dossier LOTTO EDIFICABILE -
ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
collocazione a distanza dei fondi costituisce un elemento di discontinuità
tale da impedirne l’accorpamento al fine dello sfruttamento edificatorio di
proprietà in quanto non è ravvisabile il presupposto dell’appartenenza ad un
medesimo contesto unitario.
Non vi è dubbio che l’istituto dell'asservimento di un fondo astrattamente
serve proprio ad accrescere la potenzialità edilizia di un altro fondo,
sfruttando in tutto o in parte la cubatura ancora esprimibile dal primo; in
tal caso, la volumetria spettante al fondo cedente viene “trasferita” sul
fondo di intervento, che, per l’effetto, va considerato come “idealmente
unitario”; in tale evenienza, ai fini della verifica del rispetto
dell'indice di fabbricabilità fondiaria, si deve computare non solo la
superficie del lotto di intervento, ma anche quella del fondo cedente, che
va ad aggiungere la propria cubatura residua proprio al fine di incrementare
la potenzialità edificatoria del primo.
Tuttavia, pur a fronte dell’astratta utilità dell’istituto
dell’accorpamento, nella specie è risultato carente un importante indicatore
che la giurisprudenza ha individuato come necessario per il legittimo
operare del trasferimento di cubatura utile, quello della contiguità dei due
fondi (cedente e cessionario). Detto requisito è inteso dalla giurisprudenza
non in senso letterale e fisico, ossia adiacenza o contiguità territoriale,
ma nel senso che, anche qualora quella manchi, tra area cedente ed area
ricevente sussista pur sempre una effettiva e significativa vicinanza, con
la precisazione che tale continuità viene comunque a mancare quando tra i
fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche
incompatibili con l’edificazione.
Invero, come ribadito anche di recente dalla Corte di legittimità, la cessione di
cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata
ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale, in forza del quale
è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la
"cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro
fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo
cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a
quello originariamente goduto.
Tuttavia, onde evitare la facile elusione dei
vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della
corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è
soggetto a determinate condizioni, una delle quali è costituita dall'essere i terreni in questione, se non
precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca
prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento,
astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto
estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione
del territorio.
Quanto alla individuazione dei criteri in base ai quali procedere alla
valutazione della contiguità dei fondi, è stato anche di recente ricordato come la giurisprudenza
amministrativa sia concorde nel ritenere che la contiguità deve essere
intesa come una effettiva e significativa vicinanza, che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili
siano tra loro confinanti.
Ciò significa che in concreto non è possibile
adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la
contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso
in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle
sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
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L’appello è infondato.
Come accennato, la controversia è insorta a seguito del rigetto, da parte
del Comune di Ladispoli, dell’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001,
e della conseguente adozione dell’ordinanza di demolizione, di intervento in
difformità del permesso di costruire consistente nell’ampliamento, mediante
chiusura del terrazzo coperto al terzo piano (di 67 mq), che ha determinato
un incremento di volumetria di circa 200 mc., che la ricorrente riteneva di
poter conseguire grazie alla cessione di cubatura di altro fondo sito a
circa 250 metri di distanza.
Non vi è dubbio che l’istituto dell'asservimento di un fondo astrattamente
serve proprio ad accrescere la potenzialità edilizia di un altro fondo,
sfruttando in tutto o in parte la cubatura ancora esprimibile dal primo; in
tal caso, la volumetria spettante al fondo cedente viene “trasferita” sul
fondo di intervento, che, per l’effetto, va considerato come “idealmente
unitario”; in tale evenienza, ai fini della verifica del rispetto
dell'indice di fabbricabilità fondiaria, si deve computare non solo la
superficie del lotto di intervento, ma anche quella del fondo cedente, che
va ad aggiungere la propria cubatura residua proprio al fine di incrementare
la potenzialità edificatoria del primo.
Tuttavia, pur a fronte dell’astratta utilità dell’istituto
dell’accorpamento, nella specie è risultato carente un importante indicatore
che la giurisprudenza ha individuato come necessario per il legittimo
operare del trasferimento di cubatura utile, quello della contiguità dei due
fondi (cedente e cessionario). Detto requisito è inteso dalla giurisprudenza
non in senso letterale e fisico, ossia adiacenza o contiguità territoriale,
ma nel senso che, anche qualora quella manchi, tra area cedente ed area
ricevente sussista pur sempre una effettiva e significativa vicinanza, con
la precisazione che tale continuità viene comunque a mancare quando tra i
fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche
incompatibili con l’edificazione.
Invero, come ribadito anche di recente dalla Corte di legittimità (cfr.,
Cass., Sez. 3 Penale, sentenza n. 43253 del 19/09/2019), la cessione di
cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui legittimità è stata
ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale (per tutte si veda
Consiglio di Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3636), in forza del quale
è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la
"cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro
fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo
cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a
quello originariamente goduto.
Tuttavia, onde evitare la facile elusione dei
vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della
corretta gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale meccanismo è
soggetto a determinate condizioni, una delle quali -rilevante proprio nella
vicenda esaminata- è costituita dall'essere i terreni in questione, se non
precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca
prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale strumento,
astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto
estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione
del territorio.
Quanto alla individuazione dei criteri in base ai quali procedere alla
valutazione della contiguità dei fondi, è stato anche di recente (Cons.
Stato, Sez. 2, n. 544 del 2020) ricordato come la giurisprudenza
amministrativa sia concorde nel ritenere che la contiguità deve essere
intesa come una effettiva e significativa vicinanza (cfr. Cons St, sez. V,
n. 1525/2004), che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili
siano tra loro confinanti. Ciò significa che in concreto non è possibile
adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la
contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata caso per caso
in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area interessata, alle
sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa.
In tale ottica del tutto adeguata risulta la scelta del primo giudice di
procedere a verificazione al fine di accertare la concreta situazione. E’
così emerso:
- che i fondi in questione sono siti a distanza di 260,41 metri
l’uno dall’altro, sicché per nulla evidente è la loro contiguità in rapporto
all’estensione complessiva del Comune (quasi 26 kmq) ed alla lunghezza
dell’area urbanizzata, (di circa 2,8 km);
- che sussistono comunque strutture capaci di rompere l’ideale
“unità” dell’area di insistenza dei fondi, in quanto gli stessi sono
separati da alcune strade e da abitazioni, che operano un effetto "barriera"
e interrompono la continuità spaziale;
- che le caratteristiche del tracciato viario seguono il classico
modello a cardine e decumano, utilizzato anche all’epoca della fondazione
della cittadina di Ladispoli;
- che Viale Italia costituisce l’asse viario principale (collegante
la stazione ferroviaria al lungomare Regina Elena) e ha le caratteristiche
classiche del “Corso” in cui sono siti i negozi, cinema, piazza principale
contornata da giardini, inclusi tra le parallele Via Ancona e Via Odescalchi;
- che lateralmente l’ambito è definito da Via Venezia (a sinistra)
e Via Trieste (a destra);
- che la proprietà dell’appellante è sita nella
centralissima Via Ancona (SP 14b), nel lato a destra del “Corso” Italia,
così come il fondo di cui vorrebbe sfruttare parte della potenzialità
edificatoria residua, che è collocato a Via Genova 12, parallela di Via
Trieste;
- che si tratta di vie previste nel PRG che dividono il tessuto
urbano in isolati secondo uno schema che intende distribuire la volumetria
nei diversi quadranti dalla stessa spartiti.
Sulla base di tali elementi, ragionevole e sufficientemente motivato risulta
il provvedimento di diniego, secondo il quale la collocazione a distanza dei
fondi in parola costituisce un elemento di discontinuità tale da impedirne
l’accorpamento al fine dello sfruttamento edificatorio di proprietà in
quanto non è ravvisabile il presupposto dell’appartenenza ad un medesimo
contesto unitario.
Per giunta, come rilevato dal TAR, il fondo cedente, sito in via Genova,
risulta collocato ai margini del confine del nucleo storico, in prossimità
del canalone (Fiume Sanguinara), che segna l’originario “confine” della
cittadina, in posizione eccentrica rispetto al fondo di destinazione,
aumentando l’effetto disgregatore del tracciato ortogonale delle vie, che
definiscono i diversi “isolati”, separati tra loro, giustamente considerati
dal Comune “unità a sé stanti” con conseguente esclusione dell’accorpabilità
dei fondi al di fuori di tali “comparti”.
Né possono avere valore determinante le considerazioni dell’appellante,
secondo cui, invece, il fondo cedente, sito in via Genova, non sarebbe ai
margini del nucleo storico e le Vie Ancona, Trieste, Venezia e Genova, più
che dividere il tessuto urbano in isolati, avrebbero una “funzione di
collegamento, di comunicazione tra le diverse parti del territorio e
riconduzione ad un medesimo contesto unitario”; invero, trattasi di mere
opinioni personali, prive di oggettività, incapaci di palesare una evidente
illogicità della valutazione posta a base della scelta discrezionale
dell’Amministrazione.
In definitiva, come già affermato dal TAR, nel caso in esame, non si può
affermare la ricorrenza di alcun irragionevole operare dell’Amministrazione.
Inoltre, deve pur sempre considerarsi che compete alla parte richiedente
l’onere di provare che, al momento della presentazione dell’istanza,
sussista l’asserita irrilevanza del trasferimento di cubatura ai fini
dell’equilibrio urbanistico (profilo ostativo pure implicitamente evocato
dall’Amministrazione laddove, nel preavviso di rigetto, evidenzia la non
omogeneità dei comparti edilizi interessati dal trasferimento).
Dimostrazione che, nel caso di specie, non può dirsi raggiunta (Consiglio di
Stato, Sez. II,
sentenza 27.06.2022 n. 5305 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cessione di cubatura tra diversi terreni edificabili –
Indice di fabbricabilità differente o una diversa
destinazione urbanistica – Illegittima cessione di cubatura
– Permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica –
Necessità – Art. 51 L.Reg. Puglia n. 56/1980 – Artt. 29, 31,
44, D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.) – Art. 181 d.lgs. n.
42/2004.
In materia urbanistica, è necessaria la
verifica del presupposto della prossimità tra i fondi ai
fini di ritenere la legittimità, sul piano urbanistico e
paesaggistico, della c.d. cessione di cubatura tra diversi
terreni edificabili onde realizzare su uno di questi un
edificio di volumetria maggiore rispetto a ciò che sarebbe
consentito in base all’indice di fabbricabilità, cumulando
la cubatura che potrebbero esprimere gli altri fondi e che
viene appunto fatta oggetto di cessione.
Sicché, integra il reato previsto dall’art. 44 T.U.E. la
realizzazione di un immobile in assenza di valido permesso
di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione
di cubatura a scopo edificatorio tra terreni non
reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità
differente o una diversa destinazione urbanistica (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.06.2022 n. 21908 - link a www.ambientediritto.it).
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2.1. Ciò posto, al di là della riconosciuta inapplicabilità
della citata legge regionale, la sentenza impugnata si è
correttamente posta il problema di verificare, alla luce dei
principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di
legittimità, quando la cessione di cubatura possa dirsi
legittima.
Occorre richiamare, in particolare, le argomentazioni svolte
nelle recenti decisioni Sez. 3, n. 38838 del 09/07/2018,
Baracetti e a., n.m., Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018,
Renna, n.m., Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, Rv. 274673,
nelle quali si è affermato il principio secondo cui integra
il reato previsto dall’art. 44 t.u.e. la realizzazione di un
immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché
ottenuto mediante illegittima cessione di cubatura a scopo
edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi, aventi
un indice di fabbricabilità differente o una diversa
destinazione urbanistica.
Le argomentazioni esposte nelle motivazioni di queste
decisioni, condivise dal Collegio, sono state peraltro
riproposte in numerose altre sentenze (cfr., ex multis,
Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n.
46226 del 09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 39248 del
12/07/2018, Chiarillo e a.; Sez. 3, n. 51831 del 03/10/2018,
Morciano e a.; Sez. 3, n. 54706 del 13/11/2018, Bonerba e a.).
2.2. In dette sentenze si è chiarito che la cessione di
cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui
legittimità è stata ripetutamente avallata anche dalla
giurisprudenza amministrativa (per tutte si richiama C. St.,
Sez. V, 28.06.2000, n. 3636), in forza del quale è
consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due
terreni, la “cessione” della cubatura edificabile
propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché,
invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo
cessionario sarà caratterizzato da un indice di
edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla
realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta
gestione del territorio, il legittimo ricorso a tale
meccanismo è tuttavia soggetto a determinate condizioni, una
delle quali –rilevante anche nella vicenda esaminata– è
costituita dall’essere i terreni in questione, se non
precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito
della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso
l’utilizzazione di tale strumento, astrattamente legittimo,
sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed,
anzi, contrastanti con le esigenze di corretta
pianificazione del territorio.
A titolo di esempio, le citate decisioni ricordano come si
potrebbe verificare, laddove si ritenesse legittima la “cessione
di cubatura” fra terreni fra loro distanti, la
realizzazione, per un verso, di una situazione di “affollamento
edilizio” in determinate zone (quelle ove sono ubicati i
fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situati i
terreni cedenti), con evidente pregiudizio per l’attuazione
dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti
negli strumenti urbanistici.
Pur essendo spesso stata detta ratio decidendi
associata all’ulteriore rilievo –ritenuto parimenti ostativo
ad una legittima cessione di cubatura– dell’essere i terreni
caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi
(cfr., ex multis, Sez. 3, n. 35166 del 28/03/2017,
Nespoli e aa., n.m.; Sez. 3, n. 30040 del 30/01/2018,
Strambone, n.m.; Sez. 3, n. 30025 del 04/12/2017, dep. 2018,
Scrudato, n.m.; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep. 2018,
Siciliano e aa., Rv. 271770; Sez. 3, n. 56085 del
18/10/2017, Melcarne, n.m.; Sez. 3, n. 52605 del 04/10/2017,
Renna, n.m.; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, n.m.),
si è ritenuto che anche in ipotesi di aree entrambe
tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di
fabbricabilità, qual è il caso qui sub iudice, non
può essere esclusa la illegalità dell’operazione effettuata
(Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna; Sez. 3, n. 46225
del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del
09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 51833 del 03/10/2018,
Sangalli e aa.).
Va infatti richiamata l’attenzione sul significativo dato
fattuale, più volte correttamente valorizzato dalla
giurisprudenza amministrativa, dell’assenza del necessario
requisito della “contiguità” dei fondi, intesa nel
senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica
tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova
costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una
effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez. V, n.
6734, 30.10.2003; C. St., Sez. V, n. 400, 01.04.1998; più
recentemente, TAR Campania-Salerno, Sez. II n. 1675 del
19/07/2016).
Tali principi, come detto, sono stati richiamati anche da
questa Corte nelle numerose decisioni più sopra citate. |
EDILIZIA PRIVATA: Cessione
di cubatura, le indicazioni del Consiglio di Stato su aree e trascrizione
degli accordi.
Con la sentenza n. 4417/2022 Palazzo Spada dà
ulteriori chiarimenti sulla disciplina del trasferimento di diritti
edificatori.
Il trasferimento di diritti edificatori da un fondo ad un altro
per accrescere la capacità edificatorie del fondo di destinazione, non ha
ancora una compiuta definizione normativa né tanto meno un inquadramento
giuridico ben definito. In un quadro normativo così incerto, è la
giurisprudenza che pronuncia dopo pronuncia, sta delineando i dettagli
applicativi dei negozi che hanno per oggetto i diritti edificatori.
Con la
sentenza
31.05.2022 n. 4417 il
Consiglio di Stato, Sez. IV, ha fornito ulteriori elementi che
contribuiscono a tracciare il quadro della disciplina della cessione di
cubatura.
La pronuncia in
questione effettua un interessante excursus dell'istituto a partire dalle
sue origini, che risalgono al
fine degli anni '60 quando, con la legge 765/1967 e il Dm 1444/1968, il
nostro ordinamento giuridico
ha conosciuto i limiti inderogabili di densità edilizia e gli standard
edilizi.
Le origini dell'istituto: i limiti di densità edilizia
In particolare, l'art. 41-quinquies della legge urbanistica, introdotto nel
1967, ha stabilito che il piano
regolatore debba prevedere limiti inderogabili di densità edilizia, rapporti
massimi tra spazi destinati
a varie funzioni urbane (tra insediamenti privati residenziali e produttivi
ad esempio) o tra funzioni
private e pubbliche (attività collettive a verde pubblico o a parcheggi) e
che tali limiti debbano essere
definiti per zone territoriali omogenee.
In tal modo, un privato interessato
ad edificare nel proprio
fondo deve rispettare i limiti imposti dal piano regolatore, non solo –ovviamente in termini di
destinazioni ammesse– ma anche nella "quantità" di capacità edificatoria (o
cubatura). In altri
termini, il piano regolatore stabilisce una quantità massima di
edificabilità in ciascuna area del
proprio territorio e sta poi al privato, fatti salvi i limiti urbanistici e
territoriali della specifica zona,
decidere se e come sfruttare detta capacità edificatoria.
La cessione di cubatura
Da ciò nascono diversi tipi di fattispecie:
a) Il privato può decidere di non sfruttare la capacità
edificatoria attribuita al suo fondo e trasferire il
diritto di edificare, in tutto o in parte, ad un'altra area di proprietà di
terzi, vendendo diritti edificatori;
b) Il piano regolatore può prevedere la possibilità di edificare
anche in misura maggiore rispetto alla
capacità nominalmente attribuita allo stesso sfruttando diritti edificatori
provenienti da altre aree. In
questo caso, il proprietario del lotto in questione acquista diritti
edificatori provenienti da altre aree.
Con la cessione di cubatura, la capacità edificatoria viene incrementata con
il trasferimento di diritti
edificatori provenienti da un'altra area, che ne rimane priva, in tutto o in
parte, mentre tali diritti
sono utilizzati dal fondo ricevente. Nella pratica, le fattispecie che
possono ricorrere sono
innumerevoli, ed è sempre necessario analizzare puntualmente le previsioni
dei singoli piani
regolatori.
Infatti, a fronte di un modello "privato" di accordo consensuale
tra privati, la cessione di
cubatura può maturare anche in un contesto "pubblico", perché prevista e
regolamentata dal piano
regolatore locale. Come ricordato dal Consiglio di Stato, infatti, «la
cessione di cubatura costituisce
un genus, al cui interno si pongono sia gli atti tra privati volti a fare
transitare direttamente potestà
edificatoria da una proprietà all'altra, nei limiti consentiti, sia i
diritti edificatori direttamente
generati dalla p.a. nell'ambito della c.d. urbanistica consensuale, nelle
forme della perequazione,
della compensazione e della premialità, variamente declinate dalla
legislazione regionale e dagli
strumenti pianificatori locali».
In questo secondo caso, oltre all'accordo tra privati, diventa necessario il
coinvolgimento del
Comune, nell'accordo o nel procedimento in cui l'accordo si instaura:
attraverso, per esempio,
l'approvazione in sede di Consiglio o di Giunta, la stipula di una
convenzione urbanistica, ecc.
La trascrizione e l'asservimento
Ovviamente, occorre lasciare traccia del trasferimento, avere una prova
giuridica che una
determinata cubatura non sia più attribuibile ad un determinato fondo, bensì
ad un altro. Al fine di
rispondere a questa esigenza, molti piani regolatori hanno introdotto la
necessità di sottoscrivere un
atto di asservimento: in tal modo il proprietario del fondo da cui viene
sottratta capacità edificatoria
sottoscrive un atto di asservimento con cui grava il proprio fondo di un
limite ad aedificandi.
Trattandosi di un atto –normalmente– trascritto nei pubblici registi esso
viene reso pubblico ed
opponibile ai terzi (oltre a confluire nell'iter di rilascio del titolo
edilizio della costruzione del fondo
di atterraggio del diritto, anche se questo passaggio non è sempre
necessario, ma dipende dalle
singole prassi e regolamenti locali).
Come ha chiarito la sentenza in commento il presupposto logico del c.d.
"asservimento" (del fondo
che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo che la
riceve) consiste nell'interesse
della Pa affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e
volumi realizzabili nell'area
interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla
materiale collocazione di
fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile
in un determinato ambito
territoriale, fissati dal piano, oltre al rispetto delle distanze e delle
eventuali prescrizioni sulla
superficie minima dei lotti.
Sul tema della certezza della capacità edificatoria attribuita ad un fondo e
della pubblicità del
trasferimento di cubatura, nel 2011 sul punto è intervenuto il decreto-legge
n. 70/2011, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 106/2011 che ha introdotto il punto n.
2-bis al primo comma dell'art.
2643 c.c., il quale prevede che siano resi pubblici con il mezzo della
trascrizione i contratti che
trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque
denominati, previsti da
normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione
territoriale.
I principi enucleati dalla giurisprudenza
La sentenza in commento ha poi passato in rassegna alcuni principi connessi
all'istituto della
cessione di cubatura, che il collegio ritiene di condividere:
1) Utilità separata rispetto al terreno: i diritti edificatori che
un terreno possiede possono essere
alienati o ceduti autonomamente dall'alienazione o cessione del terreno
medesimo poiché gli stessi
costituiscono un'utilità separata dal terreno cui ineriscono.
2) L'omogeneità della destinazione l'uso: il trasferimento della
cubatura è tuttavia subordinato al
soddisfacimento, pena l'invalidità dell'asservimento che tra il fondo
"alienante" e il fondo "ricevente"
ci sia una omogeneità di destinazione d'uso.
3) La vicinanza tra fondi. Per la legittimità della cessione di
cubatura, è richiesta non solo
l'omogeneità d'area territoriale ma anche la contiguità dei fondi; devono
essere altresì riconosciuti
come legittimamente utilizzabili asservimenti riferiti ad aree, anche se non
contigue sul piano fisico,
vicine però in modo significativo.
4) La possibilità di escludere o eliminare l'applicazione
dell'istituto.
Il Consiglio di Stato ha
riconosciuto la possibilità che gli strumenti urbanistici vietino, in via
immediata e diretta, tali
operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria
che conducano a un esito
analogo
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 07.06.2022).
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SENTENZA
11. Il Collegio ritiene preliminarmente necessario richiamare i tratti
principali dell’istituto della cessione di cubatura, oggetto dell’odierna
controversia.
11.1. Tale istituto ha trovato la propria specifica ragion d’essere (e si è
sviluppato) dopo l’introduzione:
i) di limiti inderogabili di densità edilizia in base all’art. 17
della legge n. 765/1967 (che ha introdotto l’art. 41-quinquies della legge
urbanistica n. 1150/1942);
ii) degli standard edilizi di cui al d.m. n. 1444/1968.
In particolare, l’art. 41-quinquies della legge urbanistica ha stabilito che
il piano regolatore debba prevedere limiti inderogabili di densità edilizia,
rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde
pubblico o a parcheggi e che tali limiti debbano essere definiti per zone
territoriali omogenee.
In tal modo lo ius aedificandi, inerente alla proprietà del suolo e
di essa manifestazione, può essere attuato secondo quanto stabilito dagli
atti di pianificazione i quali ne stabiliscono, oltre che la destinazione,
gli indici di edificazione. Questi ultimi, a loro volta, in rapporto
all’estensione dell’area, determinano la capacità edificatoria (o cubatura)
realizzabile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4647 del 2008).
Con la cessione di cubatura, la capacità edificatoria viene incrementata con
il trasferimento di diritti edificatori provenienti da un’altra area, che ne
rimane priva, in tutto o in parte, mentre tali diritti sono utilizzati dal
fondo ricevente.
11.2. L’istituto in questione è il frutto della elaborazione
giurisprudenziale.
Infatti, pur in mancanza di una espressa disposizione scritta, la
giurisprudenza –e in particolare la giurisprudenza amministrativa- ha
riconosciuto che i diritti edificatori che un terreno possiede possono
essere alienati o ceduti autonomamente dall’alienazione o cessione del
terreno medesimo poiché gli stessi costituiscono un’utilità separata dal
terreno cui ineriscono (v. inizialmente Cons. Stato, sez. V, 28.06.1971, n.
632; Cons. Stato, sez. V, 23.02.1973, n. 178; Cass. civ., sez. II,
29.06.1971, n. 4245; poi anche sez. V, n. 3637 del 2000, n. 400 del 1998, n.
1382 del 1994, n. 291 del 1991).
11.3. Il presupposto logico del c.d. “asservimento” (del fondo che si
priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo che la riceve)
consiste nell’interesse della p.a. affinché sia osservato il rapporto tra
superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al
tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di
fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile
in un determinato ambito territoriale, fissati dal piano, oltre al rispetto
degli delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima
dei lotti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.10.2007, n. 5496; Cons. Stato, sez.
IV, 04.05.2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 03.03.2003, n. 1172; Cons.
Stato, sez, V, 11.04.1991, n. 530; Cons. Stato, sez. IV, 19.12.1987, n.
795).
11.4. Il trasferimento della cubatura è tuttavia subordinato al
soddisfacimento, pena l’invalidità dell’asservimento, di alcuni presupposti:
i) l’omogeneità di destinazione d’uso (Cons. Stato, sez. IV,
04.05.2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 30.10.2003, n. 6734; Cons. Stato,
sez. V, 30.04.1994, n. 193; Cons. Stato, sez. V, 04.01.1993, n. 26; Cons.
Stato, sez. V, 19.03.1991, n. 291);
ii) la contiguità territoriale (i fondi, seppur non necessariamente
adiacenti, devono essere significativamente vicini, cfr. Cons. Stato, sez.
V, 10.03.2003, n. 1278), altrimenti ne risulterebbero stravolte proprio le
previsioni di piano sulla densità edificatoria di zona e incrinata
l’inderogabilità delle relative prescrizioni;
iii) la possibilità che gli stessi strumenti urbanistici vietino,
in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino
scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (Cass. civ.,
sez. V, 14.05.2007, n. 10979; Cass. civ., sez. V, 14.05.2003, n. 7417).
11.5. Va sottolineato che la cessione di cubatura costituisce un genus,
al cui interno si pongono sia gli atti tra privati volti a fare transitare
direttamente potestà edificatoria da una proprietà all’altra, nei limiti
consentiti, sia i diritti edificatori direttamente generati dalla p.a.
nell'ambito della c.d. urbanistica consensuale, nelle forme della
perequazione, della compensazione e della premialità, variamente declinate
dalla legislazione regionale e dagli strumenti pianificatori locali.
Il tratto distintivo tra i due modelli è costituito in primo luogo dalla
necessaria associazione, nella seconda ipotesi, di una procedura
pubblicistica (o che comunque coinvolge direttamente la p.a. attraverso lo
schema convenzionale) all’atto o agli atti conclusi iure privatorum,
mentre nella prima ipotesi la p.a. interviene esclusivamente al momento del
rilascio del permesso di costruire.
Inoltre, nella prima ipotesi è già individuata, al momento della cessione,
anche l’area che beneficia dell’incremento di capacità edificatoria, mentre
la seconda ipotesi conosce la c.d. fase di volo, durante la quale i diritti
edificatori sono temporaneamente privi di area di riferimento.
Il tratto comune a entrambe le ipotesi è peraltro dato dal distacco e dalla
separata negoziazione e trasferimento dello ius aedificandi rispetto
alla specifica proprietà del suolo da cui originano.
In questa prospettiva, la cessione di cubatura si inscrive pertanto comunque
nell'ambito della materia dei diritti edificatori globalmente considerati (cfr.
Cass. civ., sez. un., n. 16080 del 2021). Nella cessione di cubatura il
trasferimento (totale o parziale) della capacità edificatoria del fondo
avviene -tra privati- a favore di un'area fin dall'inizio ben determinata,
se non necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione
urbanistica omogenea. Come si è detto, non vi è incidenza sulla
pianificazione generale, attesa l'invarianza della cubatura complessiva,
l'omogeneità delle aree coinvolte e l'estraneità alla cessione in sé della
p.a. (tanto che viene talvolta definita come intervento di “micropianificazione
urbanistica ad iniziativa privata”), alla quale sarà tuttavia demandato
di assentire il rilascio, a favore del cessionario, del permesso di
costruire maggiorato della quota di cubatura trasferita (cfr. Cass. civ.,
sez. un., n. 23902 del 2020).
11.6. Sebbene si tratti di tema ampiamente discusso, un orientamento assegna
alla cessione di cubatura natura di atto costitutivo o traslativo di un
diritto reale, quale espressione del diritto di proprietà insito nello
sfruttamento edilizio del suolo.
Occorre ammettere tuttavia che maggiori sono le difficoltà a collocare la
cessione di cubatura in un coerente quadro, che a ben vedere sfugge alle
tradizionali classificazioni dei diritti reali per essere spesso ricondotto
a una figura atipica di diritto reale, non disciplinata espressamente dal
codice civile.
In tal senso risulta comunque problematica la completa assimilazione al
diritto di superficie (mancando l'alterità tra proprietà del suolo e
proprietà della costruzione), al diritto di servitù prediale quale
impedimento alla costruzione o alla sovraelevazione (risultando
problematici, rispetto alla categoria codicistica della servitù, l’assenso
della p.a. al permesso di costruire conseguente, l’attivazione del privato
cedente ai fini del rilascio del permesso in favore dell’acquirente,
l’assenza di una necessaria vicinanza tra i fondi laddove è dato rilievo
all’appartenenza alla medesima zona urbanistica).
Anche di recente, tuttavia, è stato escluso che la cessione di cubatura
consista in un atto traslativo, ed ancor meno costitutivo, di un diritto
reale (Cass. civ., n. 18291 del 2020, con ulteriori richiami) per affermarne
il carattere obbligatorio, mentre il trasferimento della cubatura -nei
confronti dei terzi, così come tra le parti– deriverebbe esclusivamente dal
provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato (Cass. n. 1352 del
1996; Cass. n. 20623 del 2009 in motiv., Cass. n. 24948 del 2018), tanto per
evitare che si configurino contratti fra privati in danno dell’interesse
pubblico al corretto governo del territorio la cui cura è affidata in primis
all’ente locale.
La medesima esigenza è salvaguardata dalla giurisprudenza amministrativa che
pure colloca l'atto in questione in un contesto di tipo meramente
obbligatorio (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, n. 4861 del 2016).
Il trasferimento di cubatura, infatti, non dipenderebbe dall'accordo tra le
parti, ma solamente dal rilascio del permesso di costruire da parte della
p.a. (per la qualificazione dell’asservimento quale fattispecie negoziale
atipica ad effetti obbligatori, che realizza una specie particolare di
relazione pertinenziale v. Cons. Stato, Ad. plen. n. 3 del 2009; sez. IV, n.
3969 del 2015; sez. V, n. 4757 del 2013; n. 4531 del 2013).
Ne costituisce conferma la procedura necessaria al fine dell’apposizione del
vincolo di asservimento; infatti, il c.d. vincolo di asservimento
rispettivamente a carico e a favore del fondo si costituisce, sia per le
parti che per i terzi, per effetto del rilascio della concessione edilizia,
che legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo,
sì che nessun risarcimento è dovuto al cedente (Cass., 12.09.1998, n. 9081;
in senso conforme, 22.02.1996, n. 1352; 29.06.1981, n. 4245; Cons. Stato,
sez. IV, n. 3969 del 2015).
11.7. Alcuni elementi di maggiore certezza e stabilità sono stati immessi
nel sistema di diritto positivo dal n. 2-bis del primo comma dell’art. 2643
c.c. (introdotto dal decreto-legge n. 70/2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 106/2011), il quale prevede che siano resi
pubblici con il mezzo della trascrizione i contratti che trasferiscono,
costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati,
previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di
pianificazione territoriale.
Sebbene già prima dell’introduzione del n. 2-bis al primo comma dell’art.
2643 del codice civile il trasferimento di cubatura fosse stato ritenuto
opponibile ai terzi poiché l’asservimento del fondo cedente a favore del
fondo accipiente costituisce comunque una qualità obiettiva del fondo
opponibile anche al terzo acquirente (Cons. Stato, sez. V, 28.06.2000, n.
3637; Cons. Stato, sez. V, 30.03.1998, n. 387; Cons. Stato, sez. V,
21.01.1997, n. 63) è indubbio tuttavia che la modifica codicistica abbia
rafforzato la pubblicità e la tutela dei terzi.
Pur non avendo disciplinato espressamente e compiutamente la cessione di
diritti edificatori, dalla novella al codice possono essere chiaramente
enucleati almeno i seguenti principi:
i) l’autonomia delle disposizioni regionali o di quelle di piano
nella disciplina della cessione di cubatura;
ii) l’ampiezza della cessione di cubatura (“diritti edificatori
comunque denominati”, il che -al di là degli obiettivi principalmente
perseguiti dal legislatore- non consente di circoscrivere la novella ai soli
trasferimenti di diritti edificatori di uno solo dei due tipi prima citati);
iii) il favor con cui il legislatore nazionale ha guardato
all’istituto (ferma la specifica disciplina statale, regionale o di piano).
Di tale favor costituiscono espressione alcune decisioni della
giurisprudenza amministrativa volte a valorizzare l’istituto in questione,
perché altrimenti “negare la possibilità del trasferimento di diritti
edificatori nell’ambito di una stessa zona omogenea, con la motivazione del
mancato rispetto del parametro dell’indice edificatorio fondiario del lotto
beneficiario, equivarrebbe ad una sostanziale abrogazione dell’istituto
introdotto dal citato art. 5 d.l. n. 70/2011, perseguendo l’istituto in
esame il precipuo fine di aumentare la capacità edificatoria del lotto di
proprietà del cessionario, anche e proprio nei casi in cui la capacità
edificatorio del lotto sia già esaurita, ché, diversamente, non sarebbe
necessario l’acquisto di diritti edificatori provenienti da altro immobile
(il tutto, purché venga rispettato l’indice territoriale dell’intera zona)”
(Cons. Stato, sez. VI, n. 4861 del 2016, che ha inoltre escluso, ai fini
dell’ammissibilità del trasferimento dei diritti edificatori, la rilevanza
che nel caso di specie l’interessata avesse, in aggiunta, già usufruito
anche di un bonus di cubatura connesso al risanamento energetico, trovando
tale bonus applicazione sulla base di precise disposizioni provinciali, di
natura primaria; analogamente, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1398 del 2016).
Si potrebbe anzi derivare dall’espressa previsione argomento per il
carattere non reale dei diritti edificatori (cfr. Cass. civ., sez. un., n.
16080 del 2021), se non altro perché altrimenti sarebbero stati già prima
trascrivibili in base alla disciplina generale. Va poi considerato che la
qualificazione di “diritti” edificatori affrancherebbe tale istituto da
posizioni giuridiche meno piene. Come ha sottolineato la Cassazione (cfr. n.
16080/2021 cit.), va rimarcata “la collocazione dell'istituto all'interno
del sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione, a sua volta
intrinsecamente connesso alla vicenda traslativa, costitutiva o
modificativa…il che comporta la netta rivalutazione del sostrato
privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l'effetto traslativo
suo proprio nell'ambito dell'autonomia negoziale delle parti, non già del
procedimento amministrativo”.
Il permesso di costruire concorrerebbe non al trasferimento in sé tra i
privati della cubatura, quanto alla sua fruibilità in conformità alle
prescrizioni urbanistiche ed edilizie; “il permesso di costruire -seppure
per certi versi anomalo perché chiesto e rilasciato per una volumetria
aumentata- continua ad operare su un piano non dissimile da quello 'normale'
dei provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato
e, segnatamente, da quello che regola ordinariamente l'esercizio diretto
dello ius aedificandi da parte del proprietario”. Peraltro, le
implicazioni di non-realità non comporterebbero la negazione dell'inerenza
al fondo del diritto sulla cubatura ceduta, quanto l'attribuzione ad essa di
un'incidenza più identitaria e funzionale che coessenziale alla natura
dell'istituto.
Come ha posto in evidenza il Consiglio di Stato (v., sez. IV, n. 4861 del
2016), “la disposizione normativa, peraltro, quale unico presupposto di
disciplina resta evidentemente lacunosa perchè trascura la circostanza che
la cessione di cubatura non è un mero negozio bilaterale tra privati ma, per
trovare la propria concreta attuazione ancorché prevista dalla legge
statale, necessita inevitabilmente non solo di “non essere vietata” dagli
strumenti urbanistici ma anche di coordinarsi con gli stessi, inserendovisi
in modo armonico. Fermo quindi che il legislatore nazionale ha inteso
dettare una indicazione di favore per la cessione di cubatura in un’ottica
di sviluppo economico, resta evidente come, al di là dell’affermazione di
principio, si sia trascurato di dettagliare il non semplice aspetto di quali
siano gli elementi imprescindibili del PRGC che possono comunque ostare, al
di là dell’espresso divieto, alla cessione. In tale contesto la
giurisprudenza ha svolto una inevitabile funzione di supplenza elaborando,
in linea di massima, i seguenti principi: la cessione di cubatura può
trovare concreta attuazione là dove i due fondi rispettivamente cedente e
cessionario siano omogenei e contigui”.
11.7. Coerentemente con i principi richiamati, la giurisprudenza
amministrativa, per la legittimità della cessione di cubatura, richiede non
solo l'omogeneità d'area territoriale ma anche la contiguità dei fondi, e ha
riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad aree, anche se non
contigue sul piano fisico, vicine però in modo significativo (Cons. Stato,
sez. VI, n. 1515 del 2016, in precedenza cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. VI,
n. 6734 del 2003).
La giurisprudenza è inoltre intervenuta per chiarire i rapporti tra
strumenti di pianificazione, densità edilizia territoriale, densità edilizia
fondiaria e la necessità che l’indice di edificabilità sia rapportato
all’effettiva superficie suscettibile di edificazione in modo da potere
individuare la volumetria assentibile con il permesso di costruire (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, n. 5419 del 2017) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.05.2022 n. 4417 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Cessione di cubatura –
Violazione derivante da inappropriate cessioni di cubatura –
Accorpamento di fondi omogenei per destinazione urbanistica
ed indice di fabbricabilità ma in difetto del requisito
della “reciproca prossimità" – Effetti – Artt. 24,
44, c. 1, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.).
La “cessione di cubatura” è legata a due
condizioni:
- l’omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano i
due terreni (cedente e ricevente) e
- la contiguità dei due fondi, intesa non tanto come una condizione
fisica (ossia contiguità territoriale) quanto come effettiva
e significativa vicinanza.
Pertanto, la “reciproca prossimità” tra i fondi è condizione
in ogni caso necessaria per effettuare un legittimo
“accorpamento” tra i medesimi ai fini dell’incremento di
volumetria assentibile per uno di essi, anche in ipotesi di
aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il
medesimo indice di fabbricabilità.
Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, ha
ritenuto desumibile dal sistema il divieto di “accorpamento”
di fondi non caratterizzati da contiguità, intesa nel senso
che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra
tutte le particelle catastali interessate dalla nuova
costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una
effettiva e significativa vicinanza.
Sicché, la contiguità dei fondi è requisito necessario per
la legittimità dell’accorpamento, «in quanto, se così non
fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe
determinarsi un superamento della densità edilizia massima
consentita dallo strumento urbanistico. Con la precisazione
che tale contiguità viene a mancare, in ogni caso, quando
tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni
urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
...
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Zona paesaggisticamente
vincolata e dichiarata di notevole interesse pubblico -
Cessione di cubatura tra fondi non contigui – Rilascio di un
illecito permesso di costruire e di una non valida
autorizzazione paesaggistica – Configurabilità della
contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo –
Falsa attestazione del funzionario comunale di conformità
ambientale dell’intervento – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO –
Contributo causale rilevante – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE –
Concorso colposo nel reato del funzionario comunale nominato
responsabile del procedimento – Fattispecie.
La contravvenzione di esecuzione di
lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il
permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia
illegittimo per contrasto con la disciplina
urbanistico-edilizia o paesaggistica di fonte normativa o
risultante dalla pianificazione.
Pertanto, la legittimità della cessione di cubatura tra
fondi non contigui deve escludersi nei casi in cui gli
stessi siano lontani (oppure esprimano diversi indici di
fabbricabilità quando più elevato sia quello del fondo
cedente, ovvero abbiano diversa destinazione urbanistica),
anche laddove l’atto negoziale abbia consentito di
realizzare una assai maggiore volumetria in un terreno
paesaggisticamente vincolato.
Nella specie, veniva compromessa anche la legittimità
dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, laddove la
valutazione sia stata espressa solo sul presupposto del
rispetto degli standards urbanistici di zona quanto alla
volumetria legittimamente edificabile.
Peraltro, configurandosi il concorso nel reato di cui
all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 a carico del
funzionario comunale nominato responsabile del procedimento
che, procedendo ad istruire la pratica edilizia, abbia
colposamente espresso parere favorevole al rilascio di un
titolo abilitativo illegittimo, in tal modo apportando un
contributo causale rilevante ai fini della determinazione
dell’evento illecito.
...
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO –
EDILIZIA – Cessione di cubatura – Incremento della
volumetria assentibile in spregio dei vincoli in zona di
pregio ambientale – Permesso di costruire illegittimo –
Macroscopica illegittimità – Titolo illegittimo per
violazione della disciplina in materia.
Con riferimento al reato di cui all’art.
44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, commesso
mediante esecuzione di lavori sulla base di permesso di
costruire illegittimo, sussiste la “macroscopica
illegittimità” dello stesso titolo, quando rappresenta, da
un lato, un significativo indice sintomatico della
sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, e,
dall’altro, non costituisce nemmeno una condizione
essenziale per l’oggettiva configurabilità del reato.
Nella specie, è stata ravvisata la sussistenza dei reati
edilizio (e paesaggistico) a fronte di una macroscopica
violazione della disciplina, realizzata impiegando
l’istituto della cessione di cubatura per eludere elementari
principi in materia urbanistica e, in particolare, per
incrementare la volumetria assentibile, in spregio dei
vincoli, in zona di sicuro pregio ambientale (zona
dichiarata di notevole interesse pubblico, proprio per le
sue caratteristiche) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.06.2021 n. 22832 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'istituto
della cessione di cubatura.
Secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità,
in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel
caso in cui
il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per
contrasto
con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla
pianificazione.
---------------
Deve valutarsi se sia illegittima -per contrasto con la disciplina
urbanistico-edilizia- l'opera di volumetria eccedente quella specificamente
prevista per il singolo lotto interessato dall'edificazione, anche quando
detta eccedenza sia giustificata sulla base dell'accorpamento di fondi
omogenei per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità, ma in
difetto del requisito della "reciproca prossimità".
Ebbene, il Collegio condivide il costante insegnamento secondo cui la stessa
"reciproca prossimità" tra i fondi è condizione in ogni caso necessaria per
effettuare un legittimo "accorpamento" tra i medesimi ai fini
dell'incremento di volumetria assentibile per uno di essi, anche in ipotesi
di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice
di fabbricabilità.
Come più volte affermato, infatti, concludere diversamente, e quindi
ammettere la cessione di cubatura tra terreni (solo) tra loro distanti,
potrebbe determinare una situazione di "affollamento edilizio" nelle zone
dove sono ubicati i fondi cessionari e una contrapposta situazione di
carenza nei luoghi di insediamento dei fondi cedenti, con evidente
pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione
edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Questo principio è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza penale
di legittimità, sia in linea generale, sia proprio con riferimento alle
opere edificate nel Comune.
Si aggiunga, peraltro, che alcune pronunce affrontano in modo espresso il
tema dell'assenza di un formale divieto e rilevano che ciò non impedisce,
all'interprete e quindi al giudice, di individuare nel sistema il requisito
della "reciproca prossimità" tra i fondi quale condizione indispensabile per
un valido "accorpamento" dei medesimi ai fini dell'incremento di volumetria
di uno di essi; in particolare, si osserva che il presupposto indicato deve
essere ricollegato all'esigenza di evitare che l'utilizzo dello strumento
negoziale della cessione di cubatura «sia grossolanamente volto, appunto,
alla elusione dei principi e delle regole in materia di pianificazione
edilizia».
Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, ha ritenuto desumibile dal
sistema il divieto di "accorpamento" di fondi non caratterizzati da
contiguità, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità
fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova
costruzione, devono Pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e
significativa vicinanza.
In particolare, si è sottolineato che la contiguità dei fondi è requisito
necessario per la legittimità dell'accorpamento, «in quanto, se così non
fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un
superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento
urbanistico».
In definitiva sul punto, dunque, la giurisprudenza di legittimità e quella
amministrativa affermano che la "cessione di cubatura" è legata a due
condizioni:
- l'omogeneità dell'area territoriale entro la quale si trovano i
due terreni (cedente e ricevente) e
- la contiguità dei due fondi, intesa non tanto come una condizione
fisica (ossia contiguità territoriale) quanto come effettiva e significativa
vicinanza.
E con la precisazione che tale contiguità viene a mancare, in ogni caso,
quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni
urbanistiche incompatibili con l'edificazione.
Tanto premesso in termini generali, si osserva che nel caso di specie i
terreni accorpati sono tra loro distanti circa 500-600 metri in linea
d'aria; ancora, quello edificato (cessionario) si trova in zona
paesaggisticamente vincolata e dichiarata di notevole interesse pubblico.
Per ciò solo, dunque, l'accorpamento della volumetria non era consentito, in
modo evidente, con conseguente illegittimità del permesso di costruire,
posto che il lotto ove l'edificio è stato realizzato avrebbe consentito di
esprimere 58,59 mc., ossia sensibilmente meno della cubatura di fatto
realizzata (90,30 mc.).
Dal che, e ribadendo un indirizzo già affermato da questa Corte, il
principio secondo cui la legittimità della cessione di cubatura tra fondi
non contigui deve escludersi nei casi in cui gli stessi siano lontani
(oppure esprimano diversi indici di fabbricabilità quando più elevato sia
quello del fondo cedente, ovvero abbiano diversa destinazione urbanistica),
anche laddove l'atto negoziale abbia consentito di realizzare una assai
maggiore volumetria in un terreno paesaggisticamente vincolato.
---------------
4. Proprio a questo riguardo, poi, si osserva che sono manifestamente
infondate, in primo luogo, le questioni relative alla configurabilità, sotto
il profilo
oggettivo, della fattispecie di cui all'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R.
n. 380 del
2001, esposte in vari ricorsi; doglianze in forza delle quali non vi sarebbe
alcuna
disposizione normativa da cui inferire la giuridica necessità -ai fini
dell'aumento
delle volumetrie assentibili sulla singola particella mediante
"accorpamento" dei
fondi- del requisito della "reciproca prossimità" tra gli stessi, almeno
quando la
cessione di cubatura avviene tra terreni aventi la stessa destinazione
urbanistica
e lo stesso indice di fabbricabilità, e che, comunque, una regola del
genere, se
anche esistente, poiché di "creazione giurisprudenziale", non sarebbe idonea
ad
integrare il precetto penale di cui all'art. 44 in esame.
4.1. Sul punto, risulta utile una premessa di carattere generale.
Innanzitutto, quanto alle modalità applicative dell'istituto della cessione
di
cubatura ed alla vigenza dell'articolo 51 della l.r. n. 56 del 1980, questa
Corte ha
da tempo chiarito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta
regionale
della Puglia n. 1748 del 15.12.2000, il Piano Urbanistico Territoriale
Tematico per il paesaggio (PUTT/P), si è verificata, una volta entrato in
vigore
quest'ultimo, la clausola risolutiva espressa dell'efficacia della predetta
disposizione legislativa (così, tra altre, Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014,
Manzo e
aa., Rv. 262512; Sez. 3, 18/03/2017, n. 35166, non massimata; Sez. 3, n.
2281
del 24/11/2017, Siciliano e aa., Rv. 271770).
Tanto premesso, la sentenza
impugnata ha preso esplicita posizione sul punto, proprio in conformità con
questo
indirizzo ed in contrasto con il diverso assunto sostenuto dal Tribunale; la
questione, tuttavia, risulta priva di effettivo rilievo, atteso che le
conclusioni alle
quali il Giudice di appello è pervenuto prescindono dalla perdurante vigenza
o
meno della stessa disciplina regionale (pag. 6).
4.2. Di seguito, si osserva che, ancora secondo l'insegnamento consolidato
della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di
reati edilizi,
la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel
caso in cui
il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per
contrasto
con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla
pianificazione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv.
275565, e Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170, ma anche Sez.
3, n. 3979 del 21/09/2018, Cerra s.r.I., mass. per altro, contraddistinta da
una
ricostruzione estremamente approfondita, e, proprio in ordine alla
violazione derivante da inappropriate cessioni di cubatura, Sez. 3, n. 8635
del 18/09/2014,
dep. 2015, Manzo, Rv. 262512, nonché, ancora, in precedenza, con riferimento
all'art. 20, primo comma, lett. a), legge 28.02.1985, n. 47, Sez. U,
n. 11635
del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359).
4.3. Posta questa premessa, deve allora valutarsi se sia illegittima -per
contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia- l'opera di volumetria
eccedente
quella specificamente prevista per il singolo lotto interessato
dall'edificazione,
anche quando detta eccedenza sia giustificata sulla base dell'accorpamento
di
fondi omogenei per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità, ma
in
difetto del requisito della "reciproca prossimità".
4.4. Ebbene, proprio a tale ultimo riguardo, centrale nella vicenda in
esame,
il Collegio condivide il costante insegnamento secondo cui la stessa
"reciproca
prossimità" tra i fondi è condizione in ogni caso necessaria per effettuare
un
legittimo "accorpamento" tra i medesimi ai fini dell'incremento di
volumetria
assentibile per uno di essi, anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate
come zona
agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità (per tutte, Sez. 3,
n. 12380
del 16/01/2020, Melcarne+2 e Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna, non
massimate; tra le ultime, Sez. 3, n. 15767 del 14/02/2020, Denuccio+altri,
non
massimata, con ampio richiamo giurisprudenziale).
Come più volte affermato,
infatti, concludere diversamente, e quindi ammettere la cessione di cubatura
tra
terreni (solo) tra loro distanti, potrebbe determinare una situazione di
"affollamento edilizio" nelle zone dove sono ubicati i fondi cessionari e
una
contrapposta situazione di carenza nei luoghi di insediamento dei fondi
cedenti,
con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di
programmazione
edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Questo principio è stato
ripetutamente affermato dalla giurisprudenza penale di legittimità, sia in
linea
generale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, S., Rv.
274673, e
Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, Manzo, Rv. 262512), sia proprio con
riferimento
alle opere edificate nel Comune di Castrignano del Capo (cfr., tra le tante:
Sez. 3,
n. 27758 del 17/05/2019, Sennhauser, non massimata; Sez. 3, n. 11519 del
23/01/2019, Micheli, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi,
non massimata).
Si aggiunga, peraltro, che alcune pronunce affrontano in modo
espresso il tema dell'assenza di un formale divieto e rilevano che ciò non
impedisce, all'interprete e quindi al giudice, di individuare nel sistema il
requisito
della "reciproca prossimità" tra i fondi quale condizione indispensabile per
un
valido "accorpamento" dei medesimi ai fini dell'incremento di volumetria di
uno di
essi; in particolare, si osserva che il presupposto indicato deve essere
ricollegato
all'esigenza di evitare che l'utilizzo dello strumento negoziale della
cessione di
cubatura «sia grossolanamente volto, appunto, alla elusione dei principi e
delle regole in materia di pianificazione edilizia» (così Sez. 3, n. 26714
del 2015,
Tedoldi, cit.).
4.5. Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, ha ritenuto
desumibile
dal sistema il divieto di "accorpamento" di fondi non caratterizzati da
contiguità,
intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra
tutte le
particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono Pur sempre
essere
caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez.
V, n. 6734,
30.10.2003; C. St., Sez. V, n. 400, 01.04.1998; più recentemente,
TAR
Campania-Salerno, Sez. H n. 1675 del 19/07/2016).
In particolare, si è
sottolineato
che la contiguità dei fondi è requisito necessario per la legittimità
dell'accorpamento, «in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene
aggiunta
cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima
consentita dallo strumento urbanistico» (così Tar-Campania, n. 1675 del
2016,
cit., e Tar-Sicilia, n. 1254 del 2018).
4.6. In definitiva sul punto, dunque, la giurisprudenza di legittimità e
quella amministrativa affermano che la "cessione di cubatura" è
legata a due condizioni:
- l'omogeneità dell'area territoriale entro la quale si trovano i
due terreni (cedente e ricevente) e
- la contiguità dei due fondi, intesa non tanto come una condizione
fisica (ossia contiguità territoriale) quanto come effettiva e significativa
vicinanza.
E con la precisazione che tale contiguità viene a mancare, in ogni caso,
quando
tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche
incompatibili
con l'edificazione.
4.7. Tanto premesso in termini generali, si osserva che nel caso di specie -per come pacificamente riscontrato dalla Corte di merito- i terreni
accorpati sono
tra loro distanti circa 500-600 metri in linea d'aria; ancora, quello
edificato
(cessionario) si trova in zona paesaggisticamente vincolata e dichiarata di
notevole
interesse pubblico. Per ciò solo, dunque, l'accorpamento della volumetria
non era
consentito, in modo evidente, con conseguente illegittimità del permesso di
costruire, posto che il lotto ove l'edificio è stato realizzato -si legge
in imputazione,
confermata dalla sentenza impugnata (pag. 4)- avrebbe consentito di
esprimere
58,59 mc., ossia sensibilmente meno della cubatura di fatto realizzata
(90,30
mc.).
4.8. Dal che, e ribadendo un indirizzo già affermato da questa Corte proprio
in un caso relativo al medesimo Comune, il principio secondo cui la
legittimità della
cessione di cubatura tra fondi non contigui deve escludersi nei casi in cui
gli stessi
siano lontani (oppure esprimano diversi indici di fabbricabilità quando più
elevato
sia quello del fondo cedente, ovvero abbiano diversa destinazione
urbanistica),
anche laddove l'atto negoziale abbia consentito di realizzare una assai
maggiore volumetria in un terreno paesaggisticamente vincolato (Sez. 3, n.
43253 del
19/09/2019, Ferilli+1, non massimata).
4.9. Quest'ultimo elemento -che, per quanto detto, incide sulla valutazione
della legittimità della cessione di cubatura ai fini urbanistici e, dunque,
sulla
legittimità del permesso di costruire comunque rilasciato- consente poi di
comprendere come risulti certamente compromessa anche la legittimità
dell'accertamento di compatibilità paesaggistica, laddove (ciò che nella
specie è
avvenuto) lo stesso sia espresso sull'errato presupposto del rispetto degli
standards urbanistici di zona quanto alla volumetria legittimamente
edificabile.
...
6.2. Del tutto non condivisibili, ancora, sono i richiami ad un asserito,
mutato
orientamento interpretativo; al riguardo, si rinvia alle citate decisioni
della
giurisprudenza penale ed amministrativa, che hanno confermato l'esistenza
del
requisito della "reciproca prossimità" tra i fondi come condizione per
consentire un
legittimo "accorpamento" degli stessi ed una valida cessione di cubatura.
A
ciò si
aggiunga, peraltro, che anche la sentenza Cons. Stato, Sez. 6, n. 4861 del
21/11/2016, di cui ai ricorsi Ri. e Pe., non risulta del tutto
pertinente;
come emerge dal testo della motivazione, infatti, il giudice amministrativo
di
secondo grado si è preoccupato di precisare che la cessione di cubatura da
esso
valutata deve ritenersi legittima anche per la strettissima vicinanza dei
fondi
interessati, osservando, tra l'altro, che «dalla documentazione catastale
(v. "visura
catastale particelle validate", in atti) emerge che (...) gli immobili
devono ritenersi
tra di loro contigui per gli effetti urbanistici, essendo anche tali lotti
ubicati nella
medesima zona servita dalle medesime opere di urbanizzazione, e avendo gli
stessi la medesima destinazione residenziale» (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.06.2021 n. 22832). |
EDILIZIA PRIVATA: La
cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in
tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire
nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un
diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di
altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto:
- immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura
non reale a contenuto patrimoniale;
- non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art. 1350
cod. civ.;
- trascrivibile ex art. 2643, n. 2-bis cod. civ.;
- assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto 'diverso'
avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa
Parte Prima allegata al d.P.R. 131/1986 nonché, in caso di trascrizione e
voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa
allegata al d.lvo 347/1990 e 10, co. 2", del medesimo d.lvo.
---------------
§ 5.2 Il secondo quesito è se la presente questione non debba
ritenersi in
certo senso 'già risolta' (eventualità prospettata sia nella memoria dei
Re. sia nelle conclusioni del Procuratore Generale) dalla su
menzionata sentenza di queste Sezioni Unite (n. 23902/2020, sopravvenuta
all'ordinanza di rimessione) in materia di diritti edificatori compensativi
e di
loro circolazione.
In tal caso il dubbio è reso legittimo dal fatto che la cessione di
cubatura,
pur mantenendosi certamente al di fuori del perimetro dei diritti
edificatori
direttamente generati dalla PA nell'ambito della c.d. urbanistica
consensuale,
dà comunque anch'essa luogo ad una forma di distacco e separata
negoziazione dello jus aedificandi rispetto alla proprietà del suolo; per
giunta, costituisce un dato pacifico di causa che la cubatura oggetto
dell'atto
di cessione dedotto nel presente giudizio origini in effetti anch'essa da
una
compensazione urbanistica convenzionalmente intercorsa tra i contribuenti
e l'amministrazione comunale di Latina.
Partendo da quest'ultimo aspetto, nitida è però la differenza tra la
presente
fattispecie e quella decisa con la richiamata sentenza.
Nel caso qui in esame, come si è già notato (v.§.1.1), l'origine
compensativa dell'indice di fabbricabilità costituisce un mero antefatto o,
se
si vuole, un semplice presupposto della cessione di cubatura, rimanendo in
quanto tale esterna a quest'ultima.
I Re. hanno ceduto la cubatura quando si era ormai esaurita, con
l'indíviduazione e l'assegnazione finale da parte del Comune dell'area di
destinazione e sfruttamento, la procedura di compensazione urbanistica
scaturita dalla pregressa cessione gratuita al Comune stesso di determinate
aree già di loro proprietà e ricadenti nel PPE del quartiere E/1 Piccarello
in
Latina.
Una volta perfezionatasi questa procedura di natura pubblicistica, il
diritto
edificatorio attribuito a titolo di compensazione è dunque entrato
definitivamente a far parte del loro patrimonio e, in quanto componente
patrimoniale ormai acquisito e definito in tutti i suoi elementi
costitutivi, esso
è stato fatto oggetto del trasferimento a favore della Ia. srl.
Altrimenti detto, la cessione di cubatura qui dedotta non manifesta la
volatilità caratteristica ed estrema del diritto edificatorio compensativo
ancora in fase di assegnazione (oggetto specifico della sentenza n.
23902/2020), essendo stata posta in essere dopo il completamento dell'ultimo
segmento della fattispecie compensativa (potremmo anche dire, ad
'atterraggio' ormai avvenuto), il che rende in pratica ininfluente la
provenienza convenzionale della volumetria ceduta.
In ordine all'altro aspetto, della prospettata incidenza in questa sede di
quanto affermato nella sentenza in parola, non è in discussione che il
problema della natura giuridica della cessione di cubatura debba
effettivamente trovare una soluzione -nell'ambito della materia dei diritti
edificatori globalmente considerati nella quale essa pur sempre si inscrive-
in linea di continuità e coerenza con quella decisione, e tuttavia ciò è
cosa
ben diversa dall'affermare che esso trovi piana e scontata soluzione in
quanto in quella sede già deciso.
Si è appena evidenziata l'oggettiva diversità delle due fattispecie
considerate e non sembra inutile ricordare che già nella sentenza in esame
-relativa non all'imposta di registro (ma al presupposto della edificabilità
dell'area ai fini Ici- si ebbe occasione di osservare, quanto a peculiarità
distintive della figura negoziale, che nella cessione di cubatura faceva
difetto
qualsiasi finalità perequativo-compensativo-indennitaria, e che in essa: "il
trasferimento (totale o parziale) della capacità edificatoria del fondo
avviene
-tra privati- a favore di un'area fin dall'inizio ben determinata, se non
necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione
urbanistica omogenea. Non vi è incidenza sulla pianificazione generale,
attesa l'invarianza della cubatura complessiva, l'omogeneità delle aree
coinvolte e l'estraneità alla cessione in sé della PA (per questo la si
ritrova talvolta definita come intervento di 'micropianificazione
urbanistica ad
iniziativa privata'), alla quale sarà tuttavia demandato di assentire il
rilascio,
a favore del cessionario, del permesso di costruire maggiorato della quota
di
cubatura trasferita".
Anche a questo secondo quesito va dunque data risposta negativa.
§ 6. Consistente e diacronico, come si è osservato, è l'indirizzo
giurisprudenziale che colloca la cessione di cubatura tra gli atti
costitutivi o
traslativi di un diritto reale.
Esso si fonda sulla valorizzazione -nell'ambito di una fattispecie che, pur
correlandosi al rilascio del titolo edilizio da parte della pubblica
amministrazione, si assume a forte connotazione privatistica- del carattere
prettamente dominicale ascrivibile allo sfruttamento edilizio del suolo e,
per
questa via, alla considerazione della edificabilità in termini di utilità
intrinseca
ed inerente a quest'ultimo (qualitas fundi).
Si tratta di impostazione -avallata da parte della dottrina e sostenuta
anche a livello di prassi notarile- storicamente radicatasi con riguardo
alla
previsione di diritti di rilocalizzazione privata della volumetria da parte
di
taluni piani regolatori generali di grandi città e, in particolare, al
problema
della riconoscibilità ad essi delle agevolazioni previste per i
trasferimenti
immobiliari dalla legge 408 del 1949 (l. Tupini).
L'amministrazione finanziaria ha più volte richiamato e fatto proprio questo
orientamento ricostruttivo, rimarcando a sua volta l'inerenza alla proprietà
del suolo della cessione di cubatura (ritenuta comportare un effetto in
tutto
analogo a quello conseguente alla disposizione di un diritto reale),
ponendolo
a fondamento della maggior imposizione sia di registro sia di plusvalenza
reddituale (Ris. n. 250948 del 17.08.1976; Circ AE 233/E del 20.08.2009).
Va però detto -e già questo induce qualche prima perplessità sulla
complessiva tenuta della tesi- che all'interno dell'indirizzo di realità
non si
sono poi date risposte sempre univoche sul 'tipo' di diritto reale che
verrebbe
a costituirsi o a trasferirsi con l'atto di cessione di cubatura.
Analoga frammentarietà di vedute si ha anche nella dottrina che sostiene
questo indirizzo, non essendo in essa neppure mancate ricostruzioni dommatiche che individuano nell'istituto -a superamento del regime di
numero chiuso- un diritto reale senz'altro atipico, o anche un diritto
reale
tipico (almeno in parte regolato dalla disciplina urbanistica), ma 'nuovo'
rispetto a quelli disciplinati dal codice civile.
Insoddisfacente, in particolare, risulta il richiamo al diritto di
superficie,
dal momento che nella cessione di cubatura non entrano in gioco gli effetti
propri di quest'ultima,la quale presuppone, ex art. 952 cod. civ., l'alterità
tra
proprietà del suolo e proprietà della costruzione; mentre è invece
connaturato all'istituto che il cessionario della cubatura eserciti il
diritto di
costruire (seppure incrementato di una quota parte di volumetria originatasi
altrove) sul fondo proprio.
Pur volendo in ipotesi aderire ad un'ottica di
atipicità, non sembra che l'ordinamento consenta di basare l'assimilazione
alla disciplina del diritto di superficie sulla forzata equiparazione
(inevitabile
nell'impostazione in esame) tra il diritto di costruire su terreno altrui
(il che
è connaturato alla superficie) ed il diritto del cessionario di costruire
sul
terreno proprio anche se (almeno in parte) in virtù di cubatura generata da
terreno altrui. A maggior ragione considerando che, una volta perfezionatasi
la cessione di volumetria in capo al cessionario, neppure avrebbe più senso
dare risalto all'altruità d'origine della cubatura trasferita.
Certamente più vicino alla realtà della fattispecie, nell'ambito dei diritti
reali di godimento, è il richiamo allo schema della servitù prediale e, in
particolare, alle figure della servitù non aedificandi (in caso di cessione
totale
della cubatura assentita) ovvero altius non tollendi (in caso di cessione
parziale). Anche in questo caso si è in presenza di una concezione
fortemente
privatistica dell'istituto, la quale pone l'assenso della pubblica
amministrazione all'esterno della fattispecie costitutiva, rispetto alla
quale
esso fungerebbe da mera condizione di efficacia nelle forme della condicio
juris (qualora prevista dal piano regolatore generale o dall'altra
disciplina
urbanistica), ovvero della condicio facti (se prevista come tale dalle parti
nel
contratto); neppure mancano, in dottrina, richiami all'assenso della PA
quale, non già elemento accidentale del contratto, ma oggetto di
presupposizione con incidenza causale sulla volontà negoziale.
Va anche considerato che sul piano teorico la servitù consente, rispetto ad
altri diritti reali, più ampi spazi ricostruttivi in ragione del peculiare
atteggiarsi in essa del carattere di tipicità. Ciò nel senso che se la
servitù è certamente autodeterminata e tipica nella individuazione legale
dei suoi
elementi costitutivi e portanti (in primo luogo nella essenzialità della
relazione di asservimento di un fondo a vantaggio di un fondo contiguo), la
determinazione del contenuto pratico di questa relazione e delle sue
concrete
modalità di svolgimento e manifestazione è poi ampiamente demandata
(nelle servitù volontarie) all'autonomia delle parti ed alla finalizzazione
e
qualificazione della servitù a seconda delle più eterogenee esigenze di
asservimento-utilità (agricole, industriali, edilizie ecc...) assegnate
dalle parti
stesse ai fondi.
Ed infatti l'adozione, in materia, dello schema della servitù, ovvero -come
anche si legge- dell'asservimento del terreno per scopi edificatori,
scaturisce dall'assunto, più volte ribadito in giurisprudenza, secondo cui:
"le
pattuizioni con le quali vengono imposte, a carico di un fondo ed a favore
del
fondo confinante, limitazioni di edificabilità restringono permanentemente i
poteri connessi al proprietario dell'area gravata e mirano ad assicurare,
correlativamente, particolari utilità a vantaggio del proprietario dell'area
contigua. Pattuizioni siffatte si atteggiano, rispetto ai terreni che ne
sono
colpiti, a permanente minorazione della loro utilizzazione da parte di
chiunque ne sia il proprietario ed attribuiscono ai terreni contigui un
corrispondente vantaggio che inerisce ai terreni stessi come qualitas fundi,
cioè con carattere di realità cosi da inquadrarsi nello schema delle
servitù"
(Cass. nn. 2743/1973, 1317/1980, 4624/1984, 4770/1996, 3937/2001, 14580/2012).
E tuttavia, quando si tratti di raccordare la servitù con la peculiarità del
'diritto edificatorio' in quanto tale, e con le connessioni pubblicistiche
che per
ciò soltanto ne derivano, anche questa -pur accreditata- tesi qualificatoria
mostra vari ed insuperabili profili di inadeguatezza.
Un primo aspetto concerne l'incidenza esplicata dal ruolo della PA nel
rilascio del permesso di costruire maggiorato; incidenza che comporta, se
non il formale innesto dell'accordo negoziale tra i privati nell'ambito del
procedimento amministrativo di rilascio del titolo edilizio, quantomeno la
dipendenza degli effetti pratici dell'atto di cessione di cubatura da un
elemento estraneo, ma tutt'altro che secondario ed accidentale, all'atto
costitutivo o traslativo in sé. Ciò pone evidentemente in crisi, nella
dialettica 'pubblico-privato', i requisiti di immediatezza e di assolutezza
che
contraddistinguono i diritti reali e, tra questi, la servitù.
Un secondo e correlato aspetto attiene al fatto che alla cessione di
cubatura si associa normalmente l'assunzione da parte del cedente di un
obbligo specifico, rappresentato dalla prestazione di consenso al rilascio,
da
parte dell'amministrazione comunale, del permesso di costruire per cubatura
maggiorata. Sennonché, questo contenuto di 'fare' si pone di per sé in
conflitto con la natura della servitù la quale, nel caso di specie, verrebbe
in
pratica a connotarsi per il cumulo sia di una componente negativa o passiva
in essa strutturale (di 'non facere' relativamente alla inedificabilità del
fondo
servente, e di patii relativamente all'accettazione della edificazione in
esubero sul fondo dominante), sia di una componente positiva del tutto
incompatibile (di attivazione personale in sede amministrativa).
Non
varrebbe obiettare che il brocardo ‘servitus in faciendo consistere nequit'
non
trova nell'ordinamento attuazione assoluta e totalizzante, dal momento che
l'articolo 1030 del codice civile, dopo aver affermato la regola generale
secondo cui il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun
atto per rendere possibile l'esercizio della servitù da parte del titolare,
fa
però sempre salvo "che la legge o il titolo disponga altrimenti", e qui la
diversa disposizione sarebbe appunto data dal titolo (o addirittura dalla
disciplina urbanistica).
Va infatti considerato che la prestazione di 'fare'
da
parte del proprietario del fondo servente non è incompatibile con la servitù
solo a condizione che non comporti l'erogazione di una utilità diretta
(nella
specie, l'incremento di volumetria sul fondo di dominio) e che abbia natura
meramente accessoria; e tale certo non può considerarsi un'attività
essenziale al raggiungimento dello scopo pratico perseguito dalle parti qual
è appunto la partecipazione del cedente al procedimento amministrativo di
rilascio del permesso di costruire. Si è dunque lontani dall'imposizione di
un
'fare' strumentale a rendere semplicemente più comoda od efficace la
fruizione dell'utilità, venendo piuttosto in considerazione una prestazione
positiva e centrale dal cui adempimento deriva l'esistenza stessa
dell'utilità.
Un terzo elemento di criticità riguarda il requisito della vicinanza tra i
fondi. Nel caso della cessione di cubatura non è detto che i fondi debbano
essere confinanti, essendo invece essenziale che essi siano ricompresi
all'interno della medesima zona urbanistica, così da partecipare della
medesima destinazione e degli stessi standard edificatori (prossimità di
zona).
E' proprio il collegamento di entrambi i fondi interessati con la
stessa
zona di intervento e pianificazione che rende legittimo e meritevole di
tutela
l'istituto (difatti sviluppatosi nella prassi proprio a seguito
dell'introduzione
delle tecniche di standardizzazione ex l. 765/1967) facendo sì, per un verso,
che l'alterazione privatistica della volumetria fruibile risulti
sostanzialmente
indifferente, visto il rispetto complessivo della densità edilizia
programmata,
per le scelte distributive e di governo del territorio; e che, per altro
verso,
sia evitato ogni fenomeno di migrazione delle cubature verso zone diverse
del territorio cittadino, con conseguenti patologici effetti tanto di
svuotamento quanto di affollamento del carico edilizio urbano.
E' vero che
il requisito della vicinanza tra i fondi va inteso in senso non strettamente
fisico o topografico, ma dinamico e funzionale all'utilità; già Cass. n.
914/1962
(innumerevoli volte ripresa) ebbe ad osservare che: "perché possa
configurarsi un diritto di servitù non è richiesto il requisito della
contiguità
tra i fondi, o della loro Vicinitas', ma è sufficiente che, di fatto, il
fondo
dominante e quello servente si trovino in posizione tale tra loro per cui
sia
attuabile ed esercitabile, per l'utilità del primo, l'imposizione di un peso
sul
secondo".
E tuttavia, il riferimento alla nozione di zona -salvo che non si
voglia imboccare la strada, impervia perché priva di base legale, del
diritto
reale nuovo o atipico (nel senso della insuperabilità del principio del
numero
chiuso e di tipicità dei diritti reali, di recente, Cass. SSUU n. 28972/2020)-
trascende questo concetto di vicinanza quand'anche recepito nella sua più
estesa accezione di vicinanza o utilità urbanistica, ben potendo concepirsi
che la cessione di cubatura coinvolga terreni non contigui, anche se
appartenenti ad un'area morfologicamente comune e, in ipotesi, dipendenti
dagli stessi strumenti regolatori e dalle stesse strutture di
urbanizzazione.
Vi è ancora da chiedersi se la tesi della realità possa essere in certo
senso
recuperata individuando nella cessione di cubatura non un atto costitutivo o
traslativo di una prerogativa proprietaria, ovvero di un diritto reale
immobiliare, bensì un atto di rinuncia pura e semplice ad essi. Evenienza,
questa, che basterebbe ad integrare il presupposto dell'imposizione
proporzionale di registro ex art. 1 tariffa TUR, cit..
Neppure la soluzione della realità per abdicazione appare però praticabile.
La cessione della volumetria -di regola- avviene a favore di un soggetto
ben individuato in quanto proprietario di un fondo avente i requisiti di
accoglienza della maggiore edificabilità. Per quanto non inconcepibile in
astratto, esula dal fenomeno qui in esame la rinuncia pura e semplice
(dunque non traslativa) alla cubatura, intesa quale cessione 'ad incertam
personam' ovvero quale restituzione al Comune dell'indice di fabbricabilità
già assegnato.
Si tratta di situazioni prive di riscontro pratico -anche in
considerazione della rilevanza economica rivestita dall'operazione- nelle
quali ogni altro proprietario di fondi ricompresi nella stessa zona
urbanistica
sarebbe in ipotesi legittimato a chiedere ed ottenere dal Comune
l'assegnazione del surplus edificatorio rappresentato dalla cubatura relitta.
Se poi si volesse ravvisare anche nella stessa cessione corrispettiva di
cubatura -oggetto precipuo della questione- una natura indirettamente
abdicativa della facoltà di utilizzare 'per sé' la cubatura trasferita -con
rinuncia da notificare al Comune in vista del rilascio del maggior titolo
edilizio
a favore del cessionario- la tesi apparirebbe finanche sostanzialmente
inutile
ai fini che interessano, trattandosi pur sempre di qualificare la natura
(reale
o meno) del diritto dismesso, il che riporterebbe alla tematica generale
della
qualificazione giuridica dell'atto (v. Cass. nn. 4245/1981; 9081/1998 cit.).
§ 7. L'opposto filone interpretativo, ancora recentemente ribadito, esclude
che la cessione di cubatura consista in un atto traslativo, ed ancor meno
costitutivo, di un diritto reale.
Si afferma in esso (Cass. n. 18291/2020, con ulteriori richiami) che "la
cosiddetta cessione di cubatura presuppone il perfezionamento di un accordo
con il quale una parte (il proprietario cedente) si impegna a prestare il
proprio consenso affinché la cubatura (o una parte di essa) che gli compete
in base agli strumenti urbanistici venga attribuita dalla P.A. al
proprietario
del fondo vicino (cessionario), compreso nella stessa zona urbanistica, cosi
consentendogli di chiedere ed ottenere una concessione per la costruzione
di un immobile di volume maggiore di quello cui avrebbe avuto altrimenti
diritto (Cass. n. 20623 del 2009; Cass. n. 12631 del 2016)".
Si aggiunge che il trasferimento della cubatura -nei confronti dei terzi,
così come tra le parti- deriva però "esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia
all'utilizzazione della volumetria manifestata al Comune dal cedente,
aderendo al progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato
dall'ente pubblico a favore del cessionario (Cass. n. 1352 del 1996, in
motiv.;
Cass. n. 20623 del 2009 in motiv.)"; e che, pertanto, l'accordo tra le parti
"ha un'efficacia meramente obbligatoria tra i suoi sottoscrittori e non è,
quindi, configurabile come un contratto traslativo (e, tanto meno,
costitutivo) di un diritto reale opponibile ai terzi (Cass. n. 24948 del
2018)".
