozi che hanno per oggetto i diritti edificatori.
Con la sentenza 31.05.2022 n. 4417 il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha fornito ulteriori elementi che contribuiscono a tracciare il quadro della disciplina della cessione di cubatura.
La pronuncia in questione effettua un interessante excursus dell'istituto a partire dalle sue origini, che risalgono al fine degli anni '60 quando, con la legge 765/1967 e il Dm 1444/1968, il nostro ordinamento giuridico ha conosciuto i limiti inderogabili di densità edilizia e gli standard edilizi.
Le origini dell'istituto: i limiti di densità edilizia
In particolare, l'art. 41-quinquies della legge urbanistica, introdotto nel 1967, ha stabilito che il piano regolatore debba prevedere limiti inderogabili di densità edilizia, rapporti massimi tra spazi destinati a varie funzioni urbane (tra insediamenti privati residenziali e produttivi ad esempio) o tra funzioni private e pubbliche (attività collettive a verde pubblico o a parcheggi) e che tali limiti debbano essere definiti per zone territoriali omogenee.
In tal modo, un privato interessato ad edificare nel proprio fondo deve rispettare i limiti imposti dal piano regolatore, non solo –ovviamente in termini di destinazioni ammesse– ma anche nella "quantità" di capacità edificatoria (o cubatura). In altri termini, il piano regolatore stabilisce una quantità massima di edificabilità in ciascuna area del proprio territorio e sta poi al privato, fatti salvi i limiti urbanistici e territoriali della specifica zona, decidere se e come sfruttare detta capacità edificatoria.
La cessione di cubatura
Da ciò nascono diversi tipi di fattispecie:
   a) Il privato può decidere di non sfruttare la capacità edificatoria attribuita al suo fondo e trasferire il diritto di edificare, in tutto o in parte, ad un'altra area di proprietà di terzi, vendendo diritti edificatori;
   b) Il piano regolatore può prevedere la possibilità di edificare anche in misura maggiore rispetto alla capacità nominalmente attribuita allo stesso sfruttando diritti edificatori provenienti da altre aree. In questo caso, il proprietario del lotto in questione acquista diritti edificatori provenienti da altre aree.
Con la cessione di cubatura, la capacità edificatoria viene incrementata con il trasferimento di diritti edificatori provenienti da un'altra area, che ne rimane priva, in tutto o in parte, mentre tali diritti sono utilizzati dal fondo ricevente. Nella pratica, le fattispecie che possono ricorrere sono innumerevoli, ed è sempre necessario analizzare puntualmente le previsioni dei singoli piani regolatori.
Infatti, a fronte di un modello "privato" di accordo consensuale tra privati, la cessione di cubatura può maturare anche in un contesto "pubblico", perché prevista e regolamentata dal piano regolatore locale. Come ricordato dal Consiglio di Stato, infatti, «la cessione di cubatura costituisce un genus, al cui interno si pongono sia gli atti tra privati volti a fare transitare direttamente potestà edificatoria da una proprietà all'altra, nei limiti consentiti, sia i diritti edificatori direttamente generati dalla p.a. nell'ambito della c.d. urbanistica consensuale, nelle forme della perequazione, della compensazione e della premialità, variamente declinate dalla legislazione regionale e dagli strumenti pianificatori locali».
In questo secondo caso, oltre all'accordo tra privati, diventa necessario il coinvolgimento del Comune, nell'accordo o nel procedimento in cui l'accordo si instaura: attraverso, per esempio, l'approvazione in sede di Consiglio o di Giunta, la stipula di una convenzione urbanistica, ecc.
La trascrizione e l'asservimento
Ovviamente, occorre lasciare traccia del trasferimento, avere una prova giuridica che una determinata cubatura non sia più attribuibile ad un determinato fondo, bensì ad un altro. Al fine di rispondere a questa esigenza, molti piani regolatori hanno introdotto la necessità di sottoscrivere un atto di asservimento: in tal modo il proprietario del fondo da cui viene sottratta capacità edificatoria sottoscrive un atto di asservimento con cui grava il proprio fondo di un limite ad aedificandi.
Trattandosi di un atto –normalmente– trascritto nei pubblici registi esso viene reso pubblico ed opponibile ai terzi (oltre a confluire nell'iter di rilascio del titolo edilizio della costruzione del fondo di atterraggio del diritto, anche se questo passaggio non è sempre necessario, ma dipende dalle singole prassi e regolamenti locali).
Come ha chiarito la sentenza in commento il presupposto logico del c.d. "asservimento" (del fondo che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo che la riceve) consiste nell'interesse della Pa affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell'area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale, fissati dal piano, oltre al rispetto delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.
Sul tema della certezza della capacità edificatoria attribuita ad un fondo e della pubblicità del trasferimento di cubatura, nel 2011 sul punto è intervenuto il decreto-legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011 che ha introdotto il punto n. 2-bis al primo comma dell'art. 2643 c.c., il quale prevede che siano resi pubblici con il mezzo della trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.
I principi enucleati dalla giurisprudenza
La sentenza in commento ha poi passato in rassegna alcuni principi connessi all'istituto della cessione di cubatura, che il collegio ritiene di condividere:
   1) Utilità separata rispetto al terreno: i diritti edificatori che un terreno possiede possono essere alienati o ceduti autonomamente dall'alienazione o cessione del terreno medesimo poiché gli stessi costituiscono un'utilità separata dal terreno cui ineriscono.
   2) L'omogeneità della destinazione l'uso: il trasferimento della cubatura è tuttavia subordinato al soddisfacimento, pena l'invalidità dell'asservimento che tra il fondo "alienante" e il fondo "ricevente" ci sia una omogeneità di destinazione d'uso.
   3) La vicinanza tra fondi. Per la legittimità della cessione di cubatura, è richiesta non solo l'omogeneità d'area territoriale ma anche la contiguità dei fondi; devono essere altresì riconosciuti come legittimamente utilizzabili asservimenti riferiti ad aree, anche se non contigue sul piano fisico, vicine però in modo significativo.
   4) La possibilità di escludere o eliminare l'applicazione dell'istituto.
Il Consiglio di Stato ha riconosciuto la possibilità che gli strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 07.06.2022).

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SENTENZA
11. Il Collegio ritiene preliminarmente necessario richiamare i tratti principali dell’istituto della cessione di cubatura, oggetto dell’odierna controversia.
11.1. Tale istituto ha trovato la propria specifica ragion d’essere (e si è sviluppato) dopo l’introduzione:
   i) di limiti inderogabili di densità edilizia in base all’art. 17 della legge n. 765/1967 (che ha introdotto l’art. 41-quinquies della legge urbanistica n. 1150/1942);
   ii) degli standard edilizi di cui al d.m. n. 1444/1968.
In particolare, l’art. 41-quinquies della legge urbanistica ha stabilito che il piano regolatore debba prevedere limiti inderogabili di densità edilizia, rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi e che tali limiti debbano essere definiti per zone territoriali omogenee.
In tal modo lo ius aedificandi, inerente alla proprietà del suolo e di essa manifestazione, può essere attuato secondo quanto stabilito dagli atti di pianificazione i quali ne stabiliscono, oltre che la destinazione, gli indici di edificazione. Questi ultimi, a loro volta, in rapporto all’estensione dell’area, determinano la capacità edificatoria (o cubatura) realizzabile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4647 del 2008).
Con la cessione di cubatura, la capacità edificatoria viene incrementata con il trasferimento di diritti edificatori provenienti da un’altra area, che ne rimane priva, in tutto o in parte, mentre tali diritti sono utilizzati dal fondo ricevente.
11.2. L’istituto in questione è il frutto della elaborazione giurisprudenziale.
Infatti, pur in mancanza di una espressa disposizione scritta, la giurisprudenza –e in particolare la giurisprudenza amministrativa- ha riconosciuto che i diritti edificatori che un terreno possiede possono essere alienati o ceduti autonomamente dall’alienazione o cessione del terreno medesimo poiché gli stessi costituiscono un’utilità separata dal terreno cui ineriscono (v. inizialmente Cons. Stato, sez. V, 28.06.1971, n. 632; Cons. Stato, sez. V, 23.02.1973, n. 178; Cass. civ., sez. II, 29.06.1971, n. 4245; poi anche sez. V, n. 3637 del 2000, n. 400 del 1998, n. 1382 del 1994, n. 291 del 1991).
11.3. Il presupposto logico del c.d. “asservimento” (del fondo che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo che la riceve) consiste nell’interesse della p.a. affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale, fissati dal piano, oltre al rispetto degli delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.10.2007, n. 5496; Cons. Stato, sez. IV, 04.05.2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 03.03.2003, n. 1172; Cons. Stato, sez, V, 11.04.1991, n. 530; Cons. Stato, sez. IV, 19.12.1987, n. 795).
11.4. Il trasferimento della cubatura è tuttavia subordinato al soddisfacimento, pena l’invalidità dell’asservimento, di alcuni presupposti:
   i) l’omogeneità di destinazione d’uso (Cons. Stato, sez. IV, 04.05.2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 30.10.2003, n. 6734; Cons. Stato, sez. V, 30.04.1994, n. 193; Cons. Stato, sez. V, 04.01.1993, n. 26; Cons. Stato, sez. V, 19.03.1991, n. 291);
   ii) la contiguità territoriale (i fondi, seppur non necessariamente adiacenti, devono essere significativamente vicini, cfr. Cons. Stato, sez. V, 10.03.2003, n. 1278), altrimenti ne risulterebbero stravolte proprio le previsioni di piano sulla densità edificatoria di zona e incrinata l’inderogabilità delle relative prescrizioni;
   iii) la possibilità che gli stessi strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (Cass. civ., sez. V, 14.05.2007, n. 10979; Cass. civ., sez. V, 14.05.2003, n. 7417).
11.5. Va sottolineato che la cessione di cubatura costituisce un genus, al cui interno si pongono sia gli atti tra privati volti a fare transitare direttamente potestà edificatoria da una proprietà all’altra, nei limiti consentiti, sia i diritti edificatori direttamente generati dalla p.a. nell'ambito della c.d. urbanistica consensuale, nelle forme della perequazione, della compensazione e della premialità, variamente declinate dalla legislazione regionale e dagli strumenti pianificatori locali.
Il tratto distintivo tra i due modelli è costituito in primo luogo dalla necessaria associazione, nella seconda ipotesi, di una procedura pubblicistica (o che comunque coinvolge direttamente la p.a. attraverso lo schema convenzionale) all’atto o agli atti conclusi iure privatorum, mentre nella prima ipotesi la p.a. interviene esclusivamente al momento del rilascio del permesso di costruire.
Inoltre, nella prima ipotesi è già individuata, al momento della cessione, anche l’area che beneficia dell’incremento di capacità edificatoria, mentre la seconda ipotesi conosce la c.d. fase di volo, durante la quale i diritti edificatori sono temporaneamente privi di area di riferimento.
Il tratto comune a entrambe le ipotesi è peraltro dato dal distacco e dalla separata negoziazione e trasferimento dello ius aedificandi rispetto alla specifica proprietà del suolo da cui originano.
In questa prospettiva, la cessione di cubatura si inscrive pertanto comunque nell'ambito della materia dei diritti edificatori globalmente considerati (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 16080 del 2021). Nella cessione di cubatura il trasferimento (totale o parziale) della capacità edificatoria del fondo avviene -tra privati- a favore di un'area fin dall'inizio ben determinata, se non necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione urbanistica omogenea. Come si è detto, non vi è incidenza sulla pianificazione generale, attesa l'invarianza della cubatura complessiva, l'omogeneità delle aree coinvolte e l'estraneità alla cessione in sé della p.a. (tanto che viene talvolta definita come intervento di “micropianificazione urbanistica ad iniziativa privata”), alla quale sarà tuttavia demandato di assentire il rilascio, a favore del cessionario, del permesso di costruire maggiorato della quota di cubatura trasferita (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 23902 del 2020).
11.6. Sebbene si tratti di tema ampiamente discusso, un orientamento assegna alla cessione di cubatura natura di atto costitutivo o traslativo di un diritto reale, quale espressione del diritto di proprietà insito nello sfruttamento edilizio del suolo.
Occorre ammettere tuttavia che maggiori sono le difficoltà a collocare la cessione di cubatura in un coerente quadro, che a ben vedere sfugge alle tradizionali classificazioni dei diritti reali per essere spesso ricondotto a una figura atipica di diritto reale, non disciplinata espressamente dal codice civile.
In tal senso risulta comunque problematica la completa assimilazione al diritto di superficie (mancando l'alterità tra proprietà del suolo e proprietà della costruzione), al diritto di servitù prediale quale impedimento alla costruzione o alla sovraelevazione (risultando problematici, rispetto alla categoria codicistica della servitù, l’assenso della p.a. al permesso di costruire conseguente, l’attivazione del privato cedente ai fini del rilascio del permesso in favore dell’acquirente, l’assenza di una necessaria vicinanza tra i fondi laddove è dato rilievo all’appartenenza alla medesima zona urbanistica).
Anche di recente, tuttavia, è stato escluso che la cessione di cubatura consista in un atto traslativo, ed ancor meno costitutivo, di un diritto reale (Cass. civ., n. 18291 del 2020, con ulteriori richiami) per affermarne il carattere obbligatorio, mentre il trasferimento della cubatura -nei confronti dei terzi, così come tra le parti– deriverebbe esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato (Cass. n. 1352 del 1996; Cass. n. 20623 del 2009 in motiv., Cass. n. 24948 del 2018), tanto per evitare che si configurino contratti fra privati in danno dell’interesse pubblico al corretto governo del territorio la cui cura è affidata in primis all’ente locale.
La medesima esigenza è salvaguardata dalla giurisprudenza amministrativa che pure colloca l'atto in questione in un contesto di tipo meramente obbligatorio (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, n. 4861 del 2016). Il trasferimento di cubatura, infatti, non dipenderebbe dall'accordo tra le parti, ma solamente dal rilascio del permesso di costruire da parte della p.a. (per la qualificazione dell’asservimento quale fattispecie negoziale atipica ad effetti obbligatori, che realizza una specie particolare di relazione pertinenziale v. Cons. Stato, Ad. plen. n. 3 del 2009; sez. IV, n. 3969 del 2015; sez. V, n. 4757 del 2013; n. 4531 del 2013).
Ne costituisce conferma la procedura necessaria al fine dell’apposizione del vincolo di asservimento; infatti, il c.d. vincolo di asservimento rispettivamente a carico e a favore del fondo si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo, sì che nessun risarcimento è dovuto al cedente (Cass., 12.09.1998, n. 9081; in senso conforme, 22.02.1996, n. 1352; 29.06.1981, n. 4245; Cons. Stato, sez. IV, n. 3969 del 2015).
11.7. Alcuni elementi di maggiore certezza e stabilità sono stati immessi nel sistema di diritto positivo dal n. 2-bis del primo comma dell’art. 2643 c.c. (introdotto dal decreto-legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011), il quale prevede che siano resi pubblici con il mezzo della trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.
Sebbene già prima dell’introduzione del n. 2-bis al primo comma dell’art. 2643 del codice civile il trasferimento di cubatura fosse stato ritenuto opponibile ai terzi poiché l’asservimento del fondo cedente a favore del fondo accipiente costituisce comunque una qualità obiettiva del fondo opponibile anche al terzo acquirente (Cons. Stato, sez. V, 28.06.2000, n. 3637; Cons. Stato, sez. V, 30.03.1998, n. 387; Cons. Stato, sez. V, 21.01.1997, n. 63) è indubbio tuttavia che la modifica codicistica abbia rafforzato la pubblicità e la tutela dei terzi.
Pur non avendo disciplinato espressamente e compiutamente la cessione di diritti edificatori, dalla novella al codice possono essere chiaramente enucleati almeno i seguenti principi:
   i) l’autonomia delle disposizioni regionali o di quelle di piano nella disciplina della cessione di cubatura;
   ii) l’ampiezza della cessione di cubatura (“diritti edificatori comunque denominati”, il che -al di là degli obiettivi principalmente perseguiti dal legislatore- non consente di circoscrivere la novella ai soli trasferimenti di diritti edificatori di uno solo dei due tipi prima citati);
   iii) il favor con cui il legislatore nazionale ha guardato all’istituto (ferma la specifica disciplina statale, regionale o di piano).
Di tale favor costituiscono espressione alcune decisioni della giurisprudenza amministrativa volte a valorizzare l’istituto in questione, perché altrimenti “negare la possibilità del trasferimento di diritti edificatori nell’ambito di una stessa zona omogenea, con la motivazione del mancato rispetto del parametro dell’indice edificatorio fondiario del lotto beneficiario, equivarrebbe ad una sostanziale abrogazione dell’istituto introdotto dal citato art. 5 d.l. n. 70/2011, perseguendo l’istituto in esame il precipuo fine di aumentare la capacità edificatoria del lotto di proprietà del cessionario, anche e proprio nei casi in cui la capacità edificatorio del lotto sia già esaurita, ché, diversamente, non sarebbe necessario l’acquisto di diritti edificatori provenienti da altro immobile (il tutto, purché venga rispettato l’indice territoriale dell’intera zona)” (Cons. Stato, sez. VI, n. 4861 del 2016, che ha inoltre escluso, ai fini dell’ammissibilità del trasferimento dei diritti edificatori, la rilevanza che nel caso di specie l’interessata avesse, in aggiunta, già usufruito anche di un bonus di cubatura connesso al risanamento energetico, trovando tale bonus applicazione sulla base di precise disposizioni provinciali, di natura primaria; analogamente, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1398 del 2016).
Si potrebbe anzi derivare dall’espressa previsione argomento per il carattere non reale dei diritti edificatori (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 16080 del 2021), se non altro perché altrimenti sarebbero stati già prima trascrivibili in base alla disciplina generale. Va poi considerato che la qualificazione di “diritti” edificatori affrancherebbe tale istituto da posizioni giuridiche meno piene. Come ha sottolineato la Cassazione (cfr. n. 16080/2021 cit.), va rimarcata “la collocazione dell'istituto all'interno del sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione, a sua volta intrinsecamente connesso alla vicenda traslativa, costitutiva o modificativa…il che comporta la netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l'effetto traslativo suo proprio nell'ambito dell'autonomia negoziale delle parti, non già del procedimento amministrativo”.
Il permesso di costruire concorrerebbe non al trasferimento in sé tra i privati della cubatura, quanto alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie; “il permesso di costruire -seppure per certi versi anomalo perché chiesto e rilasciato per una volumetria aumentata- continua ad operare su un piano non dissimile da quello 'normale' dei provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato e, segnatamente, da quello che regola ordinariamente l'esercizio diretto dello ius aedificandi da parte del proprietario”. Peraltro, le implicazioni di non-realità non comporterebbero la negazione dell'inerenza al fondo del diritto sulla cubatura ceduta, quanto l'attribuzione ad essa di un'incidenza più identitaria e funzionale che coessenziale alla natura dell'istituto.
Come ha posto in evidenza il Consiglio di Stato (v., sez. IV, n. 4861 del 2016), “la disposizione normativa, peraltro, quale unico presupposto di disciplina resta evidentemente lacunosa perchè trascura la circostanza che la cessione di cubatura non è un mero negozio bilaterale tra privati ma, per trovare la propria concreta attuazione ancorché prevista dalla legge statale, necessita inevitabilmente non solo di “non essere vietata” dagli strumenti urbanistici ma anche di coordinarsi con gli stessi, inserendovisi in modo armonico. Fermo quindi che il legislatore nazionale ha inteso dettare una indicazione di favore per la cessione di cubatura in un’ottica di sviluppo economico, resta evidente come, al di là dell’affermazione di principio, si sia trascurato di dettagliare il non semplice aspetto di quali siano gli elementi imprescindibili del PRGC che possono comunque ostare, al di là dell’espresso divieto, alla cessione. In tale contesto la giurisprudenza ha svolto una inevitabile funzione di supplenza elaborando, in linea di massima, i seguenti principi: la cessione di cubatura può trovare concreta attuazione là dove i due fondi rispettivamente cedente e cessionario siano omogenei e contigui”.
11.7. Coerentemente con i principi richiamati, la giurisprudenza amministrativa, per la legittimità della cessione di cubatura, richiede non solo l'omogeneità d'area territoriale ma anche la contiguità dei fondi, e ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad aree, anche se non contigue sul piano fisico, vicine però in modo significativo (Cons. Stato, sez. VI, n. 1515 del 2016, in precedenza cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. VI, n. 6734 del 2003).
La giurisprudenza è inoltre intervenuta per chiarire i rapporti tra strumenti di pianificazione, densità edilizia territoriale, densità edilizia fondiaria e la necessità che l’indice di edificabilità sia rapportato all’effettiva superficie suscettibile di edificazione in modo da potere individuare la volumetria assentibile con il permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5419 del 2017) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.05.2022 n. 4417 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cessione di cubatura – Violazione derivante da inappropriate cessioni di cubatura – Accorpamento di fondi omogenei per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità ma in difetto del requisito della “reciproca prossimità" – Effetti – Artt. 24, 44, c. 1, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.).
La “cessione di cubatura” è legata a due condizioni:
   - l’omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente e ricevente) e
   - la contiguità dei due fondi, intesa non tanto come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) quanto come effettiva e significativa vicinanza.
Pertanto, la “reciproca prossimità” tra i fondi è condizione in ogni caso necessaria per effettuare un legittimo “accorpamento” tra i medesimi ai fini dell’incremento di volumetria assentibile per uno di essi, anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità.
Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, ha ritenuto desumibile dal sistema il divieto di “accorpamento” di fondi non caratterizzati da contiguità, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza.
Sicché, la contiguità dei fondi è requisito necessario per la legittimità dell’accorpamento, «in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico. Con la precisazione che tale contiguità viene a mancare, in ogni caso, quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione.

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BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Zona paesaggisticamente vincolata e dichiarata di notevole interesse pubblico - Cessione di cubatura tra fondi non contigui – Rilascio di un illecito permesso di costruire e di una non valida autorizzazione paesaggistica – Configurabilità della contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo – Falsa attestazione del funzionario comunale di conformità ambientale dell’intervento – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Contributo causale rilevante – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Concorso colposo nel reato del funzionario comunale nominato responsabile del procedimento – Fattispecie.
La contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia o paesaggistica di fonte normativa o risultante dalla pianificazione.
Pertanto, la legittimità della cessione di cubatura tra fondi non contigui deve escludersi nei casi in cui gli stessi siano lontani (oppure esprimano diversi indici di fabbricabilità quando più elevato sia quello del fondo cedente, ovvero abbiano diversa destinazione urbanistica), anche laddove l’atto negoziale abbia consentito di realizzare una assai maggiore volumetria in un terreno paesaggisticamente vincolato.
Nella specie, veniva compromessa anche la legittimità dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, laddove la valutazione sia stata espressa solo sul presupposto del rispetto degli standards urbanistici di zona quanto alla volumetria legittimamente edificabile.
Peraltro, configurandosi il concorso nel reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 a carico del funzionario comunale nominato responsabile del procedimento che, procedendo ad istruire la pratica edilizia, abbia colposamente espresso parere favorevole al rilascio di un titolo abilitativo illegittimo, in tal modo apportando un contributo causale rilevante ai fini della determinazione dell’evento illecito.

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BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cessione di cubatura – Incremento della volumetria assentibile in spregio dei vincoli in zona di pregio ambientale – Permesso di costruire illegittimo – Macroscopica illegittimità – Titolo illegittimo per violazione della disciplina in materia.
Con riferimento al reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, commesso mediante esecuzione di lavori sulla base di permesso di costruire illegittimo, sussiste la “macroscopica illegittimità” dello stesso titolo, quando rappresenta, da un lato, un significativo indice sintomatico della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, e, dall’altro, non costituisce nemmeno una condizione essenziale per l’oggettiva configurabilità del reato.
Nella specie, è stata ravvisata la sussistenza dei reati edilizio (e paesaggistico) a fronte di una macroscopica violazione della disciplina, realizzata impiegando l’istituto della cessione di cubatura per eludere elementari principi in materia urbanistica e, in particolare, per incrementare la volumetria assentibile, in spregio dei vincoli, in zona di sicuro pregio ambientale (zona dichiarata di notevole interesse pubblico, proprio per le sue caratteristiche)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.06.2021 n. 22832 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sull'istituto della cessione di cubatura.
Secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione.
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Deve valutarsi se sia illegittima -per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia- l'opera di volumetria eccedente quella specificamente prevista per il singolo lotto interessato dall'edificazione, anche quando detta eccedenza sia giustificata sulla base dell'accorpamento di fondi omogenei per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità, ma in difetto del requisito della "reciproca prossimità".
Ebbene, il Collegio condivide il costante insegnamento secondo cui la stessa "reciproca prossimità" tra i fondi è condizione in ogni caso necessaria per effettuare un legittimo "accorpamento" tra i medesimi ai fini dell'incremento di volumetria assentibile per uno di essi, anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità.
Come più volte affermato, infatti, concludere diversamente, e quindi ammettere la cessione di cubatura tra terreni (solo) tra loro distanti, potrebbe determinare una situazione di "affollamento edilizio" nelle zone dove sono ubicati i fondi cessionari e una contrapposta situazione di carenza nei luoghi di insediamento dei fondi cedenti, con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Questo principio è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza penale di legittimità, sia in linea generale, sia proprio con riferimento alle opere edificate nel Comune.
Si aggiunga, peraltro, che alcune pronunce affrontano in modo espresso il tema dell'assenza di un formale divieto e rilevano che ciò non impedisce, all'interprete e quindi al giudice, di individuare nel sistema il requisito della "reciproca prossimità" tra i fondi quale condizione indispensabile per un valido "accorpamento" dei medesimi ai fini dell'incremento di volumetria di uno di essi; in particolare, si osserva che il presupposto indicato deve essere ricollegato all'esigenza di evitare che l'utilizzo dello strumento negoziale della cessione di cubatura «sia grossolanamente volto, appunto, alla elusione dei principi e delle regole in materia di pianificazione edilizia».
Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, ha ritenuto desumibile dal sistema il divieto di "accorpamento" di fondi non caratterizzati da contiguità, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono Pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza.
In particolare, si è sottolineato che la contiguità dei fondi è requisito necessario per la legittimità dell'accorpamento, «in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico».
In definitiva sul punto, dunque, la giurisprudenza di legittimità e quella amministrativa affermano che la "cessione di cubatura" è legata a due condizioni:
   - l'omogeneità dell'area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente e ricevente) e
   - la contiguità dei due fondi, intesa non tanto come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) quanto come effettiva e significativa vicinanza.
E con la precisazione che tale contiguità viene a mancare, in ogni caso, quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l'edificazione.
Tanto premesso in termini generali, si osserva che nel caso di specie i terreni accorpati sono tra loro distanti circa 500-600 metri in linea d'aria; ancora, quello edificato (cessionario) si trova in zona paesaggisticamente vincolata e dichiarata di notevole interesse pubblico. Per ciò solo, dunque, l'accorpamento della volumetria non era consentito, in modo evidente, con conseguente illegittimità del permesso di costruire, posto che il lotto ove l'edificio è stato realizzato avrebbe consentito di esprimere 58,59 mc., ossia sensibilmente meno della cubatura di fatto realizzata (90,30 mc.).
Dal che, e ribadendo un indirizzo già affermato da questa Corte, il principio secondo cui la legittimità della cessione di cubatura tra fondi non contigui deve escludersi nei casi in cui gli stessi siano lontani (oppure esprimano diversi indici di fabbricabilità quando più elevato sia quello del fondo cedente, ovvero abbiano diversa destinazione urbanistica), anche laddove l'atto negoziale abbia consentito di realizzare una assai maggiore volumetria in un terreno paesaggisticamente vincolato.
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4. Proprio a questo riguardo, poi, si osserva che sono manifestamente infondate, in primo luogo, le questioni relative alla configurabilità, sotto il profilo oggettivo, della fattispecie di cui all'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, esposte in vari ricorsi; doglianze in forza delle quali non vi sarebbe alcuna disposizione normativa da cui inferire la giuridica necessità -ai fini dell'aumento delle volumetrie assentibili sulla singola particella mediante "accorpamento" dei fondi- del requisito della "reciproca prossimità" tra gli stessi, almeno quando la cessione di cubatura avviene tra terreni aventi la stessa destinazione urbanistica e lo stesso indice di fabbricabilità, e che, comunque, una regola del genere, se anche esistente, poiché di "creazione giurisprudenziale", non sarebbe idonea ad integrare il precetto penale di cui all'art. 44 in esame.
4.1. Sul punto, risulta utile una premessa di carattere generale.
Innanzitutto, quanto alle modalità applicative dell'istituto della cessione di cubatura ed alla vigenza dell'articolo 51 della l.r. n. 56 del 1980, questa Corte ha da tempo chiarito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta regionale della Puglia n. 1748 del 15.12.2000, il Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il paesaggio (PUTT/P), si è verificata, una volta entrato in vigore quest'ultimo, la clausola risolutiva espressa dell'efficacia della predetta disposizione legislativa (così, tra altre, Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, Manzo e aa., Rv. 262512; Sez. 3, 18/03/2017, n. 35166, non massimata; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, Siciliano e aa., Rv. 271770).
Tanto premesso, la sentenza impugnata ha preso esplicita posizione sul punto, proprio in conformità con questo indirizzo ed in contrasto con il diverso assunto sostenuto dal Tribunale; la questione, tuttavia, risulta priva di effettivo rilievo, atteso che le conclusioni alle quali il Giudice di appello è pervenuto prescindono dalla perdurante vigenza o meno della stessa disciplina regionale (pag. 6).
4.2. Di seguito, si osserva che, ancora secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565, e Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170, ma anche Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, Cerra s.r.I., mass. per altro, contraddistinta da una ricostruzione estremamente approfondita, e, proprio in ordine alla violazione derivante da inappropriate cessioni di cubatura, Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, dep. 2015, Manzo, Rv. 262512, nonché, ancora, in precedenza, con riferimento all'art. 20, primo comma, lett. a), legge 28.02.1985, n. 47, Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359).
4.3. Posta questa premessa, deve allora valutarsi se sia illegittima -per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia- l'opera di volumetria eccedente quella specificamente prevista per il singolo lotto interessato dall'edificazione, anche quando detta eccedenza sia giustificata sulla base dell'accorpamento di fondi omogenei per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità, ma in difetto del requisito della "reciproca prossimità".
4.4. Ebbene, proprio a tale ultimo riguardo, centrale nella vicenda in esame, il Collegio condivide il costante insegnamento secondo cui la stessa "reciproca prossimità" tra i fondi è condizione in ogni caso necessaria per effettuare un legittimo "accorpamento" tra i medesimi ai fini dell'incremento di volumetria assentibile per uno di essi, anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità (per tutte, Sez. 3, n. 12380 del 16/01/2020, Melcarne+2 e Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna, non massimate; tra le ultime, Sez. 3, n. 15767 del 14/02/2020, Denuccio+altri, non massimata, con ampio richiamo giurisprudenziale).
Come più volte affermato, infatti, concludere diversamente, e quindi ammettere la cessione di cubatura tra terreni (solo) tra loro distanti, potrebbe determinare una situazione di "affollamento edilizio" nelle zone dove sono ubicati i fondi cessionari e una contrapposta situazione di carenza nei luoghi di insediamento dei fondi cedenti, con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Questo principio è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza penale di legittimità, sia in linea generale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, S., Rv. 274673, e Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, Manzo, Rv. 262512), sia proprio con riferimento alle opere edificate nel Comune di Castrignano del Capo (cfr., tra le tante: Sez. 3, n. 27758 del 17/05/2019, Sennhauser, non massimata; Sez. 3, n. 11519 del 23/01/2019, Micheli, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, non massimata).
Si aggiunga, peraltro, che alcune pronunce affrontano in modo espresso il tema dell'assenza di un formale divieto e rilevano che ciò non impedisce, all'interprete e quindi al giudice, di individuare nel sistema il requisito della "reciproca prossimità" tra i fondi quale condizione indispensabile per un valido "accorpamento" dei medesimi ai fini dell'incremento di volumetria di uno di essi; in particolare, si osserva che il presupposto indicato deve essere ricollegato all'esigenza di evitare che l'utilizzo dello strumento negoziale della cessione di cubatura «sia grossolanamente volto, appunto, alla elusione dei principi e delle regole in materia di pianificazione edilizia» (così Sez. 3, n. 26714 del 2015, Tedoldi, cit.).
4.5. Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, ha ritenuto desumibile dal sistema il divieto di "accorpamento" di fondi non caratterizzati da contiguità, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono Pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez. V, n. 6734, 30.10.2003; C. St., Sez. V, n. 400, 01.04.1998; più recentemente, TAR Campania-Salerno, Sez. H n. 1675 del 19/07/2016).
In particolare, si è sottolineato che la contiguità dei fondi è requisito necessario per la legittimità dell'accorpamento, «in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico» (così Tar-Campania, n. 1675 del 2016, cit., e Tar-Sicilia, n. 1254 del 2018).
4.6. In definitiva sul punto, dunque, la giurisprudenza di legittimità e quella amministrativa affermano che la "cessione di cubatura" è legata a due condizioni:
   - l'omogeneità dell'area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente e ricevente) e
   - la contiguità dei due fondi, intesa non tanto come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) quanto come effettiva e significativa vicinanza.
E con la precisazione che tale contiguità viene a mancare, in ogni caso, quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l'edificazione.
4.7. Tanto premesso in termini generali, si osserva che nel caso di specie -per come pacificamente riscontrato dalla Corte di merito- i terreni accorpati sono tra loro distanti circa 500-600 metri in linea d'aria; ancora, quello edificato (cessionario) si trova in zona paesaggisticamente vincolata e dichiarata di notevole interesse pubblico. Per ciò solo, dunque, l'accorpamento della volumetria non era consentito, in modo evidente, con conseguente illegittimità del permesso di costruire, posto che il lotto ove l'edificio è stato realizzato -si legge in imputazione, confermata dalla sentenza impugnata (pag. 4)- avrebbe consentito di esprimere 58,59 mc., ossia sensibilmente meno della cubatura di fatto realizzata (90,30 mc.).
4.8. Dal che, e ribadendo un indirizzo già affermato da questa Corte proprio in un caso relativo al medesimo Comune, il principio secondo cui la legittimità della cessione di cubatura tra fondi non contigui deve escludersi nei casi in cui gli stessi siano lontani (oppure esprimano diversi indici di fabbricabilità quando più elevato sia quello del fondo cedente, ovvero abbiano diversa destinazione urbanistica), anche laddove l'atto negoziale abbia consentito di realizzare una assai maggiore volumetria in un terreno paesaggisticamente vincolato (Sez. 3, n. 43253 del 19/09/2019, Ferilli+1, non massimata).
4.9. Quest'ultimo elemento -che, per quanto detto, incide sulla valutazione della legittimità della cessione di cubatura ai fini urbanistici e, dunque, sulla legittimità del permesso di costruire comunque rilasciato- consente poi di comprendere come risulti certamente compromessa anche la legittimità dell'accertamento di compatibilità paesaggistica, laddove (ciò che nella specie è avvenuto) lo stesso sia espresso sull'errato presupposto del rispetto degli standards urbanistici di zona quanto alla volumetria legittimamente edificabile.
...
6.2. Del tutto non condivisibili, ancora, sono i richiami ad un asserito, mutato orientamento interpretativo; al riguardo, si rinvia alle citate decisioni della giurisprudenza penale ed amministrativa, che hanno confermato l'esistenza del requisito della "reciproca prossimità" tra i fondi come condizione per consentire un legittimo "accorpamento" degli stessi ed una valida cessione di cubatura.
A ciò si aggiunga, peraltro, che anche la sentenza Cons. Stato, Sez. 6, n. 4861 del 21/11/2016, di cui ai ricorsi Ri. e Pe., non risulta del tutto pertinente; come emerge dal testo della motivazione, infatti, il giudice amministrativo di secondo grado si è preoccupato di precisare che la cessione di cubatura da esso valutata deve ritenersi legittima anche per la strettissima vicinanza dei fondi interessati, osservando, tra l'altro, che «dalla documentazione catastale (v. "visura catastale particelle validate", in atti) emerge che (...) gli immobili devono ritenersi tra di loro contigui per gli effetti urbanistici, essendo anche tali lotti ubicati nella medesima zona servita dalle medesime opere di urbanizzazione, e avendo gli stessi la medesima destinazione residenziale» (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.06.2021 n. 22832).

