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dossier ATTI AMMINISTRATIVI
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---> per il dossier ATTI AMMINISTRATIVI sino al 2019 cliccare qui
---> per il dossier ATTI AMMINISTRATIVI sino al 2012 cliccare qui

per approfondimenti vedi anche:
F.O.I.A. - Freedom Of Information Act (a cura del Dipartimento Funzione Pubblica)
Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi (presso la Presidenza Consiglio dei Ministri
)
* * *
Legge 07.08.1990 n. 241 <---> D.P.R. 12.04.2006 n. 184 <--->  D.Lgs. 14.03.2013 n. 33

febbraio 2024

ATTI AMMINISTRATIVI: RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO - AGGIORNATA AL 29.02.2024 (Ministero Dell’Interno, Ufficio del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza - tratto da www.interno.gov.it).
---------------
Sommario


1. L’ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO: RATIO E FINALITÀ DELL’ISTITUTO
   CONS. STATO, SEZ. V, 03.02.2023 n. 1195
Secondo quanto previsto dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013, l'accesso civico generalizzato è il diritto alla conoscenza di chiunque e ha lo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
   CONS. STATO, SEZ. V, 05.12.2022 n. 10628
L'istituto dell'accesso civico generalizzato, di cui all'art. 5, d.lgs. n. 33 del 2013, è azionabile da chiunque, senza previa dimostrazione di un interesse, concreto e attuale in relazione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazioni in tal senso. Attraverso l'istituto, il legislatore ha riconosciuto la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle Pubbliche Amministrazioni quale diritto fondamentale, promuovendo un dibattito pubblico informato e un controllo diffuso sull'azione amministrativa.
   CONS. STATO, SEZ. V, 03.08.2021 n. 5714
L’accesso civico generalizzato, azionabile da chiunque senza previa dimostrazione di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazione in tal senso della richiesta, ha il solo scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013: è funzionale ad un controllo diffuso dei cittadini, al fine di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e di favorire un preventivo contrasto alla corruzione e concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi in ogni caso i limiti di legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo
   TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III, 07.03.2023 n. 589
L'accesso civico generalizzato, ampliando di molto la possibilità di conoscenza da parte del pubblico delle informazioni detenute dalla p.a. e, quindi, di partecipazione dei cittadini alla funzione amministrativa ne garantisce la democraticità e ne favorisce il buon andamento;
l'accesso civico e l'accesso civico generalizzato costituiscono attuazione dei principi di partecipazione democratica all'attività pubblica, di trasparenza, di buon andamento e di sussidiarietà sanciti negli artt. 1, 2, 97 e 118 Cost. e, per questa ragione, le determinazioni negative assunte sulle relative istanze necessitino di approfondita motivazione.

   TAR VENETO, SEZ. I, 06.02.2023 n. 166
L'accesso civico generalizzato, ex art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, persegue l'obiettivo di favorire forme di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e l'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, e non può pertanto essere utilizzato per finalità di carattere egoistico-individuale come surrogato dell'accesso documentale.
   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III QUATER, 01.02.2022 n. 1141
Il diritto di accesso civico generalizzato ai documenti amministrativi, oltre ad essere funzionale alla tutela giurisdizionale, consente ai cittadini di orientare i propri comportamenti sul piano sostanziale per curare o difendere i loro interessi giuridici, con la conseguenza che esso può essere esercitato in connessione a un interesse giuridicamente rilevante, anche quando non è ancora stato attivato un giudizio nel corso del quale potranno essere utilizzati gli atti così acquisiti, ovvero proprio al fine di valutare l'opportunità di una sua instaurazione.

2. I SOGGETTI LEGITTIMATI
   CONS. STATO, SEZ. IV, 18.01.2023 n. 621
L'accesso civico generalizzato è stato introdotto nell'ordinamento al fine di superare, se del caso, le restrizioni imposte dalla legittimazione all'accesso procedimentale e la cui fondatezza non viene meno per il fatto che il richiedente sia al contempo portatore di un interesse individuale alla conoscenza.
Nell'accesso civico l'interesse del richiedente non necessariamente deve essere altruistico o sociale, né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, purché non risulti pretestuoso o contrario a buona fede. Nell'accesso civico generalizzato la finalità è quella di garantire il controllo democratico sull'attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, il diritto fondamentale alla conoscenza, è protetto in sé, purché non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, queste ultime espresse dalle cosiddette eccezioni relative di cui al citato art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 33/2013.
Risulta, pertanto, che, anche nell'accesso civico generalizzato, l'interesse individuale alla conoscenza è protetto al pari di quello collettivo, con la conseguenza che, fuori dai casi marginali (istanze massive, vessatorie o emulative), non si può respingere un'istanza ostensiva civica generalizzata per il fatto che il richiedente ha anche un interesse personale alla conoscenza.
D'altra parte, l'istanza di accesso documentale ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all'una che all'altra forma di accesso.

   TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. IV, 26.01.2023 n. 592
Il nuovo accesso civico, introdotto nell'ordinamento ad opera dell'art. 6, d.lgs. 25.05.2016, n. 97, che ha novellato l'art. 5 del decreto trasparenza (d.lgs. 33/2013), è stato introdotto nell'ordinamento al fine di superare, se del caso, le restrizioni imposte dalla legittimazione all'accesso procedimentale e la cui fondatezza non viene meno per il fatto che il richiedente sia al contempo portatore di un interesse individuale alla conoscenza, posto che, nell'accesso civico, l'interesse del richiedente non necessariamente deve essere altruistico o sociale, né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, purché non risulti pretestuoso o contrario a buona fede.
   TAR CAMPANIA-SALERNO, SEZ. III, 03.07.2023 n. 1618
Non vi è motivo di diniego dell'ostensione se vi è coerenza dell'esigenza conoscitiva dei ricorrenti rispetto alle finalità alle quali è preordinata la previsione dello strumento dell'accesso civico generalizzato, segnatamente la sua strumentalità a favorire forme di controllo sull'utilizzo delle risorse pubbliche erogate.
   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III, 01.02.2022 n. 1141
L'accesso civico generalizzato, che può essere azionato da chiunque senza previa dimostrazione di un interesse personale, concreto e attuale, ha il mero scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale, in rapporto alle finalità esplicitate dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013, essendo funzionale ad un controllo diffuso dei cittadini, al fine di assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa e di favorire un preventivo contrasto alla corruzione.
   TAR PUGLIA–BARI, SEZ. I, 15.03.2022 n. 382
L'accesso civico generalizzato è stato introdotto nell'ordinamento al fine di superare, se del caso, le restrizioni imposte dalla legittimazione all'accesso procedimentale e la cui fondatezza non viene meno per il fatto che il richiedente sia al contempo portatore di un interesse individuale alla conoscenza; nell'accesso civico l'interesse del richiedente non necessariamente deve essere altruistico o sociale, né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, purché non risulti pretestuoso o contrario a buona fede.
   TAR LOMBARDIA–BRESCIA, SEZ. II, 14.02.2022 n. 136
Quando l'istanza di accesso civico generalizzato sia oggettivamente finalizzata alla tutela di un interesse generale, essa sarà ammissibile e tale resterà ancorché dal suo accoglimento possa derivare un'utilità anche per il richiedente, giacché il vantaggio personale di chi ha richiesto l'accesso non costituisce né un limite espresso all'accesso civico (art. 5-bis, d.lgs. n. 33/2013), né confligge con la sua ratio che prevede che l'accesso sia finalizzato a consentire il controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, senza vietare in alcun modo che, accanto a tale interesse generale, possa coesistere anche un interesse personale del richiedente, come avviene in talune situazioni.
Un settore ove tali interessi generali e individuali spesso coesistono è quello dell'accesso agli atti delle pratiche paesaggistiche ed edilizie dove, oltre all'interesse collettivo alla conoscenza degli atti di tutela del paesaggio e di governo del territorio, può sussistere contemporaneamente anche l'interesse del richiedente a conoscere le pratiche urbanistiche rilasciate nel suo territorio o nelle sue vicinanze.
Entrambi i citati interessi coesistenti sono espressione del fondamentale diritto alla conoscenza (art. 21 Cost. e art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013), funzionale al soddisfacimento di altri diritti della persona come quelli di formarsi un'opinione informata sulla qualità dell'operato della P.A., di esprimere le proprie valutazioni e di effettuare le proprie scelte consapevoli (art. 21 Cost.).

   TAR PIEMONTE, SEZ. II, 01.03.2021 n. 216
L'accesso civico generalizzato si configura come diritto di «chiunque», non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l'interesse alla conoscenza;
la formulazione della legge esprime la volontà del legislatore di superare quello che era e resta il limite connaturato all'accesso documentale che non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull'attività delle pubbliche amministrazioni;
si passa quindi da un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l'interesse pubblico alla trasparenza ad essere occasionalmente protetto a un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull'attività amministrativa;
si realizza così una sorta di «rivoluzione copernicana» fondata sul principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi e rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto, garantendo anche il buon funzionamento della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 97 Cost.


3. IL RAPPORTO TRA LE DIFFERENTI DISCIPLINE IN MATERIA DI ACCESSO
3.1. ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO E ACCESSO DOCUMENTALE
   CONS. STATO, ADUNANZA PLENARIA, 02.04.2020 n. 10
L'istanza di accesso documentale ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all'una che all'altra forma di accesso.
L’art. 5, comma 11, del d.lgs. n. 33 del 2013 ammette chiaramente il concorso tra le diverse forme di accesso, allorquando specifica che restano ferme, accanto all'accesso civico c.d. semplice (comma 1) e quello c.d. generalizzato (comma 2), anche le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 07.08.1990, n. 241.

   CONS. STATO, SEZ. IV, 02.02.2024 n. 1117
L’accesso civico generalizzato è azionabile da chiunque, senza previa dimostrazione di un interesse concreto e attuale in relazione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazioni in tal senso.
Il rapporto tra la disciplina dell’accesso documentale e quella dell’accesso civico generalizzato deve essere interpretato non già secondo un criterio di esclusione reciproca, quanto piuttosto di inclusione e completamento, finalizzato all’integrazione dei diversi regimi in modo che sia assicurata e garantita, pur nella diversità dei singoli regimi, la tutela preferenziale dell’interesse coinvolto che rifugge ex se dalla segregazione assoluta per materia delle singole discipline.

   CONS. STATO, SEZ. V, 03.02.2023 n. 1195
L'accesso civico generalizzato non è sottoposto a limiti quanto alla legittimazione soggettiva né a oneri di motivazione.
In particolare, non richiede la titolarità in capo all'istante di un interesse specifico, ciò che fa concludere che si tratta di una tipologia di accesso che non incontra il limite connaturale all'accesso documentale di cui alla L. n. 241 del 1990: questo, come noto, non può essere preordinato a un controllo generalizzato sull'attività delle pubbliche amministrazioni, restando strumentale alla protezione di un interesse individuale, laddove l'accesso civico generalizzato è finalizzato a garantire il controllo democratico sull'attività amministrativa.

   CONS. STATO, SEZ. III, 03.11.2022 n. 9567
Sussiste una differenza tra l'accesso ordinario e quello civico, ove si consideri che l'art. 22 della legge n. 241 del 1990 consente l'accesso ai documenti a chiunque vi abbia un interesse finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, mentre l'accesso civico generalizzato è riconosciuto e tutelato al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico può essere esercitato da chiunque (quanto alla legittimazione soggettiva) e senza alcun onere di motivazione circa l'interesse alla conoscenza.
L'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 ha inteso superare il limite del divieto del controllo generalizzato sull'attività delle pubbliche amministrazioni (e dei soggetti ad essa equiparati) previsto dallo strumento dell'accesso documentale come disciplinato dalla legge n. 241 del 1990.
Nell'accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come "accessibilità totale", si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull'attività amministrativa. (Riforma TAR Puglia-Bari, Sez. I, n. 36/2022.)

   CONS. STATO, SEZ. V, 02.03.2021 n. 1780
Il rapporto tra le discipline generali dell'accesso documentale e dell'accesso civico generalizzato non può essere unicamente ed astrattamente secondo un criterio di specialità e di esclusione reciproca, bensì deve avvenire attraverso un canone ermeneutico di completamento-inclusione finalizzato all’integrazione dei diversi regimi in modo che sia assicurata e garantita, pur nella diversità dei singoli regimi, la tutela preferenziale dell’interesse coinvolto che rifugge ex se dalla segregazione assoluta per materia delle singole discipline (così anche Cons. Stato, sez. IV, 20.04.2020, n. 2496).
   TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III, 07.03.2023 n. 589
Le forme di accesso previste dagli artt. 5 e 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 non hanno comportato il superamento delle forme di accesso agli atti amministrativi previste dalla L. n. 241 del 1990 ma ne hanno comportato un ampliamento: mentre l'accesso disciplinato da quest'ultima legge è assicurato per consentire al richiedente di soddisfare o tutelare una situazione giuridicamente tutelata e correlata al documento che si intende conoscere (need to know), e consente perciò un accesso più penetrante ma meno esteso, l'accesso civico e l'accesso civico generalizzato hanno la funzione di favorire la partecipazione dei privati alla funzione amministrativa indipendentemente dalla sussistenza di un loro particolare interesse correlato ad una situazione giuridicamente tutelata (right to know), e consente perciò un accesso più esteso ma meno penetrante assicurato solo ove non si superino i limiti indicati dal citato art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013.
Essendo le due forme di tutela complementari, la medesima istanza può essere proposta per farle valere entrambe.

   TAR ABRUZZO-PESCARA, SEZ. I, 05.01.2023 n. 17
In materia di accesso civico generalizzato, diversamente da quanto previsto dall'art. 25, comma 4, della L. n. 241 del 1990, una volta decorsi infruttuosamente trenta giorni dalla richiesta del privato -prescritti dall'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 2013- il silenzio serbato dalla P.A. sulla richiesta di accesso generalizzato non integra la formazione di un provvedimento tacito di diniego.
   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III, 01.02.2022 n. 1141
L’accesso civico generalizzato, introdotto nel nostro ordinamento dall'art. 6 del D.Lgs. n. 97/2016, si pone su un piano diverso rispetto all'accesso documentale di cui alla L. n. 241/1990, caratterizzato da un rapporto qualificato del richiedente con i documenti che si intendono conoscere, che deriva dalla titolarità, in capo al richiedente, di una posizione giuridica che l'ordinamento qualifica come tutelata.
   TRGA TRENTINO ALTO ADIGE–TRENTO, SEZ. I, 06.07.2021 n. 115
L’accesso civico generalizzato ex art. 5-bis, d.lgs. n. 33/2013 soddisfa un’esigenza di cittadinanza attiva, incentrata sui doveri inderogabili di solidarietà democratica, di controllo sul funzionamento dei pubblici poteri e di fedeltà alla Repubblica e non su libertà singolari, onde tale accesso non può mai essere egoistico.
Come tale, l’accesso civico non è utilizzabile come surrogato dell’accesso documentale ex art. 22, legge n. 241/1990, qualora si perdano o non vi siano i presupposti di quest’ultimo, perché serve ad un fine distinto, talvolta cumulabile, ma sempre inconfondibile, che, alla luce delle ragioni esplicitate nelle istanze di accesso e nel ricorso, non è riscontrabile nella fattispecie.

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. II, 11.03.2021 n. 2987

Deve escludersi che, in forza della disciplina in materia di c.d. accesso civico generalizzato, possa essere consentita l’ostensione ad atti e dati non accessibili neppure sulla base della disciplina ordinaria, essendo ampiamente nota la minore profondità che connota l'accesso civico generalizzato, stante l'assenza di una specifica legittimazione, oltre alla diversità delle tecniche di bilanciamento degli interessi applicabili.
Del resto, la previsione dell'art. 5-bis, comma 3, d.lgs. n. 33/2013, introdotto dal d.lgs. n. 97 del 2016, esclude il diritto di cui all'art. 5, comma 2, del medesimo testo normativo non solo nei casi di segreto di Stato, ma anche in tutti gli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, nei quali è da ricomprendere il segreto di cui all'art. 7 del T.U.B.

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. I, 07.12.2020 n. 13081
Vi è una coesistenza ordinamentale di tre modelli di accesso ai documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni (ed equiparati), ciascuno caratterizzato da propri presupposti, limiti ed eccezioni: l'accesso documentale ordinario degli artt. 22 e seg. della legge. 07.08.1990, n. 241; l'accesso civico ai documenti oggetto di pubblicazione, già regolato dal d.lgs. 14.03.2013, n. 33; l'accesso civico generalizzato, introdotto dalle modifiche apportate a quest'ultimo impianto normativo dal d.lgs. 25.05.2016, n. 97 (cfr., per le differenze tra i vari tipi di accesso, tra le altre Cons. Stato, Sez. IV, 12.08.2016, n. 3631 e, più di recente, id., Sez. V, 20.03.2019, n. 1817).
Tali istituti sono pari ordinati e, nei rapporti reciproci, ciascuno opera nel proprio ambito, senza assorbimenti dell'una fattispecie in un'altra e senza abrogazioni tacite o implicite da parte della disposizione successiva nel tempo.
L'accesso civico cd. "generalizzato", azionabile da "chiunque", senza previa dimostrazione della sussistenza di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazione in tal senso della richiesta, ha il solo scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall'art.5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013.
In questo caso la trasparenza è considerata un mezzo per favorire un controllo diffuso del rispetto della legalità dell'azione amministrativa. Pertanto, la disciplina dell'accesso generalizzato non reca prescrizioni puntuali quanto alla sottrazione all'accesso, ma individua categorie di interessi, pubblici (art. 5-bis, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013) e privati (art. 5-bis, comma 2, id.) in presenza dei quali il diritto di accesso può a priori essere negato (fermi comunque i casi di divieto assoluto, ex art. 5-bis, comma 3) e rinvia a un atto amministrativo non vincolante (le linee guida ANAC) per ulteriormente precisare l'ambito operativo dei limiti e delle esclusioni dell'accesso civico generalizzato (Cons. Stato, Sez. V, 06.04.2020, n. 2309).
L'interesse alla riservatezza di una Società i cui atti siano stati oggetto di una richiesta di accesso generalizzato non rientra in nessuno dei casi di esclusione e limiti all'accesso civico, contenuta nell'art. 5-bis, del d.lgs. n. 33/2013, il quale fa riferimento, invece, alle sole esigenze di tutela di «interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali».


3.2. LA RIQUALIFICAZIONE DELL’ISTANZA ED IL DIALOGO COOPERATIVO
   CONS. STATO, SEZ. III, 15.07.2022 n. 6031
Qualora la richiesta di accesso sia formulata in modo alternativo, la pubblica amministrazione, accertata l'inesistenza di un interesse qualificato ai sensi dell'art. 22 della L. n. 241/1990, è tenuta a verificare le condizioni dell'accesso civico generalizzato di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013.
   CONS. STATO, SEZ. V, 10.03.2021 n. 2050
L'Amministrazione Pubblica ha il potere-dovere di esaminare l'istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo, senza riferimenti ad una specifica disciplina, anche alla stregua della normativa dell'accesso civico generalizzato, ad eccezione del caso in cui l'interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell'accesso documentale.
   TAR TOSCANA, SEZ. III, 06.12.2021 n. 1620
All’accesso cosiddetto documentale disciplinato dalla legge n. 241/1990 si affianca oggi l’accesso “civico”, semplice o generalizzato, introdotto nell'ordinamento dalla legge n. 190/2012 e dal d.lgs. n. 33/2013, che, all'art. 5 co. 11, prevede la coesistenza e la concorrenza delle differenti forme di accesso;
Pertanto, a fronte di un'istanza ostensiva la quale non faccia riferimento in modo specifico e circostanziato alla disciplina dell'accesso procedimentale o a quella dell'accesso civico, ma sia formulata in modo indistinto, ovvero non consenta di ritenere che il richiedente abbia inteso limitare il proprio interesse all'uno o all’altro, l’amministrazione ha il dovere di rispondere, in modo motivato, sulla sussistenza o meno dei presupposti per consentire l'accesso ai sensi di entrambe le discipline.

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. I, 01.02.2021 n. 1304
Se è vero che l'accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, la P.A., nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l'istanza nel suo complesso, nel suo "anelito ostensivo", evitando inutili formalismi e aspetti procedimentali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame, atteso che -con riferimento al dato procedimentale- in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell'esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l'accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione.

4. LIMITI PROCEDURALI - ISTANZE GENERICHE, MASSIVE O ECCESSIVAMENTE ONEROSE E DIVIETO DI ELABORAZIONE DEI DATI
   CONS. STATO, SEZ. II, 21.09.2023 n. 8447
Non sono ammissibili istanze di accesso generiche, vaghe, tali cioè da non consentire l'identificazione del documento accessibile, e tanto meno istanze generalizzate ad una pluralità di documenti tale da costituire un accesso "generalizzato" e dunque una forma di non consentito controllo sull'attività amministrativa, allo stesso modo l'amministrazione non può opporre, ai fini del diniego, generiche difficoltà di identificazione e reperimento del documento richiesto, laddove l'istante abbia fornito elementi di identificazione del medesimo ovvero di sua piana identificabilità.
   CONS. STATO, SEZ. V, 05.12.2022 n. 10628
In tema di accesso alle informazioni in possesso dalle Pubbliche Amministrazioni, sebbene il legislatore non chieda di motivare formalmente la richiesta di accesso generalizzato, rimane sempre necessario determinare l'oggetto della richiesta di accesso, essendo onere dell'interessato indicare in modo puntuale la documentazione di cui chiede l'ostensione, pena la genericità della richiesta e, di conseguenza, la sua inammissibilità.
   CONS. STATO, SEZ. III, 16.02.2021 n. 1426
Può essere respinta la richiesta di accesso civico generalizzato, nel caso in cui sia manifestamente onerosa o sproporzionata e comporti, quindi, un carico irragionevole di lavoro, tale da interferire con il buon andamento dell'Amministrazione (così anche Cons. Stato, n. 6220/2021).
In materia di accesso civico generalizzato le richieste massive uniche contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi possono essere rifiutate dall'amministrazione pubblica cui sono rivolte.

   CONS. STATO, SEZ. VI, 22.06.2020 n. 3981
L'accesso agli atti amministrativi deve avere ad oggetto documentazione specifica in possesso dell'amministrazione pubblica non potendo lo stesso riguardare dati ed informazioni che per essere forniti richiedono un'attività di indagine e di elaborazione da parte della stessa con la conseguenza che l'oggetto dell'accesso va circoscritto mediante la puntuale indicazione di atti determinati non potendo la relativa istanza avere un contenuto esplorativo, diretta cioè a conoscere qualsiasi provvedimento formato o detenuto dall'amministrazione, ove eventualmente esistente, e riferito ad un determinato procedimento.
Lo strumento dell’accesso non può essere “strumentalizzato” per la ricerca di informazioni o per ottenere la spiegazione della valutazione effettuata, ovvero, in sostanza, per ottenere la “motivazione” di un dato risultato o di una specifica scelta. Questi ultimi aspetti attengono invero al processo valutativo della decisione e la loro mancata esternazione è suscettibile di rilevare, in ipotesi, sul piano del controllo di legittimità del provvedimento finale, ma non può essere ontologicamente oggetto di accesso, che presuppone, anche nella sua moderna accezione, un elemento acquisito, o formato dalla stessa amministrazione.
Non è pertanto configurabile un accesso ad atti che ancora non sono neppure tali, in quanto non ancora formati, poiché si tratterebbe di imporre all’amministrazione un (inammissibile) sforzo di elaborazione, che altrimenti, nell’ambito della propria attività, non sarebbe tenuta ad effettuare.

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. V, 05.04.2023 n. 5801
Il diritto di accesso civico generalizzato è finalizzato a garantire, con il diritto all'informazione, il buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) e non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.).
E' possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi (conforme TAR Veneto Sez. III, 17/07/2023, n. 1056).

   TAR PIEMONTE, SEZ. II, 30.01.2023 n. 116
In tema di accesso civico generalizzato le richieste massive uniche contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi possono essere rifiutate dall'amministrazione pubblica cui sono rivolte.
In presenza di istanze di tale tipologia, comunque, prima di rigettare l'istanza l'ente pubblico deve prima instaurare un dialogo cooperativo con l'istante, finalizzato a ridefinire l'oggetto della domanda entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità.

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III, 26.09.2022 n. 12210
Il diritto di accesso civico generalizzato, se ha un'impronta essenzialmente personalistica, quale esercizio di un diritto fondamentale, conserva una connotazione solidaristica, nel senso che l'apertura della pubblica amministrazione alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di affidabile provenienza pubblica per informare correttamente i cittadini, con la conseguenza che il suddetto accesso, in quanto finalizzato a garantire, con il diritto all'informazione, il buon andamento dell'amministrazione, non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto.
   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III-QUATER, 06.07.2022 n. 9258
L'istanza di accesso deve attenere a documentazione già formata dalla pubblica amministrazione destinataria dell'istanza: questa, invero, pone in capo all'Amministrazione un mero dovere di dare (ossia di rendere conoscibile un quid già precostituito), non anche un preliminare dovere di facere (ossia di confezionare una documentazione prima inesistente) (cfr. Cons. Stato n. 8333/2021).
L’istanza deve essere, inoltre, rigettata quando risulta massiva ossia volta ad acquisire documentazione e dati che interessano un lungo arco temporale.
Nel caso di specie, l’accoglimento dell’istanza avrebbe richiesto un’attività di elaborazione dati molto complessa atteso che la p.a. avrebbe dapprima dovuto individuare i documenti contenenti i dati richiesti, poi elaborare la mole di informazioni richieste (vaccinati e non vaccinati, ingressi al Pronto Soccorso, diverse patologie riscontrate per eventuali effetti avversi, ecc.), quindi suddividere le stesse per categorie (fasce di età, tipologie di vaccini inoculati, suddivisione per patologie, ecc.), individuare eventuali "controinteressati" (che potrebbero risultare nei documenti contenenti i dati richiesti ed avviare con essi un'interlocuzione procedimentale al fine di acquisirne la posizione in merito all'ostensione degli atti richiesti, come previsto dall'art. 5, comma 5, d.lgs. n. 33 del 2013), infine oscurare i dati personali che avrebbero potuto ricondurre -direttamente o indirettamente- alla persona a cui si riferiscono, in ossequio a quanto disposto dall'art. 9 del Regolamento 2016/679/UE e dall'art. 2-septies del d.lgs. n. 196 del 2003, secondo cui i dati relativi alla salute devono essere trattati in conformità alle misure di garanzia disposte dal Garante della Privacy (cifratura, pseudonomizzazione, ecc.).

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III, 04.01.2022 n. 25
Dal momento che la richiesta di accesso civico generalizzato riguarda i dati e i documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, resta escluso che -per rispondere a tale richiesta- l'Amministrazione sia tenuta a formare o raccogliere o altrimenti procurarsi informazioni che non siano già in suo possesso.
Pertanto, l'Amministrazione non ha l'obbligo di rielaborare i dati ai fini dell'accesso generalizzato, ma solo di consentire l'accesso ai documenti nei quali siano contenute le informazioni già detenute e gestite dall'Amministrazione stessa.

   TAR LOMBARDIA–BRESCIA, SEZ. II, 03.12.2021 n. 1015
L'Amministrazione non è tenuta, nel caso di istanze di accesso manifestamente onerose, a effettuare un'attività di elaborazione dei dati o documenti richiesti, non essendo previsto un obbligo in tal senso nella normativa vigente.
La ricerca e l'individuazione di tutti gli atti che hanno comportato un impegno di spesa anche solo parzialmente sostenuto con i fondi per interventi di sostegno di carattere economico e sociale connessi con l'emergenza sanitaria da Covid 19, oggetto dell'istanza di accesso civico generalizzato, comporterebbe un'attività di rielaborazione dell'attività svolta integrante un onere aggiuntivo cui l'Amministrazione non è tenuta per soddisfare l'accesso generalizzato.

   TAR UMBRIA, SEZ. I, 06.04.2021 n. 221
Una istanza di accesso agli atti nella quale non siano stati indicati con precisione i documenti o gli atti in ordine ai quali chieda l'accesso, ma che comunque fornisca all'amministrazione gli elementi per l'individuazione sufficientemente precisa del procedimento amministrativo in cui rintracciare gli atti oggetto dell'istanza, è idonea a far sorgere nell'amministrazione intimata il dovere di provvedere esplicitamente sull'istanza di accesso.
In altre parole non è richiesto che l'oggetto dell'istanza ostensiva sia puntualmente determinato ma è sufficiente che esso sia determinabile, incombendo sull'Amministrazione un dovere di collaborazione con il soggetto istante, nel quadro di un ordinamento sempre più caratterizzato da esigenze di trasparenza dell'attività autoritativa per finalità di prevenzione della corruzione, tanto dall'aver persino indotto il legislatore mediante il d.lgs. n. 33 del 2013 e s.m.i. ad introdurre forme di accesso a legittimazione diffusa (c.d. diritto di accesso civico) e persino preordinate ad un controllo "generalizzato".

   TAR PUGLIA–BARI, SEZ. III, 19.02.2018 n. 234
È illegittimo il diniego alla istanza massiva di accesso civico generalizzato ogni volta in cui l'Ente ritenga irragionevole la richiesta senza aver prima instaurato un dialogo cooperativo con l'istante, finalizzato a ridefinire l'oggetto della domanda entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità.

5. ESCLUSIONI E LIMITI ALL’ACCESSO CIVICO: LE ECCEZIONI ASSOLUTE E RELATIVE
   CONS. STATO, SEZ. IV, 23.11.2023 n. 1117
La regola della generale accessibilità di cui all’accesso civico generalizzato è temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla diffusione generalizzata di talune informazioni. Tali eccezioni, previste dall'art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, sono state classificate in “assolute” e in “relative” e al loro ricorrere le Amministrazioni devono (nel primo caso) o possono (nel secondo) rifiutare l'accesso.
Nel caso delle eccezioni relative, nelle Linee guida ANAC, adottate con deliberazione n. 1309 del 28.12.2016 (recanti le indicazioni operative e le esclusioni e i limiti all'accesso civico generalizzato), è stato chiarito che il legislatore non opera, come nel caso delle eccezioni assolute, una generale e preventiva individuazione di esclusioni all'accesso generalizzato, ma rinvia ad una attività valutativa che deve essere effettuata dalle Amministrazioni con la tecnica del bilanciamento, caso per caso, tra l'interesse pubblico alla disclosure generalizzata e la tutela di altrettanti validi interessi presi in considerazione dall'ordinamento.
L'Amministrazione deve pertanto verificare, una volta accertata l'assenza di eccezioni assolute, se l'ostensione degli atti possa comunque determinare un pericolo di concreto pregiudizio agli interessi indicati dal Legislatore (cfr. anche Cons. Stato, Sez. III, 10/02/2022, n. 990).

   CONS. STATO, SEZ. IV, 16.11.2023 n. 9849
L’accesso civico generalizzato si traduce nel diritto della persona a ricercare informazioni nonché a conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni, al fine di rendere possibile quel controllo democratico che l’istituto intendere perseguire.
Non occorre verificare la legittimazione dell’accedente né è necessario che la richiesta di accesso sia supportata da idonea motivazione, dal momento che chiunque può visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria.
L’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale, non altrimenti limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge.
L’amministrazione può negare la divulgazione dei documenti richiesti ove tale misura limitativa risulti necessaria per evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati legalmente contemplati.
L’amministrazione vieta, invece, l’accesso civico generalizzato, nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
L’accesso civico generalizzato, pur consentendo l’ostensione dei documenti richiesti a prescindere dalla dimostrazione di un interesse diretto, concreto e attuale, incontra un limite non superabile nelle cause ostative enucleate dall’articolo 5-bis, d.lgs. 14.03.2013, n. 33.
Viceversa, le norme sull’accesso esoprocedimentale esigono la titolarità di una situazione giuridica legittimante, ma sanciscono la prevalenza dell’interesse conoscitivo difensivo nel conflitto con le contrastanti esigenze di riservatezza.

   CONS. STATO, SEZ. V, 05.12.2022 n. 10628
La regola dell'accessibilità alle informazioni possedute dalle P.A., è temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati, che possono subire un pregiudizio dalla diffusione generalizzata di talune informazioni.
Tali eccezioni, previste dall'art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, sono classificate in assolute -individuate all'art. 5-bis, comma 3 (segreto di stato e altri casi di divieti di accesso o divulgazioni previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'art. 24, comma 1, L. n. 241 del 1990), e relative- previste ai commi 1 e 2 del medesimo articolo (la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive; la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; la libertà e la segretezza della corrispondenza; gli interessi economici e commerciali di persona fisica o giuridica ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali).

   TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. VI, 06.07.2023 n. 4061
La regola generale è quella dell'accesso agli atti, "principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza" (art. 22, comma 2, l. 241/1990; cfr., art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013), afferente a livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali "di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione" (art. 29, comma 2-bis, l. 241/1990).
Tale regola generale non trova applicazione in alcune ipotesi espressamente contemplate dalla legge: "Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6" (art. 22, comma 3, l. 241/1990).
L'art. 24 l. 241/1990, rubricato "esclusione dal diritto d'accesso" espressamente individua talune ipotesi eccettuative all'applicazione della generale disciplina in tema di accesso (es.: segreto di Stato ovvero altre ipotesi di segreto previste ex lege, documenti prodromici ad atti normativi, di pianificazione o di regolazione, o afferenti a procedimenti tributari) ovvero demanda alla normazione secondaria la individuazione di categorie di documenti in cui l'interesse alla conoscenza viene sacrificato sull'altare di interessi reputati di rango superiore ovvero di carattere preminente (difesa nazionale, politica monetaria, sovranità nazionale, prevenzione repressione della criminalità, riservatezza).

   TAR MARCHE, SEZ. I, 24.10.2022 n. 614
In tema di diniego all'accesso civico, la p.a. non può limitarsi a prefigurare il rischio di un pregiudizio in via generica e astratta, ma deve indicare chiaramente quale, tra gli interessi elencati all'art. 5-bis, co. 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013 viene pregiudicato, valutare se il pregiudizio concreto prefigurato dipende direttamente dalla disclosure dell'informazione richiesta e, infine, valutare se il pregiudizio conseguente alla disclosure è un evento altamente probabile, e non soltanto possibile.
La valutazione del pregiudizio degli interessi ostativi all'accesso deve altresì avvenire in concreto.


5.1. L’INDEROGABILITÀ DELLE ECCEZIONI ASSOLUTE
   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. I, 22.02.2021 n. 2147
È legittimo il provvedimento con cui la Banca d’Italia ha respinto una richiesta di accesso agli atti degli accertamenti, delle ispezioni, delle istruttorie e delle relative risultanze eseguite ai sensi degli artt. 51, 53, 53-bis, 54 e ss., 67-ter, 68, d.lgs. n. 385/1993 (TUB).
Trovano applicazione le eccezioni assolute di cui al comma 3, art. 5-bis, del d.lgs. n. 33/2013 e, in particolare, il segreto speciale sancito dall’art. 7 del TUB, secondo cui “tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d'Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d'ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, a eccezione del Ministro dell'economia e delle finanze, Presidente del CICR”.
Tali limiti assoluti, come stabilito nelle Linee Guida ANAC n. 1309/2016 nonché dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/2020, risultano non derogabili dall’amministrazione, che ha il dovere di rigettare la richiesta senza la possibilità di valutare discrezionalmente, come accade invece per le eccezioni relative, se l’accesso sia idoneo a cagionare un pregiudizio a determinati interessi indicati dal legislatore.


5.2 LE ECCEZIONI RELATIVE EX ART. 5-BIS, COMMA 1, DEL D.LGS. N. 33/2013
   CONS. STATO, SEZ. III, 18.10.2022 n. 8844 - ACCORDI INTERNAZIONALI DI COOPERAZIONE
L’appellante ha presentato istanza di accesso civico, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, ai testi dell'accordo internazionale di cooperazione concluso tra Italia e Gambia il 29.07.2010 e del Memorandum of understanding sottoscritto a Roma il 06.06.2015, così come modificato il 26.10.2017, ritenendoli, in quanto accordi internazionali, soggetti all’obbligo di pubblicazione previsto dall'art. 4 della legge 11.12.1984, n. 839.
La Corte sul punto ha statuito, sulla base dei riportati elementi di contenuto ed in applicazione dei principi enunciati con la sentenza parziale n. 4735/2022, tali documenti, a prescindere dal loro nomen juris, siano qualificabili come 'intese tecniche' non vincolanti sul piano internazionale e non produttive di obblighi, sottoscritte non dagli Stati e per loro da soggetti investiti dei relativi poteri rappresentativi, ma da articolazioni interne delle rispettive amministrazioni.
In ragione della loro natura, esse rientrano nell'ipotesi dell'accesso generalizzato, previsto per gli atti che non obbligatoriamente devono essere oggetto di pubblicazione.
Per esse vale, quindi, il limite di ostensione previsto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 33 del 2013, per il quale rileva in senso ostativo l'esigenza di evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti -tra l'altro- alla sicurezza pubblica e all'ordine pubblico.
Questa conclusione è anche in linea con l'art. 2, comma 1, lettera d), del D.M. 16.03.2022, con il quale il Ministro dell'Interno ha elencato le categorie di documenti sottratti all'accesso per motivi attinenti alla sicurezza, che si è riferito a "i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo ... o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecniche-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell'immigrazione".

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. I-BIS, 01.02.2023 n. 1779
L'art. 5, comma 2, del d.lgs. 33/2013 consente, quindi, ai cittadini di accedere a dati e documenti (detenuti dalle Amministrazioni) "ulteriori" rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, ma pur sempre nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati individuati all'art. 5-bis del decreto, limiti che nella specie sono stati individuati, in modo chiaro, nel provvedimento impugnato, mediante il testuale riferimento al Decreto del Ministero dell'Interno datato 16/03/2022 il quale, nell'elencare le categorie di documenti sottratti all'accesso per i motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera all'art. 2, comma 1, lett. d), "i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell'immigrazione".
I limiti che l'ordinamento prevede all'esercizio del diritto di accesso civico generalizzato sono di due categorie: i) eccezioni relative (art. 5-bis, comma 1 e comma 2, D.lgs. n. 33 del 2013); ii) eccezioni assolute (art. 5-bis, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013).
In presenza di una ipotesi di eccezione relativa è quindi rimesso all'Amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti, bilanciamento da svolgersi in concreto tra l'interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all'interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri del cd. harm test (o test del danno: dove si preserva l'interesse antagonista senza sacrificare del tutto l'esigenza di conoscibilità, anche parziale, nell'interesse pubblico) o del c.d. "public interest test" o "public interest override", dove occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l'interesse-limite contrapposto.
Viceversa nelle ipotesi delle eccezioni assolute (in cui rientrano ad esempio i "casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge" e i casi di cui all'art. 24, comma 1, L. n. 241 del 1990) il legislatore ha operato, a monte, una valutazione assiologica di determinati interessi ritenuti degni di protezione massima e pertanto li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa dei dati, delle informazioni e dei documenti amministrativi.

   CONS. STATO, SEZ. III, 10.06.2022 n. 4735 - SENTENZA NON DEFINITIVA SULLA NATURA DEGLI ACCORDI DI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE - G.C. c. Ministero dell'Interno
La Corte ha formulato una serie di propedeutiche enunciazioni di principio intese a chiarire che, in materia di accesso civico semplice, ciò che rileva ai fini dell'obbligo di pubblicazione degli accordi internazionali, compresi quelli in forma semplificata, non è la loro natura amministrativa o politica, quanto piuttosto l'assunzione, da parte dello Stato italiano, di impegni nei confronti di uno Stato estero.
Ne consegue che, poiché gli accordi aventi ad oggetto la politica migratoria, il controllo delle frontiere e la lotta alla criminalità organizzata normalmente vengono adottati dagli organi del potere esecutivo comunemente riconosciuti come autorizzati ad impegnare lo Stato italiano nelle relazioni con i paesi esteri, ovvero da soggetti "plenipotenziari", a tanto autorizzati dai primi o dal Governo e dal momento che il Memorandum of understanding sottoscritto tra Italia e Ghana a Roma il 06.06.2015, così come modificato il 26.10.2017, prevede specifici obblighi a carico dei Paesi contraenti, ricorre la legittimazione soggettiva alla proposizione dell'istanza di accesso civico in capo all'avvocato che difende cittadini gambiani trattenuti presso i centri di rimpatrio e che, in forza dell'accordo di cui chiede l'accesso, sarebbero trattenuti con priorità rispetto ad altri, alla luce del disposto di cui all'art. 14, comma 1, del d.lgs.n. 286 del 1998.
Ove, dunque, il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale chiariscano che i suddetti accordi sono stati sottoscritti da essi o da soggetti a tanto autorizzati dai primi o dal Governo e contengono impegni dello Stato italiano, il diritto all'accesso civico dovrà essere riconosciuto.
Ove si ravvisi l'obbligo di pubblicazione ai sensi degli artt. 1 e 4 della legge n. 839 del 1984, il suo inadempimento comporta che gli accordi internazionali (nel caso di specie, gli accordi internazionali di cooperazione conclusi tra Italia e Gambia) possano essere oggetto di accesso civico semplice, poiché l'art. 5, co. 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, attribuisce a chiunque il diritto di accedere ai documenti, alle informazioni o ai dati oggetto di pubblicazione obbligatoria "ai sensi della normativa vigente" e non solo, quindi, in forza degli obblighi specificamente posti dal d.lgs. n. 33 del 2013.
L'attrazione degli accordi in questione all'ambito di operatività dell'accesso civico semplice comporta, altresì, che non possono rilevare le cause di esclusione indicate dall'art. 5-bis del medesimo decreto legislativo, perché esso, ai co. 1, 2 e 3, espressamente delimita la sua operatività in relazione al solo accesso civico generalizzato di cui all'art. 5, co. 2, avente ad oggetto gli atti diversi da quelli per cui il legislatore ha dettato la regola della necessaria pubblicità.

   CONS. STATO, SEZ. III, 12.04.2022 n. 2722 – ATTI DI PIANIFICAZIONE E UTILIZZO STRATEGICO DELLE FORZE DELL’ORDINE - Parti: Ministero dell’Interno c. D.M
L’appellata, in qualità di giornalista dell'Agenzia di Stampa AGI, in data 29.09.2020 ha chiesto all’amministrazione dell’Interno di poter accedere agli atti inerenti all’impiego ed il ritiro dei militari avvenuto, nel periodo 5-08.03.2020, nell’area territoriale dei Comuni di Nembro e di Alzano Lombardo come misura attuativa del piano governativo di contenimento della propagazione del virus Covid-19.
Il Tar Lazio, alla cui cognizione è stata portata l’impugnativa dell’atto di diniego -una volta inquadrata la materia nell’ambito dell’accesso civico generalizzato e dopo aver ritenuto doversi valutare la sola sussistenza delle esclusioni previste dall’art. 5 bis del d.lgs. n. 33 del 2013, attraverso un bilanciamento svolto in concreto, finalizzato cioè a verificare la reale sussistenza di un pregiudizio agli interessi indicati dallo stesso legislatore- ha concluso che una valutazione degli interessi a rischio di pregiudizio nel caso specifico non fosse stata adeguatamente resa da parte dell’amministrazione, essendosi questa limitata ad un mero e astratto richiamo ai possibili fattori ostativi, privo di spiegazioni puntuali e calate nel caso concreto.
In sede di appello, invece, il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza ritenendo rilevanti ed apprezzabili le esigenze di riservatezza meglio esplicitate dall’amministrazione in relazione alla portata degli atti di pianificazione che verrebbero ostesi e della correlazione strategica che essi sottendono tra le attività di controllo del territorio e quelle di "contrasto al crimine e di tutela della sicurezza pubblica" ed, infine, dalla particolare delicatezza di alcune di queste specifiche funzioni, in particolare di quelle di "contrasto del Terrorismo".
In materia di accesso agli atti amministrativi, infatti, l'accesso civico generalizzato di cui all'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 deve essere rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a: a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento.

   CONS. STATO, SEZ. III, 18.03.2022 n. 1989 – FONDI FIDUCIARI DELL’UE PER L’AFRICA - Parti: S.C. c. Ministero dell’Interno e altri
L’appellante, giornalista freelance interessata ai fenomeni connessi alle migrazioni forzate, aveva presentato una istanza volta ad ottenere documenti ed informazioni inerenti l’attuazione del programma IBM, finanziato dal Fondo Fiduciario dell’UE per l’Africa e volto ad “intensificare le attività a sostegno delle guardie di frontiera e costiera libiche per migliorarne la capacità di gestire efficacemente le frontiere del paese”.
Il Consiglio di Stato adito ha respinto l’appello ritenendo condivisibili le argomentazioni addotte dalle amministrazioni resistenti e dal RPCT in sede di riesame secondo cui la documentazione inerente i fondi fiduciari dell’Unione Europea stanziati per il continente Africano, costituiscono atti finalizzati alle relazioni internazionali, la cui ostensione può essere causa di tangibili pregiudizi alle relazioni che l’Italia intrattiene con Paesi Terzi.
La non ostensibilità di tali documenti si desume dalle previsioni di cui all’art. 5-bis, comma 1, lett. a) e d), d.lgs. n. 33/2013, in combinato disposto con l’art. 24, comma 1, legge n. 241/1990 e con gli artt. 2, comma 1, lett. a), b) e 3, comma 1, lett. a) e d), D.M. n. 415/1994.
Da un lato, il contenuto del progetto –le cui attività mirano alla fornitura di mezzi di trasporto, comunicazione ed equipaggiamento– e il coinvolgimento di uno Stato estero rendono applicabili i limiti di cui all’art. 5-bis, comma 1, venendo in evidenza possibili pregiudizi concreti alla sicurezza ed all’ordine pubblico nonché alle relazioni internazionali.
Dall’altro, vengono in rilevo le preclusioni di cui al D.M. n. 415/1994, il quale sottrae all’accesso la “documentazione relativa agli accordi intergovernativi stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia”, le “dichiarazioni di riservatezza e relativi atti istruttori dei documenti archivistici concernenti la politica estera o interna”, le “relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposto per l’adozione degli atti o provvedimenti dell'autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all'attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità”, nonché gli “atti e documenti concernenti l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi di polizia, ivi compresi quelli relativi all’addestramento, all’impiego e dalla mobilità del personale delle Forze di polizia”.
L'appellante chiedeva, inoltre, se vi fossero altri documenti in possesso dei Ministeri resistenti ed in particolare del Ministero dell'Interno, a cui sia stato illegittimamente negato l'accesso. Anche tale censura è stata ritenuta infondata, in quanto è "noto che i documenti sono ostensibili solo se esistenti, non potendosi predicare l'esibizione di atti che non risultano formati" (Cons. St., sez. III, 10.02.2022, n. 990).
L'appellante non ha dimostrato che vi siano documenti ulteriori, al di là di quelli che espone essere stati pubblicati o comunque non resi conoscibili, e pertanto la censura non può trovare accoglimento se e nella misura in cui essa si fonda su una mera asserzione congetturale, a fondamento della quale non può essere accolta, evidentemente, una istanza di accesso del tutto generica, avente ad oggetto documenti della cui esistenza, prima ancora che determinatezza, la stessa parte interessata non appare certa, esprimendosi su di essa in una forma del tutto eventuale e dubitativa, a fronte, peraltro, della dichiarazione, da parte dell'autorità amministrativa, che non vi sarebbero ulteriori documenti.
Né il giudice può ordinare un accesso meramente esplorativo, al fine di verificare se detti documenti esistano o meno, in quanto la funzione dell'accesso civico generalizzato, come ha chiarito l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 10 del 02.04.2020, è rispondere ad un fondamentale desiderio di conoscenza circa documenti o dati, da parte del cittadino, nella prospettiva di assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico e non quella, surrettizia, di svolgere una investigazione, di stampo inquisitorio o ispettivo, sulla base di mere ipotesi o congetture accertabili in sede di giurisdizione contabile o penale.

   CONS. STATO, SEZ. III, 02.09.2019 n. 6028 – MEMORANDUM DI INTESA ITALIA/LIBIA - Parti: S.F. c. Ministero dell’Interno
E' legittimo il diniego inerente alla richiesta di accesso civico agli atti concernenti lo stato di attuazione del Memorandum d'Intesa Italia - Libia sottoscritto in data 02.02.2017 in quanto che la diffusione e pubblicazione degli atti di cooperazione espletata in esecuzione di impegni internazionali, pertinenti ad attività dell'amministrazione della pubblica sicurezza, sarebbe suscettibile di ingenerare concretamente situazioni pregiudizievoli in grado di vanificare le misure preventive poste in essere a tutela dell'insieme delle azioni portate avanti. (Conferma TAR Lazio Sez. I, n. 8892/2018).
Sul punto, rileva inoltre il D.M. n. 415 del 1994 che sottrae all'accesso, tra l'altro, la "documentazione relativa agli accordi intergovernativi stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia" (art. 2, comma 1, lettera a), le "relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposto per l'adozione degli atti o provvedimenti dell'autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all'attività di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per disposizione di legge o di regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità" (art. 3, comma 1, lettera a), e gli "atti e documenti concernenti l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi di polizia, ivi compresi quelli relativi all'addestramento, all'impiego ed alla mobilità del personale delle Forze di polizia, nonché i documenti sulla condotta dell'impiegato rilevanti ai fini di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e quelli relativi ai contingenti delle Forze armate poste a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza" (art. 3, comma 1, lettera d).

   CONS. STATO, SEZ. III, 03.03.2022 n. 1522 – ATTIVITÀ ISPETTIVE
Openpolis, fondazione indipendente e senza scopo di lucro, presentava un’istanza di accesso civico semplice e generalizzato al Ministero dell’Interno per ottenere dati relativi al monitoraggio e controllo dei centri accoglienza per richiedenti asilo.
In primo grado il diniego, motivato dall’amministrazione con il richiamo al decreto del Ministero dell’Interno n. 415/1994, veniva ritenuto legittimo.
Il Consiglio di Stato, diversamente, ha accolto l’appello della Fondazione riformando così la sentenza di accoglimento di primo grado. Applicando la normativa primaria e le Linee Guida n. 1309/2016, ad avviso del giudice di secondo grado deve essere accolta l’istanza della Fondazione di ostensione dei documenti, con esclusione di quelli relativi ad attività ispettive ancora in atto se, a giudizio dell’amministrazione, il rilascio possa vanificare gli esiti dell’ispezione, nonché quelli relativi ad ispezioni sfociate in indagini penali.
La conclusione cui giunge il Consiglio di Stato muove dall’assunto che, nell’attuale contesto ordinamentale, l’accessibilità è la regola e i limiti alla stessa le eccezioni.
Tra queste ultime quella delle attività ispettive, peraltro, è relativa (non assoluta) e, come tale, presuppone un’attività valutativa da effettuare con la tecnica del bilanciamento, caso per caso, tra l’interesse alla disclosure e altri validi interessi indicati dal legislatore e con il ricorso, ove possibile, al differimento dell’accesso.

   CONS. STATO, SEZ. V, 15.06.2021 n. 4644 – ATTI ACQUISITI NELL’AMBITO DI PROCEDIMENTI PENALI E ATTIVITÀ ISPETTIVA
L’ostensione dei documenti non può riguardare gli atti acquisiti nell’ambito dei procedimenti penali o di procedimenti amministrativi di tipo ispettivo.
L’accesso è stato correttamente consentito solo con riferimento alla documentazione tecnica non più rilevante nei procedimenti penali o amministrativi, con le precauzioni di oscuramento volte a tutelare eventuali segreti industriali e commerciali.
Tali precauzioni sono necessarie in relazione alla qualifica di infrastruttura strategica, per la quale la tutela anche rispetto al rischio terroristico legittima più stringenti limiti all’accesso generalizzato.
Entro tali limiti, indicati nel provvedimento di riesame, l’accesso è consentito, in conseguenza di un corretto e proporzionato bilanciamento tra gli interessi in conflitto.

   CONS. STATO, SEZ. IV, 20.04.2020 n. 2496 - ATTI E INFORMAZIONI ATTINENTI ALL’ORGANIZZAZIONE DEL PERSONALE E DELLE RISORSE UMANE
Escludere dall'accesso generalizzato, oltre che da quello cd. semplice, la documentazione suscettibile di rivelare gli aspetti organizzativi -nell'ambito dei quali è essenziale la componente delle risorse umane- costituenti i punti di forza o di debolezza dell'organizzazione delle funzioni pubbliche tutelate, è coerente con l'obiettivo di evitare che la conoscenza di tali informazioni venga utilizzata per mettere in pericolo le funzioni primarie dello Stato.
E tale obiettivo è conseguito, in una equilibrata applicazione del limite previsto dall'art. 5-bis, comma 1, lett. a), b) e c), del d.lgs. n. 33 del 2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno, rispetto alle eccezioni assolute richiamate dal comma 3 dello stesso articolo, attraverso il rinvio ad interessi che già erano oggetto di protezione rispetto all'accesso cd. semplice.
La pronuncia conferma, pertanto, la legittimità del diniego dell’istanza di accesso civico generalizzato volta ad acquisire dal Comando generale della Guardia di Finanza i dati del “Sistema informativo sugli impieghi delle risorse umane” (contenenti il numero delle ore/persone effettivamente impiegate da tutto il personale del Corpo, distinto per missioni/funzioni), atteso che la diffusione di tali dati arrecherebbe un concreto pregiudizio alla sicurezza pubblica ed all’ordine pubblico, alla sicurezza nazionale, alla difesa e questioni militari ex art. 5-bis , comma 1, d.lgs. n. 33/2013, tenuto conto che la Guardia di Finanza costituisce un corpo di polizia ad ordinamento militare e che la conoscenza delle modalità di impiego del personale può costituire un concreto pericolo per la tutela dei predetti interessi pubblici. I dati richiesti sono riferiti, infatti, all’intera filiera organizzativa a livello territoriale.
La loro diffusione –unita ai dati già pubblici e all’utilizzo delle tecnologie– potrebbe comporterebbe un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi protetti dall’art. 5-bis, co. 1, d.lgs. n. 33/2013, in particolare la difesa nazionale, la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico. Il diniego, inoltre, trova fondamento nell’art. 5-bis, co. 3, d.lgs. n. 33/2013, nella parte in cui richiama i casi di divieto di cui all’art. 24, co. 1, legge n. 241/1990. La lett. c) di tale comma prevede l’esclusione dall’accesso “nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione”.
In proposito, il D.M. 29.10.1996, n. 603, annovera tra le categorie di atti sottratti dall’accesso la documentazione suscettibile di rivelare gli aspetti organizzativi e il funzionamento, nonché i mezzi e le dotazioni dei servizi di polizia, a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e per la repressione della criminalità.

   TAR EMILIA ROMAGNA-PARMA, SEZ. I, 10.05.2021 n. 114 – ATTIVITÀ ISPETTIVE
È infondato il ricorso avverso il rigetto di una istanza di accesso civico generalizzato tesa a ottenere atti formati a seguito di un’attività di controllo.
Osta all’accoglimento dell’istanza la disposizione di cui all’art. 5-bis, d.lgs. n. 33/2013, che, al comma 1, lett. g), stabilisce che la richiesta è rifiutata se il rigetto è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela del regolare svolgimento di attività ispettive.
Risulta chiaro che, nel caso di specie, oggetto della richiesta è la relazione redatta al termine dell’attività ispettiva e la stessa attività potrebbe essere pregiudicata dal disvelamento dei dati relativi alle ispezioni svolte, al fine di verificare il rispetto della normativa anticorruzione all’esito di un conclamato fatto di cronaca giudiziaria che ha interessato un dipendente dell’ufficio.
Le esigenze di riservatezza della documentazione richiesta appaiono, dunque, correttamente valutate e ritenute prevalenti dall’amministrazione, atteso che una divulgazione degli esiti dell’ispezione sarebbe idonea a disvelare le modalità utilizzate in tale attività e, in definitiva, a pregiudicare il regolare svolgimento della medesima in future occasioni.

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. II-TER, 19.01.2021 n. 748 – TUTELA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
Non può essere accolta una istanza di accesso civico generalizzato volta a ottenere atti di provenienza governativa relativi a processi civili per i risarcimenti ai sopravvissuti di stragi e deportazioni a carico dello Stato tedesco. L’ostensione dei documenti richiesti determinerebbe un pregiudizio concreto e attuale alle relazioni internazionali ex art. 5, comma 1, lett. d), in quanto la documentazione attinente all’intervento dello Stato italiano nei processi civili in cui è parte lo Stato tedesco contengono e riflettono posizioni, oltre che interessi, di politica estera del Governo nazionale.
Come chiarito dalle Linee guida ANAC n. 1309/2016, per relazioni internazionali non si intende solo la politica estera di uno Stato, ma il sistema internazionale, nel quale operano vari attori a diversi livelli, riportando, a titolo semplificativo, alcuni atti meritevoli di attenzione, tra i quali è possibile far rientrare quelli della presente fattispecie.
Trattasi, infatti, di documenti attinenti a scelte e ad azioni di carattere politico, al cospetto dei quali il diritto di conoscere si arresta di fronte a un’attività che non solo non può catalogarsi quale avente natura amministrativa ma che, nell’ottica del bilanciamento fra interessi, fa sorgere la necessità, opportunamente valutata, di evitare un pregiudizio concreto e attuale all’interesse pubblico relativo a relazioni internazionali in atto che, chiaramente, proprio perché necessitanti di protezione, non possono essere disvelate più di quanto abbia fatto la resistente amministrazione nel corpo motivazionale del diniego.


5.3. LE ECCEZIONI RELATIVE EX ART. 5-BIS, COMMA 2, DEL D.LGS. N. 33/2013
   CONS. STATO, SEZ. VI, 25.06.2018 n. 3907 - TUTELA DEI DATI PERSONALI – INFORMAZIONI NON INERENTI ALL’ATTIVITÀ ISTITUZIONALE
L'accesso pubblico generalizzato di cui all'art. 5 d.lgs. n. 33 del 2013 ha l’esclusiva finalità di "favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico", non già di rendere pubblici colloqui privati -qual è quello svoltosi tra le parti ed inavvertitamente fatti oggetto di registrazione- che esulano dall'esercizio di funzioni istituzionali.
Inoltre l'accesso dell'accesso va bilanciato con il diritto alla protezione dei dati personali di cui è parola all'art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 33 del 2013.
In coerente continuità normativa, l'art. 5, comma 5, d.lgs. cit., prescrive infatti che "fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 2, d.lgs. cit. è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione" ai fini della eventuale opposizione.
Nel caso in esame non è dato individuare a monte l’interesse pubblico costituente il presupposto ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 196 del 2003 per il trattamento dei dati sensibili riguardanti manifestazioni di pensiero fra persone che (in quel particolare momento) non rivestono né esercitano funzioni pubbliche.
Gli obblighi di tutela dei dati personali sono oggi ancor più pregnanti dopo l’entrata in vigore degli artt. 5, 6 e ss. Regolamento UE 2016/679, laddove ribadiscono l'inderogabilità -neppure in nome della trasparenza e del diritto di accesso- di essi per effetto di disposizioni normative interne di eventuale segno opposto.

   TAR LOMBARDIA-BRESCIA, SEZ. I, 12.03.2018 n. 303 – TUTELA DATI PERSONALI ED ACCESSO PARZIALE
È illegittimo il diniego opposto alla richiesta di accesso agli atti di valutazione e selezione di uno specifico candidato nell’ambito di un concorso pubblico, motivato in base alla mera presenza di dati personali in tali documenti.
Nel dare riscontro a un’istanza, l’amministrazione deve verificare la presenza di un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali e valutare la possibilità di un rilascio con modalità meno pregiudizievoli per i diritti dell’interessato, privilegiando l’ostensione di documenti con l’omissione dei dati personali laddove l’esigenza informativa possa essere raggiunta senza implicare il loro trattamento.
Peraltro, in una selezione pubblica, le ragionevoli aspettative di confidenzialità degli interessati riguardo a talune informazioni recedono o sono comunque depotenziate.
Alla luce di ciò, data la genericità della motivazione fornita, i documenti richiesti sono suscettibili di ostensione, salva la facoltà di oscurare i dati strettamente ed effettivamente personali –soprattutto di natura sensibile– per i quali la divulgazione può ritenersi eccessiva e non pertinente rispetto all’obiettivo di massima trasparenza dell’azione amministrativa.

   TAR TOSCANA, SEZ. III, 12.06.2021 n. 896 - PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
L’art. 5-bis, comma 2, d.lgs. n. 33/2013 individua gli interessi privati ostativi all’accesso, fra cui la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, e gli interessi economici e commerciali. Le allegazioni difensive dell’amministrazione non si riferiscono ad alcuno di tali interessi.
Avuto riguardo alla natura degli atti oggetto dell’istanza di ostensione, può ragionevolmente presumersi che sia stata in considerazione la sola tutela della riservatezza dei dati personali della contro interessata.
Tale riservatezza deve in ogni caso reputarsi recessiva rispetto all’interesse di ogni cittadino a verificare che l’ente eserciti correttamente i propri poteri di vigilanza urbanistico-edilizia sul territorio di competenza e, conseguentemente, ad accedere alle singole pratiche inerenti la realizzazione di interventi abusivi, oltretutto già sanzionati, come nella specie.
D’altro canto, non vi è motivo di presumere che, in concreto, la pratica edilizia in questione contenga dati personali che non siano già conosciuti, a partire dall’identità della contro interessata o dal luogo del commesso abuso, ovvero, quanto alle caratteristiche delle opere abusive, che quei dati personali meritino di essere tutelati al punto da prevalere nel bilanciamento con l’interesse generale sopradescritto.

   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. I-QUATER, 28.03.2019 n. 4122 – DIVIETO DI ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO AL FINE DI CONTROLLARE L'ATTIVITÀ DEI PRIVATI O I RAPPORTI TRA ESSI INTERCORRENTI – TUTELA DELLA RISERVATEZZA
L'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 riconosce il diritto di accesso generalizzato allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
Il diritto di accesso riconosciuto dalla norma, per la natura pubblicistica che è propria di esso, è un diritto funzionale a un interesse pubblico, ravvisabile, appunto, nel controllo generalizzato e diffuso sull'attività delle pubbliche amministrazioni. In ciò si distingue dal diritto di accesso documentale riconosciuto dalla legge sul procedimento amministrativo, posto a tutela di interessi privati e che presuppone una posizione soggettiva differenziata.
Trattandosi di un interesse diffuso, il diritto di accesso civico generalizzato è stato riconosciuto senza limiti di legittimazione attiva, per cui, nel caso di specie, la posizione del giornalista non si distingue, in tale ambito, da quella del comune cittadino. Affinché il diritto sia esercitabile, in ogni caso, è necessario che sia funzionale allo scopo stabilito dalla legge, ravvisabile nel controllo generalizzato sul buon andamento della p.a. e sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
Il diritto di accesso civico generalizzato non è invece riconosciuto dall'ordinamento per controllare l'attività dei privati o i rapporti tra essi intercorrenti come nel caso in cui l'istanza risultava finalizzata a conoscere i rapporti professionali tra l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali e il proprio legale.

   TAR ROMA–LAZIO, SEZ. I, 11.05.2021 n. 5463 - CORRISPONDENZA INTERNA ALLA P.A.
Il ricorrente ha impugnato i provvedimenti con i quali è stato negato dalle intimate amministrazioni l’accesso ad alcuni dei documenti richiesti con l'istanza di accesso civico generalizzato presentata dal ricorrente nonché -in sede di riesame- confermato il diniego dai Responsabili della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza dei rispettivi Ministeri.
In particolare al ricorrente è stato negato l’accesso, tra gli altri, alla corrispondenza intercorsa, definita come e-mail inviate e/o ricevute destinate o provenienti dai membri della Commissione istituita per gli approfondimenti necessari per l'individuazione delle possibili soluzioni, con particolare riferimento agli aspetti tecnici e di sicurezza informatica, pregiudiziali alla adozione di linee guida per la sperimentazione del voto elettronico e/o la corrispondenza dei collaboratori delegati con ruolo di segretariato e/o assistenza di direzione, utilizzando caselle di posta elettronica in uso, in funzione dello svolgimento degli incarichi svolti nella pubblica amministrazione.
Il Collegio ha evidenziato, nello specifico, che la finalità dell’accesso civico generalizzato, introdotto dall’articolo 5 del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, è quella di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico [...] nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis".
La previsione di tali limiti va certamente a giustificare il diniego all’accesso relativo alla corrispondenza intercorsa fra i membri della Commissione (e/o propri collaboratori delegati con ruolo di segretariato e/o assistenza di direzione) ex art. 5-bis, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 33/2013.
La corrispondenza presente sulla casella di posta elettronica personale, i cui contenuti si vorrebbero disvelati per la pubblica diffusione, costituiscono anche, per la genericità della richiesta, surrogati di comunicazioni per vie brevi (telefonate o scambi verbali in presenza) che non sono di regola soggette a registrazione/verbalizzazione, né, tanto meno, a pubblicazione.
Esse peraltro, il più delle volte, esauriscono la loro funzione una volta giunte al destinatario e la loro efficacia viene assorbita dalla attività istituzionale del gruppo di lavoro i cui esiti soltanto, in quanto ricavabili da atti o da documentazione amministrativa propriamente intesi, sono rilevanti per le finalità di cui alla legge 33/2013.
Anche ove si trattasse di bozze di proposte, le stesse, fintanto che non vengano formalizzate in un atto, frutto, verosimilmente, della riflessione congiunta, non sono attribuibili al gruppo di lavoro, unico soggetto la cui produzione documentale è soggetta all’obbligo di trasparenza.
Ne consegue che, al di là del carattere confidenziale della corrispondenza, la stessa è per lo più priva di un evidente interesse per la collettività interessata al “perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.
Si tratta inoltre di documenti che l’Amministrazione non detiene stabilmente, ma che rimangono nella piena ed esclusiva disponibilità e gestione autonoma di ciascun titolare della casella di posta elettronica in dotazione e sono assistiti da garanzie costituzionali di segretezza.
Il fatto che si tratti di caselle di posta elettronica messe a disposizione dall’ufficio non significa che i contenuti della corrispondenza rientrino tra quelli che l’Amministrazione detiene istituzionalmente o che il singolo è obbligato a consegnare, in assenza di appositi provvedimenti dell’Autorità giudiziaria.

PRONUNCE DEL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
   GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, 10.06.2021 n. 237 – ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO IN MATERIA DI CONCORSI PUBBLICI
Il caso sottoposto all’attenzione del Garante riguarda l’ostensione, tramite l’istituto dell’accesso civico, di dati e informazioni personali –di diversa natura e specie– riferiti ai candidati ammessi alla prova preselettiva per il concorso pubblico, quali: nome, cognome, indirizzo e posta elettronica.
La normativa statale in materia di trasparenza prevede che, fermi restando gli altri obblighi di pubblicità legale, le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare –oltre ai bandi di concorso per il reclutamento, a qualsiasi titolo, di personale presso l’amministrazione, ai criteri di valutazione della Commissione e alle tracce delle prove– «le graduatorie finali, aggiornate con l'eventuale scorrimento degli idonei non vincitori» (art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013).
Tale regime di conoscibilità, come già rilevato in passato dal Garante, assolve alla funzione di rendere pubbliche le decisioni adottate dalla commissione esaminatrice e/o dall’ente pubblico procedente, anche al fine di consentire agli interessati l’attivazione delle forme di tutela dei propri diritti e di controllo della legittimità delle procedure concorsuali o selettive. Anche a questo riguardo devono essere diffusi i soli dati pertinenti e non eccedenti riferiti agli interessati.
Non possono quindi formare oggetto di pubblicazione dati concernenti i recapiti degli interessati ([quali fra l’altro] l’indirizzo di residenza o di posta elettronica […]» (cfr. parte seconda, part. 3.b. delle «Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati», provv. n. 243 del 15/05/2014, in G.U. n. 134 del 12/6/2014 e in www.gpdp.it, doc. web n. 3134436; punto 6.1 delle «Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico», provv. n. 23 del 14/06/2007, in G.U. n. 161 del 13/07/2007 e in www.gpdp.it, doc. web n. 1417809).
In tale quadro, si rileva cha –a differenza dei soggetti risultanti vincitori– la normativa in materia di trasparenza non prevede obblighi di pubblicità dei dati personali riferiti ai singoli partecipanti al concorso pubblico.
Pertanto, fermo restando la pubblicità delle graduatorie finali dei vincitori, un eventuale riconoscimento di un accesso civico agli ulteriori dati personali dei partecipanti al concorso richiesti –quali nome, cognome, indirizzo, posta elettronica– unito alla generale conoscenza e al particolare regime di pubblicità dei dati oggetto di accesso civico, può effettivamente arrecare ai soggetti interessati, a seconda delle ipotesi e del contesto in cui i dati e le informazioni fornite possono essere utilizzate da terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013.

   GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, 07.11.2019 n. 200 - ACCESSO CIVICO IN MATERIA DI CONCORSI PUBBLICI – PROVE SCRITTE E CURRICULA DEI PARTECIPANTI
Il Garante per la protezione dei dati personali si è espresso circa la legittimità della richiesta di accesso civico, esaminando in primo luogo l’incidenza degli elaborati scritti di un concorso pubblico e dei curricula sui dati personali dei candidati.
A tal proposito, il Garante ha rilevato come detti elaborati scritti contengono al loro interno numerosi elementi che sono idonei a individuare le caratteristiche individuali del candidato.
In particolare, l’autorità di controllo ha evidenziato come dagli stessi siano ricavabili alcuni aspetti del carattere del candidato, quali per esempio la sua preparazione professionale, la sua cultura, la sua capacità di espressione o in generale il suo carattere: ciò, in quanto essi sono elementi che vengono valutati durante la selezione. In alcuni casi, inoltre, da tali elaborati è possibile anche evincere dati qualificabili come “categorie particolari”, in quanto attinenti alle opinioni politiche, filosofiche o di altro genere del candidato.
Per quanto riguarda il curriculum, il garante ha evidenziato come al suo interno sono contenuti numerosi dati di carattere personale del candidato come, per esempio, il nome cognome, la data e luogo di nascita, la residenza, il numero di telefono, la e-mail, la nazionalità, le esperienze professionali, l’istruzione, le competenze personali, le pubblicazioni, i riconoscimenti e i premi nonché la appartenenza a gruppi o associazioni.
Premesso tutto quanto sopra, il garante ha posto l’attenzione sul fatto che l’accesso civico fa sì che i documenti cui è concesso l’accesso diventino di pubblico dominio e possono essere conosciuti nonché utilizzati e riutilizzati da chiunque. In considerazione di ciò, l’accesso ai curricula e agli elaborati scritti di un concorso pubblico può determinare un pregiudizio concreto alla tutela dei dati personali dei candidati.
In considerazione di tutto quanto sopra nonché della normativa in materia di protezione dei dati personali, il garante ha quindi ritenuto di confermare i propri precedenti orientamenti espressi nei casi di accesso civico agli elaborati scritti dei candidati di un concorso pubblico e ai relativi curricula, ritenendo corretto il rifiuto di permettere all’istante di accedere ai documenti richiesti.
Infine, pur avendo escluso il diritto di accedere ai documenti in questione attraverso la forma dell’accesso civico, il Garante ha comunque ricordato all’istante che tale rifiuto non preclude allo stesso la possibilità di accedere ai curricula e agli elaborati scritti qualora egli abbia un interesse diretto, concreto ed attuale a prendere visione degli stessi in quanto egli ha una situazione giuridicamente tutelata da far valere attraverso la visione del documento.

   GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, 15.10.2020 n. 180 – RISCHIO DI IDENTIFICAZIONE INDIRETTA
Chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis, d.lgs. 33/2013.
L'accesso può essere negato qualora si riveli necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali.
Anche la possibilità di un accesso parziale è da escludere, oscurando i nominativi degli interessati, poiché tale accorgimento non elimina del tutto la possibilità che questi ultimi possano essere re-identificati, anche all'interno dello stesso luogo di lavoro, tramite gli ulteriori dati di dettaglio e di contesto contenuti nella documentazione richiesta o mediante altre informazioni in possesso di terzi.
A tale riguardo, si considera infatti "identificabile" la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all'ubicazione, un identificativo on-line o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale (art. 4, par. 1, n. 1, del RGPD).


5.4. IL PREGIUDIZIO CONCRETO ED IL BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI COINVOLTI
   TAR CALABRIA–CATANZARO, SEZ. II, 05.04.2022 n. 596
Relativamente all'istanza di accesso c.d. civico generalizzato, di cui all'art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, il semplice rifiuto opposto dalla controinteressata, alla quale era stata comunicata l'istanza di accesso, non è sufficiente per fondare il rigetto dell'ostensione, dovendo, invece, la Pubblica Amministrazione motivare analiticamente in merito alla sussistenza di uno dei limiti di cui all'art. 5-bis, comma 2 del d.lgs. n. 33 del 2013
   TAR CAMPANIA–NAPOLI, SEZ. VI, 10.12.2019 n. 5837
In tema di accesso civico, il test del pregiudizio concreto, da applicare per delimitare la conoscenza generalizzata di cui all'art. 5-bis comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013, impone che il pregiudizio non deve essere solo affermato, ma anche dimostrato; inoltre, il test del pregiudizio concreto impone che il nesso di causalità che lega questo alla divulgazione deve superare la soglia del "meramente ipotetico" per emergere quale "probabile", sebbene futuro; pertanto, l'Amministrazione, nel rigettare una richiesta di ostensione, deve dimostrare che la stessa pregiudicherebbe l'interesse da tutelare ovvero che ciò sarebbe "molto probabile".

6. LA PARTECIPAZIONE DEI CONTROINTERESSATI
   CONS. STATO, SEZ. V, 15.06.2021 n. 4644
Non sussiste l’obbligo da parte dell’amministrazione di coinvolgere il controinteressato nella fase di riesame, atteso che la partecipazione è stata assicurata nel procedimento di prima istanza.
La richiesta di riesame non dà vita ad un nuovo procedimento ma costituisce un’appendice eventuale dell’unico procedimento avviato con l’istanza di accesso, cosicché il riesame si configura come una verifica della correttezza della decisione, senza che trovino ingresso nuove questioni e prospettazioni.
In tal senso è indicativa la Circolare n. 1/2019 del Ministro per la pubblica amministrazione (par. 6), secondo cui la partecipazione dei controinteressati alla fase di riesame deve essere assicurata soltanto nel caso in cui il RPCT constati che essa non sia avvenuta in prima istanza per una erronea valutazione circa la sussistenza del pregiudizio agli interessi di cui all’art. 5-bis, comma 2, d.lgs. n. 33/2013.
Una diversa interpretazione finirebbe per dar vita a un inammissibile aggravio del procedimento, privo di qualsiasi utilità pratica, non potendo essere modificati l’oggetto e le ragioni dell’istanza di accesso, né le osservazioni e le controdeduzioni già svolte.


7. PROFILI PROCESSUALI
   CONS. STATO, SEZ. III, 02.03.2022 n. 1482
Il silenzio sull’istanza di accesso civico generalizzato non può essere qualificato come silenzio provvedimentale, in assenza di una espressa previsione di legge che attribuisca tale valore a quel contegno, come fa l’art. 25, comma 4, l. n. 241 del 1990 per l’istanza di accesso documentale.
   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III, 15.06.2021 n. 7144
Non sussiste alcun silenzio-inadempimento del Ministero della Salute sull’istanza di accesso civico generalizzato avente ad oggetto la documentazione relativa ai dati statistici riferita all’andamento della situazione epidemiologica Covid-19 con indicazione diversificata del numero dei decessi e degenti in terapia intensiva su base anagrafica e/o pregresse patologie, ove l’Amministrazione abbia dichiarato che i dati e le informazioni richieste non si troverebbero nella disponibilità della DGPROGS del Ministero stesso ma in possesso dell’Istituto Superiore di Sanità, a cui sarebbe stata inoltrata l’istanza del ricorrente.
   TAR LAZIO-ROMA, SEZ. III, 11.11.2021 n. 11656
Nell'ipotesi di accesso civico generalizzato, l'interessato ha la possibilità di proporre ricorso giurisdizionale, secondo il rito dell'accesso, unicamente avverso la decisione negativa espressa dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso la decisione del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.
   CONS. STATO, SEZ. V, 12.02.2020 n. 1121
Uno solo è il presupposto imprescindibile di ammissibilità dell'istanza di accesso civico generalizzato, ossia la sua strumentalità alla tutela di un interesse generale. La relativa istanza, dunque, andrà in ogni caso disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale.
Lo strumento in esame può pertanto essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari: al riguardo, il giudice amministrativo è tenuto a verificare in concreto l'effettività di ciò, a nulla rilevando -tanto meno in termini presuntivi- la circostanza che tali soggetti eventualmente auto-dichiarino di agire quali enti esponenziali di (più o meno precisati) interessi generali.
Pertanto, sebbene il legislatore non chieda all'interessato di formalmente motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa vada disattesa, ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l'esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato.
In tal caso, invero, non si tratterebbe di imporre per via ermeneutica un onere non previsto dal legislatore, bensì di verificare se il soggetto agente sia o meno legittimato a proporre la relativa istanza.
Inoltre, il legislatore individua, quale ostacolo all'esercizio dell'accesso generalizzato, una serie di interessi - di rilievo costituzionale - la cui tutela è imprescindibile per la funzionalità dell'apparato dello Stato, in quanto attenenti all'essenza stessa della sua sovranità (interna ed internazionale).
Ne consegue che il diniego eventualmente opposto all'istanza, presupponendo una valutazione eminentemente discrezionale che non di rado può involgere -ratione materiae- profili di insindacabile merito politico, non potrebbe in alcun modo essere superato da una parallela valutazione del giudice amministrativo, il cui sindacato in materia va strettamente circoscritto alle ipotesi di manifesta e macroscopica contraddittorietà o irragionevolezza.
Il g.a. può quindi sindacare le valutazioni dell'amministrazione in ordine al diniego opposto solamente sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, ma non procedere ad un'autonoma verifica della necessità del diniego opposto o della sua eventuale superabilità, sia pure parziale.
Una siffatta valutazione, infatti, verrebbe ad integrare un'inammissibile invasione della sfera propria della p.a.: tale sindacato rimane dunque limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto.
Pertanto, alla luce dei rilievi che precedono, sono legittimi i dinieghi di accesso civico generalizzato, opposti dal responsabile della trasparenza presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla richiesta ad ottenere informazioni sulle operazioni di ricerca e salvataggio in mare (c.d. operazioni SAR: Search and Rescue) - concernenti imbarcazioni di migranti, nei giorni specificati in ciascun ricorso.

   CONS. STATO, SEZ. III, 26.10.2021 n. 7173
Un R.T.I., secondo classificato, impugnava dinnanzi al Consiglio di Stato la sentenza del Tar Lombardia che aveva respinto il ricorso contro una fondazione ai fini dell’annullamento di una deliberazione mediante la quale veniva disposta l’aggiudicazione di un appalto in favore della controinteressata.
Per quel che qui rileva, con riguardo alla questione relativa ai segreti tecnici commerciali non divulgabili, ai sensi dell’art. 53, comma 5 lett. a) del Codice dei contratti pubblici, giusta motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, il Consiglio di Stato ha in primo luogo richiamato l’orientamento della Corte di Giustizia che riconosceva all’organismo competente a conoscere dei ricorsi la libertà nel disporre di tutte le informazioni necessarie in modo tale da essere completamente in grado di decidere con “piena cognizione di causa ivi comprese le informazioni riservate e i segreti tecnici commerciali” (Corte di Giustizia C-450/06).
In ragione di ciò, il Collegio ha ordinato il deposito in giudizio dell’offerta tecnica affinché venisse posta a disposizione del giudice anche nella parte relativa ad informazioni qualificate dall’offerente come “segreti tecnici commerciali” purché in alcuni punti debitamente oscurata.
Dall’analisi della presente ordinanza è emerso che il potere del giudice è orientato a garantire la completezza istruttoria del giudizio di merito con particolare riguardo all’acquisizione di tutto il compendio probatorio necessario.
Invero, il Collegio ha ritenuto che l’amministrazione sia obbligata a depositare gli atti richiesti e il giudice, come riconosciuto da un orientamento della Corte di Giustizia, ha il potere di acquisire d’ufficio tutti gli atti ritenuti indispensabili al fine di decidere.
In altri termini, il sindacato del giudice amministrativo, nel caso di specie, ha riguardato tutti gli elementi utili al suo giudizio intrinseci ed estrinseci alle informazioni riservate.


8. ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO IN MATERIA DI APPALTI
   CONS. STATO, ADUNANZA PLENARIA, 02.04.2020 n. 10
La disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l'eccezione del comma 3 dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l'art. 53 e con le previsioni della legge n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall'accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell'accesso con le eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.
   CONS. STATO, SEZ. III, 03.11.2022 n. 9567
La disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei o assoluti di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara, ed in particolare all'esecuzione dei contratti pubblici (nel cui contesto si colloca la fase del collaudo, alla quale pertiene la documentazione di cui l'appellante ha chiesto l'ostensione), ma deve essere verificata la compatibilità di tale forma di accesso con le eccezioni enucleate dall'art. 5-bis, commi 1 e 2, dello stesso d.lgs. n. 33 del 2013, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza (cfr. anche Cons. Stato sez. V, 11/04/2022, n. 2670 e Cons. Stato, Sez. V, 03/08/2021, n. 5714)
   CONS. STATO, SEZ. III, 25.01.2022 n. 495
La disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all'art. 53, d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l'eccezione del comma 3 dell'art. 5-bis, d.lgs. n. 33 del 2013, che non esenta in toto la materia dall'accesso civico generalizzato;
resta ferma la verifica della compatibilità dell'accesso con le eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza;
se esiste, in altri termini, l'interesse ad una conoscenza diffusa dei cittadini nell'esecuzione dei contratti pubblici, volta a sollecitare penetranti controlli da parte delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l'inefficienza, la corruzione o fenomeni di cattiva amministrazione e l'adempimento delle prestazioni dell'appaltatore deve rispecchiare l'esito di un corretto confronto in sede di gara, a maggior ragione gli operatori economici, che abbiano partecipato alla gara, sono interessati a conoscere illegittimità o inadempimenti manifestatisi dalla fase di approvazione del contratto sino alla sua completa esecuzione, non solo per far valere vizi originari dell'offerta nel giudizio promosso contro l'aggiudicazione, ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per potere, una volta risolto il rapporto con l'aggiudicatario, subentrare nel contratto od ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela;
ma tale interesse alla trasparenza, di tipo conoscitivo, che non esige una motivazione specifica, deve in ogni caso palesarsi non in modo assolutamente generico e destituito di un benché minimo elemento di concretezza, anche sotto forma di indizio, come accade nel caso in esame in cui viene solo ipoteticamente prospettata l'esistenza di una difformità tra il contratto e l'esecuzione del servizio, pena rappresentare un inutile intralcio all'esercizio delle funzioni amministrative e un appesantimento immotivato delle procedure di espletamento dei servizi.

   TAR PIEMONTE, SEZ. II, 13.01.2023 n. 42
In materia di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione, con riferimento all'accesso agli atti di una pubblica gara, la Pubblica Amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l'istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell'accesso civico generalizzato, a meno che l'interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell'accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l'istanza solo con specifico riferimento ai profili della L. n. 241 del 1990.
   TAR VENETO, SEZ. III, 09.03.2022 n. 414
È legittimo il diniego di accesso civico generalizzato quando non è possibile rinvenire una finalità riconducibile ad un controllo diffuso dei cittadini delle funzioni istituzionali e dell’utilizzo delle risorse pubbliche, volto a soddisfare esigenze di trasparenza dell'azione amministrativa, considerato che con l'accesso azionato è stata chiesta unicamente l'acquisizione di alcuni documenti relativi ad una procedura di gara aggiudicata da molti anni e interamente eseguita, né si è inteso operare alcuna verifica sulla corretta conduzione della medesima da parte della P.A.
L'accesso civico generalizzato soddisfa, infatti, un'esigenza di cittadinanza attiva, incentrata sui doveri inderogabili di solidarietà democratica, di controllo sul funzionamento dei pubblici poteri e di fedeltà alla Repubblica e non su libertà singolari (ragione per cui non può mai essere egoistico).
Ne consegue che l'accesso civico generalizzato non è utilizzabile come surrogato dell'accesso documentale, ex art. 22 della legge n. 241/1990, quando si perdono o non vi sono i presupposti di quest'ultimo, perché serve ad un fine distinto, talvolta cumulabile, ma sempre inconfondibile.

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai documenti amministrativi: è illegittimo il provvedimento che introduce una tariffa per la visione degli atti o impone oneri economici maggiori di quelli previsti dall'art. 25, comma 1, l. 241/1990 per l'estrazione di copia.
In tema di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell'art. 25, comma 1, della l. 07.08.1990, n. 241 («Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»),
   «[l]'esame dei documenti è gratuito», mentre
   «[i]l rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura».
Sicché è illegittimo il provvedimento (nella specie, una delibera di Giunta comunale) che introduca una tariffa per la visione degli atti e preveda oneri economici maggiori, rispetto a quelli anzidetti, per l'estrazione di copia.
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... per la riforma della sentenza 26.04.2019 n. 615 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), resa tra le parti, della deliberazione della Giunta del Comune di Lucca n. 252 del 11.12.2012 avente ad oggetto "Richieste di visione o estrazione di copie, riferite a pratiche giacenti presso gli archivi dell’Edilizia privata, presso l’Archivio storico e presso l’archivio di deposito di San Filippo – Approvazione nuove tariffe".
...
1. Con la delibera giuntale n. 252 dell’11.12.2012 il Comune di Lucca stabiliva la revisione delle tariffe relative alla richiesta di visione o estrazione di copia riferita a pratiche giacenti presso gli archivi degli Uffici “Edilizia privata”, in particolare presso l’Archivio storico e presso l’Archivio San Filippo.
2. Con il ricorso iscritto al N.R.G. 1061/2013, proposto dinanzi al TAR per la Toscana, il Sig. St.To., Geometra, ha impugnato il provvedimento deducendo che detta tariffa sarebbe stata superiore ai meri costi di riproduzione, in violazione del principio della gratuità del diritto di accesso sancito dalla L. 241 del 1990, oltre che dallo Statuto comunale.
3. Il TAR adito, con la sentenza 26.04.2019 n. 615 ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento impugnato.
In particolare, il primo giudice richiamava la sentenza n. 11 del 2017 emessa fra le medesime parti che, muovendo dal dato normativo di cui all’art. 25 della legge n. 241/1990, affermava che l'esame e l’ostensione dei documenti sono gratuiti, salvo il mero pagamento dei costi di riproduzione, sicché la facoltà delle amministrazioni di determinare i predetti costi non può spingersi fino ad elidere il principio di gratuità, dovendo la stessa essere esercitata secondo il canone di ragionevolezza e proporzionalità.
...
7. Con il primo motivo, l’appellante censura la sentenza di prime cure per aver respinto l’eccezione di difetto di legittimazione e carenza di interesse proposta in primo grado.
All’uopo, il Comune evidenzia come la mera iscrizione ad un Albo Professionale non potrebbe costituire ragione sufficiente a fondare una posizione giuridica astrattamente tutelata in relazione all’azione proposta. Evidenzia che e l’odierno appellato non aveva allegato alcun interesse concreto e attuale ad accedere a pratiche di archivio presso il Comune di Lucca.
In particolare, l’accesso di cui all’art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241/1990, definisce come “interessati” all’accesso non già tutti i soggetti indiscriminatamente, ma esclusivamente i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
7.1 Il motivo è infondato.
7.2 In generale, il riconoscimento del diritto di accesso e la legittimazione all'esercizio della correlata pretesa ostensiva postulano, in quanto riferiti a "soggetti privati", ancorché eventualmente portatori di interessi superindividuali, la sussistenza di un "interesse diretto, concreto e attuale”, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso.
7.3 Peraltro, nel caso di specie viene in oggetto l’interesse non tanto all’accesso ai documenti quanto all’impugnativa di un atto lesivo della situazione giuridica azionata dall’odierno appellato che, nell’espletamento della propria attività professionale, effettua frequenti accessi alla documentazione edilizia del Comune di Lucca.
7.4 Conseguentemente sussiste la invocata legittimazione, in quanto il rapporto che scaturisce dalla determinazione della tariffa in questione intercorre tra l'Amministrazione e gli amministrati che professionalmente agiscono attraverso l’esercizio di una situazione giuridica soggettiva specifica che viene ad essere disciplinata, sul versante organizzativo ed economico, dagli atti impugnati; quindi, il singolo professionista subisce il pregiudizio giuridico ed economico derivante dalla supposta erronea determinazione delle voci di costo, cosicché in capo allo stesso soggetto sussiste la facoltà (e l'onere) di contestare la determinazione tariffaria.
8. Con il secondo motivo, il Comune appellante censura la sentenza di prime cure per non aver adeguatamente motivato l’accoglimento dei motivi di ricorso.
In particolare, il Giudice di prime cure non censura l’asserita irragionevolezza delle motivazioni poste dal Comune di Lucca con il proprio provvedimento, ma si limita a rilevare che, sempre in forza del proprio medesimo precedente, quest’ultimo aveva già statuito sulla non sussistenza di un distinguo –ai fini appunto della gratuità del diritto all’accesso- tra diritto all’accesso per sola visione ovvero mediante (o anche mediante) estrazione di copia, distinguo invece sussistente allorché il secondo è oneroso.
Erroneamente il Giudice di primo grado ammetterebbe per l’Amministrazione la sola facoltà di stabilire costi di riproduzione, ma in tal caso i costi di riproduzione dovrebbero comprendere anche i diritti di ricerca che, invece, la norma invocata prevede espressamente come voce ulteriore e diversa rispetto al costo di riproduzione (art. 25, comma 1, della L. n. 241/1990).
Ne discende che il costo di riproduzione comprenderebbe anche il costo o comunque i diritti per la ricerca e l’evasione della pratica, costi che, peraltro, verrebbero sostenuti anche per la visione e non soltanto nel caso di richiesta di copia.
8.1 Anche tale motivo è infondato.
8.2 Ai sensi dell'art. 25, l. n. 241 del 1990 “L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura”.
8.3 Pur dinanzi alla generalità della formulazione, la norma statuisce che, sul punto in questione, il diritto di accesso consta di due momenti: quello dell'esame e della estrazione di copia degli atti.
L'esame è gratuito, mentre l'estrazione di copia è subordinato alla corresponsione dei diritti di segreteria. Gli interessati, pertanto, dopo aver formulato l'istanza di accesso hanno diritto di verificare che gli atti messi a disposizione dall'Amministrazione coincidano con quanto di loro interesse; svolta tale verifica e circoscritta la documentazione che intendono acquisire, essi devono corrispondere i predetti diritti di segreteria.
8.4 In materia, la visione dei documenti non può che essere gratuita; se così non fosse, la regola della trasparenza, ormai vigente come principio generale dell'azione amministrativa e quindi da intendersi anche come ampliativo ed estensivo delle disposizioni in materia di diritto di accesso, non avrebbe una idonea attuazione. L’Amministrazione, nella fissazione dei costi per la riproduzione deve limitarsi a richiedere l'importo esatto dell'onere di riproduzione in concreto delle copie secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. In ogni caso quindi la somma richiesta non può eccedere i costi effettivi sopportati, escluso ovviamente qualsiasi utile, non potendo l'amministrazione ricavare profitti dall'esercizio di un'attività istituzionale connessa al diritto di accesso.
8.5 Gli oneri conseguenti all’esercizio di tale diritto, per la parte che eccede il mero costo di riproduzione, vanno quindi, finanziati attraverso la fiscalità, in tema di bollo e di diritti di segreteria e di visura, al pari di quanto avviene per gli altri diritti correlati al funzionamento del meccanismo democratico.
8.6 Pertanto, va condivisa la conclusione del Tar, che esclude come possa istituirsi una specifica e nuova tassa extra ordinem, come avvenuto nel caso di specie in cui la tariffa di 20 o 35 euro per la visione delle pratiche sarebbe finalizzata a coprire i costi delle attività di ricerca e messa a disposizione della documentazione.
8.7 In definitiva, la previsione impugnata è illegittima sia laddove prevede un costo per la visione, in diretto contrasto con il principio predetto, sia laddove introduce una somma autonoma e distinta, per lo svolgimento di un’attività (quindi in termini di tassa) di ricerca, rispetto alle vigenti disposizioni in tema di bollo e di diritti di segreteria e di visura.
8.8 È evidente che l’incremento delle attività connesse all’attuazione del principio di trasparenza abbia dei costi in termini di tempo e di risorse organizzative, in termini di politica economica; le relative conseguenze tuttavia non possono essere individuate con modalità scollegate dalla norma di principio che regola l’esercizio di un diritto, quale quello di accesso, posto a garanzia del cittadino nei confronti dell’attività autoritativa (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.02.2024 n. 1366 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sui presupposti dell’accesso civico generalizzato e sul rapporto con l’accesso documentale.
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Atto amministrativo – Accesso civico – Presupposti – Accesso ai documenti – Rapporto – Inclusione e completamento.
L’accesso civico generalizzato è azionabile da chiunque, senza previa dimostrazione di un interesse concreto e attuale in relazione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazioni in tal senso.
Il rapporto tra la disciplina dell’accesso documentale e quella dell’accesso civico generalizzato deve essere interpretato non già secondo un criterio di esclusione reciproca, quanto piuttosto di inclusione e completamento, finalizzato all’integrazione dei diversi regimi in modo che sia assicurata e garantita, pur nella diversità dei singoli regimi, la tutela preferenziale dell’interesse coinvolto che rifugge ex se dalla segregazione assoluta per materia delle singole discipline (1).