Come osservato da Cass. n. 20623/2009, cit., "nella cessione di cubatura si è
in presenza di una fattispecie a formazione progressiva in cui confluiscono,
sul piano dei presupposti, dichiarazioni private nel contesto di un
procedimento di carattere amministrativo; a determinare il trasferimento di
cubatura, tra le parti e nei confronti dei terzi, é esclusivamente il
provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito
della rinuncia del cedente, può essere emanato dall'ente pubblico a favore
del cessionario, non essendo configurabile tra le parti un contratto
traslativo".
Dalla natura, non traslativa né costitutiva di un diritto reale bensì
meramente obbligatoria e vincolata all'assenso della PA, vengono poi tratte
varie importanti conseguenze, quali:
l'atto non richiede la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 cod. civ.;
l'interpretazione della reale volontà delle parti può anche desumersi, per
facta concludentia, dal comportamento complessivo dei contraenti
successivo alla stipulazione (come nell'ipotesi in cui la volontà di cedere
la cubatura venga desunta dalla dichiarazione di adesione resa dal
cedente direttamente alla PA);
il mancato rilascio del permesso di costruire nonostante la conforme
attivazione del cedente presso la PA determina l'inefficacia del negozio,
non la sua risoluzione per inadempimento.
Anche la giurisprudenza amministrativa -premessa la piena legittimità del
titolo edilizio autorizzativo che venga rilasciato con riguardo ad una
cessione
di cubatura assistita dai già richiamati requisiti quali-quantitativi di
omogeneità urbanistica- colloca l'atto in questione in un contesto di tipo
meramente obbligatorio.
Essa si spinge anzi anche più in là, osservando come un atto negoziale
vero e proprio (ad effetti obbligatori o reali) non sia in realtà neppure
necessario al fine di ottenere il rilascio del permesso di costruire
maggiorato,
"essendo sufficiente l'adesione del cedente, che può esser manifestata o
sottoscrivendo l'istanza e/o il progetto del cessionario, o rinunciando alla
propria cubatura a favore di questi o notificando al Comune tale sua
volontà,
mentre il c.d. vincolo di asservimento, rispettivamente a carico e a favore
del fondo, si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per effetto del
rilascio
della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario
sul
suolo attiguo" (Cons. Stato 3636/2000; v. anche, tra le molte, Cons. Stato nn.
15767/2020; 4861/2016; 530/1991).
Va detto che neppure l'indirizzo giurisprudenziale di legittimità qui in
esame può dirsi del tutto indenne da critiche e perplessità.
Come osservato dalla dottrina, si tratta di un indirizzo che sposta
eccessivamente il baricentro della fattispecie sul suo lato pubblicistico,
attribuendo all'accordo tra i privati una funzione meramente preparatoria o
preliminare in vista della realizzazione del nucleo sostanziale di interesse
comune posto all'esterno della volontà negoziale, e costituito dal rilascio
del
permesso di costruire per cubatura aumentata.
In quest'ottica si leggono
quelle decisioni che -peraltro in linea con la richiamata giurisprudenza
amministrativa- hanno marginalizzato l'accordo privatistico, ravvisandolo
anche solo sul piano comportamentale dell'adesione del cedente alla pratica
amministrativa introdotta dal cessionario (ad esempio mediante la mera
sottoscrizione da parte del primo del progetto edificatorio sottoposto dal
secondo all'approvazione della PA).
Sotto questo profilo, la volontà delle parti rileva essenzialmente nel
momento in cui essa, venendo comunicata all'amministrazione comunale,
viene a costituire un elemento interno al procedimento amministrativo.
Il che sembra non dare compiutamente contezza di un atto di disposizione
patrimoniale di estremo rilievo sul piano privatistico, nel suo risvolto sia
giuridico (trattandosi pur sempre di comprimere ovvero incrementare la
potestà edificatoria insita nel diritto di proprietà) sia economico (posto
che
non di rado il valore della cubatura assorbe ed esaurisce la massima parte
del valore di mercato del suolo).
Soprattutto, l'affermazione secondo cui il trasferimento di cubatura non
dipenderebbe dall'accordo tra le parti, ma solo ed esclusivamente dal
rilascio
del permesso di costruire da parte della PA, pare non tenere in debito conto
il fatto che, nell'attuale ordinamento, il diritto di edificare è insito
nella
proprietà del suolo, essendo dato all'Amministrazione soltanto di regolarne
l'esercizio conformemente ai piani ed agli strumenti urbanistici di governo
territoriale, non già di discrezionalmente 'costituirlo' e neppure di
'trasferirlo'
da un privato all'altro. Emblematica, in tal senso, è l'evoluzione
normativa,
interpretativa e terminologica che ha segnato il passaggio dalla concessione
edilizia di cui alla l. n. 10/1977 sulla edificabilità dei suoli al vigente
regime
autorizzatorio del permesso di costruire ex art. 10 d.P.R. 380/2001 (TUE).
Già nella sentenza SS.UU. n. 23902/2020 cit. si osservava -intorno ai diritti
edificatori scorporabili dal suolo di origine- come essi non neghino ma
anzi
presuppongano, consentendone variamente l'esercizio delocalizzato, che lo
jus aedificandi costituisca una naturale estrinsecazione del diritto di
proprietà
del suolo, sebbene sottoposto alle condizioni conformative e di utilità
sociale
previste dalla legge e dagli strumenti urbanistici; il che trova conferma in
quanto già affermato, ai fini della determinazione dell'indennità di
esproprio,
dalla Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza n. 5/1980, ed
ancora in quanto recentemente ribadito da queste stesse Sezioni Unite con
la sentenza n. 7454/2020.
§ 8. Stabilisce l'articolo 2643 del codice civile che devono rendersi
pubblici
col mezzo della trascrizione (n. 2-bis): "i contratti che trasferiscono,
costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati,
previsti
da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione
territoriale".
La disposizione, introdotta dal decreto sviluppo 2011 (d.l. 70/2011
convertito con modificazioni nella l. 106/2011), rappresenta un primo ed
embrionale momento di tipizzazione codicistica dei diritti edificatori,
anche
se segnata da evidenti limiti (già segnalati da Cass. SS.UU. 23902/2020 cit.)
nell'assenza:
- di una definizione contenutistica e di sostanza, avendo il legislatore
scelto
di fare richiamo generico ed onnicomprensivo ai diritti edificatori
'comunque denominati', senza neppure tentare di delinearne gli elementi
caratteristici essenziali;
-
di una disciplina fondamentale uniforme (se non per quanto concerne la
trascrivibilità), essendosi per il resto preferito rinviare alle eterogenee
regolamentazioni che, a diverso titolo, risultano applicabili ai diritti
edificatori in applicazione di normative speciali di matrice, soprattutto,
regionale e di pianificazione territoriale.
Ciò non toglie che dalla previsione in esame, dettata da esigenze di
certezza ed opponibilità circolatorie, possano e debbano trarsi importanti
contributi interpretativi circa la qualificazione giuridica della cessione
di
cubatura; appunto considerata -una volta riconosciuto in essa il tratto
saliente costituito, al contempo, dal distacco del diritto di costruire dal
fondo
di generazione e dalla sua autonoma e separata negoziabilità- quale specie
del genere 'diritti edificatori'.
Un primo elemento ricostruttivo è dato dal definitivo allontanamento
dell'istituto dall'ambito di realità nel quale secondo alcuni si collocava.
In
proposito, va rilevato non solo che l'elenco degli atti soggetti a
trascrizione
ex articolo 2643 non presuppone necessariamente il carattere 'reale'
dell'atto, posto che la legge ammette la trascrizione anche di atti relativi
a
beni immobili che rivestono pacifica natura obbligatoria, come i contratti
di
locazione ultranovennale (art. 2643 n. 8) ovvero i contratti preliminari
(art. 2645-bis), ma anche che una specifica ed autonoma previsione di
trascrivibilità dei 'diritti edificatori' in quanto tali non avrebbe avuto
ragion
d'essere, né logica né pratica, qualora questi ultimi, partecipando di
natura
reale, risultassero comunque già prima trascrivibili in base alla disciplina
generale (per le servitù, in particolare, ai sensi del n. 4).
Da questo punto
di
vista, l'introduzione nell'ordinamento del n. 2-bis costituisce un pesante
argomento sistematico a sostegno dell'indirizzo della non realità dell'atto
di
cessione di cubatura, là dove si rimproverava a quest'ultimo (per ragioni
uguali e contrarie a quelle per le quali si dava invece credito
all'indirizzo
opposto) di inficiare, precludendone la pubblicità, proprio le esigenze di
certezza ed opponibilità coessenziali ad uno strumento negoziale così
rilevante e diffuso. A ciò si aggiunge, non ultimo, che l'esplicito
riconoscimento del ruolo di normazione assegnato in materia alla
legislazione regionale, ed addirittura agli strumenti urbanistici
distribuiti sul territorio,
mal si concilia con l'esigenza che le restrizioni 'reali' al diritto di
proprietà
rinvenienti dall'ordinamento civile vengano dettate in maniera uniforme e
centralizzata, ex articolo 117, lett. l), Cost., dal legislatore statale.
Un secondo elemento è dato dal fatto che quest'ultimo qualifica i diritti
edificatori -appunto- come 'diritti'. Si tratta di una presa di posizione
che
non è solo semantica e che se, per un verso, rimarca la derivazione
proprietaria del diritto di costruire, si discosta, per altro, da tutte
quelle -pur
argomentate ed accreditate- impostazioni dottrinarie che individuano, nella
figura in esame, ora una posizione giuridica soggettiva meno piena (perché
di interesse legittimo pretensivo sul piano pubblicistico e di semplice
chance
o aspettativa edificatoria su quello negoziale), ora il prodotto ultimo di
un
processo di oggettivazione ex art. 810 cod. civ., che renderebbe il 'benecubatura'
più simile ad una cosa oggetto di diritti (salvo poi disputarne
l'essenza immobiliare, mobiliare, virtuale, immateriale o di frutto del
fondo)
che ad un diritto in sé. Così come ancora più distante appare la scelta del
legislatore da quelle concezioni secondo cui la cubatura non sarebbe, in
verità, né un diritto né una cosa, ma soltanto un numero-indice espressivo,
nel rapporto tra metri quadrati e metri cubi, della misura della risorsa
edificatoria disponibile in capo al proprietario sulla 'colonna d'aria'
sovrastante il suo fondo.
Un terzo elemento è dato dalla collocazione dell'istituto all'interno del
sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione, a sua volta
intrinsecamente connesso alla vicenda traslativa, costitutiva o modificativa
(n. 2-bis: "i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i
diritti
edificatori ...").
E' dunque chiara l'opzione legislativa secondo cui i
diritti
edificatori, non solo sono genericamente disponibili per contratto, ma tra
le
parti vengono costituiti, trasferiti e modificati direttamente per effetto
di
questo, e non di altro. Il che comporta la netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l'effetto traslativo
suo
proprio nell'ambito dell'autonomia negoziale delle parti, non già del
procedimento amministrativo. Da qui l'estendibilità alla materia del
principio
consensualistico di cui all'articolo 1376 del codice civile, secondo il
quale nei
contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un diritto (anche
diverso dalla proprietà di cosa determinata o da un diritto reale) questo si
trasmette
e si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente
manifestato.
Resta naturalmente, una volta che alla cessione di cubatura consegua la
presentazione da parte del cessionario di un progetto edificatorio su di
essa
basato, il ruolo autorizzativo e regolatorio del permesso di costruire, per
il
cui rilascio il cedente è tenuto ad operare secondo il dovere generale di
solidarietà, cooperazione, correttezza e buona fede. Si tratta appunto di un
elemento che concorre non al trasferimento in sé tra i privati della
cubatura,
quanto alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed
edilizie, alle quali il cessionario dovrà ispirarsi mediante la
presentazione di
un progetto edificatorio assentibile perché ad esse rispondente.
In quanto
elemento esterno di regolazione pubblicistica di un diritto di origine privatistica, il permesso di costruire -seppure per certi versi anomalo
perché
chiesto e rilasciato per una volumetria aumentata- continua ad operare su
un piano non dissimile da quello 'normale' dei provvedimenti genericamente
ampliativi della sfera giuridica del privato e, segnatamente, da quello che
regola ordinariamente l'esercizio diretto dello jus aedificandi da parte del
proprietario.
Va ancora osservato come tutte le implicazioni di non-realità che si sono
qui individuate non comportino la negazione dell'inerenza al fondo del
diritto
sulla cubatura ceduta, quanto l'attribuzione ad essa di un'incidenza più
identitaria e funzionale (di necessario collegamento con un determinato
suolo tanto di origine quanto di destinazione) che coessenziale alla natura
dell'istituto; ciò sul presupposto fondante del fenomeno stesso dei 'diritti
edificatori', sempre insito -anche se con connotati di varia intensità-
nel
loro scorporo dal fondo di produzione e nella ritenuta meritevolezza della
loro
circolazione separata.
§ 9. Tornando all'imposta di registro -oggetto precipuo della questione
rimessa alle Sezioni Unite- non può dunque fondatamente concludersi che
nel caso di cessione di cubatura vi siano i presupposti per l'applicazione
dell'aliquota proporzionale prevista dalla tariffa per gli atti traslativi a
titolo
oneroso della proprietà immobiliare ovvero traslativi o costitutivi di
diritti
reali immobiliari. Analogamente è a dire, per il caso di trascrizione e
voltura,
con riguardo all'imposta ipotecaria e catastale la quale dovrà essere
applicata nella misura fissa propria degli atti diversi da quelli traslativi
o costitutivi di
un diritto reale immobiliare.
Non si disconosce che questa soluzione può apparire per certi versi
incongrua nell'emersione (richiamata dall'Amministrazione Finanziaria) di un
diverso trattamento fiscale a seconda che l'atto presentato alla
registrazione
sia una cessione di cubatura, piuttosto che un trasferimento della proprietà
di un fondo edificabile; ciò perché, come si è già ad altro fine osservato,
non
è raro che il valore venale del terreno edificabile venga di fatto a
praticamente identificarsi con quello della cubatura su di esso esercitabile.
In questa situazione l'incoerenza di sistema sarebbe data, in particolare,
dal
fatto che atti dispositivi realizzativi di un medesimo scopo pratico e
rivelatori
di una capacità contributiva sostanzialmente sovrapponibile siano
fiscalmente colpiti in maniera differente, e solo in funzione del tipo di
strumento negoziale prescelto dalle parti.
Va però considerato che -ferma restando l'insindacabile autonomia del
legislatore, con l'unico limite dell'arbitrio e della irragionevolezza, nel
modulare il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. selezionando
le
varie fattispecie imponibili ed il trattamento a ciascuna spettante (da
ultimo,
C. Cost. sent. 201/2020)- la denunciata disparità si evidenzierebbe nel solo
ritorno di mercato dell'operazione, cioè nella ricchezza generata dalla
alienazione dell'asset, mentre l'imposizione di registro (art. 20 TUR)
presuppone che l'atto venga qualificato e sottoposto a tariffa in ragione
dei
suoi effetti giuridici, non economici (v. C. Cost. 158/2020 cit. che ha
ritenuto
costituzionalmente compatibile questa opzione legislativa).
E sul piano degli effetti giuridici, trasferire la proprietà di un fondo
edificabile e cederne, seppure totalmente, la cubatura -come si è fin qui
argomentato- sono cose sotto molti aspetti differenti.
§ 10. In definitiva, il ricorso dei contribuenti -unificati e ritenuti
fondati i motivi da loro proposti ex art. 360, 1^ co., n. 3, cod. proc. civ.-
va accolto in forza del seguente principio di diritto: "la
cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in
tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire
nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un
diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di
altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto:
- immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura
non reale a contenuto patrimoniale;
- non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art. 1350
cod. civ.;
- trascrivibile ex art. 2643, n. 2-bis, cod. civ.;
- assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto 'diverso'
avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa
Parte Prima allegata al d.P.R. 131/1986 nonché, in caso di trascrizione e
voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa
allegata al d.lvo 347/1990 e 10, co. 2", del medesimo d.lvo".
Ne segue la cassazione della sentenza della Commissione
(Corte di Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza
09.06.2021 n. 16080). |
anno 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Natura del negozio di cessione di cubatura: la Sez. VI
civile
della Corte di Cassazione investe della questione le Sezioni
Unite.
La Corte di Cassazione precisa che:
«Il negozio di cessione di cubatura costituisce la prima
formula nella quale comincia ad ammettersi la possibilità di
cessione dei diritti di natura edificatoria dai quali
deriva, in favore dell'acquirente, un credito edilizio,
ormai rappresentando soltanto una species rispetto al più
ampio genus «diritti edificatori comunque denominati», al
cui interno si intravedono figure giuridiche profondamente
diverse, alcune delle quali Ric. 2018 n. 25485 sez. MT - ud.
29.01.2020 -13- saranno peraltro all'esame delle Sezioni
Unite di questa Corte in ragione dell'ordinanza
interlocutoria n. 26016/2019 e che qui, tuttavia, non
vengono in diretto rilievo.
Ora, focalizzando la questione attorno alle ricadute fiscali
correlate alla natura del negozio di cessione di cubatura
che qui viene in rilievo, v'è da dire che l'adesione ad una
piuttosto che ad altra teoria in ordine alla natura della
cessione di cubatura (teoria del diritto di superficie,
della "rinunzia" abdicativa o traslativa, o della servitù
non aedificandi o altius non tollendi) renderebbe
applicabili i criteri ordinari di tassazione con aliquota
dell'8% dell'imposta di registro di cui all'art. 1, parte
prima, allegato "A" del d.P.R. n. 131 del 1986 già sopra
ricordati. Per converso, qualificando la fattispecie quale
negozio ad effetti meramente obbligatori, si dovrebbe
giungere alla conclusione di applicare l'art. 9 della
tariffa stessa (che assoggetta ad aliquota del 3% gli atti
diversi da quelli altrove indicati nella tariffa aventi per
oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale).
Orbene, la diversità di indirizzi giurisprudenziali dei
quali si è dato conto sembrano dunque giustificare un
intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla
questione di massima di particolare importanza, ex art. 374,
comma 2, c.p.c., relativa alla qualificazione giuridica
dell'atto dì cessione di cubatura ai fini dell'applicazione
dell'imposta di registro, apparendo altresì necessario
indagare sui possibili effetti e sulla natura giuridica del
diniego di autorizzazione da parte dell'amministrazione
comunale rispetto all'eventuale imposizione fiscale
applicata sul presupposto della qualificazione dell'atto di
cessione come negozio immediatamente traslativo del diritto
edfficatorio.
Parimenti necessaria risulterà la verifica delle ricedute ai
finì fiscali delle Ric. 2018 n. 25455 sez. MT - ud.
29.01.2020 -14- sopravvenienze di carattere urbanistico
successive alla cessione. Non sembra, d'altra parte, al
Collegio possibile operare una reductio ad unum
dell'indirizzo espresso dalla sezione quinta civile con i
risultati interpretativi stratificati presso la seconda
sezione civile, ravvisandosi tra gli orientamenti dei quali
si è dato conto un'antologica inconciliabilità che riverbera
i propri effetti ai fini dell'applicazione della tipologia
dei coefficiente previsto in tema di imposta di registro,
rilevando l'alternativa secca fra atto traslativo e atto
avente natura patrimoniale.
Orbene, il conflitto anzidetto sembra potere giustificare il
rinvio della decisione della causa alle Sezioni Unite, non
discutendosi di un mero contrasto interno alla sezione
tributaria» (Corte di Cassazione, Sez. VI civile,
ordinanza interlocutoria 15.09.2020 n.
19152 -
commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
Quale inquadramento giuridico per la cessione di cubatura?
La parola alle Sezioni Unite.
Con l’ordinanza interlocutoria 15.09.2020 n.
19152, la Sesta sezione tributaria ha rimesso
alle Sezioni Unite Civili la risoluzione della questione
relativa al corretto inquadrameno giuridico dell’atto di
cessione di cubatura che si collega alla circolazione dei
diritti edificatori. In particolare, il criterio di
tassazione è direttamente collegato a tale inquadramento, da
cui dipendono ulteriori ricadute fiscali delle
sopravvenienze di carattere urbanistico successive alla
cessione.
La cessione di cubatura si realizza con l’intervento
dell’ente pubblico mediante la licenza, non solo verso i
terzi, ma anche fra le parti. Prima del rilascio della
concessione dal Comune, sussiste esclusivamente un vincolo
obbligatorio tra i proprietari, che hanno pattuito la
cessione della cubatura, ma non un asservimento di un fondo
a favore di un altro. Prima di tale momento, la rinuncia ad
utilizzare per sé la cubatura mancante al cessionario
rappresenta un impegno preliminare del proprietario cedente.
Tuttavia il Collegio ha ritenuto utile investire le Sezioni
unite della Corte sull’inquadramento giuridico dell’atto di
cessione di cubatura che si collega alla circolazione dei
“diritti edificatori” soprattutto a seguito del lungo
dibattuta avutosi sia in dottrina che in giurisprudenza.
Un primo orientamento sostiene che la cessione di
cubatura poiché assoggettabile ad imposta di registro è da
qualificare come contratto ad effetti reali.
Un secondo, e consistente, indirizzo
giurisprudenziale si è invece espresso nel senso di
attribuire alla cessione di cubatura un atto avente natura
obbligatoria. Un terzo orientamento qualifica altresì l’atto
di cessione come negozio assimilabile a quello di natura
reale, in forza di una utilitas della cessione di cubatura
assimilabile a quella di un fondo servente.
Un ultimo indirizzo vorrebbe attribuire una natura
poliedrica all’atto di cessione di cubatura, andando di
volta in volta alla ricerca della singola disciplina
normativa rilevante, così superare le dispute insorte sulla
sua qualificazione giuridica.
Ne consegue che, risolvere il conflitto sorto nel dibattito
giurisprudenziale, rappresenta una questione di particolare
importanza proprio per il fatto che qualificazione dell’atto
si collega l’imposizione fiscale. Parimenti necessaria
risulterà la verifica delle ricadute a fini fiscali delle
sopravvenienze di carattere urbanistico successive alla
cessione
(commento tratto da www.pausania.it).
---------------
1. Inquadramento normativo
Il Collegio ritiene utile investire le Sezioni unite della
Corte sulla questione, a lungo dibattuta sia in dottrina che
in giurisprudenza, circa il corretto inquadramento giuridico
dell'atto di cessione di cubatura che si collega alla
circolazione dei "diritti edificatori".
Nel caso all'esame di questa Corte il tema viene in rilievo
con riferimento alla determinazione dell'ammontare
dell'imposta di registro in relazione ad un atto di cessione
di cubatura risalente al giugno 2009. Orbene, in via
preliminare occorre inquadrare il tema nella cornice
normativa di riferimento, considerando le recenti novelle
civilistiche e tributarie.
Orbene, giova rammentare che l'art. 1, Tariffa Parte I del
D.P.R. n. 131/1986, rubricato atti soggetti a registro in
termine fisso, stabilisce che "gli atti traslativi a
titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e
gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali
immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e
semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per
pubblica utilità e i trasferimenti coattivi sono soggetti
alla aliquota fissa" -pari all'8%-. Diversamente, ai
sensi dell'art. 9, Parte 1, Allegato I del citato decreto,
gli atti aventi per oggetto prestazioni a contenuto
patrimoniale sono assoggettati al pagamento dell'imposta
dovuta con applicazione dell'aliquota del 3%.
Si rammenta, inoltre, che l'art. 5 , comma 3, del D.L.
13.05.2011, n. 70, come convertito, con modificazioni, dalla L. 12.07.2011, n. 106 -entrato in vigore in epoca successiva
all'atto di cessione di cubatura per cui è causa- ha
inserito nel codice civile, all'art. 2643, il numero 2-bis,
a norma del quale si devono rendere pubblici col mezzo della
trascrizione "i contratti che trasferiscono,
costituiscono e modificano i diritti edificatori, comunque
denominati, previsti da normative statali o regionali,
ovvero da strumenti di pianificazione territoriale".
Ciò posto, giova ricordare, per una più chiara comprensione
della vicenda, che con la cessione di cubatura consiste in
un accordo tra proprietari di aree contigue comunque dotate
del requisito della reciproca prossimità -Cons. Stato n.
139/1994, Cons. Stato, 26/1993, Cass. n. 914/1962- aventi la
medesima destinazione urbanistica, in forza del quale il
proprietario di un'area edificabile non sfrutta per sé la
cubatura realizzabile sul proprio terreno, al fine di
consentire all'altro di disporre di una volumetria maggiore
di quella espressa dal terreno dì sua proprietà.
In altri termini, con la cessione di cubatura il
proprietario del fondo distacca in tutto o in parte la
facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei
limiti della cubatura concessagli dal piano regolatore e,
formando un diritto a sé stante, lo trasferisce
definitivamente all'acquirente, a beneficio del fondo di
costui.
Pur nella consapevolezza della attuale difficoltà di
individuare una precisa qualificazione giuridica
dell'istituto della cessione di cubatura si tratta di intesa
negoziale che vede inizialmente coinvolti i soggetti
proprietari dell'area di decollo e di quella di atterraggio
ai quali il diritto edificatorio perviene dopo la fase del
volo, usando così una terminologia assai in voga quando si
discute del tema, più ampio rispetto a quello che qui
rileva, del trasferimento di diritti edificatori sulla base
di nuove modalità procedimentali della p.a..
2. Giurisprudenza favorevole
all'inquadramento della cessione di cubatura quale contratto
ad effetti reali.
L'indirizzo che
muove dalla riconducibilità dell'atto di cessione di
cubatura ad un contratto ad effetti reali si rinviene in
quelle pronunzie che riconoscono che la "cessione di
cubatura" (non definibile altrimenti che quale facoltà
inerente al diritto di proprietà e, in quanto tale, avente
sicure caratteristiche di realità), è assoggettabile ad
imposta di registro (giacché, in base alla relativa
disciplina, è suscettibile d'imposizione ogni atto di
trasferimento di diritti reali immobiliari, inclusa la
rinunzia agli stessi) -Cass., n. 10979/2007-.
Analogamente, Cass. n. 7417/2003, dopo avere ricordato che
giurisprudenza e dottrina concordano sul fatto che la
cubatura è una facoltà che inerisce al diritto dì proprietà,
avente dunque caratteristiche di diritto reale immobiliare,
affermava che la giurisprudenza di questa Corte ha
affrontato il problema della natura giuridica del cd. "atto
di asservimento" con cui viene trasferita la cubatura,
prevalentemente sul piano fiscale, riscontrando l'assimilabilità
del trasferimento, ai fini dell'imposta di registro e
dell'IVA ad un negozio traslativo di diritti reali
immobiliari, omettendo tuttavia di inquadrare la natura di
tale diritto nell'ambito dei diritti reali tipici (Cass., nn.
2235/1972; 641/1973; 802/1973; 1231/1974; 250/1975;
3416/1975; 2017/1975; 6807/1988), dando atto che, talvolta,
tale atto era stato qualificato come servitù (atipica), in
quanto, attributiva di un vantaggio che inerisce ai terreni
come qualitas fundi (Cass. n. 2743/1973), ovvero come
semplice limitazione legale al diritto di proprietà (Cass.
n. 3334/1976) o come rinuncia abdicativa notificata al
Comune (Cass. n. 9081/1998), ovvero ancora assimilandola al
diritto di superficie atipico (Cass., 01.06.1953 n. 1655).
3. La giurisprudenza della Cassazione sulla
natura meramente obbligatoria dell'atto di cessione di
cubatura.
Un consistente
indirizzo giurisprudenziale si è invece espresso nel senso
di ritenere la natura obbligatoria dell'atto dì cessione di
cubatura.
Inizialmente, Cass., n. 4245/1981 ebbe a ritenere che l'atto
negoziale privato diretto alla costituzione di una servitù o
dì altro vincolo giuridico fra le parti, quando, per
realizzare il rapporto area-volume prescritto dalla
legislazione urbanistica, sia indispensabile stimare la
proprietà di un terzo al servizio del costruendo edificio
-variamente definito come servitus non aedificandi,
obligatio propter rem, contratto a favore dì terzo (il
Comune), rinuncia abdícativa, rinuncia traslativa -Cass.,
06.07.1972, n. 2235 e Cass, 25.10.1973, 2743- assume
unicamente il rilievo di un impegno del proprietario cedente
a prestarsi presso la p.a. alla rinuncia a utilizzare per sé
la cubatura mancante al "cessionario", con effetto
preliminare all'essenziale momento costitutivo rappresentato
dall'intervento dell'ente pubblico con l'emissione della
licenza.
La c.d. "cessione di cubatura" si realizza con tale
provvedimento non solo verso i terzi, ma anche fra le parti.
Analogamente, Cass. n. 6807/1988, nel ritenere che rispetto
all'atto di cessione anzidetto "sussiste soltanto un
vincolo obbligatorio tra i proprietari, che hanno pattuito
la cessione della cubatura, e non un asservimento attuale di
un fondo a favore di un altro" affermò che la cessione
di volumetria produce effetti simili a quelli dei
trasferimenti dei diritti reali immobiliari.
Cass. n. 1352/1996 ha nel medesimo senso ritenuto che
l'accordo di cessione di cubatura non necessita (a
differenza quindi del trasferimento dei diritti reali
tipici) di atto negoziale, avendo efficacia solo
obbligatoria fra i sottoscrittori, mentre il trasferimento
di cubatura fra le parti e nei confronti dei terzi, è
determinato esclusivamente dal provvedimento concessorío,
discrezionale e non vincolato, che a seguito della rinuncia
alla volumetria manifestata al Comune dal cedente in
adesione al progetto edilizio presentato dal cessionario,
può essere emanato in favore di quest'ultimo dall'Ente
pubblico (conf. Cass., n. 6087/1988).
Secondo questo indirizzo il c.d. trasferimento di cubatura
ha dunque un'efficacia soltanto obbligatoria tra i suoi
sottoscrittori giacché sul piano pubblicistico a rilevare è
la rinuncia, all'utilizzazione della volumetria, che il
cedente, aderente al progetto edilizio presentato dal
cessionario, abbia manifestato al Comune. Infatti, a
determinare il trasferimento di cubatura tra le parti e nei
confronti dei terzi, è esclusivamente il provvedimento
concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito
della rinuncia, può essere emanato dall'ente pubblico a
favore del cessionario.
Tale tesi, accolta da questa Corte con la sentenza n.
4245/1981, è stata confermata anche da Cass. n. 6807/1988
secondo cui, prima del rilascio della concessione comunale,
"sussiste soltanto un vincolo obbligatorio tra i
proprietari, che hanno pattuito la cessione della cubatura,
e non un asservimento attuale di un fondo a favore di un
altro".
Analogamente, Cass., n. 9081/1998, richiamando Cass.,
29.06.1981, n. 4245 e Cass. 22.02.1996, n. 1352, ha
riconosciuto che quando, per realizzare il rapporto
area-volume prescritto dalla legislazione urbanistica, sia
indispensabile destinare la proprietà dì un terzo al
servizio del costruendo edificio, non è necessario un atto
negoziale privato, diretto alla costituzione di una servitù
o di altro vincolo giuridico tra le parti, poiché la "cessione
di cubatura" si realizza in virtù del solo provvedimento
amministrativo di concessione edilizia, che ha effetto verso
i terzi e tra le partì.
Più recentemente, Cass., n. 24948/2018 ha dato continuità a
detto orientamento affermando che la c.d. cessione di
cubatura presuppone il perfezionamento di un accordo con il
quale una parte (il proprietario cedente) si impegna a
prestare il proprio consenso affinché la cubatura (o una
parte di essa) che gli compete in base agli strumenti
urbanistici venga attribuita dalla P.A. al proprietario del
fondo vicino (cessionario), compreso nella stessa zona
urbanistica, così consentendogli dì chiedere ed ottenere una
concessione per la costruzione di un immobile di volume
maggiore di quello cui avrebbe avuto altrimenti diritto
(Cass. n. 20623 del 2009; Cass. n. 12631 del 2016, in
motiv.).
Il trasferimento di cubatura tra le parti e nei confronti
dei terzi consegue, tuttavia, esclusivamente al
provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato,
che, a seguito della rinuncia all'utilizzazione della
volumetria manifestata al Comune dal cedente, aderendo al
progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere
emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario (Cass.
n. 1352 del 1996, in motiv.; Cass. n. 20623 del 2009 in
motiv.). Tale accordo, quindi, ha un'efficacia meramente
obbligatoria tra i suoi sottoscrittori e non è, quindi,
configurabile come un contratto traslativo (e, tanto meno,
costitutivo) di un diritto reale opponibile ai terzi.
4. L'atto di cessione di cubatura come
negozio "assimilabile" a quello di natura reale.
Una prospettiva comunque favorevole alla qualificazione
della cessione di cubatura come assimilabile a quella dei
negozi traslativi si rinviene in alcuni risalenti precedenti
di questa Corte e sembra -peraltro- direttamente collegata
all'esistenza di un quadro normativo -R.D. 30.12.1923, n.
3269- diverso da quello vigente all'atto della conclusione
dell'accordo di cessione dì cubatura per il quale pende il
presente giudizio.
Ed invero Cass., n. 2235/1972, muovendo dall'idea che i
diritti reali, i quali sono suscettibili di possesso
giuridico tecnico (Cass. 11.06.1943 n. 1448), soggiacciono
al principio del "numerus clusus" e devono, dunque,
essere sussumibili nei paradigmi legislativi, che compongono
tale "numerus" (Cass. 22.10.1959 n. 3035), ha
aggiunto che la classificazione, prevista dall'art. 813 c.c.,
può essere derogata da norme speciali, e, comunque, per
l'art. 8 R.D. 30.12.1923, n. 3269, l'analogia di efficacia
di un atto rende applicabile l'aliquota tariffaria,
indipendentemente dalla esatta sussunzione, dell'atto
medesimo, in uno dei paradigmi legislativi, che classificano
i diritti reali immobiliari.
Irrilevante sarebbe, dunque, ai fini di applicabilità del
tributo, la difficoltà di qualificare come servitù, in base
ad una "utilitas" fornita da fondo servente (Cass.
27.01.1962, n. 153) con carattere di permanenza, un rapporto
che si sostanzia in una facoltà di costruire, da esercitarsi
"una tantum", o di riscontrare una ipotesi di diritto
di superficie, in relazione all'art. 952 c.c., in un diritto
di costruzione che non grava su cosa altrui (Cass.,
01.06.1953 n. 1655).
Di certo, si è in presenza di una rinuncia a costruire, che
trova causa in un corrispettivo, e, dunque, assume il
carattere, indubbio, di una cessione di diritto, con
efficacia traslativa, non automatica, ma volontaria, a
favore di un soggetto prescelto, il quale paga un
corrispettivo non irrilevante, onde la cessione è a titolo
oneroso, e produce, nel cessionario, una facoltà di
edificare, con effetti "erga omnes", analoghi agli
effetti dei trasferimenti dì diritti reali, onde prende
vigore il rinvio dell'art. 8 della legge all'aliquota
tariffaria dell'art. 1, prevista per tali trasferimenti di
diritti reali.
Cass. n. 802/1973 ha parlato della cessione di cubatura come
di un atto che, richiamando Cass., n. 2235/1972, sarebbe
assimilabile al trasferimento di un diritto reale
immobiliare. Sull'idea dell'assimilabilità si era, d'altra
parte, posizionata anche Cass., n. 1231/1974, ritenendo che
l'atto di cd. trasferimento dì "cubatura" produce
effetti analoghi a quelli propri del trasferimento di
diritti reali immobiliari, considerati dall'art. 1 della
tariffa allegata alla legge di registro: (Cass. 06.07.1972
n. 2235; 09.03.1973 n. 641), concludendo nel senso che "tale
trasferimento di cubatura si assimila, negli effetti, ai
fini della legge di registro (art. 8) al trasferimento di un
diritto reale immobiliare."
Quest'idea fa quindi da sfondo all'affermazione che l'atto
di cessione di cubatura debba essere, ai fini fiscali,
assimilato all'atto traslativo. In questa stessa direzione,
Cass. n. 250/1975 ritenne che "attraverso il consenso del
Comune si verifica, per volontà dei privasti contraenti, il
trasferimento di una delle facoltà, in cui si estrinseca la
proprietà, e cioè, quella di costruire, onde il cessionario
della cubatura può costruire, sul suo fondo, nei maggiori
limiti consentiti dalla cessione e vendere a terzi, le
costruzioni, con innegabile efficacia erga omnes del
trasferimento, il quale viene, in tal modo, permanentemente
ad inerire sull'area edificabile di proprietà del
cessionario. Gli effetti reali dell'oggetto della cessione,
che viene ad accrescere la facoltà di edificare, spettante
al proprietario cui la cubatura è ceduta, con efficacia erga
omnes, sono analoghi a quelli dei trasferimenti a titolo
oneroso, di diritti reali immobiliari, previsti dall'art. 1
della Tariffa, onde per l'art. 8 della legge organica di
registro, vanno assoggettati all'aliquota ivi prevista.
Dispone, infatti, il citato art. 8 che un atto, il quale
produce effetti previsti dall'art. 4 della stessa legge -
N.d.R. R.D. n. 3269/1923, relativo alla da tempo abrogata
normativa sull'imposta di registro - (trasmissioni di
diritti reali, o obbligazioni di somme o prestazioni, o
dichiarazione o attribuzione di valori o diritti, o
efficacia di titolo o di documentazione legale) e che non si
trovi, nominalmente, indicato nella Tariffa, soggiace alla
tassa che la Tariffa prevede per l'atto col quale, per la
sua natura e per i suoi effetti, ha maggiore analogia."
Analogamente, Cass., n. 2017/1975, in linea di continuità
con Cass. n. 2235/1972 e Cass., n. 802/1973, considerò la
cessione di cubatura come atto con effetti analoghi a quelli
propri dei trasferimenti di diritti reali immobiliari, nei
limiti che saranno indicati. Si sostenne così che il
trasferimento di cubatura rimuove un ostacolo che si oppone
alla autorizzazione a costruire al di là di quanto sarebbe
possibile col rispetto della "media" stabilita per la
zona: a chi abbia acquistato la "cubatura" il comune
potrà, discrezionalmente, concedere la licenza di costruire
fino al limite raggiungibile con l'addizione delle media
suddetta della "cubatura", medesima. Di questa può essere
alienante lo stesso comune, come si è detto, la "media"
è fissata con riguardo anche alle aree riservate ai pubblici
servizi.
5. La natura poliedrica dell'atto di
cessione di cubatura.
Si riscontra, poi, nella giurisprudenza di questa Corte in
materia tributaria, un ulteriore indirizzo che tenta di
superare le dispute dottrinarie e giurisprudenziali insorte
sulla qualificazione giuridica dell'atto di cessione di
cubatura, andando alla ricerca della singola disciplina
normativa rilevante ed al modo con il quale essa prende in
considerazione detto atto.
Tale prospettiva sembra emergere in Cass., n. 7417/2003,
allorché si ritenne che le diversità di opinioni in ordine
alla natura dell'atto di cessione di cubatura (assimilabilità
al diritto di superficie, teoria della servítus
inaedificandi o altius non tollendi, negozio
meramente obbligatorio) non era ricavabile una definizione
certa in ordine alla natura giuridica del diritto dì
cubatura, se non quella che si tratta di facoltà inerente al
diritto di proprietà, come tale avente sicure
caratteristiche dì realità.
Se ne concludeva, così, che "da tale definizione minima,
non può evidentemente discendere un unico risultato
utilizzabile a fini fiscali, dovendosi piuttosto far
riferimento alle diverse normative riguardanti i singoli
tributi, per stabilire se e in che misura la definizione
stessa trovi in esse riscontro a fini impositivi. Mentre
infatti la tassabilità a fini di registro è insita in ogni
atto di trasferimento di diritti reali immobiliari, inclusa
la rinuncia agli stessi, l'imposta relativa all'incremento
di valore è applicabile soltanto ad atti costitutivi di
alcuni diritti immobiliari tipici, senza che si possano, in
base alla lettera della legge, creare "assimilazioni" o
"analogie" con figure giuridiche ivi non tipizzate."
Tale indirizzo sembra, in definitiva, valorizzare il singolo
comparto nel quale l'atto di cessione di cubatura debba
produrre determinati effetti.
6. La necessità di investire le Sezioni
unite civili della questione di massima di particolare
importanza.
Il negozio di cessione di cubatura costituisce la prima
formula nella quale comincia ad ammettersi la possibilità di
cessione dei diritti di natura edificatoria dai quali
deriva, in favore dell'acquirente, un credito edilizio,
ormai rappresentando soltanto una species rispetto al
più ampio genus «diritti edificatori comunque
denominati», al cui interno si intravedono figure
giuridiche profondamente diverse, alcune delle quali saranno
peraltro all'esame delle Sezioni Unite di questa Corte in
ragione dell'ordinanza interlocutoria n. 26016/2019 e che
qui, tuttavia, non vengono in diretto rilievo.
Ora, focalizzando la questione attorno alle ricadute fiscali
correlate alla natura del negozio di cessione di cubatura
che qui viene in rilievo, v'è da dire che l'adesione ad una
piuttosto che ad altra teoria in ordine alla natura della
cessione di cubatura (teoria del diritto di superficie,
della "rinunzia" abdicativa o traslativa, o della
servitù non aedificandi o altius non tollendi)
renderebbe applicabili i criteri ordinari di tassazione con
aliquota dell'8% dell'imposta di registro di cui all'art. 1,
parte prima, allegato "A" del d.P.R. n. 131 del 1986 già
sopra ricordati. Per converso, qualificando la fattispecie
quale negozio ad effetti meramente obbligatori, si dovrebbe
giungere alla conclusione di applicare l'art. 9 della
tariffa stessa (che assoggetta ad aliquota del 3% gli atti
diversi da quelli altrove indicati nella tariffa aventi per
oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale).
Orbene, la diversità di indirizzi giurisprudenziali dei
quali si è dato conto sembrano dunque giustificare un
intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla
questione di massima di particolare importanza, ex art. 374,
comma 2, c.p.c., relativa alla qualificazione giuridica
dell'atto dì cessione di cubatura ai fini dell'applicazione
dell'imposta di registro, apparendo altresì necessario
indagare sui possibili effetti e sulla natura giuridica del
diniego di autorizzazione da parte dell'amministrazione
comunale rispetto all'eventuale imposizione fiscale
applicata sul presupposto della qualificazione dell'atto di
cessione come negozio immediatamente traslativo del diritto
edfficatorio. Parimenti necessaria risulterà la verifica
delle ricedute ai finì fiscali delle sopravvenienze di
carattere urbanistico successive alla cessione.
Non sembra, d'altra parte, al Collegio possibile operare una
reductio ad unum dell'indirizzo espresso dalla sezione
quinta civile con i risultati interpretativi stratificati
presso la seconda sezione civile, ravvisandosi tra gli
orientamenti dei quali si è dato conto un'antologica
inconciliabilità che riverbera i propri effetti ai fini
dell'applicazione della tipologia dei coefficiente previsto
in tema di imposta di registro, rilevando l'alternativa
secca fra atto traslativo e atto avente natura patrimoniale.
Orbene, il conflitto anzidetto sembra potere giustificare il
rinvio della decisione della causa alle Sezioni Unite, non
discutendosi di un mero contrasto interno alla sezione
tributaria. La causa va pertanto rimessa all'esame del Primo
Presidente della Corte Suprema di Cassazione, ai sensi
dell'art. 374, comma 2, c.p.c. affinché valuti la sua
eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte rimette la causa al Primo
Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite
Civili (Corte di
Cassazione, Sez. VI civile,
ordinanza
interlocutoria 15.09.2020 n. 19152). |
EDILIZIA PRIVATA: Cessione
di cubatura – Requisiti – Omogeneità della destinazione urbanistica e
vicinanza – Interpretazione del concetto di vicinanza – Concretezza e
dinamicità.
La giurisprudenza della Cassazione ha in più occasioni
segnalato il rischio che l’indiscriminato ricorso allo strumento della
cessione di cubatura determini “una situazione di “affollamento edilizio”
in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di
carenza in altre (dove sono situati i terreni cedenti”, con evidente
pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione
edilizia contenuti negli strumenti urbanistici)”.
Al fine di risolvere la predetta criticità, la medesima giurisprudenza della
Cassazione ha ritenuto che la cessione debba avvenire tra suoli che, oltre
ad avere la medesima destinazione urbanistica, risultino “quanto meno dotati
del requisito della reciproca prossimità”, inteso quale elemento strutturale
minimo della cessione di cubatura, che deve necessariamente sussistere, ed
essere in concreto riscontrato, per consentire l’accorpamento dei suoli,
senza stravolgere l’assetto del territorio concepito dagli strumenti della
pianificazione urbanistica.
La predetta soluzione non trova dirimenti argomenti a contrario nella
sentenza del Consiglio di Stato richiamata da parte ricorrente, che invero
non si preoccupa di esaurire ogni aspetto dell’istituto, ma si limita a
rilevare che la cessione di cubatura deve operare tra fondi “aventi
natura e destinazione omogenei” e che non è necessario che i suoli siano
tra loro immediatamente confinanti, che è cosa diversa dall’affermare –in
positivo– che si possa prescindere dal requisito della “vicinanza”,
dal momento che affermare che i suoli non debbano essere necessariamente
confinanti non significa escludere che tra gli stessi suoli debba sussistere
un rapporto di “reciproca prossimità” nei termini indicati dalla
giurisprudenza della Cassazione.
Della predetta specifica questione si occupa invece, in modo
approfondito e puntuale, la più recente giurisprudenza della Consiglio di
Stato, che sul punto ha ritenuto che “in concreto non è possibile
adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la
contiguità tra fondi … la vicinanza deve essere valutata caso per caso in
relazione alle caratteristiche morfologiche dell'area interessata, alle sue
dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa. In
questo senso, deve essere condivisa la statuizione del giudice di prime cure
secondo cui l'insistenza dei fondi nella stessa zona omogenea non determina
di per sé, come contrariamente sostenuto da parte appellante, l'automatica
integrazione del requisito in questione. È quindi essenziale, per utilizzare
efficacemente il passaggio di volumetria, la concreta dimostrazione -che nel
caso di specie non è sussistente- della dipendenza dei fondi dalle medesime
strutture di urbanizzazione e la non alterazione del carico urbanistico per
effetto del trasferimento. Sotto il primo profilo, come rilevato in primo
grado, è infatti rilevante la circostanza che i fondi in questione si
trovino all'interno di un Comune di piccole dimensioni e che, pur insistendo
nella medesima zona omogenea B2, siano posti ad una distanza di 154 m. fra
loro, che di per sé non garantisce la loro dipendenza dalle medesime
strutture”.
In buona sostanza, secondo il predetto orientamento -che merita di essere
recepito in quanto fedele alla ratio dell’istituto ed attento alle relative
implicazioni pratiche- al requisito della omogeneità della destinazione
urbanistica deve accompagnarsi l’ulteriore requisito della “vicinanza”
tra i suoli, che deve essere opportunamente declinato, non già in senso
rigido ed astratto, ma ad un livello più concreto e dinamico, tenuto conto
delle caratteristiche morfologiche dell’area interessata dall’intervento,
delle sue dimensioni e delle relative esigenze urbanistiche, al precipuo
scopo di addivenire alla verifica della “dipendenza dei fondi dalle
medesime strutture di urbanizzazione” ed all’accertamento della “non
alterazione del carico urbanistico per effetto del trasferimento”.
---------------
6.2. E’ invece fondata la doglianza che si appunta sulla carenza della
motivazione e sulla intrinseca contraddittorietà delle direttrici
argomentative del provvedimento di diniego.
6.2.1. E’ pacifico che le NTA del PRG non pongano alcun limite
all’accorpamento dei suoli siti all’interno del “territorio comunale”
ai fini dell’utilizzo della relativa cubatura, salvo riferire la relativa
facoltà alle sole aziende agricole.
Tuttavia il fatto che la norma in questione non contenga espresse
prescrizioni limitative non esclude che la cessione di cubatura debba
operare nel rispetto delle linee fondamentali che regolano l’equilibrato
sviluppo del territorio e in conformità alla ratio sottesa all’istituto.
Al riguardo, la giurisprudenza della Cassazione ha in più occasioni
segnalato il rischio che l’indiscriminato ricorso allo strumento della
cessione di cubatura determini “una situazione di “affollamento edilizio”
in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e di
carenza in altre (dove sono situati i terreni cedenti”, con evidente
pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione
edilizia contenuti negli strumenti urbanistici)” (Cass. Penale, Sez. IV,
26.04.2016 n. 51536; da ultimo Cass. Penale, Sez. III, 13.11.2019 n. 5695).
Al fine di risolvere la predetta criticità, la medesima giurisprudenza della
Cassazione ha ritenuto che la cessione debba avvenire tra suoli che, oltre
ad avere la medesima destinazione urbanistica, risultino “quanto meno dotati
del requisito della reciproca prossimità”, inteso quale elemento strutturale
minimo della cessione di cubatura, che deve necessariamente sussistere, ed
essere in concreto riscontrato, per consentire l’accorpamento dei suoli,
senza stravolgere l’assetto del territorio concepito dagli strumenti della
pianificazione urbanistica.
6.2.2. La predetta soluzione non trova dirimenti argomenti a contrario nella
sentenza del Consiglio di Stato richiamata da parte ricorrente, che invero
non si preoccupa di esaurire ogni aspetto dell’istituto, ma si limita a
rilevare che la cessione di cubatura deve operare tra fondi “aventi
natura e destinazione omogenei” e che non è necessario che i suoli siano
tra loro immediatamente confinanti, che è cosa diversa dall’affermare –in
positivo– che si possa prescindere dal requisito della “vicinanza”,
dal momento che affermare che i suoli non debbano essere necessariamente
confinanti non significa escludere che tra gli stessi suoli debba sussistere
un rapporto di “reciproca prossimità” nei termini indicati dalla
giurisprudenza della Cassazione.
6.2.3. Della predetta specifica questione si occupa invece, in modo
approfondito e puntuale, la più recente giurisprudenza della Consiglio di
Stato, che sul punto ha ritenuto che “in concreto non è possibile
adottare un criterio generale ed astratto in base al quale affermare la
contiguità tra fondi … la vicinanza deve essere valutata caso per caso in
relazione alle caratteristiche morfologiche dell'area interessata, alle sue
dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche della stessa. In
questo senso, deve essere condivisa la statuizione del giudice di prime cure
secondo cui l'insistenza dei fondi nella stessa zona omogenea non determina
di per sé, come contrariamente sostenuto da parte appellante, l'automatica
integrazione del requisito in questione. È quindi essenziale, per utilizzare
efficacemente il passaggio di volumetria, la concreta dimostrazione -che nel
caso di specie non è sussistente- della dipendenza dei fondi dalle medesime
strutture di urbanizzazione e la non alterazione del carico urbanistico per
effetto del trasferimento. Sotto il primo profilo, come rilevato in primo
grado, è infatti rilevante la circostanza che i fondi in questione si
trovino all'interno di un Comune di piccole dimensioni e che, pur insistendo
nella medesima zona omogenea B2, siano posti ad una distanza di 154 m. fra
loro, che di per sé non garantisce la loro dipendenza dalle medesime
strutture” (Sez. II, 22.01.2020 n. 544).
In buona sostanza, secondo il predetto orientamento -che merita di essere
recepito in quanto fedele alla ratio dell’istituto ed attento alle relative
implicazioni pratiche- al requisito della omogeneità della destinazione
urbanistica deve accompagnarsi l’ulteriore requisito della “vicinanza”
tra i suoli, che deve essere opportunamente declinato, non già in senso
rigido ed astratto, ma ad un livello più concreto e dinamico, tenuto conto
delle caratteristiche morfologiche dell’area interessata dall’intervento,
delle sue dimensioni e delle relative esigenze urbanistiche, al precipuo
scopo di addivenire alla verifica della “dipendenza dei fondi dalle
medesime strutture di urbanizzazione” ed all’accertamento della “non
alterazione del carico urbanistico per effetto del trasferimento”.
6.2.4. Tale essendo l’oggetto dell’indagine richiesta in sede istruttoria,
viene da sé che il provvedimento impugnato risulta contraddittorio e
lacunoso nella parte in cui, prendendo le mosse dalla richiamata
prescrizione delle NTA del PRG (che non reca limiti espressi per la cessione
di cubatura), giunge a denegare il titolo edilizio per il sol fatto che tra
i fondi non è riscontrabile un rapporto di “effettiva e significativa”
vicinanza, in tal modo appiattendosi sul dato spaziale, laddove avrebbe
dovuto svolgere, nei termini innanzi indicati, una verifica puntuale e
circostanziata in ordine alle effettive esigenze urbanistiche del territorio
in cui è destinato ad essere realizzato l’intervento edilizio.
Sotto tale profilo il ricorso merito di essere accolto con l’annullamento
del provvedimento impugnato
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 28.05.2020 n. 566 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
cessione di cubatura da un fondo all'altro.
Il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza circa la necessaria
verifica del presupposto della prossimità tra i fondi ai fini di ritenere la
legittimità, sul piano urbanistico e paesaggistico, della cd. cessione di
cubatura tra diversi terreni edificabili onde realizzare su uno di questi un
edificio di volumetria maggiore rispetto a ciò che sarebbe consentito in
base all'indice di fabbricabilità, cumulando la cubatura che potrebbero esprimere gli altri
fondi e
che viene appunto fatta oggetto di cessione.
---------------
Ci si pone il problema di verificare quando la cessione di cubatura possa
dirsi legittima.
Al riguardo, occorre richiamare, in particolare, le argomentazioni svolte in recenti
decisioni nelle quali si è affermato il principio secondo cui integra il
reato previsto dall'art. 44 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 la realizzazione
di un immobile in assenza di valido permesso di costruire, perché ottenuto
mediante illegittima cessione di cubatura a scopo edificatorio tra terreni
non reciprocamente prossimi, aventi un indice di fabbricabilità differente o
una diversa destinazione urbanistica.
Le argomentazioni esposte nelle motivazioni di queste decisioni, condivise
dal Collegio, sono state peraltro riproposte in numerose altre sentenze.
In dette sentenze si è chiarito che la cessione di cubatura è un istituto di
fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata anche
dalla giurisprudenza amministrativa, in forza del quale è consentita, a
prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della
cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché,
invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà
caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello
originariamente goduto.
Onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di
manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, il
legittimo ricorso a tale meccanismo è tuttavia soggetto a determinate
condizioni, una delle quali è costituita dall'essere i terreni in questione,
se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della
reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di tale
strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del
tutto estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta
pianificazione del territorio.
A titolo di esempio, le citate decisioni ricordano come si potrebbe
verificare, laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubatura" fra
terreni fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione
di "affollamento edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i
fondi cessionari) e di carenza in altre (ove sono situati i terreni
cedenti), con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri
di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Pur essendo spesso stata detta ratio decidendi associata all'ulteriore
rilievo -ritenuto parimenti ostativo ad una legittima cessione di cubatura-
dell'essere i terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro
diversi, si è ritenuto che anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come
zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità non può essere
esclusa la illegalità dell'operazione effettuata.
Va infatti richiamata l'attenzione sul significativo dato fattuale, più
volte correttamente valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa,
dell'assenza del necessario requisito della "contiguità" dei fondi, intesa
nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le
particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre
essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza.
---------------
2. Venendo al merito delle questioni proposte, le doglianze
concernenti
l'affermazione di responsabilità in ordine alle residue contravvenzioni e la
sussistenza degli elementi costitutivi del reato di falso ideologico -che
ha
fondato la dichiarazione di falsità del permesso di costruire- sono fondate
con
particolare riguardo alla principale ratio decidendi che informa la sentenza
impugnata, non potendo tout court affermarsi, senza una compiuta disamina
della situazione di specie nei termini di cui infra si dirà, che una
distanza di 667
metri tra i fondi accorpati non li renda prossimi ai fini della valutazione
sulla
legittimità dell'accorpamento e che, comunque, consenta con certezza di
affermare la sussistenza dell'elemento soggettivo, con particolare riguardo
al
dolo richiesto per l'integrazione del reato di falso ideologico.
2.1. Va premesso che il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza
circa la necessaria verifica del presupposto della prossimità tra i fondi ai
fini di
ritenere la legittimità, sul piano urbanistico e paesaggistico, della cd.
cessione di
cubatura tra diversi terreni edificabili onde realizzare su uno di questi un
edificio
di volumetria maggiore rispetto a ciò che sarebbe consentito in base
all'indice di
fabbricabilità, cumulando la cubatura che potrebbero esprimere gli altri
fondi e
che viene appunto fatta oggetto di cessione.
Occorre in primo luogo precisare che la sentenza impugnata, richiamando la
consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto, conclude per la non
applicabilità della l.reg. 56/1980, pur fatta oggetto di contestata
violazione in
imputazione, e nessuno degli imputati di ciò si duole.
Questa Corte, di
fatti, ha
da tempo chiarito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta
regionale della Puglia n. 1748 del 15.12.2000, il Piano Urbanistico
Territoriale Tematico per il paesaggio (PUTT/P), si è verificata, una volta
entrato
in vigore quest'ultimo, la clausola risolutiva espressa dell'efficacia della
predetta
disposizione legislativa (così, Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, dep. 2015,
Manzo e
aa., Rv. 262512; Sez. 3, 18/03/2017, n. 35166, non massimata; Sez. 3, n.
2281
del 24/11/2017, dep. 2018, Siciliano e aa., Rv. 271770).
2.2. Ciò posto, al di là dell'inapplicabilità della citata legge regionale,
la
sentenza impugnata si è correttamente posta il problema di verificare, alla
luce
dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità,
quando la
cessione di cubatura possa dirsi legittima.
Occorre richiamare, in
particolare, le
argomentazioni svolte nelle recenti decisioni Sez. 3, n. 38838 del
09/07/2018,
Baracetti e a., non massimata, Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna, non
massimata, Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, Rv. 274673, nelle quali si è
affermato il principio secondo cui integra il reato previsto dall'art. 44
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 la realizzazione di un immobile in assenza di valido
permesso di costruire, perché ottenuto mediante illegittima cessione di
cubatura a scopo edificatorio tra terreni non reciprocamente prossimi,
aventi un indice di
fabbricabilità differente o una diversa destinazione urbanistica.
Le
argomentazioni esposte nelle motivazioni di queste decisioni, condivise dal
Collegio, sono state peraltro riproposte in numerose altre sentenze (cfr.,
ex
multis, Sez. 3, n. 46225 del 09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del
09/07/2018, De Marini e a.; Sez. 3, n. 39248 del 12/07/2018, Chiarillo e a.;
Sez. 3, n. 51831 del 03/10/2018, Morciano e a.; Sez. 3, n. 51832 del
03/10/2018: Sez. 3, n. 54706 del 13/11/2018, Bonerba e a.).
2.3. In dette sentenze si è chiarito che la cessione di cubatura è un
istituto
di fonte negoziale, la cui legittimità è stata ripetutamente avallata anche
dalla
giurisprudenza amministrativa (per tutte si richiama C. St., Sezione V, 28.06.2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune
titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria
di un
fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva
risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità
superiore a quello originariamente goduto.
Onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di
manufatti
edili in funzione della corretta gestione del territorio, il legittimo
ricorso a tale
meccanismo è tuttavia soggetto a determinate condizioni, una delle quali -rilevante anche nella vicenda esaminata- è costituita dall'essere i terreni
in
questione, se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito
della reciproca prossimità, perché altrimenti, attraverso l'utilizzazione di
tale
strumento, astrattamente legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del
tutto
estranei ed, anzi, contrastanti con le esigenze di corretta pianificazione
del
territorio.
A titolo di esempio, le citate decisioni ricordano come si
potrebbe
verificare, laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubatura" fra
terreni fra
loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di
"affollamento
edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi cessionari) e
di
carenza in altre (ove sono situati i terreni cedenti), con evidente
pregiudizio per
l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti
negli
strumenti urbanistici.
Pur essendo spesso stata detta ratio decidendi associata all'ulteriore
rilievo -ritenuto parimenti ostativo ad una legittima cessione di cubatura-
dell'essere i
terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi (cfr.,
ex multis,
Sez. 3, n. 35166 del 28/03/2017, Nespoli e aa., non massimata; Sez. 3, n.
30040
del 30/01/2018, Strambone, non massimata; Sez. 3, n. 30025 del 04/12/2017,
dep. 2018, Scrudato, non massimata; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, dep.
2018, Siciliano e aa., Rv. 271770; Sez. 3, n. 56085 del 18/10/2017, Melcarne,
non massimata; Sez. 3, n. 52605 del 04/10/2017, Renna, non massimata; Sez. 3,
n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, non massimata), si è ritenuto che anche in
ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo
indice di fabbricabilità non può essere esclusa la illegalità
dell'operazione
effettuata (Sez. 3, n. 39337 del 09/07/2018, Renna; Sez. 3, n. 46225 del
09/07/2018, Vertua e aa.; Sez. 3, n. 46226 del 09/07/2018, De Marini e a.;
Sez.
3, n. 51833 del 03/10/2018, Sangalli e aa.).
Va infatti richiamata l'attenzione sul significativo dato fattuale, più
volte
correttamente valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa, dell'assenza
del
necessario requisito della "contiguità" dei fondi, intesa nel senso che gli
stessi,
anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali
interessate
dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una
effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez. V, n. 6734, 30.10.2003;
C. St., Sez. V, n. 400, 01.04.1998; più recentemente, TAR Campania-Salerno,
Sez. H n. 1675 del 19/07/2016).
Tali principi, come detto, sono stati
richiamati
anche da questa Corte nelle numerose decisioni più sopra citate.
2.4. Nel caso di specie, peraltro, erano certamente questi i principi di
diritto
che si dovevano applicare, poiché i titoli autorizzatori sono stati
rilasciati il 06.12.2010, vale a dire prima dell'approvazione del d.l. 13.05.2001,
n.
70, conv., con modiff., in l. 12.07.2001, n. 106.
Anche a prescindere
dal fatto
che tale provvedimento non ha in alcun modo disciplinato le condizioni di
legittimità della cessione di cubatura tra fondi -limitandosi l'art. 5,
comma 1,
lett. c), della citata legge alla «tipizzazione di un nuovo schema
contrattuale
diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura"»- le contestazioni mosse
sul punto
dal ricorrente Ri. e i problemi di rispetto del principio di legalità
posti in
quel ricorso non sono neppure astrattamente fondati, proprio perché posti
con
riguardo ad una legge sopravvenuta che è inapplicabile rispetto a
provvedimenti
amministrativi regolati dal principio tempus regit actum.
In allora
certamente
mancava una disciplina che consentisse di edificare su un fondo una
volumetria
maggiore di quella dallo stesso esprimibile, sicché non può certo dirsi praeter
legem l'interpretazione -che discende in modo piano dall'applicazione del
consolidati principi generali- secondo cui provvedimenti autorizzatori
rilasciati
per l'edificazione di una volumetria non consentita non siano legittimi
(donde la
sussistenza delle contravvenzioni) e, nel caso in cui se ne affermi la
compatibilità
con la disciplina normativa, sussista anche il reato di falso ideologico.
Per contro,
è la mancata riconduzione delle condotte al fatto tipico che si fonda su
un'interpretazione che dà rilievo all'istituto, conosciuto dalla prassi,
della
cessione di cubatura.
Ma, se così è -e, a prescindere dal rilievo che possa
riconoscersi all'art. 5, d.l. n. 70/2011, certamente così era prima della
sua
approvazione, allorquando furono adottati i provvedimenti qui esaminati-
non ci si può certo dolere del fatto che l'area di irrilevanza penale sia
segnata
dall'individuazione dei requisiti che, secondo la suddetta prassi,
legittimavano
una condotta apparentemente contra legem
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
25.05.2020 n. 15767). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l'asservimento della volumetria
da un lotto ad un altro, finalizzato a lucrare maggiore capacità
edificatoria, è consentito solo con riferimento ad aree omogenee, oltre che
contigue (ossia collocate in rapporto di effettiva e significativa
vicinanza), ossia con riferimento ad aree aventi la
medesima destinazione urbanistica, posto che, diversamente, verrebbero ad
alterarsi le caratteristiche tipologiche di zona tutelate dalle norme
urbanistiche (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 04.05.1979, n. 302, ove, dopo
essersi avvertito che la cessione di cubatura ha la funzione di concentrare
su un'area, oltre alla volumetria propria di essa, anche quella spettante ad
aree diverse appartenenti allo stesso o ad altri proprietari, già si
chiariva che una simile possibilità è data solo nel rispetto delle norme
disciplinanti l'attività edilizia sull'area a favore della quale viene
operato l'asservimento, e trova un limite insuperabile nell'omogeneità
dell'area da asservire rispetto a quella destinata all'edificazione, onde
prevenire l'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico) e
potrebbe determinarsi, nella zona in cui viene aggiunta cubatura, un
superamento della densità edilizia massima consentita dalla pianificazione.
---------------
4.1. In argomento, giova, in primis, ricordare che, secondo
un consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso anche da questa
Sezione, l'asservimento della volumetria da un lotto ad un altro,
finalizzato a lucrare maggiore capacità edificatoria, è consentito solo con
riferimento ad aree omogenee, oltre che contigue (ossia collocate in
rapporto di effettiva e significativa vicinanza: cfr. Cons. Stato, sez. V 01.04.1998, n. 400; 30.10.2003, n. 6734; TAR Campania, Salerno, sez. II, 19.07.2016, n. 1675), ossia con riferimento ad aree aventi la
medesima destinazione urbanistica, posto che, diversamente, verrebbero ad
alterarsi le caratteristiche tipologiche di zona tutelate dalle norme
urbanistiche (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 04.05.1979, n. 302, ove, dopo
essersi avvertito che la cessione di cubatura ha la funzione di concentrare
su un'area, oltre alla volumetria propria di essa, anche quella spettante ad
aree diverse appartenenti allo stesso o ad altri proprietari, già si
chiariva che una simile possibilità è data solo nel rispetto delle norme
disciplinanti l'attività edilizia sull'area a favore della quale viene
operato l'asservimento, e trova un limite insuperabile nell'omogeneità
dell'area da asservire rispetto a quella destinata all'edificazione, onde
prevenire l'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico; cfr., in
senso adesivo, Cons. Stato sez. V, 11.04.1991, n. 530; 03.03.2003, n.
1172; 10.06.2005, n. 3052; 22.10.2007, n. 5496; sez. IV, 30.09.2008, n. 4708; sez. V, 19.04.2013, n. 2220; TAR Campania,
Salerno, sez. II, 19.07.2016, n. 1675; sez. I, 18.07.2019, n. 1319)
e potrebbe determinarsi, nella zona in cui viene aggiunta cubatura, un
superamento della densità edilizia massima consentita dalla pianificazione (cfr.
TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 01.06.2018, n. 1254)
(TAR Campania-Salerno, Sez, II,
sentenza 10.04.2020 n. 413 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza
della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura.
In sintesi,
queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea;
contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici; identità delle opere
di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo
cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non alterazione del carico
urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a
seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
---------------
Ciò porta ad esaminare il secondo motivo con il quale la ricorrente ha
dedotto la violazione dell’art. dell’art. 5, punto 1), lett. c), del D.L.
13/05/2011 n. 70, che consente “il riconoscimento di una volumetria
aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale, la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse”,
principio ripreso testualmente dall’art. 22 della L.R. 10/8/2016 n. 16.
Anche tale censura è infondata.
La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza
della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura: “In sintesi,
queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea;
contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici; identità delle opere
di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al servizio del fondo
cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non alterazione del carico
urbanistico della zona e immutata densità territoriale complessiva, a
seguito della ridistribuzione della volumetria tra i due fondi" (Cons. Stato
Sez. II, 22/01/2020, n. 544; v. altresì C.G.A., 08/04/2019, n. 314; TAR
Sicilia Palermo Sez. III, 01.06.2018, n. 1254).
Nel caso di specie difetta la necessaria contiguità dei fondi richiesta
dalla sopra citata giurisprudenza atteso che, come rilevato dal Comune di
Agrigento, i fondi in questione ricadono su diversi fogli catastali, non
sono vicini o adiacenti e distano più di tre chilometri dal lotto oggetto di
intervento
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 31.03.2020 n. 690 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali
si ritiene legittima la cessione di cubatura.
In sintesi, queste attengono
a:
- ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea;
- contiguità degli
immobili per gli effetti urbanistici (nel senso, cioè, che gli immobili
devono essere ubicati della medesima zona e devono avere la medesima
destinazione);
- identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per
l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario
della cubatura;
- non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata
densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della
volumetria tra i due fondi.
In particolare, secondo tale giurisprudenza, la contiguità va intesa come
effettiva e significativa vicinanza in quanto, se così non fosse, nella zona in cui
viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità
edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico.
---------------
Rileva il Collegio che la giurisprudenza amministrativa (sul punto, cfr.
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 08.04.2019,
n. 314, TAR Campania, Salerno, Sez. II, 19.07.2016, n. 1675 e Sez. I,
27.10.2015, n. 2260) ha stabilito alcune condizioni in presenza della quali
si ritiene legittima la cessione di cubatura. In sintesi, queste attengono
a: ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea; contiguità degli
immobili per gli effetti urbanistici (nel senso, cioè, che gli immobili
devono essere ubicati della medesima zona e devono avere la medesima
destinazione); identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per
l’intera zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario
della cubatura; non alterazione del carico urbanistico della zona e immutata
densità territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della
volumetria tra i due fondi.
In particolare, secondo tale giurisprudenza, la contiguità va intesa come
effettiva e significativa vicinanza (sul punto, cfr. anche Consiglio di
Stato, V, n. 1525/2004), in quanto, se così non fosse, nella zona in cui
viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità
edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico.
Nel caso di specie, pur considerando che il requisito della contiguità o “significativa
vicinanza”, ha natura flessibile, come affermato dal Comune resistente,
e che lo stesso non implica necessariamente che gli immobili siano
confinanti, tuttavia è evidente che una distanza di più di 8 km tra i fondi
di cui si discute, nonché la loro ubicazione in contrade diverse, censite in
mappali diversi, non sembra integrare il requisito predetto, e ciò a
prescindere dal fatto che entrambi i terreni si trovino in zona agricola.
Né può trovare condivisione l’affermazione del Comune per cui la nuova
costruzione non determinerebbe alcun aumento del carico urbanistico,
affermazione basata, come già rappresentato, sull’appartenenza dei terreni
alla stessa zona omogenea nonché sulle caratteristiche dell’attività del
canile, insuscettibile di incrementare il numero di abitanti insediati.
Contrariamente infatti a quanto affermato dal Comune, la non alterazione del
carico urbanistico per effetto del trasferimento di volumetria è smentita,
nel caso in esame, dall’esame delle caratteristiche dell’intervento edilizio
-come descritto nella relazione tecnica dell’Ing. No.- che comporta una
concentrazione di volume nelle medesime particelle, ed è dotato di una
propria autonomia sia strutturale che funzionale, tali da comportare
un’evidente alterazione dell’assetto urbanistico-edilizio del territorio.
Il progetto prevede la realizzazione di un corpo uffici di 367 mq con
altezza di 3 metri, dove collocare un ambulatorio veterinario ed un ufficio
amministrativo, e in più n. 34 box totali per i cani; non si tratta, ad
avviso del Collegio, di pochi o dimensionalmente ridotti manufatti, bensì di
una edificazione tale da determinare un significativo carico urbanistico, a
nulla rilevando che l’edificio non abbia natura residenziale e venendo
piuttosto in rilievo che le dimensioni del canile, nonché la presenza di
uffici e ambulatorio veterinario comporterà l’impiego di personale
dipendente stabilmente presente, oltre ad attrarre la clientela, di tal che
l’intervento in questione non può non comportare trasformazione del
territorio sotto il profilo del carico insediativo.
Alla luce delle considerazioni espresse, il ricorso merita dunque
accoglimento, con assorbimento delle censure non esaminate e conseguente
annullamento della concessione impugnata
(TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 24.03.2020 n. 724 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza
della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura.
In sintesi, queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona
omogenea; contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici; identità
delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al
servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non
alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità
territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria
tra i due fondi.
---------------
La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la contiguità
deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza, che tuttavia non implica necessariamente che gli
immobili siano tra loro confinanti.
Ciò significa che in concreto non è
possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale
affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata
caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area
interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche
della stessa.
---------------
La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune condizioni in presenza
della quali si ritiene legittima la cessione di cubatura.
In sintesi, queste attengono a: ubicazione degli immobili nella stessa zona
omogenea; contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici; identità
delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera zona, poste al
servizio del fondo cedente e del fondo beneficiario della cubatura; non
alterazione del carico urbanistico della zona e immutata densità
territoriale complessiva, a seguito della ridistribuzione della volumetria
tra i due fondi.
Nel caso di specie il Tar, rilevato che il trasferimento di volumetria è
ammissibile, in mancanza di altri criteri, mediante l’applicazione del
criterio della “significativa vicinanza”, ha ribadito che esso ha
natura flessibile, dipendendo strettamente dalle dimensioni del territorio
comunale, delle singoli circoscrizioni o quartieri nonché dalla distanza
esistente tra le opere di urbanizzazione previste dallo strumento
urbanistico.
La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la contiguità
deve essere intesa come una effettiva e significativa vicinanza (cfr. Cons
St, sez. V, n. 1525/2004), che tuttavia non implica necessariamente che gli
immobili siano tra loro confinanti. Ciò significa che in concreto non è
possibile adottare un criterio generale ed astratto in base al quale
affermare la contiguità tra fondi, ma che la vicinanza deve essere valutata
caso per caso in relazione alle caratteristiche morfologiche dell’area
interessata, alle sue dimensioni e tenuto conto delle esigenze urbanistiche
della stessa.
In questo senso, deve essere condivisa la statuizione del giudice di prime
cure secondo cui l’insistenza dei fondi nella stessa zona omogenea non
determina di per sé, come contrariamente sostenuto da parte appellante,
l’automatica integrazione del requisito in questione. E’ quindi essenziale,
per utilizzare efficacemente il passaggio di volumetria, la concreta
dimostrazione -che nel caso di specie non è sussistente- della dipendenza
dei fondi dalle medesime strutture di urbanizzazione e la non alterazione
del carico urbanistico per effetto del trasferimento.
Sotto il primo profilo, come rilevato in primo grado, è infatti
rilevante la circostanza che i fondi in questione si trovino all’interno di
un Comune di piccole dimensioni e che, pur insistendo nella medesima zona
omogenea B2, siano posti ad una distanza di 154 m. fra loro, che di per sé
non garantisce la loro dipendenza dalle medesime strutture. Sul punto parte
appellante si è limitata a ribadire la collocazione della volumetria nella
stessa zona omogenea peraltro già completamente edificata e densamente
abitata.