EDILIZIA PRIVATALa cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto:
   - immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale;
   - non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 cod. civ.;
   - trascrivibile ex art. 2643, n. 2-bis cod. civ.;
   - assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto 'diverso' avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. 131/1986 nonché, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa allegata al d.lvo 347/1990 e 10, co. 2", del medesimo d.lvo
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§ 5.2 Il secondo quesito è se la presente questione non debba ritenersi in certo senso 'già risolta' (eventualità prospettata sia nella memoria dei Re. sia nelle conclusioni del Procuratore Generale) dalla su menzionata sentenza di queste Sezioni Unite (n. 23902/2020, sopravvenuta all'ordinanza di rimessione) in materia di diritti edificatori compensativi e di loro circolazione.
In tal caso il dubbio è reso legittimo dal fatto che la cessione di cubatura, pur mantenendosi certamente al di fuori del perimetro dei diritti edificatori direttamente generati dalla PA nell'ambito della c.d. urbanistica consensuale, dà comunque anch'essa luogo ad una forma di distacco e separata negoziazione dello jus aedificandi rispetto alla proprietà del suolo; per giunta, costituisce un dato pacifico di causa che la cubatura oggetto dell'atto di cessione dedotto nel presente giudizio origini in effetti anch'essa da una compensazione urbanistica convenzionalmente intercorsa tra i contribuenti e l'amministrazione comunale di Latina.
Partendo da quest'ultimo aspetto, nitida è però la differenza tra la presente fattispecie e quella decisa con la richiamata sentenza.
Nel caso qui in esame, come si è già notato (v.§.1.1), l'origine compensativa dell'indice di fabbricabilità costituisce un mero antefatto o, se si vuole, un semplice presupposto della cessione di cubatura, rimanendo in quanto tale esterna a quest'ultima.
I Re. hanno ceduto la cubatura quando si era ormai esaurita, con l'indíviduazione e l'assegnazione finale da parte del Comune dell'area di destinazione e sfruttamento, la procedura di compensazione urbanistica scaturita dalla pregressa cessione gratuita al Comune stesso di determinate aree già di loro proprietà e ricadenti nel PPE del quartiere E/1 Piccarello in Latina.
Una volta perfezionatasi questa procedura di natura pubblicistica, il diritto edificatorio attribuito a titolo di compensazione è dunque entrato definitivamente a far parte del loro patrimonio e, in quanto componente patrimoniale ormai acquisito e definito in tutti i suoi elementi costitutivi, esso è stato fatto oggetto del trasferimento a favore della Ia. srl.
Altrimenti detto, la cessione di cubatura qui dedotta non manifesta la volatilità caratteristica ed estrema del diritto edificatorio compensativo ancora in fase di assegnazione (oggetto specifico della sentenza n. 23902/2020), essendo stata posta in essere dopo il completamento dell'ultimo segmento della fattispecie compensativa (potremmo anche dire, ad 'atterraggio' ormai avvenuto), il che rende in pratica ininfluente la provenienza convenzionale della volumetria ceduta.
In ordine all'altro aspetto, della prospettata incidenza in questa sede di quanto affermato nella sentenza in parola, non è in discussione che il problema della natura giuridica della cessione di cubatura debba effettivamente trovare una soluzione -nell'ambito della materia dei diritti edificatori globalmente considerati nella quale essa pur sempre si inscrive- in linea di continuità e coerenza con quella decisione, e tuttavia ciò è cosa ben diversa dall'affermare che esso trovi piana e scontata soluzione in quanto in quella sede già deciso.
Si è appena evidenziata l'oggettiva diversità delle due fattispecie considerate e non sembra inutile ricordare che già nella sentenza in esame -relativa non all'imposta di registro (ma al presupposto della edificabilità dell'area ai fini Ici- si ebbe occasione di osservare, quanto a peculiarità distintive della figura negoziale, che nella cessione di cubatura faceva difetto qualsiasi finalità perequativo-compensativo-indennitaria, e che in essa: "il trasferimento (totale o parziale) della capacità edificatoria del fondo avviene -tra privati- a favore di un'area fin dall'inizio ben determinata, se non necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione urbanistica omogenea. Non vi è incidenza sulla pianificazione generale, attesa l'invarianza della cubatura complessiva, l'omogeneità delle aree coinvolte e l'estraneità alla cessione in sé della PA (per questo la si ritrova talvolta definita come intervento di 'micropianificazione urbanistica ad iniziativa privata'), alla quale sarà tuttavia demandato di assentire il rilascio, a favore del cessionario, del permesso di costruire maggiorato della quota di cubatura trasferita".
Anche a questo secondo quesito va dunque data risposta negativa.
§ 6. Consistente e diacronico, come si è osservato, è l'indirizzo giurisprudenziale che colloca la cessione di cubatura tra gli atti costitutivi o traslativi di un diritto reale.
Esso si fonda sulla valorizzazione -nell'ambito di una fattispecie che, pur correlandosi al rilascio del titolo edilizio da parte della pubblica amministrazione, si assume a forte connotazione privatistica- del carattere prettamente dominicale ascrivibile allo sfruttamento edilizio del suolo e, per questa via, alla considerazione della edificabilità in termini di utilità intrinseca ed inerente a quest'ultimo (qualitas fundi).
Si tratta di impostazione -avallata da parte della dottrina e sostenuta anche a livello di prassi notarile- storicamente radicatasi con riguardo alla previsione di diritti di rilocalizzazione privata della volumetria da parte di taluni piani regolatori generali di grandi città e, in particolare, al problema della riconoscibilità ad essi delle agevolazioni previste per i trasferimenti immobiliari dalla legge 408 del 1949 (l. Tupini).
L'amministrazione finanziaria ha più volte richiamato e fatto proprio questo orientamento ricostruttivo, rimarcando a sua volta l'inerenza alla proprietà del suolo della cessione di cubatura (ritenuta comportare un effetto in tutto analogo a quello conseguente alla disposizione di un diritto reale), ponendolo a fondamento della maggior imposizione sia di registro sia di plusvalenza reddituale (Ris. n. 250948 del 17.08.1976; Circ AE 233/E del 20.08.2009).
Va però detto -e già questo induce qualche prima perplessità sulla complessiva tenuta della tesi- che all'interno dell'indirizzo di realità non si sono poi date risposte sempre univoche sul 'tipo' di diritto reale che verrebbe a costituirsi o a trasferirsi con l'atto di cessione di cubatura. Analoga frammentarietà di vedute si ha anche nella dottrina che sostiene questo indirizzo, non essendo in essa neppure mancate ricostruzioni dommatiche che individuano nell'istituto -a superamento del regime di numero chiuso- un diritto reale senz'altro atipico, o anche un diritto reale tipico (almeno in parte regolato dalla disciplina urbanistica), ma 'nuovo' rispetto a quelli disciplinati dal codice civile.
Insoddisfacente, in particolare, risulta il richiamo al diritto di superficie, dal momento che nella cessione di cubatura non entrano in gioco gli effetti propri di quest'ultima,la quale presuppone, ex art. 952 cod. civ., l'alterità tra proprietà del suolo e proprietà della costruzione; mentre è invece connaturato all'istituto che il cessionario della cubatura eserciti il diritto di costruire (seppure incrementato di una quota parte di volumetria originatasi altrove) sul fondo proprio.
Pur volendo in ipotesi aderire ad un'ottica di atipicità, non sembra che l'ordinamento consenta di basare l'assimilazione alla disciplina del diritto di superficie sulla forzata equiparazione (inevitabile nell'impostazione in esame) tra il diritto di costruire su terreno altrui (il che è connaturato alla superficie) ed il diritto del cessionario di costruire sul terreno proprio anche se (almeno in parte) in virtù di cubatura generata da terreno altrui. A maggior ragione considerando che, una volta perfezionatasi la cessione di volumetria in capo al cessionario, neppure avrebbe più senso dare risalto all'altruità d'origine della cubatura trasferita.
Certamente più vicino alla realtà della fattispecie, nell'ambito dei diritti reali di godimento, è il richiamo allo schema della servitù prediale e, in particolare, alle figure della servitù non aedificandi (in caso di cessione totale della cubatura assentita) ovvero altius non tollendi (in caso di cessione parziale). Anche in questo caso si è in presenza di una concezione fortemente privatistica dell'istituto, la quale pone l'assenso della pubblica amministrazione all'esterno della fattispecie costitutiva, rispetto alla quale esso fungerebbe da mera condizione di efficacia nelle forme della condicio juris (qualora prevista dal piano regolatore generale o dall'altra disciplina urbanistica), ovvero della condicio facti (se prevista come tale dalle parti nel contratto); neppure mancano, in dottrina, richiami all'assenso della PA quale, non già elemento accidentale del contratto, ma oggetto di presupposizione con incidenza causale sulla volontà negoziale.
Va anche considerato che sul piano teorico la servitù consente, rispetto ad altri diritti reali, più ampi spazi ricostruttivi in ragione del peculiare atteggiarsi in essa del carattere di tipicità. Ciò nel senso che se la servitù è certamente autodeterminata e tipica nella individuazione legale dei suoi elementi costitutivi e portanti (in primo luogo nella essenzialità della relazione di asservimento di un fondo a vantaggio di un fondo contiguo), la determinazione del contenuto pratico di questa relazione e delle sue concrete modalità di svolgimento e manifestazione è poi ampiamente demandata (nelle servitù volontarie) all'autonomia delle parti ed alla finalizzazione e qualificazione della servitù a seconda delle più eterogenee esigenze di asservimento-utilità (agricole, industriali, edilizie ecc...) assegnate dalle parti stesse ai fondi.
Ed infatti l'adozione, in materia, dello schema della servitù, ovvero -come anche si legge- dell'asservimento del terreno per scopi edificatori, scaturisce dall'assunto, più volte ribadito in giurisprudenza, secondo cui: "le pattuizioni con le quali vengono imposte, a carico di un fondo ed a favore del fondo confinante, limitazioni di edificabilità restringono permanentemente i poteri connessi al proprietario dell'area gravata e mirano ad assicurare, correlativamente, particolari utilità a vantaggio del proprietario dell'area contigua. Pattuizioni siffatte si atteggiano, rispetto ai terreni che ne sono colpiti, a permanente minorazione della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario ed attribuiscono ai terreni contigui un corrispondente vantaggio che inerisce ai terreni stessi come qualitas fundi, cioè con carattere di realità cosi da inquadrarsi nello schema delle servitù" (Cass. nn. 2743/1973, 1317/1980, 4624/1984, 4770/1996, 3937/2001, 14580/2012).
E tuttavia, quando si tratti di raccordare la servitù con la peculiarità del 'diritto edificatorio' in quanto tale, e con le connessioni pubblicistiche che per ciò soltanto ne derivano, anche questa -pur accreditata- tesi qualificatoria mostra vari ed insuperabili profili di inadeguatezza.
Un primo aspetto concerne l'incidenza esplicata dal ruolo della PA nel rilascio del permesso di costruire maggiorato; incidenza che comporta, se non il formale innesto dell'accordo negoziale tra i privati nell'ambito del procedimento amministrativo di rilascio del titolo edilizio, quantomeno la dipendenza degli effetti pratici dell'atto di cessione di cubatura da un elemento estraneo, ma tutt'altro che secondario ed accidentale, all'atto costitutivo o traslativo in sé. Ciò pone evidentemente in crisi, nella dialettica 'pubblico-privato', i requisiti di immediatezza e di assolutezza che contraddistinguono i diritti reali e, tra questi, la servitù.
Un secondo e correlato aspetto attiene al fatto che alla cessione di cubatura si associa normalmente l'assunzione da parte del cedente di un obbligo specifico, rappresentato dalla prestazione di consenso al rilascio, da parte dell'amministrazione comunale, del permesso di costruire per cubatura maggiorata. Sennonché, questo contenuto di 'fare' si pone di per sé in conflitto con la natura della servitù la quale, nel caso di specie, verrebbe in pratica a connotarsi per il cumulo sia di una componente negativa o passiva in essa strutturale (di 'non facere' relativamente alla inedificabilità del fondo servente, e di patii relativamente all'accettazione della edificazione in esubero sul fondo dominante), sia di una componente positiva del tutto incompatibile (di attivazione personale in sede amministrativa).
Non varrebbe obiettare che il brocardo ‘servitus in faciendo consistere nequit' non trova nell'ordinamento attuazione assoluta e totalizzante, dal momento che l'articolo 1030 del codice civile, dopo aver affermato la regola generale secondo cui il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per rendere possibile l'esercizio della servitù da parte del titolare, fa però sempre salvo "che la legge o il titolo disponga altrimenti", e qui la diversa disposizione sarebbe appunto data dal titolo (o addirittura dalla disciplina urbanistica).
Va infatti considerato che la prestazione di 'fare' da parte del proprietario del fondo servente non è incompatibile con la servitù solo a condizione che non comporti l'erogazione di una utilità diretta (nella specie, l'incremento di volumetria sul fondo di dominio) e che abbia natura meramente accessoria; e tale certo non può considerarsi un'attività essenziale al raggiungimento dello scopo pratico perseguito dalle parti qual è appunto la partecipazione del cedente al procedimento amministrativo di rilascio del permesso di costruire. Si è dunque lontani dall'imposizione di un 'fare' strumentale a rendere semplicemente più comoda od efficace la fruizione dell'utilità, venendo piuttosto in considerazione una prestazione positiva e centrale dal cui adempimento deriva l'esistenza stessa dell'utilità.
Un terzo elemento di criticità riguarda il requisito della vicinanza tra i fondi. Nel caso della cessione di cubatura non è detto che i fondi debbano essere confinanti, essendo invece essenziale che essi siano ricompresi all'interno della medesima zona urbanistica, così da partecipare della medesima destinazione e degli stessi standard edificatori (prossimità di zona).
E' proprio il collegamento di entrambi i fondi interessati con la stessa zona di intervento e pianificazione che rende legittimo e meritevole di tutela l'istituto (difatti sviluppatosi nella prassi proprio a seguito dell'introduzione delle tecniche di standardizzazione ex l. 765/1967) facendo sì, per un verso, che l'alterazione privatistica della volumetria fruibile risulti sostanzialmente indifferente, visto il rispetto complessivo della densità edilizia programmata, per le scelte distributive e di governo del territorio; e che, per altro verso, sia evitato ogni fenomeno di migrazione delle cubature verso zone diverse del territorio cittadino, con conseguenti patologici effetti tanto di svuotamento quanto di affollamento del carico edilizio urbano.
E' vero che il requisito della vicinanza tra i fondi va inteso in senso non strettamente fisico o topografico, ma dinamico e funzionale all'utilità; già Cass. n. 914/1962 (innumerevoli volte ripresa) ebbe ad osservare che: "perché possa configurarsi un diritto di servitù non è richiesto il requisito della contiguità tra i fondi, o della loro Vicinitas', ma è sufficiente che, di fatto, il fondo dominante e quello servente si trovino in posizione tale tra loro per cui sia attuabile ed esercitabile, per l'utilità del primo, l'imposizione di un peso sul secondo".
E tuttavia, il riferimento alla nozione di zona -salvo che non si voglia imboccare la strada, impervia perché priva di base legale, del diritto reale nuovo o atipico (nel senso della insuperabilità del principio del numero chiuso e di tipicità dei diritti reali, di recente, Cass. SSUU n. 28972/2020)- trascende questo concetto di vicinanza quand'anche recepito nella sua più estesa accezione di vicinanza o utilità urbanistica, ben potendo concepirsi che la cessione di cubatura coinvolga terreni non contigui, anche se appartenenti ad un'area morfologicamente comune e, in ipotesi, dipendenti dagli stessi strumenti regolatori e dalle stesse strutture di urbanizzazione.
Vi è ancora da chiedersi se la tesi della realità possa essere in certo senso recuperata individuando nella cessione di cubatura non un atto costitutivo o traslativo di una prerogativa proprietaria, ovvero di un diritto reale immobiliare, bensì un atto di rinuncia pura e semplice ad essi. Evenienza, questa, che basterebbe ad integrare il presupposto dell'imposizione proporzionale di registro ex art. 1 tariffa TUR, cit..
Neppure la soluzione della realità per abdicazione appare però praticabile.
La cessione della volumetria -di regola- avviene a favore di un soggetto ben individuato in quanto proprietario di un fondo avente i requisiti di accoglienza della maggiore edificabilità. Per quanto non inconcepibile in astratto, esula dal fenomeno qui in esame la rinuncia pura e semplice (dunque non traslativa) alla cubatura, intesa quale cessione 'ad incertam personam' ovvero quale restituzione al Comune dell'indice di fabbricabilità già assegnato.
Si tratta di situazioni prive di riscontro pratico -anche in considerazione della rilevanza economica rivestita dall'operazione- nelle quali ogni altro proprietario di fondi ricompresi nella stessa zona urbanistica sarebbe in ipotesi legittimato a chiedere ed ottenere dal Comune l'assegnazione del surplus edificatorio rappresentato dalla cubatura relitta.
Se poi si volesse ravvisare anche nella stessa cessione corrispettiva di cubatura -oggetto precipuo della questione- una natura indirettamente abdicativa della facoltà di utilizzare 'per sé' la cubatura trasferita -con rinuncia da notificare al Comune in vista del rilascio del maggior titolo edilizio a favore del cessionario- la tesi apparirebbe finanche sostanzialmente inutile ai fini che interessano, trattandosi pur sempre di qualificare la natura (reale o meno) del diritto dismesso, il che riporterebbe alla tematica generale della qualificazione giuridica dell'atto (v. Cass. nn. 4245/1981; 9081/1998 cit.).
§ 7. L'opposto filone interpretativo, ancora recentemente ribadito, esclude che la cessione di cubatura consista in un atto traslativo, ed ancor meno costitutivo, di un diritto reale.
Si afferma in esso (Cass. n. 18291/2020, con ulteriori richiami) che "la cosiddetta cessione di cubatura presuppone il perfezionamento di un accordo con il quale una parte (il proprietario cedente) si impegna a prestare il proprio consenso affinché la cubatura (o una parte di essa) che gli compete in base agli strumenti urbanistici venga attribuita dalla P.A. al proprietario del fondo vicino (cessionario), compreso nella stessa zona urbanistica, cosi consentendogli di chiedere ed ottenere una concessione per la costruzione di un immobile di volume maggiore di quello cui avrebbe avuto altrimenti diritto (Cass. n. 20623 del 2009; Cass. n. 12631 del 2016)".
Si aggiunge che il trasferimento della cubatura -nei confronti dei terzi, così come tra le parti- deriva però "esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia all'utilizzazione della volumetria manifestata al Comune dal cedente, aderendo al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario (Cass. n. 1352 del 1996, in motiv.; Cass. n. 20623 del 2009 in motiv.)"; e che, pertanto, l'accordo tra le parti "ha un'efficacia meramente obbligatoria tra i suoi sottoscrittori e non è, quindi, configurabile come un contratto traslativo (e, tanto meno, costitutivo) di un diritto reale opponibile ai terzi (Cass. n. 24948 del 2018)".
Come osservato da Cass. n. 20623/2009, cit., "nella cessione di cubatura si è in presenza di una fattispecie a formazione progressiva in cui confluiscono, sul piano dei presupposti, dichiarazioni private nel contesto di un procedimento di carattere amministrativo; a determinare il trasferimento di cubatura, tra le parti e nei confronti dei terzi, é esclusivamente il provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia del cedente, può essere emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario, non essendo configurabile tra le parti un contratto traslativo".
Dalla natura, non traslativa né costitutiva di un diritto reale bensì meramente obbligatoria e vincolata all'assenso della PA, vengono poi tratte varie importanti conseguenze, quali: l'atto non richiede la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 cod. civ.; l'interpretazione della reale volontà delle parti può anche desumersi, per facta concludentia, dal comportamento complessivo dei contraenti successivo alla stipulazione (come nell'ipotesi in cui la volontà di cedere la cubatura venga desunta dalla dichiarazione di adesione resa dal cedente direttamente alla PA); il mancato rilascio del permesso di costruire nonostante la conforme attivazione del cedente presso la PA determina l'inefficacia del negozio, non la sua risoluzione per inadempimento.
Anche la giurisprudenza amministrativa -premessa la piena legittimità del titolo edilizio autorizzativo che venga rilasciato con riguardo ad una cessione di cubatura assistita dai già richiamati requisiti quali-quantitativi di omogeneità urbanistica- colloca l'atto in questione in un contesto di tipo meramente obbligatorio.
Essa si spinge anzi anche più in là, osservando come un atto negoziale vero e proprio (ad effetti obbligatori o reali) non sia in realtà neppure necessario al fine di ottenere il rilascio del permesso di costruire maggiorato, "essendo sufficiente l'adesione del cedente, che può esser manifestata o sottoscrivendo l'istanza e/o il progetto del cessionario, o rinunciando alla propria cubatura a favore di questi o notificando al Comune tale sua volontà, mentre il c.d. vincolo di asservimento, rispettivamente a carico e a favore del fondo, si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo" (Cons. Stato 3636/2000; v. anche, tra le molte, Cons. Stato nn. 15767/2020; 4861/2016; 530/1991).
Va detto che neppure l'indirizzo giurisprudenziale di legittimità qui in esame può dirsi del tutto indenne da critiche e perplessità.
Come osservato dalla dottrina, si tratta di un indirizzo che sposta eccessivamente il baricentro della fattispecie sul suo lato pubblicistico, attribuendo all'accordo tra i privati una funzione meramente preparatoria o preliminare in vista della realizzazione del nucleo sostanziale di interesse comune posto all'esterno della volontà negoziale, e costituito dal rilascio del permesso di costruire per cubatura aumentata.
In quest'ottica si leggono quelle decisioni che -peraltro in linea con la richiamata giurisprudenza amministrativa- hanno marginalizzato l'accordo privatistico, ravvisandolo anche solo sul piano comportamentale dell'adesione del cedente alla pratica amministrativa introdotta dal cessionario (ad esempio mediante la mera sottoscrizione da parte del primo del progetto edificatorio sottoposto dal secondo all'approvazione della PA).
Sotto questo profilo, la volontà delle parti rileva essenzialmente nel momento in cui essa, venendo comunicata all'amministrazione comunale, viene a costituire un elemento interno al procedimento amministrativo.
Il che sembra non dare compiutamente contezza di un atto di disposizione patrimoniale di estremo rilievo sul piano privatistico, nel suo risvolto sia giuridico (trattandosi pur sempre di comprimere ovvero incrementare la potestà edificatoria insita nel diritto di proprietà) sia economico (posto che non di rado il valore della cubatura assorbe ed esaurisce la massima parte del valore di mercato del suolo).
Soprattutto, l'affermazione secondo cui il trasferimento di cubatura non dipenderebbe dall'accordo tra le parti, ma solo ed esclusivamente dal rilascio del permesso di costruire da parte della PA, pare non tenere in debito conto il fatto che, nell'attuale ordinamento, il diritto di edificare è insito nella proprietà del suolo, essendo dato all'Amministrazione soltanto di regolarne l'esercizio conformemente ai piani ed agli strumenti urbanistici di governo territoriale, non già di discrezionalmente 'costituirlo' e neppure di 'trasferirlo' da un privato all'altro. Emblematica, in tal senso, è l'evoluzione normativa, interpretativa e terminologica che ha segnato il passaggio dalla concessione edilizia di cui alla l. n. 10/1977 sulla edificabilità dei suoli al vigente regime autorizzatorio del permesso di costruire ex art. 10 d.P.R. 380/2001 (TUE).
Già nella sentenza SS.UU. n. 23902/2020 cit. si osservava -intorno ai diritti edificatori scorporabili dal suolo di origine- come essi non neghino ma anzi presuppongano, consentendone variamente l'esercizio delocalizzato, che lo jus aedificandi costituisca una naturale estrinsecazione del diritto di proprietà del suolo, sebbene sottoposto alle condizioni conformative e di utilità sociale previste dalla legge e dagli strumenti urbanistici; il che trova conferma in quanto già affermato, ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio, dalla Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza n. 5/1980, ed ancora in quanto recentemente ribadito da queste stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 7454/2020.
§ 8. Stabilisce l'articolo 2643 del codice civile che devono rendersi pubblici col mezzo della trascrizione (n. 2-bis): "i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale".
La disposizione, introdotta dal decreto sviluppo 2011 (d.l. 70/2011 convertito con modificazioni nella l. 106/2011), rappresenta un primo ed embrionale momento di tipizzazione codicistica dei diritti edificatori, anche se segnata da evidenti limiti (già segnalati da Cass. SS.UU. 23902/2020 cit.) nell'assenza:
   - di una definizione contenutistica e di sostanza, avendo il legislatore scelto di fare richiamo generico ed onnicomprensivo ai diritti edificatori 'comunque denominati', senza neppure tentare di delinearne gli elementi caratteristici essenziali;
   - di una disciplina fondamentale uniforme (se non per quanto concerne la trascrivibilità), essendosi per il resto preferito rinviare alle eterogenee regolamentazioni che, a diverso titolo, risultano applicabili ai diritti edificatori in applicazione di normative speciali di matrice, soprattutto, regionale e di pianificazione territoriale.
Ciò non toglie che dalla previsione in esame, dettata da esigenze di certezza ed opponibilità circolatorie, possano e debbano trarsi importanti contributi interpretativi circa la qualificazione giuridica della cessione di cubatura; appunto considerata -una volta riconosciuto in essa il tratto saliente costituito, al contempo, dal distacco del diritto di costruire dal fondo di generazione e dalla sua autonoma e separata negoziabilità- quale specie del genere 'diritti edificatori'.
Un primo elemento ricostruttivo è dato dal definitivo allontanamento dell'istituto dall'ambito di realità nel quale secondo alcuni si collocava. In proposito, va rilevato non solo che l'elenco degli atti soggetti a trascrizione ex articolo 2643 non presuppone necessariamente il carattere 'reale' dell'atto, posto che la legge ammette la trascrizione anche di atti relativi a beni immobili che rivestono pacifica natura obbligatoria, come i contratti di locazione ultranovennale (art. 2643 n. 8) ovvero i contratti preliminari (art. 2645-bis), ma anche che una specifica ed autonoma previsione di trascrivibilità dei 'diritti edificatori' in quanto tali non avrebbe avuto ragion d'essere, né logica né pratica, qualora questi ultimi, partecipando di natura reale, risultassero comunque già prima trascrivibili in base alla disciplina generale (per le servitù, in particolare, ai sensi del n. 4).
Da questo punto di vista, l'introduzione nell'ordinamento del n. 2-bis costituisce un pesante argomento sistematico a sostegno dell'indirizzo della non realità dell'atto di cessione di cubatura, là dove si rimproverava a quest'ultimo (per ragioni uguali e contrarie a quelle per le quali si dava invece credito all'indirizzo opposto) di inficiare, precludendone la pubblicità, proprio le esigenze di certezza ed opponibilità coessenziali ad uno strumento negoziale così rilevante e diffuso. A ciò si aggiunge, non ultimo, che l'esplicito riconoscimento del ruolo di normazione assegnato in materia alla legislazione regionale, ed addirittura agli strumenti urbanistici distribuiti sul territorio, mal si concilia con l'esigenza che le restrizioni 'reali' al diritto di proprietà rinvenienti dall'ordinamento civile vengano dettate in maniera uniforme e centralizzata, ex articolo 117, lett. l), Cost., dal legislatore statale.
Un secondo elemento è dato dal fatto che quest'ultimo qualifica i diritti edificatori -appunto- come 'diritti'. Si tratta di una presa di posizione che non è solo semantica e che se, per un verso, rimarca la derivazione proprietaria del diritto di costruire, si discosta, per altro, da tutte quelle -pur argomentate ed accreditate- impostazioni dottrinarie che individuano, nella figura in esame, ora una posizione giuridica soggettiva meno piena (perché di interesse legittimo pretensivo sul piano pubblicistico e di semplice chance o aspettativa edificatoria su quello negoziale), ora il prodotto ultimo di un processo di oggettivazione ex art. 810 cod. civ., che renderebbe il 'benecubatura' più simile ad una cosa oggetto di diritti (salvo poi disputarne l'essenza immobiliare, mobiliare, virtuale, immateriale o di frutto del fondo) che ad un diritto in sé. Così come ancora più distante appare la scelta del legislatore da quelle concezioni secondo cui la cubatura non sarebbe, in verità, né un diritto né una cosa, ma soltanto un numero-indice espressivo, nel rapporto tra metri quadrati e metri cubi, della misura della risorsa edificatoria disponibile in capo al proprietario sulla 'colonna d'aria' sovrastante il suo fondo.
Un terzo elemento è dato dalla collocazione dell'istituto all'interno del sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione, a sua volta intrinsecamente connesso alla vicenda traslativa, costitutiva o modificativa (n. 2-bis: "i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori ...").
E' dunque chiara l'opzione legislativa secondo cui i diritti edificatori, non solo sono genericamente disponibili per contratto, ma tra le parti vengono costituiti, trasferiti e modificati direttamente per effetto di questo, e non di altro. Il che comporta la netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l'effetto traslativo suo proprio nell'ambito dell'autonomia negoziale delle parti, non già del procedimento amministrativo. Da qui l'estendibilità alla materia del principio consensualistico di cui all'articolo 1376 del codice civile, secondo il quale nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un diritto (anche diverso dalla proprietà di cosa determinata o da un diritto reale) questo si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.
Resta naturalmente, una volta che alla cessione di cubatura consegua la presentazione da parte del cessionario di un progetto edificatorio su di essa basato, il ruolo autorizzativo e regolatorio del permesso di costruire, per il cui rilascio il cedente è tenuto ad operare secondo il dovere generale di solidarietà, cooperazione, correttezza e buona fede. Si tratta appunto di un elemento che concorre non al trasferimento in sé tra i privati della cubatura, quanto alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, alle quali il cessionario dovrà ispirarsi mediante la presentazione di un progetto edificatorio assentibile perché ad esse rispondente.
In quanto elemento esterno di regolazione pubblicistica di un diritto di origine privatistica, il permesso di costruire -seppure per certi versi anomalo perché chiesto e rilasciato per una volumetria aumentata- continua ad operare su un piano non dissimile da quello 'normale' dei provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato e, segnatamente, da quello che regola ordinariamente l'esercizio diretto dello jus aedificandi da parte del proprietario.
Va ancora osservato come tutte le implicazioni di non-realità che si sono qui individuate non comportino la negazione dell'inerenza al fondo del diritto sulla cubatura ceduta, quanto l'attribuzione ad essa di un'incidenza più identitaria e funzionale (di necessario collegamento con un determinato suolo tanto di origine quanto di destinazione) che coessenziale alla natura dell'istituto; ciò sul presupposto fondante del fenomeno stesso dei 'diritti edificatori', sempre insito -anche se con connotati di varia intensità- nel loro scorporo dal fondo di produzione e nella ritenuta meritevolezza della loro circolazione separata.
§ 9. Tornando all'imposta di registro -oggetto precipuo della questione rimessa alle Sezioni Unite- non può dunque fondatamente concludersi che nel caso di cessione di cubatura vi siano i presupposti per l'applicazione dell'aliquota proporzionale prevista dalla tariffa per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà immobiliare ovvero traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari. Analogamente è a dire, per il caso di trascrizione e voltura, con riguardo all'imposta ipotecaria e catastale la quale dovrà essere applicata nella misura fissa propria degli atti diversi da quelli traslativi o costitutivi di un diritto reale immobiliare.
Non si disconosce che questa soluzione può apparire per certi versi incongrua nell'emersione (richiamata dall'Amministrazione Finanziaria) di un diverso trattamento fiscale a seconda che l'atto presentato alla registrazione sia una cessione di cubatura, piuttosto che un trasferimento della proprietà di un fondo edificabile; ciò perché, come si è già ad altro fine osservato, non è raro che il valore venale del terreno edificabile venga di fatto a praticamente identificarsi con quello della cubatura su di esso esercitabile.
In questa situazione l'incoerenza di sistema sarebbe data, in particolare, dal fatto che atti dispositivi realizzativi di un medesimo scopo pratico e rivelatori di una capacità contributiva sostanzialmente sovrapponibile siano fiscalmente colpiti in maniera differente, e solo in funzione del tipo di strumento negoziale prescelto dalle parti.
Va però considerato che -ferma restando l'insindacabile autonomia del legislatore, con l'unico limite dell'arbitrio e della irragionevolezza, nel modulare il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. selezionando le varie fattispecie imponibili ed il trattamento a ciascuna spettante (da ultimo, C. Cost. sent. 201/2020)- la denunciata disparità si evidenzierebbe nel solo ritorno di mercato dell'operazione, cioè nella ricchezza generata dalla alienazione dell'asset, mentre l'imposizione di registro (art. 20 TUR) presuppone che l'atto venga qualificato e sottoposto a tariffa in ragione dei suoi effetti giuridici, non economici (v. C. Cost. 158/2020 cit. che ha ritenuto costituzionalmente compatibile questa opzione legislativa).
E sul piano degli effetti giuridici, trasferire la proprietà di un fondo edificabile e cederne, seppure totalmente, la cubatura -come si è fin qui argomentato- sono cose sotto molti aspetti differenti.
§ 10. In definitiva, il ricorso dei contribuenti -unificati e ritenuti fondati i motivi da loro proposti ex art. 360, 1^ co., n. 3, cod. proc. civ.- va accolto in forza del seguente principio di diritto: "
la cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto:
   - immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale;
   - non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 cod. civ.;
   - trascrivibile ex art. 2643, n. 2-bis, cod. civ.;
   - assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto 'diverso' avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. 131/1986 nonché, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa allegata al d.lvo 347/1990 e 10, co. 2", del medesimo d.lvo
".
Ne segue la cassazione della sentenza della Commissione (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 09.06.2021 n. 16080).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Natura del negozio di cessione di cubatura: la Sez. VI civile della Corte di Cassazione investe della questione le Sezioni Unite.
La Corte di Cassazione precisa che:
«Il negozio di cessione di cubatura costituisce la prima formula nella quale comincia ad ammettersi la possibilità di cessione dei diritti di natura edificatoria dai quali deriva, in favore dell'acquirente, un credito edilizio, ormai rappresentando soltanto una species rispetto al più ampio genus «diritti edificatori comunque denominati», al cui interno si intravedono figure giuridiche profondamente diverse, alcune delle quali Ric. 2018 n. 25485 sez. MT - ud. 29.01.2020 -13- saranno peraltro all'esame delle Sezioni Unite di questa Corte in ragione dell'ordinanza interlocutoria n. 26016/2019 e che qui, tuttavia, non vengono in diretto rilievo.
Ora, focalizzando la questione attorno alle ricadute fiscali correlate alla natura del negozio di cessione di cubatura che qui viene in rilievo, v'è da dire che l'adesione ad una piuttosto che ad altra teoria in ordine alla natura della cessione di cubatura (teoria del diritto di superficie, della "rinunzia" abdicativa o traslativa, o della servitù non aedificandi o altius non tollendi) renderebbe applicabili i criteri ordinari di tassazione con aliquota dell'8% dell'imposta di registro di cui all'art. 1, parte prima, allegato "A" del d.P.R. n. 131 del 1986 già sopra ricordati. Per converso, qualificando la fattispecie quale negozio ad effetti meramente obbligatori, si dovrebbe giungere alla conclusione di applicare l'art. 9 della tariffa stessa (che assoggetta ad aliquota del 3% gli atti diversi da quelli altrove indicati nella tariffa aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale).
Orbene, la diversità di indirizzi giurisprudenziali dei quali si è dato conto sembrano dunque giustificare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla questione di massima di particolare importanza, ex art. 374, comma 2, c.p.c., relativa alla qualificazione giuridica dell'atto dì cessione di cubatura ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, apparendo altresì necessario indagare sui possibili effetti e sulla natura giuridica del diniego di autorizzazione da parte dell'amministrazione comunale rispetto all'eventuale imposizione fiscale applicata sul presupposto della qualificazione dell'atto di cessione come negozio immediatamente traslativo del diritto edfficatorio.
Parimenti necessaria risulterà la verifica delle ricedute ai finì fiscali delle Ric. 2018 n. 25455 sez. MT - ud. 29.01.2020 -14- sopravvenienze di carattere urbanistico successive alla cessione. Non sembra, d'altra parte, al Collegio possibile operare una reductio ad unum dell'indirizzo espresso dalla sezione quinta civile con i risultati interpretativi stratificati presso la seconda sezione civile, ravvisandosi tra gli orientamenti dei quali si è dato conto un'antologica inconciliabilità che riverbera i propri effetti ai fini dell'applicazione della tipologia dei coefficiente previsto in tema di imposta di registro, rilevando l'alternativa secca fra atto traslativo e atto avente natura patrimoniale.
Orbene, il conflitto anzidetto sembra potere giustificare il rinvio della decisione della causa alle Sezioni Unite, non discutendosi di un mero contrasto interno alla sezione tributaria»
(Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza interlocutoria 15.09.2020 n. 19152 -
commento tratto da https://camerainsubria.blogspot.com).
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Quale inquadramento giuridico per la cessione di cubatura? La parola alle Sezioni Unite.
Con l’ordinanza interlocutoria 15.09.2020 n. 19152, la Sesta sezione tributaria ha rimesso alle Sezioni Unite Civili la risoluzione della questione relativa al corretto inquadrameno giuridico dell’atto di cessione di cubatura che si collega alla circolazione dei diritti edificatori. In particolare, il criterio di tassazione è direttamente collegato a tale inquadramento, da cui dipendono ulteriori ricadute fiscali delle sopravvenienze di carattere urbanistico successive alla cessione.
La cessione di cubatura si realizza con l’intervento dell’ente pubblico mediante la licenza, non solo verso i terzi, ma anche fra le parti. Prima del rilascio della concessione dal Comune, sussiste esclusivamente un vincolo obbligatorio tra i proprietari, che hanno pattuito la cessione della cubatura, ma non un asservimento di un fondo a favore di un altro. Prima di tale momento, la rinuncia ad utilizzare per sé la cubatura mancante al cessionario rappresenta un impegno preliminare del proprietario cedente.
Tuttavia il Collegio ha ritenuto utile investire le Sezioni unite della Corte sull’inquadramento giuridico dell’atto di cessione di cubatura che si collega alla circolazione dei “diritti edificatori” soprattutto a seguito del lungo dibattuta avutosi sia in dottrina che in giurisprudenza.
Un primo orientamento sostiene che la cessione di cubatura poiché assoggettabile ad imposta di registro è da qualificare come contratto ad effetti reali.
Un secondo, e consistente, indirizzo giurisprudenziale si è invece espresso nel senso di attribuire alla cessione di cubatura un atto avente natura obbligatoria. Un terzo orientamento qualifica altresì l’atto di cessione come negozio assimilabile a quello di natura reale, in forza di una utilitas della cessione di cubatura assimilabile a quella di un fondo servente.
Un ultimo indirizzo vorrebbe attribuire una natura poliedrica all’atto di cessione di cubatura, andando di volta in volta alla ricerca della singola disciplina normativa rilevante, così superare le dispute insorte sulla sua qualificazione giuridica.
Ne consegue che, risolvere il conflitto sorto nel dibattito giurisprudenziale, rappresenta una questione di particolare importanza proprio per il fatto che qualificazione dell’atto si collega l’imposizione fiscale. Parimenti necessaria risulterà la verifica delle ricadute a fini fiscali delle sopravvenienze di carattere urbanistico successive alla cessione
(commento tratto da www.pausania.it).
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1. Inquadramento normativo
Il Collegio ritiene utile investire le Sezioni unite della Corte sulla questione, a lungo dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza, circa il corretto inquadramento giuridico dell'atto di cessione di cubatura che si collega alla circolazione dei "diritti edificatori".
Nel caso all'esame di questa Corte il tema viene in rilievo con riferimento alla determinazione dell'ammontare dell'imposta di registro in relazione ad un atto di cessione di cubatura risalente al giugno 2009. Orbene, in via preliminare occorre inquadrare il tema nella cornice normativa di riferimento, considerando le recenti novelle civilistiche e tributarie.
Orbene, giova rammentare che l'art. 1, Tariffa Parte I del D.P.R. n. 131/1986, rubricato atti soggetti a registro in termine fisso, stabilisce che "gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi sono soggetti alla aliquota fissa" -pari all'8%-. Diversamente, ai sensi dell'art. 9, Parte 1, Allegato I del citato decreto, gli atti aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale sono assoggettati al pagamento dell'imposta dovuta con applicazione dell'aliquota del 3%.
Si rammenta, inoltre, che l'art. 5 , comma 3, del D.L. 13.05.2011, n. 70, come convertito, con modificazioni, dalla L. 12.07.2011, n. 106 -entrato in vigore in epoca successiva all'atto di cessione di cubatura per cui è causa- ha inserito nel codice civile, all'art. 2643, il numero 2-bis, a norma del quale si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione "i contratti che trasferiscono, costituiscono e modificano i diritti edificatori, comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale".
Ciò posto, giova ricordare, per una più chiara comprensione della vicenda, che con la cessione di cubatura consiste in un accordo tra proprietari di aree contigue comunque dotate del requisito della reciproca prossimità -Cons. Stato n. 139/1994, Cons. Stato, 26/1993, Cass. n. 914/1962- aventi la medesima destinazione urbanistica, in forza del quale il proprietario di un'area edificabile non sfrutta per sé la cubatura realizzabile sul proprio terreno, al fine di consentire all'altro di disporre di una volumetria maggiore di quella espressa dal terreno dì sua proprietà.
In altri termini, con la cessione di cubatura il proprietario del fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura concessagli dal piano regolatore e, formando un diritto a sé stante, lo trasferisce definitivamente all'acquirente, a beneficio del fondo di costui.
Pur nella consapevolezza della attuale difficoltà di individuare una precisa qualificazione giuridica dell'istituto della cessione di cubatura si tratta di intesa negoziale che vede inizialmente coinvolti i soggetti proprietari dell'area di decollo e di quella di atterraggio ai quali il diritto edificatorio perviene dopo la fase del volo, usando così una terminologia assai in voga quando si discute del tema, più ampio rispetto a quello che qui rileva, del trasferimento di diritti edificatori sulla base di nuove modalità procedimentali della p.a..
2. Giurisprudenza favorevole all'inquadramento della cessione di cubatura quale contratto ad effetti reali.
L'indirizzo che muove dalla riconducibilità dell'atto di cessione di cubatura ad un contratto ad effetti reali si rinviene in quelle pronunzie che riconoscono che la "cessione di cubatura" (non definibile altrimenti che quale facoltà inerente al diritto di proprietà e, in quanto tale, avente sicure caratteristiche di realità), è assoggettabile ad imposta di registro (giacché, in base alla relativa disciplina, è suscettibile d'imposizione ogni atto di trasferimento di diritti reali immobiliari, inclusa la rinunzia agli stessi) -Cass., n. 10979/2007-.
Analogamente, Cass. n. 7417/2003, dopo avere ricordato che giurisprudenza e dottrina concordano sul fatto che la cubatura è una facoltà che inerisce al diritto dì proprietà, avente dunque caratteristiche di diritto reale immobiliare, affermava che la giurisprudenza di questa Corte ha affrontato il problema della natura giuridica del cd. "atto di asservimento" con cui viene trasferita la cubatura, prevalentemente sul piano fiscale, riscontrando l'assimilabilità del trasferimento, ai fini dell'imposta di registro e dell'IVA ad un negozio traslativo di diritti reali immobiliari, omettendo tuttavia di inquadrare la natura di tale diritto nell'ambito dei diritti reali tipici (Cass., nn. 2235/1972; 641/1973; 802/1973; 1231/1974; 250/1975; 3416/1975; 2017/1975; 6807/1988), dando atto che, talvolta, tale atto era stato qualificato come servitù (atipica), in quanto, attributiva di un vantaggio che inerisce ai terreni come qualitas fundi (Cass. n. 2743/1973), ovvero come semplice limitazione legale al diritto di proprietà (Cass. n. 3334/1976) o come rinuncia abdicativa notificata al Comune (Cass. n. 9081/1998), ovvero ancora assimilandola al diritto di superficie atipico (Cass., 01.06.1953 n. 1655).
3. La giurisprudenza della Cassazione sulla natura meramente obbligatoria dell'atto di cessione di cubatura.
Un consistente indirizzo giurisprudenziale si è invece espresso nel senso di ritenere la natura obbligatoria dell'atto dì cessione di cubatura.
Inizialmente, Cass., n. 4245/1981 ebbe a ritenere che l'atto negoziale privato diretto alla costituzione di una servitù o dì altro vincolo giuridico fra le parti, quando, per realizzare il rapporto area-volume prescritto dalla legislazione urbanistica, sia indispensabile stimare la proprietà di un terzo al servizio del costruendo edificio -variamente definito come servitus non aedificandi, obligatio propter rem, contratto a favore dì terzo (il Comune), rinuncia abdícativa, rinuncia traslativa -Cass., 06.07.1972, n. 2235 e Cass, 25.10.1973, 2743- assume unicamente il rilievo di un impegno del proprietario cedente a prestarsi presso la p.a. alla rinuncia a utilizzare per sé la cubatura mancante al "cessionario", con effetto preliminare all'essenziale momento costitutivo rappresentato dall'intervento dell'ente pubblico con l'emissione della licenza.
La c.d. "cessione di cubatura" si realizza con tale provvedimento non solo verso i terzi, ma anche fra le parti. Analogamente, Cass. n. 6807/1988, nel ritenere che rispetto all'atto di cessione anzidetto "sussiste soltanto un vincolo obbligatorio tra i proprietari, che hanno pattuito la cessione della cubatura, e non un asservimento attuale di un fondo a favore di un altro" affermò che la cessione di volumetria produce effetti simili a quelli dei trasferimenti dei diritti reali immobiliari.
Cass. n. 1352/1996 ha nel medesimo senso ritenuto che l'accordo di cessione di cubatura non necessita (a differenza quindi del trasferimento dei diritti reali tipici) di atto negoziale, avendo efficacia solo obbligatoria fra i sottoscrittori, mentre il trasferimento di cubatura fra le parti e nei confronti dei terzi, è determinato esclusivamente dal provvedimento concessorío, discrezionale e non vincolato, che a seguito della rinuncia alla volumetria manifestata al Comune dal cedente in adesione al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato in favore di quest'ultimo dall'Ente pubblico (conf. Cass., n. 6087/1988).
Secondo questo indirizzo il c.d. trasferimento di cubatura ha dunque un'efficacia soltanto obbligatoria tra i suoi sottoscrittori giacché sul piano pubblicistico a rilevare è la rinuncia, all'utilizzazione della volumetria, che il cedente, aderente al progetto edilizio presentato dal cessionario, abbia manifestato al Comune. Infatti, a determinare il trasferimento di cubatura tra le parti e nei confronti dei terzi, è esclusivamente il provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia, può essere emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario.
Tale tesi, accolta da questa Corte con la sentenza n. 4245/1981, è stata confermata anche da Cass. n. 6807/1988 secondo cui, prima del rilascio della concessione comunale, "sussiste soltanto un vincolo obbligatorio tra i proprietari, che hanno pattuito la cessione della cubatura, e non un asservimento attuale di un fondo a favore di un altro".
Analogamente, Cass., n. 9081/1998, richiamando Cass., 29.06.1981, n. 4245 e Cass. 22.02.1996, n. 1352, ha riconosciuto che quando, per realizzare il rapporto area-volume prescritto dalla legislazione urbanistica, sia indispensabile destinare la proprietà dì un terzo al servizio del costruendo edificio, non è necessario un atto negoziale privato, diretto alla costituzione di una servitù o di altro vincolo giuridico tra le parti, poiché la "cessione di cubatura" si realizza in virtù del solo provvedimento amministrativo di concessione edilizia, che ha effetto verso i terzi e tra le partì.
Più recentemente, Cass., n. 24948/2018 ha dato continuità a detto orientamento affermando che la c.d. cessione di cubatura presuppone il perfezionamento di un accordo con il quale una parte (il proprietario cedente) si impegna a prestare il proprio consenso affinché la cubatura (o una parte di essa) che gli compete in base agli strumenti urbanistici venga attribuita dalla P.A. al proprietario del fondo vicino (cessionario), compreso nella stessa zona urbanistica, così consentendogli dì chiedere ed ottenere una concessione per la costruzione di un immobile di volume maggiore di quello cui avrebbe avuto altrimenti diritto (Cass. n. 20623 del 2009; Cass. n. 12631 del 2016, in motiv.).
Il trasferimento di cubatura tra le parti e nei confronti dei terzi consegue, tuttavia, esclusivamente al provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia all'utilizzazione della volumetria manifestata al Comune dal cedente, aderendo al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario (Cass. n. 1352 del 1996, in motiv.; Cass. n. 20623 del 2009 in motiv.). Tale accordo, quindi, ha un'efficacia meramente obbligatoria tra i suoi sottoscrittori e non è, quindi, configurabile come un contratto traslativo (e, tanto meno, costitutivo) di un diritto reale opponibile ai terzi.
4. L'atto di cessione di cubatura come negozio "assimilabile" a quello di natura reale.
Una prospettiva comunque favorevole alla qualificazione della cessione di cubatura come assimilabile a quella dei negozi traslativi si rinviene in alcuni risalenti precedenti di questa Corte e sembra -peraltro- direttamente collegata all'esistenza di un quadro normativo -R.D. 30.12.1923, n. 3269- diverso da quello vigente all'atto della conclusione dell'accordo di cessione dì cubatura per il quale pende il presente giudizio.
Ed invero Cass., n. 2235/1972, muovendo dall'idea che i diritti reali, i quali sono suscettibili di possesso giuridico tecnico (Cass. 11.06.1943 n. 1448), soggiacciono al principio del "numerus clusus" e devono, dunque, essere sussumibili nei paradigmi legislativi, che compongono tale "numerus" (Cass. 22.10.1959 n. 3035), ha aggiunto che la classificazione, prevista dall'art. 813 c.c., può essere derogata da norme speciali, e, comunque, per l'art. 8 R.D. 30.12.1923, n. 3269, l'analogia di efficacia di un atto rende applicabile l'aliquota tariffaria, indipendentemente dalla esatta sussunzione, dell'atto medesimo, in uno dei paradigmi legislativi, che classificano i diritti reali immobiliari.
Irrilevante sarebbe, dunque, ai fini di applicabilità del tributo, la difficoltà di qualificare come servitù, in base ad una "utilitas" fornita da fondo servente (Cass. 27.01.1962, n. 153) con carattere di permanenza, un rapporto che si sostanzia in una facoltà di costruire, da esercitarsi "una tantum", o di riscontrare una ipotesi di diritto di superficie, in relazione all'art. 952 c.c., in un diritto di costruzione che non grava su cosa altrui (Cass., 01.06.1953 n. 1655). 
Di certo, si è in presenza di una rinuncia a costruire, che trova causa in un corrispettivo, e, dunque, assume il carattere, indubbio, di una cessione di diritto, con efficacia traslativa, non automatica, ma volontaria, a favore di un soggetto prescelto, il quale paga un corrispettivo non irrilevante, onde la cessione è a titolo oneroso, e produce, nel cessionario, una facoltà di edificare, con effetti "erga omnes", analoghi agli effetti dei trasferimenti dì diritti reali, onde prende vigore il rinvio dell'art. 8 della legge all'aliquota tariffaria dell'art. 1, prevista per tali trasferimenti di diritti reali.
Cass. n. 802/1973 ha parlato della cessione di cubatura come di un atto che, richiamando Cass., n. 2235/1972, sarebbe assimilabile al trasferimento di un diritto reale immobiliare. Sull'idea dell'assimilabilità si era, d'altra parte, posizionata anche Cass., n. 1231/1974, ritenendo che l'atto di cd. trasferimento dì "cubatura" produce effetti analoghi a quelli propri del trasferimento di diritti reali immobiliari, considerati dall'art. 1 della tariffa allegata alla legge di registro: (Cass. 06.07.1972 n. 2235; 09.03.1973 n. 641), concludendo nel senso che "tale trasferimento di cubatura si assimila, negli effetti, ai fini della legge di registro (art. 8) al trasferimento di un diritto reale immobiliare."
Quest'idea fa quindi da sfondo all'affermazione che l'atto di cessione di cubatura debba essere, ai fini fiscali, assimilato all'atto traslativo. In questa stessa direzione, Cass. n. 250/1975 ritenne che "attraverso il consenso del Comune si verifica, per volontà dei privasti contraenti, il trasferimento di una delle facoltà, in cui si estrinseca la proprietà, e cioè, quella di costruire, onde il cessionario della cubatura può costruire, sul suo fondo, nei maggiori limiti consentiti dalla cessione e vendere a terzi, le costruzioni, con innegabile efficacia erga omnes del trasferimento, il quale viene, in tal modo, permanentemente ad inerire sull'area edificabile di proprietà del cessionario. Gli effetti reali dell'oggetto della cessione, che viene ad accrescere la facoltà di edificare, spettante al proprietario cui la cubatura è ceduta, con efficacia erga omnes, sono analoghi a quelli dei trasferimenti a titolo oneroso, di diritti reali immobiliari, previsti dall'art. 1 della Tariffa, onde per l'art. 8 della legge organica di registro, vanno assoggettati all'aliquota ivi prevista. Dispone, infatti, il citato art. 8 che un atto, il quale produce effetti previsti dall'art. 4 della stessa legge - N.d.R. R.D. n. 3269/1923, relativo alla da tempo abrogata normativa sull'imposta di registro - (trasmissioni di diritti reali, o obbligazioni di somme o prestazioni, o dichiarazione o attribuzione di valori o diritti, o efficacia di titolo o di documentazione legale) e che non si trovi, nominalmente, indicato nella Tariffa, soggiace alla tassa che la Tariffa prevede per l'atto col quale, per la sua natura e per i suoi effetti, ha maggiore analogia."
Analogamente, Cass., n. 2017/1975, in linea di continuità con Cass. n. 2235/1972 e Cass., n. 802/1973, considerò la cessione di cubatura come atto con effetti analoghi a quelli propri dei trasferimenti di diritti reali immobiliari, nei limiti che saranno indicati. Si sostenne così che il trasferimento di cubatura rimuove un ostacolo che si oppone alla autorizzazione a costruire al di là di quanto sarebbe possibile col rispetto della "media" stabilita per la zona: a chi abbia acquistato la "cubatura" il comune potrà, discrezionalmente, concedere la licenza di costruire fino al limite raggiungibile con l'addizione delle media suddetta della "cubatura", medesima. Di questa può essere alienante lo stesso comune, come si è detto, la "media" è fissata con riguardo anche alle aree riservate ai pubblici servizi.
5. La natura poliedrica dell'atto di cessione di cubatura.
Si riscontra, poi, nella giurisprudenza di questa Corte in materia tributaria, un ulteriore indirizzo che tenta di superare le dispute dottrinarie e giurisprudenziali insorte sulla qualificazione giuridica dell'atto di cessione di cubatura, andando alla ricerca della singola disciplina normativa rilevante ed al modo con il quale essa prende in considerazione detto atto.
Tale prospettiva sembra emergere in Cass., n. 7417/2003, allorché si ritenne che le diversità di opinioni in ordine alla natura dell'atto di cessione di cubatura (assimilabilità al diritto di superficie, teoria della servítus inaedificandi o altius non tollendi, negozio meramente obbligatorio) non era ricavabile una definizione certa in ordine alla natura giuridica del diritto dì cubatura, se non quella che si tratta di facoltà inerente al diritto di proprietà, come tale avente sicure caratteristiche dì realità.
Se ne concludeva, così, che "da tale definizione minima, non può evidentemente discendere un unico risultato utilizzabile a fini fiscali, dovendosi piuttosto far riferimento alle diverse normative riguardanti i singoli tributi, per stabilire se e in che misura la definizione stessa trovi in esse riscontro a fini impositivi. Mentre infatti la tassabilità a fini di registro è insita in ogni atto di trasferimento di diritti reali immobiliari, inclusa la rinuncia agli stessi, l'imposta relativa all'incremento di valore è applicabile soltanto ad atti costitutivi di alcuni diritti immobiliari tipici, senza che si possano, in base alla lettera della legge, creare "assimilazioni" o "analogie" con figure giuridiche ivi non tipizzate."
Tale indirizzo sembra, in definitiva, valorizzare il singolo comparto nel quale l'atto di cessione di cubatura debba produrre determinati effetti.
6. La necessità di investire le Sezioni unite civili della questione di massima di particolare importanza.
Il negozio di cessione di cubatura costituisce la prima formula nella quale comincia ad ammettersi la possibilità di cessione dei diritti di natura edificatoria dai quali deriva, in favore dell'acquirente, un credito edilizio, ormai rappresentando soltanto una species rispetto al più ampio genus «diritti edificatori comunque denominati», al cui interno si intravedono figure giuridiche profondamente diverse, alcune delle quali saranno peraltro all'esame delle Sezioni Unite di questa Corte in ragione dell'ordinanza interlocutoria n. 26016/2019 e che qui, tuttavia, non vengono in diretto rilievo.
Ora, focalizzando la questione attorno alle ricadute fiscali correlate alla natura del negozio di cessione di cubatura che qui viene in rilievo, v'è da dire che l'adesione ad una piuttosto che ad altra teoria in ordine alla natura della cessione di cubatura (teoria del diritto di superficie, della "rinunzia" abdicativa o traslativa, o della servitù non aedificandi o altius non tollendi) renderebbe applicabili i criteri ordinari di tassazione con aliquota dell'8% dell'imposta di registro di cui all'art. 1, parte prima, allegato "A" del d.P.R. n. 131 del 1986 già sopra ricordati. Per converso, qualificando la fattispecie quale negozio ad effetti meramente obbligatori, si dovrebbe giungere alla conclusione di applicare l'art. 9 della tariffa stessa (che assoggetta ad aliquota del 3% gli atti diversi da quelli altrove indicati nella tariffa aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale).
Orbene, la diversità di indirizzi giurisprudenziali dei quali si è dato conto sembrano dunque giustificare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla questione di massima di particolare importanza, ex art. 374, comma 2, c.p.c., relativa alla qualificazione giuridica dell'atto dì cessione di cubatura ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, apparendo altresì necessario indagare sui possibili effetti e sulla natura giuridica del diniego di autorizzazione da parte dell'amministrazione comunale rispetto all'eventuale imposizione fiscale applicata sul presupposto della qualificazione dell'atto di cessione come negozio immediatamente traslativo del diritto edfficatorio. Parimenti necessaria risulterà la verifica delle ricedute ai finì fiscali delle sopravvenienze di carattere urbanistico successive alla cessione.
Non sembra, d'altra parte, al Collegio possibile operare una reductio ad unum dell'indirizzo espresso dalla sezione quinta civile con i risultati interpretativi stratificati presso la seconda sezione civile, ravvisandosi tra gli orientamenti dei quali si è dato conto un'antologica inconciliabilità che riverbera i propri effetti ai fini dell'applicazione della tipologia dei coefficiente previsto in tema di imposta di registro, rilevando l'alternativa secca fra atto traslativo e atto avente natura patrimoniale.
Orbene, il conflitto anzidetto sembra potere giustificare il rinvio della decisione della causa alle Sezioni Unite, non discutendosi di un mero contrasto interno alla sezione tributaria. La causa va pertanto rimessa all'esame del Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c. affinché valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte rimette la causa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili (Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza interlocutoria 15.09.2020 n. 19152).

EDILIZIA PRIVATA: Cessione di cubatura – Requisiti – Omogeneità della destinazione urbanistica e vicinanza – Interpretazione del concetto di vicinanza – Concretezza e dinamicità.
La giurisprudenza della Cassazione ha in più occasioni segnalato il rischio che l’indiscriminato ricorso allo strumento della cessione di cubatura determini “una situazione di “affollamento edilizio” in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (dove sono situati i terreni cedenti”, con evidente pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici)”.
Al fine di risolvere la predetta criticità, la medesima giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto che la cessione debba avvenire tra suoli che, oltre ad avere la medesima destinazione urbanistica, risultino “quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità”, inteso quale elemento strutturale minimo della cessione di cubatura, che deve necessariamente sussistere, ed essere in concreto riscontrato, per consentire l’accorpamento dei suoli, senza stravolgere l’assetto del territorio concepito dagli strumenti della pianificazione urbanistica.
La predetta soluzione non trova dirimenti argomenti a contrario nella sentenza del Consiglio di Stato richiamata da parte ricorrente, che invero non si preoccupa di esaurire ogni aspetto dell’istituto, ma si limita a rilevare che la cessione di cubatura deve operare tra fondi “aventi natura e destinazione omogenei” e che non è necessario che i suoli siano tra loro immediatamente confinanti, che è cosa diversa dall’affermare –in positivo– che si possa prescindere dal requisito della “vicinanza”, dal momento che affermare che i suoli non debbano essere necessariamente confinanti non significa escludere che tra gli stessi suoli debba sussistere un rapporto di “reciproca prossimità” nei termini indicati dalla giurisprudenza della Cassazione.
Della predetta specifica questione si occupa invece, in modo approfondito e puntuale, la più recente giurisprudenza della Consiglio di Stato, che sul punto ha ritenuto che “in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi … la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell'area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa. In questo senso, deve essere condivisa la statuizione del giudice di prime cure secondo cui l'insistenza dei fondi nella stessa zona omogenea non determina di per sé, come contrariamente sostenuto da parte appellante, l'automatica integrazione del requisito in questione. È quindi essenziale, per utilizzare efficacemente il passaggio di volumetria, la concreta dimostrazione -che nel caso di specie non è sussistente- della dipendenza dei fondi dalle medesime strutture di urbanizzazione e la non alterazione del carico urbanistico per effetto del trasferimento. Sotto il primo profilo, come rilevato in primo grado, è infatti rilevante la circostanza che i fondi in questione si trovino all'interno di un Comune di piccole dimensioni e che, pur insistendo nella medesima zona omogenea B2, siano posti ad una distanza di 154 m. fra loro, che di per sé non garantisce la loro dipendenza dalle medesime strutture”.
In buona sostanza, secondo il predetto orientamento -che merita di essere recepito in quanto fedele alla ratio dell’istituto ed attento alle relative implicazioni pratiche- al requisito della omogeneità della destinazione urbanistica deve accompagnarsi l’ulteriore requisito della “vicinanza” tra i suoli, che deve essere opportunamente declinato, non già in senso rigido ed astratto, ma ad un livello più concreto e dinamico, tenuto conto delle caratteristiche morfologiche dell’area interessata dall’intervento, delle sue dimensioni e delle relative esigenze urbanistiche, al precipuo scopo di addivenire alla verifica della “dipendenza dei fondi dalle medesime strutture di urbanizzazione” ed all’accertamento della “non alterazione del carico urbanistico per effetto del trasferimento”.
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6.2. E’ invece fondata la doglianza che si appunta sulla carenza della motivazione e sulla intrinseca contraddittorietà delle direttrici argomentative del provvedimento di diniego.
6.2.1. E’ pacifico che le NTA del PRG non pongano alcun limite all’accorpamento dei suoli siti all’interno del “territorio comunale” ai fini dell’utilizzo della relativa cubatura, salvo riferire la relativa facoltà alle sole aziende agricole.
Tuttavia il fatto che la norma in questione non contenga espresse prescrizioni limitative non esclude che la cessione di cubatura debba operare nel rispetto delle linee fondamentali che regolano l’equilibrato sviluppo del territorio e in conformità alla ratio sottesa all’istituto.
Al riguardo, la giurisprudenza della Cassazione ha in più occasioni segnalato il rischio che l’indiscriminato ricorso allo strumento della cessione di cubatura determini “una situazione di “affollamento edilizio” in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (dove sono situati i terreni cedenti”, con evidente pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici)” (Cass. Penale, Sez. IV, 26.04.2016 n. 51536; da ultimo Cass. Penale, Sez. III, 13.11.2019 n. 5695).
Al fine di risolvere la predetta criticità, la medesima giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto che la cessione debba avvenire tra suoli che, oltre ad avere la medesima destinazione urbanistica, risultino “quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità”, inteso quale elemento strutturale minimo della cessione di cubatura, che deve necessariamente sussistere, ed essere in concreto riscontrato, per consentire l’accorpamento dei suoli, senza stravolgere l’assetto del territorio concepito dagli strumenti della pianificazione urbanistica.
6.2.2. La predetta soluzione non trova dirimenti argomenti a contrario nella sentenza del Consiglio di Stato richiamata da parte ricorrente, che invero non si preoccupa di esaurire ogni aspetto dell’istituto, ma si limita a rilevare che la cessione di cubatura deve operare tra fondi “aventi natura e destinazione omogenei” e che non è necessario che i suoli siano tra loro immediatamente confinanti, che è cosa diversa dall’affermare –in positivo– che si possa prescindere dal requisito della “vicinanza”, dal momento che affermare che i suoli non debbano essere necessariamente confinanti non significa escludere che tra gli stessi suoli debba sussistere un rapporto di “reciproca prossimità” nei termini indicati dalla giurisprudenza della Cassazione.
6.2.3. Della predetta specifica questione si occupa invece, in modo approfondito e puntuale, la più recente giurisprudenza della Consiglio di Stato, che sul punto ha ritenuto che “in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi … la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell'area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa. In questo senso, deve essere condivisa la statuizione del giudice di prime cure secondo cui l'insistenza dei fondi nella stessa zona omogenea non determina di per sé, come contrariamente sostenuto da parte appellante, l'automatica integrazione del requisito in questione. È quindi essenziale, per utilizzare efficacemente il passaggio di volumetria, la concreta dimostrazione -che nel caso di specie non è sussistente- della dipendenza dei fondi dalle medesime strutture di urbanizzazione e la non alterazione del carico urbanistico per effetto del trasferimento. Sotto il primo profilo, come rilevato in primo grado, è infatti rilevante la circostanza che i fondi in questione si trovino all'interno di un Comune di piccole dimensioni e che, pur insistendo nella medesima zona omogenea B2, siano posti ad una distanza di 154 m. fra loro, che di per sé non garantisce la loro dipendenza dalle medesime strutture” (Sez. II, 22.01.2020 n. 544).
In buona sostanza, secondo il predetto orientamento -che merita di essere recepito in quanto fedele alla ratio dell’istituto ed attento alle relative implicazioni pratiche- al requisito della omogeneità della destinazione urbanistica deve accompagnarsi l’ulteriore requisito della “vicinanza” tra i suoli, che deve essere opportunamente declinato, non già in senso rigido ed astratto, ma ad un livello più concreto e dinamico, tenuto conto delle caratteristiche morfologiche dell’area interessata dall’intervento, delle sue dimensioni e delle relative esigenze urbanistiche, al precipuo scopo di addivenire alla verifica della “dipendenza dei fondi dalle medesime strutture di urbanizzazione” ed all’accertamento della “non alterazione del carico urbanistico per effetto del trasferimento”.
6.2.4. Tale essendo l’oggetto dell’indagine richiesta in sede istruttoria, viene da sé che il provvedimento impugnato risulta contraddittorio e lacunoso nella parte in cui, prendendo le mosse dalla richiamata prescrizione delle NTA del PRG (che non reca limiti espressi per la cessione di cubatura), giunge a denegare il titolo edilizio per il sol fatto che tra i fondi non è riscontrabile un rapporto di “effettiva e significativa” vicinanza, in tal modo appiattendosi sul dato spaziale, laddove avrebbe dovuto svolgere, nei termini innanzi indicati, una verifica puntuale e circostanziata in ordine alle effettive esigenze urbanistiche del territorio in cui è destinato ad essere realizzato l’intervento edilizio.
Sotto tale profilo il ricorso merito di essere accolto con l’annullamento del provvedimento impugnato (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 28.05.2020 n. 566 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla cessione di cubatura da un fondo all'altro.
Il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza circa la necessaria verifica del presupposto della prossimità tra i fondi ai fini di ritenere la legittimità, sul piano urbanistico e paesaggistico, della cd. cessione di cubatura tra diversi terreni edificabili onde realizzare su uno di questi un edificio di volumetria maggiore rispetto a ciò che sarebbe consentito in base all'indice di fabbricabilità, cumulando la cubatura che potrebbero esprimere gli altri fondi e che viene appunto fatta oggetto di cessione.

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Ci si pone il problema di verificare quando la cessione di cubatura possa dirsi legittima.
Al riguardo, occorre richiamare, in particolare, le argomentazioni svolte in recenti decisioni nelle quali si è affermato il principio secondo cui integra il reato previsto dall'art. 44 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 la realizzazione di un immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica.
Le argomentazioni esposte nelle motivazioni di queste decisioni, condivise dal Collegio, sono state peraltro riproposte in numerose altre sentenze.
In dette sentenze si è chiarito che la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata anche dalla giurisprudenza amministrativa, in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è tuttavia soggetto a determinate condizioni, una delle quali è costituita dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
A titolo di esempio, le citate decisioni ricordano come si potrebbe verificare, laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubatura" fra terreni fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di "affollamento edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situati i terreni cedenti), con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Pur essendo spesso stata detta ratio decidendi associata all'ulteriore rilievo -ritenuto parimenti ostativo ad una legittima cessione di cubatura- dell'essere i terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi, si è ritenuto che anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità non può essere esclusa la illegalità dell'operazione effettuata.
Va infatti richiamata l'attenzione sul significativo dato fattuale, più volte correttamente valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa, dell'assenza del necessario requisito della "contiguità" dei fondi, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza.
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2. Venendo al merito delle questioni proposte, le doglianze concernenti l'affermazione di responsabilità in ordine alle residue contravvenzioni e la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di falso ideologico -che ha fondato la dichiarazione di falsità del permesso di costruire- sono fondate con particolare riguardo alla principale ratio decidendi che informa la sentenza impugnata, non potendo tout court affermarsi, senza una compiuta disamina della situazione di specie nei termini di cui infra si dirà, che una distanza di 667 metri tra i fondi accorpati non li renda prossimi ai fini della valutazione sulla legittimità dell'accorpamento e che, comunque, consenta con certezza di affermare la sussistenza dell'elemento soggettivo, con particolare riguardo al dolo richiesto per l'integrazione del reato di falso ideologico.
2.1. Va premesso che il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza circa la necessaria verifica del presupposto della prossimità tra i fondi ai fini di ritenere la legittimità, sul piano urbanistico e paesaggistico, della cd. cessione di cubatura tra diversi terreni edificabili onde realizzare su uno di questi un edificio di volumetria maggiore rispetto a ciò che sarebbe consentito in base all'indice di fabbricabilità, cumulando la cubatura che potrebbero esprimere gli altri fondi e che viene appunto fatta oggetto di cessione.
Occorre in primo luogo precisare che la sentenza impugnata, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto, conclude per la non applicabilità della l.reg. 56/1980, pur fatta oggetto di contestata violazione in imputazione, e nessuno degli imputati di ciò si duole.
Questa Corte, di fatti, ha da tempo chiarito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta regionale della Puglia n. 1748 del 15.12.2000, il Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il paesaggio (PUTT/P), si è verificata, una volta entrato in vigore quest'ultimo, la clausola risolutiva espressa dell'efficacia della predetta disposizione legislativa (così, Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, dep. 2015, Manzo e aa., Rv. 262512; Sez. 3, 18/03/2017, n. 35166, non massimata; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa., Rv. 271770).
2.2. Ciò posto, al di là dell'inapplicabilità della citata legge regionale, la sentenza impugnata si è correttamente posta il problema di verificare, alla luce dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, quando la cessione di cubatura possa dirsi legittima.
Occorre richiamare, in particolare, le argomentazioni svolte nelle recenti decisioni Sez. 3, n. 38838 del 09/07/2018, Baracetti e a., non massimata, Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna, non massimata, Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, Rv. 274673, nelle quali si è affermato il principio secondo cui integra il reato previsto dall'art. 44 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 la realizzazione di un immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica.
Le argomentazioni esposte nelle motivazioni di queste decisioni, condivise dal Collegio, sono state peraltro riproposte in numerose altre sentenze (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 39248 del 12/07/2018, Chiarillo e a.; Sez. 3, n. 51831 del 03/10/2018, Morciano e a.; Sez. 3, n. 51832 del 03/10/2018: Sez. 3, n. 54706 del 13/11/2018, Bonerba e a.).
2.3. In dette sentenze si è chiarito che la cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata anche dalla giurisprudenza amministrativa (per tutte si richiama C. St., Sezione V, 28.06.2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è tuttavia soggetto a determinate condizioni, una delle quali -rilevante anche nella vicenda esaminata- è costituita dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
A titolo di esempio, le citate decisioni ricordano come si potrebbe verificare, laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubatura" fra terreni fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di "affollamento edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situati i terreni cedenti), con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Pur essendo spesso stata detta ratio decidendi associata all'ulteriore rilievo -ritenuto parimenti ostativo ad una legittima cessione di cubatura- dell'essere i terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 35166 del 28/03/2017, Nespoli e aa., non massimata; Sez. 3, n. 30040 del 30/01/2018, Strambone, non massimata; Sez. 3, n. 30025 del 04/12/2017, dep. 2018, Scrudato, non massimata; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa., Rv. 271770; Sez. 3, n. 56085 del 18/10/2017, Melcarne, non massimata; Sez. 3, n. 52605 del 04/10/2017, Renna, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, non massimata), si è ritenuto che anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità non può essere esclusa la illegalità dell'operazione effettuata (Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna; Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 51833 del 03/10/2018, Sangalli e aa.).
Va infatti richiamata l'attenzione sul significativo dato fattuale, più volte correttamente valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa, dell'assenza del necessario requisito della "contiguità" dei fondi, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez. V, n. 6734, 30.10.2003; C. St., Sez. V, n. 400, 01.04.1998; più recentemente, TAR Campania-Salerno, Sez. H n. 1675 del 19/07/2016).
Tali principi, come detto, sono stati richiamati anche da questa Corte nelle numerose decisioni più sopra citate.
2.4. Nel caso di specie, peraltro, erano certamente questi i principi di diritto che si dovevano applicare, poiché i titoli autorizzatori sono stati rilasciati il 06.12.2010, vale a dire prima dell'approvazione del d.l. 13.05.2001, n. 70, conv., con modiff., in l. 12.07.2001, n. 106.
Anche a prescindere dal fatto che tale provvedimento non ha in alcun modo disciplinato le condizioni di legittimità della cessione di cubatura tra fondi -limitandosi l'art. 5, comma 1, lett. c), della citata legge alla «tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura"»- le contestazioni mosse sul punto dal ricorrente Ri. e i problemi di rispetto del principio di legalità posti in quel ricorso non sono neppure astrattamente fondati, proprio perché posti con riguardo ad una legge sopravvenuta che è inapplicabile rispetto a provvedimenti amministrativi regolati dal principio tempus regit actum.
In allora certamente mancava una disciplina che consentisse di edificare su un fondo una volumetria maggiore di quella dallo stesso esprimibile, sicché non può certo dirsi praeter legem l'interpretazione -che discende in modo piano dall'applicazione del consolidati principi generali- secondo cui provvedimenti autorizzatori rilasciati per l'edificazione di una volumetria non consentita non siano legittimi (donde la sussistenza delle contravvenzioni) e, nel caso in cui se ne affermi la compatibilità con la disciplina normativa, sussista anche il reato di falso ideologico. Per contro, è la mancata riconduzione delle condotte al fatto tipico che si fonda su un'interpretazione che dà rilievo all'istituto, conosciuto dalla prassi, della cessione di cubatura.
Ma, se così è -e, a prescindere dal rilievo che possa riconoscersi all'art. 5, d.l. n. 70/2011, certamente così era prima della sua approvazione, allorquando furono adottati i provvedimenti qui esaminati- non ci si può certo dolere del fatto che l'area di irrilevanza penale sia segnata dall'individuazione dei requisiti che, secondo la suddetta prassi, legittimavano una condotta apparentemente contra legem (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 25.05.2020 n. 15767).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l'asservimento della volumetria da un lotto ad un altro, finalizzato a lucrare maggiore capacità edificatoria, è consentito solo con riferimento ad aree omogenee, oltre che contigue (ossia collocate in rapporto di effettiva e significativa vicinanza), ossia con riferimento ad aree aventi la medesima destinazione urbanistica, posto che, diversamente, verrebbero ad alterarsi le caratteristiche tipologiche di zona tutelate dalle norme urbanistiche (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 04.05.1979, n. 302, ove, dopo essersi avvertito che la cessione di cubatura ha la funzione di concentrare su un'area, oltre alla volumetria propria di essa, anche quella spettante ad aree diverse appartenenti allo stesso o ad altri proprietari, già si chiariva che una simile possibilità è data solo nel rispetto delle norme disciplinanti l'attività edilizia sull'area a favore della quale viene operato l'asservimento, e trova un limite insuperabile nell'omogeneità dell'area da asservire rispetto a quella destinata all'edificazione, onde prevenire l'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico) e potrebbe determinarsi, nella zona in cui viene aggiunta cubatura, un superamento della densità edilizia massima consentita dalla pianificazione.
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4.1. In argomento, giova, in primis, ricordare che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso anche da questa Sezione, l'asservimento della volumetria da un lotto ad un altro, finalizzato a lucrare maggiore capacità edificatoria, è consentito solo con riferimento ad aree omogenee, oltre che contigue (ossia collocate in rapporto di effettiva e significativa vicinanza: cfr. Cons. Stato, sez. V 01.04.1998, n. 400; 30.10.2003, n. 6734; TAR Campania, Salerno, sez. II, 19.07.2016, n. 1675), ossia con riferimento ad aree aventi la medesima destinazione urbanistica, posto che, diversamente, verrebbero ad alterarsi le caratteristiche tipologiche di zona tutelate dalle norme urbanistiche (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 04.05.1979, n. 302, ove, dopo essersi avvertito che la cessione di cubatura ha la funzione di concentrare su un'area, oltre alla volumetria propria di essa, anche quella spettante ad aree diverse appartenenti allo stesso o ad altri proprietari, già si chiariva che una simile possibilità è data solo nel rispetto delle norme disciplinanti l'attività edilizia sull'area a favore della quale viene operato l'asservimento, e trova un limite insuperabile nell'omogeneità dell'area da asservire rispetto a quella destinata all'edificazione, onde prevenire l'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico; cfr., in senso adesivo, Cons. Stato sez. V, 11.04.1991, n. 530; 03.03.2003, n. 1172; 10.06.2005, n. 3052; 22.10.2007, n. 5496; sez. IV, 30.09.2008, n. 4708; sez. V, 19.04.2013, n. 2220; TAR Campania, Salerno, sez. II, 19.07.2016, n. 1675; sez. I, 18.07.2019, n. 1319) e potrebbe determinarsi, nella zona in cui viene aggiunta cubatura, un superamento della densità edilizia massima consentita dalla pianificazione (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 01.06.2018, n. 1254) (TAR Campania-Salerno, Sez, II, sentenza 10.04.2020 n. 413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura.
In sintesi, queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea; contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici; identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
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Ciò porta ad esaminare il secondo motivo con il quale la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. dell’art. 5, punto 1), lett. c), del D.L. 13/05/2011 n. 70, che consente “il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale, la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse”, principio ripreso testualmente dall’art. 22 della L.R. 10/8/2016 n. 16.
Anche tale censura è infondata.
La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura: “In sintesi, queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea; contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici; identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi" (Cons. Stato Sez. II, 22/01/2020, n. 544; v. altresì C.G.A., 08/04/2019, n. 314; TAR Sicilia Palermo Sez. III, 01.06.2018, n. 1254).
Nel caso di specie difetta la necessaria contiguità dei fondi richiesta dalla sopra citata giurisprudenza atteso che, come rilevato dal Comune di Agrigento, i fondi in questione ricadono su diversi fogli catastali, non sono vicini o adiacenti e distano più di tre chilometri dal lotto oggetto di intervento (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 31.03.2020 n. 690 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura.
In sintesi, queste attengono a:
   - ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea;
   - contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici (nel senso, cioè, che gli immobili devono essere ubicati della medesima zona e devono avere la medesima destinazione);
   - identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura;
   - non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
In particolare, secondo tale giurisprudenza, la contiguità va intesa come effettiva e significativa vicinanza in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico.
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Rileva il Collegio che la giurisprudenza amministrativa (sul punto, cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 08.04.2019, n. 314, TAR Campania, Salerno, Sez. II, 19.07.2016, n. 1675 e Sez. I, 27.10.2015, n. 2260) ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura. In sintesi, queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea; contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici (nel senso, cioè, che gli immobili devono essere ubicati della medesima zona e devono avere la medesima destinazione); identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
In particolare, secondo tale giurisprudenza, la contiguità va intesa come effettiva e significativa vicinanza (sul punto, cfr. anche Consiglio di Stato, V, n. 1525/2004), in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico.
Nel caso di specie, pur considerando che il requisito della contiguità o “significativa vicinanza”, ha natura flessibile, come affermato dal Comune resistente, e che lo stesso non implica necessariamente che gli immobili siano confinanti, tuttavia è evidente che una distanza di più di 8 km tra i fondi di cui si discute, nonché la loro ubicazione in contrade diverse, censite in mappali diversi, non sembra integrare il requisito predetto, e ciò a prescindere dal fatto che entrambi i terreni si trovino in zona agricola.
Né può trovare condivisione l’affermazione del Comune per cui la nuova costruzione non determinerebbe alcun aumento del carico urbanistico, affermazione basata, come già rappresentato, sull’appartenenza dei terreni alla stessa zona omogenea nonché sulle caratteristiche dell’attività del canile, insuscettibile di incrementare il numero di abitanti insediati.
Contrariamente infatti a quanto affermato dal Comune, la non alterazione del carico urbanistico per effetto del trasferimento di volumetria è smentita, nel caso in esame, dall’esame delle caratteristiche dell’intervento edilizio -come descritto nella relazione tecnica dell’Ing. No.- che comporta una concentrazione di volume nelle medesime particelle, ed è dotato di una propria autonomia sia strutturale che funzionale, tali da comportare un’evidente alterazione dell’assetto urbanistico-edilizio del territorio.
Il progetto prevede la realizzazione di un corpo uffici di 367 mq con altezza di 3 metri, dove collocare un ambulatorio veterinario ed un ufficio amministrativo, e in più n. 34 box totali per i cani; non si tratta, ad avviso del Collegio, di pochi o dimensionalmente ridotti manufatti, bensì di una edificazione tale da determinare un significativo carico urbanistico, a nulla rilevando che l’edificio non abbia natura residenziale e venendo piuttosto in rilievo che le dimensioni del canile, nonché la presenza di uffici e ambulatorio veterinario comporterà l’impiego di personale dipendente stabilmente presente, oltre ad attrarre la clientela, di tal che l’intervento in questione non può non comportare trasformazione del territorio sotto il profilo del carico insediativo.
Alla luce delle considerazioni espresse, il ricorso merita dunque accoglimento, con assorbimento delle censure non esaminate e conseguente annullamento della concessione impugnata (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 24.03.2020 n. 724 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura.
In sintesi, queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea; contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici; identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
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La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la contiguità deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza, che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano tra loro confinanti.
Ciò significa che in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
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La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura.
In sintesi, queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea; contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici; identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
Nel caso di specie il Tar, rilevato che il trasferimento di volumetria è ammissibile, in mancanza di altri criteri, mediante l’applicazione del criterio della “significativa vicinanza”, ha ribadito che esso ha natura flessibile, dipendendo strettamente dalle dimensioni del territorio comunale, delle singoli circoscrizioni o quartieri nonché dalla distanza esistente tra le opere di urbanizzazione previste dallo strumento urbanistico.
La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la contiguità deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza (cfr. Cons St, sez. V, n. 1525/2004), che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano tra loro confinanti. Ciò significa che in concreto non è possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
In questo senso, deve essere condivisa la statuizione del giudice di prime cure secondo cui l’insistenza dei fondi nella stessa zona omogenea non determina di per sé, come contrariamente sostenuto da parte appellante, l’automatica integrazione del requisito in questione. E’ quindi essenziale, per utilizzare efficacemente il passaggio di volumetria, la concreta dimostrazione -che nel caso di specie non è sussistente- della dipendenza dei fondi dalle medesime strutture di urbanizzazione e la non alterazione del carico urbanistico per effetto del trasferimento.
Sotto il primo profilo, come rilevato in primo grado, è infatti rilevante la circostanza che i fondi in questione si trovino all’interno di un Comune di piccole dimensioni e che, pur insistendo nella medesima zona omogenea B2, siano posti ad una distanza di 154 m. fra loro, che di per sé non garantisce la loro dipendenza dalle medesime strutture. Sul punto parte appellante si è limitata a ribadire la collocazione della volumetria nella stessa zona omogenea peraltro già completamente edificata e densamente abitata.
Quanto al secondo profilo, relativo al carico urbanistico, appare sufficientemente motivato il provvedimento di diniego fondato sul presupposto che la concessione del trasferimento di volumetria avrebbe comportato una concentrazione di volume nella medesima zona che già in sede di redazione del PRG aveva dimostrato un deficit di aree destinate a standard comportando una forte congestione della stessa. Legittimamente, quindi, il comune ha ritenuto che i fondi su cui avrebbe dovuto avvenire la cessione di cubatura, fossero né contigui né “significativamente vicini” (oltre a non utilizzare le stesse strutture-standards) essendo rimasto poi in punto di fatto incontestato che tra i due fondi insistesse un raggio di più di 75.000 metri (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 22.01.2020 n. 544 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore intervenuti.
Al riguardo, risulta irrilevante la mancanza di un formale atto di asservimento del precedente fabbricato.