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   (1) Precedenti conformi: sui presupposti per l’accesso civico generalizzato, Cons. Stato, sez. V, 04.01.2021, n. 60; Cons. Stato, sez. VI, 05.10.2020, n. 5861. Sul rapporto tra accesso civico generalizzato e accesso documentale, Cons. Stato, Ad. plen., 02.04.2020, n. 10.
         Precedenti difformi: non risultano precedenti difformi
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.02.2024 n. 1117 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
L’appello non è fondato.
Con un primo mezzo di gravame il comune appellante deduce: “error in judicando - violazione e falsa applicazione dell’art. 22 e ss. l. 07.08.1990 n. 241 e s.m.i., nonché dell’art. 5 d.lgs. 14.03.2013 n. 33 e s.m.i. - difetto e, comunque, erroneità della motivazione”.
Ad avviso della parte appellante, il giudice di primo grado avrebbe errato nel disattendere l’eccezione di inammissibilità, formulata dal comune in primo grado e fondata sul rilevo della mancata impugnazione, nei termini di legge, dell’unico e solo provvedimento di diniego espresso, emesso dal Responsabile dell’U.T.C. con nota prot. del 24.11.2022, atteso che la successiva nota del Responsabile dell’U.T.C. prot. n. 786 del 14.02.2023 costituirebbe, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, un atto meramente confermativo del precedente diniego prot. n. 6138 del 24.11.2022.
La premessa, da cui muove il comune appellante, è quella secondo cui la mera reiterazione di una richiesta di accesso agli atti, già oggetto di un provvedimento di rifiuto, che non sia basata su elementi nuovi rispetto alla richiesta originaria o su una diversa prospettazione dell’interesse a base della posizione legittimante l’accesso, non vincola l’amministrazione ad un riesame della stessa e rende legittimo e non autonomamente impugnabile il provvedimento meramente confermativo del precedente rigetto.
Dall’accoglimento di tale premessa la parte appellante fa pertanto discendere l’inammissibilità del ricorso di primo grado, essendo stato lo stesso esperito a fronte di un atto meramente confermativo del primo diniego, non impugnato.
L’assunto della parte appellante, pur essendo astrattamente condivisibile, in quanto conforme alla constante giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. IV, 13.01.2020 n. 279 e, nello stesso senso, Cons. St., Sez. IV, 22.09.2020 n. 5549), non può trovare applicazione alla fattispecie oggetto del presente giudizio, in relazione alla quale, contrariamente a quanto ritenuto nel primo motivo di appello, non viene in rilievo una mera reiterazione della prima richiesta di accesso documentale, in assenza di nuovi elementi, ma una nuova richiesta di accesso basata sul diverso istituto dell’accesso civico generalizzato.
L’accesso civico generalizzato, come noto, costituisce un diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.
La natura fondamentale del diritto di accesso generalizzato rinviene, infatti, fondamento, oltre che nella Carta costituzionale (artt. 1, 2, 97 e 117) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 42), anche nell’art. 10 della CEDU, in quanto la libertà di espressione include la libertà di ricevere informazioni e le eventuali limitazioni, per tutelare altri interessi pubblici e privati in conflitto, sono solo quelle previste dal legislatore, risultando la disciplina delle eccezioni coperta da riserva di legge.
L’accesso civico generalizzato si traduce nel diritto della persona a ricercare informazioni, quale diritto che consente la partecipazione al dibattito pubblico e di conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che l’istituto intendere perseguire.
La conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, infatti, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione (accountability) della classe politica e dirigente del Paese.
Ai fini dell’accesso civico generalizzato, inoltre, non occorre verificare, così come per l’accesso documentale, la legittimazione dell’accedente, né è necessario che la richiesta di accesso sia supportata da idonea motivazione.
L’accesso civico “generalizzato”, infatti, consente, contrariamente a quello documentale, a “chiunque” di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (articolo 5, comma 2, d.lgs. 14.03.2013, n. 33).
Per effetto dell’adesione dell’ordinamento al modello di conoscibilità generalizzata delle informazioni amministrative proprio dei cosiddetti sistemi FOIA (Freedom of information act), l’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cosiddetto “right to know”), non altrimenti limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge, mentre l’accesso documentale( e ancor di più quello difensivo) risponde al paradigma del “need to know”, con tutto ciò che ne consegue in punto di
Dalle considerazioni che precedono emerge la netta distinzione, sul piano strutturale e funzionale, tra l’istituto dell’accesso documentale e quello civico generalizzato, da cui ulteriormente discende la legittima facoltà di azionare il secondo anche quando non sussistono ( o non sussistono più) i presupposti per esercitare il primo.
Con un secondo mezzo di gravame il comune appellante deduce: “error in judicando - violazione e falsa applicazione dell’art. 22 e ss. l. 07.08.1990 n. 241 e s.m.i., nonché dell’art. 5 d.lgs. 14.03.2013 n. 33 e s.m.i. - difetto e, comunque, erroneità della motivazione”.
Ad avviso della parte appellante, la sentenza di primo grado sarebbe erronea per avere il giudice di primo grado apoditticamente ritenuto “sussistenti” tutti i presupposti per l’accoglimento dell’istanza di accesso ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 33/2013.
Ciò, in quanto l’istanza di accesso del 02.02.2023 e, ancor di più, la successiva domanda giurisdizionale, lungi dal raggiungere un benché minimo grado di concretezza, sarebbero fondate soltanto su mere e indimostrate “illazioni” circa la possibile perdita del finanziamento e come tali si rileverebbero del tutto pretestuose.
Inoltre, tali richieste di accesso sarebbero state formulate in modo del tutto disfunzionale rispetto alla finalità che si propongono di realizzare, trasformandosi, in ragione dell’ampia e ingiustificata ostensione documentale, in una causa di intralcio al buon funzionamento della P.A., tale da compromettere lo svolgimento degli ordinari compiti di ufficio che già spettano al funzionario comunale
Il motivo non è fondato.
Per individuare l’ambito di estensione e gli eventuali limiti dell’accesso civico generalizzato si possono richiamare i principi espressi nel parere della sez. I del Consiglio di Stato 30.03.2021, n. 545.
È stato in precedenza ricordato che l’accesso civico “generalizzato” consente a “chiunque” di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (art. 5, comma 2, d.lgs. 14.03.2013, n. 33).
L’accesso civico generalizzato è azionabile da chiunque, senza previa dimostrazione di un interesse, concreto e attuale in relazione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazioni in tal senso (tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 04.01.2021, n. 60; sez. VI, 05.10.2020, n. 5861).
E’ stato precisato (Cons. Stato, sez. VI, 05.10.2020, n. 5861) che con l’accesso civico generalizzato il legislatore ha inteso superare il divieto di controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni, su cui è incentrata la disciplina dell’accesso di cui agli artt. 23 e ss., l. 07.08.1990, n. 241, così che l’interesse individuale alla conoscenza è protetto in sé, ferme restando le eventuali contrarie ragioni di interesse pubblico o privato di cui alle eccezioni espressamente stabilite dalla legge a presidio di determinati interessi ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico.
E’ stato altresì puntualizzato che il rapporto tra le due discipline (dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato, oltre il rapporto tra tali due discipline generali e quelle settoriali) deve essere interpretato non già secondo un criterio di esclusione reciproca, quanto piuttosto di inclusione/completamento, finalizzato all’integrazione dei diversi regimi in modo che sia assicurata e garantita, pur nella diversità dei singoli regimi, la tutela preferenziale dell’interesse coinvolto che rifugge ex se dalla segregazione assoluta per materia delle singole discipline (cfr. Adunanza Plenaria 10/2020).
La regola della generale accessibilità è peraltro temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla diffusione generalizzata di talune informazioni.
Tali eccezioni, previste dall'art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, sono state classificate in assolute e in relative e al loro ricorrere le Amministrazioni devono (nel primo caso) o possono (nel secondo) rifiutare l'accesso.
Le eccezioni assolute al diritto di accesso generalizzato sono quelle individuate all'art. 5-bis, comma 3 (segreto di Stato e altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'art. 24, comma 1, l. n. 241 del 1990), mentre quelle relative sono previste ai commi 1 e 2 del medesimo articolo (la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive; la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; la libertà e la segretezza della corrispondenza; gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali).
Nel caso delle eccezioni relative, nelle Linee guida Anac, adottate con deliberazione n. 1309 del 28.12.2016 (recanti le indicazioni operative e le esclusioni e i limiti all'accesso civico generalizzato), è stato chiarito che il legislatore non opera, come nel caso delle eccezioni assolute, una generale e preventiva individuazione di esclusioni all'accesso generalizzato, ma rinvia ad una attività valutativa che deve essere effettuata dalle Amministrazioni con la tecnica del bilanciamento, caso per caso, tra l'interesse pubblico alla disclosure generalizzata e la tutela di altrettanti validi interessi presi in considerazione dall'ordinamento.
L'Amministrazione deve pertanto verificare, una volta accertata l'assenza di eccezioni assolute, se l'ostensione degli atti possa comunque determinare un pericolo di concreto pregiudizio agli interessi indicati dal Legislatore.
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, il Collegio rileva che dalla analisi della motivazione del provvedimento di diniego si ricava l’assenza di qualsivoglia riferimento ad una delle suindicate ragioni che precludono i diritti all’accesso generalizzato.
Più in radice, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, in riferimento all’istanza presentata ai sensi dell’accesso civico generalizzato, di fatto, il comune non si è proprio pronunciato.
Il che appare già sufficiente per la conferma della sentenza impugnata.
Peraltro, nemmeno può essere condiviso l’assunto che, nel caso in esame, si verserebbe nell’ipotesi di abuso del diritto all’accesso civico generalizzato.
Come noto, l’abuso del diritto, secondo la definizione più accreditata anche in dottrina, consiste nella deviazione dell'esercizio del diritto rispetto allo "scopo" per il quale il diritto stesso è stato riconosciuto.
Orbene, dalla natura degli atti richiesti al Comune di Cotrone, (relativi al procedimento di riqualificazione di un edificio storico) emerge, contrariamente a quanto ritenuto dal comune appellante, non solo la ragionevole esigenza conoscitiva dei ricorrenti in primo grado, ma, venendo in rilievo l’utilizzo di risorse pubbliche, anche la conformità della richiesta documentale alle finalità cui è preordinata la previsione dello strumento dell’accesso civico generalizzato, che, come anticipato, mira, a favorire forme di diffuse di controllo sull’ esercizio dei pubblici poteri.
Il riferimento, infine, alla possibile paralisi dell’ufficio tecnico comunale a fronte della massiva richiesta di accesso, costituisce, ad avviso del Collegio, una inammissibile integrazione in giudizio della motivazione del provvedimento di diniego dell’accesso.
Il maggioritario e condivisibile indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato assume, infatti, l’inammissibilità della motivazione postuma (specie quando, come nel caso in esame, avviene per il tramite degli scritti difensivi), ritenendola in contrasto anche con le regole del giusto procedimento amministrativo.
Tale condivisibile orientamento trae ulteriore argomento dalla condivisibile considerazione per cui «il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma […] e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti» (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione terza, 07.04.2014, n. 1629; sezione sesta, 22.09.2014, n. 4770; sezione terza, 30.04.2014, n. 2247; sezione quinta, 27.03.2013, n. 1808).
L’indirizzo giurisprudenziale in esame ha ricevuto, inoltre, l’autorevole avallo della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato, con l’ordinanza 26.05.2015, n. 92, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, comma 2, della n. 241 de 1990, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, da una sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, motivando, tra l’altro, che la rimettente si era sottratta al doveroso tentativo di sperimentare l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, chiedendo un improprio avallo a una determinata interpretazione della norma censurata.
Dalle considerazioni che precedono discende il respingimento dell’appello con conseguente conferma della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.02.2024 n. 1117 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2023

ATTI AMMINISTRATIVI: L. Spallino, Risarcimento del danno da provvedimento legittimo e illegittimo - Repertorio di giurisprudenza (10.11.2023 - link a www.dirittopa.it).
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1 - Accertamento della lesione a fronte di domanda di risarcimento del danno: interessi oppositivi e interessi pretensivi
2 - Annullamento giurisdizionale
3 - Annullamento giurisdizionale per vizio procedimentale
4 - Annullamento in autotutela
5 - Danno da lesione dell’affidamento del privato nella (mancata) emanazione del provvedimento
6 - Danno da atto legittimo: rilevanza della buona fede del privato.
7 - Danno da ^illecito costituzionale^: non risarcibilità
8 - Danno da illecito provvedimentale
9 - Danno da omessa adozione di provvedimenti contro l'inquinamento: competenza
10 - Danno da ritardo: presupposti
11 - Danno da ritardo: individuazione del regime di responsabilità “provvedimentale” della pubblica amministrazione
12 - Danno da ritardo, responsabilità aquiliana
13 - Danno da ritardo: responsabilità contrattuale da contatto sociale
14 - Danno da perdita di chance
15 - Danno ingiusto: nozione.
16 - Danno non patrimoniale
17 - Domanda autonoma di risarcimento del danno: computo del dies a quo
18 - Domanda di risarcimento del danno e dichiarata infondatezza della domanda di annullamento
19 - Domanda di accertamento dell’illegittimità dell’atto ai fini risarcitori ex art. 34, comma 3, c.p.a.
20 - Domanda di risarcimento del danno a seguito di annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo
21 - Domanda di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento: competenza G.A.
22 - Domanda di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento: competenza G.O.
23 - Domanda di risarcimento del danno in via autonoma: dedotto e deducibile
24 - Domanda di risarcimento del danno: onere della prova
25 - Domanda di risarcimento del danno: presupposti
26 - Responsabilità precontrattuale: presupposti
27 - Responsabilità precontrattuale: competenza
28 - Riconoscimento del danno: presupposti
29 - Riparto di giurisdizione
30 - Risarcimento del danno: presupposto dell'ingiustizia
31 - Silenzio su istanza a provvedere e domanda di risarcimento del danno

agosto 2023

ATTI AMMINISTRATIVI - CONDOMINIO: L’ordinanza sindacale contingibile ed urgente impugnata è espressamente indirizzata non al “Condominio”, ma ai “proprietari dell’intero complesso condominiale denominato, ai quali riferisce sia l’obbligo di “porre in essere, a loro cura, spese e responsabilità, tutti gli accorgimenti ed i necessari lavori o interventi per la gestione e manutenzione programmata e concordata delle opere realizzate dall’allora Genio Civile”, sia quello di provvedere al rimborso dei costi e delle spese a tal fine sostenute (o da sostenersi) in emergenza dal Comune.
L’ordine impartito dall’amministrazione non solo estende i propri effetti nella sfera giuridica dei singoli condòmini, ma può essere anche posto in esecuzione contro gli stessi, che hanno la responsabilità dell’adempimento in proporzione delle rispettive quote.
Di conseguenza, come i condòmini sono destinatari dell’ordine dell’amministrazione, così sono legittimati a contestarne in giudizio i contenuti avendo legittimazione all’impugnazione.
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Sono fondate le censure volte a contestare specificamente l’illegittimità del provvedimento impugnato (ordinanza sindacale contingibile ed urgente) nella parte in cui ordina “il ristoro delle spese sostenute e da sostenere in emergenza da parte del Comune, comprensive dei costi per la realizzazione delle opere per la messa in sicurezza e dei costi accessori quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, le spese tecniche e progettuali, gli oneri professionali per la relazione di perizie e relazioni specialistiche”.
Secondo i ricorrenti, l’ordinanza impugnata sarebbe viziata da sviamento di potere in quanto volta a perseguire un risultato diverso da quello tipico imposto dalla legge.
Il provvedimento sarebbe finalizzato, infatti, non “a tutelare l’integrità fisica della popolazione” (art. 54, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 267/2000) da un pericolo grave e imminente, ma ad ottenere il rimborso delle spese occorrenti all’amministrazione per la messa in sicurezza del versante crollato, di proprietà della (cessata) cooperativa ....
Sarebbe pertanto illegittima la pretesa di imputare ai soggetti danneggiati –cioè i proprietari degli immobili del Condominio, del tutto estranei a qualsivoglia responsabilità in ordine agli eventi verificatisi– i costi sostenuti dal Comune “in danno” dei terzi danneggianti, titolari dei mappali su cui insisterebbe la parete rocciosa dalla quale sono originati i crolli.
In merito, secondo consolidata giurisprudenza, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti atipici volti ad assicurare elasticità di manovra all’amministrazione nel prevenire il perpetrarsi di danni rilevanti all’incolumità pubblica, spesso irreparabili a posteriori, proprio come quelli che nel caso di specie potrebbero conseguire all’eventuale ulteriore cedimento della parete rocciosa retrostante il Condominio.
Dette ordinanze, pertanto, non hanno la finalità di attribuire responsabilità o di sanzionare comportamenti illegittimi, ma piuttosto quella di fronteggiare con immediatezza una situazione di natura eccezionale e imprevedibile oppure una condizione di pericolo concreto di un danno grave e imminente al momento dell'adozione del provvedimento, anche a prescindere dall’eventualità che la situazione emergenziale fosse sorta in epoca antecedente.
Nel caso di specie, tuttavia, il provvedimento impugnato ordina il ristoro delle spese sostenute dal Comune e di quelle che potranno eventualmente essere necessarie in futuro per la realizzazione delle opere di contenimento e messa in sicurezza dei luoghi, demandando all’amministratore di condominio pro tempore “di provvedere alla suddivisione dei costi da ristorare in base ai criteri adottati per la ripartizione delle spese comuni”.
Trattasi di una previsione non coerente con le finalità proprie del rimedio extra ordinem, che non può essere utilizzato per porre direttamente in capo alla parte privata oneri di natura prettamente economica e, come tali, privi in re ipsa dei caratteri dell’urgenza e della contingibilità.
Ne consegue che le ordinanze di cui si discute possono legittimamente imporre un obbligo di fare o di non fare in capo ai destinatari, ma non sono utilizzabili al fine di ottenere coattivamente il pagamento di somme di denaro, al di fuori delle ordinarie procedure per l’accertamento e il recupero del credito. E ciò anche in considerazione delle peculiari conseguenze connesse, specie sul piano della responsabilità penale (cfr. art. 650 c.p.), all’inadempimento di tale tipologia di provvedimento.
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...  per l'annullamento, previa sospensione cautelare
   A) quanto al ricorso n. 459 del 2023:
- dell'ordinanza sindacale n. 8 del 18.01.2023, notificata in pari data all'amministratore del Condominio “La Ca.”, sito in Luino, via ... n. 93, con la quale è stato ingiunto ai proprietari condominiali di provvedere, a loro cura e spese, allo svuotamento del vallo paramassi retrostante il complesso condominiale, nonché al ristoro delle spese sostenute o da sostenersi da parte del Comune di Luino per la messa in sicurezza dell'area, demandando all'amministratore condominiale la ripartizione di tali spese tra i condomini su base millesimale;
- di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso.
   B) quanto al ricorso n. 509 del 2023:
- dell'ordinanza sindacale n. 8 del 18.01.2023, adottata dal Sindaco del Comune di Luino.
...
1. Con il ricorso iscritto al numero di R.g. 459/2023, la signora Co.Cr. ha impugnato l’ordinanza contingibile e urgente n. 8 del 18.01.2023 emessa dal Sindaco del Comune di Luino, con la quale è stato ordinato ai proprietari del Condominio “La Ca.” (di seguito anche solo il “Condominio”), costituito da tre edifici (A/B/C) siti nel predetto comune, alla Via ... n. 93, di porre in essere “tutti gli accorgimenti ed i necessari lavori o interventi per la gestione e manutenzione programmata e concordata delle opere realizzate dall’allora Genio Civile per la messa in sicurezza” del Condominio medesimo, nonché di provvedere al ristoro delle spese a tal fine sostenute e da sostenersi in emergenza dall’ente. La ricorrente ha agito in qualità di condomina, onde tutelare individualmente la propria posizione siccome destinataria del provvedimento in contestazione.
2. Con separato ricorso iscritto al numero di R.g. 509/2023, il Condominio “La Ca.” ha impugnato la medesima ordinanza sindacale chiedendone parimenti l’annullamento.
3. Va premesso, in fatto, che il Condominio La Ca. è ubicato in posizione immediatamente antistante una scarpata rocciosa, interessata, sin dagli anni ’80, da molteplici movimenti franosi che hanno reso più volte necessario l’intervento in urgenza dell’amministrazione per il ripristino dei luoghi. Nel 1993 sono stati eseguiti dal Servizio Provinciale del Genio Civile lavori di consolidamento del versante e di messa in sicurezza dell’abitato tramite realizzazione di difese passive, tra i quali, per quanto di interesse, la costruzione di un muro di sostegno e di un vallo paramassi a copertura degli immobili a ridosso del versante, nonché di una rete di recinzione a delimitazione del coronamento della frana nel tratto del pendio a strapiombo (cfr. doc. 3 Comune di Luino).
4. Nelle giornate del 4 e del 05.01.2023, si è verificato l’ultimo evento franoso di rilevanti dimensioni che ha comportato il distacco dal versante roccioso retrostante il condominio di circa 1500 metri cubi di detriti, riversatisi nel sottostante vallo paramassi. Data la situazione di pericolo per la pubblica e privata incolumità, con ordinanze sindacali n. 1 del 05.01.2023 e n. 6 del 10.01.2023 è stata dichiarata l’inagibilità delle palazzine in via ... n. 93/C e 93/B.
5. Conseguentemente, con ordinanze sindacali n. 3 e 4 del 10.01.2023 e n. 7 dell’11.01.2023 è stato ordinato alla Cooperativa Edilizia Sa.Ca. in liquidazione, al Curatore Fallimentare del Fallimento So.Sa.Ri. S.r.l. e al Sig. Fa. Da., proprietari dei terreni ove è ubicato il costone roccioso interessato dai distacchi franosi, di porre in essere tutti gli accorgimenti e gli interventi necessari per eliminare il rischio di caduta massi a tutela della pubblica e privata incolumità. Analogamente, con l’ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 8 del 18.01.2023, impugnata in questa sede, è stato intimato al Condominio di provvedere alla gestione e manutenzione delle opere di difesa realizzate dal Genio Civile.
6. Avverso tale provvedimento, le parti hanno dedotto plurime ragioni di illegittimità, lamentando, in particolare, eccesso di potere per carenza dei presupposti di fatto, insussistenza delle ragioni di contingibilità e urgenza, incongruità della motivazione, mancanza di proporzionalità e di adeguatezza della misura rispetto all’obiettivo perseguito, contraddittorietà e sviamento.
...
11. Il Collegio è tenuto a scrutinare preliminarmente l’eccezione, sollevata dal Comune di Luino, di difetto di legittimazione ad agire della ricorrente Co.Cr.. Secondo l’amministrazione, nella fattispecie si discuterebbe della legittimità dell’ordine imposto al Condominio “di porre in essere opere di manutenzione su aree comuni, ossia di tutti i condomini, nonché di determinare la gestione di esse” (cfr. memoria del Comune del 06.04.2023, pag. 5), per cui l’interesse sotteso all’azione avrebbe natura direttamente collettiva e solo mediatamente individuale. Di conseguenza, non sussistendo una correlazione immediata con l’interesse esclusivo della singola condòmina ricorrente, la legittimazione ad agire in giudizio spetterebbe, ex art. 1131 c.c., esclusivamente all’amministratore condominiale.
L’eccezione è destituita di fondamento.
L’ordinanza impugnata è infatti espressamente indirizzata non al “Condominio”, ma ai “proprietari dell’intero complesso condominiale denominato “Condominio La Ca.””, ai quali riferisce sia l’obbligo di “porre in essere, a loro cura, spese e responsabilità, tutti gli accorgimenti ed i necessari lavori o interventi per la gestione e manutenzione programmata e concordata delle opere realizzate dall’allora Genio Civile”, sia quello di provvedere al rimborso dei costi e delle spese a tal fine sostenute (o da sostenersi) in emergenza dal Comune di Luino.
L’ordine impartito dall’amministrazione non solo estende i propri effetti nella sfera giuridica dei singoli condòmini, ma può essere anche posto in esecuzione contro gli stessi, che hanno la responsabilità dell’adempimento in proporzione delle rispettive quote (Cass. Civ., Sez. II, 20.12.2021, n. 40857).
Di conseguenza, come i condòmini sono destinatari dell’ordine dell’amministrazione, così sono legittimati a contestarne in giudizio i contenuti avendo legittimazione all’impugnazione: l’azione introdotta dalla signora Co.Cr. è pertanto ammissibile.
12. Sempre in via preliminare, va rilevato che, nelle memorie di replica depositate rispettivamente il 23.06.2023 e il 21.06.2023, il Condominio La Ca. e la ricorrente Cr. hanno dato atto dell’attivazione spontanea del Comune di Luino per la messa in sicurezza dell’area, con il conferimento di un incarico a professionista abilitato per la redazione delle relazioni specialistiche sullo stato dei luoghi e del progetto per la realizzazione dei necessari interventi.
In detta sede, le parti hanno segnalato che sarebbe venuta meno la materia del contendere rispetto alla prima parte del dispositivo dell’ordinanza impugnata, laddove viene ordinato ai proprietari del Condominio “di porre in essere, a loro cura, spese e responsabilità, tutti gli accorgimenti ed i necessari lavori o interventi per la gestione e manutenzione programma e concordata delle opere realizzate dall’allora Genio Civile per la messa in sicurezza degli immobili…” (cfr. pag. 4 della replica del Condominio e pag. 1 della replica Cr.).
Ritiene il Collegio, tuttavia, che le parti non abbiano inteso effettivamente domandare una pronuncia di cessata materia del contendere, come si può evincere dal contenuto complessivo delle difese e dalla stessa formulazione letterale adottata nelle memorie in questione. Peraltro, una sentenza resa ai sensi dell’art. 34, comma 5, c.p.a. presuppone l’integrale soddisfazione dell’interesse sostanziale fatto valere in giudizio attraverso un provvedimento amministrativo successivo, posto in essere spontaneamente e non in esecuzione di un ordine giudiziale. In altre parole, l’attività amministrativa sopravvenuta deve consentire l’ottenimento del bene della vita agognato, così da rendere inutile la prosecuzione del processo.
Nel caso sub iudice non si verificano le predette condizioni, poiché la circostanza che l’ente comunale abbia incaricato un professionista dell’esecuzione dell’attività progettuale richiesta ai ricorrenti non rappresenta un riconoscimento implicito della fondatezza sostanziale della posizione di questi ultimi, né esclude la doverosità della condotta intimata nel provvedimento impugnato, trattandosi, piuttosto, di un’esecuzione in urgenza a fronte dell’inadempimento dei destinatari dell’ordinanza, chiamati in ogni caso a sopportarne i costi.
13. I ricorsi, pertanto, devono essere scrutinati nel merito.
14. Con un primo ordine di censure si contesta l’illegittimità dell’ordinanza impugnata nella parte in cui, rilevata la necessità di ripristinare il vallo paramassi posto alla base del versante roccioso interessato dagli eventi franosi e di eseguire interventi di messa in sicurezza, dispone che il Condominio provveda alla manutenzione delle opere realizzate dall’allora Genio Civile a tutela della struttura.
Secondo i ricorrenti, tali opere di protezione sarebbero state eseguite interamente con fondi pubblici nell’ambito degli interventi a difesa del suolo e, una volta completate, sarebbero state consegnate al Comune di Luino con verbale del 15.06.1993, che ne avrebbe così acquisito la disponibilità materiale e giuridica, con assunzione degli obblighi di custodia.
Inoltre, il Condominio non avrebbe accesso all’area del vallo paramassi, tanto che l’amministrazione comunale avrebbe essa stessa provveduto in passato, mediante personale qualificato, alla sua manutenzione. Non sussisterebbe alcun obbligo di manutenzione/svuotamento periodico del vallo paramassi a carico del Condominio, che non avrebbe mai assunto alcun impegno in tal senso, non avendo, tra l’altro, la disponibilità di detta area e della relativa struttura.
La censura è fondata nei termini che seguono.
14.1 L’ordinanza impugnata impone, al punto 1, ai proprietari del complesso condominiale “di porre in essere, a loro cura, spese e responsabilità, tutti gli accorgimenti ed i necessari lavori o interventi per la gestione e manutenzione programmata e concordata delle opere realizzate dall’allora Genio Civile per la messa in sicurezza degli immobili denominati Condominio La Ca.”. L’ordine impartito in via d’urgenza presuppone che tra il Condominio e l’amministrazione che ha eseguito le opere, o che ne abbia avuto pro tempore la disponibilità, sia stato stipulato un accordo –munito delle formalità richieste per impegnare all’esterno la volontà dell’ente e debitamente sottoscritto dal soggetto a ciò competente– per l’individuazione degli interventi manutentivi da svolgere nel corso del tempo, secondo la programmazione stabilita dalle parti.
14.2 Di detto accordo, tuttavia, non vi è traccia agli atti di causa.
14.2.1 Gli unici riferimenti al riparto degli oneri di manutenzione sono contenuti in due note, la prima delle quali risalente al 18.05.1993, prot. 3621, con cui è stato trasmesso al Comune di Luino lo schema del “Verbale di consistenza e consegna” delle opere in questione.
In tale sede, il dirigente provinciale del servizio del Genio Civile ha espresso il parere che “le Ditte proprietarie dei terreni, debbano farsi carico della manutenzione e della tenuta in efficienza delle opere, pena la decadenza delle condizioni di abitabilità dei fabbricati e di agibilità dei luoghi, qualora venissero a mancare le attuali condizioni di sicurezza”.
Trattasi, con evidenza, di un’opinione personale contenuta in una corrispondenza tra due amministrazioni, che in nessun modo ha coinvolto il Condominio o può valere a fondare l’obbligo di quest’ultimo di provvedere alla manutenzione delle opere realizzate nel 1993 dal Genio Civile.
14.2.2 Nella seconda nota (prot. 20225 del 17.10.2012), proveniente dal Comune di Luino e indirizzata anche al Condominio, si fa riferimento agli “impegni assunti reciprocamente tra Genio Civile, Comune e Amministrazione Condominiale”, in base ai quali “
a fronte delle opere realizzate dalla pubblica amministrazione la proprietà afferente i condomini avrebbe provveduto nel tempo alla gestione e manutenzione del vallo, ovvero al periodico svuotamento per assicurarne l’efficacia nel tempo”.
Tuttavia, non vi è prova che le parti abbiano effettivamente sottoscritto un accordo di tali contenuti, né l’amministrazione comunale è riuscita a dare dimostrazione, pur avendone l’onere a fronte dell’espressa eccezione sollevata dai ricorrenti, dell’esistenza di detto documento e della formalizzazione di impegni vincolanti per il Condominio.
15. L’ordinanza impugnata è dunque illegittima e va annullata laddove impone l’esecuzione interventi di manutenzione delle opere realizzate dal Genio Civile, siccome basata su un presupposto indimostrato nel presente giudizio qual è l’assunzione di un obbligo manutentivo su base contrattuale da parte del Condominio La Ca..
16. Le ulteriori doglianze relative al contenuto di cui al punto 1 dell’ordinanza possono essere assorbite, tenuto conto dell’effetto pienamente satisfattivo derivante alla parte ricorrente dall’accoglimento del profilo esaminato.
17. Vanno ora scrutinate le censure volte a contestare specificamente l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui (punto 2) ordina “il ristoro delle spese sostenute e da sostenere in emergenza da parte del Comune di Luino, comprensive dei costi per la realizzazione delle opere per la messa in sicurezza e dei costi accessori quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, le spese tecniche e progettuali, gli oneri professionali per la relazione di perizie e relazioni specialistiche”.
18. Secondo i ricorrenti, l’ordinanza impugnata sarebbe viziata da sviamento di potere in quanto volta a perseguire un risultato diverso da quello tipico imposto dalla legge.
Il provvedimento sarebbe finalizzato, infatti, non “a tutelare l’integrità fisica della popolazione” (art. 54, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 267/2000) da un pericolo grave e imminente, ma ad ottenere il rimborso delle spese occorrenti all’amministrazione per la messa in sicurezza del versante crollato, di proprietà della (cessata) cooperativa Sa.Ca. e della (fallita) Sa.Ri. S.r.l..
Sarebbe pertanto illegittima la pretesa di imputare ai soggetti danneggiati –cioè i proprietari degli immobili del Condominio La Ca., del tutto estranei a qualsivoglia responsabilità in ordine agli eventi verificatisi– i costi sostenuti dal Comune di Luino “in danno” dei terzi danneggianti, titolari dei mappali su cui insisterebbe la parete rocciosa dalla quale sono originati i crolli.
La doglianza merita condivisione.
18.1 Secondo consolidata giurisprudenza, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti atipici volti ad assicurare elasticità di manovra all’amministrazione nel prevenire il perpetrarsi di danni rilevanti all’incolumità pubblica, spesso irreparabili a posteriori (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 06.12.2022, n. 16291), proprio come quelli che nel caso di specie potrebbero conseguire all’eventuale ulteriore cedimento della parete rocciosa retrostante il Condominio.
Dette ordinanze, pertanto, non hanno la finalità di attribuire responsabilità o di sanzionare comportamenti illegittimi, ma piuttosto quella di fronteggiare con immediatezza una situazione di natura eccezionale e imprevedibile oppure una condizione di pericolo concreto di un danno grave e imminente al momento dell'adozione del provvedimento, anche a prescindere dall’eventualità che la situazione emergenziale fosse sorta in epoca antecedente.
18.2 Nel caso di specie, tuttavia, il provvedimento impugnato ordina il ristoro delle spese sostenute dal Comune di Luino e di quelle che potranno eventualmente essere necessarie in futuro per la realizzazione delle opere di contenimento e messa in sicurezza dei luoghi, demandando all’amministratore di condominio pro temporedi provvedere alla suddivisione dei costi da ristorare in base ai criteri adottati per la ripartizione delle spese comuni”.
Trattasi di una previsione non coerente con le finalità proprie del rimedio extra ordinem, che non può essere utilizzato per porre direttamente in capo alla parte privata oneri di natura prettamente economica e, come tali, privi in re ipsa dei caratteri dell’urgenza e della contingibilità.
Ne consegue che le ordinanze di cui si discute possono legittimamente imporre un obbligo di fare o di non fare in capo ai destinatari, ma non sono utilizzabili al fine di ottenere coattivamente il pagamento di somme di denaro, al di fuori delle ordinarie procedure per l’accertamento e il recupero del credito. E ciò anche in considerazione delle peculiari conseguenze connesse, specie sul piano della responsabilità penale (cfr. art. 650 c.p.), all’inadempimento di tale tipologia di provvedimento.
18.3 Anche sotto questo profilo, pertanto, l’ordinanza impugnata risulta illegittima. Rimane ferma, tuttavia, la facoltà dell’amministrazione di richiedere, con altre modalità, le somme dovute per l’esecuzione delle opere in questione dai soggetti eventualmente tenuti alla realizzazione delle stesse.
19. In conclusione, i ricorsi sono complessivamente fondati per le ragioni sopra dette e, nei limiti esposti, devono essere accolti (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 23.08.2023 n. 2045 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: In tema di ordinanze sindacali contingibili e urgenti adottate ex art. 50 e 54 d.lgs. n. 267 del 2000 consolidata giurisprudenza osserva che:
   -) “Le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti "extra ordinem", a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotate di capacità derogatoria dell'ordinamento giuridico, la cui giustificazione si rinviene nell'esigenza di apprestare alla pubblica autorità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, tali da non consentire l'utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall'ordinamento.
La possibilità di utilizzo, in via del tutto residuale, di tale strumento, recando con sé l'inevitabile compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli aventi un contenuto tipico e indicati dalle legge, impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, costituiti:
a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, diversi da quelli tipici indicati dalle legge";
   -) “Alla ragione d'essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l'adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte.
Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.
Inoltre, tale potere di ordinanza presuppone situazioni -non tipizzate dalla legge- di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un'istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti";
   -) “le ordinanze contingibili e urgenti, in quanto espressive di un potere amministrativo extra ordinem idoneo a derogare a norme di legge, vanno circoscritte a casi eccezionali e imprevedibili, individuati per mezzo di un'approfondita istruttoria, per i quali il legislatore non può configurare poteri d'intervento tipici, mentre deve ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia un pregiudizio attuale ed effettivo, dotato del carattere di eccezionalità tale da rendere indispensabile interventi immediati ed indilazionabili”.
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Quando all’ulteriore spunto motivazionale costituito dalle proteste dei cittadini, ad avviso del Collegio queste non giustificano l’esercizio del potere extra ordinem, l’assunto dell’insorgere di proteste dei cittadini tenuto conto che “Non appaiono ravvisabili i presupposti per l'adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente ex artt. 50 e 54, d.lgs. n. 267 del 2000 di sospensione dei lavori, in relazione alle esigenze di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, motivate con riferimento alle rimostranze della popolazione. Le proteste, pur reiterate, da parte dei cittadini non integrano quel pericolo per l'ordine pubblico di cui all'art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000, non essendo sufficiente far riferimento ad un generico pericolo per l'ordine pubblico a legittimare la sospensione dei lavori".
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Il richiamo ai livelli di esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici non è argomento sufficiente per giustificare il provvedimento impugnato.
In primo luogo, si rileva che il pericolo alla salute pubblica derivante dall'installazione della SRB, peraltro già regolarmente autorizzata a seguito di conferenza di servizi, è solamente ipotetico, poiché scientificamente indimostrato, sicché non può essere addotto a giustificazione del potere extra ordinem.
Nello specifico, l'art. 50, comma 5, d.lgs. 267/2000, in forza del quale l'ordinanza è stata emessa, circoscrive il potere del Sindaco d'intervenire in via contingibile e urgente al verificarsi di "emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale". Perciò "deve ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia urgenza di provvedere o un pregiudizio in atto (…) o, comunque, si tratti di compiere valutazioni aventi una portata non localizzata al solo territorio comunale".  
Inoltre, per giurisprudenza costante, la materia della tutela sanitaria e ambientale dall'esposizione ai campi elettromagnetici, magnetici e elettromagnetici, essendo riservata alla competenza esclusiva dello Stato, non si presta a essere regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente e, al contempo, "la valutazione sui rischi connessi a tale esposizione è di esclusiva pertinenza dell'A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell'attivazione della struttura e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato". 
Tali approdi giurisprudenziali sono stati recepiti dallo stesso legislatore con l'art. 38 d.l. 76/2020 che, modificando l'art. 8, comma 6, l. 36/2001, ha espressamente vietato ai Comuni di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo stato ai sensi dell'articolo 4.
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... per l'annullamento
Per quanto riguarda il RICORSO INTRODUTTIVO:
   - dell'ordinanza sindacale n. 22/2022 del 13.2.2022 adottata dal Sindaco del Comune di Isca sullo Ionio (doc. n. 2) recante “Installazione di una nuova stazione radio base per telecomunicazioni WIND TRE S.p.A. denominata CZ038 – ISCA MARINA. Sospensione immediata dei lavori” nonché di ogni altro atto ad essa presupposto, connesso e/o consequenziale
...
12- Viene anzitutto scrutinato il ricorso principale.
12.1- Il ricorso è fondato.
12.2- Le censure possono essere scrutinate congiuntamente, in quanto interconnesse.
12.3- In tema di ordinanze sindacali contingibili e urgenti adottate ex art. 50 e 54 d.lgs. n. 267 del 2000 consolidata giurisprudenza osserva che:
   -) “Le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti "extra ordinem", a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotate di capacità derogatoria dell'ordinamento giuridico, la cui giustificazione si rinviene nell'esigenza di apprestare alla pubblica autorità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, tali da non consentire l'utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall'ordinamento.
La possibilità di utilizzo, in via del tutto residuale, di tale strumento, recando con sé l'inevitabile compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli aventi un contenuto tipico e indicati dalle legge, impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, costituiti:
a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, diversi da quelli tipici indicati dalle legge
" (ex plurimis, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 01.02.2023, n. 264);
   -) “Alla ragione d'essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l'adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte. Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile. Inoltre, tale potere di ordinanza presuppone situazioni -non tipizzate dalla legge- di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un'istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti" (ex plurimis, TRGA Trento, Sez. I, 04.03.2022, n. 52);
   -) “le ordinanze contingibili e urgenti, in quanto espressive di un potere amministrativo extra ordinem idoneo a derogare a norme di legge, vanno circoscritte a casi eccezionali e imprevedibili, individuati per mezzo di un'approfondita istruttoria, per i quali il legislatore non può configurare poteri d'intervento tipici, mentre deve ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia un pregiudizio attuale ed effettivo, dotato del carattere di eccezionalità tale da rendere indispensabile interventi immediati ed indilazionabili” (ex multis, TAR Milano, Sez. IV, 09.12.2020, n. 2463; TAR Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020, n. 1670; TAR Napoli, Sez. V, 01.06.2020, n. 2087; TAR Cagliari, Sez. I, 04.05.2018, n. 406; Cons. Stato, Sez. V, 05.06.2017, n. 2676; Id., 20.02.2012, n. 904).  
12.4- Nell’impugnata ordinanza sindacale n. 22/2022 il Sindaco di Isca sullo Ionio:
   -) ha richiamato le precedenti vicende procedimentali culminate nell’autorizzazione unica previo svolgimento della Conferenza di servizi e contestuale formazione del silenzio-assenso delle amministrazioni che non vi hanno partecipato;
   -) ha rilevato di aver proceduto, con l’ausilio di alcuni tecnici, ad esaminare la documentazione progettuale a corredo dell’istanza di autorizzazione, rilevando:
      1. l’assenza di alcun parere di compatibilità idraulica nella documentazione trasmessa in conferenza di servizi, necessario in quanto l’area è interessata dalle misure di salvaguardia di cui al P.A.I.;
      2. l’assenza di ogni considerazione, nel progetto esecutivo già approvato dal Servizio Tecnico di Catanzaro con Autorizzazione Sismica prot. 527304/2021, dell’interazione tra il nuovo plinto di fondazione e il canale artificiale in c.a. distante circa 4 metri da esso;
      3. la mancata corrispondenza, in termini di reali proporzioni della struttura, tra i rendering fotografici allegati alla Relazione Paesaggistica e gli elaborati grafici esecutivi;
      4. la mancata presentazione di documentazione attestante la previsione di impatto acustico;  
      5. il mancato rispetto dell’art. 96, lett. f), del Regio Decreto n. 523 del 1904, che recita: “Le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”;
   -) ha rilevato di aver chiesto agli Enti preposti, in data 19.01.2021, la valutazione del progetto con gli opportuni approfondimenti tecnici senza ottenere riscontro;
   -) ha rilevato che la realizzazione della stazione radio base ha suscitato nella popolazione residente forte preoccupazione;
   -) ha altresì rilevato che l’A.R.P.A. Calabria non ha provveduto al rilascio del parere tecnico di competenza in merito alla compatibilità del progetto con i limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della legge 22.02.2001, n. 36;
   -) ha inoltre rilevato che le anomalie riscontrate e il silenzio-assenso formatosi sulla valutazione del rischio idraulico potrebbero generale potenziale pericolo per l’incolumità pubblica, essendo il progetto carente del necessario studio di compatibilità idraulica, per cui non è stato consentito agli enti preposti di valutare tutti gli aspetti connessi;
   -) ha ritenuto che le situazioni di fatto e diritto esposte e motivate integrino le condizioni di eccezionalità ed urgente necessità di tutela della sanità pubblica;
   -) ha conseguentemente disposto l’immediata sospensione dei lavori.
12.5- In sostanza, il provvedimento impugnato si fonda su motivazioni riconducibili a diversi ordini:
   -) in primo luogo, ad asserite criticità comunque connesse al pregresso iter procedimentale e alla relativa istruttoria –avente ad oggetto i diversi interessi pubblici e privati ivi coinvolti (urbanistico, paesaggistico-territoriale, ambientale, idrogeologico, etc.) culminata nel rilascio dell’Autorizzazione Unica e di cui intende chiedere il riesame;
   -) in secondo luogo, a rimostranze dei cittadini, implicitamente incidenti sull’ordine pubblico;
   -) in terzo luogo, a carenze attinenti mancate verifiche circa il rispetto dei limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici desumibili dal mancato rilascio del parere di compatibilità dell’ARPACAL sul progetto.
12.6- In tali termini, il provvedimento impugnato presta il fianco a numerose censure.
12.7- In primo luogo, le criticità comunque attinenti gli interessi coinvolti nel pregresso procedimento autorizzatorio non legittimano il Sindaco ad adottare un provvedimento pretorio.
Difatti, l’ordinamento prevede uno specifico potere ordinario -peraltro riservandone la competenza all’organo burocratico e non all’organo di indirizzo politico- consistente nell’ordine di sospensione dei lavori in caso di non conformità dell’intervento alla normativa vigente, primaria o secondaria, agli strumenti urbanistici o alle modalità esecutive fissate nel titolo abilitativo, nell’ambito della propria attività di vigilanza sull’attività di trasformazione del territorio.
Ciò è cristallizzato dall’art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001, il quale prevede che “1. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. (…) 3. (…) qualora sia constatata, dai competenti uffici comunali d’ufficio o su denuncia dei cittadini, l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, ordina l'immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all'adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall'ordine di sospensione dei lavori”.
12.8- A ciò è da soggiungere che, come rilevato dallo stesso Sindaco, l’installazione della controversa SRB era stata autorizzata a valle di un procedimento amministrativo i cui esiti sono da intendersi sostanzialmente consolidati, e che vengono unilateralmente messi in discussione -peraltro direttamente al opera del Sindaco, titolare di competenze di indirizzo e non anche gestionali– dando così luogo a distonia dai principi consolidati per i quali "Le amministrazioni che hanno adottato atti endoprocedimentali in seno alla conferenza non possono operare in autotutela per far venire meno l'assenso espresso, in quanto la conferenza di servizi rappresenta un modulo procedimentale che conduce all'adozione di un provvedimento che assorbe gli atti riconducibili alle amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza o che, regolarmente invitate, avrebbero dovuto prendervi parte. Diversamente opinando del resto si porrebbe nel nulla la disciplina dettata in tema di dissenso o di mancata partecipazione all'interno della conferenza di servizi. Spetta, quindi, all'amministrazione procedente valutare se indire una nuova conferenza di servizi avente ad oggetto il riesame dell'atto adottato secondo le modalità già seguite in occasione dell'adozione del provvedimento di primo grado" (TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 05.06.2019, n. 1502).
12.9- Ancora, anche dal punto di vista istruttorio e motivazionale, le osservazioni del Sindaco risultano meramente apodittiche, in quanto rese sulla scorta di una “solitaria” rivalutazione del materiale procedimentale ma in carenza di adeguato supporto istruttorio tecnico a sostegno della bontà delle stesse, non essendo all’evidenza sufficiente il –non meglio specificato- conforto di alcuni tecnici esperti nel settore che avrebbero coadiuvato il Sindaco nell’attività di verifica.
Peraltro, non è sufficiente il “combinato disposto”, che sembra desumersi dal tenore delle motivazioni, circa la mancata espressione di alcun parere da parte di alcune delle Amministrazioni coinvolte in conferenza e le criticità riscontrate proprio con riferimento ad aspetti di competenza di detti Enti, giacché, a tutto concedere, l’Amministrazione Comunale –in persona degli uffici a ciò preposti- avrebbe dovuto, al più, attivarsi per un riesame in autotutela della vicenda (che, in effetti, ha avuto inizio, ma solo successivamente all’adozione del provvedimento impugnato).
12.10- Quando, poi, all’ulteriore spunto motivazionale costituito dalle proteste dei cittadini, ad avviso del Collegio queste non giustificano l’esercizio del potere extra ordinem, l’assunto dell’insorgere di proteste dei cittadini tenuto conto che “Non appaiono ravvisabili i presupposti per l'adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente ex artt. 50 e 54, d.lgs. n. 267 del 2000 di sospensione dei lavori, in relazione alle esigenze di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, motivate con riferimento alle rimostranze della popolazione. Le proteste, pur reiterate, da parte dei cittadini non integrano quel pericolo per l'ordine pubblico di cui all'art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000, non essendo sufficiente far riferimento ad un generico pericolo per l'ordine pubblico a legittimare la sospensione dei lavori" (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 09.12.2013, n. 5640).
12.11- Anche il richiamo ai livelli di esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici non è argomento sufficiente per giustificare il provvedimento impugnato.
In primo luogo, si rileva che il pericolo alla salute pubblica derivante dall'installazione della SRB, peraltro già regolarmente autorizzata a seguito di conferenza di servizi, è solamente ipotetico, poiché scientificamente indimostrato, sicché non può essere addotto a giustificazione del potere extra ordinem (in senso analogo, TAR Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020, n. 1670).
Nello specifico, l'art. 50, comma 5, d.lgs. 267/2000, in forza del quale l'ordinanza è stata emessa, circoscrive il potere del Sindaco d'intervenire in via contingibile e urgente al verificarsi di "emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale". Perciò "deve ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia urgenza di provvedere o un pregiudizio in atto (…) o, comunque, si tratti di compiere valutazioni aventi una portata non localizzata al solo territorio comunale" (da ultimo, TAR L'Aquila, Sez. I, 26.04.2021, n. 237; Id., 14.01.2021, n. 8).  
Inoltre, per giurisprudenza costante, la materia della tutela sanitaria e ambientale dall'esposizione ai campi elettromagnetici, magnetici e elettromagnetici, essendo riservata alla competenza esclusiva dello Stato (Corte Cost., 07.07.2003, n. 307), non si presta a essere regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente (ex multis, TAR L'Aquila, Sez. I, 26.04.2021, n. 237; TAR Catania, Sez. I, 07.07.2020, n. 1641; Id., 22.05.2020, n. 1126) e, al contempo, "la valutazione sui rischi connessi a tale esposizione è di esclusiva pertinenza dell'A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell'attivazione della struttura e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato" (TAR L'Aquila, Sez. I, 26.04.2021, n. 237; TAR Catania, Sez. I, 30.03.2020, n. 236; Id., 26.11.2019, n. 2858). 
Tali approdi giurisprudenziali sono stati recepiti dallo stesso legislatore con l'art. 38 d.l. 76/2020 che, modificando l'art. 8, comma 6, l. 36/2001, ha espressamente vietato ai Comuni di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo stato ai sensi dell'articolo 4.
Peraltro, come rileva la giurisprudenza, "Il parere dell'ARPA è necessario per attivare l'impianto, ma non deve essere allegato alla domanda di autorizzazione ex art. 86 e ss., d.lgs. n. 259 del 2003, posto che, in sede di autorizzazione per installare una stazione radio base per telefonia mobile il parere dell'ARPA, ai sensi dell'art. 87, comma 4, d.lgs. 01.08.2003 n. 259, non è atto presupposto e condizionante il provvedimento autorizzativo del Comune, bensì atto di un procedimento parallelo necessario non per la formazione del titolo edilizio e per l'inizio dei lavori con esso assentiti, bensì esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell'impianto" (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 04.02.2022, n. 1299; v. anche Cons. St., n. 3970 del 2017).
In conclusione, l’omissione del parere dell’ARPA non costituisce -allo stato- elemento idoneo a ritenere inverabile un rischio per la salute pubblica idoneo a giustificare il provvedimento pretorio impugnato.
12.12- Ancora, richiamando la giurisprudenza per cui “L'ordinanza contingibile e urgente non può essere impiegata per conferire un assetto stabile e definitivo agli interessi e, allo stesso tempo, i provvedimenti contingibili non possano considerarsi automaticamente illegittimi, solo per il fatto che siano sprovvisti di un termine finale di durata o di efficacia, pertanto anche misure non definite nel loro limite temporale possono essere reputate legittime, se collegate ad una concreta ed accertata situazione di pericolo" (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 18.03.2020, n. 1188), si ricava che, se è vero che possono essere legittime misure adottate con ordinanza contingibile non definite nel loro limite temporale è anche vero che ciò è legato anche alla situazione specifica, ragion per cui, in assenza di una situazione di accertato pericolo e in assenza di elementi, desumibili dal provvedimento, che permettano di inquadrare la disposta sospensione nell’orbita della “provvisorietà” con la stessa ordinanza si è sostanzialmente dato un assetto stabile alla situazione controversa.
Né è sufficiente il richiamo al mancato riscontro da parte degli enti cui il Sindaco avrebbe richiesto una rivalutazione della documentazione progettuale, anche perché, in assenza di avvio di un procedimento in autotutela, da svolgersi in tempi certi (che certamente non è surrogabile dalla mera richiesta contenuta in calce al provvedimento impugnato) e in assenza di alcun obbligo di mero riscontro degli enti in questione, il provvedimento è destinato ad avere durata verosimilmente stabile.
12.13- Le suddette considerazioni, nel loro insieme, risultano inficiare in modo tranciante il provvedimento impugnato, ragion per cui il ricorso principale va accolto e l'ordinanza sindacale impugnata va annullata (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 07.08.2023 n. 1122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sulla illegittimità (per difetto di motivazione e per violazione del principio di proporzionalità) di una ordinanza sindacale che vieta l’ingresso nelle spiagge destinate alla libera balneazione, negli orari compresi tra le 08:00 e le 20:00, durante la stagione balneare 2023 (1° giugno-31 ottobre) a qualsiasi tipo di animale, anche se munito di museruola o guinzaglio, ivi compresi quelli utilizzati dai fotografi o cineoperatori, fatta eccezione per i cani da salvataggio al guinzaglio e per i cani guida per i non vedenti.
L’obbligo motivazionale contenuto nell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 sancisce un principio di portata generale, al quale sono poste limitatissime eccezioni, espressamente rese esplicite dal legislatore ovvero individuate in sede giurisprudenziale.
Al di fuori di tali eccezioni, si applica il principio generale per cui il provvedimento lesivo deve rendere note le ragioni poste a sua base, nonché l’iter logico seguito dall’Amministrazione, e ciò per evidenti ragioni di trasparenza dell’esercizio del pubblico potere.

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L’ordinanza sindacale impugnata -
nella parte in cui vieta ai conduttori di animali, anche se muniti di museruola e guinzaglio, di poter accedere alle spiagge libere di tutto il litorale comunale dalle ore 8.00 alle ore 20.00- è riconducibile alla categoria degli atti a contenuto generale in quanto indirizzata ad una pluralità indeterminata di destinatari.
Il
provvedimento de quo impugnato è, innanzitutto, illegittimo per difetto di motivazione.
Tale natura giuridica non comporta, tuttavia, di per sé una eccezione all’obbligo di motivazione, perché –in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990– la giurisprudenza ha più volte chiarito che si applica in materia il principio di esigibilità, per cui comunque occorre una motivazione, quando ciò sia compatibile con le caratteristiche del provvedimento in questione: ad esempio, mentre per le varianti generali agli strumenti urbanistici non occorre una specifica motivazione sulle singole determinazioni incidenti sui vari interessati, non v’è dubbio che una motivazione occorra quando si tratti di varianti urbanistiche aventi un ambito limitato di applicazione, ovvero di atti generali emanati da Autorità indipendenti, incidenti su posizioni di una pluralità indeterminata di destinatari.
Lo stesso principio si applica quando autorità locali intendano limitare l’utilizzazione di auto o di altri veicoli a motore, limitare gli orari di apertura di esercizi pubblici o aperti al pubblico: anche l’ordinanza che regola le condotte consentite e quelle vietate –circa l’uso del demanio marittimo– deve essere motivata, evidenziando quali specifiche esigenze vadano soddisfatte, in correlazione alle limitazioni delle libertà, che ne conseguono.
In sostanza, negli atti che rientrano nella categoria in esame la disciplina dell’obbligo di motivazione attiene alla dimostrabilità della ragionevolezza delle scelte operate dalla PA, che, nella odierna fattispecie non è ravvisabile.
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Il provvedimento impugnato è, altresì, illegittimo sotto il connesso profilo della violazione del principio di proporzionalità.
Il principio di proporzionalità di matrice comunitaria, immanente nel nostro ordinamento in virtù del richiamo operato dall’art. 1 della legge n. 241/1990, impone alla pubblica amministrazione di optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i destinatari incisi dal provvedimento, onde evitare agli stessi ‘inutili’ sacrifici.
Nel caso in esame, la mancata esternazione nel provvedimento gravato anche di quale sia l’interesse pubblico concretamente perseguito attraverso l’imposizione del divieto contestato non impedisce la formulazione di un giudizio di sproporzione tra l’atto adottato ed il fine con esso perseguito.
In altri termini, la scelta di vietare negli orari diurni l'ingresso agli animali -e, conseguentemente, ai loro padroni o detentori- sulle spiagge destinate alla libera balneazione, risulta irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, nel senso che l'amministrazione avrebbe dovuto valutare se sia possibile perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell'igiene e della sicurezza, ovvero dell’incolumità pubblica mediante regole alternative al divieto di frequentazione delle spiagge (quali, solo a titolo esemplificativo, a tutela dell’igiene pubblica l’obbligo di portare con se, unitamente all'animale, anche paletta e sacchetto per raccolta deiezioni, l’immediata rimozione delle deiezioni, la pulizia delle aree interessate dalle deiezioni, ovvero, a tutela dell’incolumità pubblica, l’obbligo di indossare la museruola o guinzaglio e il divieto di lasciare liberi gli animali, viepiù per quelli di taglia non piccola, a tutela della pubblica incolumità), idonee allo scopo ma, nel contempo, non in assoluto preclusive delle prerogative dei cittadini..
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... per l'annullamento dell’art. 5 dell'ordinanza n. 12 emessa dal Sindaco del Comune di Bianco (Rc) in data 23.05.2023, nella parte in cui vieta ai conduttori di animali, anche se muniti di museruola e guinzaglio, di poter accedere alle spiagge libere di tutto il litorale comunale dalle ore 8.00 alle ore 20.00.
...
1. Con ricorso ritualmente proposto l’associazione ricorrente ha impugnato l’ordinanza in epigrafe nella parte in cui vieta l’ingresso nelle spiagge destinate alla libera balneazione, negli orari compresi tra le 08:00 e le 20:00, durante la stagione balneare 2023 (1° giugno-31 ottobre) a qualsiasi tipo di animale, anche se munito di museruola o guinzaglio, ivi compresi quelli utilizzati dai fotografi o cineoperatori, fatta eccezione per i cani da salvataggio al guinzaglio e per i cani guida per i non vedenti.
1.1. Osserva parte ricorrente che il divieto di accesso degli animali alle spiagge libere del territorio comunale si pone in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall’art. 1 della legge n. 241/1990 nonché con le disposizioni di cui alla L.R. n. 41/1990 che, all’art. 2, comma 1, lett. c), prevede che i Comuni provvedano a realizzare sul territorio un corretto rapporto uomo–ambiente–animale.
Il Comune avrebbe imposto, invero, un divieto generalizzato riferito a tutti gli animali a prescindere dal fatto che si tratti di animali regolarmente iscritti all’anagrafe canina/felina o dal fatto che siano muniti di guinzaglio e museruola e che i loro padroni provvedano a rimuovere le loro deiezioni.
1.2. Non sarebbe, poi, possibile desumere dal tenore del provvedimento se il divieto sia imposto per ragioni di igiene o per ragioni di sicurezza, risultando, pertanto, evidente la carenza di adeguata motivazione.
1.3. Parte ricorrente rappresenta di aver richiesto al Comune, con PEC del 02.06.2023, “la modifica dell'ordinanza balneare nel punto in cui pone il divieto assoluto di accesso ai cani al litorale”, sollecitando l’individuazione di almeno “un punto di accesso come disposto dai vicini comuni di Siderno e Locri”. Tale richiesta è rimasta, tuttavia, priva di riscontro.
...
4.1. Il provvedimento impugnato è, innanzitutto, illegittimo per difetto di motivazione.
L’obbligo motivazionale contenuto nell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 sancisce un principio di portata generale, al quale sono poste limitatissime eccezioni, espressamente rese esplicite dal legislatore ovvero individuate in sede giurisprudenziale.
Al di fuori di tali eccezioni, si applica il principio generale per cui il provvedimento lesivo deve rendere note le ragioni poste a sua base, nonché l’iter logico seguito dall’Amministrazione, e ciò per evidenti ragioni di trasparenza dell’esercizio del pubblico potere.
Nel caso di specie, l’ordinanza ‘balneare’ impugnata è riconducibile alla categoria degli atti a contenuto generale (non avendo rilievo in questa sede se abbia o meno natura regolamentare), in quanto indirizzata ad una pluralità indeterminata di destinatari.
Tale natura giuridica non comporta tuttavia di per sé una eccezione all’obbligo di motivazione, perché –in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990– la giurisprudenza ha più volte chiarito che si applica in materia il principio di esigibilità, per cui comunque occorre una motivazione, quando ciò sia compatibile con le caratteristiche del provvedimento in questione: ad esempio, mentre per le varianti generali agli strumenti urbanistici non occorre una specifica motivazione sulle singole determinazioni incidenti sui vari interessati, non v’è dubbio che una motivazione occorra quando si tratti di varianti urbanistiche aventi un ambito limitato di applicazione, ovvero di atti generali emanati da Autorità indipendenti, incidenti su posizioni di una pluralità indeterminata di destinatari.
Lo stesso principio si applica quando autorità locali intendano limitare l’utilizzazione di auto o di altri veicoli a motore, limitare gli orari di apertura di esercizi pubblici o aperti al pubblico: anche l’ordinanza che regola le condotte consentite e quelle vietate –circa l’uso del demanio marittimo– deve essere motivata, evidenziando quali specifiche esigenze vadano soddisfatte, in correlazione alle limitazioni delle libertà, che ne conseguono.
In sostanza, negli atti che rientrano nella categoria in esame la disciplina dell’obbligo di motivazione attiene alla dimostrabilità della ragionevolezza delle scelte operate dalla PA, che, nella odierna fattispecie non è ravvisabile.
4.2. Il provvedimento impugnato è, altresì, illegittimo sotto il connesso profilo della violazione del principio di proporzionalità.
Il principio di proporzionalità di matrice comunitaria, immanente nel nostro ordinamento in virtù del richiamo operato dall’art. 1 della legge n. 241/1990, impone alla pubblica amministrazione di optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i destinatari incisi dal provvedimento, onde evitare agli stessi ‘inutili’ sacrifici.
Nel caso in esame, la mancata esternazione nel provvedimento gravato anche di quale sia l’interesse pubblico concretamente perseguito attraverso l’imposizione del divieto contestato non impedisce la formulazione di un giudizio di sproporzione tra l’atto adottato ed il fine con esso perseguito.
In altri termini, la scelta di vietare negli orari diurni l'ingresso agli animali -e, conseguentemente, ai loro padroni o detentori- sulle spiagge destinate alla libera balneazione, risulta irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, nel senso che l'amministrazione avrebbe dovuto valutare se sia possibile perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell'igiene e della sicurezza, ovvero dell’incolumità pubblica mediante regole alternative al divieto di frequentazione delle spiagge (quali, solo a titolo esemplificativo, a tutela dell’igiene pubblica l’obbligo di portare con se, unitamente all'animale, anche paletta e sacchetto per raccolta deiezioni, l’immediata rimozione delle deiezioni, la pulizia delle aree interessate dalle deiezioni, ovvero, a tutela dell’incolumità pubblica, l’obbligo di indossare la museruola o guinzaglio e il divieto di lasciare liberi gli animali, viepiù per quelli di taglia non piccola, a tutela della pubblica incolumità), idonee allo scopo ma, nel contempo, non in assoluto preclusive delle prerogative dei cittadini (cfr., TAR Catanzaro, sez. II, sentenza n. 885 del 26.04.2021 e n. 1430 dell’01.08.2022).
5. Per le ragioni si qui esposte, il ricorso è fondato e va accolto con il conseguente annullamento dell’ordinanza in esame nei limiti oggetto dell’impugnazione, sussistendo giusti motivi per dichiarare non ripetibili le spese di lite (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 01.08.2023 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2023

ATTI AMMINISTRATIVI: Costituisce jus receptum che “Le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti a contenuto atipico, espressione di un potere extra ordinem e con capacità di derogare temporaneamente a norme dispositive di legge. Secondo la consolidata elaborazione pretoria, la possibilità di incisione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, vale a dire:
   i) un pericolo imminente ed irreparabile per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento (contingibilità);
   ii) l’impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   iii) l’indicazione del limite temporale di efficacia;
   iv) la proporzionalità del provvedimento”.
Nel caso di specie, invece, l’ordinanza impugnata non ha previsto alcun limite temporale d’efficacia delle misure imposte, scaduto il quale l’Amministrazione debba ritornare ad operare mediante provvedimenti tipici, con conseguente illegittimità dell’atto impugnato.
Inoltre l’ordinanza in questione ha imposto l’effettuazione di interventi privi del carattere contingente e temporaneo, ma aventi natura definitiva.
Si tratta evidentemente di interventi finalizzati non già ad eliminare un pericolo attuale e non altrimenti gestibile, ma a risolvere in via permanente i problemi di caduta di massi ed alberi dai due versanti mediante misure ordinarie (peraltro neppure urgenti, come sarebbe stato possibile, atteso che l’unico termine sollecitatorio previsto è quello per la presentazione dei progetti, il cui procedimento resta, tuttavia, quello ordinario).
Tale contenuto dispositivo dell’atto gravato contrasta con i presupposti dei provvedimenti extra ordinem enucleati dalla costante giurisprudenza i quali restringono il legittimo utilizzo di tale categoria di atti ai soli casi in cui sia necessario predisporre misure di estrema urgenza che non consentono il ricorso a provvedimenti tipici.
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... per l'annullamento dell'ordinanza sindacale 10/08/2017 n. 88, comunicata il 26/09/2017, con cui si dispone che la ricorrente provveda
   - a produrre ricevuta di invio del progetto agli Enti preposti al rilascio delle necessarie autorizzazioni per la realizzazione degli interventi indicati nei punti 1A, 1B e 1C (erroneamente classificati nel primo punto 1) con due A ed una B),
   - a comunicare al Comune l'ottenimento delle dovute autorizzazioni oltre ad eventuali comunicazioni o richieste da parte degli Enti autorizzatori,
   - a realizzare i predetti interventi ed a comunicare al Settore LL.PP. la compiuta attività inviando anche il certificato di regolare esecuzione delle opere a firma di tecnico abilitato e di tutti gli atti ad essa preparatori, presupposti, connessi e conseguenti, tra cui la Pec 01/08/2017 n. 55824.
...
1) La ricorrente è proprietaria, nella frazione di Bussana vecchia, di un’area acclive denominata Fortezza, il cui versante a nord degrada verso la Via al Mare (carrabile), mentre quello a sud si estende fino alla passeggiata pedonale lungomare.
2) In ragione della caduta di ciottoli e pietre da tali versanti il Sindaco, con una prima ordinanza contingibile e urgente n. 188 dell’08.10.2014, ha ordinato alla ricorrente di mettere in sicurezza le aree di proprietà nel termine di 10 giorni.
3) Tale ordinanza è stata impugnata dalla ricorrente con ricorso che è stato respinto con sentenza di questo Tribunale n. 657/2015.
4) La ricorrente per circa tre anni dall’adozione dell’ordinanza ha sostanzialmente omesso di darvi attuazione né il Comune consta essersi attivato per far eseguire coattivamente detto provvedimento.
5) Solo in data 24.05.2017 il Comune ha sollecitato la ricorrente ad effettuare la messa in sicurezza, prescrivendo di attivarsi entro 15 giorni sulla base di un semplice progetto predisposto da un professionista abilitato.
6) Il Comune, al fine di valutare la pericolosità dei versanti, ha incaricato dapprima il geom. Ab. il quale, con relazione del 06.06.2017, ha ritenuto che la messa in sicurezza “in via definitiva” del versante richiedesse la realizzazione:
   - di una rete in aderenza al versante;
   - il corretto dimensionamento di una barriera/recinzione da installare lungo la strada carrabile;
   - il taglio degli alberi sulla cima della scarpata con “disgaggio” del materiale instabile.
7) Il Comune ha provveduto a realizzare la barriera a protezione sul lungomare e a chiudere una corsia di marcia nella strada a monte, installandovi una recinzione.
8) La ricorrente in data 13.6.2017 ha effettuato alcuni interventi di messa in sicurezza urgenti consistenti nel taglio di alcuni alberi pericolanti e nella rimozione e disgaggio di alcune rocce instabili dai versanti.
9) Così affrontata la situazione di pericolo contingente, è tuttavia rimasta la criticità dei due versanti sotto il profilo del distacco di ciottoli e pietre che, peraltro, come affermato dalla relazione del geom. Ab., richiedeva ulteriori interventi di messa in sicurezza definitiva.
Pertanto il Comune ha acquisito, da altro professionista, un’ulteriore relazione tecnica in data 22.07.2017 la quale ha evidenziato che i possibili “crolli di prismi e vere e proprie porzioni di ammasso roccioso” possono essere prevenuti con appositi accorgimenti quali un sistema di “monitoraggio strumentale che consentisse l’esclusione certa dell’immediatezza di tale pericolo” e il definitivo consolidamento e contenimento della parete rocciosa.
10) Il Comune ha quindi adottato una seconda ordinanza contingibile e urgente n. 88 del 26.09.2017 con la quale ha ordinato alla ricorrente:
   a) di presentare entro 30 giorni la progettazione agli Enti preposti per ottenere il rilascio delle necessarie autorizzazioni per:
      - attivare il monitoraggio continuo della scarpata mediante sistemi automatizzati di trasmissione dei dati ed invio del segnale di allarme;
      - effettuare gli interventi di prevenzione di innesco di fenomeni erosivi e di instabilità, anche con opportune legature degli alberi pericolanti od opere di contenimento;
      - realizzare gli interventi di “consolidamento definitivo” e di prevenzione di innesco di ulteriori fenomeni erosivi e di caduta massi di piccole dimensioni dalla scarpata sul lato nord per consentire la riapertura dell’intera carreggiata della sottostante “Via al Mare”;
   b) di realizzare le opere descritte entro 60 giorni dall’ottenimento delle abilitazioni necessarie e di comunicare al Comune l’avvenuta regolare esecuzione di tali opere.
11) La ricorrente ha impugnato anche tale atto con il ricorso di cui in epigrafe.
...
I motivi sono fondati.
15.1) Costituisce jus receptum che “Le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti a contenuto atipico, espressione di un potere extra ordinem e con capacità di derogare temporaneamente a norme dispositive di legge. Secondo la consolidata elaborazione pretoria, la possibilità di incisione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, vale a dire:
   i) un pericolo imminente ed irreparabile per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento (contingibilità);
   ii) l’impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   iii) l’indicazione del limite temporale di efficacia;
   iv) la proporzionalità del provvedimento
” (ex pluribus: TAR Liguria Sez. I, 22.03.2021 n. 249).
15.2) Nel caso di specie, invece, l’ordinanza impugnata non ha previsto alcun limite temporale d’efficacia delle misure imposte, scaduto il quale l’Amministrazione debba ritornare ad operare mediante provvedimenti tipici, con conseguente illegittimità dell’atto impugnato.
15.3) Inoltre l’ordinanza in questione ha imposto l’effettuazione di interventi privi del carattere contingente e temporaneo, ma aventi natura definitiva.
Alla ricorrente, infatti, è stato prescritto di presentare agli Enti preposti i progetti finalizzati al rilascio delle autorizzazioni per:
   - predisporre il monitoraggio continuo della scarpata lato sud mediante sistemi automatizzati con relativa centralina di registrazione e trasmissione dei dati ed invio di un segnale di allarme;
   - effettuare gli interventi di prevenzione di innesco di fenomeni erosivi e di instabilità anche con opportune legature degli alberi pericolanti od opere di contenimento e di porre in essere gli interventi di “consolidamento definitivo” dalla scarpata sul lato nord.
Si tratta evidentemente di interventi finalizzati non già ad eliminare un pericolo attuale e non altrimenti gestibile, ma a risolvere in via permanente i problemi di caduta di massi ed alberi dai due versanti mediante misure ordinarie (peraltro neppure urgenti, come sarebbe stato possibile, atteso che l’unico termine sollecitatorio previsto è quello per la presentazione dei progetti, il cui procedimento resta, tuttavia, quello ordinario).
Tale contenuto dispositivo dell’atto gravato contrasta con i presupposti dei provvedimenti extra ordinem enucleati dalla costante giurisprudenza (cfr. TAR Liguria Sez. I, 22.03.2021 n. 249 e i molteplici richiami in essa reperibili) i quali restringono il legittimo utilizzo di tale categoria di atti ai soli casi in cui sia necessario predisporre misure di estrema urgenza che non consentono il ricorso a provvedimenti tipici.
15.4) Si consideri, infine, che tali argomentazioni sono in linea con quanto affermato da questo Tribunale con la sentenza che ha ritenuto legittima la precedente ordinanza contingibile e urgente n. 188 dell’08.10.2014 in quanto la stessa ha ritenuto compatibile detto atto con l’art. 54 del D.lgs. n. 267/2000 solo perché esso aveva ordinato la messa in sicurezza urgente del versante instabile senza ingiungere l’adozione di misure definitive o prive di limiti di efficacia temporale.
15.5) Ne consegue l’impugnata ordinanza è illegittima e deve essere annullata (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 28.07.2023 n. 751 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Secondo ormai consolidata giurisprudenza, i presupposti essenziali per la legittima adozione di un’ordinanza contingibile e urgente sono individuabili nella sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, nella provvisorietà e temporaneità degli effetti e nella proporzionalità del provvedimento.
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... per l'annullamento:
   - dell’ordinanza sindacale contingibile urgente per motivi di sicurezza pubblica, per la rimozione di ostacoli alla circolazione nella strada “Canale Ergiu”, n. 42/2019 del 19.11.2019, prot. 14430 del 19.11.2019, emessa dal Sindaco del Comune di Calasetta e notificata via PEC in data 19.11.2019 al ricorrente.
...
2.3. Secondo ormai consolidata giurisprudenza i presupposti essenziali per la legittima adozione di un’ordinanza contingibile e urgente sono individuabili nella sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, nella provvisorietà e temporaneità degli effetti e nella proporzionalità del provvedimento (ex multis: Cons. Stato, Sez. V, 26.07.2016, n. 3369; Cons. Stato, Sez. III, 29.05.2015, n. 2697; Cons. Stato, Sez. VI, 31.10.2013, n. 5276).
2.4. Nel quadro così delineato, e alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali, la decisione assunta –in data 19.11.2019- dal Sindaco con la gravata ordinanza contingibile e urgente non può ritenersi irragionevole ma, al contrario, trova giustificazione nell’esigenza di prevenire e fronteggiare, in presenza di forti piogge e in un ambito territoriale caratterizzato da criticità idrogeologica, il verificarsi di gravi pericoli per l’incolumità pubblica, senza che a ciò l’Amministrazione potesse far fronte (in quel dato momento) con gli ordinari strumenti apprestati dall’ordinamento.
Occorre, peraltro, precisare che l’ordinanza impugnata –come emerge dalla attenta lettura del suo complessivo ordito motivazionale, alla luce del quale va inteso il suo dispositivo– non può che riferirsi temporalmente alla stagione delle piogge, nel corso della quale l’ordinanza è stata infatti adottata. E sotto questo profilo deve ritenersi legittima.
Ciò in quanto il provvedimento de quo non può assurgere a strumento idoneo a cristallizzare indefinitamente nel tempo una misura che si caratterizza, invece, come visto sopra, per la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti (e che proprio in ragione di ciò può dirsi proporzionata nella fattispecie); fermo restando, comunque, che il Comune –proprio in ragione della provvisorietà degli effetti dell’ordinanza impugnata- potrà individuare ulteriori soluzioni, più consone alla fattispecie, nei limiti consentiti dall’ordinamento (e con il coinvolgimento dell’interessato), al fine di dare un carattere di stabilità all’assetto degli interessi coinvolti nella vicenda.
Le doglianze contenute nel secondo motivo di ricorso, pertanto, vanno respinte.
2.5. Sotto diverso profilo, e passando al primo motivo, osserva il Collegio che la misura adottata dal Comune, volta ad impedire la chiusura della strada in questione nel periodo delle piogge, è stata imposta –in presenza dei presupposti di cui all’art. 54 TUEL, come risulta da quanto detto sopra– in ragione della mera posizione geografica di tale strada (considerata più sicura delle altre strade vicinali, come già detto).
Una volta appurato, dunque, che nella fattispecie ricorrevano i presupposti per l’adozione di una ordinanza contingibile e urgente come quella in concreto emessa, risulta irrilevante la questione relativa alla esistenza o meno sulla stessa strada di una servitù di uso pubblico, con la conseguente inammissibilità per carenza di interesse del primo motivo.
2.6. In definitiva, il ricorso deve essere respinto (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.07.2023 n. 590 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILe notifiche p.a. arrivano on-line. Al via l’Indice nazionale dei domicili digitali. Serve la Pec. Multe, cartelle, accertamenti, detrazioni, rimborsi direttamente sulla posta elettronica.
Da ieri 6 luglio, il sistema di comunicazione con la p.a. diventa a tutti gli effetti digitalizzato, in quanto si avvia l'Inad (Indice azionale dei domicili digitali) che consente di eleggere il proprio domicilio digitale tramite l'indicazione di un indirizzo posta elettronica certificata. Ne consegue che tutti i cittadini saranno invitati a dotarsi della Pec che consente la ricezione di atti con un sistema equiparato alla raccomandata, consentendo l'opponibilità a terzi dell'avvenuta consegna.
Con la creazione dell'Inad, ogni indirizzo Pec viene registrato nell'indice nazionale, consentendo la più rapida ricezione di multe, cartelle di pagamento, accertamenti, detrazioni e rimborsi fiscali. Già da tempo la Pec è obbligatoria per aziende, professionisti e pubbliche amministrazioni.
La previsione trova la sua ratio nella necessità di rendere il rapporto tra cittadino e p.a. più efficiente e celere, in conformità alle ultime riforme attuate con il dl Semplificazioni, che è intervenuto anche in materia di accesso e trasparenza garantendo il rispetto del principio di buon andamento ed efficienza dell'amministrazione (art. 97 Cost.).
Si ricorda che già con la legge 15/2005 è stato inserito l'art. 3-bis nella legge 241/1990, statuendo che “per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l'uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati”.
Attraverso l'utilizzo della Pec, oltre a garantire l'efficienza del sistema, la riforma ha volutamente posto in luce la necessità di garantire la certezza del diritto e del dialogo con la p.a., posto che lo strumento in questione è volto a conservare l'autenticità delle comunicazioni, dato il valore legale della Pec assimilabile a una raccomandata con ricevuta di ritorno.
Entro il 6 luglio la p.a. è tenuta a verificare la presenza dei cittadini nel sistema digitalizzato: qualora non risultino iscritti nel registro Inad, potranno ricevere le comunicazioni tramite il vecchio sistema cartaceo fino al 30/11/2023. I cittadini che ne siano in possesso sono pertanto tenuti
(1) a registrare la propria Pec su https://domiciliodigitale.gov.it, con l'obbligo di verificare la propria identità tramite Spid, Cie o Cns.
Non è ancora chiaro cosa accadrà dopo il 30 novembre per quei cittadini che non siano dotati di alcun sistema digitale. Nel decreto p.a. si legge che “al fine di garantire la piena inclusione dei soggetti in divario digitale, fino al 30.11.2023, il gestore della piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione invia al destinatario sprovvisto di domicilio digitale che non abbia già perfezionato la notifica tramite accesso alla piattaforma l'avviso di avvenuta ricezione in formato cartaceo”.
Pertanto al momento si desume che l'acquisizione di una Pec non è obbligatoria per tutti i cittadini, quanto piuttosto consigliata, essendo posta a garanzia dell'efficienza del sistema amministrativo.
Il sistema Pec, infatti, è in linea anche con l'economicità del sistema della p.a. (art. 1 L. 291/1990). Già dal 06/06/2023, in attuazione dell'art. 6-quater, c. 2 del Cad, tutte le Pec dei professionisti presenti in Ini-Pec (l'Indice nazionale degli Indirizzi Pec di società, imprese individuali e professionisti iscritti a un Ordine professionale) sono stati importati automaticamente anche su Inad, in qualità di domicili digitali di persone fisiche. I professionisti hanno facoltà di modificare il domicilio su Inad, indicando un'altra Pec diversa da quella presente in Ini-Pec.
Dal 6 luglio, pertanto, sarà possibile la consultazione di tutti i domicili eletti o modificati pubblicati in Inad, inserendo il codice fiscale della persona di cui si vuole conoscere il domicilio digitale.
La novità non riguarda solo avvisi di accertamento o richieste impositive, ma ogni tipo di comunicazione con la p.a.. Ne deriva un chiaro vantaggio per il cittadino che sarà destinatario di comunicazioni notificate in tempi più ristretti e in modo automatico, con notevoli risparmi legati al minore utilizzo della carta e all'azzeramento dei costi di postalizzazione. In merito alla disciplina inerente alla notifica di atti, enunciata nell'art. 60 del dpr 600/1973, si desume che il contribuente ha la “facoltà” di eleggere domicilio per la notifica degli atti che lo riguardano.
Nel silenzio dell'odierna riforma, stante l'incertezza legislativa e il mancato intervento circa le conseguenze dell'inottemperanza alle nuove modalità di notifica digitale, non sembrano venire in rilievo profili di nullità dell'eventuale notifica attuata tramite le modalità ordinarie in forma cartacea.
Pertanto, si ritiene che in difetto di notifica a mezzo Pec nei confronti di un cittadino regolarmente iscritto nell'Inad, potrebbe venir in rilievo una mera irregolarità se si considera che le forme di nullità devono essere previste ex lege.
In tal senso, potrebbe riscontrarsi una forma di responsabilità della p.a. per violazione delle regole di correttezza e buona fede, previste dall'art. 1, co. 2-bis, legge 241/1990. Diversamente, qualora si facesse leva sul carattere imperativo che rivestono le norme di diritto amministrativo, il mancato rispetto delle nuove normative potrebbe dar seguito a una forma di “nullità virtuale per violazione di norme imperative”.
Appare preferibile, tuttavia, la conclusione secondo cui, in attesa di un riscontro legislativo più chiaro, la notifica attuata tramite raccomandata -nonostante l'avvenuta iscrizione del cittadino nel registro Inad– è in ogni caso valida, dal momento che la novità del decreto p.a. prevede una mera facoltà di iscrizione della Pec e non un obbligo, almeno fino al 30/11/2023, data in cui si auspica una precisazione da parte del legislatore.
Si ricorda, da ultimo, che il dm Economia e Finanze del 14/04/2023 ha disposto all'art. 2, tra l'altro, che il costo della notifica “è fissato nella misura unitaria di euro 7,83 per le notifiche effettuate mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, di euro 6,51 per le raccomandate semplici, di euro 2 per le notifiche effettuate mediante l'invio a mezzo posta elettronica certificata (…)". Pertanto, è evidente come il costo della Pec sia maggiormente conveniente rispetto alle notifiche attuate tramite raccomandata.
Quanto detto è in linea con la riforma in esame, che consente di ottemperare a esigenze di efficienza e celerità -anche in termini di costi– che verrebbero soddisfatte dall'attuazione di notifiche a mezzo Pec anche nei confronti dei singoli cittadini, oltre che degli enti come già previsto (articolo ItaliaOggi del 07.07.2023).
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(1) Parrebbe che, al contrario, ad oggi non sussista l'obbligo normativo di registrarsi all'INAD: in merito si legga qui

ATTI AMMINISTRATIVIDomicili digitali persone fisiche, da domani via all'Indice (Inad). A segnalarlo è il Consiglio nazionale forense.
Da domani via libera all'Inad, l'indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti non ordinisti e degli enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione nell'Ini-Pec: saranno consultabili gli indirizzi Pec eletti (o modificati) dove ricevere tutte le comunicazioni ufficiali della pubblica amministrazione come rimborsi fiscali, accertamenti e verbali di sanzioni.