Quanto al secondo profilo, relativo al carico urbanistico, appare
sufficientemente motivato il provvedimento di diniego fondato sul
presupposto che la concessione del trasferimento di volumetria avrebbe
comportato una concentrazione di volume nella medesima zona che già in sede
di redazione del PRG aveva dimostrato un deficit di aree destinate a
standard comportando una forte congestione della stessa. Legittimamente,
quindi, il comune ha ritenuto che i fondi su cui avrebbe dovuto avvenire la
cessione di cubatura, fossero né contigui né “significativamente vicini”
(oltre a non utilizzare le stesse strutture-standards) essendo rimasto poi
in punto di fatto incontestato che tra i due fondi insistesse un raggio di
più di 75.000 metri
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 22.01.2020 n. 544 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile
di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata
non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento
del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non
solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la
cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi considerare
irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore
intervenuti.
Al riguardo, risulta irrilevante la mancanza di un formale atto di
asservimento del precedente fabbricato.
---------------
Considerato che:
- con il ricorso in esame la società istante ha impugnato il provvedimento
indicato in epigrafe –di cui ha chiesto l’annullamento, vinte le spese–
con il quale il Comune di Agrigento ha respinto l’istanza di permesso di
costruire presentata dalla predetta per la costruzione di un complesso
commerciale polivalente, in via ..., in
Agrigento, nel lotto individuato in catasto al foglio 165, particella 1318
del C.T.;
- ha dedotto avverso tale atto le censure di:
1) Violazione e falsa
applicazione dell’art. 20, comma 8, T.U. 06.06.2001 n. 380 e dell’art. 20,
comma 3, della legge n. 241 del 1990;
2) Violazione degli artt. 17, 3° comma,
e 18 della Legge n. 765/1967 (c.d. Legge Ponte, che ha integrato l’art. 41-quinques legge n. 1150/1942) – Violazione degli artt. 1, 5 e 7 del D.M.
02/04/1968 n. 1444 – Violazione e falsa applicazione delle norme Tecniche di
Attuazione (N.T.A.) del vigente PRG di Agrigento - Falsa applicazione del
principio giurisprudenziale sancito dal Consiglio di Stato con la
sentenza n. 2215/2019 – Difetto di motivazione;
- con lo stesso mezzo ha chiesto il risarcimento del danno asseritamente
subito a causa dell’illegittimità del provvedimento negativo, nonché per il
ritardo nell’adozione del provvedimento finale;
- si è costituito in giudizio il Comune di Agrigento, chiedendo il rigetto
del ricorso, in quanto infondato; con replica di parte ricorrente;
- alla camera di consiglio del giorno 13.01.2020, presenti i difensori
delle parti come da verbale, il Presidente del Collegio ha dato avviso della
possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata;
la difesa di parte ricorrente ha insistito per l’accoglimento dell’istanza
istruttoria e la causa è stata posta in decisione;
...
Ritenuto che il ricorso non è fondato;
...
- con riguardo al secondo motivo, la motivazione del rigetto si pone in
linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui
“…un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non
esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non
solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la
cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi considerare
irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore
intervenuti (v. Cons. Stato, Sez. III, parere 28.04.2009, n. 965/2009; Cons. Stato, IV, 29.01.2008, n. 255; Cons. Stato, Sez. V, 12.07.2004, n. 5039);…” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 26.01.2018, n.
545; nello stesso senso: Cons. Stato, VI, 03.04.2019, n. 2215; IV, 07.08.2017, n. 3949; 22.05.2012, n. 2941, che ritiene irrilevante la
mancanza di un formale atto di asservimento del precedente fabbricato;
Adunanza Plenaria n. 3/2009, citata da Consiglio di Stato n. 545/2018);
- nel caso in esame, dalla documentazione in atti si evince che nell’area
contraddistinta oggi come particella 1318 (foglio 165) –derivante dal
frazionamento dell’originaria particella 29, lotto unico al momento della
costruzione dell’albergo realizzatovi- è stato realizzato un parcheggio a
servizio dell’albergo (v. licenza di costruzione n. 1029, in atti), per il
quale, del resto, la ricorrente ha chiesto l’autorizzazione allo spostamento
di tale vincolo all’interno della particella 29 (quale oggi risultante dal
frazionamento successivo); e in tale area, nella quale è presente un
cancello con strada interna che conduce all’albergo, vi insiste un boschetto
e una piscina aperta al pubblico (v. osservazioni presentate dalla
ricorrente al Comune; v. anche provvedimento impugnato);
- il lotto originario è stato, pertanto, unitariamente utilizzato, con
conseguente irrilevanza del successivo frazionamento del lotto; e non è
contestato che, in base ai parametri edilizi vigenti, il volume della
struttura esistente (l’albergo) non consentirebbe la realizzazione del
volume dell’immobile oggetto dell’istanza (complesso commerciale
polivalente);
- la domanda di annullamento deve, pertanto, essere respinta
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 17.01.2020 n. 133 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune
condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la
cessione di cubatura. Le suddette condizioni in sintesi
attengono a:
- ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea;
- contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici cioè
ubicati della medesima zona e aventi la medesima
destinazione residenziale;
- identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera
zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo
beneficiario della cubatura;
- non alterazione del carico urbanistico della zona, e immutata
densità territoriale complessiva, a seguito della
ridistribuzione della volumetria tra i due fondi.
La contiguità viene intesa come una effettiva e
significativa vicinanza,
che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili
siano confinanti. La contiguità va intesa in senso giuridico
piuttosto che fisico.
Nel concorso di tutte le altre sopra dette condizioni, non è
di per sé causa ostativa della cessione di cubatura la sola
mancanza di contiguità fisica dei fondi e la circostanza che
tra essi si frappongano altri lotti (nel caso deciso dalla
citata sentenza Cons. St. n. 1398/2016, i fondi sono stati
ritenuti contigui per gli effetti urbanistici, sebbene posti
ad distanza di 140 metri tra di loro con frapposti altri
quattro lotti).
A tale giurisprudenza il Collegio ritiene di aderire,
ritenendo non convincente l’opposta tesi che valuta solo
l’assenza di contiguità svincolata dagli altri elementi
suddetti (così Cons. St., VI, 14.04.2016 n. 1515, riferita
peraltro a un caso in cui vi era una distanza di 300 metri
tra i due fondi), o che ritiene ostativa l’assenza di
contiguità quando una specifica norma del regolamento
edilizio richieda che i fondi siano confinanti al fine
dell’asservimento.
---------------
... per la riforma della
sentenza 26.03.2015 n. 885
del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima), resa tra le
parti.
...
5. Con il primo motivo dell’appello si critica la
sentenza gravata perché avrebbe erroneamente ritenuto
sussistenti i presupposti che considerano i due fondi
contigui al fine della cessione di cubatura.
5.1. Il mezzo è infondato.
La giurisprudenza amministrativa ha stabilito alcune
condizioni in presenza della quali si ritiene legittima la
cessione di cubatura. Le suddette condizioni in sintesi
attengono a:
- ubicazione degli immobili nella stessa zona omogenea;
- contiguità degli immobili per gli effetti urbanistici cioè
ubicati della medesima zona e aventi la medesima
destinazione residenziale;
- identità delle opere di urbanizzazione, realizzate per l’intera
zona, poste al servizio del fondo cedente e del fondo
beneficiario della cubatura;
- non alterazione del carico urbanistico della zona, e immutata
densità territoriale complessiva, a seguito della
ridistribuzione della volumetria tra i due fondi (Cons. St.,
VI, 08.04.2016 n. 1398; v. inoltre Cons. St., VI, 21.11.2016
n. 4861).
La contiguità viene intesa come una effettiva e
significativa vicinanza (Cons. St., V, 23.03.2004 n. 1525),
che tuttavia non implica necessariamente che gli immobili
siano confinanti. La contiguità va intesa in senso giuridico
piuttosto che fisico.
Nel concorso di tutte le altre sopra dette condizioni, non è
di per sé causa ostativa della cessione di cubatura la sola
mancanza di contiguità fisica dei fondi e la circostanza che
tra essi si frappongano altri lotti (nel caso deciso dalla
citata sentenza Cons. St. n. 1398/2016, i fondi sono stati
ritenuti contigui per gli effetti urbanistici, sebbene posti
ad distanza di 140 metri tra di loro con frapposti altri
quattro lotti).
A tale giurisprudenza il Collegio ritiene di aderire,
ritenendo non convincente l’opposta tesi che valuta solo
l’assenza di contiguità svincolata dagli altri elementi
suddetti (così Cons. St., VI, 14.04.2016 n. 1515, riferita
peraltro a un caso in cui vi era una distanza di 300 metri
tra i due fondi), o che ritiene ostativa l’assenza di
contiguità quando una specifica norma del regolamento
edilizio richieda che i fondi siano confinanti al fine
dell’asservimento (così Cons. St., V, 20.08.2013 n. 4195).
5.2. Nel caso di specie il Tar ha accertato la sussistenza
delle condizioni sopra richiamate e si è collocato, con la
sua decisione, sulla scia della sopra citata e qui condivisa
giurisprudenza del Consiglio di Stato con l’ulteriore
sottolineatura che i fondi in qui in esame distano l’uno
dall’altro 128 mt.
Il primo motivo della appello è quindi infondato (CGARS,
sentenza non definitiva 08.04.2019 n. 314 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
cessione di cubatura è un istituto di fonte negoziale, la cui
legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale,
in
forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due
terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo
in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva
risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di
edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Tale meccanismo, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione
della corretta gestione del territorio, è soggetto a determinate condizioni,
delle quali le principali, rilevanti nella vicenda esaminata, sono
costituite:
a) dall'essere i terreni in questione, se non precisamente
contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità;
b) dall'essere i medesimi caratterizzati sia dalla omogeneità
urbanistica, avere, cioè, tutti la stessa destinazione e lo stesso indice di
fabbricabilità originano, perché altrimenti, in assenza di dette condizioni,
attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente del tutto
legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi,
confliggenti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
A titolo di esempio,
si potrebbe verificare,
laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubature" fra terreni
fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di "affollamento
edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi
cessionari) e di carenza in altre (ove sono situate i terreni cedenti), con
evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di
programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici; pregiudizio
ancora più manifesto ove fosse consentita la "cessione di cubatura"
fra terreni aventi diversa destinazione urbanistica ovvero diverso indice di
edificabilità; essendo, infatti, evidente che ove fosse consentito
l'asservimento di un terreno avente un indice di fabbricabilità più
vantaggioso di quello proprio del terreno asservente, ovvero avente una
diversa destinazione, le esigenze di pianificazione urbanistica che avevano
presieduto alla scelta amministrativa di differenziare gli indici di
edificabilità dei due fondi, ovvero la loro stessa destinazione,
rimarrebbero inevitabilmente insoddisfatte.
---------------
In merito alla cessione di cubatura da un lotto all'altro, va
richiamata l'attenzione sul significativo dato fattuale, più
volte correttamente valorizzato dai giudici del merito, dell'assenza del
necessario requisito della "contiguità" dei fondi, intesa nel senso
che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le
particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre
essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza.
---------------
Nel valutare il motivo di impugnazione
avente ad oggetto la corretta applicabilità alla fattispecie della cessione di cubatura, la sentenza
richiamata ha ricordato che essa è un istituto di fonte negoziale, la cui
legittimità è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale (per
tutte si richiama Consiglio di Stato, Sezione V, 28.06.2000, n. 3636), in
forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due
terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo
in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva
risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di
edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
Specifica però la sentenza che tale meccanismo, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione
della corretta gestione del territorio, è soggetto a determinate condizioni,
delle quali le principali, rilevanti nella vicenda esaminata, sono
costituite:
a) dall'essere i terreni in questione, se non precisamente
contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità;
b) dall'essere i medesimi caratterizzati sia dalla omogeneità
urbanistica, avere, cioè, tutti la stessa destinazione e lo stesso indice di
fabbricabilità originano, perché altrimenti, in assenza di dette condizioni,
attraverso l'utilizzazione di tale strumento, astrattamente del tutto
legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi,
confliggenti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
A titolo di esempio, la sentenza ricorda come si potrebbe verificare,
laddove si ritenesse legittima la "cessione di cubature" fra terreni
fra loro distanti, la realizzazione, per un verso, di una situazione di "affollamento
edilizio" in determinate zone (quelle ove sono ubicati i fondi
cessionari) e di carenza in altre (ove sono situate i terreni cedenti), con
evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di
programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici; pregiudizio
ancora più manifesto ove fosse consentita la "cessione di cubatura"
fra terreni aventi diversa destinazione urbanistica ovvero diverso indice di
edificabilità; essendo, infatti, evidente che ove fosse consentito
l'asservimento di un terreno avente un indice di fabbricabilità più
vantaggioso di quello proprio del terreno asservente, ovvero avente una
diversa destinazione, le esigenze di pianificazione urbanistica che avevano
presieduto alla scelta amministrativa di differenziare gli indici di
edificabilità dei due fondi, ovvero la loro stessa destinazione,
rimarrebbero inevitabilmente insoddisfatte.
Venendo poi all'esame del caso di specie, la sentenza 8635/2015 rileva come
terreni utilizzati in quell'occasione non fossero tra loro adiacenti e,
sebbene tutti tipizzati come agricoli, presentassero indici di
fabbricabilità fra loro difformi, per essere quelli cedenti classificati
nello strumento urbanistico locale come E2 e forniti di un indice di
fabbricabilità 0,03 mc/mq, mentre quelli cessionari erano, invece,
classificati come E3 e caratterizzati dal minore indice 0,01 mc/mq, con la
conseguenza che attraverso l'asservimento dei primi ai secondi si era
ottenuto l'effetto di violare il rapporto di edificabilità proprio di questi
ultimi, con palese compromissione delle finalità urbanistiche che siffatta
previsione perseguiva.
Il Collegio rilevava quindi la illegittimità della cessione di cubatura fra
terreni caratterizzati da indici di fabbricabilità fra loro diversi e
l'abusività dell'utilizzo di tale strumento negoziale, in quanto
grossolanamente volto alla elusione dei principi e delle regole in materia
di pianificazione edilizia, abusività ritenuta poi ridondante in senso
negativo sia sulla legittimità dei permessi a costruire in tal modo
rilasciati dal Comune di Morciano di Leuca che sulla efficacia delle
autorizzazioni paesaggistiche richiamate nell'articolato capo di
imputazione.
Tali argomentazioni sono state ribadite, negli stessi termini, in una
successiva pronuncia (Sez. 3, n. 35166 del 28/03/2017, Nespoli ed altri, non
massimata), riguardante terreni che, sebbene tutti classificati come
agricoli, presentavano indici di fabbricabilità fra loro difformi, essendo
stati quelli cedenti, in quanto tipizzati nello strumento urbanistico
locale come E2, forniti di un indice di fabbricabilità 0,03 mc./mq. e quelli
cessionari, tipizzati come E3, caratterizzati, invece, dal minore indice
0,01 mc./mq. (si vedano anche, sullo stesso tema e relativamente a vicende
analoghe, Sez. 3, n. 30040 del 30/01/2018, Strambone, non massimata; Sez. 3,
n. 30025 del 04/12/2017 (dep. 2018), Scrudato, non massimata; Sez. 3, n.
2281 del 24/11/2017 (dep. 2018), Siciliano e altri, Rv. 271770; Sez. 3, n.
56085 del 18/10/2017, Melcarne, non massimata; Sez. 3, n. 52605 del
04/10/2017, Renna, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi ,
non massimata).
La sentenza 35166/2017, nel ribadire l'orientamento espresso con la sentenza
8635/2014, ha anche evidenziato che a ciò non osta una precedente pronuncia
di questa Sezione (Sez. 3, n. 28225 del 03/05/2011, Panada, Rv. 262512, non
massimata sul punto), la quale ha, in realtà, unicamente escluso la
rilevanza degli strumenti urbanistici comunali che, nella sentenza
impugnata, la Corte di appello richiama nel sostenere la tesi della vigenza
dell'art. 51 legge regionale 56/1980.
Anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola E2 ed avente
il medesimo indice di fabbricabilità non può essere esclusa la illegalità
dell'operazione effettuata.
Va infatti richiamata l'attenzione sul significativo dato fattuale, più
volte correttamente valorizzato dai giudici del merito, dell'assenza del
necessario requisito della "contiguità" dei fondi, intesa nel senso
che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le
particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre
essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così Cons.
Stato Sez. V n. 6734, 30.10.2003; Sez. V n. 400, 01.04.1998 e, più
recentemente, TAR Campania (Salerno) Sez. H n. 1675 del 19/07/2016).
Tali principi sono stati richiamati anche da questa Corte (Sez. 3; n. 33884
del 12/07/2006, Ferrara, Rv. 235054; Sez. 3, n. 10122 del 22/01/2013,
Scrudato, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, non
massimata) anche con specifico riferimento alla vicenda in esame (Sez. 3, n.
9881 del 08/02/2018, Costantini ed altri, non massimata)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
16.11.2018 n. 51833). |
EDILIZIA PRIVATA:
La legittimità della
cessione di cubatura richiede non solo l’omogeneità d’area
territoriale, ma anche la contiguità dei fondi, e che, se la
giurisprudenza ha riconosciuto utilizzabili asservimenti
riferiti ad aree anche se non contigue sul piano fisico,
purché vicine in modo significativo, in concreto essa ha
chiarito che deve ritenersi significativa già una distanza
tra loro di oltre 300 metri, derivandone la non idoneità e,
in definitiva, l’irrilevanza dell’atto di asservimento.
---------------
Con un unico complesso motivo di censura la società
ricorrente sostiene:
- quanto al primo punto, di aver asservito all'area interessata,
per sanare l'incremento di volumetria realizzato, fondi
limitrofi con l’identica destinazione urbanistica G3
generando una superficie utile edificabile di mq. 14.554
(per effetto dall'intervenuto asservimento alle p.lle n.
2900, n. 2902 e n. 475 delle particelle n. 2042, n. 2044, n.
2050 e n. 2051, per una superficie edificatoria totale
rideterminata in mq. 14.754, cui sottrarre mq 200 previsti
per viabilità di progetto); a questo riguardo, l’assenza di
contiguità fisica non ne impedirebbe l'accorpamento
urbanistico, non essendo richiesta la diretta ed immediata
vicinanza, ma l'appartenenza alla medesima zona omogenea,
così come definita dalla disciplina urbanistica vigente.
- quanto al secondo punto, di non aver affatto chiesto di sanare un
cambio di destinazione d'uso mai attuato (posto che dagli
atti di vendita risulterebbe che gli immobili sono stati
alienati con la destinazione originaria impressa dal
permesso di costruire, cioè residence), ma solo di sanare,
grazie all’accorpamento urbanistico, l'incremento di
volumetria determinatosi in fase costruttiva.
Il ricorso non merita accoglimento.
La società ricorrente non contesta la circostanza di fatto
che i fondi asserviti distano tra loro qualche chilometro,
ma ne sostiene l’irrilevanza opinando sufficiente che tra
gli stessi vi sia omogeneità di destinazione urbanistica.
In senso contrario, però, va osservato che per condiviso
indirizzo interpretativo la legittimità della cessione di
cubatura richiede non solo l’omogeneità d’area territoriale,
ma anche la contiguità dei fondi, e che, se la
giurisprudenza ha riconosciuto utilizzabili asservimenti
riferiti ad aree anche se non contigue sul piano fisico,
purché vicine in modo significativo, in concreto essa ha
chiarito che deve ritenersi significativa già una distanza
tra loro di oltre 300 metri, derivandone la non idoneità e,
in definitiva, l’irrilevanza dell’atto di asservimento (cfr.
C.d.S., sez. VI, 14.04.2016, n. 1515).
Applicando tali principi al caso in esame, dunque, è
dirimente che i fondi asserviti, pur situati nello stesso
contesto territoriale, sono distanti tra loro qualche
chilometro e, pertanto, privi del requisito della contiguità (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 03.10.2018 n. 5737 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
condiviso indirizzo interpretativo la legittimità della cessione di cubatura
richiede non solo l’omogeneità d’area territoriale, ma anche la contiguità
dei fondi.
Se la giurisprudenza ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad
aree anche se non contigue sul piano fisico, purché vicine in modo
significativo, in concreto essa ha chiarito che deve ritenersi significativa
già una distanza tra loro di oltre 300 metri, derivandone la non idoneità e,
in definitiva, l’irrilevanza dell’atto di asservimento.
---------------
Il diniego del permesso di costruire in sanatoria è stato giustificato col
contrasto dell’intervento con le norme tecniche di attuazione del vigente
piano regolatore generale, per le seguenti motivazioni: «al P.d.C.
vengono accorpati al fine di raggiungere la cubatura necessari[a] lotti non
contigui ma distanti qualche chilometro, pertanto neanche ragionevolmente
vicini al fondo oggetto di edificazione. Inoltre la variante non sana in
alcun modo il cambio di destinazione d’uso rilevata. Pertanto permangono e
aumenti considerevoli di volumetria e superficie in contrasto con l’art. 32,
comma 1, lett. b e c, del DPR 380/2001 smi, essendo stati gli immobili
alienati come civile abitazione in contrasto con la zona omogenea G3, in
contrasto con la lett. a, comma 1, dell’art. 32 citato».
...
Il ricorso non merita accoglimento.
La società ricorrente non contesta la circostanza di fatto che i fondi
asserviti distano tra loro qualche chilometro, ma ne sostiene l’irrilevanza
opinando sufficiente che tra gli stessi vi sia omogeneità di destinazione
urbanistica.
In senso contrario, però, va osservato che per condiviso indirizzo
interpretativo la legittimità della cessione di cubatura richiede non solo
l’omogeneità d’area territoriale, ma anche la contiguità dei fondi, e che,
se la giurisprudenza ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad
aree anche se non contigue sul piano fisico, purché vicine in modo
significativo, in concreto essa ha chiarito che deve ritenersi significativa
già una distanza tra loro di oltre 300 metri, derivandone la non idoneità e,
in definitiva, l’irrilevanza dell’atto di asservimento (cfr. C.d.S., sez.
VI, 14.04.2016, n. 1515).
Applicando tali principi al caso in esame, dunque, è dirimente che i fondi
asserviti, pur situati nello stesso contesto territoriale, sono distanti tra
loro qualche chilometro e, pertanto, privi del requisito della contiguità.
Tanto basta al rigetto del ricorso, poiché quando una determinazione
amministrativa si fonda su una pluralità di ragioni ciascuna delle quali di
per sé idonea a supportarla in modo autonomo, come avviene nel caso in
esame, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse
in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso sfugga
all'annullamento (ex multis, cfr. C.d.S., Sez. V, 06.03.2013, n.
1373; sez. VI, 27.02.2012, n. 1081 sez. VI, 29.03.2011, n. 1897).
Ciò, infatti, comporta la carenza d’interesse della parte ricorrente
all'esame delle ulteriori doglianze, posto che, se anche si rivelassero
fondate, il loro accoglimento non sarebbe, comunque, idoneo a soddisfare il
suo interesse ad ottenere l'annullamento del provvedimento impugnato (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. II, 05.05.2017, n. 2421).
Per queste ragioni, in conclusione, il ricorso deve essere respinto (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 02.10.2018 n. 5737 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il lotto
edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal profilo
dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere
formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi
proprietari e perfino tra loro non contigui), individuandosi
esclusivamente sulla base degli indici edificatori previsti
dalla normativa urbanistica.
Solo con il rilascio della
concessione edilizia il lotto edificabile viene ad essere
concretamente delimitato, con definizione delle potenzialità
edificatorie del fondo, unitariamente considerato, e
determinazione della cubatura ivi assentibile in relazione
ai limiti imposti dalla normativa urbanistica.
---------------
B.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
La giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza
13.09.2013 n. 4531) ha affermato che “il lotto
edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal profilo
dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere
formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi
proprietari e perfino tra loro non contigui), individuandosi
esclusivamente sulla base degli indici edificatori previsti
dalla normativa urbanistica. Solo con il rilascio della
concessione edilizia il lotto edificabile viene ad essere
concretamente delimitato, con definizione delle potenzialità
edificatorie del fondo, unitariamente considerato, e
determinazione della cubatura ivi assentibile in relazione
ai limiti imposti dalla normativa urbanistica”.
Inoltre la L.R. 12/2005 ha favorito il passaggio da una
urbanistica del piano ad una urbanistica del progetto, per
cui molte norme attribuiscono ai piani attuativi
l’individuazione dei lotti (art. 27 e 93 L.R. 12/2005). A
ciò si aggiunge che l’art. 10 della legge regionale
attribuisce al Piano delle regole solo l’individuazione dei
lotti liberi (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 27.09.2018 n. 2163 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costituisce principio pacifico in giurisprudenza
quello per cui “un’area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non
può essere più tenuta in considerazione come area libera,
neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda
concessione nella perdurante esistenza del primo edificio,
irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà
dei terreni”.
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata,
l’intera estensione interessata deve essere considerata
utilizzata ai fini edificatori, con l’effetto che anche
l’area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se
è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata
dall’area su cui insiste il manufatto”.
In altri termini, “un’area
edificatoria, già utilizzata a fini edilizi, è suscettibile
di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di
essa realizzata non esaurisce la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente
divisa”.
---------------
10.3. Le argomentazioni poste a sostegno del diniego sono
totalmente condivisibili.
10.4. Ed invero, costituisce principio pacifico in
giurisprudenza quello per cui “un’area edificabile, già
interamente considerata in occasione del rilascio di una
concessione edilizia, agli effetti della volumetria
realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione
come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio
di una seconda concessione nella perdurante esistenza del
primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende
inerenti alla proprietà dei terreni” (ex multis,
Cons. Stato, sez. IV, n. 3573 del 20.07.2017).
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata,
l’intera estensione interessata deve essere considerata
utilizzata ai fini edificatori, con l’effetto che anche
l’area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se
è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata
dall’area su cui insiste il manufatto” (Cons. Stato,
sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n. 1402).
10.5. In altri termini, “un’area edificatoria, già
utilizzata a fini edilizi, è suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisce la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa”
(Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4647) (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-quater,
sentenza 30.08.2018 n. 9091 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già
oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria
residua (o la superficie coperta residua) va calcolata
previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con
irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali
o alienazioni parziali, onde evitare che il computo
dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune
superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità
nel residuo.
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi,
è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente
suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare
tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà.
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza
plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della
volumetria assentibile su una determinata area secondo
l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche
la costruzione realizzata prima della legge 17.08.1942,
n. 1150, quando lo ius aedificandi era considerato pura
estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di
circostanza ininfluente in sede di commisurazione della
volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè
a quella riferita alla singola area e che individua il
volume massimo consentito su di essa. Ciò comporta la
necessità di tener conto del dato reale costituito dagli
immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che
intrattengono con l'ambiente circostante.
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata
con riguardo al lotto originario. Con la conseguenza che è
irrilevante la mancanza di un formale atto di asservimento
del precedente fabbricato, atteso che quando la normativa
urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo
dell’area discende ope legis dalla sua utilizzazione, senza
la necessità di apposito strumento negoziale.
---------------
Va distinto l'indice di densità territoriale,
(riferibile a ciascuna zona omogenea dello strumento di
pianificazione, che definendo il complessivo carico di
edificazione che può gravare su ciascuna zona stessa è
rapportato all’intera superficie della zona, ivi compresi
gli spazi pubblici, quelli destinati alla viabilità, ecc.)
dall'indice di densità fondiaria (riferibile alla
singola area, che definendo il volume massimo edificabile
sulla stessa, implica che il relativo indice sia rapportato
all’effettiva superficie suscettibile di edificazione).
---------------
10. Con il quinto motivo di appello, riproducendo sostanzialmente il
terzo motivo di ricorso proposto dinanzi al Tar, si mira
a sostenere la legittimità del permesso di costruire
annullato e, quindi, la mancanza del presupposto base dell’autotutela.
10.1. Da un lato si sostiene l’illegittima considerazione,
ai fini del computo della volumetria, di quanto costruito
sulla part. 24 (originaria costruzione antecedente al 1942,
poi ampliata con concessione del 1983 e del 1997), per
essere antecedente al 1942 e, inoltre, per la mancanza di
asservimento o di vincolo pertinenziale tra questa e le
particelle coinvolte nella richiesta di permesso (nn. 25 -poi frazionata in nn. 1281, 1282 e 1283- e n. 350).
10.2. Dall’altro, si lamenta l’omessa considerazione di
altre particelle di proprietà della signora Di Pu. e, per
sostenere la compatibilità della volumetria richiesta per il
nuovo permesso con il costruito, si esclude la computabilità
della edificazione precedente alla concessione del 1997 e si
calcola autonomamente la volumetria per annessi agricoli
mediante l’utilizzo dell’indice 0,07, previsto per gli
opifici.
11. Le censure sono prive di fondamento e vanno rigettate.
11.1. In punto di fatto va chiarito che la part. 24, dove
negli anni è stata realizzata una costruzione e annessi per
una volumetria di mc 797,71, fa parte dell’originaria
particella 25, costituente un unico fondo in capo dapprima
ad An.Al., poi frazionato già in epoca antecedente
al 1950, ed ulteriormente frazionato in epoca successiva, e
che della stessa particella originaria n. 25 fanno parte
quelle (1281, 1282 e 1283) rilevanti per il permesso
chiesto; inoltre, va chiarito che la part. 350, risultante
dal frazionamento della originaria part. 23, confina con la
originaria part. 25, poi frazionata.
In definitiva, dalle
mappe catastali emerge uno stato dei luoghi tale che delle
originarie particelle 23 e 25, confinanti ed appartenenti a
proprietari diversi, il frazionamento della 25, comprensiva
della 24 con insediamento costruttivo antecedente al 1942,
ha determinato il sorgere di più costruzioni sulla stessa.
Indiscutibile è, quindi, il dato reale costituito
dall’unitarietà dell’area, considerata nella fattispecie in
riferimento alla titolarità delle particelle n. 24 e nn.
1281, 1282 e 1283, senza che possa essere determinante
qualunque altra particella nella titolarità della stessa
istante, essendo stata la volumetria assentibile già
consumata da quanto costruito sulla part. 24.
11.2. In diritto, deve preliminarmente escludersi ogni
rilievo ad un calcolo autonomo della volumetria per gli
annessi agricoli realizzati sulla base della concessione del
1997 sulla particella n. 24, atteso che l’appellante non
offre alcuna giustificazione alla tesi dell’utilizzo
dell’indice 0,07, che il PdF prevede espressamente solo per
gli opifici.
11.3. Come detto, la questione centrale posta in diritto si
articola in due profili (§ 10.1.) strettamente connessi.
Il primo mette in discussione la computabilità volumetrica
di costruzioni preesistenti al 1942, in regime di ius
aedificandi quale pura estrinsecazione del diritto di
proprietà, e, comunque poi legittimamente ampliate con
successive concessioni.
Il secondo, evidentemente subordinato, presuppone tale
computabilità, ma la lega all’esistenza di un atto di
asservimento, all’esistenza di un vincolo pertinenziale tra
il fondo costruito e quello costruendo.
Ad entrambe le questione va data risposta negativa sulla
base della giurisprudenza consolidata di questo Consiglio.
11.3.1. L’area alla quale si riferisce la concessione
edilizia richiesta dalla parte privata, prima concessa e poi
negata dall’amministrazione, deriva per successivi
frazionamenti da due lotti originari confinanti, e su parte
di essa (part. 24) è stata costruita una abitazione e degli
annessi agricoli. Si controverte sul rilievo che, ai fini
del rilascio del titolo edilizio, debba riconoscersi al
volume relativo all’opera già edificata.
11.3.2. Il Giudice amministrativo ha più volte avuto modo di
affermare (Cons. Stato, sez. IV, n. 2941 del 2012) che,
qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già
oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria
residua (o la superficie coperta residua) va calcolata
previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con
irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali
o alienazioni parziali, onde evitare che il computo
dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune
superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità
nel residuo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12.07.2004, n.
5039; id., Sez. III, 28.04.2009, n. 965).
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi,
è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente
suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare
tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 21.09.2009, n. 5637).
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza
plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della
volumetria assentibile su una determinata area secondo
l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche
la costruzione realizzata prima della legge 17.08.1942,
n. 1150, quando lo ius aedificandi era considerato pura
estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di
circostanza ininfluente in sede di commisurazione della
volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè
a quella riferita alla singola area e che individua il
volume massimo consentito su di essa. Ciò comporta la
necessità di tener conto del dato reale costituito dagli
immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che
intrattengono con l'ambiente circostante (Cons. Stato, Ad.
plen., 23.04.2009, n. 3).
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata
con riguardo al lotto originario. Con la conseguenza che è
irrilevante la mancanza di un formale atto di asservimento
del precedente fabbricato, atteso che quando la normativa
urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo
dell’area discende ope legis dalla sua utilizzazione, senza
la necessità di apposito strumento negoziale (Cons. Stato,
n. 1525 del 2004).
11.3.3. Deve aggiungersi che per smentire queste conclusioni
non vale la distinzione che l’appellante sembra fare tra
indice di densità territoriale, (riferibile a ciascuna zona
omogenea dello strumento di pianificazione, che definendo il
complessivo carico di edificazione che può gravare su
ciascuna zona stessa è rapportato all’intera superficie
della zona, ivi compresi gli spazi pubblici, quelli
destinati alla viabilità, ecc.), e indice di densità
fondiaria (riferibile alla singola area, che definendo il
volume massimo edificabile sulla stessa, implica che il
relativo indice sia rapportato all’effettiva superficie
suscettibile di edificazione) (cfr. sul punto, tra le tante,
Cons. Stato, sez. IV, n. 32 del 2013; n. 5419 del 2017).
Premesso che nella fattispecie viene in questione l’indice
di densità fondiaria, comunque la distinzione non rileva
rispetto ai principi suddetti che si riferiscono all’indice
di fabbricabilità, del quale la densità territoriale e la
densità fondiaria costituiscono declinazione a seconda
dell’assetto urbanistico che conforma i territori.
11.3.4. Resta da dire che la sicura computabilità del
costruito sulla particella n. 24, sulla base di quanto prima
argomentato, fa venir meno ogni concreto effetto alla
denunciata non considerazione di altre aree di proprietà
della signora Di Puglia posto che i calcoli volumetrici
prospettati dall’appellante prescindono, almeno, dalla
computabilità della costruzione originaria come costruita e
assentita prima della concessione del 1997.
12. In conclusione, l’appello va rigettato (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 01.08.2018 n. 4747 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura
maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo (ed a maggior
ragione, dunque, ove un qualche titolo di sanatoria poi
ottenga), impegna la superficie, che in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui ai
fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto
già parzialmente edificato occorre dunque considerare tutte
le costruzioni, che comunque già insistono sull'area.
---------------
2.2 – Il TAR ha inoltre opportunamente puntualizzato,
disattendendo la tesi della società ricorrente, che
nell'edificazione complessivamente realizzabile sull'area
vanno computati anche i volumi e le superfici preesistenti,
anche se in precedenza condonati.
Al riguardo, vanno richiamati i precedenti di questo
Consiglio, secondo cui “ogni area non è idonea ad
esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla
legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo (ed a maggior ragione, dunque, ove un qualche titolo
di sanatoria poi ottenga), impegna la superficie, che in
base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è
necessaria per realizzare la volumetria sviluppata. Di qui
il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui ai fini
del calcolo della volumetria disponibile su un lotto già
parzialmente edificato occorre dunque considerare tutte le
costruzioni, che comunque già insistono sull'area" (Cons.
St., Sez. IV, 12.05.2008, n. 2177).
Ne consegue che l’eventuale sanatoria per condono della
costruzione precedente non esclude, in sede di verifica
della compatibilità di qualsiasi volume successivamente
progettato con la superficie disponibile in relazione
all’indice di fabbricabilità fondiaria dell’area
complessiva, il computo della volumetria così realizzata (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 22.05.2018 n. 3050 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA:
Lo strumento urbanistico, proprio per le
sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle
sua possibilità di utilizzo, nel disporre le future
conformazioni del territorio, considera le sole “aree
libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al
momento della pianificazione, e ancor più precisamente
quelle che non risultano già edificate (in quanto
costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per
opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto
degli standard urbanistici, risultano comunque già
utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla
realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo
volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a
considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da presenze
materiali, e non già come un bene da conformare per il
migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso
vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale
modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più
favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare,
nell’ambito della zona del territorio considerata dallo
strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso
sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree
comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le
stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.
---------------
3. Con la seconda censura si assume l’illegittimità
del diniego di permesso di costruire, in quanto il vigente
strumento urbanistico attribuirebbe all’area interessata
dall’intervento edilizio, qualificata come lotto libero, un
proprio indice edificatorio privo di limiti e vincoli,
peraltro nemmeno risultanti da atti formali.
3.1. La doglianza è infondata.
Il compendio immobiliare cui si riferisce la richiesta di
permesso di costruire della società ricorrente è stato in
passato interessato da alcuni interventi edilizi che ne
hanno saturato la volumetria, come sottolineato anche dalla
sentenza n. 844 del 21.06.1995 di questa Sezione.
Infatti, nei primi anni sessanta veniva realizzato un
edificio residenziale di sette piani, oggetto di successivi
ampliamenti con varianti, e nel 1989 veniva realizzato un
nuovo edificio residenziale (cfr. all. 3 e 4 del Comune); il
titolo edilizio relativo a tale secondo manufatto –pratica
edilizia n. 183/1989– è stato annullato in autotutela dal
Comune con il provvedimento prot. n. 21246 del 06.10.1992
(all. 5 del Comune), in ragione dell’attribuzione di
volumetria in misura superiore a quella ancora disponibile:
con la citata sentenza n. 844 del 1995, questa Sezione ha in
effetti riconosciuto l’avvenuta realizzazione sul lotto di
un intervento edilizio avente una volumetria superiore a
quella disponibile, in quanto una buona parte della stessa
risultava essere già stata sfruttata in occasione delle
pregresse attività edilizie (il titolo edilizio tuttavia è
stato confermato dal Tribunale per altre ragioni,
disponendosi l’annullamento dell’atto di autotutela
comunale).
Il Comune ha correttamente ritenuto che, anche sulla scorta
della conclusioni contenute nella citata sentenza,
attualmente, il compendio non disponga di alcuna volumetria
residua tale da consentire la realizzazione di quanto
prospettato dalla parte ricorrente.
3.2. Non appare idonea ad infirmare la conclusione raggiunta
dagli Uffici comunali la circostanza, evidenziata dalla
difesa attorea, secondo cui le previsioni contenute nel
P.G.T. vigente avrebbero, in ragione del loro carattere
novativo, attribuito al lotto una nuova ed autonoma capacità
edificatoria; difatti, secondo la più recente
giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ‘lo strumento
urbanistico, proprio per le sue caratteristiche di strumento
di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, nel
disporre le future conformazioni del territorio, considera
le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle
“disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più
precisamente quelle che non risultano già edificate (in
quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate
per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel
rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già
utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla
realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo
volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a
considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da presenze
materiali, e non già come un bene da conformare per il
migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso
vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale
modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più
favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare,
nell’ambito della zona del territorio considerata dallo
strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso
sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree
comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le
stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili’
(Consiglio di Stato, IV, 22.11.2017, n. 5419).
3.3. Nemmeno appare rilevante la mancanza di un formale atto
di asservimento dell’area interessata dal progettato
intervento edilizio ad altre aree già oggetto di passata
edificazione, come richiesto dalla vigente normativa
edilizia laddove ci si trovi al cospetto di lotti distinti,
in quanto si tratta di un unico compendio che, solo con il
passare del tempo, è stato oggetto di frazionamento; del
resto, da un punto di vista edilizio, l’intero complesso,
originariamente appartenente alla Im.La.Mi. S.p.a., è stato
sempre considerato unitariamente (cfr. punto 6 del diritto
della sentenza di questo Tribunale n. 844 del 1995).
3.4. Ciò determina il rigetto anche della predetta doglianza
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.04.2018 n. 882 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’asservimento volumetrico consiste, in
termini generali e come specificato dall’Adunanza plenaria
del Consiglio di Stato n. 3 del 2009, in una fattispecie
negoziale atipica avente effetti obbligatori, in base ai
quali un’area viene destinata a servire al computo dell'edificabilità
di un altro fondo.
Invero, <<L'asservimento realizza, in definitiva, una specie
particolare di relazione pertinenziale, nella quale viene
posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità
edificatoria di un altro. Scopo dell’atto di asservimento è
quello di incrementare la cubatura disponibile su un fondo,
sfruttando quella concessa (e non utilizzata) ad altro fondo
della medesima area, il quale viene, conseguentemente,
assoggettato a vincolo di inedificabilità. L'atto di
asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra
fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità
edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo della cubatura
realizzabile in una particella contigua e del conseguente
computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini
della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità
fondiaria. La riconducibilità dell’asservimento a un vincolo
di inedificabilità idoneo a permanere anche in caso di
alienazione del fondo asservito, discende dalla natura
oggettiva del vincolo. …>>.
Ciò importa che, permanendo il vincolo a tempo
indeterminato, l’asservimento continua a seguire il fondo
anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo
intervenuti in epoca successiva, ed è opponibile ai terzi e
a chiunque ne sia il proprietario.
---------------
L’istituto del c.d. asservimento del terreno per scopi
edificatori (o cessione di cubatura) rientra nello schema
del contratto atipico con effetti obbligatori che “senza
oneri di forma pubblica o di trascrizione, è finalizzato al
trasferimento di volumetria e che si perfeziona soltanto con
il rilascio del necessario titolo abilitativo edilizio da
parte del comune, in quanto l’effetto finale del
trasferimento di cubatura avviene solo in conseguenza
dell’emanazione del provvedimento amministrativo”.
Ne deriva che l’accordo “ha efficacia solo obbligatoria tra
i suoi sottoscrittori, mentre il trasferimento di cubatura
fra le parti e nei confronti dei terzi è determinato
esclusivamente dal provvedimento concessorio, discrezionale
e non vincolato che, a seguito della rinuncia
all’utilizzazione della volumetria manifestata al comune dal
cedente in adesione al progetto edilizio presentato dal
cessionario, può essere emanato a favore di quest’ultimo
dall’ente pubblico”.
<<Occorre precisare che, in casi quale quello di specie, non
occorre che vi sia stato un formale “atto di asservimento”
di un suolo (della sua estensione e della sua potenzialità
edificatoria) ai fini della realizzazione di un manufatto da
realizzarsi su un suolo diverso, essendo invece sufficiente
che il primo sia stato considerato al fine di assentire la
volumetria realizzanda (di cui all’istanza di concessione
edilizia), e poi concretamente realizzata. Da tale
considerazione discende, innanzi tutto, che non assume alcun
rilievo, ai fini della impossibilità di considerazione della
medesima superficie per il rilascio di altro e successivo
titolo edilizio:
- né che vi sia stata trascrizione o altra forma di
pubblicità dell’atto di asservimento ….;
- né che eventuali certificati di destinazione
urbanistica indichino detto suolo come edificabile, secondo
le previsioni ed i limiti dello strumento urbanistico,
poiché deve tenersi del tutto distinta la formale ed
astratta destinazione urbanistica di un’area dalla concreta,
intervenuta utilizzazione dell’area medesima per le finalità
urbanistico-edilizie ad essa impresse (e, dunque,
l’eventuale, intervenuto esaurimento delle potenzialità
edilizie della medesima)>>.
Il concetto di asservimento urbanistico per esaurimento
della capacità edificatoria opera obiettivamente ed è
opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di
trascrizione del vincolo nei registri immobiliari; esso
consegue di diritto per il solo effetto del rilascio di
legittime concessioni edilizie che determina l'esaurimento
della capacità edificatoria stabilita dallo strumento
urbanistico. Si tratta di un asservimento giuridico
oggettivo tipico del regime conformativo dei suoli, sicché
la mancata indicazione di tale effetto nella concessione
edilizia o della relativa trascrizione della stessa come di
un atto di cessione (pur aventi la valenza giuridica di
determinare e pubblicizzare l'asservimento) non possono
contrastare l'asservimento urbanistico che si determina in
ragione dell'esaurimento della volumetria disponibile,
ignorato dalla concessione o dall'atto di cessione.
---------------
La Società ricorrente censura il provvedimento comunale
18/03/2015, di rilascio del permesso di costruire in
sanatoria per la realizzazione del sopralzo di un sottotetto
e di un balcone.
...
3. Passando all’esame del motivo di cui alla lettera c)
dell’esposizione in fatto, la ricorrente deduce in via
generale un difetto di istruttoria, ma al riguardo occorre
rilevare che la pratica è stata istruita con l’acquisizione
di elementi rilevanti (parere della Commissione per il
paesaggio, verbale di assemblea condominiale, consenso dei
confinanti, altro materiale documentale).
Il Collegio può a questo punto affrontare le censure
puntuali.
3.1 Sulla cubatura, i controinteressati evocano la relazione
allegata alla DIA in variante del 2013 (cfr. doc. 5.B
ricorrente – pagina 3) dalla quale risulta che, per la
realizzazione del corpo accessorio tra il balcone e la
copertura (cd. “bussola”) – che contemplava un volume
in ampliamento di mc. 30,12 –i sig.ri -OMISSIS- e -OMISSIS-
si sono avvalsi della capacità edificatoria del mappale di
loro proprietà esclusiva “confinante ad Ovest con il
lotto in questione identificato al fg. 9, mappale 314, del
comune di -OMISSIS-. La superficie identificata come
edificabile corrisponde a mq. 200; con una capacità
edificatoria pari a 1,5 mc/mq. il lotto quindi dispone di
una volumetria pari a mc 300,00 …”.
Ultimato quell’intervento, essi disponevano di un volume
residuo di mc. 269,88, sufficiente a compiere l’opera
controversa in questa sede.
Nello specifico, i controinteressati sostengono di aver
posto in essere una “cessione di cubatura” da un
fondo all’altro, allo specifico fine di accrescere la
potenzialità edilizia del secondo tramite l’utilizzo della
volumetria del primo (coincidente con la particella
limitrofa).
Detto ordine di idee merita condivisione.
3.2 Come ha chiarito il Consiglio di Stato, sez. VI –
09/02/2016 n. 547, l’asservimento consiste, in termini
generali e come specificato dall’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato n. 3 del 2009, in una fattispecie
negoziale atipica avente effetti obbligatori, in base ai
quali un’area viene destinata a servire al computo dell'edificabilità
di un altro fondo.
Come statuito nella citata pronuncia n. 547/2016 dei giudici
d’appello <<L'asservimento realizza, in definitiva, una
specie particolare di relazione pertinenziale, nella quale
viene posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità
edificatoria di un altro. Scopo dell’atto di asservimento è
quello di incrementare la cubatura disponibile su un fondo,
sfruttando quella concessa (e non utilizzata) ad altro fondo
della medesima area, il quale viene, conseguentemente,
assoggettato a vincolo di inedificabilità. L'atto di
asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra
fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità
edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo della cubatura
realizzabile in una particella contigua e del conseguente
computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini
della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità
fondiaria. La riconducibilità dell’asservimento a un vincolo
di inedificabilità idoneo a permanere anche in caso di
alienazione del fondo asservito, discende dalla natura
oggettiva del vincolo. …>>.
Ciò importa che, permanendo il vincolo a tempo
indeterminato, l’asservimento continua a seguire il fondo
anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo
intervenuti in epoca successiva, ed è opponibile ai terzi e
a chiunque ne sia il proprietario (Consiglio di Stato, sez.
IV – 05/05/2017 n. 2064).
Ha poi puntualizzato TAR Campania Salerno, sez. I –
07/04/2016 n. 916 che l’istituto del c.d. asservimento del
terreno per scopi edificatori (o cessione di cubatura)
rientra nello schema del contratto atipico con effetti
obbligatori che “senza oneri di forma pubblica o di
trascrizione, è finalizzato al trasferimento di volumetria e
che si perfeziona soltanto con il rilascio del necessario
titolo abilitativo edilizio da parte del comune, in quanto
l’effetto finale del trasferimento di cubatura avviene solo
in conseguenza dell’emanazione del provvedimento
amministrativo”.
Ne deriva che l’accordo “ha efficacia solo obbligatoria
tra i suoi sottoscrittori, mentre il trasferimento di
cubatura fra le parti e nei confronti dei terzi è
determinato esclusivamente dal provvedimento concessorio,
discrezionale e non vincolato che, a seguito della rinuncia
all’utilizzazione della volumetria manifestata al comune dal
cedente in adesione al progetto edilizio presentato dal
cessionario, può essere emanato a favore di quest’ultimo
dall’ente pubblico”.
Come ha statuito Consiglio di Stato, sez. IV – 29/02/2016 n.
816, <<Occorre precisare che, in casi quale quello di
specie, non occorre che vi sia stato un formale “atto di
asservimento” di un suolo (della sua estensione e della sua
potenzialità edificatoria) ai fini della realizzazione di un
manufatto da realizzarsi su un suolo diverso, essendo invece
sufficiente che il primo sia stato considerato al fine di
assentire la volumetria realizzanda (di cui all’istanza di
concessione edilizia), e poi concretamente realizzata. Da
tale considerazione discende, innanzi tutto, che non assume
alcun rilievo, ai fini della impossibilità di considerazione
della medesima superficie per il rilascio di altro e
successivo titolo edilizio:
- né che vi sia stata trascrizione o altra forma di
pubblicità dell’atto di asservimento ….;
- né che eventuali certificati di destinazione
urbanistica indichino detto suolo come edificabile, secondo
le previsioni ed i limiti dello strumento urbanistico,
poiché deve tenersi del tutto distinta la formale ed
astratta destinazione urbanistica di un’area dalla concreta,
intervenuta utilizzazione dell’area medesima per le finalità
urbanistico-edilizie ad essa impresse (e, dunque,
l’eventuale, intervenuto esaurimento delle potenzialità
edilizie della medesima)>>.
Nella stessa prospettiva il Consiglio di Stato, sez. IV –
05/02/2015 n. 562 ha chiarito che “il concetto di
asservimento urbanistico per esaurimento della capacità
edificatoria opera obiettivamente ed è opponibile anche al
terzo acquirente pur in assenza di trascrizione del vincolo
nei registri immobiliari (v. Cons. di Stato, sez. V, n.
387/1998); esso consegue di diritto per il solo effetto del
rilascio di legittime concessioni edilizie che determina
l'esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo
strumento urbanistico. Si tratta di un asservimento
giuridico oggettivo tipico del regime conformativo dei
suoli, sicché la mancata indicazione di tale effetto nella
concessione edilizia o della relativa trascrizione della
stessa come di un atto di cessione (pur aventi la valenza
giuridica di determinare e pubblicizzare l'asservimento) non
possono contrastare l'asservimento urbanistico che si
determina in ragione dell'esaurimento della volumetria
disponibile, ignorato dalla concessione o dall'atto di
cessione”.
3.3 Alla luce dei principi illustrati non era necessaria, ai
fini del trasferimento della cubatura disponibile, né una
specifica previsione della normativa di piano né la
trascrizione dell’atto di disposizione, e la fonte
dell’effetto obbligatorio si rinviene nella relazione
tecnica che assume valore di atto unilaterale d’obbligo; al
contempo, la coincidenza della figura dei proprietari dei
terreni coinvolti nella cessione semplifica ulteriormente la
vicenda.
Da ultimo, si segnala che l’obbligo di trascrizione sancito
dall’art. 2643, comma 1, n. 2-bis, del c.c. –introdotto
dall’art. 5, n. 3), del D.L. 13/05/2011 n. 70 convertito,
con modificazioni, nella L. 12/07/2011 n. 106– non si
riflette sulla validità dell’atto ma rileva unicamente ai
fini dell’opponibilità ai terzi e della soluzione del
conflitto tra più aventi causa dallo stesso autore, ai sensi
dell'art. 2644 del c.c. (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 26.03.2018 n. 341 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un’area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi
considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà
private medio tempore intervenuti.
---------------
In caso di edificio preesistente realizzato in epoca
anteriore all’adozione del primo piano regolatore generale,
con il quale per la prima volta nel territorio comunale
siano stati introdotti indici di densità edilizia
(territoriale e fondiaria), in assenza di limiti di
volumetria non è configurabile un’ipotesi di asservimento in
senso tecnico, ma è astrattamente configurabile un vincolo
di c.d. asservimento pertinenziale, connotato dalla
destinazione dell’area non edificata del lotto a servizio
dell’edificio realizzato.
---------------
Si precisa, al riguardo, che la disposizione all’esame è in
linea con i principi di origine giurisprudenziale per cui:
- un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile
di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di
essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa
e dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle
proprietà private medio tempore intervenuti (v. Cons.
Stato, Sez. III, parere 28.04.2009, n. 965/2009; Cons.
Stato, IV, 29.01.2008, n. 255; Cons. Stato, Sez. V,
12.07.2004, n. 5039);
- in caso di edificio preesistente realizzato in epoca anteriore
all’adozione del primo piano regolatore generale, con il
quale per la prima volta nel territorio comunale siano stati
introdotti indici di densità edilizia (territoriale e
fondiaria), in assenza di limiti di volumetria non è
configurabile un’ipotesi di asservimento in senso tecnico,
ma è astrattamente configurabile un vincolo di c.d.
asservimento pertinenziale, connotato dalla destinazione
dell’area non edificata del lotto a servizio dell’edificio
realizzato (v. Ad. Plen., 23.04.2009, n. 3; Cons. Stato,
Sez. VI, 18.12.2012, n. 6475; Cons. Stato, Sez. VI,
23.02.2016, n. 732) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 26.01.2018 n. 545 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Lo strumento della cessione di cubatura (o
asservimento), quale espressione dell’autonomia negoziale
delle parti, è limitabile dalla Pubblica amministrazione
solo espressamente ed a chiare e specifiche condizioni (che,
nella fattispecie, si rinvengono nel disposto dell’art. 13
del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non
è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di
0,70 mc/mq).
---------------
Le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M.
1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le
luci e trovano applicazione anche quando solo una delle
pareti antistanti risulta finestrata e non entrambe.
Inoltre, essendo finalizzate a stabilire un’idonea
intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, e non a
salvaguardare l’interesse privato del frontista alla
riservatezza, la circostanza che si tratti di corpi di uno
stesso edificio, ovvero di edifici distinti, non può
dispiegare alcun effetto distintivo.
---------------
La distanza degli edifici dal limite della strada, che va
misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della
via, deve tenere conto del marciapiede, il quale fa parte
della strada, quale tratto di essa situato fuori dalla
carreggiata e normalmente destinato alla circolazione dei
pedoni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale.
---------------
La ditta ricorrente impugna, per violazione di legge ed
eccesso di potere, il diniego di permesso di costruire,
opposto dal Comune di Tortora, in relazione alla
realizzazione di un immobile in contrada Riviera.
I motivi di diniego riguardano:
- l’impossibilità di accedere alla cessione della cubatura
mancante, in applicazione dell’art. 13 del regolamento
edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso
possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
- il mancato rispetto della distanza minima di m. 10 tra pareti
finestrate di edifici;
- il mancato rispetto della distanza minima di m. 5 dal ciglio
stradale.
In proposito, sostiene la società ricorrente: che non sono
consentiti, da parte dell’autorità comunale, limiti ad un
istituto civilistico, qual è la cessione di cubatura; che la
distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate di edifici
non opera per le luci e quando solo una delle pareti
antistanti risulta finestrata; che, nel computo della
distanza minima di m. 5 dal ciglio stradale, non si deve
tenere conto del marciapiede.
Resiste il Comune di Tortora.
Il ricorso è infondato e va respinto.
I rilievi della P.A. sono infatti da ritenere tutti
legittimi, posto che:
a) lo strumento della cessione di cubatura (o asservimento), quale
espressione dell’autonomia negoziale delle parti, è
limitabile dalla Pubblica amministrazione solo espressamente
ed a chiare e specifiche condizioni (cfr. TAR Campania,
Salerno, Sez. I, 27.10.2015 n. 2260) che, nella fattispecie,
si rinvengono nel disposto dell’art. 13 del regolamento
edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso
possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
b) le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M.
1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le
luci (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18.06.2009 n. 4015; TAR
Piemonte, Sez. I, 02.12.2010 n. 4374) e trovano applicazione
anche quando solo una delle pareti antistanti risulta
finestrata e non entrambe (cfr. TAR Veneto, Sez. II,
16.03.2010 n. 823). Inoltre, essendo finalizzate a stabilire
un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico,
e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla
riservatezza (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26.01.2001 n. 1108),
la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso
edificio, ovvero di edifici distinti, non può dispiegare
alcun effetto distintivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
05.12.2005 n. 6909 e TAR Lombardia, Brescia, Sez. I,
08.07.2010 n. 2461);
c) la distanza degli edifici dal limite della strada, che va
misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della
via (cfr. Cass. civ., Sez. II, 03.08.1984 n. 4624), deve
tenere conto del marciapiede, il quale fa parte della
strada, quale tratto di essa situato fuori dalla carreggiata
e normalmente destinato alla circolazione dei pedoni, ai
sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 17.01.2018 n. 138 - link a
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Secondo consolidati principi espressi dalla
giurisprudenza, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei
limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici
(Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a
regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici
di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è
conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è
idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita dalla legge (art. 4, u.c., L. 28.01.1977, n. 10)
e dallo strumento urbanistico, e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui
"un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione, a nulla
rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa".
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario
sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi
verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo
dell'originario unico proprietario.
---------------
Ai sensi dell'art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il
Comune disciplina, con il Piano regolatore generale,
l'assetto urbanistico dell'intero territorio comunale, in
particolare prevedendo "la divisione in zone del territorio
comunale con la precisazione delle zone destinate
all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei
vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona".
Le previsioni del Piano servono a conformare l'edificazione
futura e non anche le costruzioni esistenti al momento
dell'entrata in vigore del Piano o di una sua variante, ciò facendo con
prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in
quanto conformative delle destinazioni dei suoli.
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di
pianificazione e di indicazione delle sue possibilità di
utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico,
nel disporre le future conformazioni del territorio,
considera le sole "aree libere", tali dovendosi ritenere
quelle "disponibili" al momento della pianificazione, e
ancor più precisamente quelle che non risultano già
edificate (in quanto costituenti aree di sedime di
fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero
quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici,
risultano comunque già utilizzate per l'edificazione (in
quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde
consentirne lo sviluppo volumetrico).
D'altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
---------------
In concetto di asservimento urbanistico per
esaurimento della capacità edificatoria opera obiettivamente
ed è opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di
trascrizione del vincolo nei registri immobiliari; esso consegue di diritto per il
solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie
che determina l'esaurimento della capacità edificatoria
stabilita dallo strumento urbanistico.
Si tratta di un
asservimento giuridico oggettivo tipico del regime conformativo
dei suoli, sicché la mancata indicazione di tale effetto
nella concessione edilizia o della relativa trascrizione
della stessa come di un atto di cessione (pur aventi la
valenza giuridica di determinare e pubblicizzare
l'asservimento) non possono contrastare l'asservimento
urbanistico che si determina in ragione dell'esaurimento
della volumetria disponibile, ignorato dalla concessione o
dall'atto di cessione.
In conclusione, l'inedificabilità dell'area asservita o
accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini
edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo,
come tale opponibile ai terzi acquirenti, e produce
l'effetto di impedirne l'ulteriore edificazione oltre i
limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà
dell'area sia stata trasferita ad altri, che l'edificazione
sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino
specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento
o che l'edificio insista su una parte del lotto
catastalmente divisa.
Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale,
di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano
urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di
edificare, si rivelerebbero vani e privi di significato, in
quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti
verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in
relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo
piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità
della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del
territorio.
---------------
1) Il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti si palesano
fondato nei termini e limiti che seguono.
In punto di diritto il Collegio premette che, secondo
consolidati principi espressi dalla giurisprudenza, il
diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei
limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici
(Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a
regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici
di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è
conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è
idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita dalla legge (art. 4, u.c., L. 28.01.1977, n. 10)
e dallo strumento urbanistico, e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui
"un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione (Cons. Stato Sez. IV, 26/09/2008, n. 4647;
Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039), a nulla
rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto
catastalmente divisa (Cons. di Stato, sez. V, 28.02.2001 n. 1074)".
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario
sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi
verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo
dell'originario unico proprietario (Cons. Stato, sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
Ai sensi dell'art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il
Comune disciplina, con il Piano regolatore generale,
l'assetto urbanistico dell'intero territorio comunale, in
particolare prevedendo "la divisione in zone del territorio
comunale con la precisazione delle zone destinate
all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei
vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona".
Le previsioni del Piano servono a conformare l'edificazione
futura e non anche le costruzioni esistenti al momento
dell'entrata in vigore del Piano o di una sua variante
(Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò facendo con
prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in
quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons.
Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di
pianificazione e di indicazione delle sue possibilità di
utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico,
nel disporre le future conformazioni del territorio,
considera le sole "aree libere", tali dovendosi ritenere
quelle "disponibili" al momento della pianificazione, e
ancor più precisamente quelle che non risultano già
edificate (in quanto costituenti aree di sedime di
fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero
quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici,
risultano comunque già utilizzate per l'edificazione (in
quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde
consentirne lo sviluppo volumetrico).
D'altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In sostanza il concetto di asservimento urbanistico per
esaurimento della capacità edificatoria opera obiettivamente
ed è opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di
trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (Cons. di
Stato, sez. V, n. 387/1998); esso consegue di diritto per il
solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie
che determina l'esaurimento della capacità edificatoria
stabilita dallo strumento urbanistico. Si tratta di un
asservimento giuridico oggettivo tipico del regime
conformativo dei suoli, sicché la mancata indicazione di
tale effetto nella concessione edilizia o della relativa
trascrizione della stessa come di un atto di cessione (pur
aventi la valenza giuridica di determinare e pubblicizzare
l'asservimento) non possono contrastare l'asservimento
urbanistico che si determina in ragione dell'esaurimento
della volumetria disponibile, ignorato dalla concessione o
dall'atto di cessione (Cons. Stato Sez. IV, 05.02.2015, n.
562).
In conclusione, l'inedificabilità dell'area asservita o
accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini
edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo,
come tale opponibile ai terzi acquirenti, e produce
l'effetto di impedirne l'ulteriore edificazione oltre i
limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà
dell'area sia stata trasferita ad altri, che l'edificazione
sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino
specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento
o che l'edificio insista su una parte del lotto
catastalmente divisa.
Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale,
di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano
urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di
edificare, si rivelerebbero vani e privi di significato, in
quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti
verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in
relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo
piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità
della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del
territorio (TAR Campania Salerno Sez. I, 16.04.2013, n.
890) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 10.01.2018 n. 183 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Cessione di cubatura o asservimento in sede di
rilascio di permesso di costruire - Condizioni e limiti -
Fondi compresi nella medesima zona urbanistica - Effettiva e
significativa vicinanza tra i fondi asserviti.
La cessione di cubatura o asservimento é istituto
utilizzabile, in sede di rilascio di permesso di costruire,
solo in presenza di particolari condizioni e limiti, per cui
può avvenire solo tra fondi compresi nella medesima zona
urbanistica ed aventi la stessa destinazione urbanistica (in
quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta
cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità
edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico e
tra fondi contigui, nel senso che, anche qualora non si
riscontri la continuità fisica tra tutte le particelle
catastali interessate dalla nuova costruzione, sussista pur
sempre, comunque, una "effettiva e significativa
vicinanza tra i fondi asserviti" (ex multis, C.
Stato, Sez.5 n. 6734 del 30/10/2003).
Corretto sviluppo della densità edilizia
- Rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria - Limiti
fissati dal piano - Stretto e inscindibile legame tra atti
di asservimento e normativa urbanistica - Asservimento
illegittimo.
Ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia, della
materiale collocazione dei fabbricati -atteso che per il
rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria assume
esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area
edificabile e volumetria realizzabile nella zona di
riferimento resti nei limiti fissati dal piano- non sono,
con tutta evidenza, ammissibili, ai fini del rilascio di
provvedimenti autorizzativi in materia edilizia, atti di
asservimento tra terreni ubicati in comuni diversi,
disarticolandosi, in tal caso, lo stretto e inscindibile
legame tra atti di asservimento e rispetto delle
prescrizioni della normativa urbanistica, quale espressione
del governo e della pianificazione del territorio comunale (Corte
di Cassazione, Sez. III,
sentenza 29.12.2017 n. 57914
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Consiglio di Stato: il calcolo dei volumi
edificabili va effettuato solamente sulle «aree libere».
Con la
sentenza 22.11.2017 n. 5419 il Consiglio di
Stato, Sez. IV, torna ad affrontare il tema del computo
della volumetria edificabile assegnata alle aree del
territorio comunale dallo strumento urbanistico generale,
precisando che eventuali modificazioni di quest'ultimo,
volte a prevedere nuovi e più favorevoli indici di
fabbricazione, interessano le sole "aree libere".
Dalla definizione di tali aree devono escludersi le aree già
direttamente edificate (in quanto costituenti aree di sedime
di fabbricati o aree in cui si sono realizzate opere di
urbanizzazione) e quelle che, pur essendo fisicamente libere
da immobili, risultano già sfruttate per l'edificazione di
altri lotti, ai quali pertanto risultano inscindibilmente
asserviti.
Il caso
In seguito alla sentenza n. 2665/2015, con la quale il Tar
Campania–Salerno aveva rigettato una domanda di annullamento
di un permesso di costruire rilasciato nel 2015, nella quale
si censurava l'errato utilizzo da parte del Comune
dell'indice fondiario e lo sforamento della volumetria
massima assentibile, il ricorrente ha presentato appello al
Consiglio di Stato.
L'appellante ha sostenuto in particolare che l'erronea
applicazione dell'indice fondiario di edificabilità,
unitamente alla violazione sotto numerosi profili del D.M.
1444/1968 e della L. n. 1150/1942, avrebbero portato ad un
calcolo errato della superficie disponibile ai fini
edificatori, risultandone l'illegittimità del permesso di
costruire impugnato. Secondo tale prospettazione l'assenza
di volumetria residua sarebbe peraltro evidente anche
ammettendo la contestata applicazione dell'indice fondiario,
poiché non sarebbe possibile considerare come aree libere,
ai fini del calcolo volumetrico, le aree destinate a
parcheggi pertinenziali e quelle a standard.
La decisione
Il Consiglio di Stato, in riforma della decisione di primo
grado, non ha perso occasione per ribadire quelli che si
possono considerare come orientamenti giurisprudenziali
ormai consolidati in relazione alla successione nel tempo
degli strumenti urbanistici ed alla capacità edificatoria da
questi assegnata.
In particolar modo, dopo aver ribadito il noto principio
secondo cui lo strumento urbanistico generale è diretto a
conformare l'edificazione futura e non anche le costruzioni
esistenti al momento dell'entrata in vigore del piano o di
una sua variante, i giudici di Palazzo Spada affermano che
l'assegnazione di indici edificatori, proprio in ragione
della richiamata irretroattività delle previsioni di piano,
interessa le sole "aree libere", tali dovendosi
intendere quelle "disponibili" al momento della
pianificazione.
Più precisamente, non possono considerarsi "aree libere",
oltre –ovviamente– alle aree già edificate (aree di sedime
dei fabbricati o sulle quali sorgono opere di
urbanizzazione), nemmeno quelle aree che risultano comunque
già utilizzate per l'edificazione, in quanto asservite alla
realizzazione di altri fabbricati onde consentirne il
relativo sviluppo volumetrico.
Pertanto, un'area edificabile la cui volumetria sia già
stata interamente considerata in occasione del rilascio di
un titolo edilizio non può essere più tenuta in
considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai
fini del rilascio di un secondo titolo edificatorio nella
perdurante esistenza del primo edificio.
Dal calcolo della volumetria necessaria per l'edificazione
di un nuovo lotto (o per l'ampliamento di uno già esistente)
devono infatti escludersi le aree asservite o accorpate, le
quali hanno quindi ormai esaurito la loro vocazione
edificatoria, anche se oggetto di successivo frazionamento o
alienazione.
Tale principio non subisce mutamenti anche nel caso in cui
vengano introdotte delle variazioni in melius del
piano regolatore in relazione agli indici di fabbricazione,
i quali non riguardano le aree già utilizzate a scopo
edificatorio, anche se si presentano fisicamente libere. A
maggior ragione, in sede di rilascio di ulteriori titoli
edilizi nell'ambito di una stessa area oggetto di precedente
edificazione senza che sia medio tempore intervenuta
alcuna modificazione della disciplina urbanistica le aree
che contribuiscono al maggiore sviluppo del lotto sono
solamente quelle considerate "libere" secondo i
criteri anzidetti.
Un'ultima precisazione della sentenza riguarda
l'impossibilità di reperire ulteriore volumetria edificabile
dalle aree destinate a standard nonché a parcheggio ai sensi
dell'art. 41-sexies della L. n. 1150/1942, le quali non
possono dunque considerarsi "aree libere" ai sensi e
agli effetti sopra precisati.
Sotto questo profilo, neppure la circostanza che l'art.
41-sexies si riferisca alle aree a parcheggio private –come
tali escluse dal computo degli standard– comporta la
possibilità di considerarle nel successivo calcolo della
superficie utilizzabile per una nuova costruzione o
l'ampliamento di quelle esistenti, poiché, diversamente
opinando, ne deriverebbe un «effetto moltiplicatore»
della capacità edificatoria sviluppata dall'area di
riferimento (articolo Edilizia e Territorio del
13.12.2017). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Al fine
di definire con precisione cosa occorra considerare quale “superficie
suscettibile di edificazione”, è del tutto evidente che
lo strumento urbanistico, proprio per le sue caratteristiche
di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di
utilizzo, nel disporre le future conformazioni del
territorio, considera le sole “aree libere”, tali
dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della
pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non
risultano già edificate (in quanto costituenti aree di
sedime di fabbricati o utilizzate per opere di
urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli
standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per
l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di
fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a
considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da presenze
materiali, e non già come un bene da conformare per il
migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso
vivono ed operano.
---------------
L’eventuale modificazione del piano regolatore, che prevede
nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non può che
interessare, nell’ambito della zona del territorio
considerata dallo strumento urbanistico, se non le sole
aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione,
quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo
edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente”
libere da immobili.
---------------
E' stato affermato che "un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non
può essere più tenuta in considerazione come area libera,
neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda
concessione nella perdurante esistenza del primo edificio,
irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà
dei terreni”.
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata,
l'intera estensione interessata deve essere considerata
utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche
l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se
è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata
dall'area su cui insiste il manufatto".
Quanto esposto, comporta che, proprio perché il piano
regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano
le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di
fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai privati
proprietari) non possono riguardare aree già utilizzate a
fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei
predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur
essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non
siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché
esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi
della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti,
nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in
quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel
secondo l’area è libera, posta la sua non ancora
intervenuta utilizzazione.
---------------
Quanto affermato con riferimento alla successione nel tempo
di diversi indici di fabbricabilità fondiari, deve trovare a
maggior ragione applicazione nell’ipotesi di rilascio di
successive concessioni edilizie e/o permessi di costruire
nell’ambito della stessa area in costanza di indice di
fabbricabilità, dovendosi considerare, al fine di sviluppare
la volumetria assentibile, le sole aree da considerare
libere, secondo i criteri innanzi descritti.
---------------
Sia
gli standard ex art. 5 D.M. 1444/1968, sia le aree da
destinare a parcheggio, ai sensi dell’art. 41-sexies l. n.
1150/1942, devono essere considerate come “non disponibili”,
ai fini di una successiva edificazione, laddove già
considerate (ovvero laddove avrebbero dovuto essere
considerate), ai fini della realizzazione di precedenti
costruzioni.
Come è noto, l’art. 5 D.M. cit. prevede che,, nelle zone A)
e B), a fronte di 100 mq. di superficie lorda di pavimento
di edifici previsti, devono corrispondere almeno 40 mq di
superficie da destinare a parcheggio, e ciò in aggiunta ai
parcheggi previsti dall’art. 18 l. n. 765/1967, e sempre che
“siano previste adeguate attrezzature integrative”
(dovendosi altrimenti calcolare 80 mq).
A sua volta, l’art. 41-sexies citato (introdotto nella l. n.
1150/1942 proprio dall’art. 18 l. n. 765/1967), prevede che
“nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza
delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi
spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro
quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare, la
disposizione contenuta nel predetto art. 41-sexies “…opera
come norma di relazione nei rapporti privatistici e come
norma di azione nel rapporto pubblicistico con la p.a., non
potendo quest’ultima autorizzare nuove costruzioni che non
siano corredate di dette aree, giacché l’osservanza della
norma costituisce condizione di legittimità della
concessione edilizia, e spettando esclusivamente alla stessa
p.a. l’accertamento della conformità degli spazi alla misura
proporzionale stabilita dalla legge e della idoneità a
parcheggio delle aree, con la conseguenza che il
trasferimento del vincolo di destinazione su aree diverse da
quelle originarie può avvenire soltanto mediante il rilascio
di una concessione in variante, chiarendosi anche che,
mentre gli spazi di parcheggio di cui all’art. 41-quinquies
della legge n. 1150 del 1942 costituiscono aree pubbliche da
conteggiarsi ai fini della dotazione d standard, quelli di
cui al successivo art. 41-sexies sono qualificati come aree
private pertinenziali alle nuove costruzioni e come tali
escluse (ex art. 3, comma 2, lett. d), del D.M. 02.04.1968,
n. 1444) dal computo del calcolo della misura degli
standards”.
Orbene, la circostanza che le aree di cui all’art. 41-sexies
siano da qualificarsi “aree pertinenziali private”, come
tali escluse dal computo degli standard, non significa che
dette aree possano essere considerate come “disponibili”, ai
fini del successivo calcolo della superficie utilizzabile
per una nuova costruzione.
Ed infatti, l’art. 3, co. 2, lett. d) del D.M. n. 1444/1968,
in sintonia con quanto previsto dal successivo art. 5, si
limita a precisare che le aree ex art. 41-sexies non possono
essere considerate ai fini del computo delle aree da
riservare a parcheggi (standard), ma si intendono come
“aggiuntive” a questi ultimi.
Si tratta di una disposizione che, in presenza di una nuova
costruzione, tende ad aumentare le aree da destinare a
parcheggi, privati (in quanto verosimilmente a disposizione
dei condomini) ovvero pubblici.
---------------
6.5. Può procedersi
all’esame del secondo motivo di gravame.
Il motivo è fondato.
Tanto innanzi precisato quanto alla corretta definizione ed
applicazione degli “indici”, al fine di definire con
precisione cosa occorra considerare quale “superficie
suscettibile di edificazione”, è del tutto evidente che
lo strumento urbanistico, proprio per le sue caratteristiche
di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di
utilizzo, nel disporre le future conformazioni del
territorio, considera le sole “aree libere”, tali
dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento
della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che
non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di
sedime di fabbricati o utilizzate per opere di
urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli
standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per
l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di
fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a
considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da presenze
materiali, e non già come un bene da conformare per il
migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso
vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale
modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più
favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare,
nell’ambito della zona del territorio considerata dallo
strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso
sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree
comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le
stesse si presentino “fisicamente” libere da
immobili.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto, peraltro, modo di
affermare che "un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non
può essere più tenuta in considerazione come area libera,
neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda
concessione nella perdurante esistenza del primo edificio,
irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà
dei terreni” (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000 n. 749).
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata,
l'intera estensione interessata deve essere considerata
utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche
l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se
è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata
dall'area su cui insiste il manufatto" (Cons. Stato,
sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n. 1402).