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Considerato che:
   - con il ricorso in esame la società istante ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe –di cui ha chiesto l’annullamento, vinte le spese– con il quale il Comune di Agrigento ha respinto l’istanza di permesso di costruire presentata dalla predetta per la costruzione di un complesso commerciale polivalente, in via ..., in Agrigento, nel lotto individuato in catasto al foglio 165, particella 1318 del C.T.;
   - ha dedotto avverso tale atto le censure di:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 8, T.U. 06.06.2001 n. 380 e dell’art. 20, comma 3, della legge n. 241 del 1990;
2) Violazione degli artt. 17, 3° comma, e 18 della Legge n. 765/1967 (c.d. Legge Ponte, che ha integrato l’art. 41-quinques legge n. 1150/1942) – Violazione degli artt. 1, 5 e 7 del D.M. 02/04/1968 n. 1444 – Violazione e falsa applicazione delle norme Tecniche di Attuazione (N.T.A.) del vigente PRG di Agrigento - Falsa applicazione del principio giurisprudenziale sancito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2215/2019 – Difetto di motivazione;
   - con lo stesso mezzo ha chiesto il risarcimento del danno asseritamente subito a causa dell’illegittimità del provvedimento negativo, nonché per il ritardo nell’adozione del provvedimento finale;
   - si è costituito in giudizio il Comune di Agrigento, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato; con replica di parte ricorrente;
   - alla camera di consiglio del giorno 13.01.2020, presenti i difensori delle parti come da verbale, il Presidente del Collegio ha dato avviso della possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata; la difesa di parte ricorrente ha insistito per l’accoglimento dell’istanza istruttoria e la causa è stata posta in decisione;
...
Ritenuto che il ricorso non è fondato;
...
   - con riguardo al secondo motivo, la motivazione del rigetto si pone in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui “…un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore intervenuti (v. Cons. Stato, Sez. III, parere 28.04.2009, n. 965/2009; Cons. Stato, IV, 29.01.2008, n. 255; Cons. Stato, Sez. V, 12.07.2004, n. 5039);…” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 26.01.2018, n. 545; nello stesso senso: Cons. Stato, VI, 03.04.2019, n. 2215; IV, 07.08.2017, n. 3949; 22.05.2012, n. 2941, che ritiene irrilevante la mancanza di un formale atto di asservimento del precedente fabbricato; Adunanza Plenaria n. 3/2009, citata da Consiglio di Stato n. 545/2018);
   - nel caso in esame, dalla documentazione in atti si evince che nell’area contraddistinta oggi come particella 1318 (foglio 165) –derivante dal frazionamento dell’originaria particella 29, lotto unico al momento della costruzione dell’albergo realizzatovi- è stato realizzato un parcheggio a servizio dell’albergo (v. licenza di costruzione n. 1029, in atti), per il quale, del resto, la ricorrente ha chiesto l’autorizzazione allo spostamento di tale vincolo all’interno della particella 29 (quale oggi risultante dal frazionamento successivo); e in tale area, nella quale è presente un cancello con strada interna che conduce all’albergo, vi insiste un boschetto e una piscina aperta al pubblico (v. osservazioni presentate dalla ricorrente al Comune; v. anche provvedimento impugnato);
   - il lotto originario è stato, pertanto, unitariamente utilizzato, con conseguente irrilevanza del successivo frazionamento del lotto; e non è contestato che, in base ai parametri edilizi vigenti, il volume della struttura esistente (l’albergo) non consentirebbe la realizzazione del volume dell’immobile oggetto dell’istanza (complesso commerciale polivalente);
   - la domanda di annullamento deve, pertanto, essere respinta (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 17.01.2020 n. 133 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura. Le suddette condizioni in sintesi attengono a:
   - ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea;
   - contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici cioè ubicati della medesima zona e aventi la medesima destinazione residenziale;
   - identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura;
   - non alterazione del carico urbanistico della zona, e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
La contiguità viene intesa come una effettiva e significativa vicinanza, che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano confinanti. La contiguità va intesa in senso giuridico piuttosto che fisico.
Nel concorso di tutte le altre sopra dette condizioni, non è di per sé causa ostativa della cessione di cubatura la sola mancanza di contiguità fisica dei fondi e la circostanza che tra essi si frappongano altri lotti (nel caso deciso dalla citata sentenza Cons. St. n. 1398/2016, i fondi sono stati ritenuti contigui per gli effetti urbanistici, sebbene posti ad distanza di 140 metri tra di loro con frapposti altri quattro lotti).
A tale giurisprudenza il Collegio ritiene di aderire, ritenendo non convincente l’opposta tesi che valuta solo l’assenza di contiguità svincolata dagli altri elementi suddetti (così Cons. St., VI, 14.04.2016 n. 1515, riferita peraltro a un caso in cui vi era una distanza di 300 metri tra i due fondi), o che ritiene ostativa l’assenza di contiguità quando una specifica norma del regolamento edilizio richieda che i fondi siano confinanti al fine dell’asservimento.

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... per la riforma della sentenza 26.03.2015 n. 885 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), resa tra le parti.
...
5. Con il primo motivo dell’appello si critica la sentenza gravata perché avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti che considerano i due fondi contigui al fine della cessione di cubatura.
5.1. Il mezzo è infondato.
La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura. Le suddette condizioni in sintesi attengono a:
   - ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea;
   - contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici cioè ubicati della medesima zona e aventi la medesima destinazione residenziale;
   - identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura;
   - non alterazione del carico urbanistico della zona, e immutata densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi (Cons. St., VI, 08.04.2016 n. 1398; v. inoltre Cons. St., VI, 21.11.2016 n. 4861).
La contiguità viene intesa come una effettiva e significativa vicinanza (Cons. St., V, 23.03.2004 n. 1525), che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili siano confinanti. La contiguità va intesa in senso giuridico piuttosto che fisico.
Nel concorso di tutte le altre sopra dette condizioni, non è di per sé causa ostativa della cessione di cubatura la sola mancanza di contiguità fisica dei fondi e la circostanza che tra essi si frappongano altri lotti (nel caso deciso dalla citata sentenza Cons. St. n. 1398/2016, i fondi sono stati ritenuti contigui per gli effetti urbanistici, sebbene posti ad distanza di 140 metri tra di loro con frapposti altri quattro lotti).
A tale giurisprudenza il Collegio ritiene di aderire, ritenendo non convincente l’opposta tesi che valuta solo l’assenza di contiguità svincolata dagli altri elementi suddetti (così Cons. St., VI, 14.04.2016 n. 1515, riferita peraltro a un caso in cui vi era una distanza di 300 metri tra i due fondi), o che ritiene ostativa l’assenza di contiguità quando una specifica norma del regolamento edilizio richieda che i fondi siano confinanti al fine dell’asservimento (così Cons. St., V, 20.08.2013 n. 4195).
5.2. Nel caso di specie il Tar ha accertato la sussistenza delle condizioni sopra richiamate e si è collocato, con la sua decisione, sulla scia della sopra citata e qui condivisa giurisprudenza del Consiglio di Stato con l’ulteriore sottolineatura che i fondi in qui in esame distano l’uno dall’altro 128 mt.
Il primo motivo della appello è quindi infondato (CGARS, sentenza non definitiva 08.04.2019 n. 314 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATALa cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale, in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Tale meccanismo, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, è soggetto a determinate condizioni, delle quali le principali, rilevanti nella vicenda esaminata, sono costituite:
   a) dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità;
   b) dall'essere i medesimi caratterizzati sia dalla omogeneità urbanistica, avere, cioè, tutti la stessa destinazione e lo stesso indice di fabbricabilità originano, perché altrimenti, in assenza di dette condizioni, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente del tutto legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, confliggenti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.

A titolo di esempio,
si potrebbe verificare, laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubature" fra terreni fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di "affollamento edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situate i terreni cedenti), con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici; pregiudizio ancora più manifesto ove fosse consentita la "cessione di cubatura" fra terreni aventi diversa destinazione urbanistica ovvero diverso indice di edificabilità; essendo, infatti, evidente che ove fosse consentito l'asservimento di un terreno avente un indice di fabbricabilità più vantaggioso di quello proprio del terreno asservente, ovvero avente una diversa destinazione, le esigenze di pianificazione urbanistica che avevano presieduto alla scelta amministrativa di differenziare gli indici di edificabilità dei due fondi, ovvero la loro stessa destinazione, rimarrebbero inevitabilmente insoddisfatte.
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In merito alla cessione di cubatura da un lotto all'altro, va
richiamata l'attenzione sul significativo dato fattuale, più volte correttamente valorizzato dai giudici del merito, dell'assenza del necessario requisito della "contiguità" dei fondi, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza.
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Nel valutare il motivo di impugnazione avente ad oggetto la corretta applicabilità alla fattispecie della cessione di cubatura, la sentenza richiamata ha ricordato che essa è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale (per tutte si richiama Consiglio di Stato, Sezione V, 28.06.2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Specifica però la sentenza che tale meccanismo, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, è soggetto a determinate condizioni, delle quali le principali, rilevanti nella vicenda esaminata, sono costituite:
   a) dall'essere i terreni in questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità;
   b) dall'essere i medesimi caratterizzati sia dalla omogeneità urbanistica, avere, cioè, tutti la stessa destinazione e lo stesso indice di fabbricabilità originano, perché altrimenti, in assenza di dette condizioni, attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente del tutto legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, confliggenti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
A titolo di esempio, la sentenza ricorda come si potrebbe verificare, laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubature" fra terreni fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di "affollamento edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situate i terreni cedenti), con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici; pregiudizio ancora più manifesto ove fosse consentita la "cessione di cubatura" fra terreni aventi diversa destinazione urbanistica ovvero diverso indice di edificabilità; essendo, infatti, evidente che ove fosse consentito l'asservimento di un terreno avente un indice di fabbricabilità più vantaggioso di quello proprio del terreno asservente, ovvero avente una diversa destinazione, le esigenze di pianificazione urbanistica che avevano presieduto alla scelta amministrativa di differenziare gli indici di edificabilità dei due fondi, ovvero la loro stessa destinazione, rimarrebbero inevitabilmente insoddisfatte.
Venendo poi all'esame del caso di specie, la sentenza 8635/2015 rileva come terreni utilizzati in quell'occasione non fossero tra loro adiacenti e, sebbene tutti tipizzati come agricoli, presentassero indici di fabbricabilità fra loro difformi, per essere quelli cedenti classificati nello strumento urbanistico locale come E2 e forniti di un indice di fabbricabilità 0,03 mc/mq, mentre quelli cessionari erano, invece, classificati come E3 e caratterizzati dal minore indice 0,01 mc/mq, con la conseguenza che attraverso l'asservimento dei primi ai secondi si era ottenuto l'effetto di violare il rapporto di edificabilità proprio di questi ultimi, con palese compromissione delle finalità urbanistiche che siffatta previsione perseguiva.
Il Collegio rilevava quindi la illegittimità della cessione di cubatura fra terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi e l'abusività dell'utilizzo di tale strumento negoziale, in quanto grossolanamente volto alla elusione dei principi e delle regole in materia di pianificazione edilizia, abusività ritenuta poi ridondante in senso negativo sia sulla legittimità dei permessi a costruire in tal modo rilasciati dal Comune di Morciano di Leuca che sulla efficacia delle autorizzazioni paesaggistiche richiamate nell'articolato capo di imputazione.
Tali argomentazioni sono state ribadite, negli stessi termini, in una successiva pronuncia (Sez. 3, n. 35166 del 28/03/2017, Nespoli ed altri, non massimata), riguardante terreni che, sebbene tutti classificati come agricoli, presentavano indici di fabbricabilità fra loro difformi, essendo stati quelli cedenti, in quanto tipizzati nello strumento urbanistico locale come E2, forniti di un indice di fabbricabilità 0,03 mc./mq. e quelli cessionari, tipizzati come E3, caratterizzati, invece, dal minore indice 0,01 mc./mq. (si vedano anche, sullo stesso tema e relativamente a vicende analoghe, Sez. 3, n. 30040 del 30/01/2018, Strambone, non massimata; Sez. 3, n. 30025 del 04/12/2017 (dep. 2018), Scrudato, non massimata; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017 (dep. 2018), Siciliano e altri, Rv. 271770; Sez. 3, n. 56085 del 18/10/2017, Melcarne, non massimata; Sez. 3, n. 52605 del 04/10/2017, Renna, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi , non massimata).
La sentenza 35166/2017, nel ribadire l'orientamento espresso con la sentenza 8635/2014, ha anche evidenziato che a ciò non osta una precedente pronuncia di questa Sezione (Sez. 3, n. 28225 del 03/05/2011, Panada, Rv. 262512, non massimata sul punto), la quale ha, in realtà, unicamente escluso la rilevanza degli strumenti urbanistici comunali che, nella sentenza impugnata, la Corte di appello richiama nel sostenere la tesi della vigenza dell'art. 51 legge regionale 56/1980.
Anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola E2 ed avente il medesimo indice di fabbricabilità non può essere esclusa la illegalità dell'operazione effettuata.
Va infatti richiamata l'attenzione sul significativo dato fattuale, più volte correttamente valorizzato dai giudici del merito, dell'assenza del necessario requisito della "contiguità" dei fondi, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così Cons. Stato Sez. V n. 6734, 30.10.2003; Sez. V n. 400, 01.04.1998 e, più recentemente, TAR Campania (Salerno) Sez. H n. 1675 del 19/07/2016).
Tali principi sono stati richiamati anche da questa Corte (Sez. 3; n. 33884 del 12/07/2006, Ferrara, Rv. 235054; Sez. 3, n. 10122 del 22/01/2013, Scrudato, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, non massimata) anche con specifico riferimento alla vicenda in esame (Sez. 3, n. 9881 del 08/02/2018, Costantini ed altri, non massimata) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.11.2018 n. 51833).

EDILIZIA PRIVATA: La legittimità della cessione di cubatura richiede non solo l’omogeneità d’area territoriale, ma anche la contiguità dei fondi, e che, se la giurisprudenza ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad aree anche se non contigue sul piano fisico, purché vicine in modo significativo, in concreto essa ha chiarito che deve ritenersi significativa già una distanza tra loro di oltre 300 metri, derivandone la non idoneità e, in definitiva, l’irrilevanza dell’atto di asservimento.
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Con un unico complesso motivo di censura la società ricorrente sostiene:
   - quanto al primo punto, di aver asservito all'area interessata, per sanare l'incremento di volumetria realizzato, fondi limitrofi con l’identica destinazione urbanistica G3 generando una superficie utile edificabile di mq. 14.554 (per effetto dall'intervenuto asservimento alle p.lle n. 2900, n. 2902 e n. 475 delle particelle n. 2042, n. 2044, n. 2050 e n. 2051, per una superficie edificatoria totale rideterminata in mq. 14.754, cui sottrarre mq 200 previsti per viabilità di progetto); a questo riguardo, l’assenza di contiguità fisica non ne impedirebbe l'accorpamento urbanistico, non essendo richiesta la diretta ed immediata vicinanza, ma l'appartenenza alla medesima zona omogenea, così come definita dalla disciplina urbanistica vigente.
   - quanto al secondo punto, di non aver affatto chiesto di sanare un cambio di destinazione d'uso mai attuato (posto che dagli atti di vendita risulterebbe che gli immobili sono stati alienati con la destinazione originaria impressa dal permesso di costruire, cioè residence), ma solo di sanare, grazie all’accorpamento urbanistico, l'incremento di volumetria determinatosi in fase costruttiva.
Il ricorso non merita accoglimento.
La società ricorrente non contesta la circostanza di fatto che i fondi asserviti distano tra loro qualche chilometro, ma ne sostiene l’irrilevanza opinando sufficiente che tra gli stessi vi sia omogeneità di destinazione urbanistica.
In senso contrario, però, va osservato che per condiviso indirizzo interpretativo la legittimità della cessione di cubatura richiede non solo l’omogeneità d’area territoriale, ma anche la contiguità dei fondi, e che, se la giurisprudenza ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad aree anche se non contigue sul piano fisico, purché vicine in modo significativo, in concreto essa ha chiarito che deve ritenersi significativa già una distanza tra loro di oltre 300 metri, derivandone la non idoneità e, in definitiva, l’irrilevanza dell’atto di asservimento (cfr. C.d.S., sez. VI, 14.04.2016, n. 1515).
Applicando tali principi al caso in esame, dunque, è dirimente che i fondi asserviti, pur situati nello stesso contesto territoriale, sono distanti tra loro qualche chilometro e, pertanto, privi del requisito della contiguità (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 03.10.2018 n. 5737 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer condiviso indirizzo interpretativo la legittimità della cessione di cubatura richiede non solo l’omogeneità d’area territoriale, ma anche la contiguità dei fondi.
Se la giurisprudenza ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad aree anche se non contigue sul piano fisico, purché vicine in modo significativo, in concreto essa ha chiarito che deve ritenersi significativa già una distanza tra loro di oltre 300 metri, derivandone la non idoneità e, in definitiva, l’irrilevanza dell’atto di asservimento.

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Il diniego del permesso di costruire in sanatoria è stato giustificato col contrasto dell’intervento con le norme tecniche di attuazione del vigente piano regolatore generale, per le seguenti motivazioni: «al P.d.C. vengono accorpati al fine di raggiungere la cubatura necessari[a] lotti non contigui ma distanti qualche chilometro, pertanto neanche ragionevolmente vicini al fondo oggetto di edificazione. Inoltre la variante non sana in alcun modo il cambio di destinazione d’uso rilevata. Pertanto permangono e aumenti considerevoli di volumetria e superficie in contrasto con l’art. 32, comma 1, lett. b e c, del DPR 380/2001 smi, essendo stati gli immobili alienati come civile abitazione in contrasto con la zona omogenea G3, in contrasto con la lett. a, comma 1, dell’art. 32 citato».
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Il ricorso non merita accoglimento.
La società ricorrente non contesta la circostanza di fatto che i fondi asserviti distano tra loro qualche chilometro, ma ne sostiene l’irrilevanza opinando sufficiente che tra gli stessi vi sia omogeneità di destinazione urbanistica.
In senso contrario, però, va osservato che per condiviso indirizzo interpretativo la legittimità della cessione di cubatura richiede non solo l’omogeneità d’area territoriale, ma anche la contiguità dei fondi, e che, se la giurisprudenza ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad aree anche se non contigue sul piano fisico, purché vicine in modo significativo, in concreto essa ha chiarito che deve ritenersi significativa già una distanza tra loro di oltre 300 metri, derivandone la non idoneità e, in definitiva, l’irrilevanza dell’atto di asservimento (cfr. C.d.S., sez. VI, 14.04.2016, n. 1515).
Applicando tali principi al caso in esame, dunque, è dirimente che i fondi asserviti, pur situati nello stesso contesto territoriale, sono distanti tra loro qualche chilometro e, pertanto, privi del requisito della contiguità.
Tanto basta al rigetto del ricorso, poiché quando una determinazione amministrativa si fonda su una pluralità di ragioni ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, come avviene nel caso in esame, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso sfugga all'annullamento (ex multis, cfr. C.d.S., Sez. V, 06.03.2013, n. 1373; sez. VI, 27.02.2012, n. 1081 sez. VI, 29.03.2011, n. 1897).
Ciò, infatti, comporta la carenza d’interesse della parte ricorrente all'esame delle ulteriori doglianze, posto che, se anche si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe, comunque, idoneo a soddisfare il suo interesse ad ottenere l'annullamento del provvedimento impugnato (cfr. TAR Campania Napoli, sez. II, 05.05.2017, n. 2421).
Per queste ragioni, in conclusione, il ricorso deve essere respinto (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 02.10.2018 n. 5737 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il lotto edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non contigui), individuandosi esclusivamente sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica.
Solo con il rilascio della concessione edilizia il lotto edificabile viene ad essere concretamente delimitato, con definizione delle potenzialità edificatorie del fondo, unitariamente considerato, e determinazione della cubatura ivi assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica.
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B.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
La giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.09.2013 n. 4531) ha affermato che “il lotto edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non contigui), individuandosi esclusivamente sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica. Solo con il rilascio della concessione edilizia il lotto edificabile viene ad essere concretamente delimitato, con definizione delle potenzialità edificatorie del fondo, unitariamente considerato, e determinazione della cubatura ivi assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica”.
Inoltre la L.R. 12/2005 ha favorito il passaggio da una urbanistica del piano ad una urbanistica del progetto, per cui molte norme attribuiscono ai piani attuativi l’individuazione dei lotti (art. 27 e 93 L.R. 12/2005). A ciò si aggiunge che l’art. 10 della legge regionale attribuisce al Piano delle regole solo l’individuazione dei lotti liberi (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.09.2018 n. 2163 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello per cui “un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni”.
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata, l’intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l’effetto che anche l’area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall’area su cui insiste il manufatto”.
In altri termini, “
un’area edificatoria, già utilizzata a fini edilizi, è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisce la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa”.
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10.3. Le argomentazioni poste a sostegno del diniego sono totalmente condivisibili.
10.4. Ed invero, costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello per cui “un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni” (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 3573 del 20.07.2017).
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata, l’intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l’effetto che anche l’area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall’area su cui insiste il manufatto” (Cons. Stato, sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n. 1402).
10.5. In altri termini, “un’area edificatoria, già utilizzata a fini edilizi, è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisce la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa” (Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4647) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 30.08.2018 n. 9091 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà.
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della volumetria assentibile su una determinata area secondo l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche la costruzione realizzata prima della legge 17.08.1942, n. 1150, quando lo ius aedificandi era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di circostanza ininfluente in sede di commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area e che individua il volume massimo consentito su di essa. Ciò comporta la necessità di tener conto del dato reale costituito dagli immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante.
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata con riguardo al lotto originario. Con la conseguenza che è irrilevante la mancanza di un formale atto di asservimento del precedente fabbricato, atteso che quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell’area discende ope legis dalla sua utilizzazione, senza la necessità di apposito strumento negoziale.
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Va distinto l'indice di densità territoriale, (riferibile a ciascuna zona omogenea dello strumento di pianificazione, che definendo il complessivo carico di edificazione che può gravare su ciascuna zona stessa è rapportato all’intera superficie della zona, ivi compresi gli spazi pubblici, quelli destinati alla viabilità, ecc.) dall'indice di densità fondiaria (riferibile alla singola area, che definendo il volume massimo edificabile sulla stessa, implica che il relativo indice sia rapportato all’effettiva superficie suscettibile di edificazione).
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10. Con il quinto motivo di appello, riproducendo sostanzialmente il terzo motivo di ricorso proposto dinanzi al Tar, si mira a sostenere la legittimità del permesso di costruire annullato e, quindi, la mancanza del presupposto base dell’autotutela.
10.1. Da un lato si sostiene l’illegittima considerazione, ai fini del computo della volumetria, di quanto costruito sulla part. 24 (originaria costruzione antecedente al 1942, poi ampliata con concessione del 1983 e del 1997), per essere antecedente al 1942 e, inoltre, per la mancanza di asservimento o di vincolo pertinenziale tra questa e le particelle coinvolte nella richiesta di permesso (nn. 25 -poi frazionata in nn. 1281, 1282 e 1283- e n. 350).
10.2. Dall’altro, si lamenta l’omessa considerazione di altre particelle di proprietà della signora Di Pu. e, per sostenere la compatibilità della volumetria richiesta per il nuovo permesso con il costruito, si esclude la computabilità della edificazione precedente alla concessione del 1997 e si calcola autonomamente la volumetria per annessi agricoli mediante l’utilizzo dell’indice 0,07, previsto per gli opifici.
11. Le censure sono prive di fondamento e vanno rigettate.
11.1. In punto di fatto va chiarito che la part. 24, dove negli anni è stata realizzata una costruzione e annessi per una volumetria di mc 797,71, fa parte dell’originaria particella 25, costituente un unico fondo in capo dapprima ad An.Al., poi frazionato già in epoca antecedente al 1950, ed ulteriormente frazionato in epoca successiva, e che della stessa particella originaria n. 25 fanno parte quelle (1281, 1282 e 1283) rilevanti per il permesso chiesto; inoltre, va chiarito che la part. 350, risultante dal frazionamento della originaria part. 23, confina con la originaria part. 25, poi frazionata.
In definitiva, dalle mappe catastali emerge uno stato dei luoghi tale che delle originarie particelle 23 e 25, confinanti ed appartenenti a proprietari diversi, il frazionamento della 25, comprensiva della 24 con insediamento costruttivo antecedente al 1942, ha determinato il sorgere di più costruzioni sulla stessa.
Indiscutibile è, quindi, il dato reale costituito dall’unitarietà dell’area, considerata nella fattispecie in riferimento alla titolarità delle particelle n. 24 e nn. 1281, 1282 e 1283, senza che possa essere determinante qualunque altra particella nella titolarità della stessa istante, essendo stata la volumetria assentibile già consumata da quanto costruito sulla part. 24.
11.2. In diritto, deve preliminarmente escludersi ogni rilievo ad un calcolo autonomo della volumetria per gli annessi agricoli realizzati sulla base della concessione del 1997 sulla particella n. 24, atteso che l’appellante non offre alcuna giustificazione alla tesi dell’utilizzo dell’indice 0,07, che il PdF prevede espressamente solo per gli opifici.
11.3. Come detto, la questione centrale posta in diritto si articola in due profili (§ 10.1.) strettamente connessi.
Il primo mette in discussione la computabilità volumetrica di costruzioni preesistenti al 1942, in regime di ius aedificandi quale pura estrinsecazione del diritto di proprietà, e, comunque poi legittimamente ampliate con successive concessioni.
Il secondo, evidentemente subordinato, presuppone tale computabilità, ma la lega all’esistenza di un atto di asservimento, all’esistenza di un vincolo pertinenziale tra il fondo costruito e quello costruendo.
Ad entrambe le questione va data risposta negativa sulla base della giurisprudenza consolidata di questo Consiglio.
11.3.1. L’area alla quale si riferisce la concessione edilizia richiesta dalla parte privata, prima concessa e poi negata dall’amministrazione, deriva per successivi frazionamenti da due lotti originari confinanti, e su parte di essa (part. 24) è stata costruita una abitazione e degli annessi agricoli. Si controverte sul rilievo che, ai fini del rilascio del titolo edilizio, debba riconoscersi al volume relativo all’opera già edificata.
11.3.2. Il Giudice amministrativo ha più volte avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, n. 2941 del 2012) che, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12.07.2004, n. 5039; id., Sez. III, 28.04.2009, n. 965).
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21.09.2009, n. 5637).
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della volumetria assentibile su una determinata area secondo l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche la costruzione realizzata prima della legge 17.08.1942, n. 1150, quando lo ius aedificandi era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di circostanza ininfluente in sede di commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area e che individua il volume massimo consentito su di essa. Ciò comporta la necessità di tener conto del dato reale costituito dagli immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante (Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2009, n. 3).
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata con riguardo al lotto originario. Con la conseguenza che è irrilevante la mancanza di un formale atto di asservimento del precedente fabbricato, atteso che quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell’area discende ope legis dalla sua utilizzazione, senza la necessità di apposito strumento negoziale (Cons. Stato, n. 1525 del 2004).
11.3.3. Deve aggiungersi che per smentire queste conclusioni non vale la distinzione che l’appellante sembra fare tra indice di densità territoriale, (riferibile a ciascuna zona omogenea dello strumento di pianificazione, che definendo il complessivo carico di edificazione che può gravare su ciascuna zona stessa è rapportato all’intera superficie della zona, ivi compresi gli spazi pubblici, quelli destinati alla viabilità, ecc.), e indice di densità fondiaria (riferibile alla singola area, che definendo il volume massimo edificabile sulla stessa, implica che il relativo indice sia rapportato all’effettiva superficie suscettibile di edificazione) (cfr. sul punto, tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 32 del 2013; n. 5419 del 2017).
Premesso che nella fattispecie viene in questione l’indice di densità fondiaria, comunque la distinzione non rileva rispetto ai principi suddetti che si riferiscono all’indice di fabbricabilità, del quale la densità territoriale e la densità fondiaria costituiscono declinazione a seconda dell’assetto urbanistico che conforma i territori.
11.3.4. Resta da dire che la sicura computabilità del costruito sulla particella n. 24, sulla base di quanto prima argomentato, fa venir meno ogni concreto effetto alla denunciata non considerazione di altre aree di proprietà della signora Di Puglia posto che i calcoli volumetrici prospettati dall’appellante prescindono, almeno, dalla computabilità della costruzione originaria come costruita e assentita prima della concessione del 1997.
12. In conclusione, l’appello va rigettato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.08.2018 n. 4747 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo (ed a maggior ragione, dunque, ove un qualche titolo di sanatoria poi ottenga), impegna la superficie, che in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto già parzialmente edificato occorre dunque considerare tutte le costruzioni, che comunque già insistono sull'area.

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2.2 – Il TAR ha inoltre opportunamente puntualizzato, disattendendo la tesi della società ricorrente, che nell'edificazione complessivamente realizzabile sull'area vanno computati anche i volumi e le superfici preesistenti, anche se in precedenza condonati.
Al riguardo, vanno richiamati i precedenti di questo Consiglio, secondo cui “ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo (ed a maggior ragione, dunque, ove un qualche titolo di sanatoria poi ottenga), impegna la superficie, che in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata. Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto già parzialmente edificato occorre dunque considerare tutte le costruzioni, che comunque già insistono sull'area" (Cons. St., Sez. IV, 12.05.2008, n. 2177).
Ne consegue che l’eventuale sanatoria per condono della costruzione precedente non esclude, in sede di verifica della compatibilità di qualsiasi volume successivamente progettato con la superficie disponibile in relazione all’indice di fabbricabilità fondiaria dell’area complessiva, il computo della volumetria così realizzata (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 22.05.2018 n. 3050 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Lo strumento urbanistico, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.

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3. Con la seconda censura si assume l’illegittimità del diniego di permesso di costruire, in quanto il vigente strumento urbanistico attribuirebbe all’area interessata dall’intervento edilizio, qualificata come lotto libero, un proprio indice edificatorio privo di limiti e vincoli, peraltro nemmeno risultanti da atti formali.
3.1. La doglianza è infondata.
Il compendio immobiliare cui si riferisce la richiesta di permesso di costruire della società ricorrente è stato in passato interessato da alcuni interventi edilizi che ne hanno saturato la volumetria, come sottolineato anche dalla sentenza n. 844 del 21.06.1995 di questa Sezione.
Infatti, nei primi anni sessanta veniva realizzato un edificio residenziale di sette piani, oggetto di successivi ampliamenti con varianti, e nel 1989 veniva realizzato un nuovo edificio residenziale (cfr. all. 3 e 4 del Comune); il titolo edilizio relativo a tale secondo manufatto –pratica edilizia n. 183/1989– è stato annullato in autotutela dal Comune con il provvedimento prot. n. 21246 del 06.10.1992 (all. 5 del Comune), in ragione dell’attribuzione di volumetria in misura superiore a quella ancora disponibile: con la citata sentenza n. 844 del 1995, questa Sezione ha in effetti riconosciuto l’avvenuta realizzazione sul lotto di un intervento edilizio avente una volumetria superiore a quella disponibile, in quanto una buona parte della stessa risultava essere già stata sfruttata in occasione delle pregresse attività edilizie (il titolo edilizio tuttavia è stato confermato dal Tribunale per altre ragioni, disponendosi l’annullamento dell’atto di autotutela comunale).
Il Comune ha correttamente ritenuto che, anche sulla scorta della conclusioni contenute nella citata sentenza, attualmente, il compendio non disponga di alcuna volumetria residua tale da consentire la realizzazione di quanto prospettato dalla parte ricorrente.
3.2. Non appare idonea ad infirmare la conclusione raggiunta dagli Uffici comunali la circostanza, evidenziata dalla difesa attorea, secondo cui le previsioni contenute nel P.G.T. vigente avrebbero, in ragione del loro carattere novativo, attribuito al lotto una nuova ed autonoma capacità edificatoria; difatti, secondo la più recente giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ‘lo strumento urbanistico, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili
’ (Consiglio di Stato, IV, 22.11.2017, n. 5419).
3.3. Nemmeno appare rilevante la mancanza di un formale atto di asservimento dell’area interessata dal progettato intervento edilizio ad altre aree già oggetto di passata edificazione, come richiesto dalla vigente normativa edilizia laddove ci si trovi al cospetto di lotti distinti, in quanto si tratta di un unico compendio che, solo con il passare del tempo, è stato oggetto di frazionamento; del resto, da un punto di vista edilizio, l’intero complesso, originariamente appartenente alla Im.La.Mi. S.p.a., è stato sempre considerato unitariamente (cfr. punto 6 del diritto della sentenza di questo Tribunale n. 844 del 1995).
3.4. Ciò determina il rigetto anche della predetta doglianza (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.04.2018 n. 882 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’asservimento volumetrico consiste, in termini generali e come specificato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2009, in una fattispecie negoziale atipica avente effetti obbligatori, in base ai quali un’area viene destinata a servire al computo dell'edificabilità di un altro fondo.
Invero, <<L'asservimento realizza, in definitiva, una specie particolare di relazione pertinenziale, nella quale viene posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro. Scopo dell’atto di asservimento è quello di incrementare la cubatura disponibile su un fondo, sfruttando quella concessa (e non utilizzata) ad altro fondo della medesima area, il quale viene, conseguentemente, assoggettato a vincolo di inedificabilità. L'atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria. La riconducibilità dell’asservimento a un vincolo di inedificabilità idoneo a permanere anche in caso di alienazione del fondo asservito, discende dalla natura oggettiva del vincolo. …>>.
Ciò importa che, permanendo il vincolo a tempo indeterminato, l’asservimento continua a seguire il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca successiva, ed è opponibile ai terzi e a chiunque ne sia il proprietario.
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L’istituto del c.d. asservimento del terreno per scopi edificatori (o cessione di cubatura) rientra nello schema del contratto atipico con effetti obbligatori che “senza oneri di forma pubblica o di trascrizione, è finalizzato al trasferimento di volumetria e che si perfeziona soltanto con il rilascio del necessario titolo abilitativo edilizio da parte del comune, in quanto l’effetto finale del trasferimento di cubatura avviene solo in conseguenza dell’emanazione del provvedimento amministrativo”.
Ne deriva che l’accordo “ha efficacia solo obbligatoria tra i suoi sottoscrittori, mentre il trasferimento di cubatura fra le parti e nei confronti dei terzi è determinato esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato che, a seguito della rinuncia all’utilizzazione della volumetria manifestata al comune dal cedente in adesione al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato a favore di quest’ultimo dall’ente pubblico”.
<<Occorre precisare che, in casi quale quello di specie, non occorre che vi sia stato un formale “atto di asservimento” di un suolo (della sua estensione e della sua potenzialità edificatoria) ai fini della realizzazione di un manufatto da realizzarsi su un suolo diverso, essendo invece sufficiente che il primo sia stato considerato al fine di assentire la volumetria realizzanda (di cui all’istanza di concessione edilizia), e poi concretamente realizzata. Da tale considerazione discende, innanzi tutto, che non assume alcun rilievo, ai fini della impossibilità di considerazione della medesima superficie per il rilascio di altro e successivo titolo edilizio:
   - né che vi sia stata trascrizione o altra forma di pubblicità dell’atto di asservimento ….;
   - né che eventuali certificati di destinazione urbanistica indichino detto suolo come edificabile, secondo le previsioni ed i limiti dello strumento urbanistico, poiché deve tenersi del tutto distinta la formale ed astratta destinazione urbanistica di un’area dalla concreta, intervenuta utilizzazione dell’area medesima per le finalità urbanistico-edilizie ad essa impresse (e, dunque, l’eventuale, intervenuto esaurimento delle potenzialità edilizie della medesima)>>.
Il concetto di asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria opera obiettivamente ed è opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari; esso consegue di diritto per il solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie che determina l'esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico. Si tratta di un asservimento giuridico oggettivo tipico del regime conformativo dei suoli, sicché la mancata indicazione di tale effetto nella concessione edilizia o della relativa trascrizione della stessa come di un atto di cessione (pur aventi la valenza giuridica di determinare e pubblicizzare l'asservimento) non possono contrastare l'asservimento urbanistico che si determina in ragione dell'esaurimento della volumetria disponibile, ignorato dalla concessione o dall'atto di cessione.
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La Società ricorrente censura il provvedimento comunale 18/03/2015, di rilascio del permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione del sopralzo di un sottotetto e di un balcone.
...
3. Passando all’esame del motivo di cui alla lettera c) dell’esposizione in fatto, la ricorrente deduce in via generale un difetto di istruttoria, ma al riguardo occorre rilevare che la pratica è stata istruita con l’acquisizione di elementi rilevanti (parere della Commissione per il paesaggio, verbale di assemblea condominiale, consenso dei confinanti, altro materiale documentale).
Il Collegio può a questo punto affrontare le censure puntuali.
3.1 Sulla cubatura, i controinteressati evocano la relazione allegata alla DIA in variante del 2013 (cfr. doc. 5.B ricorrente – pagina 3) dalla quale risulta che, per la realizzazione del corpo accessorio tra il balcone e la copertura (cd. “bussola”) – che contemplava un volume in ampliamento di mc. 30,12 –i sig.ri -OMISSIS- e -OMISSIS- si sono avvalsi della capacità edificatoria del mappale di loro proprietà esclusiva “confinante ad Ovest con il lotto in questione identificato al fg. 9, mappale 314, del comune di -OMISSIS-. La superficie identificata come edificabile corrisponde a mq. 200; con una capacità edificatoria pari a 1,5 mc/mq. il lotto quindi dispone di una volumetria pari a mc 300,00 …”.
Ultimato quell’intervento, essi disponevano di un volume residuo di mc. 269,88, sufficiente a compiere l’opera controversa in questa sede.
Nello specifico, i controinteressati sostengono di aver posto in essere una “cessione di cubatura” da un fondo all’altro, allo specifico fine di accrescere la potenzialità edilizia del secondo tramite l’utilizzo della volumetria del primo (coincidente con la particella limitrofa).
Detto ordine di idee merita condivisione.
3.2 Come ha chiarito il Consiglio di Stato, sez. VI – 09/02/2016 n. 547, l’asservimento consiste, in termini generali e come specificato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2009, in una fattispecie negoziale atipica avente effetti obbligatori, in base ai quali un’area viene destinata a servire al computo dell'edificabilità di un altro fondo.
Come statuito nella citata pronuncia n. 547/2016 dei giudici d’appello <<L'asservimento realizza, in definitiva, una specie particolare di relazione pertinenziale, nella quale viene posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro. Scopo dell’atto di asservimento è quello di incrementare la cubatura disponibile su un fondo, sfruttando quella concessa (e non utilizzata) ad altro fondo della medesima area, il quale viene, conseguentemente, assoggettato a vincolo di inedificabilità. L'atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria. La riconducibilità dell’asservimento a un vincolo di inedificabilità idoneo a permanere anche in caso di alienazione del fondo asservito, discende dalla natura oggettiva del vincolo. …>>.
Ciò importa che, permanendo il vincolo a tempo indeterminato, l’asservimento continua a seguire il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca successiva, ed è opponibile ai terzi e a chiunque ne sia il proprietario (Consiglio di Stato, sez. IV – 05/05/2017 n. 2064).
Ha poi puntualizzato TAR Campania Salerno, sez. I – 07/04/2016 n. 916 che l’istituto del c.d. asservimento del terreno per scopi edificatori (o cessione di cubatura) rientra nello schema del contratto atipico con effetti obbligatori che “senza oneri di forma pubblica o di trascrizione, è finalizzato al trasferimento di volumetria e che si perfeziona soltanto con il rilascio del necessario titolo abilitativo edilizio da parte del comune, in quanto l’effetto finale del trasferimento di cubatura avviene solo in conseguenza dell’emanazione del provvedimento amministrativo”.
Ne deriva che l’accordo “ha efficacia solo obbligatoria tra i suoi sottoscrittori, mentre il trasferimento di cubatura fra le parti e nei confronti dei terzi è determinato esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato che, a seguito della rinuncia all’utilizzazione della volumetria manifestata al comune dal cedente in adesione al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato a favore di quest’ultimo dall’ente pubblico”.
Come ha statuito Consiglio di Stato, sez. IV – 29/02/2016 n. 816, <<Occorre precisare che, in casi quale quello di specie, non occorre che vi sia stato un formale “atto di asservimento” di un suolo (della sua estensione e della sua potenzialità edificatoria) ai fini della realizzazione di un manufatto da realizzarsi su un suolo diverso, essendo invece sufficiente che il primo sia stato considerato al fine di assentire la volumetria realizzanda (di cui all’istanza di concessione edilizia), e poi concretamente realizzata. Da tale considerazione discende, innanzi tutto, che non assume alcun rilievo, ai fini della impossibilità di considerazione della medesima superficie per il rilascio di altro e successivo titolo edilizio:
   - né che vi sia stata trascrizione o altra forma di pubblicità dell’atto di asservimento ….;
   - né che eventuali certificati di destinazione urbanistica indichino detto suolo come edificabile, secondo le previsioni ed i limiti dello strumento urbanistico, poiché deve tenersi del tutto distinta la formale ed astratta destinazione urbanistica di un’area dalla concreta, intervenuta utilizzazione dell’area medesima per le finalità urbanistico-edilizie ad essa impresse (e, dunque, l’eventuale, intervenuto esaurimento delle potenzialità edilizie della medesima)
>>.
Nella stessa prospettiva il Consiglio di Stato, sez. IV – 05/02/2015 n. 562 ha chiarito che “il concetto di asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria opera obiettivamente ed è opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (v. Cons. di Stato, sez. V, n. 387/1998); esso consegue di diritto per il solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie che determina l'esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico. Si tratta di un asservimento giuridico oggettivo tipico del regime conformativo dei suoli, sicché la mancata indicazione di tale effetto nella concessione edilizia o della relativa trascrizione della stessa come di un atto di cessione (pur aventi la valenza giuridica di determinare e pubblicizzare l'asservimento) non possono contrastare l'asservimento urbanistico che si determina in ragione dell'esaurimento della volumetria disponibile, ignorato dalla concessione o dall'atto di cessione”.
3.3 Alla luce dei principi illustrati non era necessaria, ai fini del trasferimento della cubatura disponibile, né una specifica previsione della normativa di piano né la trascrizione dell’atto di disposizione, e la fonte dell’effetto obbligatorio si rinviene nella relazione tecnica che assume valore di atto unilaterale d’obbligo; al contempo, la coincidenza della figura dei proprietari dei terreni coinvolti nella cessione semplifica ulteriormente la vicenda.
Da ultimo, si segnala che l’obbligo di trascrizione sancito dall’art. 2643, comma 1, n. 2-bis, del c.c. –introdotto dall’art. 5, n. 3), del D.L. 13/05/2011 n. 70 convertito, con modificazioni, nella L. 12/07/2011 n. 106– non si riflette sulla validità dell’atto ma rileva unicamente ai fini dell’opponibilità ai terzi e della soluzione del conflitto tra più aventi causa dallo stesso autore, ai sensi dell'art. 2644 del c.c. (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 26.03.2018 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore intervenuti.
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In caso di edificio preesistente realizzato in epoca anteriore all’adozione del primo piano regolatore generale, con il quale per la prima volta nel territorio comunale siano stati introdotti indici di densità edilizia (territoriale e fondiaria), in assenza di limiti di volumetria non è configurabile un’ipotesi di asservimento in senso tecnico, ma è astrattamente configurabile un vincolo di c.d. asservimento pertinenziale, connotato dalla destinazione dell’area non edificata del lotto a servizio dell’edificio realizzato.
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Si precisa, al riguardo, che la disposizione all’esame è in linea con i principi di origine giurisprudenziale per cui:
   - un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore intervenuti (v. Cons. Stato, Sez. III, parere 28.04.2009, n. 965/2009; Cons. Stato, IV, 29.01.2008, n. 255; Cons. Stato, Sez. V, 12.07.2004, n. 5039);
   - in caso di edificio preesistente realizzato in epoca anteriore all’adozione del primo piano regolatore generale, con il quale per la prima volta nel territorio comunale siano stati introdotti indici di densità edilizia (territoriale e fondiaria), in assenza di limiti di volumetria non è configurabile un’ipotesi di asservimento in senso tecnico, ma è astrattamente configurabile un vincolo di c.d. asservimento pertinenziale, connotato dalla destinazione dell’area non edificata del lotto a servizio dell’edificio realizzato (v. Ad. Plen., 23.04.2009, n. 3; Cons. Stato, Sez. VI, 18.12.2012, n. 6475; Cons. Stato, Sez. VI, 23.02.2016, n. 732) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 26.01.2018 n. 545 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lo strumento della cessione di cubatura (o asservimento), quale espressione dell’autonomia negoziale delle parti, è limitabile dalla Pubblica amministrazione solo espressamente ed a chiare e specifiche condizioni (che, nella fattispecie, si rinvengono nel disposto dell’art. 13 del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq).
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Le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M. 1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le luci e trovano applicazione anche quando solo una delle pareti antistanti risulta finestrata e non entrambe.
Inoltre, essendo finalizzate a stabilire un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla riservatezza, la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio, ovvero di edifici distinti, non può dispiegare alcun effetto distintivo.
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La distanza degli edifici dal limite della strada, che va misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della via, deve tenere conto del marciapiede, il quale fa parte della strada, quale tratto di essa situato fuori dalla carreggiata e normalmente destinato alla circolazione dei pedoni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale.

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La ditta ricorrente impugna, per violazione di legge ed eccesso di potere, il diniego di permesso di costruire, opposto dal Comune di Tortora, in relazione alla realizzazione di un immobile in contrada Riviera.
I motivi di diniego riguardano:
   - l’impossibilità di accedere alla cessione della cubatura mancante, in applicazione dell’art. 13 del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
   - il mancato rispetto della distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate di edifici;
   - il mancato rispetto della distanza minima di m. 5 dal ciglio stradale.
In proposito, sostiene la società ricorrente: che non sono consentiti, da parte dell’autorità comunale, limiti ad un istituto civilistico, qual è la cessione di cubatura; che la distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate di edifici non opera per le luci e quando solo una delle pareti antistanti risulta finestrata; che, nel computo della distanza minima di m. 5 dal ciglio stradale, non si deve tenere conto del marciapiede.
Resiste il Comune di Tortora.
Il ricorso è infondato e va respinto.
I rilievi della P.A. sono infatti da ritenere tutti legittimi, posto che:
   a) lo strumento della cessione di cubatura (o asservimento), quale espressione dell’autonomia negoziale delle parti, è limitabile dalla Pubblica amministrazione solo espressamente ed a chiare e specifiche condizioni (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. I, 27.10.2015 n. 2260) che, nella fattispecie, si rinvengono nel disposto dell’art. 13 del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
   b) le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M. 1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le luci (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18.06.2009 n. 4015; TAR Piemonte, Sez. I, 02.12.2010 n. 4374) e trovano applicazione anche quando solo una delle pareti antistanti risulta finestrata e non entrambe (cfr. TAR Veneto, Sez. II, 16.03.2010 n. 823). Inoltre, essendo finalizzate a stabilire un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26.01.2001 n. 1108), la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio, ovvero di edifici distinti, non può dispiegare alcun effetto distintivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 05.12.2005 n. 6909 e TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 08.07.2010 n. 2461);
   c) la distanza degli edifici dal limite della strada, che va misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della via (cfr. Cass. civ., Sez. II, 03.08.1984 n. 4624), deve tenere conto del marciapiede, il quale fa parte della strada, quale tratto di essa situato fuori dalla carreggiata e normalmente destinato alla circolazione dei pedoni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 17.01.2018 n. 138 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Secondo consolidati principi espressi dalla giurisprudenza, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (art. 4, u.c., L. 28.01.1977, n. 10) e dallo strumento urbanistico, e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa".
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario.
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Ai sensi dell'art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l'assetto urbanistico dell'intero territorio comunale, in particolare prevedendo "la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona".
Le previsioni del Piano servono a conformare l'edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del Piano o di una sua variante, ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli.
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e di indicazione delle sue possibilità di utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole "aree libere", tali dovendosi ritenere quelle "disponibili" al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l'edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D'altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
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In concetto di asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria opera obiettivamente ed è opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari; esso consegue di diritto per il solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie che determina l'esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico.
Si tratta di un asservimento giuridico oggettivo tipico del regime conformativo dei suoli, sicché la mancata indicazione di tale effetto nella concessione edilizia o della relativa trascrizione della stessa come di un atto di cessione (pur aventi la valenza giuridica di determinare e pubblicizzare l'asservimento) non possono contrastare l'asservimento urbanistico che si determina in ragione dell'esaurimento della volumetria disponibile, ignorato dalla concessione o dall'atto di cessione.
In conclusione, l'inedificabilità dell'area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi acquirenti, e produce l'effetto di impedirne l'ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà dell'area sia stata trasferita ad altri, che l'edificazione sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento o che l'edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa.
Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale, di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di edificare, si rivelerebbero vani e privi di significato, in quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del territorio.
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1) Il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti si palesano fondato nei termini e limiti che seguono.
In punto di diritto il Collegio premette che, secondo consolidati principi espressi dalla giurisprudenza, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (art. 4, u.c., L. 28.01.1977, n. 10) e dallo strumento urbanistico, e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione (Cons. Stato Sez. IV, 26/09/2008, n. 4647; Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039), a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (Cons. di Stato, sez. V, 28.02.2001 n. 1074)".
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario (Cons. Stato, sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
Ai sensi dell'art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l'assetto urbanistico dell'intero territorio comunale, in particolare prevedendo "la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona".
Le previsioni del Piano servono a conformare l'edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del Piano o di una sua variante (Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e di indicazione delle sue possibilità di utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole "aree libere", tali dovendosi ritenere quelle "disponibili" al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l'edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D'altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In sostanza il concetto di asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria opera obiettivamente ed è opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (Cons. di Stato, sez. V, n. 387/1998); esso consegue di diritto per il solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie che determina l'esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico. Si tratta di un asservimento giuridico oggettivo tipico del regime conformativo dei suoli, sicché la mancata indicazione di tale effetto nella concessione edilizia o della relativa trascrizione della stessa come di un atto di cessione (pur aventi la valenza giuridica di determinare e pubblicizzare l'asservimento) non possono contrastare l'asservimento urbanistico che si determina in ragione dell'esaurimento della volumetria disponibile, ignorato dalla concessione o dall'atto di cessione (Cons. Stato Sez. IV, 05.02.2015, n. 562).
In conclusione, l'inedificabilità dell'area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi acquirenti, e produce l'effetto di impedirne l'ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà dell'area sia stata trasferita ad altri, che l'edificazione sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento o che l'edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa.
Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale, di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di edificare, si rivelerebbero vani e privi di significato, in quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del territorio (TAR Campania Salerno Sez. I, 16.04.2013, n. 890) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 10.01.2018 n. 183 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Cessione di cubatura o asservimento in sede di rilascio di permesso di costruire - Condizioni e limiti - Fondi compresi nella medesima zona urbanistica - Effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti.
La cessione di cubatura o asservimento é istituto utilizzabile, in sede di rilascio di permesso di costruire, solo in presenza di particolari condizioni e limiti, per cui può avvenire solo tra fondi compresi nella medesima zona urbanistica ed aventi la stessa destinazione urbanistica (in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico e tra fondi contigui, nel senso che, anche qualora non si riscontri la continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, sussista pur sempre, comunque, una "effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti" (ex multis, C. Stato, Sez.5 n. 6734 del 30/10/2003).
Corretto sviluppo della densità edilizia - Rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria - Limiti fissati dal piano - Stretto e inscindibile legame tra atti di asservimento e normativa urbanistica - Asservimento illegittimo.
Ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia, della materiale collocazione dei fabbricati -atteso che per il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano- non sono, con tutta evidenza, ammissibili, ai fini del rilascio di provvedimenti autorizzativi in materia edilizia, atti di asservimento tra terreni ubicati in comuni diversi, disarticolandosi, in tal caso, lo stretto e inscindibile legame tra atti di asservimento e rispetto delle prescrizioni della normativa urbanistica, quale espressione del governo e della pianificazione del territorio comunale (Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza 29.12.2017 n. 57914 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Consiglio di Stato: il calcolo dei volumi edificabili va effettuato solamente sulle «aree libere».
Con la sentenza 22.11.2017 n. 5419 il Consiglio di Stato, Sez. IV, torna ad affrontare il tema del computo della volumetria edificabile assegnata alle aree del territorio comunale dallo strumento urbanistico generale, precisando che eventuali modificazioni di quest'ultimo, volte a prevedere nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, interessano le sole "aree libere".
Dalla definizione di tali aree devono escludersi le aree già direttamente edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o aree in cui si sono realizzate opere di urbanizzazione) e quelle che, pur essendo fisicamente libere da immobili, risultano già sfruttate per l'edificazione di altri lotti, ai quali pertanto risultano inscindibilmente asserviti.
Il caso
In seguito alla sentenza n. 2665/2015, con la quale il Tar Campania–Salerno aveva rigettato una domanda di annullamento di un permesso di costruire rilasciato nel 2015, nella quale si censurava l'errato utilizzo da parte del Comune dell'indice fondiario e lo sforamento della volumetria massima assentibile, il ricorrente ha presentato appello al Consiglio di Stato.
L'appellante ha sostenuto in particolare che l'erronea applicazione dell'indice fondiario di edificabilità, unitamente alla violazione sotto numerosi profili del D.M. 1444/1968 e della L. n. 1150/1942, avrebbero portato ad un calcolo errato della superficie disponibile ai fini edificatori, risultandone l'illegittimità del permesso di costruire impugnato. Secondo tale prospettazione l'assenza di volumetria residua sarebbe peraltro evidente anche ammettendo la contestata applicazione dell'indice fondiario, poiché non sarebbe possibile considerare come aree libere, ai fini del calcolo volumetrico, le aree destinate a parcheggi pertinenziali e quelle a standard.
La decisione
Il Consiglio di Stato, in riforma della decisione di primo grado, non ha perso occasione per ribadire quelli che si possono considerare come orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati in relazione alla successione nel tempo degli strumenti urbanistici ed alla capacità edificatoria da questi assegnata.
In particolar modo, dopo aver ribadito il noto principio secondo cui lo strumento urbanistico generale è diretto a conformare l'edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del piano o di una sua variante, i giudici di Palazzo Spada affermano che l'assegnazione di indici edificatori, proprio in ragione della richiamata irretroattività delle previsioni di piano, interessa le sole "aree libere", tali dovendosi intendere quelle "disponibili" al momento della pianificazione.
Più precisamente, non possono considerarsi "aree libere", oltre –ovviamente– alle aree già edificate (aree di sedime dei fabbricati o sulle quali sorgono opere di urbanizzazione), nemmeno quelle aree che risultano comunque già utilizzate per l'edificazione, in quanto asservite alla realizzazione di altri fabbricati onde consentirne il relativo sviluppo volumetrico.
Pertanto, un'area edificabile la cui volumetria sia già stata interamente considerata in occasione del rilascio di un titolo edilizio non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di un secondo titolo edificatorio nella perdurante esistenza del primo edificio.
Dal calcolo della volumetria necessaria per l'edificazione di un nuovo lotto (o per l'ampliamento di uno già esistente) devono infatti escludersi le aree asservite o accorpate, le quali hanno quindi ormai esaurito la loro vocazione edificatoria, anche se oggetto di successivo frazionamento o alienazione.
Tale principio non subisce mutamenti anche nel caso in cui vengano introdotte delle variazioni in melius del piano regolatore in relazione agli indici di fabbricazione, i quali non riguardano le aree già utilizzate a scopo edificatorio, anche se si presentano fisicamente libere. A maggior ragione, in sede di rilascio di ulteriori titoli edilizi nell'ambito di una stessa area oggetto di precedente edificazione senza che sia medio tempore intervenuta alcuna modificazione della disciplina urbanistica le aree che contribuiscono al maggiore sviluppo del lotto sono solamente quelle considerate "libere" secondo i criteri anzidetti.
Un'ultima precisazione della sentenza riguarda l'impossibilità di reperire ulteriore volumetria edificabile dalle aree destinate a standard nonché a parcheggio ai sensi dell'art. 41-sexies della L. n. 1150/1942, le quali non possono dunque considerarsi "aree libere" ai sensi e agli effetti sopra precisati.
Sotto questo profilo, neppure la circostanza che l'art. 41-sexies si riferisca alle aree a parcheggio private –come tali escluse dal computo degli standard– comporta la possibilità di considerarle nel successivo calcolo della superficie utilizzabile per una nuova costruzione o l'ampliamento di quelle esistenti, poiché, diversamente opinando, ne deriverebbe un «effetto moltiplicatore» della capacità edificatoria sviluppata dall'area di riferimento (articolo Edilizia e Territorio del 13.12.2017).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Al fine di definire con precisione cosa occorra considerare quale “superficie suscettibile di edificazione”, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
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L’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.
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E' stato affermato che "un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni”.
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto".
Quanto esposto, comporta che, proprio perché il piano regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti, nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel secondo l’area è libera, posta la sua non ancora intervenuta utilizzazione.
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Quanto affermato con riferimento alla successione nel tempo di diversi indici di fabbricabilità fondiari, deve trovare a maggior ragione applicazione nell’ipotesi di rilascio di successive concessioni edilizie e/o permessi di costruire nell’ambito della stessa area in costanza di indice di fabbricabilità, dovendosi considerare, al fine di sviluppare la volumetria assentibile, le sole aree da considerare libere, secondo i criteri innanzi descritti.

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Sia gli standard ex art. 5 D.M. 1444/1968, sia le aree da destinare a parcheggio, ai sensi dell’art. 41-sexies l. n. 1150/1942, devono essere considerate come “non disponibili”, ai fini di una successiva edificazione, laddove già considerate (ovvero laddove avrebbero dovuto essere considerate), ai fini della realizzazione di precedenti costruzioni.
Come è noto, l’art. 5 D.M. cit. prevede che,, nelle zone A) e B), a fronte di 100 mq. di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, devono corrispondere almeno 40 mq di superficie da destinare a parcheggio, e ciò in aggiunta ai parcheggi previsti dall’art. 18 l. n. 765/1967, e sempre che “siano previste adeguate attrezzature integrative” (dovendosi altrimenti calcolare 80 mq).
A sua volta, l’art. 41-sexies citato (introdotto nella l. n. 1150/1942 proprio dall’art. 18 l. n. 765/1967), prevede che “nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare, la disposizione contenuta nel predetto art. 41-sexies “…opera come norma di relazione nei rapporti privatistici e come norma di azione nel rapporto pubblicistico con la p.a., non potendo quest’ultima autorizzare nuove costruzioni che non siano corredate di dette aree, giacché l’osservanza della norma costituisce condizione di legittimità della concessione edilizia, e spettando esclusivamente alla stessa p.a. l’accertamento della conformità degli spazi alla misura proporzionale stabilita dalla legge e della idoneità a parcheggio delle aree, con la conseguenza che il trasferimento del vincolo di destinazione su aree diverse da quelle originarie può avvenire soltanto mediante il rilascio di una concessione in variante, chiarendosi anche che, mentre gli spazi di parcheggio di cui all’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 costituiscono aree pubbliche da conteggiarsi ai fini della dotazione d standard, quelli di cui al successivo art. 41-sexies sono qualificati come aree private pertinenziali alle nuove costruzioni e come tali escluse (ex art. 3, comma 2, lett. d), del D.M. 02.04.1968, n. 1444) dal computo del calcolo della misura degli standards”.
Orbene, la circostanza che le aree di cui all’art. 41-sexies siano da qualificarsi “aree pertinenziali private”, come tali escluse dal computo degli standard, non significa che dette aree possano essere considerate come “disponibili”, ai fini del successivo calcolo della superficie utilizzabile per una nuova costruzione.
Ed infatti, l’art. 3, co. 2, lett. d) del D.M. n. 1444/1968, in sintonia con quanto previsto dal successivo art. 5, si limita a precisare che le aree ex art. 41-sexies non possono essere considerate ai fini del computo delle aree da riservare a parcheggi (standard), ma si intendono come “aggiuntive” a questi ultimi.
Si tratta di una disposizione che, in presenza di una nuova costruzione, tende ad aumentare le aree da destinare a parcheggi, privati (in quanto verosimilmente a disposizione dei condomini) ovvero pubblici.