A segnalarlo è il Consiglio nazionale forense con la nota 28.06.2023 agli Ordini territoriali: i domicili digitali eletti nell'Inad, infatti, sono validi per effettuare notifiche e comunicazioni. E per gli avvocati l'indirizzo Pec presente in Ini-Pec è inserito di default nell'Inad.
Elezione volontaria. I domicili digitali presenti nell'Inad (https://domiciliodigitale.gov.it), ricorda il Cnf, valgono ai fini delle notificazioni e delle comunicazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale. Idem vale per le notifiche eseguite in proprio degli avvocati tramite posta elettronica certificata.
La riforma Cartabia del processo civile ha reso obbligatoria per l'avvocato la modalità telematica quando i destinatari sono avvocati, altri professionisti iscritti in albi o elenchi, imprese individuali e collettive, pubbliche amministrazioni, gestori di servizi pubblici, società a controllo pubblico oppure soggetti che, pur non essendo obbligati, hanno eletto domicilio digitale proprio iscrivendosi all'Inad.
Gestione e modifica. Per gli avvocati il domicilio digitale personale predefinito nell'Inad è l'indirizzo Pec presente nel registro Ini-Pec (www.inipec.gov.it/cerca-pec) che risulta importato in automatico: il professionista può tuttavia eleggerne uno differente come domicilio digitale delle persone fisiche.
Anche i cittadini possono modificare e gestire il proprio domicilio elettronico personale, grazie alle funzioni del portale Inad e in seguito anche tramite il portale dell'Anpr, l'anagrafe nazionale della popolazione residente, indicando un account di Pec diverso da quello presente in Ini-Pec.
E possono scegliere di cessare dal domicilio digitale senza doverne indicare uno nuovo, facoltà che invece non è riconosciuta ai professionisti iscritti all'Inad.
Magnifici sette. Con l'avvento di quest'ultimo diventano sette gli elenchi pubblici in cui si possono reperire indirizzi Pec per le comunicazioni elettroniche a valore legale in base al codice dell'amministrazione digitale. Gli altri sono:
   - Ini-Pec, l'indice nazionale della posta elettronica certificata gestito dal ministero dello Sviluppo economico;
   - Anpr, l'anagrafe nazionale della popolazione residente;
   - registro Pa, formato dal ministero della Giustizia e consultabile solo da uffici giudiziari, uffici notifiche, esecuzione e protesti oltre che dagli avvocati;
   - registro imprese delle Camere di commercio;
   - Reginde, gestito anch'esso da via Arenula, con le Pec di avvocati, notai, avvocati dello Stato e degli enti e ausiliari del giudice;
   - Ipa, l'indice dei domicili digitali della p.a. e dei gestori di pubblici servizi, gestito dall'Agid, Agenzia per l'Italia digitale
(articolo ItaliaOggi del 05.07.2023).

maggio 2023

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTI: Motivazione confusa, atto nullo. Anche l'avviso di accertamento deve essere ragionevole. Un'ordinanza della Corte di cassazione accoglie la tesi prospettata dal contribuente.
La motivazione dell'avviso di accertamento, come quella di ogni provvedimento amministrativo, è improntata alla salvaguardia dei principi di rango costituzionale di ragionevolezza, imparzialità e proporzionalità che governano l'agire amministrativo, commisurata alle esigenze di razionalità operativa e non arbitrarietà del potere discrezionale. Peraltro, nell'ottica del destinatario dell'atto la motivazione è finalizzata alla cognizione del processo decisionale dell'autorità al fine dell'eventuale opposizione in aderenza ai dettami costituzionali.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sez. V civile - ordinanza 17.05.2023 n. 13620, che ha accolto la tesi del contribuente che lamentava la motivazione contraddittoria degli avvisi emessi, disponendo che l'apparato motivazionale assume un aspetto rilevante anche per l'organo giurisdizionale poiché costituisce il principale, se non il solo elemento utilizzabile per il relativo vaglio.
Se è verosimile che l'atto rechi motivazioni concorrenti per delimitare la condotta del contribuente nella fase preliminare del procedimento di formazione della pretesa, il ricorso a molteplici profili motivazionali non deve comprimere l'esigenza del rispetto del vincolo funzionale a cui l'obbligo motivazionale è destinato. Gli ermellini richiamano altri precedenti conformi (Cass. 18767/2020, 6104/2020 e 22003/2014) che evidenziano come l'atto non possa recare un impianto motivazionale contraddittorio, poiché è precluso al contribuente di avere certezza degli elementi costituenti le ragioni della pretesa.
Siffatto vizio è configurabile anche quando sono esposte motivazioni concorrenti ma assolutamente discordanti tra di loro e, perciò, inidonee a rappresentare il fulcro della pretesa. Il fisco non può manifestare una motivazione incoerente con funzione di riserva, perché l'alternatività delle ragioni della pretesa, lasciando la parte pubblica arbitro di scegliere nel corso del contenzioso quella che più le convenga secondo le circostanze, espone la controparte ad una difesa difficile o talvolta impossibile.
I principi sopra affermati sono stati disattesi da giudici di merito avendo ritenuto gli atti opposti immuni dai censurati vizi, sebbene caratterizzati da scarsa rigorosità motivazionale. Orbene, il fatto che i rilievi erariali si fondavano su plurime ragioni, anche in apparenza contrastanti fra loro, non comportava la nullità degli atti, sia perché nessuna norma fa discendere la loro nullità da un vizio di contraddittoria motivazione, sia perché si trattava di scarsa rigorosità motivazionale più che di contraddittorietà della motivazione medesima.
Secondo la Corte, posto la scelta del fisco di affidare l'atto a plurime ragioni tra di loro eterogenee, i giudici di appello avrebbero dovuto verificare concretamente, se la comprensione dei fattori fondanti la pretesa era oggettivamente incerta con riguardo alla possibilità del contribuente di esercitare il diritto di difesa nella sua pienezza (articolo ItaliaOggi del 11.07.2023).

aprile 2023

ATTI AMMINISTRATIVI: “In caso di emanazione di un'ordinanza contingibile e urgente, non occorre il rispetto delle regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7, l. n. 241 del 1990, essendo queste incompatibili con l'urgenza del provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del tempo e che pertanto richiede un intervento immediato e indilazionabile".
Invero, "L'annullabilità di un provvedimento amministrativo per la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, prescritto dall' art. 7 della l. n. 241 del 1990, è esclusa: (…)
   b) quanto ai provvedimenti di natura non vincolata, subordinatamente alla prova da parte della p.a. che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti interessati.
In ogni caso, non sussiste l'obbligo di avviso di avvio del procedimento quando, nel caso di ordinanza contingibile ed urgente, il previo contraddittorio con l'interessato svuoterebbe quella effettività e particolare rapidità cui la legge preordina l'istituto e comprometterebbe i valori fondamentali, quali quello della tutela della sicurezza urbana e dell'incolumità pubblica, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo che si aggraverebbe con il trascorrere del tempo".
Non di meno, l'applicazione di tale principio non può prescindere dalla considerazione delle peculiari circostanze del caso concreto, come può evincersi dagli arresti giurisprudenziali per cui “...solo ragioni di urgenza qualificata, da esplicitare in maniera compiuta ed esauriente nel provvedimento amministrativo che se ne faccia carico, sono in grado di giustificare l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento, per cui: "l'unica deroga consentita dall'art. 7 della L. n. 241 del 1990 è quella dell'inciso iniziale che presuppone la sussistenza di "ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento".
La portata generale del principio partecipativo non consente di desumere dalla norma, da intendersi riferita a peculiari esigenze di speditezza sussistenti in concreto, che l'amministrazione possa omettere la comunicazione di avvio per categorie astratte di provvedimenti".
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Per consolidata giurisprudenza:
   1-) presupposti indefettibili delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti sono:
         a) l'indifferibilità dell'intervento, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
         b) l'impossibilità di scongiurare la situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
         c) la provvisorietà e temporaneità della misura adottata, in proporzione all'economia degli obiettivi con la stessa perseguiti;
   2-) la situazione di pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, è tale anche allorquando sia nota da tempo e si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto (ad es., crollo parziale o totale dell'edificio), posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi;
   3-) inoltre, l'emanazione di un'ordinanza contingibile e urgente a presidio della incolumità e della sicurezza dei cittadini rientra nella sfera del merito dell'azione amministrativa e, in quanto tale, rimane insindacabile dal giudice amministrativo, ove non inficiata da manifesta illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza, oltre che da macroscopico travisamento fattuale.
Il potere di ordinanza extra ordinem si articola pertanto su indefettibili e concomitanti presupposti, rappresentati:
   “a) dall’impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall’impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle leggi”, cosicché “solo in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale”.
Più nello specifico viene rilevato che “Alla ragione d'essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l'adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte.
Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.
Inoltre, tale potere di ordinanza presuppone situazioni -non tipizzate dalla legge- di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un'istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti”.
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... per l’annullamento, previa sospensione, dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 775/2022 del 15.07.2022, prot. n. 15418 del 19/07/2022, notificata in pari data, adottata ai sensi dell’art. 54 d.lgs. n. 267/2000 dal Vice Sindaco del Comune di Diamante.
...
13.3- Viene anzitutto scrutinato il secondo motivo di ricorso.
13.3.1- Il motivo è fondato per le ragioni di seguito esposte.
13.3.2- Il Collegio preliminarmente richiama l’orientamento giurisprudenziale consolidato, al quale peraltro ha di norma aderito nei suoi precedenti in materia, per il quale “In caso di emanazione di un'ordinanza contingibile e urgente, non occorre il rispetto delle regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7, l. n. 241 del 1990, essendo queste incompatibili con l'urgenza del provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del tempo e che pertanto richiede un intervento immediato e indilazionabile" (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 23.02.2018, n. 1214, ribadito anche da questa Sezione (ex plurimis, sentenza n. 1666 del 2022) nonché dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione per cui "L'annullabilità di un provvedimento amministrativo per la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, prescritto dall' art. 7 della l. n. 241 del 1990, è esclusa: (…)
   b) quanto ai provvedimenti di natura non vincolata, subordinatamente alla prova da parte della p.a. che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti interessati.
In ogni caso, non sussiste l'obbligo di avviso di avvio del procedimento quando, nel caso di ordinanza contingibile ed urgente, il previo contraddittorio con l'interessato svuoterebbe quella effettività e particolare rapidità cui la legge preordina l'istituto e comprometterebbe i valori fondamentali, quali quello della tutela della sicurezza urbana e dell'incolumità pubblica, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo che si aggraverebbe con il trascorrere del tempo
": Cassazione civile, Sez. un., 09.08.2018, n. 20680).
13.3.3- Non di meno, l'applicazione di tale principio non può prescindere dalla considerazione delle peculiari circostanze del caso concreto, come può evincersi dagli arresti giurisprudenziali per cui “...solo ragioni di urgenza qualificata, da esplicitare in maniera compiuta ed esauriente nel provvedimento amministrativo che se ne faccia carico, sono in grado di giustificare l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento (cfr. ex multis, Cons. Stato, V, 14.11.2017, n. 5239), per cui: "l'unica deroga consentita dall'art. 7 della L. n. 241 del 1990 è quella dell'inciso iniziale che presuppone la sussistenza di "ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento".
La portata generale del principio partecipativo non consente di desumere dalla norma, da intendersi riferita a peculiari esigenze di speditezza sussistenti in concreto, che l'amministrazione possa omettere la comunicazione di avvio per categorie astratte di provvedimenti (cfr. Cons. Stato, V, 22.05.2001, n. 2823)
" (TAR Puglia, Bari, Sez. I, 04.01.2021, n. 16).
13.3.4- Nel caso controverso, risulta che il Comune di Diamante aveva già in data 07.07.2022 compulsato unicamente la Ca. s.r.l., esecutrice dei lavori sul tratto di strada oggetto dell’odierna controversia evidenziando dunque la sussistenza di criticità da affrontare paventando sin da allora la chiusura della rotatoria.
Non solo, ma il successivo 14.07.2022 il Comune aveva inviato alla sola Prefettura di Cosenza, a fini di comunicazione preventiva, lo schema di ordinanza contingibile e urgente che avrebbe di lì a poco indirizzato all’ANAS.
13.3.5- In sostanza, anche a prescindere dalla valenza meramente organizzativa della comunicazione da ultimo menzionata, la peculiare vicenda mette in luce un comportamento del Comune che -a fronte di una situazione già palesatasi come emergenziale- non solo aveva già compulsato la ditta esecutrice dei lavori ma aveva da ultimo interessato la Prefettura, anticipandole lo schema del provvedimento da adottare, circostanza che rende non comprensibile –viepiù in difetto di specifica esplicitazione– le ragioni per cui abbia omesso una qualsivoglia forma dialogica -anche in termini di collaborazione istituzionale- eventualmente mitigata dalla celerità che il caso richiedeva proprio con l'ANAS, nei cui confronti il provvedimento era destinato ad imporre obblighi.
13.3.6- Non giova peraltro al Comune l’osservazione del provvedimento impugnato circa l’infruttuosa decorrenza dei termini assegnati con comunicazione del 07.07.2022, atteso che essa recava unicamente diffida alla Ca. e non anche all'ANAS, per cui quest’ultima non poteva essere a conoscenza di alcun “progetto” di provvedimento nei suoi confronti.
13.4- I motivi n. 3 e n. 4 vengono scrutinati congiuntamente, in quanto tra loro connessi.
13.4.1- Le doglianze sono fondate per come di seguito esposto.
13.4.2- Si premette anzitutto che, per consolidata giurisprudenza richiamata anche da questa Sezione (ex plurimis, sentenze n. 1383 del 25.07.2022, n. 1812 del 24.10.2022):
   -) presupposti indefettibili delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti sono:
a) l'indifferibilità dell'intervento, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
b) l'impossibilità di scongiurare la situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
c) la provvisorietà e temporaneità della misura adottata, in proporzione all'economia degli obiettivi con la stessa perseguiti (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2016, n. 3369; id., 21.02.2017, n. 774; id., 05.06.2017, n. 2676; id., 12.06.2017, n. 2799 e n. 2847; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 17.10.2011, n. 7994; id. 06.12.2011, n. 9603; id., 03.12.2012, n. 10051; id. 09.05.2017, n. 5572; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 15.10.2012, n. 2006; TAR Liguria, Genova, Sez. I, 19.04.2013, n. 702; id. 27.01.2016, n. 82; TAR Basilicata, Potenza, 23.05.2016, n. 294; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 23.01.2015, n. 530; TAR Umbria, 28.01.2016, n. 85; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 17.02.2016, n. 860; id. 09.11.2016 n. 5162; id., 24.03.2017, n. 621; id. 28.04.2017, n. 2284; id. 08.09.2017, n. 4324; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 12.01.2016 n. 69; id. Sez. II, 29.06.2017, n. 1072; TAR Piemonte, Sez. II, 27.09.2017, n. 1062; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 16.05.2018, n. 1284);
   -) la situazione di pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, è tale anche allorquando sia nota da tempo e si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto (ad es., crollo parziale o totale dell'edificio), posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 19.09.2012, n. 4968; TAR Basilicata, 01.04.2016, n. 300; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 07.04.2016, n. 4191; TAR Sardegna, Sez. I, 04.05.2017, n. 286), nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II, 17.10.2016, n. 10344);
   -) inoltre, l'emanazione di un'ordinanza contingibile e urgente a presidio della incolumità e della sicurezza dei cittadini rientra nella sfera del merito dell'azione amministrativa e, in quanto tale, rimane insindacabile dal giudice amministrativo, ove non inficiata da manifesta illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza, oltre che da macroscopico travisamento fattuale (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 14.12.2020, n. 1949).
Il potere di ordinanza extra ordinem si articola pertanto su indefettibili e concomitanti presupposti, rappresentati:
   “a) dall’impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall’impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle leggi” (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2016, n. 3369), cosicché “solo in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale
” (Consiglio di Stato, Sez. V, 22.03.2016, n. 1189).
Più nello specifico viene rilevato che “Alla ragione d'essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l'adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte. Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile. Inoltre, tale potere di ordinanza presuppone situazioni -non tipizzate dalla legge- di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un'istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti” (TRGA, Trento, Sez. I, 04/03/2022, n. 52)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 18.04.2023 n. 617 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'esercizio del potere di ordinanza urgente e contingibile da parte del Sindaco, costituendo una deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e ammettendo la possibilità di derogare alla disciplina vigente, presuppone necessariamente in tal senso situazioni di pericolo effettivo non tipizzate dalla legge, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione.
Giova allora rammentare la consolidata giurisprudenza secondo cui le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti extra ordinem, in quanto dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, non perseguenti finalità sanzionatorie essendo volte a consentire all’Amministrazione, operando un’eccezione al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, la risoluzione di problematiche discendenti da situazioni straordinarie ed urgenti non fronteggiabili con l’uso dei poteri ordinari. Dunque in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza), e all’impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento (contingibilità), si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente.
Questo stesso Tribunale ha ribadito “che le ordinanze contingibili e urgenti sono espressione di un potere amministrativo extra ordinem, nel senso che possono essere adottate, in base a specifiche previsioni di legge che le prevedano (in questo senso le ordinanze contingibili e urgenti possono essere definite “provvedimenti nominati”), per fronteggiare eccezionali ed imprevedibili situazioni di pericolo, imminente e grave, di lesione a preminenti interessi generali di rilevanza costituzionale, come il diritto alla salute e il diritto all’incolumità pubblica, ossia situazioni non tipizzabili per le quali il legislatore non può configurare “a monte” poteri di intervento tipici.
Dunque, mentre in via ordinaria il potere di emanare provvedimenti amministrativi soggiace al rispetto del principio di legalità “sostanziale”, a mente del quale la norma attributiva del potere amministrativo deve determinarne oltre al fine perseguito anche contenuto e modalità dei provvedimenti adottati nell’esercizio del potere stesso; invece nelle ipotesi “emergenziali” l’ordinamento, in deroga al predetto principio, prevede soltanto l’Autorità competente ad emanare i provvedimenti e i fini cui essi sono preordinati, lasciando all’Autorità stessa il compito di determinare contenuto e modalità del singolo provvedimento; e in questo senso le ordinanze contingibili e urgenti possono essere pertanto definite “provvedimenti atipici”.
“Alla ragion d’essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l’adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte. Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.”
Soprattutto, e per quanto qui rileva, tale potere di ordinanza presuppone situazioni la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un’istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti.

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... per l’annullamento previa sospensione dell'efficacia
   - dell’ordinanza del Sindaco del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, avente ad oggetto: “Provvedimento urgente, ai sensi dell’art. 54, c. 4, Decreto Legislativo 18.08.2000, n. 267 ed art. 62 del Codice degli Enti Locali della Regione Autonoma Trentino Alto-Adige approvato con Legge Regionale di data 03.05.2018, n. 2, per la chiusura temporanea dell’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande “-OMISSIS-” in -OMISSIS-”;
...
14. Il secondo motivo con il quale la ricorrente si duole del fatto che anche qualora la fattispecie in esame astrattamente corrispondesse al potere di ordinanza contingibile e urgente non sussisterebbero tuttavia i presupposti per poter validamente esercitare il potere suddetto, merita del pari favorevole apprezzamento.
È ben vero che l’impugnato provvedimento si riferisce nella motivazione oltre che all’”illecito riscontrato” pure al “pregiudizio e al disagio, come descritto e motivato, con riferimento ai residenti nelle zone limitrofe, per tutelare l’incolumità e la salute pubblica, nonché per preservare il decoro del pubblico esercizio determinato dallo stazionamento degli avventori del locale e per tutte le ragioni suesposte”.
Tuttavia vale considerare, da un lato, che secondo quanto emerge dall’ordinanza di chiusura gli episodi che hanno minacciato “l’incolumità e la salute pubblica”, “il decoro e la vivibilità urbana” e la “tranquillità e il riposo dei residenti” sono per lo più datati riferendosi agli anni -OMISSIS- e che nel tempo hanno già dato luogo a provvedimenti contingibili ed urgenti e a misure -condivise tra il Comune e la stessa parte ricorrente- per la gestione corretta dell’attività; dall’altro, che nessun richiamo risulta espresso nel provvedimento a concrete segnalazioni e lamentele dei residenti derivanti dall’organizzazione dell’evento musicale nel -OMISSIS-.
In altri termini, la pur probabile sussistenza di un permanente disturbo alla quiete pubblica in conseguenza del recente episodio accertato dai Carabinieri e dal quale dovrebbe conseguire l’irrogazione sia di una sanzione pecuniaria, sia di una chiusura dell’esercizio per un tempo non superiore ai 7 giorni, ancorché predicata non è stata documentata e ricondotta a presupposto per l’adozione di un legittimo provvedimento contingibile e urgente che conformi l’attività alle necessità di tutela della pubblica quiete e del riposo, ad esempio riducendo l’orario di apertura e/o imponendo accorgimenti idonei a contenere il volume delle emissioni sonore.
L'esercizio del potere di ordinanza urgente e contingibile da parte del Sindaco, costituendo una deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e ammettendo la possibilità di derogare alla disciplina vigente, presuppone necessariamente in tal senso situazioni di pericolo effettivo non tipizzate dalla legge, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione.
15. Giova allora rammentare la consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2016, n. 3369), anche di questo Tribunale (TRGA Trentino-Alto Adige, Trento, 16.04.2021, n. 55 e n. 56) secondo cui le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti extra ordinem, in quanto dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, non perseguenti finalità sanzionatorie essendo volte a consentire all’Amministrazione, operando un’eccezione al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, la risoluzione di problematiche discendenti da situazioni straordinarie ed urgenti non fronteggiabili con l’uso dei poteri ordinari. Dunque in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza), e all’impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento (contingibilità), si giustifica -sempre secondo la giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 22.03.2016 n. 1189)- la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente.
Questo stesso Tribunale ha ribadito (TRGA Trentino-Alto Adige, Trento, 26.03.2021, n. 36) “che le ordinanze contingibili e urgenti sono espressione di un potere amministrativo extra ordinem, nel senso che possono essere adottate, in base a specifiche previsioni di legge che le prevedano (in questo senso le ordinanze contingibili e urgenti possono essere definite “provvedimenti nominati”), per fronteggiare eccezionali ed imprevedibili situazioni di pericolo, imminente e grave, di lesione a preminenti interessi generali di rilevanza costituzionale, come il diritto alla salute e il diritto all’incolumità pubblica, ossia situazioni non tipizzabili per le quali il legislatore non può configurare “a monte” poteri di intervento tipici.
Dunque, mentre in via ordinaria il potere di emanare provvedimenti amministrativi soggiace al rispetto del principio di legalità “sostanziale”, a mente del quale la norma attributiva del potere amministrativo deve determinarne oltre al fine perseguito anche contenuto e modalità dei provvedimenti adottati nell’esercizio del potere stesso; invece nelle ipotesi “emergenziali” l’ordinamento, in deroga al predetto principio, prevede soltanto l’Autorità competente ad emanare i provvedimenti e i fini cui essi sono preordinati, lasciando all’Autorità stessa il compito di determinare contenuto e modalità del singolo provvedimento; e in questo senso le ordinanze contingibili e urgenti possono essere pertanto definite “provvedimenti atipici”.
“Alla ragion d’essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l’adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte. Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile
.”
Soprattutto, e per quanto qui rileva, tale potere di ordinanza presuppone situazioni la cui sussistenza deve essere accertata –come dianzi rilevato- attraverso un’istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti.
La motivazione dell’impugnata ordinanza non dà, nella specie, contezza dell’istruttoria in base alla quale il Sindaco di -OMISSIS- ha ritenuto di dover adottare un provvedimento extra ordinem per tutelare la tranquillità e il riposo dei residenti per cui il potere previsto dall’art. 62 del Codice degli enti locali della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige risulta speso illegittimamente e in modo che all’evidenza ne tradisce il fine del tutto sviato di surrettiziamente sanzionare l’attività e non già di conformarla alle predette necessità di tutela della pubblica quiete e del riposo delle persone.
16. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 18.04.2023 n. 55 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: E' illegittima l'ordinanza sindacale contingibile ed urgente con specifico riferimento al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento, con puntuale riferimento al prefabbricato in questione, di immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità.
Secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità".
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale".

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Nel caso di specie il Sindaco ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento.
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi delle suddette pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie".
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... per l'annullamento dell'ordinanza ex art. 50 TUEL n. 23 del 15/02/2023, notificata il 16.02.2023, con la quale il Sindaco del Comune di Pozzuoli ha ordinato ai ricorrenti: “di lasciare libero ad horas il manufatto sopra individuato con espresso avvertimento che in caso di mancata ottemperanza agli ordini impartiti entro e non oltre cinque giorni dalla notifica del presente atto si provvederà d'ufficio in maniera coattiva e che dell'eventuale inottemperanza al presente provvedimento verrà data comunicazione all'autorità competente, al fine dell'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 650 del codice penale ed eventualmente delle penalizzazioni previste per gli occupanti senza titolo dall'art. 5, comma 1-bis, della legge n. 80 del 23/05/2014 con l'abbandono volontario o forzoso da parte degli occupanti dei prefabbricati” e di ogni atto ad essa presupposto, connesso, collegato e conseguente. 
...
1.- Gli odierni ricorrenti hanno impugnato l’ordinanza ex art. 50 TUEL in epigrafe indicata, con cui il Comune di Pozzuoli aveva loro ordinato l’immediato sgombero del container n. 5 sito alla via ... n. 16, da essi adibito a sede dell’esercitata attività imprenditoriale di tipografia, serigrafia e grafica.
In particolare, l’impugnata ordinanza era stata adottata in ragione dell’asserito pericolo per la salute pubblica accertato dall’ente comunale in occasione dei condotti sopralluoghi che avevano accertato la presenza di fibre di amianto nella composizione delle pannellature laterali dell’indicato prefabbricato con il conseguente pericolo di dispersione nell’ambiente.
Avverso la predetta ordinanza sindacale sono insorti gli esponenti, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
A supporto del gravame, hanno dedotto le seguenti doglianze: violazione e falsa applicazione degli artt. 50, comma 5, e 54, comma 4, del D.lgs. 267/2000; violazione e falsa applicazione del D.M. 06.09.1994, della l. 257/1992. Eccesso di potere rilevabile attraverso le figure sintomatiche del difetto di istruttoria – difetto di motivazione- illogicità contraddittorietà – illogicità – erroneità dei presupposti. Violazione principi di proporzionalità, giusto procedimento, imparzialità, buon andamento della p.a.
...
2.- In via preliminare, il Collegio dà atto che la presente controversia può essere definita in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a., stante l'integrità del contraddittorio, l'avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti nei propri scritti.
3.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2.1.- L'art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: "4. Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge. 5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali".
Tanto premesso, coglie nel segno la prima delle articolate censure, sollevata dai ricorrenti con specifico riferimento al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento, con puntuale riferimento al prefabbricato in questione, di immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità.
Invero, dalla disamina dei condotti atti istruttori non è emerso, neppure in termini meramente probabilistici, l’accertamento del rischio di dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile ad un riscontrato stato di degrado degli elementi strutturali del prefabbricato in questione nonché la concreta possibilità di aggravamento della situazione anche a causa dell'azione di agenti atmosferici, tale da indurre a ritenere sussistenti i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica.
Corrobora tale dirimente osservazione il contenuto della relazione istruttoria depositata dal resistente Comune, peraltro risalente al mese di ottobre 2021, riferendosi le conclusioni ivi rassegnate in ordine alla sussistenza della condizione di potenziale pericolosità, genericamente, a tutti i prefabbricati insistenti nella medesima area urbana, senza che risulti essere stato condotto un puntuale e specifico accertamento con riferimento a ciascuno di essi, onde vagliarne lo stato di manutenzione e le condizioni di effettiva tenuta delle pannellature di amianto.
Orbene, secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr.: TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia, 05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità" (cfr. C.d.S., Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n. 3369).
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale" (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
2.2.- Nel caso di specie il Sindaco di Pozzuoli ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi delle suddette pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie" (su cui TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono stabilite le indicazioni per l’accertamento e la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che “un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l’esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione anche in ordine alla scelta di sgombrare il prefabbricato onde rimuovere la copertura ed i pannelli, palesa un’ulteriore inesatta modalità di esercizio del potere, non avendo valutato se l’intimata rimozione fosse concretamente idonea ad eliminare ovvero a prevenire il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo dell'ordinanza, alcun cenno all'imprevedibilità della situazione e/o ad altri fattori giustificativi dell'urgenza di provvedere con lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta dall'Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in essere un intervento non rinviabile.
2.3.- Da quanto detto si evince la fondatezza del primo motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema sintesi, essere riassunte nel difetto di motivazione e di istruttoria da cui risulta affetto il provvedimento impugnato.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo, in ragione del denunciato vizio di difetto di istruttoria, e deve essere conseguentemente annullato con salvezza degli ulteriori provvedimenti, adottabili dalla competente amministrazione mediante un accertamento specifico volto sia ad appurare lo stato di conservazione delle componenti di amianto del prefabbricato occupato dalla ricorrente, sia ad individuare con precisione le opere da realizzare per contenere l’eventuale pericolo riscontrato con il minor sacrificio per la parte ricorrente.
D’altronde, la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV - 19/03/2020, n. 1961; TAR Piemonte, 06.03.2014, n. 480).
In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere e, di conseguenza, va disposto l'annullamento del provvedimento con esso impugnato, con salvezza delle successive determinazioni amministrative da adottare all’esito degli accertamenti sopra indicati (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 07.04.2023 n. 2164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: E' illegittima un'ordinanza sindacale contingibile ed urgente per la rimozione di amianto ove difetti la prova della effettiva dispersione nell’aria delle fibre di amianto.
Secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità".
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale".
...
Nel caso di specie il Sindaco ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento.
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi delle suddette pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria.
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie".
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... per l'annullamento dell’ORDINANZA DEL SINDACO DEL COMUNE DI POZZUOLI N. 25 DEL 15/02/2023 CON AD OGGETTO: ORDINANZA DI SGOMBERO DI PREFABBRICATO CON PRESENZA DI MCA (MATERIALI CONTENENTI AMIANTO) SITO IN VIA ... IN POZZUOLI (NA). CONTAINER N. 7.
...
1.- L’odierno ricorrente ha impugnato l’ordinanza ex art. 50 TUEL in epigrafe indicata, con cui il Comune di Pozzuoli gli aveva intimato l’immediato sgombero del container n. 7 sito alla via ... n. 16, adibito a sede dell’esercitata attività imprenditoriale di ebanisteria e falegnameria.
In particolare, l’impugnata ordinanza era stata adottata in ragione dell’asserito pericolo per la salute pubblica accertato dall’ente comunale in occasione dei condotti sopralluoghi che avevano riscontrato la presenza di fibre di amianto nella composizione delle pannellature laterali dell’indicato prefabbricato con il conseguente pericolo di dispersione nell’ambiente.
Avverso la predetta ordinanza sindacale è insorto l’esponente, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
A supporto del gravame, ha dedotto le seguenti doglianze: violazione e falsa applicazione degli artt. 50, comma 5 e 54, comma 4 del D.lgs. 267/2000; violazione e falsa applicazione del D.M. 6 settembre 1994, della l. 257/1992. Eccesso di potere rilevabile attraverso le figure sintomatiche del difetto di istruttoria – difetto di motivazione - illogicità contraddittorietà – illogicità – erroneità dei presupposti. Violazione principi di proporzionalità, giusto procedimento, imparzialità, buon andamento della p.a.
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2.- In via preliminare, il Collegio dà atto che la presente controversia può essere definita in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a., stante l'integrità del contraddittorio, l'avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti nei propri scritti.
3.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
3.1.- L'art. 50, commi 4 e 5, del T.U.E.L. così recita: "4. Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge. 5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali".
Tanto premesso, coglie nel segno la prima delle articolate censure, sollevata dal ricorrente con specifico riferimento al difetto di istruttoria in ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento, con puntuale riferimento al prefabbricato in questione, di immissioni di polveri d'amianto suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità.
Invero, dalla disamina dei condotti atti istruttori non è emerso, neppure in termini meramente probabilistici, l’accertamento del rischio di dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile ad un riscontrato stato di degrado degli elementi strutturali del prefabbricato in questione nonché la concreta possibilità di aggravamento della situazione anche a causa dell'azione di agenti atmosferici, tale da indurre a ritenere sussistenti i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica.
Corrobora tale dirimente osservazione il contenuto della relazione istruttoria depositata dal resistente Comune, peraltro risalente al mese di ottobre 2021, riferendosi le conclusioni ivi rassegnate in ordine alla sussistenza della condizione di potenziale pericolosità, genericamente, a tutti i prefabbricati insistenti nella medesima area urbana, senza che risulti essere stato condotto un puntuale e specifico accertamento con riferimento a ciascuno di essi, onde vagliarne lo stato di manutenzione e le condizioni di effettiva tenuta delle pannellature di amianto.
Orbene, secondo il costante formante giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr.: TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia, 05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
È stato, inoltre, precisato che "i presupposti per l'adozione da parte del Sindaco dell'ordinanza contingibile ed urgente sono la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, e la provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, nella proporzionalità del provvedimento; non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità" (cfr. C.d.S., Sez. V, 21.02.2017, n. 774; id., 26.07.2016, n. 3369).
A tanto deve aggiungersi che tale potere di ordinanza "presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale" (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 774/2017, cit.; id., 22.03.2016, n. 1189; id., 05.09.2015, n. 4499).
3.2.- Nel caso di specie il Sindaco di Pozzuoli ha emanato un'ordinanza ex art. 50 T.U.E.L. pur in mancanza di un'adeguata istruttoria che consentisse di evidenziare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la sua adozione e, in particolare, la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, specificamente riferita al prefabbricato detenuto dai ricorrenti, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall'ordinamento (v. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 30.05.2019, n. 905).
L'ordinanza sindacale si basa esclusivamente sulla rilevazione della presenza di cemento-amianto quale componente dei materiali costruttivi delle suddette pannellature, senza tuttavia contenere alcun riferimento alle verifiche e/o accertamenti svolti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell'amianto nell'aria. 
Parimenti, non è dato rinvenire alcun richiamo alla previa effettuazione delle operazioni previste dal D.M. 06.09.1994, contenente le "normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie" (su cui TAR Liguria, Sez. I, n. 603/2019, cit.).
Difatti, l’esame del D.M. 06.09.1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27.03.1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).
Con detta norma tecnica sono stabilite le indicazioni per l’accertamento e la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che “un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l’esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto”.
A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione anche in ordine alla scelta di sgomberare il prefabbricato onde rimuovere la copertura ed i pannelli, palesa un’ulteriore inesatta modalità di esercizio del potere, non avendo valutato se l’intimata rimozione fosse concretamente idonea ad eliminare ovvero a prevenire il pericolo alla salute.
Infine, non è dato rinvenire, nel corpo dell'ordinanza, alcun cenno all'imprevedibilità della situazione e/o ad altri fattori giustificativi dell'urgenza di provvedere con lo strumento extra ordinem, a fronte di una situazione ben conosciuta dall'Amministrazione, né alcuna prova della necessità assoluta di porre in essere un intervento non rinviabile.
3.3.- Da quanto detto si evince la fondatezza del primo motivo di ricorso, le cui doglianze possono, in estrema sintesi, essere riassunte nel difetto di motivazione e di istruttoria da cui risulta affetto il provvedimento impugnato.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo, in ragione del denunciato vizio di difetto di istruttoria, e deve essere conseguentemente annullato con salvezza degli ulteriori provvedimenti, adottabili dalla competente amministrazione mediante un accertamento specifico volto sia ad appurare lo stato di conservazione delle componenti di amianto del prefabbricato occupato dal ricorrente, sia ad individuare con precisione le opere da realizzare per contenere l’eventuale pericolo riscontrato con il minor sacrificio per la parte ricorrente.
D’altronde, la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della legge n. 257/1992 (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV - 19/03/2020, n. 1961; TAR Piemonte, 06.03.2014, n. 480).
In conclusione, il ricorso è fondato e da accogliere e, di conseguenza, va disposto l'annullamento del provvedimento con esso impugnato, con salvezza delle successive determinazioni amministrative da adottare all’esito degli accertamenti sopra indicati (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 07.04.2023 n. 2160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa finalità di un chiarimento è quella di ricondurre a sistema le eventuali oggettive contraddizioni presenti nella lex di gara, attraverso una precisazione compatibile con le proprie originarie esigenze.
Deve pertanto nell’ipotesi di specie trovare applicazione la giurisprudenza secondo la quale
   - “ai fini dell'interpretazione delle clausole di una lex specialis trovano applicazione le norme in materia di contratti e anzitutto il criterio letterale e quello sistematico, ex artt. 1362 e 1363 Cod. civ.: conseguentemente, le stesse clausole non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in una funzione integrativa, diretta a evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole utilizzate e dalla loro connessione;
   - soltanto ove il dato testuale presenti evidenti ambiguità, deve essere prescelto dall'interprete il significato più favorevole al privato (….E invero, nelle gare pubbliche, le FAQ (Frequently Asked Questions), ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle clausole della legge di gara fornite dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle offerte, "non costituiscono un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui l'amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis", sicché esse, per quanto non vincolanti, orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent”.
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14.2.3. Pertanto il chiarimento reso dalla stazione appaltante ha solo meglio esplicitato la reale portata della clausola del disciplinare di gara, riconducendola a coerenza con quanto prescritto dal capitolato prestazionale e dalla delibera CIPE, expressis verbis richiamata non solo in detto capitolato, ma anche nello stesso disciplinare e con le esigenze sottese a detta delibera.
La finalità di un chiarimento è infatti quella di ricondurre a sistema le eventuali oggettive contraddizioni presenti nella lex di gara, attraverso una precisazione compatibile con le proprie originarie esigenze (Consiglio di Stato, Sez. III, 07.02.2018, n. 78).
Deve pertanto nell’ipotesi di specie trovare applicazione la giurisprudenza (ex multis Cons. Stato Sez. V, Sent., 16.08.2022, n. 7145) secondo la quale “ai fini dell'interpretazione delle clausole di una lex specialis trovano applicazione le norme in materia di contratti e anzitutto il criterio letterale e quello sistematico, ex artt. 1362 e 1363 Cod. civ. (da ultimo, Cons. Stato, V, 02.03.2022 n. 1486; 06.08.2021, n. 5781; 08.04.2021, n. 2844; 08.01.2021, n. 298; III, 24.11.2020, n. 7345; 15.02.2021, n. 1322): conseguentemente, le stesse clausole non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in una funzione integrativa, diretta a evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole utilizzate e dalla loro connessione; soltanto ove il dato testuale presenti evidenti ambiguità, deve essere prescelto dall'interprete il significato più favorevole al privato (Cons. Stato, VI, 06.03.2018, n. 1447; V, 27.05.2014, n. 2709….E invero, nelle gare pubbliche, le FAQ (Frequently Asked Questions), ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle clausole della legge di gara fornite dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle offerte, "non costituiscono un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui l'amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis" (Cons. Stato, V, 02.03.2022, n. 1486; III, 22.01.2014, n. 290; IV, 21.01.2013, n. 341), sicché esse, per quanto non vincolanti, orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.04.2023 n. 3434 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2023

ATTI AMMINISTRATIVISecondo una consolidata giurisprudenza, anche le cc.dd. circolari interpretative di disposizioni di legge sono, in linea di principio, atti interni finalizzati ad uniformare l’azione degli organi amministrativi rimanendo privi di effetti esterni, con la conseguenza che esse non prevalgono su di una disposizione regolamentare assolutamente chiara, né assumono carattere vincolante per il Giudice.
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Né, sempre in tal senso, può assumere rilievo il richiamo alla cosiddetta “circolare” del 18.06.2019 con cui il MIUR ha testualmente precisato che “l’assunzione di cariche istituzionali e gestionali in società anche a scopo di lucro è consentita liberamente ai docenti a tempo definito e previa autorizzazione del rettore per i docenti a tempo pieno, qualora la carica ricoperta non comporti la titolarità di alcun autonomo potere attribuito per legge o per delega, come per esempio nel caso degli amministratori indipendenti delle società quotate”.
Al riguardo va innanzitutto evidenziata la dubbia riconducibilità di tale nota nella categoria degli atti aventi natura di circolari: essa, infatti, pur effettivamente assumendo la compatibilità dell’incarico di consigliere indipendente anche nelle società aventi scopo di lucro per il personale docente universitario assoggettato alla disciplina pubblicistica di cui all’art. 3, comma 2, del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, ha peraltro ad oggetto la mera risposta ad un quesito indirizzata dall’allora Capo Dipartimento per la Formazione Superiore e per la Ricerca del MIUR esclusivamente a colui che lo aveva formulato, ossia il Prof. Ma.Ma., Segretario nazionale dell’USPUR – Unione Sindacale Professori Universitari e Ricercatori.
Ma, in via del tutto assorbente, rimane soprattutto il fatto che secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 01.12.2016, n. 5047), anche le cc.dd. circolari interpretative di disposizioni di legge sono, in linea di principio, atti interni finalizzati ad uniformare l’azione degli organi amministrativi rimanendo privi di effetti esterni, con la conseguenza che esse non prevalgono su di una disposizione regolamentare assolutamente chiara, né assumono carattere vincolante per il Giudice (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, ordinanza 20.03.2023 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Le circolari interpretative ‹‹non costituiscono fonti del diritto. Pur trattandosi di atti che si indirizzano ad una generalità di destinatari, aventi un contenuto omogeneo, difettano del requisito della capacità di innovare l'ordinamento giuridico. Trattasi di atti amministrativi, a rilevanza interna alla pubblica amministrazione che li ha emanati e neppure vincolanti per i destinatari. In tale veste, quindi, non possono contenere disposizioni che derogano alla legge né essere considerate alla stregua dei regolamenti››.
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A nulla, rilevano, in tal senso, le circolari ministeriali citate da parte ricorrente, non avendo le stesse natura normativa, tenuto conto della suddetta mancanza di puntuali previsioni normative che possano giustificare e legittimare un “subentro” nella procedura di regolarizzazione, o anche solo il rilascio di permesso per attesa occupazione.
Le circolari interpretative, infatti, ‹‹non costituiscono fonti del diritto. Pur trattandosi di atti che si indirizzano ad una generalità di destinatari, aventi un contenuto omogeneo, difettano del requisito della capacità di innovare l'ordinamento giuridico. Trattasi di atti amministrativi, a rilevanza interna alla pubblica amministrazione che li ha emanati e neppure vincolanti per i destinatari. In tale veste, quindi, non possono contenere disposizioni che derogano alla legge né essere considerate alla stregua dei regolamenti›› (Cons. Stato, sez. III, 14.07.2022, n. 5986) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 16.03.2023 n. 349 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Com’è noto, dalle circolari interpretative di norme primarie non sorge alcun vincolo per il giudice.
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Col secondo motivo si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere irrilevante, ai fini dell’ammissibilità del gravame, l’omessa impugnazione delle circolari nn. 25/2/2019, n. 4184 e 28/10/2019, n. 21804, nonché degli ulteriori atti di indirizzo espressi dall’Ufficio demanio della Regione Puglia.
Con tale atti, infatti, l’amministrazione regionale avrebbe inteso garantire, con effetto vincolante, una gestione unitaria, a livello regionale, dell’art. 1, commi 682 e ss., della L. n. 145/2018, esercitando il proprio potere di “programmazione, indirizzo e coordinamento generale”, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della L.R. 10/04/2015, n. 17 e in coerenza con il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, comma 1, Cost..
La doglianza è infondata.
Al riguardo è sufficiente rilevare che, attraverso gli atti di che trattasi, la regione per un verso si è limitata a dare indicazioni procedurali per l’attuazione della proroga legale, mentre nella specie ciò che si contesta e la possibilità, a monte, di procedere alla proroga, per altro verso, ha espresso il proprio avviso sulla natura asseritamente vincolante della normativa statale e, com’è noto, dalle circolari interpretative di norme primarie non sorge alcun vincolo per il giudice (Cons. Stato, Sez. V, 29/11/2013, n. 5714) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.03.2023 n. 2192 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2023

ATTI AMMINISTRATIVI: Rappresenta principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui le circolari amministrative non hanno valore normativo né provvedimentale, sicché, non assumendo carattere vincolante nei confronti delle stesse Amministrazioni destinatarie, non possono essere impugnate dal privato se non congiuntamente all’atto applicativo.
La possibilità per l’Amministrazione cui la circolare si rivolge di disattenderne il contenuto è, pertanto, argomento sufficiente a ritenere inammissibile l’odierno ricorso, posto che, anche nell’ipotesi in cui si assuma illegittimo il contenuto della stessa, la lesione della sfera giuridica della ricorrente rimarrebbe soltanto eventuale ed ipotetica. L’interesse all’impugnazione, invero, può al più ritenersi sussistente soltanto laddove l’Amministrazione adotti un provvedimento applicativo, avente contenuto individuale e concreto e direttamente lesivo della posizione giuridica dell’istante, ad essa conforme.
Secondo l’insegnamento del Consiglio di Stato, infatti, il privato può “limitarsi a contestarne la legittimità al solo scopo di sostenere che detti atti sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima che avrebbe dovuto essere disapplicata”.
I menzionati principi di diritto, consolidati in giurisprudenza, sono stati da ultimo ulteriormente ribaditi dal Giudice d’appello, che ha definito le circolari “atti amministrativi, a rilevanza interna alla pubblica amministrazione che li ha emanati e neppure vincolanti per i destinatari”.
Ancora, e con particolare riferimento alle circolari interpretative, come quella in interesse, il Consiglio di Stato ha rilevato che “Anche a tale tipologia di circolare non può in alcun modo assegnarsi efficacia vincolante. Da ciò discende che il provvedimento amministrativo che non tenga conto della stessa e venga adottato sulla base di una interpretazione da parte dell’amministrazione non può dirsi illegittimo”.
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D. – Con l’odierno ricorso la società ricorrente ha chiesto l’annullamento della circolare n. 14 del 18.07.2014, emessa dal Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana del competente Assessorato regionale, nella sola ipotesi in cui quest’ultima fosse stata interpretata dall’Amministrazione in senso sfavorevole all’istante.
In particolare, la società Mo.Im.It.Be., concessionaria di una porzione dell’arenile di Mondello, dello stabilimento balneare e di una porzione dello specchio acqueo antistante, con concessione prorogata fino al 31.12.2023, ha a suo tempo impugnato la predetta circolare nell’eventualità in cui –prevedendo che nel caso di “opere così dette stagionali, soggette cioè a montaggio e smontaggio, l’autorizzazione dovrà essere nuovamente rilasciata precedentemente alla successiva nuova realizzazione di montaggio. Nel caso di opere da realizzare su suoli demaniali per i quali suoli sia stato rilasciato titolo di concessione onerosa l’autorizzazione de quo avrà validità pari alla durata della concessione demaniale purché le opere siano state realizzate, cioè iniziate e completate, nell’arco del tempo massimo dei cinque anni come prima riportato, fatta salva la necessità che alle stesse non venga apportata alcuna modifica rispetto al progetto originario e per il quale era stata rilasciata autorizzazione”– fosse stata interpretata nel senso che all’inizio di ogni stagione balneare l’odierna istante avrebbe avuto bisogno del rilascio di una nuova autorizzazione paesaggistica dalla Soprintendenza BB.CC.AA. per il montaggio delle cabine.
Ciò premesso, come fondatamente eccepito dall’Avvocatura dello Stato, il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
Rappresenta, infatti, principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui le circolari amministrative non hanno valore normativo né provvedimentale, sicché, non assumendo carattere vincolante nei confronti delle stesse Amministrazioni destinatarie, non possono essere impugnate dal privato se non congiuntamente all’atto applicativo.
La possibilità per l’Amministrazione cui la circolare si rivolge di disattenderne il contenuto è, pertanto, argomento sufficiente a ritenere inammissibile l’odierno ricorso, posto che, anche nell’ipotesi in cui si assuma illegittimo il contenuto della stessa, la lesione della sfera giuridica della ricorrente rimarrebbe soltanto eventuale ed ipotetica. L’interesse all’impugnazione, invero, può al più ritenersi sussistente soltanto laddove l’Amministrazione adotti un provvedimento applicativo, avente contenuto individuale e concreto e direttamente lesivo della posizione giuridica dell’istante, ad essa conforme.
Secondo l’insegnamento del Consiglio di Stato, infatti, il privato può “limitarsi a contestarne la legittimità al solo scopo di sostenere che detti atti sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima che avrebbe dovuto essere disapplicata” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 5664/2017).
I menzionati principi di diritto, consolidati in giurisprudenza, sono stati da ultimo ulteriormente ribaditi dal Giudice d’appello, che ha definito le circolari “atti amministrativi, a rilevanza interna alla pubblica amministrazione che li ha emanati e neppure vincolanti per i destinatari” (Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 5986/2022).
Ancora, e con particolare riferimento alle circolari interpretative, come quella in interesse, il Consiglio di Stato ha rilevato che “Anche a tale tipologia di circolare non può in alcun modo assegnarsi efficacia vincolante. Da ciò discende che il provvedimento amministrativo che non tenga conto della stessa e venga adottato sulla base di una interpretazione da parte dell’amministrazione non può dirsi illegittimo” (Consiglio di Stato, sent. n. 5986/2022, cit.).
Ciò premesso con riferimento all’inammissibilità del presente ricorso, per completezza deve anche rilevarsene l’improcedibilità alla luce delle sopravvenienze normative evidenziate anche da parte ricorrente.
L’art. 2 del d.P.R. n. 31/2017, infatti, ha chiarito che non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di “montaggio e rimontaggio periodico di strutture stagionali munite di autorizzazione paesaggistica”, escludendo a livello normativo, quindi, la temuta interpretazione, da parte ricorrente, della circolare impugnata e facendo così venir meno qualsiasi ulteriore e residuale interesse alla prosecuzione del presente giudizio.
Per le suesposte ragioni il ricorso –peraltro anche improcedibile– deve essere dichiarato inammissibile (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 27.02.2023 n. 633 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa circolare non vincola “gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla (evenienza, questa, che, peraltro, è raro che si verifichi nella pratica), senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall'ufficio (atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.) possa essere ritenuto illegittimo "per violazione della circolare": infatti,
   - se la (interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l'atto emanato sarà legittimo perché conforme alla legge,
   - se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l'atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge”.
Inoltre, “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l'ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l'interpretazione adottata.
Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall'amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell'affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio -coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto- di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta (va però segnalato che sul punto la giurisprudenza amministrativa avverte valutazioni opposte a quella, qui riferita, delle Sezioni unite.
Infatti per TAR Veneto, gli uffici destinatari della circolare possono, in casi in cui sussistano ragioni sufficienti, discostarsene, motivando adeguatamente il susseguente provvedimento, senza incorrere in sanzioni amministrative)”.
Non a caso, ormai da tempo si ritiene in giurisprudenza che le circolari a contenuto interpretativo non possano essere neppure impugnate; le sezioni unite della Cassazione hanno, infatti, statuito che ammettere l’impugnabilità delle circolari interpretative innanzi al giudice amministrativo –il quale disporrebbe del potere di annullarle, peraltro con effetto erga omnes– significherebbe precludere la possibilità di accogliere quella interpretazione, con il risultato, contrario ai principi costituzionali, di elevare il giudice amministrativo al rango di interprete autentico delle norme oggetto di analisi.
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Ma come ha evidenziato la giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Lazio–Roma, 30.08.2012, n. 7395), la circolare non vincola “gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla (evenienza, questa, che, peraltro, è raro che si verifichi nella pratica), senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall'ufficio (atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.) possa essere ritenuto illegittimo "per violazione della circolare": infatti, se la (interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l'atto emanato sarà legittimo perché conforme alla legge, se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l'atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge”; e, inoltre, “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l'ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l'interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall'amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell'affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio -coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto- di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta (va però segnalato che sul punto la giurisprudenza amministrativa avverte valutazioni opposte a quella, qui riferita, delle Sezioni unite. Infatti per TAR Veneto, Sez. III, 25.05.2002 n. 2393, gli uffici destinatari della circolare possono, in casi in cui sussistano ragioni sufficienti, discostarsene, motivando adeguatamente il susseguente provvedimento, senza incorrere in sanzioni amministrative)”.
Non a caso, ormai da tempo si ritiene in giurisprudenza che le circolari a contenuto interpretativo non possano essere neppure impugnate (cfr. Corte di Cassazione, sezioni unite, 02.11.2007 n. 23031; cfr. altresì TAR Lazio, 04.03.2019, n. 2800; id., 03.08.2021 n. 9187); le sezioni unite hanno, infatti, statuito che ammettere l’impugnabilità delle circolari interpretative innanzi al giudice amministrativo –il quale disporrebbe del potere di annullarle, peraltro con effetto erga omnes– significherebbe precludere la possibilità di accogliere quella interpretazione, con il risultato, contrario ai principi costituzionali, di elevare il giudice amministrativo al rango di interprete autentico delle norme oggetto di analisi (TAR Lazio-Roma, Sez. IV, sentenza 16.02.2023 n. 2779 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILe pur diverse autorevoli opzioni interpretative proposte dalla giurisprudenza sul valore delle FAQ riguardano, invero, fattispecie caratterizzate dalla necessità di delimitare spazi di discrezionalità amministrativa o l’interpretazione di clausole dubbie di un bando di gara e non, come nel caso in esame, la mera applicazione del tutto vincolata di disposizioni normative dal contenuto inequivocabile.
Diversamente opinando il disposto di una norma primaria o secondaria anche a contenuto del tutto vincolato che delimita l’attività autoritativa della p.a. potrebbe essere agevolmente ed elusivamente disapplicato mediante uno strumento (le FAQ) nemmeno paragonabile ad una circolare, essendo quest’ultima dotata di efficacia vincolante quantomeno sul piano interno.
Semmai può tuttalpiù ipotizzarsi sul piano astratto la responsabilità risarcitoria ex. art. 2043 c.c. dell’Amministrazione per informazioni inesatte ove naturalmente il danneggiato dia prova, tra l’altro, dell’elemento soggettivo dell’illecito.
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6.- Non ritiene il Collegio di poter condividere nemmeno il motivo di gravame relativo alla lesione dell’affidamento derivante dalle FAQ (frequently asked questions) pubblicate sul sito del Ministero dell’Interno secondo cui la soglia dei 27.000,00 euro verrebbe considerata soltanto nell’ipotesi in cui l’istante non raggiungesse autonomamente la soglia prescritta dei 20.000,00 euro.
Tale asserzione, a prescindere da ogni altra considerazione, si palesa infatti in chiaro contrasto con le esaminate disposizioni regolamentari attuative del D.L. 34/2020 di cui al D.M. 27.05.2020 secondo cui come si è visto in ipotesi di nucleo familiare composto da più soggetti la soglia di reddito non può essere inferiore a 27.000,00 euro. Come tale non può che essere disapplicata dall’Amministrazione e da questo giudice, trattandosi al pari delle circolari interpretative di disposizioni del tutto prive di efficacia normativa (ex multis TAR Lazio-Roma, sez. III, 18.07.2022, n. 10163; TAR Abruzzo-Pescara, 06.05.2022, n. 178; TAR Veneto sez. III, 06.06.2022, n. 932).
Senza contare poi che come fatto rilevare dalla Prefettura resistente lo stesso Ministero dell’Interno con la circolare del 17.11.2020 emanata in “subiecta materia” è rimasto strettamente aderente al dettato normativo.
Le pur diverse autorevoli opzioni interpretative proposte dalla giurisprudenza sul valore delle FAQ (vedi ad es. da ultimo Consiglio di Stato sez. V, 02.03.2022, n. 1486) riguardano invero fattispecie caratterizzate dalla necessità di delimitare spazi di discrezionalità amministrativa o l’interpretazione di clausole dubbie di un bando di gara e non come nel caso in esame la mera applicazione del tutto vincolata di disposizioni normative dal contenuto inequivocabile.
Diversamente opinando il disposto di una norma primaria o secondaria anche a contenuto del tutto vincolato che delimita l’attività autoritativa della p.a. potrebbe essere agevolmente ed elusivamente disapplicato mediante uno strumento (le FAQ) nemmeno paragonabile ad una circolare, essendo quest’ultima dotata di efficacia vincolante quantomeno sul piano interno (ex multis TAR Lombardia Milano sez. II, 29.10.2015, n. 2292; Consiglio di Stato sez. IV, 21.06.2010, n. 3877).
Semmai può tuttalpiù ipotizzarsi sul piano astratto la responsabilità risarcitoria ex. art. 2043 c.c. dell’Amministrazione per informazioni inesatte (ex multis Cassazione civile sez. III, 09.02.2004, n. 2424) ove naturalmente il danneggiato dia prova, tra l’altro, dell’elemento soggettivo dell’illecito (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 06.02.2023 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: E' fondato il ricorso laddove si contesta la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere sindacale extra ordinem di cui all’articolo 50 - 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, anche con riguardo al carattere non temporalmente delimitato, ma definitivo delle misure prescritte.
Invero, su quest’ultimo punto, in particolare, il Tribunale osserva che l’atto impugnato non si limita ad imporre misure provvisorie di messa in sicurezza, al fine di fronteggiare il presunto, imminente pericolo, ma, accanto a queste ultime e in via alternativa alla demolizione, prescrive l’impiego di misure di messa in sicurezza definitive, ossia tali da valicare i limiti temporali propri dell’ordinanza contingibile.
In tal modo, l’atto impugnato smentisce la propria natura contingibile, divenendo uno strumento che produce effetti duraturi e stabili sulla altrui proprietà privata.
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Va ricordato che l'art. 54 dlgs 267/2000 prevede che “4. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. …..4-bis. I provvedimenti adottati ai sensi del comma 4 concernenti l'incolumità pubblica sono diretti a tutelare l'integrità fisica della popolazione …...”.
Tenendo presente tale disposizione, va considerato che ai Sindaci non è concessa una discrezionalità indeterminata nell'ambito delle scelte amministrative aventi conseguenze sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, di modo che i poteri extra ordinem del Sindaco non possono in alcun caso decampare dai principi ordinamentali che costituiscono presupposto per l'emanazione di ordinanze contingibili e urgenti a tutela dell'incolumità pubblica e della sicurezza urbana.
Come da costante giurisprudenza amministrativa, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti “extra ordinem”, a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, la cui giustificazione si rinviene nell’esigenza di apprestare alla pubblica autorità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, tali da non consentire l’utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall’ordinamento.
La possibilità di utilizzo, in via del tutto residuale, di tale strumento, recando con sé l’inevitabile compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli aventi un contenuto tipico e indicati dalle legge, impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, la cui ricorrenza l’Amministrazione è tenuta ad appurare attraverso un’accurata istruttoria, nel rispetto di limiti di carattere sostanziale e procedurale, non giustificandosi, altrimenti, la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
Per costante giurisprudenza, in particolare, presupposti indefettibili delle ordinanze de quibus sono costituiti:
   a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, diversi da quelli tipici indicati dalle legge.
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... per l'annullamento
   - dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Comazzo n. 15 avente ad oggetto la “Realizzazione urgente di misure cautelative per la messa in sicurezza di edificio industriale in disuso ex Tilusa”;
   - di ogni atto presupposto, connesso e conseguenziale, ancorché non conosciuto e, in particolare della relazione del Servizio tecnico comunale del 01.12.2016, del verbale di sopralluogo presso l’immobile fg. 14 mappali 54-58, del verbale redatto dal Corpo Forestale in data 20.10.2016, della PEC del 16.12.2016, con cui il Servizio tecnico ingiunge alla Al.Im. sas di provvedere entro giorni 30 alla stima dello stato di conservazione del manto di copertura del fabbricato in oggetto.
...
Espone parte ricorrente nel ricorso che gli immobili oggetto dell’ordinanza venivano acquistati dalla Al.Im. nell’anno 2007 nello stato di fatto mai mutato, stante l’impossibilità per Al.Im. di sviluppare il progetto di realizzazione di nuove costruzioni cui il Comune era a conoscenza e dallo stesso approvato.
In data 30.11.2016, con fax ricevuto alle ore 13.30, il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Comazzo, informava il ricorrente della necessità e dell’urgenza di svolgere un sopralluogo sull’immobile di proprietà della menzionata società da effettuarsi in data 01.12.2016 (ovvero il giorno successivo) alle ore 10.00.
Espone parte ricorrente che pur presentandosi sul posto il giorno indicato, non incontrava i tecnici comunali e provvedeva in proprio a realizzare alcuni accorgimenti di sicurezza dei luoghi.
In data 15.12.2022 il Comune di Comazzo adottava l’ordinanza contingibile e urgente n. 15 del 15.12.2016, notificata il 16.12.2016 e impugnata in questa sede, con la quale è stato ordinato alla parte ricorrente di adottare entro 48 ore misure per impedire l’accesso ai luoghi e di eseguire entro 15 giorni varie misure per la messa in sicurezza dei luoghi medesimi.
Avverso la detta ordinanza è proposto ricorso a sostegno del quale si deduce:
...
Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.
In particolare risultano fondati il terzo e il quarto motivo di ricorso con i quali parte ricorrente contesta la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere sindacale extra ordinem di cui all’articolo 50 - 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, anche con riguardo al carattere non temporalmente delimitato, ma definitivo delle misure prescritte.
Su quest’ultimo punto, in particolare, il Tribunale osserva che l’atto impugnato non si limita ad imporre misure provvisorie di messa in sicurezza, al fine di fronteggiare il presunto, imminente pericolo, ma, accanto a queste ultime e in via alternativa alla demolizione, prescrive l’impiego di misure di messa in sicurezza definitive, ossia tali da valicare i limiti temporali propri dell’ordinanza contingibile. In tal modo, l’atto impugnato smentisce la propria natura contingibile, divenendo uno strumento che produce effetti duraturi e stabili sulla altrui proprietà privata.
Ciò rende fondato il quarto motivo di ricorso.
Quanto al terzo motivo, preliminarmente va ricordato che il menzionato articolo 54 prevede che “4. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. …..4-bis. I provvedimenti adottati ai sensi del comma 4 concernenti l'incolumità pubblica sono diretti a tutelare l'integrità fisica della popolazione …...”.
Tenendo presente tale disposizione, va considerato che ai Sindaci non è concessa una discrezionalità indeterminata nell'ambito delle scelte amministrative aventi conseguenze sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, di modo che i poteri extra ordinem del Sindaco non possono in alcun caso decampare dai principi ordinamentali che costituiscono presupposto per l'emanazione di ordinanze contingibili e urgenti a tutela dell'incolumità pubblica e della sicurezza urbana (cfr. sentenza Corte Costituzionale n. 115 del 07.04.2011).
Come da costante giurisprudenza amministrativa le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti “extra ordinem”, a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, la cui giustificazione si rinviene nell’esigenza di apprestare alla pubblica autorità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, tali da non consentire l’utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall’ordinamento.
La possibilità di utilizzo, in via del tutto residuale, di tale strumento, recando con sé l’inevitabile compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli aventi un contenuto tipico e indicati dalle legge, impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, la cui ricorrenza l’Amministrazione è tenuta ad appurare attraverso un’accurata istruttoria, nel rispetto di limiti di carattere sostanziale e procedurale, non giustificandosi, altrimenti, la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi (cfr., ex multis Cons. Stato, sez. V, 26.07.2016, n. 3369; 22.03.2016, n. 1189; 25.05.2015, n. 2967; TAR Campania, sez. V, 09.11.2016, n. 5162; 10.09.2012, n. 3845; TAR Bari, sez. I, 24.03.2015, n. 479).
Per costante giurisprudenza, in particolare, presupposti indefettibili delle ordinanze de quibus sono costituiti:
   a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, diversi da quelli tipici indicati dalle legge (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. V, 24.03.2017, n. 621, 09.11.2016, n. 5162 e 17.02.2016, n. 860; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 12.01.2016, n. 69; Cons. di St., sez. V, 26.07.2016, n. 3369).
Passando alla controversia in esame, dagli atti di cui al procedimento in questione deve considerarsi che non sussistono i presupposti per l’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente tenuto in particolare conto che la situazione non era imprevedibile o sconosciuta per l’amministrazione.
Emergono infatti i seguenti punti:
   - il sopralluogo del Corpo Forestale reca la data del 20.10.2026, il verbale del sopralluogo reca la data del 18.11.2022, inviato nella stessa data al Comune, il quale ha adottata l’ordinanza impugnata solo in data 15.12.2022; la situazione di degrado e di abbandono dell’immobile registrata, che pur si evince dal verbale, non doveva tuttavia essere di pericolo pubblico tale se si considera che il Comune ha adottato l’ordinanza a distanza di circa un mese dal verbale trasmesso dal Corpo Forestale;
   - il sopralluogo del Servizio tecnico del Comune è del 01.12.2022, il cui verbale è stato inviato in pari data al Sindaco, e con lo stesso si richiede un “tempestivo intervento ordinatorio a tutela della pubblica incolumità, dell’igiene, della sicurezza e del decoro urbano”;
   - lo stato di abbandono in cui versava da anni l’immobile denota l’assenza di una situazione “eccezionale” costituente concreta minaccia per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana per la quale non era possibile utilizzare i normali strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento giuridico ma necessitava di un intervento extra ordinem;
   - non risulta in atti dimostrata la sussistenza di pericolo per l’integrità fisica della popolazione, della sicurezza urbana, ovvero che fosse luogo di fenomeni criminosi.
Conclusivamente, da quanto emerge dagli atti depositati, è mancato l’accertamento della sussistenza di una effettiva e concreta situazione di pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, accertata in seguito a una completa istruttoria e una motivazione che desse conto della improcrastinabilità degli interventi immediati imposti ai privati.
Questa aspetto emerge anche a posteriori dalla sentenza del Tribunale di Milano n. 6770/2020 con la quale il giudice ha ridotto l’importo dovuto da parte ricorrente per i lavori di messa in sicurezza dell’immobile effettuati dal Comune in seguito all’adozione dell’ordinanza impugnata, in quanto il c.t.u. ha verificato che molte delle opere consuntivate non sono state eseguite, oppure sono state eseguite in maniera grossolana e non secondo il capitolato delle opere, e ciò depone per il fatto che l’immobile non si trovasse in uno stato tale da giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente.
Alla luce delle esposte considerazioni il ricorso va accolto siccome fondato, con assorbimento delle residue censure, e per l’effetto annullata l’ordinanza impugnata (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.02.2023 n. 264 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2023

ATTI AMMINISTRATIVI: L’art. 54 TUEL conferisce al Sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti dal contenuto atipico, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone, dunque, necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione.
L’occorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, con la possibilità di emanare l’ordinanza che adotta le misure necessarie a prevenire eventi dannosi in una situazione di pericolo, definita quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione ometta di intervenire tempestivamente.
In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo imminente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico.
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La giurisprudenza afferma che il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa (rispettivamente, la coerenza tra decisioni comparabili) e che se gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la Pubblica Amministrazione deve ricorrere alla scelta meno restrittiva, tuttavia la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della necessità delle misure che si possono prendere.

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  Premesso:
1.- Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato il 15.11.2020 al Comune di Sora, al Ministero dell’Interno e al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, i ricorrenti, in qualità di proprietari o titolari di diritti reali di unità immobiliari del complesso edilizio sito nel comune di Sora, via ..., catastalmente individuato al Fg. 37, particella 2801, impugnano, denunciandone l’illegittimità, l’ordinanza contingibile e urgente del Comune di Sora n. 104 del 20.07.2020, ex art. 54 D.lgs. n. 267/2000, con la quale è stata dichiarata l’inagibilità del fabbricato e lo sgombero, il divieto di utilizzo e di accesso alle unità immobiliari ed alle relative aree di pertinenza costituenti il complesso edilizio per riscontrate criticità strutturali, statico–sismiche, dovute a “carenze materiche e costruttive”, accertate da varie perizie nel corso del giudizio civile dinanzi al Tribunale di Cassino (R.G. 3660/2014), instaurato dal Condominio nei confronti del costruttore, e nel corso del giudizio penale per reati edilizi e pericolo all’incolumità pubblica, a seguito di trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica da parte del Giudice civile.
...
1.- Il ricorso non è fondato.
2.- La Sezione si è già pronunciata sull’impugnazione della stessa ordinanza contingibile e urgente del Comune di Sora n. 104/2020 su ricorso, notificato il 15.11.2020, dei Sig.ri Ma. De Ma. e So.Fi., proprietari di unità immobiliare all’interno dello stesso complesso edilizio (affare 1013/2021 deciso nell’Adunanza del 23.09.2022, con parere n. 1901 del 02.12.2022).
La relazione ministeriale del 07.09.2021, in quel caso, contraddittoriamente rispetto alla relazione concernente il ricorso in esame, concludeva per il rigetto del ricorso.
3.- La Sezione, preliminarmente, ritiene di respingere l’eccezione di difetto di legittimazione della ditta costruttrice: sebbene non più proprietaria di immobili oggetto dell’ordine di sgombero, la ditta costruttrice è parte interessata nella vicenda.
Essendo stata condannata dal giudice civile (sentenza del Tribunale di Cassino n. 523/2021) alla eliminazione dei gravi difetti costruttivi riscontrati, la ditta costruttrice è legittimamente soggetto destinatario dell’ordinanza contingibile e urgente, che mira a prevenire danni alla pubblica e privata incolumità mediante l’eliminazione della situazione di pericolo a carico degli obbligati.
4.- Nel merito, la Sezione ripropone le medesime motivazioni svolte con il richiamato parere, di seguito riportate:
   “2.- L’art. 54 TUEL, che rileva nel caso di specie, conferisce al Sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti dal contenuto atipico, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone, dunque, necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione.
L’occorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, con la possibilità di emanare l’ordinanza che adotta le misure necessarie a prevenire eventi dannosi in una situazione di pericolo, definita quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione ometta di intervenire tempestivamente.
In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo imminente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (Cons. Stato, sez. II, n. 7734/2020; sez. I, pareri n. 321/2021 e n. 830/2021).
   3.- Nel caso in esame, deve ritenersi che sussistano i presupposti richiesti dal citato art. 54, comma 4, D.lgs. 18.08.2000, n. 267.
L’attualità del pericolo per l’incolumità delle persone è attestata sia dagli atti istruttori degli uffici comunali (nota del Funzionario P.O. settore VI del Comune in data 05.06.2020 e relazione dell’istruttore tecnico del settore VI del 04.06.2020), sia dagli accertamenti tecnici effettuati in sede giurisdizionale richiamati nel provvedimento.
Risulta, infatti, dalla consulenza tecnica acquisita nel processo civile intentato dal condominio nei confronti del costruttore (una prima relazione del febbraio 2018 e l’altra suppletiva del settembre 2019) la parziale difformità del fabbricato dal progetto, le gravi criticità statico-sismiche, il pericolo che può derivarne all’incolumità delle persone in caso di sisma, la mancanza di collaudo strutturale ex art 67 d.P.R. n. 380/2001 e del certificato di agibilità.
Nelle considerazioni conclusive della seconda perizia del settembre 2019, il consulente, sulla base delle indagini distruttive compiute a campione su elementi periferici, evidenziava che “la struttura esaminata, già gravata da parziali difformità urbanistiche, presenta gravi criticità statico-sismiche, costituite da significative carenze materiche e costruttive tali da far ritenere che il fabbricato possa costituire pericolo per le persone e cose in caso di sollecitazioni sismiche importanti” e prospettava la possibilità di opere di demolizione e ricostruzione, stimandone il valore ai fini del risarcimento del danno.
Un’ulteriore nota del CTU redatta il 20.02.2020, in esito a indagini eseguite sull’intera struttura dal laboratorio Logos di Cassino, confermava le importanti difformità e caratteristiche scadenti dei materiali in percentuali considerevoli, ribadendo le valutazioni circa la possibilità di esecuzione di opere di demolizione e ricostruzione o, in alternativa, considerando possibile l’installazione di isolatori sismici su tutti i pilastri strutturali del piano seminterrato.
Dalle risultanze di laboratorio si evinceva che, nei 296 punti di campionatura attraverso saggi nei solai e nelle colonne in calcestruzzo e relativi ferri di armatura, il 72% degli elementi non risultava conforme alla vigente normativa e di tale percentuale il 44% recava difformità sostanziali.
Va aggiunto che il tecnico comunale, su incarico del Sostituto Procuratore della Repubblica del 17.12.2019, ha eseguito sopralluogo e redatto relazione di accertamento delle condizioni di sicurezza statica del fabbricato, trasmettendo al Dirigente del VI Settore del Comune tale relazione, prot. n. 14670, che costituisce oggetto di valutazione da parte del Sindaco, come si legge nelle premesse del provvedimento impugnato.
Tali elementi istruttori sono sufficienti a far ritenere esistente la situazione di criticità dell’edificio a causa delle “significative carenze materiche e costruttive” e il grave pericolo di danno a persone e cose in caso di evento sismico importante, inteso quale ragionevole probabilità di minaccia per l’incolumità pubblica nell’ipotesi, appunto, di sisma importante (ipotesi, purtroppo, non prevedibile, ma non remota, considerata la nota sismicità del territorio del centro Italia e la circostanza che il Comune di Sora è classificato tra le “zone sismiche n. 1”, come dichiara il Comune).
L’insieme degli elementi valutati non fa escludere che sussista un concreto e attuale pericolo di crollo, essendo evidentemente del tutto imprevedibile se e quando un evento sismico importante possa verificarsi.
Il provvedimento adottato appare, pertanto, l’unico idoneo a prevenire tale pericolo, sia perché dispone lo sgombero delle abitazioni e ne inibisce l’utilizzo, sia perché dispone a carico dei proprietari di adottare le misure per il ripristino delle condizioni di sicurezza mediante esecuzione dei lavori a ciò necessari.
Tanto è sufficiente a far ritenere infondati i motivi dedotti circa la non sussistenza dei presupposti, l’inidoneità della motivazione e insufficienza dell’istruttoria, i profili di irragionevolezza e sproporzionalità della misura adottata.
   4.- A tal proposito, la giurisprudenza afferma che il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa (rispettivamente, la coerenza tra decisioni comparabili) e che se gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la Pubblica Amministrazione deve ricorrere alla scelta meno restrittiva, tuttavia la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della necessità delle misure che si possono prendere (Cons. Stato sez. V, n. 5239/2017).
Sebbene i ricorrenti deducano il carattere eccessivamente restrittivo ed afflittivo dell’ordinanza, specie in momento di emergenza sanitaria in corso, per la grave conseguenza del rilascio delle abitazioni da parte di nove famiglie che “neppure dispongono di possibilità alternativa di dimora”, l’interesse al mantenimento dell’attuale situazione abitativa dei proprietari e condomini è stato correttamente bilanciato dal sindaco con l’interesse pubblico alla prevenzione di rischi ben più gravi all’integrità fisica e alla vita umana, che potrebbero conseguire al crollo dell’edificio in caso di sisma importante.
   5.- Non sussiste neppure il dedotto vizio della mancata indicazione di un termine per lo sgombero e di inattuabilità dell’ordine: l’ordinanza impone lo sgombero immediato “sino al perdurare delle condizioni rilevate”, ponendo così indirettamente un termine di efficacia; inoltre, il fabbricato è inequivocabilmente identificato dall’indirizzo, a prescindere dall’errore nell’indicazione del foglio catastale contenuto nel dispositivo, e il provvedimento contiene l’elenco degli intestatari catastali (a vario titolo) delle unità abitative tenuti all’esecuzione dell’ordine.
   6.- Le critiche che i ricorrenti svolgono nei confronti delle consulenze tecniche d’ufficio poste a fondamento dell’ordinanza si possono ritenere superate dalle conclusioni cui è giunto il giudice civile, sulla base degli accertamenti tecnici acquisiti.
Con sentenza n. 523 del 07.04.2021, il Tribunale di Cassino ha accolto la domanda del Condominio nei confronti della ditta costruttrice ai sensi dell’art. 1669 c.c. sulla base del risultato della prima perizia (e specialmente risposta al quesito 6) ritenendo sussistenti i gravi difetti costruttivi in relazione all’incidenza dei vizi rilevati sulla funzionalità della costruzione per una “probabile aumentata vulnerabilità statica e sismica” e, comunque, per “l’attuale impossibilità di conseguire il rilascio di certificazione di agibilità” (pag. 18 della sentenza). Anche i supplementi di perizia sono stati ritenuti dal giudice coerenti con la prima perizia attestando “lo stato di generale difformità del calcestruzzo impiegato nell’intera struttura….e l’inidoneità delle armature di acciaio nel 72% degli elementi esaminati, ossia di ben 213 su 296.” (pag. 19 della sentenza).
   7.- Da ultimo, con parere interlocutorio n. 1652/2022, si è accertato che, anche a seguito della condanna alla eliminazione dei gravi vizi costruttivi di cui alla citata sentenza n. 523/2021, sebbene sia stato fissato alla ditta costruttrice il termine di tre mesi dalla notificazione della sentenza per l’inizio dell’esecuzione dei lavori, e nel caso di inerzia, trascorso il termine di un anno, sia stato autorizzato il Condominio alla esecuzione delle opere necessarie, non è stata presentata in Comune alcuna istanza di autorizzazione o concessione per l’esecuzione dei lavori e, pertanto, si presume che la situazione di pericolo perdura nell’attualità.
”.
5.- Sulla base delle argomentazioni sopra riportate, svolte nel parere n. 1901/2022, che dimostrano l’infondatezza dei motivi dedotti dai ricorrenti, sostanzialmente coincidenti con le censure mosse nel ricorso proposto dai Sig.ri De Ma. e Fi., il ricorso va respinto (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 18.01.2023 n. 63 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2022

ATTI AMMINISTRATIVIPer costante giurisprudenza, le FAQ (Frequently Asked Questions), ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle clausole del bando forniti dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle domande, non costituiscono un'indebita modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, da cui all'amministrazione è consentito discostarsi solo in presenza di elementi decisivi, che il giudice deve sottoporre a uno scrutinio particolarmente severo, per evitare il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta, con il diverso orientamento amministrativo sopravvenuto, in arbitrio o comunque leda l'affidamento riposto dai concorrenti nei chiarimenti stessi.
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È vero che l’interpretazione del bando seguita dalla pubblica amministrazione risulta in contrasto con la FAQ richiamata dalla ricorrente, in un primo tempo esposta sul sito istituzionale e successivamente rimossa, che lasciava intendere una diversa interpretazione del bando stesso, aperta alla partecipazione anche delle associazioni culturali non iscritte in alcun registro.
Tuttavia la difforme interpretazione dei requisiti di ammissione recata dalla suddetta FAQ non può essere ritenuta vincolante per la pubblica amministrazione.
In verità si deve riconoscere che, per costante giurisprudenza, le FAQ (Frequently Asked Questions), ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle clausole del bando forniti dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle domande, non costituiscono un'indebita modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, da cui all'amministrazione è consentito discostarsi solo in presenza di elementi decisivi, che il giudice deve sottoporre a uno scrutinio particolarmente severo, per evitare il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta, con il diverso orientamento amministrativo sopravvenuto, in arbitrio o comunque leda l'affidamento riposto dai concorrenti nei chiarimenti stessi (Cons. Stato, Sez. V, 02/03/2022, n. 1486) (TAR Lazio-Roma, Sez. IV-bis, sentenza 29.12.2022 n. 17786 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIn tema di gare pubbliche, quel che non prescrive l'avviso, non possono imporre le FAQ (Frequently Asked Questions) ovvero i chiarimenti resi dalla P.A. procedente su richieste formulate dai soggetti interessati a partecipare alla gara.
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18. Il giudice di primo grado ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati e la sentenza non merita le critiche che le sono state rivolte poiché:
   a) l’offerta di gestione costituisce esclusivamente un completamento della proposta tecnica, che in alcun modo, neanche potenziale, rivela elementi dell’offerta economica;
   b) in che modo la commissione avrebbe potuto conoscere in anticipo l’offerta economica, in violazione del principio di segretezza delle offerte, non è dato comprendere, se non accedendo al formalistico ragionamento esposto dall’appellante;
   c) in tema di gare pubbliche, quel che non prescrive l'avviso, non possono imporre le FAQ (Frequently Asked Questions) ovvero i chiarimenti resi dalla P.A. procedente su richieste formulate dai soggetti interessati a partecipare alla gara (Consiglio di Stato, sez. V, 04.05.2022, n. 3492)
(Consiglio di Stato sez. V, 11.06.2018, n. 3609) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2022 n. 11469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Per consolidata giurisprudenza, presupposti indefettibili delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti sono:
   a) l’indifferibilità dell’intervento, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) l'impossibilità di scongiurare la situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
   c) la provvisorietà e temporaneità della misura adottata, in proporzione all’economia degli obiettivi con la stessa perseguiti.