Quanto esposto, comporta che, proprio perché il piano
regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano
le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di
fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai
privati proprietari) non possono riguardare aree già
utilizzate a fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei
predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur
essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non
siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché
esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi
della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti,
nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in
quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel
secondo l’area è libera, posta la sua non ancora
intervenuta utilizzazione.
Quanto affermato con riferimento alla successione nel tempo
di diversi indici di fabbricabilità fondiari, deve trovare a
maggior ragione applicazione nell’ipotesi di rilascio di
successive concessioni edilizie e/o permessi di costruire
nell’ambito della stessa area in costanza di indice di
fabbricabilità, dovendosi considerare, al fine di sviluppare
la volumetria assentibile, le sole aree da considerare
libere, secondo i criteri innanzi descritti.
6.6. In tale contesto, sia gli standard ex art. 5 D.M.
1444/1968, sia le aree da destinare a parcheggio, ai sensi
dell’art. 41-sexies l. n. 1150/1942, devono essere
considerate come “non disponibili”, ai fini di una
successiva edificazione, laddove già considerate (ovvero
laddove avrebbero dovuto essere considerate), ai fini della
realizzazione di precedenti costruzioni.
Come è noto, l’art. 5 D.M. cit. prevede che,, nelle zone A)
e B), a fronte di 100 mq. di superficie lorda di pavimento
di edifici previsti, devono corrispondere almeno 40 mq di
superficie da destinare a parcheggio, e ciò in aggiunta ai
parcheggi previsti dall’art. 18 l. n. 765/1967, e sempre che
“siano previste adeguate attrezzature integrative”
(dovendosi altrimenti calcolare 80 mq).
A sua volta, l’art. 41-sexies citato (introdotto nella l. n.
1150/1942 proprio dall’art. 18 l. n. 765/1967), prevede che
“nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di
pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere
riservati appositi spazi per parcheggi in misura non
inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di
costruzione”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare (Cons.
Stato, sez. V, 04.11.2014 n. 5444; sez. IV, 06.01.2013 n.
32), la disposizione contenuta nel predetto art. 41-sexies
“…opera come norma di relazione nei rapporti privatistici
e come norma di azione nel rapporto pubblicistico con la p.a.,
non potendo quest’ultima autorizzare nuove costruzioni che
non siano corredate di dette aree, giacché l’osservanza
della norma costituisce condizione di legittimità della
concessione edilizia, e spettando esclusivamente alla stessa
p.a. l’accertamento della conformità degli spazi alla misura
proporzionale stabilita dalla legge e della idoneità a
parcheggio delle aree, con la conseguenza che il
trasferimento del vincolo di destinazione su aree diverse da
quelle originarie può avvenire soltanto mediante il rilascio
di una concessione in variante (Cass. civ., sez. II,
13.01.2010, n. 378), chiarendosi anche che, mentre gli spazi
di parcheggio di cui all’art. 41-quinquies della legge n.
1150 del 1942 costituiscono aree pubbliche da conteggiarsi
ai fini della dotazione d standard, quelli di cui al
successivo art. 41-sexies sono qualificati come aree private
pertinenziali alle nuove costruzioni e come tali escluse (ex
art. 3, comma 2, lett. d), del D.M. 02.04.1968, n. 1444) dal
computo del calcolo della misura degli standards”.
Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza
impugnata, la circostanza che le aree di cui all’art.
41-sexies siano da qualificarsi “aree pertinenziali
private”, come tali escluse dal computo degli standard,
non significa che dette aree possano essere considerate come
“disponibili”, ai fini del successivo calcolo della
superficie utilizzabile per una nuova costruzione.
Ed infatti, l’art. 3, co. 2, lett. d) del D.M. n. 1444/1968,
in sintonia con quanto previsto dal successivo art. 5, si
limita a precisare che le aree ex art. 41-sexies non possono
essere considerate ai fini del computo delle aree da
riservare a parcheggi (standard), ma si intendono come “aggiuntive”
a questi ultimi.
Si tratta di una disposizione che, in presenza di una nuova
costruzione, tende ad aumentare le aree da destinare a
parcheggi, privati (in quanto verosimilmente a disposizione
dei condomini) ovvero pubblici.
Alla luce di quanto sin qui esposto, non possono, dunque,
trovare accoglimento le considerazioni esposte
dall’appellato Di Na..
Ed infatti, con riferimento a tutte le aree destinate a
standard ex art. 5 e a parcheggi ex art. 41-sexies, le
stesse non possono essere ritenute come utilizzabili per il
calcolo del volume ulteriormente insediabile sul lotto; se
ciò fosse, l’area considerata sarebbe soggetta ad un “effetto
moltiplicatore” di cubatura, travolgendosi nei fatti il
rapporto tra area coperta ed area scoperta (a prescindere
dalla sua finalizzazione), che invece il legislatore ha
inteso assicurare.
Così argomentando, come si è già detto, la pianificazione
urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo
nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non
ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da
conformare per il migliore sviluppo della comunità,
salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli
individui che su di esso vivono ed operano.
Né assumono particolare rilevanza la circostanza che l’area
da destinare a parcheggi (pubblici o privati) sia di
proprietà privata, ovvero il fatto che -come sostenuto
dall’appellato con riferimento a quanto differentemente
previsto per aree residenziali o commerciali da riservare a
parcheggi- “le diverse destinazioni dell’immobile
condizionerebbero le superfici effettivamente a disposizione”
per l’ulteriore volume insediabile (pag. 12-13 memoria dep.
28.04.2017)
Infatti, l’imposizione di standard e/o vincoli di
destinazione costituisce conformazione della proprietà
privata, onde contemperare lo jus aedificandi del
privato (assentito, nel suo esercizio, dalla Pubblica
amministrazione) con le evidenti esigenze pubblicistiche di
assicurare un uso armonico del territorio, volto alla
soddisfazione della pluralità di esigenze di vita e, non
ultimo, del diritto alla salute di tutti i cittadini.
Ed in tale contesto è appena il caso di osservare che, a
differenti destinazioni dell’immobile edificato, ben possono
(anzi, ragionevolmente, “debbono”) corrispondere
superfici di diversa entità da considerare “vincolate
nella destinazione” al predetto immobile (in quanto
condizioni per la sua edificazione), e, dunque, secondo i
principi sin qui esposti, ormai “sfruttate” e non più
computabili per ulteriori ed eventuali possibilità
edificatorie.
6.7. Nel caso di specie, la superficie complessiva del
lotto, pari a mq. 4065, ha già visto la realizzazione di un
fabbricato (destinato ad albergo, poi a scuola) di mc.
3415,64 (oltre la volumetria interrata pari a mc. 2131,50) e
di una superficie pavimentata lorda complessiva di mq.
1761,64 (tale estensione, affermata dall’appellante, non è
contestata dall’appellato).
Ne consegue che, applicando gli standard ex art. 5 D.M. n.
1444/1968, la superficie da destinare a parcheggio è pari a
mq. 1409,31; mentre le aree da destinare a parcheggi ex art.
41-sexies sono pari a mq. 341,56, per un totale di
superficie destinata pari a mq. 1750,87.
Detraendo tale superficie da quella complessiva del lotto
(4065 – 1750,64), la superficie residua, sulla quale
applicare l’indice di fabbricabilità fondiario, è di mq.
2314,36, che sviluppa, dunque (mq. 2314,36 x 1,5 mc), una
volumetria di mc. 3471,54 (di poco superiore a quella già
esistente sul lotto).
Da ciò consegue, pertanto, l’intervenuto esaurimento del
lotto e la illegittimità del permesso di costruire n.
5097/2015.
6.8. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere
accolto nei limiti sopra precisati e, per l’effetto, in
riforma della sentenza n. 2665/2015 impugnata, deve essere
accolto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con
conseguente annullamento del permesso di costruire n.
5097/2015, rilasciato dal Comune di Agropoli (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.11.2017 n. 5419 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150,
il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale,
l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in
particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio
comunale con la precisazione delle zone destinate
all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei
vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano “servono a conformare l’edificazione
futura e non anche le costruzioni esistenti al momento
dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante”, ciò
facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo
indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei
suoli.
---------------
La “densità edilizia territoriale” è riferita a
ciascuna zona omogenea e definisce il carico complessivo di
edificazione che può gravare sull’intera zona; viceversa, la
“densità edilizia fondiaria” è riferita alla singola
area e definisce il volume massimo su di essa edificabile.
La differenza consiste nel fatto che la densità edilizia
territoriale, riferendosi a ciascuna zona omogenea dello
strumento di pianificazione, definisce il complessivo carico
di edificazione che può gravare su ciascuna zona stessa, per
cui il relativo indice è rapportato all’intera superficie
della zona, ivi compresi gli spazi pubblici, quelli
destinati alla viabilità, ecc.; viceversa, la densità
edilizia fondiaria, concernendo la singola area e
definendo il volume massimo edificabile sulla stessa,
implica che il relativo indice sia rapportato all’effettiva
superficie suscettibile di edificazione ed è a tale indice
che occorre fare concreto riferimento ai fini della
individuazione della volumetria effettivamente assentibile
con il permesso di costruire.
---------------
6.3.Il Collegio,
ai fini della decisione della presente controversia, deve
richiamare alcune considerazioni, già svolte da questo
Consiglio di Stato (sez. IV, 20.07.2016 n. 3246; 09.07.2011
n. 4134, di recente riaffermate con sentenza 20.07.2017 n.
3573) e che devono essere riconfermate nella presente sede.
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune
disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto
urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare
prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale
con la precisazione delle zone destinate all'espansione
dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei
caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano, come questo Consiglio di Stato ha
già avuto modo di affermare, “servono a conformare
l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti
al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua
variante” (Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009),
ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo
indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei
suoli (Cons. Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
In tale contesto, come affermato dalla giurisprudenza (Cons.
Stato, sez. IV, 08.01.2013 n. 32) “la “densità edilizia
territoriale” è riferita a ciascuna zona omogenea e
definisce il carico complessivo di edificazione che può
gravare sull’intera zona; viceversa, la “densità edilizia
fondiaria” è riferita alla singola area e definisce il
volume massimo su di essa edificabile”.
La differenza consiste nel fatto che la densità edilizia
territoriale, riferendosi a ciascuna zona omogenea dello
strumento di pianificazione, definisce il complessivo carico
di edificazione che può gravare su ciascuna zona stessa, per
cui il relativo indice è rapportato all’intera superficie
della zona, ivi compresi gli spazi pubblici, quelli
destinati alla viabilità, ecc.; viceversa, la densità
edilizia fondiaria, concernendo la singola area e definendo
il volume massimo edificabile sulla stessa, implica che il
relativo indice sia rapportato all’effettiva superficie
suscettibile di edificazione ed è a tale indice che occorre
fare concreto riferimento ai fini della individuazione della
volumetria effettivamente assentibile con il permesso di
costruire (cfr., sul punto e per concludere, Cons. Stato,
Ad. plen., 23.04.2009, n. 3; Cass. civ., sez. I, 26.09.2016,
n. 18841) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.11.2017 n. 5419 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
La rinnovazione del piano regolatore (anche
quando prevede nuovi e più favorevoli indici di
edificabilità), può interessare, nell'ambito della zona del
territorio considerata dallo strumento urbanistico, solo le
aree libere, con esclusione di quelle comunque già
utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si
presentino fisicamente libere da immobili.
Nel caso di realizzazione di manufatti edilizi, la cui
volumetria è calcolata sulla base anche di un'area
accorpata, l'intera estensione interessata, infatti, deve
essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con
l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più
edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di
alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto.
---------------
Lo strumento urbanistico, nel disporre le conformazioni del
territorio, considera le sole aree libere e più precisamente
quelle che non risultano già edificate in quanto costituenti
aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di
urbanizzazione, diversamente opinando "ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo".
Pertanto, quando un'area edificabile viene successivamente
frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria
disponibile nell'intera area permane invariata; di
conseguenza, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata
sul fondo originario una o più costruzioni, i proprietari
dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato,
hanno a disposizione solo la volumetria che eventualmente
residua tenuto conto di quanto originariamente costruito.
---------------
5c. Giova soggiungere che la rinnovazione del piano
regolatore (anche quando prevede nuovi e più favorevoli
indici di edificabilità), può interessare, nell'ambito della
zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico,
solo le aree libere, con esclusione di quelle comunque già
utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si
presentino fisicamente libere da immobili.
Nel caso di realizzazione di manufatti edilizi, la cui
volumetria è calcolata sulla base anche di un'area
accorpata, l'intera estensione interessata, infatti, deve
essere considerata utilizzata ai fini edificatori, con
l'effetto che anche l'area asservita o accorpata non è più
edificabile, anche se è oggetto di un frazionamento o di
alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto.
5d. Lo strumento urbanistico, nel disporre le conformazioni
del territorio, considera le sole aree libere e più
precisamente quelle che non risultano già edificate in
quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate
per opere di urbanizzazione, diversamente opinando "ogni
nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo" (Consiglio di Stato, Sez. IV,
20/07/2016 n. 3246).
5e. Pertanto, quando un'area edificabile viene
successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, la volumetria disponibile nell'intera area
permane invariata; di conseguenza, nell'ipotesi in cui sia
stata già realizzata sul fondo originario una o più
costruzioni, i proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la
volumetria che eventualmente residua tenuto conto di quanto
originariamente costruito.
Conclusivamente l'appello è del tutto infondato e va
respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.08.2017 n. 3949 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150,
il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale,
l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in
particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio
comunale con la precisazione delle zone destinate
all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei
vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano “servono a conformare l’edificazione
futura e non anche le costruzioni esistenti al momento
dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante”, ciò
facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo
indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei
suoli.
---------------
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di
pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, è del
tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le
future conformazioni del territorio, considera le sole “aree
libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al
momento della pianificazione, e ancor più precisamente
quelle che non risultano già edificate (in quanto
costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per
opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto
degli standard urbanistici, risultano comunque già
utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla
realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo
volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a
considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da presenze
materiali, e non già come un bene da conformare per il
migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso
vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale
modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più
favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare,
nell’ambito della zona del territorio considerata dallo
strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso
sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree
comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le
stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili.
--------------
E' stato affermato che "un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non
può essere più tenuta in considerazione come area libera,
neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda
concessione nella perdurante esistenza del primo edificio,
irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà
dei terreni”.
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata,
l'intera estensione interessata deve essere considerata
utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche
l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se
è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata
dall'area su cui insiste il manufatto".
--------------
Proprio perché il piano regolatore (e le sue successive
modificazioni) considerano le sole aree libere, eventuali
variazioni degli indici di fabbricazione in melius (cioè più
favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare
aree già utilizzate a fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei
predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur
essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non
siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché
esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi
della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti,
nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in
quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel
secondo l’area è libera, posta la sua non ancora
intervenuta utilizzazione.
---------------
3.2. Il Collegio, ai fini della decisione della presente
controversia, deve richiamare alcune considerazioni, già
svolte da questo Consiglio di Stato (sez. IV, 20.07.2016 n.
3246; 09.07.2011 n. 4134) e che devono essere riconfermate
nella presente sede.
Ai sensi dell’art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune
disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto
urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare
prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale
con la precisazione delle zone destinate all'espansione
dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei
caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Le previsioni del Piano, come questo Consiglio di Stato ha
già avuto modo di affermare, “servono a conformare
l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti
al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua
variante” (Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009),
ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo
indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei
suoli (Cons. Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Orbene, proprio per le sue caratteristiche di strumento di
pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, è del
tutto evidente che lo strumento urbanistico, nel disporre le
future conformazioni del territorio, considera le sole “aree
libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili”
al momento della pianificazione, e ancor più precisamente
quelle che non risultano già edificate (in quanto
costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per
opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto
degli standard urbanistici, risultano comunque già
utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla
realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo
volumetrico).
D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a
considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da presenze
materiali, e non già come un bene da conformare per il
migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso
vivono ed operano.
Quanto sin qui esposto, comporta che l’eventuale
modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più
favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare,
nell’ambito della zona del territorio considerata dallo
strumento urbanistico, se non le sole aree libere, nel senso
sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree
comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le
stesse si presentino “fisicamente” libere da
immobili.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto, peraltro, modo di
affermare che "un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non
può essere più tenuta in considerazione come area libera,
neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda
concessione nella perdurante esistenza del primo edificio,
irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà
dei terreni” (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000 n. 749).
Più in particolare, si è precisato che “in ipotesi di
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata,
l'intera estensione interessata deve essere considerata
utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche
l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se
è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata
dall'area su cui insiste il manufatto" (Cons. Stato,
sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV, 06.09.1999 n. 1402).
Quanto esposto, comporta che, proprio perché il piano
regolatore (e le sue successive modificazioni) considerano
le sole aree libere, eventuali variazioni degli indici di
fabbricazione in melius (cioè più favorevoli ai
privati proprietari) non possono riguardare aree già
utilizzate a fini edificatori.
Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei
predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur
essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non
siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché
esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi
della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti,
nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in
quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel
secondo l’area è libera, posta la sua non ancora
intervenuta utilizzazione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.07.2017 n. 3573 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Parere in merito alla possibilità di consentire
il trasferimento di diritti edificatori – Comune di Colonna (Regione
Lazio,
nota 15.06.2017 n. 305497 di
prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ove una determinata area sia stata
considerata ai fini dell’indice fondiario di fabbricazione,
ogni ulteriore costruzione che interessi in tutto o in parte
l’area stessa, anche se quest’ultima sia stata
successivamente divisa, deve tener conto dei volumi
realizzati sull’intero lotto considerato ai fini della
precedente concessione”, diversamente consentendosi “il
superamento della densità edilizia voluta dallo strumento
urbanistico”, e legittimando “un differente ed inammissibile
regime edilizio tra aree che sono rimaste in titolarità allo
stesso proprietario, e quelle che invece siano state
frazionate a seguito di interventi edilizi sulle stesse.
Invero, nel caso in
cui un lotto urbanisticamente unitario sia già stato oggetto
di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua, o la
superficie coperta residua, va infatti calcolata previo
decurtamento di quella in precedenza realizzata.
Un'area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è infatti suscettibile di ulteriore edificazione
solo quando la costruzione su di essa realizzata non
esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente
al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di
costruire, dovendosi considerare non solo la superficie
libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la
cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare
se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie
scoperta più superficie impegnata dalla costruzione
preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa
insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
Lotto urbanistico e lotto catastale esprimono infatti
concetti diversi, essendo il primo imperniato sulla
fruibilità urbanistica del suolo, e pertanto, sulla
omogeneità della destinazione urbanistica del terreno, che
ben può essere composto da una pluralità di numeri di mappale
o particelle catastali. Il lotto edificabile integra dunque
uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale, ben
potendo il lotto edificabile essere formato da appezzamenti
di terreno appartenenti a diversi proprietari, e perfino tra
loro non contigui, che viene individuato dagli strumenti
urbanistici, sulla base degli indici edificatori previsti
dalla normativa urbanistica.
Conseguentemente, è irrilevante, sotto il profilo
urbanistico, la ripartizione di un lotto unitario in più
particelle catastali, di modo che, ai fini del rilascio di
un titolo edilizio per la costruzione di nuovi volumi, è
necessario considerare nel computo degli indici di
fabbricazione anche i manufatti già esistenti sull'intera
area di proprietà, pur se ricadenti in particelle catastali
distinte da quella oggetto di intervento.
---------------
II) In primo luogo, osserva il Collegio che la citata
sentenza n. 372/1993, resa tra le medesime parti, e con
riferimento ad un progetto edilizio insistente sull’area
oggetto del presente giudizio, pronunciandosi
sull’interpretazione del citato art. 6.14.1 delle N.T.A., ha
affermato che “ove una determinata area sia stata
considerata ai fini dell’indice fondiario di fabbricazione,
ogni ulteriore costruzione che interessi in tutto o in parte
l’area stessa, anche se quest’ultima sia stata
successivamente divisa, deve tener conto dei volumi
realizzati sull’intero lotto considerato ai fini della
precedente concessione”, diversamente consentendosi “il
superamento della densità edilizia voluta dallo strumento
urbanistico”, e legittimando “un differente ed inammissibile
regime edilizio tra aree che sono rimaste in titolarità allo
stesso proprietario, e quelle che invece siano state
frazionate a seguito di interventi edilizi sulle stesse”.
III) I principi affermati in detta sentenza, per quanto
contraddetti dall’isolata pronuncia del Consiglio di Stato
invocata dalla ricorrente (n. 5194/2002), sono condivisi dal
Collegio, oltre che dalla giurisprudenza pressoché unanime.
Diversamente da quanto sostenuto dall’istante, nel caso in
cui un lotto urbanisticamente unitario sia già stato oggetto
di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua, o la
superficie coperta residua, va infatti calcolata previo
decurtamento di quella in precedenza realizzata (C.S., Sez.
IV, 22.05.2012, n. 2941, TAR Lombardia, Milano, Sez., II,
n. 2652/2015).
Un'area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è infatti suscettibile di ulteriore edificazione
solo quando la costruzione su di essa realizzata non
esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente
al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di
costruire, dovendosi considerare non solo la superficie
libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la
cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare
se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie
scoperta più superficie impegnata dalla costruzione
preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa
insistere su una parte del lotto catastalmente divisa (C.S.,
Sez. V, 12.07.2005 n. 3777, n. 5039/2004, n. 1074/2001).
IV) Lotto urbanistico e lotto catastale esprimono infatti
concetti diversi, essendo il primo imperniato sulla
fruibilità urbanistica del suolo, e pertanto, sulla
omogeneità della destinazione urbanistica del terreno, che
ben può essere composto da una pluralità di numeri di
mappale o particelle catastali. Il lotto edificabile integra
dunque uno spazio fisico che prescinde dal profilo
dominicale, ben potendo il lotto edificabile essere formato
da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi
proprietari, e perfino tra loro non contigui, che viene
individuato dagli strumenti urbanistici, sulla base degli
indici edificatori previsti dalla normativa urbanistica
(C.S. Sez. V, 09.03.2015, n. 1161, C.S., Sez. V, 13.09.2013, n.
4531).
Conseguentemente, è irrilevante, sotto il profilo
urbanistico, la ripartizione di un lotto unitario in più
particelle catastali, di modo che, ai fini del rilascio di
un titolo edilizio per la costruzione di nuovi volumi, è
necessario considerare nel computo degli indici di
fabbricazione anche i manufatti già esistenti sull'intera
area di proprietà, pur se ricadenti in particelle catastali
distinte da quella oggetto di intervento (C.S., Sez. V,
27.06.2006, n. 4117) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 26.05.2017 n. 1191 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
In ipotesi di realizzazione di un manufatto
edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di
un'area asservita o accorpata, l'intera estensione
interessata deve essere considerata utilizzata ai fini
edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o
accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un
frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui
insiste il manufatto.
---------------
12.8. I rilievi ora esposti si pongono nel solco di una
giurisprudenza consolidata, giacché, "in ipotesi di
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata,
l'intera estensione interessata deve essere considerata
utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche
l'area asservita o accorpata non è più edificabile, anche se
è oggetto di un frazionamento o di alienazione separata
dall'area su cui insiste il manufatto" (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 06.09.1999, n. 1402; sez. V, 07.11.2002, n.
6128; sez. IV, 20.07.2016, n. 3246) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 22.11.2016 n. 4891 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
trasferimento di cubatura, riconosciuto dal legislatore
statale come schema negoziale tipico (recependo l’istituto
già affermatosi nella prassi dei mercatores immobiliari)
–nell’esplicazione della potestà legislativa esclusiva
attribuita allo Stato in materia di ordinamento civile–,
deve ritenersi generalmente ammesso, salvo che la normativa
settoriale urbanistica ovvero gli strumenti di
pianificazione territoriale lo vietino per particolari
ragioni o lo assoggettino a particolari condizioni, in tal
senso dovendo essere inteso il rinvio del novellato art.
2643, n. 2-bis), cod. civ., alle «normative statali o
regionali», ovvero agli «strumenti di pianificazione
territoriale» (in altri termini, il trasferimento di diritti
edificatori trova il proprio limite, oltre che in eventuali
discipline speciali della legislazione urbanistica, nelle
statuizioni degli strumenti urbanistici, i quali potrebbero
vietare tali operazioni per alcune aree, oppure contenere
previsioni inerenti alla determinazione della volumetria
realizzabile fondata su criteri incompatibili con il suo
trasferimento).
---------------
Nella specie non può ritenersi ostativo al trasferimento di
diritti edificatori la previsione dell’art. 15 delle n.t.a.
al p.u.c. –che, per la «zona residenziale B4 - zona di
completamento», stabilisce l’indice della «densità edilizia
massima» di 2,20 mc/mq, intendendosi per ‘densità edilizia’
«il rapporto (mc/mq) tra la cubatura urbanistica
realizzabile fuori terra e la relativa superficie catastale
del lotto edificatorio» (v., così, la definizione contenuta
nell’art. 1 delle n.t.a. al p.u.c.)–, poiché, in difetto di
espresso divieto, la densità edificatoria del singolo lotto
può essere ridistribuita, con lo strumento del trasferimento
di diritti edificatori (olim, cessione di cubatura), tra i
vari lotti di una stessa zona omogenea, nel rispetto
dell’indice territoriale dell’intera zona e del relativo
complessivo carico urbanistico.
Con riguardo al previgente istituto pretorio della cessione
di cubatura, ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 19.04.2013, n.
2220, secondo cui l’asservimento della volumetria da un
lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore
edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree
aventi una medesima destinazione urbanistica, posto che,
diversamente, si verificherebbe un’evidente alterazione
delle caratteristiche tipologiche della zona tutelate dalle
norme urbanistiche, con la conseguenza che, in quel caso, è
stato ritenuto inammissibile un trasposto di cubatura tra le
sottozone F2 e F3, in quanto aventi indici di edificabilità
diverse, e trattandosi quindi di zone disomogenee.
Invero, negare la possibilità del trasferimento di diritti
edificatori nell’ambito di una stessa zona omogenea, con la
motivazione del mancato rispetto del parametro dell’indice
edificatorio fondiario del lotto beneficiario, equivarrebbe
ad una sostanziale abrogazione dell’istituto introdotto dal
citato art. 5 d.l. n. 50/2011, perseguendo l’istituto in
esame il precipuo fine di aumentare la capacità edificatoria
del lotto di proprietà del cessionario, anche e proprio nei
casi in cui la capacità edificatorio del lotto sia già
esaurita, ché, diversamente, non sarebbe necessario
l’acquisto di diritti edificatori provenienti da altro
immobile (il tutto, purché venga rispettato l’indice
territoriale dell’intera zona).
---------------
Orbene, ritiene il collegio che, contrariamente a quanto
affermato dal T.r.g.a., deve ritenersi ammissibile e
legittimo, sotto un profilo urbanistico-edilizio, il
trasferimento della cubatura di 60 mc + 32 mc, dalla p.m. 14
della p.ed. 1544 e, rispettivamente, dalla p.m. 4 della
p.ed. 714, alla p.m. 10 della p.ed. 1782, in quanto:
- tutti gli immobili interessati dal trasferimento di
cubatura –sia quelli a quibus, sia quello ad quem–
sono ubicati nella stessa zona omogenea, quale
territorialmente delimitata nel piano di zonizzazione del
p.u.c. di Brunico, urbanisticamente qualificata come ‘zona
residenziale B4 - zona di completamento’ (v. estratto
del piano di zonizzazione, in atti);
- dalla documentazione catastale (v. «visura catastale
particelle validate», in atti) emerge che le p.ed. 714 e
1544 confinano con la p.ed. 1782 e che, in particolare, la
p.m. 10 della p.e.d 1782 è frapposta tra le due particelle
da cui proviene la cubatura trasferita, sicché gli immobili
devono ritenersi tra di loro contigui per gli effetti
urbanistici, essendo anche tali lotti ubicati nella medesima
zona servita dalle medesime opere di urbanizzazione, e
avendo gli stessi la medesima destinazione residenziale
(impressa alla p.m. 10 dalle gravate concessioni);
- la ridistribuzione della volumetria tra i fondi, per
effetto dei contratti di cessione stipulati tra i relativi
proprietari, non altera pertanto il carico urbanistico della
zona, lasciandone al contempo inalterata la densità
territoriale complessiva;
- il trasferimento di cubatura, riconosciuto dal legislatore
statale come schema negoziale tipico (recependo l’istituto
già affermatosi nella prassi dei mercatores
immobiliari) –nell’esplicazione della potestà legislativa
esclusiva attribuita allo Stato in materia di ordinamento
civile–, deve ritenersi generalmente ammesso, salvo che la
normativa settoriale urbanistica (nella specie viene in
rilievo la disciplina provinciale, rientrando l’urbanistica
nelle materie attribuite alla competenza primaria delle
province autonome) ovvero gli strumenti di pianificazione
territoriale lo vietino per particolari ragioni o lo
assoggettino a particolari condizioni, in tal senso dovendo
essere inteso il rinvio del novellato art. 2643, n. 2-bis),
cod. civ., alle «normative statali o regionali»,
ovvero agli «strumenti di pianificazione territoriale»
(in altri termini, il trasferimento di diritti edificatori
trova il proprio limite, oltre che in eventuali discipline
speciali della legislazione urbanistica, nelle statuizioni
degli strumenti urbanistici, i quali potrebbero vietare tali
operazioni per alcune aree, oppure contenere previsioni
inerenti alla determinazione della volumetria realizzabile
fondata su criteri incompatibili con il suo trasferimento);
- nella specie non può ritenersi ostativo al trasferimento
di diritti edificatori la previsione dell’art. 15 delle
n.t.a. al p.u.c. –che, per la «zona residenziale B4 -
zona di completamento», stabilisce l’indice della «densità
edilizia massima» di 2,20 mc/mq, intendendosi per ‘densità
edilizia’ «il rapporto (mc/mq) tra la cubatura
urbanistica realizzabile fuori terra e la relativa
superficie catastale del lotto edificatorio» (v., così,
la definizione contenuta nell’art. 1 delle n.t.a. al p.u.c.)–,
poiché, in difetto di espresso divieto, la densità
edificatoria del singolo lotto può essere ridistribuita, con
lo strumento del trasferimento di diritti edificatori (olim,
cessione di cubatura), tra i vari lotti di una stessa zona
omogenea, nel rispetto dell’indice territoriale dell’intera
zona e del relativo complessivo carico urbanistico (v., su
tali principi, Cons. Stato, Sez. VI, 08.04.2016, n. 1398,
relativa ad una fattispecie analoga concernente una vicenda
urbanistico-edilizia in un comune limitrofo a quello di
Brunico; v. altresì, con riguardo al previgente istituto
pretorio della cessione di cubatura, ex plurimis,
Cons. St., Sez. V, 19.04.2013, n. 2220, secondo cui
l’asservimento della volumetria da un lotto a favore di un
altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è
consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima
destinazione urbanistica, posto che, diversamente, si
verificherebbe un’evidente alterazione delle caratteristiche
tipologiche della zona tutelate dalle norme urbanistiche,
con la conseguenza che, in quel caso, è stato ritenuto
inammissibile un trasposto di cubatura tra le sottozone F2 e
F3, in quanto aventi indici di edificabilità diverse, e
trattandosi quindi di zone disomogenee);
- negare la possibilità del trasferimento di diritti
edificatori nell’ambito di una stessa zona omogenea, con la
motivazione del mancato rispetto del parametro dell’indice
edificatorio fondiario del lotto beneficiario, equivarrebbe
ad una sostanziale abrogazione dell’istituto introdotto dal
citato art. 5 d.l. n. 50/2011, perseguendo l’istituto in
esame il precipuo fine di aumentare la capacità edificatoria
del lotto di proprietà del cessionario, anche e proprio nei
casi in cui la capacità edificatorio del lotto sia già
esaurita, ché, diversamente, non sarebbe necessario
l’acquisto di diritti edificatori provenienti da altro
immobile (il tutto, purché venga rispettato l’indice
territoriale dell’intera zona);
- alla stregua di quanto sopra, nella fattispecie sub
iudice il trasferimento dei diritti edificatori deve
ritenersi legittimo
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.11.2016 n. 4861 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La cessione di cubatura o asservimento è un
istituto utilizzabile in sede di rilascio di concessioni
edilizie (oggi: permesso di costruire) e la giurisprudenza
amministrativa, nonché quella penale, è concorde nel
ritenere che essa sia utilizzabile, in presenza di
particolari condizioni e limiti, per cui può avvenire solo
tra fondi:
- compresi nella medesima zona urbanistica ed aventi la stessa
destinazione urbanistica, in quanto, se così non fosse,
nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe
determinarsi un superamento della densità edilizia massima
consentita dallo strumento urbanistico;
- contigui, nel senso che, anche qualora non si riscontri la
continuità fisica tra tutte le particelle catastali
interessate dalla nuova costruzione, sussista pur sempre,
comunque, una "effettiva e significativa vicinanza tra i
fondi asserviti".
La pratica contrattuale conosce da tempo accordi fra privati
proprietari (cd. "trasferimenti di cubatura") mediante i
quali uno di essi "cede" ad un altro la facoltà di
edificare, esistente sul suo terreno secondo le norme
urbanistiche, affinché il cessionario possa avvalersi di
tale facoltà per ottenere dal Comune, in sede di rilascio
del permesso di costruire, l'autorizzazione a realizzare un
volume edilizio maggiore di quello che gli spetterebbe, sul
terreno di sua proprietà, secondo le previsioni della
pianificazione vigente.
In taluni casi, però, lo strumento urbanistico può contenere
specifiche limitazioni in ordine a tipologie edilizie o alla
densità abitativa, perché in presenza di limitazioni
siffatte il trasferimento di cubatura deve ritenersi non
consentito.
Ciò significa che deve ritenersi inammissibile il
trasferimento di cubatura a fronte di una norma di piano che
per le zone agricole, non ammette costruzioni in lotti di
dimensioni inferiori ad un limite minimo fissato dal piano
medesimo, in quanto la ratio di una disposizione siffatta si
connette al prefigurato regime di edificazione nelle zone
agricole ed al nesso di funzionalità delle costruzioni
ammissibili rispetto alla gestione di aziende agricole.
---------------
Come già evidenziato da questo Tar (sentenza n. 1657/2014),
la cessione di cubatura o asservimento è un istituto
utilizzabile in sede di rilascio di concessioni edilizie
(oggi: permesso di costruire) e la giurisprudenza
amministrativa, nonché quella penale, è concorde nel
ritenere che essa sia utilizzabile, in presenza di
particolari condizioni e limiti, per cui può avvenire solo
tra fondi:
- compresi nella medesima zona urbanistica ed aventi la stessa
destinazione urbanistica, in quanto, se così non fosse,
nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe
determinarsi un superamento della densità edilizia massima
consentita dallo strumento urbanistico (vedi C. Stato, sez.
5^: 03.03.2003, n. 1172);
- contigui, nel senso che, anche qualora non si riscontri la
continuità fisica tra tutte le particelle catastali
interessate dalla nuova costruzione, sussista pur sempre,
comunque, una "effettiva e significativa vicinanza tra i
fondi asserviti" (vedi C. Stato, sez. 5^: 30.10.2003, n.
6734; 01.04.1998, n. 400).
La pratica contrattuale conosce da tempo accordi fra privati
proprietari (cd. "trasferimenti di cubatura")
mediante i quali uno di essi "cede" ad un altro la
facoltà di edificare, esistente sul suo terreno secondo le
norme urbanistiche, affinché il cessionario possa avvalersi
di tale facoltà per ottenere dal Comune, in sede di rilascio
del permesso di costruire, l'autorizzazione a realizzare un
volume edilizio maggiore di quello che gli spetterebbe, sul
terreno di sua proprietà, secondo le previsioni della
pianificazione vigente.
In taluni casi, però, lo strumento urbanistico può contenere
specifiche limitazioni in ordine a tipologie edilizie o alla
densità abitativa, perché in presenza di limitazioni
siffatte il trasferimento di cubatura deve ritenersi non
consentito. Ciò significa che deve ritenersi inammissibile
il trasferimento di cubatura a fronte di una norma di piano
che per le zone agricole, non ammette costruzioni in lotti
di dimensioni inferiori ad un limite minimo fissato dal
piano medesimo, in quanto la ratio di una disposizione
siffatta si connette al prefigurato regime di edificazione
nelle zone agricole ed al nesso di funzionalità delle
costruzioni ammissibili rispetto alla gestione di aziende
agricole.
Nella vicenda in esame, non viene esclusa la possibilità di
asservimento a fini residenziali tra aree contigue, ma che
detta possibilità sia riservata, ai sensi della l.r.c. n.
14/1982 esclusivamente agli imprenditori agricoli a titolo
principale, qualifica soggettiva che i ricorrenti non
possiedono.
Anche il Tar Campania -Sede di Napoli- ha evidenziato che il
punto 1.8 del Titolo II, della L.Reg. 20.03.1982 n. 14
prevede che “Nelle zone agricole la concessione ad
edificare per le residenze può essere rilasciata per la
conduzione del fondo esclusivamente ai proprietari
coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia,
ovvero ai proprietari concedenti, nonché agli affittuari o
mezzadri aventi diritto a sostituirsi al proprietario
nell'esecuzione delle opere e considerati imprenditori
agricoli titolo principale ai sensi dell'art. 12 della L.
09.05.1975, n. 153”.
Dalla richiamata disposizione emerge che il rilascio del
permesso di costruire fabbricati rurali in zone agricole è
subordinato ad un duplice requisito: il primo
di natura soggettiva, costituito dallo status di
proprietario coltivatore diretto, proprietario conduttore in
economia, proprietario concedente, imprenditore agricolo,
il secondo di natura oggettiva, rappresentato dal
rapporto di strumentalità delle opere alla coltivazione del
fondo.
La ratio della previsione è ovviamente quella di
evitare che qualsiasi individuo, benché sprovvisto della
qualità di coltivatore, possa legittimamente costruire un
immobile ad uso residenziale in zona agricola. Ciò avrebbe
l’evidente conseguenza di consentire la trasformazione di
una zona agricola, tutelata dall’ordinamento, in un’area
sostanzialmente residenziale e si porrebbe quindi in
contrasto con la ratio della disciplina vincolistica
che è volta allo scopo di attuare un equilibrato
componimento tra le contrapposte esigenze, da un lato,
consentire una razionale possibilità di sfruttamento
edilizio delle aree agricole per scopi di sviluppo economico
e, dall’altro, garantire la loro destinazione esclusiva ad
attività agronomiche (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII,
24.01.2014 n. 598).
La medesima disposizione regionale statuisce che “Per le
necessità abitative dell'imprenditore agricolo a titolo
principale è consentito l'accorpamento di lotti di terreni
non contigui a condizione che sull'area asservita venga
trascritto, presso la competente Conservatoria Immobiliare,
vincolo di inedificabilità a favore del Comune da riportare
successivamente su apposita mappa catastale depositata
presso l'Ufficio tecnico comunale”.
Quindi, l’asservimento è concesso al solo imprenditore
agricolo a titolo principale (TAR Campania, Napoli, Sez.
VIII, 24.01.2014 n. 598) e per le sue necessità abitative:
difatti, per le altre categorie (proprietari coltivatori
diretti, proprietari conduttori in economia, proprietari
concedenti) la normativa regionale non contiene alcun
riferimento all’istituto dell’asservimento né alcun rinvio
alla pregressa previsione dettata per l’imprenditore
agricolo.
Da tali conclusioni il Collegio non ha motivi per
discostarsi.
Nella fattispecie in esame non è dimostrato che i ricorrenti
siano in possesso dei citati requisiti di legge, non
rivestendo la qualità di imprenditore agricolo professionale
di cui all’art. 1 del D.Lgs. 29.03.2004 n. 99, come
modificato dal D.Lgs. 27.05.2005 n. 101, secondo “…è
imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in
possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi
dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del
17.05.1999, del Consiglio, dedichi alle attività agricole di
cui all' articolo 2135 del codice civile, direttamente o in
qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento
del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle
attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio
reddito globale da lavoro. Le pensioni di ogni genere, gli
assegni ad esse equiparati, le indennità e le somme
percepite per l'espletamento di cariche pubbliche, ovvero in
associazioni ed altri enti operanti nel settore agricolo,
sono escluse dal computo del reddito globale da lavoro…” (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 19.07.2016 n. 1675 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diritto di edificare inerisce alla proprietà
dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la
densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è
conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è
idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita dalla legge (art. 4, u.c., L. 28.01.1977, n. 10)
e dallo strumento urbanistico, e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui
"un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa".
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario
sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi
verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo
dell'originario unico proprietario.
---------------
Ai sensi dell' art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune
disciplina, con il Piano regolatore generale, l'assetto
urbanistico dell'intero territorio comunale, in particolare
prevedendo "la divisione in zone del territorio comunale con
la precisazione delle zone destinate all'espansione
dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei
caratteri da osservare in ciascuna zona".
Le previsioni del Piano servono a conformare l'edificazione
futura e non anche le costruzioni esistenti al momento
dell'entrata in vigore del Piano o di una sua variante, ciò
facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo
indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei
suoli.
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di
pianificazione e di indicazione delle sue possibilità di
utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico,
nel disporre le future conformazioni del territorio,
considera le sole "aree libere", tali dovendosi ritenere
quelle "disponibili" al momento della pianificazione, e
ancor più precisamente quelle che non risultano già
edificate (in quanto costituenti aree di sedime di
fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero
quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici,
risultano comunque già utilizzate per l'edificazione (in
quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde
consentirne lo sviluppo volumetrico).
D'altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a
considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da presenze
materiali, e non già come un bene da conformare per il
migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso
vivono ed operano.
Sicché, l'eventuale modificazione del piano regolatore, che
prevede nuovi e più favorevoli indici di fabbricazione, non
può che interessare, nell'ambito della zona del territorio
considerata dallo strumento urbanistico, le sole aree
libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi,
di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo
edificatorio, ancorché le stesse si presentino "fisicamente"
libere da immobili.
---------------
Un'area edificabile, già interamente considerata in
occasione del rilascio di una concessione edilizia agli
effetti della volumetria realizzabile, non può essere più
tenuta in considerazione come area libera, neppure
parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda
concessione nella perdurante esistenza del primo edificio,
irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà
dei terreni.
Più in particolare, è stato, sempre in giurisprudenza,
precisato che in ipotesi di realizzazione di un manufatto
edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di
un'area asservita o accorpata, l'intera estensione
interessata deve essere considerata utilizzata ai fini
edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o
accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un
frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui
insiste il manufatto.
Né il vincolo che deriva dall’utilizzo della volumetria su
una determinata area necessita specifiche previsioni o atti.
Infatti, quando la normativa urbanistica impone limiti di
volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis dalla
sua utilizzazione, sulla base della concessione edilizia,
senza la necessità di strumenti negoziali privatistici (atto
d'obbligo, trascrizione, ecc.).
Questi ultimi, invece, devono sussistere solo quando il
proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un
altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria
maggiore di quella che il suo solo terreno gli
consentirebbe, oppure, ancora, quando siffatto asservimento
sia, per così dire, reciproco, nel senso che i proprietari
di più terreni li asservano unitariamente alla realizzazione
di un unico progetto, ai fini della quale i rispettivi lotti
perdono, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la loro
"individualità". Tale vincolo rimane così cristallizzato nel
tempo.
Gli effetti derivanti dal vincolo creato dall'asservimento
di un fondo, in caso di edificazione, integrando una qualità
oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed
irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle
potenzialità edificatorie dell'area asservita, con
permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di
chiunque ne sia il proprietario.
---------------
1) Il ricorso si rivela infondato.
2) Parte ricorrente lamenta i criteri di determinazione da
parte dell’amministrazione della volumetria realizzabile
sull’area di sua proprietà e, in particolare, afferma che
l’indice di fabbricabilità andasse calcolato sulla sola base
della volumetria realizzata (e quella assentibile) nell’area
classificata B1 dal nuovo piano regolatore, senza tener
conto di quanto in precedenza realizzato anche nell’area ora
F5, e invece valutando che il frazionamento dell’area
dall’originaria particella 5189 era precedente alle
modifiche di PRG, che aveva ripianificato la zona in
questione e devoluto ex novo una parte dell’originaria area
a questa nuova destinazione.
L’intervenuto nuovo strumento urbanistico avrebbe stabilito
un indice di fabbricabilità fondiaria autonomo interamente
sfruttabile nell’area in questione, senza la necessità di
tener presente quanto in precedenza costruito su altro lotto
(ancorché le due aree costituissero inizialmente un’unica
entità), poi assoggettato a differente destinazione
urbanistica.
Le doglianze formulate non possono essere accolte.
Al riguardo, deve considerarsi che, secondo consolidati
principi espressi dalla giurisprudenza, il diritto di
edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti
stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte
Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare
la densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è
conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è
idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita dalla legge (art. 4, u.c., L. 28.01.1977, n. 10)
e dallo strumento urbanistico, e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione" (Cons. Stato Sez. IV,
26/09/2008, n. 4647; Cons. di Stato, sez. V, 12.07.2004 n.
5039), "a nulla rilevando che questa possa insistere su
una parte del lotto catastalmente divisa" (Cons. di
Stato, sez. V, 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario
sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi
verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo
dell'originario unico proprietario (Cons. Stato, sez. V,
26.11.1994 n. 1382).
Ai sensi dell' art. 7 della l. 17.08.1942 n. 1150, il Comune
disciplina, con il Piano regolatore generale, l'assetto
urbanistico dell'intero territorio comunale, in particolare
prevedendo "la divisione in zone del territorio comunale
con la precisazione delle zone destinate all'espansione
dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei
caratteri da osservare in ciascuna zona".
Le previsioni del Piano servono a conformare l'edificazione
futura e non anche le costruzioni esistenti al momento
dell'entrata in vigore del Piano o di una sua variante (Cons.
Stato, sez. IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò facendo con
prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in
quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons.
Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Proprio per le sue caratteristiche di strumento di
pianificazione e di indicazione delle sue possibilità di
utilizzo, è del tutto evidente che lo strumento urbanistico,
nel disporre le future conformazioni del territorio,
considera le sole "aree libere", tali dovendosi
ritenere quelle "disponibili" al momento della
pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non
risultano già edificate (in quanto costituenti aree di
sedime di fabbricati o utilizzate per opere di
urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli
standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per
l'edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di
fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico).
D'altra parte, diversamente opinando, ogni nuova
pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla
precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in
volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione
storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale
(cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti),
valutata ex novo.
In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a
considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di
edificazione, in quanto non ostacolata da presenze
materiali, e non già come un bene da conformare per il
migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti
costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso
vivono ed operano (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 09/07/2011,
n. 4134).
Quanto sin qui esposto, comporta che l'eventuale
modificazione del piano regolatore, che prevede nuovi e più
favorevoli indici di fabbricazione, non può che interessare,
nell'ambito della zona del territorio considerata dallo
strumento urbanistico, le sole aree libere, nel senso sopra
precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque
già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si
presentino "fisicamente" libere da immobili.
Un'area edificabile, già interamente considerata in
occasione del rilascio di una concessione edilizia agli
effetti della volumetria realizzabile, non può essere più
tenuta in considerazione come area libera, neppure
parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda
concessione nella perdurante esistenza del primo edificio,
irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà
dei terreni (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000 n. 749).
Più in particolare, è stato, sempre in giurisprudenza,
precisato che in ipotesi di realizzazione di un manufatto
edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di
un'area asservita o accorpata, l'intera estensione
interessata deve essere considerata utilizzata ai fini
edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita o
accorpata non è più edificabile, anche se è oggetto di un
frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui
insiste il manufatto (Cons. Stato Sez. IV, 09.07.2011, n.
4134; Cons. Stato, sez. V, 07.11.2002 n. 6128; sez. IV,
06.09.1999 n. 1402).
Né il vincolo che deriva dall’utilizzo della volumetria su
una determinata area necessita specifiche previsioni o atti.
Infatti, quando la normativa urbanistica impone limiti di
volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis
dalla sua utilizzazione, sulla base della concessione
edilizia, senza la necessità di strumenti negoziali
privatistici (atto d'obbligo, trascrizione, ecc.) (Sez. IV,
19.01.2008, n. 255; 19.10.2006, n. 6229; 31.01.2005, n.
217).
Questi ultimi, invece, devono sussistere solo quando il
proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un
altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria
maggiore di quella che il suo solo terreno gli
consentirebbe, oppure, ancora, quando siffatto asservimento
sia, per così dire, reciproco, nel senso che i proprietari
di più terreni li asservano unitariamente alla realizzazione
di un unico progetto, ai fini della quale i rispettivi lotti
perdono, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la loro "individualità"
(Cons. Stato, Sez. V, 23.03.2004, n. 1525 e 25.11.1988, n.
744). Tale vincolo rimane così cristallizzato nel tempo (Cons.
Stato, Sez. IV, 29.07.2008, n. 3766).
Gli effetti derivanti dal vincolo creato dall'asservimento
di un fondo, in caso di edificazione, integrando una qualità
oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed
irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle
potenzialità edificatorie dell'area asservita, con
permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di
chiunque ne sia il proprietario (Cons. Stato Sez. V,
27.06.2011, n. 3823).
In conclusione, quindi, in base a quanto indicato, nel caso
di specie, la realizzazione della cubatura sull’originario
fondo n. 5189 da parte della Im.Ca. spa, a cui si è sommata
quella già realizzata dalla ricorrente sull’attuale
particella n. 5375, derivata a seguito di frazionamento,
aveva esaurito le possibilità edificatorie dell’area
originaria e a nulla può valere, nel senso di attribuire una
maggiore fabbricabilità, la circostanza dell’intervenuto
frazionamento e dell’adozione di un nuovo strumento
urbanistico che ha impresso a una parte del fondo una
diversa destinazione, in quanto l’indice di fabbricazione
dell’area originaria non è comunque aumentato.
3) Per le suesposte ragioni il ricorso va rigettato (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 05.05.2016 n. 2265 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Qualora il piano abbia aumentato le potenzialità
edificatorie del suolo, non vi è infatti alcuna ragione per
distinguere le aree già edificate da quelle non edificate,
dovendosi semplicemente riscontrare se, detratta la
volumetria già realizzata sul lotto, residui una ulteriore
potenzialità edificatoria.
Per la stessa ragione, non rileva se il lotto fosse stato
edificato saturando la volumetria consentita dal precedente
strumento urbanistico, poiché –come detto– ciò che rileva è
unicamente la circostanza che residui una volumetria
edificabile in base al nuovo strumento urbanistico.
---------------
La natura della funzione di
pianificazione urbanistica non è diretta soltanto a
disciplinare le potenzialità edificatorie dei suoli liberi
da costruzioni, ma è volta a regolare complessivamente l’uso
di tutto il territorio interessato dal piano, per il
soddisfacimento del complesso delle esigenze della comunità
insediata.
Dalla natura stessa di tale funzione discende che ogni
strumento urbanistico ha pari forza formale rispetto a
quelli ad esso gerarchicamente equiordinati, per cui i
rapporti tra le previsioni di diversi strumenti di
pianificazione urbanistica generale comunale non possono che
risolversi in base al principio cronologico (lex posterior
derogat priori).
Conseguentemente, una volta venuto meno il PRG, affermare
che le aree già edificate non sarebbero ulteriormente
edificabili, nonostante le più favorevoli previsioni del
nuovo PGT, equivarrebbe anche a riconoscere una sostanziale
e non prevista portata ultrattiva allo strumento urbanistico
ormai abrogato.
---------------
Secondo un principio costantemente ribadito dal giudice
amministrativo, un'area è suscettibile di ulteriore
edificazione proprio e soltanto nel caso in cui la
costruzione già realizzata non esaurisca la volumetria
consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio
dell'ulteriore titolo edilizio.
Conseguentemente, qualora un lotto urbanisticamente unitario
sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la
volumetria residua (o la superficie coperta residua) va
calcolata previo decurtamento di quella in precedenza
realizzata (e ciò ferma restando l’irrilevanza –sempre
ribadita in giurisprudenza– di eventuali successivi
frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare
che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione
di alcune superfici al fine di creare artificiosamente
disponibilità nel residuo).
---------------
D’altra parte, non può neppure condividersi l’affermazione
per cui l’eventuale volumetria aggiuntiva dovrebbe comunque
essere sfruttata per incrementare le superfici già
utilizzabili in base al precedente indice urbanistico, e non
anche per consentire l’utilizzazione della cantina/deposito,
precedentemente non computata nella volumetria.
Si tratta, infatti, di una tesi che non trova alcun aggancio
nel complessivo sistema della disciplina urbanistica, dal
quale non si inferisce alcun divieto di utilizzare
l’incremento dell’indice edificatorio per trasformare uno
spazio non abitabile in locale destinato alla permanenza di
persone.
---------------
8.2 Ciò posto, non può condividersi la tesi dei ricorrenti,
secondo la quale l’incremento della volumetria edificabile
previsto dal nuovo strumento urbanistico potrebbe operare
solo nelle aree libere da costruzioni, e non invece in
quelle già edificate, tanto più ove già volumetricamente
sature.
Qualora il piano abbia aumentato le potenzialità
edificatorie del suolo, non vi è infatti alcuna ragione per
distinguere le aree già edificate da quelle non edificate,
dovendosi semplicemente riscontrare se, detratta la
volumetria già realizzata sul lotto, residui una ulteriore
potenzialità edificatoria.
Per la stessa ragione, non rileva se il lotto fosse stato
edificato saturando la volumetria consentita dal precedente
strumento urbanistico, poiché –come detto– ciò che rileva è
unicamente la circostanza che residui una volumetria
edificabile in base al nuovo strumento urbanistico.
La tesi opposta non è condivisibile, in quanto contrasta con
la natura stessa della funzione di pianificazione
urbanistica, la quale non è diretta soltanto a disciplinare
le potenzialità edificatorie dei suoli liberi da
costruzioni, ma è volta a regolare complessivamente l’uso di
tutto il territorio interessato dal piano, per il
soddisfacimento del complesso delle esigenze della comunità
insediata.
Dalla natura stessa di tale funzione discende che ogni
strumento urbanistico ha pari forza formale rispetto a
quelli ad esso gerarchicamente equiordinati, per cui i
rapporti tra le previsioni di diversi strumenti di
pianificazione urbanistica generale comunale non possono che
risolversi in base al principio cronologico (lex
posterior derogat priori).
Conseguentemente, una volta venuto meno il PRG, affermare
che le aree già edificate non sarebbero ulteriormente
edificabili, nonostante le più favorevoli previsioni del
nuovo PGT, equivarrebbe anche a riconoscere una sostanziale
e non prevista portata ultrattiva allo strumento urbanistico
ormai abrogato.
8.3 Le conclusioni qui raggiunte sono, del resto, pacifiche
in giurisprudenza, atteso che, secondo un principio
costantemente ribadito dal giudice amministrativo, un'area è
suscettibile di ulteriore edificazione proprio e soltanto
nel caso in cui la costruzione già realizzata non esaurisca
la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento
del rilascio dell'ulteriore titolo edilizio (Cons. Stato,
Sez. V, 28.05.2012, n. 3120; Id., Sez. IV, 29.09.2008, n.
4647; Id., Sez. V, 12.07.2004, n. 5039; TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 24.02.2012, n. 623).
Conseguentemente, qualora un lotto urbanisticamente unitario
sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la
volumetria residua (o la superficie coperta residua) va
calcolata previo decurtamento di quella in precedenza
realizzata (v. tra le ultime: Cons. Stato, Sez. IV,
22.05.2012, n. 2941; e ciò ferma restando l’irrilevanza
–sempre ribadita in giurisprudenza, ma costituente questione
che non si pone nel caso di specie– di eventuali successivi
frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare
che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione
di alcune superfici al fine di creare artificiosamente
disponibilità nel residuo).
8.4 D’altra parte, non può neppure condividersi
l’affermazione per cui l’eventuale volumetria aggiuntiva
dovrebbe comunque essere sfruttata per incrementare le
superfici già utilizzabili in base al precedente indice
urbanistico, e non anche per consentire l’utilizzazione
della cantina/deposito, precedentemente non computata nella
volumetria.
Si tratta, infatti, di una tesi che non trova alcun aggancio
nel complessivo sistema della disciplina urbanistica, dal
quale non si inferisce alcun divieto di utilizzare
l’incremento dell’indice edificatorio per trasformare uno
spazio non abitabile in locale destinato alla permanenza di
persone (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.04.2016 n. 737 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Per giurisprudenza consolidata, ove un’area edificabile sia
successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della
normativa urbanistica nell’intera area rimane invariata e,
qualora sull’area originaria già insista una costruzione, i
vari proprietari dei diversi terreni in cui sia stato
frazionato il fondo originario hanno a disposizione solo la
volumetria residua, in proporzione alle rispettive quote di
proprietà.
Infatti, poiché nella volumetria assentibile sono da
ricomprendere anche gli edifici preesistenti, le vicende
inerenti alla proprietà dei terreni ed in particolare il
frazionamento del fondo da parte di un unico precedente
proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’edificabilità
delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite
alle costruzioni già realizzate e, pertanto, restano
edificabili nei soli limiti della volumetria residua.
Ne consegue che la volumetria assentibile sull’area
frazionata da una porzione di immobile di proprietà
esclusiva di uno dei condomini può esser computata entro i
soli limiti della volumetria residua ad esso spettante pro
quota sulla parte di proprietà esclusiva. Tale regola viene
ricavata dai principi generali che regolano l’uso della
comune ex artt. 1102, 1108, 1120 e 1122 c.c., sulla base dei
quali la volumetria residua disponibile resta di pertinenza
dei diversi proprietari in proporzione alle rispettive
quote: il tutto, salvo un eventuale asservimento delle parti
in comproprietà degli altri condomini, con atto che esige il
consenso di tutti i condomini.
Passando ora al secondo motivo, con lo stesso la ricorrente
lamenta che la cubatura residua del lotto originario (part.lla
n. 318 del fg. n. 32) avrebbe dovuto essere imputata in
proporzione a tutti i fondi derivanti dal frazionamento di
tale lotto: nel caso di specie, tuttavia, nulla di tutto ciò
sarebbe stato valutato dal Comune, il quale avrebbe
rilasciato un permesso di costruire illegittimo.
In base a
detto titolo, infatti, la E.C. Immobiliare S.r.l. starebbe
utilizzando per l’intervento edilizio volumetria non
esistente sul fondo frazionato (in specie: mc. 363 di cui la
part.lla n. 712 sarebbe priva, spettando ad essa mc. 245 e
non i mc. 608 utilizzati dalla citata società, né i mc. 597
che la P.A. pare riconoscere a quest’ultima a seguito della
relazione dell’08.03.2011).
La doglianza è fondata e meritevole di accoglimento.
Ed invero, per giurisprudenza consolidata, ove un’area
edificabile sia successivamente frazionata in più parti tra
vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della
normativa urbanistica nell’intera area rimane invariata e,
qualora sull’area originaria già insista una costruzione, i
vari proprietari dei diversi terreni in cui sia stato
frazionato il fondo originario hanno a disposizione solo la
volumetria residua, in proporzione alle rispettive quote di
proprietà (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 08.05.2012, n. 2642; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 26.09.2013, n. 2296; TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 31.03.2011, n. 210).
Infatti, poiché nella volumetria assentibile sono da
ricomprendere anche gli edifici preesistenti, le vicende
inerenti alla proprietà dei terreni ed in particolare il
frazionamento del fondo da parte di un unico precedente
proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’edificabilità
delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite
alle costruzioni già realizzate e, pertanto, restano
edificabili nei soli limiti della volumetria residua (cfr.
C.d.S., Sez. V, 10.02.2000, n. 749; id., 16.02.1987, n. 97).
Ne consegue che la volumetria assentibile
sull’area frazionata da una porzione di immobile di
proprietà esclusiva di uno dei condomini può esser computata
entro i soli limiti della volumetria residua ad esso
spettante pro quota sulla parte di proprietà esclusiva. Tale
regola viene ricavata dai principi generali che regolano
l’uso della comune ex artt. 1102, 1108, 1120 e 1122 c.c.,
sulla base dei quali la volumetria residua disponibile resta
di pertinenza dei diversi proprietari in proporzione alle
rispettive quote (v. C.d.S., Sez. V, n. 2642/2012, cit.): il
tutto, salvo un eventuale asservimento delle parti in
comproprietà degli altri condomini, con atto che esige il
consenso di tutti i condomini (C.d.S., Sez. V, 28.06.2000, n. 3637)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 08.09.2015 n. 601 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diritto di edificare inerisce alla proprietà
dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici (…), tra i quali quelli diretti a regolare la
densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (…) e
dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui
“un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione” (…), a nulla rilevando che questa possa
insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
---------------
Non può farsi riferimento alla <<cubatura residua
determinatasi per effetto del previgente indice di
fabbricabilità fondiaria, essendo essa oggetto di una
facoltà che se non esercitata non è “opponibile” al nuovo
piano … (derivando da ciò) anche l’irrilevanza del
frazionamento del lotto non potendo esso fungere da
strumento di conservazione per l’utilizzazione della
stessa>>.
---------------
L’asservimento di un’area ad una costruzione, dà luogo ad un
rapporto pertinenziale che ha natura permanente,
indipendentemente da quando esso si è verificato, a nulla
valendo che la cubatura originariamente assentita non sia
stata sfruttata per intero, che, dopo l’asservimento, l’area
sia stata frazionata, e che il titolo edilizio a servizio
del quale l’asservimento stesso opera, sia venuto meno per
decadenza.
L'asservimento di un fondo, ai fini della sua edificabilità,
costituisce, infatti, una qualità oggettiva dello stesso,
che continua a seguirlo anche nei successivi trasferimenti o
frazionamenti a qualsiasi titolo posti in essere in epoca
successiva, indipendentemente dalle vicende riguardanti il
titolo a cui accede, posto che il vincolo dal medesimo
creato per sua natura permane sul fondo “servente” (nel
senso che per il calcolo della sua edificabilità vanno
computati i volumi comunque
esistenti) a tempo indeterminato.
---------------
Gli argomenti di doglianza così sintetizzati, non meritano
accoglimento.
Occorre premettere che, come rilevato dalla giurisprudenza:
<<il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei
suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici (…), tra i quali quelli diretti a regolare la
densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è
conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è
idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita dalla legge (…) e dallo strumento urbanistico e,
corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se
eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie
che, in base allo specifico indice di fabbricabilità
applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria
sviluppata. Di qui il principio, fermo in giurisprudenza,
secondo cui “un’area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione” (…), a nulla rilevando che questa possa
insistere su una parte del lotto catastalmente divisa>>
(Cons. Stato, Sez. IV, 26/09/2008, n. 4647).
La stessa giurisprudenza ha, inoltre, chiarito che non può
farsi riferimento alla <<cubatura residua determinatasi
per effetto del previgente indice di fabbricabilità
fondiaria, essendo essa oggetto di una facoltà che se non
esercitata non è “opponibile” al nuovo piano … (derivando da
ciò) anche l’irrilevanza del frazionamento del lotto non
potendo esso fungere da strumento di conservazione per
l’utilizzazione della stessa>> (Cons. Stato, Sez. IV,
29/01/2008, n. 255).
A quanto sopra occorre ancora aggiungere, per quanto qui
rileva, che l’asservimento di un’area ad una costruzione, dà
luogo ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente,
indipendentemente da quando esso si è verificato (Cons.
Stato, A.P. 23/04/2009, n. 3; Sez. V, 26/09/2013, n. 4757),
a nulla valendo che la cubatura originariamente assentita
non sia stata sfruttata per intero, che, dopo
l’asservimento, l’area sia stata frazionata, e che il titolo
edilizio a servizio del quale l’asservimento stesso opera,
sia venuto meno per decadenza.
L'asservimento di un fondo, ai fini della sua edificabilità,
costituisce, infatti, una qualità oggettiva dello stesso,
che continua a seguirlo anche nei successivi trasferimenti o
frazionamenti a qualsiasi titolo posti in essere in epoca
successiva (Cons. Stato, Sez. V, 30/03/1998, n. 387; Sez. IV,
06/07/2010, n. 4333), indipendentemente dalle vicende
riguardanti il titolo a cui accede, posto che il vincolo dal
medesimo creato per sua natura permane sul fondo “servente”
(nel senso che per il calcolo della sua edificabilità vanno
computati i volumi comunque esistenti) a tempo indeterminato
(Cons. Stato, Sez. V, 17/06/2014 n. 3094).
Alla luce delle illustrate coordinate di diritto, emerge
l’infondatezza delle tesi sostenute dagli appellanti (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 01.07.2015 n. 3251 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
La Sezione, conformemente ad un consolidato orientamento
giurisprudenziale, ha già avuto occasione di affermare come
il concetto di contiguità non debba intendersi nel senso
della adiacenza, ossia della mera continuità fisica tra
tutte le particelle catastali interessate, bensì come effettiva e significativa
vicinanza e prossimità tra i fondi asserviti per raggiungere
la cubatura desiderata, secondo una nozione di tale
requisito che, in ossequio ad un consolidato orientamento
giurisprudenziale, guarda non alla mera condizione fisica
bensì giuridica dei fondi e, dunque, al loro inserimento in
uno stesso contesto territoriale, rappresentato nel caso di
specie da tutte le aree ricomprese nel medesimo foglio 4 del
N.C.E.U. in cui figurano le particelle interessate, con
conseguente irrilevanza del solo dato numerico della
distanza lineare tra i fondi medesimi, su cui, invece,
sostanzialmente si concentrano le argomentazioni di parte
ricorrente.
Ugualmente non appare determinante la circostanza che tra i
terreni considerati vi siano strade e diversi lotti, alcuni
dei quali edificati, dovendosi guardare alle caratteristiche
dell’intero e più ampio ambito territoriale in cui l’area
cedente e l’area ricevente sono inserite.
---------------
Con ricorso notificato il 21.03.2013 e depositato il 29
dello stesso mese, le ricorrenti –proprietarie, ciascuna per
i propri diritti, di un immobile sito nel Comune di Giardini
di Naxos, via ... n. 67, consistente in un terreno distinto
nel N.C.E.U. al foglio 4, particella 1622, su cui insiste un
fabbricato per civile abitazione ove le stesse risiedono–
impugnavano la concessione edilizia in epigrafe con cui il
Comune resistente aveva autorizzato Vi. e Ca.Pa. a
realizzare sul fabbricato già costruito a più riprese sul
terreno di proprietà di quest’ultimi, distinto nel N.C.E.U.
al foglio 4, particelle 1979, 1977 e 1975, confinante e
fronteggiante quello delle ricorrenti, un ulteriore
intervento volto all’esecuzione di “lavori di ampliamento
in sopraelevazione”.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di impugnazione:
1. Illegittimità della cessione/trasferimento di volumetria per
violazione del principio di contiguità/vicinanza dei fondi;
Eccesso di potere per errore dei presupposti; Violazione
delle prescrizioni del P.R.G. del Comune di Giardini di
Naxos in tema di densità edilizia fondiaria;
...
3. Passando, quindi, all’esame del merito della causa, il
ricorso è infondato e non può, dunque, essere accolto.
Con il primo motivo di doglianza sostiene parte
ricorrente che la distanza tra i due punti più vicini
dell’area asservita e di quella asservente sarebbe pari a
ben 128 metri lineari (in tal senso la relazione tecnica
giurata a firma dell’ing. Fa., allegata al ricorso) e le
aree medesime sarebbero separate da più strade e diversi
lotti, alcuni liberi ed alcuni edificati, come da stralcio
catastale (anch’esso in atti), con conseguente illegittimità
della concessione impugnata, per mancata contiguità dei
fondi interessati dalla cessione di cubatura.
Osserva al riguardo il Collegio come risulti dalla
documentazione versata in atti non solo un’omogeneità
urbanistica dell’area cedente e di quella ricevente,
entrambe ricomprese nella medesima zona territoriale “B2” di
cui al vigente P.R.G. del Comune di Giardini di Naxos
(circostanza non contestata dalla ricorrente e, viepiù,
avvalorata dallo stralcio di tale P.R.G. versato in atti),
bensì un’uniformità in senso sostanziale dell’area
territoriale nel cui ambito tali terreni si trovano, tale da
far ritenere sussistente il requisito della contiguità dei
fondi, di cui, invece, le ricorrenti lamentano il difetto.
La Sezione, conformemente ad un consolidato orientamento
giurisprudenziale, ha già avuto occasione di affermare come
il concetto di contiguità non debba intendersi nel senso
della adiacenza, ossia della mera continuità fisica tra
tutte le particelle catastali interessate (in tal senso,
sentenza n. 4113/2010), bensì come effettiva e significativa
vicinanza e prossimità tra i fondi asserviti per raggiungere
la cubatura desiderata, secondo una nozione di tale
requisito che, in ossequio ad un consolidato orientamento
giurisprudenziale, guarda non alla mera condizione fisica
bensì giuridica dei fondi e, dunque, al loro inserimento in
uno stesso contesto territoriale, rappresentato nel caso di
specie da tutte le aree ricomprese nel medesimo foglio 4 del
N.C.E.U. in cui figurano le particelle interessate, con
conseguente irrilevanza del solo dato numerico della
distanza lineare tra i fondi medesimi, su cui, invece,
sostanzialmente si concentrano le argomentazioni di parte
ricorrente.
Ugualmente non appare determinante la circostanza che tra i
terreni considerati vi siano strade e diversi lotti, alcuni
dei quali edificati, dovendosi guardare alle caratteristiche
dell’intero e più ampio ambito territoriale in cui l’area
cedente e l’area ricevente sono inserite.
Il Collegio -nel ritenere, dunque, che la legittimità della
cessione di cubatura debba essere valutata caso per caso, in
relazione alla realtà effettuale dei luoghi ed al carico di
edificazione di detto ambito territoriale- è dell’avviso che
nel caso di specie l’asservimento della potenzialità
edificatoria delle particelle 1979, 1977 e 1975 alla
particella 666 non alteri l’ordinato ed armonioso assetto
dell’abitato, non risultando superato nei limiti massimi
l’indice di densità territoriale da rapportarsi sia
all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione
urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 26.03.2015 n. 885 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Sulle modalità di calcolo della volumetria residua di
un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi.
Va precisato che “lotto urbanistico” e
“lotto catastale” esprimono concetti diversi, sicché non
sempre coincidono.
La locuzione "lotto" a ben vedere è impropriamente
utilizzata per indicare una porzione di suolo catastalmente
definita, non avendo nulla a che vedere con
l'identificazione catastale di una o più particelle o
mappali, essendo imperniata sulla fruibilità urbanistica del
suolo e, pertanto, sulla omogeneità della destinazione
urbanistica del terreno, che ben può essere composto da una
pluralità di numeri di mappale o particelle catastali.
Il lotto edificabile integra, dunque, uno spazio fisico che
prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto
edificabile essere formato da appezzamenti di terreno
appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non
contigui) e che viene individuato dagli strumenti
urbanistici sulla base degli indici edificatori previsti
dalla normativa urbanistica.
---------------
Circa la suscettività edificatoria del mappale, o più in
generale di un’area frazionata in più parti e parzialmente
costruita, è quella che residua dalla volumetria complessiva
dell’area, detratta la volumetria dell’originaria
costruzione.
Non rileva, quindi, ai fini del calcolo della volumetria
realizzabile, che l’unico fondo sia stato suddiviso in
catasto in più particelle, dovendosi verificare l’esistenza
di più manufatti sul fondo originario prima del
frazionamento, ove questo sia considerato unitariamente
sotto l’aspetto urbanistico edilizio.
Ne consegue che un’area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento
della domanda del nuovo permesso di costruire, dovendosi
considerare, ai fini del calcolo della volumetria, non solo
la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente, a nulla
rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto
catastalmente divisa.
Va da sé che un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia ai fini della volumetria realizzabile, non può più
essere tenuta in considerazione come area libera, neppure
parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione
nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti
appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei
terreni.
Diversamente, attraverso la mera operazione di frazionamento
catastale del lotto urbanistico, si altererebbe la
disciplina di piano e la potenzialità edificatoria
attribuita ad una determinata area.
---------------
15.- Ciò posto in fatto, va esaminata la questione delle
modalità di calcolo della volumetria residua di un’area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi.
15.1- Va, innanzi tutto, precisato che “lotto urbanistico”
e “lotto catastale” esprimono concetti diversi,
sicché non sempre coincidono.
La locuzione "lotto" a ben vedere è impropriamente
utilizzata per indicare una porzione di suolo catastalmente
definita, non avendo nulla a che vedere con
l'identificazione catastale di una o più particelle o
mappali, essendo imperniata sulla fruibilità urbanistica del
suolo e, pertanto, sulla omogeneità della destinazione
urbanistica del terreno, che ben può essere composto da una
pluralità di numeri di mappale o particelle catastali (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, 13.09.2013, n. 4531).
Il lotto edificabile integra, dunque, uno spazio fisico che
prescinde dal profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto
edificabile essere formato da appezzamenti di terreno
appartenenti a diversi proprietari e perfino tra loro non
contigui) e che viene individuato dagli strumenti
urbanistici sulla base degli indici edificatori previsti
dalla normativa urbanistica.
Ne consegue l’indifferenza ai fini urbanistici del fatto che
il mappale 223, qui in questione, sia lotto catastalmente
autonomo perché scorporato dal mappale originario.
E’ rilevante, invece che il lotto urbanistico, come definito
nel progetto del fabbricato a suo tempo approvato, è
comprensivo anche del mappale 223.
Corollario di tali considerazioni è l’insensibilità del
frazionamento catastale ai fini urbanistici e della
suscettività edificatoria del mappale 223.
15.2- Fermo tanto, quanto alla suscettività edificatoria del
mappale 223, o più in generale di un’area frazionata in più
parti e parzialmente costruita, è quella che residua dalla
volumetria complessiva dell’area, detratta la volumetria
dell’originaria costruzione (Cons. Stato, sez. VI, n. 255
del 2008).
Non rileva, quindi, ai fini del calcolo della volumetria
realizzabile, che l’unico fondo sia stato suddiviso in
catasto in più particelle, dovendosi verificare l’esistenza
di più manufatti sul fondo originario prima del
frazionamento, ove questo sia considerato unitariamente
sotto l’aspetto urbanistico edilizio.
Ne consegue che un’area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento
della domanda del nuovo permesso di costruire, dovendosi
considerare, ai fini del calcolo della volumetria, non solo
la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente, a nulla
rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto
catastalmente divisa (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5039 del
2004; Cons. Stato, sez. V, n. 1074 del 2001).
Va da sé che un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia ai fini della volumetria realizzabile, non può più
essere tenuta in considerazione come area libera, neppure
parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione
nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti
appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei
terreni.
Diversamente, attraverso la mera operazione di frazionamento
catastale del lotto urbanistico, si altererebbe la
disciplina di piano e la potenzialità edificatoria
attribuita ad una determinata area.
15.3- L’applicazione di tali criteri ermeneutici comporta,
per la fattispecie qui in esame, che la volumetria ancora
utilizzabile è quella che residua dalla volumetria totale
del lotto urbanistico nella sua consistenza originaria,
determinata in base agli indici volumetrici vigenti al
momento della domanda del nuovo permesso di costruire,
detratta quella già esistente.