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6.5. Può procedersi all’esame del secondo motivo di gravame.
Il motivo è fondato.
Tanto innanzi precisato quanto alla corretta definizione ed applicazione degli “indici”, al fine di definire con precisione cosa occorra considerare quale “superficie suscettibile di edificazione”, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto, peraltro, modo di affermare che "un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni” (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000 n. 749).
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto" (Cons. Stato, sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n. 1402).
Quanto esposto, comporta che, proprio perché il piano regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti, nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel secondo l’area è libera, posta la sua non ancora intervenuta utilizzazione.
Quanto affermato con riferimento alla successione nel tempo di diversi indici di fabbricabilità fondiari, deve trovare a maggior ragione applicazione nell’ipotesi di rilascio di successive concessioni edilizie e/o permessi di costruire nell’ambito della stessa area in costanza di indice di fabbricabilità, dovendosi considerare, al fine di sviluppare la volumetria assentibile, le sole aree da considerare libere, secondo i criteri innanzi descritti.
6.6. In tale contesto, sia gli standard ex art. 5 D.M. 1444/1968, sia le aree da destinare a parcheggio, ai sensi dell’art. 41-sexies l. n. 1150/1942, devono essere considerate come “non disponibili”, ai fini di una successiva edificazione, laddove già considerate (ovvero laddove avrebbero dovuto essere considerate), ai fini della realizzazione di precedenti costruzioni.
Come è noto, l’art. 5 D.M. cit. prevede che,, nelle zone A) e B), a fronte di 100 mq. di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, devono corrispondere almeno 40 mq di superficie da destinare a parcheggio, e ciò in aggiunta ai parcheggi previsti dall’art. 18 l. n. 765/1967, e sempre che “siano previste adeguate attrezzature integrative” (dovendosi altrimenti calcolare 80 mq).
A sua volta, l’art. 41-sexies citato (introdotto nella l. n. 1150/1942 proprio dall’art. 18 l. n. 765/1967), prevede che “nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. V, 04.11.2014 n. 5444; sez. IV, 06.01.2013 n. 32), la disposizione contenuta nel predetto art. 41-sexies “…opera come norma di relazione nei rapporti privatistici e come norma di azione nel rapporto pubblicistico con la p.a., non potendo quest’ultima autorizzare nuove costruzioni che non siano corredate di dette aree, giacché l’osservanza della norma costituisce condizione di legittimità della concessione edilizia, e spettando esclusivamente alla stessa p.a. l’accertamento della conformità degli spazi alla misura proporzionale stabilita dalla legge e della idoneità a parcheggio delle aree, con la conseguenza che il trasferimento del vincolo di destinazione su aree diverse da quelle originarie può avvenire soltanto mediante il rilascio di una concessione in variante (Cass. civ., sez. II, 13.01.2010, n. 378), chiarendosi anche che, mentre gli spazi di parcheggio di cui all’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 costituiscono aree pubbliche da conteggiarsi ai fini della dotazione d standard, quelli di cui al successivo art. 41-sexies sono qualificati come aree private pertinenziali alle nuove costruzioni e come tali escluse (ex art. 3, comma 2, lett. d), del D.M. 02.04.1968, n. 1444) dal computo del calcolo della misura degli standards”.
Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, la circostanza che le aree di cui all’art. 41-sexies siano da qualificarsi “aree pertinenziali private”, come tali escluse dal computo degli standard, non significa che dette aree possano essere considerate come “disponibili”, ai fini del successivo calcolo della superficie utilizzabile per una nuova costruzione.
Ed infatti, l’art. 3, co. 2, lett. d) del D.M. n. 1444/1968, in sintonia con quanto previsto dal successivo art. 5, si limita a precisare che le aree ex art. 41-sexies non possono essere considerate ai fini del computo delle aree da riservare a parcheggi (standard), ma si intendono come “aggiuntive” a questi ultimi.
Si tratta di una disposizione che, in presenza di una nuova costruzione, tende ad aumentare le aree da destinare a parcheggi, privati (in quanto verosimilmente a disposizione dei condomini) ovvero pubblici.
Alla luce di quanto sin qui esposto, non possono, dunque, trovare accoglimento le considerazioni esposte dall’appellato Di Na..
Ed infatti, con riferimento a tutte le aree destinate a standard ex art. 5 e a parcheggi ex art. 41-sexies, le stesse non possono essere ritenute come utilizzabili per il calcolo del volume ulteriormente insediabile sul lotto; se ciò fosse, l’area considerata sarebbe soggetta ad un “effetto moltiplicatore” di cubatura, travolgendosi nei fatti il rapporto tra area coperta ed area scoperta (a prescindere dalla sua finalizzazione), che invece il legislatore ha inteso assicurare.
Così argomentando, come si è già detto, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Né assumono particolare rilevanza la circostanza che l’area da destinare a parcheggi (pubblici o privati) sia di proprietà privata, ovvero il fatto che -come sostenuto dall’appellato con riferimento a quanto differentemente previsto per aree residenziali o commerciali da riservare a parcheggi- “le diverse destinazioni dell’immobile condizionerebbero le superfici effettivamente a disposizione” per l’ulteriore volume insediabile (pag. 12-13 memoria dep. 28.04.2017)
Infatti, l’imposizione di standard e/o vincoli di destinazione costituisce conformazione della proprietà privata, onde contemperare lo jus aedificandi del privato (assentito, nel suo esercizio, dalla Pubblica amministrazione) con le evidenti esigenze pubblicistiche di assicurare un uso armonico del territorio, volto alla soddisfazione della pluralità di esigenze di vita e, non ultimo, del diritto alla salute di tutti i cittadini.
Ed in tale contesto è appena il caso di osservare che, a differenti destinazioni dell’immobile edificato, ben possono (anzi, ragionevolmente, “debbono”) corrispondere superfici di diversa entità da considerare “vincolate nella destinazione” al predetto immobile (in quanto condizioni per la sua edificazione), e, dunque, secondo i principi sin qui esposti, ormai “sfruttate” e non più computabili per ulteriori ed eventuali possibilità edificatorie.
6.7. Nel caso di specie, la superficie complessiva del lotto, pari a mq. 4065, ha già visto la realizzazione di un fabbricato (destinato ad albergo, poi a scuola) di mc. 3415,64 (oltre la volumetria interrata pari a mc. 2131,50) e di una superficie pavimentata lorda complessiva di mq. 1761,64 (tale estensione, affermata dall’appellante, non è contestata dall’appellato).
Ne consegue che, applicando gli standard ex art. 5 D.M. n. 1444/1968, la superficie da destinare a parcheggio è pari a mq. 1409,31; mentre le aree da destinare a parcheggi ex art. 41-sexies sono pari a mq. 341,56, per un totale di superficie destinata pari a mq. 1750,87.
Detraendo tale superficie da quella complessiva del lotto (4065 – 1750,64), la superficie residua, sulla quale applicare l’indice di fabbricabilità fondiario, è di mq. 2314,36, che sviluppa, dunque (mq. 2314,36 x 1,5 mc), una volumetria di mc. 3471,54 (di poco superiore a quella già esistente sul lotto).
Da ciò consegue, pertanto, l’intervenuto esaurimento del lotto e la illegittimità del permesso di costruire n. 5097/2015.
6.8. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto nei limiti sopra precisati e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 2665/2015 impugnata, deve essere accolto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con conseguente annullamento del permesso di costruire n. 5097/2015, rilasciato dal Comune di Agropoli
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2017 n. 5419 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante”, ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli.
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La “densità edilizia territoriale” è riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il carico complessivo di edificazione che può gravare sull’intera zona; viceversa, la “densità edilizia fondiaria” è riferita alla singola area e definisce il volume massimo su di essa edificabile.
La differenza consiste nel fatto che la densità edilizia territoriale, riferendosi a ciascuna zona omogenea dello strumento di pianificazione, definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare su ciascuna zona stessa, per cui il relativo indice è rapportato all’intera superficie della zona, ivi compresi gli spazi pubblici, quelli destinati alla viabilità, ecc.; viceversa, la densità edilizia fondiaria, concernendo la singola area e definendo il volume massimo edificabile sulla stessa, implica che il relativo indice sia rapportato all’effettiva superficie suscettibile di edificazione ed è a tale indice che occorre fare concreto riferimento ai fini della individuazione della volumetria effettivamente assentibile con il permesso di costruire.
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6.3.Il Collegio, ai fini della decisione della presente controversia, deve richiamare alcune considerazioni, già svolte da questo Consiglio di Stato (sez. IV, 20.07.2016 n. 3246; 09.07.2011 n. 4134, di recente riaffermate con sentenza 20.07.2017 n. 3573) e che devono essere riconfermate nella presente sede.
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante” (Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
In tale contesto, come affermato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 08.01.2013 n. 32) “la “densità edilizia territoriale” è riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il carico complessivo di edificazione che può gravare sull’intera zona; viceversa, la “densità edilizia fondiaria” è riferita alla singola area e definisce il volume massimo su di essa edificabile”.
La differenza consiste nel fatto che la densità edilizia territoriale, riferendosi a ciascuna zona omogenea dello strumento di pianificazione, definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare su ciascuna zona stessa, per cui il relativo indice è rapportato all’intera superficie della zona, ivi compresi gli spazi pubblici, quelli destinati alla viabilità, ecc.; viceversa, la densità edilizia fondiaria, concernendo la singola area e definendo il volume massimo edificabile sulla stessa, implica che il relativo indice sia rapportato all’effettiva superficie suscettibile di edificazione ed è a tale indice che occorre fare concreto riferimento ai fini della individuazione della volumetria effettivamente assentibile con il permesso di costruire (cfr., sul punto e per concludere, Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2009, n. 3; Cass. civ., sez. I, 26.09.2016, n. 18841) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2017 n. 5419 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La rinnovazione del piano regolatore (anche quando prevede nuovi e più favorevoli indici di edificabilità), può interessare, nell'ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, solo le aree libere, con esclusione di quelle comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino fisicamente libere da immobili.
Nel caso di realizzazione di manufatti edilizi, la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area accorpata, l'intera estensione interessata, infatti, deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto.
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Lo strumento urbanistico, nel disporre le conformazioni del territorio, considera le sole aree libere e più precisamente quelle che non risultano già edificate in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione, diversamente opinando "ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo".
Pertanto, quando un'area edificabile viene successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile nell'intera area permane invariata; di conseguenza, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una o più costruzioni, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che eventualmente residua tenuto conto di quanto originariamente costruito.
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5c. Giova soggiungere che la rinnovazione del piano regolatore (anche quando prevede nuovi e più favorevoli indici di edificabilità), può interessare, nell'ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, solo le aree libere, con esclusione di quelle comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino fisicamente libere da immobili.
Nel caso di realizzazione di manufatti edilizi, la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area accorpata, l'intera estensione interessata, infatti, deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto.
5d. Lo strumento urbanistico, nel disporre le conformazioni del territorio, considera le sole aree libere e più precisamente quelle che non risultano già edificate in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione, diversamente opinando "ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20/07/2016 n. 3246).
5e. Pertanto, quando un'area edificabile viene successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile nell'intera area permane invariata; di conseguenza, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una o più costruzioni, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che eventualmente residua tenuto conto di quanto originariamente costruito.
Conclusivamente l'appello è del tutto infondato e va respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.08.2017 n. 3949 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante”, ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli.
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Proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.
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E' stato affermato che "un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni”.
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto".
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Proprio perché il piano regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti, nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel secondo l’area è libera, posta la sua non ancora intervenuta utilizzazione.
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3.2. Il Collegio, ai fini della decisione della presente controversia, deve richiamare alcune considerazioni, già svolte da questo Consiglio di Stato (sez. IV, 20.07.2016 n. 3246; 09.07.2011 n. 4134) e che devono essere riconfermate nella presente sede.
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante” (Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Orbene, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto, peraltro, modo di affermare che "un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni” (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000 n. 749).
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto" (Cons. Stato, sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n. 1402).
Quanto esposto, comporta che, proprio perché il piano regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti, nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel secondo l’area è libera, posta la sua non ancora intervenuta utilizzazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2017 n. 3573 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Parere in merito alla possibilità di consentire il trasferimento di diritti edificatori – Comune di Colonna (Regione Lazio, nota 15.06.2017 n. 305497 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Ove una determinata area sia stata considerata ai fini dell’indice fondiario di fabbricazione, ogni ulteriore costruzione che interessi in tutto o in parte l’area stessa, anche se quest’ultima sia stata successivamente divisa, deve tener conto dei volumi realizzati sull’intero lotto considerato ai fini della precedente concessione”, diversamente consentendosi “il superamento della densità edilizia voluta dallo strumento urbanistico”, e legittimando “un differente ed inammissibile regime edilizio tra aree che sono rimaste in titolarità allo stesso proprietario, e quelle che invece siano state frazionate a seguito di interventi edilizi sulle stesse.
Invero, nel caso in cui un lotto urbanisticamente unitario sia già stato oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua, o la superficie coperta residua, va infatti calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata.
Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è infatti suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
Lotto urbanistico e lotto catastale esprimono infatti concetti diversi, essendo il primo imperniato sulla fruibilità urbanistica del suolo, e pertanto, sulla omogeneità della destinazione urbanistica del terreno, che ben può essere composto da una pluralità di numeri di mappale o particelle catastali. Il lotto edificabile integra dunque uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale, ben potendo il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari, e perfino tra loro non contigui, che viene individuato dagli strumenti urbanistici, sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica.
Conseguentemente, è irrilevante, sotto il profilo urbanistico, la ripartizione di un lotto unitario in più particelle catastali, di modo che, ai fini del rilascio di un titolo edilizio per la costruzione di nuovi volumi, è necessario considerare nel computo degli indici di fabbricazione anche i manufatti già esistenti sull'intera area di proprietà, pur se ricadenti in particelle catastali distinte da quella oggetto di intervento.

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II) In primo luogo, osserva il Collegio che la citata sentenza n. 372/1993, resa tra le medesime parti, e con riferimento ad un progetto edilizio insistente sull’area oggetto del presente giudizio, pronunciandosi sull’interpretazione del citato art. 6.14.1 delle N.T.A., ha affermato che “ove una determinata area sia stata considerata ai fini dell’indice fondiario di fabbricazione, ogni ulteriore costruzione che interessi in tutto o in parte l’area stessa, anche se quest’ultima sia stata successivamente divisa, deve tener conto dei volumi realizzati sull’intero lotto considerato ai fini della precedente concessione”, diversamente consentendosi “il superamento della densità edilizia voluta dallo strumento urbanistico”, e legittimando “un differente ed inammissibile regime edilizio tra aree che sono rimaste in titolarità allo stesso proprietario, e quelle che invece siano state frazionate a seguito di interventi edilizi sulle stesse”.
III) I principi affermati in detta sentenza, per quanto contraddetti dall’isolata pronuncia del Consiglio di Stato invocata dalla ricorrente (n. 5194/2002), sono condivisi dal Collegio, oltre che dalla giurisprudenza pressoché unanime.
Diversamente da quanto sostenuto dall’istante, nel caso in cui un lotto urbanisticamente unitario sia già stato oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua, o la superficie coperta residua, va infatti calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata (C.S., Sez. IV, 22.05.2012, n. 2941, TAR Lombardia, Milano, Sez., II, n. 2652/2015).
Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è infatti suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (C.S., Sez. V, 12.07.2005 n. 3777, n. 5039/2004, n. 1074/2001).
IV) Lotto urbanistico e lotto catastale esprimono infatti concetti diversi, essendo il primo imperniato sulla fruibilità urbanistica del suolo, e pertanto, sulla omogeneità della destinazione urbanistica del terreno, che ben può essere composto da una pluralità di numeri di mappale o particelle catastali. Il lotto edificabile integra dunque uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale, ben potendo il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari, e perfino tra loro non contigui, che viene individuato dagli strumenti urbanistici, sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica (C.S. Sez. V, 09.03.2015, n. 1161, C.S., Sez. V, 13.09.2013, n. 4531).
Conseguentemente, è irrilevante, sotto il profilo urbanistico, la ripartizione di un lotto unitario in più particelle catastali, di modo che, ai fini del rilascio di un titolo edilizio per la costruzione di nuovi volumi, è necessario considerare nel computo degli indici di fabbricazione anche i manufatti già esistenti sull'intera area di proprietà, pur se ricadenti in particelle catastali distinte da quella oggetto di intervento (C.S., Sez. V, 27.06.2006, n. 4117) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 26.05.2017 n. 1191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: In ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto.
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12.8. I rilievi ora esposti si pongono nel solco di una giurisprudenza consolidata, giacché, "in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 06.09.1999, n. 1402; sez. V, 07.11.2002, n. 6128; sez. IV, 20.07.2016, n. 3246) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2016 n. 4891 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl trasferimento di cubatura, riconosciuto dal legislatore statale come schema negoziale tipico (recependo l’istituto già affermatosi nella prassi dei mercatores immobiliari) –nell’esplicazione della potestà legislativa esclusiva attribuita allo Stato in materia di ordinamento civile–, deve ritenersi generalmente ammesso, salvo che la normativa settoriale urbanistica ovvero gli strumenti di pianificazione territoriale lo vietino per particolari ragioni o lo assoggettino a particolari condizioni, in tal senso dovendo essere inteso il rinvio del novellato art. 2643, n. 2-bis), cod. civ., alle «normative statali o regionali», ovvero agli «strumenti di pianificazione territoriale» (in altri termini, il trasferimento di diritti edificatori trova il proprio limite, oltre che in eventuali discipline speciali della legislazione urbanistica, nelle statuizioni degli strumenti urbanistici, i quali potrebbero vietare tali operazioni per alcune aree, oppure contenere previsioni inerenti alla determinazione della volumetria realizzabile fondata su criteri incompatibili con il suo trasferimento).
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Nella specie non può ritenersi ostativo al trasferimento di diritti edificatori la previsione dell’art. 15 delle n.t.a. al p.u.c. –che, per la «zona residenziale B4 - zona di completamento», stabilisce l’indice della «densità edilizia massima» di 2,20 mc/mq, intendendosi per ‘densità edilizia’ «il rapporto (mc/mq) tra la cubatura urbanistica realizzabile fuori terra e la relativa superficie catastale del lotto edificatorio» (v., così, la definizione contenuta nell’art. 1 delle n.t.a. al p.u.c.)–, poiché, in difetto di espresso divieto, la densità edificatoria del singolo lotto può essere ridistribuita, con lo strumento del trasferimento di diritti edificatori (olim, cessione di cubatura), tra i vari lotti di una stessa zona omogenea, nel rispetto dell’indice territoriale dell’intera zona e del relativo complessivo carico urbanistico.
Con riguardo al previgente istituto pretorio della cessione di cubatura, ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 19.04.2013, n. 2220, secondo cui l’asservimento della volumetria da un lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima destinazione urbanistica, posto che, diversamente, si verificherebbe un’evidente alterazione delle caratteristiche tipologiche della zona tutelate dalle norme urbanistiche, con la conseguenza che, in quel caso, è stato ritenuto inammissibile un trasposto di cubatura tra le sottozone F2 e F3, in quanto aventi indici di edificabilità diverse, e trattandosi quindi di zone disomogenee.
Invero, negare la possibilità del trasferimento di diritti edificatori nell’ambito di una stessa zona omogenea, con la motivazione del mancato rispetto del parametro dell’indice edificatorio fondiario del lotto beneficiario, equivarrebbe ad una sostanziale abrogazione dell’istituto introdotto dal citato art. 5 d.l. n. 50/2011, perseguendo l’istituto in esame il precipuo fine di aumentare la capacità edificatoria del lotto di proprietà del cessionario, anche e proprio nei casi in cui la capacità edificatorio del lotto sia già esaurita, ché, diversamente, non sarebbe necessario l’acquisto di diritti edificatori provenienti da altro immobile (il tutto, purché venga rispettato l’indice territoriale dell’intera zona).
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Orbene, ritiene il collegio che, contrariamente a quanto affermato dal T.r.g.a., deve ritenersi ammissibile e legittimo, sotto un profilo urbanistico-edilizio, il trasferimento della cubatura di 60 mc + 32 mc, dalla p.m. 14 della p.ed. 1544 e, rispettivamente, dalla p.m. 4 della p.ed. 714, alla p.m. 10 della p.ed. 1782, in quanto:
- tutti gli immobili interessati dal trasferimento di cubatura –sia quelli a quibus, sia quello ad quem– sono ubicati nella stessa zona omogenea, quale territorialmente delimitata nel piano di zonizzazione del p.u.c. di Brunico, urbanisticamente qualificata come ‘zona residenziale B4 - zona di completamento’ (v. estratto del piano di zonizzazione, in atti);
- dalla documentazione catastale (v. «visura catastale particelle validate», in atti) emerge che le p.ed. 714 e 1544 confinano con la p.ed. 1782 e che, in particolare, la p.m. 10 della p.e.d 1782 è frapposta tra le due particelle da cui proviene la cubatura trasferita, sicché gli immobili devono ritenersi tra di loro contigui per gli effetti urbanistici, essendo anche tali lotti ubicati nella medesima zona servita dalle medesime opere di urbanizzazione, e avendo gli stessi la medesima destinazione residenziale (impressa alla p.m. 10 dalle gravate concessioni);
- la ridistribuzione della volumetria tra i fondi, per effetto dei contratti di cessione stipulati tra i relativi proprietari, non altera pertanto il carico urbanistico della zona, lasciandone al contempo inalterata la densità territoriale complessiva;
- il trasferimento di cubatura, riconosciuto dal legislatore statale come schema negoziale tipico (recependo l’istituto già affermatosi nella prassi dei mercatores immobiliari) –nell’esplicazione della potestà legislativa esclusiva attribuita allo Stato in materia di ordinamento civile–, deve ritenersi generalmente ammesso, salvo che la normativa settoriale urbanistica (nella specie viene in rilievo la disciplina provinciale, rientrando l’urbanistica nelle materie attribuite alla competenza primaria delle province autonome) ovvero gli strumenti di pianificazione territoriale lo vietino per particolari ragioni o lo assoggettino a particolari condizioni, in tal senso dovendo essere inteso il rinvio del novellato art. 2643, n. 2-bis), cod. civ., alle «normative statali o regionali», ovvero agli «strumenti di pianificazione territoriale» (in altri termini, il trasferimento di diritti edificatori trova il proprio limite, oltre che in eventuali discipline speciali della legislazione urbanistica, nelle statuizioni degli strumenti urbanistici, i quali potrebbero vietare tali operazioni per alcune aree, oppure contenere previsioni inerenti alla determinazione della volumetria realizzabile fondata su criteri incompatibili con il suo trasferimento);
- nella specie non può ritenersi ostativo al trasferimento di diritti edificatori la previsione dell’art. 15 delle n.t.a. al p.u.c. –che, per la «zona residenziale B4 - zona di completamento», stabilisce l’indice della «densità edilizia massima» di 2,20 mc/mq, intendendosi per ‘densità edilizia’ «il rapporto (mc/mq) tra la cubatura urbanistica realizzabile fuori terra e la relativa superficie catastale del lotto edificatorio» (v., così, la definizione contenuta nell’art. 1 delle n.t.a. al p.u.c.)–, poiché, in difetto di espresso divieto, la densità edificatoria del singolo lotto può essere ridistribuita, con lo strumento del trasferimento di diritti edificatori (olim, cessione di cubatura), tra i vari lotti di una stessa zona omogenea, nel rispetto dell’indice territoriale dell’intera zona e del relativo complessivo carico urbanistico (v., su tali principi, Cons. Stato, Sez. VI, 08.04.2016, n. 1398, relativa ad una fattispecie analoga concernente una vicenda urbanistico-edilizia in un comune limitrofo a quello di Brunico; v. altresì, con riguardo al previgente istituto pretorio della cessione di cubatura, ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 19.04.2013, n. 2220, secondo cui l’asservimento della volumetria da un lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima destinazione urbanistica, posto che, diversamente, si verificherebbe un’evidente alterazione delle caratteristiche tipologiche della zona tutelate dalle norme urbanistiche, con la conseguenza che, in quel caso, è stato ritenuto inammissibile un trasposto di cubatura tra le sottozone F2 e F3, in quanto aventi indici di edificabilità diverse, e trattandosi quindi di zone disomogenee);
- negare la possibilità del trasferimento di diritti edificatori nell’ambito di una stessa zona omogenea, con la motivazione del mancato rispetto del parametro dell’indice edificatorio fondiario del lotto beneficiario, equivarrebbe ad una sostanziale abrogazione dell’istituto introdotto dal citato art. 5 d.l. n. 50/2011, perseguendo l’istituto in esame il precipuo fine di aumentare la capacità edificatoria del lotto di proprietà del cessionario, anche e proprio nei casi in cui la capacità edificatorio del lotto sia già esaurita, ché, diversamente, non sarebbe necessario l’acquisto di diritti edificatori provenienti da altro immobile (il tutto, purché venga rispettato l’indice territoriale dell’intera zona);
- alla stregua di quanto sopra, nella fattispecie sub iudice il trasferimento dei diritti edificatori deve ritenersi legittimo
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.11.2016 n. 4861 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La cessione di cubatura o asservimento è un istituto utilizzabile in sede di rilascio di concessioni edilizie (oggi: permesso di costruire) e la giurisprudenza amministrativa, nonché quella penale, è concorde nel ritenere che essa sia utilizzabile, in presenza di particolari condizioni e limiti, per cui può avvenire solo tra fondi:
   - compresi nella medesima zona urbanistica ed aventi la stessa destinazione urbanistica, in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico;
   - contigui, nel senso che, anche qualora non si riscontri la continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, sussista pur sempre, comunque, una "effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti".
La pratica contrattuale conosce da tempo accordi fra privati proprietari (cd. "trasferimenti di cubatura") mediante i quali uno di essi "cede" ad un altro la facoltà di edificare, esistente sul suo terreno secondo le norme urbanistiche, affinché il cessionario possa avvalersi di tale facoltà per ottenere dal Comune, in sede di rilascio del permesso di costruire, l'autorizzazione a realizzare un volume edilizio maggiore di quello che gli spetterebbe, sul terreno di sua proprietà, secondo le previsioni della pianificazione vigente.
In taluni casi, però, lo strumento urbanistico può contenere specifiche limitazioni in ordine a tipologie edilizie o alla densità abitativa, perché in presenza di limitazioni siffatte il trasferimento di cubatura deve ritenersi non consentito.
Ciò significa che deve ritenersi inammissibile il trasferimento di cubatura a fronte di una norma di piano che per le zone agricole, non ammette costruzioni in lotti di dimensioni inferiori ad un limite minimo fissato dal piano medesimo, in quanto la ratio di una disposizione siffatta si connette al prefigurato regime di edificazione nelle zone agricole ed al nesso di funzionalità delle costruzioni ammissibili rispetto alla gestione di aziende agricole.
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Come già evidenziato da questo Tar (sentenza n. 1657/2014), la cessione di cubatura o asservimento è un istituto utilizzabile in sede di rilascio di concessioni edilizie (oggi: permesso di costruire) e la giurisprudenza amministrativa, nonché quella penale, è concorde nel ritenere che essa sia utilizzabile, in presenza di particolari condizioni e limiti, per cui può avvenire solo tra fondi:
   - compresi nella medesima zona urbanistica ed aventi la stessa destinazione urbanistica, in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico (vedi C. Stato, sez. 5^: 03.03.2003, n. 1172);
   - contigui, nel senso che, anche qualora non si riscontri la continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, sussista pur sempre, comunque, una "effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti" (vedi C. Stato, sez. 5^: 30.10.2003, n. 6734; 01.04.1998, n. 400).
La pratica contrattuale conosce da tempo accordi fra privati proprietari (cd. "trasferimenti di cubatura") mediante i quali uno di essi "cede" ad un altro la facoltà di edificare, esistente sul suo terreno secondo le norme urbanistiche, affinché il cessionario possa avvalersi di tale facoltà per ottenere dal Comune, in sede di rilascio del permesso di costruire, l'autorizzazione a realizzare un volume edilizio maggiore di quello che gli spetterebbe, sul terreno di sua proprietà, secondo le previsioni della pianificazione vigente.
In taluni casi, però, lo strumento urbanistico può contenere specifiche limitazioni in ordine a tipologie edilizie o alla densità abitativa, perché in presenza di limitazioni siffatte il trasferimento di cubatura deve ritenersi non consentito. Ciò significa che deve ritenersi inammissibile il trasferimento di cubatura a fronte di una norma di piano che per le zone agricole, non ammette costruzioni in lotti di dimensioni inferiori ad un limite minimo fissato dal piano medesimo, in quanto la ratio di una disposizione siffatta si connette al prefigurato regime di edificazione nelle zone agricole ed al nesso di funzionalità delle costruzioni ammissibili rispetto alla gestione di aziende agricole.
Nella vicenda in esame, non viene esclusa la possibilità di asservimento a fini residenziali tra aree contigue, ma che detta possibilità sia riservata, ai sensi della l.r.c. n. 14/1982 esclusivamente agli imprenditori agricoli a titolo principale, qualifica soggettiva che i ricorrenti non possiedono.
Anche il Tar Campania -Sede di Napoli- ha evidenziato che il punto 1.8 del Titolo II, della L.Reg. 20.03.1982 n. 14 prevede che “Nelle zone agricole la concessione ad edificare per le residenze può essere rilasciata per la conduzione del fondo esclusivamente ai proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, ovvero ai proprietari concedenti, nonché agli affittuari o mezzadri aventi diritto a sostituirsi al proprietario nell'esecuzione delle opere e considerati imprenditori agricoli titolo principale ai sensi dell'art. 12 della L. 09.05.1975, n. 153”.
Dalla richiamata disposizione emerge che il rilascio del permesso di costruire fabbricati rurali in zone agricole è subordinato ad un duplice requisito: il primo di natura soggettiva, costituito dallo status di proprietario coltivatore diretto, proprietario conduttore in economia, proprietario concedente, imprenditore agricolo, il secondo di natura oggettiva, rappresentato dal rapporto di strumentalità delle opere alla coltivazione del fondo.
La ratio della previsione è ovviamente quella di evitare che qualsiasi individuo, benché sprovvisto della qualità di coltivatore, possa legittimamente costruire un immobile ad uso residenziale in zona agricola. Ciò avrebbe l’evidente conseguenza di consentire la trasformazione di una zona agricola, tutelata dall’ordinamento, in un’area sostanzialmente residenziale e si porrebbe quindi in contrasto con la ratio della disciplina vincolistica che è volta allo scopo di attuare un equilibrato componimento tra le contrapposte esigenze, da un lato, consentire una razionale possibilità di sfruttamento edilizio delle aree agricole per scopi di sviluppo economico e, dall’altro, garantire la loro destinazione esclusiva ad attività agronomiche (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 24.01.2014 n. 598).
La medesima disposizione regionale statuisce che “Per le necessità abitative dell'imprenditore agricolo a titolo principale è consentito l'accorpamento di lotti di terreni non contigui a condizione che sull'area asservita venga trascritto, presso la competente Conservatoria Immobiliare, vincolo di inedificabilità a favore del Comune da riportare successivamente su apposita mappa catastale depositata presso l'Ufficio tecnico comunale”.
Quindi, l’asservimento è concesso al solo imprenditore agricolo a titolo principale (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 24.01.2014 n. 598) e per le sue necessità abitative: difatti, per le altre categorie (proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, proprietari concedenti) la normativa regionale non contiene alcun riferimento all’istituto dell’asservimento né alcun rinvio alla pregressa previsione dettata per l’imprenditore agricolo.
Da tali conclusioni il Collegio non ha motivi per discostarsi.
Nella fattispecie in esame non è dimostrato che i ricorrenti siano in possesso dei citati requisiti di legge, non rivestendo la qualità di imprenditore agricolo professionale di cui all’art. 1 del D.Lgs. 29.03.2004 n. 99, come modificato dal D.Lgs. 27.05.2005 n. 101, secondo “…è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del 17.05.1999, del Consiglio, dedichi alle attività agricole di cui all' articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro. Le pensioni di ogni genere, gli assegni ad esse equiparati, le indennità e le somme percepite per l'espletamento di cariche pubbliche, ovvero in associazioni ed altri enti operanti nel settore agricolo, sono escluse dal computo del reddito globale da lavoro…” (
TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 19.07.2016 n. 1675 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (art. 4, u.c., L. 28.01.1977, n. 10) e dallo strumento urbanistico, e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa".
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario.
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Ai sensi dell' art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l'assetto urbanistico dell'intero territorio comunale, in particolare prevedendo "la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona".
Le previsioni del Piano servono a conformare l'edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del Piano o di una sua variante, ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli.
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e di indicazione delle sue possibilità di utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole "aree libere", tali dovendosi ritenere quelle "disponibili" al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l'edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D'altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano.
Sicché, l'eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell'ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino "fisicamente" libere da immobili.
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Un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni.
Più in particolare, è stato, sempre in giurisprudenza, precisato che in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto.
Né il vincolo che deriva dall’utilizzo della volumetria su una determinata area necessita specifiche previsioni o atti.
Infatti, quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis dalla sua utilizzazione, sulla base della concessione edilizia, senza la necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d'obbligo, trascrizione, ecc.).
Questi ultimi, invece, devono sussistere solo quando il proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria maggiore di quella che il suo solo terreno gli consentirebbe, oppure, ancora, quando siffatto asservimento sia, per così dire, reciproco, nel senso che i proprietari di più terreni li asservano unitariamente alla realizzazione di un unico progetto, ai fini della quale i rispettivi lotti perdono, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la loro "individualità". Tale vincolo rimane così cristallizzato nel tempo.
Gli effetti derivanti dal vincolo creato dall'asservimento di un fondo, in caso di edificazione, integrando una qualità oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario.
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1) Il ricorso si rivela infondato.
2) Parte ricorrente lamenta i criteri di determinazione da parte dell’amministrazione della volumetria realizzabile sull’area di sua proprietà e, in particolare, afferma che l’indice di fabbricabilità andasse calcolato sulla sola base della volumetria realizzata (e quella assentibile) nell’area classificata B1 dal nuovo piano regolatore, senza tener conto di quanto in precedenza realizzato anche nell’area ora F5, e invece valutando che il frazionamento dell’area dall’originaria particella 5189 era precedente alle modifiche di PRG, che aveva ripianificato la zona in questione e devoluto ex novo una parte dell’originaria area a questa nuova destinazione.
L’intervenuto nuovo strumento urbanistico avrebbe stabilito un indice di fabbricabilità fondiaria autonomo interamente sfruttabile nell’area in questione, senza la necessità di tener presente quanto in precedenza costruito su altro lotto (ancorché le due aree costituissero inizialmente un’unica entità), poi assoggettato a differente destinazione urbanistica.
Le doglianze formulate non possono essere accolte.
Al riguardo, deve considerarsi che, secondo consolidati principi espressi dalla giurisprudenza, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (art. 4, u.c., L. 28.01.1977, n. 10) e dallo strumento urbanistico, e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione" (Cons. Stato Sez. IV, 26/09/2008, n. 4647; Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039), "a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa" (Cons. di Stato, sez. V, 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario (Cons. Stato, sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
Ai sensi dell' art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l'assetto urbanistico dell'intero territorio comunale, in particolare prevedendo "la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona".
Le previsioni del Piano servono a conformare l'edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del Piano o di una sua variante (Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e di indicazione delle sue possibilità di utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole "aree libere", tali dovendosi ritenere quelle "disponibili" al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l'edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D'altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono ed operano (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 09/07/2011, n. 4134).
Quanto sin qui esposto, comporta che l'eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare, nell'ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino "fisicamente" libere da immobili.
Un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000 n. 749).
Più in particolare, è stato, sempre in giurisprudenza, precisato che in ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto (Cons. Stato Sez. IV, 09.07.2011, n. 4134; Cons. Stato, sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n. 1402).
Né il vincolo che deriva dall’utilizzo della volumetria su una determinata area necessita specifiche previsioni o atti.
Infatti, quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis dalla sua utilizzazione, sulla base della concessione edilizia, senza la necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d'obbligo, trascrizione, ecc.) (Sez. IV, 19.01.2008, n. 255; 19.10.2006, n. 6229; 31.01.2005, n. 217).
Questi ultimi, invece, devono sussistere solo quando il proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria maggiore di quella che il suo solo terreno gli consentirebbe, oppure, ancora, quando siffatto asservimento sia, per così dire, reciproco, nel senso che i proprietari di più terreni li asservano unitariamente alla realizzazione di un unico progetto, ai fini della quale i rispettivi lotti perdono, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la loro "individualità" (Cons. Stato, Sez. V, 23.03.2004, n. 1525 e 25.11.1988, n. 744). Tale vincolo rimane così cristallizzato nel tempo (Cons. Stato, Sez. IV, 29.07.2008, n. 3766).
Gli effetti derivanti dal vincolo creato dall'asservimento di un fondo, in caso di edificazione, integrando una qualità oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario (Cons. Stato Sez. V, 27.06.2011, n. 3823).
In conclusione, quindi, in base a quanto indicato, nel caso di specie, la realizzazione della cubatura sull’originario fondo n. 5189 da parte della Im.Ca. spa, a cui si è sommata quella già realizzata dalla ricorrente sull’attuale particella n. 5375, derivata a seguito di frazionamento, aveva esaurito le possibilità edificatorie dell’area originaria e a nulla può valere, nel senso di attribuire una maggiore fabbricabilità, la circostanza dell’intervenuto frazionamento e dell’adozione di un nuovo strumento urbanistico che ha impresso a una parte del fondo una diversa destinazione, in quanto l’indice di fabbricazione dell’area originaria non è comunque aumentato.
3) Per le suesposte ragioni il ricorso va rigettato (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 05.05.2016 n. 2265 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Qualora il piano abbia aumentato le potenzialità edificatorie del suolo, non vi è infatti alcuna ragione per distinguere le aree già edificate da quelle non edificate, dovendosi semplicemente riscontrare se, detratta la volumetria già realizzata sul lotto, residui una ulteriore potenzialità edificatoria.
Per la stessa ragione, non rileva se il lotto fosse stato edificato saturando la volumetria consentita dal precedente strumento urbanistico, poiché –come detto– ciò che rileva è unicamente la circostanza che residui una volumetria edificabile in base al nuovo strumento urbanistico.
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La natura della funzione di pianificazione urbanistica non è diretta soltanto a disciplinare le potenzialità edificatorie dei suoli liberi da costruzioni, ma è volta a regolare complessivamente l’uso di tutto il territorio interessato dal piano, per il soddisfacimento del complesso delle esigenze della comunità insediata.
Dalla natura stessa di tale funzione discende che ogni strumento urbanistico ha pari forza formale rispetto a quelli ad esso gerarchicamente equiordinati, per cui i rapporti tra le previsioni di diversi strumenti di pianificazione urbanistica generale comunale non possono che risolversi in base al principio cronologico (lex posterior derogat priori).
Conseguentemente, una volta venuto meno il PRG, affermare che le aree già edificate non sarebbero ulteriormente edificabili, nonostante le più favorevoli previsioni del nuovo PGT, equivarrebbe anche a riconoscere una sostanziale e non prevista portata ultrattiva allo strumento urbanistico ormai abrogato.

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Secondo un principio costantemente ribadito dal giudice amministrativo, un'area è suscettibile di ulteriore edificazione proprio e soltanto nel caso in cui la costruzione già realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore titolo edilizio.
Conseguentemente, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata (e ciò ferma restando l’irrilevanza –sempre ribadita in giurisprudenza– di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo).
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D’altra parte, non può neppure condividersi l’affermazione per cui l’eventuale volumetria aggiuntiva dovrebbe comunque essere sfruttata per incrementare le superfici già utilizzabili in base al precedente indice urbanistico, e non anche per consentire l’utilizzazione della cantina/deposito, precedentemente non computata nella volumetria.
Si tratta, infatti, di una tesi che non trova alcun aggancio nel complessivo sistema della disciplina urbanistica, dal quale non si inferisce alcun divieto di utilizzare l’incremento dell’indice edificatorio per trasformare uno spazio non abitabile in locale destinato alla permanenza di persone.
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8.2 Ciò posto, non può condividersi la tesi dei ricorrenti, secondo la quale l’incremento della volumetria edificabile previsto dal nuovo strumento urbanistico potrebbe operare solo nelle aree libere da costruzioni, e non invece in quelle già edificate, tanto più ove già volumetricamente sature.
Qualora il piano abbia aumentato le potenzialità edificatorie del suolo, non vi è infatti alcuna ragione per distinguere le aree già edificate da quelle non edificate, dovendosi semplicemente riscontrare se, detratta la volumetria già realizzata sul lotto, residui una ulteriore potenzialità edificatoria.
Per la stessa ragione, non rileva se il lotto fosse stato edificato saturando la volumetria consentita dal precedente strumento urbanistico, poiché –come detto– ciò che rileva è unicamente la circostanza che residui una volumetria edificabile in base al nuovo strumento urbanistico.
La tesi opposta non è condivisibile, in quanto contrasta con la natura stessa della funzione di pianificazione urbanistica, la quale non è diretta soltanto a disciplinare le potenzialità edificatorie dei suoli liberi da costruzioni, ma è volta a regolare complessivamente l’uso di tutto il territorio interessato dal piano, per il soddisfacimento del complesso delle esigenze della comunità insediata.
Dalla natura stessa di tale funzione discende che ogni strumento urbanistico ha pari forza formale rispetto a quelli ad esso gerarchicamente equiordinati, per cui i rapporti tra le previsioni di diversi strumenti di pianificazione urbanistica generale comunale non possono che risolversi in base al principio cronologico (lex posterior derogat priori).
Conseguentemente, una volta venuto meno il PRG, affermare che le aree già edificate non sarebbero ulteriormente edificabili, nonostante le più favorevoli previsioni del nuovo PGT, equivarrebbe anche a riconoscere una sostanziale e non prevista portata ultrattiva allo strumento urbanistico ormai abrogato.
8.3 Le conclusioni qui raggiunte sono, del resto, pacifiche in giurisprudenza, atteso che, secondo un principio costantemente ribadito dal giudice amministrativo, un'area è suscettibile di ulteriore edificazione proprio e soltanto nel caso in cui la costruzione già realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore titolo edilizio (Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2012, n. 3120; Id., Sez. IV, 29.09.2008, n. 4647; Id., Sez. V, 12.07.2004, n. 5039; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 24.02.2012, n. 623).
Conseguentemente, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata (v. tra le ultime: Cons. Stato, Sez. IV, 22.05.2012, n. 2941; e ciò ferma restando l’irrilevanza –sempre ribadita in giurisprudenza, ma costituente questione che non si pone nel caso di specie– di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo).
8.4 D’altra parte, non può neppure condividersi l’affermazione per cui l’eventuale volumetria aggiuntiva dovrebbe comunque essere sfruttata per incrementare le superfici già utilizzabili in base al precedente indice urbanistico, e non anche per consentire l’utilizzazione della cantina/deposito, precedentemente non computata nella volumetria.
Si tratta, infatti, di una tesi che non trova alcun aggancio nel complessivo sistema della disciplina urbanistica, dal quale non si inferisce alcun divieto di utilizzare l’incremento dell’indice edificatorio per trasformare uno spazio non abitabile in locale destinato alla permanenza di persone (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.04.2016 n. 737 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Per giurisprudenza consolidata, ove un’area edificabile sia successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area rimane invariata e, qualora sull’area originaria già insista una costruzione, i vari proprietari dei diversi terreni in cui sia stato frazionato il fondo originario hanno a disposizione solo la volumetria residua, in proporzione alle rispettive quote di proprietà.
Infatti, poiché nella volumetria assentibile sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti, le vicende inerenti alla proprietà dei terreni ed in particolare il frazionamento del fondo da parte di un unico precedente proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’edificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e, pertanto, restano edificabili nei soli limiti della volumetria residua.
Ne consegue che la volumetria assentibile sull’area frazionata da una porzione di immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini può esser computata entro i soli limiti della volumetria residua ad esso spettante pro quota sulla parte di proprietà esclusiva. Tale regola viene ricavata dai principi generali che regolano l’uso della comune ex artt. 1102, 1108, 1120 e 1122 c.c., sulla base dei quali la volumetria residua disponibile resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione alle rispettive quote: il tutto, salvo un eventuale asservimento delle parti in comproprietà degli altri condomini, con atto che esige il consenso di tutti i condomini.

Passando ora al secondo motivo, con lo stesso la ricorrente lamenta che la cubatura residua del lotto originario (part.lla n. 318 del fg. n. 32) avrebbe dovuto essere imputata in proporzione a tutti i fondi derivanti dal frazionamento di tale lotto: nel caso di specie, tuttavia, nulla di tutto ciò sarebbe stato valutato dal Comune, il quale avrebbe rilasciato un permesso di costruire illegittimo.
In base a detto titolo, infatti, la E.C. Immobiliare S.r.l. starebbe utilizzando per l’intervento edilizio volumetria non esistente sul fondo frazionato (in specie: mc. 363 di cui la part.lla n. 712 sarebbe priva, spettando ad essa mc. 245 e non i mc. 608 utilizzati dalla citata società, né i mc. 597 che la P.A. pare riconoscere a quest’ultima a seguito della relazione dell’08.03.2011).
La doglianza è fondata e meritevole di accoglimento.
Ed invero, per giurisprudenza consolidata, ove un’area edificabile sia successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area rimane invariata e, qualora sull’area originaria già insista una costruzione, i vari proprietari dei diversi terreni in cui sia stato frazionato il fondo originario hanno a disposizione solo la volumetria residua, in proporzione alle rispettive quote di proprietà (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 08.05.2012, n. 2642; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 26.09.2013, n. 2296; TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 31.03.2011, n. 210).
Infatti, poiché nella volumetria assentibile sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti, le vicende inerenti alla proprietà dei terreni ed in particolare il frazionamento del fondo da parte di un unico precedente proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’edificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e, pertanto, restano edificabili nei soli limiti della volumetria residua (cfr. C.d.S., Sez. V, 10.02.2000, n. 749; id., 16.02.1987, n. 97).
Ne consegue che la volumetria assentibile sull’area frazionata da una porzione di immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini può esser computata entro i soli limiti della volumetria residua ad esso spettante pro quota sulla parte di proprietà esclusiva. Tale regola viene ricavata dai principi generali che regolano l’uso della comune ex artt. 1102, 1108, 1120 e 1122 c.c., sulla base dei quali la volumetria residua disponibile resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione alle rispettive quote (v. C.d.S., Sez. V, n. 2642/2012, cit.): il tutto, salvo un eventuale asservimento delle parti in comproprietà degli altri condomini, con atto che esige il consenso di tutti i condomini (C.d.S., Sez. V, 28.06.2000, n. 3637) (TAR Lazio-Latina, sentenza 08.09.2015 n. 601 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (…), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (…) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione” (…), a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
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Non può farsi riferimento alla <<cubatura residua determinatasi per effetto del previgente indice di fabbricabilità fondiaria, essendo essa oggetto di una facoltà che se non esercitata non è “opponibile” al nuovo piano … (derivando da ciò) anche l’irrilevanza del frazionamento del lotto non potendo esso fungere da strumento di conservazione per l’utilizzazione della stessa>>.
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L’asservimento di un’area ad una costruzione, dà luogo ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente, indipendentemente da quando esso si è verificato, a nulla valendo che la cubatura originariamente assentita non sia stata sfruttata per intero, che, dopo l’asservimento, l’area sia stata frazionata, e che il titolo edilizio a servizio del quale l’asservimento stesso opera, sia venuto meno per decadenza.
L'asservimento di un fondo, ai fini della sua edificabilità, costituisce, infatti, una qualità oggettiva dello stesso, che continua a seguirlo anche nei successivi trasferimenti o frazionamenti a qualsiasi titolo posti in essere in epoca successiva, indipendentemente dalle vicende riguardanti il titolo a cui accede, posto che il vincolo dal medesimo creato per sua natura permane sul fondo “servente” (nel senso che per il calcolo della sua edificabilità vanno computati i volumi comunqu
e esistenti) a tempo indeterminato.
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Gli argomenti di doglianza così sintetizzati, non meritano accoglimento.
Occorre premettere che, come rilevato dalla giurisprudenza: <<il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (…), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (…) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata. Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione” (…), a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa>> (Cons. Stato, Sez. IV, 26/09/2008, n. 4647).
La stessa giurisprudenza ha, inoltre, chiarito che non può farsi riferimento alla <<cubatura residua determinatasi per effetto del previgente indice di fabbricabilità fondiaria, essendo essa oggetto di una facoltà che se non esercitata non è “opponibile” al nuovo piano … (derivando da ciò) anche l’irrilevanza del frazionamento del lotto non potendo esso fungere da strumento di conservazione per l’utilizzazione della stessa>> (Cons. Stato, Sez. IV, 29/01/2008, n. 255).
A quanto sopra occorre ancora aggiungere, per quanto qui rileva, che l’asservimento di un’area ad una costruzione, dà luogo ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente, indipendentemente da quando esso si è verificato (Cons. Stato, A.P. 23/04/2009, n. 3; Sez. V, 26/09/2013, n. 4757), a nulla valendo che la cubatura originariamente assentita non sia stata sfruttata per intero, che, dopo l’asservimento, l’area sia stata frazionata, e che il titolo edilizio a servizio del quale l’asservimento stesso opera, sia venuto meno per decadenza.
L'asservimento di un fondo, ai fini della sua edificabilità, costituisce, infatti, una qualità oggettiva dello stesso, che continua a seguirlo anche nei successivi trasferimenti o frazionamenti a qualsiasi titolo posti in essere in epoca successiva (Cons. Stato, Sez. V, 30/03/1998, n. 387; Sez. IV, 06/07/2010, n. 4333), indipendentemente dalle vicende riguardanti il titolo a cui accede, posto che il vincolo dal medesimo creato per sua natura permane sul fondo “servente” (nel senso che per il calcolo della sua edificabilità vanno computati i volumi comunque esistenti) a tempo indeterminato (Cons. Stato, Sez. V, 17/06/2014 n. 3094).
Alla luce delle illustrate coordinate di diritto, emerge l’infondatezza delle tesi sostenute dagli appellanti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.07.2015 n. 3251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Sezione, conformemente ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha già avuto occasione di affermare come il concetto di contiguità non debba intendersi nel senso della adiacenza, ossia della mera continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza e prossimità tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata, secondo una nozione di tale requisito che, in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, guarda non alla mera condizione fisica bensì giuridica dei fondi e, dunque, al loro inserimento in uno stesso contesto territoriale, rappresentato nel caso di specie da tutte le aree ricomprese nel medesimo foglio 4 del N.C.E.U. in cui figurano le particelle interessate, con conseguente irrilevanza del solo dato numerico della distanza lineare tra i fondi medesimi, su cui, invece, sostanzialmente si concentrano le argomentazioni di parte ricorrente.
Ugualmente non appare determinante la circostanza che tra i terreni considerati vi siano strade e diversi lotti, alcuni dei quali edificati, dovendosi guardare alle caratteristiche dell’intero e più ampio ambito territoriale in cui l’area cedente e l’area ricevente sono inserite.
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Con ricorso notificato il 21.03.2013 e depositato il 29 dello stesso mese, le ricorrenti –proprietarie, ciascuna per i propri diritti, di un immobile sito nel Comune di Giardini di Naxos, via ... n. 67, consistente in un terreno distinto nel N.C.E.U. al foglio 4, particella 1622, su cui insiste un fabbricato per civile abitazione ove le stesse risiedono– impugnavano la concessione edilizia in epigrafe con cui il Comune resistente aveva autorizzato Vi. e Ca.Pa. a realizzare sul fabbricato già costruito a più riprese sul terreno di proprietà di quest’ultimi, distinto nel N.C.E.U. al foglio 4, particelle 1979, 1977 e 1975, confinante e fronteggiante quello delle ricorrenti, un ulteriore intervento volto all’esecuzione di “lavori di ampliamento in sopraelevazione”.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di impugnazione:
   1. Illegittimità della cessione/trasferimento di volumetria per violazione del principio di contiguità/vicinanza dei fondi; Eccesso di potere per errore dei presupposti; Violazione delle prescrizioni del P.R.G. del Comune di Giardini di Naxos in tema di densità edilizia fondiaria;
...
3. Passando, quindi, all’esame del merito della causa, il ricorso è infondato e non può, dunque, essere accolto.
Con il primo motivo di doglianza sostiene parte ricorrente che la distanza tra i due punti più vicini dell’area asservita e di quella asservente sarebbe pari a ben 128 metri lineari (in tal senso la relazione tecnica giurata a firma dell’ing. Fa., allegata al ricorso) e le aree medesime sarebbero separate da più strade e diversi lotti, alcuni liberi ed alcuni edificati, come da stralcio catastale (anch’esso in atti), con conseguente illegittimità della concessione impugnata, per mancata contiguità dei fondi interessati dalla cessione di cubatura.
Osserva al riguardo il Collegio come risulti dalla documentazione versata in atti non solo un’omogeneità urbanistica dell’area cedente e di quella ricevente, entrambe ricomprese nella medesima zona territoriale “B2” di cui al vigente P.R.G. del Comune di Giardini di Naxos (circostanza non contestata dalla ricorrente e, viepiù, avvalorata dallo stralcio di tale P.R.G. versato in atti), bensì un’uniformità in senso sostanziale dell’area territoriale nel cui ambito tali terreni si trovano, tale da far ritenere sussistente il requisito della contiguità dei fondi, di cui, invece, le ricorrenti lamentano il difetto.
La Sezione, conformemente ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha già avuto occasione di affermare come il concetto di contiguità non debba intendersi nel senso della adiacenza, ossia della mera continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate (in tal senso, sentenza n. 4113/2010), bensì come effettiva e significativa vicinanza e prossimità tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata, secondo una nozione di tale requisito che, in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, guarda non alla mera condizione fisica bensì giuridica dei fondi e, dunque, al loro inserimento in uno stesso contesto territoriale, rappresentato nel caso di specie da tutte le aree ricomprese nel medesimo foglio 4 del N.C.E.U. in cui figurano le particelle interessate, con conseguente irrilevanza del solo dato numerico della distanza lineare tra i fondi medesimi, su cui, invece, sostanzialmente si concentrano le argomentazioni di parte ricorrente.
Ugualmente non appare determinante la circostanza che tra i terreni considerati vi siano strade e diversi lotti, alcuni dei quali edificati, dovendosi guardare alle caratteristiche dell’intero e più ampio ambito territoriale in cui l’area cedente e l’area ricevente sono inserite.
Il Collegio -nel ritenere, dunque, che la legittimità della cessione di cubatura debba essere valutata caso per caso, in relazione alla realtà effettuale dei luoghi ed al carico di edificazione di detto ambito territoriale- è dell’avviso che nel caso di specie l’asservimento della potenzialità edificatoria delle particelle 1979, 1977 e 1975 alla particella 666 non alteri l’ordinato ed armonioso assetto dell’abitato, non risultando superato nei limiti massimi l’indice di densità territoriale da rapportarsi sia all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 26.03.2015 n. 885 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulle modalità di calcolo della volumetria residua di un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi.
Va precisato che “lotto urbanistico” e “lotto catastale” esprimono concetti diversi, sicché non sempre coincidono.
La locuzione "lotto" a ben vedere è impropriamente utilizzata per indicare una porzione di suolo catastalmente definita, non avendo nulla a che vedere con l'identificazione catastale di una o più particelle o mappali, essendo imperniata sulla fruibilità urbanistica del suolo e, pertanto, sulla omogeneità della destinazione urbanistica del terreno, che ben può essere composto da una pluralità di numeri di mappale o particelle catastali.
Il lotto edificabile integra, dunque, uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non contigui) e che viene individuato dagli strumenti urbanistici sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica.
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Circa la suscettività edificatoria del mappale, o più in generale di un’area frazionata in più parti e parzialmente costruita, è quella che residua dalla volumetria complessiva dell’area, detratta la volumetria dell’originaria costruzione.
Non rileva, quindi, ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, che l’unico fondo sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l’esistenza di più manufatti sul fondo originario prima del frazionamento, ove questo sia considerato unitariamente sotto l’aspetto urbanistico edilizio.
Ne consegue che un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento della domanda del nuovo permesso di costruire, dovendosi considerare, ai fini del calcolo della volumetria, non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
Va da sé che un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia ai fini della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni.
Diversamente, attraverso la mera operazione di frazionamento catastale del lotto urbanistico, si altererebbe la disciplina di piano e la potenzialità edificatoria attribuita ad una determinata area.
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15.- Ciò posto in fatto, va esaminata la questione delle modalità di calcolo della volumetria residua di un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi.
15.1- Va, innanzi tutto, precisato che “lotto urbanistico” e “lotto catastale” esprimono concetti diversi, sicché non sempre coincidono.
La locuzione "lotto" a ben vedere è impropriamente utilizzata per indicare una porzione di suolo catastalmente definita, non avendo nulla a che vedere con l'identificazione catastale di una o più particelle o mappali, essendo imperniata sulla fruibilità urbanistica del suolo e, pertanto, sulla omogeneità della destinazione urbanistica del terreno, che ben può essere composto da una pluralità di numeri di mappale o particelle catastali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 13.09.2013, n. 4531).
Il lotto edificabile integra, dunque, uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non contigui) e che viene individuato dagli strumenti urbanistici sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica.
Ne consegue l’indifferenza ai fini urbanistici del fatto che il mappale 223, qui in questione, sia lotto catastalmente autonomo perché scorporato dal mappale originario.
E’ rilevante, invece che il lotto urbanistico, come definito nel progetto del fabbricato a suo tempo approvato, è comprensivo anche del mappale 223.
Corollario di tali considerazioni è l’insensibilità del frazionamento catastale ai fini urbanistici e della suscettività edificatoria del mappale 223.
15.2- Fermo tanto, quanto alla suscettività edificatoria del mappale 223, o più in generale di un’area frazionata in più parti e parzialmente costruita, è quella che residua dalla volumetria complessiva dell’area, detratta la volumetria dell’originaria costruzione (Cons. Stato, sez. VI, n. 255 del 2008).
Non rileva, quindi, ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, che l’unico fondo sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l’esistenza di più manufatti sul fondo originario prima del frazionamento, ove questo sia considerato unitariamente sotto l’aspetto urbanistico edilizio.
Ne consegue che un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento della domanda del nuovo permesso di costruire, dovendosi considerare, ai fini del calcolo della volumetria, non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5039 del 2004; Cons. Stato, sez. V, n. 1074 del 2001).
Va da sé che un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia ai fini della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni.
Diversamente, attraverso la mera operazione di frazionamento catastale del lotto urbanistico, si altererebbe la disciplina di piano e la potenzialità edificatoria attribuita ad una determinata area.
15.3- L’applicazione di tali criteri ermeneutici comporta, per la fattispecie qui in esame, che la volumetria ancora utilizzabile è quella che residua dalla volumetria totale del lotto urbanistico nella sua consistenza originaria, determinata in base agli indici volumetrici vigenti al momento della domanda del nuovo permesso di costruire, detratta quella già esistente.
Ne consegue la correttezza del diniego dell’amministrazione comunale che più volte ha evidenziato agli interessati che l’intervento edilizio riguardava un lotto urbanistico unitario, parzialmente edificato, sicché tutti i parametri urbanistici andavano riferiti al lotto urbanistico, non rilevando il frazionamento catastale dell’area (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.03.2015 n. 1161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Un’area già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando le costruzioni su di essa esistenti, indipendentemente dall’epoca della relativa realizzazione, non esauriscano la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire.
Con la conseguenza che, al fine di verificare se residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, si deve considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura dell’edificazione preesistente, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa, frazionata o alienata separatamente.

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Anche le critiche sollevate col secondo motivo dei due appelli non persuadono.
Esaminando le più diffuse e articolate contestazioni della SCER, comprensive anche di quella esposta dal Comune, va prioritariamente considerata l’obiezione che giustamente la società aveva fatto riferimento alle p.lle 1050, 1051 e 1052 e non all’intero comparto.
Sul punto, si condivide pienamente quanto ritenuto dal Tar. Infatti, un’area già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando le costruzioni su di essa esistenti, indipendentemente dall’epoca della relativa realizzazione, non esauriscano la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire; con la conseguenza che, al fine di verificare se residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, si deve considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura dell’edificazione preesistente, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa, frazionata o alienata separatamente (CGARS, sentenza 19.11.2014 n. 629 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’indice di fabbricabilità territoriale “s’applica esclusivamente nel calcolo dei volumi, complessivamente realizzabili in una ben definita zona urbanistica, in sede di attuazione dello strumento urbanistico, laddove per il calcolo del volume, assentibile in relazione ad un ben individuato e specifico intervento edilizio, occorre rifarsi necessariamente all'indice di fabbricabilità fondiaria”.
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Quanto al calcolo della volumetria in concreto ammissibile il Consiglio di Stato ha da tempo affermato che:
   - “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione”, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa;
   - “allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari,… la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione”.
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Come chiarito dal Consiglio di Stato, dunque, non è possibile applicare l’indice di fabbricabilità fondiaria sulla sola porzione di fondo risultante dal frazionamento. Ma non è impedito alla proprietà utilizzare su tale porzione la volumetria che residua una volta decurtate le dimensioni della costruzione esistente e dei relativi standard.
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In relazione al primo motivo, questo Tribunale ha già avuto occasione di chiarire come l’indice di fabbricabilità territoriales’applichi esclusivamente nel calcolo dei volumi, complessivamente realizzabili in una ben definita zona urbanistica, in sede di attuazione dello strumento urbanistico, laddove per il calcolo del volume, assentibile in relazione ad un ben individuato e specifico intervento edilizio, occorre rifarsi necessariamente all'indice di fabbricabilità fondiaria” (sent. n. 1821/2013).
Sicché, sotto questo profilo, l’operato del Comune, in sede di rilascio dell’impugnato p.d.c., risulta corretto.
Quanto al calcolo della volumetria in concreto ammissibile, pure censurato dal ricorrente, il Consiglio di Stato ha da tempo affermato che:
   - “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione” (sez. V, sent. 12.07.2004, n. 5039), a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (id., sent. 28.02.2001, n. 1074);
   - “allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari,… la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione” (sez. IV, sent. 16.02.1987, n. 91).
Come chiarito dal Consiglio di Stato, dunque, non è possibile applicare l’indice di fabbricabilità fondiaria sulla sola porzione di fondo risultante dal frazionamento. Ma non è impedito alla proprietà utilizzare su tale porzione la volumetria che residua una volta decurtate le dimensioni della costruzione esistente e dei relativi standard. E di ciò ha tenuto conto il Comune nel rilasciare l’impugnato permesso di costruire.
Per fare maggior chiarezza, si precisa che nella fattispecie in esame la cubatura a disposizione degli odierni controinteressati non deriva da una variazione in melius dell’indice di fabbricazione, la quale certamente non avrebbe potuto riguardare aree già utilizzate a fini edificatori (così, Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 4134/2011); bensì risulta dalla applicazione alla medesima area, complessivamente considerata e fermi tutti i parametri normativi vigenti, dell’indice di fabbricabilità fondiaria anziché dell’indice di fabbricabilità territoriale (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 04.07.2014 n. 1194 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'asservimento dà luogo ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente, indipendentemente da quando esso si è verificato, a nulla valendo che, all’epoca di realizzazione del manufatto preesistente, non sussistesse ancora alcuna pianificazione urbanistica, ovvero un atto di volontà espresso o tacito che avesse posto a disposizione della costruzione di esso una zona di territorio.
La quantità di asservimento del terreno rimasto libero va infatti calcolata sulla base degli indici vigenti al momento del rilascio dell’ulteriore titolo edilizio, perché i limiti entro i quali un'area può essere edificata si riferiscono non all'edificazione ulteriore rispetto a quella esistente al momento dell'approvazione, ma all'edificazione complessivamente realizzabile sull'area; se così non fosse, si verificherebbe l'effetto perverso di consentire l'edificabilità di aree già impegnate da preesistenze, in contrasto con gli indici del piano urbanistico in vigore.
Quindi l'asservimento di un fondo, in caso di edificazione, costituisce una qualità oggettiva dello stesso, che continua a seguirlo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo posti in essere in epoca successiva ed il vincolo creato dall'asservimento per sua natura permane sul fondo ‘servente’ (nel senso che per il calcolo della sua edificabilità vanno computati i volumi comunque esistenti) a tempo indeterminato, pena la completa vanificazione delle previsioni urbanistiche (che ad un tempo complessivamente rilevano i volumi preesistenti e delimitano quelli che ad essi si possono aggiungere).
Quanto alla rilevanza della unicità o meno della proprietà del fondo su cui preesiste il manufatto, va osservato che, anche quando un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che eventualmente residua tenuto conto dell'originaria costruzione.
Pertanto, sia la vendita di una parte dell'originario unico fondo, così come il frazionamento di esso da parte dell'originario unico proprietario e la mancanza di specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento (o alla cessione di cubatura), sono irrilevanti ai fini dell'edificabilità delle aree libere, che –pur in assenza di titoli formali- devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a quelle assentite al momento del frazionamento, e cioè risultano edificabili solo entro l’eventuale surplus che deriva dal computo delle preesistenti volumetrie comunque realizzate.
Pertanto, nel caso di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria va calcolata sulla base anche di un'area ‘asservita’, ai fini edificatori deve essere considerata l'intera estensione interessata (nella specie il comparto edificatorio unitariamente considerato), con l'effetto che l'area asservita non è più edificabile anche se è stata oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui insistono i manufatti.
In definitiva, gli effetti derivanti dalla conformazione urbanistica (poiché i criteri legali di computo della volumetria, integrano una qualità oggettiva del terreno) hanno carattere definitivo ed irrevocabile ed evidenziano la già avvenuta utilizzazione delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con permanente dovere di tener conto di tale computo da parte di chiunque ne sia il proprietario.