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... per l'annullamento dell’ordinanza sindacale n. 1 del 15.01.2020, recante l’ingiunzione di esecuzione di interventi di conservazione, di ripristino e di messa in sicurezza di un edificio.
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1. Col ricorso in epigrafe, Sa.Lu. (in appresso, Sa. L.) e St.Lu. (in appresso, St. L.) impugnavano, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza contingibile e urgente n. 1 del 15.01.2020, con la quale il Sindaco del Comune di San Mango Piemonte, sulla scorta delle risultanze delle relazioni tecniche del 24.07.2019, prot. n. 3393 I, e del 26.11.2019, prot. n. 5935 I, aveva ingiunto di porre in essere interventi finalizzati a salvaguardare la conservazione e l’integrità ed a ripristinare le condizioni di sicurezza delle unità immobiliari ricomprese nell’edificio in condominio col Comune di San Mango Piemonte, ubicato nel territorio di quest’ultimo, in via ..., n. 36, nonché censite in catasto al foglio 2, particelle 131, sub 4, e 134, sub 2.
...
6. Venendo ora a scrutinare il ricorso, esso si rivela fondato per le ragioni illustrate in appresso.
7. Merita, innanzitutto, favorevole apprezzamento l’ordine di doglianze rubricato retro, sub n. 3.a.
In argomento, giova rammentare che, per consolidata giurisprudenza, presupposti indefettibili delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti sono:
   a) l’indifferibilità dell’intervento, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) l'impossibilità di scongiurare la situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
   c) la provvisorietà e temporaneità della misura adottata, in proporzione all’economia degli obiettivi con la stessa perseguiti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 26.07.2016, n. 3369; 21.02.2017, n. 774; 05.06.2017, n. 2676; 12.06.2017, n. 2799 e n. 2847; TAR Lazio, Roma, sez. II, 17.10.2011, n. 7994; 06.12.2011, n. 9603; 03.12.2012, n. 10051; 09.05.2017, n. 5572; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 15.10.2012, n. 2006; TAR Liguria, Genova, sez. I, 19.04.2013, n. 702; 27.01.2016, n. 82; TAR Basilicata, Potenza, 23.05.2016, n. 294; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 23.03.2015, n. 530; TAR Umbria, Perugia, 28.01.2016, n. 85; TAR Campania, Napoli, sez. V, 17.02.2016, n. 860; 09.11.2016 n. 5162; 24.03.2017, n. 621; 28.04.2017, n. 2284; 08.09.2017, n. 4324; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 12.01.2016 n. 69; sez. II, 29.06.2017, n. 1072; TAR Piemonte, Torino, sez. II, 27.09.2017, n. 1062; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 16.05.2018, n. 1284).
Dalle relazioni tecniche del 24.07.2019, prot. n. 3393 I, e del 26.11.2019, prot. n. 5935 I, si evince che gli interventi imposti con l’impugnata ordinanza sindacale n. 1 del 15.01.2020 sono essenzialmente preordinati a rimediare alle infiltrazioni provenienti dalla porzione immobiliare ed alla fatiscenza del “corpo scala” in comproprietà delle ricorrenti, in quanto suscettibili di arrecare un pregiudizio agli attigui locali in titolarità comunale, piuttosto che di generare un pregiudizio incombente in termini di crollo; e, quindi, che, stante anche l’ormai risalente situazione di degrado caratterizzante i cespiti in comproprietà delle ricorrenti, gli stessi afferiscono, all’evidenza, a fenomeni integranti non già gli estremi del pericolo imminente per l’incolumità pubblica o per la sicurezza urbana, fronteggiabili con lo strumento amministrativo dell’ordinanza contingibile e urgente ex art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, bensì, al più, gli estremi del danno al terzo proprietario (ossia, nel caso in esame, all’ente locale), fronteggiabile con lo strumento giurisdizionale dell’azione possessoria di danno temuto ex art. 1172 cod. civ.
Non senza soggiungere, subito dopo, che la prescritta intonacatura afferisce –come pure fondatamente dedotto da parte ricorrente– ai muri perimetrali esterni, ossia a parti comuni dell’edificio, alla cui manutenzione è deputato il condominio, e non i singoli condomini.
8. Di qui, poi, la fondatezza della rassegnata censura di incompetenza dell’organo sindacale promanante l’ordinanza n. 1 del 15.01.2020 (cfr. retro, sub n. 3.d), essendosi esclusa la rispondenza di quest’ultima ai requisiti applicativi dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 21.12.2022 n. 3560 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’ordinanza impugnata è stata adottata in (generica) attuazione delle previsioni del TUEL, senza specificare in relazione a quale disposizione il Sindaco abbia ritenuto di adottare il provvedimento ordinatorio contestato.
Verosimilmente la fonte attributiva del potere esercitato è stata identificata dal Comune negli artt. 50 e/o 54 del TUEL medesimo.
L’art. 50 citato prevede, al 5° comma, che “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal Sindaco, quale rappresentante della comunità locale”.
L’art. 54 citato dispone, al 4° comma, che “il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.
La differenza tra le due tipologie di ordinanze è ravvisabile, in sostanza, nella differente imputabilità del potere esercitato dal Sindaco:
   - nel primo caso riferibile alla sua posizione di vertice dell’amministrazione locale,
   - nel secondo, invece, in veste di ufficiale di Governo e, pertanto, soggetto al potere di vigilanza ministeriale attribuito al Prefetto, al quale, infatti –come espressamente previsto dalla citata disposizione- i suddetti provvedimenti debbono essere preventivamente comunicati, anche ai fini della predisposizione da parte dell’Autorità prefettizia degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.
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Le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono –in entrambe le suddette versioni- provvedimenti “extra ordinem”, a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotati di capacità derogatoria della disciplina normativa di rango primario, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Il fondamento e la ratio dei provvedimenti de quibus è rinvenibile nell’esigenza di apprestare alla pubblica autorità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, da valutarsi caso per caso secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, tali da non consentire l’utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall’ordinamento.
Quanto ai limiti concernenti il potere sindacale d’urgenza, per costante orientamento giurisprudenziale i presupposti indefettibili delle ordinanze contingibili e urgenti sono costituiti:
   - dall’impraticabilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   - dall’impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   - dalla indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l’uso di strumenti extra ordinem, diversi da quelli tipici indicati dalla legge (pur con la precisazione che, in taluni casi, la circostanza che la situazione di pericolo sia protratta nel tempo non rende illegittima l’ordinanza, dal momento che in determinate situazioni il trascorrere del tempo non elimina da sé il pericolo, ma può, invece, aggravarlo).
Pertanto deve rilevarsi che in base del vigente quadro normativo, ai Sindaci non è concessa una discrezionalità indeterminata nell’ambito delle scelte amministrative aventi conseguenze sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate.
La possibilità di utilizzo di tale strumento straordinario, recando con sé l’inevitabile compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli aventi un contenuto tipico e indicati dalle legge, impone infatti il rispetto di presupposti precisi, la cui ricorrenza l’Amministrazione è tenuta ad appurare attraverso un’accurata istruttoria volta ad assicurare il rispetto dei limiti di carattere sostanziale e procedurale del potere esercitato, non giustificandosi, altrimenti, la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente, dunque, in quanto da emettersi nell’esercizio di poteri extra ordinem, può essere legittimato solo in casi eccezionali, in cui esigenze di tutela urgente dell’interesse pubblico non consentano di agire in via ordinaria.
L’esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente richiede, quindi, in sostanza, “…il rigoroso svolgimento di una compiuta e mirata istruttoria volta a riscontrare, attraverso una indagine che faccia emergere e dia adeguatamente conto della situazione di fatto da regolare, l’effettiva sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza cui si correla una situazione di effettivo e concreto pericolo per la integrità dei beni tutelati, la quale non sia fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva”.
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... per l’annullamento dell’ordinanza n. 29 del 14.05.2021, notificata via PEC in pari data, con la quale il Sindaco di Guspini ha ordinato ad Ab. “con effetto immediato dalla notifica della presente, a porre in atto tutti gli interventi necessari al ripristino in piena efficienza della condotta fognaria in argomento al fine di ristabilire le condizioni igienico sanitarie all'interno dell'immobile di proprietà della signora Da.Or., sito nella Via ... 56 (N.C.T. Foglio 517, particella 2725);
   di valutare anche congiuntamente con il Comune la realizzazione di una nuova condotta fognaria secondo una soluzione alternativa del tracciato
”;
...
1. L’ordinanza impugnata è stata adottata in (generica) attuazione delle previsioni del TUEL, senza specificare in relazione a quale disposizione il Sindaco di Guspini abbia ritenuto di adottare il provvedimento ordinatorio contestato da Ab..
2. Verosimilmente la fonte attributiva del potere esercitato è stata identificata dal Comune negli artt. 50 e/o 54 del TUEL medesimo.
3. L’art. 50 citato prevede, al 5° comma, che “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal Sindaco, quale rappresentante della comunità locale”.
4. L’art. 54 citato dispone, al 4° comma, che “il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.
5. La differenza tra le due tipologie di ordinanze è ravvisabile, in sostanza, nella differente imputabilità del potere esercitato dal Sindaco: nel primo caso riferibile alla sua posizione di vertice dell’amministrazione locale, nel secondo, invece, in veste di ufficiale di Governo e, pertanto, soggetto al potere di vigilanza ministeriale attribuito al Prefetto, al quale, infatti –come espressamente previsto dalla citata disposizione- i suddetti provvedimenti debbono essere preventivamente comunicati, anche ai fini della predisposizione da parte dell’Autorità prefettizia degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.
6. Orbene, giova premettere che le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono –in entrambe le versioni- provvedimenti “extra ordinem”, a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotati di capacità derogatoria della disciplina normativa di rango primario, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
7. Il fondamento e la ratio dei provvedimenti de quibus è rinvenibile nell’esigenza di apprestare alla pubblica autorità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, da valutarsi caso per caso secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, tali da non consentire l’utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall’ordinamento.
8. Quanto ai limiti concernenti il potere sindacale d’urgenza, per costante orientamento giurisprudenziale (TAR Campania, Napoli, Sezione V, n. 5199 del 04.11.2019) i presupposti indefettibili delle ordinanze contingibili e urgenti sono costituiti:
   - dall’impraticabilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   - dall’impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   - dalla indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l’uso di strumenti extra ordinem, diversi da quelli tipici indicati dalla legge (pur con la precisazione che, in taluni casi, la circostanza che la situazione di pericolo sia protratta nel tempo non rende illegittima l’ordinanza, dal momento che in determinate situazioni il trascorrere del tempo non elimina da sé il pericolo, ma può, invece, aggravarlo).
9. Pertanto deve rilevarsi che in base del vigente quadro normativo, ai Sindaci non è concessa una discrezionalità indeterminata nell’ambito delle scelte amministrative aventi conseguenze sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate.
10. La possibilità di utilizzo di tale strumento straordinario, recando con sé l’inevitabile compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli aventi un contenuto tipico e indicati dalle legge, impone infatti il rispetto di presupposti precisi, la cui ricorrenza l’Amministrazione è tenuta ad appurare attraverso un’accurata istruttoria volta ad assicurare il rispetto dei limiti di carattere sostanziale e procedurale del potere esercitato, non giustificandosi, altrimenti, la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
11. Il potere di ordinanza contingibile e urgente, dunque, in quanto da emettersi nell’esercizio di poteri extra ordinem, può essere legittimato solo in casi eccezionali, in cui esigenze di tutela urgente dell’interesse pubblico non consentano di agire in via ordinaria.
12. L’esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente richiede, quindi, in sostanza, “…il rigoroso svolgimento di una compiuta e mirata istruttoria volta a riscontrare, attraverso una indagine che faccia emergere e dia adeguatamente conto della situazione di fatto da regolare, l’effettiva sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza cui si correla una situazione di effettivo e concreto pericolo per la integrità dei beni tutelati, la quale non sia fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva” (Consiglio di Stato, Sezione III, 19.01.2021, n. 571).
13. Orbene, applicando alla fattispecie che ci occupa i richiamati principi giurisprudenziali, emerge come l’adozione della statuizione contingibile e urgente de qua sia stata circoscritta alla sola esigenza di ovviare ai rappresentati “inconvenienti igienico sanitari” segnalati dalla proprietaria dell’immobile attraversato dalla condotta fognaria.
14. Si tratta -evidentemente- di presupposto sicuramente meritevole di un intervento rapido e risolutorio del problema, auspicabilmente realizzato di concerto tra le parti, ma sicuramente esso risulta insufficiente ad attivare i precitati poteri extra ordinem del Sindaco al fine di evitare che detto potere, da rimedio estremo da utilizzare a fronte di situazioni eccezionali non prevedibili quando fonte di accertati danni gravi, si trasformi –alterandone la struttura e la funzione- in uno strumento ordinario di intervento per risolvere situazioni di assai limitata portata ben fronteggiabili con i normali strumenti di tutela previsti dall’ordinamento.
15. In conclusione il ricorso è dunque fondato, con valore assorbente, per il predetto, motivo, sicché va disposto l’annullamento del provvedimento impugnato (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 19.12.2022 n. 861 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Va rammentato come la giurisprudenza si è orientata a ritenere che, operando all’interno di una condizione di contingibilità ed urgenza, le determinazioni dell’Ente (sia impositive, che confermative ovvero di diniego di revoca) sono da apprezzarsi nei consueti limiti che la giurisprudenza ha individuato quali condizioni per la legittimità dell’esercizio del potere.
Sul tema, si osserva che, ai sensi dell’art. 54, co. 4, TUEL, anche il riscontro di uno stato dei luoghi che potrebbe divenire potenzialmente pericoloso per l’incolumità pubblica può legittimare il ricorso al potere extra ordinem da parte del Sindaco: la potenzialità di un pericolo grave per l’incolumità pubblica è sufficiente a giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente, anche qualora essa sia nota da tempo o “si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi”.
Le ordinanze contingibili e urgenti sono infatti provvedimenti atipici volti ad assicurare elasticità di manovra all’Amministrazione nel prevenire il perpetrarsi di gravi danni all’incolumità pubblica, spesso irreparabili a posteriori, proprio come quelli che nel caso odierno potrebbero conseguire all’eventuale cedimento di porzioni del complesso immobiliare.
Deve altresì rammentarsi che condizione di legittimo utilizzo dei poteri di ordinanza ex art. 50 e 54 del d.lgs. 267/2000 è “l'esistenza di una situazione eccezionale e imprevedibile: tale presupposto, tuttavia, va interpretato nel senso che rileva non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell'urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall'imputabilità se del caso perfino all'Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere”.
Invero, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 del T.U.E.L. è “condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento”.
Infine, l’esercizio dei poteri extra ordinem va valutato, in caso di opposizione o impugnazione, secondo un criterio di proporzionalità ed adeguatezza, da una parte, tra la condizione di pericolo e la misura oggetto dell’ordine dell’Autorità; dall’altra tra quest’ultima ed il soggetto chiamato a provvedere (che può anche non coincidere con il solo proprietario del bene, ma dev’essere individuato in base ad un criterio di effettività delle possibilità di intervento e sempre secondo ragionevolezza , come nel caso di specie, in cui l’ordine è rivolto a tutti i proprietari interessati, collettivamente i quali, peraltro, non hanno contestato l’intervento dell’Ente).
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Quando il Sindaco ordina ex art. 54 del d.lgs. 267/2000 determinati interventi contingibili ed urgenti a carico di più destinatari ed in relazione ad un bene o una fonte di pericolo che è comune a tutti, salvo che la natura dei luoghi o dell’intervento non lo esiga o non lo renda opportuno, non è tenuto ad indicare o prescrivere la suddivisione della misura in quote per ciascun destinatario, perché l’ordinanza costituisce in capo ai proprietari una obbligazione solidale che, quindi, dovrà regolarsi secondo il titolo.
Pertanto (nel caso di specie), ogni questione inerente le modalità applicative o esecutive, l’effettuazione di scavi o sondaggi, la redazione di perizie o studi, l’approntamento di misure di messa in sicurezza o lavori di consolidamento (e l’individuazione dei soggetti a carico dei quali essi vanno realizzati, come ad esempio nella perizia del 2012 depositata dal ricorrente), nonché, infine, la specifica ripartizione tra i destinatari tenuti alla prestazione (per interventi o quote e quali tra esse), seguirà le regole proprie della solidarietà, potendosi esigere da parte dell’Ente l’adempimento a carico di ciascuno di essi, salva rivalsa secondo i titoli di proprietà (o di responsabilità nell’aver cagionato il pericolo, a seconda dei casi);
E fermo restando che, laddove in caso di inottemperanza, sarà l’Ente ad intervenire (intervento che può rivelarsi doveroso quando il pericolo non consenta l’indugio), i relativi costi saranno recuperati, ancora una volta, a carico di tutti i condebitori a seconda della natura della prestazione (se unitaria, come risulta nel caso di specie, o frazionabile) e le regole generali.
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... per l'annullamento
   - dell'ordinanza del Sindaco Città di Viterbo, Settore Lavori Pubblici, n. 88 in data 19.07.2011, notificata in data 02.08.2011;
   - dell'ordinanza del Sindaco Città di Viterbo, Settore Lavori Pubblici, n. 120 del 23.09.2011, notificata il 15.10.2011;
nonché di tutti gli atti prodromici, inerenti e conseguenziali, con particolare riferimento alla segnalazione del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Viterbo del 24.12.2010, all’ordinanza sindacale nr. 11 del 28.01.2011, con cui si disponeva la messa in sicurezza della rupe de qua, a tutela della pubblica e privata incolumità, alla segnalazione dei VVFF di Viterbo per il tramite dell’UTG, del 20.06.2011, prot. 1710, agli esiti dei sopralluoghi dei VVFF del 10.06.2011, del 22.08.2011, del 14.09.2011, che impugna in quanto non conosciuti.
Con motivi aggiunti:
   - dell’ordinanza nr. 0004881 del 13.02.2012 del Dirigente del Settore VI del Comune di Viterbo, con la quale si dispone a carico del ricorrente di eseguire opere per la messa in sicurezza della scarpata in loc. Sant’Angelo.
...
Nell’odierno giudizio, la controversia verte in ordine alla legittimità di provvedimenti contingibili ed urgenti con i quali l’Autorità ha intimato ad una collettività di destinatari, tra i quali l’odierno ricorrente, l’adozione di misure di messa in sicurezza e consolidamento di una rupe.
1) Si deve preliminarmente osservare che il ricorso ed i motivi aggiunti sono notificati ad uno solo degli altri proprietari interessati dalle misure contigibili ed urgenti: nella misura in cui l’atto è lesivo per tutti ciò non costituirebbe un problema di rito, ma in relazione alle diverse argomentazioni di censura con le quali il ricorrente prospetta, variamente, che gli interventi disposti non sono di sua competenza, ma di quella degli altri comproprietari, è evidente che il gravame andrebbe dichiarato inammissibile in questa parte (quanto meno avrebbe dovuto essere notificato a quelli tra gli altri proprietari che nell’esposizione considera responsabili dell’escavazione della base della rupe).
2) Il giudizio è da rendere allo stato degli atti, posto che nessuna delle parti ha riferito circa l’attuale stato di fatto dei luoghi. Resta quindi salva ed impregiudicata ogni eventuale attività svolta medio tempore.
Deve poi ritenersi fondata l’eccezione principale del Comune, secondo la quale l’atto lesivo, che ha originato la sequenza procedimentale che si è articolata nelle ordinanze successive (da considerarsi unitaria, in quanto attinente a fasi scandite da diversi adempimenti tra le parti tutti finalizzati all’esame della situazione dei luoghi) è non impugnato, con conseguente inammissibilità del ricorso introduttivo.
Pur tenendo conto dei profili di rito sin qui descritti, il gravame, nel suo complesso, è comunque infondato per le seguenti ragioni.
3) In primo luogo, va rammentato come la giurisprudenza della Sezione, in fattispecie consimili (v. in particolare, TAR Lazio, Roma, II-bis, nr. 9156/2022 del 05.07.2022) si è orientata a ritenere che, operando all’interno di una condizione di contingibilità ed urgenza, le determinazioni dell’Ente (sia impositive, che confermative ovvero di diniego di revoca) sono da apprezzarsi nei consueti limiti che la giurisprudenza ha individuato quali condizioni per la legittimità dell’esercizio del potere.
Sul tema, si osserva che, ai sensi dell’art. 54, co. 4, TUEL, anche il riscontro di uno stato dei luoghi che potrebbe divenire potenzialmente pericoloso per l’incolumità pubblica può legittimare il ricorso al potere extra ordinem da parte del Sindaco: la potenzialità di un pericolo grave per l’incolumità pubblica è sufficiente a giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente, anche qualora essa sia nota da tempo o “si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi” (ex multis, TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 24/04/2019 n. 5237).
Le ordinanze contingibili e urgenti sono infatti provvedimenti atipici volti ad assicurare elasticità di manovra all’Amministrazione nel prevenire il perpetrarsi di gravi danni all’incolumità pubblica, spesso irreparabili a posteriori, proprio come quelli che nel caso odierno potrebbero conseguire all’eventuale cedimento di porzioni del complesso immobiliare.
Deve altresì rammentarsi che condizione di legittimo utilizzo dei poteri di ordinanza ex art. 50 e 54 del d.lgs. 267/2000 è “l'esistenza di una situazione eccezionale e imprevedibile: tale presupposto, tuttavia, va interpretato nel senso che rileva non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell'urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall'imputabilità se del caso perfino all'Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere” (TAR Roma, sez. II, 04/12/2019, n. 13898; cfr. anche TAR Napoli, sez. V, 01/06/2020, n. 2087, secondo cui la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 del T.U.E.L. è “condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento”).
Infine, l’esercizio dei poteri extra ordinem va valutato, in caso di opposizione o impugnazione, secondo un criterio di proporzionalità ed adeguatezza, da una parte, tra la condizione di pericolo e la misura oggetto dell’ordine dell’Autorità; dall’altra tra quest’ultima ed il soggetto chiamato a provvedere (che può anche non coincidere con il solo proprietario del bene, ma dev’essere individuato in base ad un criterio di effettività delle possibilità di intervento e sempre secondo ragionevolezza , come nel caso di specie, in cui l’ordine è rivolto a tutti i proprietari interessati, collettivamente i quali, peraltro, non hanno contestato l’intervento dell’Ente).
4) Condizioni queste tutte pienamente riscontrabili nell’odierna fattispecie, laddove le doglianze di merito che parte ricorrente formula avverso le misure dell’Ente (genericità, impossibilità di esecuzione da parte del solo ricorrente ed eccessiva onerosità) attengono, in realtà, a problematiche esecutive che vanno sollevate sia in relazione alla collettività dei proprietari, sia nel rapporto (attuativo) con il Comune.
Nessuna delle doglianze dedotte si rivela infatti fondata.
4.1) Invero, quanto ai requisiti di pericolo e di urgenza dell’intervento, i relativi presupposti sono resi manifesti dalla semplice esposizione in fatto che si trae dagli atti di causa.
4.1.1) Il 24.12.2010, i Vigili del Fuoco segnalavano degli smottamenti sollecitando il Comune ad effettuare i necessari interventi di bonifica e consolidamento della parete tufacea sotto la supervisione di un tecnico abilitato.
4.1.2) Il 28.01.2011, veniva emessa la prima delle ordinanze contingibili ed urgenti (notificata il 07.02.2011) con la quale, alla luce di quanto segnalato dai vigili del fuoco, si ordinava ex art. 54 Tuel al ricorrente, in quanto proprietario delle particelle soprastanti la rupe, di adottare tutte le misure di salvaguardia, bonifica e consolidamento; al controinteressato ed ad una terza parte (non evocata in giudizio), in quanto proprietari degli immobili sottostanti alla rupe, di non utilizzare, con effetto immediato, le aree e le grotte fino a quando non fosse stata messa in sicurezza la rupe in questione.
A questa ordinanza il ricorrente aderiva (per la parte di competenza, come dichiara) nominando un tecnico che provvedesse a dei lavori; e segnalando la necessità di un’analisi relativa alle problematiche statiche della rupe.
4.1.3) Il 14.06.2011 i Vigili del fuoco, chiamati in seguito alla caduta di materiali, accertavano l’avvenuto distacco dalla rupe ad un’altezza pari a sei o sette metri, di materiale tufaceo, ritenendo che il fenomeno, con l’approssimarsi della stagione invernale, potesse aggravarsi.
I Vigili richiamavano dunque la evidente necessità che venisse redatta da un professionista un’analisi tecnica all’esito della quale eseguire i lavori di sistemazione tali da consentire, alla fine, di certificare la idoneità statica della rupe; fermo restando che nelle more di detto intervento la rupe avrebbe dovuto essere oggetto di efficaci e risolutivi interventi per la definitiva messa di sicurezza e per non compromettere l’agibilità degli immobili a monte e a valle della rupe stessa. Tanto veniva comunicato “per il compimento di provvedimento di competenza da adottare a tutela della pubblica e privata incolumità”.
4.1.4) Il 19.07.2011 veniva quindi emessa la seconda ordinanza, ex art. 54, con la quale sulla base di quanto segnalato sia dal tecnico del ricorrente che dai vigili del fuoco, si confermava, nell’immediatezza, l’interdizione alle aree scoperte della rupe, alle cavità e agli immobili a ridosso della scarpata e si prescriveva l’esecuzione, entro il successivo termine di giorni 30, di un’indagine geologica del fenomeno franoso, sulla natura e le cause del dissesto e sulla stabilità dei manufatti esistenti all’interno della rupe provvedendo, successivamente a detta indagine (e se necessario), ad eseguire tutte le opere necessarie per la definitiva messa in sicurezza e il consolidamento della rupe.
L’ordine in questione veniva impartito sia al ricorrente che ai proprietari già individuati nella prima ordinanza oltre ad altri sei (nessuno dei quali evocato in giudizio) proprietari delle arie scoperte degli immobili sottostanti interessati dal fenomeno franoso.
4.1.5) Il 23.09.2011, dopo che i Vigili del fuoco avevano effettuato due ulteriori sopralluoghi, il 22/08/2011 e il 14/09/2011 (nel corso dei quali veniva rilevata una frattura nel blocco dietro l’abitazione del contro interessato ed elementi di rischio e di distacco della restante porzione della rupe nella parte in cui sovrasta le proprietà di altri soggetti), veniva emessa l’ordinanza n. 120 con funzione integrativa della precedente; tale ordinanza, alla luce degli ulteriori fenomeni di rischio emersi interdiva a tutti i destinatari, a seconda delle rispettive proprietà, l’utilizzo delle arie scoperte, delle cavità e degli immobili a ridosso della scarpata fino all’esecuzione delle opere di consolidamento della rupe; disponeva anche l’interdizione all’uso dell’immobile di una coppia di destinatari in quanto interessato da possibili caduta del materiale lapideo; oltre all’interdizione ad altri proprietari di aree libere e coperte da tettoie, all’uso delle aree in questione, mentre al ricorrente veniva interdetto l’uso della fascia di terreno che sovrasta la rupe per una profondità di 5 m..
5) Appare dunque evidente, dall’esposizione che precede, come il rischio dell’imminente ulteriore distacco di materiali o di porzioni della rupe, con altrettanti evidenti rischi per le proprietà e le persone, non sia seriamente messo in discussione dalla parte ricorrente, né sia dubitabile –con riguardo al tempo di adozione dei provvedimenti impugnati– che dovesse ritenersi sussistente, in forza di una prognosi ragionevole ex ante ed in concreto.
Nessun rilievo possiedono dunque le doglianze procedimentali, posto che il ricorrente stesso enuncia di essersi addirittura attivato per riunire i proprietari collettivamente destinatari delle ordinanze e di avere anche eseguito la prima delle ordinanze susseguitisi sulla questione della sicurezza della rupe, ciò che non può che degradare a questione di pura forma l’avvenuta partecipazione o meno delle relazioni ispettive dei Vigili e degli altri documenti istruttori (che non dovevano essere allegati alle ordinanze e che erano pienamente accessibili agli interessati).
Irrilevante è la produzione documentale della CTU del 2012, depositata dalla difesa del ricorrente, in quanto non attinente al quadro giuridico e fattuale come risultante al momento degli atti di causa (ma semmai attinente alla fase esecutiva delle ordinanze, per cui vedasi meglio oltre) ed, oltretutto, è confermativa della sussistenza dei rischi (che riconduce a fenomeni antropici) nonché della necessità di effettuare interventi di messa in sicurezza (come meglio ivi indicato).
Quanto all’ultimo mezzo, con il quale il ricorrente lamenta che le relazioni indicate nella determinazione impugnata non consentirebbero di individuare partitamente specificamente quali interventi toccano all’uno all’altro proprietario (quindi, poiché gli interventi da fare riguardano più proprietari, ciascuno potrebbe intervenire solamente sui terreni di loro esclusiva proprietà), si osserva quanto segue.
Quando il Sindaco ordina ex art. 54 del d.lgs. 267/2000 determinati interventi contingibili ed urgenti a carico di più destinatari ed in relazione ad un bene o una fonte di pericolo che è comune a tutti, salvo che la natura dei luoghi o dell’intervento non lo esiga o non lo renda opportuno, non è tenuto ad indicare o prescrivere la suddivisione della misura in quote per ciascun destinatario, perché l’ordinanza costituisce in capo ai proprietari una obbligazione solidale che, quindi, dovrà regolarsi secondo il titolo.
Pertanto, ogni questione inerente le modalità applicative o esecutive, l’effettuazione di scavi o sondaggi, la redazione di perizie o studi, l’approntamento di misure di messa in sicurezza o lavori di consolidamento (e l’individuazione dei soggetti a carico dei quali essi vanno realizzati, come ad esempio nella perizia del 2012 depositata dal ricorrente), nonché, infine, la specifica ripartizione tra i destinatari tenuti alla prestazione (per interventi o quote e quali tra esse), seguirà le regole proprie della solidarietà, potendosi esigere da parte dell’Ente l’adempimento a carico di ciascuno di essi, salva rivalsa secondo i titoli di proprietà (o di responsabilità nell’aver cagionato il pericolo, a seconda dei casi); e fermo restando che, laddove in caso di inottemperanza, sarà l’Ente ad intervenire (intervento che può rivelarsi doveroso quando il pericolo non consenta l’indugio), i relativi costi saranno recuperati, ancora una volta, a carico di tutti i condebitori a seconda della natura della prestazione (se unitaria, come risulta nel caso di specie, o frazionabile) e le regole generali.
Per tutte queste ragioni, dunque, il gravame è infondato e come tale va respinto, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo, in favore del Comune di Viterbo, mentre possono essere compensate nei confronti del Ministero dell’Interno (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 06.12.2022 n. 16291 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti “extra ordinem”, a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, la cui giustificazione si rinviene nell’esigenza di apprestare alla pubblica autorità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, tali da non consentire l’utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall’ordinamento.
La possibilità di utilizzo, in via del tutto residuale, di tale strumento -che reca in sé l’inevitabile compressione di diritti e interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle legge- impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, la cui ricorrenza l’Amministrazione è tenuta ad appurare attraverso un’accurata istruttoria, nel rispetto di limiti di carattere sostanziale e procedurale, non giustificandosi, altrimenti, la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
Per costante giurisprudenza, in particolare, presupposti indefettibili delle ordinanze de quibus sono costituiti:
   a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, diversi da quelli tipici indicati dalle legge.
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... per l'annullamento dell’ordinanza sindacale n. 4 del 03.02.2020 emessa dal Comune di Conca della Campania (CE), avente ad oggetto lo sgombero per motivi igienico-sanitari dell’allevamento di galline ovaiole sito sul terreno identificato al N.C.T. al foglio 23 particella 31, e dell’atto prot. n. 926/2020 del 24.02.2020 con cui è stata riscontrata negativamente la richiesta di annullamento in autotutela del primo provvedimento.
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4. Il ricorso è fondato.
4.1 Come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti “extra ordinem”, a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, la cui giustificazione si rinviene nell’esigenza di apprestare alla pubblica autorità adeguati strumenti per fronteggiare il verificarsi di situazioni caratterizzate da eccezionale urgenza, tali da non consentire l’utile e tempestivo ricorso alle alternative ordinarie offerte dall’ordinamento.
La possibilità di utilizzo, in via del tutto residuale, di tale strumento -che reca in sé l’inevitabile compressione di diritti e interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle legge- impone il rigoroso rispetto di precisi presupposti, la cui ricorrenza l’Amministrazione è tenuta ad appurare attraverso un’accurata istruttoria, nel rispetto di limiti di carattere sostanziale e procedurale, non giustificandosi, altrimenti, la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi (cfr., ex multis Cons. Stato, sez. V, 26.07.2016, n. 3369; 22.03.2016, n. 1189; 25.05.2015, n. 2967; TAR Campania, sez. V, 09.11.2016, n. 5162; 10.09.2012, n. 3845; TAR Bari, sez. I, 24.03.2015, n. 479).
Per costante giurisprudenza, in particolare, presupposti indefettibili delle ordinanze de quibus sono costituiti:
   a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, diversi da quelli tipici indicati dalle legge (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. V, 24.03.2017, n. 621, 09.11.2016, n. 5162 e 17.02.2016, n. 860; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 12.01.2016, n. 69; Cons. di St., sez. V, 26.07.2016, n. 3369).
4.2 Orbene, nel caso di specie, come fondatamente rimarcato dal ricorrente, la motivazione del provvedimento impugnato poggia sull’asserito accertamento, sul suolo di sua proprietà, di concentramento di galline ovaiole in zona, in tesi, non autorizzabile in quanto centro urbano.
Invero, da un lato, il provvedimento impugnato non lamenta né dimostra l'urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento extra ordinem non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità; dall’altro, nemmeno dà conto in motivazione dell’avvenuto svolgimento della necessaria adeguata istruttoria volta ad appurare quantomeno il pericolo di un’emergenza sanitaria ovvero di igiene pubblica non diversamente fronteggiabile con il ricorso agli ordinari sistemi previsti dall’ordinamento.
L’adozione del provvedimento extra ordinem, in altri termini, non è stata giustificata dall’accertamento condotto alla stregua di adeguata istruttoria, di una situazione di pericolo che, stante la sua eccezionalità e imprevedibilità, non poteva trovare diversi strumenti di tutela per l’interesse pubblico asseritamente leso, sembrando piuttosto poggiare la propria ragion d’essere sulla sola evidente incompatibilità, in astratto considerata, della allocazione in centro urbano di una tale tipologia di allevamento, rientrante, secondo l’ente resistente, nelle industrie insalubri di prima classe ai sensi dell’art. 216 T.U. Leggi Sanitarie, e nella conseguente messa a rischio della salute pubblica.
Invero anche il verbale del sopralluogo effettuato dall’autorità di vigilanza locale, richiamato nel preambolo dell’atto, si sofferma prettamente su asserite violazioni della normativa in materia di autorizzazioni, senza tuttavia lasciar emergere la sussistenza di alcuna situazione di pericolo per l’incolumità pubblica derivante dal mantenimento in loco delle galline in questione.
In conclusione, il rilevato difetto dei sopra precisati presupposti fondamentali, legittimanti l’esercizio della potestà in argomento, determina l’illegittimità dell’ordinanza sindacale impugnata, che va pertanto annullata, con assorbimento delle ulteriori censure non esaminate (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 05.12.2022 n. 7575 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’art. 54 TUEL conferisce al Sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti dal contenuto atipico, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone, dunque, necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione.
L’occorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, con la possibilità di emanare l’ordinanza che adotta le misure necessarie a prevenire eventi dannosi in una situazione di pericolo, definita quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione ometta di intervenire tempestivamente.
In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo imminente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico.

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L
a giurisprudenza afferma che il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa (rispettivamente, la coerenza tra decisioni comparabili) e che se gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la Pubblica Amministrazione deve ricorrere alla scelta meno restrittiva, tuttavia la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della necessità delle misure che si possono prendere.
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   Premesso:
1.- Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato il 15.11.2020 al Comune di Sora e il 17.11.2020 al Ministero Infrastrutture e Trasporti, i ricorrenti, in qualità di proprietari o titolari di diritti reali di unità immobiliari del complesso edilizio sito nel comune di Sora, via ..., catastalmente individuato al Fg. 37, particella 2801, impugnano, denunciandone l’illegittimità, l’ordinanza contingibile e urgente del Comune di Sora n. 104 del 20.07.2020, ex art. 54 D.lgs. n. 267/2000, con la quale è stata dichiarata l’inagibilità del fabbricato e lo sgombero, il divieto di utilizzo e di accesso alle unità immobiliari ed alle relative aree di pertinenza costituenti il complesso edilizio per riscontrate criticità strutturali, statico–sismiche, dovute a “carenze materiche e costruttive”, accertate da varie perizie nel corso del giudizio civile dinanzi al Tribunale di Cassino (R.G. 3660/2014) instaurato dal Condominio nei confronti del costruttore e nel corso del giudizio penale per reati edilizi e pericolo all’incolumità pubblica, a seguito di trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica da parte del Giudice civile.
...
1.- Il ricorso non è fondato.
2.- L’art. 54 TUEL, che rileva nel caso di specie, conferisce al Sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti dal contenuto atipico, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone, dunque, necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione.
L’occorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, con la possibilità di emanare l’ordinanza che adotta le misure necessarie a prevenire eventi dannosi in una situazione di pericolo, definita quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione ometta di intervenire tempestivamente.
In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo imminente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (Cons. Stato, sez. II, n. 7734/2020; sez. I, pareri n. 321/2021 e n. 830/2021).
3.- Nel caso in esame, deve ritenersi che sussistano i presupposti richiesti dal citato art. 54, comma 4, D.lgs. 18.08.2000, n. 267.
L’attualità del pericolo per l’incolumità delle persone è attestata sia dagli atti istruttori degli uffici comunali (nota del Funzionario P.O. settore VI del Comune in data 05.06.2020 e relazione dell’istruttore tecnico del settore VI del 04.06.2020), sia dagli accertamenti tecnici effettuati in sede giurisdizionale richiamati nel provvedimento.
Risulta, infatti, dalla consulenza tecnica acquisita nel processo civile intentato dal condominio nei confronti del costruttore (una prima relazione del febbraio 2018 e l’altra suppletiva del settembre 2019) la parziale difformità del fabbricato dal progetto, le gravi criticità statico-sismiche, il pericolo che può derivarne all’incolumità delle persone in caso di sisma, la mancanza di collaudo strutturale ex art. 67 d.P.R. n. 380/2001 e del certificato di agibilità.
Nelle considerazioni conclusive della seconda perizia del settembre 2019, il consulente, sulla base delle indagini distruttive compiute a campione su elementi periferici, evidenziava che “la struttura esaminata, già gravata da parziali difformità urbanistiche, presenta gravi criticità statico-sismiche, costituite da significative carenze materiche e costruttive tali da far ritenere che il fabbricato possa costituire pericolo per le persone e cose in caso di sollecitazioni sismiche importanti” e prospettava la possibilità di opere di demolizione e ricostruzione, stimandone il valore ai fini del risarcimento del danno.
Un’ulteriore nota del CTU redatta il 20.02.2020, in esito a indagini eseguite sull’intera struttura dal laboratorio Logos di Cassino, confermava le importanti difformità e caratteristiche scadenti dei materiali in percentuali considerevoli, ribadendo le valutazioni circa la possibilità di esecuzione di opere di demolizione e ricostruzione o, in alternativa, considerando possibile l’installazione di isolatori sismici su tutti i pilastri strutturali del piano seminterrato.
Dalle risultanze di laboratorio si evinceva che, nei 296 punti di campionatura attraverso saggi nei solai e nelle colonne in calcestruzzo e relativi ferri di armatura, il 72% degli elementi non risultava conforme alla vigente normativa e di tale percentuale il 44% recava difformità sostanziali.
Va aggiunto che il tecnico comunale, su incarico del Sostituto Procuratore della Repubblica del 17.12.2019, ha eseguito sopralluogo e redatto relazione di accertamento delle condizioni di sicurezza statica del fabbricato, trasmettendo al Dirigente del VI Settore del Comune tale relazione, prot. n. 14670, che costituisce oggetto di valutazione da parte del Sindaco, come si legge nelle premesse del provvedimento impugnato.
Tali elementi istruttori sono sufficienti a far ritenere esistente la situazione di criticità dell’edificio a causa delle “significative carenze materiche e costruttive” e il grave pericolo di danno a persone e cose in caso di evento sismico importante, inteso quale ragionevole probabilità di minaccia per l’incolumità pubblica nell’ipotesi, appunto, di sisma importante (ipotesi, purtroppo, non prevedibile, ma non remota, considerata la nota sismicità del territorio del centro Italia e la circostanza che il Comune di Sora è classificato tra le “zone sismiche n. 1", come dichiara il Comune).
L’insieme degli elementi valutati non fa escludere che sussista un concreto e attuale pericolo di crollo, essendo evidentemente del tutto imprevedibile se e quando un evento sismico importante possa verificarsi.
Il provvedimento adottato appare, pertanto, l’unico idoneo a prevenire tale pericolo, sia perché dispone lo sgombero delle abitazioni e ne inibisce l’utilizzo, sia perché dispone a carico dei proprietari di adottare le misure per il ripristino delle condizioni di sicurezza mediante esecuzione dei lavori a ciò necessari.
Tanto è sufficiente a far ritenere infondati i motivi dedotti circa la non sussistenza dei presupposti, l’inidoneità della motivazione e insufficienza dell’istruttoria, i profili di irragionevolezza e sproporzionalità della misura adottata.
4.- A tal proposito, la giurisprudenza afferma che il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa (rispettivamente, la coerenza tra decisioni comparabili) e che se gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la Pubblica Amministrazione deve ricorrere alla scelta meno restrittiva, tuttavia la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della necessità delle misure che si possono prendere (Cons. Stato sez. V, n. 5239/2017).
Sebbene i ricorrenti deducano il carattere eccessivamente restrittivo ed afflittivo dell’ordinanza, specie in momento di emergenza sanitaria in corso, per la grave conseguenza del rilascio delle abitazioni da parte di nove famiglie che “neppure dispongono di possibilità alternativa di dimora”, l’interesse al mantenimento dell’attuale situazione abitativa dei proprietari e condomini è stato correttamente bilanciato dal sindaco con l’interesse pubblico alla prevenzione di rischi ben più gravi all’integrità fisica e alla vita umana, che potrebbero conseguire al crollo dell’edificio in caso di sisma importante.
5.- Non sussiste neppure il dedotto vizio della mancata indicazione di un termine per lo sgombero e di inattuabilità dell’ordine: l’ordinanza impone lo sgombero immediato “sino al perdurare delle condizioni rilevate”, ponendo così indirettamente un termine di efficacia; inoltre, il fabbricato è inequivocabilmente identificato dall’indirizzo, a prescindere dall’errore nell’indicazione del foglio catastale contenuto nel dispositivo, e il provvedimento contiene l’elenco degli intestatari catastali (a vario titolo) delle unità abitative tenuti all’esecuzione dell’ordine.
6.- Le critiche che i ricorrenti svolgono nei confronti delle consulenze tecniche d’ufficio poste a fondamento dell’ordinanza si possono ritenere superate dalle conclusioni cui è giunto il giudice civile, sulla base degli accertamenti tecnici acquisiti.
Con sentenza n. 523 del 07.04.2021, il Tribunale di Cassino ha accolto la domanda del Condominio nei confronti della ditta costruttrice ai sensi dell’art. 1669 c.c. sulla base del risultato della prima perizia (e specialmente risposta al quesito 6) ritenendo sussistenti i gravi difetti costruttivi in relazione all’incidenza dei vizi rilevati sulla funzionalità della costruzione per una “probabile aumentata vulnerabilità statica e sismica” e, comunque, per “l’attuale impossibilità di conseguire il rilascio di certificazione di agibilità” (pag. 18 della sentenza). Anche i supplementi di perizia sono stati ritenuti dal giudice coerenti con la prima perizia attestando “lo stato di generale difformità del calcestruzzo impiegato nell’intera struttura….e l’inidoneità delle armature di acciaio nel 72% degli elementi esaminati, ossia di ben 213 su 296.” (pag. 19 della sentenza).
7.- Da ultimo, con parere interlocutorio n. 1652/2022, si è accertato che, anche a seguito della condanna alla eliminazione dei gravi vizi costruttivi di cui alla citata sentenza n. 523/2021, sebbene sia stato fissato alla ditta costruttrice il termine di tre mesi dalla notificazione della sentenza per l’inizio dell’esecuzione dei lavori, e nel caso di inerzia, trascorso il termine di un anno, sia stato autorizzato il Condominio alla esecuzione delle opere necessarie, non è stata presentata in Comune alcuna istanza di autorizzazione o concessione per l’esecuzione dei lavori e, pertanto, si presume che la situazione di pericolo perdura nell’attualità.
6.- In conclusione, per le argomentazioni svolte, il ricorso va rigettato (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 02.12.2022 n. 1901 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2022

ATTI AMMINISTRATIVIUna nota di chiarimenti della stazione appaltante è un atto assolutamente inidoneo ad introdurre un quid novi rispetto alle prescrizioni di gara che devono invece trovare obbligatoria applicazione nella loro effettiva portata letterale.
Invero, “le Faq (Frequently Asked Questions) effettuate dall'amministrazione in sede di gara possono solo precisare e meglio esprimere le previsioni della lex specialis, alla stregua di una sorta di interpretazione autentica, ma non di certo modificarne il contenuto”.
Secondo consolidato orientamento della giurisprudenza le regole contenute nel bando di gara -ma stesso discorso vale per gli avvisi con cui è indetta una procedura per l'erogazione di contributi pubblici per l'identica natura giuridica- vincolano rigidamente l'operato dell'amministrazione procedente, la quale è obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità per preservare i principi di affidamento e di parità di trattamento tra i concorrenti che sarebbero pregiudicati ove si consentisse di modificare le regole (o anche disapplicarle) a seconda delle varie condizioni dei partecipanti; per questa ragione si afferma anche che il bando deve essere interpretato in termini strettamente letterali.
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La difesa di parte ricorrente ha richiamato giurisprudenza secondo cui «nella gare pubbliche le FAQ (Frequently Asked Questions), ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle clausole della lex di gara fornite dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle offerte, "non costituiscono un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis", sicché esse, per quanto non vincolanti, orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent. Più in particolare, pur non avendo come detto carattere vincolante, le risposte date dall'amministrazione contribuiscono a fornire utili indicazioni di carattere applicativo in ordine alla ratio sottesa alle procedure e agli atti in corso di esame, e, una volta suggerita, attraverso le FAQ, la ratio propria dell'avviso pubblico, all'amministrazione è consentito discostarsene solo in presenza di elementi decisivi, che il giudice deve sottoporre a uno scrutinio particolarmente severo, per evitare il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta, con il diverso orientamento amministrativo sopravvenuto, in arbitrio o comunque leda l'affidamento creato nei destinatari delle disposizioni».
Rileva sul punto il Collegio che la sentenza citata da parte ricorrente non può trovare applicazione al caso di specie, dal momento che il chiarimento de quo non ha avuto un’efficacia esplicativa di una prescrizione di gara, nel senso di limitarsi ad illustrane il contenuto per quanto concerne aspetti in essa già presenti, ma, avendo introdotto per la prima volta ed espressamente uno specifico limite dimensionale all’offerta tecnica, con tale quid novi ha comportato una inammissibile modificazione sostanziale della lex specialis rispetto al suo originario contenuto precettivo.
Diversamente opinando, si rischierebbe di riconoscere a regime alle FAQ una capacità integrativa a posteriori della lex specialis, in quest’accezione realmente in aperta violazione del principio di par condicio.
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Quanto al primo motivo, la censura potrebbe avere due distinti approdi: in primo luogo, determinare l’esclusione della controinteressata per violazione di una prescrizione della lex specialis, inerente alle modalità di formulazione dell’offerta tecnica, riferibile alla mancata osservanza di specifici limiti dimensionali; in secondo luogo, comportare una decurtazione del punteggio assegnato a Ra. s.r.l. per la predetta offerta tecnica, espungendo quello riconosciuto per aspetti qualitativi rappresentati nelle parti eccedenti i presupposti limiti dimensionali.
Entrambe tali soluzioni non sono meritevoli di accoglimento: non la prima, dal momento che nessuna imposizione di limiti dimensionali all’offerta tecnica è rinvenibile nella lex specialis, unica fonte legittimata a prevedere specifici obblighi comportamentali ai concorrenti, viepiù ove si pretenda di sanzionarne con l’esclusione la violazione.
Nel caso di specie, è pacifico che i limiti dimensionali a cui si riferisce Co. s.p.a. siano stati introdotti per la prima volta con una nota di chiarimenti della stazione appaltante, atto assolutamente inidoneo ad introdurre un quid novi rispetto alle prescrizioni di gara che devono invece trovare obbligatoria applicazione nella loro effettiva portata letterale (sul punto Consiglio di Stato, sez. V, 04/05/2022, n. 3492, secondo cui “le Faq (Frequently Asked Questions) effettuate dall'amministrazione in sede di gara possono solo precisare e meglio esprimere le previsioni della lex specialis, alla stregua di una sorta di interpretazione autentica, ma non di certo modificarne il contenuto”); nella sentenza citata è stato anche affermato che secondo consolidato orientamento della giurisprudenza le regole contenute nel bando di gara -ma stesso discorso vale per gli avvisi con cui è indetta una procedura per l'erogazione di contributi pubblici per l'identica natura giuridica- vincolano rigidamente l'operato dell'amministrazione procedente, la quale è obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità per preservare i principi di affidamento e di parità di trattamento tra i concorrenti che sarebbero pregiudicati ove si consentisse di modificare le regole (o anche disapplicarle) a seconda delle varie condizioni dei partecipanti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 07.06.2021, n. 4295); per questa ragione si afferma anche che il bando deve essere interpretato in termini strettamente letterali (cfr. Cons. Stato, sez. III, 08.07.2021, n. 5203; VI, 23.06.2021, n. 4817; IV, 14.06.2021, n. 4561).
In sede di discussione la difesa di parte ricorrente ha richiamato giurisprudenza (Consiglio di Stato sez. V, 02/03/2022, n. 1486), anche questa di epoca recente, secondo cui «nella gare pubbliche le FAQ (Frequently Asked Questions), ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle clausole della lex di gara fornite dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle offerte, "non costituiscono un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis" (Cons. Stato, IV, 21.01.2013, n. 341; III, 22.01.2014, n. 290), sicché esse, per quanto non vincolanti, orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent. Più in particolare, pur non avendo come detto carattere vincolante, le risposte date dall'amministrazione contribuiscono a fornire utili indicazioni di carattere applicativo in ordine alla ratio sottesa alle procedure e agli atti in corso di esame (Cons. Stato, I, parere 6812/2020), e, una volta suggerita, attraverso le FAQ, la ratio propria dell'avviso pubblico, all'amministrazione è consentito discostarsene solo in presenza di elementi decisivi, che il giudice deve sottoporre a uno scrutinio particolarmente severo, per evitare il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta, con il diverso orientamento amministrativo sopravvenuto, in arbitrio o comunque leda l'affidamento creato nei destinatari delle disposizioni (Cons. Stato, I, parere 1275/2021)».
Rileva sul punto il Collegio che la sentenza citata da parte ricorrente non può trovare applicazione al caso di specie, dal momento che il chiarimento de quo non ha avuto un’efficacia esplicativa di una prescrizione di gara, nel senso di limitarsi ad illustrane il contenuto per quanto concerne aspetti in essa già presenti, ma, avendo introdotto per la prima volta ed espressamente uno specifico limite dimensionale all’offerta tecnica, con tale quid novi ha comportato una inammissibile modificazione sostanziale della lex specialis rispetto al suo originario contenuto precettivo. Diversamente opinando, si rischierebbe di riconoscere a regime alle FAQ una capacità integrativa a posteriori della lex specialis, in quest’accezione realmente in aperta violazione del principio di par condicio
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.11.2022 n. 6881 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIPosto che “le regole contenute nel bando di gara –ma stesso discorso vale per gli avvisi con cui è indetta una procedura per l’erogazione di contributi pubblici per l’identica natura giuridica– vincolano rigidamente l’operato dell’amministrazione procedente, la quale è obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità per preservare i principi di affidamento e di parità di trattamento tra i concorrenti che sarebbero pregiudicati ove si consentisse di modificare le regole a seconda delle varie condizioni dei partecipanti", le risposte fornite in sede di FAQ (frequently asked questions) e che avrebbero, secondo il Ministero resistente, chiarito la necessità del requisito ivi contestato, non possono avere una portata innovativa rispetto a quanto previsto dall’Avviso stesso.
E’ stato difatti altresì affermato, secondo un orientamento che il collegio ritiene di condividere, che “il bando deve essere interpretato in termini strettamente letterali”.
Pertanto “quel che non prescrive l’avviso, non possono imporre le FAQ (Frequently Asked Questions) ovvero i chiarimenti resi dall’amministrazione procedente su richieste formulate dai soggetti interessati a partecipare alla procedura, poiché esse possono solo precisare e meglio esprimere le previsioni della lex specialis, alla stregua di una sorta di interpretazione autentica, non di certo modificarne il contenuto".
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2.3 Ora, posto che “le regole contenute nel bando di gara –ma stesso discorso vale per gli avvisi con cui è indetta una procedura per l’erogazione di contributi pubblici per l’identica natura giuridica– vincolano rigidamente l’operato dell’amministrazione procedente, la quale è obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità per preservare i principi di affidamento e di parità di trattamento tra i concorrenti che sarebbero pregiudicati ove si consentisse di modificare le regole a seconda delle varie condizioni dei partecipanti" (Cons. Stato, n. 4295 del 2021), le risposte fornite in sede di FAQ (frequently asked questions) e che avrebbero, secondo il Ministero resistente, chiarito la necessità del requisito ivi contestato, non possono avere una portata innovativa rispetto a quanto previsto dall’Avviso stesso.
E’ stato difatti altresì affermato, secondo un orientamento che il collegio ritiene di condividere, che “il bando deve essere interpretato in termini strettamente letterali” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 08.07.2021, n. 5203; VI, 23.06.2021, n. 4817; IV, 14.06.2021, n. 4561; definisce intangibili le prescrizione di un bando Cons. Stato, sez. III, 21.03.2022, n. 2003)
Pertanto “quel che non prescrive l’avviso, non possono imporre le FAQ (Frequently Asked Questions) ovvero i chiarimenti resi dall’amministrazione procedente su richieste formulate dai soggetti interessati a partecipare alla procedura, poiché esse possono solo precisare e meglio esprimere le previsioni della lex specialis, alla stregua di una sorta di interpretazione autentica, non di certo modificarne il contenuto" (ex multis, cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.03.2022, n. 1486 e le sentenze ivi richiamate) (TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis, sentenza 02.11.2022 n. 14218 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2022

ATTI AMMINISTRATIVI: Per giurisprudenza consolidata in materia di esercizio del potere di ordinanza extra ordinem:
   -) presupposti indefettibili delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti sono:
         a) l'indifferibilità dell'intervento, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
         b) l'impossibilità di scongiurare la situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
         c) la provvisorietà e temporaneità della misura adottata, in proporzione all'economia degli obiettivi con la stessa perseguiti;
   -) la situazione di pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, è tale anche allorquando sia nota da tempo e si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto (ad es., crollo parziale o totale dell'edificio), posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi;
   -) inoltre l'emanazione di un'ordinanza contingibile e urgente a presidio della incolumità e della sicurezza dei cittadini rientra nella sfera del merito dell'azione amministrativa e, in quanto tale, rimane insindacabile dal giudice amministrativo, ove non inficiata da manifesta illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza, oltre che da macroscopico travisamento fattuale.
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... per l'annullamento dell’ordinanza del Commissario Straordinario con le funzioni di Sindaco n. 1242 del 09.07.2020, notificata a mezzo PEC il 03.08.2020, recante “Ordinanza contingibile ed urgente per la messa in sicurezza con obbligo di esecuzione lavori atti a garantire la pubblica incolumità, dell'edificio adibito a sede della Polizia Stradale di Crotone, sito in via della Menta”, nonché degli atti e dei provvedimenti ad esso presupposti, connessi e consequenziali, anche non noti.
...
10- Occorre anzitutto richiamare i riferimenti normativi di rilievo nella controversia.
Con riferimento al potere di ordinanza, l’art. 54, comma 4, del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 dispone “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato provvedimenti contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.
In ordine alle verifiche e agli interventi in tema di vulnerabilità sismica:
   -) l’art. 2 dell’O.P.C.M. n. 3274/2003 dispone: “3. E' fatto obbligo di procedere a verifica, da effettuarsi a cura dei rispettivi proprietari, ai sensi delle norme di cui ai suddetti allegati, sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso. Le verifiche di cui al presente comma dovranno essere effettuate entro cinque anni dalla data della presente ordinanza e riguardare in via prioritaria edifici ed opere ubicate nelle zone sismiche 1 e 2, secondo quanto definito nell'allegato 1. […] 6. La necessità di adeguamento sismico degli edifici e delle opere di cui sopra sarà tenuta in considerazione dalle Amministrazioni pubbliche nella redazione dei piani triennali ed annuali di cui all'art. 14 della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modifiche ed integrazioni, nonché ai fini della predisposizione del piano straordinario di messa in sicurezza antisismica di cui all'art. 80, comma 21, della legge 27.12.2002, n. 289”;
   -) le N.T.C. del 2018, al par. 8.4.3, attinente le opere esistenti, dispongono: “L’intervento di adeguamento della costruzione è obbligatorio quando si intenda: a) sopraelevare la costruzione; b) ampliare la costruzione mediante opere ad essa strutturalmente connesse e tali da alterarne significativamente la risposta; c) apportare variazioni di destinazione d’uso che comportino incrementi dei carichi globali verticali in fondazione superiori al 10%, (…); d) effettuare interventi strutturali volti a trasformare la costruzione mediante un insieme sistematico di opere che portino ad un sistema strutturale diverso dal precedente; (…) e) apportare modifiche di classe d’uso che conducano a costruzioni di classe III ad uso scolastico o di classe IV. In ogni caso, il progetto dovrà essere riferito all’intera costruzione e dovrà riportare le verifiche dell’intera struttura post-intervento, secondo le indicazioni del presente capitolo. […]”.
11- Tanto chiarito, per giurisprudenza consolidata in materia di esercizio del potere di ordinanza extra ordinem:
   -) presupposti indefettibili delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti sono:
         a) l'indifferibilità dell'intervento, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
         b) l'impossibilità di scongiurare la situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
         c) la provvisorietà e temporaneità della misura adottata, in proporzione all'economia degli obiettivi con la stessa perseguiti (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2016, n. 3369; id., 21.02.2017, n. 774; id., 05.06.2017, n. 2676; id., 12.06.2017, n. 2799 e n. 2847; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 17.10.2011, n. 7994; id. 06.12.2011, n. 9603; id., 03.12.2012, n. 10051; id. 09.05.2017, n. 5572; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 15.10.2012, n. 2006; TAR Liguria, Genova, Sez. I, 19.04.2013, n. 702; id. 27.01.2016, n. 82; TAR Basilicata, Potenza, 23.05.2016, n. 294; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 23.01.2015, n. 530; TAR Umbria, 28,01.2016, n. 85; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 17.02.2016, n. 860; id. 09.11.2016 n. 5162; id., 24.03.2017, n. 621; id. 28.04.2017, n. 2284; id. 08.09.2017, n. 4324; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 12.01.2016 n. 69; id. Sez. II, 29.6.2017, n. 1072; TAR Piemonte, Sez. II, 27.09.2017, n. 1062; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 16.05.2018, n. 1284);
   -) la situazione di pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, è tale anche allorquando sia nota da tempo e si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto (ad es., crollo parziale o totale dell'edificio), posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 19.09.2012, n. 4968; TAR Basilicata, 01.04.2016, n. 300; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 07.04.2016, n. 4191; TAR Sardegna, Sez. I, 04.05.2017, n. 286), nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II, 17.10.2016, n. 10344);
   -) inoltre l'emanazione di un'ordinanza contingibile e urgente a presidio della incolumità e della sicurezza dei cittadini rientra nella sfera del merito dell'azione amministrativa e, in quanto tale, rimane insindacabile dal giudice amministrativo, ove non inficiata da manifesta illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza, oltre che da macroscopico travisamento fattuale (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 14.12.2020, n. 1949) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 24.10.2022 n. 1812 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILe FAQ (Frequently Asked Questions) ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle disposizioni contenute in un provvedimento amministrativo rappresentano una sorta di interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intellegibile, precisando e meglio delucidando le previsioni contenute in un atto amministrativo; in tal senso, le risposte date dall'Amministrazione, pur non avendo carattere vincolante, contribuiscono a fornire utili indicazioni di carattere applicativo sulle regole date.
Salvo quando esse costituiscano una integrazione tout court delle leggi di gara (ad esempio se inseriscono requisiti di partecipazione), esse non sono illegittime, ma costituiscono una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, sicché esse, per quanto non vincolanti, orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent.
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Orbene, per giurisprudenza costante le FAQ (Frequently Asked Questions) ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle disposizioni contenute in un provvedimento amministrativo rappresentano una sorta di interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intellegibile, precisando e meglio delucidando le previsioni contenute in un atto amministrativo; in tal senso, le risposte date dall'Amministrazione, pur non avendo carattere vincolante, contribuiscono a fornire utili indicazioni di carattere applicativo sulle regole date (TAR Lazio, sez. I, 02.05.2022, n. 5408).
Salvo quando esse costituiscano una integrazione tout court delle leggi di gara (ad esempio se inseriscono requisiti di partecipazione), esse non sono illegittime, ma costituiscono una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, sicché esse, per quanto non vincolanti, orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent (Cons. St., sez. V, 02.03.2022, n. 1486).
Ora, anche se il valore di “affidamento” delle F.A.Q. è normalmente invocato per valutare il successivo comportamento dell’Amministrazione (nel caso, la Regione), non si può ignorare che esse possano essere interpretate anche a sostegno delle tesi della stessa, nei confronti del ricorrente, quando, esaminate congiuntamente alla normativa esistente, consentano di ritenere che l’attività posta in essere dall’interessato non sia conforme a legge o, quanto meno, non si possa imputare all’Amministrazione di aver violato quest’ultima (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 05.10.2022 n. 6174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Per consolidata giurisprudenza, presupposti indefettibili delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti sono:
   a) l’indifferibilità dell’intervento, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) l'impossibilità di scongiurare la situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
   c) la provvisorietà e temporaneità della misura adottata, in proporzione all’economia degli obiettivi con la stessa perseguiti.

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... per l'annullamento dell’ordinanza sindacale n. 1 del 15.01.2020, recante l’ingiunzione di esecuzione di interventi di conservazione, di ripristino e di messa in sicurezza di un edificio.
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1. Col ricorso in epigrafe, Sa.Lu. (in appresso, Sa. L.) e St.Lu. (in appresso, St. L.) impugnavano, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza contingibile e urgente n. 1 del 15.01.2020, con la quale il Sindaco del Comune di San Mango Piemonte, sulla scorta delle risultanze delle relazioni tecniche del 24.07.2019, prot. n. 3393 I, e del 26.11.2019, prot. n. 5935 I, aveva ingiunto di porre in essere interventi finalizzati a salvaguardare la conservazione e l’integrità ed a ripristinare le condizioni di sicurezza delle unità immobiliari ricomprese nell’edificio in condominio col Comune di San Mango Piemonte, ubicato nel territorio di quest’ultimo, in via ..., n. 36, nonché censite in catasto al foglio 2, particelle 131, sub 4, e 134, sub 2.
...
6. Venendo ora a scrutinare il ricorso, esso si rivela fondato per le ragioni illustrate in appresso.
7. Merita, innanzitutto, favorevole apprezzamento l’ordine di doglianze rubricato retro, sub n. 3.a.
In argomento, giova rammentare che, per consolidata giurisprudenza, presupposti indefettibili delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti sono:
   a) l’indifferibilità dell’intervento, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) l'impossibilità di scongiurare la situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
   c) la provvisorietà e temporaneità della misura adottata, in proporzione all’economia degli obiettivi con la stessa perseguiti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 26.07.2016, n. 3369; 21.02.2017, n. 774; 05.06.2017, n. 2676; 12.06.2017, n. 2799 e n. 2847; TAR Lazio, Roma, sez. II, 17.10.2011, n. 7994; 06.12.2011, n. 9603; 03.12.2012, n. 10051; 09.05.2017, n. 5572; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 15.10.2012, n. 2006; TAR Liguria, Genova, sez. I, 19.04.2013, n. 702; 27.01.2016, n. 82; TAR Basilicata, Potenza, 23.05.2016, n. 294; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 23.03.2015, n. 530; TAR Umbria, Perugia, 28.01.2016, n. 85; TAR Campania, Napoli, sez. V, 17.02.2016, n. 860; 09.11.2016 n. 5162; 24.03.2017, n. 621; 28.04.2017, n. 2284; 08.09.2017, n. 4324; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 12.01.2016 n. 69; sez. II, 29.06.2017, n. 1072; TAR Piemonte, Torino, sez. II, 27.09.2017, n. 1062; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 16.05.2018, n. 1284).
Dalle relazioni tecniche del 24.07.2019, prot. n. 3393 I, e del 26.11.2019, prot. n. 5935 I, si evince che gli interventi imposti con l’impugnata ordinanza sindacale n. 1 del 15.01.2020 sono essenzialmente preordinati a rimediare alle infiltrazioni provenienti dalla porzione immobiliare ed alla fatiscenza del “corpo scala” in comproprietà delle ricorrenti, in quanto suscettibili di arrecare un pregiudizio agli attigui locali in titolarità comunale, piuttosto che di generare un pregiudizio incombente in termini di crollo; e, quindi, che, stante anche l’ormai risalente situazione di degrado caratterizzante i cespiti in comproprietà delle ricorrenti, gli stessi afferiscono, all’evidenza, a fenomeni integranti non già gli estremi del pericolo imminente per l’incolumità pubblica o per la sicurezza urbana, fronteggiabili con lo strumento amministrativo dell’ordinanza contingibile e urgente ex art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, bensì, al più, gli estremi del danno al terzo proprietario (ossia, nel caso in esame, all’ente locale), fronteggiabile con lo strumento giurisdizionale dell’azione possessoria di danno temuto ex art. 1172 cod. civ.
Non senza soggiungere, subito dopo, che la prescritta intonacatura afferisce –come pure fondatamente dedotto da parte ricorrente– ai muri perimetrali esterni, ossia a parti comuni dell’edificio, alla cui manutenzione è deputato il condominio, e non i singoli condomini.
8. Di qui, poi, la fondatezza della rassegnata censura di incompetenza dell’organo sindacale promanante l’ordinanza n. 1 del 15.01.2020 (cfr. retro, sub n. 3.d), essendosi esclusa la rispondenza di quest’ultima ai requisiti applicativi dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 21.12.2022 n. 3560 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2022

ATTI AMMINISTRATIVI: E' illegittima l'ordinanza sindacale contingibile ed urgente con la quale ha disposto «per ragioni di tutela dell'ordine e dell'incolumità pubblica, l'apertura dei cancelli posti ... che delimitano le aree comunali ... da destinare a parcheggio temporaneo per autoveicoli, dalle ore 8.00 alle ore 19.00 dei giorni 1 e 2 aprile pp.vv. in occasione delle festività di Pasqua e Pasquetta».
Giova in premessa ricordare i presupposti per l’impiego dello strumento della ordinanza contingibile ed urgente da parte dell’ente locale.
Osserva, preliminarmente, il Collegio che in ambito amministrativo per ordinanze si intendono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza impongono ordini. Le ordinanze di necessità ed urgenza sono strumenti straordinari adottabili nei casi espressamente previsti dalla legge, espressione di un potere amministrativo “extra ordinem”, al fine di fronteggiare situazioni di urgente necessità (in materia di ordine e sicurezza pubblica nonché di sanità ed igiene pubblica), quando si rivelino inutilizzabili gli strumenti ordinari. In ordine ai limiti, entro i quali può essere esercitato il potere in questione la adozione di ordinanze contingibili ed urgenti impone il rigido rispetto di alcuni adempimenti a garanzia dell’operato della stessa pubblica amministrazione. Tra questi vi è l’obbligo di una motivazione adeguata “in grado di far comprendere le ragioni del provvedimento e di adottare il provvedimento all’esito di una istruttoria congrua”.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente.
Per costante orientamento giurisprudenziale, invero, il potere del Sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti presuppone:
   1) la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile,
   2) l'esistenza e l'indicazione nel provvedimento impugnato di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente.
In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico;
   3) L’impossibilità di far fronte a tale situazione con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Tra i presupposti relativi all’uso di ordinanze contingibili ed urgenti, dunque, vi è quello dell’assenza dello strumento ordinario ovvero l’impossibilità di farne uso.
L’obiettivo dell’apertura dei cancelli in periodo pasquale sarebbe potuto essere raggiunto con un’ordinanza ex art. 7 del codice della strada. Dunque, non ricorre il presupposto dell’impiego straordinario dell’ordinanza contingibile ed urgente.
Nondimeno, anche a volere considerare inapplicabile l’articolo 7 CdS al caso di specie non sussistevano le condizioni per l’applicabilità dell’ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54, mancando il requisito della imprevedibilità.
Ai fini dell'adozione delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti, come affermato dalla giurisprudenza richiamata, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti:
   a) l’esistenza di un grave pericolo;
   b) la contingibilità, intesa quale situazione imprevedibile ed eccezionale che non può essere fronteggiata con i mezzi ordinari previsti dall'ordinamento;
   c) l'urgenza, causata dall'imminente pericolosità, che impone l'adozione di un provvedimento straordinario e di durata temporanea.
Nessuna di tali condizioni ricorre nel caso di specie.
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   Premesso:
Il Comune di Gallipoli, a seguito di pronunce del Tribunale di Lecce ha acquisito al patrimonio comunale alcune aree distintamente individuate, ovvero le particelle 862 sub 1, 851 sub 3, 882, 921, 918 e 919 del foglio 25 del catasto urbano.
L'ente locale, in previsione di un considerevole afflusso di turisti e cittadini interessati ad usufruire delle spiagge del litorale nelle festività di Pasqua e Pasquetta dell’anno 2018, ha individuato alcune delle suddette aree comunali fruibili come parcheggio temporaneo e, dal momento che l'accesso alle stesse era impedito da due cancelli, ha adottato l'ordinanza sindacale n. 43 del 30.03.2018, con la quale ha disposto «per ragioni di tutela dell'ordine e dell'incolumità pubblica, l'apertura dei cancelli posti rispettivamente uno in corrispondenza dell'incrocio di via della Chiesa e via Rosa dei Venti e l'altro prospiciente alla S.P. n. 201, in corrispondenza del canale dei Samari, che delimitano le aree comunali lungo la litoranea sud da destinare a parcheggio temporaneo per autoveicoli, dalle ore 8.00 alle ore 19.00 dei giorni 1 e 2 aprile pp.vv. in occasione delle festività di Pasqua e Pasquetta»;
...
Lamenta il ricorrente violazione di legge ed in particolare della disciplina in materia di ordinanze contingibili ed urgenti.
Il motivo è fondato.
Con il primo motivo di gravame viene contestato l’impiego dell’ordinanza contingibile ed urgente in quanto sarebbero stati disponibili i rimedi ordinari quali l’ordinanza ex art. 7 del Codice della strada.
Sostiene parte ricorrente che anche nell’ipotesi in cui non si ritenesse applicabile l’art. 7 codice della strada da un lato l’ordinanza dovrebbe trovare il proprio fondamento nell’articolo 54 d.lgs. 267/2000 e non nell’articolo 50.
Tuttavia anche nell’ipotesi di ordinanza contingibile ed urgente non vi sarebbero i presupposti per l’utilizzo di tale strumento come definiti dalla interpretazione della norma data dalla giurisprudenza.
Giova in premessa ricordare i presupposti per l’impiego dello strumento della ordinanza contingibile ed urgente da parte dell’ente locale (Cons. Stato sez. II, 3260/2021, Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 02.10.2020, n. 5780; negli stessi termini, Consiglio di Stato, sezione V, sentenze 29.05.2019, n. 3580, 21.02.2017, n. 774, e 22.03.2016, n. 1189).
Osserva, preliminarmente, il Collegio che in ambito amministrativo per ordinanze si intendono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza impongono ordini. Le ordinanze di necessità ed urgenza sono strumenti straordinari adottabili nei casi espressamente previsti dalla legge, espressione di un potere amministrativo “extra ordinem”, al fine di fronteggiare situazioni di urgente necessità (in materia di ordine e sicurezza pubblica nonché di sanità ed igiene pubblica), quando si rivelino inutilizzabili gli strumenti ordinari. In ordine ai limiti, entro i quali può essere esercitato il potere in questione la adozione di ordinanze contingibili ed urgenti impone il rigido rispetto di alcuni adempimenti a garanzia dell’operato della stessa pubblica amministrazione. Tra questi vi è l’obbligo di una motivazione adeguata “in grado di far comprendere le ragioni del provvedimento e di adottare il provvedimento all’esito di una istruttoria congrua”.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente.
Per costante orientamento giurisprudenziale, invero, il potere del Sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti presuppone:
   1) la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile,
   2) l'esistenza e l'indicazione nel provvedimento impugnato di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente.
In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico.
   3) L’impossibilità di far fronte a tale situazione con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Tra i presupposti relativi all’uso di ordinanze contingibili ed urgenti, dunque, vi è quello dell’assenza dello strumento ordinario ovvero l’impossibilità di farne uso.
L’obiettivo dell’apertura dei cancelli in periodo pasquale sarebbe potuto essere raggiunto con un’ordinanza ex art. 7 del codice della strada. Dunque, non ricorre il presupposto dell’impiego straordinario dell’ordinanza contingibile ed urgente.
Nondimeno, anche a volere considerare inapplicabile l’articolo 7 CdS al caso di specie non sussistevano le condizioni per l’applicabilità dell’ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54, mancando il requisito della imprevedibilità.
Ai fini dell'adozione delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti, come affermato dalla giurisprudenza richiamata, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti:
   a) l’esistenza di un grave pericolo;
   b) la contingibilità, intesa quale situazione imprevedibile ed eccezionale che non può essere fronteggiata con i mezzi ordinari previsti dall'ordinamento;
   c) l'urgenza, causata dall'imminente pericolosità, che impone l'adozione di un provvedimento straordinario e di durata temporanea.
Nessuna di tali condizioni ricorre nel caso di specie.
Come ammesso dalle parti infatti il problema dell’eccesso di traffico nel periodo pasquale, con la necessità della apertura dei cancelli, aveva natura ricorrente e, dunque, l’amministrazione comunale ne era a conoscenza perché analoghi problemi si erano posti negli anni precedenti. La situazione cui tende a porre rimedio l’ordinanza non può dunque qualificarsi né eccezionale né imprevedibili venendo meno il requisito della contingibilità.
Pertanto da un lato viene a mancare il requisito della imprevedibilità e dell’eccezionalità, dall’altro il provvedimento assumerebbe natura ablatoria ove l’ordine di apertura fosse ripetuto nel tempo; in tal caso si avrebbe dunque una forma di espropriazione sebbene temporanea con una illegittima compressione del diritto di proprietà, creando impropriamente una temporanea servitù di passaggio nel periodo di traffico intenso dovuto alle vacanze pasquali. Ove il Comune non agisca nella dichiarate veste di proprietario dei terreni, la ricorrenza periodica del problema avrebbe, dunque, dovuto eventualmente dar luogo al procedimento espropriativo in mancanza di altri strumenti al fine del perseguimento dell’interesse pubblico ad una ordinata mobilità.
D’altro canto, anche nella diversa ipotesi in cui il Comune si assuma titolare del diritto di proprietà dei terreni e dichiari di agire in tale veste, non avrebbe comunque potuto legittimamente utilizzare –al di fuori dei relativi presupposti- lo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente a tutela della sua posizione, in ipotesi, dominicale, bensì gli altri mezzi di tutela a tal fine specificamente previsti dall’ordinamento.
Illegittimo è stato dunque l’impiego dell’ordinanza contingibile ed urgente da parte del Comune di Gallipoli che avrebbe comunque potuto impiegare gli strumenti ordinari (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 26.09.2022 n. 1560 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2022

ATTI AMMINISTRATIVI: Un termine amministrativo (di efficacia) scaduto non è passibile di istanza di proroga.
Un provvedimento che si fondi su ragioni diverse, autonome una dalle altre, può rimanere in vita allorché anche una sola di esse sia in grado di reggere alle censure che sono rivolte all’atto.
Invero, «… nei casi in cui il provvedimento impugnato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo…».

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Come noto, costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora scaduto.
Il principio è applicabile in relazione ad ogni provvedimento amministrativo che sia sottoposto ad un termine finale di efficacia atteso che, un conto è disporre la prosecuzione dell'efficacia nel tempo di un originario provvedimento, altra cosa è consentire nuovamente lo svolgimento di una attività in precedenza preclusa per sopravvenuta inefficacia dell'atto abilitativo, occorrendo, in questo secondo caso, una nuova e più approfondita valutazione che tenga conto della situazione di fatto e delle regole giuridiche sopravvenute.

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Ai fini del decidere giova precisare, in punto di fatto, che:
   - con decreto del Dipartimento delle Attività produttive della Regione Siciliana n. 3026/U.O.S8.4 del giorno 11.07.2011, è stato concesso alla odierna ricorrente di realizzare e gestire un impianto di distribuzione carburanti, con obbligo di ultimazione di tale impianto entro ventiquattro mesi dalla data del decreto (quindi 11.07.2013);
   - l’impresa ricorrente ha presentato, sul presupposto che il Comune competente non avesse ancora concesso il necessario permesso di costruire, proroghe in data 05.07.2013, 12.06.2014, 29.06.2015, 23.06.2016 e 01.02.2019;
   - le prime tre istanze di proroga risultano essere state assentite con provvedimenti n. 2309/U.O.B.8S.3 del 25.10.2013, n. 1655 U.O.B.8S.3 del 18.07.2014, e n. 1604 U.O.B.8S.3 del 28.07.2015;
   - nessun provvedimento espresso di proroga risulta invece essere stato adottato in ordine alla penultima istanza di proroga (quella presentata in data 23.06.2016), in ordine alla quale l’Amministrazione risulta aver richiesto, con nota prot. 49645 del 04.10.2016 (depositata dall’Amministrazione in data 04.09.2019 sub 6), una «…autocertificazione che attesti in maniera esaustiva lo stato dell'arte della pratica relativo anche all'effettivo stato di avanzamento dei lavori di realizzazione…»; tale nota non sarebbe pervenuta alla impresa ricorrente;
   - l’ultima istanza (quella presentata in data 01.02.2019) ha infine dato origine al diniego di cui si tratta;
   - con il provvedimento n. 1604 U.O.B. del 28.07.2015 (depositato dall’Amministrazione in data 04.09.2019 sub 4), è stata concessa proroga fino al giorno 11.07.2016;
   - la motivazione del rigetto si fonda su plurime ragioni; nel provvedimento impugnato si legge infatti: «…Richiamata la propria nota prot. n. 16559/R 7SR0467IDSA del 07/03/2019 di avviso di rigetto istanza, notificata a mezzo PEC in data 08/03/2019, con la quale si comunicava alla Ditta:
      - del mancato riscontro alla richiesta documentale avanzata dallo scrivente ufficio con nota del 04/10/2016 prot. n. 49645 che non ha consentito a questa Amministrazione di procedere al rilascio del decreto di proroga termini e che, inoltre, per dare continuità alla validità del Decreto, la Ditta avrebbe dovuto presentare, entro i termini di scadenza delle successive proroghe (11/07/2017 e 11/07/2018) le relative istanze di proroga termini per la realizzazione dell'impianto.
      - che la nuova istanza di proroga dei termini viene presentata dalla Ditta dopo oltre due anni dalla scadenza del termine accordato per la realizzazione dell'impianto (11/07/2016) …
».
Tanto premesso, il ricorso deve essere rigettato, richiamata la condivisibile giurisprudenza secondo cui un provvedimento che si fondi su ragioni diverse, autonome una dalle altre, può rimanere in vita allorché anche una sola di esse sia in grado di reggere alle censure che sono rivolte all’atto: «… nei casi in cui il provvedimento impugnato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo…» (Cons. Stato, Sez. IV, 08.06.2007, n. 3020; analogamente, ex plurimis, anche per richiami di giurisprudenza, Cons. Stato, Sez. VI, 27.04.2015, n. 2123).
Nel caso di specie assume portata dirimente la circostanza che l’ultima istanza di proroga è stata presentata in data 01.02.2019, dopo oltre due anni dalla scadenza del termine da ultimo accordato per la realizzazione dell’impianto (11.07.2016).
Sul punto, è sufficiente rinviare alla condivisibile e stabile giurisprudenza del Giudice amministrativo secondo cui «…come noto, costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora scaduto. Il principio è applicabile in relazione ad ogni provvedimento amministrativo che sia sottoposto ad un termine finale di efficacia atteso che, un conto è disporre la prosecuzione dell'efficacia nel tempo di un originario provvedimento, altra cosa è consentire nuovamente lo svolgimento di una attività in precedenza preclusa per sopravvenuta inefficacia dell'atto abilitativo, occorrendo, in questo secondo caso, una nuova e più approfondita valutazione che tenga conto della situazione di fatto e delle regole giuridiche sopravvenute (cfr. Consiglio di Stato, V, 27.08.2014, n. 4384; IV, 22.05.2006, n. 3025; 22.12.2003, n. 8462; 25.03.2003, n. 1545; VI, 10.10.2002, n. 5443)…» (TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 03.12.2018, n. 2717).
Il diniego impugnato, sotto tale profilo, resiste quindi alle censure di parte ricorrente.
Né a diversa decisione può indurre la circostanza che l’Amministrazione non abbia emesso un provvedimento di proroga a seguito della presentazione della istanza del 23.06.2016, poiché un’eventuale proroga sarebbe comunque scaduta in data 11.07.2017, e nessuna ulteriore richiesta risulta essere stata presentata prima di tale ultima data; d’altro lato, un’eventuale inerzia dell’Amministrazione avrebbe dovuto essere censurata nei modi e termini di cui agli artt. 31 e 117 cpa (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 22.08.2022 n. 2299 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il via generale, le ordinanze contingibili e urgenti in quanto dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, sottratte al principio di tipicità degli atti amministrativi e funzionali a sopperire a situazioni straordinarie a tutela dell'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non altrimenti fronteggiabili, richiedono -per la loro legittimità- la sussistenza di indefettibili presupposti, da tempo individuati dalla giurisprudenza: oltre al rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, è necessaria l’impossibilità di differire ad altra data l’intervento richiesto in ragione della previsione di un danno incombente (urgenza) e di far fronte alla situazione di pericolo attraverso ordinari rimedi messi a disposizione dall’ordinamento (contingibilità).
Accanto ai presupposti testé indicati vi è il requisito della “precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l’uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge”.
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Ai fini della legittimità dell’ordinanza contingibile e urgente non è necessaria l’imprevedibilità dello stato di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere, poiché presupposto per l’adozione dei provvedimenti ai sensi dell’art. 54 T.U.E.L. è la sussistenza della necessità e dell'urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare.
Quanto, poi, al requisito della temporaneità degli effetti del provvedimento, che devono essere strettamente correlati al perdurare dello stato di necessità può reputarsi sufficiente l’indicazione, nell’ordinanza in epigrafe, della durata utile alla messa in sicurezza del fabbricato come termine finale della sua efficacia.
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... per l'annullamento, quanto al ricorso introduttivo:
   1. dell’ordinanza n. 114 del 02/07/2019 a firma del Sindaco di Pompei e del Dirigente VI Settore con la quale veniva ordinato entro il 15/07/2019 lo sgombero dell’edificio sito in Pompei alla via ... n. 235 ove alloggiano gli ospiti della Casa di Riposo Bo.;
...
L’ordine di sgombero è stato adottato nelle forme dell’ordinanza ai sensi dell’ex art. 54 Testo Unico Enti Locali (TUEL, d.lgs. n. 267/2000) emanata dal Sindaco del Comune di Pompei in qualità di Ufficiale di Governo.
Il Collegio osserva, in via generale, che le ordinanze contingibili e urgenti in quanto dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, sottratte al principio di tipicità degli atti amministrativi e funzionali a sopperire a situazioni straordinarie a tutela dell'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non altrimenti fronteggiabili, richiedono -per la loro legittimità- la sussistenza di indefettibili presupposti, da tempo individuati dalla giurisprudenza: oltre al rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, è necessaria l’impossibilità di differire ad altra data l’intervento richiesto in ragione della previsione di un danno incombente (urgenza) e di far fronte alla situazione di pericolo attraverso ordinari rimedi messi a disposizione dall’ordinamento (contingibilità) (TAR Napoli, Sez. V, sent. n 540 del 2020; n. 2989 del 2021; Cons. Stato, sez II, 5658 del 2017; sez. V, 26.07.2016, n. 3369).
Accanto ai presupposti testé indicati vi è il requisito della “precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l’uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge” (TAR Napoli, Sez. V, sent. n. 860 del 2016).
Ciò posto, nel caso di specie –in relazione alle doglianze prospettate con i primi due motivi di ricorso principale e reiterate con il ricorso per motivi aggiunti- l’ordinanza gravata è stata adottata perché l’edificio, adibito a casa di cura per anziani, all’esito dei risultati delle indagini diagnostiche, commissionate dall’Ufficio tecnico del Comune di Pompei, presentava condizioni statiche e un indice di vulnerabilità sismica non adeguati.
Al riguardo la difesa dei ricorrenti ha eccepito che il Comune di Pompei avesse già una completa conoscenza da parte dei fattori di rischio esistenti per la pubblica incolumità, quali lo stato di degrado del fabbricato, dovuto alla mancata manutenzione cui proprio l’Amministrazione era espressamente tenuta, e il rischio sismico che caratterizza l’area in questione.
La doglianza non merita condivisione: ai fini della legittimità dell’ordinanza contingibile e urgente non è necessaria l’imprevedibilità dello stato di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere, poiché presupposto per l’adozione dei provvedimenti ai sensi dell’art. 54 T.U.E.L. è la sussistenza della necessità e dell'urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare (TAR Napoli, sent. n. 5370/2021).
Quanto, poi, al requisito della temporaneità degli effetti del provvedimento, che devono essere strettamente correlati al perdurare dello stato di necessità (TAR Napoli, Sez. V, sent. n 3521 del 2022) può reputarsi sufficiente l’indicazione, nell’ordinanza in epigrafe, della durata utile alla messa in sicurezza del fabbricato come termine finale della sua efficacia.
Del pari, non meritano condivisione le difese attoree che hanno posto in dubbio l’effettiva sussistenza del pericolo per la pubblica incolumità.
Al riguardo, può osservarsi che l’ordinanza in contestazione è stata adottata all’esito delle indagini effettuate dal consulente tecnico del Comune di Pompei, il quale ha condotto la verifica strutturale statica e sismica dell’edificio in conformità a quanto prescritto nel Capitolo 8 e 10 del D.M. del 17/01/2018, a valle di una serie di indagini conoscitive dello stato di fatto del fabbricato, sia per quanto riguarda la geometria strutturale sia per quanto riguarda le caratteristiche fisico meccaniche dei materiali posti in opera (cfr. relazione tecnica in atti); per valutare la staticità ha provveduto, inoltre, ad effettuare un controllo dei materiali, mediante verifiche visive in situ ed indagini sperimentali, ispezione delle strutture, anche attraverso un rilievo con termo-camera a infrarossi e di carotaggio dei materiali.
L’indagine pur limitandosi ad alcune aree è stata realizzata tenendo conto della natura mista fabbricato, costruito in diversi periodi storici, e ne è risultato il degrado dei materiali, in particolar modo del calcestruzzo che presenterebbe livelli di carbonatazione tale da rendersi visibile ad occhio nudo e da corrodere le barre dell’armatura, la crisi degli elementi verticali in prossimità delle aree di apertura e di alcuni solai (cfr. relazione tecnica in atti).
Anche in relazione alla vulnerabilità sismica dell’edificio, gli esiti dell’indagine svolta dal tecnico incaricato hanno evidenziato che il fabbricato in oggetto risulta non adeguato in riferimento alla normativa tecnica vigente per le costruzioni, né la metodologia applicata appare segnata da errori evidenti, rivelandosi, invece, solo opinabili i risultati basati su modelli di calcolo derivati dallo studio soggettivo del professionista, cosicché che il provvedimento amministrativo che su di esso si basa, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, va esente dalle prospettate censure di legittimità in quanto esso non in contrasto con i canoni di ragionevolezza, logicità e plausibilità.
Va disattesa, infine, la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. 241/1990, in ragione del dimostrato carattere urgente e necessitato del provvedimento (TAR Napoli, Sez. V, sent. n. 17/2015) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 08.08.2022 n. 5325 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Risarcimento danni da provvedimenti illegittimi, nessuna responsabilità se la norma è opaca e la giurisprudenza oscilla.
Il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito.
Nel descritto quadro l’esercizio della funzione pubblica, manifestatosi tanto con l’emanazione di atti illegittimi quanto con un’inerzia colpevole, può quindi essere fonte di responsabilità sulla base del principio generale neminem laedere.
Il requisito dell’ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi.
Infatti, diversamente da quanto avviene nel settore della responsabilità contrattuale, il cui aspetto programmatico è costituito dal rapporto giuridico regolato bilateralmente dalle parti mediante l’incontro delle loro volontà concretizzato con la stipula del contratto-fatto storico, il rapporto amministrativo si caratterizza per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubblico, idoneo, se difforme dal paradigma legale e in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, a ingenerare la responsabilità aquiliana dell’amministrazione.
Riconoscendo la natura aquiliana della responsabilità amministrativa per lesione di interessi legittimi, gli elementi dell’illecito sono:
   a) l’evento danno;
   b) l’ingiustizia del danno;
   c) il nesso causale tra la condotta e l’evento;
   d) l’imputabilità del danno al danneggiante secondo il criterio del dolo o della colpa.
Ai fini della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’Amministrazione e l’evento dannoso, la giurisprudenza di questo Consiglio ritiene che: “ai fini del riscontro del nesso di causalità nell'ambito della responsabilità extra contrattuale da cattivo esercizio della funzione pubblica, si deve muovere dall'applicazione dei principi penalistici, di cui agli art. 40 e 41 c.p., in forza dei quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non); il rigore del principio dell'equivalenza delle cause, posto dall'art. 41 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dall'art. 41, co. 2, c.p., in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto; al contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale; in quest'ottica, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano -ad una valutazione ex ante- del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile (ed amministrativa), vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio".
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Ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza–rimproverabilità dell’Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio di discrezionalità dell’amministrazione.
Con specifico riferimento all’elemento psicologico, la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.
Ancora di recente questo Consiglio ha ribadito che l’illegittimità del provvedimento amministrativo, anche laddove acclarata con l’annullamento giurisdizionale, costituisce solo uno degli indici presuntivi di colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere più o meno vincolato (quindi, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità) della statuizione amministrativa. Invece, l’elemento psicologico della colpa della P.A. va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenze, omissioni d’attività o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa.
In proposito, ai fini del giudizio risarcitorio a carico della pubblica amministrazione il necessario requisito della colpa deve essere individuato nella accertata violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero nella negligenza, nelle omissioni o negli errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; viceversa, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.
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10. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, vanno respinti.
Gli appellanti hanno incardinato davanti al giudice amministrativo una domanda proposta ai sensi dell’art. 30 c.p.a., per sentire condannare le Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni derivanti dalla demolizione dell’immobile di loro proprietà.
10.1. Va premesso che, secondo la recente Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 7 del 2021: “Il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito. […] Nel descritto quadro l’esercizio della funzione pubblica, manifestatosi tanto con l’emanazione di atti illegittimi quanto con un’inerzia colpevole, può quindi essere fonte di responsabilità sulla base del principio generale neminem laedere. Il requisito dell’ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi. Infatti, diversamente da quanto avviene nel settore della responsabilità contrattuale, il cui aspetto programmatico è costituito dal rapporto giuridico regolato bilateralmente dalle parti mediante l’incontro delle loro volontà concretizzato con la stipula del contratto-fatto storico, il rapporto amministrativo si caratterizza per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubblico, idoneo, se difforme dal paradigma legale e in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, a ingenerare la responsabilità aquiliana dell’amministrazione.”
10.2. Riconoscendo la natura aquiliana della responsabilità amministrativa per lesione di interessi legittimi, gli elementi dell’illecito sono: a) l’evento danno; b) l’ingiustizia del danno; c) il nesso causale tra la condotta e l’evento; d) l’imputabilità del danno al danneggiante secondo il criterio del dolo o della colpa.
Ai fini della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’Amministrazione e l’evento dannoso, la giurisprudenza di questo Consiglio, con indirizzo condiviso ritiene che: “ai fini del riscontro del nesso di causalità nell'ambito della responsabilità extra contrattuale da cattivo esercizio della funzione pubblica, si deve muovere dall'applicazione dei principi penalistici, di cui agli art. 40 e 41 c.p., in forza dei quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non); il rigore del principio dell'equivalenza delle cause, posto dall'art. 41 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dall'art. 41, co. 2, c.p., in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto; al contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale; in quest'ottica, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano -ad una valutazione ex ante- del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile (ed amministrativa), vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (Cons. Stato n. 6450 del 2014).
Il giudice di prima istanza ha fatto corretta applicazione dei principi espressi, rilevando nella specie l’assenza del nesso di causalità, in quanto la demolizione del manufatto è avvenimento direttamente riferibile all’esito del procedimento penale.
Il Collegio ha condivisibilmente affermato che: “prima ancora dell’elemento della colpevolezza, difetto quello del rapporto di causalità e con esso della stessa imputabilità, a carico dell’amministrazione comunale, della condotta e delle decisioni assunte, le quali si risolvono in un adempimento necessitato in esecuzione di un preciso provvedimento, divenuto per giunta definitivo, del giudice d’appello penale”.
E’ la stessa sentenza n. 6016 del 2013 del TAR con cui è stato disposto l’annullamento del parere della Soprintendenza di cui si discute, ad evidenziare questo collegamento.
Tale relazione è stata valorizzata dal giudice di prima istanza, che ha affermato “che sussista una relazione inscindibile tra l’esito del procedimento penale e la demolizione è d’altronde chiarito anche dalla sentenza n. 6016/2013 di questa Sezione”.
Ne consegue che le critiche proposte con il primo mezzo non possono essere condivise, tenuto conto che il provvedimento comunale di demolizione è intervenuto dopo la pronuncia del giudice penale che, nel respingere l’incidente di esecuzione finalizzato alla revoca dell’ingiunzione di demolizione, a causa dell’esistenza di provvedimenti di condono, ha ritenuto questi ultimi illegittimi, in quanto emanati senza acquisire preventivamente il parere della Soprintendenza.
La decisività dell’assunto sopra esposto a sostegno della motivazione della sentenza impugnata rende superflua qualsiasi obiezione alle argomentazioni illustrate dal giudice di prima istanza, dovendosi anche rilevare che nessun giudizio di prognosi favorevole può essere proposto in ordine all’eventuale parere che la Soprintendenza avrebbe espresso, atteso che la nota prot. n. 8733 del 2013, non fornisce “alcun elemento in ordine al quale sarebbe stato il contenuto del successivo parere che la Soprintendenza avrebbe reso, laddove le pratiche di condono avessero avuto una prosecuzione qualora le unità immobiliari, costruite originariamente sine titulo, non fossero state demolite” (v. pag. 8 sentenza).
10.3. Quanto al requisito della colpevolezza dell’agere della Soprintendenza, va respinta la doglianza illustrata con il secondo mezzo, atteso che il TAR ha chiaramente escluso l’elemento di colpevolezza e l’imputabilità a carico dell’amministrazione comunale, affermando “sicchè, nel caso di specie, prima ancora dell’elemento della colpevolezza, difetta quello del rapporto di causalità e con esso della stessa imputabilità, a carico dell’amministrazione comunale, della condotta e delle decisioni assunte, le quali si risolvono in una adempimento necessitato in esecuzione di un preciso provvedimento, divenuto per giunta definitivo, del giudice di appello”.
Il Collegio condivide tale approdo ermeneutico, anche in considerazioni dei rilievi che seguono.
Ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza–rimproverabilità dell’Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio di discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico, la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr. Cons. di Stato n. 1500 del 2019).
Ancora di recente questo Consiglio ha ribadito che l’illegittimità del provvedimento amministrativo, anche laddove acclarata con l’annullamento giurisdizionale (come nella specie, a seguito della sentenza del TAR n. 6016 del 2013), costituisce solo uno degli indici presuntivi di colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere più o meno vincolato (quindi, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità) della statuizione amministrativa. Invece, l’elemento psicologico della colpa della P.A. va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenze, omissioni d’attività o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa (Cons. Stato n. 5409 del 2020; Cons. Stato n. 909 del 2020).
In proposito, ai fini del giudizio risarcitorio a carico della pubblica amministrazione il necessario requisito della colpa deve essere individuato nella accertata violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero nella negligenza, nelle omissioni o negli errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; viceversa, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato n. 601 del 2020).
Nella specie, la complessità della vicenda risultante dalla documentazione in atti che si è sviluppata in vari procedimenti anche penali, così come ricostruita nella parte in fatto, induce a ritenere l’assenza della colpa della Soprintendenza nel dichiarare l’improcedibilità sulla richiesta di parere. Sul punto, la critica esposta dagli appellanti, che desumono automaticamente la responsabilità dell’ente dalle conclusioni rassegnate nella sentenza del TAR n. 6016 del 2013 non convince, dovendosi rilevare la scusabilità dell’omissione di pronuncia, con evidente insussistenza del presupposto della colpevolezza (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.08.2022 n. 6742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2022