Ne consegue la correttezza del diniego dell’amministrazione
comunale che più volte ha evidenziato agli interessati che
l’intervento edilizio riguardava un lotto urbanistico
unitario, parzialmente edificato, sicché tutti i parametri
urbanistici andavano riferiti al lotto urbanistico, non
rilevando il frazionamento catastale dell’area (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.03.2015 n. 1161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Un’area già utilizzata a
fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo
quando le costruzioni su di essa esistenti,
indipendentemente dall’epoca della relativa realizzazione,
non esauriscano la volumetria consentita dalla normativa
vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di
costruire.
Con la conseguenza che, al fine di verificare se residui
l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, si
deve considerare non solo la superficie libera ed il volume
ad essa corrispondente, ma anche la cubatura
dell’edificazione preesistente, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa,
frazionata o alienata separatamente.
---------------
Anche le critiche sollevate col secondo motivo dei
due appelli non persuadono.
Esaminando le più diffuse e articolate contestazioni della
SCER, comprensive anche di quella esposta dal Comune, va
prioritariamente considerata l’obiezione che giustamente la
società aveva fatto riferimento alle p.lle 1050, 1051 e 1052
e non all’intero comparto.
Sul punto, si condivide pienamente quanto ritenuto dal Tar.
Infatti, un’area già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando le
costruzioni su di essa esistenti, indipendentemente
dall’epoca della relativa realizzazione, non esauriscano la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire; con la
conseguenza che, al fine di verificare se residui
l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, si
deve considerare non solo la superficie libera ed il volume
ad essa corrispondente, ma anche la cubatura
dell’edificazione preesistente, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa,
frazionata o alienata separatamente (CGARS,
sentenza 19.11.2014 n. 629 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
L’indice di fabbricabilità territoriale “s’applica
esclusivamente nel calcolo dei volumi, complessivamente
realizzabili in una ben definita zona urbanistica, in sede
di attuazione dello strumento urbanistico, laddove per il
calcolo del volume, assentibile in relazione ad un ben
individuato e specifico intervento edilizio, occorre rifarsi
necessariamente all'indice di fabbricabilità fondiaria”.
---------------
Quanto al calcolo della volumetria in concreto ammissibile
il Consiglio di Stato ha da tempo affermato che:
- “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione”, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa;
- “allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in
più parti tra vari proprietari,… la volumetria disponibile
ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area
permane invariata, con la duplice conseguenza che,
nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo
originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni,
in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione
solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria
costruzione”.
---------------
Come chiarito dal Consiglio di Stato, dunque, non è
possibile applicare l’indice di fabbricabilità fondiaria
sulla sola porzione di fondo risultante dal frazionamento.
Ma non è impedito alla proprietà utilizzare su tale porzione
la volumetria che residua una volta decurtate le dimensioni
della costruzione esistente e dei relativi standard.
---------------
In relazione al primo motivo, questo Tribunale ha già
avuto occasione di chiarire come l’indice di
fabbricabilità territoriale “s’applichi
esclusivamente nel calcolo dei volumi, complessivamente
realizzabili in una ben definita zona urbanistica, in sede
di attuazione dello strumento urbanistico, laddove per il
calcolo del volume, assentibile in relazione ad un ben
individuato e specifico intervento edilizio, occorre rifarsi
necessariamente all'indice di fabbricabilità fondiaria”
(sent. n. 1821/2013).
Sicché, sotto questo profilo, l’operato del Comune, in sede
di rilascio dell’impugnato p.d.c., risulta corretto.
Quanto al calcolo della volumetria in concreto ammissibile,
pure censurato dal ricorrente, il Consiglio di Stato ha da
tempo affermato che:
- “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione” (sez. V, sent. 12.07.2004, n. 5039), a
nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del
lotto catastalmente divisa (id., sent. 28.02.2001, n.
1074);
- “allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata
in più parti tra vari proprietari,… la volumetria
disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera
area permane invariata, con la duplice conseguenza che,
nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo
originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni,
in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione
solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria
costruzione” (sez. IV, sent. 16.02.1987, n. 91).
Come chiarito dal Consiglio di Stato, dunque, non è
possibile applicare l’indice di fabbricabilità
fondiaria sulla sola porzione di fondo risultante dal
frazionamento. Ma non è impedito alla proprietà utilizzare
su tale porzione la volumetria che residua una volta
decurtate le dimensioni della costruzione esistente e dei
relativi standard. E di ciò ha tenuto conto il Comune nel
rilasciare l’impugnato permesso di costruire.
Per fare maggior chiarezza, si precisa che nella fattispecie
in esame la cubatura a disposizione degli odierni
controinteressati non deriva da una variazione in melius
dell’indice di fabbricazione, la quale certamente non
avrebbe potuto riguardare aree già utilizzate a fini
edificatori (così, Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n.
4134/2011); bensì risulta dalla applicazione alla medesima
area, complessivamente considerata e fermi tutti i parametri
normativi vigenti, dell’indice di fabbricabilità fondiaria
anziché dell’indice di fabbricabilità territoriale (TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 04.07.2014 n. 1194 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'asservimento dà luogo ad
un rapporto pertinenziale che ha natura permanente,
indipendentemente da quando esso si è verificato, a nulla valendo
che, all’epoca di realizzazione del manufatto preesistente,
non sussistesse ancora alcuna pianificazione urbanistica,
ovvero un atto di volontà espresso o tacito che avesse posto
a disposizione della costruzione di esso una zona di
territorio.
La quantità di asservimento del terreno rimasto libero va
infatti calcolata sulla base degli indici vigenti al momento
del rilascio dell’ulteriore titolo edilizio, perché i limiti
entro i quali un'area può essere edificata si riferiscono
non all'edificazione ulteriore rispetto a quella esistente
al momento dell'approvazione, ma all'edificazione
complessivamente realizzabile sull'area; se così non fosse,
si verificherebbe l'effetto perverso di consentire
l'edificabilità di aree già impegnate da preesistenze, in
contrasto con gli indici del piano urbanistico in vigore.
Quindi l'asservimento di un fondo, in caso di edificazione,
costituisce una qualità oggettiva dello stesso, che continua
a seguirlo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi
titolo posti in essere in epoca successiva ed il vincolo creato dall'asservimento per sua natura
permane sul fondo ‘servente’ (nel senso che per il calcolo
della sua edificabilità vanno computati i volumi comunque
esistenti) a tempo indeterminato, pena la completa
vanificazione delle previsioni urbanistiche (che ad un tempo
complessivamente rilevano i volumi preesistenti e delimitano
quelli che ad essi si possono aggiungere).
Quanto alla rilevanza della unicità o meno della proprietà
del fondo su cui preesiste il manufatto, va osservato che,
anche quando un'area edificabile venga successivamente
frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria
disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera
area permane invariata, con la conseguenza che, nell'ipotesi
in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la
volumetria che eventualmente residua tenuto conto
dell'originaria costruzione.
Pertanto, sia la vendita di una parte dell'originario unico
fondo, così come il frazionamento di esso da parte
dell'originario unico proprietario e la mancanza di
specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento
(o alla cessione di cubatura), sono irrilevanti ai fini
dell'edificabilità delle aree libere, che –pur in assenza
di titoli formali- devono comunque intendersi asservite
alle costruzioni già realizzate ed a quelle assentite al
momento del frazionamento, e cioè risultano edificabili solo
entro l’eventuale surplus che deriva dal computo delle
preesistenti volumetrie comunque realizzate.
Pertanto, nel caso di realizzazione di un manufatto edilizio
la cui volumetria va calcolata sulla base anche di un'area
‘asservita’, ai fini edificatori deve essere considerata
l'intera estensione interessata (nella specie il comparto
edificatorio unitariamente considerato), con l'effetto che
l'area asservita non è più edificabile anche se è stata
oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle
aree su cui insistono i manufatti.
In definitiva, gli effetti derivanti dalla conformazione
urbanistica (poiché i criteri legali di computo della
volumetria, integrano una qualità oggettiva del terreno)
hanno carattere definitivo ed irrevocabile ed evidenziano la
già avvenuta utilizzazione delle potenzialità edificatorie
dell'area asservita, con permanente dovere di tener conto di
tale computo da parte di chiunque ne sia il proprietario.
Osserva in proposito il
Collegio che il primo giudice ha rilevato che il fabbricato
di 450 mc. circa, di cui il signor De Monaco è
comproprietario (da lungo tempo insistente sull’area di cui
la attuale appellante è proprietaria, di 14.767 mq.), non è
stato considerato nel computo della volumetria utilizzabile,
in base alla densità edilizia applicabile all’area ai sensi
della normativa urbanistica vigente, ed ha ritenuto
ininfluente l’epoca di realizzazione del manufatto,
dovendosi considerare tutta la volumetria già realizzata sul
lotto, a nulla valendo le vicende private connesse alla
disponibilità dell’area interessata, stante la irrilevanza
della vendita di parte del fondo su cui il manufatto era
stato realizzato o del frazionamento dello stesso da parte
dell’originario unico proprietario ai fini della
edificabilità delle aree libere, da intendersi comunque
asservite alla preesistente costruzione ivi realizzata.
Tale statuizioni del TAR vanno condivise, in primo luogo
quanto alla irrilevanza dell’epoca di realizzazione del
preesistente manufatto, considerato che l'asservimento dà
luogo ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente,
indipendentemente da quando esso si è verificato (Cons.
Stato, adunanza plenaria 23.04.2009, n. 3; Consiglio di
Stato, sez. V, 26.09.2013, n. 4757), a nulla valendo
che, all’epoca di realizzazione del manufatto preesistente,
non sussistesse ancora alcuna pianificazione urbanistica,
ovvero un atto di volontà espresso o tacito che avesse posto
a disposizione della costruzione di esso una zona di
territorio.
La quantità di asservimento del terreno rimasto libero va
infatti calcolata sulla base degli indici vigenti al momento
del rilascio dell’ulteriore titolo edilizio, perché i limiti
entro i quali un'area può essere edificata si riferiscono
non all'edificazione ulteriore rispetto a quella esistente
al momento dell'approvazione, ma all'edificazione
complessivamente realizzabile sull'area; se così non fosse,
si verificherebbe l'effetto perverso di consentire
l'edificabilità di aree già impegnate da preesistenze, in
contrasto con gli indici del piano urbanistico in vigore.
Quindi l'asservimento di un fondo, in caso di edificazione,
costituisce una qualità oggettiva dello stesso, che continua
a seguirlo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi
titolo posti in essere in epoca successiva (Consiglio Stato,
sez. V, 30.03.1998, n. 387; sez. IV, 06.07.2010, n.
4333) ed il vincolo creato dall'asservimento per sua natura
permane sul fondo ‘servente’ (nel senso che per il
calcolo della sua edificabilità vanno computati i volumi
comunque esistenti) a tempo indeterminato, pena la completa
vanificazione delle previsioni urbanistiche (che ad un tempo
complessivamente rilevano i volumi preesistenti e delimitano
quelli che ad essi si possono aggiungere).
Quanto alla rilevanza della unicità o meno della proprietà
del fondo su cui preesiste il manufatto, va osservato che,
anche quando un'area edificabile venga successivamente
frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria
disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera
area permane invariata, con la conseguenza che, nell'ipotesi
in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la
volumetria che eventualmente residua tenuto conto
dell'originaria costruzione.
Pertanto, sia la vendita di una parte dell'originario unico
fondo, così come il frazionamento di esso da parte
dell'originario unico proprietario e la mancanza di
specifici negozi giuridici privati diretti all'asservimento
(o alla cessione di cubatura), sono irrilevanti ai fini
dell'edificabilità delle aree libere, che –pur in assenza
di titoli formali- devono comunque intendersi asservite
alle costruzioni già realizzate ed a quelle assentite al
momento del frazionamento, e cioè risultano edificabili solo
entro l’eventuale surplus che deriva dal computo delle
preesistenti volumetrie comunque realizzate.
Pertanto, nel caso di realizzazione di un manufatto edilizio
la cui volumetria va calcolata sulla base anche di un'area
‘asservita’, ai fini edificatori deve essere considerata
l'intera estensione interessata (nella specie il comparto
edificatorio unitariamente considerato), con l'effetto che
l'area asservita non è più edificabile anche se è stata
oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle
aree su cui insistono i manufatti (Consiglio di Stato, sez. IV,
06.05.2013, n. 2442).
In definitiva, gli effetti derivanti dalla conformazione
urbanistica (poiché i criteri legali di computo della
volumetria, integrano una qualità oggettiva del terreno)
hanno carattere definitivo ed irrevocabile ed evidenziano la
già avvenuta utilizzazione delle potenzialità edificatorie
dell'area asservita, con permanente dovere di tener conto di
tale computo da parte di chiunque ne sia il proprietario
(Cass. pen., sez. III, 21177/2009)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.06.2014 n. 3094 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Come
è noto, l’asservimento di un fondo ad un altro, in caso di
edificazione di quest’ultimo, provocando la perdita
definitiva ed irrevocabile delle potenzialità edificatorie
dell’area asservita, crea una relazione pertinenziale, che
costituisce una qualità oggettiva del fondo asservito.
Permanendo a tempo indeterminato, tale asservimento continua
pertanto a seguire il fondo anche nei successivi
trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca
successiva, essendo opponibile ai terzi e a chiunque ne sia
il proprietario.
In definitiva, l’inedificabilità dell’area asservita o
accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini
edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo e
produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione
oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che manchino
specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento
o che l’edificio insista su una parte del lotto
catastalmente divisa. Con la conseguenza che non possono mai
essere assentiti titoli edilizi in caso di esaurimento della
volumetria assentibile.
Va, invero, al riguardo premesso che -come è noto (Cons.
St., sez. V, 27.06.2011, n. 3823)- l’asservimento di un
fondo ad un altro, in caso di edificazione di quest’ultimo,
provocando la perdita definitiva ed irrevocabile delle
potenzialità edificatorie dell’area asservita, crea una
relazione pertinenziale, che costituisce una qualità
oggettiva del fondo asservito. Permanendo a tempo
indeterminato, tale asservimento continua pertanto a seguire
il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi
titolo intervenuti in epoca successiva, essendo opponibile
ai terzi e a chiunque ne sia il proprietario.
In definitiva, l’inedificabilità dell’area asservita o
accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini
edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo e
produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione
oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che manchino
specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento
o che l’edificio insista su una parte del lotto
catastalmente divisa. Con la conseguenza che non possono mai
essere assentiti titoli edilizi in caso di esaurimento della
volumetria assentibile (cfr. TAR Salerno sez. I, 16.04.2013,
n. 890, TAR Bari, sez. III, 09.01.2013, n. 11, e TAR
Catanzaro, sez. I, 08.11.2012, n. 1064)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 13.05.2014 n. 223 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumetria residua area edificabile frazionata.
Nel caso in cui un'area edificabile
venga successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della
normativa urbanistica nell'intera area permane invariata,
con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia
stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato
frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota di acquisto.
Sotto il secondo profilo non può essere condivisa la tesi
dell’IEEP secondo la quale la particella 134, distinta dalle
altre porzioni risultanti dal frazionamento del lotto
originario di estensione pari a 9243 mq, avrebbe una propria
autonoma dotazione edificatoria indipendente da quella già
espressa dalle altre particelle dell’originario compendio.
Se così fosse basterebbe frazionare i lotti già impegnati
con la massima cubatura esprimibile per moltiplicare il
carico urbanistico di zona ben oltre il limite consentito
dagli indici di fabbricazione.
E’ infatti pacifico in giurisprudenza (TAR Lombardia
Brescia, sez. I, 25.11.2011, n. 1629) che ove un'area
edificabile venga successivamente frazionata in più parti
tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi
della normativa urbanistica nell'intera area permane
invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in
cui sia stata già realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la
volumetria che residua tenuto conto dell'originaria
costruzione e in proporzione della rispettiva quota di
acquisto (giurisprudenza costante: Cons. St., sez. V,
28.05.2012, n. 3120 Cons. St., sez. IV, del 22.05.2012, n.
2941).
Ne consegue che il diniego adottato dal Comune di Bari è
correttamente fondato sul presupposto che la particella 134,
come parte di un più ampio lotto urbanisticamente unitario,
in tal guisa considerato all’epoca delle precedenti
concessioni edilizie, dovesse scontare la volumetria già
realizzata (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 01.04.2014 n. 440
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ove un'area edificabile
venga successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della
normativa urbanistica nell'intera area permane invariata,
con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia
stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato
frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota di acquisto.
---------------
1.2 Sotto il secondo profilo non può essere condivisa
la tesi dell’IEEP secondo la quale la particella 134,
distinta dalle altre porzioni risultanti dal frazionamento
del lotto originario di estensione pari a 9243 mq, avrebbe
una propria autonoma dotazione edificatoria indipendente da
quella già espressa dalle altre particelle dell’originario
compendio.
Se così fosse basterebbe frazionare i lotti già impegnati
con la massima cubatura esprimibile per moltiplicare il
carico urbanistico di zona ben oltre il limite consentito
dagli indici di fabbricazione.
E’ infatti pacifico in giurisprudenza (TAR Lombardia-Brescia,
sez. I, 25.11.2011, n. 1629) che ove un'area edificabile
venga successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della
normativa urbanistica nell'intera area permane invariata,
con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia
stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato
frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota di acquisto
(giurisprudenza costante: Cons. St., sez. V, 28.05.2012, n.
3120 Cons. St., sez. IV, del 22.05.2012, n. 2941).
Ne consegue che il diniego adottato dal Comune di Bari è
correttamente fondato sul presupposto che la particella 134,
come parte di un più ampio lotto urbanisticamente unitario,
in tal guisa considerato all’epoca delle precedenti
concessioni edilizie, dovesse scontare la volumetria già
realizzata (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 01.04.2014 n. 440 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'istituto del c.d."asservimento del
terreno per scopi edificatori" (o cessione di cubatura) va
sussunto nello schema del contratto atipico con effetti
obbligatori che, senza oneri di forma pubblica o di
trascrizione, è finalizzato al trasferimento di volumetria e
che si perfeziona soltanto con il rilascio del necessario
titolo abilitativo edilizio da parte del comune, in quanto
l'effetto finale del trasferimento di cubatura avviene solo
in conseguenza dell'emanazione del provvedimento
amministrativo.
Ne deriva che l'accordo –con il quale una delle parti cede,
parzialmente o per intero, la facoltà di edificare dal
proprio terreno a quello appartenente all'altra parte,
compreso nella stessa zona urbanistica, per permettere di
richiedere e di ottenere una concessione per la costruzione
di un immobile di volume maggiore di quello a cui avrebbe
diritto (c.d. trasferimento di cubatura)– ha efficacia solo
obbligatoria tra i suoi sottoscrittori, mentre il
trasferimento di cubatura fra le parti e nei confronti dei
terzi è determinato esclusivamente dal provvedimento
concessorio, discrezionale e non vincolato che, a seguito
della rinuncia all'utilizzazione della volumetria
manifestata al comune dal cedente in adesione al progetto
edilizio presentato dal cessionario, può essere emanato a
favore di quest'ultimo dall'ente pubblico.
Nel qualificare la fattispecie, la giurisprudenza rilevato
come “… l'istituto del c.d."asservimento del terreno per
scopi edificatori" (o cessione di cubatura) va sussunto
nello schema del contratto atipico con effetti obbligatori
che, senza oneri di forma pubblica o di trascrizione, è
finalizzato al trasferimento di volumetria e che si
perfeziona soltanto con il rilascio del necessario titolo
abilitativo edilizio da parte del comune, in quanto
l'effetto finale del trasferimento di cubatura avviene solo
in conseguenza dell'emanazione del provvedimento
amministrativo. Ne deriva che l'accordo –con il quale una
delle parti cede, parzialmente o per intero, la facoltà di
edificare dal proprio terreno a quello appartenente
all'altra parte, compreso nella stessa zona urbanistica, per
permettere di richiedere e di ottenere una concessione per
la costruzione di un immobile di volume maggiore di quello a
cui avrebbe diritto (c.d. trasferimento di cubatura)– ha
efficacia solo obbligatoria tra i suoi sottoscrittori,
mentre il trasferimento di cubatura fra le parti e nei
confronti dei terzi è determinato esclusivamente dal
provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato
che, a seguito della rinuncia all'utilizzazione della
volumetria manifestata al comune dal cedente in adesione al
progetto edilizio presentato dal cessionario, può essere
emanato a favore di quest'ultimo dall'ente pubblico"
(così, da ultimo, Tribunale Salerno, sez. riesame,
11/05/2012, nello stesso senso, Consiglio di Stato, sez. V,
28/06/2000, n. 3637)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 09.01.2014 n. 106 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L’asservimento,
inteso come fattispecie negoziale atipica ad effetti
obbligatori in base al quale un’area viene destinata a
servire al computo di edificabilità di un altro fondo, dà
vita ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente
indipendentemente da quando questo asservimento è stato
posto in essere.
L’asservimento, inteso come fattispecie negoziale atipica ad
effetti obbligatori in base al quale un’area viene destinata
a servire al computo di edificabilità di un altro fondo, dà
vita ad un rapporto pertinenziale che ha natura permanente
indipendentemente da quando questo asservimento è stato
posto in essere (Cons. Stato, adunanza plenaria 23.04.2009,
n. 3) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.09.2013 n. 4757 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla
determinazione della volumetria residua di un'area già
edificata.
Come più volte ribadito dalla
Giurisprudenza <<il diritto di edificare inerisce alla
proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli
strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare
la densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è
conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è
idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n.
10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata. Di qui il principio,
fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area edificatoria
già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione" >>, a nulla rilevando che
questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente
divisa.
La giurisprudenza ha evidenziato che, allorché un'area
edificabile venga successivamente frazionata in più parti
tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi
della normativa urbanistica nell'intera area permane
invariata, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia
stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato
frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota di acquisto.
Pertanto, sia la vendita di una parte dell'originario unico
fondo, così come il frazionamento del fondo da parte
dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini
dell'edificabilità delle aree libere, che devono comunque
intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a
quelle assentite al momento del frazionamento.
Fin di recente, la Giurisprudenza ha ribadito che un'area
edificabile, già interamente considerata in occasione del
rilascio di una concessione edilizia agli effetti della
volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in
considerazione come area libera, neppure parzialmente , ai
fini del rilascio di una seconda concessione nelle
perdurante esistenza del primo edificio , irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà de terreni.
Ancora, nel determinare la preesistenza da dedurre, occorre
fare riferimento a tutte le costruzioni, che comunque già
insistono sull'area, ivi comprese quelle abusive (ovvero
condonate) e non già solo a quelle assistite da titolo.
Infatti, <<quando la normativa urbanistica impone limiti di
volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis dalla
sua utilizzazione, a prescindere dal fatto che
l'utilizzazione stessa sia "coperta" o meno da uno dei
titoli all'uopo previsti dall'ordinamento, così come a
prescindere dalla natura stessa -di verifica preventiva
della conformità della realizzando costruzione agli
strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla
disciplina urbanistico/edilizia, ovvero in sanatoria- del
titolo>>.
In conclusione, secondo la giurisprudenza un'area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
In altri termini, qualora un lotto urbanisticamente unitario
sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la
volumetria residua o la superficie coperta residua vanno
calcolate previo decurtamento di quella in precedenza
realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi
frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare
che il computo dell’indice venga alterato con l’ipersaturazione
di alcune superfici al fine di creare artificiosamente
disponibilità nel residuo.
---------------
La conclusione non muta nell'ipotesi in cui sia stato
costruito abusivamente e la costruzione sia stata
successivamente sanata.
In tal caso, la situazione alla quale far riferimento ai
fini della valutazione dello sfruttamento o meno della
volumetria dei vari lotti non è, come sostiene il
ricorrente, quella al momento del rilascio della concessione
edilizia in sanatoria (la qual cosa si presterebbe a facile
elusione della disciplina urbanistica) bensì quella al
momento della edificazione, allorquando la costruzione, per
la rilevante cubatura, ha assorbito tutta la volumetria
esprimibile dai lotti di terreno all’epoca appartenenti ad
unico proprietario.
Non rileva neppure la circostanza che alcuni dei lotti non
siano stati inseriti nella domanda di condono, avendo
egualmente perduto in via permanente la volumetria al
momento della costruzione.
Invero, nel determinare la preesistenza da dedurre occorre
fare riferimento a tutte le costruzioni, che comunque già
insistono sull’area, ivi comprese quelle abusive (ovvero
condonate) e non già solo a quelle assistite da titolo.
Infatti (come chiarito dalle decisioni sopra richiamate),
quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria,
il vincolo sull'area discende ope legis dalla sua
utilizzazione, a prescindere dal fatto che l’utilizzazione
stessa sia “coperta” o meno da uno dei titoli all’uopo
previsti dall’ordinamento, così come a prescindere dalla
natura stessa –di verifica preventiva della conformità della
realizzanda costruzione agli strumenti urbanistici, ai
regolamenti edilizi ed alla disciplina urbanistico/edilizia,
ovvero successiva ed in sanatoria– del titolo.
Ed ancora, <<il successivo frazionamento della particella
originaria non è idoneo a far ottenere una nuova
potenzialità edificatoria ad una superficie allo scopo già
utilizzata, sia pure con un immobile oggetto di istanza di
condono che, comunque, “impegna” la volumetria assentibile
sulla stessa area>>. Al riguardo, a nulla rileva che l’abuso
edilizio, per il quale è stato richiesto il condono,
riguardi una particella mentre il nuovo intervento che si
vorrebbe realizzare sarà realizzato su altre particelle ,
peraltro formate per frazionamento della p.lla originaria.
D’altra parte, <<è pacifico che ai fini della
quantificazione della volumetria residua disponibile di un
lotto parzialmente edificato occorra considerare tutte le
costruzioni che insistono sull'area. Tra tali costruzioni
vanno dunque inserite anche quelle abusive, purché oggetto
di una domanda di condono e dunque, almeno fino alla
definizione di tale domanda in senso negativo, non
sanzionabili con la demolizione: anche tali manufatti
concorrono a determinare una saturazione dell’area, né
sembra ragionevole escludere dalla volumetria assentibile
quella già sfruttata, sia pure per mezzo di opere abusive
successivamente condonate>>.
---------------
In punto di diritto, vanno quindi richiamati i principi
elaborati dalla giurisprudenza in termini di determinazione
della volumetria residua di un'area già edificata.
Come più volte ribadito dalla Giurisprudenza (cfr. Cons. St.,
Sez. IV, 26.09.2008 n. 4647; sez. V, 28.05.2012, n. 3120;
TAR Lombardia sez. I di Brescia, 25.11.2011 n. 1629; TAR
Campania sez. II Napoli, 14.12.2012 n. 5209) <<il diritto
di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti
stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte
Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare
la densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è
conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è
idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n.
10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata. Di qui il principio,
fermo in giurisprudenza, secondo cui "un'area edificatoria
già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione" (cfr. Cons. di Stato, sez.
V, 12.07.2004 n. 5039)>>, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa
(Cons. St., sez. V, 28.05.2012, n. 3120 e 28.02.2001 n.
1074).
La giurisprudenza (cfr. Cons. St. Sez. V, 27.06.2006 n.
4117, Sez. IV, 16.02.1987 n. 91) ha evidenziato che,
allorché un'area edificabile venga successivamente
frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria
disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera
area permane invariata, con la conseguenza che, nell'ipotesi
in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la
volumetria che residua tenuto conto dell'originaria
costruzione e in proporzione della rispettiva quota di
acquisto.
Pertanto, sia la vendita di una parte dell'originario unico
fondo, così come il frazionamento del fondo da parte
dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini
dell'edificabilità delle aree libere, che devono comunque
intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a
quelle assentite al momento del frazionamento (TAR Sardegna
sez. II Cagliari, 19.05.2006 n. 996; TAR Abruzzo Pescara,
06.02.2006 n. 88; TAR Sicilia sez. I Catania, 01.04.2008 n.
547 e 28.04.2010 n. 1251).
Fin di recente, la Giurisprudenza ha ribadito che un'area
edificabile , già interamente considerata in occasione del
rilascio di una concessione edilizia agli effetti della
volumetria realizzabile, non può più essere tenuta in
considerazione come area libera, neppure parzialmente , ai
fini del rilascio di una seconda concessione nelle
perdurante esistenza del primo edificio , irrilevanti
appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà de terreni
(Cons. Stato, sez. IV, 06.05.2013 e n. 2442 e Sez.V
10.02.2000 n. 749).
Ancora, nel determinare la preesistenza da dedurre, occorre
fare riferimento a tutte le costruzioni, che comunque già
insistono sull'area, ivi comprese quelle abusive (ovvero
condonate) e non già solo a quelle assistite da titolo.
Infatti, (cfr. Cons. St., Sez. IV, 12.05.2008 n. 2177) <<quando
la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il
vincolo dell'area discende ope legis dalla sua
utilizzazione, a prescindere dal fatto che l'utilizzazione
stessa sia "coperta" o meno da uno dei titoli all'uopo
previsti dall'ordinamento, così come a prescindere dalla
natura stessa -di verifica preventiva della conformità della
realizzando costruzione agli strumenti urbanistici, ai
regolamenti edilizi ed alla disciplina urbanistico/edilizia,
ovvero in sanatoria- del titolo>>.
In conclusione, secondo la giurisprudenza un'area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa
(cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 2941 del
22.05.2012, sez. V, 12.07.2004 n. 5039).
In altri termini, qualora un lotto urbanisticamente unitario
sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la
volumetria residua o la superficie coperta residua vanno
calcolate previo decurtamento di quella in precedenza
realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi
frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare
che il computo dell’indice venga alterato con l’ipersaturazione
di alcune superfici al fine di creare artificiosamente
disponibilità nel residuo.
La conclusione non muta nell'ipotesi in cui sia stato
costruito abusivamente e la costruzione sia stata
successivamente sanata.
In tal caso, la situazione alla quale far riferimento ai
fini della valutazione dello sfruttamento o meno della
volumetria dei vari lotti non è, come sostiene il
ricorrente, quella al momento del rilascio della concessione
edilizia in sanatoria (la qual cosa si presterebbe a facile
elusione della disciplina urbanistica) bensì quella al
momento della edificazione, allorquando la costruzione, per
la rilevante cubatura, ha assorbito tutta la volumetria
esprimibile dai lotti di terreno all’epoca appartenenti ad
unico proprietario.
Non rileva neppure la circostanza che alcuni dei lotti non
siano stati inseriti nella domanda di condono, avendo
egualmente perduto in via permanente la volumetria al
momento della costruzione.
In tal senso, oltre la Giurisprudenza sopra richiamata, v.
anche Tar Lombardia, Sez. I di Brescia, sentenza del
25.11.2011 n. 1629, secondo la quale nel determinare la
preesistenza da dedurre occorre fare riferimento a tutte le
costruzioni, che comunque già insistono sull’area, ivi
comprese quelle abusive (ovvero condonate) e non già solo a
quelle assistite da titolo. Infatti (come chiarito dalle
decisioni sopra richiamate), quando la normativa urbanistica
impone limiti di volumetria, il vincolo sull'area discende
ope legis dalla sua utilizzazione, a prescindere dal
fatto che l’utilizzazione stessa sia “coperta” o meno
da uno dei titoli all’uopo previsti dall’ordinamento, così
come a prescindere dalla natura stessa –di verifica
preventiva della conformità della realizzanda costruzione
agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla
disciplina urbanistico/edilizia, ovvero successiva ed in
sanatoria– del titolo.
Nello stesso senso TAR Campania, Sezione VII di Napoli, dec.
n. 7042 del 19/05/2010, secondo il quale <<il successivo
frazionamento della particella originaria non è idoneo a far
ottenere una nuova potenzialità edificatoria ad una
superficie allo scopo già utilizzata, sia pure con un
immobile oggetto di istanza di condono che, comunque,
“impegna” la volumetria assentibile sulla stessa area>>.
Al riguardo, a nulla rileva che l’abuso edilizio, per il
quale è stato richiesto il condono, riguardi una particella
mentre il nuovo intervento che si vorrebbe realizzare sarà
realizzato su altre particelle , peraltro formate per
frazionamento della p.lla originaria.
D’altra parte, prosegue la richiamata decisione, <<è
pacifico che ai fini della quantificazione della volumetria
residua disponibile di un lotto parzialmente edificato
occorra considerare tutte le costruzioni che insistono
sull'area. Tra tali costruzioni vanno dunque inserite anche
quelle abusive, purché oggetto di una domanda di condono e
dunque, almeno fino alla definizione di tale domanda in
senso negativo, non sanzionabili con la demolizione: anche
tali manufatti concorrono a determinare una saturazione
dell’area, né sembra ragionevole escludere dalla volumetria
assentibile quella già sfruttata, sia pure per mezzo di
opere abusive successivamente condonate (in termini, TAR
Campania cit.)>>.
Conseguentemente, alla stregua dei predetti, condivisibili,
orientamenti giurisprudenziali, il ricorso risulta
infondato, poiché nel caso in questione ricorrono tutti i
presupposti voluti dalla giurisprudenza (unico proprietario
di più particelle autonomamente accatastate su alcune delle
quali abbia eseguito costruzioni abusive le quali, per la
rilevante cubatura, impegnino la volumetria di tutte le
particelle catastali autonome) per ritenere definitivamente
perduta la volumetria delle aree, interamente impegnate
dalle costruzioni sanate (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 26.09.2013 n. 2296 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lotto edificabile e volumetria realizzabile: vicende dei
terreni ininfluenti sulla concessione iniziale.
Un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di un permesso di
costruire, agli effetti della volumetria realizzabile, non
può più essere tenuta in considerazione come area libera,
neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda
concessione nella perdurante esistenza del primo edificio,
irrilevanti appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà
dei terreni o successivi frazionamenti. La volumetria
disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera
area permane invariata.
Il caso riguarda un diniego di un permesso di costruire per
un edificio da adibire ad abitazione del custode di una
villa situata in prossimità.
Il Comune nega il permesso ritenendo che la particella dove
sarebbe dovuta essere ubicata l’abitazione del custode
(part. 274) e quelle adiacenti su cui insiste la villa
(part. 266 e 270) devono considerarsi unitariamente ai fini
del calcolo della volumetria realizzabile.
Dovrebbero, in sostanza, considerarsi come un unico lotto
edificabile, la cui volumetria è già stata a suo tempo
esaurita dalla costruzione della villa sulle due particelle
adiacenti (266 e 270), a cui la restante particella (274)
risulta asservita ai fini volumetrici.
Il Consiglio di Stato si pronuncia per la legittimità del
diniego dando utili indicazioni in materia di individuazione
del lotto edificabile ai fini della volumetria disponibile.
Il lotto edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal
profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile
essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a
diversi proprietari e perfino tra loro non contigui),
individuandosi esclusivamente sulla base degli indici
edificatori previsti dalla normativa urbanistica.
Solo con il rilascio della concessione edilizia il lotto
edificabile viene ad essere concretamente delimitato, con
definizione delle potenzialità edificatorie del fondo,
unitariamente considerato, e determinazione della cubatura
ivi assentibile in relazione ai limiti imposti dalla
normativa urbanistica.
È, quindi, irrilevante che l'area coincidente con il lotto
edificabile delimitato dalla concessione edilizia sia
successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, in quanto la volumetria disponibile ai sensi
della normativa urbanistica nell'intera area permane
invariata.
Pertanto un'area edificabile, già interamente considerata in
occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli
effetti della volumetria realizzabile, non può più essere
tenuta in considerazione come area libera, neppure
parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione
nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti
appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei
terreni.
Più specificatamente, nella ipotesi della realizzazione di
un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla
base anche di un'area asservita o accorpata, ai fini
edificatori deve essere considerata l'intera estensione
interessata, con l'effetto che anche l'area accorpata non è
più edificabile anche se è oggetto di frazionamento o di
alienazione separata dalle aree su cui insistono i
manufatti.
---------------
LA DECISIONE IN SINTESI
Esiti del ricorso
Conferma TAR Toscana, Sezione III, n. 775/2001
Precedenti giurisprudenziali
Cons. Stato, Sez. V, 10.02.2000, n. 749;
Cons. Stato, Sez. V, 07.11.2002 n. 6128, cit.; Sez. IV,
06.08.2012, n. 4482;
TAR Puglia Bari Sez. III, 09.01.2013, n. 11 (commento
tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.09.2013 n. 4531 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
lotto edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal
profilo dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile
essere formato da appezzamenti di terreno appartenenti a
diversi proprietari e perfino tra loro non contigui),
individuandosi esclusivamente sulla base degli indici
edificatori previsti dalla normativa urbanistica. Solo con
il rilascio della concessione edilizia il lotto edificabile
viene ad essere concretamente delimitato, con definizione
delle potenzialità edificatorie di un fondo, unitariamente
considerato, e determinazione della cubatura ivi assentibile
in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica.
È, quindi, irrilevante che l'area coincidente con il lotto
edificabile delimitato dalla concessione edilizia sia
successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, in quanto la volumetria disponibile ai sensi
della normativa urbanistica nell'intera area permane
invariata.
Pertanto un'area edificabile, già interamente considerata in
occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli
effetti della volumetria realizzabile, non può più essere
tenuta in considerazione come area libera, neppure
parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione
nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti
appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei
terreni.
---------------
Nella ipotesi della realizzazione di un manufatto edilizio
la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area
asservita o accorpata, ai fini edificatori deve essere
considerata l'intera estensione interessata, con l'effetto
che anche l'area accorpata non è più edificabile anche se è
oggetto di frazionamento o di alienazione separata dalle
aree su cui insistono i manufatti.
L'istituto dell'asservimento, consistente nella volontaria
rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore
del loro sfruttamento in un'altra particella, serve ad
accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo
dell'utilizzo, in essa, della cubatura realizzabile in una
particella contigua e del conseguente computo anche della
superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del
rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria. Il
presupposto logico dell'asservimento deve essere rinvenuto
nella indifferenza, ai fini del corretto sviluppo della
densità edilizia (come previsto negli atti pianificatori),
della materiale collocazione dei fabbricati, atteso che, per
il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume
esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area
edificabile e volumetria realizzabile nella zona di
riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando
del tutto neutra l'ubicazione degli edifici all'interno del
comparto (fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle
distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima
dei lotti).
Osserva in via preliminare la Sezione che il lotto
edificabile è uno spazio fisico che prescinde dal profilo
dominicale (ben può, cioè, il lotto edificabile essere
formato da appezzamenti di terreno appartenenti a diversi
proprietari e perfino tra loro non contigui), individuandosi
esclusivamente sulla base degli indici edificatori previsti
dalla normativa urbanistica. Solo con il rilascio della
concessione edilizia il lotto edificabile viene ad essere
concretamente delimitato, con definizione delle potenzialità
edificatorie di un fondo, unitariamente considerato, e
determinazione della cubatura ivi assentibile in relazione
ai limiti imposti dalla normativa urbanistica.
È, quindi, irrilevante che l'area coincidente con il lotto
edificabile delimitato dalla concessione edilizia sia
successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, in quanto la volumetria disponibile ai sensi
della normativa urbanistica nell'intera area permane
invariata.
Pertanto un'area edificabile, già interamente considerata in
occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli
effetti della volumetria realizzabile, non può più essere
tenuta in considerazione come area libera, neppure
parzialmente, ai fini del rilascio della seconda concessione
nella perdurante esistenza del primo edificio, irrilevanti
appalesandosi le vicende inerenti alla proprietà dei terreni
(Cons. Stato, Sez. V, 10.02.2000, n. 749).
Più specificatamente, va rilevato che, nella ipotesi della
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un'area asservita o accorpata,
ai fini edificatori deve essere considerata l'intera
estensione interessata, con l'effetto che anche l'area
accorpata non è più edificabile anche se è oggetto di
frazionamento o di alienazione separata dalle aree su cui
insistono i manufatti (Cons. Stato, Sez. V, 07.11.2002 n.
6128 e 10.02.2000, n. 749, cit.; Sez. IV, 06.08.2012, n.
4482).
L'istituto dell'asservimento, consistente nella volontaria
rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore
del loro sfruttamento in un'altra particella, serve ad
accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo
dell'utilizzo, in essa, della cubatura realizzabile in una
particella contigua e del conseguente computo anche della
superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del
rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria. Il
presupposto logico dell'asservimento deve essere rinvenuto
nella indifferenza, ai fini del corretto sviluppo della
densità edilizia (come previsto negli atti pianificatori),
della materiale collocazione dei fabbricati, atteso che, per
il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume
esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area
edificabile e volumetria realizzabile nella zona di
riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando
del tutto neutra l'ubicazione degli edifici all'interno del
comparto (fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle
distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima
dei lotti) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.09.2013 n. 4531 - link a
www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'asservimento della volumetria da un
lotto a favore di un altro, onde realizzare una maggiore
edificabilità, è consentita solo con riferimento ad aree
aventi una medesima destinazione urbanistica, posto che
diversamente si verificherebbe un'evidente alterazione delle
caratteristiche tipologiche della zona tutelate dalle norme
urbanistiche.
---------------
Anche ove le aree tra le quali andrebbe operata la cessione
di cubatura appartengano ad una stessa zona ai sensi del
D.M. n. 1444 del 1968, la loro riconducibilità a sottozone
diverse, contrassegnate da una diversità di
regolamentazione, potrebbe ostare ad una valutazione di
omogeneità.
Invero, questa interpretazione prospettata dal Comune è da
condividere, le quante volte le diversità di disciplina
riscontrabili tra le sottozone in giuoco abbiano
un’apprezzabile incidenza sostanziale sulla destinazione di
indirizzo dei rispettivi fondi, e possa dunque profilarsi
quale effetto dell'asservimento un'elusione dei limiti posti
dallo strumento urbanistico, con un’alterazione delle
caratteristiche tipologiche da questo tutelate.
Del resto, la giurisprudenza è consolidata sul principio per
cui l'asservimento della volumetria da un lotto a favore di
un altro, onde realizzare una maggiore edificabilità, è
consentita solo con riferimento ad aree aventi una medesima
destinazione urbanistica, posto che diversamente si
verificherebbe un'evidente alterazione delle caratteristiche
tipologiche della zona tutelate dalle norme urbanistiche
(Consiglio Stato sez. V, 11.04.1991, n. 530; v. peraltro, in
precedenza, sez. IV, 04.05.1979, n. 302, che, dopo avere
avvertito che l'asservimento di aree rispetto ad una licenza
edilizia ha la funzione di concentrare su un'area, oltre
alla volumetria propria di essa, anche quella spettante ad
aree diverse appartenenti allo stesso o ad altri
proprietari, aveva già chiarito che una simile possibilità è
data solo nel rispetto delle norme disciplinanti l'attività
edilizia sull'area a favore della quale viene operato
l'asservimento, che trova un limite insuperabile
nell'omogeneità dell'area da asservire rispetto a quella
destinata all'edificazione, onde prevenire l'elusione dei
limiti posti dallo strumento urbanistico; sul requisito
dell’omogeneità cfr. anche, più di recente, sez. V,
03.03.2003, n. 1172; 10.06.2005, n. 3052; 22.10.2007, n.
5496; sez. IV, 30.09.2008, n. 4708).
---------------
La tesi di fondo di
parte ricorrente è, infatti, quella che l’esistenza del
requisito dell’omogeneità tra area ceduta ed area
beneficiaria, vale a dire le due sottozone F2 ed F3, sarebbe
assicurata già, una volta per tutte, dal fatto stesso della
loro comune appartenenza alla zona agricola “F”.
Per contro, l’interpretazione seguita dall’Amministrazione,
e convalidata dal primo Giudice, si ispira al più rigoroso
ordine di idee per cui anche ove le aree tra le quali
andrebbe operata la cessione di cubatura appartengano ad una
stessa zona ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, la loro
riconducibilità a sottozone diverse, contrassegnate da una
diversità di regolamentazione, potrebbe ostare ad una
valutazione di omogeneità.
La Sezione ritiene che questa seconda interpretazione, da
essa già condivisa (decisione 22.10.2007, n. 5496), sia
preferibile, le quante volte le diversità di disciplina
riscontrabili tra le sottozone in giuoco abbiano, come nella
specie, un’apprezzabile incidenza sostanziale sulla
destinazione di indirizzo dei rispettivi fondi, e possa
dunque profilarsi quale effetto dell'asservimento
un'elusione dei limiti posti dallo strumento urbanistico,
con un’alterazione delle caratteristiche tipologiche da
questo tutelate
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 19.04.2013 n. 2220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’inedificabilità dell’area asservita o
accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini
edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo,
come tale opponibile ai terzi acquirenti, e produce
l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i
limiti consentiti, a nulla rilevando che la proprietà
dell’area sia stata trasferita ad altri, che l’edificazione
sia direttamente ascrivibile a questi ultimi, che manchino
specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento
o che l’edificio insista su una parte del lotto
catastalmente divisa.
Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale,
di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano
urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di
edificare, si rivelerebbero vani e privi di significato, in
quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti
verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in
relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo
piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità
della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del
territorio.
Se quindi, in linea generale, l’asservimento di una
particella non può essere considerata un dato irrilevante,
per il solo fatto che sia mutata la disciplina urbanistica
di riferimento, dovendosi tenere conto della stessa, in sede
di calcolo della volumetria realizzabile, ciò deve valere
tanto più qualora, come nella specie, le disposizioni
introdotte dal nuovo strumento urbanistico si pongano
addirittura come meno favorevoli, nel fissare i parametri di
calcolo della suddetta volumetria.
Soccorre, al riguardo, la precipua massima secondo la quale:
“Se il proprietario di un immobile non ha realizzato tutta
la volumetria consentita dagli indici edificatori e questi
cambiano in pejus nel corso del tempo, il medesimo deve
subirne le conseguenze, che consistono nel fatto che la
quantità di asservimento del terreno rimasto libero verrà
calcolata sulla base dei nuovi indici. Ciò in quanto i
limiti entro cui un’area può essere edificata si riferiscono
non all’edificazione ulteriore rispetto a quella esistente
al momento dell’approvazione (dello strumento urbanistico),
ma all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area.
Se così non fosse, si verificherebbe l’effetto perverso di
consentire l’edificabilità di aree già impegnate da
preesistenze, in contrasto con gli indici di piano in
vigore".
---------------
La semplice modifica della pianificazione urbanistica
vigente non è ex se in grado di cancellare gli asservimenti
pregressi, in specie in assenza di espressa diversa
previsione.
La situazione di “asservimento” si presenta come una
caratteristica oggettiva dell’area da ricollegare alla sua
utilizzazione edificatoria il cui contenuto consiste in un
vincolo automatico dell’area stessa in relazione alla
volumetria da essa espressa; detto vincolo, pertanto, si
traduce in una servitù (di non edificabilità non in senso
assoluto bensì relativo in quanto limitata e correlata alla
volumetria consentita con la conseguenza che la modifica
dell’indice edificabile, in senso migliorativo, consente al
proprietario dell’area vincolata una maggiore utilizzazione
indipendentemente dall’esplicita riserva dichiarata in atti,
in ragione del principio di elasticità del diritto di
proprietà, che riespande la propria area riappropriandosi
“in toto” di ogni utilità riveniente e dell’ampiezza
primitiva).
---------------
In tema di diniego di una concessione edilizia, nel caso di
asservimento di un fondo ad un altro, non rileva la
circostanza che l’area in esame sia qualificata come
edificabile dal piano regolatore, come attestato dal
certificato di destinazione edilizia, in quanto la
conformazione giuridica astratta impressa alla medesima in
sede di pianificazione generale lascia impregiudicata
l’esigenza di procedere ad una valutazione concreta delle
potenzialità edificatorie ancora esprimibili dall’area in
forza del computo della superficie e della cubatura dei
fabbricati preesistenti.
Essa si scontra con
l’indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di
aderire, espresso, da ultimo, nella massima che segue: “L’inedificabilità
dell’area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta
utilizzazione a fini edificatori, costituisce una qualità
obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi
acquirenti, e produce l’effetto di impedirne l’ulteriore
edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando
che la proprietà dell’area sia stata trasferita ad altri,
che l’edificazione sia direttamente ascrivibile a questi
ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati
diretti all’asservimento o che l’edificio insista su una
parte del lotto catastalmente divisa. Diversamente opinando,
gli indici (di densità territoriale, di fabbricabilità
territoriale e di fondiaria) del piano urbanistico
sopravvenuto, che conformano il diritto di edificare, si
rivelerebbero vani e privi di significato, in quanto le aree
sulle quali sono stati operati frazionamenti verrebbero ad
esprimere una cubatura maggiore di quella consentita alla
stregua delle sopravvenute previsioni, in relazione a tutta
la loro estensione considerata dal nuovo piano, con la
conseguenza di pregiudicare la stessa finalità della
strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del
territorio” (TAR Puglia–Bari – Sez. III, 09.01.2013, n.
11).
Se quindi in linea generale –conformemente a quanto ritenuto
dalla giurisprudenza citata– l’asservimento di una
particella non può essere considerata un dato irrilevante,
per il solo fatto che sia mutata la disciplina urbanistica
di riferimento, dovendosi tenere conto della stessa, in sede
di calcolo della volumetria realizzabile, ciò deve valere
tanto più qualora, come nella specie, le disposizioni
introdotte dal nuovo strumento urbanistico si pongano
addirittura come meno favorevoli, nel fissare i parametri di
calcolo della suddetta volumetria.
Soccorre, al riguardo, la precipua massima, citata
nell’ordinanza cautelare della Sezione, secondo la quale: “Se
il proprietario di un immobile non ha realizzato tutta la
volumetria consentita dagli indici edificatori e questi
cambiano in pejus nel corso del tempo, il medesimo deve
subirne le conseguenze, che consistono nel fatto che la
quantità di asservimento del terreno rimasto libero verrà
calcolata sulla base dei nuovi indici. Ciò in quanto i
limiti entro cui un’area può essere edificata si riferiscono
non all’edificazione ulteriore rispetto a quella esistente
al momento dell’approvazione (dello strumento urbanistico),
ma all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area.
Se così non fosse, si verificherebbe l’effetto perverso di
consentire l’edificabilità di aree già impegnate da
preesistenze, in contrasto con gli indici di piano in vigore”
(TAR Veneto – Sez. I – 10.09.2004, n. 3263).
---------------
La contraria tesi, espressa dal Comune nella memoria
difensiva in atti, vale a dire che l’asservimento resterebbe
efficace, “solo in costanza della strumentazione
urbanistica vigente”, ovvero che il variare della
strumentazione urbanistica comporterebbe automaticamente il
travolgimento degli asservimenti, operati nel vigore della
precedente, equivarrebbe in pratica a negare qualsivoglia
efficacia, ad atti di tale specie, destinati ad essere
spazzati via ad ogni mutamento della disciplina urbanistica
di zona, con immaginabili gravissime conseguenze sulla
possibilità per gli stessi di conseguire la loro specifica
finalità, che è quella, evidentemente, di consentire un
ordinato sviluppo del territorio.
Probabilmente, la tesi di cui sopra origina dal
fraintendimento dell’indirizzo giurisprudenziale, espresso
in massime come la seguente: “L’atto di asservimento di
un lotto, che costituisce una qualità oggettiva dello stesso
(una sorta di obbligazione “propter rem”) e realizza una
specie particolare di relazione pertinenziale, non comporta
un divieto assoluto di edificazione, pur costituendo un
vincolo che rimane cristallizzato nel tempo, ma non può
costituire limite rispetto alle determinazioni del
pianificatore generale, che resta libero di dettare una
nuova disciplina sulla volumetria e sulla capacità
edificatoria. In tal senso, quindi, l’asservimento di un
terreno per realizzare una costruzione non rende lo stesso
definitivamente inedificabile anche per il futuro; la
destinazione ed utilizzazione delle aree rappresenta,
infatti, un dato dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel
tempo l’indice fondiario, nonché la stessa previsione dei
lotti minimi, per cui la potenzialità edificatoria di un
terreno va necessariamente valutata ed esaminata alla
stregua della modificazione della pianificazione urbanistica
e della normativa sopravvenuta” (TAR Lazio–Roma – Sez.
II, 10.09.2010, n. 32217).
Orbene, nella specie non si tratta per nulla di negare il
principio, del tutto condivisibile, secondo il quale “la
potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente
valutata ed esaminata alla stregua della modificazione della
pianificazione urbanistica e della normativa sopravvenuta”;
si tratta piuttosto di sottolineare, come fa anche la
decisione appena citata, che l’atto di asservimento
costituisce, in ogni caso, “un vincolo che rimane
cristallizzato nel tempo”, una “qualità oggettiva”
del lotto, onde la potenzialità edificatoria del medesimo,
valutata secondo gli indici sopravvenuti, non può
assolutamente prescinderne (come vorrebbe invece la difesa
del Comune).
Sicché quando –come nella specie– proprio applicando i nuovi
indici, detta potenzialità edificatoria risulta
definitivamente esaurita, non si può certo superare a piè
pari l’ostacolo e affermare che l’asservimento precedente
non ha più alcun rilievo.
In pratica, si tratta di prendere atto che i principi,
vigenti in materia, non possono essere altri che quelli,
secondo cui: “La semplice modifica della pianificazione
urbanistica vigente non è ex se in grado di cancellare gli
asservimenti pregressi, in specie in assenza di espressa
diversa previsione” (TAR Liguria – Sez. I, 22.05.2006,
n. 475); e: “La situazione di “asservimento” si presenta
come una caratteristica oggettiva dell’area da ricollegare
alla sua utilizzazione edificatoria il cui contenuto
consiste in un vincolo automatico dell’area stessa in
relazione alla volumetria da essa espressa; detto vincolo,
pertanto, si traduce in una servitù (di non edificabilità
non in senso assoluto bensì relativo in quanto limitata e
correlata alla volumetria consentita con la conseguenza che
la modifica dell’indice edificabile, in senso migliorativo,
consente al proprietario dell’area vincolata una maggiore
utilizzazione indipendentemente dall’esplicita riserva
dichiarata in atti, in ragione del principio di elasticità
del diritto di proprietà, che riespande la propria area
riappropriandosi “in toto” di ogni utilità riveniente e
dell’ampiezza primitiva)” (TAR Puglia–Bari – Sez. II,
16.06.1990, n. 279).
-------------
Il secondo introduce, invece, la questione della diversa
destinazione urbanistica dell’area, sulla quale insiste la
particella in oggetto, per effetto dell’approvazione del
P.R.G. di Baronissi, modificazione di disciplina urbanistica
che avrebbe “di fatto superato tutti i vincoli sulla
stessa gravanti, ivi compreso, in particolare, quello
derivante dal predetto atto di asservimento, sottoscritto
sotto la vigenza della precedente strumentazione urbanistica
(P. di F.)”.
Quindi, secondo questa tesi, la modifica della
strumentazione urbanistica comporterebbe, ipso iure,
il travolgimento degli asservimenti, stipulati sotto la
vigenza della precedente, riacquistando il lotto tutta
intera la capacità edificatoria esprimibile secondo i nuovi
indici, senza neppure la necessità di scomputare la
volumetria già impegnata al momento della stipula dell’atto
di asservimento in questione.
Essa, che si riduce in pratica a null’altro che ad una
variante di quella, già esaminata sopra, non è accettabile,
posto che altrimenti, come pure rilevato in precedenza, ogni
modifica dell’assetto urbanistico sarebbe idonea a
comportare una ridefinizione, in aumento, del carico
edilizio gravante su una determinata area, con buona pace
dell’ordinato governo del territorio, ed è, in ogni caso,
sconfessata espressamente dalla massima che segue: “In
tema di diniego di una concessione edilizia, nel caso di
asservimento di un fondo ad un altro, non rileva la
circostanza che l’area in esame sia qualificata come
edificabile dal piano regolatore, come attestato dal
certificato di destinazione edilizia, in quanto la
conformazione giuridica astratta impressa alla medesima in
sede di pianificazione generale lascia impregiudicata
l’esigenza di procedere ad una valutazione concreta delle
potenzialità edificatorie ancora esprimibili dall’area in
forza del computo della superficie e della cubatura dei
fabbricati preesistenti” (Consiglio di Stato – Sez. V –
27.06.2011, n. 3823)
(TAR Campania-Salerno, Sez.
I,
sentenza 16.04.2013 n. 890 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Nel
caso in cui si tratti di asservire per la prima volta
all’edificazione, mediante la costruzione di uno o più
fabbricati, aree non ancora urbanizzate –che obiettivamente
richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente
aggregato abitativo, la realizzazione delle opere di
urbanizzazione primaria e secondaria– appare indiscussa la
necessità del piano esecutivo (piano di lottizzazione o
piano particolareggiato) dovendo essere rispettata la
cadenza, in ordine successivo, dell’approvazione del piano
regolatore generale e della realizzazione dello strumento
urbanistico d’attuazione, al fine di garantisce una
pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del
territorio dal punto di vista urbanistico. Diversamente,
l’integrità d’origine del territorio sarebbe sostanzialmente
vulnerata.
Per contro, nei casi nei quali la zona risulti totalmente
urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei
servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della
collettività –quali strade, spazi di sosta, fognature, reti
di distribuzione del gas, dell’acqua e dell’energia
elettrica, scuole, etc.– lo strumento urbanistico esecutivo
non deve ritenersi più necessario.
Con
riferimento al secondo motivo, volto a contestare la scelta
dell’amministrazione di subordinare l’edificazione dell’area
ad un precedente piano attuativo, ferma restando la natura
discrezionale dell’atto pianificatorio, oggetto di
impugnazione, il sindacato sulla ragionevolezza di tale
scelta procede attraverso la rigorosa prova delle
circostanze di fatto su cui la pianificazione urbanistica
interviene.
Così, nel caso in cui si tratti di asservire per la
prima volta all’edificazione, mediante la costruzione di uno
o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate –che
obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col
preesistente aggregato abitativo, la realizzazione delle
opere di urbanizzazione primaria e secondaria– appare
indiscussa la necessità del piano esecutivo (piano di
lottizzazione o piano particolareggiato) dovendo essere
rispettata la cadenza, in ordine successivo,
dell’approvazione del piano regolatore generale e della
realizzazione dello strumento urbanistico d’attuazione, al
fine di garantisce una pianificazione razionale e ordinata
del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista
urbanistico. (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 20.05.1980 n. 18 e 06.12.1992 n. 12; V Sezione, 13.11.1990 n. 776;
06.04.1991
n. 446 e 07.01.1999 n. 1; TAR Campania, IV Sezione, 02.03.2000
n. 596). Diversamente, l’integrità d’origine del territorio
sarebbe sostanzialmente vulnerata.
Per contro, nei casi nei quali la zona risulti
totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle
opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni
della collettività –quali strade, spazi di sosta,
fognature, reti di distribuzione del gas, dell’acqua e
dell’energia elettrica, scuole, etc.– lo strumento
urbanistico esecutivo non deve ritenersi più necessario
(cfr., per tutte, TAR Campania, IV Sezione, 06.06.2000
n. 1819).
Tuttavia, il Collegio ritiene che nel caso di specie il
vizio denunciato non sia stato supportato da idonea
documentazione probatoria, incombendo al ricorrente
medesimo, che ciò non ha fatto, offrire almeno un principio
di prova a sostegno dell’irragionevolezza della suddetta
previsione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.03.2013 n. 779 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cessione di cubatura – Nozione –
Effetti.
L’istituto del
cd. asservimento di terreno per scopi edificatori (o
cessione di cubatura) consiste in un accordo tra proprietari
di aree contigue, aventi la medesima destinazione
urbanistica, in forza del quale il proprietario di un'area "cede"
una quota di cubatura edificabile sul suo fondo per
permettere all'altro di disporre della minima estensione di
terreno richiesta per l'edificazione, ovvero di realizzare
una volumetria maggiore di quella consentita dalla
superficie del fondo di sua proprietà.
E' circostanza indubbia in proposito che gli effetti che ne
derivano hanno carattere definitivo ed irrevocabile,
integrano una qualità oggettiva dei terreni e producono una
minorazione permanente della loro utilizzazione da parte di
chiunque ne sia il proprietario.
Vincolo di asservimento – Costituzione –
Possibilità edificatorie – Volumetria residua.
Il "vincolo di asservimento" si costituisce per
effetto del rilascio del permesso di costruire cui esso è
orientato, senza oneri di forma pubblica o di trascrizione,
ed incide definitivamente sulla disciplina urbanistica ed
edilizia delle aree interessate (cfr. Cons. Stato sez. 5 n.
3637/2000; Cass. civ. n. 1352/96 e n. 9081/98; Cass. pen.
sez. 3 n. 21177/09), derivandone l'impossibilità di
assentire e di richiedere ulteriori ed eccedenti
realizzazioni di volumi costruttivi sul fondo asservito, per
la parte in cui esso è rimasto privo della potenzialità
edificatoria già utilizzata dal titolare del fondo in favore
del quale ha avuto luogo l'asservimento (così testualmente
Cass. penale da ultimo citata). Le possibilità edificatorie
sull'area asservita sono dunque definitivamente perdute, per
il semplice fatto che di esse si è già irreversibilmente
disposto.
In altri termini, qualora una porzione di suolo sia stata in
concreto utilizzata ai fini del computo della cubatura per
l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere
adoperata allo stesso scopo in futuro, neppure in caso di
ulteriore frazionamento ed alienazione dell'area residua,
altrimenti si consentirebbe al proprietario-frazionante che
avesse già sfruttato la potenzialità edificatoria dell'area
rimasta libera, di consentire ad un terzo, indebitamente,
attraverso l'alienazione dell'area, un'ulteriore
utilizzazione di quanto già da lui utilizzato.
La possibilità di ulteriore edificazione è però
configurabile quando la costruzione già realizzata non
esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente
al momento dell'ulteriore richiesta di permesso di costruire
(cfr. sul punto Cass. sez 4 n. 23230 del 22.04.2004)
(TRIBUNALE di Salerno,
sentenza 21.03.2013 n. 224 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legittimità diniego di concessione edilizia per edificio
rurale e vincolo di inedificabilità.
La circostanza che il vincolo non sia
stato trascritto e che non sia stato istituito il registro
fondiario con i dati catastali dei terreni vincolati, non
può essere utilmente allegata, in termini d’ignoranza della
situazione giuridico-fattuale, dall’interessata, che ha
partecipato ad un rogito notarile dal quale risultava con
chiarezza l’unicità dell’originario compendio immobiliare e
la preesistenza dell’edificio, a nulla rilevando l’assunto
che esso fosse più o meno abitabile, e che è stato oggetto
di successiva ristrutturazione in base a titolo edilizio che
l’interessata non ha impugnato, pur non potendo né dovendo
ignorare che la conservazione del manufatto, ancorché
ristrutturato, assumeva valenza ostativa, per l’effetto
d’asservimento dell’intera superficie fondiaria, ivi
compreso il suolo da essa acquistato, al medesimo edificio,
all’edificazione sul proprio suolo.
Orbene, la semplice lettura della suddetta determinazione
dirigenziale consente di rilevare che il diniego del
rilascio del permesso di costruire si fonda su una rinnovata
valutazione che non soltanto richiama i rilievi già svolti
nel diniego originario (l’essere il suolo della Viviani
parte del più vasto compendio immobiliare originario sul
quale insisteva, sui mappali n. 359, 360, 361 del foglio 2,
preesistente fabbricato che esprimeva l’intera volumetria
assentibile in relazione alla superficie del compendio, col
conseguente asservimento della medesima all’edificio e il
connesso vincolo di non edificabilità di cui all’art. 8
della legge regionale 05.03.1985, n. 24), sebbene anche
sulla considerazione dell’art. 95, comma 2, del Regolamento
edilizio comunale (che ricomprende nella superficie
fondiaria asservita ai fabbricati esistenti alla data di
entrata in vigore del P.R.G. approvato con deliberazione
della Giunta Regionale n. 4864 del 21.09.1982 tutte le aree
scoperte di proprietà della stessa ditta contigua e quella
su cui insiste il fabbricato), nonché sulla considerazione
dei principi espressi appunto dalla sentenza della V Sezione
n. 749 del 10.02.2000 (che sulla scorta di precedenti
pronunce ha ribadito che “…un’area edificabile, già
interamente considerata in occasione del rilascio di una
concessione edilizia, agli effetti della volumetria
realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione
come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio
di una seconda concessione nella perdurante esistenza del
primo edificio, irrilevanti appalesandosi le vicende
inerenti alla proprietà dei terreni…(ossia che)… quando la
volumetria edificabile per la intera area originaria sia
stata utilizzata, a nulla vale perciò il suo successivo
frazionamento”).
In altri termini l’Amministrazione comunale ha emanato nuovo
diniego, non meramente confermativo di quello espresso con
la determinazione dirigenziale n. 27428 del 21.12.2009
(impugnato col ricorso in primo grado n. 656/2000, respinto
con la sentenza n. 1863 del 25.06.2008) e di quello
successivo n. 32343 del 12.12.2001 (impugnato col ricorso in
primo grado n. 491/2001, dichiarato inammissibile con la
sentenza n. 1864 del 25.06.2008 in quanto considerato invece
atto di mera conferma del precedente).
Ne consegue che dall’eventuale accoglimento degli appelli
l’interessata non potrebbe conseguire alcuna utilità, poiché
rimarrebbe comunque fermo il nuovo diniego che non risulta
essere stato impugnato.
Ad abundantiam, deve osservarsi che, ancorché con
motivazione assai più che sintetica, il giudice
amministrativo veneto, nelle due sentenze impugnate ha dato
conto, rispettivamente, della legittimità dell’originario
diniego e della natura meramente confermativa, con
conseguente inammissibilità dell’impugnazione, della
successiva nota dirigenziale.
La sig.ra Anna Viviani è intervenuta alla stipula di un
unico rogito notarile (n. 66086 di repertorio, n. 7776 di
raccolta) in data 24.07.1995, nel quale i proprietari
originari dell’unico compendio immobiliare signori Angelo
Menegotti e Silvana Righetti hanno proceduto al
frazionamento e alla contestuale vendita del compendio in
vari “lotti”, uno dei quali, corrispondente ai
mappali n. 359, 360 e 361 del foglio 2) all’Impresa De Carli
Aleandro di De Carli Gabriella S.a.s., sul quale insisteva,
appunto, un fabbricato con terreno circostante, avendo
l’interessata acquistato il terreno agricolo corrispondente
al mappale n. 362 di foglio 2, e i signori Paolo Pietropaolo,
Giovanni Scaramellini e Gianluigi Bottura, pro quota, un
capannone con porzione di fabbricato rurale e area di
pertinenza, corrispondente ai mappali 355, 356, 357, 358,
363, 364, 365. 366 e 367 di foglio 2.
Con specifico riferimento ai fabbricati rurali, poi, le
parti venditrici hanno dichiarato e attestato che le
relative opere di costruzione “…sono state iniziate in
epoca anteriore al 01.09.1967”.
Orbene, l’art. 8, comma 2, della legge regionale 05.03.1985,
n. 24 dispone, in modo testuale, che: “Le abitazioni
esistenti in zona agricola alla data di entrata in vigore
della presente legge estendono sul terreno dello stesso
proprietario un vincolo di «non edificazione» fino a
concorrenza della superficie fondiaria necessaria alla loro
edificazione, ai sensi dell’art. 3, fatte salve le facoltà
previste dall’art. 5”.
L’asservimento così imposto ex lege dell’intera
superficie fondiaria al fabbricato esistente preclude
l’ulteriore edificazione, ossia esclude che la suddetta
superficie sia suscettibile di esprimere ulteriore
volumetria.
La circostanza che il vincolo non sia stato trascritto, ai
sensi del successivo comma 3, e che non sia stato istituito
il registro fondiario con i dati catastali dei terreni
vincolati, previsto dal comma 4, non può essere utilmente
allegata, in termini d’ignoranza della situazione
giuridico-fattuale, dall’interessata, che ha partecipato ad
un rogito notarile dal quale risultava con chiarezza
l’unicità dell’originario compendio immobiliare e la
preesistenza dell’edificio, a nulla rilevando l’assunto che
esso fosse più o meno abitabile, e che è stato oggetto di
successiva ristrutturazione in base a titolo edilizio che
l’interessata non ha impugnato, pur non potendo né dovendo
ignorare che la conservazione del manufatto, ancorché
ristrutturato, assumeva valenza ostativa, per l’effetto
d’asservimento dell’intera superficie fondiaria, ivi
compreso il suolo da essa acquistato, al medesimo edificio,
all’edificazione sul proprio suolo (massima tratta da
www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.01.2013 n. 415 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
È stato nel tempo sempre affermato che l'inedificabilità
dell'area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta
utilizzazione ai fini edificatori, costituisce una qualità
obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi
acquirenti, ed produce l'effetto d’impedirne l'ulteriore
edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando
che la proprietà dell'area sia stata trasferita ad altri,
che l'edificazione sia direttamente ascrivibile a questi
ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati
diretti all'asservimento o che l'edificio insista su una
parte del lotto catastalmente divisa.
Diversamente opinando, gli indici (di densità territoriale,
di fabbricabilità territoriale e di fondiaria) del piano
urbanistico sopravvenuto, che conformano il diritto di
edificare, si rileverebbero vani e privi di significato, in
quanto le aree sulle quali sono stati operati frazionamenti
verrebbero ad esprimere una cubatura maggiore di quella
consentita alla stregua delle sopravvenute previsioni, in
relazione a tutta la loro estensione considerata dal nuovo
piano, con la conseguenza di pregiudicare la stessa finalità
della strumentazione, di permettere un ordinato sviluppo del
territorio.
---------------
2. Il ricorso è infondato.
La tesi che l'Amministrazione municipale sviluppa richiama
il parere del Consiglio di Stato, Sezione terza, 28.04.2009
n. 9605, secondo il quale "qualora un lotto
urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più
interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie
coperta residua) va calcolata previo decurtamento della
volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali
successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali,
onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con
l’iper saturazione di alcune superfici al fine di creare
artificiosamente disponibilità nel residuo".
La società ricorrente oppone in concreto (in specie, con il
primo motivo di gravame) che, se anche il precedente
strumento urbanistico, sotto il cui vigore è stata
rilasciata al signor Ca.Cu. la licenza edilizia del giorno
11.05.1971 riguardante l'originaria particella 31 del foglio
25, da cui (successivamente al nuovo piano) è stata
stralciata l'attuale particella 1171, di proprietà della
società ricorrente, avesse considerato tali terreni come "un
lotto urbanisticamente unitario", tale situazione non è
più riscontrabile nella disciplina del piano regolatore
generale, approvato con deliberazione della Giunta regionale
21.11.1995 n. 5105, seguita dalla variante generale
approvata con delibera regionale 31.01.2005 n. 561. La
pratica edilizia controversa quindi, in definitiva, è
assoggettata alla più recente strumentazione urbanistica e
precisamente alla disciplina dell'articolo 4 delle norme
tecniche di attuazione, con le relative numerazioni.
In particolare, per gli interventi di nuova edificazione
(anche a seguito di demolizione) nella zona B, l'articolo
4.6 (primo paragrafo) definisce "Le aree libere residue…
quelle tipizzate come zone B e edificate, che non siano
asservite a edifici esistenti, come pertinenze dirette o
come parte scoperta del lotto edificabile originario e che
abbiano diretta comunicazione con una sede stradale pubblica".
Perciò, seguendo il ragionamento attoreo, si dovrebbe
giungere alla conclusione che, in presenza delle vigenti
norme tecniche che si limitano a fissare in 500 m² il lotto
fondiario minimo e in assenza di qualsiasi atto che abbia
asservito l’attuale particella 1171 alla costruzione
realizzata in forza della licenza edilizia del 1971 (non
riscontrabile né nella licenza edilizia né nell'atto di
compravendita), nonché nella mancanza di norme di raccordo
tra la precedente e l'attuale disciplina, la proprietà della
società Le.Co. rappresenti un lotto autonomo suscettibile di
edificazione sulla base dei parametri stabiliti dagli
strumenti urbanistici attualmente in vigore nel comune di
Modugno.
L'assunto però, come già rilevato dalla quarta Sezione del
Consiglio di Stato in sede cautelare, contrasta con
l'interpretazione costantemente data dalla giurisprudenza
alla legislazione urbanistica.
È stato infatti nel tempo sempre affermato che l'inedificabilità
dell'area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta
utilizzazione ai fini edificatori, costituisce una qualità
obiettiva del fondo, come tale opponibile ai terzi
acquirenti, ed produce l'effetto d’impedirne l'ulteriore
edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando
che la proprietà dell'area sia stata trasferita ad altri,
che l'edificazione sia direttamente ascrivibile a questi
ultimi, che manchino specifici negozi giuridici privati
diretti all'asservimento o che l'edificio insista su una
parte del lotto catastalmente divisa (Consiglio di Stato,
Sez. IV, 16.02.1987, n. 91; Sez. V, 25.11.1988, n. 744;
26.11.1994, n. 1382; Sez. IV, 06.09.1999, n. 1402; Sez. V,
10.02.2000, n. 749; 28.02.2001, n. 1074; 07.11.2002, n.
6128; 12.07.2004, n. 5039; Sez. IV, 31.01.2005, n. 217; Sez.
V, 10.05.2005, n. 2328; 09.10.2007, n. 5232; Sez. IV,
26.09.2008, n. 4647; 20.07.2011, n. 4405; TAR Lombardia,
Milano, Sez. IV, 21.12.2009, n. 5750; TAR Puglia, Lecce,
Sez. III, 27.09.2012, n. 1593).
D’altra parte, nella presente vicenda, in linea con i
suddetti principi, il lotto su cui Le.Co. intende costruire
non sembra integrare, neppure alla stregua l'articolo 4.6
delle N.T.A., una delle “aree libere residue”, visto
che dal loro novero devono essere escluse quelle “asservite
a edifici esistenti, …come parte scoperta del lotto
edificabile originario”.
In effetti, diversamente opinando, gli indici (di densità
territoriale, di fabbricabilità territoriale e di fondiaria)
del piano urbanistico sopravvenuto, che conformano il
diritto di edificare, si rileverebbero vani e privi di
significato, in quanto le aree sulle quali sono stati
operati frazionamenti verrebbero ad esprimere una cubatura
maggiore di quella consentita alla stregua delle
sopravvenute previsioni, in relazione a tutta la loro
estensione considerata dal nuovo piano, con la conseguenza
di pregiudicare la stessa finalità della strumentazione, di
permettere un ordinato sviluppo del territorio (ex
plurimis: Consiglio di Stato, Sezione IV, 29.01.2008 n.
255).
A tanto consegue l’infondatezza delle censure sub 1) (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 09.01.2013 n. 11 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: L’asservimento
in favore del fondo interessato dalla costruzione non
implica alcun divieto di alienazione dei suoli asserviti ma
soltanto l’utilizzo della capacità edificatoria espressa
dalle relative particelle, che restano pertanto
inedificabili anche in caso di successivo trasferimento a
terzi.