Osserva in proposito il Collegio che il primo giudice ha rilevato che il fabbricato di 450 mc. circa, di cui il signor De Monaco è comproprietario (da lungo tempo insistente sull’area di cui la attuale appellante è proprietaria, di 14.767 mq.), non è stato considerato nel computo della volumetria utilizzabile, in base alla densità edilizia applicabile all’area ai sensi della normativa urbanistica vigente, ed ha ritenuto ininfluente l’epoca di realizzazione del manufatto, dovendosi considerare tutta la volumetria già realizzata sul lotto, a nulla valendo le vicende private connesse alla disponibilità dell’area interessata, stante la irrilevanza della vendita di parte del fondo su cui il manufatto era stato realizzato o del frazionamento dello stesso da parte dell’originario unico proprietario ai fini della edificabilità delle aree libere, da intendersi comunque asservite alla preesistente costruzione ivi realizzata.
Tale statuizioni del TAR vanno condivise, in primo luogo quanto alla irrilevanza dell’epoca di realizzazione del preesistente manufatto, considerato che l'asservimento dà luogo ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente, indipendentemente da quando esso si è verificato (Cons. Stato, adunanza plenaria 23.04.2009, n. 3; Consiglio di Stato, sez. V, 26.09.2013, n. 4757), a nulla valendo che, all’epoca di realizzazione del manufatto preesistente, non sussistesse ancora alcuna pianificazione urbanistica, ovvero un atto di volontà espresso o tacito che avesse posto a disposizione della costruzione di esso una zona di territorio.
La quantità di asservimento del terreno rimasto libero va infatti calcolata sulla base degli indici vigenti al momento del rilascio dell’ulteriore titolo edilizio, perché i limiti entro i quali un'area può essere edificata si riferiscono non all'edificazione ulteriore rispetto a quella esistente al momento dell'approvazione, ma all'edificazione complessivamente realizzabile sull'area; se così non fosse, si verificherebbe l'effetto perverso di consentire l'edificabilità di aree già impegnate da preesistenze, in contrasto con gli indici del piano urbanistico in vigore.
Quindi l'asservimento di un fondo, in caso di edificazione, costituisce una qualità oggettiva dello stesso, che continua a seguirlo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo posti in essere in epoca successiva (Consiglio Stato, sez. V, 30.03.1998, n. 387; sez. IV, 06.07.2010, n. 4333) ed il vincolo creato dall'asservimento per sua natura permane sul fondo ‘servente’ (nel senso che per il calcolo della sua edificabilità vanno computati i volumi comunque esistenti) a tempo indeterminato, pena la completa vanificazione delle previsioni urbanistiche (che ad un tempo complessivamente rilevano i volumi preesistenti e delimitano quelli che ad essi si possono aggiungere).
Quanto alla rilevanza della unicità o meno della proprietà del fondo su cui preesiste il manufatto, va osservato che, anche quando un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che eventualmente residua tenuto conto dell'originaria costruzione.
Pertanto, sia la vendita di una parte dell'originario unico fondo, così come il frazionamento di esso da parte dell'originario unico proprietario e la mancanza di specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento (o alla cessione di cubatura), sono irrilevanti ai fini dell'edificabilità delle aree libere, che –pur in assenza di titoli formali- devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a quelle assentite al momento del frazionamento, e cioè risultano edificabili solo entro l’eventuale surplus che deriva dal computo delle preesistenti volumetrie comunque realizzate.
Pertanto, nel caso di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria va calcolata sulla base anche di un'area ‘asservita’, ai fini edificatori deve essere considerata l'intera estensione interessata (nella specie il comparto edificatorio unitariamente considerato), con l'effetto che l'area asservita non è più edificabile anche se è stata oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui insistono i manufatti (Consiglio di Stato, sez. IV, 06.05.2013, n. 2442).
In definitiva, gli effetti derivanti dalla conformazione urbanistica (poiché i criteri legali di computo della volumetria, integrano una qualità oggettiva del terreno) hanno carattere definitivo ed irrevocabile ed evidenziano la già avvenuta utilizzazione delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con permanente dovere di tener conto di tale computo da parte di chiunque ne sia il proprietario (Cass. pen., sez. III, 21177/2009)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.06.2014 n. 3094 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACome è noto, l’asservimento di un fondo ad un altro, in caso di edificazione di quest’ultimo, provocando la perdita definitiva ed irrevocabile delle potenzialità edificatorie dell’area asservita, crea una relazione pertinenziale, che costituisce una qualità oggettiva del fondo asservito. Permanendo a tempo indeterminato, tale asservimento continua pertanto a seguire il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca successiva, essendo opponibile ai terzi e a chiunque ne sia il proprietario.
In definitiva, l’inedificabilità dell’area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo e produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento o che l’edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa. Con la conseguenza che non possono mai essere assentiti titoli edilizi in caso di esaurimento della volumetria assentibile.

Va, invero, al riguardo premesso che -come è noto (Cons. St., sez. V, 27.06.2011, n. 3823)- l’asservimento di un fondo ad un altro, in caso di edificazione di quest’ultimo, provocando la perdita definitiva ed irrevocabile delle potenzialità edificatorie dell’area asservita, crea una relazione pertinenziale, che costituisce una qualità oggettiva del fondo asservito. Permanendo a tempo indeterminato, tale asservimento continua pertanto a seguire il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca successiva, essendo opponibile ai terzi e a chiunque ne sia il proprietario.
In definitiva, l’inedificabilità dell’area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo e produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento o che l’edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa. Con la conseguenza che non possono mai essere assentiti titoli edilizi in caso di esaurimento della volumetria assentibile (cfr. TAR Salerno sez. I, 16.04.2013, n. 890, TAR Bari, sez. III, 09.01.2013, n. 11, e TAR Catanzaro, sez. I, 08.11.2012, n. 1064) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 13.05.2014 n. 223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Volumetria residua area edificabile frazionata.
Nel caso in cui un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.
Sotto il secondo profilo non può essere condivisa la tesi dell’IEEP secondo la quale la particella 134, distinta dalle altre porzioni risultanti dal frazionamento del lotto originario di estensione pari a 9243 mq, avrebbe una propria autonoma dotazione edificatoria indipendente da quella già espressa dalle altre particelle dell’originario compendio.
Se così fosse basterebbe frazionare i lotti già impegnati con la massima cubatura esprimibile per moltiplicare il carico urbanistico di zona ben oltre il limite consentito dagli indici di fabbricazione.
E’ infatti pacifico in giurisprudenza (TAR Lombardia Brescia, sez. I, 25.11.2011, n. 1629) che ove un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (giurisprudenza costante: Cons. St., sez. V, 28.05.2012, n. 3120 Cons. St., sez. IV, del 22.05.2012, n. 2941).
Ne consegue che il diniego adottato dal Comune di Bari è correttamente fondato sul presupposto che la particella 134, come parte di un più ampio lotto urbanisticamente unitario, in tal guisa considerato all’epoca delle precedenti concessioni edilizie, dovesse scontare la volumetria già realizzata (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 01.04.2014 n. 440 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ove un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.
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1.2 Sotto il secondo profilo non può essere condivisa la tesi dell’IEEP secondo la quale la particella 134, distinta dalle altre porzioni risultanti dal frazionamento del lotto originario di estensione pari a 9243 mq, avrebbe una propria autonoma dotazione edificatoria indipendente da quella già espressa dalle altre particelle dell’originario compendio.
Se così fosse basterebbe frazionare i lotti già impegnati con la massima cubatura esprimibile per moltiplicare il carico urbanistico di zona ben oltre il limite consentito dagli indici di fabbricazione.
E’ infatti pacifico in giurisprudenza (TAR Lombardia-Brescia, sez. I, 25.11.2011, n. 1629) che ove un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (giurisprudenza costante: Cons. St., sez. V, 28.05.2012, n. 3120 Cons. St., sez. IV, del 22.05.2012, n. 2941).
Ne consegue che il diniego adottato dal Comune di Bari è correttamente fondato sul presupposto che la particella 134, come parte di un più ampio lotto urbanisticamente unitario, in tal guisa considerato all’epoca delle precedenti concessioni edilizie, dovesse scontare la volumetria già realizzata (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 01.04.2014 n. 440 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'istituto del c.d."asservimento del terreno per scopi edificatori" (o cessione di cubatura) va sussunto nello schema del contratto atipico con effetti obbligatori che, senza oneri di forma pubblica o di trascrizione, è finalizzato al trasferimento di volumetria e che si perfeziona soltanto con il rilascio del necessario titolo abilitativo edilizio da parte del comune, in quanto l'effetto finale del trasferimento di cubatura avviene solo in conseguenza dell'emanazione del provvedimento amministrativo.
Ne deriva che l'accordo –con il quale una delle parti cede, parzialmente o per intero, la facoltà di edificare dal proprio terreno a quello appartenente all'altra parte, compreso nella stessa zona urbanistica, per permettere di richiedere e di ottenere una concessione per la costruzione di un immobile di volume maggiore di quello a cui avrebbe diritto (c.d. trasferimento di cubatura)– ha efficacia solo obbligatoria tra i suoi sottoscrittori, mentre il trasferimento di cubatura fra le parti e nei confronti dei terzi è determinato esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato che, a seguito della rinuncia all'utilizzazione della volumetria manifestata al comune dal cedente in adesione al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato a favore di quest'ultimo dall'ente pubblico.

Nel qualificare la fattispecie, la giurisprudenza rilevato come “… l'istituto del c.d."asservimento del terreno per scopi edificatori" (o cessione di cubatura) va sussunto nello schema del contratto atipico con effetti obbligatori che, senza oneri di forma pubblica o di trascrizione, è finalizzato al trasferimento di volumetria e che si perfeziona soltanto con il rilascio del necessario titolo abilitativo edilizio da parte del comune, in quanto l'effetto finale del trasferimento di cubatura avviene solo in conseguenza dell'emanazione del provvedimento amministrativo. Ne deriva che l'accordo –con il quale una delle parti cede, parzialmente o per intero, la facoltà di edificare dal proprio terreno a quello appartenente all'altra parte, compreso nella stessa zona urbanistica, per permettere di richiedere e di ottenere una concessione per la costruzione di un immobile di volume maggiore di quello a cui avrebbe diritto (c.d. trasferimento di cubatura)– ha efficacia solo obbligatoria tra i suoi sottoscrittori, mentre il trasferimento di cubatura fra le parti e nei confronti dei terzi è determinato esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato che, a seguito della rinuncia all'utilizzazione della volumetria manifestata al comune dal cedente in adesione al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato a favore di quest'ultimo dall'ente pubblico" (così, da ultimo, Tribunale Salerno, sez. riesame, 11/05/2012, nello stesso senso, Consiglio di Stato, sez. V, 28/06/2000, n. 3637)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 09.01.2014 n. 106 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATAL’asservimento, inteso come fattispecie negoziale atipica ad effetti obbligatori in base al quale un’area viene destinata a servire al computo di edificabilità di un altro fondo, dà vita ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente indipendentemente da quando questo asservimento è stato posto in essere.
L’asservimento, inteso come fattispecie negoziale atipica ad effetti obbligatori in base al quale un’area viene destinata a servire al computo di edificabilità di un altro fondo, dà vita ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente indipendentemente da quando questo asservimento è stato posto in essere (Cons. Stato, adunanza plenaria 23.04.2009, n. 3) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.09.2013 n. 4757 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla determinazione della volumetria residua di un'area già edificata.
Come più volte ribadito dalla Giurisprudenza <<il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata. Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione" >>, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
La giurisprudenza ha evidenziato che, allorché un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.
Pertanto, sia la vendita di una parte dell'originario unico fondo, così come il frazionamento del fondo da parte dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell'edificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a quelle assentite al momento del frazionamento.
Fin di recente, la Giurisprudenza ha ribadito che un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia agli effetti della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente , ai fini del rilascio di una seconda concessione nelle perdurante esistenza del primo edificio , irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà de terreni.
Ancora, nel determinare la preesistenza da dedurre, occorre fare riferimento a tutte le costruzioni, che comunque già insistono sull'area, ivi comprese quelle abusive (ovvero condonate) e non già solo a quelle assistite da titolo. Infatti, <<quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis dalla sua utilizzazione, a prescindere dal fatto che l'utilizzazione stessa sia "coperta" o meno da uno dei titoli all'uopo previsti dall'ordinamento, così come a prescindere dalla natura stessa -di verifica preventiva della conformità della realizzando costruzione agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina urbanistico/edilizia, ovvero in sanatoria- del titolo>>.
In conclusione, secondo la giurisprudenza un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
In altri termini, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua o la superficie coperta residua vanno calcolate previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
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La conclusione non muta nell'ipotesi in cui sia stato costruito abusivamente e la costruzione sia stata successivamente sanata.
In tal caso, la situazione alla quale far riferimento ai fini della valutazione dello sfruttamento o meno della volumetria dei vari lotti non è, come sostiene il ricorrente, quella al momento del rilascio della concessione edilizia in sanatoria (la qual cosa si presterebbe a facile elusione della disciplina urbanistica) bensì quella al momento della edificazione, allorquando la costruzione, per la rilevante cubatura, ha assorbito tutta la volumetria esprimibile dai lotti di terreno all’epoca appartenenti ad unico proprietario.
Non rileva neppure la circostanza che alcuni dei lotti non siano stati inseriti nella domanda di condono, avendo egualmente perduto in via permanente la volumetria al momento della costruzione.
Invero, nel determinare la preesistenza da dedurre occorre fare riferimento a tutte le costruzioni, che comunque già insistono sull’area, ivi comprese quelle abusive (ovvero condonate) e non già solo a quelle assistite da titolo. Infatti (come chiarito dalle decisioni sopra richiamate), quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo sull'area discende ope legis dalla sua utilizzazione, a prescindere dal fatto che l’utilizzazione stessa sia “coperta” o meno da uno dei titoli all’uopo previsti dall’ordinamento, così come a prescindere dalla natura stessa –di verifica preventiva della conformità della realizzanda costruzione agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina urbanistico/edilizia, ovvero successiva ed in sanatoria– del titolo.
Ed ancora, <<il successivo frazionamento della particella originaria non è idoneo a far ottenere una nuova potenzialità edificatoria ad una superficie allo scopo già utilizzata, sia pure con un immobile oggetto di istanza di condono che, comunque, “impegna” la volumetria assentibile sulla stessa area>>. Al riguardo, a nulla rileva che l’abuso edilizio, per il quale è stato richiesto il condono, riguardi una particella mentre il nuovo intervento che si vorrebbe realizzare sarà realizzato su altre particelle , peraltro formate per frazionamento della p.lla originaria.
D’altra parte, <<è pacifico che ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto parzialmente edificato occorra considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area. Tra tali costruzioni vanno dunque inserite anche quelle abusive, purché oggetto di una domanda di condono e dunque, almeno fino alla definizione di tale domanda in senso negativo, non sanzionabili con la demolizione: anche tali manufatti concorrono a determinare una saturazione dell’area, né sembra ragionevole escludere dalla volumetria assentibile quella già sfruttata, sia pure per mezzo di opere abusive successivamente condonate>>.
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In punto di diritto, vanno quindi richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza in termini di determinazione della volumetria residua di un'area già edificata.
Come più volte ribadito dalla Giurisprudenza (cfr. Cons. St., Sez. IV, 26.09.2008 n. 4647; sez. V, 28.05.2012, n. 3120; TAR Lombardia sez. I di Brescia, 25.11.2011 n. 1629; TAR Campania sez. II Napoli, 14.12.2012 n. 5209) <<il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata. Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione" (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039)>>, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (Cons. St., sez. V, 28.05.2012, n. 3120 e 28.02.2001 n. 1074).
La giurisprudenza (cfr. Cons. St. Sez. V, 27.06.2006 n. 4117, Sez. IV, 16.02.1987 n. 91) ha evidenziato che, allorché un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.
Pertanto, sia la vendita di una parte dell'originario unico fondo, così come il frazionamento del fondo da parte dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell'edificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a quelle assentite al momento del frazionamento (TAR Sardegna sez. II Cagliari, 19.05.2006 n. 996; TAR Abruzzo Pescara, 06.02.2006 n. 88; TAR Sicilia sez. I Catania, 01.04.2008 n. 547 e 28.04.2010 n. 1251).
Fin di recente, la Giurisprudenza ha ribadito che un'area edificabile , già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia agli effetti della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente , ai fini del rilascio di una seconda concessione nelle perdurante esistenza del primo edificio , irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà de terreni (Cons. Stato, sez. IV, 06.05.2013 e n. 2442 e Sez.V 10.02.2000 n. 749).
Ancora, nel determinare la preesistenza da dedurre, occorre fare riferimento a tutte le costruzioni, che comunque già insistono sull'area, ivi comprese quelle abusive (ovvero condonate) e non già solo a quelle assistite da titolo. Infatti, (cfr. Cons. St., Sez. IV, 12.05.2008 n. 2177) <<quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis dalla sua utilizzazione, a prescindere dal fatto che l'utilizzazione stessa sia "coperta" o meno da uno dei titoli all'uopo previsti dall'ordinamento, così come a prescindere dalla natura stessa -di verifica preventiva della conformità della realizzando costruzione agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina urbanistico/edilizia, ovvero in sanatoria- del titolo>>.
In conclusione, secondo la giurisprudenza un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 2941 del 22.05.2012, sez. V, 12.07.2004 n. 5039).
In altri termini, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua o la superficie coperta residua vanno calcolate previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
La conclusione non muta nell'ipotesi in cui sia stato costruito abusivamente e la costruzione sia stata successivamente sanata.
In tal caso, la situazione alla quale far riferimento ai fini della valutazione dello sfruttamento o meno della volumetria dei vari lotti non è, come sostiene il ricorrente, quella al momento del rilascio della concessione edilizia in sanatoria (la qual cosa si presterebbe a facile elusione della disciplina urbanistica) bensì quella al momento della edificazione, allorquando la costruzione, per la rilevante cubatura, ha assorbito tutta la volumetria esprimibile dai lotti di terreno all’epoca appartenenti ad unico proprietario.
Non rileva neppure la circostanza che alcuni dei lotti non siano stati inseriti nella domanda di condono, avendo egualmente perduto in via permanente la volumetria al momento della costruzione.
In tal senso, oltre la Giurisprudenza sopra richiamata, v. anche Tar Lombardia, Sez. I di Brescia, sentenza del 25.11.2011 n. 1629, secondo la quale nel determinare la preesistenza da dedurre occorre fare riferimento a tutte le costruzioni, che comunque già insistono sull’area, ivi comprese quelle abusive (ovvero condonate) e non già solo a quelle assistite da titolo. Infatti (come chiarito dalle decisioni sopra richiamate), quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo sull'area discende ope legis dalla sua utilizzazione, a prescindere dal fatto che l’utilizzazione stessa sia “coperta” o meno da uno dei titoli all’uopo previsti dall’ordinamento, così come a prescindere dalla natura stessa –di verifica preventiva della conformità della realizzanda costruzione agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina urbanistico/edilizia, ovvero successiva ed in sanatoria– del titolo.
Nello stesso senso TAR Campania, Sezione VII di Napoli, dec. n. 7042 del 19/05/2010, secondo il quale <<il successivo frazionamento della particella originaria non è idoneo a far ottenere una nuova potenzialità edificatoria ad una superficie allo scopo già utilizzata, sia pure con un immobile oggetto di istanza di condono che, comunque, “impegna” la volumetria assentibile sulla stessa area>>. Al riguardo, a nulla rileva che l’abuso edilizio, per il quale è stato richiesto il condono, riguardi una particella mentre il nuovo intervento che si vorrebbe realizzare sarà realizzato su altre particelle , peraltro formate per frazionamento della p.lla originaria.
D’altra parte, prosegue la richiamata decisione, <<è pacifico che ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto parzialmente edificato occorra considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area. Tra tali costruzioni vanno dunque inserite anche quelle abusive, purché oggetto di una domanda di condono e dunque, almeno fino alla definizione di tale domanda in senso negativo, non sanzionabili con la demolizione: anche tali manufatti concorrono a determinare una saturazione dell’area, né sembra ragionevole escludere dalla volumetria assentibile quella già sfruttata, sia pure per mezzo di opere abusive successivamente condonate (in termini, TAR Campania cit.)>>.
Conseguentemente, alla stregua dei predetti, condivisibili, orientamenti giurisprudenziali, il ricorso risulta infondato, poiché nel caso in questione ricorrono tutti i presupposti voluti dalla giurisprudenza (unico proprietario di più particelle autonomamente accatastate su alcune delle quali abbia eseguito costruzioni abusive le quali, per la rilevante cubatura, impegnino la volumetria di tutte le particelle catastali autonome) per ritenere definitivamente perduta la volumetria delle aree, interamente impegnate dalle costruzioni sanate (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 26.09.2013 n. 2296 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lotto edificabile e volumetria realizzabile: vicende dei terreni ininfluenti sulla concessione iniziale.
Un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di un permesso di costruire, agli effetti della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni o successivi frazionamenti. La volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata.
Il caso riguarda un diniego di un permesso di costruire per un edificio da adibire ad abitazione del custode di una villa situata in prossimità.
Il Comune nega il permesso ritenendo che la particella dove sarebbe dovuta essere ubicata l’abitazione del custode (part. 274) e quelle adiacenti su cui insiste la villa (part. 266 e 270) devono considerarsi unitariamente ai fini del calcolo della volumetria realizzabile.
Dovrebbero, in sostanza, considerarsi come un unico lotto edificabile, la cui volumetria è già stata a suo tempo esaurita dalla costruzione della villa sulle due particelle adiacenti (266 e 270), a cui la restante particella (274) risulta asservita ai fini volumetrici.
Il Consiglio di Stato si pronuncia per la legittimità del diniego dando utili indicazioni in materia di individuazione del lotto edificabile ai fini della volumetria disponibile.
Il lotto edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non contigui), individuandosi esclusivamente sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica.
Solo con il rilascio della concessione edilizia il lotto edificabile viene ad essere concretamente delimitato, con definizione delle potenzialità edificatorie del fondo, unitariamente considerato, e determinazione della cubatura ivi assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica.
È, quindi, irrilevante che l'area coincidente con il lotto edificabile delimitato dalla concessione edilizia sia successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, in quanto la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata.
Pertanto un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni.
Più specificatamente, nella ipotesi della realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, ai fini edificatori deve essere considerata l'intera estensione interessata, con l'effetto che anche l'area accorpata non è più edificabile anche se è oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui insistono i manufatti.
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LA DECISIONE IN SINTESI
Esiti del ricorso
Conferma TAR Toscana, Sezione III, n. 775/2001
Precedenti giurisprudenziali

Cons. Stato, Sez. V, 10.02.2000, n. 749; Cons. Stato, Sez. V, 07.11.2002 n. 6128, cit.; Sez. IV, 06.08.2012, n. 4482; TAR Puglia Bari Sez. III, 09.01.2013, n. 11
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.09.2013 n. 4531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl lotto edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non contigui), individuandosi esclusivamente sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica. Solo con il rilascio della concessione edilizia il lotto edificabile viene ad essere concretamente delimitato, con definizione delle potenzialità edificatorie di un fondo, unitariamente considerato, e determinazione della cubatura ivi assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica.
È, quindi, irrilevante che l'area coincidente con il lotto edificabile delimitato dalla concessione edilizia sia successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, in quanto la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata.
Pertanto un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni.
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Nella ipotesi della realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, ai fini edificatori deve essere considerata l'intera estensione interessata, con l'effetto che anche l'area accorpata non è più edificabile anche se è oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui insistono i manufatti.
L'istituto dell'asservimento, consistente nella volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore del loro sfruttamento in un'altra particella, serve ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo, in essa, della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria. Il presupposto logico dell'asservimento deve essere rinvenuto nella indifferenza, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia (come previsto negli atti pianificatori), della materiale collocazione dei fabbricati, atteso che, per il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando del tutto neutra l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto (fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti).

Osserva in via preliminare la Sezione che il lotto edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non contigui), individuandosi esclusivamente sulla base degli indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica. Solo con il rilascio della concessione edilizia il lotto edificabile viene ad essere concretamente delimitato, con definizione delle potenzialità edificatorie di un fondo, unitariamente considerato, e determinazione della cubatura ivi assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica.
È, quindi, irrilevante che l'area coincidente con il lotto edificabile delimitato dalla concessione edilizia sia successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, in quanto la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata.
Pertanto un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni (Cons. Stato, Sez. V, 10.02.2000, n. 749).
Più specificatamente, va rilevato che, nella ipotesi della realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata, ai fini edificatori deve essere considerata l'intera estensione interessata, con l'effetto che anche l'area accorpata non è più edificabile anche se è oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui insistono i manufatti (Cons. Stato, Sez. V, 07.11.2002 n. 6128 e 10.02.2000, n. 749, cit.; Sez. IV, 06.08.2012, n. 4482).
L'istituto dell'asservimento, consistente nella volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore del loro sfruttamento in un'altra particella, serve ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo, in essa, della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria. Il presupposto logico dell'asservimento deve essere rinvenuto nella indifferenza, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia (come previsto negli atti pianificatori), della materiale collocazione dei fabbricati, atteso che, per il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando del tutto neutra l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto (fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.09.2013 n. 4531 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATA: L'asservimento della volumetria da un lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima destinazione urbanistica, posto che diversamente si verificherebbe un'evidente alterazione delle caratteristiche tipologiche della zona tutelate dalle norme urbanistiche.
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Anche ove le aree tra le quali andrebbe operata la cessione di cubatura appartengano ad una stessa zona ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, la loro riconducibilità a sottozone diverse, contrassegnate da una diversità di regolamentazione, potrebbe ostare ad una valutazione di omogeneità.
Invero, questa interpretazione prospettata dal Comune è da condividere, le quante volte le diversità di disciplina riscontrabili tra le sottozone in giuoco abbiano un’apprezzabile incidenza sostanziale sulla destinazione di indirizzo dei rispettivi fondi, e possa dunque profilarsi quale effetto dell'asservimento un'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico, con un’alterazione delle caratteristiche tipologiche da questo tutelate.

Del resto, la giurisprudenza è consolidata sul principio per cui l'asservimento della volumetria da un lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima destinazione urbanistica, posto che diversamente si verificherebbe un'evidente alterazione delle caratteristiche tipologiche della zona tutelate dalle norme urbanistiche (Consiglio Stato sez. V, 11.04.1991, n. 530; v. peraltro, in precedenza, sez. IV, 04.05.1979, n. 302, che, dopo avere avvertito che l'asservimento di aree rispetto ad una licenza edilizia ha la funzione di concentrare su un'area, oltre alla volumetria propria di essa, anche quella spettante ad aree diverse appartenenti allo stesso o ad altri proprietari, aveva già chiarito che una simile possibilità è data solo nel rispetto delle norme disciplinanti l'attività edilizia sull'area a favore della quale viene operato l'asservimento, che trova un limite insuperabile nell'omogeneità dell'area da asservire rispetto a quella destinata all'edificazione, onde prevenire l'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico; sul requisito dell’omogeneità cfr. anche, più di recente, sez. V, 03.03.2003, n. 1172; 10.06.2005, n. 3052; 22.10.2007, n. 5496; sez. IV, 30.09.2008, n. 4708).
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La tesi di fondo di parte ricorrente è, infatti, quella che l’esistenza del requisito dell’omogeneità tra area ceduta ed area beneficiaria, vale a dire le due sottozone F2 ed F3, sarebbe assicurata già, una volta per tutte, dal fatto stesso della loro comune appartenenza alla zona agricola “F”.
Per contro, l’interpretazione seguita dall’Amministrazione, e convalidata dal primo Giudice, si ispira al più rigoroso ordine di idee per cui anche ove le aree tra le quali andrebbe operata la cessione di cubatura appartengano ad una stessa zona ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, la loro riconducibilità a sottozone diverse, contrassegnate da una diversità di regolamentazione, potrebbe ostare ad una valutazione di omogeneità.
La Sezione ritiene che questa seconda interpretazione, da essa già condivisa (decisione 22.10.2007, n. 5496), sia preferibile, le quante volte le diversità di disciplina riscontrabili tra le sottozone in giuoco abbiano, come nella specie, un’apprezzabile incidenza sostanziale sulla destinazione di indirizzo dei rispettivi fondi, e possa dunque profilarsi quale effetto dell'asservimento un'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico, con un’alterazione delle caratteristiche tipologiche da questo tutelate
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.04.2013 n. 2220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’inedificabilità dell’area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi acquirenti, e produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata trasferita ad altri, che l’edificazione sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento o che l’edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa.
Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale, di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di edificare, si rivelerebbero vani e privi di significato, in quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del territorio.
Se quindi, in linea generale, l’asservimento di una particella non può essere considerata un dato irrilevante, per il solo fatto che sia mutata la disciplina urbanistica di riferimento, dovendosi tenere conto della stessa, in sede di calcolo della volumetria realizzabile, ciò deve valere tanto più qualora, come nella specie, le disposizioni introdotte dal nuovo strumento urbanistico si pongano addirittura come meno favorevoli, nel fissare i parametri di calcolo della suddetta volumetria.
Soccorre, al riguardo, la precipua massima secondo la quale: “Se il proprietario di un immobile non ha realizzato tutta la volumetria consentita dagli indici edificatori e questi cambiano in pejus nel corso del tempo, il medesimo deve subirne le conseguenze, che consistono nel fatto che la quantità di asservimento del terreno rimasto libero verrà calcolata sulla base dei nuovi indici. Ciò in quanto i limiti entro cui un’area può essere edificata si riferiscono non all’edificazione ulteriore rispetto a quella esistente al momento dell’approvazione (dello strumento urbanistico), ma all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area. Se così non fosse, si verificherebbe l’effetto perverso di consentire l’edificabilità di aree già impegnate da preesistenze, in contrasto con gli indici di piano in vigore".
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La semplice modifica della pianificazione urbanistica vigente non è ex se in grado di cancellare gli asservimenti pregressi, in specie in assenza di espressa diversa previsione.
La situazione di “asservimento” si presenta come una caratteristica oggettiva dell’area da ricollegare alla sua utilizzazione edificatoria il cui contenuto consiste in un vincolo automatico dell’area stessa in relazione alla volumetria da essa espressa; detto vincolo, pertanto, si traduce in una servitù (di non edificabilità non in senso assoluto bensì relativo in quanto limitata e correlata alla volumetria consentita con la conseguenza che la modifica dell’indice edificabile, in senso migliorativo, consente al proprietario dell’area vincolata una maggiore utilizzazione indipendentemente dall’esplicita riserva dichiarata in atti, in ragione del principio di elasticità del diritto di proprietà, che riespande la propria area riappropriandosi “in toto” di ogni utilità riveniente e dell’ampiezza primitiva).
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In tema di diniego di una concessione edilizia, nel caso di asservimento di un fondo ad un altro, non rileva la circostanza che l’area in esame sia qualificata come edificabile dal piano regolatore, come attestato dal certificato di destinazione edilizia, in quanto la conformazione giuridica astratta impressa alla medesima in sede di pianificazione generale lascia impregiudicata l’esigenza di procedere ad una valutazione concreta delle potenzialità edificatorie ancora esprimibili dall’area in forza del computo della superficie e della cubatura dei fabbricati preesistenti.

Essa si scontra con l’indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire, espresso, da ultimo, nella massima che segue: “L’inedificabilità dell’area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi acquirenti, e produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata trasferita ad altri, che l’edificazione sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento o che l’edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa. Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale, di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di edificare, si rivelerebbero vani e privi di significato, in quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del territorio” (TAR Puglia–Bari – Sez. III, 09.01.2013, n. 11).
Se quindi in linea generale –conformemente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza citata– l’asservimento di una particella non può essere considerata un dato irrilevante, per il solo fatto che sia mutata la disciplina urbanistica di riferimento, dovendosi tenere conto della stessa, in sede di calcolo della volumetria realizzabile, ciò deve valere tanto più qualora, come nella specie, le disposizioni introdotte dal nuovo strumento urbanistico si pongano addirittura come meno favorevoli, nel fissare i parametri di calcolo della suddetta volumetria.
Soccorre, al riguardo, la precipua massima, citata nell’ordinanza cautelare della Sezione, secondo la quale: “Se il proprietario di un immobile non ha realizzato tutta la volumetria consentita dagli indici edificatori e questi cambiano in pejus nel corso del tempo, il medesimo deve subirne le conseguenze, che consistono nel fatto che la quantità di asservimento del terreno rimasto libero verrà calcolata sulla base dei nuovi indici. Ciò in quanto i limiti entro cui un’area può essere edificata si riferiscono non all’edificazione ulteriore rispetto a quella esistente al momento dell’approvazione (dello strumento urbanistico), ma all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area. Se così non fosse, si verificherebbe l’effetto perverso di consentire l’edificabilità di aree già impegnate da preesistenze, in contrasto con gli indici di piano in vigore” (TAR Veneto – Sez. I – 10.09.2004, n. 3263).
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La contraria tesi, espressa dal Comune nella memoria difensiva in atti, vale a dire che l’asservimento resterebbe efficace, “solo in costanza della strumentazione urbanistica vigente”, ovvero che il variare della strumentazione urbanistica comporterebbe automaticamente il travolgimento degli asservimenti, operati nel vigore della precedente, equivarrebbe in pratica a negare qualsivoglia efficacia, ad atti di tale specie, destinati ad essere spazzati via ad ogni mutamento della disciplina urbanistica di zona, con immaginabili gravissime conseguenze sulla possibilità per gli stessi di conseguire la loro specifica finalità, che è quella, evidentemente, di consentire un ordinato sviluppo del territorio.
Probabilmente, la tesi di cui sopra origina dal fraintendimento dell’indirizzo giurisprudenziale, espresso in massime come la seguente: “L’atto di asservimento di un lotto, che costituisce una qualità oggettiva dello stesso (una sorta di obbligazione “propter rem”) e realizza una specie particolare di relazione pertinenziale, non comporta un divieto assoluto di edificazione, pur costituendo un vincolo che rimane cristallizzato nel tempo, ma non può costituire limite rispetto alle determinazioni del pianificatore generale, che resta libero di dettare una nuova disciplina sulla volumetria e sulla capacità edificatoria. In tal senso, quindi, l’asservimento di un terreno per realizzare una costruzione non rende lo stesso definitivamente inedificabile anche per il futuro; la destinazione ed utilizzazione delle aree rappresenta, infatti, un dato dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel tempo l’indice fondiario, nonché la stessa previsione dei lotti minimi, per cui la potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua della modificazione della pianificazione urbanistica e della normativa sopravvenuta” (TAR Lazio–Roma – Sez. II, 10.09.2010, n. 32217).
Orbene, nella specie non si tratta per nulla di negare il principio, del tutto condivisibile, secondo il quale “la potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua della modificazione della pianificazione urbanistica e della normativa sopravvenuta”; si tratta piuttosto di sottolineare, come fa anche la decisione appena citata, che l’atto di asservimento costituisce, in ogni caso, “un vincolo che rimane cristallizzato nel tempo”, una “qualità oggettiva” del lotto, onde la potenzialità edificatoria del medesimo, valutata secondo gli indici sopravvenuti, non può assolutamente prescinderne (come vorrebbe invece la difesa del Comune).
Sicché quando –come nella specie– proprio applicando i nuovi indici, detta potenzialità edificatoria risulta definitivamente esaurita, non si può certo superare a piè pari l’ostacolo e affermare che l’asservimento precedente non ha più alcun rilievo.
In pratica, si tratta di prendere atto che i principi, vigenti in materia, non possono essere altri che quelli, secondo cui: “La semplice modifica della pianificazione urbanistica vigente non è ex se in grado di cancellare gli asservimenti pregressi, in specie in assenza di espressa diversa previsione” (TAR Liguria – Sez. I, 22.05.2006, n. 475); e: “La situazione di “asservimento” si presenta come una caratteristica oggettiva dell’area da ricollegare alla sua utilizzazione edificatoria il cui contenuto consiste in un vincolo automatico dell’area stessa in relazione alla volumetria da essa espressa; detto vincolo, pertanto, si traduce in una servitù (di non edificabilità non in senso assoluto bensì relativo in quanto limitata e correlata alla volumetria consentita con la conseguenza che la modifica dell’indice edificabile, in senso migliorativo, consente al proprietario dell’area vincolata una maggiore utilizzazione indipendentemente dall’esplicita riserva dichiarata in atti, in ragione del principio di elasticità del diritto di proprietà, che riespande la propria area riappropriandosi “in toto” di ogni utilità riveniente e dell’ampiezza primitiva)” (TAR Puglia–Bari – Sez. II, 16.06.1990, n. 279).
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Il secondo introduce, invece, la questione della diversa destinazione urbanistica dell’area, sulla quale insiste la particella in oggetto, per effetto dell’approvazione del P.R.G. di Baronissi, modificazione di disciplina urbanistica che avrebbe “di fatto superato tutti i vincoli sulla stessa gravanti, ivi compreso, in particolare, quello derivante dal predetto atto di asservimento, sottoscritto sotto la vigenza della precedente strumentazione urbanistica (P. di F.)”.
Quindi, secondo questa tesi, la modifica della strumentazione urbanistica comporterebbe, ipso iure, il travolgimento degli asservimenti, stipulati sotto la vigenza della precedente, riacquistando il lotto tutta intera la capacità edificatoria esprimibile secondo i nuovi indici, senza neppure la necessità di scomputare la volumetria già impegnata al momento della stipula dell’atto di asservimento in questione.
Essa, che si riduce in pratica a null’altro che ad una variante di quella, già esaminata sopra, non è accettabile, posto che altrimenti, come pure rilevato in precedenza, ogni modifica dell’assetto urbanistico sarebbe idonea a comportare una ridefinizione, in aumento, del carico edilizio gravante su una determinata area, con buona pace dell’ordinato governo del territorio, ed è, in ogni caso, sconfessata espressamente dalla massima che segue: “In tema di diniego di una concessione edilizia, nel caso di asservimento di un fondo ad un altro, non rileva la circostanza che l’area in esame sia qualificata come edificabile dal piano regolatore, come attestato dal certificato di destinazione edilizia, in quanto la conformazione giuridica astratta impressa alla medesima in sede di pianificazione generale lascia impregiudicata l’esigenza di procedere ad una valutazione concreta delle potenzialità edificatorie ancora esprimibili dall’area in forza del computo della superficie e della cubatura dei fabbricati preesistenti” (Consiglio di Stato – Sez. V – 27.06.2011, n. 3823)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 16.04.2013 n. 890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICANel caso in cui si tratti di asservire per la prima volta all’edificazione, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate –che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria– appare indiscussa la necessità del piano esecutivo (piano di lottizzazione o piano particolareggiato) dovendo essere rispettata la cadenza, in ordine successivo, dell’approvazione del piano regolatore generale e della realizzazione dello strumento urbanistico d’attuazione, al fine di garantisce una pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista urbanistico. Diversamente, l’integrità d’origine del territorio sarebbe sostanzialmente vulnerata.
Per contro, nei casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività –quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica, scuole, etc.– lo strumento urbanistico esecutivo non deve ritenersi più necessario.

Con riferimento al secondo motivo, volto a contestare la scelta dell’amministrazione di subordinare l’edificazione dell’area ad un precedente piano attuativo, ferma restando la natura discrezionale dell’atto pianificatorio, oggetto di impugnazione, il sindacato sulla ragionevolezza di tale scelta procede attraverso la rigorosa prova delle circostanze di fatto su cui la pianificazione urbanistica interviene.
Così, nel caso in cui si tratti di asservire per la prima volta all’edificazione, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate –che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria– appare indiscussa la necessità del piano esecutivo (piano di lottizzazione o piano particolareggiato) dovendo essere rispettata la cadenza, in ordine successivo, dell’approvazione del piano regolatore generale e della realizzazione dello strumento urbanistico d’attuazione, al fine di garantisce una pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista urbanistico. (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 20.05.1980 n. 18 e 06.12.1992 n. 12; V Sezione, 13.11.1990 n. 776; 06.04.1991 n. 446 e 07.01.1999 n. 1; TAR Campania, IV Sezione, 02.03.2000 n. 596). Diversamente, l’integrità d’origine del territorio sarebbe sostanzialmente vulnerata.
Per contro, nei casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività –quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica, scuole, etc.– lo strumento urbanistico esecutivo non deve ritenersi più necessario (cfr., per tutte, TAR Campania, IV Sezione, 06.06.2000 n. 1819).
Tuttavia, il Collegio ritiene che nel caso di specie il vizio denunciato non sia stato supportato da idonea documentazione probatoria, incombendo al ricorrente medesimo, che ciò non ha fatto, offrire almeno un principio di prova a sostegno dell’irragionevolezza della suddetta previsione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.03.2013 n. 779 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cessione di cubatura – Nozione – Effetti.
L’istituto del cd. asservimento di terreno per scopi edificatori (o cessione di cubatura) consiste in un accordo tra proprietari di aree contigue, aventi la medesima destinazione urbanistica, in forza del quale il proprietario di un'area "cede" una quota di cubatura edificabile sul suo fondo per permettere all'altro di disporre della minima estensione di terreno richiesta per l'edificazione, ovvero di realizzare una volumetria maggiore di quella consentita dalla superficie del fondo di sua proprietà.
E' circostanza indubbia in proposito che gli effetti che ne derivano hanno carattere definitivo ed irrevocabile, integrano una qualità oggettiva dei terreni e producono una minorazione permanente della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario.
Vincolo di asservimento – Costituzione – Possibilità edificatorie – Volumetria residua.

Il "vincolo di asservimento" si costituisce per effetto del rilascio del permesso di costruire cui esso è orientato, senza oneri di forma pubblica o di trascrizione, ed incide definitivamente sulla disciplina urbanistica ed edilizia delle aree interessate (cfr. Cons. Stato sez. 5 n. 3637/2000; Cass. civ. n. 1352/96 e n. 9081/98; Cass. pen. sez. 3 n. 21177/09), derivandone l'impossibilità di assentire e di richiedere ulteriori ed eccedenti realizzazioni di volumi costruttivi sul fondo asservito, per la parte in cui esso è rimasto privo della potenzialità edificatoria già utilizzata dal titolare del fondo in favore del quale ha avuto luogo l'asservimento (così testualmente Cass. penale da ultimo citata). Le possibilità edificatorie sull'area asservita sono dunque definitivamente perdute, per il semplice fatto che di esse si è già irreversibilmente disposto.
In altri termini, qualora una porzione di suolo sia stata in concreto utilizzata ai fini del computo della cubatura per l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere adoperata allo stesso scopo in futuro, neppure in caso di ulteriore frazionamento ed alienazione dell'area residua, altrimenti si consentirebbe al proprietario-frazionante che avesse già sfruttato la potenzialità edificatoria dell'area rimasta libera, di consentire ad un terzo, indebitamente, attraverso l'alienazione dell'area, un'ulteriore utilizzazione di quanto già da lui utilizzato.
La possibilità di ulteriore edificazione è però configurabile quando la costruzione già realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento dell'ulteriore richiesta di permesso di costruire (cfr. sul punto Cass. sez 4 n. 23230 del 22.04.2004) (TRIBUNALE di Salerno, sentenza 21.03.2013 n. 224 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimità diniego di concessione edilizia per edificio rurale e vincolo di inedificabilità.
La circostanza che il vincolo non sia stato trascritto e che non sia stato istituito il registro fondiario con i dati catastali dei terreni vincolati, non può essere utilmente allegata, in termini d’ignoranza della situazione giuridico-fattuale, dall’interessata, che ha partecipato ad un rogito notarile dal quale risultava con chiarezza l’unicità dell’originario compendio immobiliare e la preesistenza dell’edificio, a nulla rilevando l’assunto che esso fosse più o meno abitabile, e che è stato oggetto di successiva ristrutturazione in base a titolo edilizio che l’interessata non ha impugnato, pur non potendo né dovendo ignorare che la conservazione del manufatto, ancorché ristrutturato, assumeva valenza ostativa, per l’effetto d’asservimento dell’intera superficie fondiaria, ivi compreso il suolo da essa acquistato, al medesimo edificio, all’edificazione sul proprio suolo.

Orbene, la semplice lettura della suddetta determinazione dirigenziale consente di rilevare che il diniego del rilascio del permesso di costruire si fonda su una rinnovata valutazione che non soltanto richiama i rilievi già svolti nel diniego originario (l’essere il suolo della Viviani parte del più vasto compendio immobiliare originario sul quale insisteva, sui mappali n. 359, 360, 361 del foglio 2, preesistente fabbricato che esprimeva l’intera volumetria assentibile in relazione alla superficie del compendio, col conseguente asservimento della medesima all’edificio e il connesso vincolo di non edificabilità di cui all’art. 8 della legge regionale 05.03.1985, n. 24), sebbene anche sulla considerazione dell’art. 95, comma 2, del Regolamento edilizio comunale (che ricomprende nella superficie fondiaria asservita ai fabbricati esistenti alla data di entrata in vigore del P.R.G. approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. 4864 del 21.09.1982 tutte le aree scoperte di proprietà della stessa ditta contigua e quella su cui insiste il fabbricato), nonché sulla considerazione dei principi espressi appunto dalla sentenza della V Sezione n. 749 del 10.02.2000 (che sulla scorta di precedenti pronunce ha ribadito che “…un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni…(ossia che)… quando la volumetria edificabile per la intera area originaria sia stata utilizzata, a nulla vale perciò il suo successivo frazionamento”).
In altri termini l’Amministrazione comunale ha emanato nuovo diniego, non meramente confermativo di quello espresso con la determinazione dirigenziale n. 27428 del 21.12.2009 (impugnato col ricorso in primo grado n. 656/2000, respinto con la sentenza n. 1863 del 25.06.2008) e di quello successivo n. 32343 del 12.12.2001 (impugnato col ricorso in primo grado n. 491/2001, dichiarato inammissibile con la sentenza n. 1864 del 25.06.2008 in quanto considerato invece atto di mera conferma del precedente).
Ne consegue che dall’eventuale accoglimento degli appelli l’interessata non potrebbe conseguire alcuna utilità, poiché rimarrebbe comunque fermo il nuovo diniego che non risulta essere stato impugnato.
Ad abundantiam, deve osservarsi che, ancorché con motivazione assai più che sintetica, il giudice amministrativo veneto, nelle due sentenze impugnate ha dato conto, rispettivamente, della legittimità dell’originario diniego e della natura meramente confermativa, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione, della successiva nota dirigenziale.
La sig.ra Anna Viviani è intervenuta alla stipula di un unico rogito notarile (n. 66086 di repertorio, n. 7776 di raccolta) in data 24.07.1995, nel quale i proprietari originari dell’unico compendio immobiliare signori Angelo Menegotti e Silvana Righetti hanno proceduto al frazionamento e alla contestuale vendita del compendio in vari “lotti”, uno dei quali, corrispondente ai mappali n. 359, 360 e 361 del foglio 2) all’Impresa De Carli Aleandro di De Carli Gabriella S.a.s., sul quale insisteva, appunto, un fabbricato con terreno circostante, avendo l’interessata acquistato il terreno agricolo corrispondente al mappale n. 362 di foglio 2, e i signori Paolo Pietropaolo, Giovanni Scaramellini e Gianluigi Bottura, pro quota, un capannone con porzione di fabbricato rurale e area di pertinenza, corrispondente ai mappali 355, 356, 357, 358, 363, 364, 365. 366 e 367 di foglio 2.
Con specifico riferimento ai fabbricati rurali, poi, le parti venditrici hanno dichiarato e attestato che le relative opere di costruzione “…sono state iniziate in epoca anteriore al 01.09.1967”.
Orbene, l’art. 8, comma 2, della legge regionale 05.03.1985, n. 24 dispone, in modo testuale, che: “Le abitazioni esistenti in zona agricola alla data di entrata in vigore della presente legge estendono sul terreno dello stesso proprietario un vincolo di «non edificazione» fino a concorrenza della superficie fondiaria necessaria alla loro edificazione, ai sensi dell’art. 3, fatte salve le facoltà previste dall’art. 5”.
L’asservimento così imposto ex lege dell’intera superficie fondiaria al fabbricato esistente preclude l’ulteriore edificazione, ossia esclude che la suddetta superficie sia suscettibile di esprimere ulteriore volumetria.
La circostanza che il vincolo non sia stato trascritto, ai sensi del successivo comma 3, e che non sia stato istituito il registro fondiario con i dati catastali dei terreni vincolati, previsto dal comma 4, non può essere utilmente allegata, in termini d’ignoranza della situazione giuridico-fattuale, dall’interessata, che ha partecipato ad un rogito notarile dal quale risultava con chiarezza l’unicità dell’originario compendio immobiliare e la preesistenza dell’edificio, a nulla rilevando l’assunto che esso fosse più o meno abitabile, e che è stato oggetto di successiva ristrutturazione in base a titolo edilizio che l’interessata non ha impugnato, pur non potendo né dovendo ignorare che la conservazione del manufatto, ancorché ristrutturato, assumeva valenza ostativa, per l’effetto d’asservimento dell’intera superficie fondiaria, ivi compreso il suolo da essa acquistato, al medesimo edificio, all’edificazione sul proprio suolo (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.01.2013 n. 415 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: È stato nel tempo sempre affermato che l'inedificabilità dell'area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione ai fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi acquirenti, ed produce l'effetto d’impedirne l'ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà dell'area sia stata trasferita ad altri, che l'edificazione sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento o che l'edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa.
Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale, di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di edificare, si rileverebbero vani e privi di significato, in quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del territorio.
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2. Il ricorso è infondato.
La tesi che l'Amministrazione municipale sviluppa richiama il parere del Consiglio di Stato, Sezione terza, 28.04.2009 n. 9605, secondo il quale "qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento della volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’iper saturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo".
La società ricorrente oppone in concreto (in specie, con il primo motivo di gravame) che, se anche il precedente strumento urbanistico, sotto il cui vigore è stata rilasciata al signor Ca.Cu. la licenza edilizia del giorno 11.05.1971 riguardante l'originaria particella 31 del foglio 25, da cui (successivamente al nuovo piano) è stata stralciata l'attuale particella 1171, di proprietà della società ricorrente, avesse considerato tali terreni come "un lotto urbanisticamente unitario", tale situazione non è più riscontrabile nella disciplina del piano regolatore generale, approvato con deliberazione della Giunta regionale 21.11.1995 n. 5105, seguita dalla variante generale approvata con delibera regionale 31.01.2005 n. 561. La pratica edilizia controversa quindi, in definitiva, è assoggettata alla più recente strumentazione urbanistica e precisamente alla disciplina dell'articolo 4 delle norme tecniche di attuazione, con le relative numerazioni.
In particolare, per gli interventi di nuova edificazione (anche a seguito di demolizione) nella zona B, l'articolo 4.6 (primo paragrafo) definisce "Le aree libere residue… quelle tipizzate come zone B e edificate, che non siano asservite a edifici esistenti, come pertinenze dirette o come parte scoperta del lotto edificabile originario e che abbiano diretta comunicazione con una sede stradale pubblica".
Perciò, seguendo il ragionamento attoreo, si dovrebbe giungere alla conclusione che, in presenza delle vigenti norme tecniche che si limitano a fissare in 500 m² il lotto fondiario minimo e in assenza di qualsiasi atto che abbia asservito l’attuale particella 1171 alla costruzione realizzata in forza della licenza edilizia del 1971 (non riscontrabile né nella licenza edilizia né nell'atto di compravendita), nonché nella mancanza di norme di raccordo tra la precedente e l'attuale disciplina, la proprietà della società Le.Co. rappresenti un lotto autonomo suscettibile di edificazione sulla base dei parametri stabiliti dagli strumenti urbanistici attualmente in vigore nel comune di Modugno.
L'assunto però, come già rilevato dalla quarta Sezione del Consiglio di Stato in sede cautelare, contrasta con l'interpretazione costantemente data dalla giurisprudenza alla legislazione urbanistica.
È stato infatti nel tempo sempre affermato che l'inedificabilità dell'area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione ai fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi acquirenti, ed produce l'effetto d’impedirne l'ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà dell'area sia stata trasferita ad altri, che l'edificazione sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento o che l'edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.02.1987, n. 91; Sez. V, 25.11.1988, n. 744; 26.11.1994, n. 1382; Sez. IV, 06.09.1999, n. 1402; Sez. V, 10.02.2000, n. 749; 28.02.2001, n. 1074; 07.11.2002, n. 6128; 12.07.2004, n. 5039; Sez. IV, 31.01.2005, n. 217; Sez. V, 10.05.2005, n. 2328; 09.10.2007, n. 5232; Sez. IV, 26.09.2008, n. 4647; 20.07.2011, n. 4405; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 21.12.2009, n. 5750; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 27.09.2012, n. 1593).
D’altra parte, nella presente vicenda, in linea con i suddetti principi, il lotto su cui Le.Co. intende costruire non sembra integrare, neppure alla stregua l'articolo 4.6 delle N.T.A., una delle “aree libere residue”, visto che dal loro novero devono essere escluse quelle “asservite a edifici esistenti, …come parte scoperta del lotto edificabile originario”.
In effetti, diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale, di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di edificare, si rileverebbero vani e privi di significato, in quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del territorio (ex plurimis: Consiglio di Stato, Sezione IV, 29.01.2008 n. 255).
A tanto consegue l’infondatezza delle censure sub 1) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 09.01.2013 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATAL’asservimento in favore del fondo interessato dalla costruzione non implica alcun divieto di alienazione dei suoli asserviti ma soltanto l’utilizzo della capacità edificatoria espressa dalle relative particelle, che restano pertanto inedificabili anche in caso di successivo trasferimento a terzi.
Ritenuta la fondatezza anche del secondo motivo, diretto a contestare la sostanza della determinazione assunta dall’amministrazione, in quanto:
- l’asservimento in favore del fondo interessato dalla costruzione (particella 1318 del foglio 16) di vari terreni (tra i quali quello individuato in catasto con la particella n. 1109 del foglio 16, di 1823 mq.) –realizzato con atto d’obbligo redatto in forma pubblica (per notaio P. Aponte rep. 9560, raccolta 4113, del 03.04.2007, regolarmente trascritto il giorno seguente presso la competente Conservatoria dei Registri Immobiliari), ai sensi degli articoli 48 e 49 del regolamento edilizio comunale– non implica alcun divieto di alienazione dei suoli asserviti ma soltanto l’utilizzo della capacità edificatoria espressa dalle relative particelle, che restano pertanto inedificabili anche in caso di successivo trasferimento a terzi (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sezione II, 26.07.2012 n. 2097; TAR Campania, Napoli, Sezione II, 14.04.2006 n. 3611) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 29.12.2012 n. 5380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diritto di edificazione e saturazione della volumetria assentibile.
Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore intervenuti.