ATTI AMMINISTRATIVI: È d’uopo anzitutto richiamare l’assetto normativo, per come lumeggiato dalla giurisprudenza, delle ordinanze extra ordinem.
In termini generali, il potere di ordinanza contingibile e urgente è circoscritto da stringenti presupposti, poiché per mezzo di esso si introducono delle deroghe al principio di legalità in ragione dell’esigenza di porre rimedio ad impreviste situazioni di emergenza, rispetto alle quali l’ordinamento impone attività immediate e non predeterminate in provvedimenti o altri strumenti già tipizzati dal legislatore. La ristretta area entro cui il descritto potere può essere esercitato ne consente pertanto la configurazione quale extrema ratio.
Il potere di ordinanza extra ordinem si articola pertanto su indefettibili e concomitanti presupposti, rappresentati:
   “a) dall’impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall’impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle leggi”, cosicché “solo in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale”.
Più nello specifico viene rilevato che “Alla ragione d'essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l'adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte.
Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.
Inoltre, tale potere di ordinanza presuppone situazioni -non tipizzate dalla legge- di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un'istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti”.
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La giurisprudenza ha osservato che:
   - “E' illegittima l'ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco senza l'individuazione di un termine finale di durata degli effetti del provvedimento adottato al fine di far fronte alla situazione di pericolo per la sicurezza urbana derivante dagli episodi di violenza durante l'orario notturno di apertura di una sala giochi.
Invero, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto che impone di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento.
Il presupposto indefettibile per l'adozione di siffatte ordinanze sindacali è la necessità di intervenire urgentemente con misure eccezionali di carattere provvisorio e a condizione della temporaneità dei loro effetti”;
   - “La possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente, ex art. 54 del T.U.E.L., è legata alla sussistenza di un pericolo concreto e attuale, che impone di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem per porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili ed urgenti vi è la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento.
Il carattere della contingibilità, infatti, esprime l'urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente e a ciò è correlato necessariamente il carattere della provvisorietà, il quale implica che le misure previste devono avere efficacia temporalmente limitata.
Detto in altri termini, l’apposizione del termine è un portato diretto del carattere intrinsecamente provvisorio del potere di ordinanza extra ordinem, come peraltro evidenzia la giurisprudenza per cui la quale, se per un verso, i provvedimenti contingibili non possano considerarsi automaticamente illegittimi, solo per il fatto che siano sprovvisti di un termine finale di durata o di efficacia – di modo che anche misure non definite nel loro limite temporale possono essere reputate legittime, se collegate ad una concreta ed accertata situazione di pericolo, per altro verso l'ordinanza contingibile e urgente non può essere impiegata per conferire un assetto stabile e definitivo agli interessi.
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... per l'annullamento DELL’ORDINANZA CONTINGIBILE ED URGENTE N. -OMISSIS-, AVENTE PER OGGETTO RIMOZIONE CATENA E RIPRISTINO PASSAGGIO PUBBLICO SU STRADA ESISTENTE.
...
9- Il ricorso è fondato.
10- È d’uopo anzitutto richiamare l’assetto normativo, per come lumeggiato dalla giurisprudenza, delle ordinanze extra ordinem.
In termini generali, il potere di ordinanza contingibile e urgente è circoscritto da stringenti presupposti, poiché per mezzo di esso si introducono delle deroghe al principio di legalità in ragione dell’esigenza di porre rimedio ad impreviste situazioni di emergenza, rispetto alle quali l’ordinamento impone attività immediate e non predeterminate in provvedimenti o altri strumenti già tipizzati dal legislatore. La ristretta area entro cui il descritto potere può essere esercitato ne consente pertanto la configurazione quale extrema ratio.
Il potere di ordinanza extra ordinem si articola pertanto su indefettibili e concomitanti presupposti, rappresentati:
   “a) dall’impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall’impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle leggi
” (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2016, n. 3369), cosicché “solo in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale” (Consiglio di Stato, Sez. V, 22.03.2016, n. 1189).
Più nello specifico viene rilevato che “Alla ragione d'essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l'adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte. Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile. Inoltre, tale potere di ordinanza presuppone situazioni -non tipizzate dalla legge- di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un'istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti” (TRGA, Trento, Sez. I, 04/03/2022, n. 52).
11- Nella fattispecie, analizzando il provvedimento impugnato risulta che in esso il Sindaco:
   -) premette il richiamo al verbale della Polizia Municipale del 05.07.2021 da cui emerge che la stradella in questione è stata chiusa a mezzo installazione di paletti con catena;
   -) rileva che la stradella in questione è stata da sempre pacificamente aperta al pubblico transito e passaggio, pedonale e carrabile, e così è stata usata dalla collettività per accedere al mare;
   -) rileva che ai fini dell’esistenza di un uso pubblico di una strada privata è necessario che la strada sia concretamente idonea a soddisfare, anche in virtù del semplice collegamento con la pubblica via, esigenze di interesse generale e che sulla stessa si esplichi di fatto il pubblico transito, “jure servitutis publicae”, da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale;
   -) riscontra che l’esistenza di tale tipo di servitù è sorretta dalla sussistenza di un diritto di uso pubblico che si identifica nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile e che i proprietari del tratto di strada hanno da sempre consentito di mettere l’area privata a disposizione della comunità indeterminata dei cittadini, per soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, da cui si ritiene che sulla stradella in questione è stata istituita una servitù di uso pubblico tramite la c.d. dicatio ad patriam;
   -) previo richiamo della giurisprudenza a supporto di ciò, ritiene che la condotta posta in essere dai proprietari delle abitazioni latistanti la stradella risulta per quanto sopra illegittima ed arbitraria, creando una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio, per cui si impone l’adozione del provvedimento contingibile e urgente;
   -) ritiene di adottare il suddetto provvedimento con la massima urgenza stante la stagione estiva ed essendo, dunque, necessario ripristinare prontamente l’accesso al mare con celerità e senza indugio alcuno, al fine di garantire la libertà del pubblico uso del mare e per impedire i disordini conseguenti alla mancanza dell’essenziale collegamento tra la pubblica via e la spiaggia pubblica ed in particolare garantire una via di fuga in caso di calamità naturali (maremoto, terremoto, etc.) a tutela della pubblica incolumità;
   -) ordina pertanto ai proprietari dei fondi latistanti, tra cui l’odierna ricorrente, l’immediata rimozione dei paletti con catena a chiusura della stradella in premessa e di qualsivoglia ostacolo posto in essere che pregiudichi il libero e naturale transito, con avvertenza che, in caso di inottemperanza entro 5 giorni, si provvederà in danno senza ulteriore preavviso.
12- Così ricostruita la vicenda, viene anzitutto scrutinato l’ultimo profilo di doglianza (rubricato I.5) attinente l’asserita incompetenza dell’organo emanante.
12.1- I ricorrente contesta il fatto che la mancanza di un’effettiva e reale situazione di pericolo nell’ordinanza renda l’ordinanza impugnata illegittima per difetto di competenza del Sindaco, trattandosi (semmai) di un atto di natura gestionale e, quindi, ordinaria.
12.2- Nei termini in cui è posto, il motivo è infondato.
12.3- Non vi è dubbio, infatti, che l’ordinanza contingibile e urgente rientri nelle prerogative sindacali e non delle prerogative dirigenziali, per cui posta in termini di competenza la censura è infondata, stante che la questione, al più, riguarda il fatto di aver fatto ricorso ad un potere (quello di ordinanza extra ordinem) che, quantunque esercitato dall’organo a ciò preposto, sarebbe stato esercitato scorrettamente, cioè in assenza dei relativi presupposti.
13- Vengono quindi esaminate congiuntamente, in quanto tra loro interconnesse, le censure sub I.1 e I.2.
13.1- Esse sono fondate nei termini di seguito esposti.
13.2- Si premette anzitutto che “L'accertamento giurisdizionale dell'effettiva esistenza della servitù di pubblico passaggio sulla quale le parti si dividono compete all'autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; mentre, il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusivamente per una cognizione incidentale sulla questione, ai sensi dell' art. 8 c.p.a ., senza poter fare stato sulla medesima con la propria decisione, e al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazione dirigenziale che forma specifico oggetto di ricorso” (TAR Toscana, Sez. II, 21.10.2021, n. 1357).
In ordine alla ricorrenza, nella fattispecie, dell’istituto della dicatio ad patriam e all’esistenza di una servitù di uso pubblico la giurisprudenza amministrativa osserva che:
   - “L'istituto della dicatio ad patriam è notoriamente costituito dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente e in modo univoco il bene medesimo a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione” (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 12.07.2016, n. 7967);
   - “Può essere definita giuridicamente strada anche un'area di proprietà privata ove essa sia asservita all'uso pubblico. Quest'ultimo, però, non può essere meramente affermato ma esige di essere dimostrato tramite la prova, oltre che dell'intrinseca idoneità del bene, dell'uso continuo e pubblico ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Segnatamente, la costituzione su di una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam, costituita dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente e in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico — ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione” (TRGA, Trento, Sez. I, 21.11.2012, n. 341);
Laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un testamento” (TAR Puglia, Bari, Sez. III, 04.12.2020, n. 1570).
Dal canto suo, la giurisprudenza del Giudice ordinario afferma che “Qualora il proprietario di un fondo abbia apposto, volontariamente e con carattere di continuità, una striscia di terreno a disposizione della collettività, assoggettandola all’uso pedonale e carrabile, si verificherà un’ipotesi di “dicatio ad patiram” e non, piuttosto, un’occupazione usurpativa. Infatti, mancando un provvedimento amministrativo che riveli l'intenzione della P.A. di appropriarsi della strada e di trasformarla in strada pubblica, vengono meno i presupposti della trasformazione del bene in opera pubblica tipici dell’occupazione usurpativa. Viceversa, la "dicatio ad patriam", quale modo di costituzione di una servitù, postula un comportamento ad uso pubblico del proprietario che, seppur non intenzionalmente diretto a dare vita a tale diritto, mette volontariamente e con carattere di continuità, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al relativo uso” (Tribunale Lecce sez. I, 05/11/2019, n. 3392)
13.3- Nel caso controverso e con i precitati limiti cognitori, dal provvedimento impugnato non emerge con adeguata chiarezza la sussistenza del suddetto presupposto –ossia della sussistenza di un diritto d’uso da parte della collettività– sulla stradella in questione, circostanza, questa, meramente affermata e non anche adeguatamente allegata e che, pertanto, si ripercuotono sulla censurabilità del provvedimento impugnato, che appunto si regge sulla sussistenza di un diritto d’uso collettivo insistente sulla stradella in questione.
13.4- Peraltro, anche le stesse allegazioni difensive dell’Amministrazione comunale finiscono, a ben vedere, per corroborare le criticità ora rilevate.
In particolare, la richiesta del Sindaco illo tempore all’odierna ricorrente del 18.11.2004 nella quale, rilevata l’esistenza della stradina in relazione alla quale ha prospettato di richiedere ai proprietari l’uso fin quando il Comune non avrebbe provveduto a realizzare un accesso al mare per uso pubblico e il riscontro della ricorrente datato 19.11.2004, con il quale viene consentito il passaggio sulla stradella precariamente fino alla costruzione della strada da realizzare in altro sito nel più breve tempo possibile, stridono con l’assunto del Comune, su cui si basa il provvedimento impugnato, dell’intervenuta dicatio ad patriam della stradella medesima.
La suddetta conclusione, per il vero e sempre con i precitati limiti cognitori, non può essere smentita dal rilievo, contenuto nella richiesta medesima (e non espressamente smentito dalla ricorrente) circa il fatto che su tale stradella si eserciti l’uso della collettività cittadina. Difatti, nel contesto in cui è formulata l’istanza il menzionato uso potrebbe ben consistere un un’utilizzazione da parte della collettività meramente tollerata dai proprietari ma non anche collegata a specifiche situazioni giuridiche soggettive.
Tale circostanza, per un verso, darebbe significato alla richiesta da parte del Comune (che non si giustificherebbe laddove fosse intervenuta una vera e propria dicatio ad patriam) e, per altro verso, fa venir meno il requisito della non inequivocità della messa a disposizione della strada in favore della collettività, costituente presupposto della dicatio giusta giurisprudenza precedentemente richiamata.
13.5- In sostanza, l’aver il Comune apoditticamente presupposto la sussistenza di un diritto d’uso pur in presenza delle suddette criticità rende pertanto il provvedimento censurabile.
14- Vengono quindi scrutinate le doglianze di cui al terzo profilo (rubricato I.3).
14.1- Le censure sono fondate nei termini di seguito esposti.
14.2- Dall’analisi del provvedimento precedentemente svolta emerge che questo si fondi sull’urgente necessità di porre rimedio ad una condotta della ricorrente ritenuta abusiva (ossia l’apposizione di catena e paletti a chiusura del passaggio della strada) a motivo della stagione estiva e alla necessità di garantire una via di fuga in caso di calamità naturali.
14.3- Orbene, se è vero che –come rilevato in sede di tutela cautelare monocratica– le esigenze di pubblico interesse volte a favorire, specialmente nel periodo estivo, un agevole e diretto collegamento fra l’abitato e la zona mare comprensiva del lungomare, palesate dal Comune anche a tutela della pubblica incolumità risultano apprezzabili, da una compiuta analisi del provvedimento impugnato emerge che se l’Amministrazione ha dato conto del carattere di urgenza insito nel ricorso, nel contempo non emerge adeguatamente approfondito il presupposto della contingibilità, ossia l’inesistenza di rimedi ordinari ragionevolmente utilizzabili per fronteggiare le criticità evidenziate dall’Amministrazione e, in secondo luogo, il provvedimento impugnato non dà adeguatamente conto, sia a livello motivazionale ma, ancor prima, in base ad adeguata istruttoria, dell’indispensabilità dell’utilizzo della suddetta strada quale via di fuga, sostanzialmente necessitata in caso di (peraltro apoditticamente indicate) calamità naturali.
14.4- A ciò si soggiunge che le argomentazioni spese da parte ricorrente –in base alle quali l’accesso al mare è garantito tramite il lungomare cui si accede liberamente per il tramite di un’area pubblica di circa 3000 mq, e che è dotato di ulteriori vie di fuga ogni 20 metri– non sono smentite in modo adeguato da parte dell’Amministrazione resistente.
Difatti, l’assunto difensivo per cui molti degli ulteriori accessi presenti sono di modeste dimensioni e, dunque, inadatti da soli a garantire il sicuro e corretto deflusso dei bagnanti soprattutto nel periodo estivo, in disparte il rilievo, già posto, per cui avrebbe dovuto costituire oggetto di specifica istruttoria, comunque risulta meramente affermato e non corroborato da elementi probatori pregnanti a sostegno.
15- Vengono infine scrutinate le doglianze di cui al quarto profilo di censura (rubricato I.5).
15.1- Le censure sono fondate.
15.2- Occorre osservare come la giurisprudenza abbia osservato che:
   - “E' illegittima l'ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco senza l'individuazione di un termine finale di durata degli effetti del provvedimento adottato al fine di far fronte alla situazione di pericolo per la sicurezza urbana derivante dagli episodi di violenza durante l'orario notturno di apertura di una sala giochi. Invero, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto che impone di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento. Il presupposto indefettibile per l'adozione di siffatte ordinanze sindacali è la necessità di intervenire urgentemente con misure eccezionali di carattere provvisorio e a condizione della temporaneità dei loro effetti” (TAR Veneto, Sez. III, 24.07.2019, n. 872);
   - “La possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente, ex art. 54 del T.U.E.L., è legata alla sussistenza di un pericolo concreto e attuale, che impone di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem per porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento. Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili ed urgenti vi è la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento. Il carattere della contingibilità, infatti, esprime l'urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente e a ciò è correlato necessariamente il carattere della provvisorietà, il quale implica che le misure previste devono avere efficacia temporalmente limitata (nel caso di specie, il g.a. ha dichiarato l'illegittimità delle ordinanze gravate che pongono il divieto di esercitare il fuori pista, in presenza di determinate condizioni metereologiche, in via permanente, senza cioè fissare alcun limite temporale alla loro efficacia)” (TAR Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 22.03.2018, n. 107).
Detto in altri termini, l’apposizione del termine è un portato diretto del carattere intrinsecamente provvisorio del potere di ordinanza extra ordinem, come peraltro evidenzia la giurisprudenza per cui la quale, se per un verso, i provvedimenti contingibili non possano considerarsi automaticamente illegittimi, solo per il fatto che siano sprovvisti di un termine finale di durata o di efficacia – di modo che anche misure non definite nel loro limite temporale possono essere reputate legittime, se collegate ad una concreta ed accertata situazione di pericolo, per altro verso l'ordinanza contingibile e urgente non può essere impiegata per conferire un assetto stabile e definitivo agli interessi (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 18.03.2020, n. 1188).
15.3- Posta la questione nei suddetti termini, l’ordinanza si presta a plurime considerazioni critiche.
Difatti, in disparte l’aspetto –già rilevato– per cui il Sindaco non ha dimostrato l’impossibilità di ricorso a rimedi ordinari, dall’analisi del provvedimento emerge che l’Amministrazione abbia inteso porre rimedio in via definitiva e non soltanto provvisoria alla suddetta condotta ritenuta abusiva, nel senso di dare un assetto di interessi stabile (ossia l’eliminazione di qualsiasi ostacolo o chiusura che impedisca il pubblico transito), circostanza che traspare precipuamente –come contesta parte ricorrente– dall’assenza di un limite temporale agli effetti dell’ordinanza.
15.4- Per il vero, la suddetta circostanza viene avvalorata dalle difese del Comune spese in ordine al motivo di ricorso precedentemente scrutinato (§ 14.4).
Difatti, l’osservazione del Comune circa il fatto che gli ulteriori accessi presenti in loco sarebbero di modeste dimensioni e, dunque, inadatti da soli a garantire il sicuro e corretto deflusso dei bagnanti, soprattutto nel periodo estivo finisce per avvalorare l’intenzione del Comune di risolvere con il rimedio dell’ordinanza extra ordinem una criticità strutturale, fuoriuscendo così dal perimetro di operatività dell’istituto.
16- In conclusione, il ricorso va accolto con conseguenziale annullamento del provvedimento impugnato (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 25.07.2022 n. 1383 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Secondo una consolidata giurisprudenza, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti extra ordinem, in quanto dotate di capacità derogatoria dell'ordinamento giuridico, volte a consentire all'Amministrazione, in deroga al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, di sopperire a situazioni straordinarie ed urgenti non fronteggiabili con l'uso dei poteri ordinari.
Dunque, laddove sia impossibile differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza), e far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento (contingibilità), si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente.
Più nello specifico, si osserva che “L'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni di pericolo effettivo non tipizzate dalla legge, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, solamente in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile”.
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Osserva la giurisprudenza che:
   - “L'ordinanza contingibile e urgente ex art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 può essere adottata, quando il pericolo per la pubblica incolumità non è imminente, ma consiste in una ragionevole probabilità che possa verificarsi, se non si interviene prontamente, anche se tale situazione di pericolo dura da molto tempo e potrebbe protrarsi per un lungo periodo senza alcun crollo delle parti pericolanti dell'edificio. Parimenti, non risulta ostativa all'emanazione dell'ordinanza l'assenza di una situazione accidentale e/o imprevedibile, atteso che anche in tali situazioni l'aggravarsi del pericolo non esime l'Amministrazione dalla tempestiva adozione dei provvedimenti contingibili e urgenti, ma è altrettanto vero che nell'ordinanza nemmeno di tale ragionevole probabilità viene offerta evidente e concreta contezza”;
   - “L'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 54, comma 4, d.lgs. 18.08.2000, n. 267 può essere adottata quando il pericolo per la pubblica incolumità non è imminente, ma sussiste una ragionevole probabilità che possa verificarsi, se non si interviene prontamente, anche se tale situazione di pericolo dura da molto tempo e potrebbe protrarsi per un lungo periodo senza alcun crollo delle parti pericolanti dell'edificio”.

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... per l'annullamento DELL’ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE ED URGENTE DEL SINDACO DEL COMUNE DI PENTONE -OMISSIS- DEL 27/04/2017 NOTIFICATA IL 28/04/2017
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8- Occorre anzitutto osservare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2016, n. 3369), le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti extra ordinem, in quanto dotate di capacità derogatoria dell'ordinamento giuridico, volte a consentire all'Amministrazione, in deroga al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, di sopperire a situazioni straordinarie ed urgenti non fronteggiabili con l'uso dei poteri ordinari. Dunque, laddove sia impossibile differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza), e far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento (contingibilità), si giustifica -sempre secondo la giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 22.03.2016 n. 1189)- la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente.
Più nello specifico, si osserva che “L'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni di pericolo effettivo non tipizzate dalla legge, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, solamente in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile” (TAR Umbria, Sez. I, 12.2.2020, n. 64).
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14- In ordine al terzo profilo di censura, alcun rilievo ha la risalenza della vicenda in termini di attualità del pericolo.
14.1- Osserva la giurisprudenza in proposito che:
   - “L'ordinanza contingibile e urgente ex art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 può essere adottata, quando il pericolo per la pubblica incolumità non è imminente, ma consiste in una ragionevole probabilità che possa verificarsi, se non si interviene prontamente, anche se tale situazione di pericolo dura da molto tempo e potrebbe protrarsi per un lungo periodo senza alcun crollo delle parti pericolanti dell'edificio. Parimenti, non risulta ostativa all'emanazione dell'ordinanza l'assenza di una situazione accidentale e/o imprevedibile, atteso che anche in tali situazioni l'aggravarsi del pericolo non esime l'Amministrazione dalla tempestiva adozione dei provvedimenti contingibili e urgenti, ma è altrettanto vero che nell'ordinanza nemmeno di tale ragionevole probabilità viene offerta evidente e concreta contezza” (TAR Friuli-Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 09.08.2021, n. 246);
   - “L'ordinanza contingibile ed urgente di cui all'art. 54, comma 4, d.lgs. 18.08.2000, n. 267 può essere adottata quando il pericolo per la pubblica incolumità non è imminente, ma sussiste una ragionevole probabilità che possa verificarsi, se non si interviene prontamente, anche se tale situazione di pericolo dura da molto tempo e potrebbe protrarsi per un lungo periodo senza alcun crollo delle parti pericolanti dell'edificio (Cons. St., sez. VI, 07.10.2008, n. 4812; Id., sez. V, 02.04.2003, n. 1678)” (TAR Basilicata, Sez. I, 01.04.2016, n. 300).
14.2- Nel caso controverso, non essendosi concretamente realizzati i necessari interventi di ristrutturazione, il rischio di un evento dannoso, manifestatosi con avvallamenti e crolli in passato, permane sempre in termini di attualità.
15- Infondato è, infine, l’ulteriore profilo di violazione del principio di proporzionalità.
15.1- Il provvedimento impugnato, infatti, assegna un periodo di tempo non irragionevole (anche considerando la non repentinità della questione e il fatto che comunque le criticità erano state affrontate da parte ricorrente con la presentazione di istanze per la ristrutturazione) mentre la previsione dell’esecuzione dei lavori nei 180 giorni successivi non risulta irragionevole in quanto non esclude proroghe, qualora motivate.
15.2- L’asserita irragionevolezza della previsione –posta per il caso di inottemperanza all’ordinanza– della demolizione dell’intero fabbricato non risulta irragionevole, tenuto conto che dagli atti di giudizio non emerge (né è stato evidenziato dal ricorrente) alcun elemento dal quale ritenere sufficiente, per prevenire il paventato pericolo, previsioni alternative quali quella relativa ad una sola parte dell’edificio, anche in termini di strutturale autonomia della parte dell’edificio prospiciente la strada, o di altri parti specificamente individuate, rispetto all’edificio nella sua globalità.
16- In conclusione, il ricorso va rigettato
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 14.07.2022 n. 1302 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILe FAQ (frequently Asked Questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando. Esse, al massimo, rappresentano una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e sono, dunque, inidonee ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale o ad innovarne il contenuto. Di conseguenza, sono giuridicamente inadatte a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando.
Tanto meno il contenuto di una FAQ può condizionare lo scrutinio del giudice circa la legittimità, o meno, del comportamento osservato dall’amministrazione e che viene contestato nella sede contenziosa.
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È appena il caso di evidenziare, peraltro, che tali conclusioni non mutano per la presenza della citata FAQ che, come noto, non condiziona l’operato dell’amministrazione procedente in modo vincolante.
Come riconosciuto da entrambe le parti, mediante richiami giurisprudenziali, le FAQ (Frequently Asked Questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando. Esse al massimo rappresentano una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e sono dunque inidonee ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale o ad innovarne il contenuto. Di conseguenza sono giuridicamente inadatte a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando.
Tanto meno il contenuto di una FAQ può condizionare lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione e che viene contestato nella sede contenziosa (cfr. Cons. Stato, sez. III-bis, 22/01/2021, sent n. 904; TAR Piemonte, sez. II, 31/03/2022, sent. n. 309) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.07.2022 n. 663 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIImprocedibilità del ricorso, interesse a fini risarcitori e accertamento di illegittimità dell’atto: i chiarimenti dell’Adunanza plenaria.
Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato –alla quale la IV Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza, 09.02.2022, n. 945 (oggetto della News US n. 44 in data 16.05.2022) aveva deferito alcune questioni interpretative– con articolata motivazione ha:
   a) individuato i requisiti della dichiarazione della parte circa l’esistenza di un interesse risarcitorio ai fini dell’accertamento di illegittimità dell’atto impugnato (su cui si è determinata una sopravvenuta carenza di interesse al relativo formale annullamento);
   b) chiarito quali sono gli effetti processuali di siffatta dichiarazione e come sono, conseguentemente, modulati i poteri del giudice.
L’Adunanza plenaria ricompone il contrasto di giurisprudenza sull’applicazione dell’art. 34, comma 3 c.p.a., nel caso di improcedibilità della domanda di annullamento e richiesta di accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati (la quale può non essere corredata dall’esposizione degli elementi costitutivi dell’azione per equivalente) in presenza di un dichiarato interesse risarcitorio.
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Giustizia amministrativa – Improcedibilità della domanda di annullamento – Dichiarazione della parte interessata di avervi interesse a fini risarcitori – Conseguenze processuali.
L’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
   a) per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori; non è pertanto necessario specificare i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione; la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 c.p.a.;
   b) una volta manifestato l’interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l’atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell’azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda (1).

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   (1). I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato – alla quale la quarta sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 09.02.2022, n. 945 (oggetto della News US n. 44 in data 16.05.2022) aveva deferito alcune questioni interpretative – con articolata motivazione ha:
      a) individuato i requisiti della dichiarazione della parte circa l’esistenza di un interesse risarcitorio ai fini dell’accertamento di illegittimità dell’atto impugnato (su cui si è determinata una sopravvenuta carenza di interesse al relativo formale annullamento);
      b) chiarito quali sono gli effetti processuali di siffatta dichiarazione e come sono, conseguentemente, modulati i poteri del giudice.
   II. – La vicenda sottesa alla pronuncia in esame muove da domande di annullamento proposte in primo grado, in tre distinti giudizi, nei confronti degli atti di pianificazione che hanno interessato, nel tempo, la proprietà dei ricorrenti, giudizi nell’ambito dei quali costoro hanno depositato una memoria con la quale hanno allegato la permanenza dell’“…interesse ad ottenere la declaratoria di illegittimità di tutti gli atti impugnati ai fini risarcitori, come da stima già prodotta dei danni patiti a causa della mancata conformazione edificatoria dei terreni”.
La seconda sezione del Tar per il Veneto, con sentenze 27.08.2020, n. 768, n. 769 e n. 770 ha dichiarato improcedibili i ricorsi per sopravvenuta carenza d’interesse, in ragione delle modifiche della disciplina urbanistica dell’area, rilevando che le allegazioni di parte non sarebbero state sufficienti “per giungere all’accertamento incidentale della fondatezza della pretesa sostanziale azionata dalla stessa parte ricorrente in considerazione che essa non ha dato conto, neppure genericamente, della sussistenza o meno di tutti gli altri elementi costitutivi dell’illecito”.
Avverso le predette sentenze gli originari ricorrenti in primo grado hanno interposto appello: nell’ambito di detto giudizio di secondo grado si è innestato il deferimento alla Plenaria e la conseguente pronuncia in rassegna.
   III. – Il Collegio ha così articolato il proprio iter argomentativo:
      c) le questioni sull’interpretazione e l’applicazione dell’art. 34, comma 3, c.p.a. richiedono di stabilire:
         c1) se l’interesse risarcitorio sulla cui base si debba accertare l’illegittimità dell’atto impugnato, malgrado la sopravvenuta inutilità del suo annullamento, vada manifestato dal ricorrente con semplice dichiarazione, come affermato dalla più risalente giurisprudenza;
         c2) se invece la dichiarazione debba essere corredata dall’esposizione degli elementi costitutivi dell’azione risarcitoria, secondo quanto in seguito precisato dalla stessa giurisprudenza; o se sia necessario che la domanda risarcitoria sia effettivamente proposta;
      d) va reputato condivisibile il primo orientamento e che pertanto sia sufficiente la dichiarazione del ricorrente di avere interesse a che sia accertata l’illegittimità dell’atto impugnato in vista della futura azione risarcitoria;
      e) la soluzione ora affermata va fatta discendere dalle seguenti disposizioni del codice del processo amministrativo:
         e1) art. 30, comma 5, secondo cui nel giudizio di annullamento “la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”;
         e2) art. 35, comma 1, lett. c), che prevede l’improcedibilità del ricorso “quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione”, soggetta non solo all’eccezione di parte ma anche al rilievo ufficioso del giudice;
         e3) art. 104, comma 1, che nell’enunciare il c.d. divieto dei nova in appello, secondo cui “non possono essere proposte nuove domande”, precisa che resta “fermo quanto previsto dall’articolo 34, comma 3”;
     f) l’improcedibilità del ricorso si verifica quando viene meno l’interesse ad una decisione nel merito della domanda azionata:
         f1) in questa situazione il processo non ha assolto alla sua funzione di affermare, in modo incontrovertibile, il diritto o l’interesse giuridicamente protetto la cui lesione ha portato il titolare ad agire in giudizio con una pronuncia che, ai sensi dell’art. 2909 c.c., fissi la regola applicabile al rapporto controverso e che le parti sono tenute ad osservare;
         f2) del carattere di giudicato sostanziale delle pronunce giurisdizionali sancito dalla disposizione da ultimo richiamata sono invece prive le sentenze c.d. in rito, contraddistinte dal fatto di non pronunciarsi sulla situazione giuridica azionata in giudizio: tra queste ultime vi è appunto quella di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse prevista dall’art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a. in precedenza menzionato;
         f3) il parimenti citato art. 30, comma 5, c.p.a. è parte della complessiva disciplina di carattere processuale relativa ai rapporti tra azione di annullamento e azione di risarcimento per lesione di interessi legittimi proponibile in sede giurisdizionale amministrativa;
      g) in coerenza con il principio fondamentale di pienezza ed effettività della tutela (di cui all’art. 1 c.p.a.), la disciplina in questione è improntata nel suo complesso all’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento, in vista
del superamento del precedente assetto di origine giurisprudenziale incentrato invece sulla c.d. pregiudiziale amministrativa:
I) nel codice, l’autonomia tra le due azioni si è tra l’altro manifestata con la possibilità prevista dall’art. 30, comma 5, di posporre il risarcimento all’annullamento e dunque di domandare in successione i due rimedi;
I) nondimeno, in deroga ai termini di prescrizione valevoli in generale per i rapporti tra privati, a tutela dell’interesse pubblico alla “certezza del rapporto giuridico amministrativo, anche nella sua declinazione risarcitoria”, tale possibilità è stata assoggettata al termine di decadenza previsto dalla disposizione in esame (così: Corte cost. 04.05.2017, n. 94, in Foro it., 2017, I, 2952, con nota di TRAVI; Guida al dir., 2017, 22, 98, con nota di MASARACCHIA; Resp. civ. e prev., 2017, 1578, con nota di FOÀ; Giornale dir. amm. 2017, 662 (m), con nota di CORTESE; Giur. cost., 2017, 967, con nota di SCOCA; Dir. proc. amm., 2018, 1069, con nota di MARRA; resa con riguardo al termine di decadenza previsto dal comma 3 dell’art. 30, relativamente all’azione di risarcimento proposta in via autonoma, non preceduta da quella di annullamento, sulla base di principi pertanto estensibili al comma 5);
      h) in epoca antecedente al codice del processo amministrativo, e dunque prima che fossero disciplinati i rapporti tra l’azione di annullamento e quella risarcitoria a tutela di interessi legittimi, si era affermata presso la giurisprudenza la tendenza a restringere le ipotesi di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione sulla domanda di annullamento, quando non dichiarata dal ricorrente: si era giunti in questa prospettiva a considerare procedibile il ricorso anche in assenza di utilità materiali ricavabili dalla sentenza, quando fosse comunque ravvisabile un interesse morale dello stesso a vedersi riconoscere le proprie ragioni;
      i) ancora di recente, giurisdizione di tipo soggettivo (così: Cons. Stato, Ad. plen., 13.04.2015, n. 4, in Foro it., 2015, III, 265, con nota di TRAVI; Urbanistica e appalti, 2015, 917, con nota di MANGANARO, MAZZA LABOCCETTA; Giur. it., 2015, 1693, con nota di COMPORTI; Guida al dir., 2015, fasc. 20, 92, con nota di MASARACCHIA; Foro amm., 2015, 2206 (m), con nota di SILVESTRI; Corriere giur., 2015, 1596, con nota di SCOCA; Dir. proc. amm., 2016, 173, con nota di TURRONI), si afferma che al di fuori dei casi in cui la sopravvenuta carenza di interesse è dichiarata dallo stesso ricorrente, l’inutilità per lo stesso di una decisione di merito è ipotesi che va accertata con particolare rigore ed è ravvisabile solo in presenza di un radicale mutamento della situazione di fatto o di diritto esistente al momento della proposizione del ricorso (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, sez. V, 17.05.2022, n. 3908; VI, 06.04.2022, n. 2552; VII, 16.02.2022, n. 1155; II, 02.02.2022, n. 711; V, 29.12.2021, n. 8702, in Ambiente, 2021, 126; VI, 30.08.2021, n. 6101; 31.05.2021, n. 4169, in Guida al dir., 2021, 26, 88 (m), con nota di GIZZI; II, 06.04.2021, n. 2752; IV, 30.03.2021, n. 2669; III, 16.11.2020, n. 7082, in Contratti Stato e enti pubbl., 20211, 33, con nota di BORTOLATO; Sanità pubbl. e privata, 2021, 2, 36, con nota di SANTUARI; IV, 21.05.2019, n. 3234; in termini maggiormente restrittivi, peraltro: Cons. Stato, III, 15.04.2021, n. 3086, in Urbanistica e appalti, 2021, 325, con nota di DAPAS, VIOLA);
      j) l’istituto previsto dall’art. 34, comma 3, c.p.a. si colloca nella descritta tendenza;
      k) in un sistema evoluto di tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, in cui alla tradizionale azione di annullamento si è affiancata con pari dignità rispetto ad essa l’azione risarcitoria, l’accertamento di illegittimità ai fini risarcitori previsto dalla disposizione processuale in esame risponde alla medesima esigenza sulla cui base era stato ristretto l’ambito di applicazione dell’improcedibilità del ricorso.
Essa consiste nel conservare un’utilità alla decisione di merito sulla domanda di annullamento, pur a fronte di un mutamento della situazione di fatto e di diritto rispetto all’epoca in cui la stessa è stata azionata;
      l) nondimeno, gli approdi sopra richiamati della giurisprudenza con riguardo all’azione di annullamento non possono essere estesi per intero con riguardo all’interesse risarcitorio:
         l1) quest’ultimo deve infatti essere manifestato in giudizio dalla parte interessata, e cioè dal ricorrente;
         l2) rispetto all’onere di parte non può invece supplire il rilievo ufficioso del giudice sulla persistenza delle condizioni dell’azione di annullamento fino alla decisione.
      m) l’esigenza che l’interesse sia dichiarato dalla parte si correla al fatto che nell’ambito della sopra richiamata natura di giurisdizione di diritto soggettivo della giurisdizione amministrativa, come in precedenza accennato, è allo stesso ricorrente che è per legge rimessa l’iniziativa a tutela del suo interesse risarcitorio: la manifestazione dell’interesse risarcitorio una volta venuto meno quello all’annullamento dell’atto impugnato è dunque il presupposto indispensabile affinché il giudice possa pronunciarsi sulla legittimità dello stesso atto con pronuncia di mero accertamento. In questi termini va inteso l’inciso finale dell’art. 34, comma 3, c.p.a. “se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”, posto a condizione della pronuncia di accertamento;
       n) la dichiarazione è condizione necessaria ma nello stesso tempo sufficiente perché sorga l’obbligo per il giudice di accertare l’eventuale illegittimità dell’atto impugnato:
         n1) non occorre a questo scopo né che siano esposti i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria né tanto meno che questa sia in concreto proposta;
         n2) l’accertamento di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a. va infatti coordinato con la disciplina processuale dell’azione di risarcimento contenuta nel codice del processo amministrativo, ed in particolare con il sopra richiamato art. 30, comma 5, che consente di proporre la domanda risarcitoria “nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”;
      o) come accennato in precedenza, l’interesse risarcitorio ai fini di una pronuncia di accertamento di illegittimità dell’atto impugnato si correla al termine ultimo previsto dalla disposizione ora menzionata, in forza della quale è possibile promuovere giudizi in successione per ottenere la “tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo” enunciata dall’art. 1 c.p.a. quale principio fondamentale della giurisdizione amministrativa;
      p) nella cornice così definita, contraddistinta da un’ampia possibilità di scelta per il privato di modulare la propria strategia processuale a tutela dei suoi diritti ed interessi, la manifestazione dell’interesse risarcitorio ai fini della eventuale proposizione dell’azione di risarcimento dei danni promananti dall’atto originariamente impugnato (ma per il cui annullamento è venuto meno l’interesse nel corso del giudizio), consente al medesimo privato di ricavare dal giudizio di impugnazione un’utilità residua, impeditiva della pronuncia in rito ex art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., nella futura prospettiva di una tutela per equivalente monetario che il codice consente di fare valere in separato giudizio;
      q) nello stesso tempo, è possibile individuare nell’accertamento ex art. 34, comma 3, c.p.a. una funzione deflattiva, rispondente:
         q1) alle esigenze del ricorrente, di conoscere anticipatamente se è fondato il presupposto principale dell’eventuale domanda di risarcimento dei danni;
         q2) alle esigenze dell’amministrazione autrice dell’atto impugnato, di conoscere anticipatamente se questo sia o meno illegittimo e se vi sono pertanto rischi di esborsi economici, e dunque di assumere le opportune iniziativa attraverso il proprio potere di autotutela; l’effetto di deflazione si ricava dal fatto che se l’accertamento richiesto dal ricorrente dovesse essere negativo, e dunque l’atto impugnato risultasse legittimo, l’azione risarcitoria sarebbe preclusa;
      r) per ottenere l’accertamento preventivo si palesa dunque sufficiente una semplice dichiarazione -da rendersi nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 c.p.a. a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti- con la quale, a modifica della domanda di annullamento originariamente proposta, il ricorrente manifesta il proprio interesse affinché sia comunque accertata l’illegittimità dell’atto impugnato:
         r1) dal punto di vista processuale il fenomeno è inquadrabile nella c.d. emendatio della domanda, in senso riduttivo quanto al petitum immediato, non integrante pertanto un mutamento non consentito nell’ambito del principio della domanda, come evincibile dalla clausola di salvezza rispetto al c.d. divieto dei nova in appello previsto dall’art. 104, comma 1, c.p.a., sopra richiamato;
         r2) a sua volta, la dichiarazione di interesse risarcitorio in funzione dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato mira a provocare una pronuncia che seppur non modificativa della realtà giuridica, come invece quella demolitoria di annullamento, verte comunque su un’antecedente logico-giuridico dell’azione risarcitoria, per la quale è conseguentemente predicabile l’attitudine a divenire cosa giudicata in senso sostanziale ai sensi dell’art. 2909 del codice civile;
      s) sulla base di quanto ora esposto si trae l’ulteriore corollario per cui l’accertamento richiesto è esattamente quello che il giudice avrebbe dovuto svolgere nell’esaminare nel merito la domanda di annullamento, donde (per rispondere alle ulteriori questioni poste dall’ordinanza di rimessione) la necessità di svolgere un’istruttoria laddove necessario, con la sola differenza che in caso positivo tale accertamento non va a costituire il presupposto per la pronuncia costitutiva di annullamento dell’atto impugnato, ma esaurisce il contenuto della pronuncia (di accertamento mero) con cui il giudizio è definito;
      t) in forza delle considerazioni finora svolte diviene evidentemente superfluo, oltre che privo di base normativa, onerare il ricorrente di promuovere nello stesso giudizio la domanda risarcitoria, quando il termine ultimo si colloca oltre la definizione del giudizio di annullamento: la pur suggestiva tesi prospettata dall’ordinanza di rimessione incorre peraltro in un’aporia sul rilievo che essa richiede che la domanda risarcitoria sia già proposta affinché il giudice possa pronunciarsi sulla legittimità dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., quando invece un simile accertamento costituisce già uno degli antecedenti logico-giuridici dell’azione di “risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi” devoluta ai sensi dell’art. 7, comma 4, c.p.a. alla giurisdizione amministrativa;
      u) da quanto ora esposto si evince che l’accertamento di legittimità dell’atto impugnato in funzione dell’interesse risarcitorio si pone in termini di contraddizione logica con la domanda di risarcimento del danno:
         u1) esso presuppone non già una domanda risarcitoria in atto, ma la sola proponibilità della stessa, che come più volte precisato è consentita entro il termine di decadenza previsto dall’art. 30, comma 5, c.p.a. decorrente dalla sentenza che definisce il giudizio di annullamento;
         u2) se la domanda è stata invece proposta, l’accertamento si palesa inutile ed è assorbito da quello che deve svolgersi in sede di esame della domanda risarcitoria;
      v) sono poi superabili le preoccupazioni sul rischio che l’accertamento intervenga a fronte di un interesse solo potenziale e non attuale, carente pertanto dei requisiti che secondo l’art. 100 c.p.c. condizionano la pronuncia giurisdizionale nel merito dell’azione proposta: va al riguardo richiamato quanto espresso in precedenza, e cioè che la pronuncia ex art. 34, comma 3, origina da una modifica in senso riduttivo di una domanda già proposta, quella di annullamento, divenuta tuttavia priva di interesse per il ricorrente in pendenza di giudizio, ed in relazione al quale lo stesso ricorrente ritenga nondimeno che residui un’utilità ai fini di un ristoro per equivalente dei danni eventualmente subiti a causa dei provvedimenti amministrativi impugnati;
      w) considerazioni analoghe possono essere svolte con riguardo alla tesi che può essere definita intermedia, per la quale ai fini dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato è comunque necessario che il ricorrente indichi i presupposti della futura eventuale azione risarcitoria. Anche questa posizione non trova fondamento normativo:
         w1) essa tende inoltre a produrre una sovrapposizione tra le due domande, di annullamento e risarcitoria, che il codice del processo ed in particolare l’art. 30 nel suo complesso considera distinte e non avvinte da pregiudizialità della prima rispetto alla seconda come invece si era affermato in epoca antecedente, salvo il solo temperamento dato dal comma 3 della disposizione ora richiamata. In presenza di una domanda risarcitoria non ancora formulata, l’accertamento sui relativi presupposti non avrebbe peraltro attitudine al giudicato;
         w2) in conseguenza di quest’ultimo rilievo deve pertanto escludersi che il giudice “possa comunque pronunciarsi su una questione ‘assorbente’ e dunque su ogni profilo costitutivo della fattispecie risarcitoria”, come ipotizza l’ordinanza di rimessione;
      y) sulla base delle considerazioni finora svolte deve dunque essere condiviso l’orientamento giurisprudenziale originario, peraltro ancora di recente riaffermato, in particolare dalla sentenza Cons. Stato, sez. V, 29.01.2020, n. 727, secondo cui:
         y1) “l’art. 34, comma 3 (…) va interpretato nel senso che l’obbligo di pronunciare sui motivi di ricorso (ovvero di accertare l’illegittimità dell’atto impugnato) sussista in caso di istanza, o, comunque, espressa dichiarazione di interesse della parte ricorrente, non potendo il giudice, alla declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, far seguire la verifica d’ufficio della permanenza dell’interesse del ricorrente ad una pronuncia sulla fondatezza dei motivi di ricorso per fini risarcitori”;
         y2) e che a questo scopo è sufficiente “la dichiarazione di interesse della parte ricorrente” e non già “un’istanza circostanziata che alleghi il danno concretamente subito
”;
         y3) ed ancora, con riguardo ai rapporti con la domanda risarcitoria: “se fosse stata proposta domanda di risarcimento in cumulo con la domanda di annullamento, il giudice, pur avendo accertato l’improcedibilità della domanda di annullamento, per il carattere autonomo della domanda risarcitoria, sarebbe comunque tenuto a pronunciarsi sulla stessa per il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.a., incorrendo, altrimenti, nel vizio di omessa pronuncia. In tale ricostruzione, pertanto, la disposizione contenuta nell’art. 34, comma 3, […] sarebbe del tutto superflua; essa, invece, si rende necessaria proprio per l’assenza di rituale domanda risarcitoria che la parte ben potrebbe proporre successivamente in autonomo giudizio, una volta ottenuto dal giudice l’accertamento dell’illegittimità dell’azione amministrativa”;
   IV. – Per completezza, si consideri quanto segue:
      z) sull’interesse a pronuncia di accertamento:
         z1) in relazione al collegamento fra principio dispositivo e necessaria manifestazione dell’interesse alla pronuncia sulla illegittimità dell’esercizio della funzione pubblica anche in caso di improcedibilità della domanda di annullamento ex art. 34 c.p.a.: 27.04.2015 n. 5, § 7 (in Foro it., 2015, III, 265, con nota di TRAVI; Urbanistica e appalti, 2015, 1177, con nota di VAIANO; Riv.neldiritto, 2015, 2084, con note di COLASCILLA NARDUCCI; Riv. dir. proc., 2015, 1256, con nota di FANELLI; Giur. it., 2015, 2192 (m), con nota di FOLLIERI; Dir. proc. amm., 2016, 205, con nota di PERFETTI, TROPEA); 13.04.2015, n. 4, cit.;
         z2) sull’interesse ad agire in giudizio (e, in particolare, sulla situazione giuridica attiva e sul vantaggio ricavabile dalla pronuncia di annullamento; sull’esame delle condizioni dell’azione nel processo amministrativo; sugli elementi costitutivi dell’interesse; sul rapporto tra c.d. interesse strumentale nel processo amministrativo e giusto processo ex art. 111 Cost.; sul rapporto tra giudicato implicito e condizione dell’azione), News US in data 13.03.2020 a Cons. Stato, Ad. plen., 20.02.2020, n. 6 (in Foro it., 2020, III, 289);
         z3) sull’accertamento della nullità del provvedimento amministrativo: Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 27.07.2012, n. 721 (in Guida al dir., 2012, 39, 90, con nota di GIUNTA);
         z4) sull’accertamento incidentale su questioni pregiudiziali relative a diritti soggettivi: Cons. Stato, sez. IV, 14.05.2014, n. 2484, in Urbanistica e appalti, 2014, 8-9, 985, con nota di PATRITO e PROTTO;
         z5) sull’accertamento giurisdizionale dell’illegittimità del silenzio della p.a.: Corte cost., 17.07.2002, n. 355, in Cons. Stato, 2002, II, 1108;
         z6) sul collegamento fra domanda e interesse ai fini risarcitori ex art. 34, comma 3 c.p.a., v. in dottrina G. CORSO, in Il processo amministrativo, a cura di QUARANTA–LOPILATO, Milano, 2011, 341; R. DE NICTOLIS, Codice del processo amministrativo, Milano, 2017, 757; S. VILLAMENA, in Diritto processuale amministrativo, a cura di CIRILLO–PERONGINI, Torino, 2020, 167 (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 13.07.2022 n. 8 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Deve rammentarsi che, operando all’interno di una condizione di contingibilità ed urgenza, le determinazioni dell’Ente (sia impositive, che confermative ovvero di diniego di revoca) sono da apprezzarsi nei consueti limiti che la giurisprudenza ha individuato quali condizioni per la legittimità dell’esercizio del potere.
Sul tema, si osserva che, ai sensi dell’art. 54, co. 4, TUEL, anche il riscontro di uno stato dei luoghi che potrebbe divenire potenzialmente pericoloso per l’incolumità pubblica può legittimare il ricorso al potere extra ordinem da parte del Sindaco: la potenzialità di un pericolo grave per l’incolumità pubblica è sufficiente a giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente, anche qualora essa sia nota da tempo o “si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi”.
Le ordinanze contingibili e urgenti sono infatti provvedimenti atipici volti ad assicurare elasticità di manovra all’Amministrazione nel prevenire il perpetrarsi di gravi danni all’incolumità pubblica, spesso irreparabili a posteriori, proprio come quelli che nel caso odierno potrebbero conseguire all’eventuale cedimento di porzioni del complesso immobiliare.
Deve altresì rammentarsi che condizione di legittimo utilizzo dei poteri di ordinanza ex art. 50 e 54 del d.lgs. 267/2000 è “l'esistenza di una situazione eccezionale e imprevedibile: tale presupposto, tuttavia, va interpretato nel senso che rileva non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell'urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall'imputabilità se del caso perfino all'Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere”.
Invero, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 del T.U.E.L. è “condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento”.
Inoltre, l’esercizio dei poteri extra ordinem va valutato, in caso di opposizione o impugnazione, secondo un criterio di proporzionalità ed adeguatezza, da una parte, tra la condizione di pericolo e la misura oggetto dell’ordine dell’Autorità; dall’altra tra quest’ultima ed il soggetto chiamato a provvedere che può anche non coincidere con il solo proprietario del bene, ma dev’essere individuato in base ad un criterio di effettività delle possibilità di intervento e sempre secondo ragionevolezza (come nel caso di specie, in cui l’ordine è rivolto a tutti i proprietari interessati, collettivamente).
---------------

... per l'annullamento
   del provvedimento prot. 502 dell’1.03.2022, emesso dal Sindaco del Comune di Varco Sabino in data 01.03.2017, comunicato o notificato agli odierni ricorrenti in pari data, con il quale veniva confermata la già adottata Ordinanza Sindacale Contingibile ed Urgente n. 32 del 04.11.2020
   di qualsiasi altro atto amministrativo presupposto (ed in particolare dell’Ordinanza Sindacale contingibile ed urgente n. 32 del 04.11.2020) e conseguente, comunque connesso e collegato con quello espressamente sopra indicato.
...
A fronte di tale contesto e della rimarcata sussistenza di un rischio derivante dal crollo vicendevole delle unità del complesso, il Comune correttamente evidenzia che nella propria Relazione il tecnico dei ricorrenti prospetta solo una astratta possibilità di operare una “valutazione per singole porzioni di edifico”, al fine di restituire la condizione di abitabilità, che, però, lo stesso Ing. Fi. non svolge in modo compiuto.
Deve rammentarsi che, operando all’interno di una condizione di contingibilità ed urgenza, le determinazioni dell’Ente (sia impositive, che confermative ovvero di diniego di revoca) sono da apprezzarsi nei consueti limiti che la giurisprudenza ha individuato quali condizioni per la legittimità dell’esercizio del potere.
Sul tema, si osserva che, ai sensi dell’art. 54, co. 4, TUEL, anche il riscontro di uno stato dei luoghi che potrebbe divenire potenzialmente pericoloso per l’incolumità pubblica può legittimare il ricorso al potere extra ordinem da parte del Sindaco: la potenzialità di un pericolo grave per l’incolumità pubblica è sufficiente a giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente, anche qualora essa sia nota da tempo o “si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi” (ex multis, TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 24/04/2019 n. 5237).
Le ordinanze contingibili e urgenti sono infatti provvedimenti atipici volti ad assicurare elasticità di manovra all’Amministrazione nel prevenire il perpetrarsi di gravi danni all’incolumità pubblica, spesso irreparabili a posteriori, proprio come quelli che nel caso odierno potrebbero conseguire all’eventuale cedimento di porzioni del complesso immobiliare.
Deve altresì rammentarsi che condizione di legittimo utilizzo dei poteri di ordinanza ex art. 50 e 54 del d.lgs. 267/2000 è “l'esistenza di una situazione eccezionale e imprevedibile: tale presupposto, tuttavia, va interpretato nel senso che rileva non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell'urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall'imputabilità se del caso perfino all'Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere” (TAR Roma, sez. II, 04/12/2019, n. 13898; cfr. anche TAR Napoli, sez. V, 01/06/2020, n. 2087, secondo cui la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 del T.U.E.L. è “condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento”).
Condizioni queste tutte pienamente riscontrabili nell’odierna fattispecie, tenuto anche conto che l’esercizio dei poteri extra ordinem va valutato, in caso di opposizione o impugnazione, secondo un criterio di proporzionalità ed adeguatezza, da una parte, tra la condizione di pericolo e la misura oggetto dell’ordine dell’Autorità; dall’altra tra quest’ultima ed il soggetto chiamato a provvedere che può anche non coincidere con il solo proprietario del bene, ma dev’essere individuato in base ad un criterio di effettività delle possibilità di intervento e sempre secondo ragionevolezza (come nel caso di specie, in cui l’ordine è rivolto a tutti i proprietari interessati, collettivamente).
Per queste ragioni, dunque, il ricorso è infondato e come tale va respinto, seppure con giuste ragioni per la piena compensazione delle spese di lite tra le parti
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 05.07.2022 n. 9156 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: In linea di principio, l'ordinanza contingibile e urgente è un provvedimento per sua natura finalizzato alla tutela di interessi generali o diffusi e comunque superindividuali e impersonali, talché è da escludere che nel caso di ricorso proposto per il suo annullamento siano configurabili soggetti controinteressati in senso tecnico nei confronti dei quali occorra a pena di inammissibilità instaurare il contraddittorio.
In ogni caso è ben nota e consolidata la giurisprudenza sulla cui base la identificazione del soggetto controinteressato rispetto al quale è prescritto l’onere di notifica del ricorso “a pena d’inammissibilità”, richiede la compresenza di due elementi:
   - il primo di carattere formale collegato all'identificazione diretta nel provvedimento, ed
   - il secondo di natura sostanziale riconducibile alla situazione giuridica dedotta in causa, di un soggetto recante una posizione simmetricamente opposta a quella di colui che agisce davanti al giudice amministrativo ovvero alla titolarità di una posizione qualificata alla conservazione dell’atto impugnato.
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Come noto, l'esercizio del potere sotteso all'emanazione di ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, siano esse adottate ai sensi dell'art. 50 (situazione di imminente pericolo per l'igiene e la salute pubblica) che dell'art. 54 d.lgs. n. 267 cit. (grave pericolo per l'incolumità pubblica), trova la propria legittimazione nell'esistenza di una situazione di eccezionalità -la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione- non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall'ordinamento, condizione, quest'ultima, unica in ragione della quale si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
In particolare, presupposti indefettibili delle ordinanze de quibus, infatti, sono costituiti:
   a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle legge.
Trattasi all’evidenza di strumenti atipici per quanto attiene al contenuto, condizionati unicamente ai presupposti previsti dalla legge per l'esercizio del potere di ordinanza, atteso che l'atipicità è conseguenza della funzione dell'istituto, considerato che le situazioni di urgenza concretamente verificabili non sono prevedibili a priori.
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... per l'annullamento dell’ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco del Comune di Montesilvano per motivi igienico sanitari -OMISSIS-;
...
1. Con ricorso iscritto al n. 327/2021 i ricorrenti impugnavano, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza sindacale contingibile ed urgente con cui il Sindaco del Comune di Montesilvano, all’esito della segnalazione del -OMISSIS- e del sopralluogo congiunto con la Polizia Municipale, e vista la comunicazione del Dipartimento Prevenzione A.u.s.l. di Pescara -OMISSIS-, disponeva lo sgombero dal cortile sottostante il Condominio -OMISSIS-, di un maiale vietnamita di circa 100 kg per violazione dell’art. 292 del regolamento di Igiene e Sanità adottato con -OMISSIS- con la sua delocalizzazione nel termine di giorni trenta, al fine di rimuovere lo stato di pericolo igienico sanitario e di una migliore tutela dell’igiene pubblica e privata.
...
2. Preliminarmente va respinta poiché infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Comune per omessa notifica al Condominio quale soggetto indicato come controinteressato menzionato nel provvedimento impugnato.
In linea di principio, l'ordinanza contingibile e urgente è un provvedimento per sua natura finalizzato alla tutela di interessi generali o diffusi e comunque superindividuali e impersonali, talché è da escludere che nel caso di ricorso proposto per il suo annullamento siano configurabili soggetti controinteressati in senso tecnico nei confronti dei quali occorra a pena di inammissibilità instaurare il contraddittorio.
In ogni caso è ben nota e consolidata la giurisprudenza sulla cui base la identificazione del soggetto controinteressato rispetto al quale è prescritto l’onere di notifica del ricorso “a pena d’inammissibilità”, richiede la compresenza di due elementi: il primo di carattere formale collegato all'identificazione diretta nel provvedimento, ed il secondo di natura sostanziale riconducibile alla situazione giuridica dedotta in causa, di un soggetto recante una posizione simmetricamente opposta a quella di colui che agisce davanti al giudice amministrativo ovvero alla titolarità di una posizione qualificata alla conservazione dell’atto impugnato (cfr. da ultimo, Cons. Stato, V, 21.01.2019, n. 495; 17.09.2018, n. 5420; 07.06.2017, n. 2723; IV, 12.04.2017, n. 1701; VI, 11.11.2016, n. 4676).
Nella specie, ferma restando l’inconfigurabilità di controinteressati rispetto ad una ordinanza contingibile ed urgente che sia stata adottata a tutela della salute pubblica e quindi a presidio e garanzia di una collettività indeterminata di soggetti, non si ravvisa in capo al Condominio la ricorrenza di alcuno degli elementi formale e sostanziale per poterlo qualificare come controinteressato.
Innanzitutto poiché il -OMISSIS- è menzionato nel provvedimento impugnato esclusivamente al fine di localizzare la sede del sopralluogo esperito il -OMISSIS- dal Dipartimento di Prevenzione dell’Ausl di Pescara, Servizio Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica.
Ed inoltre dal punto di vista sostanziale non vi è alcun elemento sulla cui base desumere che il Condominio rivesta un interesse specifico alla conservazione dell’atto impugnato non risultando menzionato nel provvedimento impugnato alcun atto formale e/o segnalazione proveniente dal suo amministratore p.t. e/o delibera di pertinenza dell’Assemblea condominiale che abbia dato luogo agli accertamenti posti a base dell’ordinanza impugnata.
L’eccezione va quindi disattesa.
3. Del pari infondato è il motivo formale con cui il ricorrente contesta l’illegittimità del provvedimento impugnato perché non notificato ad uno dei soggetti ivi indicati come destinatari e precisamente al ricorrente -OMISSIS-. Come noto, l’omessa notifica del provvedimento non costituisce un vizio idoneo ad incidere sulla legittimità dell’atto poiché appartiene ad un momento successivo alla sua adozione ossia alla fase integrativa dell’efficacia, che non si perfeziona fino a quando l’atto non sia portato a conoscenza dell’interessato nelle forme legali, e sotto tale profilo ha rilievo ai solo fini della decorrenza del termine decadenziale per poter proporre gravame.
Il motivo va quindi dichiarato infondato.
4. Il ricorso va accolto nel merito, non ravvisandosi la ricorrenza nella fattispecie dei presupposti che legittimavano l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente impugnata.
Come noto, l'esercizio del potere sotteso all'emanazione di ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, siano esse adottate ai sensi dell'art. 50 (situazione di imminente pericolo per l'igiene e la salute pubblica) che dell'art. 54 d.lgs. n. 267 cit. (grave pericolo per l'incolumità pubblica), trova la propria legittimazione nell'esistenza di una situazione di eccezionalità -la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione- non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall'ordinamento, condizione, quest'ultima, unica in ragione della quale si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
In particolare, presupposti indefettibili delle ordinanze de quibus, infatti, sono costituiti:
   a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle legge (Tar Campania, Napoli, sez. V, 24.03.2017 n. 621, 09.11.2016 n. 5162 e 17.02.2016 n. 860; Tar Puglia, Lecce, sez. I, 12.01.2016 n. 69; Cons. di St., sez. V, 26.07.2016 n. 3369).
Trattasi all’evidenza di strumenti atipici per quanto attiene al contenuto, condizionati unicamente ai presupposti previsti dalla legge per l'esercizio del potere di ordinanza, atteso che l'atipicità è conseguenza della funzione dell'istituto, considerato che le situazioni di urgenza concretamente verificabili non sono prevedibili a priori (Tar Veneto, Venezia, sez. I, 21.09.2016 n. 1055).
4.1 Orbene, nel caso all'esame, come anticipato nella sede cautelare, lo stato di pericolo igienico-sanitario posto a base del provvedimento impugnato non risulta riscontrabile nella presupposta relazione del Dipartimento di Prevenzione dell’Ausl di Pescara -OMISSIS- da cui risultava, piuttosto, che, all’esito dei sopralluoghi effettuati non erano stati avvertiti odori molesti e che le condizioni igieniche erano buone, né erano stati rilevati liquami sversati sul suolo che al contrario venivano regolarmente asportati con segatura assorbente.
Del pari risulta fondato il vizio di difetto di istruttoria laddove l’amministrazione intimata nell’intervenire in una situazione in cui era necessario adottare misure che incidevano sulla detenzione e sulla convivenza con un animale asseritamente domestico, non si è curata di sollecitare la partecipazione al procedimento del competente Servizio Veterinario dell’A.sl. tramite il quale sarebbe stato possibile accertare l’effettiva riconducibilità del maiale vietnamita alla categoria degli animali domestici da compagnia, le reali dimensioni dell’animale, e la compatibilità delle sue condizioni esistenziali con il contesto ambientale circostante nonché l’idoneità e l’adeguatezza delle misure igieniche predisposte dai proprietari rispetto all’habitat di inserimento, o di quelle suggerite impropriamente dalla stessa Asl asseritamente a tutela dell’igiene e del decoro dell’abitato.
Peraltro, sul punto parte ricorrente ha allegato agli atti la nota -OMISSIS- del Servizio Veterinario dell’A.s.l. in cui viene dato atto che il Servizio medesimo non era stato coinvolto nel procedimento culminato nell’adozione della gravata ordinanza, con la precisazione che il suino in questione era stato ripetutamente controllato senza mai riscontrare condizioni igieniche precarie o presenza di odori molesti.
L’ordinanza gravata risulta affetta quindi da contraddittorietà laddove pur dando atto dell’assenza di odori molesti o sversamenti di liquami riconducibili all’animale detenuto dai ricorrenti, sanziona l’inosservanza della pregressa prescrizione relativa alla cementificazione dell’area, sulla base di un presunto e non dimostrato stato di pericolo igienico-sanitario al fine della migliore tutela dell’igiene pubblica e privata.
Il provvedimento gravato, non si fonda sull'esistenza concreta di “gravi pericoli” incombenti, di dimensioni tali da costituire una concreta ed effettiva minaccia per l'incolumità dell’igiene pubblica, non fronteggiabile con mezzi ordinari. In particolare non è rinvenibile dagli atti di causa alcuna delle situazioni di eccezionalità ed imprevedibilità che porti a far temere emergenze igienico sanitarie o pericoli per la pubblica incolumità.
L’ordinanza risulta quindi frutto di sviamento in quanto utilizzata come strumento improprio per sanzionare l’inottemperanza da parte dei ricorrenti alla prescrizione di realizzare un suolo di cemento per garantire una maggiore pulizia e disinfezione della zona, pur dando atto che le deiezioni dell’animale erano adeguatamente assorbite ed asportate tramite opportuna segatura.
Del pari improprio è il riferimento alla violazione dell’art. 292 del regolamento comunale che è norma dettata all’evidenza per gli animali d’allevamento domestico che siano detenuti in stalle, ovili porcili o pollai, senza che l’amministrazione si sia preventivamente attivata tramite le autorità competenti ed attraverso le verifiche anagrafiche del caso per accertare la non riconducibilità del maiale di razza vietnamita detenuto dai ricorrenti agli “animali da compagnia” e la sua ascrivibilità a quelli destinati all’allevamento.
Va quindi ritenuta l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per eccesso di potere nella figura sintomatica del difetto di istruttoria e dell'insufficienza e perplessità della motivazione relativamente ai presupposti di legge (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 02.07.2022 n. 291 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2022

ATTI AMMINISTRATIVI: Il silenzio-assenso ex art. 17-bis l. 241/1990 si forma soltanto se la richiesta della P.A. procedente è accompagnata dallo schema di provvedimento e dalla relativa documentazione.
Invero, l’art 17-bis l. 241 1990 impone che alla richiesta di manifestazione del nulla osta sia allegato lo schema di provvedimento e la relativa documentazione.
Risulta evidente che, nel sistema delineato dall’art. 17-bis della legge n. 241/1990, un “tacito assenso” può formarsi solo alla tassativa condizione che l’Amministrazione coinvolta abbia piena e completa cognizione del tipo di provvedimento che si intende assumere (da qui la necessità di fornire lo schema di provvedimento e la relativa documentazione).
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Il Comune di Angolo Terme confina con il Comune di Castione della Presolana.
Il territorio di Castione della Presolana è interessato dal passaggio della strada denominata Via Monte Pora, una parte della quale insiste in località Colle Vareno, che si trova sul territorio di Angolo Terme, rappresentandone, tra l’altro, l’unico accesso.
Con comunicazione del 19.08.2020 il Comune di Castione della Presolana ha chiesto al Comune di Angolo Terme il rilascio di nulla osta per l’istituzione di una zona a traffico limitato (ZTL) sulla Via Monte Pora; alla comunicazione non era allegato uno schema di provvedimento.
Il Comune di Angolo Terme non ha dato seguito alla richiesta di nulla osta.
Ciononostante, la Giunta comunale di Castione della Presolana, con la deliberazione n. 93 del 20.11.2020, ha istituito la menzionata ZTL dando atto che il nulla osta del Comune di Angolo Terme deve intendersi acquisito, alla luce della nuovo formulazione dell’art. 17-bis della L. 241/1990, come modificato dal D.L. 76/2020.
Tale provvedimento è stato impugnato dal Comune di Angolo Terme il quale lamenta:
   1) la “Violazione artt. 6 e 7 Codice della strada D.Lgs. n. 285/1992”, che, secondo il ricorrente, non consentirebbero l’istituzione di una ZTL al di fuori del centro abitato;
   2) la “Violazione art. 7 Codice della strada D.Lgs. n. 285/1992; eccesso di potere per violazione delle Linee Guida sulla regolamentazione della circolazione stradale nelle zone a traffico limitato; illogicità manifesta, difetto di presupposti, falsità e carenza di motivazione. Sviamento”, con cui, sintetizzando, il ricorrente fa valere lo sviamento di potere in cui sarebbe incorso il Comune e derivante dal fatto che quest’ultimo avrebbe agito, non per garantire la sicurezza della circolazione, la salute, l’ordine pubblico, il patrimonio ambientale e culturale, ma per scoraggiare l’accesso dei turisti;
   3) la “Violazione art. 7 Codice della strada D.Lgs. n. 285/1992; violazione art. 17-bis legge n. 241/1990; eccesso di potere per violazione delle Linee Guida sulla regolamentazione della circolazione stradale nelle zone a traffico limitato; difetto di presupposti e falsità della motivazione”, con cui in estrema sintesi sottolinea la mancanza dei presupposti per la formazione del silenzio assenso sull’istanza di nulla osta avanzata dal Comune resistente.
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Il ricorso è fondato sotto l’assorbente profilo indicato al terzo motivo del ricorso.
Invero, l’art 17-bis l. 241 1990 impone che alla richiesta di manifestazione del nulla osta sia allegato lo schema di provvedimento e la relativa documentazione.
Risulta evidente che, nel sistema delineato dall’art. 17-bis della legge n. 241/1990, un “tacito assenso” può formarsi solo alla tassativa condizione che l’Amministrazione coinvolta abbia piena e completa cognizione del tipo di provvedimento che si intende assumere (da qui la necessità di fornire lo schema di provvedimento e la relativa documentazione).
Per le esposte considerazioni, in accoglimento del terzo motivo di ricorso e con assorbimento dei restanti motivi di gravame, il ricorso va accolto, con consegue l’annullamento dell’atto impugnato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 24.06.2022 n. 635 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICAErrore scusabile dovuto a incertezza normativa e a contrasti giudiziari, esclusa la responsabilità della PA.
Il risarcimento del danno non è conseguenza automatica dell'annullamento dell'atto amministrativo illegittimo in sede giurisdizionale, ma presuppone l'accertamento della colpa dell'ente pubblico nell'ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità.
Ne deriva che non c'è responsabilità della Pa quando l'indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la presenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per l'oggettiva complessità della situazione di fatto.

È quanto ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 14.06.2022 n. 4830.
La pronuncia è meritevole di interesse, perché Palazzo Spada, in riforma della sentenza impugnata, ha escluso la responsabilità di un Comune verso i terzi per non aver dato corso al varo di un piano di lottizzazione adottato dalla giunta, ma in seguito non approvato dal consiglio comunale.
Il caso
Nello specifico, il Comune ha impugnato la sentenza con la quale il Tar Veneto, accogliendo i ricorsi proposti da alcune società titolari di immobili, aveva condannato l'ente al risarcimento del danno a causa di una condotta illegittima, nonché contraria ai principi di imparzialità e di buon andamento.
A seguito della mancata approvazione del piano di lottizzazione, perché le delibere a più riprese adottate dal consiglio comunale erano state annullate in sede giudiziale, il Comune aveva approvato un nuovo strumento urbanistico generale con cui veniva stralciata la volumetria residenziale in precedenza prevista per il piano predisposto dalle società ricorrenti.
La sentenza di primo grado aveva accolto il ricorso di queste ultime, dacché il Tar Veneto aveva ritenuto che la mancata approvazione del piano non fosse dovuta a ragioni di carattere urbanistico, ma alla sopravvenuta contrarietà da parte del Comune rispetto alle precedenti scelte di pianificazione e, dunque, a un mutamento degli orientamenti politici al riguardo.
L'errore scusabile
Di contro, il Consiglio di Stato ha addebitato al Comune un errore scusabile, dovuto sia alla complessità della vicenda, sia al fatto che l'ente, pur avendo tentato di approvare il piano urbanistico in Consiglio comunale, non ha potuto concludere l'iter prescritto a causa di pronunce giudiziali contrastanti, che alla fine hanno annullato le delibere consiliari.
Palazzo Spada ha osservato che l'errore scusabile della Pa viene in rilievo a fronte dell'esercizio di un potere discrezionale –nel caso di specie riferito a complessi elementi di pianificazione urbanistica attuativa e ai rapporti di questa con la pianificazione generale– e in presenza di pronunce giurisdizionali contrastanti sulla legittimità o meno dell'atto amministrativo, posto che la sussistenza di orientamenti interpretativi discordi esclude la colpa grave in capo all'amministrazione.
Per quanto riguarda, infine, l'adozione di un nuovo strumento urbanistico generale con cui veniva stralciata la volumetria residenziale in precedenza prevista per il piano di lottizzazione non approvato, la Sezione ha asserito che il Comune è libero di procedere, sotto il profilo urbanistico, a una nuova pianificazione del territorio, anche mutando destinazioni già impresse, purché ciò avvenga nel rispetto delle regole procedimentali e sulla base di motivazioni ispirate a ragioni di pubblico interesse (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 30.06.2022).
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SENTENZA
5. L’appello del Comune di Asiago è fondato e deve essere, pertanto, accolto.
5.1. Nel presente giudizio è stata proposta una domanda di risarcimento dei danni derivanti da provvedimento amministrativo illegittimo, ai sensi dell’art. 30, comma 5, c.p.a., conseguente al passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato il provvedimento.
La domanda deve essere, dunque, ricondotta alla responsabilità extracontrattuale ed ai principi enunciati dalla giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. la sentenza n. 7 del 2021), con la conseguenza che devono risultare sussistenti tutti gli elementi costitutivi della responsabilità, non costituendo il risarcimento una conseguenza automatica dell'annullamento in sede giurisdizionale dell'atto amministrativo illegittimo.
Nel caso di domande risarcitorie, non soccorre, infatti, il metodo acquisitivo, essendo la disciplina dell’onere della prova integralmente soggetta all’art. 2697 c.c. (Consiglio di Stato, Sez. V, 24.05.2017, n. 2446; Sez. III, 09.04.2021, n. 2899 Sez. IV, 27.04.2021, n. 3398; Sez. II, 01.09.2021, n. 6169) quanto agli elementi posti a base della pretesa (nesso di causalità, entità del danno), mentre –con specifico riferimento alla sussistenza in sé dell’elemento soggettivo della colpa, cioè della rimproverabilità- ai fini della configurazione dell’illecito aquiliano non si può ravvisare alcun automatismo per il fatto che vi è stato l’annullamento dell’atto.
Orbene, ai fini dell'accertamento della responsabilità, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 04.02.2020 n. 909, sez. IV, 07.11.2019, n. 7602; id., 17.05.2019, n. 3191; sez. III, 08.05.2018, n. 2724), dal quale non ravvisa motivo per discostarsi, secondo il quale la responsabilità risarcitoria non può prescindere dalla ravvisabilità (in disparte la verifica di sussistenza degli altri elementi) della colpa in capo all'Amministrazione.
Invero, ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l'illegittimità del provvedimento amministrativo –che pure costituisce indice della (possibile) colpa dell’amministrazione- di per sé non costituisce riscontro della colpevolezza - rimproverabilità dell’Amministrazione, dovendo accordarsi rilievo anche ad altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'amministrazione; con specifico riferimento all'elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione.
Pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 06.09.2018, n. 5228).
Per la configurabilità della colpa dell'Amministrazione, in altri termini, occorre avere riguardo al carattere della regola di azione violata: se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all'Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità.
E, infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell'Amministrazione potrà essere affermata nei soli casi in cui l'azione amministrativa abbia disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della dell'imparzialità e del buon andamento, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell'errore scusabile (cfr. Cons. Stato Sez. III, 24.05.2018, n. 3131; id. 16.05.2018, n. 2921).
5.2. Il Collegio ritiene che il caso oggetto del presente giudizio rientri tra quelli nei quali non è dato ravvisare la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, proprio in ragione del fatto che è rinvenibile l’errore scusabile dell’amministrazione, dovuto sia alla complessità della vicenda, sia ai diversi avvisi espressi in sede giurisdizionale.
Come ha osservato la stessa sentenza impugnata, questo Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4368/2008 (di conferma della sentenza di annullamento della prima delibera del Consiglio comunale n. 59/2007, di rigetto del PdL), aveva rilevato che “in linea di principio, vanno invece ritenute condivisibili le deduzioni del Comune appellante circa la sussistenza del potere del consiglio comunale di valutare la sufficienza della viabilità nell’area oggetto del progetto, in rapporto all’area più vasta in cui la sua realizzazione si va ad inserire”.
Successivamente (in occasione della riforma della sentenza del TAR Veneto 30.09.2009, n. 2686, di rigetto del ricorso proposto avverso la delibera del consiglio comunale n. 44/2008, di secondo rigetto dell’istanza di approvazione del P.d.L.), il Consiglio di Stato, giudicando della legittimità della medesima riferita (anche), ai fini di giustificare il rigetto del piano, ad aspetti di insufficienza della viabilità, ha affermato: “Ritiene la Sezione che la propria precedente decisione n. 4368 del 16.09.2008 abbia già sufficientemente individuato i limiti decisionali che regolamentano l’approvazione dei piani di lottizzazione, quando ha affermato che “la giunta ed il consiglio comunale non possono effettuare valutazioni che contrastino con quelle già formalizzate con il piano regolatore. Infatti, se un’area è stata da questo destinata all’edificazione, nel corso del procedimento di approvazione del piano attuativo non è giuridicamente possibile che la medesima area non vada considerata in concreto edificabile ‘per ragioni ambientali e paesaggistiche’, e cioè sulla base di valutazioni diametralmente opposte a quelle già poste a base dello strumento primario che ha previsto l’edificabilità sul piano urbanistico. Ove emergano le relative ragioni, può essere attivato il procedimento per la modifica del piano regolatore, ma –sul piano urbanistico- non può essere respinto il progetto di lottizzazione conforme allo strumento primario”...
Tali ragioni hanno quindi spinto la Sezione ad affermare che il compito spettante alla giunta ed al consiglio comunale siano limitati all’accertamento della conformità del progetto alle previsioni dello strumento urbanistico primario, imponendo peraltro, giusta il canone ordinario di correttezza dell’azione amministrativa, che le relative determinazioni in merito all’eventuale non conformità del progetto al piano regolatore si basino su una puntuale motivazione, tale da permettere l’emersione di interessi pubblici effettivamente sussistenti e la conseguente tutela dell’interessato in sede di giustizia amministrativa.
In questo senso, nessun elemento ulteriore può provenire dalla decisione n. 4368 del 2008, evocata a vario titolo da tutte le parti, atteso che nella detta sentenza non sono stati valutati gli aspetti della viabilità, in quanto introdotti successivamente al provvedimento allora gravato e quindi integranti una motivazione postuma dello stesso. Le affermazioni ivi contenute hanno quindi natura di obiter dictum, sebbene incidentalmente, non si possa non notare come la Sezione abbia suffragato “la sussistenza del potere del consiglio comunale di valutare la sufficienza della viabilità nell’area oggetto del progetto, in rapporto all’area più vasta in cui la sua realizzazione si va ad inserire”, ossia limitando il sindacato alla viabilità interna al piano da realizzare”.
Orbene, nel pieno rispetto della sentenza n. 4395/2011 ora (parzialmente) riportata e delle ragioni che hanno sorretto l’annullamento della delibera del Consiglio comunale n. 44/2008, risulta tuttavia evidente, sotto il diverso profilo della individuazione della sussistenza (o meno) dell’elemento soggettivo della colpa, che vi sono proprio le condizioni alle quali la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato allega l’errore scusabile dell’amministrazione, e precisamente:
   - la sussistenza dell’esercizio di un potere discrezionale, nel caso di specie riferito a complessi elementi di pianificazione urbanistica attuativa ed ai rapporti di questa con la pianificazione generale;
   - la presenza di pronunce giurisdizionali di segno contrastante sulla legittimità (o meno) del medesimo atto amministrativo, giudicato legittimo dal giudice di primo grado ed invece annullato in sede di appello dal Consiglio di Stato, il che rende di per sé evidente la sussistenza di orientamenti interpretativi non univoci, senza che ciò ridondi in termini di colpa in capo all’amministrazione (non potendo essere qualificato come elemento di per sé comportante la rimproverabilità la sussistenza di un profilo di eccesso di potere);
   - la presenza in sentenza (la n. 4368/2008 del Consiglio di Stato) di una affermazione che, pur senza costituire validazione ex ante dell’esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione comunale (in quanto mero obiter, come successivamente definito), ha potuto tuttavia ingenerare nella stessa la convinzione di poter legittimamente valutare, in sede di esame dello strumento urbanistico attuativo, gli aspetti connessi alla viabilità (come affermato dalla sentenza n. 4368/2008: “valutare la sufficienza della viabilità nell’area oggetto del progetto in rapporto all’area più vasta in cui la sua realizzazione si va ad inserire”, e ciò ritenendo condivisibili “le deduzioni del comune appellante”).
Alla luce di quanto esposto, risulta condivisibile quanto affermato dall’appellante Amministrazione, laddove sottolinea (pag. 17 app.), in ordine alla contraddittorietà della sentenza di primo grado, che questa per un verso presume “che l’amministrazione comunale si trovasse ad assumere le proprie scelte in una situazione in cui il quadro fattuale e giuridico “appare, obiettivamente, chiaro”, mentre, per altro verso, “è la stessa sentenza impugnata che fa derivare la chiarezza del quadro di riferimento dalle successive sentenze del Consiglio di Stato nel 2011”.
D’altra parte, come ancora l’appellante sottolinea, l’aspetto della viabilità -quale elemento ostativo all’approvazione del P.d.L.- era stato positivamente valutato dallo stesso giudice di primo grado; e ciò a riscontro del quadro di obiettiva complessità della materia e di incertezza in ordine alle determinazioni da assumere con l’esercizio del potere discrezionale.
In tale contesto, non assumono rilievo le considerazioni delle società ricorrenti in primo grado circa la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa in quanto “confermata dalle successive scelte urbanistiche di pianificazione generale per l’ambito territoriale all’interno del quale si collocava il PUA Colonie” (v. pagg. 23–25 memoria del 30.10. 2021).
Ciò in quanto risulta del tutto evidente –impregiudicata ogni valutazione in ordine alla legittimità del nuovo strumento urbanistico generale del Comune di Asiago, tematica estranea al presente giudizio- come l’amministrazione comunale ben possa procedere, in sede di adozione di un nuovo strumento urbanistico generale ovvero di varianti al PRG vigente, ad una nuova pianificazione del territorio, anche mutando destinazioni già impresse, purché ciò avvenga nel rispetto delle regole procedimentali e sulla base di congrua motivazione.
6. Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello dell’Amministrazione deve essere accolto in relazione al primo motivo proposto (sub lett. a) dell’esposizione in fatto), il che, determinando il rigetto integrale del ricorso di primo grado in riforma della sentenza impugnata, rende superfluo l’esame del secondo motivo di impugnazione.
Pertanto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettata la domanda di risarcimento del danno proposta dalle società indicate in epigrafe con il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado, attesa l’insussistenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo al Comune di Asiago.
L’accoglimento dell’appello del Comune di Asiago rende improcedibile l’appello proposto dalle società indicate in epigrafe, posto che con i motivi con lo stesso proposti si contestano aspetti relativi alla determinazione del quantum del risarcimento, in questa sede negato nell’an (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.06.2022 n. 4830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILe FAQ -Frequently Asked Questions- “non costituiscono un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis”.
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Sul punto, inoltre, tra le FAQ -Frequently Asked Questions- pubblicate sul sito internet sia del Ministero della Cultura sia della Regione Abruzzo figura proprio il quesito, avente ad oggetto l’ammissibilità di interventi su immobili privati di cui la P.A. abbia la disponibilità.
Sulla valenza della risposta alle FAQ, il Consiglio di Stato ha chiarito che esse “non costituiscono un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis” (Cons. Stato, Sez. IV, n. 341/2013; Cons. Stato, Sez. III, n. 290/2014) (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 10.06.2022 n. 245 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il provvedimento illegittimo genera la presunzione di colpa della PA, salvo prova contraria.
L'illegittimità del provvedimento non coincide automaticamente con la colpa della Pubblica amministrazione, ma rappresenta un indice presuntivo, ovvero un indizio grave, preciso e concordante con gli altri elementi, idoneo a fondare una presunzione semplice di colpa, di modo che in assenza di prova contraria deve escludersi l'errore scusabile e la colpa della Pa deve ritenersi provata.
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Tali censure risultano solo in parte meritevoli di accoglimento e devono condurre ad una parziale riforma della sentenza appellata nei seguenti termini.
Occorre, in verità, riconoscere che correttamente il TAR ha ritenuto fondata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale avanzata dalla originaria ricorrente odierna appellata, assimilando l’ipotesi in questione al caso, per molti versi analogo, della omessa o ritardata assunzione per comportamento dell'amministrazione riconosciuto come illegittimo.
La suddetta domanda è configurata come domanda risarcitoria e trova sostegno nella verifica della ricorrenza nel caso de quo dei relativi presupposti e condizioni necessari all'accoglimento.
La vicenda già descritta, caratterizzata, come detto, dall’illegittima esclusione dell’interessata dalla procedura di abilitazione per insegnanti di scuola materna e dalla successiva graduatoria dalla quale l’Amministrazione ha attinto nel corso degli anni sia per i contratti a tempo determinato, sia per le immissioni in ruolo e dalla successiva reiscrizione dell’appellata nell’elenco, solo, però, dopo oltre 12 anni, ha determinato, infatti, sicuramente l'insorgenza di un danno ingiusto.
Deve ritenersi, altresì, integrato il presupposto soggettivo della responsabilità dell’Amministrazione, tenuto conto che l'illegittimità del provvedimento, pur non coincidendo con la colpa, rappresenta, tuttavia, un indice presuntivo, ovvero un indizio grave, preciso e concordante con gli altri elementi, idoneo a fondare una presunzione semplice di colpa, cosicché, in assenza di prova contraria da parte del Ministero appellante, che aveva l'onere di allegare circostanze da cui desumere la scusabilità dell'errore, la colpa dell'amministrazione deve, pertanto, ritenersi provata (ex multis, Cons. St., sez. VI, 16.07.2015, n. 3551).
Pienamente sussistente, al contrario di quanto affermato dal Ministero appellante nel suo gravame, è, poi, anche il nesso causale, posto che solo a causa dell'illegittima esclusione dall’elenco è stato impedito per anni all’appellata di essere chiamata per incarichi di insegnamento a tempo determinato, di percepire la relativa remunerazione e di essere immessa addirittura in ruolo, come avvenuto per i colleghi che la seguivano nella graduatoria
Passando alla liquidazione del danno, deve precisarsi, come del resto riconosciuto anche dai giudici di prime cure, che l'obbligo di retribuzione della prestazione lavorativa sorge solo con il perfezionamento degli atti costitutivi del rapporto di impiego ed in presenza dell'effettivo svolgimento della prestazione. In assenza del provvedimento costitutivo del rapporto di lavoro e dei conseguenti adempimenti contabili per il pagamento degli assegni con carattere di fissità, nessuna pretesa può essere validamente avanzata per la remunerazione di prestazioni non rese. Infatti, la "restitutio in integrum" agli effetti economici spetta al pubblico dipendente soltanto nei casi in cui vi sia stata una sentenza che accerti l'illegittima interruzione di un rapporto di lavoro già in atto e non anche nell'ipotesi in cui il giudicato accerti l'illegittimità del diniego di costituzione di tale rapporto (cfr., ex multis, Cons. St., sez.VI, 20.05.2021 n. 3907).
Pertanto, il danno non può mai essere pari all'integrale ammontare del trattamento economico e previdenziale non goduto nel periodo intercorrente tra la data in cui la ricorrente avrebbe dovuto essere chiamata a prestare servizio e quella di effettiva costituzione del rapporto, per effetto di una virtuale ricostruzione della posizione economica.
Come già affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. V, 30.06.2011, n. 3934), in sede di quantificazione per equivalente del pregiudizio patito dal ricorrente in ipotesi di omessa o ritardata assunzione per illegittima esclusione da un pubblico concorso, il danno non si identifica in astratto nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione (elementi che possono rilevare soltanto sotto il profilo della responsabilità contrattuale), occorrendo, invece, caso per caso, individuare l'entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita dell'amministrazione alla stregua dell'art. 1223 cod. civ..
Quanto ai pregiudizi patrimoniali, residua certamente un danno da mancato guadagno, che ha solo come base di calcolo l'ammontare del trattamento economico netto non goduto (ossia con esclusione di ogni voce retributiva diversa e ulteriore allo stipendio tabellare, in quanto tali voci sono comunque correlate, direttamente o almeno indirettamente, allo svolgimento di quell'attività lavorativa che di fatto non c'è stata), decorrente dalla data in cui l'appellante avrebbe dovuto essere immessa in servizio, e che, non identificandosi con esso, deve essere sottoposto ad una percentuale di abbattimento in considerazione del fatto che la danneggiata ha comunque potuto dirottare le sue energie lavorative in altre occasioni, anche solo potenziali, di guadagno e ha potuto risparmiare, nel contempo, le energie fisico-psichiche che il lavoro, che le è stato illegittimamente negato dall'amministrazione resistente, avrebbe comunque implicato. Tale percentuale di abbattimento non può che essere quantificata equitativamente ai sensi dell'art. 1226, cod. civ. (Consiglio di Stato, Sez. VII, sentenza 08.06.2022 n. 4674) - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ai sensi dell'art. 7, comma 1, della legge n. 241/1990, i provvedimenti di necessità e urgenza non devono di norma essere preceduti dall'avviso dell'avvio del procedimento, in quanto incompatibile con l'esigenza di agire celermente insita in tale tipologia di atti amministrativi, attesa la logica sovra-ordinazione della tutela immediata dell'incolumità pubblica sull'interesse del soggetto inciso dall'atto autoritativo.
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L'atto impugnato è stato adottato dal Sindaco nell'esercizio del potere di salvaguardia e tutela della collettività e, pertanto, risulta senza dubbio qualificabile come provvedimento contingibile e urgente ai sensi dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, essendo volto a prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciavano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
Né rileva l'omessa comunicazione preventiva al Prefetto, in quanto tale adempimento ha soltanto finalità organizzative, sicché la sua omissione non condiziona la validità e l'efficacia dell'ordinanza contingibile e urgente.
Le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti a contenuto atipico, espressione di un potere extra ordinem e con capacità di derogare temporaneamente a norme dispositive di legge. Secondo l'elaborazione pretoria, la possibilità di incisione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge impone il rispetto di precisi presupposti, vale a dire:
   i) un pericolo imminente ed irreparabile per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
   ii) l'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   iii) l'indicazione del limite temporale di efficacia;
   iv) la proporzionalità del provvedimento.
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La situazione di pericolo incombente per la pubblica incolumità è tale anche allorquando sia nota da tempo e si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione medesima.
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È certamente vero che l'uso di mezzi diversi dagli ordinari strumenti d'intervento è consentito solo per un arco temporale limitato alla situazione contingente e non può protrarsi sine die. Tuttavia il requisito della temporaneità delle prescrizioni non esclude affatto che i rimedi da adottare possano produrre effetti definitivi, dipendendo ciò dal tipo di rischio fronteggiato che, nella specie, rendeva improcrastinabile il rifacimento dei setti murari per la parte di competenza della ricorrente.
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1.- Con ricorso ritualmente notificato in data 28.03.2019 e depositato il successivo 15 aprile, -OMISSIS- ha domandato l’annullamento, previa sospensione, dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 31 del 13.02.2019, notificata in pari data, con cui il resistente Comune le aveva ordinato, in qualità di proprietaria della muratura di contenimento posta lungo la via -OMISSIS-, di provvedere ad horas all’eliminazione del pericolo incombente e al rifacimento dell’intera muratura, da eseguirsi nel rispetto delle tipologie costruttive e strutturali consentite dalle norme vigenti.
...
2.- In limine, dev’essere respinta la seconda delle articolate censure con cui la ricorrente ha sostenuto l’incompetenza del Sindaco circa l’adozione dell’impugnata ordinanza, rientrando tale atto nella sfera di attribuzioni del Prefetto.
La predetta censura -da esaminarsi prioritariamente poiché la censura di incompetenza, per il suo carattere radicale e assorbente, non ammette di essere graduata dalla parte e va scrutinata per prima in quanto, ove sussista effettivamente il vizio denunciato, il giudice amministrativo non potrà esaminare le altre questioni per non incidere sull'esercizio dei poteri dell'organo competente (Cons. St., ad. plen., 27.04.2015, n. 5)– confligge con la portata precettiva dell’art. 30 D.lgs. n. 285/1992, rubricato “fabbricati, muri e opere di sostegno”, secondo cui: "1. I fabbricati ed i muri di qualunque genere fronteggianti le strade devono essere conservati in modo da non compromettere l'incolumità pubblica e da non arrecare danno alle strade ed alle relative pertinenze. 2. Salvi i provvedimenti che nei casi contingibili ed urgenti possono essere adottati dal sindaco a tutela della pubblica incolumità, il prefetto sentito l'ente proprietario o concessionario, può ordinare la demolizione o il consolidamento a spese dello stesso proprietario dei fabbricati e dei muri che minacciano rovina se il proprietario, nonostante la diffida, non abbia provveduto a compiere le opere necessarie”.
L'interpretazione letterale e logico-funzionale del testo normativo ne impone la scomposizione in due momenti distinti: in prima battuta è prevista la possibilità per il Sindaco di adottare i provvedimenti contingibili ed urgenti di intervento su muri o fabbricati fronteggianti la strada e ritenuti necessari nell'immediato a tutela della pubblica incolumità; successivamente, è prevista la possibilità per il Prefetto di ordinare al privato, inadempiente rispetto alla diffida, le opere definitive di consolidamento o demolizione dei fabbricati e dei muri che minacciano rovina.
Sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte appare evidente l'infondatezza del motivo di gravame in esame, con cui parte ricorrente lamenta l'incompetenza del Comune ad adottare provvedimenti che spetterebbero al Prefetto. Infatti, coerentemente al disposto normativo in esame, nel caso de quo il provvedimento comunale impugnato, dopo aver ordinato in via d'urgenza al privato proprietario del terreno confinante con la strada l'immediata realizzazione degli interventi necessari per la tutela della pubblica incolumità, ha avvertito della possibilità, prevista dalla stessa norma attributiva del potere, del connesso e successivo possibile intervento prefettizio (TAR Liguria, sez. I, 18/11/2013, n. 1386).
Non coglie nel segno neppure l’argomentazione difensiva volta a stigmatizzare il vizio procedimentale in cui sarebbe incorsa la civica amministrazione, essendo all’uopo sufficiente rammentare il più che costante orientamento giurisprudenziale, univoco nell’affermare che, ai sensi dell'art. 7, comma 1, della legge n. 241/1990, i provvedimenti di necessità e urgenza non devono di norma essere preceduti dall'avviso dell'avvio del procedimento, in quanto incompatibile con l'esigenza di agire celermente insita in tale tipologia di atti amministrativi, attesa la logica sovra-ordinazione della tutela immediata dell'incolumità pubblica sull'interesse del soggetto inciso dall'atto autoritativo (in tal senso cfr., ex multis, Cons. St., sez. II, 04.01.2021, n. 94; Cons. St., sez. I, parere n. 2173 in data 10.09.2018; Cons. St., sez. V, 01.12.2014, n. 5919; TAR Campania, Napoli, sez. V, 10.11.2021, n. 7156; TAR Liguria, sez. I, 09.04.2021, n. 310; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 04.11.2020, n. 2063; TAR Liguria, sez. I, 18.11.2016, n. 1137).
3.- Infondato è anche il primo motivo di doglianza con cui la ricorrente ha censurato l’impugnata ordinanza in ragione sia dell’asserita adozione in assenza dei necessari presupposti di fatto oggetto di un compiuto accertamento, sia della violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, atteso che l’ordine impartito non si era limitato ad ingiungere la sola rimozione dello stato di pericolo, richiedendo l’altresì il rifacimento dell’intero muro oggetto del rilevato dissesto.
L'atto impugnato è stato adottato dal Sindaco nell'esercizio del potere di salvaguardia e tutela della collettività e, pertanto, risulta senza dubbio qualificabile come provvedimento contingibile e urgente ai sensi dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, essendo volto a prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciavano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Né rileva l'omessa comunicazione preventiva al Prefetto, in quanto tale adempimento ha soltanto finalità organizzative, sicché la sua omissione non condiziona la validità e l'efficacia dell'ordinanza contingibile e urgente (cfr., ex aliis, TAR Liguria, sez. I, 26.08.2019, n. 704; TAR Campania, Napoli, sez. V, 03.03.2015, n. 1367; TAR Campania, Salerno, sez. II, 23.01.2014, n. 227).
Le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti a contenuto atipico, espressione di un potere extra ordinem e con capacità di derogare temporaneamente a norme dispositive di legge. Secondo l'elaborazione pretoria, la possibilità di incisione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge impone il rispetto di precisi presupposti, vale a dire:
   i) un pericolo imminente ed irreparabile per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (contingibilità);
   ii) l'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   iii) l'indicazione del limite temporale di efficacia;
   iv) la proporzionalità del provvedimento (in argomento cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. I, parere n. 830 in data 04.05.2021; TAR Liguria, sez. I, 22.03.2021, n. 249).
Alla stregua delle tracciate coordinate ermeneutiche, ritiene il Collegio che nel caso in esame sussistano tutti i presupposti oggettivi per l'esercizio del potere sindacale extra ordinem.
Innanzitutto, dall'accertamento svolto dal personale tecnico della Protezione Civile in data 06.02.2019, su sollecitazione della stessa ricorrente, era emerso che la situazione dei luoghi era interessata da un diffuso ed incipiente stato di dissesto del muro che costeggiava la sede viaria, tale da determinare un’oggettiva situazione di pericolo imminente sotto plurimi profili che rendevano i necessari interventi di riparazione del manufatto quanto mai urgenti, potendosi oltretutto verificare ulteriori cedimenti della struttura muraria a danno della sede viaria.
Peraltro, la situazione di pericolo incombente per la pubblica incolumità è tale anche allorquando sia nota da tempo e si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione medesima (in tal senso, ex multis, Cons. St., sez. I, parere n. 830 in data 04.05.2021, cit.; TAR Campania, Napoli, sez. V, 30.07.2021, nn. 5368-5370; TAR Campania, Salerno, sez. II, 14.12.2020, n. 1949; TAR Liguria, sez. I, 26.08.2019, n. 704, cit., secondo cui la preesistenza di frane o crolli del muro non fa venir meno la fonte del pericolo, ma anzi la accentua, offrendo ulteriore dimostrazione dell'impellente necessità di intervenire; TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 24.04.2019, n. 5237; TAR Campania, Salerno, sez. II, 10.10.2018, n. 1406; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 17.02.2015, n. 485).
Non coglie poi nel segno la tesi ricorsuale circa l'incompatibilità tra il carattere definitivo delle opere imposte dal Comune e la provvisorietà delle misure di sicurezza che possono essere impartite con i provvedimenti contingibili ed urgenti.
È certamente vero che l'uso di mezzi diversi dagli ordinari strumenti d'intervento è consentito solo per un arco temporale limitato alla situazione contingente e non può protrarsi sine die. Tuttavia il requisito della temporaneità delle prescrizioni non esclude affatto che i rimedi da adottare possano produrre effetti definitivi, dipendendo ciò dal tipo di rischio fronteggiato che, nella specie, rendeva improcrastinabile il rifacimento dei setti murari per la parte di competenza della ricorrente (cfr., ex aliis, Cons. St., sez. I, parere n. 830 in data 04.05.2021, cit.; TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 24.04.2019, n. 5237, cit.; TAR Campania, Salerno, sez. II, 10.10.2018, n. 1406, cit.)
(TAR Lombardia-Napoli, Sez. V, sentenza 03.06.2022 n. 3787 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2022