Ritenuta la fondatezza anche del secondo motivo, diretto a
contestare la sostanza della determinazione assunta
dall’amministrazione, in quanto:
- l’asservimento in favore del fondo interessato dalla
costruzione (particella 1318 del foglio 16) di vari terreni
(tra i quali quello individuato in catasto con la particella
n. 1109 del foglio 16, di 1823 mq.) –realizzato con atto
d’obbligo redatto in forma pubblica (per notaio P. Aponte
rep. 9560, raccolta 4113, del 03.04.2007, regolarmente
trascritto il giorno seguente presso la competente
Conservatoria dei Registri Immobiliari), ai sensi degli
articoli 48 e 49 del regolamento edilizio comunale– non
implica alcun divieto di alienazione dei suoli asserviti ma
soltanto l’utilizzo della capacità edificatoria espressa
dalle relative particelle, che restano pertanto
inedificabili anche in caso di successivo trasferimento a
terzi (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sezione II, 26.07.2012 n.
2097; TAR Campania, Napoli, Sezione II, 14.04.2006 n. 3611)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 29.12.2012 n. 5380 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Diritto di edificazione e saturazione della volumetria
assentibile.
Un’area edificatoria già utilizzata a
fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo
quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi
considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà
private medio tempore intervenuti.
Si precisa al riguardo in linea di diritto che, in relazione
al periodo anteriore all’adozione del (primo) piano
regolatore generale nell’anno 1964, col quale per la prima
volta nel territorio comunale sono stati introdotti indici
di densità edilizia (territoriale e fondiaria), in assenza
di limiti di volumetria non è configurabile un’ipotesi di
asservimento in senso tecnico, ma appare astrattamente
configurabile esclusivamente un vincolo di c.d. asservimento
pertinenziale, connotata dalla destinazione dell’area non
edificata del lotto a servizio dell’edificio realizzato (v.
al riguardo, in fattispecie analoga, C.d.S., Ad. Plen.,
23.04.2009, n. 3). E non v’è dubbio che, in difetto di altri
elementi probatori, ai fini della ricognizione di un
eventuale asservimento di siffatta natura possano assumere
rilievo anche atti negoziali provenienti dagli stessi
privati, nella specie evincibili dall’estratto tavolare
acquisito al giudizio.
Ad ulteriormente suffragio dell’inferenza che conduce ad
escludere l’esistenza di un vincolo di c.d. asservimento
pertinenziale viene, altresì, in rilievo la dimensione delle
superfici delle due aree, superando quella corrispondente
alla p.ed. 3880 (asseritamente asservita, secondo la tesi
del Comune) la superficie dell’area corrispondente alla
p.ed. 2687, sicché –tenendo conto anche degli altri dati di
fatto sopra rilevati, in particolare della radicale
diversità di destinazione d’uso delle rispettive aree
(agricola e rispettivamente commerciale la prima,
residenziale la seconda), protrattasi per decenni– non si
vede come la p.ed. 2687 possa essere qualificata come fondo
principale ai fini del c.d. asserivmento pertinenziale.
Si aggiunga la sopra rilevata circostanza –enucleabile da un
esame globale e onnicomprensivo della documentazione
afferente al rilascio del titolo edilizio del 1955– che
l’area corrispondente alla p.ed. 2687 vi era stata
considerata quale lotto edificabile separato e a sé stante.
Il titolo edilizio all’epoca rilasciato ha, cioè,
interessato non già l’intera p.f. 2052/2, bensì la sola area
corrispondente alla menzionata p.ed. 2687, talché l’area
residua, corrispondente alla superficie dell’attuale p.ed.
3880, non costituisce “superficie pertinenziale”
dell’edificio preesistente per gli effetti di cui all’art.
36, comma 4-bis l. urb. prov., peraltro ratione temporis non
direttamente applicabile alla fattispecie sub iudice,
essendo il citato comma stato aggiunto dall’art. 8, comma 2,
l. prov. 02.07.2007, n. 3, e dunque in epoca successiva al
qui impugnato provvedimento di diniego (il citato comma
4-bis testualmente recita: “Gli edifici esistenti
vincolano le superfici pertinenziali, da dimostrare in base
alla densità edilizia vigente all’atto della presentazione
della domanda edilizia, a prescindere dalla data della loro
realizzazione, dal successivo frazionamento del compendio
immobiliare o dall’alienazione di parti dello stesso”).
La rilevata situazione di fatto e di diritto induce dunque a
considerare l’attuale p.ed. 3880 quale lotto edificabile
autonomo e a sé stante, ai fini dell’applicazione degli
indici di fabbricabilità, senza che si possa tener conto del
fabbricato eretto nel 1955 sulla area corrispondente
all’attuale p.ed. 2678, in quanto ab origine
insistente su diverso lotto edificabile.
La sopra esposta ricostruzione delle vicende relative
all’immobile di cui è causa smentisce l’assunto
dell’Amministrazione comunale, espresso nel parere della
commissione edilizia del 12.01.2005 recepito nell’impugnato
provvedimento di diniego, secondo cui, a fronte del
frazionamento dell’originaria p.f. 2052/2 avvenuto in epoca
connotata dall’assenza di uno strumento urbanistico che
fissasse la densità edilizia (nel duplice aspetto di densità
territoriale e di densità fondiaria), “(…) il fondo
conservato attraverso frazionamento come area pertinenziale
dell’edificio già concessionato non corrispondeva ad alcun
criterio relazionale tra cubatura realizzata e superficie di
pertinenza (…)”. Infatti, tale assunto presuppone un
vincolo pertinenziale (della parte residua della p.f.
2052/2, a servizio della neoformata p.ed. 2687), per le
esposte ragioni in realtà insussistente.
L’Amministrazione appellante, laddove (nella memoria del
27.08.2012) sostiene che “(…) il presupposto per
l’individuazione di una zona di completamento è che la
densità edilizia attribuita risulti sfruttata al 70% (…)
laddove nel computo si inserisce tutto l’esistente (anche
quello realizzato in epoca remota (…)”, sembra
confondere la densità territoriale (riferita, cioè, a
ciascuna zona omogenea, la quale definisce il complessivo
carico di edificazione che può gravare sulla zona intera)
con la densità fondiaria (riferita, invece, alla singola
area edificabile, la quale definisce il volume massimo
assentibile su di essa, espressa dal c.d. indice di
fabbricabilità), venendo nel caso di specie in rilievo solo
quest’ultimo concetto, tenuto conto del tenore del primo
motivo di diniego opposto all’istanza di concessione,
incentrato sul superamento della volumetria assentibile in
applicazione del vigente indice di fabbricabilità di 4 mc/mq
per le zone di completamento.
Dalle superiori considerazioni deriva, altresì, l’inconferenza,
con riguardo alla fattispecie concreta dedotta in giudizio,
dei precedenti di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato,
III, parere 28.04.2009, n. 965/2009; Cons. Stato, IV,
29.01.2008, n. 255; V, 12.07.2004, n. 5039), affermativi del
principio che un’area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa e dovendosi
considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà
private medio tempore intervenuti (massima tratta da
www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.12.2012 n. 6475 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Cessione
di cubatura.
In tema di
cessione di cubatura, la efficacia della volontà del
proprietario "cedente" costituisce, all'interno del
procedimento amministrativo di rilascio del permesso di
costruire, presupposto di tale provvedimento, così che il
trasferimento di volumetria si realizza soltanto con il
rilascio finale del titolo edilizio.
Peraltro, soltanto per effetto dei rilascio del
provvedimento amministrativo si costituisce il ''vincolo
di asservimento" che, senza oneri di forma pubblica o di
trascrizione, incide definitivamente sulla disciplina
urbanistica ed edilizia delle aree interessate, in quanto
nel territorio comunale il titolo abilitativo edilizio crea
un nuovo lotto di pertinenza urbanistica dell'edificio, che
non coincide con i confini di proprietà ed ha una
consistenza indipendente rispetto ai successivi interventi
nelle aree medesime, derivandone l'impossibilità di
assentire e di richiedere ulteriori ed eccedenti
realizzazioni di volumi costruttivi sul fondo asservito, per
la parte in cui esso è rimasto privo della potenzialità
edificatoria già utilizzata dal titolare del fondo in favore
del quale ha avuto luogo l'asservimento (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.10.2012 n. 40111 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un’area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire.
Al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie
dell’area, residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede
la realizzazione, si deve, pertanto, considerare non solo la
superficie libera e il volume a essa corrispondente ma anche
la cubatura del fabbricato preesistente, anche se eseguito
senza il prescritto titolo, a nulla rilevando che quest’ultimo
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa,
frazionata o alienata separatamente.
Tale condizione, in quanto volta a tenere fermo il rapporto
espresso dall’indice di edificabilità fondiaria e a
consentire il raffronto fra volumi edificati ed edificabili
(altrimenti sarebbero eluse le prescrizioni relative alla
densità edilizia), inerisce obiettivamente al fondo
medesimo: il che significa che è opponibile ai successivi
acquirenti ed è valida anche in assenza del convenzionamento
degli atti d’impegno.
Infatti, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei
suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la
densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità: è, pertanto, conformato anche da tali
indici.
---------------
La circostanza dell’epoca di realizzazione dei manufatti, in
sede di computo della volumetria complessiva insediata in
un’area ai fini del rispetto degli standards vigenti, è del
tutto ininfluente, dovendosi considerare, senza alcuna
distinzione, tutta la volumetria già edificata nell’ambito
della zona.
----------------
È legittimo il diniego di un permesso di costruire in caso
di esaurimento della volumetria assentibile poiché la
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata
ha come effetto quella di considerare l’intera estensione
interessata come utilizzata ai fini edificatori; pertanto,
anche l’area asservita o accorpata non è più edificabile,
anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione
separata dall’area su cui insiste il manufatto.
---------------
V. Il ricorso è infondato.
V.1. Il provvedimento di diniego è motivato come segue: “l’area
di intervento risulta derivare per frazionamento dall’area
di pertinenza di un fabbricato di antica costruzione, il cui
volume non è stato tenuto in conto nella determinazione
della capacità edificatoria del suolo, come espressamente
richiesto dall’art. 22 delle NTA del PRG, e il fabbricato
che si chiede di realizzare sviluppa un volume pari alla
capacità edificatoria dell’intera area”.
In particolare, l’originaria particella n. 273 (oggi nn.
1446, 273 sub 3, 1115 e 1116) risultava già edificata nel
1951 nonché oggetto di successivo progetto di ampliamento,
approvato dall’Amministrazione comunale in data 11.07.1958,
con rilascio della relativa licenza (“Villa Pia”).
V.2. Si premette in diritto che:
- Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile
di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di
essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore
permesso di costruire. Al fine di verificare se, in
relazione all’intera superficie dell’area, residui
l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, si
deve, pertanto, considerare non solo la superficie libera e
il volume a essa corrispondente ma anche la cubatura del
fabbricato preesistente, anche se eseguito senza il
prescritto titolo, a nulla rilevando che quest’ultimo possa
insistere su una parte del lotto catastalmente divisa,
frazionata o alienata separatamente (TAR Lombardia, Milano,
sez. IV, 21.12.2009, n. 5750; Consiglio di Stato, IV,
26.09.2008, n. 4647).
Tale condizione, in quanto volta a tenere fermo il rapporto
espresso dall’indice di edificabilità fondiaria e a
consentire il raffronto fra volumi edificati ed edificabili
(altrimenti sarebbero eluse le prescrizioni relative alla
densità edilizia), inerisce obiettivamente al fondo
medesimo: il che significa che è opponibile ai successivi
acquirenti ed è valida anche in assenza del convenzionamento
degli atti d’impegno.
Infatti, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei
suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la
densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità: è, pertanto, conformato anche da tali
indici.
- La circostanza dell’epoca di realizzazione dei manufatti, in sede
di computo della volumetria complessiva insediata in un’area
ai fini del rispetto degli standards vigenti, è del tutto
ininfluente, dovendosi considerare, senza alcuna
distinzione, tutta la volumetria già edificata nell’ambito
della zona (TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 24.01.2008, n.
10).
- È, pertanto, legittimo il diniego di un permesso di costruire in
caso di esaurimento della volumetria assentibile poiché la
realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è
calcolata sulla base anche di un’area asservita o accorpata
ha come effetto quella di considerare l’intera estensione
interessata come utilizzata ai fini edificatori; pertanto,
anche l’area asservita o accorpata non è più edificabile,
anche se è oggetto di un frazionamento o di alienazione
separata dall’area su cui insiste il manufatto (Consiglio di
Stato, sez. IV, 09.07.2011, n. 4134).
- L’enunciazione dei suddetti principi espressa negli artt. 22 e 23
delle NTA del Prg di Nardò nulla aggiunge al già consolidato
indirizzo giurisprudenziale né, in assenza di specifici
limiti temporali, ne impone l’applicazione solo
successivamente all’adozione del correlato PRG; peraltro,
quanto all’applicabilità, l’ultimo frazionamento
dell’originario lotto, del 2010, è successivo all’adozione
del citato strumento urbanistico generale (TAR Puglia-Lecce,
Sez. III,
sentenza 27.09.2012 n. 1593 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'asservimento prevale sulle successive scelte urbanistiche.
a) l'asservimento della capacità edificatoria di un fondo a
favore di un altro (cd. cessione di cubatura) ha natura
reale ed è opponibile ai terzi a prescindere dalla
trascrizione e dalla certificazione urbanistica;
b) il successivo frazionamento dell'area asservita non
travolge l'asservimento;
c) l'asservimento è una condizione del fondo che permane
anche se in seguito mutano le destinazioni di zona.
Secondo l'ultimo dei principi riportati, in pratica,
qualsiasi asservimento di cubatura tra fondi (anche se non
trascritto né indicato nel certificato di destinazione
urbanistica), è idoneo di fatto a paralizzare la successiva
potestà pianificatoria comunale, anche nel caso in cui
questa dovesse ampliare la capacità edificatoria generale
della zona ove l'area asservita è azzonata.
Venendo al merito
della vicenda, possono essere agevolmente risolte mediante
il mero richiamo ai precedenti di questo Consiglio le
questioni della mancata menzione del vincolo nel certificato
urbanistico e quella dell’incidenza del successivo
frazionamento sulle sorti del vincolo.
Sul primo versante si è già chiarito che quanto attestato
dal certificato di destinazione edilizia sulla base della
conformazione giuridica astratta impressa in sede di
pianificazione generale non vale ad obliterare l'esigenza di
procedere ad una valutazione concreta delle potenzialità
edificatorie ancora esprimibili dall'area in forza del
computo della cubatura ceduta (Sez. V, 27.06.2011, n. 3823);
sul secondo, che il frazionamento catastale dell’area
asservita non incide sul pregresso asservimento (Sez. IV,
26.09.2008, n. 4647; 20.07.2011, n. 4405; 09.07.2011, n.
4134;)
Maggiore approfondimento necessita la diversa ed ulteriore
questione del rapporto tra asservimento e successiva
strumentazione urbanistica. Invero anche in relazione a tale
aspetto si è privilegiata la natura reale e definitiva del
vincolo inedificandi con conseguente
cristallizzazione della situazione tracciata dalle parti nel
titolo abilitativo “maggiorato” rilasciato
dall’amministrazione, ed inedificabilità assoluta dell’area
asservita, pur a fronte di sopravvenienze urbanistiche più
favorevoli (da ultimo, in termini netti, Sez. IV 20.07.2011,
n. 4405; 09.07.2011, n. 4134)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza IV,
sentenza 29.08.2012 n. 4643 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Lotto minimo e asservimento del fondo contiguo.
Due lotti confinanti che fanno capo a
due proprietà distinte e ciascuno di consistenza inferiore a
lotto minimo d’intervento edilizio, si pongono, invero, in
una relazione di asservimento reciproco, per cui una sola
delle suddette proprietà può integrare la dotazione minima
richiesta grazie all’asservimento del fondo contiguo. Un
solo lotto, grazie all’asservimento dell’altro, può ottenere
il titolo aedificandum, non potendosi configurare una
edificazione che interessi entrambe le aree con due
costruzioni insistenti su lotti ascrivibili a distinte
proprietà.
Se così non fosse ci si potrebbe trovare di fronte ad un
vero e proprio escamotage, in cui più proprietari di aree
distinte, con le “modalità” dell’accorpamento, aggirerebbero
l’ostacolo della dotazione minima di ciascun lotto per poter
ivi essere consentita l’edificazione.
La problematica è costituita
dal fatto che vi sono due lotti confinanti, che fanno capo a
due proprietà distinte e ciascuno dei quali di consistenza
inferiore alla superficie di 700 mq (lotto minimo
d’intervento edilizio) .Detti lotti si pongono, invero, in
una relazione di asservimento reciproco, di guisa che una
sola delle suddette proprietà può integrare la dotazione
minima richiesta grazie all’asservimento del fondo contiguo.
In relazione alle caratteristiche tipologiche delle aree in
questione come sopra descritte, un solo lotto, grazie
all’asservimento dell’altro, può ottenere il titolo
aedificandum, non potendosi configurare una edificazione
che interessi entrambe le aree con due costruzioni
insistenti su lotti ascrivibili a distinte proprietà.
Parte appellante sostiene che nella specie si sarebbe
verificato solo l’accorpamento di due lotti edificabili in
un solo lotto, ma ciò non è possibile dal momento che le
aree sono urbanisticamente distinte, potendo avvenire
l’unificazione invocata solo ove si fosse in presenza di un
unico bene assoggettate al regime giuridico di un’unica,
indivisa proprietà, il che non è.
Se così non fosse ci si potrebbe trovare di fronte ad un
vero e proprio escamotage, in cui più proprietari di aree
distinte, con le “modalità” dell’accorpamento,
aggirerebbero l’ostacolo della dotazione minima di ciascun
lotto per poter ivi essere consentita l’edificazione.
I due fondi messi insieme hanno capacità edificatoria
sufficiente per un solo intervento insistente su uno dei due
lotti (di uno o dell’altro proprietario) e questo perché una
delle due aree reciprocamente asservite ha “caricato”
l’altra della superficie minima necessaria, con la
conseguenza che, una volta stabilita ed effettuata
l’operazione di asservimento, non residua per il lotto
asservito la potenzialità edificatoria sufficiente a
realizzare su di esso un altro fabbricato, avendo appunto
esaurito, con l’asservimento, la capacità di edificazione
(Cons. Stato Sez. V 10.02.2000 n. 749; idem 07.11.2002 n.
6128)
(massima tratta da
www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.08.2012 n. 4482 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’istituto
dell’asservimento si è formato dopo l’entrata in vigore del
d.m. 02.04.1968, che ha fissato gli standards di
edificabilità delle aree e ha introdotto una organica
regolamentazione della densità edilizia (territoriale e
fondiaria).
La nozione di densità costituisce il parametro di
riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad
asservimento; la densità territoriale, in particolare, è
riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo
carico di edificazione che può gravare sulla stessa, con la
conseguenza che il relativo indice è rapportato sia
all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione
urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni.
Né può dubitarsi che qualsiasi costruzione, anche se eretta
senza il prescritto titolo, concorra al computo complessivo
della densità territoriale.
L'asservimento di particelle contigue a quella sulla quale
viene posizionato il progetto per la realizzazione di un
intervento edilizio nasce da una pratica assai diffusa, che
ha da sempre avuto l'avallo della dottrina e della
giurisprudenza che vi hanno ravvisato uno strumento
legittimo per consentire lo sfruttamento di tutta la
potenzialità edificatoria delle aree a disposizione di chi
intende realizzare tale intervento, con il quale, di solito,
si pone rimedio all'infelice esposizione ovvero alla ridotta
dimensione, dell'area di progetto.
Con l'asservimento le aree asservite perdono, in tutto o in
parte, ma definitivamente, la loro attitudine edificatoria
in favore della particella di progetto, e a tale effetto è
richiesto, normalmente, che il proprietario del compendio
interessato, debba sottoscrivere un atto d'obbligo ovvero
una dichiarazione formale, con il quale, nei riguardi del
Comune, s'impegna per sé e per i propri aventi causa a non
utilizzare, in seguito, a fini edificatori, le particelle
asservite di cui ha, insieme alla particella di progetto, la
proprietà o comunque la disponibilità giuridica.
Tuttavia, ad onta della diffusione della suddetta pratica
edilizia, rimangono tutt’ora incerti i profili che
caratterizzano l’atto costitutivo di tale vincolo, il che
sovente rende problematica la sua effettiva individuazione.
In proposito, la giurisprudenza della Corte di cassazione,
seguendo un indirizzo dottrinario, ha segnalato
ripetutamente che "la cessione di cubatura da parte del
proprietario del fondo confinante, onde consentire il
rilascio della concessione a costruire nel rispetto del
rapporto area-volume, non necessita di atto negoziale ad
effetti obbligatori o reali, essendo sufficiente l'adesione
del cedente, che può esser manifestata o sottoscrivendo
l'istanza e/o il progetto del cessionario; o rinunciando
alla propria cubatura a favore di questi o notificando al
comune tale sua volontà, mentre il c.d. vincolo di
asservimento rispettivamente a carico e a favore del fondo
si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per
effetto del rilascio della concessione edilizia, che
legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo
attiguo, sì che nessun risarcimento è dovuto al cedente”.
La ricostruzione più attendibile della fattispecie, dunque,
è quella di un contratto atipico ad effetti obbligatori
avente natura di atto preparatorio, finalizzato al
trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il
provvedimento amministrativo.
Anche la giurisprudenza amministrativa è propensa a ritenere
il c.d. contratto di asservimento ben può costituire il
presupposto del rilascio di una concessione edilizia che
tenga conto del trasferimento di volumetria e che per il
trasferimento della volumetria non sono necessarie forme
particolari.
... per l'annullamento:
● quanto al ricorso principale, dell’ordinanza ingiunzione
del 29.06.2010, prot. 23766, di demolizione e messa in
pristino delle opere edilizie eseguite con variazioni
essenziali dai titoli edilizi e di ogni atto conseguente e
connesso;
● quanto ai motivi aggiunti, della nota del 18.02.2011, prot.
6315 di diniego all’istanza di riesame dell’ordine di
demolizione del 29.06.2010.
...
Il ricorso è fondato.
Infatti, l’ordinanza impugnata appare viziata da eccesso di
potere per difetto di istruttoria.
Si consideri, preliminarmente che, l’istituto
dell’asservimento si è formato dopo l’entrata in vigore del
decreto ministeriale 02.04.1968, che ha fissato gli
standards di edificabilità delle aree e ha introdotto una
organica regolamentazione della densità edilizia
(territoriale e fondiaria).
La nozione di densità costituisce il parametro di
riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad
asservimento; la densità territoriale, in particolare, è
riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo
carico di edificazione che può gravare sulla stessa, con la
conseguenza che il relativo indice è rapportato sia
all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione
urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni (C.D.S.
Ad. Pl. n. 3 del 23.04.2009).
Né può dubitarsi che qualsiasi costruzione, anche se eretta
senza il prescritto titolo, concorra al computo complessivo
della densità territoriale (C.d.S., IV, 26.09.2008, n. 4647;
IV, 29.07.2008, n. 3766; IV, 12.05.2008, n. 2177; IV,
11.12.2007, n. 6346; V, 27.06.2006, n. 4117; V, 12.07.2005,
n. 3777: V, 12.07.2004, n. 5039; IV, 06.09.1999, n. 1402).
Ora è utile osservare in termini generali che l'asservimento
di particelle contigue a quella sulla quale viene
posizionato il progetto per la realizzazione di un
intervento edilizio nasce da una pratica assai diffusa, che
ha da sempre avuto l'avallo della dottrina e della
giurisprudenza (v. Corte Cass, Sez. II, n. 9081 del
12.09.1998) che vi hanno ravvisato uno strumento legittimo
per consentire lo sfruttamento di tutta la potenzialità
edificatoria delle aree a disposizione di chi intende
realizzare tale intervento, con il quale, di solito, si pone
rimedio all'infelice esposizione ovvero alla ridotta
dimensione, dell'area di progetto.
Con l'asservimento le aree asservite perdono, in tutto o in
parte, ma definitivamente, la loro attitudine edificatoria
in favore della particella di progetto, e a tale effetto è
richiesto, normalmente, che il proprietario del compendio
interessato, debba sottoscrivere un atto d'obbligo ovvero
una dichiarazione formale, con il quale, nei riguardi del
Comune, s'impegna per sé e per i propri aventi causa a non
utilizzare, in seguito, a fini edificatori, le particelle
asservite di cui ha, insieme alla particella di progetto, la
proprietà o comunque la disponibilità giuridica.
Tuttavia, ad onta della diffusione della suddetta pratica
edilizia, rimangono tutt’ora incerti i profili che
caratterizzano l’atto costitutivo di tale vincolo, il che
sovente rende problematica la sua effettiva individuazione.
In proposito, la giurisprudenza della Corte di cassazione,
seguendo un indirizzo dottrinario, ha segnalato
ripetutamente che "la cessione di cubatura da parte del
proprietario del fondo confinante, onde consentire il
rilascio della concessione a costruire nel rispetto del
rapporto area-volume, non necessita di atto negoziale ad
effetti obbligatori o reali, essendo sufficiente l'adesione
del cedente, che può esser manifestata o sottoscrivendo
l'istanza e/o il progetto del cessionario; o rinunciando
alla propria cubatura a favore di questi o notificando al
comune tale sua volontà, mentre il c.d. vincolo di
asservimento rispettivamente a carico e a favore del fondo
si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per
effetto del rilascio della concessione edilizia, che
legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo
attiguo, sì che nessun risarcimento è dovuto al cedente”
(Cass., 12.09.1998, n. 9081; in senso conforme, 22.02.1996,
n. 1352; 29.06.1981, n. 4245).
La ricostruzione più attendibile della fattispecie, dunque,
è quella di un contratto atipico ad effetti obbligatori
avente natura di atto preparatorio, finalizzato al
trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il
provvedimento amministrativo.
Anche la giurisprudenza amministrativa è propensa a ritenere
il c.d. contratto di asservimento ben può costituire il
presupposto del rilascio di una concessione edilizia che
tenga conto del trasferimento di volumetria e che per il
trasferimento della volumetria non sono necessarie forme
particolari (C.D.S., sez. V, 26.11.1994, n. 1382; C.D.S.,
sez. V, 04.01.1993, n. 26) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.07.2012 n. 2097 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Un'area è suscettibile di ulteriore
edificazione soltanto nel caso in cui la costruzione già
realizzata non esaurisca la volumetria già consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
concessione edilizia.
Il calcolo della volumetria realizzabile su di un lotto
edificabile deve essere operato detraendo dalla cubatura
richiesta quella relativa al fabbricato preesistente, in
modo da determinare se residui un'ulteriore volumetria
assentibile, a nulla rilevando il fatto che questa possa
insistere su particelle che erano catastalmente divise.
E' stato significativamente sottolineato che il diritto di
edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti
stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i
quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione
ed espressi negli indici di fabbricabilità, con la
conseguenza che esso è conformato anche da tali indici, di
modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura
maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la
superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata; con la conseguenza che un'area
edificatoria, già utilizzata a fini edilizi, è suscettibile
di ulteriore edificazione, solo quando la costruzione su di
essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.
---------------
Qualora la normativa urbanistica imponga limiti di
volumetria, il relativo vincolo sull'area discende ope legis
senza necessità di strumenti negoziali privatistici (atto
d'obbligo, trascrizione, ecc.), che devono invece sussistere
quando il proprietario di un terreno intenda asservirlo a
favore di un altro proprietario limitrofo, per ottenere una
volumetria maggiore di quella che il suo solo terreno gli
consentirebbe, oppure quando siffatto asservimento sia, per
così dire, reciproco, nel senso che i proprietari di più
terreni li asservano unitariamente alla realizzazione di un
unico progetto, ai fini del quale i rispettivi lotti
perdono, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la loro
individualità (ipotesi nelle quali il vincolo rimane
cristallizzato nel tempo, senza che tuttavia possa
costituire limite rispetto alle determinazioni del
pianificatore generale, che resta libero di dettare una
nuova disciplina dell'indice volumetrico relativamente alla
zona alla quale l'area si riferisce).
Aanche l’Adunanza Plenaria ha sottolineato che dal
provvedimento edilizio abilitativo, il cui rilascio
definisce le potenzialità edificatorie di un fondo,
determinandone anche la cubatura assentibile in relazione ai
limiti imposti dalla normativa urbanistica, sorge un vincolo
di asservimento per cui, una volta esaurite le predette
potenzialità, le restanti parti del fondo sono sottoposte ad
un regime di inedificabilità che discende "ope legis"
dall'utilizzazione del fondo medesimo.
La giurisprudenza ha più volte rilevato che un'area è
suscettibile di ulteriore edificazione soltanto nel caso in
cui la costruzione già realizzata non esaurisca la
volumetria già consentita dalla normativa vigente al momento
del rilascio dell'ulteriore concessione edilizia (sez. V,
26.11.1994, n. 1382; 07.11.1990, n. 766; 23.02.1973, n.
178).
E’ stato anche precisato che il calcolo della volumetria
realizzabile su di un lotto edificabile deve essere operato
detraendo dalla cubatura richiesta quella relativa al
fabbricato preesistente, in modo da determinare se residui
un'ulteriore volumetria assentibile, a nulla rilevando il
fatto che questa possa insistere su particelle che erano
catastalmente divise (sez. V, 26.09.2008, n. 4647;
12.05.2008, n. 2177; 23.08.2005, n. 4385; 29.06.1979, n.
442); è stato significativamente sottolineato che il diritto
di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti
stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i
quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione
ed espressi negli indici di fabbricabilità, con la
conseguenza che esso è conformato anche da tali indici, di
modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura
maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la
superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata; con la conseguenza che un'area
edificatoria, già utilizzata a fini edilizi, è suscettibile
di ulteriore edificazione, solo quando la costruzione su di
essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa
(C.d.S., sez. V, 27.06.2006, n. 4117; 12.07.2005, n. 3777;
12.07.2004, n. 5039).
Sotto altro concorrente profilo, è stato osservato (C.d.S.,
sez. IV, 29.07.2008, n. 3766) che qualora la normativa
urbanistica imponga limiti di volumetria, il relativo
vincolo sull'area discende ope legis senza necessità
di strumenti negoziali privatistici (atto d'obbligo,
trascrizione, ecc.), che devono invece sussistere quando il
proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un
altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria
maggiore di quella che il suo solo terreno gli
consentirebbe, oppure quando siffatto asservimento sia, per
così dire, reciproco, nel senso che i proprietari di più
terreni li asservano unitariamente alla realizzazione di un
unico progetto, ai fini del quale i rispettivi lotti
perdono, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la loro
individualità (ipotesi nelle quali il vincolo rimane
cristallizzato nel tempo, senza che tuttavia possa
costituire limite rispetto alle determinazioni del
pianificatore generale, che resta libero di dettare una
nuova disciplina dell'indice volumetrico relativamente alla
zona alla quale l'area si riferisce); anche l’Adunanza
Plenaria (23.04.2009, n. 3) ha sottolineato che dal
provvedimento edilizio abilitativo, il cui rilascio
definisce le potenzialità edificatorie di un fondo,
determinandone anche la cubatura assentibile in relazione ai
limiti imposti dalla normativa urbanistica, sorge un vincolo
di asservimento per cui, una volta esaurite le predette
potenzialità, le restanti parti del fondo sono sottoposte ad
un regime di inedificabilità che discende "ope legis"
dall'utilizzazione del fondo medesimo (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 28.05.2012 n. 3120 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lotti, interventi edilizi e volumetria
residua: frazionamenti catastali irrilevanti.
Qualora un lotto urbanisticamente unitario
sia stato già oggetto di uno o più
interventi edilizi, la volumetria residua (o
la superficie coperta residua) va calcolata
previo decurtamento di quella in precedenza
realizzata, con irrilevanza di eventuali
successivi frazionamenti catastali o
alienazioni parziali, onde evitare che il
computo dell'indice venga alterato con
l'ipersaturazione di alcune superfici al
fine di creare artificiosamente
disponibilità nel residuo.
Ne consegue che, ai fini della costruzione
di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto
unitario sia catastalmente suddiviso in più
particelle, essendo necessario considerare
tutti i volumi già esistenti sull'intera
area di proprietà.
Tanto è consolidato questo orientamento che
l'Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede
di determinazione della volumetria
assentibile su una determinata area secondo
l'indice di densità fondiaria in vigore, è
computabile anche la costruzione realizzata
prima della L. n. 1150 del 1942, quando cioè
lo ius aedificandi era considerato pura
estrinsecazione del diritto di proprietà,
trattandosi di circostanza ininfluente in
sede di commisurazione della volumetria
assentibile in base alla densità fondiaria,
cioè a quella riferita alla singola area e
che individua il volume massimo consentito
su di essa.
Ciò comporta la necessità di tener conto del
dato reale costituito dagli immobili che su
detta area si trovano e delle relazioni che
intrattengono con l'ambiente circostante.
Rileva, in definitiva, la situazione di
fatto, apprezzata con riguardo al lotto
originario.
L'omissione del nominativo del responsabile
del procedimento ex art. 4, comma 1, L. n.
241 del 1990 costituisce in linea di
principio (e cioè salve le ipotesi in cui
sia dimostrato un concreto pregiudizio)
semplice irregolarità, che non refluisce in
illegittimità del provvedimento finale.
Trova infatti applicazione la norma
suppletiva recata dal successivo art. 5,
comma 2, della stessa L. n. 241 del 1990,
secondo il quale, in difetto di tale
designazione, è considerato responsabile del
singolo procedimento il funzionario preposto
all'unità organizzativa competente.
Dal combinato disposto degli artt. 4-6, L.
n. 241 del 1990 risulta che il compito
essenziale del responsabile del procedimento
è quello di accertare i fatti disponendo il
compimento degli atti all'uopo necessari.
Pertanto la legge affida all'apprezzamento
del responsabile del procedimento il compito
di individuare i mezzi istruttori più idonei
per l'accertamento dei fatti da porre a
fondamento del provvedimento conclusivo. La
scelta dei mezzi può ritenersi viziata sotto
il profilo della legittimità solo allorché
appaia incongrua rispetto al fine voluto dal
legislatore ovvero porti a risultati
aberranti o a travisamento dei fatti.
Nel caso de quo il Giudice di primo grado ha
correttamente osservato che
l'Amministrazione ha posto in essere
un'ampia ed approfondita istruttoria. Il
vizio denunciato perciò non sussiste (tratto
da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 22.05.2012 n. 2941 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Qualora un lotto urbanisticamente unitario sia
stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la
volumetria residua (o la superficie coperta residua) va
calcolata previo decurtamento di quella in precedenza
realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi
frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare
che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione
di alcune superfici al fine di creare artificiosamente
disponibilità nel residuo.
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi,
è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente
suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare
tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà.
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza
plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della
volumetria assentibile su una determinata area secondo
l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche
la costruzione realizzata prima della legge 17.08.1942, n.
1150, quando cioè lo "ius aedificandi" era considerato pura
estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di
circostanza ininfluente in sede di commisurazione della
volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè
a quella riferita alla singola area e che individua il
volume massimo consentito su di essa. Ciò comporta la
necessità di tener conto del dato reale costituito dagli
immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che
intrattengono con l'ambiente circostante.
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata
con riguardo al lotto originario.
---------------
Come ricordato in narrativa, l’area alla quale si riferisce
la concessione edilizia, richiesta dalla parte privata e
negata dall’Amministrazione, deriva per successivi
frazionamenti da un lotto originario, su cui è stato
costruito un albergo-ristorante. Si controverte sul rilievo
che, ai fini del rilascio del titolo edilizio, debba
riconoscersi il volume relativo all’opera già edificata.
Al riguardo il Giudice amministrativo ha più volte avuto
modo di affermare che, qualora un lotto urbanisticamente
unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi
edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta
residua) va calcolata previo decurtamento di quella in
precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali
successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali,
onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con
l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare
artificiosamente disponibilità nel residuo (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 12.07.2004, n. 5039; Id., Sez. III,
28.04.2009, n. 965).
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi,
è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente
suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare
tutti i volumi già esistenti sull'intera area di proprietà (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 21.09.2009, n. 5637).
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza
plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della
volumetria assentibile su una determinata area secondo
l'indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche
la costruzione realizzata prima della legge 17.08.1942, n.
1150, quando cioè lo "ius aedificandi" era
considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà,
trattandosi di circostanza ininfluente in sede di
commisurazione della volumetria assentibile in base alla
densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area
e che individua il volume massimo consentito su di essa. Ciò
comporta la necessità di tener conto del dato reale
costituito dagli immobili che su detta area si trovano e
delle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante
(Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2009, n. 3).
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata
con riguardo al lotto originario. Il che nella fattispecie
il Se. non contesta, concentrando piuttosto il primo motivo
dell’appello sul profilo –del tutto giuridico e non fattuale–
della mancanza di un formale atto di asservimento del
precedente fabbricato e di un diverso rilievo di quest’ultimo
secondo la normativa urbanistica dell’epoca.
Circostanze queste che, per le ragioni sopra dette, devono
considerarsi ininfluenti, non ritenendo il Collegio di
doversi discostare da una giurisprudenza cospicua e
consolidata (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.05.2012 n. 2941 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Allorché un’area
edificabile venga successivamente frazionata in più parti
tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi
della normativa urbanistica nell’intera area rimane
invariata, con la conseguenza che, qualora sull’area
originaria già insista una costruzione, i vari proprietari
dei vari terreni in cui sia stato frazionato il fondo
originario hanno a disposizione solo la volumetria residua,
in proporzione alle rispettive (quote di) proprietà.
Infatti, poiché nel computo della volumetria assentibile
sono da ricomprendere anche gli edifici preesistenti, le
vicende inerenti alla proprietà dei terreni e, in
particolare, il frazionamento del fondo da parte di un unico
precedente proprietario, sono irrilevanti ai fini
dell’edificabilità delle aree libere, le quali devono
comunque intendersi asservite alle costruzioni già
realizzate e pertanto restano edificabili nei soli limiti
della volumetria residua.
---------------
In caso di preesistenza di edificio condominiale, la
volumetria residua disponibile, secondo i principi generali
che regolano l’uso della cosa comune ai sensi degli artt.
1102, 1108, 1120 e 1122 cod. civ., resta di pertinenza dei
diversi proprietari in proporzione alle quote risultanti
dalle tabelle millesimali, sicché il frazionamento di
un’area di proprietà esclusiva di uno dei condomini non può
incidere sulla volumetria residua disponibile (in misura
proporzionale) dai vari proprietari. Ne consegue che la
volumetria assentibile sull’area frazionata da una porzione
d’immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini può
essere computata entro i soli limiti della volumetria
residua allo stesso spettante pro quota sulla parte di
proprietà esclusiva, salvo un eventuale asservimento delle
parti in (com)proprietà degli altri condomini con specifico
atto che, quale atto di natura negoziale di straordinaria
amministrazione, esige il consenso di tutti i condomini.
Si osserva in linea di diritto che secondo consolidato
orientamento giurisprudenziale, allorché un’area edificabile
venga successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della
normativa urbanistica nell’intera area rimane invariata, con
la conseguenza che, qualora sull’area originaria già insista
una costruzione, i vari proprietari dei vari terreni in cui
sia stato frazionato il fondo originario hanno a
disposizione solo la volumetria residua, in proporzione alle
rispettive (quote di) proprietà. Infatti, poiché nel computo
della volumetria assentibile sono da ricomprendere anche gli
edifici preesistenti, le vicende inerenti alla proprietà dei
terreni e, in particolare, il frazionamento del fondo da
parte di un unico precedente proprietario, sono irrilevanti
ai fini dell’edificabilità delle aree libere, le quali
devono comunque intendersi asservite alle costruzioni già
realizzate e pertanto restano edificabili nei soli limiti
della volumetria residua (v., ex plurimis, C.d.S.,
Sez. V, 16.02.1987, n. 97; C.d.S., Sez. V, 17.05.1996;
C.d.S., Sez. V, 10.02.2000, n. 749).
In caso di preesistenza di edificio condominiale, la
volumetria residua disponibile, secondo i principi generali
che regolano l’uso della cosa comune ai sensi degli artt.
1102, 1108, 1120 e 1122 cod. civ., resta di pertinenza dei
diversi proprietari in proporzione alle quote risultanti
dalle tabelle millesimali, sicché il frazionamento di
un’area di proprietà esclusiva di uno dei condomini non può
incidere sulla volumetria residua disponibile (in misura
proporzionale) dai vari proprietari. Ne consegue che la
volumetria assentibile sull’area frazionata da una porzione
d’immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini può
essere computata entro i soli limiti della volumetria
residua allo stesso spettante pro quota sulla parte di
proprietà esclusiva, salvo un eventuale asservimento delle
parti in (com)proprietà degli altri condomini con specifico
atto che, quale atto di natura negoziale di straordinaria
amministrazione, esige il consenso di tutti i condomini (v.,
su tale ultimo punto, C.d.S., Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Applicando le enunciate coordinate normative e
giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice, deve
pervenirsi alla conclusione che lo scorporo della superficie
di 436 mq dalla p.m. 1, di proprietà esclusiva
dell’originario controinteressato, in assenza di idoneo
titolo di asservimento delle parti di proprietà degli altri
condomini, consentiva la realizzazione della nuova
costruzione entro i limiti della sola volumetria pro quota
residua riferibile alla parte di proprietà esclusiva dello
stesso controinteressato, senza che l’area risultante dal
frazionamento potesse considerarsi alla stregua di
superficie edificabile ex novo prescindendo dalle
preesistenze, pena la violazione dei diritti degli altri
condomini sulla volumetria residua riferibile alla p.ed. 292
e la carenza in parte qua di titolo legittimante ex art. 70,
comma 1, l. 11.08.1997, n. 13, (l. urb. prov.) in capo al
richiedente la concessione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.05.2012 n. 2642 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: L’edificazione
di aree è condizionata quantitativamente, nello strumento
urbanistico, dagli indici di densità. Tra questi, la densità
territoriale indica la quantità massima di volumi
realizzabili in una zona territoriale omogenea, ovvero un
comprensorio di terreno caratterizzato da una medesima
qualità urbanistica, mentre la densità fondiaria indica il
volume massimo realizzabile su uno specifico lotto, in
funzione della prima.
Ogni lotto di terreno edificabile esprime, o meglio
possiede, dunque, una propria caratteristica “vocazione” o
possibilità edificatoria che si esprime in termini di
cubatura ammissibile o consentita.
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza, la cubatura che
un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta
indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del
terreno medesimo, a determinate condizioni. Questo perché
dovrebbe riconoscersi che la cubatura (ossia, lo si ripete,
la possibilità di edificare un determinato volume edilizio)
pur se intrinsecamente collegata al terreno che la esprime,
costituisce una utilità separata da questo, autonomamente
valutabile e con una propria commerciabilità e
patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto
di un contratto di trasferimento con il quale il
proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte
delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo
scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area
di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel
rispetto dell’indice di densità fondiaria.
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene,
per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale
inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che
inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al
trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi,
sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il
sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la
cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per
il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la
relativa cessione risulterà dalla trascrizione). Tuttavia,
l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal certificato
di destinazione urbanistica dell’area, ex art. art. 30,
comma 2, d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
Per la giurisprudenza amministrativa, la legittimità della
cessione di cubatura, ai fini dello sfruttamento della
cubatura ceduta in un progetto edilizio da parte
dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè la
omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano
i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la cubatura
oggetto del contratto) e la contiguità dei due fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si
stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla
rilevazione della volumetria esistente, in modo da
determinare, secondo gli standard del d.m. 1444/1968, a
quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area;
se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi
qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe
che l’indice di densità territoriale potrebbe essere
alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla
giurisprudenza come una condizione fisica (ossia contiguità
territoriale) ma giuridica, e viene a mancare quando tra i
fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni
urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se
non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi
accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree
ricadenti in zone urbanistiche non omogenee.
In altri termini, come la giurisprudenza del Giudice di
seconde cure ha condivisibilmente ritenuto in fattispecie di
distanza pari a 35 ml, la contiguità dei fondi non deve
intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità
fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì
come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi
asserviti per raggiungere la cubatura.
Con riguardo al tema della cessione di cubatura, tuttavia,
va posto in rilievo come la giurisprudenza abbia precisato
che <<l’edificazione di aree è condizionata
quantitativamente, nello strumento urbanistico, dagli indici
di densità. Tra questi, la densità territoriale indica la
quantità massima di volumi realizzabili in una zona
territoriale omogenea, ovvero un comprensorio di terreno
caratterizzato da una medesima qualità urbanistica, mentre
la densità fondiaria indica il volume massimo realizzabile
su uno specifico lotto, in funzione della prima.
Ogni lotto di terreno edificabile esprime, o meglio
possiede, dunque, una propria caratteristica “vocazione” o
possibilità edificatoria che si esprime in termini di
cubatura ammissibile o consentita.
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza, la cubatura che
un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta
indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del
terreno medesimo, a determinate condizioni.
Questo perché dovrebbe riconoscersi che la cubatura (ossia,
lo si ripete, la possibilità di edificare un determinato
volume edilizio) pur se intrinsecamente collegata al terreno
che la esprime, costituisce una utilità separata da questo,
autonomamente valutabile e con una propria commerciabilità e
patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto
di un contratto di trasferimento con il quale il
proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte
delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo
scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area
di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel
rispetto dell’indice di densità fondiaria.
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene,
per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale
inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che
inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al
trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi,
sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il
sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la
cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per
il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la
relativa cessione risulterà dalla trascrizione). Tuttavia,
l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal certificato
di destinazione urbanistica dell’area, ex art. art. 30,
comma 2, d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
Per la giurisprudenza amministrativa, la legittimità della
cessione di cubatura, ai fini dello sfruttamento della
cubatura ceduta in un progetto edilizio da parte
dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè la
omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano
i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la cubatura
oggetto del contratto) e la contiguità dei due fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si
stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla
rilevazione della volumetria esistente, in modo da
determinare, secondo gli standard del d.m. 1444/1968, a
quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area;
se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi
qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe
che l’indice di densità territoriale potrebbe essere
alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla
giurisprudenza come una condizione fisica (ossia contiguità
territoriale) ma giuridica, e viene a mancare quando tra i
fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni
urbanistiche incompatibili con l’edificazione.
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se
non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi
accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree
ricadenti in zone urbanistiche non omogenee (Tar Campania
Napoli, VIII, 15.05.2008, n. 4549).
In altri termini, come la giurisprudenza del Giudice di
seconde cure ha condivisibilmente ritenuto in fattispecie di
distanza pari a 35 ml, la contiguità dei fondi non deve
intendersi nel senso della adiacenza, ossia della continuità
fisica tra tutte le particelle catastali interessate, bensì
come effettiva e significativa vicinanza tra i fondi
asserviti per raggiungere la cubatura (cfr. Consiglio Stato,
V, 30.10.2003, n. 6734).
Facendo applicazione dei predetti principi, il concetto di
vicinanza, invero relativo, appare rispettato nel caso di
specie, trattandosi di fondi, per altro di proprietà della
ricorrente, distanti dai 21 ai 40 ml.>> (Tar Sicilia
Catania, I, 12.10.2010, n. 4113) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 07.05.2012 n. 776 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’atto
di asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura
tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la
potenzialità edilizia di un’area per mezzo dell’utilizzo
della cubatura realizzabile in una particella contigua e del
conseguente computo anche della superficie di quest’ultima,
ai fini della verifica del rispetto dell’indice di
fabbricabilità fondiaria.
Dal punto di vista urbanistico, i caratteri e gli effetti
dell'asservimento sono stati precisati dalla giurisprudenza
nel senso che i fondi non debbono necessariamente essere
adiacenti, potendo la computabilità di più particelle
intendersi nel senso dell’effettiva e significativa
vicinanza tra i fondi asserviti per raggiungere la cubatura
desiderata.
E’ stato, inoltre, ritenuto ammissibile l'asservimento, allo
scopo di raggiungere una più consistente volumetria
edificabile, di un'area ad un'altra, ancorché tra i due
fondi si interpongano una strada o un fosso di scolo delle
acque.
---------------
Una questione molto dibattuta è quella della cd
“sterilizzazione” delle potenzialità edificatorie dei
terreni a seguito della modificazione della pianificazione
urbanistica.
Da una parte si è ritenuto che l'asservimento di un
terreno per realizzare una costruzione non rende lo stesso
definitivamente inedificabile anche per il futuro, poiché la
destinazione ed utilizzazione delle aree rappresenta, un
dato dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel tempo
l'indice fondiario, nonché la stessa previsione di lotti
minimi, per cui la potenzialità edificatoria di un terreno
va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua della
modificazione della pianificazione urbanistica e della
normativa sopravvenuta; dall’altra parte, il
Consiglio di Stato ha recentemente negato (sentenza n.
4134/2011) la possibilità, per le aree asservite, di
esprimere ulteriore capacità edificatoria in caso di
variante del P.R.G. migliorativa degli indici di
fabbricabilità.
Va comunque evidenziato come il dato comune che caratterizza
l’istituto dell’asservimento va rinvenuto nella sostanziale
neutralità per il Comune, ai fini del corretto sviluppo
della densità edilizia per come configurato negli atti
pianificatori, della materiale collocazione dei fabbricati,
giacché per il rispetto dell'indice di fabbricabilità
fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il
rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile
nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal
piano, risultando del tutto indifferente, l’effettiva
l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto, fatti
salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali
prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.
Ora proprio lo stretto e inscindibile legame tra atti di
asservimento e rispetto delle prescrizioni della normativa
urbanistica, quale espressione del governo e della
pianificazione del territorio comunale induce a ritenere non
ammissibili -ai fini del rilascio di provvedimenti
autorizzativi in materia edilizia- atti di asservimento tra
terreni ubicati in comuni diversi. Sul punto il Collegio
condivide quanto espresso dal Dipartimento Regionale
urbanistica nel parere del 15/04/2011 laddove ritiene non
ammissibile l’asservimento tra aree ubicate in Comuni di
versi poiché “il rilascio della concessione edilizia è
consentito per l’esecuzione di qualsiasi attività
comportante trasformazione edilizia ed urbanistica del
territorio comunale; ciò anche nel rispetto delle
attribuzioni di responsabilità sulla gestione del territorio
…”.
L’atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di
cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la
potenzialità edilizia di un’area per mezzo dell’utilizzo
della cubatura realizzabile in una particella contigua e del
conseguente computo anche della superficie di quest’ultima,
ai fini della verifica del rispetto dell’indice di
fabbricabilità fondiaria. Dal punto di vista urbanistico, i
caratteri e gli effetti dell'asservimento sono stati
precisati dalla giurisprudenza nel senso che i fondi non
debbono necessariamente essere adiacenti, potendo la
computabilità di più particelle intendersi nel senso dell’
effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti
per raggiungere la cubatura desiderata (Cons. Stato, V,
30.10.2003 n. 6734 e 01.04.1998, n. 400). E’ stato, inoltre,
ritenuto ammissibile l'asservimento, allo scopo di
raggiungere una più consistente volumetria edificabile, di
un'area ad un'altra, ancorché tra i due fondi si
interpongano una strada o un fosso di scolo delle acque
(Cons. Stato, Sezione V, 04.01.1993, n. 26).
Una questione molto dibattuta è quella della cd “sterilizzazione”
delle potenzialità edificatorie dei terreni a seguito della
modificazione della pianificazione urbanistica. Da una parte
si è ritenuto che l'asservimento di un terreno per
realizzare una costruzione non rende lo stesso
definitivamente inedificabile anche per il futuro, poiché la
destinazione ed utilizzazione delle aree rappresenta, un
dato dinamico ed evolutivo, potendo mutare nel tempo
l'indice fondiario, nonché la stessa previsione di lotti
minimi, per cui la potenzialità edificatoria di un terreno
va necessariamente valutata ed esaminata alla stregua della
modificazione della pianificazione urbanistica e della
normativa sopravvenuta (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis -
10.09.2010, n. 32217); dall’altra parte, il Consiglio di
Stato ha recentemente negato (sentenza n. 4134/2011) la
possibilità, per le aree asservite, di esprimere ulteriore
capacità edificatoria in caso di variante del P.R.G.
migliorativa degli indici di fabbricabilità.
Va comunque evidenziato come il dato comune che caratterizza
l’istituto dell’asservimento va rinvenuto nella sostanziale
neutralità per il Comune, ai fini del corretto sviluppo
della densità edilizia per come configurato negli atti
pianificatori, della materiale collocazione dei fabbricati,
giacché per il rispetto dell'indice di fabbricabilità
fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il
rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile
nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal
piano, risultando del tutto indifferente, l’effettiva
l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto, fatti
salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali
prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.
Ora proprio lo stretto e inscindibile legame tra atti di
asservimento e rispetto delle prescrizioni della normativa
urbanistica, quale espressione del governo e della
pianificazione del territorio comunale induce a ritenere non
ammissibili -ai fini del rilascio di provvedimenti
autorizzativi in materia edilizia- atti di asservimento tra
terreni ubicati in comuni diversi. Sul punto il Collegio
condivide quanto espresso dal Dipartimento Regionale
urbanistica nel parere del 15/04/2011 (parere che
contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente si
riferisce espressamente alla fattispecie in esame), laddove
ritiene non ammissibile l’asservimento tra aree ubicate in
Comuni di versi poiché “il rilascio della concessione
edilizia è consentito per l’esecuzione di qualsiasi attività
comportante trasformazione edilizia ed urbanistica del
territorio comunale; ciò anche nel rispetto delle
attribuzioni di responsabilità sulla gestione del territorio
…” (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 24.04.2012 n. 1129 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il calcolo della volumetria che può
essere realizzata su un lotto edificabile deve essere
effettuato tenendo conto della situazione determinata anche
dalla eventuale parziale utilizzazione, ad opera
dell’originario proprietario, della volumetria globalmente
disponibile e, quindi, detraendo dalla cubatura richiesta
quella già realizzata per il precedente edificio, a nulla
rilevando che questo possa insistere su una parte del lotto
catastalmente divisa ed autonoma.
D’altro canto, in subiecta materia, il vincolo
d’asservimento si costituisce solo per effetto del rilascio
del permesso di costruire, per cui, proprio perché recepito
in un provvedimento amministrativo, è opponibile anche ai
terzi acquirenti, fatti salvi i rimedi giurisdizionali e
amministrativi azionabili nei confronti degli atti che si
ritengano illegittimi.
---------------
La sopravvenienza della disciplina urbanistica su una
determinata area può operare sia in melius, ampliando i
pregressi indici di fabbricabilità, sia in peius,
riducendoli.
Per cui, data una certa destinazione del piano
all’edificazione futura, nel primo caso andranno considerate
le sole aree libere, nel senso che eventuali variazioni
degli indici di fabbricazione in melius (cioè più favorevoli
ai privati proprietari) non possono riguardare aree già
utilizzate a fini edificatori; mentre al contrario,
eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti
indici si impongono ad aree che, pur disponendo in
precedenza di indici più favorevoli, non siano state ancora
utilizzate a fini edificatori.
Quello che si contesta è: in primis, l’applicazione
della disciplina urbanistica vigente al momento della
richiesta del titolo per la realizzazione di un intervento
di nuova costruzione, insistendo l’area in zona già
interessata dal rilascio di precedenti licenze edilizie; in
subordine, la riconducibilità della stessa ad un comparto
unico di cui fanno parte altre particelle già utilizzate per
la realizzazione di altri edifici attualmente ancora
esistenti.
Sul primo punto, è sufficiente fare rinvio ad un diffuso
orientamento giurisprudenziale, (cfr. TAR Campania-Napoli –
Sez. II - 22.12.2010 n. 28013; TAR Campania, Napoli, Sez. II,
30.04.2009 n. 2262; TAR Campania, Napoli, Sez. II,
08.06.2006, n. 6816; Consiglio di Stato, V Sezione,
12.07.2005, n. 3777, e 23.08.2005, n. 4385), secondo cui il
calcolo della volumetria che può essere realizzata su un
lotto edificabile deve essere effettuato tenendo conto della
situazione determinata anche dalla eventuale parziale
utilizzazione, ad opera dell’originario proprietario, della
volumetria globalmente disponibile e, quindi, detraendo
dalla cubatura richiesta quella già realizzata per il
precedente edificio, a nulla rilevando che questo possa
insistere su una parte del lotto catastalmente divisa ed
autonoma.
D’altro canto, in subiecta materia, il vincolo
d’asservimento si costituisce solo per effetto del rilascio
del permesso di costruire (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V,
28.06.2000, n. 3637; Cass. Civ., Sez. II, 12.09.1998, n.
9081), per cui, proprio perché recepito in un provvedimento
amministrativo, è opponibile anche ai terzi acquirenti,
fatti salvi i rimedi giurisdizionali e amministrativi
azionabili nei confronti degli atti che si ritengano
illegittimi.
Le considerazioni suesposte hanno, come sarà chiarito,
un’immediata ricaduta sulle censure articolate dalla parte
ricorrente.
E ciò in quanto è la stessa parte ricorrente che pone in
evidenza l’appartenenza dell’area divenuta di sua proprietà
ad un più ampio comparto edificato nel corso degli anni ’60
in forza delle licenze n. 2816 del 1965 e n. 203 del 1967
(pag. 9 del ricorso).
Il successivo frazionamento di tale area, dunque, non
consente di calcolare la volumetria residua prescindendo da
quella già utilizzata per la realizzazione di edifici ancora
esistenti.
A ciò va aggiunto il rilievo secondo cui, ai sensi dell’art.
7 della l. 17.08.942 n. 1150, il Comune disciplina, con il
Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero
territorio comunale, in particolare prevedendo “la
divisione in zone del territorio comunale con la
precisazione delle zone destinate all'espansione
dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei
caratteri da osservare in ciascuna zona”.
Funzione precipua di tale strumento urbanistico è quella di
“conformare l’edificazione futura” (Cons. Stato, sez.
IV, 18.06.2009 n. 4009), ciò che si attua attraverso
prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in
quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons.
Stato, sez. II, 18.06.2008 n. 982).
Si consideri che, essendo la regola che governa l’azione
amministrativa quella del tempus regit actum, la
legittimità di ogni provvedimento va verificata alla stregua
delle norme applicabili al momento della sua adozione.
E’ del tutto evidente, pertanto, che la normativa di
riferimento per chi intenda realizzare un intervento di
nuova edificazione –come nel caso di specie– è e non può
essere altri che quella vigente al momento della
presentazione della relativa domanda, essendo del tutto
irragionevole sottrarre alla regolamentazione in vigore
interventi necessitanti di un titolo abilitativo, sol perché
in passato, sulla stessa area sono stati rilasciati altri
titoli edilizi.
E’ noto, infatti, che la sopravvenienza della disciplina
urbanistica su una determinata area può operare sia in
melius, ampliando i pregressi indici di fabbricabilità,
sia in peius, riducendoli.
Per cui, data una certa destinazione del piano
all’edificazione futura, nel primo caso andranno considerate
le sole aree libere, nel senso che eventuali variazioni
degli indici di fabbricazione in melius (cioè più
favorevoli ai privati proprietari) non possono riguardare
aree già utilizzate a fini edificatori; mentre al contrario,
eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti
indici si impongono ad aree che, pur disponendo in
precedenza di indici più favorevoli, non siano state ancora
utilizzate a fini edificatori (C.D.S., Sez. IV, 09.07.2011
n. 4134).
In sintesi, il primo motivo di ricorso va rigettato in
quanto correttamente il provvedimento impugnato ha
utilizzato come parametro di giudizio ai fini del calcolo
della volumetria residua, il piano regolatore vigente al
momento della domanda e gli indici di fabbricabilità di
nuovo conio, applicati con riguardo all’intero comparto
oggetto delle originarie licenze adottate negli anni ’60
(TAR Lombardia-Milano, Sez, II,
sentenza 19.04.2012 n. 1155 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione, con i lotti si cede anche
la volumetria? Per la Cassazione necessarie verifiche
precise sulla convenzione.
Il lottizzatore e' titolare della
cubatura sui lotti del comparto edilizio. A meno che non si
provi che cedendo i singoli lotti ha ceduto anche la
volumetria.
E' quanto deciso dalla Corte di Cassazione, III Sez. penale,
con la sentenza 18.04.2012 n. 14894, che ha accolto
il ricorso dell'imputato.
Vediamo di ricostruire ciò che è successo nel caso giudicato
dalla cassazione nella sentenza in commento e di illustrare
il principio di diritto enunciato.
Nel caso specifico due imputati hanno dichiarato ad un
comune di avere ancora disponibilità di volumetria
relativamente ad alcuni lotti: secondo la tesi accusatoria
si è trattata di una falsa dichiarazione per indurre in
errore il comune e ottenere una concessione edilizia per
costruire su un diverso lotto utilizzando la cubatura dei
primi.
Seppure prosciolti per prescrizione, il procedimento è
arrivato fino in cassazione, su ricorso degli imputati,
condannati a risarcire i danni alle parti civili e cioè gli
acquirenti delle case costruite sui singoli lotti, convinti
di avere la titolarità della cubatura, utilizzata invece dai
venditori.
Gli imputati hanno sostenuto che il giudice di merito ha
travisato la disciplina sulle lottizzazioni.
Secondo i ricorrenti la capacità edificatoria, conseguente
alla lottizzazione, non si trasferisce agli acquirenti dei
singoli lotti, su cui sono state costruite le case.
Quindi questi ultimi non diventano titolari della cubatura,
tanto è vero che non possono essere definiti lottizzanti.
Gli imputati hanno, quindi, sostenuto che, nel caso di
lottizzazione, la volumetria è calcolata complessivamente
sull'intero comparto lottizzato ed è ricollegata alla
convenzione stipulata tra i lottizzanti ed il comune.
Se così è, gli interessati ne hanno tratto la conclusione di
non avere formulato una falsa dichiarazione nel momento in
cui hanno affermato di avere la disponibilità della capacità
insediativa sui lotti (già venduti).
La corte ha accolto questa argomentazione.
Secondo la cassazione la lottizzazione di un'area si
completa e diviene perfetta con la stipula della
convenzione, con la quale vengono definiti il progetto
lottizzatorio e la volumetria dell'intero comparto
(cosiddetto indice territoriale), con corrispondente
assunzione da parte del soggetto attuatore di tutti gli
obblighi di urbanizzazione necessari alla realizzazione del
comparto edificatorio.
La stipula, pertanto, è la condizione di efficacia del
provvedimento di autorizzazione alla lottizzazione. Il
soggetto attuatore del piano di lottizzazione è chi stipula
la convenzione di lottizzazione e poi costruisce o vende i
singoli lotti, dopo avere eseguito le opere di
urbanizzazione o ceduto le aree al comune per l'esecuzione
delle stesse, attuando direttamente o per mezzo degli
acquirenti dei lotti la convenzione.
Tra l'altro in tema di volumetria del comparto, se la
convenzione ha stabilito la volumetria massima edificabile
per ciascun lotto, vale la regola per cui sul lotto singolo
può essere realizzata una volumetria inferiore o anche
nulla; è perciò possibile che alcuni lotti non vengano
affatto edificati oppure è anche possibile concentrare le
quantità di volumetria su lotti contigui, nel rispetto della
volumetria consentita, distanze e destinazione d'uso dei
fabbricati e previa approvazione di un nuovo piano di
lottizzazione, con tutte le varianti del caso.
Nel caso specifico certamente la cubatura residua su alcuni
lotti è stata trasferita ad altro lotto, previa
dichiarazione di disponibilità della capacità edificatoria e
da qui è scaturita la condanna per falso.
Il giudice di merito, tuttavia, si è limitato ad affermare
che la volumetria fosse stata distribuita tra i vari lotti
con trasferimento dello ius aedificandi insieme alla
vendita dei singoli lotti e degli edifici realizzati: gli
acquirenti in sostanza, secondo la corte di appello,
sarebbero diventati titolari del diritto sulla cubatura
residua con la semplice acquisizione dei lotti.
Per il giudice di merito ciò era desumibile dal fatto che
mancavano gli atti di trasferimento volumetrico o comunque
di conferimento della facoltà di utilizzo di superficie da
parte degli acquirenti dei singoli lotti agli imputati.
Solo con atti di asservimento, secondo il giudice di merito,
gli imputati avrebbero potuto dichiarare di avere la
disponibilità edificatoria.
In mancanza sarebbe integrato il delitto di falsa
dichiarazione di possedere la cubatura.
La cassazione non è stata di questa opinione, ritenendo che
per pervenire a una sentenza di condanna si sarebbe dovuto
accertare l'esatto tenore della convenzione di lottizzazione
e degli atti di cessione dei lotti.
Con riferimento agli atti di cessione bisognerebbe appurare
se gli stessi abbiano avuto ad oggetto le case realizzate
sui lotti o se invece siano stati ceduti i lotti edificabili
con la volumetria assegnata agli stessi o ancora se nei
contratti di cessione i lottizzatori si siano riservati la
cubatura residua su ciascun lotto.
In quest'ultimo caso, infatti, i lottizzatori ben potevano
dichiarare di essere titolari della volumetria al fine di
utilizzarla su altri lotti.
La corte di appello non ha compiuto questi necessari
accertamenti e, quindi, la sentenza di merito è risultata
viziata con rinvio al giudice di secondo grado per un
rinnovato accertamento dei fatti (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza
18.04.2012 n. 14894). |
EDILIZIA
PRIVATA - TRIBUTI:
Cessione di cubatura.
Domanda.
La cosiddetta cessione di cubatura in che relazione si pone
con Imposta comunale sugli immobili (Ici)?
Risposta.
In tema di cessione di cubatura, la Corte di cassazione, con
la sentenza del 14.12.1988, n. 6807, ha affermato che la
rinuncia preventiva alla cubatura, o l'assenso che quella
sia utilizzata dal concessionario, hanno la funzione di
presupposto affinché l'autorità preposta al rilascio della
licenza edilizia possa autorizzare il cessionario a
costruire con la più ampia volumetria che egli ha acquisito
per effetto del provvedimento che incrementa in concreto
l'edificabilità del suo suolo di quanto corrispondentemente
priva l'altro suolo limitrofo.
Ha aggiunto la Suprema corte che la rinuncia allo
sfruttamento edilizio del proprio fondo fatta a favore del
fondo limitrofo ha efficacia soltanto se l'autorità
amministrativa autorizzi il corrispondente incremento delle
possibilità di sfruttamento edilizio di tale fondo.
Pertanto, prima del rilascio di tale provvedimento vi è
soltanto un vincolo obbligatorio tra i proprietari che hanno
pattuito la cessione di cubatura e non un asservimento
attuale di un fondo a favore di un altro.
Con la sentenza n. 20623, del 2009, la Corte di cassazione
sottolinea che nella cessione di cubatura si è in presenza
di una fattispecie a formazione progressiva in cui su
dichiarazione delle parti la pubblica amministrazione
competente emette o meno un provvedimento concessorio
discrezionale e non vincolato che, a seguito dalla rinuncia
del cedente, può essere emanato a favore del concessionario,
non essendo configurabile tra le parti l'esistenza di un
rapporto traslativo. Ne consegue che il mancato rilascio
della concessione edilizia è ragione di inefficacia del
negozio concluso dai proprietari dei fondi limitrofi e non
risoluzione del medesimo per inadempimento del cedente. Ai
fini Ici, la valutazione dei lotti deve essere rapportata
all'effettiva loro capacità edificatoria a seguito del
rilascio del provvedimento concessorio.
È da dire, infine, che con il decreto legge 13.05.2011, n.
70, convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del
2011, è stato introdotto la cessione di cubatura. Il
legislatore, difatti, ha integrato l'articolo 2643 del
codice civile ed ha inserito, dopo il n. 2, il nuovo comma
2-bis, il cui contenuto è: «i contratti che
trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti
edificatori comunque denominati, previsti da normative
statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione
territoriale» (articolo ItaliaOggi sette del
27.02.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA - TRIBUTI:
Nuovo strumento urbanistico.
Domanda.
L'emissione di un nuovo strumento urbanistico, dopo la
cessione di cubatura, rileva in ordine al valore del terreno
ai fini dell'Imposta comunale sugli immobili (Ici)?
Risposta.
La Corte di cassazione, con la sentenza del 30.04.2009, n.
21177, esaminando il caso in cui dopo la cessione di
cubatura subentri un nuovo strumento urbanistico, ha
affermato che: «Questo collegio ritiene di dovere
ribadire che soltanto per effetto del rilascio del
provvedimento amministrativo (licenza edilizia, concessione
edilizia o permesso di costruire) si costituisce il “vincolo
di asservimento” che, senza oneri di forma pubblica, incide
definitivamente sulla disciplina urbanistica ed edilizia
delle aree interessate, in quanto nel territorio comunale il
titolo abitativo edilizio crea un nuovo lotto di pertinenza
urbanistica dell'edificio, che non coincide con i confini di
proprietà e ha una consistenza indipendente rispetto ai
successivi interventi nelle aree medesime, derivandone
l'impossibilità di assentire e di richiedere ulteriori ed
eccedenti realizzazioni di volumi costruttivi sul fondo
asservito per la parte in cui esso è rimasto privo della
potenzialità edificatoria già utilizzata dal titolare del
fondo in favore del quale ha avuto luogo l'asservimento».
Ha aggiunto, poi, la Suprema corte: «Le possibilità di
edificazione previste dall'introduzione di un nuovo piano
regolatore non valgono a rendere edificabili aree che sono
già state prese in considerazione, ai fini della verifica
del rispetto dell'indice di edificabilità fondiaria, in sede
di rilascio di precedenti titoli abilitativi edilizi,
dovendo ritenersi definitivamente perdute le potenzialità
edificatorie dell'area asservita per il semplice fatto che
di esse si è già irreversibilmente disposto».
Ai fini dell' Imposta comunale sugli immobili (Ici), la
stessa Corte di cassazione, con la sentenza n. 25676, del
2008, aveva affermato che le aree che posseggono
caratteristiche tali da non consentire l'edificazione non
sono inedificabili, ma tali caratteristiche incidono sulla
determinazione del valore imponibile. Pertanto, come
affermato dalla predetta Corte di cassazione, anche con le
sentenze del 2010, n. 12135 e n. 9781, per citare le più
recenti, la presenza di vincoli non incide sulla natura
dell' area, ma sulla sua valutazione. L'area rimane, ai fini
dell'Imposta comunale sugli immobili (Ici), edificabile (articolo
ItaliaOggi sette del 27.02.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Un'area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente
divisa”.
Ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto
già parzialmente edificato occorre, dunque, considerare
tutte le costruzioni che comunque già insistono sull'area,
con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti
catastali.
L'asservimento dei suoli in caso di edificazione costituisce
una qualità oggettiva del fondo -il cui contenuto consiste
in un vincolo automatico imposto all'area in relazione alla
volumetria dalla stessa espressa- che non necessita di
alcuno specifico atto di asservimento o di trascrizione.
Tale predicato segue "ambulatoriamente" i destini del fondo
stesso e si impone a chiunque.
Il c.d. vincolo d'asservimento si costituisce, invero, nei
riguardi delle parti e dei terzi, con il rilascio del titolo
edilizio: ed è opponibile a qualunque terzo acquirente,
anche in assenza dell’obbligo di una sua trascrizione nei
registri immobiliari.
---------------
Se il vincolo di asservimento è sensibile alle
sopravvenienze della pianificazione -non ponendo limiti alla
facoltà del pianificatore generale di dettare una diversa
disciplina urbanistica dell’area- non può, però, affermarsi
l’irrilevanza della già utilizzata vocazione edificatoria
solo per effetto delle modifiche alla destinazione
urbanistica dell’area asservita intervenute nel corso del
tempo.
Non può, cioè, ritenersi che l’attribuzione all’area
asservita, per un certo periodo, di una destinazione
differente da quella originaria, comporti -nel momento in
cui l’area torni alla precedente destinazione- il decadere e
l’azzeramento dei vincoli di asservimento precedentemente
costituiti.
Allorquando la destinazione urbanistica dell’area asservita
venga modificata, il vincolo di asservimento non può
operare; ma ove intervenga una ulteriore modifica alle
previsioni dello strumento urbanistico che riporti l’area
all’originaria destinazione -in mancanza di una diversa ed
espressa volontà del pianificatore- riprendono efficacia i
vincoli di inedificabilità gravanti su di essa.
Una diversa conclusione si porrebbe, invero, in contrasto
con il principio secondo cui lo strumento urbanistico,
quando prevede i limiti entro i quali l'area può essere
edificata, si riferisce non alla edificazione ulteriore
rispetto a quella esistente al momento della sua
approvazione, ma alla edificazione complessivamente
realizzabile sull'area.
Occorre, inoltre, considerare, che il vincolo creato
dall’asservimento per sua natura permane sul fondo a tempo
indeterminato. L'asservimento di un fondo ad un altro crea,
infatti, una relazione pertinenziale nella quale viene posta
"durevolmente" a servizio di un fondo la qualità
edificatoria di un altro.
Gli effetti derivanti dal vincolo, integrando una qualità
oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed
irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle
potenzialità edificatorie dell'area asservita, con
permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di
chiunque ne sia il proprietario.
Per costante giurisprudenza, “un'area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa”
(fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2008, n. 4647).
Ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto
già parzialmente edificato occorre, dunque, considerare
tutte le costruzioni che comunque già insistono sull'area,
con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti
catastali (Cons. Stato, sez. III, 28.04.2009, n. 965).
Nel caso di specie, il frazionamento intervenuto nel 1965,
come pure i successivi passaggi di proprietà dell’area, non
hanno, quindi, determinato la sopravvenuta inefficacia del
vincolo assunto.
Non rileva, poi, che l’atto di asservimento sia stato o meno
trascritto. La giurisprudenza è, invero, costante nel
ritenere che l'asservimento dei suoli in caso di
edificazione costituisca una qualità oggettiva del fondo -il
cui contenuto consiste in un vincolo automatico imposto
all'area in relazione alla volumetria dalla stessa espressa-
che non necessita di alcuno specifico atto di asservimento o
di trascrizione. Tale predicato segue "ambulatoriamente"
i destini del fondo stesso e si impone a chiunque (C.S.,
sez. V n. 1525 del 21.03.2004, n. 5039 del 12.07.2004 e n.
7029 del 18.12.2002; (sez. V, 30.03.1998, n. 387;
21.01.1997, n. 63; C.G.A., 19.10.1989, n. 415).
Il c.d. vincolo d'asservimento si costituisce, invero, nei
riguardi delle parti e dei terzi, con il rilascio del titolo
edilizio: ed è opponibile a qualunque terzo acquirente,
anche in assenza dell’obbligo di una sua trascrizione nei
registri immobiliari (Cassazione penale sez. III,
30.04.2009, Cons. Stato, Sez. 5, 28.06.2000, n. 3637; Cass.
civ.: 22.02.1996, n. 1352; 12.09.1998, n. 9081; TAR Catania
Sicilia sez. I, 07.07.2011, n. 1677).
Non assume, poi, rilievo la circostanza che nel certificato
di destinazione urbanistica dell’area non venga menzionata
l’esistenza di un vincolo di asservimento gravante sull’area
in questione, stante la natura meramente dichiarativa di
tale atto di certificazione (TAR Milano Lombardia sez. II,
14.03.2011, n. 729). Né può invocarsi in senso contrario la
pronuncia del Consiglio di Stato, sez. V, 28.06.2000, n.
3637 la quale si limita ad affermare che la mancata menzione
del trasferimento di volumetria da un'area ad altra area,
ove sia idonea a ledere l’affidamento dei terzi, possa
essere fonte di diretta responsabilità dell’amministrazione
comunale.