Si precisa al riguardo in linea di diritto che, in relazione al periodo anteriore all’adozione del (primo) piano regolatore generale nell’anno 1964, col quale per la prima volta nel territorio comunale sono stati introdotti indici di densità edilizia (territoriale e fondiaria), in assenza di limiti di volumetria non è configurabile un’ipotesi di asservimento in senso tecnico, ma appare astrattamente configurabile esclusivamente un vincolo di c.d. asservimento pertinenziale, connotata dalla destinazione dell’area non edificata del lotto a servizio dell’edificio realizzato (v. al riguardo, in fattispecie analoga, C.d.S., Ad. Plen., 23.04.2009, n. 3). E non v’è dubbio che, in difetto di altri elementi probatori, ai fini della ricognizione di un eventuale asservimento di siffatta natura possano assumere rilievo anche atti negoziali provenienti dagli stessi privati, nella specie evincibili dall’estratto tavolare acquisito al giudizio.
Ad ulteriormente suffragio dell’inferenza che conduce ad escludere l’esistenza di un vincolo di c.d. asservimento pertinenziale viene, altresì, in rilievo la dimensione delle superfici delle due aree, superando quella corrispondente alla p.ed. 3880 (asseritamente asservita, secondo la tesi del Comune) la superficie dell’area corrispondente alla p.ed. 2687, sicché –tenendo conto anche degli altri dati di fatto sopra rilevati, in particolare della radicale diversità di destinazione d’uso delle rispettive aree (agricola e rispettivamente commerciale la prima, residenziale la seconda), protrattasi per decenni– non si vede come la p.ed. 2687 possa essere qualificata come fondo principale ai fini del c.d. asserivmento pertinenziale.
Si aggiunga la sopra rilevata circostanza –enucleabile da un esame globale e onnicomprensivo della documentazione afferente al rilascio del titolo edilizio del 1955– che l’area corrispondente alla p.ed. 2687 vi era stata considerata quale lotto edificabile separato e a sé stante. Il titolo edilizio all’epoca rilasciato ha, cioè, interessato non già l’intera p.f. 2052/2, bensì la sola area corrispondente alla menzionata p.ed. 2687, talché l’area residua, corrispondente alla superficie dell’attuale p.ed. 3880, non costituisce “superficie pertinenziale” dell’edificio preesistente per gli effetti di cui all’art. 36, comma 4-bis l. urb. prov., peraltro ratione temporis non direttamente applicabile alla fattispecie sub iudice, essendo il citato comma stato aggiunto dall’art. 8, comma 2, l. prov. 02.07.2007, n. 3, e dunque in epoca successiva al qui impugnato provvedimento di diniego (il citato comma 4-bis testualmente recita: “Gli edifici esistenti vincolano le superfici pertinenziali, da dimostrare in base alla densità edilizia vigente all’atto della presentazione della domanda edilizia, a prescindere dalla data della loro realizzazione, dal successivo frazionamento del compendio immobiliare o dall’alienazione di parti dello stesso”).
La rilevata situazione di fatto e di diritto induce dunque a considerare l’attuale p.ed. 3880 quale lotto edificabile autonomo e a sé stante, ai fini dell’applicazione degli indici di fabbricabilità, senza che si possa tener conto del fabbricato eretto nel 1955 sulla area corrispondente all’attuale p.ed. 2678, in quanto ab origine insistente su diverso lotto edificabile.
La sopra esposta ricostruzione delle vicende relative all’immobile di cui è causa smentisce l’assunto dell’Amministrazione comunale, espresso nel parere della commissione edilizia del 12.01.2005 recepito nell’impugnato provvedimento di diniego, secondo cui, a fronte del frazionamento dell’originaria p.f. 2052/2 avvenuto in epoca connotata dall’assenza di uno strumento urbanistico che fissasse la densità edilizia (nel duplice aspetto di densità territoriale e di densità fondiaria), “(…) il fondo conservato attraverso frazionamento come area pertinenziale dell’edificio già concessionato non corrispondeva ad alcun criterio relazionale tra cubatura realizzata e superficie di pertinenza (…)”. Infatti, tale assunto presuppone un vincolo pertinenziale (della parte residua della p.f. 2052/2, a servizio della neoformata p.ed. 2687), per le esposte ragioni in realtà insussistente.
L’Amministrazione appellante, laddove (nella memoria del 27.08.2012) sostiene che “(…) il presupposto per l’individuazione di una zona di completamento è che la densità edilizia attribuita risulti sfruttata al 70% (…) laddove nel computo si inserisce tutto l’esistente (anche quello realizzato in epoca remota (…)”, sembra confondere la densità territoriale (riferita, cioè, a ciascuna zona omogenea, la quale definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare sulla zona intera) con la densità fondiaria (riferita, invece, alla singola area edificabile, la quale definisce il volume massimo assentibile su di essa, espressa dal c.d. indice di fabbricabilità), venendo nel caso di specie in rilievo solo quest’ultimo concetto, tenuto conto del tenore del primo motivo di diniego opposto all’istanza di concessione, incentrato sul superamento della volumetria assentibile in applicazione del vigente indice di fabbricabilità di 4 mc/mq per le zone di completamento.
Dalle superiori considerazioni deriva, altresì, l’inconferenza, con riguardo alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, dei precedenti di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, III, parere 28.04.2009, n. 965/2009; Cons. Stato, IV, 29.01.2008, n. 255; V, 12.07.2004, n. 5039), affermativi del principio che un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore intervenuti (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.12.2012 n. 6475 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACessione di cubatura.
In tema di cessione di cubatura, la efficacia della volontà del proprietario "cedente" costituisce, all'interno del procedimento amministrativo di rilascio del permesso di costruire, presupposto di tale provvedimento, così che il trasferimento di volumetria si realizza soltanto con il rilascio finale del titolo edilizio.
Peraltro, soltanto per effetto dei rilascio del provvedimento amministrativo si costituisce il ''vincolo di asservimento" che, senza oneri di forma pubblica o di trascrizione, incide definitivamente sulla disciplina urbanistica ed edilizia delle aree interessate, in quanto nel territorio comunale il titolo abilitativo edilizio crea un nuovo lotto di pertinenza urbanistica dell'edificio, che non coincide con i confini di proprietà ed ha una consistenza indipendente rispetto ai successivi interventi nelle aree medesime, derivandone l'impossibilità di assentire e di richiedere ulteriori ed eccedenti realizzazioni di volumi costruttivi sul fondo asservito, per la parte in cui esso è rimasto privo della potenzialità edificatoria già utilizzata dal titolare del fondo in favore del quale ha avuto luogo l'asservimento (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.10.2012 n. 40111 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA:  Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire.
Al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area, residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, si deve, pertanto, considerare non solo la superficie libera e il volume a essa corrispondente ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, anche se eseguito senza il prescritto titolo, a nulla rilevando che quest’ultimo possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa, frazionata o alienata separatamente.
Tale condizione, in quanto volta a tenere fermo il rapporto espresso dall’indice di edificabilità fondiaria e a consentire il raffronto fra volumi edificati ed edificabili (altrimenti sarebbero eluse le prescrizioni relative alla densità edilizia), inerisce obiettivamente al fondo medesimo: il che significa che è opponibile ai successivi acquirenti ed è valida anche in assenza del convenzionamento degli atti d’impegno.
Infatti, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità: è, pertanto, conformato anche da tali indici.
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La circostanza dell’epoca di realizzazione dei manufatti, in sede di computo della volumetria complessiva insediata in un’area ai fini del rispetto degli standards vigenti, è del tutto ininfluente, dovendosi considerare, senza alcuna distinzione, tutta la volumetria già edificata nell’ambito della zona.
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È legittimo il diniego di un permesso di costruire in caso di esaurimento della volumetria assentibile poiché la realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata ha come effetto quella di considerare l’intera estensione interessata come utilizzata ai fini edificatori; pertanto, anche l’area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall’area su cui insiste il manufatto.
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V. Il ricorso è infondato.
V.1. Il provvedimento di diniego è motivato come segue: “l’area di intervento risulta derivare per frazionamento dall’area di pertinenza di un fabbricato di antica costruzione, il cui volume non è stato tenuto in conto nella determinazione della capacità edificatoria del suolo, come espressamente richiesto dall’art. 22 delle NTA del PRG, e il fabbricato che si chiede di realizzare sviluppa un volume pari alla capacità edificatoria dell’intera area”.
In particolare, l’originaria particella n. 273 (oggi nn. 1446, 273 sub 3, 1115 e 1116) risultava già edificata nel 1951 nonché oggetto di successivo progetto di ampliamento, approvato dall’Amministrazione comunale in data 11.07.1958, con rilascio della relativa licenza (“Villa Pia”).
V.2. Si premette in diritto che:
   - Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire. Al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area, residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, si deve, pertanto, considerare non solo la superficie libera e il volume a essa corrispondente ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, anche se eseguito senza il prescritto titolo, a nulla rilevando che quest’ultimo possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa, frazionata o alienata separatamente (TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 21.12.2009, n. 5750; Consiglio di Stato, IV, 26.09.2008, n. 4647).
Tale condizione, in quanto volta a tenere fermo il rapporto espresso dall’indice di edificabilità fondiaria e a consentire il raffronto fra volumi edificati ed edificabili (altrimenti sarebbero eluse le prescrizioni relative alla densità edilizia), inerisce obiettivamente al fondo medesimo: il che significa che è opponibile ai successivi acquirenti ed è valida anche in assenza del convenzionamento degli atti d’impegno.
Infatti, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità: è, pertanto, conformato anche da tali indici.
   - La circostanza dell’epoca di realizzazione dei manufatti, in sede di computo della volumetria complessiva insediata in un’area ai fini del rispetto degli standards vigenti, è del tutto ininfluente, dovendosi considerare, senza alcuna distinzione, tutta la volumetria già edificata nell’ambito della zona (TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 24.01.2008, n. 10).
   - È, pertanto, legittimo il diniego di un permesso di costruire in caso di esaurimento della volumetria assentibile poiché la realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata ha come effetto quella di considerare l’intera estensione interessata come utilizzata ai fini edificatori; pertanto, anche l’area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall’area su cui insiste il manufatto (Consiglio di Stato, sez. IV, 09.07.2011, n. 4134).
   - L’enunciazione dei suddetti principi espressa negli artt. 22 e 23 delle NTA del Prg di Nardò nulla aggiunge al già consolidato indirizzo giurisprudenziale né, in assenza di specifici limiti temporali, ne impone l’applicazione solo successivamente all’adozione del correlato PRG; peraltro, quanto all’applicabilità, l’ultimo frazionamento dell’originario lotto, del 2010, è successivo all’adozione del citato strumento urbanistico generale (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 27.09.2012 n. 1593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'asservimento prevale sulle successive scelte urbanistiche.
a) l'asservimento della capacità edificatoria di un fondo a favore di un altro (cd. cessione di cubatura) ha natura reale ed è opponibile ai terzi a prescindere dalla trascrizione e dalla certificazione urbanistica;
b) il successivo frazionamento dell'area asservita non travolge l'asservimento;
c) l'asservimento è una condizione del fondo che permane anche se in seguito mutano le destinazioni di zona.
Secondo l'ultimo dei principi riportati, in pratica, qualsiasi asservimento di cubatura tra fondi (anche se non trascritto né indicato nel certificato di destinazione urbanistica), è idoneo di fatto a paralizzare la successiva potestà pianificatoria comunale, anche nel caso in cui questa dovesse ampliare la capacità edificatoria generale della zona ove l'area asservita è azzonata.
Venendo al merito della vicenda, possono essere agevolmente risolte mediante il mero richiamo ai precedenti di questo Consiglio le questioni della mancata menzione del vincolo nel certificato urbanistico e quella dell’incidenza del successivo frazionamento sulle sorti del vincolo.
Sul primo versante si è già chiarito che quanto attestato dal certificato di destinazione edilizia sulla base della conformazione giuridica astratta impressa in sede di pianificazione generale non vale ad obliterare l'esigenza di procedere ad una valutazione concreta delle potenzialità edificatorie ancora esprimibili dall'area in forza del computo della cubatura ceduta (Sez. V, 27.06.2011, n. 3823); sul secondo, che il frazionamento catastale dell’area asservita non incide sul pregresso asservimento (Sez. IV, 26.09.2008, n. 4647; 20.07.2011, n. 4405; 09.07.2011, n. 4134;)
Maggiore approfondimento necessita la diversa ed ulteriore questione del rapporto tra asservimento e successiva strumentazione urbanistica. Invero anche in relazione a tale aspetto si è privilegiata la natura reale e definitiva del vincolo inedificandi con conseguente cristallizzazione della situazione tracciata dalle parti nel titolo abilitativo “maggiorato” rilasciato dall’amministrazione, ed inedificabilità assoluta dell’area asservita, pur a fronte di sopravvenienze urbanistiche più favorevoli (da ultimo, in termini netti, Sez. IV 20.07.2011, n. 4405; 09.07.2011, n. 4134)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza IV, sentenza 29.08.2012 n. 4643 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lotto minimo e asservimento del fondo contiguo.
Due lotti confinanti che fanno capo a due proprietà distinte e ciascuno di consistenza inferiore a lotto minimo d’intervento edilizio, si pongono, invero, in una relazione di asservimento reciproco, per cui una sola delle suddette proprietà può integrare la dotazione minima richiesta grazie all’asservimento del fondo contiguo. Un solo lotto, grazie all’asservimento dell’altro, può ottenere il titolo aedificandum, non potendosi configurare una edificazione che interessi entrambe le aree con due costruzioni insistenti su lotti ascrivibili a distinte proprietà.
Se così non fosse ci si potrebbe trovare di fronte ad un vero e proprio escamotage, in cui più proprietari di aree distinte, con le “modalità” dell’accorpamento, aggirerebbero l’ostacolo della dotazione minima di ciascun lotto per poter ivi essere consentita l’edificazione.

La problematica è costituita dal fatto che vi sono due lotti confinanti, che fanno capo a due proprietà distinte e ciascuno dei quali di consistenza inferiore alla superficie di 700 mq (lotto minimo d’intervento edilizio) .Detti lotti si pongono, invero, in una relazione di asservimento reciproco, di guisa che una sola delle suddette proprietà può integrare la dotazione minima richiesta grazie all’asservimento del fondo contiguo.
In relazione alle caratteristiche tipologiche delle aree in questione come sopra descritte, un solo lotto, grazie all’asservimento dell’altro, può ottenere il titolo aedificandum, non potendosi configurare una edificazione che interessi entrambe le aree con due costruzioni insistenti su lotti ascrivibili a distinte proprietà.
Parte appellante sostiene che nella specie si sarebbe verificato solo l’accorpamento di due lotti edificabili in un solo lotto, ma ciò non è possibile dal momento che le aree sono urbanisticamente distinte, potendo avvenire l’unificazione invocata solo ove si fosse in presenza di un unico bene assoggettate al regime giuridico di un’unica, indivisa proprietà, il che non è.
Se così non fosse ci si potrebbe trovare di fronte ad un vero e proprio escamotage, in cui più proprietari di aree distinte, con le “modalità” dell’accorpamento, aggirerebbero l’ostacolo della dotazione minima di ciascun lotto per poter ivi essere consentita l’edificazione.
I due fondi messi insieme hanno capacità edificatoria sufficiente per un solo intervento insistente su uno dei due lotti (di uno o dell’altro proprietario) e questo perché una delle due aree reciprocamente asservite ha “caricato” l’altra della superficie minima necessaria, con la conseguenza che, una volta stabilita ed effettuata l’operazione di asservimento, non residua per il lotto asservito la potenzialità edificatoria sufficiente a realizzare su di esso un altro fabbricato, avendo appunto esaurito, con l’asservimento, la capacità di edificazione (Cons. Stato Sez. V 10.02.2000 n. 749; idem 07.11.2002 n. 6128) 
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.08.2012 n. 4482 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’istituto dell’asservimento si è formato dopo l’entrata in vigore del d.m. 02.04.1968, che ha fissato gli standards di edificabilità delle aree e ha introdotto una organica regolamentazione della densità edilizia (territoriale e fondiaria).
La nozione di densità costituisce il parametro di riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad asservimento; la densità territoriale, in particolare, è riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare sulla stessa, con la conseguenza che il relativo indice è rapportato sia all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni.
Né può dubitarsi che qualsiasi costruzione, anche se eretta senza il prescritto titolo, concorra al computo complessivo della densità territoriale.
L'asservimento di particelle contigue a quella sulla quale viene posizionato il progetto per la realizzazione di un intervento edilizio nasce da una pratica assai diffusa, che ha da sempre avuto l'avallo della dottrina e della giurisprudenza che vi hanno ravvisato uno strumento legittimo per consentire lo sfruttamento di tutta la potenzialità edificatoria delle aree a disposizione di chi intende realizzare tale intervento, con il quale, di solito, si pone rimedio all'infelice esposizione ovvero alla ridotta dimensione, dell'area di progetto.
Con l'asservimento le aree asservite perdono, in tutto o in parte, ma definitivamente, la loro attitudine edificatoria in favore della particella di progetto, e a tale effetto è richiesto, normalmente, che il proprietario del compendio interessato, debba sottoscrivere un atto d'obbligo ovvero una dichiarazione formale, con il quale, nei riguardi del Comune, s'impegna per sé e per i propri aventi causa a non utilizzare, in seguito, a fini edificatori, le particelle asservite di cui ha, insieme alla particella di progetto, la proprietà o comunque la disponibilità giuridica.
Tuttavia, ad onta della diffusione della suddetta pratica edilizia, rimangono tutt’ora incerti i profili che caratterizzano l’atto costitutivo di tale vincolo, il che sovente rende problematica la sua effettiva individuazione.
In proposito, la giurisprudenza della Corte di cassazione, seguendo un indirizzo dottrinario, ha segnalato ripetutamente che "la cessione di cubatura da parte del proprietario del fondo confinante, onde consentire il rilascio della concessione a costruire nel rispetto del rapporto area-volume, non necessita di atto negoziale ad effetti obbligatori o reali, essendo sufficiente l'adesione del cedente, che può esser manifestata o sottoscrivendo l'istanza e/o il progetto del cessionario; o rinunciando alla propria cubatura a favore di questi o notificando al comune tale sua volontà, mentre il c.d. vincolo di asservimento rispettivamente a carico e a favore del fondo si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo, sì che nessun risarcimento è dovuto al cedente”.
La ricostruzione più attendibile della fattispecie, dunque, è quella di un contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato al trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il provvedimento amministrativo.
Anche la giurisprudenza amministrativa è propensa a ritenere il c.d. contratto di asservimento ben può costituire il presupposto del rilascio di una concessione edilizia che tenga conto del trasferimento di volumetria e che per il trasferimento della volumetria non sono necessarie forme particolari.

... per l'annullamento:
● quanto al ricorso principale, dell’ordinanza ingiunzione del 29.06.2010, prot. 23766, di demolizione e messa in pristino delle opere edilizie eseguite con variazioni essenziali dai titoli edilizi e di ogni atto conseguente e connesso;
● quanto ai motivi aggiunti, della nota del 18.02.2011, prot. 6315 di diniego all’istanza di riesame dell’ordine di demolizione del 29.06.2010.
...
Il ricorso è fondato.
Infatti, l’ordinanza impugnata appare viziata da eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Si consideri, preliminarmente che, l’istituto dell’asservimento si è formato dopo l’entrata in vigore del decreto ministeriale 02.04.1968, che ha fissato gli standards di edificabilità delle aree e ha introdotto una organica regolamentazione della densità edilizia (territoriale e fondiaria).
La nozione di densità costituisce il parametro di riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad asservimento; la densità territoriale, in particolare, è riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare sulla stessa, con la conseguenza che il relativo indice è rapportato sia all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni (C.D.S. Ad. Pl. n. 3 del 23.04.2009).
Né può dubitarsi che qualsiasi costruzione, anche se eretta senza il prescritto titolo, concorra al computo complessivo della densità territoriale (C.d.S., IV, 26.09.2008, n. 4647; IV, 29.07.2008, n. 3766; IV, 12.05.2008, n. 2177; IV, 11.12.2007, n. 6346; V, 27.06.2006, n. 4117; V, 12.07.2005, n. 3777: V, 12.07.2004, n. 5039; IV, 06.09.1999, n. 1402).
Ora è utile osservare in termini generali che l'asservimento di particelle contigue a quella sulla quale viene posizionato il progetto per la realizzazione di un intervento edilizio nasce da una pratica assai diffusa, che ha da sempre avuto l'avallo della dottrina e della giurisprudenza (v. Corte Cass, Sez. II, n. 9081 del 12.09.1998) che vi hanno ravvisato uno strumento legittimo per consentire lo sfruttamento di tutta la potenzialità edificatoria delle aree a disposizione di chi intende realizzare tale intervento, con il quale, di solito, si pone rimedio all'infelice esposizione ovvero alla ridotta dimensione, dell'area di progetto.
Con l'asservimento le aree asservite perdono, in tutto o in parte, ma definitivamente, la loro attitudine edificatoria in favore della particella di progetto, e a tale effetto è richiesto, normalmente, che il proprietario del compendio interessato, debba sottoscrivere un atto d'obbligo ovvero una dichiarazione formale, con il quale, nei riguardi del Comune, s'impegna per sé e per i propri aventi causa a non utilizzare, in seguito, a fini edificatori, le particelle asservite di cui ha, insieme alla particella di progetto, la proprietà o comunque la disponibilità giuridica.
Tuttavia, ad onta della diffusione della suddetta pratica edilizia, rimangono tutt’ora incerti i profili che caratterizzano l’atto costitutivo di tale vincolo, il che sovente rende problematica la sua effettiva individuazione.
In proposito, la giurisprudenza della Corte di cassazione, seguendo un indirizzo dottrinario, ha segnalato ripetutamente che "la cessione di cubatura da parte del proprietario del fondo confinante, onde consentire il rilascio della concessione a costruire nel rispetto del rapporto area-volume, non necessita di atto negoziale ad effetti obbligatori o reali, essendo sufficiente l'adesione del cedente, che può esser manifestata o sottoscrivendo l'istanza e/o il progetto del cessionario; o rinunciando alla propria cubatura a favore di questi o notificando al comune tale sua volontà, mentre il c.d. vincolo di asservimento rispettivamente a carico e a favore del fondo si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo, sì che nessun risarcimento è dovuto al cedente” (Cass., 12.09.1998, n. 9081; in senso conforme, 22.02.1996, n. 1352; 29.06.1981, n. 4245).
La ricostruzione più attendibile della fattispecie, dunque, è quella di un contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato al trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il provvedimento amministrativo.
Anche la giurisprudenza amministrativa è propensa a ritenere il c.d. contratto di asservimento ben può costituire il presupposto del rilascio di una concessione edilizia che tenga conto del trasferimento di volumetria e che per il trasferimento della volumetria non sono necessarie forme particolari (C.D.S., sez. V, 26.11.1994, n. 1382; C.D.S., sez. V, 04.01.1993, n. 26) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.07.2012 n. 2097 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un'area è suscettibile di ulteriore edificazione soltanto nel caso in cui la costruzione già realizzata non esaurisca la volumetria già consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore concessione edilizia.
Il calcolo della volumetria realizzabile su di un lotto edificabile deve essere operato detraendo dalla cubatura richiesta quella relativa al fabbricato preesistente, in modo da determinare se residui un'ulteriore volumetria assentibile, a nulla rilevando il fatto che questa possa insistere su particelle che erano catastalmente divise.
E' stato significativamente sottolineato che il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità, con la conseguenza che esso è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata; con la conseguenza che un'area edificatoria, già utilizzata a fini edilizi, è suscettibile di ulteriore edificazione, solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
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Qualora la normativa urbanistica imponga limiti di volumetria, il relativo vincolo sull'area discende ope legis senza necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d'obbligo, trascrizione, ecc.), che devono invece sussistere quando il proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria maggiore di quella che il suo solo terreno gli consentirebbe, oppure quando siffatto asservimento sia, per così dire, reciproco, nel senso che i proprietari di più terreni li asservano unitariamente alla realizzazione di un unico progetto, ai fini del quale i rispettivi lotti perdono, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la loro individualità (ipotesi nelle quali il vincolo rimane cristallizzato nel tempo, senza che tuttavia possa costituire limite rispetto alle determinazioni del pianificatore generale, che resta libero di dettare una nuova disciplina dell'indice volumetrico relativamente alla zona alla quale l'area si riferisce).
Aanche l’Adunanza Plenaria ha sottolineato che dal provvedimento edilizio abilitativo, il cui rilascio definisce le potenzialità edificatorie di un fondo, determinandone anche la cubatura assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica, sorge un vincolo di asservimento per cui, una volta esaurite le predette potenzialità, le restanti parti del fondo sono sottoposte ad un regime di inedificabilità che discende "ope legis" dall'utilizzazione del fondo medesimo.

La giurisprudenza ha più volte rilevato che un'area è suscettibile di ulteriore edificazione soltanto nel caso in cui la costruzione già realizzata non esaurisca la volumetria già consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore concessione edilizia (sez. V, 26.11.1994, n. 1382; 07.11.1990, n. 766; 23.02.1973, n. 178).
E’ stato anche precisato che il calcolo della volumetria realizzabile su di un lotto edificabile deve essere operato detraendo dalla cubatura richiesta quella relativa al fabbricato preesistente, in modo da determinare se residui un'ulteriore volumetria assentibile, a nulla rilevando il fatto che questa possa insistere su particelle che erano catastalmente divise (sez. V, 26.09.2008, n. 4647; 12.05.2008, n. 2177; 23.08.2005, n. 4385; 29.06.1979, n. 442); è stato significativamente sottolineato che il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità, con la conseguenza che esso è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata; con la conseguenza che un'area edificatoria, già utilizzata a fini edilizi, è suscettibile di ulteriore edificazione, solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (C.d.S., sez. V, 27.06.2006, n. 4117; 12.07.2005, n. 3777; 12.07.2004, n. 5039).
Sotto altro concorrente profilo, è stato osservato (C.d.S., sez. IV, 29.07.2008, n. 3766) che qualora la normativa urbanistica imponga limiti di volumetria, il relativo vincolo sull'area discende ope legis senza necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d'obbligo, trascrizione, ecc.), che devono invece sussistere quando il proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria maggiore di quella che il suo solo terreno gli consentirebbe, oppure quando siffatto asservimento sia, per così dire, reciproco, nel senso che i proprietari di più terreni li asservano unitariamente alla realizzazione di un unico progetto, ai fini del quale i rispettivi lotti perdono, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la loro individualità (ipotesi nelle quali il vincolo rimane cristallizzato nel tempo, senza che tuttavia possa costituire limite rispetto alle determinazioni del pianificatore generale, che resta libero di dettare una nuova disciplina dell'indice volumetrico relativamente alla zona alla quale l'area si riferisce); anche l’Adunanza Plenaria (23.04.2009, n. 3) ha sottolineato che dal provvedimento edilizio abilitativo, il cui rilascio definisce le potenzialità edificatorie di un fondo, determinandone anche la cubatura assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica, sorge un vincolo di asservimento per cui, una volta esaurite le predette potenzialità, le restanti parti del fondo sono sottoposte ad un regime di inedificabilità che discende "ope legis" dall'utilizzazione del fondo medesimo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.05.2012 n. 3120 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lotti, interventi edilizi e volumetria residua: frazionamenti catastali irrilevanti.
Qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà.

Tanto è consolidato questo orientamento che l'Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della volumetria assentibile su una determinata area secondo l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche la costruzione realizzata prima della L. n. 1150 del 1942, quando cioè lo ius aedificandi era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di circostanza ininfluente in sede di commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area e che individua il volume massimo consentito su di essa.
Ciò comporta la necessità di tener conto del dato reale costituito dagli immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante. Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata con riguardo al lotto originario.
L'omissione del nominativo del responsabile del procedimento ex art. 4, comma 1, L. n. 241 del 1990 costituisce in linea di principio (e cioè salve le ipotesi in cui sia dimostrato un concreto pregiudizio) semplice irregolarità, che non refluisce in illegittimità del provvedimento finale.
Trova infatti applicazione la norma suppletiva recata dal successivo art. 5, comma 2, della stessa L. n. 241 del 1990, secondo il quale, in difetto di tale designazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all'unità organizzativa competente.
Dal combinato disposto degli artt. 4-6, L. n. 241 del 1990 risulta che il compito essenziale del responsabile del procedimento è quello di accertare i fatti disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari.
Pertanto la legge affida all'apprezzamento del responsabile del procedimento il compito di individuare i mezzi istruttori più idonei per l'accertamento dei fatti da porre a fondamento del provvedimento conclusivo. La scelta dei mezzi può ritenersi viziata sotto il profilo della legittimità solo allorché appaia incongrua rispetto al fine voluto dal legislatore ovvero porti a risultati aberranti o a travisamento dei fatti.
Nel caso de quo il Giudice di primo grado ha correttamente osservato che l'Amministrazione ha posto in essere un'ampia ed approfondita istruttoria. Il vizio denunciato perciò non sussiste (tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.05.2012 n. 2941 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà.
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della volumetria assentibile su una determinata area secondo l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche la costruzione realizzata prima della legge 17.08.1942, n. 1150, quando cioè lo "ius aedificandi" era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di circostanza ininfluente in sede di commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area e che individua il volume massimo consentito su di essa. Ciò comporta la necessità di tener conto del dato reale costituito dagli immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante.
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata con riguardo al lotto originario.
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Come ricordato in narrativa, l’area alla quale si riferisce la concessione edilizia, richiesta dalla parte privata e negata dall’Amministrazione, deriva per successivi frazionamenti da un lotto originario, su cui è stato costruito un albergo-ristorante. Si controverte sul rilievo che, ai fini del rilascio del titolo edilizio, debba riconoscersi il volume relativo all’opera già edificata.
Al riguardo il Giudice amministrativo ha più volte avuto modo di affermare che, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12.07.2004, n. 5039; Id., Sez. III, 28.04.2009, n. 965).
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21.09.2009, n. 5637).
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della volumetria assentibile su una determinata area secondo l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche la costruzione realizzata prima della legge 17.08.1942, n. 1150, quando cioè lo "ius aedificandi" era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di circostanza ininfluente in sede di commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area e che individua il volume massimo consentito su di essa. Ciò comporta la necessità di tener conto del dato reale costituito dagli immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante (Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2009, n. 3).
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata con riguardo al lotto originario. Il che nella fattispecie il Se. non contesta, concentrando piuttosto il primo motivo dell’appello sul profilo –del tutto giuridico e non fattuale– della mancanza di un formale atto di asservimento del precedente fabbricato e di un diverso rilievo di quest’ultimo secondo la normativa urbanistica dell’epoca.
Circostanze queste che, per le ragioni sopra dette, devono considerarsi ininfluenti, non ritenendo il Collegio di doversi discostare da una giurisprudenza cospicua e consolidata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.05.2012 n. 2941 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area rimane invariata, con la conseguenza che, qualora sull’area originaria già insista una costruzione, i vari proprietari dei vari terreni in cui sia stato frazionato il fondo originario hanno a disposizione solo la volumetria residua, in proporzione alle rispettive (quote di) proprietà.
Infatti, poiché nel computo della volumetria assentibile sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti, le vicende inerenti alla proprietà dei terreni e, in particolare, il frazionamento del fondo da parte di un unico precedente proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’edificabilità delle aree libere, le quali devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e pertanto restano edificabili nei soli limiti della volumetria residua.
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In caso di preesistenza di edificio condominiale, la volumetria residua disponibile, secondo i principi generali che regolano l’uso della cosa comune ai sensi degli artt. 1102, 1108, 1120 e 1122 cod. civ., resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione alle quote risultanti dalle tabelle millesimali, sicché il frazionamento di un’area di proprietà esclusiva di uno dei condomini non può incidere sulla volumetria residua disponibile (in misura proporzionale) dai vari proprietari. Ne consegue che la volumetria assentibile sull’area frazionata da una porzione d’immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini può essere computata entro i soli limiti della volumetria residua allo stesso spettante pro quota sulla parte di proprietà esclusiva, salvo un eventuale asservimento delle parti in (com)proprietà degli altri condomini con specifico atto che, quale atto di natura negoziale di straordinaria amministrazione, esige il consenso di tutti i condomini.

Si osserva in linea di diritto che secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area rimane invariata, con la conseguenza che, qualora sull’area originaria già insista una costruzione, i vari proprietari dei vari terreni in cui sia stato frazionato il fondo originario hanno a disposizione solo la volumetria residua, in proporzione alle rispettive (quote di) proprietà. Infatti, poiché nel computo della volumetria assentibile sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti, le vicende inerenti alla proprietà dei terreni e, in particolare, il frazionamento del fondo da parte di un unico precedente proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’edificabilità delle aree libere, le quali devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e pertanto restano edificabili nei soli limiti della volumetria residua (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 16.02.1987, n. 97; C.d.S., Sez. V, 17.05.1996; C.d.S., Sez. V, 10.02.2000, n. 749).
In caso di preesistenza di edificio condominiale, la volumetria residua disponibile, secondo i principi generali che regolano l’uso della cosa comune ai sensi degli artt. 1102, 1108, 1120 e 1122 cod. civ., resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione alle quote risultanti dalle tabelle millesimali, sicché il frazionamento di un’area di proprietà esclusiva di uno dei condomini non può incidere sulla volumetria residua disponibile (in misura proporzionale) dai vari proprietari. Ne consegue che la volumetria assentibile sull’area frazionata da una porzione d’immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini può essere computata entro i soli limiti della volumetria residua allo stesso spettante pro quota sulla parte di proprietà esclusiva, salvo un eventuale asservimento delle parti in (com)proprietà degli altri condomini con specifico atto che, quale atto di natura negoziale di straordinaria amministrazione, esige il consenso di tutti i condomini (v., su tale ultimo punto, C.d.S., Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Applicando le enunciate coordinate normative e giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice, deve pervenirsi alla conclusione che lo scorporo della superficie di 436 mq dalla p.m. 1, di proprietà esclusiva dell’originario controinteressato, in assenza di idoneo titolo di asservimento delle parti di proprietà degli altri condomini, consentiva la realizzazione della nuova costruzione entro i limiti della sola volumetria pro quota residua riferibile alla parte di proprietà esclusiva dello stesso controinteressato, senza che l’area risultante dal frazionamento potesse considerarsi alla stregua di superficie edificabile ex novo prescindendo dalle preesistenze, pena la violazione dei diritti degli altri condomini sulla volumetria residua riferibile alla p.ed. 292 e la carenza in parte qua di titolo legittimante ex art. 70, comma 1, l. 11.08.1997, n. 13, (l. urb. prov.) in capo al richiedente la concessione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.05.2012 n. 2642 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’edificazione di aree è condizionata quantitativamente, nello strumento urbanistico, dagli indici di densità. Tra questi, la densità territoriale indica la quantità massima di volumi realizzabili in una zona territoriale omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno specifico lotto, in funzione della prima.
Ogni lotto di terreno edificabile esprime, o meglio possiede, dunque, una propria caratteristica “vocazione” o possibilità edificatoria che si esprime in termini di cubatura ammissibile o consentita.
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza, la cubatura che un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del terreno medesimo, a determinate condizioni. Questo perché dovrebbe riconoscersi che la cubatura (ossia, lo si ripete, la possibilità di edificare un determinato volume edilizio) pur se intrinsecamente collegata al terreno che la esprime, costituisce una utilità separata da questo, autonomamente valutabile e con una propria commerciabilità e patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto di un contratto di trasferimento con il quale il proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel rispetto dell’indice di densità fondiaria.
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene, per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi, sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la relativa cessione risulterà dalla trascrizione). Tuttavia, l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal certificato di destinazione urbanistica dell’area, ex art. art. 30, comma 2, d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
Per la giurisprudenza amministrativa, la legittimità della cessione di cubatura, ai fini dello sfruttamento della cubatura ceduta in un progetto edilizio da parte dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè la omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la cubatura oggetto del contratto) e la contiguità dei due fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla rilevazione della volumetria esistente, in modo da determinare, secondo gli standard del d.m. 1444/1968, a quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe che l’indice di densità territoriale potrebbe essere alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla giurisprudenza come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) ma giuridica, e viene a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree ricadenti in zone urbanistiche non omogenee.
In altri termini, come la giurisprudenza del Giudice di seconde cure ha condivisibilmente ritenuto in fattispecie di distanza pari a 35 ml, la contiguità dei fondi non deve intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura.

Con riguardo al tema della cessione di cubatura, tuttavia, va posto in rilievo come la giurisprudenza abbia precisato che <<l’edificazione di aree è condizionata quantitativamente, nello strumento urbanistico, dagli indici di densità. Tra questi, la densità territoriale indica la quantità massima di volumi realizzabili in una zona territoriale omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno specifico lotto, in funzione della prima.
Ogni lotto di terreno edificabile esprime, o meglio possiede, dunque, una propria caratteristica “vocazione” o possibilità edificatoria che si esprime in termini di cubatura ammissibile o consentita.
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza, la cubatura che un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del terreno medesimo, a determinate condizioni.
Questo perché dovrebbe riconoscersi che la cubatura (ossia, lo si ripete, la possibilità di edificare un determinato volume edilizio) pur se intrinsecamente collegata al terreno che la esprime, costituisce una utilità separata da questo, autonomamente valutabile e con una propria commerciabilità e patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto di un contratto di trasferimento con il quale il proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel rispetto dell’indice di densità fondiaria.
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene, per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi, sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la relativa cessione risulterà dalla trascrizione). Tuttavia, l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal certificato di destinazione urbanistica dell’area, ex art. art. 30, comma 2, d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
Per la giurisprudenza amministrativa, la legittimità della cessione di cubatura, ai fini dello sfruttamento della cubatura ceduta in un progetto edilizio da parte dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè la omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la cubatura oggetto del contratto) e la contiguità dei due fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla rilevazione della volumetria esistente, in modo da determinare, secondo gli standard del d.m. 1444/1968, a quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe che l’indice di densità territoriale potrebbe essere alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla giurisprudenza come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) ma giuridica, e viene a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree ricadenti in zone urbanistiche non omogenee (Tar Campania Napoli, VIII, 15.05.2008, n. 4549).
In altri termini, come la giurisprudenza del Giudice di seconde cure ha condivisibilmente ritenuto in fattispecie di distanza pari a 35 ml, la contiguità dei fondi non deve intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura (cfr. Consiglio Stato, V, 30.10.2003, n. 6734).
Facendo applicazione dei predetti principi, il concetto di vicinanza, invero relativo, appare rispettato nel caso di specie, trattandosi di fondi, per altro di proprietà della ricorrente, distanti dai 21 ai 40 ml.
>> (Tar Sicilia Catania, I, 12.10.2010, n. 4113) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 07.05.2012 n. 776 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità edilizia di un’area per mezzo dell’utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest’ultima, ai fini della verifica del rispetto dell’indice di fabbricabilità fondiaria.
Dal punto di vista urbanistico, i caratteri e gli effetti dell'asservimento sono stati precisati dalla giurisprudenza nel senso che i fondi non debbono necessariamente essere adiacenti, potendo la computabilità di più particelle intendersi nel senso dell’effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata.
E’ stato, inoltre, ritenuto ammissibile l'asservimento, allo scopo di raggiungere una più consistente volumetria edificabile, di un'area ad un'altra, ancorché tra i due fondi si interpongano una strada o un fosso di scolo delle acque.
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Una questione molto dibattuta è quella della cd “sterilizzazione” delle potenzialità edificatorie dei terreni a seguito della modificazione della pianificazione urbanistica.
Da una parte si è ritenuto che l'asservimento di un terreno per realizzare una costruzione non rende lo stesso definitivamente inedificabile anche per il futuro, poiché la destinazione ed utilizzazione delle aree rappresenta, un dato dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel tempo l'indice fondiario, nonché la stessa previsione di lotti minimi, per cui la potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua della modificazione della pianificazione urbanistica e della normativa sopravvenuta; dall’altra parte, il Consiglio di Stato ha recentemente negato (sentenza n. 4134/2011) la possibilità, per le aree asservite, di esprimere ulteriore capacità edificatoria in caso di variante del P.R.G. migliorativa degli indici di fabbricabilità.
Va comunque evidenziato come il dato comune che caratterizza l’istituto dell’asservimento va rinvenuto nella sostanziale neutralità per il Comune, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia per come configurato negli atti pianificatori, della materiale collocazione dei fabbricati, giacché per il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando del tutto indifferente, l’effettiva l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto, fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.
Ora proprio lo stretto e inscindibile legame tra atti di asservimento e rispetto delle prescrizioni della normativa urbanistica, quale espressione del governo e della pianificazione del territorio comunale induce a ritenere non ammissibili -ai fini del rilascio di provvedimenti autorizzativi in materia edilizia- atti di asservimento tra terreni ubicati in comuni diversi. Sul punto il Collegio condivide quanto espresso dal Dipartimento Regionale urbanistica nel parere del 15/04/2011 laddove ritiene non ammissibile l’asservimento tra aree ubicate in Comuni di versi poiché “il rilascio della concessione edilizia è consentito per l’esecuzione di qualsiasi attività comportante trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio comunale; ciò anche nel rispetto delle attribuzioni di responsabilità sulla gestione del territorio …”.

L’atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità edilizia di un’area per mezzo dell’utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest’ultima, ai fini della verifica del rispetto dell’indice di fabbricabilità fondiaria. Dal punto di vista urbanistico, i caratteri e gli effetti dell'asservimento sono stati precisati dalla giurisprudenza nel senso che i fondi non debbono necessariamente essere adiacenti, potendo la computabilità di più particelle intendersi nel senso dell’ effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata (Cons. Stato, V, 30.10.2003 n. 6734 e 01.04.1998, n. 400). E’ stato, inoltre, ritenuto ammissibile l'asservimento, allo scopo di raggiungere una più consistente volumetria edificabile, di un'area ad un'altra, ancorché tra i due fondi si interpongano una strada o un fosso di scolo delle acque (Cons. Stato, Sezione V, 04.01.1993, n. 26).
Una questione molto dibattuta è quella della cd “sterilizzazione” delle potenzialità edificatorie dei terreni a seguito della modificazione della pianificazione urbanistica. Da una parte si è ritenuto che l'asservimento di un terreno per realizzare una costruzione non rende lo stesso definitivamente inedificabile anche per il futuro, poiché la destinazione ed utilizzazione delle aree rappresenta, un dato dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel tempo l'indice fondiario, nonché la stessa previsione di lotti minimi, per cui la potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua della modificazione della pianificazione urbanistica e della normativa sopravvenuta (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis - 10.09.2010, n. 32217); dall’altra parte, il Consiglio di Stato ha recentemente negato (sentenza n. 4134/2011) la possibilità, per le aree asservite, di esprimere ulteriore capacità edificatoria in caso di variante del P.R.G. migliorativa degli indici di fabbricabilità.
Va comunque evidenziato come il dato comune che caratterizza l’istituto dell’asservimento va rinvenuto nella sostanziale neutralità per il Comune, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia per come configurato negli atti pianificatori, della materiale collocazione dei fabbricati, giacché per il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando del tutto indifferente, l’effettiva l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto, fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.
Ora proprio lo stretto e inscindibile legame tra atti di asservimento e rispetto delle prescrizioni della normativa urbanistica, quale espressione del governo e della pianificazione del territorio comunale induce a ritenere non ammissibili -ai fini del rilascio di provvedimenti autorizzativi in materia edilizia- atti di asservimento tra terreni ubicati in comuni diversi. Sul punto il Collegio condivide quanto espresso dal Dipartimento Regionale urbanistica nel parere del 15/04/2011 (parere che contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente si riferisce espressamente alla fattispecie in esame), laddove ritiene non ammissibile l’asservimento tra aree ubicate in Comuni di versi poiché “il rilascio della concessione edilizia è consentito per l’esecuzione di qualsiasi attività comportante trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio comunale; ciò anche nel rispetto delle attribuzioni di responsabilità sulla gestione del territorio …” (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 24.04.2012 n. 1129 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il calcolo della volumetria che può essere realizzata su un lotto edificabile deve essere effettuato tenendo conto della situazione determinata anche dalla eventuale parziale utilizzazione, ad opera dell’originario proprietario, della volumetria globalmente disponibile e, quindi, detraendo dalla cubatura richiesta quella già realizzata per il precedente edificio, a nulla rilevando che questo possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa ed autonoma.
D’altro canto, in subiecta materia, il vincolo d’asservimento si costituisce solo per effetto del rilascio del permesso di costruire, per cui, proprio perché recepito in un provvedimento amministrativo, è opponibile anche ai terzi acquirenti, fatti salvi i rimedi giurisdizionali e amministrativi azionabili nei confronti degli atti che si ritengano illegittimi.
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La sopravvenienza della disciplina urbanistica su una determinata area può operare sia in melius, ampliando i pregressi indici di fabbricabilità, sia in peius, riducendoli.
Per cui, data una certa destinazione del piano all’edificazione futura, nel primo caso andranno considerate le sole aree libere, nel senso che eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori; mentre al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree che, pur disponendo in precedenza di indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.

Quello che si contesta è: in primis, l’applicazione della disciplina urbanistica vigente al momento della richiesta del titolo per la realizzazione di un intervento di nuova costruzione, insistendo l’area in zona già interessata dal rilascio di precedenti licenze edilizie; in subordine, la riconducibilità della stessa ad un comparto unico di cui fanno parte altre particelle già utilizzate per la realizzazione di altri edifici attualmente ancora esistenti.
Sul primo punto, è sufficiente fare rinvio ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, (cfr. TAR Campania-Napoli – Sez. II - 22.12.2010 n. 28013; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 30.04.2009 n. 2262; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 08.06.2006, n. 6816; Consiglio di Stato, V Sezione, 12.07.2005, n. 3777, e 23.08.2005, n. 4385), secondo cui il calcolo della volumetria che può essere realizzata su un lotto edificabile deve essere effettuato tenendo conto della situazione determinata anche dalla eventuale parziale utilizzazione, ad opera dell’originario proprietario, della volumetria globalmente disponibile e, quindi, detraendo dalla cubatura richiesta quella già realizzata per il precedente edificio, a nulla rilevando che questo possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa ed autonoma.
D’altro canto, in subiecta materia, il vincolo d’asservimento si costituisce solo per effetto del rilascio del permesso di costruire (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637; Cass. Civ., Sez. II, 12.09.1998, n. 9081), per cui, proprio perché recepito in un provvedimento amministrativo, è opponibile anche ai terzi acquirenti, fatti salvi i rimedi giurisdizionali e amministrativi azionabili nei confronti degli atti che si ritengano illegittimi.
Le considerazioni suesposte hanno, come sarà chiarito, un’immediata ricaduta sulle censure articolate dalla parte ricorrente.
E ciò in quanto è la stessa parte ricorrente che pone in evidenza l’appartenenza dell’area divenuta di sua proprietà ad un più ampio comparto edificato nel corso degli anni ’60 in forza delle licenze n. 2816 del 1965 e n. 203 del 1967 (pag. 9 del ricorso).
Il successivo frazionamento di tale area, dunque, non consente di calcolare la volumetria residua prescindendo da quella già utilizzata per la realizzazione di edifici ancora esistenti.
A ciò va aggiunto il rilievo secondo cui, ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Funzione precipua di tale strumento urbanistico è quella di “conformare l’edificazione futura” (Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò che si attua attraverso prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Si consideri che, essendo la regola che governa l’azione amministrativa quella del tempus regit actum, la legittimità di ogni provvedimento va verificata alla stregua delle norme applicabili al momento della sua adozione.
E’ del tutto evidente, pertanto, che la normativa di riferimento per chi intenda realizzare un intervento di nuova edificazione –come nel caso di specie– è e non può essere altri che quella vigente al momento della presentazione della relativa domanda, essendo del tutto irragionevole sottrarre alla regolamentazione in vigore interventi necessitanti di un titolo abilitativo, sol perché in passato, sulla stessa area sono stati rilasciati altri titoli edilizi.
E’ noto, infatti, che la sopravvenienza della disciplina urbanistica su una determinata area può operare sia in melius, ampliando i pregressi indici di fabbricabilità, sia in peius, riducendoli.
Per cui, data una certa destinazione del piano all’edificazione futura, nel primo caso andranno considerate le sole aree libere, nel senso che eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori; mentre al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree che, pur disponendo in precedenza di indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori (C.D.S., Sez. IV, 09.07.2011 n. 4134).
In sintesi, il primo motivo di ricorso va rigettato in quanto correttamente il provvedimento impugnato ha utilizzato come parametro di giudizio ai fini del calcolo della volumetria residua, il piano regolatore vigente al momento della domanda e gli indici di fabbricabilità di nuovo conio, applicati con riguardo all’intero comparto oggetto delle originarie licenze adottate negli anni ’60 (TAR Lombardia-Milano, Sez, II, sentenza 19.04.2012 n. 1155 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Lottizzazione, con i lotti si cede anche la volumetria? Per la Cassazione necessarie verifiche precise sulla convenzione.
Il lottizzatore e' titolare della cubatura sui lotti del comparto edilizio. A meno che non si provi che cedendo i singoli lotti ha ceduto anche la volumetria.
E' quanto deciso dalla Corte di Cassazione, III Sez. penale, con la sentenza 18.04.2012 n. 14894, che ha accolto il ricorso dell'imputato.
Vediamo di ricostruire ciò che è successo nel caso giudicato dalla cassazione nella sentenza in commento e di illustrare il principio di diritto enunciato.
Nel caso specifico due imputati hanno dichiarato ad un comune di avere ancora disponibilità di volumetria relativamente ad alcuni lotti: secondo la tesi accusatoria si è trattata di una falsa dichiarazione per indurre in errore il comune e ottenere una concessione edilizia per costruire su un diverso lotto utilizzando la cubatura dei primi.
Seppure prosciolti per prescrizione, il procedimento è arrivato fino in cassazione, su ricorso degli imputati, condannati a risarcire i danni alle parti civili e cioè gli acquirenti delle case costruite sui singoli lotti, convinti di avere la titolarità della cubatura, utilizzata invece dai venditori.
Gli imputati hanno sostenuto che il giudice di merito ha travisato la disciplina sulle lottizzazioni.
Secondo i ricorrenti la capacità edificatoria, conseguente alla lottizzazione, non si trasferisce agli acquirenti dei singoli lotti, su cui sono state costruite le case.
Quindi questi ultimi non diventano titolari della cubatura, tanto è vero che non possono essere definiti lottizzanti.
Gli imputati hanno, quindi, sostenuto che, nel caso di lottizzazione, la volumetria è calcolata complessivamente sull'intero comparto lottizzato ed è ricollegata alla convenzione stipulata tra i lottizzanti ed il comune.
Se così è, gli interessati ne hanno tratto la conclusione di non avere formulato una falsa dichiarazione nel momento in cui hanno affermato di avere la disponibilità della capacità insediativa sui lotti (già venduti).
La corte ha accolto questa argomentazione.
Secondo la cassazione la lottizzazione di un'area si completa e diviene perfetta con la stipula della convenzione, con la quale vengono definiti il progetto lottizzatorio e la volumetria dell'intero comparto (cosiddetto indice territoriale), con corrispondente assunzione da parte del soggetto attuatore di tutti gli obblighi di urbanizzazione necessari alla realizzazione del comparto edificatorio.
La stipula, pertanto, è la condizione di efficacia del provvedimento di autorizzazione alla lottizzazione. Il soggetto attuatore del piano di lottizzazione è chi stipula la convenzione di lottizzazione e poi costruisce o vende i singoli lotti, dopo avere eseguito le opere di urbanizzazione o ceduto le aree al comune per l'esecuzione delle stesse, attuando direttamente o per mezzo degli acquirenti dei lotti la convenzione.
Tra l'altro in tema di volumetria del comparto, se la convenzione ha stabilito la volumetria massima edificabile per ciascun lotto, vale la regola per cui sul lotto singolo può essere realizzata una volumetria inferiore o anche nulla; è perciò possibile che alcuni lotti non vengano affatto edificati oppure è anche possibile concentrare le quantità di volumetria su lotti contigui, nel rispetto della volumetria consentita, distanze e destinazione d'uso dei fabbricati e previa approvazione di un nuovo piano di lottizzazione, con tutte le varianti del caso.
Nel caso specifico certamente la cubatura residua su alcuni lotti è stata trasferita ad altro lotto, previa dichiarazione di disponibilità della capacità edificatoria e da qui è scaturita la condanna per falso.
Il giudice di merito, tuttavia, si è limitato ad affermare che la volumetria fosse stata distribuita tra i vari lotti con trasferimento dello ius aedificandi insieme alla vendita dei singoli lotti e degli edifici realizzati: gli acquirenti in sostanza, secondo la corte di appello, sarebbero diventati titolari del diritto sulla cubatura residua con la semplice acquisizione dei lotti.
Per il giudice di merito ciò era desumibile dal fatto che mancavano gli atti di trasferimento volumetrico o comunque di conferimento della facoltà di utilizzo di superficie da parte degli acquirenti dei singoli lotti agli imputati.
Solo con atti di asservimento, secondo il giudice di merito, gli imputati avrebbero potuto dichiarare di avere la disponibilità edificatoria.
In mancanza sarebbe integrato il delitto di falsa dichiarazione di possedere la cubatura.
La cassazione non è stata di questa opinione, ritenendo che per pervenire a una sentenza di condanna si sarebbe dovuto accertare l'esatto tenore della convenzione di lottizzazione e degli atti di cessione dei lotti.
Con riferimento agli atti di cessione bisognerebbe appurare se gli stessi abbiano avuto ad oggetto le case realizzate sui lotti o se invece siano stati ceduti i lotti edificabili con la volumetria assegnata agli stessi o ancora se nei contratti di cessione i lottizzatori si siano riservati la cubatura residua su ciascun lotto.
In quest'ultimo caso, infatti, i lottizzatori ben potevano dichiarare di essere titolari della volumetria al fine di utilizzarla su altri lotti.
La corte di appello non ha compiuto questi necessari accertamenti e, quindi, la sentenza di merito è risultata viziata con rinvio al giudice di secondo grado per un rinnovato accertamento dei fatti (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 18.04.2012 n. 14894).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Cessione di cubatura.
Domanda.
La cosiddetta cessione di cubatura in che relazione si pone con Imposta comunale sugli immobili (Ici)?
Risposta.
In tema di cessione di cubatura, la Corte di cassazione, con la sentenza del 14.12.1988, n. 6807, ha affermato che la rinuncia preventiva alla cubatura, o l'assenso che quella sia utilizzata dal concessionario, hanno la funzione di presupposto affinché l'autorità preposta al rilascio della licenza edilizia possa autorizzare il cessionario a costruire con la più ampia volumetria che egli ha acquisito per effetto del provvedimento che incrementa in concreto l'edificabilità del suo suolo di quanto corrispondentemente priva l'altro suolo limitrofo.
Ha aggiunto la Suprema corte che la rinuncia allo sfruttamento edilizio del proprio fondo fatta a favore del fondo limitrofo ha efficacia soltanto se l'autorità amministrativa autorizzi il corrispondente incremento delle possibilità di sfruttamento edilizio di tale fondo. Pertanto, prima del rilascio di tale provvedimento vi è soltanto un vincolo obbligatorio tra i proprietari che hanno pattuito la cessione di cubatura e non un asservimento attuale di un fondo a favore di un altro.
Con la sentenza n. 20623, del 2009, la Corte di cassazione sottolinea che nella cessione di cubatura si è in presenza di una fattispecie a formazione progressiva in cui su dichiarazione delle parti la pubblica amministrazione competente emette o meno un provvedimento concessorio discrezionale e non vincolato che, a seguito dalla rinuncia del cedente, può essere emanato a favore del concessionario, non essendo configurabile tra le parti l'esistenza di un rapporto traslativo. Ne consegue che il mancato rilascio della concessione edilizia è ragione di inefficacia del negozio concluso dai proprietari dei fondi limitrofi e non risoluzione del medesimo per inadempimento del cedente. Ai fini Ici, la valutazione dei lotti deve essere rapportata all'effettiva loro capacità edificatoria a seguito del rilascio del provvedimento concessorio.
È da dire, infine, che con il decreto legge 13.05.2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del 2011, è stato introdotto la cessione di cubatura. Il legislatore, difatti, ha integrato l'articolo 2643 del codice civile ed ha inserito, dopo il n. 2, il nuovo comma 2-bis, il cui contenuto è: «i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale» (articolo ItaliaOggi sette del 27.02.2012).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Nuovo strumento urbanistico.
Domanda.
L'emissione di un nuovo strumento urbanistico, dopo la cessione di cubatura, rileva in ordine al valore del terreno ai fini dell'Imposta comunale sugli immobili (Ici)?
Risposta.
La Corte di cassazione, con la sentenza del 30.04.2009, n. 21177, esaminando il caso in cui dopo la cessione di cubatura subentri un nuovo strumento urbanistico, ha affermato che: «Questo collegio ritiene di dovere ribadire che soltanto per effetto del rilascio del provvedimento amministrativo (licenza edilizia, concessione edilizia o permesso di costruire) si costituisce il “vincolo di asservimento” che, senza oneri di forma pubblica, incide definitivamente sulla disciplina urbanistica ed edilizia delle aree interessate, in quanto nel territorio comunale il titolo abitativo edilizio crea un nuovo lotto di pertinenza urbanistica dell'edificio, che non coincide con i confini di proprietà e ha una consistenza indipendente rispetto ai successivi interventi nelle aree medesime, derivandone l'impossibilità di assentire e di richiedere ulteriori ed eccedenti realizzazioni di volumi costruttivi sul fondo asservito per la parte in cui esso è rimasto privo della potenzialità edificatoria già utilizzata dal titolare del fondo in favore del quale ha avuto luogo l'asservimento».
Ha aggiunto, poi, la Suprema corte: «Le possibilità di edificazione previste dall'introduzione di un nuovo piano regolatore non valgono a rendere edificabili aree che sono già state prese in considerazione, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di edificabilità fondiaria, in sede di rilascio di precedenti titoli abilitativi edilizi, dovendo ritenersi definitivamente perdute le potenzialità edificatorie dell'area asservita per il semplice fatto che di esse si è già irreversibilmente disposto».
Ai fini dell' Imposta comunale sugli immobili (Ici), la stessa Corte di cassazione, con la sentenza n. 25676, del 2008, aveva affermato che le aree che posseggono caratteristiche tali da non consentire l'edificazione non sono inedificabili, ma tali caratteristiche incidono sulla determinazione del valore imponibile. Pertanto, come affermato dalla predetta Corte di cassazione, anche con le sentenze del 2010, n. 12135 e n. 9781, per citare le più recenti, la presenza di vincoli non incide sulla natura dell' area, ma sulla sua valutazione. L'area rimane, ai fini dell'Imposta comunale sugli immobili (Ici), edificabile (articolo ItaliaOggi sette del 27.02.2012).

EDILIZIA PRIVATAUn'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa”.
Ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto già parzialmente edificato occorre, dunque, considerare tutte le costruzioni che comunque già insistono sull'area, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali.
L'asservimento dei suoli in caso di edificazione costituisce una qualità oggettiva del fondo -il cui contenuto consiste in un vincolo automatico imposto all'area in relazione alla volumetria dalla stessa espressa- che non necessita di alcuno specifico atto di asservimento o di trascrizione. Tale predicato segue "ambulatoriamente" i destini del fondo stesso e si impone a chiunque.
Il c.d. vincolo d'asservimento si costituisce, invero, nei riguardi delle parti e dei terzi, con il rilascio del titolo edilizio: ed è opponibile a qualunque terzo acquirente, anche in assenza dell’obbligo di una sua trascrizione nei registri immobiliari.
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Se il vincolo di asservimento è sensibile alle sopravvenienze della pianificazione -non ponendo limiti alla facoltà del pianificatore generale di dettare una diversa disciplina urbanistica dell’area- non può, però, affermarsi l’irrilevanza della già utilizzata vocazione edificatoria solo per effetto delle modifiche alla destinazione urbanistica dell’area asservita intervenute nel corso del tempo.
Non può, cioè, ritenersi che l’attribuzione all’area asservita, per un certo periodo, di una destinazione differente da quella originaria, comporti -nel momento in cui l’area torni alla precedente destinazione- il decadere e l’azzeramento dei vincoli di asservimento precedentemente costituiti.
Allorquando la destinazione urbanistica dell’area asservita venga modificata, il vincolo di asservimento non può operare; ma ove intervenga una ulteriore modifica alle previsioni dello strumento urbanistico che riporti l’area all’originaria destinazione -in mancanza di una diversa ed espressa volontà del pianificatore- riprendono efficacia i vincoli di inedificabilità gravanti su di essa.
Una diversa conclusione si porrebbe, invero, in contrasto con il principio secondo cui lo strumento urbanistico, quando prevede i limiti entro i quali l'area può essere edificata, si riferisce non alla edificazione ulteriore rispetto a quella esistente al momento della sua approvazione, ma alla edificazione complessivamente realizzabile sull'area.
Occorre, inoltre, considerare, che il vincolo creato dall’asservimento per sua natura permane sul fondo a tempo indeterminato. L'asservimento di un fondo ad un altro crea, infatti, una relazione pertinenziale nella quale viene posta "durevolmente" a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro.
Gli effetti derivanti dal vincolo, integrando una qualità oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario.

Per costante giurisprudenza, “un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa” (fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4647).
Ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto già parzialmente edificato occorre, dunque, considerare tutte le costruzioni che comunque già insistono sull'area, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali (Cons. Stato, sez. III, 28.04.2009, n. 965).
Nel caso di specie, il frazionamento intervenuto nel 1965, come pure i successivi passaggi di proprietà dell’area, non hanno, quindi, determinato la sopravvenuta inefficacia del vincolo assunto.
Non rileva, poi, che l’atto di asservimento sia stato o meno trascritto. La giurisprudenza è, invero, costante nel ritenere che l'asservimento dei suoli in caso di edificazione costituisca una qualità oggettiva del fondo -il cui contenuto consiste in un vincolo automatico imposto all'area in relazione alla volumetria dalla stessa espressa- che non necessita di alcuno specifico atto di asservimento o di trascrizione. Tale predicato segue "ambulatoriamente" i destini del fondo stesso e si impone a chiunque (C.S., sez. V n. 1525 del 21.03.2004, n. 5039 del 12.07.2004 e n. 7029 del 18.12.2002; (sez. V, 30.03.1998, n. 387; 21.01.1997, n. 63; C.G.A., 19.10.1989, n. 415).
Il c.d. vincolo d'asservimento si costituisce, invero, nei riguardi delle parti e dei terzi, con il rilascio del titolo edilizio: ed è opponibile a qualunque terzo acquirente, anche in assenza dell’obbligo di una sua trascrizione nei registri immobiliari (Cassazione penale sez. III, 30.04.2009, Cons. Stato, Sez. 5, 28.06.2000, n. 3637; Cass. civ.: 22.02.1996, n. 1352; 12.09.1998, n. 9081; TAR Catania Sicilia sez. I, 07.07.2011, n. 1677).
Non assume, poi, rilievo la circostanza che nel certificato di destinazione urbanistica dell’area non venga menzionata l’esistenza di un vincolo di asservimento gravante sull’area in questione, stante la natura meramente dichiarativa di tale atto di certificazione (TAR Milano Lombardia sez. II, 14.03.2011, n. 729). Né può invocarsi in senso contrario la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. V, 28.06.2000, n. 3637 la quale si limita ad affermare che la mancata menzione del trasferimento di volumetria da un'area ad altra area, ove sia idonea a ledere l’affidamento dei terzi, possa essere fonte di diretta responsabilità dell’amministrazione comunale.
Se il vincolo di asservimento è sensibile alle sopravvenienze della pianificazione -non ponendo limiti alla facoltà del pianificatore generale di dettare una diversa disciplina urbanistica dell’area (Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008, n. 3766; Tar Veneto, 10.09.2004, n. 3263)- non può, però, affermarsi l’irrilevanza della già utilizzata vocazione edificatoria solo per effetto delle modifiche alla destinazione urbanistica dell’area asservita intervenute nel corso del tempo.
Non può, cioè, ritenersi che l’attribuzione all’area asservita, per un certo periodo, di una destinazione differente da quella originaria, comporti -nel momento in cui l’area torni alla precedente destinazione- il decadere e l’azzeramento dei vincoli di asservimento precedentemente costituiti.
Allorquando la destinazione urbanistica dell’area asservita venga modificata, il vincolo di asservimento non può operare; ma ove intervenga una ulteriore modifica alle previsioni dello strumento urbanistico che riporti l’area all’originaria destinazione -in mancanza di una diversa ed espressa volontà del pianificatore- riprendono efficacia i vincoli di inedificabilità gravanti su di essa.
Una diversa conclusione si porrebbe, invero, in contrasto con il principio secondo cui lo strumento urbanistico, quando prevede i limiti entro i quali l'area può essere edificata, si riferisce non alla edificazione ulteriore rispetto a quella esistente al momento della sua approvazione, ma alla edificazione complessivamente realizzabile sull'area (cfr. Cons. Stato, sez. V, 07.11.2002, n. 6128).
Occorre, inoltre, considerare, che il vincolo creato dall’asservimento per sua natura permane sul fondo a tempo indeterminato. L'asservimento di un fondo ad un altro crea, infatti, una relazione pertinenziale nella quale viene posta "durevolmente" a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro (cfr. Cons. Stato, Ad Plen., n. 3/2009; Cons. Stato, sez. IV, n. 3766/2008).
Gli effetti derivanti dal vincolo, integrando una qualità oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario (Cass. pen., sez. III, 21177/2009)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.02.2012 n. 623 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia urbanistica l’atto d’obbligo trascritto di costituzione della servitù non aedificandi di un terreno costituisce una qualità oggettiva del suolo interessato e comporta una obbligazione “propter rem”, realizzando un particolare vincolo pertinenziale (in quanto tale non suscettibile di decadenza perché a contenuto conformativo) destinato a rimanere cristallizzato nel tempo e che può essere superato, però, soltanto da una nuova disciplina introdotta dal pianificatore generale in materia di volumetria e capacità edificatoria (salvo che non si versi in ipotesi di vincolo di inedificabilità imposto dall’originario unico proprietario del fondo).
Di conseguenza, poiché la destinazione e l’utilizzazione delle aree rappresenta un dato urbanisticamente dinamico ed in evoluzione potendo mutare nel tempo l’indice fondiario nonché la stessa previsione dei lotti minimi, la potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua delle modificazioni urbanistiche sopravvenute con salvezza, si ripete, delle restrizioni permanenti ai poteri edificatori connessi alla proprietà gravata.
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Quando la volumetria per l'intera area originaria sia stata utilizzata, a nulla vale il suo successivo frazionamento, per giustificare una ulteriore edificabilità e qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua va calcolata previo decurtamento della volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
Sicché, al fine del rispetto della volumetria assentita dal piano regolatore generale, non assumono rilievo alcuno le vicende private connesse alla disponibilità di un'area edificabile già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, in quanto la vendita di una parte dell'originario unico fondo, successiva all'approvazione dello strumento urbanistico che determina limiti alla relativa edificabilità implicandone l'esaurimento (come anche il frazionamento del fondo da parte dell'originario unico proprietario), è irrilevante rispetto all'inedificabilità delle aree libere, oggetto della compravendita, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate.
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Considerato:
   - le questioni controverse possono essere trattate unitariamente in considerazione delle loro connessioni ed interdipendenze, a loro volta collegate dall’unicità del tema relativo all’asservimento di un suolo in relazione alle sopravvenienze urbanistiche;
   - in linea preliminare, deve essere osservato che in materia urbanistica l’atto d’obbligo trascritto di costituzione della servitù non aedificandi di un terreno costituisce una qualità oggettiva del suolo interessato e comporta una obbligazione “propter rem”, realizzando un particolare vincolo pertinenziale (in quanto tale non suscettibile di decadenza perché a contenuto conformativo) destinato a rimanere cristallizzato nel tempo e che può essere superato, però, soltanto da una nuova disciplina introdotta dal pianificatore generale in materia di volumetria e capacità edificatoria (salvo che non si versi in ipotesi di vincolo di inedificabilità imposto dall’originario unico proprietario del fondo);
   - di conseguenza, poiché la destinazione e l’utilizzazione delle aree rappresenta un dato urbanisticamente dinamico ed in evoluzione potendo mutare nel tempo l’indice fondiario nonché la stessa previsione dei lotti minimi, la potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua delle modificazioni urbanistiche sopravvenute con salvezza, si ripete, delle restrizioni permanenti ai poteri edificatori connessi alla proprietà gravata;
   - nella specie, ricorrono entrambe le suddette condizioni ostative all’ulteriore sfruttamento edilizio, sia perché la società ricorrente o suo dante causa ha tratto a suo tempo “utilitas” dall’intervento diretto in luogo del dovuto piano di lottizzazione a tali fini restringendo l’edificabilità a 3 mc/mq pur esprimendo all’epoca l’area 6,5 mc/mq (ragione per la quale la deducente non può ora venire contro la stessa propria scelta), sia perché il sopravvenuto PGT ha previsto il diverso indice di 1 mc/mq che, essendo inferiore a quello previgente, comporta che la società interessata risulta aver già di gran lunga realizzato quanto oggi consentito dal citato nuovo strumento generale (dovendo essere la richiesta concessione edilizia assentita secondo le vigenti regole e la volumetria calcolata in relazione all’intera area originaria di progetto e non limitatamente al lotto pertinenziale libero);
   - la società ricorrente pretende anche di eseguire quel differenziale residuo di cubatura attraverso una distorta lettura dell’art. 4 delle NTA, che escluderebbe a suo dire rilevanza ai frazionamenti anteriori e la quale, nello stabilire che “In caso di frazionamenti, avvenuti a far data dalla adozione del PGT, l’utilizzo delle aree risultanti è subordinato alla verifica di rispetto degli indici previsti dal PGT per tutte le aree derivate dal frazionamento”, non ha invece minimamente inteso fare salvezza alcuna e semmai rinforzato il criterio che tutto il costruito deve essere computato ai fini del calcolo delle volumetrie di piano, per come calcolate in sede di redazione, a prescindere quindi anche dai frazionamenti successivi all’adozione del PGT ed a maggior ragione, allora, di quelli anteriori;
   - infatti, quando la volumetria per l'intera area originaria sia stata utilizzata, a nulla vale il suo successivo frazionamento, per giustificare una ulteriore edificabilità (Consiglio Stato, sez. V, 10.02.2000, n. 749) e qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua va calcolata previo decurtamento della volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo (Consiglio Stato, sez. III, 28.04.2009, n. 965);
   - conclusivamente, al fine del rispetto della volumetria assentita dal piano regolatore generale, non assumono rilievo alcuno le vicende private connesse alla disponibilità di un'area edificabile già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, in quanto la vendita di una parte dell'originario unico fondo, successiva all'approvazione dello strumento urbanistico che determina limiti alla relativa edificabilità implicandone l'esaurimento (come anche il frazionamento del fondo da parte dell'originario unico proprietario), è irrilevante rispetto all'inedificabilità delle aree libere, oggetto della compravendita, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate (Consiglio Stato, sez. IV, 06.09.1999, n. 1402) (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 13.01.2012 n. 97 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATASul quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
E' possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza delle norme in materia.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento abilitativo.