ATTI AMMINISTRATIVI: La giurisprudenza ha reiteratamente e univocamente sottolineato che le circolari ministeriali non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da esse alcun vincolo neanche per la stessa amministrazione che le ha emanate.
E' stato altresì evidenziato che «Le circolari amministrative non hanno valore normativo o provvedimentale e non assumono carattere vincolante per i soggetti destinatari dei relativi atti applicativi, che non hanno l’onere di impugnarle, ma possono limitarsi a contestarne la legittimità al solo scopo di sostenere che detti atti sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima che avrebbe dovuto essere disapplicata; ne discende, a fortiori, che una circolare amministrativa contra legem può essere disapplicata anche d’ufficio dal giudice investito dell’impugnazione dell’atto che ne fa applicazione, anche in assenza di richiesta delle parti».
In sostanza, «le circolari non hanno carattere vincolante per l’interprete, fungendo da mero indirizzo per le amministrazioni chiamate ad applicare la normativa primaria».
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8.4. Tramite memoria l’appellante ha sostenuto che la circolare dell’Esercito italiano n. 1020 del 28.07.2016 affermerebbe che il militare addetto ad un impiego in contesti internazionali potrebbe beneficiare delle provvidenze di cui all’art. 1, comma 563, della legge n. 266/2005 anche quale soggetto addetto a compiti di ordine pubblico o di vigilanza di infrastrutture militari o civili.
Siffatta ricostruzione è infondata, in quanto, da un lato, la circolare de qua, peraltro successiva al provvedimento contestato, non reca espressamente l’asserita interpretazione e, dall’altro e con valenza assorbente ogni ulteriore considerazione, le circolari interpretative dell’amministrazione, in ogni caso, non vincolano gli organi giurisdizionali.
Esse, infatti, non sono fonti del diritto e non possono avere rilievo in giudizio soltanto nel concreto accertamento del vizio dell’eccesso di potere, che nel caso di specie è del tutto irrilevante, essendo il provvedimento amministrativo di rigetto totalmente conforme al quadro ordinamentale.
Sul tema la giurisprudenza ha reiteratamente e univocamente sottolineato che le circolari ministeriali non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da esse alcun vincolo neanche per la stessa amministrazione che le ha emanate (cfr. Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 30.09.2020, n. 20819, e Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 02.11.2007, n. 23031); è stato altresì evidenziato che «Le circolari amministrative non hanno valore normativo o provvedimentale e non assumono carattere vincolante per i soggetti destinatari dei relativi atti applicativi, che non hanno l’onere di impugnarle, ma possono limitarsi a contestarne la legittimità al solo scopo di sostenere che detti atti sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima che avrebbe dovuto essere disapplicata; ne discende, a fortiori, che una circolare amministrativa contra legem può essere disapplicata anche d’ufficio dal giudice investito dell’impugnazione dell’atto che ne fa applicazione, anche in assenza di richiesta delle parti» (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 28.01.2016, n. 310; in termini identici anche Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 04.12.2017, n. 5664; in tal senso cfr. inoltre, ex aliis, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 17.04.2018, n. 2284, 08.01.2016, n. 30, Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 29.11.2013, n. 5714).
In sostanza, «le circolari non hanno carattere vincolante per l’interprete, fungendo da mero indirizzo per le amministrazioni chiamate ad applicare la normativa primaria» (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 06.08.2014, n. 4196) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 17.05.2022 n. 3881 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso agli atti: che accade se sono irreperibili?
In caso di irreperibilità dei documenti oggetto di istanza, la PA deve eseguire accurate ricerche ed eventualmente documentare le ragioni dell’impossibilità.
L’art. 22 Legge 07.08.1990, n. 241 riconosce il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi, in ossequio al principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione. Quest’ultima, infatti, dovrebbe essere per il privato –come celebre dottrina ha sottolineato– una “casa di vetro”.
Ma che accade se l’Amministrazione non riesce a reperire la documentazione richiesta?
Il Tar Calabria, di recente, ha affrontato proprio questo tema, ribadendo ancora una volta i principi consolidati nella giurisprudenza amministrativa sul punto.
Il caso di specie, in particolare, riguardava la vicenda di una signora, la quale aveva appreso tramite il sito INPS di risultare residente in un Comune diverso da quello della sua reale residenza, presso una abitazione che non le era nemmeno noto a chi appartenesse. La signora, premettendo di avere un interesse giuridicamente rilevante collegato alla tutela del suo diritto di residenza, aveva dunque chiesto all’Amministrazione di prendere visione ed estrarre copia delle richieste di cambio di residenza presentate in passato nonché degli altri documenti amministrativi rilevanti.
Il Comune, tuttavia, aveva risposto via p.e.c. all’istanza inoltrando alcuni documenti dai quali nulla si evinceva in relazione alla situazione della Signora interessata.
Quest’ultima, dunque, si era rivolta al TAR per il riconoscimento del diritto di visione ed estrazione di copia della richiesta documentazione, lamentando –per quanto qui di interesse- la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 3, 22 ss. Legge 07.08.1990, n. 241 in quanto l’impugnato provvedimento aveva di fatto negato alla ricorrente l’esercizio del diritto di accesso.
Ritenendo tale ricorso infondato, il TAR ha comunque operato alcune importanti precisazioni in tema di accesso agli atti.
Con sentenza 16.05.2022 n. 822, infatti, il TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, ha richiamato alcuni precedenti secondo i quali:
   • alla stregua del principio ad impossibilia nemo tenetur, anche nei procedimenti di accesso ai documenti amministrativi l'esercizio del relativo diritto non può che riguardare, per evidenti motivi di buon senso e ragionevolezza, i documenti esistenti e non anche quelli distrutti o comunque irreperibili (cfr., ex multis, TAR Lombardia n. 1468/2020);
   • non è tuttavia sufficiente, per dimostrare l'oggettiva impossibilità di consentire il diritto di accesso e quindi di sottrarsi agli obblighi tipicamente incombenti sull'amministrazione, la mera e indimostrata affermazione della PA in ordine all'indisponibilità degli atti;
   • spetta all'Amministrazione destinataria dell'istanza di accesso l'indicazione, sotto la propria responsabilità, degli atti inesistenti o indisponibili che non è in grado di esibire, con “l'obbligo di dare dettagliato conto delle ragioni concrete di tale impossibilità” (v. Cons. Stato, n. 892/2013).
Per tali ragioni, nella citata sentenza si legge che in tema di dichiarata irreperibilità dei documenti oggetto di istanza di accesso, l'Amministrazione è tenuta:
   1. ad eseguire con la massima accuratezza e diligenza sollecite ricerche per rinvenire i documenti chiesti in visione;
   2. nel caso in cui la documentazione non venisse comunque reperita, ad estendere le indagini, anche con le opportune segnalazioni e denunce all'Autorità giudiziaria, presso altre Amministrazioni che fossero in possesso di copia della documentazione richiesta;
   3. in caso di ulteriore esito negativo delle ricerche, a “dare conto al privato delle ragioni dell'impossibilità di ricostruire gli atti mancanti, delle eventuali responsabilità connesse a tale mancanza (smarrimento, sottrazione, ecc.) e dell'adozione degli atti di natura archivistica che accertino lo smarrimento/irreperibilità in via definitiva dei documenti medesimi” (commento tratto da www.brocardi.it).
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SENTENZA
7- Il ricorso è infondato.
8- Si osserva anzitutto che per costante giurisprudenza, anche di questa Sezione (sentenza n. 2048 del 18.-OMISSIS-.2021; v. anche ex plurimis, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30.07.2020, n. 1468), alla stregua del principio ad impossibilia nemo tenetur, anche nei procedimenti di accesso ai documenti amministrativi l'esercizio del relativo diritto non può che riguardare, per evidenti motivi di buon senso e ragionevolezza, i documenti esistenti e non anche quelli distrutti o comunque irreperibili (v. tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. V, 03.07.2018 n. 44 -OMISSIS-), non essendo tuttavia sufficiente -al fine di dimostrare l'oggettiva impossibilità di consentire il diritto di accesso e quindi di sottrarsi agli obblighi tipicamente incombenti sull'amministrazione in base alla normativa primaria in tema di accesso- la mera e indimostrata affermazione in ordine all'indisponibilità degli atti quale mera conseguenza del tempo trascorso e delle modifiche organizzative medio tempore succedutesi, in quanto spetta all'Amministrazione destinataria dell'istanza di accesso l'indicazione, sotto la propria responsabilità, degli atti inesistenti o indisponibili che non è in grado di esibire, con l'obbligo di dare dettagliato conto delle ragioni concrete di tale impossibilità (v. Cons. Stato, Sez. VI, 13.02.2013 n. 892).
In altri termini, in tema di dichiarata irreperibilità dei documenti oggetto di istanza di accesso, l'Amministrazione è tenuta ad eseguire con la massima accuratezza e diligenza sollecite ricerche per rinvenire i documenti chiesti in visione -destinando all'uopo idonee risorse in termini di personale e tempo-, e qualora, ciò nonostante, la documentazione non venisse reperita, deve estendere le relative indagini, anche con le opportune segnalazioni e denunce all'Autorità giudiziaria, presso altre Amministrazioni che fossero in possesso di copia della documentazione richiesta, per poi -in caso di ulteriore esito negativo delle ricerche- dare conto al privato delle ragioni dell'impossibilità di ricostruire gli atti mancanti, delle eventuali responsabilità connesse a tale mancanza (smarrimento, sottrazione, ecc.) e dell'adozione degli atti di natura archivistica che accertino lo smarrimento/irreperibilità in via definitiva dei documenti medesimi (v. TAR Lombardia, Milano, sentenze n. 2587 del 15.-OMISSIS-.2018, n. 1255 del 31.05.2019, n. 343 del 20.02.2020 e n. 1245 del 29.06.2020).
9- La suddetta attività, peraltro, nella quale –si ribadisce– l’Amministrazione deve dar conto delle ricerche effettuate ed attestarne l’esito, sotto la propria responsabilità, deve essere compiuta in sede amministrativa e non è surrogabile da dichiarazioni rese nell’ambito delle difese processuali dell’Amministrazione.
10- Dalla documentazione versata in atti emerge che il Responsabile del procedimento dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Spilinga, a riscontro dell’istanza di accesso, con pec che, seppur non sottoscritta, risulta comunque riconducibile all’indirizzo istituzionale del suddetto Ente e riferibile all’Ufficio che la ha predisposta, ha trasmesso la documentazione agli atti d’ufficio soggiungendo che nulla si evince per la -OMISSIS- -OMISSIS-, odierna ricorrente.
-OMISSIS-- Da quanto sopra è dato evincere che l’Amministrazione comunale, compulsata dall’odierna ricorrente, ha svolto le ricerche d’ufficio, trasmesso la documentazione in suo possesso e dichiarato ciò che, invece, non risulta agli atti d’ufficio (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 16.05.2022 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il dovere di cooperazione tra amministrazioni postula il corollario del principio generale, operante a livello di organizzazione degli uffici pubblici, secondo cui l'ufficio incompetente, che riceve un'istanza di qualsivoglia tenore, è tenuto a trasmetterla a quello competente, ma ciò postula sempre che si tratti di ufficio appartenente allo stesso plesso amministrativo.
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12- Né, per completezza, sono utilmente spendibili le ulteriori argomentazioni di parte ricorrente, contenute nella memoria del 15.02.2022 in ordine all’asserito onere, in capo al Comune di Spilinga, di eventualmente investire il competente Tribunale della questione in ordine ai documenti non reperiti agli atti d’ufficio.
Giova osservare, infatti, che il dovere di cooperazione tra amministrazioni richiamato dalla ricorrente postula il corollario del principio generale, operante a livello di organizzazione degli uffici pubblici, secondo cui l'ufficio incompetente, che riceve un'istanza di qualsivoglia tenore, è tenuto a trasmetterla a quello competente, ma ciò postula sempre che si tratti di ufficio appartenente allo stesso plesso amministrativo (in argomento, Cons. Stato, IV, 19.04.2017, n. 1832; TAR Emilia -OMISSIS-, Parma, -OMISSIS-.03.2017, n. 95; TAR Toscana, Sez. I, 27.06.2017, n. 890), ipotesi che, all’evidenza, non ricorre nel caso di specie (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 16.05.2022 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: In linea di principio, non può pretendersi che l'istante in sede di accesso agli atti specifichi dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso; tuttavia è necessario che siano fornite all'Amministrazione -specie, a fronte di un'attività provvedimentale assai risalente nel tempo- indicazioni precise e circostanziate che consentano di individuare, con certezza, gli atti richiesti, a prescindere dal compimento di defaticanti attività di ricerca ed elaborazione degli stessi.
Ciò proprio allo scopo di coniugare il diritto alla trasparenza con l'esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell'Amministrazione, riversando sulla stessa l'onere di reperire documentazione inerente a un determinato segmento di attività.
Richieste generiche sottoporrebbero l'Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi sia con l'economicità e la tempestività dell'azione amministrativa. In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non vi è dubbio come l'accesso possa costringere l'Amministrazione ad attività di ricerca e di elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati.
Inoltre, “L'istanza, quindi, non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati, anche in una ottica di buona fede e di correttezza, oltre che di leale collaborazione, nei rapporti tra l'Amministrazione e consociati, in ossequio al principio di proporzionalità e di ragionevolezza”.
Ancora, “L'istanza di accesso a documenti amministrativi deve riferirsi a ben specifici documenti e non può comportare la necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta; la richiesta di ostensione degli atti non può costituire uno strumento di controllo generalizzato sull'operato della Pubblica Amministrazione nei cui confronti l'accesso viene esercitato e l'onere della prova anche dell'esistenza dei documenti, rispetto ai quali si esercita il diritto di accesso, incombe sulla parte che agisce in giudizio, non potendo imporsi all'Amministrazione la prova del fatto negativo della non detenzione dei documenti”.
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13- Quanto, poi, ai documenti richiesti ai punti 6 e 7 della richiesta di accesso, a quanto finora esposto è da soggiungersi un’ulteriore ragione di rigetto del ricorso.
Osserva la giurisprudenza che “In linea di principio, non può pretendersi che l'istante in sede di accesso agli atti specifichi dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso; tuttavia è necessario che siano fornite all'Amministrazione -specie, a fronte di un'attività provvedimentale assai risalente nel tempo- indicazioni precise e circostanziate che consentano di individuare, con certezza, gli atti richiesti, a prescindere dal compimento di defaticanti attività di ricerca ed elaborazione degli stessi. Ciò proprio allo scopo di coniugare il diritto alla trasparenza con l'esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell'Amministrazione, riversando sulla stessa l'onere di reperire documentazione inerente a un determinato segmento di attività. Richieste generiche sottoporrebbero l'Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi sia con l'economicità e la tempestività dell'azione amministrativa. In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non vi è dubbio come l'accesso possa costringere l'Amministrazione ad attività di ricerca e di elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati” (TAR Lazio, -OMISSIS-, Sez. II, 09.12.2020, n. 13188; v. anche Cons. St., Sez. IV, 12.01.2016 n. 68; TAR Lazio, -OMISSIS-, sez. II, 10.03.2020 n. 3100; in termini conformi, TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 08.04.2021, n. 2318, che soggiunge che “L'istanza, quindi, non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati, anche in una ottica di buona fede e di correttezza, oltre che di leale collaborazione, nei rapporti tra l'Amministrazione e consociati, in ossequio al principio di proporzionalità e di ragionevolezza”).
Ancora, “L'istanza di accesso a documenti amministrativi deve riferirsi a ben specifici documenti e non può comportare la necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta; la richiesta di ostensione degli atti non può costituire uno strumento di controllo generalizzato sull'operato della Pubblica Amministrazione nei cui confronti l'accesso viene esercitato e l'onere della prova anche dell'esistenza dei documenti, rispetto ai quali si esercita il diritto di accesso, incombe sulla parte che agisce in giudizio, non potendo imporsi all'Amministrazione la prova del fatto negativo della non detenzione dei documenti” (Consiglio di Stato, Sez. III, -OMISSIS-.10.2021, n. 6822).
Tanto chiarito, relativamente ai documenti rubricati ai nn. 6 e 7 dell’istanza del 10.12.2021 la richiesta della ricorrente, attenendo genericamente ad ogni altro e/o documento comunque denominato relativo al suo diritto di elettorato attivo nel periodo 1977-1990, ivi compresi quelli dai quali risulta l’effettivo esercizio di tale diritto mediante votazione e ad ogni altro atto e/o documento comunque denominato e formato da codesti Comuni per iscrivere e/o cancellare la residenza della medesima ricorrente nel periodo 1977-1990, laddove esorbitante dai documenti compresi nei precedenti punti 1-5 e per i quali ci si è pronunciati nei termini sopra esposti per un verso, presenta evidenti connotati di genericità, indeterminatezza, sia dal punto di vista contenutistico che dal punto di vista temporale, e, nel contempo, carattere di esploratività, tale da condurre al rigetto dell’istanza in parte qua.
14- In conclusione, il ricorso va rigettato (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 16.05.2022 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVICostituisce jus receptum l’orientamento secondo cui le FAQ (frequently asked questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando di concorso rappresentando una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e dunque inidonee ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale di concorso, né recanti alcun valore innovativo rispetto al contenuto del bando e, come tale, giuridicamente inadatte a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando.
Tanto meno il contenuto di una FAQ può “condizionare” lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione che viene contestato in sede contenziosa.
In nessun caso esse possono costituire un’indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis.
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3.4 In ogni caso anche a voler accedere alla ricostruzione di parte ricorrente è da rilevare che costituisce jus receptum l’orientamento secondo cui le FAQ (frequently asked questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando di concorso rappresentando una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e dunque inidonee ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale di concorso, né recanti alcun valore innovativo rispetto al contenuto del bando e, come tale, giuridicamente inadatte a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando.
Tanto meno il contenuto di una FAQ può “condizionare” lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione che viene contestato in sede contenziosa (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 21.01.2013, n. 341; Consiglio di Stato, sez. V, 10.04.2013, n. 1969; Cons. Stato, Sez. III, 22.01.2014, n. 290; Tar Lombardia, sez. III, 29.02.2016, n. 422; Cons. Stato, Sez. I, parere 6812/2020; Consiglio di Stato, sez. III-bis, 22.01.2021, sentenza n. 904; Cons. Stato, I, parere 1275/2021; Consiglio di Stato sez.V 2.03.2022 n. 1486).
In nessun caso esse possono costituire un’indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 06.05.2022 n. 178 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - AMBIENTE-ECOLOGIA: Sui presupposti per l'adozione di una ordinanza sindacale contingibile ed urgente.
Per pacifica giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
In particolare, il legittimo esercizio del potere sindacale di emanare ordinanze di necessità, finalizzate alla salvaguardia di rilevanti interessi pubblici legati alla sicurezza della collettività, ai sensi dell’art. 54 del TUEL, è subordinato ai seguenti presupposti:
   a) straordinarietà (intesa come impossibilità di far luogo ad atti tipici e nominati preordinati alla gestione degli interessi coinvolti, come nella specie quelli disciplinati dal Codice della strada);
   b) urgenza (intesa come impossibilità di differire, senza pericolo di compromissione di quegli interessi, l'azione amministrativa, con il ricorso alle tempistiche ordinarie);
   c) imprevedibilità delle situazioni di pericolo;
   d) contingibilità (intesa come emergenza provvisoria ed improvvisa) sicché l'esercizio del potere presuppone l'esistenza, oltre che la sua puntuale indicazione nel provvedimento impugnato, di una situazione di pericolo, da intendersi quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente.
Tale potere di ordinanza «presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale».
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SENTENZA
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 217 del 27.08.2021 avente ad oggetto “Molestie olfattive Fo. di As. S.p.A.” adottata dal Sindaco del Comune di Assisi;
...
7. I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto costituiscono sviluppo di una medesima censura relativa al difetto dei presupposti di cui agli artt. 50, comma 5, e 54 d.lgs. 267 del 2000 per l’adozione di un provvedimento contingibile e urgente da parte del Sindaco di Assisi.
7.1. Giova rammentare che, per pacifica giurisprudenza, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 T.U.E.L. è condizionata dalla sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr., ex plurimis, TAR Liguria, Sez. I, 08.07.2019, n. 603; TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 05.11.2018, n. 339; TAR Piemonte, Sez. II, 26.07.2018, n. 903).
In particolare, il legittimo esercizio del potere sindacale di emanare ordinanze di necessità, finalizzate alla salvaguardia di rilevanti interessi pubblici legati alla sicurezza della collettività, ai sensi dell’art. 54 del TUEL, è subordinato ai seguenti presupposti:
   a) straordinarietà (intesa come impossibilità di far luogo ad atti tipici e nominati preordinati alla gestione degli interessi coinvolti, come nella specie quelli disciplinati dal Codice della strada);
   b) urgenza (intesa come impossibilità di differire, senza pericolo di compromissione di quegli interessi, l'azione amministrativa, con il ricorso alle tempistiche ordinarie);
   c) imprevedibilità delle situazioni di pericolo;
   d) contingibilità (intesa come emergenza provvisoria ed improvvisa) sicché l'esercizio del potere presuppone l'esistenza, oltre che la sua puntuale indicazione nel provvedimento impugnato, di una situazione di pericolo, da intendersi quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente (cfr. ex multis C.d.S., sez. V, 22.03.2016, n. 1189; Id., III, 29.05.2015, n. 2697; Id., V, 23.09.2015, n. 4466, Id., 02.03.2015, n. 988).
Tale potere di ordinanza «presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, e in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale» (cfr. C.d.S., sez. V, 21.02.2017, n. 774; Id., 22.03.2016, n. 1189; Id., 05.09.2015, n. 4499).
7.2. Occorre, altresì, premettere che per le emissioni odorigene in base alla normativa nazionale vigente non è prevista la fissazione di limiti di emissione né di metodi o di parametri idonei a misurarne la portata.
Il Codice dell’Ambiente, a seguito delle modifiche introdotte con d.lgs. n. 183 del 2017, prevede in questo ambito la possibilità di un intervento delle singole Regioni o delle Autorità competenti in sede di autorizzazione. Difatti, ai sensi del primo comma dell’art. 272-bis del d.lgs. n. 152 2006, «[l]a normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo».
In tale ambito possono essere stabiliti valori limite relativi alle sostanze odorigene, prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno -incluso l'obbligo di attuazione di piani di contenimento-, specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissioni odorigene.
La Regione Umbria non ha legiferato in materia; non sono pertanto rinvenibili a livello regionale né valori limite relativi alle sostanze odorigene, né specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento.
E’ inoltre pacifico tra le parti che l’Autorizzazione integrata ambientale adottata con D.D. 27.02.2015 n. 599 della Provincia di Perugia, riferita all’impianto della Società ricorrente, e i successivi aggiornamenti, non prescrivano l’adozione di misure finalizzate al contenimento delle emissioni odorigene.
7.3. Ciò posto, nel caso in esame dal provvedimento sindacale gravato e dagli atti nello stesso richiamati non risulta emergere alcuna situazione di emergenza sanitaria o pericolo attuale e imminente per la salute e l’incolumità pubblica.
Nel report di ARPA Umbria “Rilevamento Qualità dell’Aria in località Santa Maria degli Angeli – Assisi, Settembre 2020-Maggio 2021” la stessa Agenzia evidenzia «valori di buona qualità dell’aria per i parametri ossidi di zolfo, ossidi di azoto, monossido di carbonio, ozono e benzene i cui indici sono al di sotto delle soglie di valutazione inferiori» e «per quanto riguarda il parametro Particolato PM10 le medie da settembre 2020 a maggio 2021 sono comprese tra la soglia di valutazione superiore e la soglia di valutazione inferiore, con 22 superamenti per il PM10 del limite delle medie giornaliere» (stesso risultato per PM2.5).
Nello stesso report viene rilevato «per quanto riguarda i microinquinanti non si evidenziano criticità nel periodo settembre-dicembre 2020 nelle concentrazioni di metalli pesanti, con valori confrontabili con altre realtà regionali non influenzati da attività industriali, e con variabilità tra i tre punti molto contenute», mentre «per quanto riguarda le Diossine e PCB si registra nel periodo un valore di concentrazione di PCDD/Fs leggermente superiore ai valori che si rilevano nel resto della regione, con valori più bassi nel periodo gen-mar 2021 rispetto al periodo set-dic 2020, dove sono quasi sempre al di sotto del limite di rilevabilità strumentale», e infine «esaminando i risultati dei microinquinanti nelle deposizioni non si rilevano criticità per i metalli, per i quali si mostra il confronto con due postazioni della rete regionale (Perugia Cortonese e Terni Borgorivo che non hanno ricadute significative di origine industriale)» e «anche per gli IPA non si evidenziano situazioni di criticità».
Con particolare riferimento alla rilevazione di aldeidi, alla pag. 32 del report si riporta: «[d]al 15 al 30 settembre sono stati esposti in due intervalli di circa una settimana campionatori passivi del tipo radiello per la determinazione di Aldeidi nelle tre postazioni. I valori medi riscontrati in tutti i periodi non hanno evidenziato valori significativi, per lo più prossimi o inferiori ai limiti di rilevabilità. … A partire da aprile 2021 è stato attivato anche un campionamento su chiamata a distanza per la rilevazione delle aldeidi in corrispondenza di fenomeni odorigeni, segnalati dalla popolazione, installato in Via Protomartiri Francescani n. 70».
Di seguito, in commento alla Tabella 22 espressamente richiamata nel provvedimento sindacale si legge: «Le concentrazioni rilevate di Acroleina e Acetaldeide sono al di sopra della soglia olfattiva (rispettivamente 3.6 ppb e 1.5 ppb) ma molto al di sotto delle concentrazioni considerate tossiche (TLV di 100 ppb per l’acroleina e 10 ppm per l’aldeide acetica)». Tali valori risultano confermati anche nei successivi campionamenti (cfr. allegato 5 della produzione ARPA Umbria).
In definitiva, le rilevazioni effettuate da ARPA, pur evidenziando la percepibilità delle richiamate sostanze, non evidenziano alcuna situazione di pericolo per l’ambiente, la salute o la pubblica incolumità tale da giustificare l’intervento sindacale (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. II, 15.03.2021, n. 807). Tale rischio non emerge con la necessaria evidenza neanche alla luce dagli atti della AUSL Umbria 1 richiamati nel provvedimento sindacale in ordine ai fenomeni di malessere verificatisi nella popolazione residente, in quanto riferiti a segnalazioni dei cittadini residenti e non supportati da dati certi in ordine alla ricorrenza e diffusione di detti fenomeni.
7.4. Né può diversamente opinarsi alla luce delle argomentazioni delle difese resistenti circa la necessità di ricorrere allo strumento extra ordinem in assenza di una normativa regionale in materia di emissioni odorigene.
Come già rilevato in sede cautelare, sebbene l’assenza di un riferimento tanto normativo quanto di autorizzazione circa i valori e le concentrazioni limite relativi alle sostanze odorigene non precluda l’intervento delle Amministrazioni competenti a tutela della salute e dell’incolumità pubblica, in siffatte circostanze si impone in capo alla P.A. un più stringente onere istruttorio e motivazionale basato su dati univoci circa la sussistenza di un pericolo attuale per la salute dell’uomo e per l’ambiente derivante dalle emissioni di aldeidi nelle concentrazioni rilevate. Tale onere non può dirsi assolto nel caso in esame con il mero richiamo a “soglie olfattive”, ancorché individuate nella letteratura scientifica.
7.5. L’accoglimento delle censure esaminate risulta assorbente rispetto agli ulteriori motivi in diritto, formulati peraltro in via gradata, e comporta l’annullamento della gravata ordinanza del Sindaco del Comune di Assisi.
8. Per quanto esposto, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della gravata ordinanza del Sindaco del Comune di Assisi del 27.08.2021 n. 217 (TAR Umbria, sentenza 04.05.2022 n. 262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIRiedizione del potere dopo un giudicato di annullamento.
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Processo amministrativo - Giudicato – Giudicato di annullamento – Riedizione del potere - Principio del c.d. one shot temperato.
In applicazione del principio del c.d. one shot temperato, per evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale, è dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato; tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che nella specie il giudicato per la sua latitudine ed ampiezza permetteva di fare applicazione del principio del c.d. one shot temperato, formatosi in sede giurisprudenziale per evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale; tanto comporta che è dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato; tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi.
Al riguardo, va ricordato che tale principio è già emerso come consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio, come principio del c.d. one shot temperato, per evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale.
Si ritiene quindi dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato; tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi (Cons. Stato, sez. V, 08.01.2019, n. 144, sez. VI, 25.02.2019, n. 1321 e sez. III, 14.02.2017, n. 660).
Va rilevato poi che nell’applicazione di tale principio non si deve di regola tener conto del riesame amministrativo avvenuto in ottemperanza di provvedimenti cautelari volti a consentire temporaneamente l’esercizio di attività in precedenza autorizzate, riesame che, nella specie, comportava un nuovo diniego impugnato con motivi aggiunti nello stesso processo esitato poi nell’annullamento dei due originari dinieghi oggetto del medesimo processo ma si deve invece tener conto solo dei dinieghi successivi ad un giudicato di annullamento di talché il presente processo ha in definitiva ad oggetto il secondo riesame questo sì avente effetto (potenzialmente) preclusivo ove fosse nuovamente oggetto di annullamento (al fine di consentire l’approssimazione al bene della vita).
Ciò perché l’amministrazione incorre in preclusioni (nell’assetto disciplinare rilevante in questo contenzioso per la sua cadenza temporale) solo dopo un secondo riesame completo della fattispecie, conseguente ad un primo giudicato di annullamento.
Il ricorso poi parla del provvedimento impugnato in questa sede come terzo diniego (non casualmente e proprio al fine di richiamare a proprio favore la teorica del c.d. one shot temperato) mentre il presunto secondo diniego (in realtà solo una specificazione del primo) era stato sollecitato da un ordine cautelare volto solo a consentire le attività precedentemente autorizzate ed era il frutto di una (allora) per altri versi intatta facoltà di amministrazione attiva, conformatasi per la prima volta solamente alla formazione del giudicato CdS VI n. 8017 del 2019 sicché il provvedimento impugnato in questo processo è, ai fini della teorica richiamata relativa alle modalità di ottemperanza, il secondo riesame e non il terzo (con conseguente sua astratta maggiore latitudine).
V. anche la sentenza resa nel giudizio di ottemperanza 26.04.2022, n. 3154, nella quale ha affermato la Sezione che la scelta di Banca d’Italia di operare una duplice valutazione ora per allora e ora per ora, da un lato non confligge con il giudicato di cui si chiede l’esecuzione, dall’altro, risulta maggiormente garantista della posizione dell’odierna ricorrente. Infatti, l’amministrazione, pur rieditando il potere sulla scorta degli elementi forniti dall’istante in passato alla luce dei parametri indicati dalla sentenza ottemperanza, ha tenuto in considerazione, altresì, gli elementi positivi sopravvenuti attualizzando la valutazione all’oggi (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.05.2022 n. 3480 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
3.2 In generale, lo sviamento di potere ricorre allorché il pubblico potere venga ad essere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso, ovvero quando l’atto posto in essere sia stato determinato da un interesse diverso da quello pubblico; la censura deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dare conto delle divergenze dell'atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non bastando allegazioni che non raggiungono neppure il livello di supposizione od indizio.
Nel caso di specie gli elementi evocati –relativi ad atti defensionali di primo grado- non assurgono alla qualifica di allegazioni necessarie, scontrandosi piuttosto con la pluralità di autonomi ed oggettivi elementi ostativi posti a fondamento della nuova determinazione.
3.3 Sempre in via generale, laddove, dopo una sentenza di annullamento, l’amministrazione, pur integrando il rilevato vizio istruttorio o motivazionale, adotti un provvedimento ugualmente non satisfattivo della pretesa, si avrà violazione o elusione del giudicato se l’attività asseritamente esecutiva dell’amministrazione risulti contrassegnata da uno sviamento manifesto, diretto ad aggirare le prescrizioni, puntuali, stabilite con il giudicato. Ma al riguardo è sufficiente rinviare a quanto evidenziato dal Collegio avverso i vizi di violazione del giudicato, sia in sede di ottemperanza che nel punto 2 della presente motivazione.
4. In relazione ai profili dedotti con il terzo motivo, se per un verso assumono rilievo dirimente ed assorbente le considerazioni sopra svolte in merito all’insussistenza dei profili di elusione e mancata esecuzione della sentenza del 2019, per un altro verso vanno parimenti ribaditi i richiami alla corretta interpretazione dell’art. 10-bis, sopra svolti, ed alla condivisibilità dell’opzione istruttoria e di esame seguita dalla Banca d’Italia, in termini di ora per ora e di ora per allora.
4.1 Nel caso di specie l’affermazione del Tar criticata da parte appellante (“il nuovo provvedimento –a ciò pienamente legittimato dal giudicato, …– ha rimesso all’Autorità una completa valutazione degli elementi di fatto essenziali ai fini dell’assetto di interessi e dunque quelli oggetto di censura nel ricorso … sono realmente dettagli di questioni già sollevate, la Banca d’Italia”) appare giustificata e va letta alla luce dell’effetto conformativo del giudicato (che prevale sullo stesso 10-bis della legge n. 241 del 1990 le quante volte non risultino vincoli precisi al riesame complessivo della materia).
Se è vero in particolare che tale norma, nel suo attuale tenore, recita che “in caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato” (disposizione introdotta dall'art. 12, comma 1, lett. e) del D.L. 16.07.2020, n. 76 comunque in data successiva all’adozione del provvedimento impugnato) ossia prescrive che l’Ammnistrazione non può e non deve aprire del tutto nuovi defatigatori “capitoli” ostativi alla pretesa del ricorrente di vedere riesaminato solo il punto fatto oggetto di esame nella sentenza, è altresì vero che quando lo stesso giudicato devolve per intero il riesame della fattispecie all’amministrazione solo affermando dei principi guida, essa può apprezzare anche il materiale già versato in istruttoria (che è quanto è avvenuto nella specie) ed anche quello emerso successivamente (ciò andando peraltro in senso –astrattamente- favorevole all’istante).
Orbene, nella specie, fermi i rilievi guidati dalla pronuncia della Sezione sul punto dell’esame dell’adeguatezza patrimoniale, da condursi in concreto, senza deroghe alla disciplina di settore (non potendosi argomentare in tal senso dal fugace riferimento al patrimonio netto contenuto nella sentenza CdS VI n. 8017 del 2019, nozione civilistica volta solo ad orientare la tipologia di esame da effettuare –non sulla base del mero capitale versato- ma certamente secondo le regole della vigilanza di settore) ha integralmente rimesso alla Banca d’Italia il nuovo intero apprezzamento della fattispecie imponendo solo che venisse fatto a partire da una concreta analisi dell’adeguatezza patrimoniale dell’intermediario come base di partenza dell’attività di riesame; dall’analisi degli atti emerge come la Banca d’Italia abbia svolto un approfondimento proprio nell’ottica del vaglio completo di tutti gli elementi in suo possesso e di quelli sopravvenuti, così come imposta dall’esecuzione della sentenza e dai principi già espressi da questo Consiglio relativi all’attuazione del giudicato.
4.2 In proposito, il giudicato per la sua latitudine ed ampiezza permetteva di fare applicazione del principio del c.d. one shot temperato, formatosi in sede giurisprudenziale per evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale; tanto comporta che è dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato; tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi.
Al riguardo, va ricordato che tale principio è già emerso come consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio, come principio del c.d. one shot temperato, per evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale.
Si ritiene quindi dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato; tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, sez. V, 08.01.2019, n. 144, sez. VI, 25.02.2019, n. 1321 e sez. III, 14.02.2017, n. 660).
Va rilevato poi che nell’applicazione di tale principio non si deve di regola tener conto del riesame amministrativo avvenuto in ottemperanza di provvedimenti cautelari volti a consentire temporaneamente l’esercizio di attività in precedenza autorizzate, riesame che, nella specie, comportava un nuovo diniego impugnato con motivi aggiunti nello stesso processo esitato poi nell’annullamento dei due originari dinieghi oggetto del medesimo processo ma si deve invece tener conto solo dei dinieghi successivi ad un giudicato di annullamento di talché il presente processo ha in definitiva ad oggetto il secondo riesame questo sì avente effetto (potenzialmente) preclusivo ove fosse nuovamente oggetto di annullamento (al fine di consentire l’approssimazione al bene della vita).
Ciò perché l’amministrazione incorre in preclusioni (nell’assetto disciplinare rilevante in questo contenzioso per la sua cadenza temporale) solo dopo un secondo riesame completo della fattispecie, conseguente ad un primo giudicato di annullamento.
Il ricorso poi parla del provvedimento impugnato in questa sede come terzo diniego (non casualmente e proprio al fine di richiamare a proprio favore la teorica del c.d. one shot temperato) mentre il presunto secondo diniego (in realtà solo una specificazione del primo) era stato sollecitato da un ordine cautelare volto solo a consentire le attività precedentemente autorizzate ed era il frutto di una (allora) per altri versi intatta facoltà di amministrazione attiva, conformatasi per la prima volta solamente alla formazione del giudicato CdS VI n. 8017 del 2019 sicché il provvedimento impugnato in questo processo è, ai fini della teorica richiamata relativa alle modalità di ottemperanza, il secondo riesame e non il terzo (con conseguente sua astratta maggiore latitudine) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.05.2022 n. 3480 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2022

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sulla inammissibilità del ricorso giurisdizionale avverso una mera "diffida" per originaria carenza d’interesse poiché proposto contro un atto privo di immediata efficacia lesiva.
L’interesse azionato dai ricorrenti difetta dei requisiti di attualità e concretezza, essendo stato impugnato un atto di mera diffida, a carattere interlocutorio, che non arreca una lesione definitiva e irreversibile alla sfera giuridica dei ricorrenti ed è, dunque, privo di autonoma e immediata efficacia lesiva.
Gli atti di diffida hanno lo scopo di mettere a conoscenza il loro destinatario dei profili di carenza/illegittimità riscontrati nella sua condotta e di assegnare un termine per provvedere a colmare le carenze o eliminare le illegittimità.
La giurisprudenza amministrativa ha, in particolare, chiarito che le diffide in senso stretto consistono nel formale avvertimento -indirizzato ad un soggetto (pubblico o privato), tenuto all'osservanza di un obbligo in base ad un preesistente titolo (legge, sentenza, atto amministrativo, contratto)- di ottemperare all'obbligo stesso.
Esse, dunque, non hanno carattere novativo di tale obbligo e usualmente il loro effetto consiste nel far decorrere un termine dilatorio per l'adozione di provvedimenti sfavorevoli nei confronti dei soggetti destinatari, i quali, nonostante l'intimazione, siano rimasti inosservanti del proprio obbligo.
Ne consegue che, proprio per il loro carattere ricognitivo di obblighi che l'amministrazione assume come preesistenti e per la loro natura interlocutoria, le diffide in senso stretto non sono immediatamente lesive della sfera giuridica del destinatario, a differenza dei successivi provvedimenti sfavorevoli, e -come tali- non sono ritenute atti immediatamente impugnabili.
Che la diffida impugnata non abbia natura immediatamente lesiva è, altresì, desumibile dal fatto che essa contiene una comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi degli artt. 7 e 8 della n. 241 del 1990, con cui i ricorrenti vengono notiziati della facoltà di prendere visione degli atti e di presentare memorie scritte e documenti entro 30 giorni dalla notifica della diffida, ai sensi dell’art. 10, l. 241/1990.

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... per l'annullamento dell'ordinanza comunale 21.05.2010 n. 59/010 di diffida all'utilizzazione di un immobile adibito ad attività di riunione ed incontri di persone, nonché a presunta attività di esercizio collettivo di culto in assenza dei prescritti requisiti igienico-sanitari;
...
Si controverte sulla legittimità dell’atto in epigrafe indicato con cui il Comune resistente ha diffidato i ricorrenti all'utilizzazione di un immobile dagli stessi adibito ad attività di riunione ed incontri di persone, nonché a presunta attività di esercizio collettivo di culto, in assenza dei prescritti requisiti igienico-sanitari.
Il ricorso è inammissibile per originaria carenza d’interesse.
Com’è noto, per poter agire in giudizio occorre avervi interesse (art. 100 c.p.c.). L’interesse a ricorrere deve essere personale, attuale e concreto.
Nel caso di specie, l’interesse azionato dai ricorrenti difetta dei requisiti di attualità e concretezza, essendo stato impugnato un atto di mera diffida, a carattere interlocutorio, che non arreca una lesione definitiva e irreversibile alla sfera giuridica dei ricorrenti ed è, dunque, privo di autonoma e immediata efficacia lesiva.
Gli atti di diffida hanno lo scopo di mettere a conoscenza il loro destinatario dei profili di carenza/illegittimità riscontrati nella sua condotta e di assegnare un termine per provvedere a colmare le carenze o eliminare le illegittimità (CdS, sez. III, 05.05.2017 n. 2073).
La giurisprudenza amministrativa ha, in particolare, chiarito che le diffide in senso stretto consistono nel formale avvertimento -indirizzato ad un soggetto (pubblico o privato), tenuto all'osservanza di un obbligo in base ad un preesistente titolo (legge, sentenza, atto amministrativo, contratto)- di ottemperare all'obbligo stesso.
Esse, dunque, non hanno carattere novativo di tale obbligo e usualmente il loro effetto consiste nel far decorrere un termine dilatorio per l'adozione di provvedimenti sfavorevoli nei confronti dei soggetti destinatari, i quali, nonostante l'intimazione, siano rimasti inosservanti del proprio obbligo (Consiglio di Stato, Sez. IV, 05.01.2018, n. 62).
Ne consegue che, proprio per il loro carattere ricognitivo di obblighi che l'amministrazione assume come preesistenti e per la loro natura interlocutoria, le diffide in senso stretto non sono immediatamente lesive della sfera giuridica del destinatario, a differenza dei successivi provvedimenti sfavorevoli, e -come tali- non sono ritenute atti immediatamente impugnabili (Cons. Stato, sez. V, 20.08.2015 n. 2215; Cons. Stato, sez. IV, 09.11.2005 n. 6257).
Che la diffida impugnata non abbia natura immediatamente lesiva è, altresì, desumibile dal fatto che essa contiene una comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi degli artt. 7 e 8 della n. 241 del 1990, con cui i ricorrenti vengono notiziati della facoltà di prendere visione degli atti e di presentare memorie scritte e documenti entro 30 giorni dalla notifica della diffida, ai sensi dell’art. 10, l. 241/1990.
Alla luce delle su esposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per originaria carenza d’interesse poiché proposto contro un atto privo di immediata efficacia lesiva, come dimostra per tabulas il fatto che nei successivi dodici anni i ricorrenti hanno continuato a utilizzare l’immobile oggetto di diffida senza che il Comune adottasse alcun provvedimento sanzionatorio (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 31.03.2022 n. 518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che tipologie di chiarimenti (quali ad esempio le FAQ presenti sui siti web, o le risposte fornite a chiarimento in corso di procedura ad evidenza pubblica) lungi da poter novare o integrare le previsioni contenute nella lex specialis possono costituire solo una conferma dell’interpretazione fatta palese dallo stesso testo del bando.
Invero, “[…] le FAQ (frequently asked questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego […] rappresentando una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e dunque inidonea ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale di concorso, né recante alcun valore innovativo rispetto al contenuto del bando e, come tale, giuridicamente inadatta a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando. Tanto meno il contenuto di una FAQ può “condizionare” lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione e che viene contestato nella sede contenziosa […]”.
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Quanto al primo profilo di carenza motivazionale, inoltre, il fatto che il Ministero abbia fornito una indicazione (non meglio precisata) sul proprio sito web non muta le conclusioni sul punto.
La giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che tali tipologie di chiarimenti (quali ad esempio le FAQ presenti sui siti web, o le risposte fornite a chiarimento in corso di procedura ad evidenza pubblica) lungi da poter novare o integrare le previsioni contenute nella lex specialis possono costituire solo una conferma dell’interpretazione fatta palese dallo stesso testo del bando.
“[…] le FAQ (frequently asked questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego […] rappresentando una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e dunque inidonea ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale di concorso, né recante alcun valore innovativo rispetto al contenuto del bando e, come tale, giuridicamente inadatta a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando. Tanto meno il contenuto di una FAQ può “condizionare” lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione e che viene contestato nella sede contenziosa […]” (Cons. Stato, sez. III-bis, 22/01/2021, sentenza n. 904) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 31.03.2022 n. 309 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOIl Consiglio di Stato disegna il profilo del funzionario in «conflitto d'interessi».
Nel quadro normativo del nostro Paese non esiste una definizione univoca di conflitto d'interessi del pubblico funzionario. I profili di tale condizione si trovano per così dire allo "stato diffuso" in varie leggi e disposizioni di settore; e ciò determina non di rado l'insorgenza di zone d'ombra, incertezze operative, e persino irrazionali rallentamenti dei procedimenti amministrativi.

Con la sentenza 22.03.2022 n. 2069, il Consiglio di Stato -Sez. VI- ha declinato questa definizione generale. E lo ha fatto rievocando le norme operative di riferimento più calzanti. Per il massimo giudice amministrativo tale anomalia si verifica quando lo svolgimento di una attività sia assegnata a chi affidatario della cura dell'interesse generale sia titolare nella vicenda anche di interessi personali, con conseguente "riduzione" del soddisfacimento dell'interesse pubblico. In tale evenienza il funzionario deve astenersi da pratiche e incartamenti, e informare al più presto della situazione i propri superiori gerarchici.
La legge sul procedimento amministrativo del '90 prevede che il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi anche se solo potenziale. Questa regola è espressione del principio costituzionale di imparzialità della Pa il quale impone che le scelte adottate dall'organo vanno compiute nel rispetto della regola della "equidistanza" da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico.
Ulteriori lineamenti del divieto in parola sono contenuti nel Codice di comportamento dei dipendenti pubblici del 2013 secondo il quale il dipendente deve astenersi dal partecipare alla adozione di decisioni o attività che possano coinvolgere interessi propri, di suoi parenti, del coniuge ovvero di soggetti con cui sia in una situazione di «grave inimicizia».
Alla medesima esigenza di equidistanza si ispira la disciplina relativa alle incompatibilità presente nel Testo unico del 2001 sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; nonché quella del 2013 in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico.
Altra importante disciplina di settore è contenuta nel Codice del 2016 in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici.
Secondo il massimo giudice amministrativo, dalla lettura d'insieme della richiamata normativa va dedotto univocamente che la mancata astensione del funzionario pubblico in condizioni di conflitto d'interessi comporta una illegittimità procedimentale che ricade sulla stessa validità dell'atto finale della pubblica amministrazione. Ciò a meno che non venga scrupolosamente dimostrato che la situazione d'incompatibilità del funzionario non ha in alcun modo influenzato il contenuto del provvedimento deviandolo dalla sua meta: l'interesse pubblico (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 05.04.2022).

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SENTENZA
5.‒ Il motivo di appello incentrato sulla situazione di asserita incompatibilità, nella quale avrebbe operato la dottoressa Ma.Gi., è destituito di fondamento.
5.1.‒ L’art. 6-bis della legge n. 241 del 1990 prevede che «il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale».
Tale regola è espressione del principio generale di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., il quale impone che «le scelte adottate dall’organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell’equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico» (cfr. Consiglio di Stato, comm. spec., n. 667 del 2019, sullo schema di Linee guida ANAC in materia di conflitti di interesse nell'affidamento dei contratti pubblici).
Una declinazione del principio è contenuta anche nell’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16.04.2013, n. 62 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165), il quale prevede che: «il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente».
Alla medesima esigenza si ispira la disciplina relativa alle incompatibilità nell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché il d.lgs. n. 39 del 2013, in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico).
Una specifica disciplina è prevista, in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici, dall’art. 42 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Per quanto non esista, all’interno del quadro normativo appena richiamato, una definizione univoca che preveda analiticamente tutte le ipotesi e gli elementi costitutivi di tale fattispecie, il conflitto di interessi può definirsi quella condizione giuridica che si verifica quando, all’interno di una pubblica amministrazione, lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario che ha contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse funzionalizzato. Operare in conflitto di interessi significa agire nonostante sussista una situazione del genere e, quindi, sorge l’obbligo del dipendente di informare l'Amministrazione e di astenersi.
La mancata astensione del funzionario comporta una illegittimità procedimentale che refluisce sulla validità dell’atto finale, a meno che non venga rigorosamente dimostrato (dall’Amministrazione procedente) che la situazione d’incompatibilità del funzionario non ha in alcun modo influenzato il contenuto del provvedimento facendolo divergere con il fine di interesse pubblico.
5.2.‒ Nel caso in esame, non è emerso che la dottoressa Gi. fosse portatrice di un interesse personale confliggente con quello all’imparziale finanziamento delle iniziative culturali sul territorio.
In primo luogo, dalla carica di membro del Comitato culturale dell’Associazione Te.Cr., la dottoressa si è dimessa in data 13.06.2019, prima quindi della presentazione in data 27.09.2019 delle due domande di contributo straordinario oggetto del presente ricorso.
Il Comitato culturale di cui si parla, peraltro, è un organo meramente consultivo del Consiglio Direttivo dell’Associazione Te.Cr. che fornisce pareri in merito alla qualità della proposta artistica e dove i componenti non percepiscono nessuna indennità o emolumento di altro genere.
Sotto altro profilo, dalla documentazione prodotta in giudizio si ricava che la dottoressa Gi. non era il titolare dell’organo competente a decidere sull’ammissione dei contributi, spettando tale attribuzione al Direttore di Ripartizione provinciale Cultura italiana (la dottoressa Ma.Gi. rilasciava invece il visto, ai sensi dell’art. 13 della legge della Provincia di Bolzano n. 17 del 1993, sulla responsabilità tecnica, amministrativa e contabile).
Va pure rimarcato che, in ordine ad analoghe accuse sollevate in sede penale, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano, con provvedimento del 15.03.2021, ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero.
L’ulteriore affermazione, secondo cui la dottoressa Gi. avrebbe ricevuto negli anni abbonamenti gratuiti a tutta la programmazione del Te.Cr., è rimasta poi sfornita di qualsivoglia riscontro.

ATTI AMMINISTRATIVI: Le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti a contenuto atipico, espressione di un potere extra ordinem, caratterizzate dalla capacità di derogare temporaneamente a norme dispositive di legge. Secondo l’elaborazione giurisprudenziale, la possibilità di incisione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici, indicati dalla legge, impone il rispetto di precisi presupposti, vale a dire:
   i) un pericolo imminente ed irreparabile per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento (contingibilità);
   ii) l’impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   iii) l’indicazione del limite temporale di efficacia;
   iv) la proporzionalità del provvedimento.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone, quindi, necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione. La ricorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente.
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Secondo l’orientamento della giurisprudenza, il principio di proporzionalità esige che gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l'amministrazione deve realizzare.
La giurisprudenza ha, inoltre, sottolineato come i predetti criteri valutativi debbano essere applicati in modo particolarmente rigoroso nel sindacato della legittimità di un potere di natura eccezionale, quale quello attribuito al Sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti, “che può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale e impreviste, per le quali sia impossibile utilizzare gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico”.
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1. Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica i ricorrenti, titolari di autorizzazione commerciale all’esercizio dell’attività di commercio ambulante non alimentare settimanale, hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’ordinanza n. 227 del 17.06.2020, emessa dal Sindaco del Comune di Chivasso, avente ad oggetto l’adozione di “Ulteriori misure per la prevenzione del contagio da Covid-19 inerenti i mercati del mercoledì e sabato, di via Bradac e Castelrosso”, nella parte in cui, richiamando espressamente l’attuazione delle norme tecniche contenute nel documento “Criteri minimi di sicurezza per il commercio nei mercati all’aperto del Comune di Chivasso”, dispone il divieto di “stazionare alcun mezzo ad eccezione delle fasi di carico/scarico (furgoni, autonegozi, autobanchi, etc), nonché il divieto di utilizzare “attrezzature tipo appendiabiti con rotelle tali da oscurare/creare una barriera visiva verso le vetrine dei negozi retrostanti dalla viabilità fronte vendita dei banchi”, nonché dei presupposti “Criteri minimi di sicurezza per il commercio nei mercati all’aperto del Comune di Chivasso” e, all’occorrenza, dell’ordinanza n. 199/2020 del Sindaco del Comune di Chivasso.
...
6. Passando all’esame del merito del gravame la Sezione ritiene condivisibili le osservazioni contenute nella relazione del Ministero dell’interno in ordine alla fondatezza della censura con la quale i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 50 e 54 T.U.E.L. per mancanza dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza exta ordinem da parte del Sindaco.
6.1. Le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti a contenuto atipico, espressione di un potere extra ordinem, caratterizzate dalla capacità di derogare temporaneamente a norme dispositive di legge. Secondo l’elaborazione giurisprudenziale, la possibilità di incisione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici, indicati dalla legge, impone il rispetto di precisi presupposti, vale a dire:
   i) un pericolo imminente ed irreparabile per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento (contingibilità);
   ii) l’impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   iii) l’indicazione del limite temporale di efficacia;
   iv) la proporzionalità del provvedimento (in argomento cfr., ex plurimis, Consiglio Stato, sez. I, parere 04.05.2021, n. 830).
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone, quindi, necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione. La ricorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente (Consiglio Stato, sez. I, parere n. 321/2021).
6.2. I ricorrenti censurano l’ordinanza n. 227 del 2020 sotto più profili:
   a) in quanto sarebbe stata adottata in assenza di una situazione di pericolo idonea a legittimare l’esercizio del potere extra ordinem;
   b) poiché violerebbe il principio di proporzionalità;
   c) in quanto mancherebbe l’indicazione di un limite temporale di efficacia delle misure imposte.
6.3. La Sezione osserva che le misure imposte con il provvedimento gravato, consistenti nel divieto di stazionamento di mezzi (furgoni, autobanchi, autonegozi etc.) nell’area mercatale, ad eccezione che per le operazioni di carico e scarico delle merci, e in quello dell’apposizione di eventuali coperture di banco che oltrepassino “lo spazio di profondità concesso per più di 0,5 mt” ovvero di “attrezzature tipo appendiabiti a rotelle”, non appaiono immediatamente connesse al distanziamento sociale, funzionale al contenimento del contagio da Covid–19, né strumentali all’esercizio del controllo da parte delle autorità preposte del rispetto delle limitazioni a tutela della salute pubblica.
Le suddette misure non sembrano neanche supportate da un‘istruttoria che dimostri la loro utilità ai fini dell’esigenza di mantenere il distanziamento sociale nelle aree mercatali del mercoledì e del sabato, né tanto meno l’eccezionalità della situazione tale da necessitare l’esercizio di poteri extra ordinem.
7. Occorre, infine, evidenziare che il D.P.C.M. del 17.05.2020 aveva indicato per le aree mercatali quali misure di prevenzione e contenimento riconosciute a livello scientifico: a) il distaccamento interpersonale; b) gli accessi regolamentati e scaglionati in funzione degli spazi disponibili; c) la disponibilità ed accessibilità a sistemi di disinfezione delle mani; d) l’uso di guanti “usa e getta”; e) l’utilizzo della mascherina; f) l’adeguata informazione per garantire il distanziamento.
7.1. Tanto premesso, nessuna delle misure imposte con il provvedimento gravato appare in linea con le richiamate previsioni.
7.2. Secondo l’orientamento della giurisprudenza, pienamente condiviso dalla Sezione, il principio di proporzionalità esige che gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l'amministrazione deve realizzare.
La giurisprudenza ha, inoltre, sottolineato come i predetti criteri valutativi debbano essere applicati in modo particolarmente rigoroso nel sindacato della legittimità di un potere di natura eccezionale, quale quello attribuito al Sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti, “che può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale e impreviste, per le quali sia impossibile utilizzare gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico” (Consiglio di Stato, sez. V, 14.11.2017, n. 5239).
7.3. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni i divieti imposti con l’ordinanza n. 227 del 2020 non appaiono né originati da una situazione eccezionale alla quale, pertanto, ben si poteva fare fronte attraverso l’esercizio dei poteri amministrativi ordinari, né funzionali al contenimento del contagio da Covid–19 ovvero strumentali all’esercizio del controllo da parte delle autorità preposte del rispetto delle limitazioni a tutela della salute pubblica e, quindi, conformi al principio di proporzionalità (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 10.03.2022 n. 552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Secondo una consolidata giurisprudenza, le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti extra ordinem, in quanto dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, volte a consentire all’Amministrazione, in deroga al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, di sopperire a situazioni straordinarie ed urgenti non fronteggiabili con l’uso dei poteri ordinari. Dunque, laddove sia impossibile differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza), e far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento (contingibilità), si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente.
Questo stesso Tribunale ha recentemente ribadito che le ordinanze contingibili e urgenti sono espressione di un potere amministrativo extra ordinem, nel senso che possono essere adottate, in base a specifiche previsioni di legge che le prevedano (in questo senso le ordinanze contingibili e urgenti possono essere definite “provvedimenti nominati”), per fronteggiare eccezionali ed imprevedibili situazioni di pericolo, imminente e grave, di lesione a preminenti interessi generali di rilevanza costituzionale, come il diritto alla salute e il diritto all’incolumità pubblica, ossia situazioni non tipizzabili per le quali il legislatore non può configurare “a monte” poteri di intervento tipici.
Dunque, mentre in via ordinaria il potere di emanare provvedimenti amministrativi soggiace al rispetto del principio di legalità “sostanziale”, a mente del quale la norma attributiva del potere amministrativo deve determinarne oltre al fine perseguito anche contenuto e modalità dei provvedimenti adottati nell’esercizio del potere stesso; invece nelle ipotesi “emergenziali” l’ordinamento, in deroga al predetto principio, prevede soltanto l’Autorità competente ad emanare i provvedimenti e i fini cui essi sono preordinati, lasciando all’Autorità stessa il compito di determinare contenuto e modalità del singolo provvedimento; e in questo senso le ordinanze contingibili e urgenti possono essere pertanto definite “provvedimenti atipici”.
Alla ragion d’essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l’adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte.
Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.
Inoltre tale potere di ordinanza presuppone situazioni -non tipizzate dalla legge- di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un’istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti.
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... per l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Rabbi n. 60 del 02.07.2021, con la quale è stato istituito il divieto di sosta per le auto-caravan su tutto il territorio comunale dalle ore 20.00 alle ore 06.00;
...
2. Ai fini dell’esame delle suesposte censure giova innanzi tutto illustrare la motivazione dell’impugnata ordinanza, con la quale il Sindaco di Rabbi -invocando espressamente l’art. 54 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (approvato con il decreto legislativo 18.08.2000, n. 267), il quale dispone, al comma 4, che il sindaco “adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”- ha istituito, a decorrere dal 03.07.2021 e fino a revoca della predetta ordinanza, «il divieto di sosta notturno -dalle 20.00 alle 06.00- su tutte le aree pubbliche del territorio comunale (comprese la aree destinate a parcheggio a pagamento) di autocaravan, camper e similari, se non su aree previamente autorizzate a tale scopo».
L’adozione di tale ordinanza muove dalla duplice premessa che «il territorio comunale di Rabbi viene intensamente frequentato da persone che utilizzano autocaravan, camper e similari e tali veicoli vengono spesso adibiti a dimora rimanendo in sosta per più giorni consecutivi esercitando la fattispecie di campeggio abusivo» e che «nell’ambito del territorio comunale, è presente un’area attrezzata per la sosta delle autocaravan dotata di servizi igienici, acqua potabile, energia elettrica, tali da consentire il regolare svolgimento della vita quotidiane nel rispetto delle norme a tutela dell’igiene, sanità ed incolumità pubblica».
Quindi viene posto in rilievo che «nelle ore notturne l’amministrazione Comunale è impossibilitata ad effettuare il controllo della sosta dei veicoli» e che «è compito del Sindaco prevenire situazioni che potrebbero comportare gravi conseguenze per la popolazione provocando intralcio alla viabilità, turbamento al regolare svolgimento della vita della collettività, al decoro urbano nonché tutelare l’igiene, la sanità e l’incolumità pubblica».
Per le ragioni si rende necessario, a giudizio del Sindaco, «regolamentare su tutto il territorio comunale la sosta e lo stazionamento di autocaravan, camper e similari», introducendo il suddetto divieto.
2. Inoltre, nonostante l’erroneo riferimento all’art. 54 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, non v’è dubbio che l’impugnata ordinanza vada qualificata come un’ordinanza contingibile e urgente adottata ai sensi dell’art. 62 del Codice degli enti locali della Regione autonoma Trentino-Alto Adige, approvato con la legge regionale 03.05.2018, n. 2, secondo il quale il sindaco “adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, i provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità e igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minaccino l’incolumità dei cittadini”.
Giova allora rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2016, n. 3369), le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti extra ordinem, in quanto dotate di capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, volte a consentire all’Amministrazione, in deroga al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, di sopperire a situazioni straordinarie ed urgenti non fronteggiabili con l’uso dei poteri ordinari. Dunque, laddove sia impossibile differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza), e far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento (contingibilità), si giustifica -sempre secondo la giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 22.03.2016 n. 1189)- la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente.
Questo stesso Tribunale ha recentemente ribadito (TRGA Trentino-Alto Adige, Trento, 26.03.2021, n. 36) che le ordinanze contingibili e urgenti sono espressione di un potere amministrativo extra ordinem, nel senso che possono essere adottate, in base a specifiche previsioni di legge che le prevedano (in questo senso le ordinanze contingibili e urgenti possono essere definite “provvedimenti nominati”), per fronteggiare eccezionali ed imprevedibili situazioni di pericolo, imminente e grave, di lesione a preminenti interessi generali di rilevanza costituzionale, come il diritto alla salute e il diritto all’incolumità pubblica, ossia situazioni non tipizzabili per le quali il legislatore non può configurare “a monte” poteri di intervento tipici.
Dunque, mentre in via ordinaria il potere di emanare provvedimenti amministrativi soggiace al rispetto del principio di legalità “sostanziale”, a mente del quale la norma attributiva del potere amministrativo deve determinarne oltre al fine perseguito anche contenuto e modalità dei provvedimenti adottati nell’esercizio del potere stesso; invece nelle ipotesi “emergenziali” l’ordinamento, in deroga al predetto principio, prevede soltanto l’Autorità competente ad emanare i provvedimenti e i fini cui essi sono preordinati, lasciando all’Autorità stessa il compito di determinare contenuto e modalità del singolo provvedimento; e in questo senso le ordinanze contingibili e urgenti possono essere pertanto definite “provvedimenti atipici”.
Alla ragion d’essere delle ordinanze contingibili e urgenti consegue che sono condizioni per l’adozione di provvedimenti della specie la sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, la provvisorietà e la temporaneità dei relativi effetti e la proporzionalità delle misure prescelte.
Non è, quindi, legittimo adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.
Inoltre tale potere di ordinanza presuppone situazioni -non tipizzate dalla legge- di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere accertata attraverso un’istruttoria adeguata e suffragata da congrua motivazione, poiché solo in ragione di tali situazioni si può giustificare la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla normativa vigente, stante la configurazione residuale, a chiusura del sistema, di tale tipologia di provvedimenti.
3. Poste tali premesse, il Collegio ritiene innanzitutto fondati il primo ed il quarto motivo di ricorso nella parte in cui viene dedotto che la motivazione dell’impugnata ordinanza «non dà contezza» dell’istruttoria in base alla quale il Sindaco di Rabbi ha ritenuto di dover adottare un provvedimento extra ordinem.
Innanzi tutto occorre ribadire che la motivazione di tale ordinanza muove dalla duplice premessa che «il territorio comunale di Rabbi viene intensamente frequentato da persone che utilizzano autocaravan, camper e similari e tali veicoli vengono spesso adibiti a dimora rimanendo in sosta per più giorni consecutivi esercitando la fattispecie di campeggio abusivo» e che «nell’ambito del territorio comunale, è presente un’area attrezzata per la sosta delle autocaravan dotata di servizi igienici, acqua potabile, energia elettrica, tali da consentire il regolare svolgimento della vita quotidiane nel rispetto delle norme a tutela dell’igiene, sanità ed incolumità pubblica», ma non contiene alcun riferimento -neppure attraverso il meccanismo della
relatio ad atti del procedimento- alla peculiare situazione in cui verserebbe il Comune di Rabbi, peraltro diffusamente illustrata soltanto ex post in memoria dall’Amministrazione resistente, in replica al primo motivo di ricorso.
Coglie allora nel segno l’Associazione ricorrente quando nella propria memoria di replica osserva che «gli argomenti introdotti con la memoria avversaria riguardo all’assetto orografico e idrogeologico del territorio non integrano (né potrebbero integrare) le motivazioni dell’ordinanza impugnata che neppure accenna a tali aspetti».
Si deve infatti rammentare che questo Tribunale, anche in recenti pronunce (TRGA Trentino Alto Adige, Trento, 23.06.2021, n. 104, id. 17.05.2021, n. 81), ha già espresso la propria convinta adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, se il giudizio ha ad oggetto un provvedimento amministrativo che costituisce espressione di un potere discrezionale, non è consentita l’integrazione postuma della motivazione del provvedimento stesso mediante le memorie prodotte in giudizio dell’Amministrazione (cfr. in particolare, Consiglio di Stato, Sez. VI, 27.04.2021, n. 3385); in particolare questo Tribunale ha in tal senso evidenziato che «tale divieto:
   A) discende direttamente dal combinato disposto dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, che sancisce l’obbligo di motivazione, con l’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge n. 241 del 1990, che non ammette la c.d. dequotazione della motivazione del provvedimento discrezionale;
   B) deriva altresì dall’art. 31, comma 3, cod. proc. amm., che impedisce al giudice amministrativo di pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio se il giudizio ha ad oggetto un provvedimento discrezionale;
   C) trova conferma nell’art. 21-nonies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, da interpretare nel senso che, in presenza di un provvedimento discrezionale che risulti viziato per carenza di motivazione, l’impugnazione di tale provvedimento non preclude all’Amministrazione intimata la possibilità di agire in autotutela, convalidandolo
».
Dunque nessun rilievo possono assumere in questa sede per giustificare l’adozione dell’impugnata ordinanza -che evidentemente si configura come un provvedimento discrezionale- le considerazioni svolte in memoria dall’Amministrazione resistente con riferimento alla peculiare situazione in cui verserebbe il Comune di Rabbi, con l’ulteriore conseguenza che non è dato comprendere perché il «campeggio abusivo» delle auto-caravan sarebbe fonte di una situazione di pericolo, imminente e grave, di lesione a preminenti interessi generali di rilevanza costituzionale (come il diritto alla salute e il diritto all’incolumità pubblica), non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, ossia mediante l’adozione di uno dei provvedimenti tipici previsti dal codice della strada, e tale da giustificare l’imposizione di un divieto permanente, ossia non limitato ad un determinato periodo di tempo.
Pertanto, posto che l’impugnata ordinanza -nonostante quanto affermato dalla giurisprudenza con riferimento a fattispecie pressoché identiche a quella in esame (ex multis, TAR Valle d’Aosta, 14.02.2022, n. 12, cit.)- non risulta supportata da un’adeguata motivazione, sol per questo sussistono i presupposti per accogliere la domanda di annullamento formulata dell’Associazione ricorrente  (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 04.03.2022 n. 52 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2022

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL’azione esperita dai ricorrenti è sussumibile nella fattispecie di responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo e va, pertanto, ricondotta al paradigma della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.., con tutto ciò che ne consegue in ordine alla ripartizione degli oneri di allegazione e prova.
La dimensione "sostanzialista" del concetto di "interesse legittimo" da tutelare, quale interesse correlato ad un "bene della vita" coinvolto nell'esercizio della funzione pubblica, implica che il requisito dell'ingiustizia del danno sussista e, conseguentemente, il risarcimento possa essere riconosciuto, in primo luogo, qualora l'esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi.
Ciò significa che l'illegittimità dell'attività provvedimentale deve essere tale da incidere sul contenuto dell'atto, nel senso che sia dimostrabile che senza i vizi da cui è affetto, il provvedimento sarebbe stato satisfattivo e che all'esito del procedimento il privato avrebbe conseguito l'utilità sperata.
L'esistenza del danno ingiusto lamentato in giudizio deve formare oggetto di un puntuale onere di allegazione e prova in capo al soggetto che ne richieda il risarcimento, non costituendo una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale dell'atto amministrativo illegittimo.
Secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale, invero, il principio generale dell'onere della prova previsto dall'art. 2697 c.c., si applica anche all'azione di risarcimento del danno proposta dinanzi al Giudice amministrativo.
Incombe, pertanto, sul danneggiato ricorrente l’onere di allegare in modo puntuale, specifico e compiuto già in sede di ricorso, e successivamente dimostrare, la sussistenza di tutti i presupposti dell’illecito: in particolare, oltre alla illegittimità del provvedimento amministrativo asseritamente causativo del danno, la colpa dell’amministrazione –quest’ultima sia pure in via presuntiva, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente-, l’effettiva lesione del bene della vita nell'accezione della sicura spettanza del risultato precluso attraverso l'atto annullato -nella duplice alternativa dell’interesse oppositivo o pretensivo–, il nesso di causalità materiale, i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’evento lesivo e il correlato nesso di causalità giuridica.
La domanda di risarcimento, ove manchi della prova, e, ancor prima, della necessaria allegazione precisa e tempestiva di tutti gli elementi costitutivi, non può che essere respinta: <<ciò anche perché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo dell'art. 2697, comma 1, cod. civ., opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell'azione giurisdizionale di annullamento>>.
L’allegazione e la prova della sicura spettanza del bene della vita perduto a causa del provvedimento illegittimo (nel caso di specie consistente nel rilascio della concessione edilizia richiesta), d’altronde, vengono ad essere declinate in modo differente a seconda che, da un lato, il potere esercitato dalla P.a. sia discrezionale o vincolato; dall’altro lato, che il vizio che rende illegittimo il provvedimento amministrativo abbia natura sostanziale ovvero meramente formale, categoria, quest’ultima, nella quale rientra il difetto di motivazione.
Va richiamato l’insegnamento secondo il quale <<l'annullamento fondato su profili formali non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita. Né tale accertamento spetta al giudice, anche solo in via di prognosi, se vi è ancora uno spazio di intervento dell'Amministrazione. L'annullamento per difetto di motivazione non elimina né riduce il potere di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell'atto annullato e lascia ampio potere in merito all'Amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l'illegittimità, sicché non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale>>.
Si aggiunga, poi, che l’eventuale assenza o genericità deduttiva e assertiva dell’articolazione delle allegazioni difensive in sede di ricorso, non può essere recuperata successivamente nell’ambito delle memorie difensive ex art. 73 c.p.a., le stesse avendo solo la funzione di meglio precisare le argomentazioni in fatto e diritto già sufficientemente enucleate in s
ede di atto introduttivo.
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... per la condanna del Comune di Mezzane al risarcimento dei danni ingiusti causati ai ricorrenti dal provvedimento 28.09.1992 n. 3558 prot. con il quale l’Ente ha sospeso la richiesta di concessione edilizia presentata in data 30.05.1992 dai ricorrenti;
...
I ricorrenti, proprietari di alcuni terreni siti in località Castagnè, nel Comune di Mezzane di Sotto (VR), verso la fine degli anni 80, hanno presentato agli Uffici competenti, un progetto finalizzato alla realizzazione di un edificio di civile abitazione da costruirsi sui terreni predetti.
Ottenuto sia il parere positivo della Commissione edilizia comunale, che l'approvazione dell'ufficio beni ambientali della provincia di Verona, entrambi recanti alcune prescrizioni integrative/modificative, il Sindaco del Comune di Mezzane, con provvedimento 28.09.1992, prot. n. 3558, ha disposto di <<sospendere, in attesa di presentazione di nuova soluzione, la richiesta di concessione edilizia di cui sopra per il seguente motivo: la soluzione presentata non si inserisce correttamente nell'ambiente tipicamente collinare>>.
Avverso tale provvedimento gli odierni ricorrenti hanno esperito azione di annullamento avanti all’intestato TAR, che, con sentenza 28.07.2004, n. 2502, passata in giudicato, ha accolto il ricorso e annullato il provvedimento citato per difetto di motivazione.
Con successivo ricorso depositato in data 21.04.2008, parte ricorrente ha introdotto il presente giudizio chiedendo la condanna del Comune resistente al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa dell’adozione del provvedimento annullato, in particolare lamentando:
   1. il comportamento negligente ed illegittimo tenuto dal Comune, per avere ingiustificatamente e immotivatamente disposto la sospensione della procedura di rilascio della concessione edilizia, in quanto già positivamente valutata dagli uffici competenti (commissione edilizia comunale e ufficio beni ambientali della provincia di Verona), così come accertato dalla sentenza del TAR del Veneto;
   2. la lesione dell’interesse legittimo vantato, fattispecie integrante illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.;
   3. di non aver potuto procedere all'utilizzo ai fini edificatori programmati dell'area di loro proprietà in dipendenza diretta ed esclusiva dell'illegittima azione della P.A.;
   4. un danno costituito dalle conseguenze patrimoniali ricollegate al mancato sfruttamento economico delle aree di proprietà dei ricorrenti, divenuto irreversibile in conseguenza della modifica, intervenuta nelle more, del PRG (approvato dalla regione Veneto, con Delibera di Giunta del 18.05.98, n. 1768) che ha notevolmente modificato le possibilità edificatorie nelle zone di interesse dei ricorrenti (Zona C2 nella frazione di Castagnè), segnatamente riducendo l'indice volumetrico realizzabile (1,1 nel 1992, quando fu presentato il progetto, 0,65 oggi), e subordinando la realizzazione di quanto progettato, alla predisposizione di un piano di lottizzazione dell'area interessata laddove all'epoca di presentazione della domanda illegittimamente sospesa era possibile l'intervento diretto;
   5. conseguenze patrimoniali consistite: a) nel non aver potuto edificare a suo tempo sui terreni di loro proprietà; b) nell’aver dovuto sostenere costi per la presentazione di progetti divenuti inattuabili (quantificati in euro 15.000,00); c) nell’aver dovuto sostenere costi, non rifusi in sede giudiziale, per tutelare l'originario jus edificandi.
I ricorrenti, quindi, hanno richiesto, in via istruttoria, che venga disposta CTU al fine di determinare i danni risarcibili, in particolare valutando, al netto dei costi di edificazione e fermo l'indice volumetrico assentito nel 1992, il valore degli immobili che sarebbero stati realizzati secondo progetto.
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1. L’azione esperita dai ricorrenti è sussumibile nella fattispecie di responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo e va, pertanto, ricondotta al paradigma della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.. (Cons. Stato, A.P., n. 7 del 2021), con tutto ciò che ne consegue in ordine alla ripartizione degli oneri di allegazione e prova.
La dimensione "sostanzialista" del concetto di "interesse legittimo" da tutelare, quale interesse correlato ad un "bene della vita" coinvolto nell'esercizio della funzione pubblica, implica che il requisito dell'ingiustizia del danno sussista e, conseguentemente, il risarcimento possa essere riconosciuto, in primo luogo, qualora l'esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi (in questo senso, tra le altre, Cons. Stato, sez. II, 01.09.2021, n. 6163).
Ciò significa che l'illegittimità dell'attività provvedimentale deve essere tale da incidere sul contenuto dell'atto, nel senso che sia dimostrabile che senza i vizi da cui è affetto, il provvedimento sarebbe stato satisfattivo e che all'esito del procedimento il privato avrebbe conseguito l'utilità sperata.
L'esistenza del danno ingiusto lamentato in giudizio deve formare oggetto di un puntuale onere di allegazione e prova in capo al soggetto che ne richieda il risarcimento, non costituendo una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale dell'atto amministrativo illegittimo.
Secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale, invero, il principio generale dell'onere della prova previsto dall'art. 2697 c.c., si applica anche all'azione di risarcimento del danno proposta dinanzi al Giudice amministrativo.
Incombe, pertanto, sul danneggiato ricorrente l’onere di allegare in modo puntuale, specifico e compiuto già in sede di ricorso, e successivamente dimostrare, la sussistenza di tutti i presupposti dell’illecito: in particolare, oltre alla illegittimità del provvedimento amministrativo asseritamente causativo del danno, la colpa dell’amministrazione –quest’ultima sia pure in via presuntiva, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente-, l’effettiva lesione del bene della vita nell'accezione della sicura spettanza del risultato precluso attraverso l'atto annullato -nella duplice alternativa dell’interesse oppositivo o pretensivo–, il nesso di causalità materiale, i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’evento lesivo e il correlato nesso di causalità giuridica.
La domanda di risarcimento, ove manchi della prova, e, ancor prima, della necessaria allegazione precisa e tempestiva di tutti gli elementi costitutivi, non può che essere respinta: <<ciò anche perché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo dell'art. 2697, comma 1, cod. civ., opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell'azione giurisdizionale di annullamento>> (v. ex multis C.G.A.R.S., 07.04.2021, n. 295; Cons. Stato, sez. V, 09.03.2020, n. 1674; sez. III, 23.05.2019, n. 3362; sez. VI, 19.11.2018, n. 6506).
L’allegazione e la prova della sicura spettanza del bene della vita perduto a causa del provvedimento illegittimo (nel caso di specie consistente nel rilascio della concessione edilizia richiesta), d’altronde, vengono ad essere declinate in modo differente a seconda che, da un lato, il potere esercitato dalla P.a. sia discrezionale o vincolato; dall’altro lato, che il vizio che rende illegittimo il provvedimento amministrativo abbia natura sostanziale ovvero meramente formale, categoria, quest’ultima, nella quale rientra il difetto di motivazione.
Va richiamato l’insegnamento secondo il quale <<l'annullamento fondato su profili formali non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita. Né tale accertamento spetta al giudice, anche solo in via di prognosi, se vi è ancora uno spazio di intervento dell'Amministrazione. L'annullamento per difetto di motivazione non elimina né riduce il potere di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell'atto annullato e lascia ampio potere in merito all'Amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l'illegittimità, sicché non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale (Cons. St., sez. V, 21.04.2020, n. 2534; id., 22.11.2019, n. 7977; id., sez. III, 17.06.2019, n. 4097; V, 14.12.2018, n. 7054)>> (Cons. Stato, sez. IV, 20.08.2021, n. 5965).
Si aggiunga, poi, che l’eventuale assenza o genericità deduttiva e assertiva dell’articolazione delle allegazioni difensive in sede di ricorso, non può essere recuperata successivamente nell’ambito delle memorie difensive ex art. 73 c.p.a., le stesse avendo solo la funzione di meglio precisare le argomentazioni in fatto e diritto già sufficientemente enucleate in sede di atto introduttivo.
2. Applicando le coordinate emeneutiche sopra esposte, va, in primo luogo, sottolineato che l’intestato TAR, con la sentenza n. 2502/2004 citata, ha annullato il provvedimento lesivo emesso dal Comune resistente per un motivo eminentemente formale e non sostanziale.
Si legge, infatti, nella sentenza: <<invero, come dedotto col primo mezzo di gravame, il Sindaco del Comune di Mezzane, nel disporre la sospensione di ogni pronuncia sulla domanda di concessione edilizia 30.05.1992 prot. n. 2158, ha omesso di dar conto del parere positivo con prescrizioni, reso dall'Amministrazione Provinciale di Verona con l'atto presidenziale 13.05.1992 n. 961/92 e, in particolare, non ha motivato sul perché non abbia valorizzato tale parere positivo con riferimento al progetto sul quale si è espressa l'Amministrazione Provinciale, raffrontato col progetto, se lo stesso o diverso, relativamente al quale è stato emanato il provvedimento di sospensione qui impugnato nonché eventualmente con riferimento alle prescrizioni ed osservazioni nel parere stesso contenute e all'osservanza o inosservanza delle stesse>>.
In tal senso, quindi, il provvedimento comunale è stato censurato e annullato per un mero difetto di istruttoria e motivazione, non avendo il TAR argomentato in ordine all’effettiva spettanza del bene della vita in favore di parte ricorrente.
In secondo luogo, occorre rilevare che il ricorso introduttivo, oltre ad essere estremamente succinto, contiene allegazioni generiche e incomplete poiché si sofferma solo sulla condotta antigiuridica della P.A. e sulle tipologie di danni asseritamente risarcibili, senza nulla dire in ordine alla sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi della responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo
In particolare il ricorso introduttivo (le cui lacune non possono essere colmate con la memoria conclusiva, che ha una funzione esplicativa di deduzioni già svolte e non può costituire il veicolo per integrare i fatti costitutivi della domanda e ampliare il “thema decidendum”) non contiene una sufficientemente specifica allegazione in ordine all’effettività e certezza della spettanza del bene vita anelato dalla parte ricorrente: non risulta infatti, adeguatamente allegata e dedotta l’assoluta certezza che, in caso di riedizione del potere da parte del Comune, sia pure emendato dal vizio censurato dalla ricordata sentenza del TAR, l’Ente resistente avrebbe, di sicuro, rilasciato la concessione edilizia.
Parimenti, né dall’atto introduttivo e dai documenti ad esso allegati, né dalle memorie difensive e dai documenti successivamente depositati, può dirsi effettivamente emersa la prova certa della spettanza del bene della vita nel senso sopra inteso.
La carenza di allegazioni è riscontrabile anche con riguardo al nesso di causalità materiale e al nesso di causalità giudica, essendo anch’essi, come detto, elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria che parte ricorrente avrebbe dovuto adeguatamente dedurre in giudizio sin dal ricorso introduttivo, onere non assolto nel caso di specie.
3. Alla luce di quanto esposto, considerato che la domanda risarcitoria non è sostenuta da sufficienti allegazioni e prove in ordine a tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità della P.A. da lesione di interessi legittimi pretensivi (mancano in particolare adeguate allegazioni in ordine alla sussistenza del nesso causale e alla spettanza del bene della vita), il ricorso deve essere respinto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.02.2022 n. 353 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAnche le pubbliche amministrazioni fanno sempre più ricorso alle Frequently Asked Questions (FAQ), strumento non assimilabile ad alcuna fonte del diritto, né primaria, né secondaria, e che non possono nemmeno essere assimilate alle circolari.
Ciononostante, «non può essere sottovalutato l’effetto che le risposte alle FAQ producono sui destinatari, a partire dall’affidamento nei confronti di chi (l’amministrazione) fornisce le risposte. In definitiva, le risposte alle FAQ, pur nella loro atipicità, si pongono a metà strada tra le disposizioni di carattere normativo, per loro natura (almeno di regola) generali e astratte e inidonee quindi a prevedere ogni loro possibile applicazione concreta, e il singolo esercizio della funzione amministrativa da parte di una pubblica amministrazione».
Pertanto, «[e]ssenziali criteri di affidamento del cittadino nella pubblica amministrazione richiedono (…) di tenere conto dell’attività svolta dall’amministrazione stessa con la pubblicazione delle FAQ sul proprio sito istituzionale (…). In definitiva, pur non avendo carattere vincolante, le risposte date dall’amministrazione contribuiscono senz’altro a fornire un’utile indicazione di carattere applicativo in ordine alla ratio sottesa alle procedure e a gli atti in corso di esame.
Una volta suggerita, attraverso le FAQ, la ratio propria dell’avviso pubblico, all’amministrazione è consentito discostarsi dalle indicazioni già fornite esclusivamente se è in grado di addurre, in un momento successivo, elementi sostanzialmente decisivi e necessariamente soggetti a uno scrutinio particolarmente severo, anche da parte del giudice, affinché sia evitato il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta, con il diverso orientamento amministrativo sopravvenuto, in arbitrio o comunque leda l’affidamento creato nei destinatari delle disposizioni».
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Costituisce circostanza di comune esperienza che anche le pubbliche amministrazioni fanno sempre più ricorso alle Frequently Asked Questions (FAQ), strumento non assimilabile ad alcuna fonte del diritto, né primaria, né secondaria, e che non possono nemmeno essere assimilate alle circolari.
Ciononostante, secondo il Consiglio di Stato, «non può essere sottovalutato l’effetto che le risposte alle FAQ producono sui destinatari, a partire dall’affidamento nei confronti di chi (l’amministrazione) fornisce le risposte. In definitiva, le risposte alle FAQ, pur nella loro atipicità, si pongono a metà strada tra le disposizioni di carattere normativo, per loro natura (almeno di regola) generali e astratte e inidonee quindi a prevedere ogni loro possibile applicazione concreta, e il singolo esercizio della funzione amministrativa da parte di una pubblica amministrazione».
Pertanto, «[e]ssenziali criteri di affidamento del cittadino nella pubblica amministrazione richiedono (…) di tenere conto dell’attività svolta dall’amministrazione stessa con la pubblicazione delle FAQ sul proprio sito istituzionale (…). In definitiva, pur non avendo carattere vincolante, le risposte date dall’amministrazione contribuiscono senz’altro a fornire un’utile indicazione di carattere applicativo in ordine alla ratio sottesa alle procedure e a gli atti in corso di esame (v. Sez. I, n. 6812/2020).
Una volta suggerita, attraverso le FAQ, la ratio propria dell’avviso pubblico, all’amministrazione è consentito discostarsi dalle indicazioni già fornite esclusivamente se è in grado di addurre, in un momento successivo, elementi sostanzialmente decisivi e necessariamente soggetti a uno scrutinio particolarmente severo, anche da parte del giudice, affinché sia evitato il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta, con il diverso orientamento amministrativo sopravvenuto, in arbitrio o comunque leda l’affidamento creato nei destinatari delle disposizioni
» (Cons. Stato, sez. I, 20.07.2021, n. 1275) (TAR Umbria, sentenza 01.02.2022 n. 53 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2022

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOL’art. 6-bis l. 241/1990 (peraltro ratione temporis inapplicabile alla fattispecie, perché in vigore dal 28.12.2012) impone al responsabile del procedimento ed ai titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale, il dovere di astensione nel caso di conflitto di interessi.
La predetta situazione di conflitto di interessi viene intesa dalla giurisprudenza come coincidente con le ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c. (disposizione questa, considerata da sempre applicabile alla Pubblica Amministrazione: cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VI, 11.01.1999, n. 8).
Orbene, tra le ipotesi tassative di incompatibilità in cui sorge in capo al preposto all’organo il dovere di astensione, l’art. 51, primo comma, n. 3, c.p.c. elenca la “grave inimicizia”: sennonché, per giurisprudenza consolidata, la situazione di “grave inimicizia”, rilevante ai sensi dell’art. 51 c.p.c., presuppone la reciprocità, inoltre deve trovare fondamento solo in rapporti personali ed estrinsecarsi in documentate e inequivocabili circostanze di conflittualità.
La giurisprudenza ha quindi escluso che la presentazione di una denuncia o di un atto di impulso idoneo a dare inizio a un procedimento giudiziale possa bastare alla configurazione di una situazione di “grave inimicizia”, dovendo questa riferirsi a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell’ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali; né la presentazione di una denuncia è idonea a creare una situazione di causa pendente, attesa la natura oggettiva della giurisdizione penale.
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8.4. In merito, poi, alla pretesa che il menzionato Comandante interregionale si astenesse, in quanto in situazione di conflitto di interessi e difetto di terzietà, perché sottoposto a due procedimenti penali avviati su impulso dell’odierno appellato, osserva il Collegio che la censura non trova conforto negli atti di causa.
8.4.1. L’art. 6-bis l. 241/1990 (peraltro ratione temporis inapplicabile alla fattispecie, perché in vigore dal 28.12.2012) impone al responsabile del procedimento ed ai titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale, il dovere di astensione nel caso di conflitto di interessi. La predetta situazione di conflitto di interessi viene intesa dalla giurisprudenza (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 09.06.2021, n. 1152) come coincidente con le ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c. (disposizione questa, considerata da sempre applicabile alla Pubblica Amministrazione: cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VI, 11.01.1999, n. 8).
8.4.2. Orbene, tra le ipotesi tassative di incompatibilità in cui sorge in capo al preposto all’organo il dovere di astensione, l’art. 51, primo comma, n. 3, c.p.c. elenca la “grave inimicizia”: sennonché, per giurisprudenza consolidata, la situazione di “grave inimicizia”, rilevante ai sensi dell’art. 51 c.p.c., presuppone la reciprocità (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. II, 31.10.2018, n. 27923; C.d.S., Sez. V, 20.12.2018, n. 7170; Sez. III, 02.04.2014, n. 1577), inoltre deve trovare fondamento solo in rapporti personali ed estrinsecarsi in documentate e inequivocabili circostanze di conflittualità (v. C.d.S., Sez. V, n. 7170/2018, cit., e Sez. III, n. 1577/2014, cit.).
La giurisprudenza ha quindi escluso che la presentazione di una denuncia o di un atto di impulso idoneo a dare inizio a un procedimento giudiziale possa bastare alla configurazione di una situazione di “grave inimicizia”, dovendo questa riferirsi a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell’ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali (Cass. civ., Sez. III, 13.04.2005, n. 7683); né la presentazione di una denuncia è idonea a creare una situazione di causa pendente, attesa la natura oggettiva della giurisdizione penale (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, n. 1152/2021, cit.) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 31.01.2022 n. 667 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sulla vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge.
Il
permesso di costruire conseguito dalla ricorrente si appalesa ultroneo rispetto alla natura minimale dell’intervento, atteso che “l'apposizione di un cancello, funzionale alla delimitazione della proprietà, si inquadra tra gli interventi di finitura di spazi esterni, per cui rientra fra le ipotesi di edilizia libera, con la conseguenza che non risulta suscettibile di incidere su valori paesaggistici protetti, salva l'esistenza di specifiche prescrizioni particolarmente restrittive, nella specie non evocata”.
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Il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt.
1175, 1337, 1366 e 1375 c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell'ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, sia da un punto di vista sostanziale che anche sul piano della loro tutela processuale.