Se il vincolo di asservimento è sensibile alle
sopravvenienze della pianificazione -non ponendo limiti alla
facoltà del pianificatore generale di dettare una diversa
disciplina urbanistica dell’area (Cons. Stato, sez. IV,
29.07.2008, n. 3766; Tar Veneto, 10.09.2004, n. 3263)- non
può, però, affermarsi l’irrilevanza della già utilizzata
vocazione edificatoria solo per effetto delle modifiche alla
destinazione urbanistica dell’area asservita intervenute nel
corso del tempo.
Non può, cioè, ritenersi che l’attribuzione all’area
asservita, per un certo periodo, di una destinazione
differente da quella originaria, comporti -nel momento in
cui l’area torni alla precedente destinazione- il decadere e
l’azzeramento dei vincoli di asservimento precedentemente
costituiti.
Allorquando la destinazione urbanistica dell’area asservita
venga modificata, il vincolo di asservimento non può
operare; ma ove intervenga una ulteriore modifica alle
previsioni dello strumento urbanistico che riporti l’area
all’originaria destinazione -in mancanza di una diversa ed
espressa volontà del pianificatore- riprendono efficacia i
vincoli di inedificabilità gravanti su di essa.
Una diversa conclusione si porrebbe, invero, in contrasto
con il principio secondo cui lo strumento urbanistico,
quando prevede i limiti entro i quali l'area può essere
edificata, si riferisce non alla edificazione ulteriore
rispetto a quella esistente al momento della sua
approvazione, ma alla edificazione complessivamente
realizzabile sull'area (cfr. Cons. Stato, sez. V,
07.11.2002, n. 6128).
Occorre, inoltre, considerare, che il vincolo creato
dall’asservimento per sua natura permane sul fondo a tempo
indeterminato. L'asservimento di un fondo ad un altro crea,
infatti, una relazione pertinenziale nella quale viene posta
"durevolmente" a servizio di un fondo la qualità
edificatoria di un altro (cfr. Cons. Stato, Ad Plen., n.
3/2009; Cons. Stato, sez. IV, n. 3766/2008).
Gli effetti derivanti dal vincolo, integrando una qualità
oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed
irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle
potenzialità edificatorie dell'area asservita, con
permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di
chiunque ne sia il proprietario (Cass. pen., sez. III,
21177/2009)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 24.02.2012 n. 623 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia urbanistica l’atto d’obbligo
trascritto di costituzione della servitù non aedificandi di
un terreno costituisce una qualità oggettiva del suolo
interessato e comporta una obbligazione “propter rem”,
realizzando un particolare vincolo pertinenziale (in quanto
tale non suscettibile di decadenza perché a contenuto
conformativo) destinato a rimanere cristallizzato nel tempo
e che può essere superato, però, soltanto da una nuova
disciplina introdotta dal pianificatore generale in materia
di volumetria e capacità edificatoria (salvo che non si
versi in ipotesi di vincolo di inedificabilità imposto
dall’originario unico proprietario del fondo).
Di conseguenza, poiché la destinazione e l’utilizzazione
delle aree rappresenta un dato urbanisticamente dinamico ed
in evoluzione potendo mutare nel tempo l’indice fondiario
nonché la stessa previsione dei lotti minimi, la
potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente
valutata ed esaminata alla stregua delle modificazioni
urbanistiche sopravvenute con salvezza, si ripete, delle
restrizioni permanenti ai poteri edificatori connessi alla
proprietà gravata.
---------------
Quando la volumetria per l'intera area originaria sia stata
utilizzata, a nulla vale il suo successivo frazionamento,
per giustificare una ulteriore edificabilità e qualora un
lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno
o più interventi edilizi, la volumetria residua va calcolata
previo decurtamento della volumetria realizzata, con
irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali
e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo
dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune
superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità
nel residuo.
Sicché, al fine del rispetto della volumetria assentita dal
piano regolatore generale, non assumono rilievo alcuno le
vicende private connesse alla disponibilità di un'area
edificabile già interamente considerata in occasione del
rilascio di una concessione edilizia, in quanto la vendita
di una parte dell'originario unico fondo, successiva
all'approvazione dello strumento urbanistico che determina
limiti alla relativa edificabilità implicandone
l'esaurimento (come anche il frazionamento del fondo da
parte dell'originario unico proprietario), è irrilevante
rispetto all'inedificabilità delle aree libere, oggetto
della compravendita, che devono comunque intendersi
asservite alle costruzioni già realizzate.
---------------
Considerato:
- le questioni controverse possono essere trattate unitariamente in
considerazione delle loro connessioni ed interdipendenze, a
loro volta collegate dall’unicità del tema relativo
all’asservimento di un suolo in relazione alle
sopravvenienze urbanistiche;
- in linea preliminare, deve essere osservato che in materia
urbanistica l’atto d’obbligo trascritto di costituzione
della servitù non aedificandi di un terreno costituisce una
qualità oggettiva del suolo interessato e comporta una
obbligazione “propter rem”, realizzando un
particolare vincolo pertinenziale (in quanto tale non
suscettibile di decadenza perché a contenuto conformativo)
destinato a rimanere cristallizzato nel tempo e che può
essere superato, però, soltanto da una nuova disciplina
introdotta dal pianificatore generale in materia di
volumetria e capacità edificatoria (salvo che non si versi
in ipotesi di vincolo di inedificabilità imposto
dall’originario unico proprietario del fondo);
- di conseguenza, poiché la destinazione e l’utilizzazione delle
aree rappresenta un dato urbanisticamente dinamico ed in
evoluzione potendo mutare nel tempo l’indice fondiario
nonché la stessa previsione dei lotti minimi, la
potenzialità edificatoria di un terreno va necessariamente
valutata ed esaminata alla stregua delle modificazioni
urbanistiche sopravvenute con salvezza, si ripete, delle
restrizioni permanenti ai poteri edificatori connessi alla
proprietà gravata;
- nella specie, ricorrono entrambe le suddette condizioni ostative
all’ulteriore sfruttamento edilizio, sia perché la società
ricorrente o suo dante causa ha tratto a suo tempo “utilitas”
dall’intervento diretto in luogo del dovuto piano di
lottizzazione a tali fini restringendo l’edificabilità a 3
mc/mq pur esprimendo all’epoca l’area 6,5 mc/mq (ragione per
la quale la deducente non può ora venire contro la stessa
propria scelta), sia perché il sopravvenuto PGT ha previsto
il diverso indice di 1 mc/mq che, essendo inferiore a quello
previgente, comporta che la società interessata risulta aver
già di gran lunga realizzato quanto oggi consentito dal
citato nuovo strumento generale (dovendo essere la richiesta
concessione edilizia assentita secondo le vigenti regole e
la volumetria calcolata in relazione all’intera area
originaria di progetto e non limitatamente al lotto
pertinenziale libero);
- la società ricorrente pretende anche di eseguire quel
differenziale residuo di cubatura attraverso una distorta
lettura dell’art. 4 delle NTA, che escluderebbe a suo dire
rilevanza ai frazionamenti anteriori e la quale, nello
stabilire che “In caso di frazionamenti, avvenuti a far
data dalla adozione del PGT, l’utilizzo delle aree
risultanti è subordinato alla verifica di rispetto degli
indici previsti dal PGT per tutte le aree derivate dal
frazionamento”, non ha invece minimamente inteso fare
salvezza alcuna e semmai rinforzato il criterio che tutto il
costruito deve essere computato ai fini del calcolo delle
volumetrie di piano, per come calcolate in sede di
redazione, a prescindere quindi anche dai frazionamenti
successivi all’adozione del PGT ed a maggior ragione,
allora, di quelli anteriori;
- infatti, quando la volumetria per l'intera area originaria sia
stata utilizzata, a nulla vale il suo successivo
frazionamento, per giustificare una ulteriore edificabilità
(Consiglio Stato, sez. V, 10.02.2000, n. 749) e qualora un
lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno
o più interventi edilizi, la volumetria residua va calcolata
previo decurtamento della volumetria realizzata, con
irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali
e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo
dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune
superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità
nel residuo (Consiglio Stato, sez. III, 28.04.2009, n.
965);
- conclusivamente, al fine del rispetto della volumetria assentita
dal piano regolatore generale, non assumono rilievo alcuno
le vicende private connesse alla disponibilità di un'area
edificabile già interamente considerata in occasione del
rilascio di una concessione edilizia, in quanto la vendita
di una parte dell'originario unico fondo, successiva
all'approvazione dello strumento urbanistico che determina
limiti alla relativa edificabilità implicandone
l'esaurimento (come anche il frazionamento del fondo da
parte dell'originario unico proprietario), è irrilevante
rispetto all'inedificabilità delle aree libere, oggetto
della compravendita, che devono comunque intendersi
asservite alle costruzioni già realizzate (Consiglio Stato,
sez. IV, 06.09.1999, n. 1402) (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 13.01.2012 n. 97 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Sul
quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio
dei titoli edilizi avuto particolare riguardo all’aspetto
della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di
carattere negoziale.
E' possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere
edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle
proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo
urbanistico o regolamentare possano essere rimosse
attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a
cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti
comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli
stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di
dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la
creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti,
che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere
dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di
distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo
i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza
delle norme in materia.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando
l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza
delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei
provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che
l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza
di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo
abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per
verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando
anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire
elementi seri a fondamento del suo diritto,
l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento
abilitativo.
Conviene delineare brevemente
il quadro delle norme e dei principi che presiedono al
rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo
all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli
impedimenti di carattere negoziale.
Tra le limitazioni al diritto a costruire, da prendere in
considerazione ai fini del rilascio del relativo permesso o
di un titolo edilizio in sanatoria, la giurisprudenza ha
operato un’accurata distinzione tra limiti legali e limiti
negoziali. I primi, pure in caso di istanza di condono, sono
destinati ad investire anche il rapporto pubblicistico. Per
gli altri si prospetta una diversa incidenza, considerato
che il comune non è tenuto a ricercarli.
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il
rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione
dei diritti dei terzi»— ha cristallizzato a livello
positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale
assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo
riconoscimento legale nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n.
662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994,
successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269
cit. in materia di condono straordinario).
L’ordinamento giuridico ammette, in via generale,
limitazioni di varia natura al diritto di costruire a
presidio dei diritti dei terzi controinteressati.
Nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali
dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti
tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente
rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo
II, c.c. (si tratta delle prescrizioni in materia di
distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non
direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia
negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena
di godimento (usufrutto, servitù, ecc.) cui corrispondono
altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti
lo ius aedificandi dei confinanti, che può risultare
semplicemente inciso o del tutto sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei
controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di
rilascio del permesso di costruire.
I limiti legali, trovando applicazione generalizzata e
conservando sempre il medesimo contenuto, concorrono a
formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non
pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è
tenuta a considerarli sempre.
Diversamente per le limitazioni negoziali del diritto di
costruire, cui possono ricondursi anche quelle scaturenti
dall’art. 1117 c.c. (cfr. Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n.
6332, secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il
comune rilascia un condono straordinario ex art. 32 d.l.
30.09.2003 n. 269, avente ad oggetto la costruzione di un
terrazzo coperto e disimpegno, di pertinenza di un
appartamento ubicato in uno stabile condominiale, non
potendosi accogliere le censure riguardanti la violazione
delle distanze legali minime rispetto alla costruzione di
terzi e al difetto di autorizzazione del condominio
all’esecuzione dei lavori su parti comuni dello stabile
(nella specie, al momento del rilascio del permesso in
sanatoria, era assolutamente controversa, fra le parti
confinanti, la questione concernente la reintegra delle
distanze violate, pendendo la relativa controversia in sede
civile, e non constava alcuna opposizione da parte del
condominio).
Circa l’ambito di operatività di tali limiti la
giurisprudenza oscilla fra due soluzioni che costituiscono
un corollario della clausola di salvezza dei diritti dei
terzi ed hanno in comune l’inesistenza, in capo
all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di
tali limiti, prodromico al diniego di permesso.
La prima ne esclude ogni rilevanza nel presupposto che
all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche
indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici
dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341);
la seconda ammette che il comune verifichi il rispetto dei
limiti privatistici, purché siano immediatamente
conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti
nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si
traduca in una semplice presa d’atto (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206).
Coerenti, ma non recepibili nel caso di specie, sono le
conclusioni cui è giunta la giurisprudenza più recente in
ordine agli oneri del comune di verificare la legittimazione
dei singoli condomini ad eseguire opere su parti comuni
(cfr. sez. IV 14.09.2005, n. 4744, che ritiene in contrasto
con l’art. 11 t.u. cit., il titolo edilizio rilasciato in
mancanza dell’assenso condominiale); anche in tali casi il
comune si limita a verificare, puramente e semplicemente, la
presenza di un’autorizzazione senza ovviamente poterne
vagliare la validità.
Le conclusioni rimangono immutate quando il comune sia
chiamato a rilasciare un titolo edilizio in sanatoria
ordinaria (ex art. 36 t.u. edilizia) o straordinaria (da
ultimo, ex art. 32 d.l. n. 269 del 2003).
Nel primo caso si richiede, specie in presenza di contrasto
conclamato fra condomini, che l’istruttoria del comune sia
particolarmente accurata (cfr. sez. IV, 16.03.2010, n. 1537;
sez. V 21.10.2003, n. 6529, fattispecie relativa all’art. 13
l. n. 47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni nell’art.
36 t.u. edilizia; 20); in tal caso doverosamente si
acquisisce la delibera di autorizzazione condominiale che
esonera il comune da ogni altro tipo di accertamento non
potendo essere disapplicata da quest’ultimo (cfr. Cons. St.,
sez. IV, n. 1537 del 2010 cit.).
Nel caso di condono straordinario la giurisprudenza registra
una maggiore varietà di posizioni.
Secondo una minoritaria tesi la concessione del condono
straordinario è impedita qualora l’abuso consista non già
nella inosservanza di prescrizioni dirette principalmente a
soddisfare finalità di interesse pubblico, ma nella
violazione delle norme che tutelano in modo diretto ed
immediato lo specifico interesse dei proprietari confinanti
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.12.1997, n. 1487 relativa a
fattispecie di condono governata dall’art. 39 l. n. 724 del
1994).
Di contro, ed in linea con quanto illustrato circa il
controllo esigibile da parte del comune in sede di rilascio
del permesso di costruire ex art. 11 t.u. edilizia, si
ritiene che la rilevanza giuridica del condono straordinario
si esaurisca nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza
estendersi ai rapporti fra privati, essendo il condono
rilasciato con salvezza espressa dei diritti dei terzi (cfr.
Cass., sez. un., 12.01.2007, n. 417); ne discende che la
presentazione di istanza di sanatoria, con riguardo a
costruzione realizzata in violazione della disciplina
urbanistica, non implica la sospensione della contesa
promossa dal proprietario confinante, per far valere, nel
rapporto di vicinato, gli effetti di detta violazione (cfr.
Cass. 07.02.1991, n. 1276).
Il compendio delle regole fin qui esaminate consente:
a) all’autore dell’abuso di fruirne anche se l’illecito
consista nella violazione delle distanze legali;
b) al comune di disinteressarsi delle relative vicende,
fermo restando che il terzo leso potrà ottenere satisfattiva
tutela davanti al giudice civile non subendo alcun
pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, sez. IV, 30.12.2006, n. 8626).
Coerentemente si ritiene possibile accogliere le istanze di
sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo
urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali
limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano
essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del
condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno
(o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da
parte degli stessi proprietari confinanti di atti di
asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora
attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono
dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico
riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle
norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste
ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di
pretendere l’osservanza delle norme in materia (cfr. Cons.
giust. amm., sez. cons., 16.07.1996, n. 467/1996).
In definitiva, la giurisprudenza del Consiglio di Stato,
superando l’indirizzo precedente che affermava la totale
indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla
legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel
senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza
dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente
il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie
per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando
anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire
elementi seri a fondamento del suo diritto,
l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento
abilitativo (Cons. Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3027; sez.
V, 07.07.2005, n. 3730)
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
cessione di cubatura «neutralizza» le varianti. Niente
volumi extra in caso di modifiche al Prg.
LO SNODO CHIAVE - Il Dl 70/2011 consente la trascrizione dei
diritti di costruzione ma non disciplina la tipologia
contrattuale.
I terreni da cui è stata "prelevata" la cubatura non
beneficiano degli incrementi di potenzialità edificatoria
dettati in un secondo tempo dal piano regolatore.
La IV sezione del Consiglio di Stato, con la
sentenza 09.07.2011 n. 4134, affronta il problema
delle conseguenze degli atti costitutivi del vincolo di
asservimento, cioè le cosiddette "cessioni di cubatura",
negando la possibilità per le aree asservite di esprimere
ulteriore capacità edificatoria in caso di variante del Prg
migliorativa degli indici di fabbricabilità.
È una tematica che diventa oggi di particolare interesse,
dopo l'emanazione del decreto sviluppo. Infatti, tra gli
interventi normativi volti a liberalizzare le costruzioni
private, l'articolo 5, comma 1, lettera c), del Dl n.
70/2011 ha previsto anche la tipizzazione di un nuovo schema
contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di
cubatura".
In realtà la norma non definisce con particolari dettagli
alcun modello negoziale, ma, al fine di garantire la
certezza nella circolazione dei diritti edificatori,
l'articolo 5, comma 3, si limita ad aggiungere all'articolo
2643 del Codice civile il numero 2-bis), stabilendo che
debbano essere soggetti a trascrizione anche «i contratti
che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati
nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di
pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni
urbanistiche a essi relative». La legge di conversione
n. 106/2011 ha poi eliminato il richiamo alle convenzioni
urbanistiche e disposto la registrazione anche dei contratti
che «costituiscono o modificano» tali «diritti
edificatori».
La norma del decreto è stata scritta tenendo a mente
l'esperienza del Pgt di Milano, che sfrutta il meccanismo
della perequazione urbanistica e prevede un vero e proprio "borsino"
dei diritti edificatori. La previsione offre una copertura
normativa di livello nazionale alla perequazione, ma non
contiene ancora quel quadro di regole completo auspicato dal
Consiglio di Stato con la sentenza n. 4545/2010. Resta da
chiedersi, ad esempio, in quanto tempo debba essere
realizzata la cubatura acquistata con la perequazione e cosa
succeda se –prima dell'edificazione– il Comune ne modifichi
o ne limiti l'utilizzo con una variante al Prg (si veda Il
Sole 24 Ore del 16 maggio).
Nella pratica negoziale così come si è strutturata prima del
decreto sviluppo, la cessione di cubatura è quel contratto
con cui il proprietario di un suolo (cedente) presta il
proprio consenso affinché tutta o parte della volumetria,
che quel suolo può esprimere sulla base degli strumenti
urbanistici, venga attribuita dalla pubblica amministrazione
al proprietario del fondo vicino (cessionario), purché
ricompreso nella medesima zona urbanistica. Il vincolo di
asservimento si traduce in una sorta di servitù di non
edificabilità di tipo relativo, in quanto limitata e
correlata alla volumetria consentita dal Prg, che si
riflette negativamente sul valore venale del bene anche, nel
caso di una sua eventuale espropriazione, comportando un
regime di inedificabilità ope legis.
La cessione di cubatura, per univoca giurisprudenza (da
ultimo, Cassazione n. 20623/2009), è una fattispecie
negoziale a formazione progressiva, nella quale, sul piano
dei presupposti, le dichiarazioni dei privati confluiscono
nel procedimento amministrativo volto al rilascio del titolo
edilizio. A determinare realmente il trasferimento di
cubatura, con effetto tra le parti e nei confronti dei
terzi, «è esclusivamente il provvedimento concessorio,
discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia
del cedente, può essere emanato dall'ente pubblico a favore
del cessionario, non essendo configurabile tra le parti un
contratto traslativo».
La nuova previsione legislativa non appare del tutto
compatibile con quest'ultimo rilievo della Suprema Corte. Da
un lato, la norma prevede la trascrizione del diritto
edificatorio. Dall'altro, l'accordo per la cessione di
cubatura tra i privati viene configurato dai giudici come un
contratto atipico a effetti obbligatori. Per costante
orientamento giurisprudenziale, infatti, la costituzione o
la modificazione del "diritto edificatorio" resta
comunque subordinata all'adozione di un provvedimento
amministrativo: di conseguenza, fino al rilascio del titolo
abilitativo, il proprietario del l'area è titolare non di un
diritto, ma solo di un interesse legittimo di tipo
pretensivo, cioè di una aspettativa qualificata ad
edificare.
---------------
Anche le aree asservite si considerano
già edificate.
IL PRINCIPIO - I terreni che hanno venduto la capacità
edificatoria sono considerati «occupati» anche se non
ospitano immobili.
Il caso affrontato dal Consiglio di Stato con la
sentenza 09.07.2011 n. 4134 trae origine una
variante al Prg, attraverso cui un Comune aveva aumentato i
previgenti indici di fabbricabilità da 3 a 5 metri cubi per
metro quadrato.
La fattispecie esaminata riguarda un fondo, in origine
costituente un unico compendio immobiliare, che era stato
completamente asservito alla realizzazione di un fabbricato,
con atto trascritto nei pubblici registri immobiliari. Dopo
la costruzione dell'edificio il suolo venne poi frazionato
in tre particelle: una sulla quale era posizionata l'area di
sedime del fabbricato e le altre due libere da manufatti, ma
asservite alla prima, alienate dagli originari proprietari a
una società.
Quest'ultima, a seguito della variante e per effetto
dell'innalzamento della potenzialità edificatoria, ha
ritenuto che anche la particella beneficiaria della cessione
di cubatura potesse esprimere una maggiore volumetria e che,
conseguentemente, dovesse essere ridotta la quota di
asservimento delle due particelle divenute di sua proprietà.
La società chiedeva quindi al Comune il rilascio di due
concessioni edilizie, una per sfruttare la nuova cubatura
che le due particelle asservite potevano autonomamente
esprimere a seguito della variante, l'altra per utilizzare
il differenziale di volumetria della particella non di loro
proprietà. L'ente rilasciava la prima concessione, ma negava
la seconda, escludendo che l'aumento degli indici di
edificabilità previsti dalla variante potesse comportare la
parziale retrocessione della volumetria a suo tempo ceduta
con l'atto di asservimento, il quale aveva "cristallizzato"
le quote edificatorie delle varie particelle rivenienti dal
frazionamento, onde la maggiore cubatura andava distribuita
in misura proporzionale tra i tre fondi contigui.
La società impugnava il diniego e il Tar ne accoglieva il
ricorso, affermando che la modifica dell'indice edificabile
in senso migliorativo dovesse applicarsi anche alla
particella destinata a sedime dell'originario fabbricato,
con conseguente riduzione proporzionale della misura
dell'asservimento per i suoli di proprietà della ricorrente.
La sentenza è stata però annullata in appello e i giudici di
Palazzo Spada hanno ricordato che, sulla base delle legge
urbanistica, le previsioni del Prg «servono a conformare
l'edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti
al momento dell'entrata in vigore del piano o di una sua
variante (Consiglio di Stato, sezione IV, 18.06.2009 n.
4009)». Per tale ragione lo strumento urbanistico, nel
disporre le future conformazioni del territorio, considera
le sole «aree libere», cioè soltanto quelle "disponibili"
al momento della pianificazione, perché non ancora
edificate.
La sentenza precisa al riguardo che, per «aree edificate»
devono intendersi non solo quelle costituenti aree di sedime
di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione, ma
anche quelle che, «nel rispetto degli standard
urbanistici, risultano comunque già utilizzate per
l'edificazione, in quanto asservite alla realizzazione di
fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico».
Ne viene fatto discendere che le eventuali variazioni degli
indici di fabbricazione in termini più favorevoli ai privati
proprietari non possono riguardare aree già utilizzate a
fini edificatori, come nel caso dell'asservimento, ancorché
le stesse si presentino "fisicamente" libere da
immobili. L'ulteriore conseguenza è che il Comune non solo
ha legittimamente negato alla società la seconda concessione
edilizia, ma non avrebbe potuto neanche rilasciare la prima,
poiché relativa a un'area giuridicamente non libera: il
titolo abilitativo, quindi, sarebbe annullabile in sede di
autotutela (articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2011). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'asservimento di un fondo, in caso di
edificazione, costituisce una qualità oggettiva dello
stesso, opponibile ai terzi, che continua a seguire il fondo
anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo
intervenuti in epoca successiva.
Il vincolo creato dall'asservimento per sua natura permane
sul fondo servente a tempo indeterminato, pena il completo
snaturamento dell'istituto. L'asservimento di un fondo ad un
altro crea, infatti, una relazione pertinenziale nella quale
viene posta "durevolmente" a servizio di un fondo la qualità
edificatoria di un altro.
Gli effetti derivanti dal vincolo, integrando una qualità
oggettiva del terreno, hanno carattere definitivo ed
irrevocabile e provocano la perdita definitiva delle
potenzialità edificatorie dell'area asservita, con
permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di
chiunque ne sia il proprietario.
Ad avviso di costante e condivisibile giurisprudenza,
l'asservimento di un fondo, in caso di edificazione,
costituisce una qualità oggettiva dello stesso, opponibile
ai terzi, che continua a seguire il fondo anche nei
successivi trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in
epoca successiva (Consiglio Stato, sez. V, 30.03.1998, n.
387; sez. IV, 06.07.2010, n. 4333).
Va soggiunto che il vincolo creato dall'asservimento per sua
natura permane sul fondo servente a tempo indeterminato,
pena il completo snaturamento dell'istituto. L'asservimento
di un fondo ad un altro crea, infatti, una relazione
pertinenziale nella quale viene posta "durevolmente"
a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro
(cfr. Cons. Stato, Ad Plen., n. 3/2009; Cons. Stato, sez. IV,
n. 3766/2008, secondo cui il "vincolo rimane
cristallizzato nel tempo”).
In definitiva, gli effetti derivanti dal vincolo, integrando
una qualità oggettiva del terreno, hanno carattere
definitivo ed irrevocabile e provocano la perdita definitiva
delle potenzialità edificatorie dell'area asservita, con
permanente minorazione della sua utilizzazione da parte di
chiunque ne sia il proprietario (Cass. pen., sez. III,
21177/2009) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.06.2011 n. 3823 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
E. Michetti,
IL SIGNIFICATO DI “ADIACENZA” DEI FONDI AI FINI
DELL'ASSERVIMENTO (n. 1/2011 - link a
www.gazzettaamministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Quando una porzione di suolo venga in
concreto utilizzata ai fini del computo della cubatura per
l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere
in futuro utilizzata nuovamente al medesimo fine, neppure
nel caso dell'ulteriore frazionamento ed alienazione
dell'area libera residua.
La giurisprudenza ha sempre affermato che, quando una
porzione di suolo venga in concreto utilizzata ai fini del
computo della cubatura per l'edificazione di un manufatto
edilizio, essa non può essere in futuro utilizzata
nuovamente al medesimo fine, neppure nel caso dell'ulteriore
frazionamento ed alienazione dell'area libera residua.
Ove così non fosse, si perverrebbe all'aberrante risultato
che, realizzata l'opera, il costruttore potrebbe ben
alienare la porzione di terreno non direttamente occupata
dalla costruzione onde consentirne un ulteriore sfruttamento
edificatorio da parte di un terzo (cfr. Consiglio Stato,
sez. V, 10.05.2005, n. 2328; ma anche, Consiglio Stato, sez.
IV, 26.09.2008, n. 4647; Consiglio Stato, sez. V,
27.06.2006, n. 4117; Consiglio Stato, sez. IV 12.02.1987 n.
91; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 21.12.2009, n. 5750; TAR
Valle d'Aosta, sez. I, 15.02.2008, n. 16; TAR Campania
Salerno, sez. II, 03.06.2010, n. 8219).
Ai fini della costruzione di nuovi volumi, è così
irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente
suddiviso in più particelle o che la costruzione
preesistente fosse stata realizzata prima del 09.10.1979
ovvero del 21.05.1985, in quanto è invece necessario
considerare tutti i volumi già esistenti sull'intera
originaria area di proprietà. Un'area edificatoria già
utilizzata a fini edilizi è infatti suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire.
L'atto di asservimento dell'area discende ope legis
dalla stessa utilizzazione dell’area ai fini edificatori ed
è definitivo (cfr. Consiglio Stato, Sez. V 12.07.2004 n.
5039). L'inedificabilità dell'area, in tal modo asservita,
rappresenta una qualità oggettiva del fondo, opponibile
anche a terzi per cui l'eventuale attività edificatoria
autorizzata a seguito di un permesso per costruire ottenuto
includendovi una porzione di area già sottoposta ad atto
d'obbligo di asservimento, costituisce un reato edilizio in
quanto altera l'indice fondiario di fabbricabilità (cfr.
Cassazione penale, sez. III, 22.04.2004, n. 23230).
In tale ottica:
- devono essere considerate non solo la superficie libera ed
il volume ad essa corrispondente, ma anche le cubature dei
fabbricati preesistenti –ancorché siano stati edificati
senza il prescritto titolo- al fine di verificare in
concreto la reale situazione dei luoghi con il relativo
carico di edificazione in concreto accertato (cfr. Consiglio
Stato, A.P. 23.04.2009, n. 3);
- deve essere verificato se, in relazione all'intera
superficie dell'area, residui l'ulteriore volumetria di cui
si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa
(cfr. Consiglio Stato sez. IV, 21.09.2009, n. 5637) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 15.11.2010 n. 33462 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Edificazione - Indici di densità -
Densità territoriale e densità fondiaria - Nozione.
L’edificazione di aree è condizionata quantitativamente,
nello strumento urbanistico, dagli indici di densità.
Tra questi, la densità territoriale indica la quantità
massima di volumi realizzabili in una zona territoriale
omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato
da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità
fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno
specifico lotto, in funzione della prima.
Cessione di cubatura - Contratto di
trasferimento - Conseguente inedificabilità - Qualità
obiettiva del fondo - Opponibilità ai terzi - Certificato di
destinazione urbanistica - Art. 30, c. 2 d.P.R. n. 380/2001.
La cubatura che un terreno esprime o possiede può essere
alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o
dalla cessione del terreno medesimo, a determinate
condizioni. Questo perché la cubatura (ossia la possibilità
di edificare un determinato volume edilizio) pur se
intrinsecamente collegata al terreno che la esprime,
costituisce una utilità separata da questo, autonomamente
valutabile e con una propria commerciabilità e
patrimonialità.
La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto
di un contratto di trasferimento con il quale il
proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte
delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo
scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area
di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel
rispetto dell’indice di densità fondiaria.
L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene,
per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale
inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che
inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al
trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi,
sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il
sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la
cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per
il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la
relativa cessione risulterà dalla trascrizione).
Tuttavia, l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal
certificato di destinazione urbanistica dell’area, ex art.
art. 30, comma 2, dpr 06.06.2001 n. 380.
Cessione di cubatura - Presupposti di
legittimità - Omogeneità del’area territoriale - Contiguità
territoriale - Condizione giuridica.
La legittimità della cessione di cubatura, ai fini dello
sfruttamento della cubatura ceduta in un progetto edilizio
da parte dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè
la omogeneità dell’area territoriale entro la quale si
trovano i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la
cubatura oggetto del contratto) e la contiguità dei due
fondi.
Il primo requisito è volto ad assicurare che non si
stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla
rilevazione della volumetria esistente, in modo da
determinare, secondo gli standard del DM 1444/1968, a quale
tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se
fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi
qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe
che l’indice di densità territoriale potrebbe essere
alterato o superato nei limiti massimi.
Il secondo requisito non è inteso dalla giurisprudenza come
una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) ma
giuridica, e viene a mancare quando tra i fondi sussistano
una o più aree aventi destinazioni urbanistiche
incompatibili con l’edificazione.
In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se
non contigue almeno significativamente vicine, non potendosi
accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree
ricadenti in zone urbanistiche non omogenee (TAR Campania,
Napoli, VIII, 15.05.2008, n. 4549; Consiglio Stato, sez. V,
30.10.2003, n. 6734) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 12.10.2010 n. 4113 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Atto di asservimento - Cessione di
cubatura tra fondi contigui - Finalità dell’istituto.
L’atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di
cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la
potenzialità edilizia di un’area per mezzo dell’utilizzo
della cubatura realizzabile in una particella contigua e del
conseguente computo anche della superficie di quest’ultima,
ai fini della verifica del rispetto dell’indice di
fabbricabilità fondiaria.
Asservimento - Limiti di volumetria -
Vincolo ope legis - Strumenti negoziali privatistici -
Relazione pertinenziale tra i lotti - Nuova disciplina sulla
capacità edificatoria.
In tema di asservimento, nel caso in cui la normativa
urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo
sull’area discende ope legis senza necessità di
strumenti negoziali privatistici (atto d’obbligo,
trascrizione, ecc.), che devono invece sussistere nel caso
di asservimento dei suoli limitrofi per ottenere una
volumetria maggiore, anche reciproca; infatti, l’atto di
asservimento di un lotto, che costituisce una qualità
oggettiva dello stesso (una sorta di obbligazione “propter
rem”) e realizza una specie particolare di relazione
pertinenziale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2009, n.
3), non comporta un divieto assoluto di edificazione, pur
costituendo un vincolo che rimane cristallizzato nel tempo,
ma non può costituire limite rispetto alle determinazioni
del pianificatore generale, che resta libero di dettare una
nuova disciplina sulla volumetria e sulla capacità
edificatoria (cfr. Cons Stato, sez. IV, 04.05.2006, n. 2488;
idem, 29.07.2008, n. 3766; TAR Trentino Alto Adige Bolzano,
22.08.2007, n. 286; TAR Valle d'Aosta Aosta, sez. I,
15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Brescia, sez. I,
14.05.2010, n. 1736).
Asservimento - Potenzialità edificatoria
dei terreni - Modifica della pianificazione urbanistica o
normativa sopravvenuta.
L'asservimento di un terreno per realizzare una costruzione
non rende lo stesso definitivamente inedificabile anche per
il futuro; la destinazione ed utilizzazione delle aree
rappresenta, infatti, un dato dinamico ed evolutivo, potendo
mutare nel tempo l'indice fondiario, nonché la stessa
previsione di lotti minimi, per cui la potenzialità
edificatoria di un terreno va necessariamente valutata ed
esaminata alla stregua della modificazione della
pianificazione urbanistica e della normativa sopravvenuta
(cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 26.07.2006, n. 399) TAR
Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 10.09.2010 n. 32217 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Mariano,
La
cessione di cubatura (02.07.2010
- link a www.diritto.it).
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Sommario: 1. Introduzione. - 2. La posizione della
giurisprudenza. - 3. Le principali posizioni della dottrina.
- 3.1 Teoria della servitù. - 3.2 Teoria del diritto di
superficie. - 3.3 Teoria della rinunzia abdicativa. - 3.4
Teoria del negozio traslativo di un diritto reale. - 3.5
Teoria del negozio con effetti meramente obbligatori. - 4.
L’opponibilità della cessione ai terzi. - 5. La necessaria
correlazione tra atto privato e atto amministrativo nella
cessione di volumetria. Considerazioni conclusive. |
EDILIZIA
PRIVATA:
Inedificabilità di un'area asservita o
accorpata o comunque utilizzata a fini edificatori - Obbligo
di trascrizione del vincolo nei registi immobiliari - Non
sussiste - Opponibilità a terzi acquirenti - Sussiste -
Rilevanza ai fini edificatori delle vicende relative alla
proprietà dei terreni - Non sussiste.
L'inedificabilità di un'area asservita o accorpata o
comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una
qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l'obbligo
di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari, è
opponibile a terzi acquirenti, ed ha l'effetto di impedirne
l'ulteriore edificazione oltre i limiti previsti, a nulla
rilevando che la proprietà dell'area sia stata trasferita,
che manchino specifici negozi giuridici privati volti
all'asservimento o che l'edificio sia collocato in una parte
del lotto catastalmente divisa.
In altri termini, un'area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, non può essere considerata libera neppure
parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in
sede di rilascio di una seconda concessione, nella
perdurante esistenza del primo edificio, restando
irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’inedificabilità
di un’area asservita o accorpata o comunque utilizzata a
fini edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo
che, pur non vigendo l’obbligo di trascrizione del vincolo
nei registri immobiliari è opponibile a terzi acquirenti, ed
ha l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i
limiti previsti, a nulla rilevando che la proprietà
dell’area sia stata trasferita, che manchino specifici
negozi giuridici privati volti all’asservimento o che
l’edificio sia collocato in una parte del lotto
catastalmente divisa.
Per consolidata giurisprudenza, l’inedificabilità di un’area
asservita o accorpata o comunque utilizzata a fini
edificatori costituisce una qualità obiettiva del fondo che,
pur non vigendo l’obbligo di trascrizione del vincolo nei
registri immobiliari (cfr. Cons. Stato V, 28.06.2000 n.
3637), è opponibile a terzi acquirenti, ed ha l’effetto di
impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti previsti,
a nulla rilevando che la proprietà dell’area sia stata
trasferita, che manchino specifici negozi giuridici privati
volti all’asservimento o che l’edificio sia collocato in una
parte del lotto catastalmente divisa (Cons. Stato V,
09.10.2007 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, non può essere considerata libera neppure
parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in
sede di rilascio di una seconda concessione, nella
perdurante esistenza del primo edificio, restando
irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni
(Cons. Stato IV, 06.09.1999 n. 1402) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Aree asservite - Inedificabilità -
Opponibilità ai terzi acquirenti - Irrilevanza delle vicende
inerenti la proprietà dei terreni.
L’inedificabilità di un’area asservita o accorpata o
comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una
qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l’obbligo
di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (cfr.
Cons. Stato V, 28.06.2000 n. 3637), è opponibile a terzi
acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne l’ulteriore
edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che
la proprietà dell’area sia stata trasferita, che manchino
specifici negozi giuridici privati volti all’asservimento o
che l’edificio sia collocato in una parte del lotto
catastalmente divisa (Cons. Stato V, 09.10.07 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, non può essere considerata libera neppure
parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in
sede di rilascio di una seconda concessione, nella
perdurante esistenza del primo edificio, restando
irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni
(Cons. Stato IV, 06.09.1999 n. 1402) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
1. Piano
regolatore generale - Asservimento - Potenzialità
edificatoria - Edifici preesistenti - Si computano.
2. Piano regolatore generale - Asservimento - Potenzialità
edificatoria - Vicende private connesse alla disponibilità
di area edificabile - Irrilevanza.
1.
Nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di
piano regolatore, sono da ricomprendere anche gli edifici
preesistenti in quanto il PRG, nella parte in cui prevede i
limiti entro i quali l'area può essere edificata, si
riferisce non all'edificazione ulteriore rispetto a quella
già esistente al momento della sua approvazione, ma
all'edificazione complessivamente realizzabile sull'area.
2.
Le vicende relative alla proprietà dei terreni, e in
particolare il frazionamento del fondo da parte
dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini
dell'inedificabilità delle aree libere, che devono comunque
intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e
pertanto inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti
della volumetria residua) ove le costruzioni esistenti
abbiano già "consumato" la volumetria disponibile
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 134 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai fini del rilascio del titolo
edilizio, l'asservimento di un'area per consentire
l'edificazione nella volumetria di progetto non comporta che
la contiguità dei fondi debba intendersi nel senso della
adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le
particelle catastali interessate, bensì come effettiva e
significativa vicinanza tra i fondi asserviti per
raggiungere la cubatura desiderata.
Il Collegio non condivide la censura dedotta con il primo
motivo di gravame con il quale la parte ricorrente assume
l’inutilizzabilità del descritto atto di asservimento ai
fini del rilascio del permesso di costruire, per difetto dei
requisiti di omogeneità (per medesima destinazione
urbanistica) e contiguità dei fondi (oggettiva vicinanza dei
suoli), parte dei quali sono ubicati in una diversa
provincia.
In senso contrario il Collegio rileva, quanto al requisito
della omogeneità, che i ricorrenti si limitano ad una
affermazione di principio che non si traduce poi nella
effettiva contestazione della diversa destinazione
urbanistica dei fondi asserviti. Difatti, non è documentata
la diversa natura dei suoli interessati dall’atto di
asservimento in ciò incorrendo la parte ricorrente nella
violazione dell’onere della prova previsto dall’art. 2697
del codice civile, vigente anche nel processo
amministrativo, secondo cui chi avanza una pretesa deve
fornire la prova del fatto che la giustifica (Consiglio di
Stato, Sez. V, 27.03.2009, n. 1825).
Parimenti generica e non suffragata da idonei elementi di
riscontro si appalesa l’ulteriore contestazione che attiene
al difetto della contiguità dei fondi asserviti che si fa
discendere dalla mera circostanza fattuale della loro
ubicazione in una provincia diversa rispetto a quella dove è
previsto l’intervento edilizio. Sul punto, è sufficiente
rilevare che la diversa ubicazione geografica dei fondi, ove
non accompagnata da ulteriori circostanze (non dedotte dalla
parte ricorrente), non appare di per sé idonea ad escludere
il rapporto di contiguità tra suoli che, benché situati in
diverse province, potrebbero tuttavia risultare
effettivamente confinanti (come affermato dalla
controinteressata e non contestato dalla parte ricorrente).
Giova in proposito richiamare l’orientamento della
giurisprudenza amministrativa secondo cui, ai fini del
rilascio del titolo edilizio, l'asservimento di un'area per
consentire l'edificazione nella volumetria di progetto non
comporta che la contiguità dei fondi debba intendersi nel
senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra
tutte le particelle catastali interessate, bensì come
effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti
per raggiungere la cubatura desiderata (Consiglio di Stato,
Sez. V, 30.10.2003, n. 6734) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2010 n. 105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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EDILIZIA PRIVATA: Giova
sottolineare come la nozione di libertà di costruire in
epoca antecedente la legge urbanistica del 1942 sia stata
affermata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con
espresso riguardo alla situazione di fatto dell’immobile in
contestazione, che, essendo casa colonica, doveva essere
allocato, quanto meno al momento della costruzione, in zona
agricola.
Al di fuori della specifica situazione, non potrebbe
certo concordarsi con l’opinione secondo la quale la
libertà di costruire, in epoca antecedente la normazione
urbanistica, poteva essere dilatata al punto di conferire al
diritto soggettivo di proprietà valenze e prerogative che
probabilmente non ha mai avuto, quanto meno in termini
assoluti, fin dagli albori della costituzione dello Stato
Nazionale (cioè dalla legislazione unitaria fondamentale del
1865).
Con una visione frammentaria del problema, che si rivelò
ben presto inadeguata, il legislatore del 1865 introdusse,
infatti, per gli aggregati urbani relativi a comuni con più
di 10.000 abitanti, la materia dei piani regolatori.
Quella remota disciplina contemplava due tipi: il piano
regolatore edilizio e il piano di ampliamento previsti
rispettivamente dagli articoli 86 e 93 della legge 25.06.1865, n. 2359 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
Quelle norme non prescrivevano l’imposizione di limiti
rigorosi alla proprietà privata, ma costituivano pur sempre
un indizio non secondario dell’esistenza di un quadro conformativo del quale, nelle zone urbane, lo jus
aedificandi doveva comunque tener conto.
Oltre alle assai modeste prescrizioni di tipo pianificatorio altre, con diversa normativa, furono
previste, soprattutto con atti regolamentari per
l’edificazione nei centri abitati (e, in questo senso, molti
furono i comuni ad avvalersi di tale facoltà).
Tali regolamenti, nel prevedere una serie di limiti
sull’altezza, le distanze ed altri elementi connotativi
delle edificazioni urbane, costituivano anch’essi uno
strumento conformativo seppure indiretto rispetto
all’esercizio concreto dello jus aedificandi: tali mezzi
risultano positivamente richiamati dagli articoli 109 e 111
(quest’ultimo in particolare) del regio decreto 12.02.1911, n. 297 recante il regolamento per l’esecuzione della
legge comunale e provinciale 21.05.1908, n. 269, ma
utilizzato anche dopo le modifiche della legge 04.02.1915, n. 148 e il testo unico
03.03.1934, n. 383.
Un
ulteriore strumento di conformazione, anch’esso episodico,
va individuato, oltre che nella legge 15.01.1885, n.
2892 sul risanamento della città di Napoli e nella legge 31.05.1903, n. 254 relativa alla costruzione, all’acquisto
e alla vendita di case popolari, nei provvedimenti
legislativi che hanno approvato i piani regolatori di grandi
città (legge 24.03.1932, n. 355 per Roma e la legge 19.02.1934, n. 433 per Milano).
Il richiamo alla legislazione previgente il 1942 si
conclude con i regi decreti legge 25.03.1935, n. 640
(art. 4) e il successivo 22.11.1937, n. 2105 (art. 6)
che enunciano l’obbligatorietà dell’autorizzazione del
sindaco (podestà) per le edificazioni.
Accanto alle considerazioni storiche e prima di
esaminare quelle inerenti la specifica area oggetto della
vertenza, occorre rammentare la modificazione di prospettive
e le evoluzioni anche concettuali maturate nel prosieguo e
fino ai giorni nostri nella legislazione urbanistica ed
edilizia.
E’ sufficiente, in proposito, ricordare come una norma
quale l’ultimo comma dell’articolo 4 della legge 28.01.1978, n. 10 (vedi ora l’articolo 9 d.P.R.
06.06.2001, n.
380 recante il testo unico in materia edilizia), nel dettare
norme sull’edificabilità dei suoli nei comuni privi di
strumenti urbanistici, stabilisse il primato del momento pianificatorio,
riducendo e quanto meno depotenziando in modo significativo
il diritto di edificare del privato, sulla base del
principio che, relativamente ai suoli privi di qualsivoglia
regolamentazione, opera pur sempre una disciplina suppletiva
di salvaguardia dagli eccessi di intensificazione.
---------------
L’istituto dell’asservimento, come è noto, si è formato dopo
l’entrata in vigore del d.m. 02.04.1968, che ha fissato gli
standards di edificabilità delle aree e ha introdotto una
organica regolamentazione della densità edilizia
(territoriale e fondiaria).
La nozione di densità costituisce il parametro di
riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad
asservimento: ciò impone senz’altro l’operatività dello
strumento pianificatorio, ma non implica una risposta
univoca rispetto agli immobili edificati, a seconda che a
loro fondamento vi sia un provvedimento abilitativo (che, in
altri momenti storici, poteva anche legittimamente mancare).
La densità territoriale, in particolare, è riferita a
ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di
edificazione che può gravare sulla stessa, con la
conseguenza che il relativo indice è rapportato sia
all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione
urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni.
Perché il computo rispecchi la realtà effettuale non rileva
certo la sussistenza o meno del prescritto titolo
autorizzatorio o abilitativo all’intervento edilizio, ma la
reale situazione dei luoghi con il carico di edificazione in
concreto accertato.
Non può d’altronde dubitarsi che qualsiasi costruzione,
anche se eretta senza il prescritto titolo, concorra al
computo complessivo della densità territoriale.
---------------
... per la riforma della sentenza 30.01.2007, n. 123 del
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sede di
Milano sez. II.
...
55. Il primo quesito coinvolge la computabilità nella
volumetria assentibile, secondo l’indice di densità
fondiaria in vigore, di una costruzione con area di sedime
coincidente con il mappale sulla quale insiste (655) per
essere stata censita nel 1858.
56. Si è invero osservato come l’edificio posto sul citato
mappale 655 è stato eretto ben prima della legge urbanistica
n. 1150 del 1942, quando cioè lo jus aedificandi era
considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà: a
tale stregua, la totale occupazione dell’area del mappale
655 da parte della casa colonica censita nel 1858 nel
catasto lombardo veneto dovrebbe impedire l’instaurarsi di
qualsivoglia pertinenza e, per l’effetto, di possibili
asservimenti.
57. In questa prospettiva, costruzione ed area divengono
unica res caratterizzata, nel tessuto urbanistico-edilizio della zona, da specificità e autonomia tali da
escludere che si tenga conto della relativa volumetria in
relazione alla densità fondiaria in vigore.
58. Il Collegio non ritiene che la proposizione del quesito,
quanto meno nei termini appena esposti, possa rivelarsi
decisiva per la soluzione del caso.
59. Giova, in primo luogo, sottolineare come la nozione di
libertà di costruire in epoca antecedente la legge
urbanistica del 1942 sia stata affermata dalla IV Sezione
del Consiglio di Stato con espresso riguardo alla situazione
di fatto dell’immobile in contestazione, che, essendo casa
colonica, doveva essere allocato, quanto meno al momento
della costruzione, in zona agricola;
60. Al di fuori della specifica situazione, non potrebbe
certo concordarsi con l’opinione secondo la quale la
libertà di costruire, in epoca antecedente la normazione
urbanistica, poteva essere dilatata al punto di conferire al
diritto soggettivo di proprietà valenze e prerogative che
probabilmente non ha mai avuto, quanto meno in termini
assoluti, fin dagli albori della costituzione dello Stato
Nazionale (cioè dalla legislazione unitaria fondamentale del
1865).
61. Con una visione frammentaria del problema, che si rivelò
ben presto inadeguata, il legislatore del 1865 introdusse,
infatti, per gli aggregati urbani relativi a comuni con più
di 10.000 abitanti, la materia dei piani regolatori.
62. Quella remota disciplina contemplava due tipi: il
piano
regolatore edilizio e il piano di ampliamento previsti
rispettivamente dagli articoli 86 e 93 della legge 25.06.1865, n. 2359 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
63. Quelle norme non prescrivevano l’imposizione di limiti
rigorosi alla proprietà privata, ma costituivano pur sempre
un indizio non secondario dell’esistenza di un quadro
conformativo del quale, nelle zone urbane, lo jus
aedificandi doveva comunque tener conto.
64. Oltre alle assai modeste prescrizioni di tipo
pianificatorio altre, con diversa normativa, furono
previste, soprattutto con atti regolamentari per
l’edificazione nei centri abitati (e, in questo senso, molti
furono i comuni ad avvalersi di tale facoltà).
65. Tali regolamenti, nel prevedere una serie di limiti
sull’altezza, le distanze ed altri elementi connotativi
delle edificazioni urbane, costituivano anch’essi uno
strumento conformativo seppure indiretto rispetto
all’esercizio concreto dello jus aedificandi: tali mezzi
risultano positivamente richiamati dagli articoli 109 e 111
(quest’ultimo in particolare) del regio decreto 12.02.1911, n. 297 recante il regolamento per l’esecuzione della
legge comunale e provinciale 21.05.1908, n. 269, ma
utilizzato anche dopo le modifiche della legge 04.02.1915, n. 148 e il testo unico
03.03.1934, n. 383.
66. Un
ulteriore strumento di conformazione, anch’esso episodico,
va individuato, oltre che nella legge 15.01.1885, n.
2892 sul risanamento della città di Napoli e nella legge 31.05.1903, n. 254 relativa alla costruzione, all’acquisto
e alla vendita di case popolari, nei provvedimenti
legislativi che hanno approvato i piani regolatori di grandi
città (legge 24.03.1932, n. 355 per Roma e la legge 19.02.1934, n. 433 per Milano).
67. Il richiamo alla legislazione previgente il 1942 si
conclude con i regi decreti legge 25.03.1935, n. 640
(art. 4) e il successivo 22.11.1937, n. 2105 (art. 6)
che enunciano l’obbligatorietà dell’autorizzazione del
sindaco (podestà) per le edificazioni.
68. Accanto alle considerazioni storiche e prima di
esaminare quelle inerenti la specifica area oggetto della
vertenza, occorre rammentare la modificazione di prospettive
e le evoluzioni anche concettuali maturate nel prosieguo e
fino ai giorni nostri nella legislazione urbanistica ed
edilizia.
69. E’ sufficiente, in proposito, ricordare come una norma
quale l’ultimo comma dell’articolo 4 della legge 28.01.1978, n. 10 (vedi ora l’articolo 9 d.P.R.
06.06.2001, n.
380 recante il testo unico in materia edilizia), nel dettare
norme sull’edificabilità dei suoli nei comuni privi di
strumenti urbanistici, stabilisse il primato del momento pianificatorio, riducendo e quanto meno depotenziando in
modo significativo il diritto di edificare del privato,
sulla base del principio che, relativamente ai suoli privi
di qualsivoglia regolamentazione, opera pur sempre una
disciplina suppletiva di salvaguardia dagli eccessi di
intensificazione (C.d.S., IV, 10.12.2007, n. 6339,
C.d.S., V, 14.10.2005, n. 5801; Cd.S., IV, 09.08.2005, n. 4232).
70. La sintetica esposizione delle principali fonti
normative antecedenti il codice civile (art. 869 e seguenti)
e la normazione urbanistica (legge 10.08.1942, n. 1150)
nonché il richiamo alle successive evoluzioni consentono di
chiarire un profilo metodologico di rilievo ai fini della
decisione: essere cioè quanto meno perplessa la possibilità
di risolvere la questione giuridica prospettata sulla base
della legislazione previgente e del titolo in base al quale
ab origine fu edificato il mappale 655.
71. Quest’ultimo, nel corso del tempo, si è successivamente
trasformato da casa colonica quale risulta nel catasto
lombardo veneto nel 1858 (e prima ancora da terreno agricolo
secondo il catasto teresiano vigente nei primi anni del
secolo diciannovesimo) in edificio a varie destinazioni
(della quale quella a portineria di villa Dajelli è
contestata) fino a divenire privata abitazione del professor
Va., secondo una prassi un tempo assai diffusa di
riadattamento di un immobile originariamente destinato
all’agricoltura o a deposito (come testimoniano, è dato
enunciabile come fatto notorio, i molti fienili trasformati
in gradevoli e talora lussuose residenze private).
72. Se, d’altro canto, l’immobile era originariamente una
casa colonica, la sua collocazione nel 1858 in piena
campagna implica che il relativo dato catastale non assuma
rilievo per definire la computabilità o meno della relativa
volumetria: le zone agricole fuori dell’abitato non
soggiacevano comunque a una disciplina edilizia così che il
porre la problematica dell’asservimento finirebbe
necessariamente per rivelarsi un fuor d’opera.
73. E’ invero assai difficile riportare in un contesto
unitario (quale quello della disciplina urbanistica del
piano regolatore di Varenna del 1996) situazioni e fatti
collocati in un diverso spazio temporale che diviene, quasi
in modo diacronico, anche diverso spazio fisico, quanto meno
sotto il profilo della regolamentazione e delle connesse
qualificazioni.
74. La legge dell’incessante divenire impone di non
sovrapporre due situazioni la cui riconducibilità al più
antico dato catastale non è connotata da tratti specifici
rispetto ad altri complessivi elementi di valutazione.
75- Pur espungendo dalla formulazione del punto di diritto
la peculiarità storica della collocazione catastale, non si
otterrebbe in ogni caso un quadro ordinamentale sicuro e
completo in ragione del quale assicurare una definitiva e
soddisfacente risposta.
76. Ciò si deve alla coerente premessa metodologica
dell’ordinanza di rimessione tratta dai principi in materia
di asservimento, con particolare riguardo al caposaldo che
connette il relativo vincolo con il provvedimento edilizio
abilitativo.
77. L’istituto dell’asservimento, come è noto, si è formato
dopo l’entrata in vigore del decreto ministeriale 02.04.1968, che ha fissato gli standards di edificabilità
delle aree e ha introdotto una organica regolamentazione
della densità edilizia (territoriale e fondiaria).
78. La nozione di densità costituisce il parametro di
riferimento per stabilire se possa farsi luogo ad
asservimento: ciò impone senz’altro l’operatività dello
strumento pianificatorio, ma non implica una risposta
univoca rispetto agli immobili edificati, a seconda che a
loro fondamento vi sia un provvedimento abilitativo (che, in
altri momenti storici, poteva anche legittimamente mancare).
79. La densità territoriale, in particolare, è riferita a
ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di
edificazione che può gravare sulla stessa, con la
conseguenza che il relativo indice è rapportato sia
all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione
urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni.
80. Perché il computo rispecchi la realtà effettuale non
rileva certo la sussistenza o meno del prescritto titolo
autorizzatorio o abilitativo all’intervento edilizio, ma la
reale situazione dei luoghi con il carico di edificazione in
concreto accertato.
81. Non può d’altronde dubitarsi che qualsiasi costruzione,
anche se eretta senza il prescritto titolo, concorra al
computo complessivo della densità territoriale (C.d.S., IV,
26.09.2008, n. 4647; IV, 29.07.2008, n. 3766; IV,
12.05.2008, n. 2177; IV, 11.12.2007, n. 6346; V,
27.06.2006, n. 4117; V, 12.07.2005, n. 3777: V, 12.07.2004, n. 5039; IV,
06.09.1999, n. 1402).
82. Con riguardo a quella specie di densità, l’edificio
posto sul mappale 655 è stato senz’altro oggetto di calcolo
da parte del Comune di Varenna in sede di concreta
determinazione della volumetria ammessa per la zona.
83. Il
problema insorge, come riferito nell’ordinanza in epigrafe,
per la commisurazione della volumetria assentibile in base
alla densità fondiaria.
84. Quest’ultima è riferita alla singola area e definisce il
volume massimo consentito sulla stessa, l’indice della quale
(c.d. indice di fabbricabilità) va applicato sull’effettiva
superficie suscettibile di edificazione.
85. Per eseguire tale operazione l’interprete non può certo
attestarsi sugli elementi originari di formazione
dell’edificio e sulla situazione catastale del 1858: questi
ultimi sono soggetti a troppe variabili, prima tra tutte
quella temporale, in esito alla quale lo stato dei luoghi
attuale, ancorché apparentemente simile a quello distinto
nelle registrazioni del 1858, potrebbe rivelarsi discontinuo
e sottoposto a un diverso regime.
86. Le risultanze catastali comparate a distanza di circa
centocinquanta anni servono, in definitiva, a chiarire due
dati, nessuno dei quali peraltro, si rivela decisivo: la
legittima carenza di un provvedimento autorizzatorio o
comunque abilitativo della costruzione e, parimenti, la
costante insistenza e individuazione, nel lungo lasso di
tempo, del fabbricato sul medesimo mappale.
87. Questi elementi riguardano una situazione antecedente
l’individuazione dei limiti inderogabili di densità
edilizia come introdotti nell’ordinamento dal d.m. 02.04.1968, n. 1444 in attuazione dei precetti recati
dall’articolo 17 della legge 06.08.1967, n. 765.
88. In via di larga massima si osserva, relativamente
all’inesistenza (e all’impossibilità di esistenza ratione
temporis) di un atto che determini l’asservimento
pertinenziale, come la situazione originaria possa trovare
smentita in atti successivamente adottati nel lungo arco
temporale limitato, ai fini della disamina, all’entrata in
vigore del citato decreto ministeriale 02.04.1968, n.
1444 o alla prima disciplina urbanistica introdotta nel
Comune (generalmente attraverso un programma di
fabbricazione).
89. In questa ipotesi e rispetto al periodo antecedente le
date sopra indicate, possono in astratto comprendersi, oltre
le citate determinazioni pianificatorie del Comune, atti e
negozi di privati, non necessariamente preordinati
all’asservimento in senso tecnico dell’area o di una parte
di essa.
90. Potrebbero assumere rilievo, in questo senso, atti come
la destinazione a pertinenza ex art. 817 c.c., la
costituzione di servitù prediale, prevista dagli articoli
1027 e seguenti del codice civile nonché tutti gli atti che
implichino un’incidenza sull’immobile, mentre debbono
considerarsi sempre irrilevanti, a questi fini, le vicende
civilistiche inerenti la titolarità del bene (tra le tante:
C.d.S., V, 02.09.2005, n. 4442).
91. Tutte le volte che l’area sia interessata da atti di
tale natura, potrebbero determinarsi effetti sulla concreta
edificabilità: una parte del terreno potrebbe perdere, in
ragione del vincolo ad essa imposto anche iure privatorum,
l’idoneità ad essere astrattamente utilizzabile per una
costruzione e, conseguentemente, a formare oggetto di
eventuali contratti atipici ad effetti obbligatori con i
quali le parti dispongono della volumetria di loro immobili
(C.d.S., V, 28.06.2000, n. 3637).
92. Tanto si afferma in ragione del principio di immediata
evidenza logica secondo il quale la determinazione della
volumetria consentita in un’area deve pur sempre tener conto
del dato reale, di come, cioè, gli immobili si trovano e
delle relazioni che intrattengono con l’ambiente circostante
in virtù del complesso di effetti riconducibili ad atti di
soggetti pubblici e privati nonché a fatti della più varia
natura, ma idonei, in ogni caso, ad incidere
sull’edificabilità.
93. Rispetto a tali dati, ove se ne ammetta la rilevanza in
ordine quanto meno al singolo intervento edilizio, gli
elementi indicati nel quesito in esame costituiscono un prius nel quale non si esaurisce certo la ricerca
dell’interprete.
94. Tali vicende, ove non si risolvano in una modificazione
profonda e irreversibile del bene e della sua anche parziale
vocazione edificatoria, debbono essere acquisite in atti
dell’Autorità comunale nel quadro delle regolazioni e
qualificazioni scaturenti dalla pianificazione urbanistica
adottata dalla singola Amministrazione.
95. Quest’ultima può scegliere, in via generale, tra
l’individuazione di criteri idonei a configurare un
complesso di precetti recanti fattispecie analoghe o
comunque equiparabili all’asservimento pertinenziale perché
verificatesi prima dell’entrata in vigore del decreto 02.04.1968, n. 1444 o dello strumento urbanistico adottato
e una carenza di
regolazione che sposta il problema al momento del rilascio
del singolo permesso di costruire così da imporre, ove
occorra, una disamina della situazione di fatto e di diritto
creatasi nel fondo sul quale è previsto l’intervento
edilizio.
96. L’Amministrazione appellante ha optato per la prima
ipotesi, introducendo cos ì nelle norme tecniche di
attuazione al piano regolatore generale del 1996, un regime
integrativo rispetto ai casi di asservimento derivanti
dall’applicazione della normativa sugli inderogabili limiti
alla densità edilizia.
97. L’articolo 11 n.t.a. del Comune di Varenna, prescrive,
infatti, che “per gli edifici esistenti e realizzati prima
dell’adozione del programma di fabbricazione del 1968,
l’area di pertinenza è quella che risulta indicata negli
elaborati allegati alla prativa edilizia rilasciata al
proprietario, indipendentemente dai successivi frazionamenti
o trasferimenti. L’area acquisita o frazionata dopo la data
di adozione del Piano di fabbricazione ed edificata è quella
risultante dagli atti asservimento stipulati e trascritti a
favore del Comune di Varenna…”.
98. Il successivo articolo 13, lettera c), delle su indicate n.t.a. ha cura di specificare, nella definizione della
densità di fabbricabilità fondiaria che “sono esclusi i
lotti già saturi ed asserviti ad edifici esistenti”.
99. Le disposizioni su riportate inducono a considerare
superata la problematica sollevata con il primo quesito
dell’ordinanza di rimessione e a non condividere, quanto
meno nella loro assolutezza, le osservazioni del primo
Giudice.
100. Secondo quest’ultimo, infatti, le disposizioni appena
trascritte “valgono ad agevolare l’identificazione delle
aree di pertinenza per le costruzioni realizzate in un
regime di licenza (o concessione, o permesso) e in un
sistema privo al riguardo di idonee forme di pubblicità…ma
non autorizzano a considerare tamquam non essent,
scomputandole dal calcolo volumetrico, costruzioni risalenti
realizzate in epoche in cui non vigeva l’obbligo di dotarsi
di licenza edilizia né
esisteva una disciplina ad hoc sull’asservimento e la
relativa prova.”
101. L’affermazione è senz’altro esatta se riferita al
computo della densità territoriale, ma non può essere
riprodotta in modo automatico per il metodo di calcolo della
densità fondiaria.
102. Se si condivide l’assunto, fatto proprio dal Tar,
secondo il quale le su indicate norme di attuazione hanno un
preciso ufficio identificativo delle aree di pertinenza per
le costruzioni, non può affermarsi poi che gli edifici
risalenti debbono essere comunque computati nella volumetria
assentibile per il solo fatto che, per la loro erezione, non
esisteva l’obbligo di dotarsi di licenza edilizia o di un
provvedimento abilitativo di qualsivoglia natura.
103. L’ufficio identificativo, nel caso di specie, è
affidato a precise proposizioni giuridiche, che annettono
valore decisivo non tanto all’epoca della costruzione (e
alla carenza di titoli abilitativi), quanto piuttosto alle
qualificazioni e alle determinazioni effettuate dagli stessi
privati purché emergenti e riscontrabili anche
implicitamente in atti rivolti alla pubblica autorità e
relativi all’attività edilizia.
104. Ciò è, d’altro canto, precisa conseguenza della nozione
di asservimento inteso come fattispecie negoziale atipica ad
effetti obbligatori in base ai quali un’area viene destinata
a servire al computo dell’edificabilità di altro fondo.
105. L’asservimento realizza, in definitiva, una specie
particolare di relazione pertinenziale, nella quale viene
posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità
edificatoria di un altro.
106. Se alla base del peculiare istituto v’è una
destinazione pertinenziale, allora la logica (intesa come
espressione del principio di ragionevolezza) vuole che
possano essere accostate, equiparate o non diversamente
regolate altre fattispecie di vincolo ex art. 817 c.c., in
esito alle quali si realizzi una vicenda non dissimile
quanto ad effetti.
106. Sebbene la tecnica dell’asservimento abbia trovato la
propria peculiare ragion d’essere e si sia sviluppata dopo
l’introduzione di limiti inderogabili di densità edilizia, è
tuttavia incontestabile che relazioni pertinenziali
rilevanti possono essersi determinate anche prima
dell’entrata in vigore dell’articolo 17 della legge n. 765
del 1967 in ragione della obiettiva destinazione e
configurazione dei fondi effettuata da chi ne aveva titolo e
disponibilità.
107. L’ipotesi affermata ma non sufficientemente dimostrata
nella sentenza impugnata, secondo la quale l’immobile sul
mappale 655 ricadeva nel compendio unitario di villa Dajelli,
è sicuramente un indizio in questo senso: ciò
che impedisce la condivisione dell’assunto è la difficoltà
di attribuire un senso univoco a una complessa
documentazione, rispetto alla quale possono ben considerarsi
ostativi (o almeno bisognosi di ulteriori accertamenti
istruttori) gli argomenti dedotti nella perizia asseverata
offerta in comunicazione.
108. Rispetto a situazioni nelle quali l’obiettiva
incertezza nel valutare lo stato dei luoghi può assumere un
primario ed assorbente rilievo e costituire finanche causa
di patenti illegittimità, il Comune di Varenna ha fatto una
scelta per dir così prudenziale: ha cioè stabilito di
affidare, per il periodo antecedente l’adozione del
programma di fabbricazione del 1968, la ricognizione
dell’asservimento pertinenziale agli atti provenienti dagli
stessi privati in sede di richieste di licenze o di
presentazione in genere di pratiche edilizie.
109. Le affermazioni del Tribunale amministrativo regionale
vanno perciò adeguate non già ad una astratta
riconducibilità del fabbricato in contestazione alla
primitiva (se provata) inerenza di tutti gli immobili ad una
villa unitaria, peraltro appartenente ad altri soggetti, ma
alla reale vicenda contenziosa, nella quale, come può
anticiparsi, una licenza edilizia è stata richiesta e
ottenuta dal Professor Va. prima dell’adozione del citato
programma di fabbricazione del 1968.
110. Va ancora
sottolineato come le succitate norme tecniche, statuendo
all’articolo 13, il principio di carattere generale secondo
il quale sono esclusi dal computo di edificabilità i lotti
già saturi ed asserviti a fabbricati esistenti, abbiano
sostanzialmente traguardato gli aspetti relativi al regime
edilizio vigente al momento della costruzione, tenendo ben
ferma la prioritaria esigenza di valutare in concreto lo
stato dei luoghi.
111. La decisione si sposta, pertanto, alla ricerca in fatto
se, in quel contesto, potessero trovare applicazione, in
ragione degli atti e delle risultanze processuali, le norme
tecniche citate. Fatto che, quindi, assume valenza centrale
ai fini della presente decisione.
112. Ora è agli atti del processo il progetto allegato alla
domanda di licenza edilizia presentata al Comune di Varenna
il 23.02.1963 dal professor Va. per lavori da
effettuare nella costruzione insistente sul mappale 655.
113. Dall’esame degli allegati alla domanda emerge che in
uno dei lati rispetto ai quali si aprivano ben due porte
finestre, l’area contigua era destinato a giardino (in calce
al relativo disegno prospettico è scritto infatti: verso
giardino).
114. La lettura degli schemi progettuali consente di
collocare la casa rispetto alla strada e alla parte
collinare (verso monte) e di individuare così con certezza
nell’area del contiguo mappale 656 quella destinata a
giardino.
115. La licenza edilizia come rilasciata dal Sindaco di
Varenna nel marzo del medesimo anno 1963 ha perciò
fatta propria la relativa destinazione ai sensi e per gli
effetti indicati dal citato articolo 11 n.t.a.
116. L’esatta individuazione dell’area come pertinenza della
casa è confermata, per quanto occorrer possa, da due
successive licenze edilizie richieste dal professor Va. e
rilasciate in vigenza del programma di fabbricazione.
117. Nella prima (pratica n. 4), assentita dal Sindaco di
Varenna pro-tempore architetto Giorgio Monico il 31.01.1975, il proprietario richiese ed ottenne di realizzare una
pensilina in legno con copertura in coppi sulla porta
d’ingresso: tale risulta essere, in base a un preciso
riscontro grafico nell’estratto di mappa posto a fianco del
disegno principale del progetto, quella che porta al
predetto giardino.
118. La seconda licenza (pratica n. 35/1978) fu richiesta
nel 1978 dal professor Va. e dalla di lui consorte
(probabilmente a seguito dell’entrata in vigore del regime
di comunione dei beni introdotto nell’ordinamento italiano
nella riforma degli articoli 159 e seguenti del codice
civile come introdotta con legge 19.05.1975, n. 151).
119. Il provvedimento autorizzava la realizzazione di un
locale di lavanderia e stireria in un crotto (così definito
negli atti progettuali e di assenso comunale, nella
accezione lombarda, e settentrionale in genere, di grotta)
posto sul mappale n. 656 e rispetto al quale, sempre sulla
base delle documentazioni progettuali, l ’ingresso era
consentito esclusivamente dal giardino.
120. Gli elementi documentali appena commentati nella loro
verificata oggettività vanno interpretati alla luce delle
citate norme tecniche di attuazione.
121. Ora è evidente come proprio la coerente applicazione
del precetto recato nel sopra trascritto articolo 11 n.t.a.
del Comune di Varenna imponga di ravvisare l ’esistenza di
un vincolo pertinenziale tra la costruzione e la circostante
area a giardino insistente sul mappale 656.
122. Il vincolo in questione è stato costituito dal
professor Va. in epoca antecedente il programma edilizio
del 1968, essendo quanto meno operante dal febbraio 1963
(epoca nella quale fu presentata la richiesta di licenza
edilizia) ed è stato pedissequamente indicato negli
elaborati allegati alla pratica edilizia.
123. Debbono conseguentemente ritenersi pienamente operanti
gli estremi richiesti dal più volte invocato articolo 11 n.t.a. per assumere la sussistenza del rapporto
pertinenziale tra casa e giardino e per concludere che la
volumetria della prima, insistente sul mappale 655, deve
essere detratta da quella complessivamente assentibile per i
lotti già di proprietà Va..
124. Le considerazioni che precedono impongono la conferma,
seppure con diversa motivazione, della sentenza impugnata
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 23.09.2009 n. 3). |
EDILIZIA
PRIVATA: L'asservimento
della volumetria realizzabile su un lotto a favore di un
altro, per consentire in quest’ultimo una maggiore
edificabilità, è consentito solo per lotti aventi la
medesima destinazione urbanistica.
E’ pacifico in giurisprudenza che vi è asservimento
allorquando un’area non sia semplicemente, in via di fatto,
a servizio di un edificio ma abbia giuridicamente ricevuto
tale destinazione attraverso uno strumento urbanistico
ovvero le norme del regolamento edilizio ovvero un impegno
privato: per effetto di ciò, il fondo asservito resta
inedificabile (C.S., V, n. 1278/2003).
Inoltre, l’asservimento della volumetria realizzabile su un
lotto a favore di un altro per consentire in quest’ultimo
una maggiore edificabilità è consentito solo per lotti
aventi la medesima destinazione urbanistica, in quanto
l’opposta soluzione comporterebbe una evidente alterazione
delle norme che mirano a realizzare determinate
caratteristiche tipologiche della zona (C.S. V Sez., n.
1172/2003, n. 530/1991) (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Concessione - Diniego -
Perfezionamento - Comunicazione del parere negativo della
Commissione edilizia - Conseguenze.
2. Asservimento di un fondo - Condizioni.
1. La comunicazione del parere sfavorevole della Commissione
edilizia costituisce rigetto della relativa domanda ed è
pertanto immediatamente impugnabile e ciò perché, se è vero
che la comunicazione del parere favorevole della Commissione
Edilizia non ha valore di rilascio della concessione, non
altrettanto può dirsi della comunicazione del parere
contrario, che - se effettuata da parte dell'organo
competente a rilasciare il titolo abilitativo richiesto -
costituisce manifestazione della volontà di aderire alla
decisione negativa della Commissione e, quindi, avendo tutti
gli elementi necessari del diniego, costituisce atto
immediatamente lesivo ed autonomamente impugnabile (Cons.
Stato, sez. V, 23.01.2007; TAR Campania Napoli, sez. IV,
20.11.2006 n. 9983).
2. Vi è asservimento allorquando un'area non sia
semplicemente, in via di fatto a servizio di un edificio, ma
abbia giuridicamente ricevuto tale destinazione attraverso
uno strumento urbanistico ovvero le norme del regolamento
edilizio ovvero un impegno privato: per effetto di ciò, il
fondo asservito resta inedificabile (Cons. Stato, sez. V, n.
1278/2003) (massima
tratta da
http://mondolegale.it -
TAR Campania-Salerno, Sez.
II,
sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il comune deve verificare, in vista del rilascio
del titolo abilitativo edilizio, se la disponibilità della
volumetria necessaria all’esecuzione delle opere previste in
progetto sussista in capo al soggetto istante ovvero in capo
a soggetti terzi.
In caso contrario, si determinerebbe la seguente alternativa
di effetti abnormi, in assenza di controlli all’uopo posti
in essere:
a) i limiti di carico urbanistico fissati dagli appositi strumenti
finirebbero per essere superati e vanificati dal
concomitante utilizzo di identiche volumetrie edificabili da
parte di proprietari di suoli ricadenti in medesimi
comparti;
b) i soggetti regolarmente ed effettivamente titolari di volumetrie
realizzabili, ove prevenuti da iniziative edificatorie
autorizzate di altri soggetti proprietari di suoli ubicati
entro il medesimo comparto, finirebbero per essere
illegittimamente privati delle predette volumetrie, pur
senza averne convenuto alcuna cessione.
---------------
Il diritto di edificare inerisce
alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e
dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a
regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici
di fabbricabilità, con la conseguenza che esso è conformato
anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad
esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla
legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione impegna la superficie che, in base
allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è
necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Sicché, “un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi
è suscettibile di ulteriore edificazione, solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente, al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie libera più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria, di cui si chiede la
realizzazione”.