Conviene delineare brevemente il quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
Tra le limitazioni al diritto a costruire, da prendere in considerazione ai fini del rilascio del relativo permesso o di un titolo edilizio in sanatoria, la giurisprudenza ha operato un’accurata distinzione tra limiti legali e limiti negoziali. I primi, pure in caso di istanza di condono, sono destinati ad investire anche il rapporto pubblicistico. Per gli altri si prospetta una diversa incidenza, considerato che il comune non è tenuto a ricercarli.
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi»— ha cristallizzato a livello positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo riconoscimento legale nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994, successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario).
L’ordinamento giuridico ammette, in via generale, limitazioni di varia natura al diritto di costruire a presidio dei diritti dei terzi controinteressati.
Nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo II, c.c. (si tratta delle prescrizioni in materia di distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena di godimento (usufrutto, servitù, ecc.) cui corrispondono altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti lo ius aedificandi dei confinanti, che può risultare semplicemente inciso o del tutto sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di rilascio del permesso di costruire.
I limiti legali, trovando applicazione generalizzata e conservando sempre il medesimo contenuto, concorrono a formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è tenuta a considerarli sempre.
Diversamente per le limitazioni negoziali del diritto di costruire, cui possono ricondursi anche quelle scaturenti dall’art. 1117 c.c. (cfr. Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n. 6332, secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il comune rilascia un condono straordinario ex art. 32 d.l. 30.09.2003 n. 269, avente ad oggetto la costruzione di un terrazzo coperto e disimpegno, di pertinenza di un appartamento ubicato in uno stabile condominiale, non potendosi accogliere le censure riguardanti la violazione delle distanze legali minime rispetto alla costruzione di terzi e al difetto di autorizzazione del condominio all’esecuzione dei lavori su parti comuni dello stabile (nella specie, al momento del rilascio del permesso in sanatoria, era assolutamente controversa, fra le parti confinanti, la questione concernente la reintegra delle distanze violate, pendendo la relativa controversia in sede civile, e non constava alcuna opposizione da parte del condominio).
Circa l’ambito di operatività di tali limiti la giurisprudenza oscilla fra due soluzioni che costituiscono un corollario della clausola di salvezza dei diritti dei terzi ed hanno in comune l’inesistenza, in capo all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di tali limiti, prodromico al diniego di permesso.
La prima ne esclude ogni rilevanza nel presupposto che all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341); la seconda ammette che il comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206).
Coerenti, ma non recepibili nel caso di specie, sono le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza più recente in ordine agli oneri del comune di verificare la legittimazione dei singoli condomini ad eseguire opere su parti comuni (cfr. sez. IV 14.09.2005, n. 4744, che ritiene in contrasto con l’art. 11 t.u. cit., il titolo edilizio rilasciato in mancanza dell’assenso condominiale); anche in tali casi il comune si limita a verificare, puramente e semplicemente, la presenza di un’autorizzazione senza ovviamente poterne vagliare la validità.
Le conclusioni rimangono immutate quando il comune sia chiamato a rilasciare un titolo edilizio in sanatoria ordinaria (ex art. 36 t.u. edilizia) o straordinaria (da ultimo, ex art. 32 d.l. n. 269 del 2003).
Nel primo caso si richiede, specie in presenza di contrasto conclamato fra condomini, che l’istruttoria del comune sia particolarmente accurata (cfr. sez. IV, 16.03.2010, n. 1537; sez. V 21.10.2003, n. 6529, fattispecie relativa all’art. 13 l. n. 47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni nell’art. 36 t.u. edilizia; 20); in tal caso doverosamente si acquisisce la delibera di autorizzazione condominiale che esonera il comune da ogni altro tipo di accertamento non potendo essere disapplicata da quest’ultimo (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1537 del 2010 cit.).
Nel caso di condono straordinario la giurisprudenza registra una maggiore varietà di posizioni.
Secondo una minoritaria tesi la concessione del condono straordinario è impedita qualora l’abuso consista non già nella inosservanza di prescrizioni dirette principalmente a soddisfare finalità di interesse pubblico, ma nella violazione delle norme che tutelano in modo diretto ed immediato lo specifico interesse dei proprietari confinanti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.12.1997, n. 1487 relativa a fattispecie di condono governata dall’art. 39 l. n. 724 del 1994).
Di contro, ed in linea con quanto illustrato circa il controllo esigibile da parte del comune in sede di rilascio del permesso di costruire ex art. 11 t.u. edilizia, si ritiene che la rilevanza giuridica del condono straordinario si esaurisca nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza estendersi ai rapporti fra privati, essendo il condono rilasciato con salvezza espressa dei diritti dei terzi (cfr. Cass., sez. un., 12.01.2007, n. 417); ne discende che la presentazione di istanza di sanatoria, con riguardo a costruzione realizzata in violazione della disciplina urbanistica, non implica la sospensione della contesa promossa dal proprietario confinante, per far valere, nel rapporto di vicinato, gli effetti di detta violazione (cfr. Cass. 07.02.1991, n. 1276).
Il compendio delle regole fin qui esaminate consente:
a) all’autore dell’abuso di fruirne anche se l’illecito consista nella violazione delle distanze legali;
b) al comune di disinteressarsi delle relative vicende, fermo restando che il terzo leso potrà ottenere satisfattiva tutela davanti al giudice civile non subendo alcun pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2006, n. 8626).
Coerentemente si ritiene possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza delle norme in materia (cfr. Cons. giust. amm., sez. cons., 16.07.1996, n. 467/1996).
In definitiva, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento abilitativo (Cons. Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3027; sez. V, 07.07.2005, n. 3730)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa cessione di cubatura «neutralizza» le varianti. Niente volumi extra in caso di modifiche al Prg.
LO SNODO CHIAVE - Il Dl 70/2011 consente la trascrizione dei diritti di costruzione ma non disciplina la tipologia contrattuale.
I terreni da cui è stata "prelevata" la cubatura non beneficiano degli incrementi di potenzialità edificatoria dettati in un secondo tempo dal piano regolatore.

La IV sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 09.07.2011 n. 4134, affronta il problema delle conseguenze degli atti costitutivi del vincolo di asservimento, cioè le cosiddette "cessioni di cubatura", negando la possibilità per le aree asservite di esprimere ulteriore capacità edificatoria in caso di variante del Prg migliorativa degli indici di fabbricabilità.
È una tematica che diventa oggi di particolare interesse, dopo l'emanazione del decreto sviluppo. Infatti, tra gli interventi normativi volti a liberalizzare le costruzioni private, l'articolo 5, comma 1, lettera c), del Dl n. 70/2011 ha previsto anche la tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura".
In realtà la norma non definisce con particolari dettagli alcun modello negoziale, ma, al fine di garantire la certezza nella circolazione dei diritti edificatori, l'articolo 5, comma 3, si limita ad aggiungere all'articolo 2643 del Codice civile il numero 2-bis), stabilendo che debbano essere soggetti a trascrizione anche «i contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche a essi relative». La legge di conversione n. 106/2011 ha poi eliminato il richiamo alle convenzioni urbanistiche e disposto la registrazione anche dei contratti che «costituiscono o modificano» tali «diritti edificatori».
La norma del decreto è stata scritta tenendo a mente l'esperienza del Pgt di Milano, che sfrutta il meccanismo della perequazione urbanistica e prevede un vero e proprio "borsino" dei diritti edificatori. La previsione offre una copertura normativa di livello nazionale alla perequazione, ma non contiene ancora quel quadro di regole completo auspicato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4545/2010. Resta da chiedersi, ad esempio, in quanto tempo debba essere realizzata la cubatura acquistata con la perequazione e cosa succeda se –prima dell'edificazione– il Comune ne modifichi o ne limiti l'utilizzo con una variante al Prg (si veda Il Sole 24 Ore del 16 maggio).
Nella pratica negoziale così come si è strutturata prima del decreto sviluppo, la cessione di cubatura è quel contratto con cui il proprietario di un suolo (cedente) presta il proprio consenso affinché tutta o parte della volumetria, che quel suolo può esprimere sulla base degli strumenti urbanistici, venga attribuita dalla pubblica amministrazione al proprietario del fondo vicino (cessionario), purché ricompreso nella medesima zona urbanistica. Il vincolo di asservimento si traduce in una sorta di servitù di non edificabilità di tipo relativo, in quanto limitata e correlata alla volumetria consentita dal Prg, che si riflette negativamente sul valore venale del bene anche, nel caso di una sua eventuale espropriazione, comportando un regime di inedificabilità ope legis.
La cessione di cubatura, per univoca giurisprudenza (da ultimo, Cassazione n. 20623/2009), è una fattispecie negoziale a formazione progressiva, nella quale, sul piano dei presupposti, le dichiarazioni dei privati confluiscono nel procedimento amministrativo volto al rilascio del titolo edilizio. A determinare realmente il trasferimento di cubatura, con effetto tra le parti e nei confronti dei terzi, «è esclusivamente il provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia del cedente, può essere emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario, non essendo configurabile tra le parti un contratto traslativo».
La nuova previsione legislativa non appare del tutto compatibile con quest'ultimo rilievo della Suprema Corte. Da un lato, la norma prevede la trascrizione del diritto edificatorio. Dall'altro, l'accordo per la cessione di cubatura tra i privati viene configurato dai giudici come un contratto atipico a effetti obbligatori. Per costante orientamento giurisprudenziale, infatti, la costituzione o la modificazione del "diritto edificatorio" resta comunque subordinata all'adozione di un provvedimento amministrativo: di conseguenza, fino al rilascio del titolo abilitativo, il proprietario del l'area è titolare non di un diritto, ma solo di un interesse legittimo di tipo pretensivo, cioè di una aspettativa qualificata ad edificare.
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Anche le aree asservite si considerano già edificate.
IL PRINCIPIO - I terreni che hanno venduto la capacità edificatoria sono considerati «occupati» anche se non ospitano immobili.

Il caso affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza 09.07.2011 n. 4134 trae origine una variante al Prg, attraverso cui un Comune aveva aumentato i previgenti indici di fabbricabilità da 3 a 5 metri cubi per metro quadrato.
La fattispecie esaminata riguarda un fondo, in origine costituente un unico compendio immobiliare, che era stato completamente asservito alla realizzazione di un fabbricato, con atto trascritto nei pubblici registri immobiliari. Dopo la costruzione dell'edificio il suolo venne poi frazionato in tre particelle: una sulla quale era posizionata l'area di sedime del fabbricato e le altre due libere da manufatti, ma asservite alla prima, alienate dagli originari proprietari a una società.
Quest'ultima, a seguito della variante e per effetto dell'innalzamento della potenzialità edificatoria, ha ritenuto che anche la particella beneficiaria della cessione di cubatura potesse esprimere una maggiore volumetria e che, conseguentemente, dovesse essere ridotta la quota di asservimento delle due particelle divenute di sua proprietà.
La società chiedeva quindi al Comune il rilascio di due concessioni edilizie, una per sfruttare la nuova cubatura che le due particelle asservite potevano autonomamente esprimere a seguito della variante, l'altra per utilizzare il differenziale di volumetria della particella non di loro proprietà. L'ente rilasciava la prima concessione, ma negava la seconda, escludendo che l'aumento degli indici di edificabilità previsti dalla variante potesse comportare la parziale retrocessione della volumetria a suo tempo ceduta con l'atto di asservimento, il quale aveva "cristallizzato" le quote edificatorie delle varie particelle rivenienti dal frazionamento, onde la maggiore cubatura andava distribuita in misura proporzionale tra i tre fondi contigui.
La società impugnava il diniego e il Tar ne accoglieva il ricorso, affermando che la modifica dell'indice edificabile in senso migliorativo dovesse applicarsi anche alla particella destinata a sedime dell'originario fabbricato, con conseguente riduzione proporzionale della misura dell'asservimento per i suoli di proprietà della ricorrente.
La sentenza è stata però annullata in appello e i giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che, sulla base delle legge urbanistica, le previsioni del Prg «servono a conformare l'edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del piano o di una sua variante (Consiglio di Stato, sezione IV, 18.06.2009 n. 4009)». Per tale ragione lo strumento urbanistico, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole «aree libere», cioè soltanto quelle "disponibili" al momento della pianificazione, perché non ancora edificate.
La sentenza precisa al riguardo che, per «aree edificate» devono intendersi non solo quelle costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione, ma anche quelle che, «nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l'edificazione, in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico».
Ne viene fatto discendere che le eventuali variazioni degli indici di fabbricazione in termini più favorevoli ai privati proprietari non possono riguardare aree già utilizzate a fini edificatori, come nel caso dell'asservimento, ancorché le stesse si presentino "fisicamente" libere da immobili. L'ulteriore conseguenza è che il Comune non solo ha legittimamente negato alla società la seconda concessione edilizia, ma non avrebbe potuto neanche rilasciare la prima, poiché relativa a un'area giuridicamente non libera: il titolo abilitativo, quindi, sarebbe annullabile in sede di autotutela (articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2011).

EDILIZIA PRIVATA: L'asservimento di un fondo, in caso di edificazione, costituisce una qualità oggettiva dello stesso, opponibile ai terzi, che continua a seguire il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca successiva.
Il vincolo creato dall'asservimento per sua natura permane sul fondo servente a tempo indeterminato, pena il completo snaturamento dell'istituto. L'asservimento di un fondo ad un altro crea, infatti, una relazione pertinenziale nella quale viene posta "durevolmente" a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro.
Gli effetti derivanti dal vincolo, integrando una qualità oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario.

Ad avviso di costante e condivisibile giurisprudenza, l'asservimento di un fondo, in caso di edificazione, costituisce una qualità oggettiva dello stesso, opponibile ai terzi, che continua a seguire il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca successiva (Consiglio Stato, sez. V, 30.03.1998, n. 387; sez. IV, 06.07.2010, n. 4333).
Va soggiunto che il vincolo creato dall'asservimento per sua natura permane sul fondo servente a tempo indeterminato, pena il completo snaturamento dell'istituto. L'asservimento di un fondo ad un altro crea, infatti, una relazione pertinenziale nella quale viene posta "durevolmente" a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro (cfr. Cons. Stato, Ad Plen., n. 3/2009; Cons. Stato, sez. IV, n. 3766/2008, secondo cui il "vincolo rimane cristallizzato nel tempo”).
In definitiva, gli effetti derivanti dal vincolo, integrando una qualità oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario (Cass. pen., sez. III, 21177/2009) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.06.2011 n. 3823 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E. Michetti, IL SIGNIFICATO DI “ADIACENZA” DEI FONDI AI FINI DELL'ASSERVIMENTO (n. 1/2011 - link a www.gazzettaamministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Quando una porzione di suolo venga in concreto utilizzata ai fini del computo della cubatura per l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere in futuro utilizzata nuovamente al medesimo fine, neppure nel caso dell'ulteriore frazionamento ed alienazione dell'area libera residua.
La giurisprudenza ha sempre affermato che, quando una porzione di suolo venga in concreto utilizzata ai fini del computo della cubatura per l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere in futuro utilizzata nuovamente al medesimo fine, neppure nel caso dell'ulteriore frazionamento ed alienazione dell'area libera residua.
Ove così non fosse, si perverrebbe all'aberrante risultato che, realizzata l'opera, il costruttore potrebbe ben alienare la porzione di terreno non direttamente occupata dalla costruzione onde consentirne un ulteriore sfruttamento edificatorio da parte di un terzo (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 10.05.2005, n. 2328; ma anche, Consiglio Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4647; Consiglio Stato, sez. V, 27.06.2006, n. 4117; Consiglio Stato, sez. IV 12.02.1987 n. 91; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 21.12.2009, n. 5750; TAR Valle d'Aosta, sez. I, 15.02.2008, n. 16; TAR Campania Salerno, sez. II, 03.06.2010, n. 8219).
Ai fini della costruzione di nuovi volumi, è così irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle o che la costruzione preesistente fosse stata realizzata prima del 09.10.1979 ovvero del 21.05.1985, in quanto è invece necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera originaria area di proprietà. Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è infatti suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire.
L'atto di asservimento dell'area discende ope legis dalla stessa utilizzazione dell’area ai fini edificatori ed è definitivo (cfr. Consiglio Stato, Sez. V 12.07.2004 n. 5039). L'inedificabilità dell'area, in tal modo asservita, rappresenta una qualità oggettiva del fondo, opponibile anche a terzi per cui l'eventuale attività edificatoria autorizzata a seguito di un permesso per costruire ottenuto includendovi una porzione di area già sottoposta ad atto d'obbligo di asservimento, costituisce un reato edilizio in quanto altera l'indice fondiario di fabbricabilità (cfr. Cassazione penale, sez. III, 22.04.2004, n. 23230).
In tale ottica:
- devono essere considerate non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche le cubature dei fabbricati preesistenti –ancorché siano stati edificati senza il prescritto titolo- al fine di verificare in concreto la reale situazione dei luoghi con il relativo carico di edificazione in concreto accertato (cfr. Consiglio Stato, A.P. 23.04.2009, n. 3);
- deve essere verificato se, in relazione all'intera superficie dell'area, residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (cfr. Consiglio Stato sez. IV, 21.09.2009, n. 5637) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 15.11.2010 n. 33462 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edificazione - Indici di densità - Densità territoriale e densità fondiaria - Nozione.
L’edificazione di aree è condizionata quantitativamente, nello strumento urbanistico, dagli indici di densità.
Tra questi, la densità territoriale indica la quantità massima di volumi realizzabili in una zona territoriale omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno specifico lotto, in funzione della prima.
Cessione di cubatura - Contratto di trasferimento - Conseguente inedificabilità - Qualità obiettiva del fondo - Opponibilità ai terzi - Certificato di destinazione urbanistica - Art. 30, c. 2 d.P.R. n. 380/2001.
La cubatura che un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del terreno medesimo, a determinate condizioni. Questo perché la cubatura (ossia la possibilità di edificare un determinato volume edilizio) pur se intrinsecamente collegata al terreno che la esprime, costituisce una utilità separata da questo, autonomamente valutabile e con una propria commerciabilità e patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto di un contratto di trasferimento con il quale il proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel rispetto dell’indice di densità fondiaria.
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene, per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi, sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la relativa cessione risulterà dalla trascrizione).
Tuttavia, l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal certificato di destinazione urbanistica dell’area, ex art. art. 30, comma 2, dpr 06.06.2001 n. 380.
Cessione di cubatura - Presupposti di legittimità - Omogeneità del’area territoriale - Contiguità territoriale - Condizione giuridica.
La legittimità della cessione di cubatura, ai fini dello sfruttamento della cubatura ceduta in un progetto edilizio da parte dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè la omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la cubatura oggetto del contratto) e la contiguità dei due fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla rilevazione della volumetria esistente, in modo da determinare, secondo gli standard del DM 1444/1968, a quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe che l’indice di densità territoriale potrebbe essere alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla giurisprudenza come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) ma giuridica, e viene a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree ricadenti in zone urbanistiche non omogenee (TAR Campania, Napoli, VIII, 15.05.2008, n. 4549; Consiglio Stato, sez. V, 30.10.2003, n. 6734) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.10.2010 n. 4113 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Atto di asservimento - Cessione di cubatura tra fondi contigui - Finalità dell’istituto.
L’atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità edilizia di un’area per mezzo dell’utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest’ultima, ai fini della verifica del rispetto dell’indice di fabbricabilità fondiaria.
Asservimento - Limiti di volumetria - Vincolo ope legis - Strumenti negoziali privatistici - Relazione pertinenziale tra i lotti - Nuova disciplina sulla capacità edificatoria.
In tema di asservimento, nel caso in cui la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo sull’area discende ope legis senza necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d’obbligo, trascrizione, ecc.), che devono invece sussistere nel caso di asservimento dei suoli limitrofi per ottenere una volumetria maggiore, anche reciproca; infatti, l’atto di asservimento di un lotto, che costituisce una qualità oggettiva dello stesso (una sorta di obbligazione “propter rem”) e realizza una specie particolare di relazione pertinenziale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2009, n. 3), non comporta un divieto assoluto di edificazione, pur costituendo un vincolo che rimane cristallizzato nel tempo, ma non può costituire limite rispetto alle determinazioni del pianificatore generale, che resta libero di dettare una nuova disciplina sulla volumetria e sulla capacità edificatoria (cfr. Cons Stato, sez. IV, 04.05.2006, n. 2488; idem, 29.07.2008, n. 3766; TAR Trentino Alto Adige Bolzano, 22.08.2007, n. 286; TAR Valle d'Aosta Aosta, sez. I, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 14.05.2010, n. 1736).
Asservimento - Potenzialità edificatoria dei terreni - Modifica della pianificazione urbanistica o normativa sopravvenuta.
L'asservimento di un terreno per realizzare una costruzione non rende lo stesso definitivamente inedificabile anche per il futuro; la destinazione ed utilizzazione delle aree rappresenta, infatti, un dato dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel tempo l'indice fondiario, nonché la stessa previsione di lotti minimi, per cui la potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua della modificazione della pianificazione urbanistica e della normativa sopravvenuta (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 26.07.2006, n. 399) TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 10.09.2010 n. 32217 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Mariano, La cessione di cubatura  (02.07.2010 - link a www.diritto.it).
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Sommario: 1. Introduzione. - 2. La posizione della giurisprudenza. - 3. Le principali posizioni della dottrina. - 3.1 Teoria della servitù. - 3.2 Teoria del diritto di superficie. - 3.3 Teoria della rinunzia abdicativa. - 3.4 Teoria del negozio traslativo di un diritto reale. - 3.5 Teoria del negozio con effetti meramente obbligatori. - 4. L’opponibilità della cessione ai terzi. - 5. La necessaria correlazione tra atto privato e atto amministrativo nella cessione di volumetria. Considerazioni conclusive.

EDILIZIA PRIVATA: Inedificabilità di un'area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori - Obbligo di trascrizione del vincolo nei registi immobiliari - Non sussiste - Opponibilità a terzi acquirenti - Sussiste - Rilevanza ai fini edificatori delle vicende relative alla proprietà dei terreni - Non sussiste.
L'inedificabilità di un'area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l'obbligo di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari, è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l'effetto di impedirne l'ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà dell'area sia stata trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati volti all'asservimento o che l'edificio sia collocato in una parte del lotto catastalmente divisa.
In altri termini, un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, non può essere considerata libera neppure parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in sede di rilascio di una seconda concessione, nella perdurante esistenza del primo edificio, restando irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’inedificabilità di un’area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l’obbligo di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati volti all’asservimento o che l’edificio sia collocato in una parte del lotto catastalmente divisa.
Per consolidata giurisprudenza, l’inedificabilità di un’area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l’obbligo di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (cfr. Cons. Stato V, 28.06.2000 n. 3637), è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati volti all’asservimento o che l’edificio sia collocato in una parte del lotto catastalmente divisa (Cons. Stato V, 09.10.2007 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, non può essere considerata libera neppure parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in sede di rilascio di una seconda concessione, nella perdurante esistenza del primo edificio, restando irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni (Cons. Stato IV, 06.09.1999 n. 1402) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Aree asservite - Inedificabilità - Opponibilità ai terzi acquirenti - Irrilevanza delle vicende inerenti la proprietà dei terreni.
L’inedificabilità di un’area asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l’obbligo di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (cfr. Cons. Stato V, 28.06.2000 n. 3637), è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati volti all’asservimento o che l’edificio sia collocato in una parte del lotto catastalmente divisa (Cons. Stato V, 09.10.07 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, non può essere considerata libera neppure parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in sede di rilascio di una seconda concessione, nella perdurante esistenza del primo edificio, restando irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni (Cons. Stato IV, 06.09.1999 n. 1402) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a ww
w.ambientediritto.it).

URBANISTICA: 1. Piano regolatore generale - Asservimento - Potenzialità edificatoria - Edifici preesistenti - Si computano.
2. Piano regolatore generale - Asservimento - Potenzialità edificatoria - Vicende private connesse alla disponibilità di area edificabile - Irrilevanza.

1. Nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di piano regolatore, sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti in quanto il PRG, nella parte in cui prevede i limiti entro i quali l'area può essere edificata, si riferisce non all'edificazione ulteriore rispetto a quella già esistente al momento della sua approvazione, ma all'edificazione complessivamente realizzabile sull'area.
2. Le vicende relative alla proprietà dei terreni, e in particolare il frazionamento del fondo da parte dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell'inedificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e pertanto inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già "consumato" la volumetria disponibile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.01.2010 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini del rilascio del titolo edilizio, l'asservimento di un'area per consentire l'edificazione nella volumetria di progetto non comporta che la contiguità dei fondi debba intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata.
Il Collegio non condivide la censura dedotta con il primo motivo di gravame con il quale la parte ricorrente assume l’inutilizzabilità del descritto atto di asservimento ai fini del rilascio del permesso di costruire, per difetto dei requisiti di omogeneità (per medesima destinazione urbanistica) e contiguità dei fondi (oggettiva vicinanza dei suoli), parte dei quali sono ubicati in una diversa provincia.
In senso contrario il Collegio rileva, quanto al requisito della omogeneità, che i ricorrenti si limitano ad una affermazione di principio che non si traduce poi nella effettiva contestazione della diversa destinazione urbanistica dei fondi asserviti. Difatti, non è documentata la diversa natura dei suoli interessati dall’atto di asservimento in ciò incorrendo la parte ricorrente nella violazione dell’onere della prova previsto dall’art. 2697 del codice civile, vigente anche nel processo amministrativo, secondo cui chi avanza una pretesa deve fornire la prova del fatto che la giustifica (Consiglio di Stato, Sez. V, 27.03.2009, n. 1825).
Parimenti generica e non suffragata da idonei elementi di riscontro si appalesa l’ulteriore contestazione che attiene al difetto della contiguità dei fondi asserviti che si fa discendere dalla mera circostanza fattuale della loro ubicazione in una provincia diversa rispetto a quella dove è previsto l’intervento edilizio. Sul punto, è sufficiente rilevare che la diversa ubicazione geografica dei fondi, ove non accompagnata da ulteriori circostanze (non dedotte dalla parte ricorrente), non appare di per sé idonea ad escludere il rapporto di contiguità tra suoli che, benché situati in diverse province, potrebbero tuttavia risultare effettivamente confinanti (come affermato dalla controinteressata e non contestato dalla parte ricorrente).
Giova in proposito richiamare l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui, ai fini del rilascio del titolo edilizio, l'asservimento di un'area per consentire l'edificazione nella volumetria di progetto non comporta che la contiguità dei fondi debba intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata (Consiglio di Stato, Sez. V, 30.10.2003, n. 6734) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2010 n. 105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATAGiova sottolineare come la nozione di libertà di costruire in epoca antecedente la legge urbanistica del 1942 sia stata affermata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con espresso riguardo alla situazione di fatto dell’immobile in contestazione, che, essendo casa colonica, doveva essere allocato, quanto meno al momento della costruzione, in zona agricola.
Al di fuori della specifica situazione, non potrebbe certo concordarsi con l’opinione secondo la quale la libertà di costruire, in epoca antecedente la normazione urbanistica, poteva essere dilatata al punto di conferire al diritto soggettivo di proprietà valenze e prerogative che probabilmente non ha mai avuto, quanto meno in termini assoluti, fin dagli albori della costituzione dello Stato Nazionale (cioè dalla legislazione unitaria fondamentale del 1865).
Con una visione frammentaria del problema, che si rivelò ben presto inadeguata, il legislatore del 1865 introdusse, infatti, per gli aggregati urbani relativi a comuni con più di 10.000 abitanti, la materia dei piani regolatori.
Quella remota disciplina contemplava due tipi: il piano regolatore edilizio e il piano di ampliamento previsti rispettivamente dagli articoli 86 e 93 della legge 25.06.1865, n. 2359 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
Quelle norme non prescrivevano l’imposizione di limiti rigorosi alla proprietà privata, ma costituivano pur sempre un indizio non secondario dell’esistenza di un quadro conformativo del quale, nelle zone urbane, lo jus aedificandi doveva comunque tener conto.
Oltre alle assai modeste prescrizioni di tipo pianificatorio altre, con diversa normativa, furono previste, soprattutto con atti regolamentari per l’edificazione nei centri abitati (e, in questo senso, molti furono i comuni ad avvalersi di tale facoltà).
Tali regolamenti, nel prevedere una serie di limiti sull’altezza, le distanze ed altri elementi connotativi delle edificazioni urbane, costituivano anch’essi uno strumento conformativo seppure indiretto rispetto all’esercizio concreto dello jus aedificandi: tali mezzi risultano positivamente richiamati dagli articoli 109 e 111 (quest’ultimo in particolare) del regio decreto 12.02.1911, n. 297 recante il regolamento per l’esecuzione della legge comunale e provinciale 21.05.1908, n. 269, ma utilizzato anche dopo le modifiche della legge 04.02.1915, n. 148 e il testo unico 03.03.1934, n. 383.
Un ulteriore strumento di conformazione, anch’esso episodico, va individuato, oltre che nella legge 15.01.1885, n. 2892 sul risanamento della città di Napoli e nella legge 31.05.1903, n. 254 relativa alla costruzione, all’acquisto e alla vendita di case popolari, nei provvedimenti legislativi che hanno approvato i piani regolatori di grandi città (legge 24.03.1932, n. 355 per Roma e la legge 19.02.1934, n. 433 per Milano).
Il richiamo alla legislazione previgente il 1942 si conclude con i regi decreti legge 25.03.1935, n. 640 (art. 4) e il successivo 22.11.1937, n. 2105 (art. 6) che enunciano l’obbligatorietà dell’autorizzazione del sindaco (podestà) per le edificazioni.
Accanto alle considerazioni storiche e prima di esaminare quelle inerenti la specifica area oggetto della vertenza, occorre rammentare la modificazione di prospettive e le evoluzioni anche concettuali maturate nel prosieguo e fino ai giorni nostri nella legislazione urbanistica ed edilizia.
E’ sufficiente, in proposito, ricordare come una norma quale l’ultimo comma dell’articolo 4 della legge 28.01.1978, n. 10 (vedi ora l’articolo 9 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 recante il testo unico in materia edilizia), nel dettare norme sull’edificabilità dei suoli nei comuni privi di strumenti urbanistici, stabilisse il primato del momento pianificatorio, riducendo e quanto meno depotenziando in modo significativo il diritto di edificare del privato, sulla base del principio che, relativamente ai suoli privi di qualsivoglia regolamentazione, opera pur sempre una disciplina suppletiva di salvaguardia dagli eccessi di intensificazione.
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L’istituto dell’asservimento, come è noto, si è formato dopo l’entrata in vigore del d.m. 02.04.1968, che ha fissato gli standards di edificabilità delle aree e ha introdotto una organica regolamentazione della densità edilizia (territoriale e fondiaria).
La nozione di densità costituisce il parametro di riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad asservimento: ciò impone senz’altro l’operatività dello strumento pianificatorio, ma non implica una risposta univoca rispetto agli immobili edificati, a seconda che a loro fondamento vi sia un provvedimento abilitativo (che, in altri momenti storici, poteva anche legittimamente mancare).
La densità territoriale, in particolare, è riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare sulla stessa, con la conseguenza che il relativo indice è rapportato sia all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni.
Perché il computo rispecchi la realtà effettuale non rileva certo la sussistenza o meno del prescritto titolo autorizzatorio o abilitativo all’intervento edilizio, ma la reale situazione dei luoghi con il carico di edificazione in concreto accertato.
Non può d’altronde dubitarsi che qualsiasi costruzione, anche se eretta senza il prescritto titolo, concorra al computo complessivo della densità territoriale.

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... per la riforma della sentenza 30.01.2007, n. 123 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sede di Milano sez. II.
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55. Il primo quesito coinvolge la computabilità nella volumetria assentibile, secondo l’indice di densità fondiaria in vigore, di una costruzione con area di sedime coincidente con il mappale sulla quale insiste (655) per essere stata censita nel 1858.
56. Si è invero osservato come l’edificio posto sul citato mappale 655 è stato eretto ben prima della legge urbanistica n. 1150 del 1942, quando cioè lo jus aedificandi era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà: a tale stregua, la totale occupazione dell’area del mappale 655 da parte della casa colonica censita nel 1858 nel catasto lombardo veneto dovrebbe impedire l’instaurarsi di qualsivoglia pertinenza e, per l’effetto, di possibili asservimenti.
57. In questa prospettiva, costruzione ed area divengono unica res caratterizzata, nel tessuto urbanistico-edilizio della zona, da specificità e autonomia tali da escludere che si tenga conto della relativa volumetria in relazione alla densità fondiaria in vigore.
58. Il Collegio non ritiene che la proposizione del quesito, quanto meno nei termini appena esposti, possa rivelarsi decisiva per la soluzione del caso.
59. Giova, in primo luogo, sottolineare come la nozione di libertà di costruire in epoca antecedente la legge urbanistica del 1942 sia stata affermata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con espresso riguardo alla situazione di fatto dell’immobile in contestazione, che, essendo casa colonica, doveva essere allocato, quanto meno al momento della costruzione, in zona agricola;
60. Al di fuori della specifica situazione, non potrebbe certo concordarsi con l’opinione secondo la quale la libertà di costruire, in epoca antecedente la normazione urbanistica, poteva essere dilatata al punto di conferire al diritto soggettivo di proprietà valenze e prerogative che probabilmente non ha mai avuto, quanto meno in termini assoluti, fin dagli albori della costituzione dello Stato Nazionale (cioè dalla legislazione unitaria fondamentale del 1865).
61. Con una visione frammentaria del problema, che si rivelò ben presto inadeguata, il legislatore del 1865 introdusse, infatti, per gli aggregati urbani relativi a comuni con più di 10.000 abitanti, la materia dei piani regolatori.
62. Quella remota disciplina contemplava due tipi: il piano regolatore edilizio e il piano di ampliamento previsti rispettivamente dagli articoli 86 e 93 della legge 25.06.1865, n. 2359 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
63. Quelle norme non prescrivevano l’imposizione di limiti rigorosi alla proprietà privata, ma costituivano pur sempre un indizio non secondario dell’esistenza di un quadro conformativo del quale, nelle zone urbane, lo jus aedificandi doveva comunque tener conto.
64. Oltre alle assai modeste prescrizioni di tipo pianificatorio altre, con diversa normativa, furono previste, soprattutto con atti regolamentari per l’edificazione nei centri abitati (e, in questo senso, molti furono i comuni ad avvalersi di tale facoltà).
65. Tali regolamenti, nel prevedere una serie di limiti sull’altezza, le distanze ed altri elementi connotativi delle edificazioni urbane, costituivano anch’essi uno strumento conformativo seppure indiretto rispetto all’esercizio concreto dello jus aedificandi: tali mezzi risultano positivamente richiamati dagli articoli 109 e 111 (quest’ultimo in particolare) del regio decreto 12.02.1911, n. 297 recante il regolamento per l’esecuzione della legge comunale e provinciale 21.05.1908, n. 269, ma utilizzato anche dopo le modifiche della legge 04.02.1915, n. 148 e il testo unico 03.03.1934, n. 383.
66. Un ulteriore strumento di conformazione, anch’esso episodico, va individuato, oltre che nella legge 15.01.1885, n. 2892 sul risanamento della città di Napoli e nella legge 31.05.1903, n. 254 relativa alla costruzione, all’acquisto e alla vendita di case popolari, nei provvedimenti legislativi che hanno approvato i piani regolatori di grandi città (legge 24.03.1932, n. 355 per Roma e la legge 19.02.1934, n. 433 per Milano).
67. Il richiamo alla legislazione previgente il 1942 si conclude con i regi decreti legge 25.03.1935, n. 640 (art. 4) e il successivo 22.11.1937, n. 2105 (art. 6) che enunciano l’obbligatorietà dell’autorizzazione del sindaco (podestà) per le edificazioni.
68. Accanto alle considerazioni storiche e prima di esaminare quelle inerenti la specifica area oggetto della vertenza, occorre rammentare la modificazione di prospettive e le evoluzioni anche concettuali maturate nel prosieguo e fino ai giorni nostri nella legislazione urbanistica ed edilizia.
69. E’ sufficiente, in proposito, ricordare come una norma quale l’ultimo comma dell’articolo 4 della legge 28.01.1978, n. 10 (vedi ora l’articolo 9 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 recante il testo unico in materia edilizia), nel dettare norme sull’edificabilità dei suoli nei comuni privi di strumenti urbanistici, stabilisse il primato del momento pianificatorio, riducendo e quanto meno depotenziando in modo significativo il diritto di edificare del privato, sulla base del principio che, relativamente ai suoli privi di qualsivoglia regolamentazione, opera pur sempre una disciplina suppletiva di salvaguardia dagli eccessi di intensificazione (C.d.S., IV, 10.12.2007, n. 6339, C.d.S., V, 14.10.2005, n. 5801; Cd.S., IV, 09.08.2005, n. 4232).
70. La sintetica esposizione delle principali fonti normative antecedenti il codice civile (art. 869 e seguenti) e la normazione urbanistica (legge 10.08.1942, n. 1150) nonché il richiamo alle successive evoluzioni consentono di chiarire un profilo metodologico di rilievo ai fini della decisione: essere cioè quanto meno perplessa la possibilità di risolvere la questione giuridica prospettata sulla base della legislazione previgente e del titolo in base al quale ab origine fu edificato il mappale 655.
71. Quest’ultimo, nel corso del tempo, si è successivamente trasformato da casa colonica quale risulta nel catasto lombardo veneto nel 1858 (e prima ancora da terreno agricolo secondo il catasto teresiano vigente nei primi anni del secolo diciannovesimo) in edificio a varie destinazioni (della quale quella a portineria di villa Dajelli è contestata) fino a divenire privata abitazione del professor Va., secondo una prassi un tempo assai diffusa di riadattamento di un immobile originariamente destinato all’agricoltura o a deposito (come testimoniano, è dato enunciabile come fatto notorio, i molti fienili trasformati in gradevoli e talora lussuose residenze private).
72. Se, d’altro canto, l’immobile era originariamente una casa colonica, la sua collocazione nel 1858 in piena campagna implica che il relativo dato catastale non assuma rilievo per definire la computabilità o meno della relativa volumetria: le zone agricole fuori dell’abitato non soggiacevano comunque a una disciplina edilizia così che il porre la problematica dell’asservimento finirebbe necessariamente per rivelarsi un fuor d’opera.
73. E’ invero assai difficile riportare in un contesto unitario (quale quello della disciplina urbanistica del piano regolatore di Varenna del 1996) situazioni e fatti collocati in un diverso spazio temporale che diviene, quasi in modo diacronico, anche diverso spazio fisico, quanto meno sotto il profilo della regolamentazione e delle connesse qualificazioni.
74. La legge dell’incessante divenire impone di non sovrapporre due situazioni la cui riconducibilità al più antico dato catastale non è connotata da tratti specifici rispetto ad altri complessivi elementi di valutazione.
75- Pur espungendo dalla formulazione del punto di diritto la peculiarità storica della collocazione catastale, non si otterrebbe in ogni caso un quadro ordinamentale sicuro e completo in ragione del quale assicurare una definitiva e soddisfacente risposta.
76. Ciò si deve alla coerente premessa metodologica dell’ordinanza di rimessione tratta dai principi in materia di asservimento, con particolare riguardo al caposaldo che connette il relativo vincolo con il provvedimento edilizio abilitativo.
77. L’istituto dell’asservimento, come è noto, si è formato dopo l’entrata in vigore del decreto ministeriale 02.04.1968, che ha fissato gli standards di edificabilità delle aree e ha introdotto una organica regolamentazione della densità edilizia (territoriale e fondiaria).
78. La nozione di densità costituisce il parametro di riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad asservimento: ciò impone senz’altro l’operatività dello strumento pianificatorio, ma non implica una risposta univoca rispetto agli immobili edificati, a seconda che a loro fondamento vi sia un provvedimento abilitativo (che, in altri momenti storici, poteva anche legittimamente mancare).
79. La densità territoriale, in particolare, è riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare sulla stessa, con la conseguenza che il relativo indice è rapportato sia all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni.
80. Perché il computo rispecchi la realtà effettuale non rileva certo la sussistenza o meno del prescritto titolo autorizzatorio o abilitativo all’intervento edilizio, ma la reale situazione dei luoghi con il carico di edificazione in concreto accertato.
81. Non può d’altronde dubitarsi che qualsiasi costruzione, anche se eretta senza il prescritto titolo, concorra al computo complessivo della densità territoriale (C.d.S., IV, 26.09.2008, n. 4647; IV, 29.07.2008, n. 3766; IV, 12.05.2008, n. 2177; IV, 11.12.2007, n. 6346; V, 27.06.2006, n. 4117; V, 12.07.2005, n. 3777: V, 12.07.2004, n. 5039; IV, 06.09.1999, n. 1402).
82. Con riguardo a quella specie di densità, l’edificio posto sul mappale 655 è stato senz’altro oggetto di calcolo da parte del Comune di Varenna in sede di concreta determinazione della volumetria ammessa per la zona.
83. Il problema insorge, come riferito nell’ordinanza in epigrafe, per la commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria.
84. Quest’ultima è riferita alla singola area e definisce il volume massimo consentito sulla stessa, l’indice della quale (c.d. indice di fabbricabilità) va applicato sull’effettiva superficie suscettibile di edificazione.
85. Per eseguire tale operazione l’interprete non può certo attestarsi sugli elementi originari di formazione dell’edificio e sulla situazione catastale del 1858: questi ultimi sono soggetti a troppe variabili, prima tra tutte quella temporale, in esito alla quale lo stato dei luoghi attuale, ancorché apparentemente simile a quello distinto nelle registrazioni del 1858, potrebbe rivelarsi discontinuo e sottoposto a un diverso regime.
86. Le risultanze catastali comparate a distanza di circa centocinquanta anni servono, in definitiva, a chiarire due dati, nessuno dei quali peraltro, si rivela decisivo: la legittima carenza di un provvedimento autorizzatorio o comunque abilitativo della costruzione e, parimenti, la costante insistenza e individuazione, nel lungo lasso di tempo, del fabbricato sul medesimo mappale.
87. Questi elementi riguardano una situazione antecedente l’individuazione dei limiti inderogabili di densità edilizia come introdotti nell’ordinamento dal d.m. 02.04.1968, n. 1444 in attuazione dei precetti recati dall’articolo 17 della legge 06.08.1967, n. 765.
88. In via di larga massima si osserva, relativamente all’inesistenza (e all’impossibilità di esistenza ratione temporis) di un atto che determini l’asservimento pertinenziale, come la situazione originaria possa trovare smentita in atti successivamente adottati nel lungo arco temporale limitato, ai fini della disamina, all’entrata in vigore del citato decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444 o alla prima disciplina urbanistica introdotta nel Comune (generalmente attraverso un programma di fabbricazione).
89. In questa ipotesi e rispetto al periodo antecedente le date sopra indicate, possono in astratto comprendersi, oltre le citate determinazioni pianificatorie del Comune, atti e negozi di privati, non necessariamente preordinati all’asservimento in senso tecnico dell’area o di una parte di essa.
90. Potrebbero assumere rilievo, in questo senso, atti come la destinazione a pertinenza ex art. 817 c.c., la costituzione di servitù prediale, prevista dagli articoli 1027 e seguenti del codice civile nonché tutti gli atti che implichino un’incidenza sull’immobile, mentre debbono considerarsi sempre irrilevanti, a questi fini, le vicende civilistiche inerenti la titolarità del bene (tra le tante: C.d.S., V, 02.09.2005, n. 4442).
91. Tutte le volte che l’area sia interessata da atti di tale natura, potrebbero determinarsi effetti sulla concreta edificabilità: una parte del terreno potrebbe perdere, in ragione del vincolo ad essa imposto anche iure privatorum, l’idoneità ad essere astrattamente utilizzabile per una costruzione e, conseguentemente, a formare oggetto di eventuali contratti atipici ad effetti obbligatori con i quali le parti dispongono della volumetria di loro immobili (C.d.S., V, 28.06.2000, n. 3637).
92. Tanto si afferma in ragione del principio di immediata evidenza logica secondo il quale la determinazione della volumetria consentita in un’area deve pur sempre tener conto del dato reale, di come, cioè, gli immobili si trovano e delle relazioni che intrattengono con l’ambiente circostante in virtù del complesso di effetti riconducibili ad atti di soggetti pubblici e privati nonché a fatti della più varia natura, ma idonei, in ogni caso, ad incidere sull’edificabilità.
93. Rispetto a tali dati, ove se ne ammetta la rilevanza in ordine quanto meno al singolo intervento edilizio, gli elementi indicati nel quesito in esame costituiscono un prius nel quale non si esaurisce certo la ricerca dell’interprete.
94. Tali vicende, ove non si risolvano in una modificazione profonda e irreversibile del bene e della sua anche parziale vocazione edificatoria, debbono essere acquisite in atti dell’Autorità comunale nel quadro delle regolazioni e qualificazioni scaturenti dalla pianificazione urbanistica adottata dalla singola Amministrazione.
95. Quest’ultima può scegliere, in via generale, tra l’individuazione di criteri idonei a configurare un complesso di precetti recanti fattispecie analoghe o comunque equiparabili all’asservimento pertinenziale perché verificatesi prima dell’entrata in vigore del decreto 02.04.1968, n. 1444 o dello strumento urbanistico adottato e una carenza di regolazione che sposta il problema al momento del rilascio del singolo permesso di costruire così da imporre, ove occorra, una disamina della situazione di fatto e di diritto creatasi nel fondo sul quale è previsto l’intervento edilizio.
96. L’Amministrazione appellante ha optato per la prima ipotesi, introducendo cos ì nelle norme tecniche di attuazione al piano regolatore generale del 1996, un regime integrativo rispetto ai casi di asservimento derivanti dall’applicazione della normativa sugli inderogabili limiti alla densità edilizia.
97. L’articolo 11 n.t.a. del Comune di Varenna, prescrive, infatti, che “per gli edifici esistenti e realizzati prima dell’adozione del programma di fabbricazione del 1968, l’area di pertinenza è quella che risulta indicata negli elaborati allegati alla prativa edilizia rilasciata al proprietario, indipendentemente dai successivi frazionamenti o trasferimenti. L’area acquisita o frazionata dopo la data di adozione del Piano di fabbricazione ed edificata è quella risultante dagli atti asservimento stipulati e trascritti a favore del Comune di Varenna…”.
98. Il successivo articolo 13, lettera c), delle su indicate n.t.a. ha cura di specificare, nella definizione della densità di fabbricabilità fondiaria che “sono esclusi i lotti già saturi ed asserviti ad edifici esistenti”.
99. Le disposizioni su riportate inducono a considerare superata la problematica sollevata con il primo quesito dell’ordinanza di rimessione e a non condividere, quanto meno nella loro assolutezza, le osservazioni del primo Giudice.
100. Secondo quest’ultimo, infatti, le disposizioni appena trascritte “valgono ad agevolare l’identificazione delle aree di pertinenza per le costruzioni realizzate in un regime di licenza (o concessione, o permesso) e in un sistema privo al riguardo di idonee forme di pubblicità…ma non autorizzano a considerare tamquam non essent, scomputandole dal calcolo volumetrico, costruzioni risalenti realizzate in epoche in cui non vigeva l’obbligo di dotarsi di licenza edilizia né esisteva una disciplina ad hoc sull’asservimento e la relativa prova.”
101. L’affermazione è senz’altro esatta se riferita al computo della densità territoriale, ma non può essere riprodotta in modo automatico per il metodo di calcolo della densità fondiaria.
102. Se si condivide l’assunto, fatto proprio dal Tar, secondo il quale le su indicate norme di attuazione hanno un preciso ufficio identificativo delle aree di pertinenza per le costruzioni, non può affermarsi poi che gli edifici risalenti debbono essere comunque computati nella volumetria assentibile per il solo fatto che, per la loro erezione, non esisteva l’obbligo di dotarsi di licenza edilizia o di un provvedimento abilitativo di qualsivoglia natura.
103. L’ufficio identificativo, nel caso di specie, è affidato a precise proposizioni giuridiche, che annettono valore decisivo non tanto all’epoca della costruzione (e alla carenza di titoli abilitativi), quanto piuttosto alle qualificazioni e alle determinazioni effettuate dagli stessi privati purché emergenti e riscontrabili anche implicitamente in atti rivolti alla pubblica autorità e relativi all’attività edilizia.
104. Ciò è, d’altro canto, precisa conseguenza della nozione di asservimento inteso come fattispecie negoziale atipica ad effetti obbligatori in base ai quali un’area viene destinata a servire al computo dell’edificabilità di altro fondo.
105. L’asservimento realizza, in definitiva, una specie particolare di relazione pertinenziale, nella quale viene posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro.
106. Se alla base del peculiare istituto v’è una destinazione pertinenziale, allora la logica (intesa come espressione del principio di ragionevolezza) vuole che possano essere accostate, equiparate o non diversamente regolate altre fattispecie di vincolo ex art. 817 c.c., in esito alle quali si realizzi una vicenda non dissimile quanto ad effetti.
106. Sebbene la tecnica dell’asservimento abbia trovato la propria peculiare ragion d’essere e si sia sviluppata dopo l’introduzione di limiti inderogabili di densità edilizia, è tuttavia incontestabile che relazioni pertinenziali rilevanti possono essersi determinate anche prima dell’entrata in vigore dell’articolo 17 della legge n. 765 del 1967 in ragione della obiettiva destinazione e configurazione dei fondi effettuata da chi ne aveva titolo e disponibilità.
107. L’ipotesi affermata ma non sufficientemente dimostrata nella sentenza impugnata, secondo la quale l’immobile sul mappale 655 ricadeva nel compendio unitario di villa Dajelli, è sicuramente un indizio in questo senso: ciò che impedisce la condivisione dell’assunto è la difficoltà di attribuire un senso univoco a una complessa documentazione, rispetto alla quale possono ben considerarsi ostativi (o almeno bisognosi di ulteriori accertamenti istruttori) gli argomenti dedotti nella perizia asseverata offerta in comunicazione.
108. Rispetto a situazioni nelle quali l’obiettiva incertezza nel valutare lo stato dei luoghi può assumere un primario ed assorbente rilievo e costituire finanche causa di patenti illegittimità, il Comune di Varenna ha fatto una scelta per dir così prudenziale: ha cioè stabilito di affidare, per il periodo antecedente l’adozione del programma di fabbricazione del 1968, la ricognizione dell’asservimento pertinenziale agli atti provenienti dagli stessi privati in sede di richieste di licenze o di presentazione in genere di pratiche edilizie.
109. Le affermazioni del Tribunale amministrativo regionale vanno perciò adeguate non già ad una astratta riconducibilità del fabbricato in contestazione alla primitiva (se provata) inerenza di tutti gli immobili ad una villa unitaria, peraltro appartenente ad altri soggetti, ma alla reale vicenda contenziosa, nella quale, come può anticiparsi, una licenza edilizia è stata richiesta e ottenuta dal Professor Va. prima dell’adozione del citato programma di fabbricazione del 1968.
110. Va ancora sottolineato come le succitate norme tecniche, statuendo all’articolo 13, il principio di carattere generale secondo il quale sono esclusi dal computo di edificabilità i lotti già saturi ed asserviti a fabbricati esistenti, abbiano sostanzialmente traguardato gli aspetti relativi al regime edilizio vigente al momento della costruzione, tenendo ben ferma la prioritaria esigenza di valutare in concreto lo stato dei luoghi.
111. La decisione si sposta, pertanto, alla ricerca in fatto se, in quel contesto, potessero trovare applicazione, in ragione degli atti e delle risultanze processuali, le norme tecniche citate. Fatto che, quindi, assume valenza centrale ai fini della presente decisione.
112. Ora è agli atti del processo il progetto allegato alla domanda di licenza edilizia presentata al Comune di Varenna il 23.02.1963 dal professor Va. per lavori da effettuare nella costruzione insistente sul mappale 655.
113. Dall’esame degli allegati alla domanda emerge che in uno dei lati rispetto ai quali si aprivano ben due porte finestre, l’area contigua era destinato a giardino (in calce al relativo disegno prospettico è scritto infatti: verso giardino).
114. La lettura degli schemi progettuali consente di collocare la casa rispetto alla strada e alla parte collinare (verso monte) e di individuare così con certezza nell’area del contiguo mappale 656 quella destinata a giardino.
115. La licenza edilizia come rilasciata dal Sindaco di Varenna nel marzo del medesimo anno 1963 ha perciò fatta propria la relativa destinazione ai sensi e per gli effetti indicati dal citato articolo 11 n.t.a.
116. L’esatta individuazione dell’area come pertinenza della casa è confermata, per quanto occorrer possa, da due successive licenze edilizie richieste dal professor Va. e rilasciate in vigenza del programma di fabbricazione.
117. Nella prima (pratica n. 4), assentita dal Sindaco di Varenna pro-tempore architetto Giorgio Monico il 31.01.1975, il proprietario richiese ed ottenne di realizzare una pensilina in legno con copertura in coppi sulla porta d’ingresso: tale risulta essere, in base a un preciso riscontro grafico nell’estratto di mappa posto a fianco del disegno principale del progetto, quella che porta al predetto giardino.
118. La seconda licenza (pratica n. 35/1978) fu richiesta nel 1978 dal professor Va. e dalla di lui consorte (probabilmente a seguito dell’entrata in vigore del regime di comunione dei beni introdotto nell’ordinamento italiano nella riforma degli articoli 159 e seguenti del codice civile come introdotta con legge 19.05.1975, n. 151).
119. Il provvedimento autorizzava la realizzazione di un locale di lavanderia e stireria in un crotto (così definito negli atti progettuali e di assenso comunale, nella accezione lombarda, e settentrionale in genere, di grotta) posto sul mappale n. 656 e rispetto al quale, sempre sulla base delle documentazioni progettuali, l ’ingresso era consentito esclusivamente dal giardino.
120. Gli elementi documentali appena commentati nella loro verificata oggettività vanno interpretati alla luce delle citate norme tecniche di attuazione.
121. Ora è evidente come proprio la coerente applicazione del precetto recato nel sopra trascritto articolo 11 n.t.a. del Comune di Varenna imponga di ravvisare l ’esistenza di un vincolo pertinenziale tra la costruzione e la circostante area a giardino insistente sul mappale 656.
122. Il vincolo in questione è stato costituito dal professor Va. in epoca antecedente il programma edilizio del 1968, essendo quanto meno operante dal febbraio 1963 (epoca nella quale fu presentata la richiesta di licenza edilizia) ed è stato pedissequamente indicato negli elaborati allegati alla pratica edilizia.
123. Debbono conseguentemente ritenersi pienamente operanti gli estremi richiesti dal più volte invocato articolo 11 n.t.a. per assumere la sussistenza del rapporto pertinenziale tra casa e giardino e per concludere che la volumetria della prima, insistente sul mappale 655, deve essere detratta da quella complessivamente assentibile per i lotti già di proprietà Va..
124. Le considerazioni che precedono impongono la conferma, seppure con diversa motivazione, della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 23.09.2009 n. 3).

EDILIZIA PRIVATAL'asservimento della volumetria realizzabile su un lotto a favore di un altro, per consentire in quest’ultimo una maggiore edificabilità, è consentito solo per lotti aventi la medesima destinazione urbanistica.
E’ pacifico in giurisprudenza che vi è asservimento allorquando un’area non sia semplicemente, in via di fatto, a servizio di un edificio ma abbia giuridicamente ricevuto tale destinazione attraverso uno strumento urbanistico ovvero le norme del regolamento edilizio ovvero un impegno privato: per effetto di ciò, il fondo asservito resta inedificabile (C.S., V, n. 1278/2003).
Inoltre, l’asservimento della volumetria realizzabile su un lotto a favore di un altro per consentire in quest’ultimo una maggiore edificabilità è consentito solo per lotti aventi la medesima destinazione urbanistica, in quanto l’opposta soluzione comporterebbe una evidente alterazione delle norme che mirano a realizzare determinate caratteristiche tipologiche della zona (C.S. V Sez., n. 1172/2003, n. 530/1991) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione - Diniego - Perfezionamento - Comunicazione del parere negativo della Commissione edilizia - Conseguenze.
2. Asservimento di un fondo - Condizioni.