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2.5. Non fondato è anche il mezzo formulato con l’atto recante motivi aggiunti, e relativo alla pretesa illegittimità del titolo giusta la carenza della autorizzazione sismica contemplata all’art. 94 del DPR 380/2001.
2.5.1. All’uopo, è sufficiente quivi il rilevare che:
   - l’art. 94-bis, comma 1, lett. c), DPR 380/2001, definisce nei termini di “privi di rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità, le opere che “per loro caratteristiche intrinseche e per destinazione d'uso, non costituiscono pericolo per la pubblica incolumità”;
   - al comma 4 della ridetta norma, di poi, è testualmente dato leggere che “fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, e in deroga a quanto previsto all'articolo 94, comma 1, le disposizioni di cui al comma 3 non si applicano per lavori relativi ad interventi di "minore rilevanza" o "privi di rilevanza" di cui al comma 1, lettera b) o lettera c)”.
2.5.2. In claris non fit interpretatio.
Le caratteristiche per vero minimali degli interventi che ne occupano –cancello e cancelletto pedonale, posa in opera di recinzione in ferro su muretti esistenti- sono agevolmente sussumibili nel paradigma normativo di cui all’art. 94-bis, comma 1, lett. c), in quanto tali non costituenti pericolo per la pubblica incolumità e, indi, non necessitanti della autorizzazione sismica generalmente prescritta.
2.5.3. D’altra, sia detto per incidens, lo stesso permesso di costruire conseguito dalla ricorrente si appalesa ultroneo rispetto alla natura minimale dell’intervento, atteso che “l'apposizione di un cancello, funzionale alla delimitazione della proprietà, si inquadra tra gli interventi di finitura di spazi esterni, per cui rientra fra le ipotesi di edilizia libera (Cons. Stato Sez. VI Sent., 02/01/2020, n. 34), con la conseguenza che non risulta suscettibile di incidere su valori paesaggistici protetti, salva l'esistenza di specifiche prescrizioni particolarmente restrittive, nella specie non evocata (Cons. Stato, Sez.VI, 20/11/2013, n. 5513)” (CdS, VI, 13.05.2020, n. 3036).
2.6. Ne discende la infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti che, in ogni caso, non sarebbero sfuggiti ad un giudizio di inammissibilità, sotto un duplice profilo, id est:
   - per carenza di interesse, giusta l’insegnamento reso dalla Adunanza Plenaria (sentenza n. 22/2021) e da ultimo diffusamente rimarcato da questo TAR (sentenza 10.01.2022, n. 151), atteso che dal complesso delle allegazioni contenute negli scritti di parte ricorrente non è dato rinvenire l’asserito nocumento inferto dalle opere de quibus alla sfera giuridica di esse ricorrenti, che peraltro hanno ben chiesto ed ottenuto in sede civile “possessoria” la declaratoria di cessazione della materia del contendere –all’esito della eliminazione del cancelletto pedonale- in tal guisa espressamente confirmando la natura pienamente satisfattiva, delle proprie esigenze e ragioni, dello status quo, con la esistenza del cancello automatizzato che quivi, di contro ed in guisa contraddittoria, si contesta; trattasi, invero, di allegazioni e censure collidenti con lo stesso contegno serbato in sede civile e smentite dal provvedimento giudiziale in quella sede già intervenuto; talché, adoprando ed applicando alla fattispecie in esame le categorie concettuali forgiate nella pronunzia n. 22/2021 della Adunanza Plenaria sopra citata, e riprese dalla decisione n. 151/2022 di questo TAR, a fronte di specifiche contestazioni circa la effettiva concretezza ed attualità del lamentato pregiudizio derivante dagli interventi edilizi de quibus:
      i) non solo la ricorrente non ha adeguatamente assolto all’onus probandi posto a suo carico;
      ii) ma, di più e in via risolutiva, sono le chiare emergenze documentali –ed i plurimi provvedimenti giudiziali già intervenuti ex professo sulla vicenda- a smentire l’assunto di essa parte ricorrente; in carenza di un concreto ed attuale nocumento, non è dato rinvenire quale ragionevole utilitas possano ritrarre le ricorrenti dalla invocata caducazione del titolo abilitativo, con la consequenziale demolizione del cancello; ciò che vale a deprivare l’actio de qua agitur di interesse, ovvero di legitimatio ad processum, id est dell’altra condizione dell’azione, per la quale non basta in questo caso il requisito della cd. vicinitas;
   - perché concretante una actio emulativa, non essendo dato rinvenire un concreto e meritevole interesse ad opporsi ad interventi edilizi:
      i) di lieve entità, inidonei ad alterare sostanzialmente la conformazione strutturale dell’immobile;
      ii) non mai incidenti sulla servitù di passaggio vantata de iure, e pacificamente esercitata de facto dalle ricorrenti;
      iii) di più, tali da preservare la sicurezza di tutte le persone dimoranti nei fabbricati viciniori e, indi, financo di arricchire la sfera giuridica di esse ricorrenti; né un effettivo interesse “contrario” è stato puntualmente circostanziato e lumeggiato dalle ricorrenti, al fine di poterne concretamente apprezzare la meritevolezza e la ragionevolezza; gli obblighi di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes; di talché, le iniziative processuali, la meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno disvelate e poste in rilievo anche in forza dell’apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti, in sede procedimentale ovvero in altre e diverse sedi giurisdizionali; la giurisprudenza (CdS, V, 27/03/2015, n. 1605; CdS, V, 27.04.2015, n. 2064; Cass., 07.05.2013, n. 10568; TAR Campania, VI, 22.12.2020, n. 6353; TAR Lazio, I, 09.09.2019, n. 10797; TAR Lombardia, I, 14.06.2019, n. 1376; TAR Lombardia, I, 19.11.2018, n. 2603) da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge; il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, sia da un punto di vista sostanziale che anche sul piano della loro tutela processuale; di qui la non meritevolezza:
         i) del dissenso manifestato dalle ricorrenti in sede “sostanziale e procedimentale”;
         ii) della conseguente iniziativa processuale quivi intentata, che continua ad inverare anche in sede giurisdizionale l’abusivo esercizio di un potere, come che privo di oggettive ragioni giustificative, non essendo dato rinvenire la sostanziale utilitas che alle ricorrenti sarebbe rivenuta dalla mancata esecuzione in allora, ovvero che riverrebbe dalla demolizione ex post, di un cancello che non lede il loro diritto di passaggio, né altera sostanzialmente lo stato dei luoghi, e che anzi è preordinato a preservare e tutelare le prerogative dominicali vantate sugli immobili insistenti nell’area, ivi compresi quelli di titolarità di esse ricorrenti (cfr., sul punto, anche le argomentazioni contenute in TAR Campania, VI, 22.12.2020, n. 6353, cit.) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 28.01.2022 n. 620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ai sensi dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, il Sindaco, quale Ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
In particolare le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti a contenuto atipico, espressione di un potere extra ordinem, capaci di derogare temporaneamente a norme dispositive di legge.
Secondo l’elaborazione giurisprudenziale, peraltro, la possibilità di incisione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge impone il rispetto di precisi presupposti, e precisamente:
   a) un pericolo imminente ed irreparabile per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento (contingibilità);
   b) l’impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   c) l’indicazione del limite temporale di efficacia;
   d) la proporzionalità del provvedimento.

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... per l’annullamento
   1) dell’ordinanza del Sindaco di Villasimius n. 28 del 29.06.2020, avente ad oggetto “Rettifica ordinanza sindacale nr. 23/2019. Variazione nominativo destinatari. Messa in sicurezza dell'area adibita a parcheggio immediatamente prospiciente il muro di sostegno ubicato nel Condominio Accu Is Traias, su area distinta in catasto al Foglio 23 col mappale 3697 e del ripristino della funzionalità dello stesso muro con materiali idonei”, notificata il 10.07.2020, nella parte in cui fa obbligo anche all'odierna ricorrente di provvedere ad eseguire il “ripristino delle necessarie condizioni di sicurezza dell'area di parcheggio immediatamente prospiciente il muro di sostegno ubicato nel Condominio Accu Is Traias, […], il ripristino della funzionalità dello stesso muro e quant'altro il caso richieda per tutelare la pubblica incolumità”;
...
1. Con nota del 18.11.2019 il Dipartimento dei Vigili del Fuoco-Comando Provinciale di Cagliari, comunicava al Comune di Villasimius di avere svolto -su richiesta di alcuni condomini- un sopralluogo all’interno del Condominio “Accu Is Trais” al fine di verificare la sussistenza di una situazione di pericolo cagionata da un muro prospiciente a taluni parcheggi di proprietà privata che, a far data dall’anno 2012, aveva iniziato ad essere interessato da fenomeni di progressivo degrado culminati nell’anno 2017 nel definitivo crollo della parte centrale.
2. Nella loro comunicazione i Vigili del fuoco evidenziavano di aver riscontrato una situazione di pericolosità dei luoghi e disponevano che –nelle more di una verifica tecnica– venisse mantenuta la chiusura delle già recintate aree adibite a parcheggio antistanti il manufatto di cui sopra e l’interdizione all’accesso e al transito delle persone.
3. A seguito della ricezione della nota di cui sopra, in data 21.11.2019 il Responsabile del Servizio Pianificazione e Gestione del Territorio del Comune di Villasimius ed il Comandante della Polizia locale eseguivano un ulteriore sopralluogo, all’esito del quale ritenevano che l’area in un primo tempo recintata fosse di dimensioni insufficienti a preservare la pubblica incolumità a causa del pericolo di ribaltamento della copertura in cannicciato dei parcheggi antistanti il manufatto.
4. Il Sindaco di Villasimius emanava pertanto l’ordinanza n. 23/2019 con la quale ampliava l’area per la quale era già stata disposta l’interdizione all’accesso ed al transito estendendola a tutto lo spiazzo libero comune mediante idonea recinzione e cartello di segnalazione.
5. Ordinava quindi al Condominio “Accu Is Traias” di eseguire immediatamente, e comunque entro sessanta giorni dalla notifica, il “ripristino delle necessarie condizioni di sicurezza dell’area di parcheggio immediatamente prospiciente il muro di sostegno ubicato nel Condominio Accu Is Traias, […], il ripristino della funzionalità dello stesso muro e quant’altro il caso richieda per tutelare la pubblica incolumità”.
6. Sennonché, in data 29.06.2020, il Sindaco di Villasimius, sulla base del parere reso da uno studio legale interpellato dal Condominio “Accu Is Traias”, emanava l’ordinanza n. 28/2020, con la quale rettificava il precedente provvedimento nr. 23/2019 nella parte relativa ai destinatari dell’ordine emanato, riferendo nella sostanza l’obbligo di ripristino delle condizioni di sicurezza ai soli proprietari dei parcheggi prospicienti il muro, tra i quali la ricorrente.
...
Il Collegio, re melius perpensa, ritiene che diversamente da quanto affermato in sede cautelare sulla base di una cognizione sommaria della questione, ritiene che il ricorso meriti accoglimento.
1. Non si rinvengono infatti nella specie i presupposti per l’adozione di un provvedimento contingibile e urgente.
2. Giova rammentare che, ai sensi dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, il Sindaco, quale Ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
3. In particolare le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti a contenuto atipico, espressione di un potere extra ordinem, capaci di derogare temporaneamente a norme dispositive di legge.
4. Secondo l’elaborazione giurisprudenziale, peraltro, la possibilità di incisione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge impone il rispetto di precisi presupposti, e precisamente:
   a) un pericolo imminente ed irreparabile per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento (contingibilità);
   b) l’impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   c) l’indicazione del limite temporale di efficacia;
   d) la proporzionalità del provvedimento (in argomento TAR Liguria, Sezione I, 22.03.2021, n. 249).
5. In relazione a tali presupposti la descritta situazione di fatto che ha originato l’impugnata ordinanza del Sindaco di Villasimius non evidenzia la sussistenza delle necessarie condizioni per l’adozione dell’atto ordinatorio in contestazione.
6. Invero, una volta disposta la chiusura al traffico veicolare e pedonale dell’area interessata dal cedimento del muro, in assenza di ulteriori ragioni di urgenza e di incombente pericolo per la pubblica incolumità, l’Amministrazione ben avrebbe potuto adoperare gli ordinari strumenti sollecitatori all’uopo apprestati dall’ordinamento per la definitiva messa in sicurezza dell’area in questione, senza dover obliterare le garanzie partecipative spettanti ai soggetti interessati ex art. 7 L. n. 241/1990, anche in vista della necessità di individuare correttamente il soggetto tenuto ad intervenire per ripristinare le condizioni di sicurezza per la viabilità.
7. L’anzidetta situazione, cioè, pur evidenziando profili di criticità meritevoli di sollecite ulteriori iniziative procedimentali volte ad assicurare il ripristino della funzionalità dell’area, attraverso la soluzione del problema del cedimento del muro di contenimento e della sua messa in sicurezza, non integra i presupposti per l’adozione del provvedimento impugnato in quanto la necessità di ristabilire la viabilità interrotta di per sé non determina alcuna autonoma ragione d’urgenza non fronteggiabile tramite i mezzi ordinari.
8. Nella specie non è dunque rinvenibile nell’attualità quella situazione eccezionale che deve necessariamente costituire il presupposto giuridico per l’adozione del peculiare tipo di provvedimento in questione, non potendo integrare i presupposti dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente la circostanza, invero di competenza del giudice dei diritti, che all’interno del condominio “Accu Is Traias” sia in corso una controversia in ordine all’imputazione e al riparto delle spese necessarie al ripristino del muro per cui è causa.
9. Su tale questione, infatti, una volta messa in sicurezza l’area e ferma restando l’interdizione al transito veicolare e pedonale, non potrà che intervenire, in mancanza di una soluzione condivisa, su iniziativa del Condominio o di singoli condomini, una decisione del giudice ordinario risolutiva anche della questione dell’imputazione dell’onere ripristinatorio.
10. Per quanto rileva in questa sede il ricorso merita dunque accoglimento con riguardo al suindicato profilo, con assorbimento di ogni ulteriore doglianza (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 24.01.2022 n. 37 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: Sull’elemento della “rimproverabilità” costitutivo della responsabilità risarcitoria amministrativa del danno ex art. 2043 cc.
La "rimproverabilità" dell’evento all’Amministrazione costituisce un presupposto indefettibile per poter ravvisare una sua responsabilità risarcitoria.
La giurisprudenza consolidata ha posto in rilievo che la responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione deve essere negata laddove il pregiudizio sia stato cagionato da un’attività amministrativa ascrivibile ad errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.
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...  per l’accertamento e la dichiarazione del diritto:
   - dei ricorrenti al risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla riconosciuta illegittimità ex tunc, con sentenza esecutiva inter partes del Consiglio di Stato, Sezione Seconda, 29.07.2019, n. 5298, notificata in data 07.08.2019, degli atti comunali e regionali di adozione ed approvazione definitiva del vigente P.R.G. del Comune di Martano, in relazione alla immotivata reiterazione delle previsioni vincolistiche sul terreno di proprietà dei ricorrenti, ricompreso tra le strade provinciali per Caprarica e per Calimera, contraddistinto in Catasto al Foglio n. 11, particella n. 137, dell’estensione complessiva di circa 7.200 mq.;
   - con conseguente condanna del Comune di Martano, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle somme per l’effetto dovute, per le causali e secondo i criteri di cui infra ovvero indicandi, nonché nella misura che verrà accertata in corso di giudizio, con rivalutazione ed interessi dal dì dell’insorgenza dell’obbligo e sino all’effettivo soddisfo. 
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Ora, i ricorrenti chiedono:
   - l’accertamento e la dichiarazione del diritto al risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla riconosciuta illegittimità ex tunc, con sentenza esecutiva inter partes del Consiglio di Stato, Sezione Seconda, 29.07.2019, n. 5298, notificata in data 07.08.2019, degli atti comunali e regionali di adozione ed approvazione definitiva del vigente P.R.G. del Comune di Martano in relazione alla immotivata reiterazione delle previsioni vincolistiche sul terreno di proprietà;
   - la conseguente condanna del Comune di Martano “al pagamento delle somme per l’effetto dovute, per le causali e secondo i criteri di cui infra ovvero indicandi, nonché nella misura che verrà accertata in corso di giudizio, con rivalutazione ed interessi dal dì dell’insorgenza dell’obbligo e sino all’effettivo soddisfo”.
...
2. - Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
3. - I ricorrenti deducono, essenzialmente, che ricorrerebbero nella specie tutti i presupposti di fatto e di diritto per la configurabilità in capo all’Amministrazione intimata della responsabilità ex art. 2043 del Codice Civile, segnatamente: l’evento dannoso lesivo -così come la concreta lesione- della posizione giuridica soggettiva; l’ingiustizia del danno; il nesso di causalità; la riferibilità del danno ad una condotta colposa dell’Amministrazione intimata.
In particolare, a loro dire:
   - l’illegittimità della reiterazione del vincolo è stata accertata e dichiarata dal Giudice Amministrativo con la sentenza del Consiglio di Stato n. 5298/2019, esecutiva inter partes, con conseguente annullamento ex tunc dei corrispondenti atti (comunali e regionali) impugnati;
   - sussisterebbe il danno “puntuale e specifico”, in quanto “sovviene, nel caso, la vulnerazione del programma costruttivo per la realizzazione di un complesso commerciale ai sensi dell’art. 4, u.c., lett. c), L. n. 10/1977 richiamato in premessa, ratione temporis assistito da misura cautelare” di questo TAR “in relazione al diniego di concessione edilizia prot. n. 3062 del 08.06.1995 impugnato dalla Za. s.r.l. con il menzionato ricorso iscritto al n. 2738/1995”; diniego “motivato dal competente Ufficio comunale sul testuale rilievo che <<...sul suolo, ricadente nell’abitato, già vincolato a “verde pubblico” (vincolo decaduto ex lege n. 1187/1968) sono consentiti solo opere di conservazione e recupero di fabbricati eventualmente esistenti e non anche nuove costruzioni come nel caso di specie … la C.E.C. ha ritenuto di precisare che in mancanza di perimetrazione del centro abitato di cui all’art. 17 della legge ponte per l’urbanistica n. 765/1967 è valida e applicabile la delimitazione del centro abitato approvato dalla Giunta Comunale con deliberazione n. 55 del 04.02.1993 in applicazione dell’art. 4 del nuovo Codice della Strada approvato con D.Lgs. 30.4.1992 n. 285>>”; evidenziano, poi, che l’ordinanza di questo TAR n. 799/1995 accoglieva l’istanza cautelare dando atto che, “decaduto il vincolo di P.R.G., e in assenza di perimetrazione del centro abitato ai sensi dell’art. 17 L. n. 765/1967, non (fosse) preclusa l’edificazione che rispett(asse) l’indice fissato dall’art. 4, lett. c), della L. n. 10/1977” e che <<La successiva adozione del P.R.G. comunale di Martano con deliberazione consiliare 41 del 01.06.1997, recante la (illegittima) reiterazione in parte qua del vincolo urbanistico a “Parco Urbano” ex art. 75 NTA con le correlate “misure di salvaguardia”, ha comportato l’ineseguibilità della suddetta (utile) misura cautelare per il connesso (illegittimo) azzeramento delle potenzialità edificatorie ratione temporis proprie ex lege delle aree interessate>>;
   - sussisterebbe, altresì, il “danno permanente”, “non avendo i ricorrenti ricevuto alcun indennizzo nonostante il protrarsi sull’area di loro proprietà (sin dal 1963) di un vincolo di sostanziale natura espropriativa (cfr. TAR Lombardia Milano, 31.07.2013, n. 2049), comportante corrispondente indisponibilità patrimoniale e reddituale dell’area interessata”;
   - nel caso, poi, “l’accertata illegittimità degli atti lesivi, legata da nesso di causalità con l’evento dannoso, reca in sé anche l’indice (grave, preciso e concordante) della colpa (grave) dell’Amministrazione titolare del potere di pianificazione urbanistica generale, essendo stato pronunciato l’annullamento degli atti impugnati per macroscopica violazione di fondamentali regole sul versante istruttorio e motivazionale dell’azione amministrativa nell’esercizio del suddetto potere, disvelatrice di condotta gravemente negligente”.
3.1 - In relazione alla quantificazione dei danni, lamentano il “gravissimo pregiudizio patrimoniale realizzato ingiustamente”, consistente:
   “a) nell’azzeramento immediato delle suddette potenzialità edificatorie ratione temporis proprie ex lege dell’area interessata - conducenti alla realizzabilità di un edificio della superficie coperta di 720 mq. (7.200 mq. : 10 = 720 mq.) senza limiti di altezza e di volumetria - con corrispondente perdita del relativo valore di mercato….;
   b) nella permanente ablazione/diminuzione del valore d’uso e di scambio del terreno, riconducibile alla cosiddetta espropriazione di valore”, con l’invocata applicazione per quest’ultima del criterio degli “interessi legali sul valore del bene determinato ai fini dell’indennità di espropriazione
”.
Sostengono, quanto alla determinazione del valore di mercato dell’area interessata, l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 19, comma 2, della legge regionale pugliese n. 3/2005 e <<comunque del criterio di stima sintetico-comparativo alla stregua della concreta potenzialità edificatoria espressa ratione temporis quale “zona bianca”>>.
In definitiva, i ricorrenti affermano che la somma loro spettante sarebbe pari:
   <<- per il “danno specifico”, al valore della capacità edificatoria del lotto inibita dalla illegittima reiterazione del vincolo;
   - per il “danno permanente”, agli interessi legali sul valore venale dell’area interessata, a partire dalla data di reiterazione del vincolo con delibera consiliare n. 41 del 01.06.1997, di adozione del nuovo P.R.G., e fino alla pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato inter partes n. 5298 in data 29.07.2019 comportante l’annullamento ex tunc delle corrispondenti prescrizioni urbanistiche in parte qua
>>; oltre rivalutazione e interessi.
4. - Gli illustrati rilievi vanno disattesi.
5. - Ed invero, “La rimproverabilità dell’evento all’Amministrazione costituisce un presupposto indefettibile per poter ravvisare una sua responsabilità risarcitoria. La giurisprudenza consolidata, dalla quale questo Collegio non ha ragione per discostarsi, di conseguenza, ha posto in rilievo che la responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione deve essere negata laddove il pregiudizio sia stato cagionato da un’attività amministrativa ascrivibile ad errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 07.01.2013, n. 23; Sez. V, 31.07.2012, n. 4337, richiamati da Cons. Stato, Sez. III, 11.09.2019, n. 6138” (Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 18.10.2019, n. 7082; in termini, Consiglio di Stato, Sezione Terza, 06.09.2018, n. 5228).
6. - L’errore scusabile, quindi, è ravvisabile in presenza, come nella fattispecie concreta de qua, di contrasti giudiziari.
Nel caso specifico, infatti, vi è stato un evidente contrasto interpretativo tra i giudici di primo e di secondo grado in ordine alla natura giuridica (conformativa ovvero espropriativa) del vincolo a “Parco Urbano” imposto sui suoli dei ricorrenti dal nuovo P.R.G. del Comune di Martano, di cui all’art. 75 delle relative N.T.A..
Infatti:
   - la sentenza n. 58/2008 della Prima Sezione del TAR Puglia-Lecce ha respinto il ricorso proposto avverso le inerenti sopravvenute norme del P.R.G. del Comune di Martano, sulla scorta della natura conformativa del vincolo, escludendo che l’art. 75 delle N.T.A. abbia <<un carattere pre-espropriativo, atteso che le pertinenti previsioni delle N.T.A. attestano, al contrario, che le iniziative edilizie realizzabili in loco possono certamente essere demandate ai proprietari delle rispettive aree (ovvero, in generale, a soggetti privati). Ci si riferisce, in particolare, alla previsione di cui all’art. 75, cit. (rubricato ‘Zone F71 - Parco urbano’), il cui secondo comma stabilisce che “l’Amministrazione comunale provvederà all’acquisizione delle aree secondo le procedure previste dalle leggi vigenti”, salvo precisare al successivo quarto comma che “la realizzazione delle attrezzature ammissibili è attuata dalla Pubblica Amministrazione e può essere affidata ad Enti, Cooperative o soggetti privati, che garantiscano la gestione ed il rispetto delle destinazioni”>>; detta pronuncia ha poi ritenuto l’assenza di un integrale svuotamento del diritto di proprietà, riferendosi, <<in particolare, alle previsioni di cui al terzo comma del richiamato art. 75 delle N.T.A. (rubricato ‘Zone F71 - Parco urbano’), il quale prevede che nelle aree in parola “gli edifici esistenti potranno essere ristrutturati ed adibiti alle attrezzature per il tempo libero o a servizio della manutenzione del parco”. Le Norme Tecniche di Attuazione soggiungono al riguardo che, nel caso in cui gli edifici esistenti non fossero sufficienti alle finalità perseguite, “sono consentite nuove costruzioni nel rispetto dei seguenti indici massimi e prescrizioni:…>>; ha ritenuto, infine, la non assoggettabilità della previsione urbanistica in esame a termini di decadenza e alla motivazione di “carattere aggravato”;
   - al contrario, la sentenza n. 5298/2019 della Seconda Sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di primo grado, per l’effetto annullando i provvedimenti con lo stesso impugnati, sulla base del carattere espropriativo del vincolo (reiterativo del precedente vincolo preordinato all’esproprio), ritenendo -invece- che, “affinché l’Amministrazione realizzi le strutture sulle aree comprese in tali zone, essa dovrà aver previamente proceduto ad acquisirle. Rientrerà nella facoltà dell’Amministrazione la scelta delle modalità di gestione delle stesse strutture, eventualmente ricorrendo all’affidamento a terzi, con modalità non espressamente indicate, ma che, certo, non potranno prescindere dal rispetto di esigenze di trasparenza e di par condicio. Dunque, la capacità edificatoria del privato è contenuta nei limiti indicati e vincolata alla destinazione ad attrezzature o manutenzione del parco. Alla luce di tale disciplina, il Collegio ritiene che il vincolo che ne discende sulle aree comprese nelle zone F71 non abbia natura meramente conformativa, ma ablatoria”, costituendo quindi una reiterazione del vincolo (espropriativo) già imposto sulle aree in questione dal precedente P.R.G. comunale, con la conseguente “necessità di un’idonea istruttoria e di un’adeguata motivazione del pubblico interesse perseguito (cfr. Cons. Stato, Ad. pl. 24.05.2007, n. 7), che, nella fattispecie, non emerge dagli atti impugnati”.
In definitiva, l’illustrato contrasto giudiziario comporta l’insussistenza dell’elemento della “rimproverabilità”, costitutivo della responsabilità risarcitoria amministrativa.
7. - Per le ragioni innanzi esposte, il ricorso deve essere respinto (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 20.01.2022 n. 103 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2021

ATTI AMMINISTRATIVI: In generale, ai sensi dell’art. 107 T.U.E.L. il dirigente, prima di adottare un qualsiasi provvedimento idoneo ad impegnare all’esterno la volontà dell’ente che egli in quel momento rappresenta, ha il potere (e anche il dovere, quantomeno per tutelarsi in sede penale, civile, disciplinare e contabile) di sottoporre a revisione l’istruttoria svolta fino a quel momento e ha l’obbligo di non adottare il provvedimento se si avvede dell’esistenza di vizi di legittimità rilevanti ai sensi dell’art. 21-octies L. n. 241/1990.
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8.5. Passando invece alle questioni inerenti l’approvazione, la verifica e la validazione del progetto posto a base di gara, il Collegio osserva quanto segue.
8.5.1. In generale, ai sensi dell’art. 107 T.U.E.L. il dirigente, prima di adottare un qualsiasi provvedimento idoneo ad impegnare all’esterno la volontà dell’ente che egli in quel momento rappresenta, ha il potere (e anche il dovere, quantomeno per tutelarsi in sede penale, civile, disciplinare e contabile) di sottoporre a revisione l’istruttoria svolta fino a quel momento e ha l’obbligo di non adottare il provvedimento se si avvede dell’esistenza di vizi di legittimità rilevanti ai sensi dell’art. 21-octies L. n. 241/1990.
Ora, il dirigente che ha adottato il provvedimento odiernamente impugnato è lo stesso che aveva adottato la determinazione n. 1145/2020, recante l’aggiudicazione definitiva della gara, il che priva di qualsiasi rilevanza l’argomento difensivo del Comune teso ad evidenziare che il funzionario in carica nel mese di agosto 2021 non era lo stesso che, tra la fine del 2019 e il gennaio 2020, aveva approvato il progetto esecutivo e indetto la gara (il che è oggettivamente vero, visto che la gara era stata indetta con determina adottata dall’ing. Ca., in seguito collocato in quiescenza e sostituito dall’arch. Fa.).
Premesso che tale argomento non sarebbe stato comunque dirimente al fine di escludere l’imputazione degli atti in parola al Comune, è del tutto evidente che prima di adottare il provvedimento di aggiudicazione definitiva il dirigente in carica in quel momento avrebbe dovuto verificare la legittimità del procedimento di approvazione del progetto e della procedura di gara, e non rimandare tale controllo ad un momento successivo.
8.5.2. Come emerge in maniera abbastanza chiara dalla documentazione versata in atti dal Comune in esecuzione dell’ordine istruttorio del Tribunale (si veda la produzione del 25.10.2021 ed in particolare la corrispondenza fra il dirigente del Settore e il R.U.P.), l’avvicendamento del dirigente del Settore ha determinato l’insorgere di un palese conflitto con il R.U.P., il che ha causato anzitutto una ingiustificata stasi procedimentale.
Ad ogni buon conto, e rimanendo ai profili giuridici, dalla nota prot. n. 13573 del 20.04.2021 (depositata nell’ambito dell’allegato n. 2 alla produzione del 25.10.2021) emerge che la necessità della preventiva acquisizione dell’autorizzazione sismica non discende da una norma di legge (fatto salvo quanto si dirà infra circa la portata della novella di cui al D.L. n. 76/2020), bensì da un’opinione personale del dirigente pro tempore del Settore Assetto del Territorio (a pag. 6 il funzionario afferma infatti testualmente che “….una verifica/validazione a posteriori dell’affidamento definitivo sembra allo scrivente non coerente con la procedura prevista dal Codice…”). Ma se così è, ne consegue che il ricorso all’autotutela non era consentito, visto che ai fini del legittimo esercizio del ius poenitendi è necessario dimostrare che il provvedimento che si intende annullare sia affetto da uno o più dei tre classici vizi indicati dall’art. 21-octies della L. n. 241/1990
(TAR Marche, sentenza 29.12.2021 n. 897 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAEffetti della sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma regionale.  
L'efficacia retroattiva della sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte costituzionale, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate e intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale.
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   Ha ricordato la Sezione che l’art. 136 Cost. dispone che, quando la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Inoltre, l’art. 30, l. 11.03.1953, n. 87, prevede che “la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, entro due giorni dal suo deposito in Cancelleria, è trasmessa, di ufficio, al Ministro di grazia e giustizia od al Presidente della Giunta regionale affinché si proceda immediatamente e, comunque, non oltre il decimo giorno, alla pubblicazione del dispositivo della decisione nelle medesime forme stabilite per la pubblicazione dell'atto dichiarato costituzionalmente illegittimo. La sentenza, entro due giorni dalla data del deposito viene, altresì, comunicata alle Camere e ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario adottino i provvedimenti di loro competenza. Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”.
Va osservato che l’invalidità della legge impugnata per contrasto con norme gerarchicamente superiori non produce effetto ipso iure, ma va affermata con una sentenza di natura costitutiva, vincolante erga omnes, che riguarda tutti i soggetti dell’ordinamento e tutti i rapporti non ancora definiti.
   Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale, anche solo parziale, della disposizione impugnata che, come visto, cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione (ex art. 136 Cost.). È stato correttamente osservato dalla dottrina che un’interpretazione letterale dell’art. 136 Cost. lascerebbe qualificare l’effetto delle sentenze di accoglimento come una sorta di abrogazione, dal momento che la norma perde efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, riguardando, pertanto, solo i rapporti futuri e non quelli pendenti alla data della decisione.
In tal modo, tuttavia, si creerebbe una sorta di “corto circuito” con il meccanismo dell’instaurazione del giudizio di costituzionalità in via incidentale, poiché, da un lato, il giudice rimettente può sollevare la questione di incostituzionalità, sul presupposto della sua rilevanza nel giudizio a quo, e, dall’altro, la decisione di incostituzionalità non dovrebbe poter produrre effetti proprio sul giudizio a quo in quanto la sua efficacia riguarderebbe solo i rapporti futuri. La migliore dottrina sul punto ha rilevato che in un ordinamento a Costituzione rigida sarebbe contraddittorio che leggi dichiarate costituzionalmente illegittime continuino a spiegare effetti; peraltro, se la “perdita di efficacia” valesse solo per l’avvenire, nessuna parte solleverebbe la questione di legittimità costituzionale “per il semplice motivo che non ne avrebbe interesse”.
L’incongruenza lamentata –da parte di autorevole dottrina definita “assurda”– è stata superata con l’interpretazione dell’art. 136 Cost. ad opera del citato art. 30, l. 11.03.1953, n. 87, articolo quest’ultimo che ha chiarito che le norme dichiarate incostituzionali “non possono avere applicazione” dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Pertanto, la “perdita di efficacia” dell’art. 136 Cost. diventa “perdita di ulteriore applicabilità” delle norme dichiarate incostituzionali, con riferimento a tutti i rapporti, anche quelli già pendenti. In questo senso l’effetto delle sentenze di accoglimento è qualificato in termini di “annullamento” della legge dichiarata incostituzionale che viene espunta dall’ordinamento, mentre le leggi soltanto abrogate da ulteriori disposizioni di legge (fatte salve eventuali previsioni di retroattività delle norme successive) continuano ad applicarsi ai rapporti ancora pendenti alla data dell’abrogazione. Il limite all’efficacia delle sentenze di accoglimento è invece rappresentato dai rapporti ormai esauriti per effetto di prescrizione, decadenza o passaggio in giudicato di una sentenza, prevalendo in questi casi il principio di certezza del diritto.
In altri termini, mentre l’efficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale è giustificata dalla stessa eliminazione della norma che non può più regolare alcun rapporto giuridico, salvo che si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, in ipotesi di successione di legge –dal momento che la norma anteriore è pienamente valida ed efficace fino al momento in cui non è sostituita– la nuova legge non può che regolare i rapporti futuri e non anche quelli pregressi, per i quali vale il principio che la disciplina applicabile è quella vigente al momento in cui si è realizzata la situazione giuridica o il fatto generatore del diritto. Unica eccezione alla regola appena descritta si realizza in materia penale, come chiaramente disposto dall’art. 30, comma 4, l. 11.03.1953, n. 87. Si tratta in questo caso di un’applicazione del principio già stabilito dall’articolo 2, comma 2, c.p., nonché “dalla particolare tutela della libertà personale voluta dalla nostra Costituzione”.
   Nel diritto amministrativo, a differenza che nel diritto penale, l'efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale si arresta, invece, dinanzi ai rapporti esauriti. Il ruolo affidato alla Corte come custode della Costituzione nella sua integralità impone di evitare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge determini, paradossalmente, «effetti ancor più incompatibili con la Costituzione» (sentenza n. 13 del 2004) di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina legislativa.
Per evitare che ciò accada, è compito della Corte modulare le proprie decisioni, anche sotto il profilo temporale, in modo da scongiurare che l'affermazione di un principio costituzionale determini il sacrificio di un altro. Per la Corte è pacifico che l'efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le «situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili» ovvero i «rapporti esauriti». Diversamente, ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici (sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966).
Pertanto, il principio della retroattività «vale [...] soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984, ripresa da ultimo dalla sentenza n. 1 del 2014). In questi casi, l'individuazione in concreto del limite alla retroattività, dipendendo dalla specifica disciplina di settore -relativa, ad esempio, ai termini di decadenza, prescrizione o inoppugnabilità degli atti amministrativi- che precluda ogni ulteriore azione o rimedio giurisdizionale, rientra nell'ambito dell'ordinaria attività interpretativa di competenza del giudice comune (principio affermato, ex plurimis, sin dalle sentenze n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970 e poi ribadito con ordinanza 135 del 2010, sentenza 11.02.2015 n. 10 e 191 del 2021).
Nel diritto amministrativo, dunque, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge non può travolgere i provvedimenti amministrativi ormai divenuti definitivi per mancata impugnazione o per formazione del giudicato sulla relativa controversia (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 28.12.2021 n. 1984 - commento tratto da www.giustizia-amministrativa.it).
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PARERE
6. La sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale.
Occorre ricordare innanzi tutto che l’art. 136 Cost. dispone che, quando la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Inoltre, l’art. 30 l. 11.03.1953, n. 87, prevede che “la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, entro due giorni dal suo deposito in Cancelleria, è trasmessa, di ufficio, al Ministro di grazia e giustizia od al Presidente della Giunta regionale affinché si proceda immediatamente e, comunque, non oltre il decimo giorno, alla pubblicazione del dispositivo della decisione nelle medesime forme stabilite per la pubblicazione dell'atto dichiarato costituzionalmente illegittimo.
La sentenza, entro due giorni dalla data del deposito viene, altresì, comunicata alle Camere e ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario adottino i provvedimenti di loro competenza.
Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali
”.
Va osservato che l’invalidità della legge impugnata per contrasto con norme gerarchicamente superiori non produce effetto ipso iure, ma va affermata con una sentenza di natura costitutiva, vincolante erga omnes, che riguarda tutti i soggetti dell’ordinamento e tutti i rapporti non ancora definiti.
Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale, anche solo parziale, della disposizione impugnata che, come visto, cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione (ex art. 136 Cost.).
È stato correttamente osservato dalla dottrina che un’interpretazione letterale dell’art. 136 Cost. lascerebbe qualificare l’effetto delle sentenze di accoglimento come una sorta di abrogazione, dal momento che la norma perde efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, riguardando, pertanto, solo i rapporti futuri e non quelli pendenti alla data della decisione.
In tal modo, tuttavia, si creerebbe una sorta di “corto circuito” con il meccanismo dell’instaurazione del giudizio di costituzionalità in via incidentale, poiché, da un lato, il giudice rimettente può sollevare la questione di incostituzionalità, sul presupposto della sua rilevanza nel giudizio a quo, e, dall’altro, la decisione di incostituzionalità non dovrebbe poter produrre effetti proprio sul giudizio a quo in quanto la sua efficacia riguarderebbe solo i rapporti futuri.
La migliore dottrina sul punto ha rilevato che in un ordinamento a Costituzione rigida sarebbe contraddittorio che leggi dichiarate costituzionalmente illegittime continuino a spiegare effetti; peraltro, se la “perdita di efficacia” valesse solo per l’avvenire, nessuna parte solleverebbe la questione di legittimità costituzionale “per il semplice motivo che non ne avrebbe interesse”.
L’incongruenza lamentata –da parte di autorevole dottrina definita “assurda”– è stata superata con l’interpretazione dell’art. 136 Cost. ad opera del citato art. 30 l. 11.03.1953, n. 87, articolo quest’ultimo che ha chiarito che le norme dichiarate incostituzionali “non possono avere applicazione” dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Pertanto, la “perdita di efficacia” dell’art. 136 Cost. diventa “perdita di ulteriore applicabilità” delle norme dichiarate incostituzionali, con riferimento a tutti i rapporti, anche quelli già pendenti. In questo senso l’effetto delle sentenze di accoglimento è qualificato in termini di “annullamento” della legge dichiarata incostituzionale che viene espunta dall’ordinamento, mentre le leggi soltanto abrogate da ulteriori disposizioni di legge (fatte salve eventuali previsioni di retroattività delle norme successive) continuano ad applicarsi ai rapporti ancora pendenti alla data dell’abrogazione.
Il limite all’efficacia delle sentenze di accoglimento è invece rappresentato dai rapporti ormai esauriti per effetto di prescrizione, decadenza o passaggio in giudicato di una sentenza, prevalendo in questi casi il principio di certezza del diritto.
In altri termini, mentre l’efficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale è giustificata dalla stessa eliminazione della norma che non può più regolare alcun rapporto giuridico, salvo che si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, in ipotesi di successione di legge –dal momento che la norma anteriore è pienamente valida ed efficace fino al momento in cui non è sostituita– la nuova legge non può che regolare i rapporti futuri e non anche quelli pregressi, per i quali vale il principio che la disciplina applicabile è quella vigente al momento in cui si è realizzata la situazione giuridica o il fatto generatore del diritto.
Unica eccezione alla regola appena descritta si realizza in materia penale, come chiaramente disposto dall’art. 30, comma 4, l. 11.03.1953, n. 87. Si tratta in questo caso di un’applicazione del principio già stabilito dall’articolo 2, comma 2, c.p., nonché “dalla particolare tutela della libertà personale voluta dalla nostra Costituzione”.
7. Gli effetti della sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale nel diritto amministrativo.
Come ora spiegato, dunque, nel nostro sistema di giustizia costituzionale è jus receptum l’affermazione secondo la quale le pronunce della Consulta producono effetti tanto per il passato quanto per il futuro. Per la giurisprudenza, la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes e la norma di diritto c.d. sostanziale (ma anche la norma processuale) -dichiarata incostituzionale- cessa di operare dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale nella gazzetta ufficiale, ai sensi dell'art. 30, l. 11.03.1953, n. 87; inoltre, avendo l'illegittimità costituzionale per presupposto l'invalidità originaria della legge, sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale, per contrasto con un precetto costituzionale, le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi -dichiarative di illegittimità costituzionale- eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione.
Resta fermo naturalmente il principio che gli effetti dell'incostituzionalità non si estendono ai diritti quesiti e ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalità (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 12.07.2018, n. 4264). La Corte costituzionale –con principio poi che è stato esteso anche alle sentenze e ai pareri del Consiglio di Stato (si veda Cons. Stato, parere 30.06.2020, n. 1233)– poi può modularne gli effetti attraverso specifiche indicazioni che, come affermato dalla dottrina, hanno lo “scopo di evitare che alcune pronunce, se operative su tutti i rapporti non ancora esauriti, produc(essero)ano danni così rilevanti, da mettere in ombra i benefici della dichiarazione di incostituzionalità”.
Per una disamina esaustiva degli effetti della sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale occorre allora verificarne le conseguenze nel giudizio a quo, nei rapporti pendenti e, infine, con riferimento ai rapporti esauriti.
7.1. Nel giudizio a quo.
La sentenza della Corte costituzionale è vincolante per il giudice a quo che, nel continuare il giudizio dopo la restituzione degli atti da parte della Corte, si trova di fronte all’avvenuto accertamento di illegittimità della legge, accertamento di illegittimità che la rende inapplicabile e che non può non vincolare il giudice a quo.
Del resto, per costante giurisprudenza costituzionale (ex multis, Corte Cost. n. 303/2007), ai fini dell’ingresso della questione di costituzionalità sollevata nel corso di un giudizio dinanzi ad un’autorità giurisdizionale, è requisito necessario, unitamente al vaglio della non manifesta infondatezza, che essa sia rilevante, ovvero che investa una disposizione avente forza di legge di cui il giudice rimettente è tenuto a fare applicazione, quale passaggio obbligato ai fini della risoluzione della controversia oggetto del processo principale.
La rilevanza della questione di costituzionalità comporta, dunque, che, primo fra tutti, il giudice rimettente dovrà fare applicazione concreta della decisione della Consulta nella soluzione della controversia a lui sottoposta.
Ciò è quanto accaduto, come sopra visto, nel caso qui in esame: il Tar per la Sicilia, sez. I, 15.02.2021, n. 579 ha dichiarato infatti che “i ricorrenti hanno diritto alla retrodatazione dell’attribuzione della qualifica di Vice Sovrintendenti della Polizia di Stato”.
7.2. Nei rapporti esauriti.
7.2.1. L'efficacia retroattiva della sentenza (ossia l’annullamento ex tunc della norma censurata oggetto della declaratoria di incostituzionalità) che dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte costituzionale, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate e intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale.
Per la Corte Costituzionale, “a differenza dello ius superveniens, che attiene alla «vigenza normativa», la dichiarazione di illegittimità costituzionale rimuove la norma censurata dall'ordinamento in quanto affetta da una invalidità «genetica», legata al sistema di gerarchia delle fonti: invalidità che impone di considerarla tamquam non esset, con il solo limite -non del giudicato- ma di quegli effetti «già compiuti e del tutto consumati», per loro natura insuscettibili di neutralizzazione” (Corte cost.. 16.04.2021, n. 68).
Più nello specifico, con sentenza 08.10.2021, n. 191, la Corte Costituzionale ricorda che “per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la cosiddetta efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale incontra il limite dei rapporti esauriti, tra i quali rientrano quelli che non possano più dare materia a un giudizio in ragione della disciplina dei termini di inoppugnabilità degli atti amministrativi (sentenza n. 10 del 2015, ordinanza n. 135 del 2010)”.
7.2.2. Occorre ora qui, affrontare più in dettaglio, quanto già esposto al § 7 in relazione alla materia penale (atteso il chiaro tenore dell’ultimo comma dell’art. 30 l. 11.03.1953, n. 87), non perché rilevante per la risposta ai quesiti formulati ma per l’individuazione di una regola vigente nella materia penale che è certamente diversa da quella esistente nel diritto amministrativo, come più ampiamente si esporrà al § 7.2.3.
Come prima anticipato, la ragione per cui in materia penale la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme travolge il giudicato risiede nella considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona. La Corte Costituzionale ha chiaramente affermato che “il principio della retroattività degli effetti delle pronunce di illegittimità costituzionale di cui al terzo comma del medesimo articolo -che, come questa Corte ha più volte ribadito, «è (e non può non essere) principio generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte» (da ultimo, sentenza n. 10 del 2015)- si estende oltre il limite dei rapporti esauriti nel solo ambito penale, in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona” (Corte cost., 24.02.2017, n. 43).
In termini ancora più chiari, si è stabilito che esiste un principio “in base al quale le sentenze di accoglimento producono i loro effetti anche sui rapporti sorti precedentemente, purché, però, non definitivamente "chiusi" sul piano giuridico; dunque, con esclusione dei rapporti «esauriti» (sentenze n. 10 del 2015, n. 1 del 2014, n. 3 del 1996, n. 139 del 1984 e n. 127 del 1966; ordinanza n. 135 del 2010), quali, anzitutto, quelli coperti sul piano processuale dal giudicato (sentenze n. 235 del 1989, n. 139 del 1984 e n. 127 del 1966). Soluzione, questa, coerente con l'esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche (sentenze n. 10 del 2015 e n. 26 del 1969).
Il quarto comma dell'art. 30 della legge n. 87 del 1953, … pone, tuttavia, una regola specifica e distinta con riguardo alla materia penale, stabilendo che «[q]uando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali».
Come emerge anche dai relativi lavori parlamentari, si tratta di regola suggerita dalle peculiarità della materia considerata e dalla gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà personale o su altri interessi fondamentali dell'individuo
” (Corte cost. 16.04.2021, n. 68).
7.2.3 Nel diritto amministrativo, a differenza che nel diritto penale (si veda il precedente § 7.2.2), l'efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale si arresta, invece, dinanzi ai rapporti esauriti.
Il ruolo affidato alla Corte come custode della Costituzione nella sua integralità impone di evitare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge determini, paradossalmente, «effetti ancor più incompatibili con la Costituzione» (sentenza n. 13 del 2004) di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina legislativa. Per evitare che ciò accada, è compito della Corte modulare le proprie decisioni, anche sotto il profilo temporale, in modo da scongiurare che l'affermazione di un principio costituzionale determini il sacrificio di un altro.
Per la Corte è pacifico che l'efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le «situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili» ovvero i «rapporti esauriti». Diversamente, ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici (sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966).
Pertanto, il principio della retroattività «vale [...] soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984, ripresa da ultimo dalla sentenza n. 1 del 2014). In questi casi, l'individuazione in concreto del limite alla retroattività, dipendendo dalla specifica disciplina di settore -relativa, ad esempio, ai termini di decadenza, prescrizione o inoppugnabilità degli atti amministrativi- che precluda ogni ulteriore azione o rimedio giurisdizionale, rientra nell'ambito dell'ordinaria attività interpretativa di competenza del giudice comune (principio affermato, ex plurimis, sin dalle sentenze n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970 e poi ribadito con ordinanza 135 del 2010, sentenza 10 del 2015 e 191 del 2021).
Nel diritto amministrativo, dunque, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge non può travolgere i provvedimenti amministrativi ormai divenuti definitivi per mancata impugnazione o per formazione del giudicato sulla relativa controversia.
Tra i provvedimenti amministrativi soggetti alla disciplina ora esposta vi rientra certamente anche il ruolo di anzianità del personale di una pubblica amministrazione –soprattutto se in regime di diritto pubblico– relativamente alle specifiche posizioni ricoperte da ciascun dipendente. Conseguentemente le posizioni in ruolo non tempestivamente contestate dai singoli interessati, con riferimento al posto in cui sono collocati, nell’ordinario termine di decadenza previsto per impugnare innanzi al giudice amministrativo (sessanta giorni decorrenti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 29 e 41 c.p.a., “dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge”) si consolidano, resistendo dunque anche alle pronunce di illegittimità costituzionale. Tale regola, oltre che scaturire dai principi prima esposti, ha un fondamento logico perché evita che, come nel caso sottoposto all’attenzione di questo Consiglio da parte del Ministero, si rimettano in discussione assetti amministrativi consolidati risalenti anche a venti anni or sono e riferibili pure a soggetti che non hanno mai preso parte a giudizi.
Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha nel tempo affermato che le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la validità e la efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche "consolidate" per effetto di eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l'atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza (Cass., sez. III, 28.07.1997, n. 7057; nello stesso senso sez. I, 14.05.1999, n. 4766; sez. I 07.06.2000, n. 7704; sez. I 25.06.2001, n. 10115; in relazione ai rapporti di lavoro, sez. lavoro, 25.08.2003, n. 12454).
7.3. Nei giudizi ancora pendenti innanzi al giudice amministrativo.
7.3.1. L’efficacia retroattiva delle sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale non è dunque illimitata ma al contrario presuppone che i rapporti su cui la decisione può produrre effetti siano ancora “non esauriti” o perché relativi al giudizio a quo o perché incardinati in altri giudizi ancora pendenti in cui non è stata sollevata questione di legittimità costituzionale.
L’indagine sulla c.d. fase discendente del giudizio di costituzionalità, ossia del seguito nei giudizi amministrativi ancora pendenti, diversi da quello a quo, della dichiarazione di incostituzionalità di una norma sulla genesi o sull’esercizio del potere amministrativo, si traduce in un’indagine sulla sorte del provvedimento amministrativo adottato sulla base della disposizione incostituzionale, se cioè questo debba essere considerato inesistente, nullo o annullabile.
Nella fase discendente, osserva la dottrina, si ripropone una tensione tra dimensione soggettiva dei vincoli imposti dai motivi di ricorso e dimensione oggettiva dell’interesse al controllo di costituzionalità che sembrerebbe attribuire al giudice un potere eccezionale, cioè al di là delle regole processuali del giudizio amministrativo di annullamento di un atto anche per un motivo diverso da quello fatto valere dal ricorrente. Tale tensione non emerge tanto nel giudizio amministrativo in cui la questione di costituzionalità è stata sollevata (giudizio a quo), quanto nei giudizi amministrativi pendenti, in cui sia stato impugnato un provvedimento adottato sulla base della norma oggetto del giudizio di costituzionalità.
In definitiva, dovrà verificarsi se in questi casi il potere di annullamento (d’ufficio) dell’atto impugnato, al di fuori dei vizi dedotti dal ricorrente, trovi o meno significativo ostacolo nel principio della domanda, costituendo una peculiare limitazione agli effetti erga omnes del sindacato di costituzionalità.
7.3.2. In una prima fase (dal 1956 al 1963), le decisioni del Consiglio di Stato sono state oscillanti e hanno considerato l’atto amministrativo emesso sulla base di norma dichiarata incostituzionale inesistente, a volte con conseguente improcedibilità del ricorso proposto contro di esso, a volte con la necessità di una dichiarazione di difetto di giurisdizione a conoscere del ricorso proposto. Altre decisioni, invece, hanno affermato la sopravvivenza dell’atto amministrativo considerandolo annullabile.
7.3.3. Sul tema decisiva è la pronuncia dell’Adunanza Plenaria 8/1963 che fa discendere dall’efficacia della pronuncia d’incostituzionalità della legge l’annullabilità dell’atto amministrativo ed afferma, inoltre, che il vizio dell’atto amministrativo fondato su norme incostituzionali non incontra i limiti derivanti dal non essere stato denunciato nel relativo giudizio, né quello del diverso apprezzamento espresso precedentemente dal giudice sullo stesso vizio.
Quando, con la dichiarazione di incostituzionalità, la legge perde l’efficacia, la conseguenza che bisogna trarre” relativamente agli atti amministrativi “è solo che vi è stata una illegittima attribuzione di potestà discrezionale”, quindi “l’esercizio di un potere viziato per riflesso del vizio di costituzionalità che inficia la norma attributiva”.
La pronuncia smentisce definitivamente la teoria, sino allora sostenuta, della inesistenza degli atti amministrativi emanati in base ad una norma dichiarata incostituzionale; ciò che rileva infatti, secondo l’Adunanza Plenaria, per l’esistenza dell’atto è che l’amministrazione abbia agito nell’esercizio di funzioni attribuite dalla legge vigente al momento in cui l’atto è stato emanato.
Così l’Adunanza Plenaria: “la dichiarazione di illegittimità costituzionale ha efficacia ex tunc, salvo il limite degli effetti irrevocabilmente prodotti dalla norma incostituzionale (situazioni e rapporti divenuti incontrovertibili per il maturarsi di termini di prescrizione o di decadenza, o perché definiti con giudicato, etc.) ed opera erga omnes, cioè anche fuori dell’ambito del rapporto processuale in cui è stato sollevato l’incidente di incostituzionalità, distinguendosi dalla abrogazione della legge, perché si estende ai fatti anteriori.
La norma dichiarata incostituzionale non può dichiararsi inesistente (con conseguente inesistenza dell’organo creato in base ad essa e degli atti emessi da tale organo). Fra legge ed atto amministrativo non sussiste un rapporto di consequenzialità analogo a quello ravvisabile tra atto preparatorio e atto finale del procedimento amministrativo. L’atto amministrativo, quale manifestazione di autonomia del potere esecutivo, ha una sua vita ed una sua individualità propria e non resta direttamente travolto dalla cessazione di efficacia della legge. … L’invalidità dell’atto derivata dalla incostituzionalità della norma non ha sempre pieno effetto satisfattorio, indipendentemente dalla rimozione reale dell’atto stesso. Il giudice amministrativo, pertanto, richiesto della pronunzia di annullamento dell’atto per tale causa non può limitarsi a dichiarare la cessazione della materia del contendere, privando il ricorrente della possibilità di rendere coercibile l’esecuzione del giudicato relativo ad un dovere giuridico della P.A. solo incidentalmente affermato nella motivazione.
La dichiarazione di incostituzionalità di una norma che attribuisce alla P.A. un potere discrezionale, non trasforma ex tunc le originarie posizioni di interesse legittimo in diritti soggettivi, privando di giurisdizione l’adito Consiglio di Stato. Infatti nel momento della emanazione dell’atto il potere discrezionale non poteva dirsi mancante ma veniva esercitato in base ad una legge viziata di incostituzionalità (…) i ricorsi impostati sulla intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale vanno decisi dal giudice amministrativo tenendo presente che l’atto amministrativo continua ad avere vita autonoma finché non sia rimosso con uno degli strumenti a ciò idonei e che persiste l’interesse di chi ne ha chiesto l’annullamento ad ottenerlo. Tale annullamento va pronunziato sia se la questione incidentale è stata sollevata nel corso del giudizio risolvendosi in un motivo di impugnazione dell’atto, sia se pur essendo stata sollevata non sia stata ancora delibata dal giudice amministrativo al momento della intervenuta pronunzia della Corte Costituzionale, non avendo rilievo la circostanza che la fondatezza del dubbio di costituzionalità sia stata accertata nel corso del medesimo giudizio o nel corso di altro giudizio
”.
7.3.4. Questo orientamento che, in definitiva, vuole l’atto amministrativo emanato sulla base di una legge successivamente dichiarata incostituzionale, anche se invalido, produttivo dei suoi effetti sino alla sua formale rimozione a mezzo dell’annullamento (purché non sia già divenuto definitivo e/o non sia “sceso” il giudicato sulla relativa controversia), è stato confermato in seguito dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti utilizzato la categoria dell’invalidità “sopravvenuta” (o “derivata”), alludendo ad un atto amministrativo conforme al proprio modello legale nel momento della emanazione e, quindi, nel momento di esercizio del potere sotteso, ma divenuto viziato a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della stessa norma, attributiva o regolativa.
7.3.5. Posta l’utilizzabilità della categoria della invalidità derivata e del regime della annullabilità, si pone il problema del rilievo ex officio, degli spazi di esercizio del potere di annullamento e se tale potere sia vincolato ad un motivo del ricorso.
La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che “legittimamente il giudice adito annulla l'atto impugnato fondato su una norma dichiarata incostituzionale, anche nel caso in cui la relativa questione non abbia formato oggetto di uno specifico motivo di ricorso, considerato che detto giudice è chiamato, sia pur in modo indiretto o implicito, a far applicazione della norma nella quale trova legittimazione l'atto impugnato” (Consiglio di Stato, sez. V, 06.02.1999, n. 138).
Sempre che il relativo giudizio sia ancora pendente al momento della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, dunque, la mancata deduzione del vizio derivabile dalla pronuncia di incostituzionalità in seno al ricorso introduttivo non comporta, quindi, né la preclusione della deduzione, né la necessità di deduzione integrativa (con motivi aggiunti). In questo modo, è stato osservato dalla dottrina, la disciplina del processo amministrativo è stata sottoposta ad una interpretazione di adeguamento alle dinamiche del controllo di costituzionalità in via incidentale.
Unico limite rimane tuttavia la pendenza della controversia e la rilevanza della questione ai fini della decisione del giudice amministrativo. La giurisprudenza afferma infatti che il giudice non può applicare d’ufficio l’intervenuta pronuncia di illegittimità costituzionale della norma in ipotesi in cui, ex ante, non avrebbe potuto sollevare, di ufficio o su istanza di parte, la questione di legittimità costituzionale della norma predetta per difetto di rilevanza. È stato correttamente osservato in dottrina che l’interesse generale che norme dichiarate incostituzionali non trovino più applicazione legittima sì il potere di annullamento ex officio, ma questo elemento di novità e di tensione nel processo amministrativo deve rimanere pur sempre ancorato ai motivi del ricorso, essendo l’esame della norma utile ai fini della decisione, e all’attuale pendenza della controversia.
7.3.6. La giurisprudenza ha inoltre distinto tra le norme sul quomodo di esercizio del potere e quelle sulla genesi del potere, aggiungendo che il rilievo d’ufficio dell’incostituzionalità della norma non incontra il limite dei motivi del ricorso quando la Corte costituzionale dichiari illegittima una norma sulla “genesi” del potere. In questo caso, sempre che il relativo giudizio sia ancora pendente al momento della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, il giudice amministrativo può esercitare un potere di annullamento d’ufficio, anche quando il ricorrente abbia assunto come violate tutt’altre norme (così Consiglio di Stato, sez. VI, 20.11.1986, n. 855: “la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma nella quale trova esclusivo fondamento il potere esercitato dalla p.a. con il provvedimento impugnato, svolge i suoi effetti ex tunc nei giudizi in corso, comportando l’illegittimità del provvedimento stesso, del quale va dichiarato l’annullamento con sentenza del giudice amministrativo”).
L’orientamento giurisprudenziale appena riferito è stato confermato dal Consiglio di Stato, riaffermando la tesi dell’annullabilità dell’atto amministrativo e distinguendo tra norme incostituzionali che incidono sull’an o sul quomodo del potere amministrativo solo ai fini del potere di rilievo officioso che non può essere esercitato quando la norma sul quomodo del potere dichiarata incostituzionale non sia stata richiamata dal ricorrente nei motivi di ricorso o si sia altrimenti esaurito il potere.
8. Estensione del giudicato amministrativo e suoi limiti.
L’articolo 2909 c.c. dispone che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa (c.d. efficacia soggettiva del giudicato).
Nel diritto amministrativo, è jus receptum che la decisione di annullamento di un provvedimento -che per i limiti soggettivi del giudicato esplica in via ordinaria effetti solo fra le parti in causa- acquista efficacia erga omnes esclusivamente nei casi di atti a contenuto inscindibile, ovvero di atti a contenuto normativo (regolamenti) o amministrativi generali, rivolti a destinatari indeterminati ed indeterminabili a priori, in relazione ai quali gli effetti dell'annullamento non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto a contenuto generale sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 04.04.2018, n. 2097).
Per insegnamento costante, e risalente nel tempo, invece, l’annullamento giurisdizionale dell'atto plurimo e scindibile (sulla nozione si veda, Cons. Stato, sez. VI, 13.02.2009, n. 765), qual è il ruolo di anzianità di una pubblica amministrazione, non può avere efficacia erga omnes ma solo effetti inter partes. Ed invero, sarebbe errato ammettere l’applicazione dello stesso principio di efficacia generalizzata ultra partes della sentenza di annullamento degli atti inscindibili perché significherebbe sottrarre i singoli destinatari dell’atto plurimo –che sono portatori di uno specifico interesse personale e differenziato in relazione ad una volontà amministrativa rivolta distintamente a più destinatari occasionalmente raggruppati in un unico provvedimento– dai principi del processo impugnatorio e dei relativi termini decadenziali (Cons. Stato, sez. V, 15.12.2005, n. 7144). In tal caso la diligenza e la solerzia di alcuni andrebbe a beneficio di coloro che non hanno fatto valere tempestivamente il loro diritto di difesa.
Con specifico riferimento al pubblico impiego occorre inoltre considerare che l’art. 1, comma 132, l. 30.12.2004, n. 311 dispone che “per il triennio 2005-2007 è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, di adottare provvedimenti per l'estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive, in materia di personale delle amministrazioni pubbliche” e che il successivo art. 41, comma 6, l. 207/2008 prevede che “il divieto di cui all'articolo 1, comma 132, della legge 30.12.2004, n. 311, è prorogato anche per gli anni successivi al 2008”.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha di recente ricordato che: “in tema di divieto di estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato nel pubblico impiego, la posizione giuridica di coloro che abbiano presentato un tempestivo ricorso avverso un atto di macro-organizzazione si differenzia sotto il profilo soggettivo da quella degli altri dipendenti che avevano prestato acquiescenza nei confronti del suddetto atto rimanendo inattivi. Il giudicato amministrativo, in assenza di norme ad hoc nel c.p.a., è sottoposto alle disposizioni generali sul processo civile, per cui il giudicato opera solo inter partes, secondo quanto prevede per il giudicato civile l'art. 2909 c.c. e, quindi, sono eccezionali i casi di giudicato amministrativo con effetti ultra partes, i quali si giustificano solo grazie all'inscindibilità degli effetti dell'atto o dell'inscindibilità del vizio dedotto (nel caso in esame il provvedimento impugnato aveva ad oggetto una vicenda amministrativa specifica e temporalmente circoscritta, ossia la mobilità connessa alla c.d. «riforma della Buona Scuola»” (Consiglio di Stato, sez. VI, 26.01.2021, n. 799).
Anche l’Adunanza Plenaria, sempre di recente, ha ribadito che: “Il giudicato amministrativo ha di regola effetti limitati alle parti del giudizio e non produce effetti a favore dei cointeressati che non abbiamo tempestivamente impugnato; i casi di giudicato con effetti ultra partes sono eccezionali e si giustificano in ragione dell'inscindibilità degli effetti dell'atto o dell'inscindibilità del vizio dedotto: in particolare, l'indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l'esistenza di un legame altrettanto inscindibile fra le posizione dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile, logicamente, ancor prima che giuridicamente, che l'atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato; per tali ragioni deve escludersi che l'indivisibilità possa operare con riferimento a effetti del giudicato diversi da quelli caducanti e, quindi, per gli effetti conformativi, ordinatori, additivi o di accertamento della fondatezza della pretesa azionata, che operano solo nei confronti delle parti del giudizio” (Consiglio di Stato, ad. plen., 27.02.2019, nn. 4 e 5).
Alla luce del quadro normativo e delle pronunce della giurisprudenza amministrativa riferiti è chiaro che nella materia oggetto di esame viga il divieto di estensione del giudicato.
9. Legalità costituzionale e autotutela amministrativa.
L'esercizio del potere di autotutela, che trova fondamento nei principi di legalità, imparzialità, buon andamento cui deve essere improntata l'attività della P.A., è facoltà ampiamente discrezionale (soprattutto nell'an) dell'Amministrazione, che non ha alcun dovere giuridico di esercitarla; detto potere si esercita discrezionalmente d'ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell'Amministrazione e non su istanza di parte. Ne consegue che, fatte salve ipotesi eccezionali, essa non ha alcun obbligo di provvedere su istanze che ne sollecitino l'esercizio e che alla richiesta del privato di autotutela deve essere riconosciuta una funzione meramente sollecitatoria, in quanto, in caso contrario, si verificherebbe l'elusione del termine decadenziale di impugnazione il cui rispetto è funzionale all'esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico.
Giova ricordare che l’esercizio del potere di autotutela è legato altresì al rispetto dell’art. 21-nonies l. 241/1990, ai sensi del quale: “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.
Resta ferma infine la necessità poi di valutare la successiva azione amministrativa con l’articolo 1, comma 132, l. 30.12.2004, n. 311, prima illustrato al § 8 (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 28.12.2021 n. 1984 - commento tratto da www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVII «poteri d'ordine» dell'Anac non hanno natura sanzionatoria ma di moral suasion.
Il fatto che l'Anac non sia stata investita dal legislatore di un potere sostitutivo quanto all'adozione degli atti necessari alla corretta attuazione dei piani anticorruzione, delle regole sulla trasparenza, della rimozione degli atti e comportamenti contrastanti con i citati piani e regole, suggerisce che il "potere d'ordine" dell'Autorità nazionale anticorruzione in effetti non abbia alcuna natura vincolante. Ed è soltanto funzionale a "sollecitare" gli organi istituzionalmente deputati all'adozione di questi provvedimenti.

Sulla base della considerazione che, nei fatti, non sono riconosciuti all'Anac poteri d'ordine vincolanti neppure in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, il Consiglio di Stato - Sez. VI, con la sentenza 14.12.2021 n. 8336, ha escluso che i poteri in parola possano tradursi in pareri, valutazioni o veri e propri comandi coercitivi per le Pa.
Il potere d'ordine attribuito all'Anac è quindi stato concepito dal legislatore quale forma di "moral suasion"; che non priva le singole Pa della competenza a decidere autonomamente, se, ed in che limiti, sia necessario adottare nuovi atti o rimuoverne di precedenti; al fine di adeguare l'ordinamento interno alle indicazioni dei piani anticorruzione e delle norme sulla trasparenza. E la pubblicità che l'Anac riserva ai propri provvedimenti d'ordine costituisce una "sanzione reputazionale" che serve a stimolare il controllo sociale dei cittadini.
Il sistema disegnato nella legge anticorruzione si fonda innanzitutto sulla individuazione nelle Pa dei settori di attività esposte al rischio di corruzione e sulla individuazione delle relative misure di contrasto e di prevenzione. A cura dell'Anac viene predisposto il Piano nazionale anticorruzione che costituisce "atto di indirizzo" per ogni Pa.
Specularmente ogni Pa approva il piano di prevenzione della corruzione nel quale fornisce una valutazione del livello di esposizione dei propri uffici al rischio di corruzione; indicando gli interventi organizzativi di contrasto al rischio. L'Anac esercita quindi vigilanza e controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle Pa; potendo mettere in campo anche facoltà ispettive: chiedendo notizie, informazioni, atti; ammonendo l'adozione di provvedimenti adeguati alle vigenti disposizioni o la rimozione dei comportamenti inappropriati.
Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, l'Anac non ha alcun potere di annullare gli atti adottati dall'ente in violazione delle misure di contrasto alla corruzione. Dopo aver raccolto le informazioni del caso, l'authority può esclusivamente "ordinare" l'adozione dei provvedimenti che essa ritenga necessari per la corretta attuazione dei piani anticorruzione e per la trasparenza; oppure la rimozione degli atti e dei comportamenti contrastanti con i predetti indirizzi. E ciò nell'esercizio di un potere che non può che essere diretto verso gli organi cui spetta, ordinariamente, la competenza ad adottare gli atti oggetto del "richiamo" in argomento (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 28.12.2021).

ATTI AMMINISTRATIVI: G.U. 13.12.2021 n. 295 "Approvazione della determinazione n. 611/2021, avente ad oggetto l’adozione del «Regolamento recante le procedure di contestazione, accertamento, segnalazione delle violazioni in materia di transizione digitale e di esercizio del potere sanzionatorio ai sensi dell’articolo 18-bis, del decreto legislativo 07.03.2005, n. 82 e successive modifiche»" (AGID, determinazione 29.11.2021 n. 611).

ATTI AMMINISTRATIVI: G.U. 13.12.2021 n. 295 "Approvazione della determinazione n. 610/2021, avente ad oggetto l’adozione del «Regolamento recante le procedure finalizzate allo svolgimento dei compiti previsti dall’articolo 17, comma 1-quater, del CAD»" (AGID, determinazione 29.11.2021 n. 610).

novembre 2021

ATTI AMMINISTRATIVIL'autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza o di validità del provvedimento amministrativo quando i dati espressi nel contesto documentativo dell'atto permettono di accertarne la sicura attribuibilità a chi deve esserne l'autore; in questi casi, infatti, secondo le disposizioni di cui al d.lgs. 12.02.1993, n. 39 e da ultimo del d.lgs. 07.03.2005, n. 82 -Codice dell'amministrazione digitale-, nel caso di emanazione di atti amministrativi mediante sistemi informatici e telematici, la firma autografa è sostituita dall'indicazione a stampa (firma digitale), sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile che ne attesta con certezza l'integrità e l'autenticità della firma.
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La mancata indicazione dei termini di proposizione del ricorso costituisce mera irregolarità formale, insuscettibile di inficiare la validità del provvedimento: “l'omessa indicazione, in calce al provvedimento amministrativo, del termine e dell'autorità cui ricorrere, rappresenta una mera irregolarità, la quale può eventualmente costituire presupposto per il riconoscimento dell'errore scusabile, solo previo accertamento, caso per caso, dei rigorosi presupposti e, quindi, in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto”.
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Il Comune di Campo nell’Elba, con ordinanza n. 59 del 21.11.2016, ha ordinato alle ricorrenti la demolizione di un edificio in muratura composto da camera da letto, corridoio, cucina e perimetrato da due parapetti e da tettoia, nonché di un vano contiguo in corso di rifinitura, situati in area a pericolosità idraulica molto elevata.
Avverso tale provvedimento le ricorrenti sono insorte deducendo:
   1) Violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241/1990.
L’atto impugnato è nullo per omessa indicazione dei termini di ricorso e per essere privo della firma digitale del dirigente dell’area tecnica Sa.Fa..
   2) Violazione dell’art. 34 del d.p.r. n. 380/2001; eccesso di potere.
Il Comune non ha verificato se l’opera abusiva in questione potesse essere demolita senza pregiudizio della parte per la quale è stata presentata domanda di condono.
...
1. Il ricorso è infondato.
L’ordinanza di demolizione è stata notificata in formato cartaceo con l’indicazione del nome del sottoscrittore e la postilla “sottoscritto digitalmente ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 82/2005”.
Orbene, l'autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza o di validità del provvedimento amministrativo quando i dati espressi nel contesto documentativo dell'atto permettono di accertarne la sicura attribuibilità a chi deve esserne l'autore; in questi casi, infatti, secondo le disposizioni di cui al d.lgs. 12.02.1993, n. 39 e da ultimo del d.lgs. 07.03.2005, n. 82 -Codice dell'amministrazione digitale-, nel caso di emanazione di atti amministrativi mediante sistemi informatici e telematici, la firma autografa è sostituita dall'indicazione a stampa (firma digitale), sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile che ne attesta con certezza l'integrità e l'autenticità della firma (TAR Lazio, Roma, II, 11.05.2015, n. 6771).
2. La mancata indicazione dei termini di proposizione del ricorso costituisce mera irregolarità formale, insuscettibile di inficiare la validità del provvedimento: “l'omessa indicazione, in calce al provvedimento amministrativo, del termine e dell'autorità cui ricorrere, rappresenta una mera irregolarità, la quale può eventualmente costituire presupposto per il riconoscimento dell'errore scusabile, solo previo accertamento, caso per caso, dei rigorosi presupposti e, quindi, in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto” (TAR Sicilia, Catania, IV, 29/09/2016, n. 2345) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 29.11.2021 n. 1596 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVIIl provvedimento favorevole annullato tra legittimo affidamento, buona fede, correttezza, illegittimità evidente e responsabilità: la pronuncia della Plenaria.
L’Adunanza plenaria tratteggia perimetro, presupposti e limiti della responsabilità della p.a. discendente dal ragionevole affidamento del privato in ordine al legittimo esercizio del potere pubblico e all’operato della pubblica amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, anche nell’ipotesi di provvedimento favorevole successivamente annullato.
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Pubblica amministrazione – Violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede – Responsabilità civile – Presupposti e limiti
L’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
   a) “Nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti al pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi”.
   b) “La responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento”.
   c) “Nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa” (1).