---------------
Per verificare la effettiva
potenzialità edificatoria di un originario lotto urbanistico
poi frazionato, occorre sempre partire dalla considerazione
che, in virtù del carattere ‘unitario’ dell'originario lotto
asservito a precedenti costruzioni, non possono non
computarsi le volumetrie realizzate su di esso, considerato
nel suo complesso e unico ad aver acquisito e mantenuto una
‘propria’ potenzialità edificatoria; con la conseguenza che
la verifica dell'edificabilità della parte del lotto rimasta
inedificata e la quantificazione della volumetria su di essa
realizzabile non può che derivare, per sottrazione, dalla
predetta potenzialità, diminuita della volumetria dei
fabbricati già realizzati sull'unica, complessiva area.
Pertanto, allorquando un’area edificabile venga frazionata
in più parti tra vari proprietari –così come anche
allorquando la volumetria disponibile sia ripartita in base
a quote consortili di un comparto edificatorio ex art. 23
della l. n. 1150/1942–, la cubatura utilizzabile ai sensi
della normativa urbanistica nell’intera area permane
invariata; con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in
cui sia stata già realizzata sul fondo originario –o sul
comparto– una costruzione, i proprietari dei vari terreni in
cui detto fondo è stato frazionato (o che compongono il
comparto) hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota.
---------------
Il trasferimento di volumetria da un fondo all'altro e la
cessione di cubatura da parte del proprietario di un fondo
confinante, consistono in un contratto atipico ad effetti
obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato
al trasferimento di volumetria, che si perfeziona con il
provvedimento amministrativo.
Presupposto indefettibile della fattispecie è l'adesione del
cedente, che può essere manifestata o sottoscrivendo
l'istanza o il progetto del cessionario, o rinunciando alla
propria cubatura a favore di questi, o notificando al comune
tale sua volontà, mentre il vincolo di asservimento a carico
ed a favore del fondo sorge, sia per le parti sia per i
terzi, solo per effetto del rilascio della concessione
edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario.
---------------
L'amministrazione comunale, fin dall'istruttoria sul
rilascio del permesso di costruire, è chiamata a verificare
che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il
quale è richiesto il provvedimento autorizzativo –anche se
questo è sempre rilasciato facendo salvi i diritti dei
terzi– e se il titolo non viene provato è legittimo che il
rilascio della concessione venga negato. Tale principio è
desumibile dall'art. 11, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 in base
al quale “il permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”.
Per modo che la verifica del possesso del titolo a costruire
costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce
all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del
progetto.
---------------
4. Venendo ora al terzo motivo di ricorso, con esso
la Artistica Immobiliare lamenta l’eccesso di potere, per
avere il Comune di Benevento svolto indebitamente indagini
estese “alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi
limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità allegato dal ricorrente medesimo” e per
essersi altrettanto indebitamente arrogata “il compito di
dirimere controversie mai sorte”.
Detto altrimenti, secondo la ricorrente, l’amministrazione
resistente non avrebbe potuto spingersi a verificare, in
vista del rilascio del titolo abilitativo edilizio, se la
disponibilità della volumetria necessaria all’esecuzione
delle opere previste in progetto sussistesse in capo al
soggetto istante ovvero in capo a soggetti terzi (nella
specie, rispettivamente, Ar.Im. e Al.).
Il motivo è infondato, tenuto conto che l’amministrazione è
certamente chiamata a verificare la volumetria edificabile
relativa all’immobile sul quale si richiede il permesso di
costruire.
In caso contrario, si determinerebbe la seguente alternativa
di effetti abnormi, in assenza di controlli all’uopo posti
in essere:
a) i limiti di carico urbanistico fissati dagli appositi strumenti
finirebbero per essere superati e vanificati dal
concomitante utilizzo di identiche volumetrie edificabili da
parte di proprietari di suoli ricadenti in medesimi
comparti;
b) i soggetti regolarmente ed effettivamente titolari di volumetrie
realizzabili, ove prevenuti da iniziative edificatorie
autorizzate di altri soggetti proprietari di suoli ubicati
entro il medesimo comparto, finirebbero per essere
illegittimamente privati delle predette volumetrie, pur
senza averne convenuto alcuna cessione.
Ed invero, nella specie, non si è trattato di vagliare
questioni di distribuzione delle cubature fra proprietari
privati, bensì –stando proprio alla terminologia della
ricorrente– di “verificare soltanto l’esistenza di un
titolo sostanziale idoneo a costituire in capo all’istante
il diritto di sfruttare la potenzialità edificatoria del
bene”.
Al riguardo, giova rammentare, in primis, che il
diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei
limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici,
tra i quali quelli diretti a regolare la densità di
edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità, con
la conseguenza che esso è conformato anche da tali indici,
di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura
maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione
impegna la superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata; per modo che “un'area edificatoria
già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore
edificazione, solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente, al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie libera più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria,
di cui si chiede la realizzazione” (Cons. Stato, sez. V,
12.07.2004, n. 5039; 12.07.2005, n. 3777; 23.08.2005, n.
4385; 27.06.2006, n. 4117; sez. IV, 29.01.2008, n. 255;
12.05.2008, n. 2177; 26.09.2008, n. 4647; TAR Campania,
Napoli, sez. IV, 08.03.2006, n. 2738; TAR Lazio, Roma, sez.
II, 15.11.2006, n. 12137; TAR Sicilia, Catania, sez. I,
01.04.2008, n. 547).
Ebbene, nel caso di specie, come evidenziato retro, sub n.
3.2, la Ar.Im. e i precedenti acquirenti della proprietà ex
Me., al momento del rilascio dei permessi di costruire
annullati in via di autotutela, avevano già utilizzato una
volumetria di mc. 37.456 per la realizzazione di 14 edifici
in linea a destinazione residenziale (rispettivamente, 5
sagome A1 e 9 sagome A2), risultando così residuata alla
complessiva area spettante agli aventi causa della predetta
proprietà ex Me. una cubatura inferiore ai mc. 5.021
necessari per la costruzione del fabbricato de quo ed
a nulla rilevando che questo insistesse su una porzione
(corrispondente alla particella 1139 del foglio catastale
59), autonoma e catastalmente divisa, ottenuta dal
frazionamento di un più ampio lotto originario
(corrispondente alla particella 803 del foglio 59),
ricompreso nel subcomparto 30/A (sul punto, cfr. Cons.
Stato, sez. V, 28.02.2001 n. 1074; 12.07.2005, n. 3777;
27.06.2006, n. 4117; sez. IV, 26.09.2008, n. 4647).
Difatti, per verificare la effettiva potenzialità
edificatoria di un originario lotto urbanistico poi
frazionato, occorre sempre partire dalla considerazione che,
in virtù del carattere ‘unitario’ dell'originario
lotto asservito a precedenti costruzioni, non possono non
computarsi le volumetrie realizzate su di esso, considerato
nel suo complesso e unico ad aver acquisito e mantenuto una
‘propria’ potenzialità edificatoria; con la
conseguenza che la verifica dell'edificabilità della parte
del lotto rimasta inedificata e la quantificazione della
volumetria su di essa realizzabile non può che derivare, per
sottrazione, dalla predetta potenzialità, diminuita della
volumetria dei fabbricati già realizzati sull'unica,
complessiva area (Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008, n.
3766).
Pertanto, allorquando un’area edificabile venga frazionata
in più parti tra vari proprietari –così come anche
allorquando la volumetria disponibile sia ripartita in base
a quote consortili di un comparto edificatorio ex art. 23
della l. n. 1150/1942–, la cubatura utilizzabile ai sensi
della normativa urbanistica nell’intera area permane
invariata; con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in
cui sia stata già realizzata sul fondo originario –o sul
comparto– una costruzione, i proprietari dei vari terreni in
cui detto fondo è stato frazionato (o che compongono il
comparto) hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 29.01.2008, n. 255).
In base a tali premesse, occorre inferire, con riferimento
al caso di specie, da un lato, che, al momento del rilascio
dei permessi di costruire annullati in via di autotutela, la
potenzialità edificatoria del subcomparto 30/A avrebbe
dovuto calcolarsi tenuto conto delle volumetrie già
realizzate e dall’altro, che gli acquirenti della proprietà
ex Me. (tra i quali, da ultima, la ricorrente) avrebbero
potuto utilizzare la cubatura residua soltanto in
proporzione alla quota spettante alla predetta proprietà,
corrispondente alla particella 1139, così come risultante
dal frazionamento dell’originaria particella 803 del foglio
catastale 59.
In un simile contesto, il Comune di Benevento ha, pertanto,
legittimamente esercitato, in sede di autotutela, i poteri
istruttori di verifica e controllo dell'assentibilità del
progetto con riguardo l'edificazione del lotto della
ricorrente, in quanto questa risulta essersi attribuita
unilateralmente e senza il consenso degli altri proprietari
(titolari della quota ex Tr.–Uc.) anche la volumetria che,
in base all'indice di edificabilità, sarebbe spettata a
questi ultimi.
Ed invero, il trasferimento di volumetria da un fondo
all'altro e la cessione di cubatura da parte del
proprietario di un fondo confinante, consistono in un
contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di
atto preparatorio, finalizzato al trasferimento di
volumetria, che si perfeziona con il provvedimento
amministrativo.
Presupposto indefettibile della fattispecie è l'adesione del
cedente, che può essere manifestata o sottoscrivendo
l'istanza o il progetto del cessionario, o rinunciando alla
propria cubatura a favore di questi, o notificando al comune
tale sua volontà, mentre il vincolo di asservimento a carico
ed a favore del fondo sorge, sia per le parti sia per i
terzi, solo per effetto del rilascio della concessione
edilizia, che legittima lo ius aedificandi del
cessionario (cfr. Cass., 29.06.1981, n. 4245; 22.02.1996, n.
1352; 12.09.1998, n. 9081; Cons. Stato, sez. V, 04.01.1993,
n. 26; 26.11.1994, n. 1382; 28.06.2000, n. 363).
Pertanto, la ricorrente, in mancanza del consenso degli
altri proprietari, non aveva né titolo né legittimazione per
disporre della volumetria ad essi spettante e tale
circostanza non atteneva –a differenza di quanto dalla
medesima dedotto– ai rapporti privatistici tra i vari
proprietari, bensì alla verifica del possesso dei titoli di
legittimazione per il rilascio del titolo abilitativo
edilizio ed all'accertamento, da parte dell’amministrazione
comunale, del rispetto delle prescrizioni e dei vincoli del
piano regolatore connessi agli indici di edificabilità
espressi dal rapporto area–volume (TAR Lombardia, Brescia,
10.01.2006, n. 24)
Gli accertamenti occasionati dal contatto tra disciplina
sostantiva e normativa urbanistico-edilizia, non preludono,
infatti, alla soluzione di conflitti intersoggettivi, ma
ineriscono alla fase istruttoria del procedimento, volta al
riscontro dell’esistenza di un diritto, reale o anche solo
obbligatorio, che rende ammissibile la richiesta. La
possibile incertezza, emergente ab origine o in forza
di successive acquisizioni procedimentali, impone quindi
ogni utile approfondimento istruttorio mirante alla verifica
della legittimazione (TAR Campania, Napoli, sez. VIII,
30.07.2008, n. 9586).
Del resto, l'amministrazione comunale, fin dall'istruttoria
sul rilascio del permesso di costruire, è chiamata a
verificare che esista il titolo per intervenire
sull'immobile per il quale è richiesto il provvedimento
autorizzativo –anche se questo è sempre rilasciato facendo
salvi i diritti dei terzi– e se il titolo non viene provato
è legittimo che il rilascio della concessione venga negato.
Tale principio è desumibile dall'art. 11, comma 1, d.p.r. n.
380/2001 in base al quale “il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo”. Per modo che la verifica del
possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto,
la cui mancanza impedisce all'amministrazione di procedere
oltre nell'esame del progetto (Cons. Stato, sez. V,
07.09.2007, n. 4703) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 11.06.2009 n. 3203 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Un'area edificatoria già utilizzata ai
fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo
quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire.
In materia deve applicarsi il
principio secondo cui un'area edificatoria già utilizzata a
fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo
quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione (C.S., V, n. 5039/2004). Insomma, ai fini
della quantificazione della volumetria residua disponibile
di un lotto edificato occorre considerare tutte le
costruzioni che insistono sull'area, quelle previste con
progetti già assentiti dal Comune, come pure gli atti di
asservimento di volumetria in favore di altro fondo (Tar
Cagliari, II, n. 996/2006); non può quindi essere
considerata libera un'area già parzialmente edificata,
sicché nel calcolo della volumetria realizzabile, ai fini
del rilascio di un permesso relativo ad una seconda
costruzione, nella perdurante esistenza del primo edificio,
dovrà tenersi conto di quanto già realizzato (Tar Pescara,
n. 88/2006).
Al riguardo, si deve ricordare che, per principio pacifico,
ai fini del calcolo dei volumi e delle superfici
utilizzabili a scopi edificatori, non si deve tener conto
soltanto della situazione attuale delle aree frazionate, con
una verifica formalistica per ciascuna di esse del possesso
di tutti i necessari requisiti, secondo la normativa
urbanistica vigente (lotto minimo, superficie utilizzabile
etc.), ma occorre considerare anche la situazione
antecedente al frazionamento, riferita all'intero terreno
con gli eventuali precedenti sfruttamenti edilizi.
Per cui, nell'ipotesi di precedente realizzazione di un
manufatto edilizio, l'intera estensione interessata deve
essere considerata già utilizzata ai fini edificatori, con
l'effetto che l'area al manufatto asservita o,in altri
termini,che ha espresso la volumetria già realizzata non
esprime volumetria rapportata alla sua interezza, pur se sia
oggetto di un frazionamento o di alienazione separata
dall'area su cui insiste il manufatto (Consiglio di Stato,
sez. V, n. 749 del 10.02.2000; Consiglio di Stato, sez. V,
n. 749 del 2000 cit.)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 21.05.2009 n. 1221 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Cessione
di cubatura.
L’istituto del
c.d. “asservimento dl terreno per scopi edificatori” (o
cessione di cubatura) —al quale, secondo pacifica
interpretazione giurisprudenziale, può farsi ricorso pure in
mancanza di un riconoscimento espresso da parte di fonti
normative— consiste in un accordo tra proprietari di aree
contigue, aventi la stessa destinazione urbanistica, in
forza del quale il proprietario di un’area “cede” una quota
di cubatura edificabile sul suo fondo per permettere all’
altro di disporre della minima estensione di terreno
richiesta per l’edificazione, ovvero di realizzare una
volumetria maggiore di quella consentita dalla superficie
del fondo di sua proprietà.
Gli effetti che ne derivano hanno carattere definitivo ed
irrevocabile, integrano una qualità oggettiva dei terreni e
producono una minorazione permanente della loro
utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario
(Cote di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.05.2009 n. 21177 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Qualora un lotto
urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più
interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie
coperta residua) va calcolata previo decurtamento della
volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali
successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali,
onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con
l’iper saturazione di alcune superfici al fine di creare
artificiosamente disponibilità nel residuo.
---------------
Il ricorso merita accoglimento per la fondatezza della prima
censura che assorbe le rimanenti.
Con il primo motivo l’istante sostiene che con la
concessione impugnata sarebbe stato superato l’indice
massimo di copertura di 0,5 tra superficie coperta e
superficie fondiaria previsto dall’art. 12, sub 6, delle
norme di attuazione al Piano Particolareggiato per le zone
B4 e B5, approvato con deliberazione consiliare n. 108 del
12.09.1995. Ciò in quanto la superficie coperta complessiva
andrebbe calcolata aggiungendo a quella in precedenza
utilizzata quella delle costruzioni assentite con
l’impugnata concessione n. 60, in conseguenza della quale il
rapporto massimo di copertura supererebbe il prescritto
indice di 0,5.
La concessione edilizia n. 60 attiene al lotto n. 7, con
superficie di mq. 1578, dell’isolato 22A del Piano
Particolareggiato. Sul lotto risultano edificati due corpi
di fabbricato (A e B), assentiti con concessione edilizia n.79/89,
occupanti complessivamente una superficie coperta di mq.
787, 44.
In forza dell’indice di copertura previsto per la zona dal
Piano Particolareggiato (0,5 mq./mq.), nel lotto, da
considerare urbanisticamente unitario, é possibile
realizzare una copertura di 789 mq.. Poiché la superficie
coperta utilizzata era pari a mq. 787,44 già realizzati,
l’intervento di cui alla concessione edilizia in esame
porterebbe al superamento di detto indice di copertura.
Infatti, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia
stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la
volumetria residua (o la superficie coperta residua) va
calcolata previo decurtamento della volumetria realizzata,
con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti
catastali e/o alienazioni parziali, onde evitare che il
computo dell’indice venga alterato con l’iper saturazione di
alcune superfici al fine di creare artificiosamente
disponibilità nel residuo (cfr in tal senso, su un caso
pressoché identico, la sentenza 1827/2008 del TAR Sardegna,
Sez. 2ª) (Consiglio di Stato, Sez. III,
parere 28.04.2009 n. 2810 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
proprietario di un terreno edificabile ha la legittima
aspettativa di sfruttare interamente la capacità
edificatoria assegnatagli dal p.r.g..
A questa legittima aspettativa fa fronte il dovere del
Comune di rilasciare il titolo abilitativo richiesto
dall’interessato, salvo che non vi siano legittime ragioni
ostative, quali ad esempio la non conformità del progetto
alle previsioni del piano regolatore. Ma se il progetto
prevede una determinata cubatura, e questa corrisponde a
quella prevista dal p.r.g., il titolo abilitativo non può
essere rifiutato adducendo l’opportunità di mantenere
ridotta la densità edilizia della zona.
Le valutazioni discrezionali in merito alla densità edilizia
debbono essere fatte, e sono state fatte, in sede di
formazione del p.r.g.. In sede di esame dei singoli progetti
edilizi l’autorità comunale non può sostituire la propria
discrezionalità a quella espressa nel piano regolatore.
Semmai, qualora ne ravvisi l’opportunità, può avviare una
procedura di variante; in effetti ciò è avvenuto anche in
questo caso, ma la variante non è mai stata perfezionata e,
come si è visto, sono scaduti i termini delle misure di
salvaguardia.
Il fatto che il proprietario abbia il diritto (alle
condizioni di legge e di p.r.g.) di sfruttare interamente la
cubatura edificabile assegnata al fondo non esclude,
ovviamente, che egli possa liberamente decidere di
presentare un progetto che prevede una cubatura più ridotta.
Se lo fa, tuttavia, ciò non significa che egli abbia
rinunciato definitivamente a sfruttare l’intera capacità
edificatoria.
E’ perfettamente ammissibile che nelle more del rilascio del
titolo abilitativo il richiedente ritiri il progetto e ne
presenti un altro che prevede una cubatura maggiore. In un
caso del genere nessuno vorrà sostenere che l’aver
presentato il primo progetto implichi la rinuncia alla
maggior cubatura.
Ma pure quando il titolo abilitativo è stato rilasciato e
perfezionato con l’adempimento degli oneri dovuti dal
richiedente, nulla vieta che questi proponga una variante in
corso d’opera. In tale evenienza il Comune dovrà verificare
se il nuovo progetto rientri nei parametri stabiliti dal
p.r.g. e non potrà opporsi con l’argomento (infondato) che
avendo accettato il primo titolo abilitativo l’interessato
si sia preclusa la possibilità di una variante.
Conviene sviluppare e approfondire le considerazioni di
massima sopra svolte.
Il proprietario di un terreno edificabile ha la legittima
aspettativa di sfruttare interamente la capacità
edificatoria assegnatagli dal p.r.g..
A questa legittima aspettativa fa fronte il dovere del
Comune di rilasciare il titolo abilitativo richiesto
dall’interessato, salvo che non vi siano legittime ragioni
ostative, quali ad esempio la non conformità del progetto
alle previsioni del piano regolatore. Ma se il progetto
prevede una determinata cubatura, e questa corrisponde a
quella prevista dal p.r.g., il titolo abilitativo non può
essere rifiutato adducendo l’opportunità di mantenere
ridotta la densità edilizia della zona.
Le valutazioni discrezionali in merito alla densità edilizia
debbono essere fatte, e sono state fatte, in sede di
formazione del p.r.g.. In sede di esame dei singoli progetti
edilizi l’autorità comunale non può sostituire la propria
discrezionalità a quella espressa nel piano regolatore.
Semmai, qualora ne ravvisi l’opportunità, può avviare una
procedura di variante; in effetti ciò è avvenuto anche in
questo caso, ma la variante non è mai stata perfezionata e,
come si è visto, sono scaduti i termini delle misure di
salvaguardia.
Il fatto che il proprietario abbia il diritto (alle
condizioni di legge e di p.r.g.) di sfruttare interamente la
cubatura edificabile assegnata al fondo non esclude,
ovviamente, che egli possa liberamente decidere di
presentare un progetto che prevede una cubatura più ridotta.
Se lo fa, tuttavia, ciò non significa che egli abbia
rinunciato definitivamente a sfruttare l’intera capacità
edificatoria.
E’ perfettamente ammissibile che nelle more del rilascio del
titolo abilitativo il richiedente ritiri il progetto e ne
presenti un altro che prevede una cubatura maggiore. In un
caso del genere nessuno vorrà sostenere che l’aver
presentato il primo progetto implichi la rinuncia alla
maggior cubatura.
Ma pure quando il titolo abilitativo è stato rilasciato e
perfezionato con l’adempimento degli oneri dovuti dal
richiedente, nulla vieta che questi proponga una variante in
corso d’opera. In tale evenienza il Comune dovrà verificare
se il nuovo progetto rientri nei parametri stabiliti dal
p.r.g. e non potrà opporsi con l’argomento (infondato) che
avendo accettato il primo titolo abilitativo l’interessato
si sia preclusa la possibilità di una variante
(TAR Umbria,
sentenza 10.11.2008 n. 715 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di
asservimento volumetrico si possono trarre dalla
giurisprudenza consolidata i seguenti principi:
a) nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di
piano regolatore sono da ricomprendere anche gli edifici
preesistenti, in quanto il p.r.g., nella parte in cui
prevede i limiti entro i quali l’area può essere edificata,
si riferisce non all’edificazione ulteriore rispetto a
quella già esistente al momento della sua approvazione, ma
all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area;
b) le vicende inerenti alla proprietà dei terreni, e in particolare
il frazionamento del fondo da parte dell’originario unico
proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’inedificabilità
delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite
alle costruzioni già realizzate e pertanto restano
inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della
volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già
“consumato” la volumetria disponibile.
In applicazione di questi principi si è statuito che:
- si deve sempre tenere conto dei manufatti preesistenti;
- per calcolare l’entità dell’asservimento e la volumetria residua,
si deve considerare non il regime edilizio più favorevole
esistente all’epoca di edificazione dei manufatti in situ,
ma lo strumento urbanistico vigente alla data del
provvedimento emesso sulla domanda di concessione;
- se un’area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a
vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area
rimane invariata, e quella che residua tenuto conto
dell’originaria costruzione resta di pertinenza dei diversi
proprietari in proporzione della rispettiva quota di
acquisto- salvo ovviamente eventuali cessioni di cubatura-,
a nulla rilevando che l’edificanda costruzione vada ad
insistere su un lotto libero risultante dal frazionamento;
- l’area la cui potenzialità edificatoria sia già saturata da una
precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo
fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di
asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che
individuasse l’area da edificare, in quanto qualsiasi
costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo,
impegna la superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.
---------------
3. Prima di esaminare i motivi dei ricorsi, è opportuno
richiamare la posizione della giurisprudenza sulle questioni
in esame, riportando quanto compiutamente stabilito dalla
sentenza n. 123 del 30.01.2007 di questa Sezione: “in
materia di asservimento volumetrico si possono trarre dalla
giurisprudenza consolidata i seguenti principi:
a) nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di
piano regolatore sono da ricomprendere anche gli edifici
preesistenti (Cons. Stato V 29.11.1994 n. 1414), in quanto
il p.r.g., nella parte in cui prevede i limiti entro i quali
l’area può essere edificata, si riferisce non
all’edificazione ulteriore rispetto a quella già esistente
al momento della sua approvazione, ma all’edificazione
complessivamente realizzabile sull’area (Cons. Stato V
07.11.2002 n. 6128, 26.11.1994 n. 1382);
b) le vicende inerenti alla proprietà dei terreni, e in particolare
il frazionamento del fondo da parte dell’originario unico
proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’inedificabilità
delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite
alle costruzioni già realizzate e pertanto restano
inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della
volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già
“consumato” la volumetria disponibile (Cons. Stato IV
06.09.1999 n. 1402).
In applicazione di questi principi si è statuito che:
- si deve sempre tenere conto dei manufatti preesistenti (Cons.
Stato V n. 6128/2002 cit.);
- per calcolare l’entità dell’asservimento e la volumetria residua,
si deve considerare non il regime edilizio più favorevole
esistente all’epoca di edificazione dei manufatti in situ,
ma lo strumento urbanistico vigente alla data del
provvedimento emesso sulla domanda di concessione (Cons.
Stato V 22.11.2001 n. 5928);
- se un’area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a
vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area
rimane invariata, e quella che residua tenuto conto
dell’originaria costruzione resta di pertinenza dei diversi
proprietari in proporzione della rispettiva quota di
acquisto (CS V 12.07.05 n. 3777)- salvo ovviamente eventuali
cessioni di cubatura (cfr. Cass. II, 12.09.1998 n. 9081,
Cons. Stato V 28.06.2000 n. 3637)-, a nulla rilevando che l’edificanda
costruzione vada ad insistere su un lotto libero risultante
dal frazionamento (Cons. Stato VI 27.06.2006 n. 4117 e
riferimenti);
- l’area la cui potenzialità edificatoria sia già saturata da una
precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo
fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di
asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che
individuasse l’area da edificare (Cons. Stato V 12.07.04 n.
5039), in quanto qualsiasi costruzione, anche se eseguita
senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in
base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è
necessaria per realizzare la volumetria sviluppata (Cons.
Stato V 27.06.2006 n. 4117)” (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 30.10.2008 n. 5223 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Asservimento - Potenzialità
edificatoria - Edifici preesistenti - Si computano.
2. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Vicende
private connesse alla disponibilità di area edificabile -
Irrilevanza.
3. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Regime
edilizio applicabile - Criterio.
4. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Asservimento
de facto - Configurabilità - Ratio.
5. Asservimento - Potenzialità edificatoria - Metodo di
computo.
1.
Nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di
piano regolatore, sono da ricomprendere anche gli edifici
preesistenti in quanto il PRG, nella parte in cui prevede i
limiti entro i quali l'area può essere edificata, si
riferisce non all'edificazione ulteriore rispetto a quella
già esistente al momento della sua approvazione, ma
all'edificazione complessivamente realizzabile sull'area.
2.
Le vicende relative alla proprietà dei terreni, e in
particolare il frazionamento del fondo da parte
dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini
dell'inedificabilità delle aree libere, che devono comunque
intendersi asservite alle costruzioni già realizzate e
pertanto inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti
della volumetria residua) ove le costruzioni esistenti
abbiano già "consumato" la volumetria disponibile (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 1402/1999); pertanto, se un'area
edificabile viene frazionata in più parti, alienate a vari
proprietari, la volumetria disponibile nell'intera area
rimane invariata e quella residua, tenuto conto
dell'originaria costruzione, resta di pertinenza dei diversi
proprietari in proporzione della diversa quota d'acquisto
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3777/2005), -alvo eventuali
cessioni di cubatura (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
3637/2000)-, a nulla rilevando che l'edificanda costruzione
vada ad insistere su un lotto libero risultante dal
frazionamento (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4117/2006).
3.
Per calcolare l'entità dell'asservimento e la volumetria
residua, si deve considerare non il regime edilizio più
favorevole all'epoca dell'edificazione dei manufatti in
situ, ma lo strumento urbanistico vigente alla data del
provvedimento emesso sulla domanda di concessione (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 5928/2001).
4.
L'area la cui potenzialità edificatoria sia già stata
saturata da una precedente costruzione deve ritenersi
asservita per il solo fatto della costruzione, anche in
mancanza di atto di asservimento o di concessione rilasciata
per un progetto che individuasse l'area da edificare (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 5039/2004), in quanto qualsiasi
costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo,
impegna la superficie che, in base allo specifico indice di
edificabilità, è necessaria per realizzare la volumetria
sviluppata (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4117/2006).
5.
La verifica dell'edificabilità di una parte di lotto
inedificato deve derivare per sottrazione della predetta
potenzialità diminuita della volumetria dei fabbricati già
realizzati sull'unica area, oppure di quella condonata
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 30.10.2008 n. 5223 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ove un lotto urbanisticamente unitario sia stato
già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria
residua (o la superficie coperta residua) va calcolata
previo decurtamento della volumetria realizzata, con
irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali
e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo
dell'indice venga alterato con l'iper saturazione di alcune
superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità
nel residuo (TAR
Sardegna, Sez. II, sentenza 24.10.2008 n. 1827). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della quantificazione della volumetria
residua disponibile di un lotto occorre considerare le
costruzioni che insistono sull'area, nonché -comunque- le
loro pertinenze necessarie e le aree di transito, le quali
non possono considerarsi "titolari" di alcuna cubatura
autonoma, ulteriore rispetto a quella già realizzata negli
edifici serviti.
---------------
Il ricorso è infondato.
In ordine alla censura di violazione dell’art. 10-bis della
legge n. 241/1990, avanzata con il I) motivo, il collegio
osserva che l’amministrazione ha trasmesso, in corso
d’istruttoria, alla ricorrente il parere contrario reso
sulla sua istanza dal responsabile del procedimento, così
comunicandole “i motivi che ostano all’accoglimento
dell’istanza”, in corretto adempimento di quanto
prescritto dalla cennata disposizione, di cui si assume
erroneamente la violazione.
Dal provvedimento impugnato risulta –diversamente da quanto
opinato dalla ricorrente con il II) motivo– che il diniego
opposto dall’amministrazione non è basato sulla mancanza di
contiguità tra l’edificio della ricorrente in corso di
realizzazione e la particella della quale è stata acquisita
la volumetria, bensì dalla ritenuta impossibilità di
computare quest’ultima, a causa del fatto che la particella
de qua è di pertinenza di altro edificio.
Il ragionamento seguito dall’amministrazione va condiviso.
Bisogna in proposito sottolineare che la particella della
quale la ricorrente ha acquistato la volumetria è, in
concreto, il cortile sul quale si affaccia l’edificio
dell’ex Istituto Pio X e su di essa insistono gli accessi
all’edificio stesso.
In considerazione di siffatta necessaria pertinenzialità,
non può riconoscersi alla stessa alcuna potenzialità
edificatoria, tanto meno da cedere a terzi vicini, quali che
siano le sue vicende civilistiche o catastali (cfr. C.S., V,
07.11.2002, n. 6128) e senza che abbia rilievo la necessità
o meno di computare, ai fini dell’ulteriore cubatura
realizzabile nella zona, quella dell’edificio dell’ex
istituto Pio X, realizzato prima dell’entrata in vigore
dell’attuale legislazione urbanistica limitativa.
Ai fini della quantificazione della volumetria residua
disponibile di un lotto occorre, invero, considerare le
costruzioni che insistono sull'area, nonché –comunque- le
loro pertinenze necessarie e le aree di transito, le quali
non possono considerarsi “titolari” di alcuna
cubatura autonoma, ulteriore rispetto a quella già
realizzata negli edifici serviti (cfr. TAR Sardegna, II,
19.05.2006, n. 996; Id., 19.03.2003, n. 316). E d’altronde
su dette aree funzionalmente asservite agli edifici
preesistenti non è direttamente realizzabile volumetria
alcuna, prima e a prescindere dal ogni eventuale “cessione”.
Sulla base di tutte le considerazioni fin qui svolte, il
ricorso in esame risulta infondato e va quindi rigettato (TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 07.08.2008 n. 426 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Realizzazione di un edificio su un fondo
originariamente unico - Asservimento del fondo quanto a
volumetria ulteriormente edificabile - Sussiste - Successivo
frazionamento del fondo - Non rileva ai fini del calcolo
volumetrico.
La realizzazione di un edificio su un fondo originariamente
unico è idonea a determinare una situazione di asservimento,
quanto a volumetria ulteriormente edificabile dall'altra
parte del fondo; sulla situazione così determinata, non
influisce il successivo frazionamento del fondo in più
lotti, dovendosi in tal caso tener conto, ai fini del
calcolo della volumetria edificabile residua, della
situazione come determinata dalla parziale utilizzazione, da
parte dell'originario ed unico proprietario, della
volumetria globalmente disponibile
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.07.2008 n. 3127 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel
calcolo della volumetria residua di un lotto in parte già
edificato occorre fare riferimento agli indici edilizi in
vigore alla data di rilascio del nuovo permesso di
costruire. Questo vale sia per gli indici che stabiliscono
direttamente la misura dell’edificazione consentita (indici
di utilizzazione) sia per i parametri rilevanti ai fini del
calcolo (superfici, volumi, altezze, rapporti, distanze).
Pertanto la volumetria esistente deve essere attualizzata
secondo gli indici edilizi sopravvenuti in modo da renderla
omogenea, e dunque confrontabile, con la nuova volumetria di
progetto e con la volumetria complessivamente ammissibile.
Solo così è possibile dare applicazione alla nuova
disciplina edilizia garantendo che l’insediamento di volume
sul territorio sia quello effettivamente consentito dallo
strumento urbanistico più recente.
Questo principio opera negativamente per i proprietari
quando i nuovi indici siano più restrittivi ma può
risolversi anche in un vantaggio quando subentrino indici
più favorevoli.
Un’ipotesi particolare di modifica più favorevole si ha
quando venga riformulato o precisato un parametro edilizio
(nel caso in esame la superficie lorda di pavimento) e la
nuova formulazione consenta di non tenere conto di una parte
della volumetria esistente incrementando così quella
residua. Gli strumenti urbanistici potrebbero distaccarsi da
questa regola introducendo delle disposizioni transitorie
specifiche.
---------------
11. Con il
secondo motivo il ricorrente sostiene che l’edificio
descritto nella DIA avrebbe superato la volumetria
consentita, in violazione dell’art. 20 delle NTA.
Prendendo come riferimento i titoli edificatori relativi
all’ex mappale n. 135 (v. sopra al punto 4) la volumetria
residua sarebbe pari a 434,81 mc (2.508 - 2.073,19) e non a
1.134,50 mc (2.508 – 1.373,50) come dichiarato nella DIA.
Pertanto solo una parte della volumetria di 1.111,07 mc
prevista nella DIA (v. sopra al punto 2) avrebbe potuto
essere collocata sul mappale n. 282.
I controinteressati replicano che la misurazione del volume
dell’edificio presente sull’ex mappale n. 135 (ovvero ex n.
207 e attualmente n. 283) è stata ripetuta utilizzando le
nuove definizioni dei parametri edilizi introdotte nel 2004
dall’art. 12 delle NTA.
Conseguentemente è stato escluso dalla superficie lorda di
pavimento il piano seminterrato in quanto sporgente dal
suolo con la quota dell’intradosso del primo solaio per meno
di 0,70 metri e avente altezza interna non superiore a 2,40
metri (art. 12 punto 5-g delle NTA).
Tenendo in considerazione solo la superficie lorda degli
altri due piani dell’immobile (481,58 mq) il volume risulta
pari a 1.373,50 mc. Ai sensi dell’art. 12 punto 5-e delle
NTA non è inserito nel volume il portico, in quanto la
relativa superficie (35,23 mq) è inferiore al 15% della
superficie lorda di pavimento.
12. La tesi dei controinteressati appare condivisibile.
Nel calcolo della volumetria residua di un lotto in parte
già edificato occorre fare riferimento agli indici edilizi
in vigore alla data di rilascio del nuovo permesso di
costruire. Questo vale sia per gli indici che stabiliscono
direttamente la misura dell’edificazione consentita (indici
di utilizzazione) sia per i parametri rilevanti ai fini del
calcolo (superfici, volumi, altezze, rapporti, distanze).
Pertanto la volumetria esistente deve essere attualizzata
secondo gli indici edilizi sopravvenuti in modo da renderla
omogenea, e dunque confrontabile, con la nuova volumetria di
progetto e con la volumetria complessivamente ammissibile.
Solo così è possibile dare applicazione alla nuova
disciplina edilizia garantendo che l’insediamento di volume
sul territorio sia quello effettivamente consentito dallo
strumento urbanistico più recente.
Questo principio opera negativamente per i proprietari
quando i nuovi indici siano più restrittivi (v. CS Sez. IV
31.12.2007 n. 6833; CS Sez. V 22.11.2001 n. 5928) ma può
risolversi anche in un vantaggio quando subentrino indici
più favorevoli. Un’ipotesi particolare di modifica più
favorevole si ha quando venga riformulato o precisato un
parametro edilizio (nel caso in esame la superficie lorda di
pavimento) e la nuova formulazione consenta di non tenere
conto di una parte della volumetria esistente incrementando
così quella residua. Gli strumenti urbanistici potrebbero
distaccarsi da questa regola introducendo delle disposizioni
transitorie specifiche.
Nel caso in esame tuttavia l’art. 20 delle NTA si limita a
ricaricare la volumetria ammissibile incrementando del 20%
l’indice di utilizzazione fondiaria e non contiene
precisazioni sulla volumetria esistente.
Pertanto non vi sono ragioni per non applicare a tale
volumetria la nuova definizione di superficie lorda di
pavimento introdotta nel PRG del 2004
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.07.2008 n. 830 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diritto di edificare inerisce alla proprietà
dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la
densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr.
art. 4, u.c., della legge 28.01.1977, n. 10, ratione
temporis applicabile al caso di specie) e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo (ed a maggior
ragione, dunque, ove un qualche titolo di sanatoria poi
ottenga), impegna la superficie, che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
---------------
Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente, al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria, di cui si chiede la
realizzazione.
Ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto
già parzialmente edificato occorre dunque considerare tutte
le costruzioni, che comunque già insistono sull’area.
---------------
Occorre infatti, in proposito, ricordare che il diritto di
edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti
stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte
Cost., n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare
la densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr.
art. 4, u.c., della legge 28.01.1977, n. 10, ratione
temporis applicabile al caso di specie) e dallo
strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi
costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo
(ed a maggior ragione, dunque, ove un qualche titolo di
sanatoria poi ottenga), impegna la superficie, che, in base
allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è
necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui
un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente, al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria, di cui si chiede la
realizzazione (Cons. St., V, 12.07.2004, n. 5039).
Ai fini del calcolo della volumetria disponibile su un lotto
già parzialmente edificato occorre dunque considerare tutte
le costruzioni, che comunque già insistono sull’area.
La tesi sostenuta dall'appellante (della irrilevanza delle
costruzioni, per le quali sia stata presentata ed accolta
domanda di condono edilizio) si rivela, quindi, del tutto
priva di fondamento, dato che, in applicazione del principio
ora detto, quando la normativa urbanistica impone limiti di
volumetria, il vincolo dell'area discende ope legis
dalla sua utilizzazione, a prescindere dal fatto che
l’utilizzazione stessa sia “coperta” o meno da uno
dei titoli all’uopo previsti dall’ordinamento, così come a
prescindere dalla natura stessa –di verifica preventiva
della conformità della realizzando costruzione agli
strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla
disciplina urbanistico/edilizia, ovvero in sanatoria– del
titolo.
Cosicché l'eventuale sanatoria per condono della costruzione
precedente non esclude, in sede di verifica della
compatibilità di qualsiasi volume successivamente progettato
con la superficie disponibile in relazione all’indice di
fabbricabilità fondiaria dell’area complessiva, il computo
della cubatura così realizzata; ciò tenuto anche conto del
fatto che, in mancanza, come qui accade, di qualsivoglia
statuizione, nel provvedimento di “condono” di cui si
tratta, in mérito alla déroga a detto indice (nei cui limiti
la volumetria all’epoca condonata comunque si manteneva) ed
in forza del principio di stretta interpretazione da
applicarsi in relazione a disposizioni comunque di carattere
eccezionale e straordinario (quali quelle in tema di
sanatoria edilizia), il provvedimento relativo non può che
ritenersi inteso a regolarizzare la mera mancanza di previo
titolo concessòrio per l’effettuato (nel caso di specie) “allargamento
della sagoma dell’edificio”.
Tale compatibilità consegue, in definitiva, non al rilascio
del titolo edilizio (qualunque esso sia) ma alla materiale
esecuzione dell’opera, pur se eseguita abusivamente e pur se
poi “sanata” avvalendosi degli strumenti all’uopo
previsti dall’ordinamento (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2008 n. 2177 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un'area edificatoria già
utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione.
Insomma, ai fini della quantificazione della volumetria
residua disponibile di un lotto edificato occorre
considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area,
quelle previste con progetti già assentiti dal Comune, come
pure gli atti di asservimento di volumetria in favore di
altro fondo; non può quindi essere considerata libera
un'area già parzialmente edificata, sicché nel calcolo della
volumetria realizzabile, ai fini del rilascio di un permesso
relativo ad una seconda costruzione, nella perdurante
esistenza del primo edificio, dovrà tenersi conto di quanto
già realizzato.
Né l'applicazione di indici di fabbricabilità sopravvenuti
fra la prima edificazione ed il nuovo progetto implica
illegittima applicazione retroattiva di tali indici, in
quanto essa riguarda la nuova valutazione dell'autorità
comunale, che va condotta alla stregua degli indici vigenti.
---------------
Il ricorso, ad avviso del collegio, non è meritevole di
accoglimento.
Il ricorrente vorrebbe sfruttare la cubatura residuata al
tempo del rilascio dei precedenti titoli edilizi; ritiene
che il nuovo indice fondiario debba applicarsi solo alle
aree residuate e non asservite alle costruzioni già
realizzate, non già all'intero lotto. In tal senso ritiene
la determinazione negativa assunta dall'amministrazione
sull'istanza di concessione edilizia del 07.06.2006
illegittima per applicazione retroattiva dei nuovi indici.
Orbene, in materia deve applicarsi il principio secondo cui
un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione (C.S., V, n. 5039/2004).
Insomma, ai fini della quantificazione della volumetria
residua disponibile di un lotto edificato occorre
considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area,
quelle previste con progetti già assentiti dal Comune, come
pure gli atti di asservimento di volumetria in favore di
altro fondo (Tar Cagliari, II, n. 996/2006); non può quindi
essere considerata libera un'area già parzialmente
edificata, sicché nel calcolo della volumetria realizzabile,
ai fini del rilascio di un permesso relativo ad una seconda
costruzione, nella perdurante esistenza del primo edificio,
dovrà tenersi conto di quanto già realizzato (Tar Pescara,
n. 88/2006).
Né l'applicazione di indici di fabbricabilità sopravvenuti
fra la prima edificazione ed il nuovo progetto implica
illegittima applicazione retroattiva di tali indici, in
quanto essa riguarda la nuova valutazione dell'autorità
comunale, che va condotta alla stregua degli indici vigenti
(Tar Napoli, II, n. 10239/2004) (TAR Sicilia-Catania, Sez.
I,
sentenza 01.04.2008 n. 547 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un'area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione. A nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa.
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
“non rileva la circostanza che l’unico fondo del
proprietario sia stato suddiviso in catasto in più
particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più
manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario”.
Ed ancora; “allorché un’area edificabile venga
successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari,….., la volumetria disponibile ai sensi della
normativa urbanistica nell’intera area permane invariata,
con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia
stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato
frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota di acquisto”.
---------------
La questione all’esame riguarda, in particolare, la
possibilità di edificare, in base a norme di piano
sopravvenute, su lotto libero derivante da frazionamento di
altro di maggiore estensione, sul quale è stata realizzata,
in virtù delle norme del piano previgente, una volumetria
assentita con titolo edilizio rilasciato in base a progetto
che ha interessato l’intero lotto.
L’appellante è per la soluzione positiva, intendendo
costruire su lotto di 1,519 mq, con destinazione
residenziale confermata dal nuovo piano, ricavato da un
lotto di 3.690, sul quale ha già realizzato 6.636 mc dei
11.070 mc assentibili con il piano preesistente.
Poiché nel nuovo piano non v’è una disciplina urbanistica
dell’area in questione che abbia imposto di tener conto
della volumetria già
realizzata, l’indice di fabbricabilità da esso previsto deve
essere applicato senza condizioni o limitazioni, onde
avrebbe errato il giudice di primo grado ad affermare la
legittimità del contestato diniego.
La tesi non è condividibile.
La Sezione in merito osserva, in via preliminare, che nel
passaggio da uno strumento urbanistico generale ad altro,
ove diversamente non emerga, deve ritenersi che il nuovo
piano sia stato elaborato utilizzando gli stessi dati base
del precedente, occorrenti per la sua formazione; stesso
rilevo cartografico comprendente tutto il territorio
comunale (ed i Comuni contermini); stessi rilievi
aerofotogrammetrici del territorio stesso; stessi fogli
mappali catastali riguardanti e comprendenti l’estensione di
tutto il territorio comunale.
Tutto ciò è senz’altro legittimo e spiega perché sono
irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio
termine intervenuti, non potendosi ritenere che
l’amministrazione sia obbligata a tenerne conto.
In virtù dei detti dati base vengono stabiliti il nuovo
indice di densità territoriale (normalmente il rapporto tra
numero massimo ammissibile di abitanti e superficie
dell’intero territorio), l’indice di fabbricabilità
territoriale (rapporto tra volume lordo massimo degli
edifici residenziali ad uso residenziale, esclusi i negozi,
e la superficie dell’intero territorio), e quindi la densità
fondiaria e l’indice di fabbricabilità fondiaria.
Tutti indici che conformano il diritto di edificare, per cui
ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di
quella consentita dal nuovo indice, in relazione a tutta la
sua estensione considerata dal nuovo piano.
Ciò spiega l’irrilevanza della cubatura residua
determinatasi per effetto del previgente indice di
fabbricabilità fondiaria, essendo essa oggetto di una
facoltà che se non esercitata non è “opponibile” al
nuovo piano, e spiega anche l’irrilevanza del frazionamento
del lotto non potendo esso fungere da strumento di
conservazione per l’utilizzazione della stessa.
Se così non fosse, evidenti sarebbero gli effetti negativi
sul mantenimento sull’ordinato sviluppo edificatorio delle
zone di p.r.g., e in particolare di quelle residenziali,
postulato dagli indici in precedenza ricordati. Quanto fin
ora argomentato, come già accennato, ha avuto ampio
riscontro nella giurisprudenza di questo Consesso.
Si è quindi stabilito che “un’area edificatoria già
utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione” (cfr. Cons. di Stato,
sez. V, 12.07.2004 n. 5039). A nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa
(id., 28.02.2001 n. 1074). Ai fini del calcolo della
volumetria realizzabile, infatti, “non rileva la
circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato
suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare
(...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario
unico proprietario” (cfr. id., sez. V, 26.11.1994 n.
1382).
Ed ancora; “allorché un’area edificabile venga
successivamente frazionata in più parti tra vari
proprietari,….., la volumetria disponibile ai sensi della
normativa urbanistica nell’intera area permane invariata,
con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia
stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato
frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota di acquisto” (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 16.02.1987 n. 91).
Poiché per effetto del nuovo indice fondiario, pari a 1 mc/mq,
l’appellante ha esaurito la volumetria disponibile
dell'intero lotto, correttamente il Comune ha rigettato la
sua domanda di rilascio di nuovo permesso di costruire (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.01.2008 n. 255 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un’area edificatoria già
utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non
esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio
dell’ulteriore permesso di costruire,
dovendosi considerare non solo la superficie
libera ed il volume ad essa corrispondente,
ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in
relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione.
Un’area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su
di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa
vigente al momento del rilascio
dell’ulteriore permesso di costruire,
dovendosi considerare non solo la superficie
libera ed il volume ad essa corrispondente,
ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in
relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione (cfr. Cons. di
Stato, sez. V, 12.07.2004 n. 5039).
A nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa
(id., 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria
realizzabile “non rileva la circostanza
che l’unico fondo del proprietario sia stato
suddiviso in catasto in più particelle,
dovendosi verificare (...) l’esistenza di
più manufatti sul fondo dell’originario
unico proprietario” (cfr. id., sez. V,
26.11.1994 n. 1382).
Allorché un’area edificabile venga
successivamente frazionata in più parti tra
vari proprietari,….., la volumetria
disponibile ai sensi della normativa
urbanistica nell’intera area permane
invariata, con la duplice conseguenza che,
nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata
sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a
disposizione solo la volumetria che residua
tenuto conto dell’originaria costruzione e
in proporzione della rispettiva quota di
acquisto (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
16.02.1987 n. 91) (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 29.01.2008 n. 255 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo un condivisibile orientamento
giurisprudenziale un'area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa (infatti, ai
fini del calcolo della volumetria realizzabile non rileva la
circostanza che l'unico fondo del proprietario sia stato
suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare
l'esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico
proprietario) (TAR
Basilicata, sentenza 04.09.2007 n. 522). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un terreno edificabile già utilizzato a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera e il volume a essa
corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione (Cds,
sez. V, n. 5039/2004) (TAR
Veneto, Sez. II, sentenza 01.06.2007 n. 1730). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diritto di edificare inerisce alla proprietà
dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici (cfr. Corte Cost. Sent. n. 5 del 1980), tra i
quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione
ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e
dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
----------------
Secondo un orientamento giurisprudenziale che il Collegio
condivide,
1) “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione”, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa;
2) ai fini del calcolo della volumetria realizzabile “non rileva la
circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato
suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare
(...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario
unico proprietario”;
3) allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in
più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai
sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane
invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in
cui sia stata già realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la
volumetria che residua tenuto conto dell’originaria
costruzione e in proporzione della rispettiva quota di
acquisto.
---------------
Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti
hanno dedotto che il locale commerciale particella n. 512
non poteva essere ampliato, in quanto la volumetria,
complessivamente realizzata di 7.731,50 mc. (6.720 mc.
dell’edificio costruito sulla particella n. 509 + 1.011,50
mc. del manufatto costruito sulla particella n. 616)
sull’originaria superficie complessiva di 1.538 mq., di cui
ai terreni foglio di mappa n. 71, particella n. 190 sub. c),
d), e) e f), poi frazionati nelle particelle n. 509, n. 510,
n. 511, n. 616 e n. 617, risultava superiore all’indice di
fabbricabilità di 3 mc/mq., stabilito dall’art. 12 delle
Norme Tecniche di Attuazione del vigente PRG, il quale
consentiva la realizzazione di una volumetria massima di
4.614 mc., già completamente utilizzata dagli edifici già
esistenti.
Tale censura risulta fondata e pertanto va accolta per i
seguenti motivi.
Infatti, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei
suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici (cfr. Corte Cost. Sent. n. 5 del 1980), tra i
quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione
ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di
edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di
modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura
maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la
superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.
Comunque, secondo un orientamento giurisprudenziale (cfr.
C.d.S., Sez. V, Sent. n. 5039 del 12.07.2004; C.d.S. Sez. V,
Sent. n. 1074 del 28.02.2001; C.d.S. Sez. V, Sent. n. 1382
del 26.11.1994), che il Collegio condivide (cfr. da ultimo
TAR Basilicata Sent. n. 929 del 30.12.2006 su un’analoga
controversia relativa ai terreni foglio di mappa n. 71
particelle nn. 508, 614 e 615, sempre siti nella stessa zona
del Comune di Matera e confinanti con i terreni foglio di
mappa n. 71 particelle n. 509, n. 510, n. 511, n. 616 e n.
617, oggetto del presente giudizio),
1) “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione”, a nulla rilevando che questa possa
insistere su una parte del lotto catastalmente divisa;
2) ai fini del calcolo della volumetria realizzabile “non rileva
la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato
suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare
(...) l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario
unico proprietario”;
3) allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in
più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai
sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane
invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in
cui sia stata già realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la
volumetria che residua tenuto conto dell’originaria
costruzione e in proporzione della rispettiva quota di
acquisto (TAR Basilicata,
sentenza 23.03.2007 n. 202 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di asservimento volumetrico si possono
trarre dalla giurisprudenza consolidata i seguenti principi:
a) nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di
piano regolatore sono da ricomprendere anche gli edifici
preesistenti, in quanto il p.r.g., nella parte in cui
prevede i limiti entro i quali l’area può essere edificata,
si riferisce non all’edificazione ulteriore rispetto a
quella già esistente al momento della sua approvazione, ma
all’edificazione complessivamente realizzabile sull’area;
b) le vicende inerenti alla proprietà dei terreni, e in particolare
il frazionamento del fondo da parte dell’originario unico
proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’inedificabilità
delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite
alle costruzioni già realizzate e pertanto restano
inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della
volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già
“consumato” la volumetria disponibile.
In applicazione di questi principi si è statuito che:
- si deve sempre tenere conto dei manufatti preesistenti;
- per calcolare l’entità dell’asservimento e la volumetria residua,
si deve considerare non il regime edilizio più favorevole
esistente all’epoca di edificazione dei manufatti
in situ,
ma lo strumento urbanistico vigente alla data del
provvedimento emesso sulla domanda di concessione;
- se un’area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a
vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area
rimane invariata, e quella che residua tenuto conto
dell’originaria costruzione resta di pertinenza dei diversi
proprietari in proporzione della rispettiva quota di
acquisto -salvo ovviamente eventuali cessioni di cubatura-,
a nulla rilevando che l’edificanda costruzione vada ad
insistere su un lotto libero risultante dal frazionamento;
- l’area la cui potenzialità edificatoria sia già saturata da una
precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo
fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di
asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che
individuasse l’area da edificare, in quanto qualsiasi
costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo,
impegna la superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.
---------------
6. Ciò premesso, osserva il Collegio che in materia di
asservimento volumetrico si possono trarre dalla
giurisprudenza consolidata i seguenti principi:
a) nel computo della volumetria assentibile in ciascuna zona di
piano regolatore sono da ricomprendere anche gli edifici
preesistenti (Cons. Stato V 29.11.1994 n. 1414), in quanto
il p.r.g., nella parte in cui prevede i limiti entro i quali
l’area può essere edificata, si riferisce non
all’edificazione ulteriore rispetto a quella già esistente
al momento della sua approvazione, ma all’edificazione
complessivamente realizzabile sull’area (Cons. Stato V
07.11.2002 n. 6128, 26.11.1994 n. 1382);
b) le vicende inerenti alla proprietà dei terreni, e in particolare
il frazionamento del fondo da parte dell’originario unico
proprietario, sono irrilevanti ai fini dell’inedificabilità
delle aree libere, che devono comunque intendersi asservite
alle costruzioni già realizzate e pertanto restano
inedificabili (oppure edificabili nei soli limiti della
volumetria residua) ove le costruzioni esistenti abbiano già
“consumato” la volumetria disponibile (Cons. Stato IV
06.09.1999 n. 1402).
In applicazione di questi principi si è statuito che:
- si deve sempre tenere conto dei manufatti preesistenti (Cons.
Stato V n. 6128/2002 cit.);
- per calcolare l’entità dell’asservimento e la volumetria residua,
si deve considerare non il regime edilizio più favorevole
esistente all’epoca di edificazione dei manufatti
in situ,
ma lo strumento urbanistico vigente alla data del
provvedimento emesso sulla domanda di concessione (Cons.
Stato V 22.11.01 n. 5928);
- se un’area edificabile viene frazionata in più parti, alienate a
vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area
rimane invariata, e quella che residua tenuto conto dell
’originaria costruzione resta di pertinenza dei diversi
proprietari in proporzione della rispettiva quota di
acquisto (CS V 12.07.2005 n. 3777) -salvo ovviamente
eventuali cessioni di cubatura (cfr. Cass. II, 12.09.1998 n.
9081, Cons. Stato V 28.06.2000 n. 3637)-, a nulla rilevando
che l’edificanda costruzione vada ad insistere su un lotto
libero risultante dal frazionamento (Cons. Stato VI
27.06.2006 n. 4117 e riferimenti);
- l’area la cui potenzialità edificatoria sia già saturata da una
precedente costruzione deve ritenersi asservita per il solo
fatto della costruzione, anche in mancanza di atto di
asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che
individuasse l’area da edificare (Cons. Stato V 12.07.2004
n. 5039), in quanto qualsiasi costruzione, anche se eseguita
senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in
base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è
necessaria per realizzare la volumetria sviluppata (Cons.
Stato V 27.06.2006 n. 4117) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.01.2007 n. 123 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
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EDILIZIA PRIVATA:
A fronte di una determinata potenzialità
edificatoria di un lotto, costituente un dato oggettivo che
misura la compatibilità dello sfruttamento edilizio del
fondo con le previsioni urbanistiche, il conseguimento di un
titolo abilitativo all'edificazione, legato alle scelte
contingenti del proprietario, quand'anche per certi versi
condizionato dalle determinazioni assunte
dall'amministrazione ai fini del rilascio del titolo stesso
in merito alla cubatura ammissibile, non ha certo effetto
preclusivo del successivo sfruttamento della residua
potenzialità edificatoria in astratto disponibile, nel caso
in cui il volume già assentito non esaurisca o superi la
cubatura consentita dalle prescrizioni urbanistiche
(Consiglio Stato, sez. IV, 06.03.2006, n. 1108) (TRGA
Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 22.11.2006 n. 420). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un'area edificatoria già utilizzata a fini
edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando
la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione.
Pertanto, quando la normativa urbanistica impone limiti di
volumetria, il vincolo dell'area discende "ope legis" dalla
sua utilizzazione, senza la necessità di apposito strumento
negoziale, cosicché l'eventuale sanatoria per condono della
costruzione precedente non esclude, a carico della
superficie ulteriore rispetto a quella di sedime, il vincolo
della quantità necessaria ad esprimere la cubatura
realizzata.
---------------
Con il ricorso indicato in epigrafe, l’istante censurava il
provvedimento di diniego della concessione, poiché la
potenzialità edificatoria del terreno era stata assorbita
dagli edifici per i quali erano gi à state realizzate le
concessioni in sanatoria nn. 65-66 e 67, in data 05.07.1996.
A riguardo, il ricorrente censurava la violazione di legge
ed il difetto di motivazione, poiché l’istanza presentata al
Comune era relativa ad un terreno ottenuto dall’istante da
parte della madre, che l’aveva altresì ricevuto per
donazione dal genitore Ri.Vi.. Esponeva, ancora, che tale
appezzamento era parte dell’originaria particella 431, che a
sua volta,era derivata dalla particella 89, poi frazionata.
Orbene sul terreno in menzione erano state richieste due
concessioni in sanatoria da parte degli altri donatari, che
l’ottenevano ai sensi della l. n. 47 de 1985.
Contestava, il ricorrente, la circostanza che sia la legge
n. 47 cit. che la legge n. 724 del 1994 contenessero delle
previsioni atte a giustificare il computo degli edifici
condonati ai fini del limite edificatorio. Peraltro,
evidenziava che, ai sensi della variante al P.R.G. il
terreno d’interesse ricade nella sottozona C3, case
unifamiliari con orto e, non più, come sotto la vigenza del
la precedente disciplina urbanistica, nella zona F3, parchi
pubblici ed impianti sportivi.
Si costituiva l’amministrazione chiedendo il rigetto della
domanda.
Osserva il Collegio che la domanda appare infondata.
Infatti, per smentire la tesi di parte ricorrente, basta
ricordare quanto più volte affermato dalla giurisprudenza
amministrativa sul punto: “Un'area edificatoria già
utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore
edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di
verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione. Pertanto, quando la
normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il
vincolo dell'area discende "ope legis" dalla sua
utilizzazione, senza la necessità di apposito strumento
negoziale, cosicché l'eventuale sanatoria per condono della
costruzione precedente non esclude, a carico della
superficie ulteriore rispetto a quella di sedime, il vincolo
della quantità necessaria ad esprimere la cubatura
realizzata” (Consiglio Stato, sez. V, 12 luglio 2004, n.
5039)
Né rileva che il terreno risultasse già frazionato al
momento del rilascio delle concessioni in sanatoria del
1996, poiché l’impegno della superficie necessaria alla
realizzazione della costruzione, in base all’indice di
fabbricabilità applicabile nella zona, consegue non al
rilascio del titolo edilizio ma alla materiale esecuzione
dell’opera, pur se eseguita abusivamente (cfr. Cons. Stato,
sent. cit.) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 15.11.2006 n. 12137 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo consolidati
principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, il
diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei
limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici,
tra i quali quelli diretti a regolare la densità di
edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr.
art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la
superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.
---------------
Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente alfine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa.
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
“non rileva la circostanza che l’unico fondo del
proprietario sia stato suddiviso in catasto in più
particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più
manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario”.
Allorché un’area edificabile venga successivamente
frazionata in più parti tra vari proprietari, infatti, la
volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica
nell’intera area permane invariata, con la duplice
conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già
realizzata sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato
frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota di acquisto.
---------------
La tesi non è condividibile.
Questa Sezione ha di recente ribadito (cfr. dec. n. 3777 del
12.07.2005) che, secondo consolidati principi espressi dalla
giurisprudenza amministrativa, il diritto di edificare
inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla
legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del
1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di
edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr.
art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la
superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui “un’area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente alfine di
verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione” (cfr. Cons. di Stato,
sez. V, 12.07.2004 n. 5039), a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa
(id., 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
“non rileva la circostanza che l’unico fondo del
proprietario sia stato suddiviso in catasto in più
particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più
manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario”
(cfr. id., sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
Allorché un’area edificabile venga successivamente
frazionata in più parti tra vari proprietari, infatti, la
volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica
nell’intera area permane invariata, con la duplice
conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già
realizzata sul fondo originario una costruzione, i
proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato
frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che
residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in
proporzione della rispettiva quota di acquisto (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 16.02.1987 n. 91).
Nell’ordinamento vigente, dunque, i principi fin qui esposti
conformano lo stesso regime della proprietà edilizia, intesa
come proprietà immobiliare suscettibile di edificazione,
cosicché essi non necessitano di formale enunciazione in
specifiche disposizioni regolamentari o di piano (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 27.06.2006 n. 4117 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Allorché un'area edificabile venga frazionata in
più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai
sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane
invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in
cui sia già stata realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni in cui detto
fondo (originariamente) unico è stato frazionato hanno a
disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto
dell'originaria costruzione e in proporzione della
rispettiva quota di acquisto.
Il principio è condivisibile, ma opera a condizione che
un'area sia stata effettivamente asservita alla costruzione,
nel senso che quest'ultima non avrebbe potuto essere
realizzata senza calcolare la volumetria espressa dall'area
asservita.
Ciò non avviene quando un'area, avente una propria identità
catastale, sebbene indicata nel titolo edilizio come parte
di un compendio edificabile, non sia stata utilizzata
neppure in parte a tale fine, essendo stata edificata, su
altra o altre aree contigue, una volumetria inferiore a
quella di cui queste ultime erano capaci.
---------------
9. Il secondo motivo di ricorso è infondato, sotto
entrambi i profili dedotti (volumetria edificabile e
rapporto filtrante).
Quanto al primo profilo, va precisato che il progetto
riguarda i mappali 104, 730 e 732; tuttavia il mappale 730
-sul quale Edil Futura ha acquistato un diritto di
superficie per la realizzazione di tre autorimesse in
sottosuolo- è stato utilizzato esclusivamente a tale scopo,
e non computato per il calcolo della s.l.p. edificabile.
Quanto ai mappali 104 e 732 (acquistati da Ed.Fu. con atto
di compravendita 08.07.2002), il ricorrente ne assume l’inedificabilità
perché asserviti in passato ad altre costruzioni.
A tal fine richiama la giurisprudenza (Cons. Stato V,
12.07.2005 n. 3777, IV 16.02.1987 n. 91) secondo la quale,
allorché un’area edificabile venga frazionata in più parti
tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi
della normativa urbanistica nell’intera area permane
invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in
cui sia già stata realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni in cui detto
fondo (originariamente) unico è stato frazionato hanno a
disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto
dell’originaria costruzione e in proporzione della
rispettiva quota di acquisto.
Il principio è condivisibile, ma opera a condizione che
un’area sia stata effettivamente asservita alla costruzione,
nel senso che quest’ultima non avrebbe potuto essere
realizzata senza calcolare la volumetria espressa dall’area
asservita.
Ciò non avviene quando un’area, avente una propria identità
catastale, sebbene indicata nel titolo edilizio come parte
di un compendio edificabile, non sia stata utilizzata
neppure in parte a tale fine, essendo stata edificata, su
altra o altre aree contigue, una volumetria inferiore a
quella di cui queste ultime erano capaci.
10. Nel caso in esame il mappale 104, sebbene sia menzionato
(con i mappali 105, 458, 459) nel nulla osta 30.09.1972,
rilasciato per la costruzione di tre piani fuori terra, non
è stato però edificato, né la sua volumetria risulta
concretamente “sfruttata” allo scopo di realizzare la
costruzione sul mappale (o sui mappali) contigui.
Dalla disposta verificazione risulta infatti (pag. 7) che:
- l’intero compendio (mq 1352 di superficie lorda; mq 1272 di
superficie utile) esprimeva all’epoca un volume edificabile
di mc 3816;
- il progetto prevedeva un volume di mc 2218 (volume edificato),
sicché residuava un volume di 1598 mc.
Ora, poiché la superficie del mappale 104 è pari ad un terzo
del compendio originario (memoria 10.05.2006 di parte
ricorrente, pag. 14), e poiché l’intero compendio è stato
edificato per meno di 2/3 della volumetria complessivamente
disponibile, ciò significa che il mappale 104, rimasto
libero da edificazioni, non venne asservito alla costruzione
realizzata sui mappali contigui.
Non risulta, d’altro canto, che nella vendita del mappale
104 l’alienante si sia riservato diritti volumetrici, né
risulta che questi, pur legittimato (e forse unico
legittimato) a dolersene, abbia denunciato la lesione di un
proprio (ipotetico) diritto allo sfruttamento della
volumetria residua.
Va aggiunto che, rispetto alla volumetria disponibile sui
mappali 104 e 732, la verificazione, condotta in base ai
parametri urbanistici previsti dalle vigenti n.t.a. (che
fanno riferimento non al volume ma alla superficie lorda di
pavimento), non ha rilevato eccedenze.
La relazione dà conto sul punto (pagg. 9-10) della doppia
verifica effettuata sui mappali di proprietà Ed.Fu., da soli
e in unione con gli altri mappali (104, 105, 458 459)
contemplati in precedenti permessi di costruzione.
Risulta dunque: che la s.l.p. realizzata in base alla d.i.a
28.02.2003 (ridotta in fase esecutiva a mq 271,46) è
inferiore alla s.l.p. (mq 273,95) edificabile computando i
soli mappali 104 e 732; mentre la s.l.p. dell’intero
compendio (271,46 + 572,06 preesistenti = mq 843,52) è
inferiore a quella (mq 921,45) realizzabile sul medesimo
compendio complessivamente considerato (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 13.06.2006 n. 1413 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della quantificazione della volumetria
residua disponibile di un lotto edificato occorre
considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area,
quelle previste con un progetto gi à assentito dall’Autorità
comunale, come pure gli atti di asservimento di volumetria
in favore di altro fondo.
Pertanto sia la vendita di una parte dell'originario unico
fondo, così come il frazionamento del fondo da parte
dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini
dell'edificabilità delle aree libere, che devono comunque
intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a
quelle assentite al momento del frazionamento.
---------------
La censura è infondata.
Il fabbricato su cui insiste la proprietà dei ricorrenti
(piano terra e cortile) e la proprietà del controinteressato
(piano primo), faceva parte di un unico lotto di proprietà,
a suo tempo, del signor Ef.Pa..
In sede di divisione della proprietà (atto del 24.05.1954),
al figlio Aldo (dante causa dei ricorrenti) venne attribuita
la proprietà del “piano terreno col giardinetto, la
lavanderia (con la tettoia e la vasca) e le due cantine
sotto la cucina e la stanza da pranzo”, mentre al figlio
Carlo (dante causa del controinteressato), spettò “il
piano superiore, le soffitte e la cantina sotto il salotto,
col diritto di sopraelevare il piano”.
In virtù della divisione del bene tra i fratelli, il diritto
di sopraelevazione è stato attribuito al proprietario del
piano superiore del fabbricato. Ciò ha comportato
necessariamente, seppure implicitamente, l’attribuzione
della volumetria (da calcolare sulla potenzialità di tutto
il lotto) necessaria per realizzare il piano in questione e
per esercitare a pieno il diritto assegnato.
Per volontà delle parti, al proprietario del piano superiore
è stato infatti attribuito il diritto di sopraelevazione,
diritto che impone l’asservimento della volumetria residua
dell’intero lotto in favore dell’ultimo piano sul quale
soltanto può essere realizzata la volumetria disponibile,
volumetria che va calcolata sulla base degli indici previsti
dallo strumento urbanistico vigente al momento del rilascio
della concessione edilizia per la sopraelevazione.
Ai fini della quantificazione della volumetria residua
disponibile di un lotto edificato occorre considerare tutte
le costruzioni che insistono sull'area, quelle previste con
un progetto gi à assentito dall’Autorità comunale, come pure
gli atti di asservimento di volumetria in favore di altro
fondo; pertanto sia la vendita di una parte dell'originario
unico fondo, così come il frazionamento del fondo da parte
dell'originario unico proprietario, sono irrilevanti ai fini
dell'edificabilità delle aree libere, che devono comunque
intendersi asservite alle costruzioni già realizzate ed a
quelle assentite al momento del frazionamento (TAR Abruzzo,
Pescara, 15.01.2002, n. 96; sulla necessità di considerare
complessivamente la potenzialità edificatoria in riferimento
al lotto urbanisticamente individuato vedasi Consiglio Stato
sez. IV, 25.02.1988 n. 100, TAR Sardegna, 31.07.2001 n.
844).
Nel caso di specie la volumetria residua del lotto era stata
asservita con il citato atto di divisione in favore del
lastrico del piano superiore. Correttamente, pertanto, il
Comune di Sassari ha considerato la volumetria dell’intero
originario lotto, ai fini del rilascio delle concessioni
edilizie rilasciate al controinteressato per la
sopraelevazione del fabbricato (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 19.05.2006 n. 996 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quando una porzione di suolo venga in concreto
utilizzata ai fini del computo della cubatura per
l'edificazione di un manufatto edilizio, essa non può essere
in futuro utilizzata nuovamente a tal fine, neppure nel caso
dell'ulteriore frazionamento ed alienazione dell'area libera
residua.
Ove così non fosse, infatti, si perverrebbe all'aberrante
risultato che, realizzata l'opera, il costruttore potrebbe
ben alienare la porzione di terreno non direttamente
occupata dalla costruzione onde consentirne un ulteriore
sfruttamento edificatorio da parte di un terzo
(Cons. Stato, sez. V, 10.02.2005, n. 2328) (TAR
Abruzzo-Pescara, sentenza 06.02.2006 n. 87). |
anno 2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il diritto di edificare inerisce alla proprietà
dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la
densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr.
art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la
superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui
“un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente alfine di verificare se, in relazione
all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione”, a nulla rilevando che questa possa insistere
su una parte del lotto catastalmente divisa.
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
“non rileva la circostanza che l’unico fondo del
proprietario sia stato suddiviso in catasto in più
particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più
manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario”.
---------------
Qualora un'area edificabile venga successivamente frazionata
in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile
ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area
permane invariata, con la duplice conseguenza che,
nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo
originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni,
in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione
solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria
costruzione e in proporzione della rispettiva quota di
acquisto.
---------------
Al riguardo, deve considerarsi che, secondo consolidati
principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, il
diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei
limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici
(Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a
regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici
di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr.
art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la
superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui “un’area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa
realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore
permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la
superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma
anche la cubatura del fabbricato preesistente alfine di
verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area
(superficie scoperta più superficie impegnata dalla
costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di
cui si chiede la realizzazione” (cfr. Cons. di Stato,
sez. V, 12.07.2004 n. 5039), a nulla rilevando che questa
possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa
(id., 28.02.2001 n. 1074).
Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti,
“non rileva la circostanza che l’unico fondo del
proprietario sia stato suddiviso in catasto in più
particelle, dovendosi verificare (...) l’esistenza di più
manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario”
(cfr. id., sez. V, 26.11.1994 n. 1382).
...
Soccorre, allora, il principio già enunciato in proposito da
questa Sezione, secondo il quale allorché un’area
edificabile venga successivamente frazionata in più parti
tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi
della normativa urbanistica nell’intera area permane
invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in
cui sia stata già realizzata sul fondo originario una
costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto
fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la
volumetria che residua tenuto conto dell'originaria
costruzione e in proporzione della rispettiva quota di
acquisto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16.02.1987 n. 91) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 12.07.2005 n. 3777 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2004 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il diritto di edificare inerisce alla proprietà
dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli
diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi
negli indici di fabbricabilità.
Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da
tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere
una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr.
art. 4, u.c., L. 28.01.1977 n. 10) e dallo strumento
urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione,
anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la
superficie che, in base allo specifico indice di
fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la
volumetria sviluppata.
---------------
Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione.
---------------
La censura è, nel suo complesso, infondata.
Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli
nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli
diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi
negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare,
pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che
ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di
quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L.
28.01.1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e,
corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se
eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie
che, in base allo specifico indice di fabbricabilità
applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria
sviluppata.
Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui
un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non esaurisca la
volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del
rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi
considerare non solo la superficie libera ed il volume ad
essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in relazione
all'intera superficie dell’area (superficie scoperta più
superficie impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la
realizzazione.
Principio, peraltro, sancito nel caso di specie dall’art. 9,
primo comma, delle norme tecniche di attuazione del piano
regolatore generale, che, con riguardo a tutti gli indici
edilizi, così dispone: “l’utilizzazione degli indici
edilizi che disciplinano l’edificazione in una determinata
area esclude ogni richiesta successiva di altre concessioni
edilizie sull’area -ad eccezione delle ricostruzioni-
indipendentemente da qualsiasi frazionamento o passaggio di
proprietà” (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.07.2004 n. 5039 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
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EDILIZIA
PRIVATA: In
merito all'asservimento volumetrico di mappali per edificare
un fabbricato, la contiguità dei fondi non deve intendersi
nel senso della adiacenza, ossia della continuità fisica tra
tutte le particelle catastali interessate, bensì come
effettiva e significativa vicinanza tra i fondi asserviti
per raggiungere la cubatura desiderata.
Il Comune ha negato la concessione per la volumetria
inizialmente richiesta, affermando che una particella
fondiaria, che l’istante intendeva asservire alla
costruzione, non poteva esserlo in quanto “non confinante
e neppure vicina” al lotto interessato dalla
costruzione.
La giurisprudenza della Sezione, espressa da ultimo con
sentenza 01.04.1998 n. 400, depone nel senso che la
contiguità dei fondi non deve intendersi nel senso della
adiacenza, ossia della continuità fisica tra tutte le
particelle catastali interessate, bensì come effettiva e
significativa vicinanza tra i fondi asserviti per
raggiungere la cubatura desiderata.
Secondo tale orientamento, la porzione di terreno che
l’appellante intendeva asservire, trovandosi a distanza di
trentacinque metri dal fondo destinato alla costruzione, ben
poteva essere computato ai fini della volumetria richiesta
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.10.2003 n. 6734 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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