1. La comunicazione del parere sfavorevole della Commissione edilizia costituisce rigetto della relativa domanda ed è pertanto immediatamente impugnabile e ciò perché, se è vero che la comunicazione del parere favorevole della Commissione Edilizia non ha valore di rilascio della concessione, non altrettanto può dirsi della comunicazione del parere contrario, che - se effettuata da parte dell'organo competente a rilasciare il titolo abilitativo richiesto - costituisce manifestazione della volontà di aderire alla decisione negativa della Commissione e, quindi, avendo tutti gli elementi necessari del diniego, costituisce atto immediatamente lesivo ed autonomamente impugnabile (Cons. Stato, sez. V, 23.01.2007; TAR Campania Napoli, sez. IV, 20.11.2006 n. 9983).
2. Vi è asservimento allorquando un'area non sia semplicemente, in via di fatto a servizio di un edificio, ma abbia giuridicamente ricevuto tale destinazione attraverso uno strumento urbanistico ovvero le norme del regolamento edilizio ovvero un impegno privato: per effetto di ciò, il fondo asservito resta inedificabile (Cons. Stato, sez. V, n. 1278/2003) (
massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il comune deve verificare, in vista del rilascio del titolo abilitativo edilizio, se la disponibilità della volumetria necessaria all’esecuzione delle opere previste in progetto sussista in capo al soggetto istante ovvero in capo a soggetti terzi.
In caso contrario, si determinerebbe la seguente alternativa di effetti abnormi, in assenza di controlli all’uopo posti in essere:
   a) i limiti di carico urbanistico fissati dagli appositi strumenti finirebbero per essere superati e vanificati dal concomitante utilizzo di identiche volumetrie edificabili da parte di proprietari di suoli ricadenti in medesimi comparti;
   b) i soggetti regolarmente ed effettivamente titolari di volumetrie realizzabili, ove prevenuti da iniziative edificatorie autorizzate di altri soggetti proprietari di suoli ubicati entro il medesimo comparto, finirebbero per essere illegittimamente privati delle predette volumetrie, pur senza averne convenuto alcuna cessione.
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I
l diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità, con la conseguenza che esso è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Sicché, “un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione, solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie libera più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria, di cui si chiede la realizzazione”.

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Per verificare la effettiva potenzialità edificatoria di un originario lotto urbanistico poi frazionato, occorre sempre partire dalla considerazione che, in virtù del carattere ‘unitario’ dell'originario lotto asservito a precedenti costruzioni, non possono non computarsi le volumetrie realizzate su di esso, considerato nel suo complesso e unico ad aver acquisito e mantenuto una ‘propria’ potenzialità edificatoria; con la conseguenza che la verifica dell'edificabilità della parte del lotto rimasta inedificata e la quantificazione della volumetria su di essa realizzabile non può che derivare, per sottrazione, dalla predetta potenzialità, diminuita della volumetria dei fabbricati già realizzati sull'unica, complessiva area.
Pertanto, allorquando un’area edificabile venga frazionata in più parti tra vari proprietari –così come anche allorquando la volumetria disponibile sia ripartita in base a quote consortili di un comparto edificatorio ex art. 23 della l. n. 1150/1942–, la cubatura utilizzabile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata; con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario –o sul comparto– una costruzione, i proprietari dei vari terreni in cui detto fondo è stato frazionato (o che compongono il comparto) hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota.

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Il trasferimento di volumetria da un fondo all'altro e la cessione di cubatura da parte del proprietario di un fondo confinante, consistono in un contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato al trasferimento di volumetria, che si perfeziona con il provvedimento amministrativo.
Presupposto indefettibile della fattispecie è l'adesione del cedente, che può essere manifestata o sottoscrivendo l'istanza o il progetto del cessionario, o rinunciando alla propria cubatura a favore di questi, o notificando al comune tale sua volontà, mentre il vincolo di asservimento a carico ed a favore del fondo sorge, sia per le parti sia per i terzi, solo per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario.
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L'amministrazione comunale, fin dall'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, è chiamata a verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il provvedimento autorizzativo –anche se questo è sempre rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi– e se il titolo non viene provato è legittimo che il rilascio della concessione venga negato. Tale principio è desumibile dall'art. 11, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 in base al quale “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Per modo che la verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto.
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4. Venendo ora al terzo motivo di ricorso, con esso la Artistica Immobiliare lamenta l’eccesso di potere, per avere il Comune di Benevento svolto indebitamente indagini estese “alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal ricorrente medesimo” e per essersi altrettanto indebitamente arrogata “il compito di dirimere controversie mai sorte”.
Detto altrimenti, secondo la ricorrente, l’amministrazione resistente non avrebbe potuto spingersi a verificare, in vista del rilascio del titolo abilitativo edilizio, se la disponibilità della volumetria necessaria all’esecuzione delle opere previste in progetto sussistesse in capo al soggetto istante ovvero in capo a soggetti terzi (nella specie, rispettivamente, Ar.Im. e Al.).
Il motivo è infondato, tenuto conto che l’amministrazione è certamente chiamata a verificare la volumetria edificabile relativa all’immobile sul quale si richiede il permesso di costruire.
In caso contrario, si determinerebbe la seguente alternativa di effetti abnormi, in assenza di controlli all’uopo posti in essere:
   a) i limiti di carico urbanistico fissati dagli appositi strumenti finirebbero per essere superati e vanificati dal concomitante utilizzo di identiche volumetrie edificabili da parte di proprietari di suoli ricadenti in medesimi comparti;
   b) i soggetti regolarmente ed effettivamente titolari di volumetrie realizzabili, ove prevenuti da iniziative edificatorie autorizzate di altri soggetti proprietari di suoli ubicati entro il medesimo comparto, finirebbero per essere illegittimamente privati delle predette volumetrie, pur senza averne convenuto alcuna cessione.
Ed invero, nella specie, non si è trattato di vagliare questioni di distribuzione delle cubature fra proprietari privati, bensì –stando proprio alla terminologia della ricorrente– di “verificare soltanto l’esistenza di un titolo sostanziale idoneo a costituire in capo all’istante il diritto di sfruttare la potenzialità edificatoria del bene”.
Al riguardo, giova rammentare, in primis, che il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità, con la conseguenza che esso è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata; per modo che “un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione, solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie libera più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria, di cui si chiede la realizzazione” (Cons. Stato, sez. V, 12.07.2004, n. 5039; 12.07.2005, n. 3777; 23.08.2005, n. 4385; 27.06.2006, n. 4117; sez. IV, 29.01.2008, n. 255; 12.05.2008, n. 2177; 26.09.2008, n. 4647; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 08.03.2006, n. 2738; TAR Lazio, Roma, sez. II, 15.11.2006, n. 12137; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 01.04.2008, n. 547).
Ebbene, nel caso di specie, come evidenziato retro, sub n. 3.2, la Ar.Im. e i precedenti acquirenti della proprietà ex Me., al momento del rilascio dei permessi di costruire annullati in via di autotutela, avevano già utilizzato una volumetria di mc. 37.456 per la realizzazione di 14 edifici in linea a destinazione residenziale (rispettivamente, 5 sagome A1 e 9 sagome A2), risultando così residuata alla complessiva area spettante agli aventi causa della predetta proprietà ex Me. una cubatura inferiore ai mc. 5.021 necessari per la costruzione del fabbricato de quo ed a nulla rilevando che questo insistesse su una porzione (corrispondente alla particella 1139 del foglio catastale 59), autonoma e catastalmente divisa, ottenuta dal frazionamento di un più ampio lotto originario (corrispondente alla particella 803 del foglio 59), ricompreso nel subcomparto 30/A (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. V, 28.02.2001 n. 1074; 12.07.2005, n. 3777; 27.06.2006, n. 4117; sez. IV, 26.09.2008, n. 4647).
Difatti, per verificare la effettiva potenzialità edificatoria di un originario lotto urbanistico poi frazionato, occorre sempre partire dalla considerazione che, in virtù del carattere ‘unitario’ dell'originario lotto asservito a precedenti costruzioni, non possono non computarsi le volumetrie realizzate su di esso, considerato nel suo complesso e unico ad aver acquisito e mantenuto una ‘propria’ potenzialità edificatoria; con la conseguenza che la verifica dell'edificabilità della parte del lotto rimasta inedificata e la quantificazione della volumetria su di essa realizzabile non può che derivare, per sottrazione, dalla predetta potenzialità, diminuita della volumetria dei fabbricati già realizzati sull'unica, complessiva area (Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008, n. 3766).
Pertanto, allorquando un’area edificabile venga frazionata in più parti tra vari proprietari –così come anche allorquando la volumetria disponibile sia ripartita in base a quote consortili di un comparto edificatorio ex art. 23 della l. n. 1150/1942–, la cubatura utilizzabile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata; con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario –o sul comparto– una costruzione, i proprietari dei vari terreni in cui detto fondo è stato frazionato (o che compongono il comparto) hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.01.2008, n. 255).
In base a tali premesse, occorre inferire, con riferimento al caso di specie, da un lato, che, al momento del rilascio dei permessi di costruire annullati in via di autotutela, la potenzialità edificatoria del subcomparto 30/A avrebbe dovuto calcolarsi tenuto conto delle volumetrie già realizzate e dall’altro, che gli acquirenti della proprietà ex Me. (tra i quali, da ultima, la ricorrente) avrebbero potuto utilizzare la cubatura residua soltanto in proporzione alla quota spettante alla predetta proprietà, corrispondente alla particella 1139, così come risultante dal frazionamento dell’originaria particella 803 del foglio catastale 59.
In un simile contesto, il Comune di Benevento ha, pertanto, legittimamente esercitato, in sede di autotutela, i poteri istruttori di verifica e controllo dell'assentibilità del progetto con riguardo l'edificazione del lotto della ricorrente, in quanto questa risulta essersi attribuita unilateralmente e senza il consenso degli altri proprietari (titolari della quota ex Tr.–Uc.) anche la volumetria che, in base all'indice di edificabilità, sarebbe spettata a questi ultimi.
Ed invero, il trasferimento di volumetria da un fondo all'altro e la cessione di cubatura da parte del proprietario di un fondo confinante, consistono in un contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato al trasferimento di volumetria, che si perfeziona con il provvedimento amministrativo.
Presupposto indefettibile della fattispecie è l'adesione del cedente, che può essere manifestata o sottoscrivendo l'istanza o il progetto del cessionario, o rinunciando alla propria cubatura a favore di questi, o notificando al comune tale sua volontà, mentre il vincolo di asservimento a carico ed a favore del fondo sorge, sia per le parti sia per i terzi, solo per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario (cfr. Cass., 29.06.1981, n. 4245; 22.02.1996, n. 1352; 12.09.1998, n. 9081; Cons. Stato, sez. V, 04.01.1993, n. 26; 26.11.1994, n. 1382; 28.06.2000, n. 363).
Pertanto, la ricorrente, in mancanza del consenso degli altri proprietari, non aveva né titolo né legittimazione per disporre della volumetria ad essi spettante e tale circostanza non atteneva –a differenza di quanto dalla medesima dedotto– ai rapporti privatistici tra i vari proprietari, bensì alla verifica del possesso dei titoli di legittimazione per il rilascio del titolo abilitativo edilizio ed all'accertamento, da parte dell’amministrazione comunale, del rispetto delle prescrizioni e dei vincoli del piano regolatore connessi agli indici di edificabilità espressi dal rapporto area–volume (TAR Lombardia, Brescia, 10.01.2006, n. 24)
Gli accertamenti occasionati dal contatto tra disciplina sostantiva e normativa urbanistico-edilizia, non preludono, infatti, alla soluzione di conflitti intersoggettivi, ma ineriscono alla fase istruttoria del procedimento, volta al riscontro dell’esistenza di un diritto, reale o anche solo obbligatorio, che rende ammissibile la richiesta. La possibile incertezza, emergente ab origine o in forza di successive acquisizioni procedimentali, impone quindi ogni utile approfondimento istruttorio mirante alla verifica della legittimazione (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586).
Del resto, l'amministrazione comunale, fin dall'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, è chiamata a verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il provvedimento autorizzativo –anche se questo è sempre rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi– e se il titolo non viene provato è legittimo che il rilascio della concessione venga negato. Tale principio è desumibile dall'art. 11, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 in base al quale “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. Per modo che la verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto (Cons. Stato, sez. V, 07.09.2007, n. 4703) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 11.06.2009 n. 3203 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un'area edificatoria già utilizzata ai fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire.
In materia deve applicarsi il principio secondo cui un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione (C.S., V, n. 5039/2004). Insomma, ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto edificato occorre considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area, quelle previste con progetti già assentiti dal Comune, come pure gli atti di asservimento di volumetria in favore di altro fondo (Tar Cagliari, II, n. 996/2006); non può quindi essere considerata libera un'area già parzialmente edificata, sicché nel calcolo della volumetria realizzabile, ai fini del rilascio di un permesso relativo ad una seconda costruzione, nella perdurante esistenza del primo edificio, dovrà tenersi conto di quanto già realizzato (Tar Pescara, n. 88/2006).
Al riguardo, si deve ricordare che, per principio pacifico, ai fini del calcolo dei volumi e delle superfici utilizzabili a scopi edificatori, non si deve tener conto soltanto della situazione attuale delle aree frazionate, con una verifica formalistica per ciascuna di esse del possesso di tutti i necessari requisiti, secondo la normativa urbanistica vigente (lotto minimo, superficie utilizzabile etc.), ma occorre considerare anche la situazione antecedente al frazionamento, riferita all'intero terreno con gli eventuali precedenti sfruttamenti edilizi.
Per cui, nell'ipotesi di precedente realizzazione di un manufatto edilizio, l'intera estensione interessata deve essere considerata già utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che l'area al manufatto asservita o,in altri termini,che ha espresso la volumetria già realizzata non esprime volumetria rapportata alla sua interezza, pur se sia oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto (Consiglio di Stato, sez. V, n. 749 del 10.02.2000; Consiglio di Stato, sez. V, n. 749 del 2000 cit.)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 21.05.2009 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACessione di cubatura.
L’istituto del c.d. “asservimento dl terreno per scopi edificatori” (o cessione di cubatura) —al quale, secondo pacifica interpretazione giurisprudenziale, può farsi ricorso pure in mancanza di un riconoscimento espresso da parte di fonti normative— consiste in un accordo tra proprietari di aree contigue, aventi la stessa destinazione urbanistica, in forza del quale il proprietario di un’area “cede” una quota di cubatura edificabile sul suo fondo per permettere all’ altro di disporre della minima estensione di terreno richiesta per l’edificazione, ovvero di realizzare una volumetria maggiore di quella consentita dalla superficie del fondo di sua proprietà.
Gli effetti che ne derivano hanno carattere definitivo ed irrevocabile, integrano una qualità oggettiva dei terreni e producono una minorazione permanente della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario (Cote di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.05.2009 n. 21177 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento della volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’iper saturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
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Il ricorso merita accoglimento per la fondatezza della prima censura che assorbe le rimanenti.
Con il primo motivo l’istante sostiene che con la concessione impugnata sarebbe stato superato l’indice massimo di copertura di 0,5 tra superficie coperta e superficie fondiaria previsto dall’art. 12, sub 6, delle norme di attuazione al Piano Particolareggiato per le zone B4 e B5, approvato con deliberazione consiliare n. 108 del 12.09.1995. Ciò in quanto la superficie coperta complessiva andrebbe calcolata aggiungendo a quella in precedenza utilizzata quella delle costruzioni assentite con l’impugnata concessione n. 60, in conseguenza della quale il rapporto massimo di copertura supererebbe il prescritto indice di 0,5.
La concessione edilizia n. 60 attiene al lotto n. 7, con superficie di mq. 1578, dell’isolato 22A del Piano Particolareggiato. Sul lotto risultano edificati due corpi di fabbricato (A e B), assentiti con concessione edilizia n.79/89, occupanti complessivamente una superficie coperta di mq. 787, 44.
In forza dell’indice di copertura previsto per la zona dal Piano Particolareggiato (0,5 mq./mq.), nel lotto, da considerare urbanisticamente unitario, é possibile realizzare una copertura di 789 mq.. Poiché la superficie coperta utilizzata era pari a mq. 787,44 già realizzati, l’intervento di cui alla concessione edilizia in esame porterebbe al superamento di detto indice di copertura.
Infatti, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento della volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’iper saturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo (cfr in tal senso, su un caso pressoché identico, la sentenza 1827/2008 del TAR Sardegna, Sez. 2ª) (Consiglio di Stato, Sez. III, parere 28.04.2009 n. 2810 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATAIl proprietario di un terreno edificabile ha la legittima aspettativa di sfruttare interamente la capacità edificatoria assegnatagli dal p.r.g..
A questa legittima aspettativa fa fronte il dovere del Comune di rilasciare il titolo abilitativo richiesto dall’interessato, salvo che non vi siano legittime ragioni ostative, quali ad esempio la non conformità del progetto alle previsioni del piano regolatore. Ma se il progetto prevede una determinata cubatura, e questa corrisponde a quella prevista dal p.r.g., il titolo abilitativo non può essere rifiutato adducendo l’opportunità di mantenere ridotta la densità edilizia della zona.
Le valutazioni discrezionali in merito alla densità edilizia debbono essere fatte, e sono state fatte, in sede di formazione del p.r.g.. In sede di esame dei singoli progetti edilizi l’autorità comunale non può sostituire la propria discrezionalità a quella espressa nel piano regolatore. Semmai, qualora ne ravvisi l’opportunità, può avviare una procedura di variante; in effetti ciò è avvenuto anche in questo caso, ma la variante non è mai stata perfezionata e, come si è visto, sono scaduti i termini delle misure di salvaguardia.
Il fatto che il proprietario abbia il diritto (alle condizioni di legge e di p.r.g.) di sfruttare interamente la cubatura edificabile assegnata al fondo non esclude, ovviamente, che egli possa liberamente decidere di presentare un progetto che prevede una cubatura più ridotta. Se lo fa, tuttavia, ciò non significa che egli abbia rinunciato definitivamente a sfruttare l’intera capacità edificatoria.
E’ perfettamente ammissibile che nelle more del rilascio del titolo abilitativo il richiedente ritiri il progetto e ne presenti un altro che prevede una cubatura maggiore. In un caso del genere nessuno vorrà sostenere che l’aver presentato il primo progetto implichi la rinuncia alla maggior cubatura.
Ma pure quando il titolo abilitativo è stato rilasciato e perfezionato con l’adempimento degli oneri dovuti dal richiedente, nulla vieta che questi proponga una variante in corso d’opera. In tale evenienza il Comune dovrà verificare se il nuovo progetto rientri nei parametri stabiliti dal p.r.g. e non potrà opporsi con l’argomento (infondato) che avendo accettato il primo titolo abilitativo l’interessato si sia preclusa la possibilità di una variante.

Conviene sviluppare e approfondire le considerazioni di massima sopra svolte.
Il proprietario di un terreno edificabile ha la legittima aspettativa di sfruttare interamente la capacità edificatoria assegnatagli dal p.r.g..
A questa legittima aspettativa fa fronte il dovere del Comune di rilasciare il titolo abilitativo richiesto dall’interessato, salvo che non vi siano legittime ragioni ostative, quali ad esempio la non conformità del progetto alle previsioni del piano regolatore. Ma se il progetto prevede una determinata cubatura, e questa corrisponde a quella prevista dal p.r.g., il titolo abilitativo non può essere rifiutato adducendo l’opportunità di mantenere ridotta la densità edilizia della zona.
Le valutazioni discrezionali in merito alla densità edilizia debbono essere fatte, e sono state fatte, in sede di formazione del p.r.g.. In sede di esame dei singoli progetti edilizi l’autorità comunale non può sostituire la propria discrezionalità a quella espressa nel piano regolatore. Semmai, qualora ne ravvisi l’opportunità, può avviare una procedura di variante; in effetti ciò è avvenuto anche in questo caso, ma la variante non è mai stata perfezionata e, come si è visto, sono scaduti i termini delle misure di salvaguardia.
Il fatto che il proprietario abbia il diritto (alle condizioni di legge e di p.r.g.) di sfruttare interamente la cubatura edificabile assegnata al fondo non esclude, ovviamente, che egli possa liberamente decidere di presentare un progetto che prevede una cubatura più ridotta. Se lo fa, tuttavia, ciò non significa che egli abbia rinunciato definitivamente a sfruttare l’intera capacità edificatoria.
E’ perfettamente ammissibile che nelle more del rilascio del titolo abilitativo il richiedente ritiri il progetto e ne presenti un altro che prevede una cubatura maggiore. In un caso del genere nessuno vorrà sostenere che l’aver presentato il primo progetto implichi la rinuncia alla maggior cubatura.
Ma pure quando il titolo abilitativo è stato rilasciato e perfezionato con l’adempimento degli oneri dovuti dal richiedente, nulla vieta che questi proponga una variante in corso d’opera. In tale evenienza il Comune dovrà verificare se il nuovo progetto rientri nei parametri stabiliti dal p.r.g. e non potrà opporsi con l’argomento (infondato) che avendo accettato il primo titolo abilitativo l’interessato si sia preclusa la possibilità di una variante (TAR Umbria, sentenza 10.11.2008 n. 715 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di asservimento volumetrico si possono trarre dalla giurisprudenza consolidata i seguenti principi:
   a) nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di piano regolatore sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti, in quanto il p.r.g., nella parte in cui prevede i limiti entro i quali l’area può essere edificata, si riferisce non all’edificazione ulteriore rispetto a quella già esistente al momento della sua approvazione, ma all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area;
   b) le vicende inerenti alla proprietà dei terreni, e in particolare il frazionamento del fondo da parte dell’originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’inedificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e pertanto restano inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già “consumato” la volumetria disponibile.
In applicazione di questi principi si è statuito che:
   - si deve sempre tenere conto dei manufatti preesistenti;
   - per calcolare l’entità dell’asservimento e la volumetria residua, si deve considerare non il regime edilizio più favorevole esistente all’epoca di edificazione dei manufatti in situ, ma lo strumento urbanistico vigente alla data del provvedimento emesso sulla domanda di concessione;
   - se un’area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area rimane invariata, e quella che residua tenuto conto dell’originaria costruzione resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione della rispettiva quota di acquisto- salvo ovviamente eventuali cessioni di cubatura-, a nulla rilevando che l’edificanda costruzione vada ad insistere su un lotto libero risultante dal frazionamento;
   - l’area la cui potenzialità edificatoria sia già saturata da una precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che individuasse l’area da edificare, in quanto qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.

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3. Prima di esaminare i motivi dei ricorsi, è opportuno richiamare la posizione della giurisprudenza sulle questioni in esame, riportando quanto compiutamente stabilito dalla sentenza n. 123 del 30.01.2007 di questa Sezione: “in materia di asservimento volumetrico si possono trarre dalla giurisprudenza consolidata i seguenti principi:
   a) nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di piano regolatore sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti (Cons. Stato V 29.11.1994 n. 1414), in quanto il p.r.g., nella parte in cui prevede i limiti entro i quali l’area può essere edificata, si riferisce non all’edificazione ulteriore rispetto a quella già esistente al momento della sua approvazione, ma all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area (Cons. Stato V 07.11.2002 n. 6128, 26.11.1994 n. 1382);
   b) le vicende inerenti alla proprietà dei terreni, e in particolare il frazionamento del fondo da parte dell’originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’inedificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e pertanto restano inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già “consumato” la volumetria disponibile (Cons. Stato IV 06.09.1999 n. 1402).
In applicazione di questi principi si è statuito che:
   - si deve sempre tenere conto dei manufatti preesistenti (Cons. Stato V n. 6128/2002 cit.);
   - per calcolare l’entità dell’asservimento e la volumetria residua, si deve considerare non il regime edilizio più favorevole esistente all’epoca di edificazione dei manufatti in situ, ma lo strumento urbanistico vigente alla data del provvedimento emesso sulla domanda di concessione (Cons. Stato V 22.11.2001 n. 5928);
   - se un’area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area rimane invariata, e quella che residua tenuto conto dell’originaria costruzione resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione della rispettiva quota di acquisto (CS V 12.07.05 n. 3777)- salvo ovviamente eventuali cessioni di cubatura (cfr. Cass. II, 12.09.1998 n. 9081, Cons. Stato V 28.06.2000 n. 3637)-, a nulla rilevando che l’edificanda costruzione vada ad insistere su un lotto libero risultante dal frazionamento (Cons. Stato VI 27.06.2006 n. 4117 e riferimenti);
   - l’area la cui potenzialità edificatoria sia già saturata da una precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che individuasse l’area da edificare (Cons. Stato V 12.07.04 n. 5039), in quanto qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata (Cons. Stato V 27.06.2006 n. 4117)
” (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.10.2008 n. 5223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Edifici preesistenti - Si computano.
2. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Vicende private connesse alla disponibilità di area edificabile - Irrilevanza.
3. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Regime edilizio applicabile - Criterio.
4. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Asservimento de facto - Configurabilità - Ratio.
5. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Metodo di computo.

1. Nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di piano regolatore, sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti in quanto il PRG, nella parte in cui prevede i limiti entro i quali l'area può essere edificata, si riferisce non all'edificazione ulteriore rispetto a quella già esistente al momento della sua approvazione, ma all'edificazione complessivamente realizzabile sull'area.
2. Le vicende relative alla proprietà dei terreni, e in particolare il frazionamento del fondo da parte dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell'inedificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e pertanto inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già "consumato" la volumetria disponibile (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1402/1999); pertanto, se un'area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a vari proprietari, la volumetria disponibile nell'intera area rimane invariata e quella residua, tenuto conto dell'originaria costruzione, resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione della diversa quota d'acquisto (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3777/2005), -alvo eventuali cessioni di cubatura (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3637/2000)-, a nulla rilevando che l'edificanda costruzione vada ad insistere su un lotto libero risultante dal frazionamento (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4117/2006).
3. Per calcolare l'entità dell'asservimento e la volumetria residua, si deve considerare non il regime edilizio più favorevole all'epoca dell'edificazione dei manufatti in situ, ma lo strumento urbanistico vigente alla data del provvedimento emesso sulla domanda di concessione (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5928/2001).
4. L'area la cui potenzialità edificatoria sia già stata saturata da una precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che individuasse l'area da edificare (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5039/2004), in quanto qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di edificabilità, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4117/2006).
5. La verifica dell'edificabilità di una parte di lotto inedificato deve derivare per sottrazione della predetta potenzialità diminuita della volumetria dei fabbricati già realizzati sull'unica area, oppure di quella condonata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.10.2008 n. 5223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ove un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento della volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'iper saturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 24.10.2008 n. 1827).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto occorre considerare le costruzioni che insistono sull'area, nonché -comunque- le loro pertinenze necessarie e le aree di transito, le quali non possono considerarsi "titolari" di alcuna cubatura autonoma, ulteriore rispetto a quella già realizzata negli edifici serviti.
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Il ricorso è infondato.
In ordine alla censura di violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, avanzata con il I) motivo, il collegio osserva che l’amministrazione ha trasmesso, in corso d’istruttoria, alla ricorrente il parere contrario reso sulla sua istanza dal responsabile del procedimento, così comunicandole “i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza”, in corretto adempimento di quanto prescritto dalla cennata disposizione, di cui si assume erroneamente la violazione.
Dal provvedimento impugnato risulta –diversamente da quanto opinato dalla ricorrente con il II) motivo– che il diniego opposto dall’amministrazione non è basato sulla mancanza di contiguità tra l’edificio della ricorrente in corso di realizzazione e la particella della quale è stata acquisita la volumetria, bensì dalla ritenuta impossibilità di computare quest’ultima, a causa del fatto che la particella de qua è di pertinenza di altro edificio.
Il ragionamento seguito dall’amministrazione va condiviso.
Bisogna in proposito sottolineare che la particella della quale la ricorrente ha acquistato la volumetria è, in concreto, il cortile sul quale si affaccia l’edificio dell’ex Istituto Pio X e su di essa insistono gli accessi all’edificio stesso.
In considerazione di siffatta necessaria pertinenzialità, non può riconoscersi alla stessa alcuna potenzialità edificatoria, tanto meno da cedere a terzi vicini, quali che siano le sue vicende civilistiche o catastali (cfr. C.S., V, 07.11.2002, n. 6128) e senza che abbia rilievo la necessità o meno di computare, ai fini dell’ulteriore cubatura realizzabile nella zona, quella dell’edificio dell’ex istituto Pio X, realizzato prima dell’entrata in vigore dell’attuale legislazione urbanistica limitativa.
Ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto occorre, invero, considerare le costruzioni che insistono sull'area, nonché –comunque- le loro pertinenze necessarie e le aree di transito, le quali non possono considerarsi “titolari” di alcuna cubatura autonoma, ulteriore rispetto a quella già realizzata negli edifici serviti (cfr. TAR Sardegna, II, 19.05.2006, n. 996; Id., 19.03.2003, n. 316). E d’altronde su dette aree funzionalmente asservite agli edifici preesistenti non è direttamente realizzabile volumetria alcuna, prima e a prescindere dal ogni eventuale “cessione”.
Sulla base di tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso in esame risulta infondato e va quindi rigettato (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 07.08.2008 n. 426 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di un edificio su un fondo originariamente unico - Asservimento del fondo quanto a volumetria ulteriormente edificabile - Sussiste - Successivo frazionamento del fondo - Non rileva ai fini del calcolo volumetrico.
La realizzazione di un edificio su un fondo originariamente unico è idonea a determinare una situazione di asservimento, quanto a volumetria ulteriormente edificabile dall'altra parte del fondo; sulla situazione così determinata, non influisce il successivo frazionamento del fondo in più lotti, dovendosi in tal caso tener conto, ai fini del calcolo della volumetria edificabile residua, della situazione come determinata dalla parziale utilizzazione, da parte dell'originario ed unico proprietario, della volumetria globalmente disponibile
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.07.2008 n. 3127 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel calcolo della volumetria residua di un lotto in parte già edificato occorre fare riferimento agli indici edilizi in vigore alla data di rilascio del nuovo permesso di costruire. Questo vale sia per gli indici che stabiliscono direttamente la misura dell’edificazione consentita (indici di utilizzazione) sia per i parametri rilevanti ai fini del calcolo (superfici, volumi, altezze, rapporti, distanze).
Pertanto la volumetria esistente deve essere attualizzata secondo gli indici edilizi sopravvenuti in modo da renderla omogenea, e dunque confrontabile, con la nuova volumetria di progetto e con la volumetria complessivamente ammissibile. Solo così è possibile dare applicazione alla nuova disciplina edilizia garantendo che l’insediamento di volume sul territorio sia quello effettivamente consentito dallo strumento urbanistico più recente.
Questo principio opera negativamente per i proprietari quando i nuovi indici siano più restrittivi ma può risolversi anche in un vantaggio quando subentrino indici più favorevoli.
Un’ipotesi particolare di modifica più favorevole si ha quando venga riformulato o precisato un parametro edilizio (nel caso in esame la superficie lorda di pavimento) e la nuova formulazione consenta di non tenere conto di una parte della volumetria esistente incrementando così quella residua. Gli strumenti urbanistici potrebbero distaccarsi da questa regola introducendo delle disposizioni transitorie specifiche.

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11. Con il secondo motivo il ricorrente sostiene che l’edificio descritto nella DIA avrebbe superato la volumetria consentita, in violazione dell’art. 20 delle NTA.
Prendendo come riferimento i titoli edificatori relativi all’ex mappale n. 135 (v. sopra al punto 4) la volumetria residua sarebbe pari a 434,81 mc (2.508 - 2.073,19) e non a 1.134,50 mc (2.508 – 1.373,50) come dichiarato nella DIA. Pertanto solo una parte della volumetria di 1.111,07 mc prevista nella DIA (v. sopra al punto 2) avrebbe potuto essere collocata sul mappale n. 282.
I controinteressati replicano che la misurazione del volume dell’edificio presente sull’ex mappale n. 135 (ovvero ex n. 207 e attualmente n. 283) è stata ripetuta utilizzando le nuove definizioni dei parametri edilizi introdotte nel 2004 dall’art. 12 delle NTA.
Conseguentemente è stato escluso dalla superficie lorda di pavimento il piano seminterrato in quanto sporgente dal suolo con la quota dell’intradosso del primo solaio per meno di 0,70 metri e avente altezza interna non superiore a 2,40 metri (art. 12 punto 5-g delle NTA).
Tenendo in considerazione solo la superficie lorda degli altri due piani dell’immobile (481,58 mq) il volume risulta pari a 1.373,50 mc. Ai sensi dell’art. 12 punto 5-e delle NTA non è inserito nel volume il portico, in quanto la relativa superficie (35,23 mq) è inferiore al 15% della superficie lorda di pavimento.
12. La tesi dei controinteressati appare condivisibile.
Nel calcolo della volumetria residua di un lotto in parte già edificato occorre fare riferimento agli indici edilizi in vigore alla data di rilascio del nuovo permesso di costruire. Questo vale sia per gli indici che stabiliscono direttamente la misura dell’edificazione consentita (indici di utilizzazione) sia per i parametri rilevanti ai fini del calcolo (superfici, volumi, altezze, rapporti, distanze).
Pertanto la volumetria esistente deve essere attualizzata secondo gli indici edilizi sopravvenuti in modo da renderla omogenea, e dunque confrontabile, con la nuova volumetria di progetto e con la volumetria complessivamente ammissibile. Solo così è possibile dare applicazione alla nuova disciplina edilizia garantendo che l’insediamento di volume sul territorio sia quello effettivamente consentito dallo strumento urbanistico più recente.
Questo principio opera negativamente per i proprietari quando i nuovi indici siano più restrittivi (v. CS Sez. IV 31.12.2007 n. 6833; CS Sez. V 22.11.2001 n. 5928) ma può risolversi anche in un vantaggio quando subentrino indici più favorevoli. Un’ipotesi particolare di modifica più favorevole si ha quando venga riformulato o precisato un parametro edilizio (nel caso in esame la superficie lorda di pavimento) e la nuova formulazione consenta di non tenere conto di una parte della volumetria esistente incrementando così quella residua. Gli strumenti urbanistici potrebbero distaccarsi da questa regola introducendo delle disposizioni transitorie specifiche.
Nel caso in esame tuttavia l’art. 20 delle NTA si limita a ricaricare la volumetria ammissibile incrementando del 20% l’indice di utilizzazione fondiaria e non contiene precisazioni sulla volumetria esistente.
Pertanto non vi sono ragioni per non applicare a tale volumetria la nuova definizione di superficie lorda di pavimento introdotta nel PRG del 2004
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 19.07.2008 n. 830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., della legge 28.01.1977, n. 10, ratione temporis applicabile al caso di specie) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo (ed a maggior ragione, dunque, ove un qualche titolo di sanatoria poi ottenga), impegna la superficie, che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
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Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria, di cui si chiede la realizzazione.
Ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto già parzialmente edificato occorre dunque considerare tutte le costruzioni, che comunque già insistono sull’area.
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Occorre infatti, in proposito, ricordare che il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost., n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., della legge 28.01.1977, n. 10, ratione temporis applicabile al caso di specie) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo (ed a maggior ragione, dunque, ove un qualche titolo di sanatoria poi ottenga), impegna la superficie, che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria, di cui si chiede la realizzazione (Cons. St., V, 12.07.2004, n. 5039).
Ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto già parzialmente edificato occorre dunque considerare tutte le costruzioni, che comunque già insistono sull’area.
La tesi sostenuta dall'appellante (della irrilevanza delle costruzioni, per le quali sia stata presentata ed accolta domanda di condono edilizio) si rivela, quindi, del tutto priva di fondamento, dato che, in applicazione del principio ora detto, quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis dalla sua utilizzazione, a prescindere dal fatto che l’utilizzazione stessa sia “coperta” o meno da uno dei titoli all’uopo previsti dall’ordinamento, così come a prescindere dalla natura stessa –di verifica preventiva della conformità della realizzando costruzione agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina urbanistico/edilizia, ovvero in sanatoria– del titolo.
Cosicché l'eventuale sanatoria per condono della costruzione precedente non esclude, in sede di verifica della compatibilità di qualsiasi volume successivamente progettato con la superficie disponibile in relazione all’indice di fabbricabilità fondiaria dell’area complessiva, il computo della cubatura così realizzata; ciò tenuto anche conto del fatto che, in mancanza, come qui accade, di qualsivoglia statuizione, nel provvedimento di “condono” di cui si tratta, in mérito alla déroga a detto indice (nei cui limiti la volumetria all’epoca condonata comunque si manteneva) ed in forza del principio di stretta interpretazione da applicarsi in relazione a disposizioni comunque di carattere eccezionale e straordinario (quali quelle in tema di sanatoria edilizia), il provvedimento relativo non può che ritenersi inteso a regolarizzare la mera mancanza di previo titolo concessòrio per l’effettuato (nel caso di specie) “allargamento della sagoma dell’edificio”.
Tale compatibilità consegue, in definitiva, non al rilascio del titolo edilizio (qualunque esso sia) ma alla materiale esecuzione dell’opera, pur se eseguita abusivamente e pur se poi “sanata” avvalendosi degli strumenti all’uopo previsti dall’ordinamento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.05.2008 n. 2177 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione.
Insomma, ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto edificato occorre considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area, quelle previste con progetti già assentiti dal Comune, come pure gli atti di asservimento di volumetria in favore di altro fondo; non può quindi essere considerata libera un'area già parzialmente edificata, sicché nel calcolo della volumetria realizzabile, ai fini del rilascio di un permesso relativo ad una seconda costruzione, nella perdurante esistenza del primo edificio, dovrà tenersi conto di quanto già realizzato.
Né l'applicazione di indici di fabbricabilità sopravvenuti fra la prima edificazione ed il nuovo progetto implica illegittima applicazione retroattiva di tali indici, in quanto essa riguarda la nuova valutazione dell'autorità comunale, che va condotta alla stregua degli indici vigenti.
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Il ricorso, ad avviso del collegio, non è meritevole di accoglimento.
Il ricorrente vorrebbe sfruttare la cubatura residuata al tempo del rilascio dei precedenti titoli edilizi; ritiene che il nuovo indice fondiario debba applicarsi solo alle aree residuate e non asservite alle costruzioni già realizzate, non già all'intero lotto. In tal senso ritiene la determinazione negativa assunta dall'amministrazione sull'istanza di concessione edilizia del 07.06.2006 illegittima per applicazione retroattiva dei nuovi indici.
Orbene, in materia deve applicarsi il principio secondo cui un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione (C.S., V, n. 5039/2004).
Insomma, ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto edificato occorre considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area, quelle previste con progetti già assentiti dal Comune, come pure gli atti di asservimento di volumetria in favore di altro fondo (Tar Cagliari, II, n. 996/2006); non può quindi essere considerata libera un'area già parzialmente edificata, sicché nel calcolo della volumetria realizzabile, ai fini del rilascio di un permesso relativo ad una seconda costruzione, nella perdurante esistenza del primo edificio, dovrà tenersi conto di quanto già realizzato (Tar Pescara, n. 88/2006).
Né l'applicazione di indici di fabbricabilità sopravvenuti fra la prima edificazione ed il nuovo progetto implica illegittima applicazione retroattiva di tali indici, in quanto essa riguarda la nuova valutazione dell'autorità comunale, che va condotta alla stregua degli indici vigenti (Tar Napoli, II, n. 10239/2004) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 01.04.2008 n. 547 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione. A nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario”.
Ed ancora; “allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari,….., la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto”.
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La questione all’esame riguarda, in particolare, la possibilità di edificare, in base a norme di piano sopravvenute, su lotto libero derivante da frazionamento di altro di maggiore estensione, sul quale è stata realizzata, in virtù delle norme del piano previgente, una volumetria assentita con titolo edilizio rilasciato in base a progetto che ha interessato l’intero lotto.
L’appellante è per la soluzione positiva, intendendo costruire su lotto di 1,519 mq, con destinazione residenziale confermata dal nuovo piano, ricavato da un lotto di 3.690, sul quale ha già realizzato 6.636 mc dei 11.070 mc assentibili con il piano preesistente.
Poiché nel nuovo piano non v’è una disciplina urbanistica dell’area in questione che abbia imposto di tener conto della volumetria già
realizzata, l’indice di fabbricabilità da esso previsto deve essere applicato senza condizioni o limitazioni, onde avrebbe errato il giudice di primo grado ad affermare la legittimità del contestato diniego.
La tesi non è condividibile.
La Sezione in merito osserva, in via preliminare, che nel passaggio da uno strumento urbanistico generale ad altro, ove diversamente non emerga, deve ritenersi che il nuovo piano sia stato elaborato utilizzando gli stessi dati base del precedente, occorrenti per la sua formazione; stesso rilevo cartografico comprendente tutto il territorio comunale (ed i Comuni contermini); stessi rilievi aerofotogrammetrici del territorio stesso; stessi fogli mappali catastali riguardanti e comprendenti l’estensione di tutto il territorio comunale.
Tutto ciò è senz’altro legittimo e spiega perché sono irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio termine intervenuti, non potendosi ritenere che l’amministrazione sia obbligata a tenerne conto.
In virtù dei detti dati base vengono stabiliti il nuovo indice di densità territoriale (normalmente il rapporto tra numero massimo ammissibile di abitanti e superficie dell’intero territorio), l’indice di fabbricabilità territoriale (rapporto tra volume lordo massimo degli edifici residenziali ad uso residenziale, esclusi i negozi, e la superficie dell’intero territorio), e quindi la densità fondiaria e l’indice di fabbricabilità fondiaria.
Tutti indici che conformano il diritto di edificare, per cui ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dal nuovo indice, in relazione a tutta la sua estensione considerata dal nuovo piano.
Ciò spiega l’irrilevanza della cubatura residua determinatasi per effetto del previgente indice di fabbricabilità fondiaria, essendo essa oggetto di una facoltà che se non esercitata non è “opponibile” al nuovo piano, e spiega anche l’irrilevanza del frazionamento del lotto non potendo esso fungere da strumento di conservazione per l’utilizzazione della stessa.
Se così non fosse, evidenti sarebbero gli effetti negativi sul mantenimento sull’ordinato sviluppo edificatorio delle zone di p.r.g., e in particolare di quelle residenziali, postulato dagli indici in precedenza ricordati. Quanto fin ora argomentato, come già accennato, ha avuto ampio riscontro nella giurisprudenza di questo Consesso.
Si è quindi stabilito che “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione” (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039). A nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (id., 28.02.2001 n. 1074). Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario” (cfr. id., sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
Ed ancora; “allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari,….., la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16.02.1987 n. 91).
Poiché per effetto del nuovo indice fondiario, pari a 1 mc/mq, l’appellante ha esaurito la volumetria disponibile dell'intero lotto, correttamente il Comune ha rigettato la sua domanda di rilascio di nuovo permesso di costruire (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.01.2008 n. 255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione.
Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039).
A nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (id., 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario” (cfr. id., sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
Allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari,….., la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16.02.1987 n. 91) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.01.2008 n. 255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: Secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (infatti, ai fini del calcolo della volumetria realizzabile non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario) (TAR Basilicata, sentenza 04.09.2007 n. 522).

EDILIZIA PRIVATA: Un terreno edificabile già utilizzato a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera e il volume a essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione (Cds, sez. V, n. 5039/2004) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.06.2007 n. 1730).

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (cfr. Corte Cost. Sent. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
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Secondo un orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide,
   1) “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione”, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa;
   2) ai fini del calcolo della volumetria realizzabile “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario”;
   3) allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.
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Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti hanno dedotto che il locale commerciale particella n. 512 non poteva essere ampliato, in quanto la volumetria, complessivamente realizzata di 7.731,50 mc. (6.720 mc. dell’edificio costruito sulla particella n. 509 + 1.011,50 mc. del manufatto costruito sulla particella n. 616) sull’originaria superficie complessiva di 1.538 mq., di cui ai terreni foglio di mappa n. 71, particella n. 190 sub. c), d), e) e f), poi frazionati nelle particelle n. 509, n. 510, n. 511, n. 616 e n. 617, risultava superiore all’indice di fabbricabilità di 3 mc/mq., stabilito dall’art. 12 delle Norme Tecniche di Attuazione del vigente PRG, il quale consentiva la realizzazione di una volumetria massima di 4.614 mc., già completamente utilizzata dagli edifici già esistenti.
Tale censura risulta fondata e pertanto va accolta per i seguenti motivi.
Infatti, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (cfr. Corte Cost. Sent. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Comunque, secondo un orientamento giurisprudenziale (cfr. C.d.S., Sez. V, Sent. n. 5039 del 12.07.2004; C.d.S. Sez. V, Sent. n. 1074 del 28.02.2001; C.d.S. Sez. V, Sent. n. 1382 del 26.11.1994), che il Collegio condivide (cfr. da ultimo TAR Basilicata Sent. n. 929 del 30.12.2006 su un’analoga controversia relativa ai terreni foglio di mappa n. 71 particelle nn. 508, 614 e 615, sempre siti nella stessa zona del Comune di Matera e confinanti con i terreni foglio di mappa n. 71 particelle n. 509, n. 510, n. 511, n. 616 e n. 617, oggetto del presente giudizio),
   1) “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione”, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa;
   2) ai fini del calcolo della volumetria realizzabile “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario”;
   3) allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (TAR Basilicata, sentenza 23.03.2007 n. 202 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di asservimento volumetrico si possono trarre dalla giurisprudenza consolidata i seguenti principi:
   a) nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di piano regolatore sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti, in quanto il p.r.g., nella parte in cui prevede i limiti entro i quali l’area può essere edificata, si riferisce non all’edificazione ulteriore rispetto a quella già esistente al momento della sua approvazione, ma all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area;
   b) le vicende inerenti alla proprietà dei terreni, e in particolare il frazionamento del fondo da parte dell’originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’inedificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e pertanto restano inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già “consumato” la volumetria disponibile.
In applicazione di questi principi si è statuito che:
   - si deve sempre tenere conto dei manufatti preesistenti;
   - per calcolare l’entità dell’asservimento e la volumetria residua, si deve considerare non il regime edilizio più favorevole esistente all’epoca di edificazione dei manufatti
in situ, ma lo strumento urbanistico vigente alla data del provvedimento emesso sulla domanda di concessione;
   - se un’area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area rimane invariata, e quella che residua tenuto conto dell’originaria costruzione resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione della rispettiva quota di acquisto -salvo ovviamente eventuali cessioni di cubatura-, a nulla rilevando che l’edificanda costruzione vada ad insistere su un lotto libero risultante dal frazionamento;
   - l’area la cui potenzialità edificatoria sia già saturata da una precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che individuasse l’area da edificare, in quanto qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.

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6. Ciò premesso, osserva il Collegio che in materia di asservimento volumetrico si possono trarre dalla giurisprudenza consolidata i seguenti principi:
   a) nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di piano regolatore sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti (Cons. Stato V 29.11.1994 n. 1414), in quanto il p.r.g., nella parte in cui prevede i limiti entro i quali l’area può essere edificata, si riferisce non all’edificazione ulteriore rispetto a quella già esistente al momento della sua approvazione, ma all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area (Cons. Stato V 07.11.2002 n. 6128, 26.11.1994 n. 1382);
   b) le vicende inerenti alla proprietà dei terreni, e in particolare il frazionamento del fondo da parte dell’originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’inedificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e pertanto restano inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già “consumato” la volumetria disponibile (Cons. Stato IV 06.09.1999 n. 1402).
In applicazione di questi principi si è statuito che:
   - si deve sempre tenere conto dei manufatti preesistenti (Cons. Stato V n. 6128/2002 cit.);
   - per calcolare l’entità dell’asservimento e la volumetria residua, si deve considerare non il regime edilizio più favorevole esistente all’epoca di edificazione dei manufatti
in situ, ma lo strumento urbanistico vigente alla data del provvedimento emesso sulla domanda di concessione (Cons. Stato V 22.11.01 n. 5928);
   - se un’area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area rimane invariata, e quella che residua tenuto conto dell ’originaria costruzione resta di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione della rispettiva quota di acquisto (CS V 12.07.2005 n. 3777) -salvo ovviamente eventuali cessioni di cubatura (cfr. Cass. II, 12.09.1998 n. 9081, Cons. Stato V 28.06.2000 n. 3637)-, a nulla rilevando che l’edificanda costruzione vada ad insistere su un lotto libero risultante dal frazionamento (Cons. Stato VI 27.06.2006 n. 4117 e riferimenti);
   - l’area la cui potenzialità edificatoria sia già saturata da una precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che individuasse l’area da edificare (Cons. Stato V 12.07.2004 n. 5039), in quanto qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata (Cons. Stato V 27.06.2006 n. 4117) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.01.2007 n. 123 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATA: A fronte di una determinata potenzialità edificatoria di un lotto, costituente un dato oggettivo che misura la compatibilità dello sfruttamento edilizio del fondo con le previsioni urbanistiche, il conseguimento di un titolo abilitativo all'edificazione, legato alle scelte contingenti del proprietario, quand'anche per certi versi condizionato dalle determinazioni assunte dall'amministrazione ai fini del rilascio del titolo stesso in merito alla cubatura ammissibile, non ha certo effetto preclusivo del successivo sfruttamento della residua potenzialità edificatoria in astratto disponibile, nel caso in cui il volume già assentito non esaurisca o superi la cubatura consentita dalle prescrizioni urbanistiche (Consiglio Stato, sez. IV, 06.03.2006, n. 1108) (TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 22.11.2006 n. 420).

EDILIZIA PRIVATA: Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione.
Pertanto, quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell'area discende "ope legis" dalla sua utilizzazione, senza la necessità di apposito strumento negoziale, cosicché l'eventuale sanatoria per condono della costruzione precedente non esclude, a carico della superficie ulteriore rispetto a quella di sedime, il vincolo della quantità necessaria ad esprimere la cubatura realizzata.

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Con il ricorso indicato in epigrafe, l’istante censurava il provvedimento di diniego della concessione, poiché la potenzialità edificatoria del terreno era stata assorbita dagli edifici per i quali erano gi à state realizzate le concessioni in sanatoria nn. 65-66 e 67, in data 05.07.1996.
A riguardo, il ricorrente censurava la violazione di legge ed il difetto di motivazione, poiché l’istanza presentata al Comune era relativa ad un terreno ottenuto dall’istante da parte della madre, che l’aveva altresì ricevuto per donazione dal genitore Ri.Vi.. Esponeva, ancora, che tale appezzamento era parte dell’originaria particella 431, che a sua volta,era derivata dalla particella 89, poi frazionata.
Orbene sul terreno in menzione erano state richieste due concessioni in sanatoria da parte degli altri donatari, che l’ottenevano ai sensi della l. n. 47 de 1985.
Contestava, il ricorrente, la circostanza che sia la legge n. 47 cit. che la legge n. 724 del 1994 contenessero delle previsioni atte a giustificare il computo degli edifici condonati ai fini del limite edificatorio. Peraltro, evidenziava che, ai sensi della variante al P.R.G. il terreno d’interesse ricade nella sottozona C3, case unifamiliari con orto e, non più, come sotto la vigenza del la precedente disciplina urbanistica, nella zona F3, parchi pubblici ed impianti sportivi.
Si costituiva l’amministrazione chiedendo il rigetto della domanda.
Osserva il Collegio che la domanda appare infondata. Infatti, per smentire la tesi di parte ricorrente, basta ricordare quanto più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa sul punto: “Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione. Pertanto, quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell'area discende "ope legis" dalla sua utilizzazione, senza la necessità di apposito strumento negoziale, cosicché l'eventuale sanatoria per condono della costruzione precedente non esclude, a carico della superficie ulteriore rispetto a quella di sedime, il vincolo della quantità necessaria ad esprimere la cubatura realizzata” (Consiglio Stato, sez. V, 12 luglio 2004, n. 5039)
Né rileva che il terreno risultasse già frazionato al momento del rilascio delle concessioni in sanatoria del 1996, poiché l’impegno della superficie necessaria alla realizzazione della costruzione, in base all’indice di fabbricabilità applicabile nella zona, consegue non al rilascio del titolo edilizio ma alla materiale esecuzione dell’opera, pur se eseguita abusivamente (cfr. Cons. Stato, sent. cit.) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 15.11.2006 n. 12137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo consolidati principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
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Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente alfine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario”.
Allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, infatti, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.

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La tesi non è condividibile.
Questa Sezione ha di recente ribadito (cfr. dec. n. 3777 del 12.07.2005) che, secondo consolidati principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente alfine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione” (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039), a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (id., 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario” (cfr. id., sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
Allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, infatti, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16.02.1987 n. 91).
Nell’ordinamento vigente, dunque, i principi fin qui esposti conformano lo stesso regime della proprietà edilizia, intesa come proprietà immobiliare suscettibile di edificazione, cosicché essi non necessitano di formale enunciazione in specifiche disposizioni regolamentari o di piano (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.06.2006 n. 4117 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Allorché un'area edificabile venga frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia già stata realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni in cui detto fondo (originariamente) unico è stato frazionato hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.
Il principio è condivisibile, ma opera a condizione che un'area sia stata effettivamente asservita alla costruzione, nel senso che quest'ultima non avrebbe potuto essere realizzata senza calcolare la volumetria espressa dall'area asservita.
Ciò non avviene quando un'area, avente una propria identità catastale, sebbene indicata nel titolo edilizio come parte di un compendio edificabile, non sia stata utilizzata neppure in parte a tale fine, essendo stata edificata, su altra o altre aree contigue, una volumetria inferiore a quella di cui queste ultime erano capaci.
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9. Il secondo motivo di ricorso è infondato, sotto entrambi i profili dedotti (volumetria edificabile e rapporto filtrante).
Quanto al primo profilo, va precisato che il progetto riguarda i mappali 104, 730 e 732; tuttavia il mappale 730 -sul quale Edil Futura ha acquistato un diritto di superficie per la realizzazione di tre autorimesse in sottosuolo- è stato utilizzato esclusivamente a tale scopo, e non computato per il calcolo della s.l.p. edificabile.
Quanto ai mappali 104 e 732 (acquistati da Ed.Fu. con atto di compravendita 08.07.2002), il ricorrente ne assume l’inedificabilità perché asserviti in passato ad altre costruzioni.
A tal fine richiama la giurisprudenza (Cons. Stato V, 12.07.2005 n. 3777, IV 16.02.1987 n. 91) secondo la quale, allorché un’area edificabile venga frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia già stata realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni in cui detto fondo (originariamente) unico è stato frazionato hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.
Il principio è condivisibile, ma opera a condizione che un’area sia stata effettivamente asservita alla costruzione, nel senso che quest’ultima non avrebbe potuto essere realizzata senza calcolare la volumetria espressa dall’area asservita.
Ciò non avviene quando un’area, avente una propria identità catastale, sebbene indicata nel titolo edilizio come parte di un compendio edificabile, non sia stata utilizzata neppure in parte a tale fine, essendo stata edificata, su altra o altre aree contigue, una volumetria inferiore a quella di cui queste ultime erano capaci.
10. Nel caso in esame il mappale 104, sebbene sia menzionato (con i mappali 105, 458, 459) nel nulla osta 30.09.1972, rilasciato per la costruzione di tre piani fuori terra, non è stato però edificato, né la sua volumetria risulta concretamente “sfruttata” allo scopo di realizzare la costruzione sul mappale (o sui mappali) contigui.
Dalla disposta verificazione risulta infatti (pag. 7) che:
   - l’intero compendio (mq 1352 di superficie lorda; mq 1272 di superficie utile) esprimeva all’epoca un volume edificabile di mc 3816;
   - il progetto prevedeva un volume di mc 2218 (volume edificato), sicché residuava un volume di 1598 mc.
Ora, poiché la superficie del mappale 104 è pari ad un terzo del compendio originario (memoria 10.05.2006 di parte ricorrente, pag. 14), e poiché l’intero compendio è stato edificato per meno di 2/3 della volumetria complessivamente disponibile, ciò significa che il mappale 104, rimasto libero da edificazioni, non venne asservito alla costruzione realizzata sui mappali contigui.
Non risulta, d’altro canto, che nella vendita del mappale 104 l’alienante si sia riservato diritti volumetrici, né risulta che questi, pur legittimato (e forse unico legittimato) a dolersene, abbia denunciato la lesione di un proprio (ipotetico) diritto allo sfruttamento della volumetria residua.
Va aggiunto che, rispetto alla volumetria disponibile sui mappali 104 e 732, la verificazione, condotta in base ai parametri urbanistici previsti dalle vigenti n.t.a. (che fanno riferimento non al volume ma alla superficie lorda di pavimento), non ha rilevato eccedenze.
La relazione dà conto sul punto (pagg. 9-10) della doppia verifica effettuata sui mappali di proprietà Ed.Fu., da soli e in unione con gli altri mappali (104, 105, 458 459) contemplati in precedenti permessi di costruzione.
Risulta dunque: che la s.l.p. realizzata in base alla d.i.a 28.02.2003 (ridotta in fase esecutiva a mq 271,46) è inferiore alla s.l.p. (mq 273,95) edificabile computando i soli mappali 104 e 732; mentre la s.l.p. dell’intero compendio (271,46 + 572,06 preesistenti = mq 843,52) è inferiore a quella (mq 921,45) realizzabile sul medesimo compendio complessivamente considerato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 13.06.2006 n. 1413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto edificato occorre considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area, quelle previste con un progetto gi à assentito dall’Autorità comunale, come pure gli atti di asservimento di volumetria in favore di altro fondo.
Pertanto sia la vendita di una parte dell'originario unico fondo, così come il frazionamento del fondo da parte dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell'edificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a quelle assentite al momento del frazionamento.
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La censura è infondata.
Il fabbricato su cui insiste la proprietà dei ricorrenti (piano terra e cortile) e la proprietà del controinteressato (piano primo), faceva parte di un unico lotto di proprietà, a suo tempo, del signor Ef.Pa..
In sede di divisione della proprietà (atto del 24.05.1954), al figlio Aldo (dante causa dei ricorrenti) venne attribuita la proprietà del “piano terreno col giardinetto, la lavanderia (con la tettoia e la vasca) e le due cantine sotto la cucina e la stanza da pranzo”, mentre al figlio Carlo (dante causa del controinteressato), spettò “il piano superiore, le soffitte e la cantina sotto il salotto, col diritto di sopraelevare il piano”.
In virtù della divisione del bene tra i fratelli, il diritto di sopraelevazione è stato attribuito al proprietario del piano superiore del fabbricato. Ciò ha comportato necessariamente, seppure implicitamente, l’attribuzione della volumetria (da calcolare sulla potenzialità di tutto il lotto) necessaria per realizzare il piano in questione e per esercitare a pieno il diritto assegnato.
Per volontà delle parti, al proprietario del piano superiore è stato infatti attribuito il diritto di sopraelevazione, diritto che impone l’asservimento della volumetria residua dell’intero lotto in favore dell’ultimo piano sul quale soltanto può essere realizzata la volumetria disponibile, volumetria che va calcolata sulla base degli indici previsti dallo strumento urbanistico vigente al momento del rilascio della concessione edilizia per la sopraelevazione.
Ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto edificato occorre considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area, quelle previste con un progetto gi à assentito dall’Autorità comunale, come pure gli atti di asservimento di volumetria in favore di altro fondo; pertanto sia la vendita di una parte dell'originario unico fondo, così come il frazionamento del fondo da parte dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini dell'edificabilità delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a quelle assentite al momento del frazionamento (TAR Abruzzo, Pescara, 15.01.2002, n. 96; sulla necessità di considerare complessivamente la potenzialità edificatoria in riferimento al lotto urbanisticamente individuato vedasi Consiglio Stato sez. IV, 25.02.1988 n. 100, TAR Sardegna, 31.07.2001 n. 844).
Nel caso di specie la volumetria residua del lotto era stata asservita con il citato atto di divisione in favore del lastrico del piano superiore. Correttamente, pertanto, il Comune di Sassari ha considerato la volumetria dell’intero originario lotto, ai fini del rilascio delle concessioni edilizie rilasciate al controinteressato per la sopraelevazione del fabbricato (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 19.05.2006 n. 996 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quando una porzione di suolo venga in concreto utilizzata ai fini del computo della cubatura per l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere in futuro utilizzata nuovamente a tal fine, neppure nel caso dell'ulteriore frazionamento ed alienazione dell'area libera residua.
Ove così non fosse, infatti, si perverrebbe all'aberrante risultato che, realizzata l'opera, il costruttore potrebbe ben alienare la porzione di terreno non direttamente occupata dalla costruzione onde consentirne un ulteriore sfruttamento edificatorio da parte di un terzo
(Cons. Stato, sez. V, 10.02.2005, n. 2328) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 06.02.2006 n. 87).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente alfine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione”, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario”.
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Qualora un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto.
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Al riguardo, deve considerarsi che, secondo consolidati principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente alfine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione” (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039), a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (id., 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, “non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario” (cfr. id., sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
...
Soccorre, allora, il principio già enunciato in proposito da questa Sezione, secondo il quale allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16.02.1987 n. 91) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.07.2005 n. 3777  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
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Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione.
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La censura è, nel suo complesso, infondata.
Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione.
Principio, peraltro, sancito nel caso di specie dall’art. 9, primo comma, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, che, con riguardo a tutti gli indici edilizi, così dispone: “l’utilizzazione degli indici edilizi che disciplinano l’edificazione in una determinata area esclude ogni richiesta successiva di altre concessioni edilizie sull’area -ad eccezione delle ricostruzioni- indipendentemente da qualsiasi frazionamento o passaggio di proprietà” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.07.2004 n. 5039  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATAIn merito all'asservimento volumetrico di mappali per edificare un fabbricato, la contiguità dei fondi non deve intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata.
Il Comune ha negato la concessione per la volumetria inizialmente richiesta, affermando che una particella fondiaria, che l’istante intendeva asservire alla costruzione, non poteva esserlo in quanto “non confinante e neppure vicina” al lotto interessato dalla costruzione.
La giurisprudenza della Sezione, espressa da ultimo con sentenza 01.04.1998 n. 400, depone nel senso che la contiguità dei fondi non deve intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura desiderata.
Secondo tale orientamento, la porzione di terreno che l’appellante intendeva asservire, trovandosi a distanza di trentacinque metri dal fondo destinato alla costruzione, ben poteva essere computato ai fini della volumetria richiesta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.10.2003 n. 6734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).