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    (1) I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato -alla quale la seconda sezione del Consiglio di Stato con ordinanza 06.04.2021, n. 2753 (oggetto della News US in data 04.05.2021) aveva deferito alcune questioni interpretative- con articolata motivazione ha perimetrato la configurabilità dell’affidamento del privato sull’operato della p.a. e la connessa responsabilità di quest’ultima anche in relazione alle procedure riguardanti i contratti pubblici e in ipotesi di annullamento di provvedimento favorevole.
   II. – La vicenda contenziosa che ha condotto al giudizio dinanzi al giudice d’appello si è articolata nelle fasi di seguito descritte:
      a) all’esito dell’aggiudicazione di una gara disposta dal Comune di Carinola, taluni soggetti partecipanti alla medesima gara hanno proposto domanda di annullamento, la quale è stata rigettata con sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, 20.07.2007, n. 6857;
      b) tale sentenza è stata riformata dal Consiglio di Stato (sez. V, 09.12.2008, n. 6058), con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento dell’aggiudicazione;
      c) il Comune ha, quindi, preso atto della pronuncia di annullamento ed ha, a sua volta, formalmente revocato l’aggiudicazione definitiva della gara; 
      d) con successivo ricorso, l’originaria aggiudicataria ha chiesto condannarsi l’amministrazione al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, limitato al solo interesse negativo: in accoglimento della stessa domanda, con sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, 03.10.2012, n. 4017, il Comune di Carinola ‒in considerazione che l’affidamento asseritamente ingenerato si sostanzierebbe nella buona fede dell’impresa interessata all’effettivo conseguimento dell’utilitas rappresentata dall’aggiudicazione e che siffatto affidamento sarebbe derivato da un comportamento colpevole dell’ente pubblico‒ è stato condannato al risarcimento del danno, con quantificazione della somma dovuta ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.;
      e) la parte pubblica ha, quindi, proposto appello avverso detta sentenza censurandone la statuizione di condanna per equivalente e, nel relativo giudizio, si è innestato il deferimento all’Adunanza plenaria di cui trattasi.
   III. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria giunge alla elaborazione delle massime riportate sulla base del seguente percorso argomentativo:
      f) sulla possibilità che il provvedimento amministrativo possa essere per il soggetto beneficiario fonte di un “legittimo e qualificato affidamento”, la cui lesione per effetto del successivo annullamento in sede giurisdizionale lo legittimi a domandare il risarcimento del danno nei confronti dell’amministrazione:
         f1) l’affidamento nella legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione e più in generale sulla correttezza del suo operato è riconosciuto dalla risalente giurisprudenza dell’Adunanza plenaria come situazione giuridica soggettiva tutelabile attraverso il rimedio del risarcimento del danno;
         f2) l’affermazione di principio può essere fatta risalire alla sentenza del 05.09.2005, n. 6 (in Foro it., 2009, III, 124; Cons. Stato, 2005, I, 1440, con nota di RUBULOTTA): nell’applicare le norme sull’evidenza pubblica la p.a. è soggetta alle “norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune”;
         f3) malgrado la legittimità dell’intervento in autotutela, l’Adunanza plenaria ha riconosciuto il risarcimento per la lesione dell’affidamento maturato dall’aggiudicataria sulla conclusione del contratto, una volta che la sua offerta era stata selezionata in gara come la migliore ed era stato emesso a suo favore il provvedimento definitivo;
         f4) negli stessi termini l’Adunanza plenaria si è più di recente espressa con la sentenza 04.05.2018, n. 5 (in Foro it., 2018, III, 453, con nota di MIRRA; Giur. it., 2018, 1983, con nota di COMPORTI; Corriere giur., 2018, 1547, con nota di TRIMARCHI BANFI; Urbanistica e appalti, 2018, 639, con nota di GIAGNONI; Appalti & Contratti, 2018, 5, 67 (m), con nota di USAI; Guida al dir., 2018, 23, 88, con nota di CLARICH, FONDERICO; Resp. civ. e prev., 2018, 1594, con nota di FOÀ, RICCIARDO CALDERARO; Rass. avv. Stato, 2019, 1, 160, con nota di IZZI; Riv. trim. appalti, 2019, 1071, con nota di BEVIVINO, nonché oggetto della News US 09.05.2018);
         f5) secondo i principi formulati nei precedenti ora richiamati, le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti:
I) uno relativo alla validità degli atti amministrativi;
II) l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte;
         f6) oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi: l’”ordinaria possibilità che una responsabilità da comportamento scorretto sussista nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento” è stata in particolare affermata dalla citata pronuncia Cons. Stato, Ad. plen. 04.05.2018, n. 5, cit., in cui si è anche precisato che la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione nelle procedure di affidamento di contratti pubblici è una responsabilità “da comportamento illecito, che spesso non si traduce in provvedimenti illegittimi, ma, per molti versi, presuppone la legittimità dei provvedimenti che scandiscono la parabola procedurale”;
         f7) più di recente è stato affermato, su un piano generale, che l’affidamento “è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività” (Cons. Stato, sez. VI, 13.08.2020, n. 5011): pur sorto nei rapporti di diritto civile, con lo scopo di tutelare la buona fede ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata (e di cui sono applicazioni concrete, tra le altre, la “regola possesso vale titolo” ex art. 1153 cod. civ., l’acquisto dall’erede apparente di cui all’art. 534 cod. civ., il pagamento al creditore apparente ex art. 1189 cod. civ. e l’acquisto di diritto di diritti dal titolare apparente ex artt. 1415 e 1416 cod. civ.), l’affidamento è ormai considerato canone ordinatore anche dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ossia quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico, sia nel corso del procedimento amministrativo sia dopo che sia stato emanato il provvedimento conclusivo;
         f8) a conferma della descritta evoluzione si pone l’art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, il quale dispone che: “(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (comma aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), legge 11.09.2020, n. 120; di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali”);
         f9) la disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo:
I) per il migliore esercizio della discrezionalità amministrativa il procedimento necessita pertanto dell’apporto dei soggetti a vario titolo interessati, nelle forme previste l. n. 241 del 1990;
II) concepito in questi termini, il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata;
III) in ragione di ciò esso si rivolge all’amministrazione e ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento;
IV) a fronte del dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede possono pertanto sorgere aspettative, che per il privato istante si indirizzano all’utilità derivante dall’atto finale del procedimento, la cui frustrazione può essere per l’amministrazione fonte di responsabilità;
V) inoltre la lesione dell’aspettativa può configurarsi non solo in caso di atto legittimo, ma anche nel caso di atto illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale;
VI) anche in questa seconda ipotesi può infatti darsi il caso che il soggetto beneficiario dell’atto per sé favorevole abbia maturato un’aspettativa ragionevole alla sua stabilità, che dunque può essere ingiustamente lesa per effetto dell’annullamento in sede giurisdizionale;
      g) sui limiti entro cui può essere riconosciuto il risarcimento per lesione dell’affidamento, con particolare riguardo all’ipotesi di aggiudicazione di appalto, successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale:
         g1) si tratta del settore dell’attività della pubblica amministrazione in cui tradizionalmente e più volte è stata riconosciuta la responsabilità di quest’ultima: le ragioni alla base dell’orientamento di giurisprudenza favorevole al privato venutosi a creare in questo settore si spiega sulla base del fatto che, sebbene svolta secondo i moduli autoritativi ed impersonali dell’evidenza pubblica, l’attività contrattuale dell’amministrazione è nello stesso tempo inquadrabile nello schema delle trattative pre-negoziali, da cui deriva quindi l’assoggettamento al generale dovere di “comportarsi secondo buona fede” enunciato dall’art. 1337 del codice civile (come chiarito dall’Adunanza plenaria nelle sopra citate pronunce del 05.09.2005, n. 6, e del 04.05.2018, n. 5, citt.);
         g2) per comune acquisizione di diritto civile, la tutela risarcitoria per responsabilità precontrattuale è posta a presidio dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, e dunque del più generale interesse di ordine economico a che sia assicurata la serietà dei contraenti nelle attività preparatorie e prodromiche al perfezionamento del vincolo negoziale: la reintegrazione per equivalente è pertanto ammessa non già in relazione all’interesse positivo, corrispondente all’utile che si sarebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto, riconosciuto invece nella responsabilità da inadempimento, ma dell’interesse negativo, con il quale sono ristorate le spese sostenute per le trattative contrattuali e la perdita di occasioni contrattuali alternative, secondo la dicotomia ex art. 1223 cod. civ. danno emergente–lucro cessante;
         g3) applicata all’evidenza pubblica, la responsabilità precontrattuale sottopone l’amministrazione alla duplice soggezione alla legittimità amministrativa e agli obblighi di comportamento secondo correttezza e buona fede, i quali costituiscono, come in precedenza esposto, profili tra loro autonomi, e da cui può rispettivamente derivare l’annullamento degli atti adottati nella procedura di gara e le responsabilità per la sua conduzione (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, sez. V, 12.07.2021, n. 5274; 12.04.2021, n. 2938; 02.02.2018, n. 680);
         g4) nei rapporti di diritto civile, affinché un affidamento sia legittimo occorre tuttavia che esso sia fondato su un livello di definizione delle trattative tale per cui la conclusione del contratto, di cui sono già stati fissati gli elementi essenziali, può essere considerato come uno sbocco prevedibile, e rispetto al quale il recesso dalle trattative, in linea di principio libero, risulti invece ingiustificato sul piano oggettivo e integrante una condotta contraria al dovere di buona fede ex art. 1337 cod. civ. (ex multis: Cass. civ., sez. II, 15.04.2016, n. 7545; sez. III, 29.03.2007, n. 7768);
         g5) analogamente, per diffusa opinione nella giurisprudenza amministrativa (da ultimo: Cons. Stato, sez. II, 20.11.2020, n. 7237), l’affidamento è legittimo quando sia stata pronunciata l’aggiudicazione definitiva, cui non abbia poi fatto seguito la stipula del contratto, ed ancorché ciò sia avvenuto nel legittimo esercizio dei poteri della stazione appaltante;
         g6) ne discende che:
I) l’aggiudicazione è considerata il punto di emersione dell’affidamento ragionevole, tutelabile pertanto con il rimedio della responsabilità precontrattuale;
II) il recesso ingiustificato assume i connotati provvedimentali tipici della revoca o dell’annullamento d’ufficio della gara, che interviene a vanificare l’aspettativa dell’aggiudicatario alla stipula del contratto e che, pur legittimo, non vale quindi ad esonerare l’amministrazione da responsabilità per avere inutilmente condotto una procedura di gara fino all’atto conclusivo ed avere così ingenerato e fatto maturare il convincimento della sua positiva conclusione con la stipula del contratto d’appalto;
         g7) in senso parzialmente diverso si è espressa la sentenza Cass. civ., sez. I, 03.07.2014, n. 15260 (in Foro it., 2015, I, 643, con nota di GALLI), la quale ha affermato che:
I) l’affidamento del concorrente ad una procedura di affidamento di un contratto pubblico è tutelabile “indipendentemente da un affidamento specifico alla conclusione del contratto”;
II) la stazione appaltante è quindi responsabile sul piano precontrattuale “a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante”;
         g8) l’apparente contrasto rispetto agli approdi della giurisprudenza amministrativa deve tuttavia essere ridimensionato: la stessa giurisprudenza amministrativa ha negato rilievo dirimente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, laddove ha in particolare affermato che la verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della procedura di gara va svolta in concreto, in ragione del fatto che “il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale” (Cons. Stato, sez. V, 15.07. 2013, n. 3831, in Contratti, 2014, 146, con nota di PASSARELLA; Rass. avv. Stato, 2014, 1, 173, con nota di ROMEO);
         g9) nella medesima prospettiva di un accertamento in concreto degli elementi costitutivi della responsabilità precontrattuale si è del resto espressa la Plenaria con sentenza 04.05.2018, n. 5, cit., secondo cui la responsabilità precontrattuale può insorgere “anche prima dell’aggiudicazionee possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai più volte richiamati doveri di correttezza e buona fede”;
         g10) più in generale, l’Adunanza plenaria ha precisato che la tutela civilistica della responsabilità precontrattuale, pur nel quadro del principio generale dell’autonomia negoziale delle parti, ivi compresa l’amministrazione, opera nel senso di assicurare la serietà delle trattative finalizzate alla conclusione del contratto, per cui essa costituisce il punto di equilibrio tra:
I) la libertà contrattuale della stazione appaltante e la discrezionalità nell’esercizio delle sue prerogative pubblicistiche da una parte;
II) rispetto del limite della correttezza e della buona fede, dall’altro;
         g11) individuato un primo requisito dell’affidamento tutelabile nella sua ragionevolezza e nel correlato carattere ingiustificato del recesso, il secondo consiste nel carattere colposo della condotta dell’amministrazione, nel senso che la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve essere imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. (in questo senso va ancora richiamato Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5, cit.);
         g12) l’affidamento del concorrente, a sua volta, non deve essere inficiato da colpa: sul punto va richiamato l’art. 1338 cod. civ., il quale assoggetta a responsabilità precontrattuale la “parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte”, ed in base al quale viene escluso il risarcimento se la conoscenza di una causa invalidante il contratto è comune ad entrambe le parti che conducono le trattative, poiché nessuna legittima aspettativa di positiva conclusione delle trattative può mai dirsi sorta (in questo senso, di recente: Cass. civ, sez. lav., ordinanza 31.01.2020, n. 2316;
III, sentenza 18.05.2016, n. 10156; sentenza 05.02.2016, n. 2327);
         g13) il profilo in esame ha rilievo rispetto al potere di annullamento d’ufficio della procedura di gara, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, che opera in modo distinto rispetto alla revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies della medesima legge sul procedimento amministrativo, perché interviene non già come rivalutazione dell’interesse pubblico sotteso all’affidamento del contratto, secondo l’ampia definizione del potere di revoca data dalla disposizione da ultimo richiamata, ma per rimuovere un vizio di legittimità degli atti della procedura di gara: se pertanto il motivo di illegittimità che ha determinato la stazione appaltante ad annullare in autotutela la gara è conoscibile dal concorrente, la responsabilità della prima deve escludersi (in questo senso: Cons. Stato, V, 23.08.2016, n. 3674, che ha affermato al riguardo che “al fine di escludere la risarcibilità del pregiudizio patito dal privato a causa dell’inescusabilità dell’ignoranza dell’invalidità dell’aggiudicazione, che il giudice deve verificare in concreto se il principio di diritto violato sia conosciuto o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell’univocità dell’interpretazione della norma di azione e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità”);
         g14) peraltro, l’elemento della colpevolezza dell’affidamento si modula diversamente nel caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto d’ufficio dall’amministrazione ma in sede giurisdizionale: in questo secondo caso emergono con tutta evidenza i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio (con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 c.p.a. l’azione deve essere proposta, e di difenderlo);
         g15) la situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio.
   IV. – Si segnala, per completezza, quanto segue:
      h) sulla nozione di affidamento (legittimo): Cons. Stato, sez. II, ordinanza 09.03.2021, n. 2013 (oggetto della News US in data 26.03.2021), secondo cui:
         h1) “l’affidamento è un istituto giuridico che taglia trasversalmente l’intero ordinamento giuridico e senza dubbio assume rilievo nei rapporti tra i privati e le pubbliche amministrazioni, anche nelle fattispecie in cui vi è esercizio di potere di natura pubblicistica”;
         h2) l’affidamento non è “un diritto soggettivo, come, invece, autorevolmente sostenuto da parte della giurisprudenza, bensì una situazione giuridica soggettiva dai tratti peculiari propri, idonea a fondare una particolare responsabilità, che si colloca tra il contratto e il torto civile”;
         h3) “ad ogni modo, per aversi un affidamento giuridicamente tutelabile in capo al privato, occorre, da un lato, una condotta della pubblica amministrazione connotata da mala fede o da colpa in grado di far sorgere nell’interessato, versante in una condizione di totale buona fede, un’aspettativa al conseguimento di un bene della vita e, dall’altro, che la fiducia riposta da quest’ultimo in un esito del procedimento amministrativo a lui favorevole sia ragionevole e non colposamente assunta come fondata”;
         h4) ”in sostanza, ai fini della sussistenza dell’affidamento, il privato che ha interloquito con la pubblica amministrazione non soltanto non deve averla condotta dolosamente o colposamente in errore, ma deve aver aspettativa qualificata, ovverosia basata su una pretesa legittima alla luce del quadro ordinamentale applicabile al caso di specie”;
         h5) “va peraltro sottolineato che, ai fini dell’affidamento, l’ipotesi di annullamento del provvedimento favorevole in sede giurisdizionale va tenuta chiaramente distinta da quella di annullamento d’ufficio in autotutela e, ancor più, dalla revoca, atteso che, a fronte del medesimo petitum risarcitorio, le causae petendi sono differenti. In questi secondi casi, infatti, l’eventuale affidamento del privato (ammesso che vi sia) verrebbe pregiudicato da un condotta dell’amministrazione, la quale modifica unilateralmente, melius re perpensa o alla luce di sopravvenienze, l’assetto d’interessi precedentemente delineato nell’esercizio del suo potere pubblicistico, mentre nel primo caso il potenziale affidamento verrebbe leso da un provvedimento promanante dal potere giurisdizionale, nei cui confronti non può esserci in radice, per la natura terza del giudice, alcuna aspettativa qualificata ‒e dunque tutelabile mediante ristoro patrimoniale‒ all’accoglimento delle proprie ragioni. Ne discende che l’annullamento del provvedimento amministrativo in sede giurisdizionale non può mai ridondare in una lesione di un affidamento legittimo, idonea a fondare una domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione”;
      i) sul diritto al risarcimento da lesione dell’affidamento verso un provvedimento amministrativo illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale:
         i1) per l’indirizzo non favorevole:
I) Cons. Stato, sez. IV, sentenza 29.10.2014, n. 5346, in Urbanistica e appalti, 2015, 181, con nota di D'ANGELO, secondo cui “Posto che anche nel diritto amministrativo sono applicabili i principi generali in virtù dei quali l'ignoranza della legge non scusa e non può fondatamente chiedere il risarcimento dei danni chi ne abbia con sua colpa cagionato la sua verificazione, non può dolersi di aver subìto un danno chi -per una qualsiasi evenienza e con un provvedimento espresso, ovvero a seguito di un silenzio-assenso o una s.c.i.a.- abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un progetto oggettivamente non assentibile: in tal caso, infatti, il richiedente sotto il profilo soggettivo ha manifestato quanto meno una propria colpa (nel presentare il progetto assentibile soltanto contra legem) e sotto il profilo oggettivo attiva con efficacia determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno (in applicazione del principio di diritto enunciato è stata rigettata la domanda di risarcimento del danno avanzata dal costruttore che si lamentava del ritardo dell'amministrazione comunale nel pronunciarsi sulle istanze di condono avanzate conseguentemente all'annullamento in sede giurisdizionale delle concessioni edilizie inizialmente assentite, ancorché presentate in contrasto con gli strumenti urbanistici)”;
II) Cons. Stato, sez. V, 17.01.2014, n. 183 (in Giornale dir. amm., 2014, 704, con nota di MAGRI; Guida al dir., 2014, 7, 66, con nota di CORRADO; Danno e resp., 2014, 939, con nota di MAZZOLA), secondo cui “In tema di lesione dell'interesse legittimo imputato ad un provvedimento favorevole illegittimo che venga successivamente annullato in sede giurisdizionale, e in assenza di altra statuizione di legge, trovano applicazione i principi relativi all'illecito aquiliano”;
         i2) per l’indirizzo favorevole:
I) Cons. Stato, sez. IV, 20.12.2017, n. 5980, in Foro amm., 2017, 2384, secondo cui “Quando il risarcimento è fondato sulla lesione dell'affidamento in conseguenza dell'emanazione di un atto illegittimo perché annullato in autotutela o in via giurisdizionale, non ci si duole del danno derivante dall'illegittimo esercizio di un potere amministrativo in senso sfavorevole al privato, bensì di un comportamento conseguenza del precedente esercizio del potere amministrativo in favore del danneggiato; pertanto, il provvedimento amministrativo -che aveva concesso il diritto ad edificare e che, perché illegittimo, legittimamente è stato posto nel nulla e quindi non rileva più come provvedimento che rimuove un ostacolo all'esercizio di un diritto- continua a rilevare per i proprietario del fondo o il titolare di altro diritto, che lo abiliti a costruire sul fondo, esclusivamente quale mero comportamento degli organi che hanno provveduto al suo rilascio, integrando così, ex art. 2043 c.c., gli estremi di un atto illecito per violazione del principio del neminem laedere, imputabile alla p.a. e in virtù del principio di immedesimazione organica, per avere tale atto con la sua apparente legittimità ingenerato nel suo destinatario l'incolpevole convincimento, avendo questo il diritto di fare affidamento sulla legittimità dell'atto amministrativo e, quindi, sulla correttezza dell'azione amministrativa) di poter legittimamente procedere alla edificazione del fondo”;
II) Tar per la Campania, sez. VIII, 03.10.2012, n. 4017 (in Urbanistica e appalti, 2013, 93, con nota di CAPUTO), secondo cui “La colpevole negligenza nella stesura del bando, causa d'annullamento dell'aggiudicazione, integra gli estremi della responsabilità precontrattuale della stazione appaltante”;
III) Cons. Stato, sez. VI, 05.09.2011, n. 5002 (in Urbanistica e appalti, 2012, 66, con nota di QUADRI; Giornale dir. amm., 2012, 493 (m), con nota di VITALE), secondo cui “Anche se la revoca della gara è legittima, sussiste tuttavia la responsabilità precontrattuale della p.a. per la violazione dei doveri di lealtà e di buona fede di cui all'art. 1337 c.c., a causa degli affidamenti ingenerati nei concorrenti, che solo a procedura quasi ultimata hanno appreso delle risalenti intese tra i ministeri che hanno condotto all'esito contestato, perché, subito dopo la pubblicazione del bando di gara, era già emerso un orientamento oggettivamente contrastante con le scelte operate e sfociate nell'indizione della gara, più volte rinviata, fino alla revoca”;
         i3) con specifico riferimento all’annullamento giurisdizionale di una concessione edilizia per la realizzazione di un nuovo fabbricato in luogo di quello precedente, su ricorso di alcuni titolari di immobili situati nelle vicinanze, cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 19, coeva alla pronuncia in rassegna, resa all’esito di deferimento disposto con ordinanza Cons. Stato, sez. II, 09.03.2021, n. 2013, cit.;
      j) sul legittimo affidamento come elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, cfr. in particolare:
         j1) Corte cost., 09.05.2019, n. 108, in Giur. it., 2019, 2236, con nota di PAGANO; Giur. cost., 2019, 1341, con nota di MABELLINI;
         j2) Corte cost., 27.06.2017, n. 149, in Giur. cost., 2017, 1837, con nota di TRIVELLIN;
         j3) Corte cost., 12.04.2017, n. 73;
         j4) Corte cost., 24.01.2017, n. 16, in Ambiente, 2017, 203, con nota di SPINA;
         j5) Corte cost., 21.07.2016, n. 203, in Rass. dir. farmaceutico, 2016, 789;
         j6) Corte cost., 05.11.2015, n. 216, in Foro it., 2015, I, 3769;
         j7) Corte cost., 31.05.2015, n. 56, in Foro it., 2015, I, 1903;
         j8) Corte cost., 27.06.2012, n. 166, in Foro it., 2012, I, 2229;
         j9) Corte cost., 22.10.2010, n. 302, in Foro it., 2011, I, 327;
         j10) Corte cost., 24.07.2009, n. 236, in Foro it., 2009, I, 2921, con nota di ROMBOLI;
         j11) Corte cost., 09.07.2009, n. 206, in Corriere giur., 2010, 323, con nota di RIZZO;
         j12) Corte cost., 30.01.2009, n. 24, in Giur. cost., 2009, 165, con nota di SPUNTARELLI;
         j13) Corte cost., 03.11.2005, n. 409, in Giur. cost., 2006, 2543, con nota di MATUCCI;
         j14) Corte cost., 07.07.2005, n. 264, in Foro it., 2006, I, 2666;
         j15) Corte cost., 12.11.2002, n. 446, in Giur. it., 2003, 841, con nota di MAURIELLO; Giur. cost., 2002, 3658, con nota di CARNEVALE;
         j16) Corte cost., 04.11.1999, n. 416, in Foro it., 2000, I, 2456, con nota di PASSAGLIA; Mass. giur. lav., 2000, 130, con nota di CELOTTO; Riv. giur. lav., 2000, II, 161, con nota di MAZZIOTTI; Giur. cost., 1999, 3625, con nota di CARNEVALE;
         j17) Corte cost., 10.02.1993, n. 39, in Arch. civ., 1993, 685, con nota di ALIBRANDI; Dir. e pratica lav., 1993, 2429, con nota di ARGENTINO;
         j18) Corte cost., 04.04.1990, n. 155, in Foro it., 1990, I, 3072, con nota di TARCHI; Corriere giur., 1990, 588, con nota di BERTI; Riv. dir. comm., 1990, II, 211, con nota di BRANCADORO; Arch. civ., 1990, 771, con nota di ALIBRANDI;
         j19) Corte cost., 14.07.1988, n. 822, in Cons. Stato, 1988, II, 1378;
         j20) Corte cost., 17.12.1985, n. 349, in Giust. civ., 1986, I, 659;
      k) sul legittimo affidamento rispetto alla retroattività legislativa:
         k1) nella giurisprudenza costituzionale:
I) Corte cost., 20.05.2016, n. 108, la quale richiama il principio del legittimo affidamento espressione di una delle “molteplici declinazioni dell’art. 3 Cost.”;
II) Corte cost., 05.04.2012, n. 78 (in Foro it., 2012, I, 2585, con nota di PALMIERI A.; Contratti, 2012, 445, con nota di D'AMICO; Guida al dir., 2012, 20, 30, con nota di SACCHETTINI; Nuove leggi civ., 2012, 797 (m), con nota di DI GIROLAMO; Banca, borsa ecc., 2012, II, 423, con nota di DOLMETTA, SALANITRO, SEMERARO, TAVORMINA; Giur. it., 2012, 2283, con nota di RIZZUTI; Nuova giur. civ., 2012, I, 1039, con nota di AIELLO; Giur. cost., 2012, 1017, con nota di RESCIGNO; Rass. dir. civ., 2013, 194, con nota di BELLO; Corriere giur., 2013, 19, con nota di PANDOLFINI; Giur. comm., 2012, II, 1176, con nota di MANCINI; Giurisdiz. amm., 2012, IV, 347, con nota di PAGANO) secondo cui “La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (ex plurimis: Corte eur. dir. uomo, sez. II, 07.06.2011, Agrati c. Italia, in Foro it., 2013, IV, 9, con nota di PALMIERI A. […]). Pertanto, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.), se giustificato da «motivi imperativi d’interesse generale», che spetta innanzitutto al legislatore nazionale e a questa Corte valutare, con riferimento a principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, nell’ambito del margine di apprezzamento riconosciuto dalla giurisprudenza della Cedu ai singoli ordinamenti statali”;
III) Corte cost., 26.11.2009, n. 311 (in Riv. critica dir. lav., 2009, 901, con nota di ZAMPIERI; Corriere giur., 2010, 619, con nota di CONTI; Giur. cost., 2009, 4657, con nota di MASSA; Riv. it. dir. lav., 2010, II, 389, con nota di AVALLONE; Giur. it., 2010, 2011, con nota di DI SERI;
         k2) nella giurisprudenza CEDU, tra le tante:
I) Corte eur. dir. uomo, sez. II, 15.11.2012, Lombardi c. Italia;
II) 19.01.2010, Zuccalà c. Italia;
III) grande camera, 29.03.2006, Scordino c. Italia (in Corriere giur., 2006, 929, con nota di CONTI); grande camera, 06.10.2005, Draon c. Francia; sez. IV, 20.07.2004, Back c. Finlandia;
      l) sul legittimo affidamento in relazione a norme interne contrarie all’ordinamento UE: Cons. Stato, Ad. plen., 09.11.2021, n. 18, oggetto della News US in data 29.11.2021;
      m) sul legittimo affidamento rispetto ai mutamenti giurisprudenziali:
         m1) Cons. Stato, Ad. plen., 22.12.2017, n. 13, in Urbanistica e appalti, 2018, 373, con nota di FOLLIERI; Riv. giur. urbanistica, 2018, 123, con nota di ROSSA; Rass. avv. Stato, 2018, 1, 134, con nota di VITULLO, MUCCIO; Dir. proc. amm., 2018, 1133, con nota di CASSATELLA; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 1022, con nota di APERIO BELLA; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 1022, n. APERIO BELLA, PAGLIAROLI; oggetto della News US in data 08.01.2018;
         m2) Cass. civ, sez. un., 11.07.2011, n. 15144, in Guida al dir., 2011, 32, 38, con nota di SACCHETTINI; Corriere giur., 2011, 1392, con nota di CAVALLA, CONSOLO, DE CRISTOFARO; Riv. dir. proc., 2012, 1072, con nota di VANZ; Giusto processo civ., 2011, 1117, con nota di AULETTA; Rass. avv. Stato, 2012, 2, 125, con nota di MELONCELLI; Giur. cost., 2012, 3153, con nota di CONSOLO;
      n) sulla tutela del legittimo affidamento nel diritto UE, in particolare:
         n1) sul legittimo affidamento quale principio UE: Corte di giustizia CE, 03.05.1978, C-112/77, Topfer;
         n2) sullo specifico rapporto tra certezza del diritto e difficoltà interpretative del dato normativo, Corte di giustizia CE, 17.07.1997, C-354/95, The Queen;
         n3) con particolare riferimento alla certezza del diritto nella trasposizione delle direttive, Corte di giustizia CE, 25.07.1991, C-208/90, Emmott;
         n4) sulla chiarezza e precisione della disciplina che impone obblighi a carico del contribuente, Corte di giustizia CE, 09.07.1981, C-169/80, Ammin. dogane Francia, in Foro pad., 1981, IV, 25;
         n5) sui caratteri della chiarezza e della prevedibilità delle norme UE per gli amministrati, Corte di giustizia CE, 12.11.1981, 212-217/80, in Foro it., 1982, IV, 364, con nota di DANIELE;
         n6) sulla certezza del diritto e legittimo affidamento nella modulazione degli effetti temporali della sentenza della Corte di giustizia: tra le più significative, quantunque risalente, cfr. Corte di giustizia CE, 26.04.1988 C-97/86, C-193/86, C-199/86 e C-215/86, Asteris;
         n7) sulla tutela dell’affidamento e ius poenitendi: Corte di giustizia CE, 12.07.1962, C-14/61, Hoogovens; 01.06.1961, C-15/60, Gabriel Simon; 12.07.1957, C-7/56, C-7/57, Algera;
         n8) sulla tutela dell’affidamento quando un operatore economico sia in grado di prevedere un provvedimento a sé sfavorevole: Corte di giustizia CE, sez. I, 14.10.2010, C-67/09, Nuova Agricast Srl e Cofra Srl, in Foro it., 2013, IV, 313, con nota di GRASSO;
         n9) in materia di concorsi, cfr. Corte di giustizia UE grande sezione, 27.11.2012, C-566/10P, Repubblica italiana contro Commissione, in Foro it., 2013, IV, 63, con nota di GRASSO (l’Autore ha evidenziato che in quel caso “la decisione dispiegherà i suoi effetti soltanto come precedente giacché, nel caso concreto, al fine di preservare il legittimo affidamento dei candidati prescelti, la Corte di giustizia ha ritenuto opportuno non rimettere in discussione i risultati dei concorsi espletati. In precedenza, la Corte di giustizia […] aveva affermato che qualora una prova di un concorso generale bandito per la costituzione di una riserva di assunzioni venga annullata, i diritti di un ricorrente che non ha superato tale prova sono adeguatamente tutelati se la commissione giudicatrice e l’autorità che ha il potere di nomina riesaminano le loro decisioni e cercano una soluzione equa per il suo caso senza che sia necessario modificare i risultati del concorso nel loro complesso o annullare le nomine effettuate in esito allo stesso; si tratta infatti di conciliare gli interessi dei candidati svantaggiati da un’irregolarità commessa in occasione di un concorso e gli interessi degli altri candidati”);
         n10) in materia di scommesse, Corte di giustizia UE, sez. I, 20.12.2017, C-322/16, Global Starnet (in Foro it., 2018, IV, 424, con nota di FORTUNATO, nonché oggetto della News US in data 11.01.2018), con la quale la Corte –tra l’altro– ha individuato le condizioni in presenza delle quali il legislatore può intervenire a modificare la disciplina di rapporti concessori in atto aventi ad oggetto giochi leciti;
         n11) in tema di regolarità della concessione degli aiuti di stato:
I) con specifico riferimento agli aiuti finanziari alle banche, Corte di giustizia UE, 03.12.2019, C-414/18, Iccrea Banca, in Giur. comm., 2021, II, 223, con nota di PIERINI, oggetto della News US in data 09.01.2020;
II) Corte giustizia UE, 08.12.2011, C-81/10 P (in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2011, 1545), secondo cui: “L'obbligo di notifica costituisce uno degli elementi fondamentali nel sistema di controllo istituito dal trattato nel settore degli aiuti di stato” ed ancora che: “tenuto conto del carattere imperativo del controllo sugli aiuti di stato svolto dalla commissione, le imprese beneficiarie di un aiuto possono, in linea di principio fare legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto solamente qualora quest'ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dall'art. 88 Ce e un operatore economico diligente deve di norma essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata; in particolare, quando un aiuto è stato versato senza previa notifica alla commissione, ed è pertanto illegittimo in forza dell'art. 88 n. 3, Ce, il beneficiario dell'aiuto non può riporre, a quel punto nessun legittimo affidamento sulla regolarità della concessione dello stesso”;
         n12) in tema di prelievo supplementare-quote latte, Corte di giustizia UE, sez. II, 11.09.2019, C-46/18, Caseificio Sociale San Rocco Soc. coop. a r.l., in Riv. corte conti, 2019, 5, 221 e oggetto della News US in data 15.10.2019; Corte di giustizia CE, 25.03.2004, n. 495/00;
         n13) in tema di appalti pubblici: Corte di giustizia UE, sez. IX, 02.05.2019, C 309/18, Lavorgna s.r.l. (in Riv. corte conti, 2019, 3, 213, con nota di MARZANO; Nuovo notiziario giur., 2019, 539, con nota di SARZOTTI; Riv. trim. appalti, 2019, 1473, con nota di COZZIO; Riv. it. dir. lav., 2019, II, 678, con nota di MACCHIONE, oggetto della News US n. 56 del 13.05.2019) secondo cui “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE […], devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”;
      o) sulla posizione giuridica di chi entri in relazione con l’Amministrazione pubblica, attraverso un rapporto procedimentalizzato: Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 11.05.2021, n. 3701, oggetto della News US in data 28.05.2021, secondo cui:
         o1) “non può essere sottovalutata la natura tipicamente relazionale dell’interesse legittimo pretensivo, e cioè della posizione (che come l’interesse legittimo oppositivo o difensivo) correlativa all’esercizio pur illegittimo del pubblico potere”;
         o2) “l’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse sostanziale rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’, sia l’interesse procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato seguendo il procedimento previsto dalla legge”;
         o3) “Non si tratta di un mero interesse ‘occasionalmente protetto’ (adoperando una espressione tipica degli albori della giustizia amministrativa), cioè protetto per il tramite della tutela primaria della legalità amministrativa, bensì di una situazione giuridica immediata, diretta, concreta e personale del privato”;
         o4) “Può risultare dunque artificioso il sovrapporre a una tale posizione giuridica soggettiva –riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il richiedente e l’Amministrazione- una diversa situazione sostanziale (da richiamare per individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul principio del neminem laedere (il cui ambito di efficacia prescinde dalla esistenza di un preesistente rapporto tra danneggiante e danneggiato) o anche su un ‘contatto sociale’”;
         o5) “In quest’ottica prospettica, per considerazioni sistematiche la Sezione ritiene che l’interesse pretensivo risulta di per sé leso quando l’Amministrazione emana il diniego avente natura autoritativa, ovvero resta inerte (risultando illogico e in contrasto con la legge n. 241 del 1990 il ritenere che nel corso del procedimento l’inerzia dell’attività amministrativa –disciplinata dalle leggi amministrative sostanziali e processuali– sia definibile come un comportamento sottoposto al diritto privato)”;
         o6) l’interesse pretensivo:
I) costituisce il presupposto logico-giuridico del diritto che poi vanta il richiedente, qualora in accoglimento della istanza vi sia il rilascio di un permesso, di una concessione, di una licenza o di un altro atto abilitativo ‘comunque denominato’;
II) ridiventa configurabile, allorquando l’Amministrazione in sede di autotutela o il giudice in sede giurisdizionale abbia annullato l’atto abilitativo, estinguendo di conseguenza quel diritto di per sé configurabile solo quando l’atto abilitativo favorevole risulti ancora efficace;
         o7) in altri termini:
I) “quando è annullato (in sede amministrativa o giurisdizionale) il provvedimento favorevole, il più delle volte l’istanza originaria del richiedente non può che risultare infondata e va respinta”;
II) “nella prassi, quando l’Amministrazione dapprima accoglie una istanza e poi annulla il titolo abilitativo perché risultato illegittimo, il secondo provvedimento comporta –anche se ciò non è esplicitato expressis verbis– il rigetto della istanza medesima”;
III) “lo stesso avviene in sostanza quando sia rilasciato un atto abilitativo (ad esempio, un permesso di costruire) e questo sia annullato dal giudice amministrativo su istanza di chi vi abbia interesse”;
IV) “In tal caso, nella prassi l’annullamento dell’espresso titolo abilitativo da parte del giudice amministrativo, in accoglimento del ricorso di chi vi abbia interesse, non sempre è seguito da un formale ed espresso ulteriore provvedimento negativo, di rigetto della originaria istanza”; 
V) “Infatti, a seconda dei casi, l’annullamento del titolo abilitativo da parte del giudice può comportare sia la rinnovazione del procedimento e il rilascio di un ulteriore titolo abilitativo (se ne sussistono tutti i presupposti), oppure la sostanziale fine della vicenda, perché dalla sentenza del giudice amministrativo si desume che il vizio dell’atto abilitativo è di per sé è insanabile, pur se un formale diniego non è emanato dopo la sentenza di annullamento”;
VI) “Ciò che rileva, sul piano sostanziale, è il fatto che –con l’annullamento dell’atto abilitativo– non sussiste più il diritto in precedenza sorto e torna ad esservi un interesse pretensivo che però non può più essere soddisfatto, quando un tale esito sia desumibile dalla sentenza del giudice amministrativo (di cui può anche prendere atto un ulteriore provvedimento, questa volta negativo, conseguente all’annullamento dell’atto abilitativo precedente)”;
         o8) “Allorquando sia stato annullato l’atto abilitativo e dunque non sia più configurabile il diritto ad esso conseguente, l’originario richiedente torna ad essere titolare di un interesse legittimo”;
         o9) “in fondo, si tratta del ripristino della dinamica delle posizioni giuridiche […]: il ricorrente ed il controinteressato, beneficiario in quanto tale dell’atto abilitativo impugnato, sono titolari di contrapposti interessi legittimi nel corso del procedimento, sicché –una volta che la sentenza amministrativa abbia annullato il titolo abilitativo– il controinteressato non risulta più titolare del diritto che era sorto con l’atto ormai annullato”;
         o10) “in altri termini, il controinteressato soccombente va qualificato come titolare di una posizione soggettiva contrapposta e speculare a quella del ricorrente vittorioso, in un quadro nel quale tra di loro e nei confronti dell’Amministrazione non vi sono diritti soggettivi da fare valere”;
         o11) “qualora il controinteressato soccombente nel giudizio di legittimità intenda formulare una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione anch’essa soccombente, la relativa causa petendi riguarda proprio il come è stato in precedenza esercitato il potere amministrativo e si deve verificare se il vizio dell’atto –oltre ad aver comportato il suo annullamento– deve avere conseguenze sul piano risarcitorio”;
      p) sulla condotta della p.a. e l’autodeterminazione dei privati: Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5, cit., secondo cui “Posto che anche nello svolgimento dell'attività autoritativa l'amministrazione è tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico, le norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la loro violazione può configurare una responsabilità da comportamento scorretto, che incide sul diritto soggettivo dei privati di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali”;
      q) sulla responsabilità della pubblica amministrazione e onere della prova:
         q1) sulla pretesa risarcitoria dell’imprenditore fondata sulla lesione dell’affidamento riposto nella condotta della p.a. che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede: Cass. civ., 15.01.2021, n. 615, in Giur. it., 2021, 1147, con nota di DE MARCO, secondo cui “la responsabilità della p.a. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da «contatto sociale qualificato», inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”;
         q2) Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2021, n. 7, in Foro it., 2021, III, 394, con nota di PALMIERI A., PARDOLESI R., oggetto della News US in data 13.05.2021 la quale ha evidenziato che la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi ha natura di fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale.
La Plenaria ha precisato che anche in caso di danno da ritardo è necessario che sia provato “sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità rispetto alla condotta scorretta che si imputa all’amministrazione”.
La sentenza, inoltre, ha ribadito che il danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo, costituendo una speciale ipotesi di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., richiede, ai sensi dell'art. 2697 c.c., la prova da parte del danneggiato di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda, quali: la condotta della pubblica amministrazione, l'elemento psicologico, il danno e il nesso causale tra detta condotta e il danno;
         q3) con particolare riferimento alla responsabilità risarcitoria nel rapporto tra norme di azione e norme di relazione: Cass. civ., sez. I, 05.02.2021, n. 2738, in Foro it., 2021, I, 2452, con nota di MACARIO F.
La sentenza ha evidenziato come una cosa sia la denuncia dell’illegittimità dell’azione amministrativa, altra cosa la denuncia della lesione dell'affidamento del privato nella legittimità di provvedimenti amministrativi ampliativi successivamente annullati o nella mancata adozione di provvedimenti anche ampliativi nei casi in cui il petitum sostanziale consista nella violazione dei canoni della correttezza e buona fede da parte della pubblica amministrazione. In queste ultime ipotesi, la tutela risarcitoria non è, infatti, proposta come rimedio della illegittimità (accertata o da accertare) dell'azione amministrativa o come completamento di una inesistente tutela demolitoria di provvedimenti amministrativi illegittimi sotto il profilo della violazione delle norme di azione.
Il trade union di tale (condivisibile) orientamento è dato dal fatto che in quei casi non è denunciata (o non è chiesto di dichiarare) la illegittimità di provvedimenti amministrativi, manifestandosi una acquiescenza del privato all'assetto di interessi dagli stessi provvedimenti determinato (con il consolidamento del provvedimento diminutivo o del provvedimento di annullamento o revoca di quello ampliativo di determinate facoltà). Ad essere contestata è, piuttosto, la verifica della liceità del comportamento della pubblica amministrazione, evocata in giudizio dal privato su un piano paritetico, dunque dinanzi al giudice ordinario, essendo controverso il rispetto delle norme di relazione (buona fede e correttezza, lesione ingiustificata dell'affidamento, proporzionalità, ecc.) che prescindono dal e soverchiano il rispetto formale delle norme di azione postulanti la tutela dell'interesse legittimo”;
         q4) in tema di affidamento di contratti pubblici: Corte di giustizia UE, 30.09.2010, C-314/09, Graz Stadt (in Urbanistica e appalti, 2011, 398, con nota di GIOVAGNOLI; Giur. it., 2011, 664 (m), con nota di CIMINI; Riv. amm. appalti, 2010, 188 (m), con nota di TOMASSI; Dir. e pratica amm., 2011, 1, 52 (m), con nota di CONTESSA; Foro amm.-Cons. Stato, 2011, 3014 (m), con nota di FELIZIANI);
         q5) sulla responsabilità della p.a. discendente da attività provvedimentale posta in essere sulla base di norma dichiarata incostituzionale: Tar per la Sicilia, sez. st. Catania, sez. I, 30.07.2021, n. 2582;
         q6) sui comportamenti della pubblica amministrazione, anche successivi al bando, lesivi dei principî di buona fede e correttezza, responsabilità precontrattuale e teoria del contatto sociale qualificato: Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5, cit.;
         q7) sul rapporto fra invalidità dell’atto, colpa d’apparato e scusabilità dell’errore della p.a.
I) Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 19, cit., (in termini anche la sentenza 29.11.2021, n. 20, resa all’esito di deferimento disposto con ordinanza Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2021, n. 3701, cit.), secondo cui “il grado della colpa dell’amministrazione, e dunque la misura in cui l’operato di questa è rimproverabile, rileva sotto il profilo della riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere affetto il provvedimento. Al riguardo va ricordato che nel giudizio di annullamento la colpa dell’amministrazione è elemento costitutivo della responsabilità dell’amministrazione nei confronti delricorrente che agisce contro il provvedimento a sé sfavorevole, sebbene essa sia presuntivamente correlata all’illegittimità del provvedimento, per cui spetta all’amministrazione dare la prova contraria dell’errore scusabile. Sulla base di questa presunzione, per il danno da lesione dell’affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la colpa dell’amministrazione è invece un elemento che ha rilievo nella misura in cui rende manifesta l’illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario, e consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole”;
II) Cons. Stato, sez. IV, 15.03.2021, n. 2193, secondo cui la “colpa amministrativa” è “da intendersi, per giurisprudenza consolidata […], come «colpa d'apparato», ossia come frontale, macroscopica ed inescusabile violazione, da parte dell'Autorità, dei canoni di imparzialità, correttezza e buona fede che debbono sempre conformarne l'azione”;
III) 17.04.2018, n. 2271, secondo cui ‒ “La responsabilità civile della Pubblica Amministrazione derivante da un provvedimento illegittimo è […] di natura extra contrattuale e non oggettiva, e non può prescindere dall'accertamento della colpevolezza”; ‒ “In presenza di atti illegittimi la colpa in astratto si potrebbe presumere, integrando l'accertamento dell'illegittimità, ai sensi degli artt. 2727 e 2729, comma 1, c.c., una forma di presunzione semplice in ordine alla sua sussistenza in capo all'Amministrazione […], tuttavia anch'essa superabile da prova contraria”;
IV) con specifico riferimento all’ipotesi di eccessiva durata di un concorso, 02.10.2017, n. 4570, secondo cui “una procedura concorsuale concernente il reclutamento di oltre mille dirigenti non può avere articolazione temporale breve, e non è affatto dimostrato che, nel caso specifico, l'Amministrazione abbia travalicato i tempi congrui a essa relativi, ossia quei limiti di ragionevolezza, da rapportare alla complessità della selezione anche in ragione del numero dei candidati che la stessa giurisprudenza della Suprema Corte invocata dagli appellanti […] richiama quale limite alla tutela risarcitoria, sotto il profilo dell'imputabilità soggettiva del danno”;
V) 18.07.2017, n. 3520, secondo cui “L'azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo non è […] retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipica del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente gravava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'Amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo svolgimento dell'attività amministrativa di stampo autoritativo, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall'art. 2043 c.c., donde la necessità di verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, compreso il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito”;
         q8) sulla responsabilità precontrattuale della p.a., su un piano generale:
I) un originario orientamento (Cass. civ., sez. un., 05.08.1993, n. 9892, in Corriere giur., 1994, 208, con nota di BATÀ; Resp. civ., 1994, 437, con nota di SBURLATI), escludeva la configurabilità dell responsabilità precontrattuale in capo alla p.a. sul rilievo che essa “non è configurabile con riguardo allo svolgimento del procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, nell'ambito del quale l'aspirante alla stipulazione del contratto è titolare esclusivamente di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta, onde difettano le condizioni strutturali per la configurabilità di «trattative» fra due soggetti e quindi di un diritto soggettivo dell'uno verso l'altro all'osservanza delle regole della buona fede, come stabilito dalla citata norma”;
II) tale impostazione è stata superata per effetto della “scissione del procedimento in una fase negoziale e in una fase amministrativa” (V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2021, I, 1379), sicché diviene rilevante il momento di rilevanza della buona fede: un primo orientamento stabilisce che “Per configurare responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione aggiudicatrice occorre che la gara sia giunta ad uno stadio tale da avere ingenerato nel concorrente un affidamento consolidato in ordine alla favorevole conclusione della procedura” (Cons. Stato, sez. V, 14.04.2015, n. 1864, in Foro it., 2015, III, 613, con nota di GALLI;
III) un secondo orientamento ritiene che la buona fede operi con l’esternazione dell’invito ad offrire (Cass. civ., sez. I, 03.07.2014, n. 15260, in Foro it., 2015, I, 643, n. GALLI);
IV) al secondo orientamento ha aderito la Plenaria con sentenza n. 5 del 2018, cit.;
         q9) quanto ai presupposti e sull’(in)efficacia delle clausole che escludono la responsabilità precontrattuale, Cons. Stato, sez. IV, 16.05.2018, n. 2907;
         q10) quanto alla tutela della p.a. nei confronti del privato e perimetro della giurisdizione esclusiva in materia di accordi: Cons. Stato, sez. III, n. 3755 (in Guida al dir., 2016, 40, 84, con nota di MEZZACAPO; Dir. proc. amm., 2017, 677, con nota di ROMANI); Corte cost., 15.07.2016, n. 179, in Foro it., 2016, I, 3047, con nota di TRAVI;
         q11) sulla responsabilità da mancata regolarizzazione contabile, a posteriori, di lavori disposti in via d’urgenza da un ente locale: Corte cost., ordinanza 06.02.2001, n. 26, in Finanza loc., 2001, 711, con nota di OLIVERI;
         q12) sulla responsabilità precontrattuale da revoca della procedura di gara per difficoltà finanziarie: Cons. Stato, sez. V, 13.07.2020, n. 4514 la quale ha, tra l’altro, evidenziato che “Poiché il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale -nella prospettiva non sanzionatoria, ma soltanto ripristinatoria, che connota tutto il sistema vigente della responsabilità civile- è commisurato al pregiudizio (sub specie di lesione del c.d. interesse negativo) effettivamente sofferto dalla parte contraente, la sua liquidazione non cambia a seconda della tipologia o della gravità della condotta contraria a buona fede ascritta alla pubblica amministrazione”;
         q13) sulla responsabilità della p.a. in ipotesi di importo dell’appalto calcolato in violazione del prezziario di riferimento: Cons. Stato, sez. V, 05.07.2021, n. 5107, secondo cui “Ammesso pure che la stazione appaltante abbia indicato negli atti di gara un prezzo a base d'asta non remunerativo dell'attività prestata, non è certo incolpevole l'operatore economico che abbia partecipato alla gara con un'offerta al ribasso di detto prezzo. Questi, infatti, è tenuto ad un dovere di correttezza e serietà non meno di quanto sia tenuta l'amministrazione e, dunque, a formulare la sua offerta in maniera consapevole e meditata; e quindi, prima di dichiarare il ribasso offerto, ad esaminare se le condizioni imposte dall'amministrazione consentano la effettiva remunerazione dell'attività svolta”;
         q14) sulla responsabilità della p.a. in caso di project financing: Cons. Stato, sez. V, 11.01.2021, n. 368 (in Gazzetta forense, 2021, 149);
         q15) sulla responsabilità della p.a. in caso di tardivo ritiro di un bando in autotutela quando l'amministrazione era già da tempo a conoscenza dell'ineseguibilità dell'opera, cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 23.11.2020, n. 1092; Cons. Stato, sez. II, 20.11.2020, n. 7237 (in Contratti Stato e enti pubbl., 2021, 1, 51, con nota di TREVISAN; Giur. it., 2021, 921 (m), con nota di BARBERA);
         q16) sulla responsabilità discendente dall’indizione di una gara di un progetto esecutivo di ristrutturazione di un'opera pubblica, rivelatosi, al momento dell'avvio del cantiere, ineseguibile: Cons. Stato, sez. V, 23.12.2019, n. 8731;
         q17) sulla responsabilità precontrattuale in conseguenza di un annullamento in autotutela di concorso: Cass. civ., sez. lav., 20.08.2019, n. 21528, secondo cui “l'eventuale responsabilità della P.A. per l'accaduto non ha natura contrattuale, […] trattandosi semmai di una tipica fattispecie di responsabilità precontrattuale (e dunque extracontrattuale) ex art. 1338 c.c., per avere la P.A., attraverso l'indizione di un concorso illegittimo e la successiva stipula in base ad esso di un contratto di lavoro nullo, leso l'affidamento altrui. Non ha dunque alcun fondamento la pretesa che dalla mancata esecuzione del contratto derivi di per sé, ex art, 1218 c.c., il diritto […] al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni perdute, spettando viceversa al medesimo, secondo le regole proprie della responsabilità extracontrattuale di cui quella precontrattuale costituisce specie […] dimostrare l'esistenza di danni, non estesi al c.d. interesse positivo all'adempimento contrattuale […] causalmente riconducibili al comportamento altrui”;
      r) sul procedimento amministrativo quale luogo elettivo di composizione degli interessi: Corte cost., 23.06.2020, n. 116 (in Foro it., 2020, I, 3715, con nota di D'AURIA G., DELLA VALLE, oggetto della News US in data 23.07.2020), secondo cui:
         r1) “è nella sede procedimentale che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principî costituzionali la loro previsione e tutela”;
         r2) “la struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l'emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei principî di cui all'art. 1 l. 07.08.1990 n. 241: efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”;
         r3) “viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialità della scelta, alla stregua dell'art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.”;
      s) in dottrina:
         s1) per un’ampia ricostruzione della responsabilità precontrattuale della p.a. e sua evoluzione nel tempo, tra gli scritti più recenti, cfr. V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2021, I, 1372 ss;
         s2) sulla responsabilità dello Stato e della p.a. con particolare riferimento agli elementi costitutivi dell’illecito, con una lettura critica sull’assetto della giurisprudenza nazionale, L. TORCHIA, Diritto amministrativo progredito, Bologna, 2010, 201 ss., secondo cui “Il principio di responsabilità dello Stato vale per qualsiasi violazione e per qualunque dei poteri pubblici che lo ponga in essere.
Le condizioni della responsabilità sono tre. La prima: per dare luogo a responsabilità e a risarcimento, la norma che viene violata deve attribuire diritti […]. La seconda: nel caso in cui lo Stato eserciti un potere discrezionale, questa violazione deve essere manifesta e grave […], nella diversa ipotesi in cui eserciti un potere vincolato, il contenuto dei diritti violati deve poter essere individuato sulla base di disposizioni della direttiva […]. La terza: vi deve essere un nesso causale tra la violazione dell’obbligo incombente sullo Stato e il danno subito da soggetti lesi. […] 
La giurisprudenza comunitaria […] mentre applica la prima e la terza delle condizioni menzionate a qualsiasi attività dello Stato, distingue quando si tratta di dimostrare la presenza della seconda condizione, chiedendo che vi sia una violazione sufficientemente caratterizzata, se lo Stato esercita un potere discrezionale, la sola violazione del contenuto di una direttiva, nel caso di potere vincolato. In un caso la prova è resa più difficile e la responsabilità ristretta, nell’altro vi è automatismo tra illegittimità del provvedimento e responsabilità. Il giudice italiano, non tenendo conto di questa distinzione cardine attorno a cui ruota il sistema della responsabilità comunitaria, prende a prestito quegli stessi elementi che definiscono la violazione grave e manifesta, li inserisce nella nozione di colpa oggettiva e li applica tout court all’attività amministrativa, tanto discrezionale, quanto vincolata, senza fare distinguo, se non in punto di maggiore o minore scusabilità.
Ne consegue che l’onere probatorio gravante sul privato è maggiore se confrontato con quello richiesto dal sistema comunitario o, comunque, che l’amministrazione potrà sempre addurre a scusanti questi elementi. La corrispondente limitazione di responsabilità riflette una diversa concezione del rapporto amministrazione-privato, in cui la tutela della posizione del privato non è strumentale al perseguimento di obiettivi di sistema e, dunque, rappresenta per l’amministrazione ancora una limitazione al proprio potere, più che un vantaggio necessario. La seconda differenza, forse più nominale che sostanziale, riguarda la colpa. La Corte di giustizia ha espunto completamente dalle condizioni necessarie a configurare la responsabilità la colpa dello Stato membro.
Quando, però, si parla di colpa, si intende «un elemento soggettivo, se si preferisce psichico o psicologico, che caratterizza –in senso appunto colposo o negligente o comunque nel senso che tradizionalmente si attribuisce all’espressione colpa– la condotta del soggetto cui viene imputata la violazione e con essa la responsabilità [CGUE, C-46/93 e C48/93, Conclusioni dell’avvocato generale, punto 85]».
Le ragioni per l’esclusione di tale elemento risiedono nella difficoltà di individuare un comportamento colposo dei pubblici poteri in base a criteri simili che si usano per il diritto civile o penale. Ciò, però, che viene escluso è, quindi, la colpa in senso soggettivo, e cioè proprio quello che ha fatto la giurisprudenza italiana, passando da una nozione soggettiva ad una oggettiva di colpa. Rimane che l’ordinamento italiano inutilmente mantiene un concetto che come bene dimostra l’esperienza comunitaria, proprio perché completamente soggettivizzato diventa parte della definizione della violazione e non dello stato soggettivo dell’organo amministrativo
” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 29.11.2021 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALa Plenaria interviene sulla giurisdizione del g.a. in caso di risarcimento da annullamento provvedimentale e sui limiti della tutela risarcitoria.
Secondo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sussiste la giurisdizione amministrativa sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione sia in sede di giurisdizione generale di legittimità quanto nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva di merito.
La Plenaria interviene inoltre sul tema della responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un provvedimento favorevole poi annullato in sede giurisdizionale, evidenziando che la relativa tutela è esclusa in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento.
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Giustizia amministrativa – Giurisdizione – Risarcimento danni da provvedimento amministrativo favorevole annullato – Giurisdizione del giudice amministrativo
  
Responsabilità civile della P.A. – Annullamento giurisdizionale di un provvedimento favorevole – Lesione dell’affidamento del contraente – Tutela risarcitoria – Condizioni e limiti
L’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
   1) sussiste la giurisdizione amministrativa sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione tanto in sede di giurisdizione generale di legittimità, quanto nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (nella specie si verteva in materia di urbanistica e edilizia ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), del codice del processo amministrativo) (1);
   2) la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sia insorto un ragionevole convincimento sulla legittimità dell’atto, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento (2).

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  (1-2) I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha formulato i principi di diritto di cui in massima relativi alla estensione della giurisdizione del giudice amministrativo in caso di domanda di risarcimento dei danni da annullamento di provvedimento favorevole, nonché in ordine alle condizioni e ai limiti entro i quali può riconoscersi tutela risarcitoria in caso di lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un provvedimento favorevole della stessa amministrazione.
Le questioni sono state deferite all’Adunanza plenaria da Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2021, n. 3701 (oggetto della News US, n. 50 del 28.05.2021).
   II. – Il Collegio, dopo aver descritto i fatti processuali e la vicenda sottesa, ha osservato quanto segue:
      a) nel riconoscere la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione, sia in sede di giurisdizione generale di legittimità, quanto in ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo:
         a1) la giurisdizione amministrativa ha fondamento costituzionale nella dicotomia diritti soggettivi–interessi legittimi: al giudice ordinario è devoluta la giurisdizione sui diritti soggettivi e al giudice amministrativo sugli interessi legittimi salve le materie di giurisdizione esclusiva;
         a2) la Corte costituzionale (06.07.2004, n. 204 in Foro it., 2004, I, 594, con note di BENINI, TRAVI, FRACCHIA; Corriere giur., 2004, 1167; Nuove autonomie, 2004, 545, con nota di TERESI; Urbanistica e appalti, 2004, 1031, con nota di CONTI; Fisco 1, 2004, 6080; Giornale dir. amm., 2004, 969, con note di CLARICH POLICE, MATTARELLA, PAJNO; Bollettino trib., 2004, 1606, con nota di VOGLINO; Urbanistica e appalti, 2004, 1275, con nota di LOTTI; Funzione pubbl., 2004, fasc. 2, 271; Riv. giur. edilizia, 2004, I, 1211, con nota di SANDULLI; Dir. proc. amm., 2004, 799, con note di CERULLI IRELLI, VILLATA; Cons. Stato, 2004, II, 1357; Guida al dir., 2004, fasc. 29, 88, con nota di FORLENZA; Resp. civ., 2004, 1003, con nota di ANGELETTI; Giust. civ., 2004, I, 2207, con note di SANDULLI, DELLE DONNE; Mondo bancario, 2004, fasc. 4, 65, con nota di SICLARI; Dir. e giustizia, 2004, fasc. 29, 16, con note di ROSSETTI, MEDICI; Giur. it., 2004, 2255) ha al riguardo affermato che la Costituzione “ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate dal (modo in cui era stato inteso) l’art. 2 della legge del 1865; così come di questa legge ha, con quello che sarebbe diventato l’art. 113 Cost., recepito il principio -«e fu per questo ritenuta una conquista liberale di grande importanza»– «per il quale, quando un diritto civile o politico viene leso da un atto della pubblica amministrazione, questo diritto si può far valere di fronte all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo chela pubblica amministrazione davanti ai giudici ordinari viene a trovarsi, in questi casi, come un qualsiasi litigante privato soggetto alla giurisdizione … principio fondamentale che è stato completato poi con l’istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato ... dell’unicità della giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione» (Calamandrei, Assemblea, seduta pomeridiana del 27.11.1947)”;
         a3) la stessa Corte –dapprima con la sentenza 11.05.2006, n. 191 (in Foro it., 2006, I, 1625, con nota di TRAVI, DE MARZO; Foro it., 2006, I, 2277, con nota di MARZANO; Corriere giur., 2006, 922, con nota di MAJO; Corriere merito, 2006, 948, con nota di MADDALENA; Giurisdiz. amm., 2006, III, 292; Urbanistica e appalti, 2006, 805, con nota di CONTI; Danno e resp., 2006, 965, con nota di FABBRIZZI; Giust. civ., 2006, I, 1107; Giornale dir. amm., 2006, 1095, con nota di BASSI; Ammin. it., 2006, 1241; Giur. it., 2006, 1729; Riv. giur. edilizia, 2006, I, 465; Foro amm.-Cons. Stato, 2006, 1359, con nota di FERRERO, RISSO; Nuova rass., 2006, 2549; Riv. giur. edilizia, 2006, I, 779, con nota di IUDICA; Guida al dir., 2006, fasc. 21, 62, con nota di FORLENZA; Dir. proc. amm., 2006, 1005, con nota di MALINCONICO, ALLENA; Dir. e giustizia, 2006, fasc. 24, 97, con nota di PROIETTI; Dir. e pratica amm., 2006, fasc. 2, 58, con nota di PROIETTI) e, quindi, con la sentenza 27.04.2007, n. 140 (in Foro it., 2008, I, 435, con nota di VERDE; Foro amm.-Cons. Stato, 2007, 1109; Ammin. it., 2007, 910; Giornale dir. amm., 2007, 1167, con nota di BATTAGLIA; Giust. civ., 2007, I, 1815, con nota di FINOCCHIARO; Guida al dir., 2007, fasc. 23, 14, con nota di FINOCCHIARO; Giur. costit., 2007, 1277)– ha precisato che la giurisdizione non è devoluta al giudice ordinario per il solo fatto che la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, dal momento che il risarcimento non è oggetto di un diritto soggettivo, ma è uno dei rimedi a tutela delle posizioni giuridiche soggettive riconosciuto al singolo.
Il giudizio amministrativo assicura la tutela di ogni diritto in coerenza con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost. e consente di concentrare davanti a un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica;
         a4) l’art. 7 c.p.a. è espressione a livello normativo primario del descritto assetto e devolve al giudice amministrativo la giurisdizione nelle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni;
      b) nella dicotomia diritti soggettivi–interessi legittimi si colloca anche l’affidamento:
         b1) il quale non è una posizione giuridica autonoma distinta dalle due, ma può riferirsi alternativamente ad esse;
         b2) è un istituto che trae origine nei rapporti di diritto civile e che risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata;
         b3) del quale costituiscono espressione le seguenti disposizioni: la regola possesso vale titolo di cui all’art. 1153 c.c.; l’acquisto dell’erede apparente di cui all’art. 534 c.c.; il pagamento al creditore apparente di cui all’art. 1189 c.c.; l’acquisto dei diritti dal titolare apparente ai sensi degli artt. 1415 e 1416 c.c. in tema di simulazione;
         b4) oggi l’istituto ha assunto il ruolo di principio regolatore di ogni rapporto giuridico, anche di quelli di diritto amministrativo. Nella giurisprudenza amministrativa si osserva che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività;
      c) la giurisdizione amministrativa va affermata quando l’affidamento abbia ad oggetto la stabilità del rapporto amministrativo, costituito sulla base di un atto di esercizio di un potere pubblico, specie quanto questo afferisca ad una materia di giurisdizione esclusiva:
         c1) “La giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo perché la “fiducia” su cui riposava la relazione giuridica tra amministrazione e privato, asseritamente lesa, si riferisce non già ad un comportamento privato o materiale -a un “mero comportamento”- ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale l’amministrazione è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo”;
         c2) la giurisdizione è del giudice amministrativo perché anche quando il comportamento non si è manifestato in atti amministrativi, nondimeno l’operato dell’amministrazione costituisce comunque espressione dei poteri ad essa attribuiti per il perseguimento delle finalità di carattere pubblico devolute alla sua cura. Tale operato è riferibile all’amministrazione che agisce in veste di autorità e si iscrive pertanto nella dinamica potere autoritativo–interesse legittimo, il cui giudice naturale è, per Costituzione, il giudice amministrativo;
         c3) tale conclusione vale sia “che si verta dell’interesse del soggetto leso dal provvedimento amministrativo, e come tale titolato a domandare il risarcimento del danno alternativamente o (come più spesso accade) cumulativamente all’annullamento del provvedimento lesivo, sia che si abbia riguardo all’interesse del soggetto invece beneficiato dal medesimo provvedimento. Anche quest’ultimo, infatti, vanta nei confronti dell’amministrazione un legittimo interesse alla sua conservazione, non solo rispetto all’azione giurisdizionale del ricorrente, ma anche rispetto al potere di autotutela dell’amministrazione stessa”;
         c4) non sembra quindi condivisibile interporre nel rapporto amministrativo costituito dal provvedimento un diritto soggettivo, avente ad oggetto l’affidamento alla stabilità del provvedimento medesimo, quale presupposto sostanziale della giurisdizione amministrativa, in quanto “Attraverso la stabilità del provvedimento e del rapporto con esso costituito il privato beneficiario conserva l’utilità attribuitagli, che nella misura in cui è correlata ad un pubblico potere è e rimane oggetto di un interesse legittimo (da pretensivo a oppositivo, secondo la terminologia invalsa al riguardo)”;
         c5) non può quindi essere seguita l’impostazione secondo cui quando il potere amministrativo non si è manifestato in un provvedimento tipico, ma è rimasto a livello di comportamento la giurisdizione sarebbe devoluta al giudice ordinario, che è invece ipotizzabile solo per comportamenti “meri”, non riconducibili al pubblico potere;
         c6) una conferma normativa di tali argomentazioni si può ricavare dall’art. 1, comma 2-bis, della l. 07.08.1990, n. 241, ai sensi del quale i “rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (comma aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), legge 11.09.2020, n. 120; di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76);
         c7) non è quindi possibile, nel definire il riparto di giurisdizione, circoscrivere la rilevanza dei doveri in esame al diritto comune, dal momento che gli stessi sono invece comuni al diritto civile e al diritto amministrativo, ossia ai rapporti paritetici di diritto soggettivo così come a quelli originati dall’esistenza e dall’esercizio in concreto del pubblico potere.
La mancata osservanza del dovere di correttezza da parte dell’amministrazione in violazione dei principi di affidamento può determinare una lesione della situazione giuridica soggettiva del privato che afferisce pur sempre all’esercizio del potere pubblico, si manifesti esso con un provvedimento tipico o con un comportamento pur sempre tenuto nell’esercizio di quel potere e la cui natura resta qualificata dall’inerenza al pubblico potere.
Si tratta, quindi, di aspettative correlate ad «interessi legittimi (…) concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» ai sensi dell’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. sopra citato, la cui lesione rimane devoluta al giudice amministrativo. Come infatti testualmente previsto dalla disposizione in parola, la giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo non solo nel caso in cui il potere sia stato esercitato, ma anche nel caso contrario di mancato esercizio. Non è conseguentemente possibile scindere sul piano del riparto giurisdizionale le due ipotesi, che peraltro possono in astratto dare luogo a profili diversi di addebito sul piano diacronico (per il fatto ad esempio di avere esercitato il potere tardivamente e di averlo poi esercitato illegittimamente), la cui cognizione va concentrata presso un unico giudice, ovvero quello amministrativo, quale giudice naturale della funzione amministrativa”;
         c8) tali principi trovano conferma nei precedenti della giurisprudenza amministrativa in tema di responsabilità precontrattuale proposta dall’aggiudicataria di una procedura di affidamento nei confronti dell’amministrazione per revoca legittima della gara. In tali precedenti si è chiarito che le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro fonte di responsabilità per l’amministrazione. “Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi, anche per violazione degli connessi obblighi di protezione inerenti al procedimento”;
         c9) nell’autonomia dei due ordini di regole operanti con riguardo all’esercizio della funzione pubblica –validità degli atti e comportamento complessivo dell’amministrazione– si colloca l’affidamento del privato, il quale si proietta sulla positiva conclusione del procedimento e, dunque, sull’attuazione dell’interesse legittimo di cui il medesimo privato è portatore, ma che diventa in sé tutelabile in via risarcitoria se l’amministrazione con il proprio comportamento abbia suscitato una ragionevole aspettativa sulla conclusione positiva del procedimento, a prescindere dal fatto che il bene della vita fosse dovuto e anche se si accertasse in positivo che non era dovuto;
         c10) è devoluta quindi alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sulle controversie in cui si faccia questione di danni da lesione dell’affidamento sul provvedimento favorevole;
         c11) il possibile contrasto del principio di diritto con l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità potrà essere vagliato in sede di eventuale impugnazione ai sensi dell’art. 111 Cost.;
      d) con riferimento ai limiti entro i quali è ravvisabile un affidamento incolpevole del privato sulla legittimità del provvedimento favorevole poi annullato in sede giurisdizionale:
         d1) l’affidamento tutelabile deve essere ragionevole e, quindi, incolpevole;
         d2) esso deve quindi fondarsi su una situazione di apparenza costituita dall’amministrazione con il provvedimento o con il suo comportamento correlato al pubblico potere e in cui il privato abbia senza colpa confidato.
La tutela risarcitoria non interviene quindi a compensare il bene della vita perso a causa dell’annullamento del provvedimento favorevole, che comunque si è accertato non spettante nel giudizio di annullamento, ma a ristorare il convincimento ragionevole che esso spettasse”;
         d3) in tale prospettiva, il grado della colpa dell’amministrazione –da intendersi come la misura in cui l’operato di questa è rimproverabile– rileva sotto il profilo della riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere affetto il provvedimento; “per il danno da lesione dell’affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la colpa dell’amministrazione è invece un elemento che ha rilievo nella misura in cui rende manifesta l’illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario, e consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole”;
         d4) la tutela dell’affidamento si fonda sui principi di correttezza e buona fede che regolano l’esercizio del pubblico potere, ma anche la posizione del privato, con la conseguenza che tale tutela postula che l’aspettativa sul risultato utile o sulla conservazione dell’utilità ottenuta sia sorretta da circostanze che obiettivamente la giustifichino;
         d5) un affidamento incolpevole non è predicabile innanzitutto nel caso estremo in cui sia il privato ad avere indotto dolosamente l’amministrazione ad emanare il provvedimento o, ancora, nelle ipotesi in cui l’illegittimità del provvedimento era evidente e avrebbe pertanto potuto essere facilmente accertata dal suo beneficiario, in conformità a una regola di carattere generale, espressamente richiamata in ambito civilistico dall’art. 1147, comma 2, c.c., secondo cui la buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave;
         d6) l’atteggiamento psicologico del privato, pertanto, può essere considerato come fattore escludente del risarcimento solo in tali ipotesi e non ogniqualvolta vi sia un contributo del privato nell’emanazione dell’atto. In sostanza non ogni apporto del privato all’emanazione dell’atto può condurre a configurare, automaticamente, una colpa in grado di escludere un affidamento tutelabile sulla sua legittimità; si giungerebbe altrimenti a negare sempre la tutela risarcitoria, tenuto conto che i provvedimenti amministrativi favorevoli, ampliativi della sfera giuridica del destinatario, sono sempre emessi a iniziativa di quest’ultimo;
         d7) il privato, sebbene possa attivare il procedimento amministrativo e fornire ogni apporto utile alla sua conclusione in senso per sé favorevole, persegue il proprio esclusivo interesse di realizzare il proprio utile; è, invece, sempre l’amministrazione che rimane titolare della cura dell’interesse pubblico e che è dunque tenuta a darvi piena attuazione, se del caso sacrificando l’interesse privato;
         d8) “con riguardo a gradi della colpa inferiore a quello «grave», non possono nemmeno essere trascurati i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio.
Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui, ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm., l’azione deve essere proposta, e di difenderlo.
La situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da lui avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso, porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio
”;
         d9) non ha carattere esimente il fatto che l’amministrazione abbia tutelato la posizione del beneficiario dell’atto nei confronti delle iniziative del ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento. Ciò che ha rilievo per configurare un affidamento incolpevole sulla legittimità dell’atto favorevole, la cui frustrazione può essere fonte di responsabilità per l’amministrazione nei confronti del destinatario, è la riconducibilità dell’illegittimità a quest’ultimo;
         d10) allo stesso modo non può ritenersi che dal principio di non contraddizione possa pervenirsi alla conseguenza per cui non vi potrebbe essere un affidamento tutelabile del destinatario dell’atto, nella sua qualità di controinteressato soccombente.
L’assunto sovrappone i piani, che invece in precedenza si è precisato essere distinti, della legittimità dell’atto e delle regole di validità ad esso relative, da un lato, e dall’altro lato della correttezza e buona fede del comportamento nell’esercizio del potere pubblico, con le connesse responsabilità dell’amministrazione. Per converso, va escluso l’opposto estremismo per cui ogni atto illegittimo e annullato in sede giurisdizionale è per l’amministrazione fonte di responsabilità nei confronti sia del soggetto originariamente beneficiario, sia del ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento, con la conseguenza che l’amministrazione si troverebbe in tal caso sempre e comunque esposta alle azioni di entrambi i soggetti coinvolti nell’esercizio del potere pubblico”;
         d11) non costituisce elemento costitutivo dell’affidamento il fattore temporale, che in astratto è configurabile già al momento in cui è presentata l’istanza per il rilascio del provvedimento favorevole. Il tempo trascorso può costituire fattore che fonda l’interesse oppositivo all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio e che con le modifiche apportate all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, da originaria regola di comportamento dell’amministrazione, espressa con carattere generale dal principio di ragionevolezza del tempo in cui viene esercitato il potere di autotutela, è stato incorporato nell’ambito delle regole di validità dell’atto, attraverso la previsione di un termine massimo;
      e) nel caso di specie, la domanda risarcitoria per lesione dell’affidamento sulla legittimità del provvedimento è stata proposta non dal destinatario di quest’ultimo, ma dalla sua avente causa, la quale non ha partecipato al procedimento di adozione della variante urbanistica che ha reso edificabile l’area poi da essa acquistata e quindi, al momento dell’acquisto del terreno, poteva confidare sulla destinazione impressa da tale variante, salvo che in punto di fatto non risulti accertato che la stessa potesse essere a conoscenza dei profili di illegittimità della variante che hanno portato poi al suo annullamento.
Sembrerebbero dunque profilarsi tutti gli elementi idonei a ritenere che, attraverso l’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica da parte del Comune, possa essersi ingenerata nella ricorrente la ragionevole convinzione sulla destinazione edificatoria dell’area e che perciò fosse equo il prezzo di acquisto come area edificabile anziché come terreno agricolo.
Della differenza tra i due valori l’amministrazione comunale può dunque essere ritenuta responsabile, al pari del venditore, secondo gli ordinari strumenti di tutela civilistica;
      f) l’eventuale responsabilità dell’amministrazione non può essere esclusa dalla eventualmente concorrente responsabilità del venditore, in quanto diversi sono i titoli di responsabilità:
         f1) la responsabilità dell’amministrazione si fonda sull’apparenza ingenerata al di fuori di ogni rapporto con l’acquirente, e dunque sul piano extracontrattuale;
         f2) la responsabilità del venditore per il difettoso risultato traslativo si fonda su un titolo contrattuale;
         f3) la possibilità di ravvisare un concorso di diversi soggetti nel medesimo fatto illecito per diversi titoli di responsabilità è affermata da consolidata giurisprudenza di legittimità;
         f4) il concorso di cause è a sua volta fonte di responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c., fermo il diritto di regresso di ciascun condebitore solidale nei confronti dell’altro;
      g) nel restituire gli atti alla sezione rimettente ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., il
collegio osserva che, con riferimento alla posta risarcitoria relativa all’inutile attività edificatoria intrapresa dalla ricorrente e dagli oneri da questa sostenuti per la demolizione, costituisce profilo rilevante verificare quando la stessa abbia avuto conoscenza del contenzioso che ha poi portato all’annullamento della variante urbanistica e in via derivata dei titoli ad edificare rilasciati sulla base di quest’ultima.
   III. – Per completezza, si osserva quanto segue:
      h) le questioni sono state sottoposte all’attenzione dell’Adunanza plenaria da Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2021, n. 3701 (oggetto della News US, n. 50 del 28.05.2021).
Alla citata News si rinvia, oltre che per l’esame delle argomentazioni sviluppate dal collegio: al § l), per precedenti sul tema della giurisdizione del giudice ordinario in materia di domanda di risarcimento del danno derivante da atto favorevole al destinatario successivamente annullato ovvero da inerzia nella repressione di abusi dovuti a omessa vigilanza ovvero a omessa esecuzione di provvedimenti repressivi (sul tema si veda anche infra § j); al § m), sul diritto al risarcimento del danno da provvedimento favorevole poi annullato e da inerzia della pubblica amministrazione, come fattispecie lesive dell’affidamento privato;
      i) per i principi di ordine sostanziale elaborati dalla Plenaria in rassegna –e, quindi, per l’analisi di perimetro, presupposti e limiti della responsabilità della p.a. discendente dal ragionevole affidamento del privato in ordine al legittimo esercizio del potere pubblico e all’operato della pubblica amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, anche nell’ipotesi di provvedimento favorevole successivamente annullato– si veda Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 21, (oggetto della News US, n. 3 del 12.01.2022, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti), nonché nel senso che la parte risultata vittoriosa di fronte al Tribunale amministrativo regionale sul capo della domanda relativo alla giurisdizione non sia legittimata a contestare in appello la giurisdizione del giudice amministrativo vedi Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 19 (oggetto della News US, n. 2 del 12.01.2022, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti).
      j) nel senso della giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento del danno proposta dal beneficiario del provvedimento favorevole poi riconosciuto illegittimo si vedano:
         j1) Cass. civ., sez. un., 25.05.2021, n. 14324, secondo cui “La controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da un privato, che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, legittimamente annullato, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto non è relativa alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì di diritto soggettivo, rappresentato dalla conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla originaria legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato”;
         j2) Cass. civ., sez. un., 11.05.2021, n. 12428 (in Foro it., 2021, I, 2770 con nota di MACARIO), secondo cui “Affinché si perfezioni la fattispecie di lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, e la relativa controversia in quanto concernente diritti soggettivi possa essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto, è necessario che sia identificabile un comportamento della pubblica amministrazione, differenziabile dalla mera inerzia o dalla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo, che abbia cagionato al privato un danno in modo indipendente da eventuali illegittimità di diritto pubblico, ovvero che abbia indotto il privato a non esperire gli strumenti previsti per la tutela dell'interesse legittimo pretensivo a causa del ragionevole affidamento riposto nell'emanazione del provvedimento non adottato (nella specie, la controversia relativa alla mancata approvazione di una variante al programma di recupero urbano e di progetti per le opere di urbanizzazione è stata ritenuta devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto concernente interessi legittimi e pertanto non assoggettabile ad arbitrato rituale di diritto)”.
La sentenza va in contrasto frontale con i principi espressi dalla Plenaria in commento, allorquando afferma l’esistenza di un diritto soggettivo all’affidamento capace di radicare una controversia di diritto comune (che esclude in concreto nel caso di specie perché ritiene che la controversia avendo ad oggetto interessi legittimi, rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo e quindi non sia compromettibile in arbitri).
In particolare, a giudizio della Corte, il procedimento amministrativo costituisce un'interlocuzione fra l'amministrazione ed il privato retta da norme per l'esercizio della funzione amministrativa. Rispetto a tale agere che si dispiega mediante atti formali e si colloca sul piano del diritto pubblico, deve essere individuato quale sia lo spazio del comportamento in violazione dei canoni di correttezza e buona fede perché lesivo dell'affidamento riposto nell'adozione di un provvedimento amministrativo.
La buona fede che qui rileva non è quella che l'art. 1 della legge sul procedimento amministrativo menziona, quale forma del rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione unitamente alla collaborazione, e che corrisponde non alla regola di diritto civile, ma a un principio generale dell'ordinamento che ha la funzione, al pari della collaborazione, di modellare l'esercizio del potere fronteggiato dall'interesse legittimo. La correttezza che emerge con la lesione dell'affidamento è quella cui si correla una posizione di diritto soggettivo.
La Corte richiama quindi i suoi precedenti secondo cui spetta al giudice ordinario, per la ricorrenza di diritti soggettivi, la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa è configurabile non solo nel caso in cui tale danno derivi dall'emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione (Cass. civ., sez. un., 15.01.2021, n. 615, secondo cui “In materia di cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell'imprenditore, fondata sulla lesione dell'affidamento riposto nella condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede; ciò in quanto la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”);
         j3) Cass. civ., sez. un., 17.12.2020, n. 28979, secondo cui “la controversia avente ad oggetto la domanda risarcitoria proposta dal privato aggiudicatario di una gara per l'assegnazione di un pubblico servizio, successivamente annullata o revocata, il quale deduca la lesione dell'affidamento riposto sull'apparente legittimità del provvedimento amministrativo, è devoluta alla giurisdizione ordinaria, invocandosi l'accertamento, non della legittimità dell'aggiudicazione, ma della responsabilità civile della P.A. (avente natura contrattuale, secondo lo schema della responsabilità da "contatto sociale", o eventualmente ricondotta alla responsabilità extracontrattuale) per i danni derivanti dalle spese effettuate in funzione della partecipazione alla gara poi revocata, dalla rinuncia ad un utile di impresa e dalla perdita di altre "chances" economico-commerciali nell'ambito del mercato imprenditoriale”;
         j4) Cass. civ., sez. un., 08.07.2020, n. 14231, secondo cui “La "causa petendi" della domanda con cui il beneficiario di un permesso di costruire, successivamente annullato in autotutela in quanto illegittimo, abbia invocato la risoluzione del contratto di compravendita del terreno, nonché la condanna della P.A. al risarcimento dei danni conseguenti alla lesione dell'incolpevole affidamento sulla legittimità del predetto atto ampliativo, risiede, non già nella lesione di un interesse legittimo pretensivo (giacché non è in discussione la legittimità del disposto annullamento) ma nella lesione del diritto soggettivo all'integrità del patrimonio; pertanto la controversia è devoluta alla giurisdizione ordinaria, atteso che, avuto riguardo al detto "petitum sostanziale", il provvedimento amministrativo non rileva in sé (quale elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria, della cui illegittimità il giudice è chiamato a conoscere "principaliter") ma come fatto (rilevabile "incidenter tantum") che ha dato causa all'evento dannoso subìto dal patrimonio del privato”;
         j5) Cass. civ., sez. un., 28.04.2020, n. 8236 (in Giur. it., 2020, 2530, con nota di COMPORTI; Corriere giur., 2020, 1025, con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia, 2020, I, 461; Resp. civ. e prev., 2020, 1181, con nota di PATRITO; Nuova giur. civ., 2020, 1074, con note di ZACCARIA, SCOGNAMIGLIO; Giornale dir. amm., 2020, 805, con nota di BONTEMPI; Rass. dir. civ., 2020, 959, con nota di MANFREDONIA);
         j6) Cass. civ., sez. un., 08.03.2019, n. 6885, secondo cui “Qualora il privato abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, successivamente annullato, in via di autotutela od "opeiudicis", senza che si discuta della legittimità dell'annullamento, la controversia relativa ai danni subiti dal privato rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perché ha ad oggetto non già la lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato”;
         j7) Cass. civ., sez. un., 19.02.2019, n. 4889 (in Foro it., 2019, I, 4066, con nota di richiami di BORGIANI, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti giurisprudenziali);
         j8) Cass. civ., sez. un., ordinanza, 24.09.2018, n. 22435 (oggetto della News US, in data 08.10.2018, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti);
         j9) Cass. civ., sez. un., ordinanza 22.06.2017, n. 15640 (oggetto della News US, in data 04.07.2017, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti), secondo cui “è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario l’azione di risarcimento del danno proposta dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento ampliativo successivamente dichiarato illegittimo”;
         j10) Cass. civ., sez. un., 16.12.2016, n. 25978 (oggetto della News US, in data 09.01.2017, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti);
         j11) Cass. civ., sez. un., 04.09.2015, n. 17586 (in Riv. neldiritto, 2016, 467; in Riv. giur. edilizia, 2015, I, 1044, con nota di SINISI, e in Dir. proc. amm., 2016, 547, con nota di GALLO);
         j12) sulla questione di giurisdizione in esame si sono funditus pronunciate le tre ordinanze Cass., sez. un., 03.03.2011 n. 6596 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 933, con nota di DI MAJO; Urbanistica e appalti, 2011, 915, con nota di MASERA; Giust. civ., 2011, I, 1209, con nota di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1749 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2315 (m), con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI), 03.03.2011, n. 6595 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 934, con nota di DI MAJO; Resp. civ. e prev., 2011, 1748 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia, 2011, I, 406, con nota di CAPONIGRO; Giust. civ., 2011, I, 2315, con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI); 03.03.2011, n. 6594 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Giust. civ., 2011, I, 1209, con nota di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1743, con nota di SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2316 (m), con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 192, con nota di COMPORTI; Giust. civ., 2012, I, 2769 (m), con nota di. SALVAGO) che hanno concluso per la giurisdizione del giudice ordinario su tre fattispecie differenti ma riconducibili alla stessa regola;
         j13) in dottrina, per una nitida ricostruzione del tema e per ulteriori approfondimenti: CIRILLO, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento sul provvedimento favorevole annullato e l’interesse alla stabilità dell’atto amministrativo, in Foro amm., 2016, 7-8, 1991 ss.; NERI, La tutela dell'affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice ordinario, in www.giustizia-amministrativa.it, Studi e rassegne Ufficio studi della G.A., 2021;
      k) si segnala che la Plenaria, con la pronuncia in commento:
         k1) consapevole dell’indirizzo contrario consolidato delle sezioni unite della Corte di cassazione, afferma la possibilità che si impugnino le sentenze delle sezioni del Consiglio di Stato che applicheranno il principio elaborato dalla Plenaria. Sulla impossibilità di configurare l’interesse all’impugnazione ex art. 111 Cost. nei confronti delle decisioni della Plenaria che non definiscono il merito della controversia si veda Cass. civ., sez. un., 30.10.2019, n. 27482 (in Foro it., 2020, I, 246 con nota CONDORELLI; oggetto della News US, n. 124 del 15.11.2019), secondo cui “È inammissibile il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione proposto avverso la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che, ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., si sia limitata a enunciare uno o più principi di diritto”.
Alla citata News US si rinvia, oltre che per l’esame delle argomentazioni sviluppate dal collegio: al § h), sulla natura delle sentenze (e del vincolo) rese dalla Plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a. quanto non definiscono in tutto o in parte la lite (anche con riferimenti dottrinali); al § i), nel senso della non impugnabilità ex art. 111, u.c., Cost., delle pronunce del Consiglio di Stato prive del carattere della definitività e decisorietà; al § k), nel senso che la violazione dell’art. 99, comma 3, c.p.a. –il quale impone ad una sezione del Consiglio di Stato di rimettere la questione alla Plenaria se non ritenga di condividere il principio da essa fissato– non costituisce un motivo attinente alla giurisdizione ex art. 111, u.c., Cost.;
         k2) richiama le sezioni del Consiglio di Stato, ex art. 99 c.p.a., al rispetto del principio formulato in materia di giurisdizione sebbene, ai sensi dell’art. 111 Cost., siano le sezioni unite il giudice della giurisdizione, per tale via assumendo un indirizzo divergente rispetto a quanto affermato dalla Plenaria sulla non vincolatività del proprio precedente in contrasto col diritto europeo come interpretato dalla Corte di giustizia UE.
Si veda, oltre alla citata News US, n. 124 del 15.11.2019, anche: News US, n. 99 del 15.09.2020, a Cons. Stato, Ad. plen., 09.07.2020, n. 14, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti, specie al § g), in tema di restituzione degli atti, da parte della Plenaria, alla sezione rimettente ai sensi dell’art. 99 c.p.a.; Cons. Stato, Ad. plen., 17.12.2019, n. 14, in tema di restituzione degli atti alla sezione deferente in seguito a intervento della Corte di giustizia UE che soddisfi l’esigenza di pronuncia del principio di diritto formulato nella ordinanza di rimessione; News US, in data 01.08.2016, a Cons. Stato, Ad. plen., 27.07.2016, n. 19 (in Foro it. 2017, III, 309), cui si rinvia per ulteriori approfondimenti, specie ai §§ I) e II), ove si esamina il rapporto tra la funzione nomofilattica della Plenaria e il dovere di sollevare la questione pregiudiziale di legittimità comunitaria (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 29.11.2021 n. 20 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOOsserva il Collegio come le cause di incompatibilità abbiano specifica natura tassativa; pertanto, gli obblighi di astensione non operano laddove non ricorrano gli specifici presupposti indicati dal legislatore.
Nel caso di specie, non costituisce ex se causa di incompatibilità l’eventuale difforme avviso espresso dai funzionari comunali rispetto a precedenti pareri. Inoltre, la presunta incompatibilità non è, certamente, dimostrata dalla sola diversità dell’avviso in difetto di indici inferenziali che consentano di ritenere la causa pendente ragione effettiva del mutamento di avviso dedotto.
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Nel caso di specie, non può ritenersi sussistente la condizione di “grave inimicizia” tra l’operatore ed i funzionari pubblici.
Pur prescindendo dal tema della legittimazione a proporre una simile ragione di incompatibilità, il Collegio osserva come la grave inimicizia attenga a “ragioni private di rancore o di avversione sorte nell'ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali” e non ricorra qualora il funzionario abbia posto in essere condotte istituzionali che abbiano dato vita a “molteplici provvedimenti pregiudizievoli tali da determinare l'insorgere di diverse controversie giurisdizionali”.
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   H. Sull’incompatibilità dei funzionari (primo motivo del ricorso introduttivo).
15. Prendendo l’abbrivo dal primo motivo si rammenta che, con esso, i ricorrenti deducono l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in ragione della pendenza di un giudizio avanti il Tribunale civile di Pavia tra la società Es. e taluni amministratori e funzionari comunali, tra cui anche il responsabile del procedimento e il dirigente dell’ufficio tecnico comunale. Tale giudizio ha ad oggetto una domanda di risarcimento del danno personalmente diretta ai funzionari e agli amministratori per il diniego di approvazione di una precedente istanza di piano attuativo proposta dalla società Es. sulle medesime aree oggetto del presente giudizio. Gli atti impugnati sarebbero, quindi, emessi in violazione degli obblighi di astensione gravanti sui funzionari pubblici.
15.1. Osserva il Collegio che il giudizio al quale fanno riferimento i ricorrenti termina in data anteriore alla presentazione dell’istanza. La sentenza del Tribunale ordinario di Pavia n. 860/2019 è pubblicata in data 16.05.2019 e notificata nella stessa data (doc. n. 24 dell’Amministrazione comunale). La sentenza transita in rem iudicatam in data 15.06.2019, e, quindi, prima della presentazione dell’istanza di piano attuativo di Es., depositata in data 08.07.2019. Pertanto, al momento di approvazione del Piano la causa di incompatibilità consistente nella pendenza di una lite non sussiste.
15.2. I ricorrenti evidenziano, tuttavia, come i due funzionari comunali coinvolti nel giudizio civile redigano un parere preliminare in data 21.12.2018 e che tale parere abbia contenuto difforme dalla posizione assunta nel 2013 e nel 2014 (f. 24 della memoria di merito dei ricorrenti).
15.3. Osserva il Collegio come le cause di incompatibilità abbiano specifica natura tassativa; pertanto, gli obblighi di astensione non operano laddove non ricorrano gli specifici presupposti indicati dal legislatore. Nel caso di specie, non costituisce ex se causa di incompatibilità l’eventuale difforme avviso espresso dai funzionari comunali rispetto a precedenti pareri. Inoltre, la presunta incompatibilità non è, certamente, dimostrata dalla sola diversità dell’avviso in difetto di indici inferenziali che consentano di ritenere la causa pendente ragione effettiva del mutamento di avviso dedotto.
15.4. Inoltre, il parere del 21.12.2018 ha effettivamente carattere preliminare e, come tale, non solo non impegna l’Ente ma neppure costituisce il punto di riferimento istruttorio dei provvedimenti adottati. Infatti, il parere è reso in relazione alla “documentazione presentata in data 24.09.2018, prot. 44078”, e, quindi, su una rappresentazione ancora astratta dell’ipotesi progettuale che si sostanzia nella successiva istanza.
15.4.1. Lo confermano le risposte ai vari quesiti all’attenzione dell’Ufficio.
15.4.2. In relazione al tema della realizzazione delle strutture di vendita il parere conclude: “la proposta di realizzare 13 medie strutture di vendita è ammissibile, sempre che la stessa trovi fondamento, circostanza da dimostrare nel corso del procedimento di approvazione del piano sia con elaborati grafici che descrittivi, nell’attuazione dell’obiettivo affidato all’ambito di trasformazione, quello cioè di realizzare una città mista, attraverso uno sviluppo rispettoso dei principi di tutela e di valorizzazione della salute e dell’ambiente”. Il parere ha, quindi, un esito istruttorio rinviando alle evidenze da acquisire nel procedimento di approvazione del Piano.
15.4.3. In relazione al tema della “autonomia realizzativa e gestionale delle medesime medie strutture di vendita” il parere conclude: “il progetto di piano attuativo che sarà sviluppato dovrà dare piena e concreta dimostrazione di quanto rappresentato nella documentazione in esame, anche per la dimostrazione degli indici e grandezze urbanistiche, nonché dell’indipendenza delle superfici fondiarie e permeabili”. Anche in tal caso vi è, quindi, un rinvio alla necessità di una piena e concreta dimostrazione di quanto rappresentato nell’ambito dello specifico procedimento di approvazione del Piano.
15.4.4. In relazione al tema del “rispetto del principio di contestualità dei procedimenti urbanistico, edilizi e commerciali” il parere chiarisce che “l’istruttoria della richiesta di autorizzazione commerciale verrà sospesa sino alla conclusione del procedimento di adozione/approvazione del piano attuativo, il rilascio dell’autorizzazione potrà avvenire successivamente all’approvazione e/o stipula della convenzione urbanistica”. Il parere ha, quindi, contenuto meramente esplicativo della normativa di riferimento.
15.4.5. In relazione al tema del “rilascio di autorizzazioni commerciali intestate a Es. srl in qualità di proprietario degli immobili o suo eventuale avente titolo” il parere, dopo aver chiarito la normativa di riferimento, espone alcuni aspetti di carattere propriamente urbanistico da approfondire nell’apposito procedimento.
15.5. E’, inoltre, indimostrata la tesi secondo la quale il parere definirebbe la fase istruttoria atteso che il provvedimento impugnato fa espresso riferimento non a tale parere ma alla diversa “relazione” redatta dall’Ufficio e, quindi, ad un atto istruttorio formatosi nel procedimento e in relazione allo specifico progetto concretamente presentato dopo il parere preliminare. Né tale conclusione è suscettibile di smentita in quanto “il parere 21.12.2018 del resto già indica il contenuto del Pa quanto a dimostrazione delle superfici, dell’autonomia e via dicendo” (f. 25 della memoria difensiva dei ricorrenti). Infatti, il parere non è, comunque, sostitutivo dell’istruttoria ed è espresso su uno scenario progettuale la cui conferma nell’apposita istanza non è circostanza che muta la natura preliminare del parere.
15.6. In ultimo, non può ritenersi sussistente la condizione di “grave inimicizia” tra l’operatore ed i funzionari pubblici. Pur prescindendo dal tema della legittimazione a proporre una simile ragione di incompatibilità, il Collegio osserva come la grave inimicizia attenga a “ragioni private di rancore o di avversione sorte nell'ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali” (Cassazione civile, Sez. II, 31.10.2018 n. 27923) e non ricorra qualora il funzionario abbia posto in essere condotte istituzionali che abbiano dato vita a “molteplici provvedimenti pregiudizievoli tali da determinare l'insorgere di diverse controversie giurisdizionali” (Consiglio di Stato, Sez. V, 20.12.2018, n. 7170).
15.7. In definitiva il primo motivo di ricorso è infondato e deve, pertanto, respingersi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.11.2021 n. 2570 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOLa giurisprudenza anche della Cassazione ai fini della configurabilità dell'obbligo di astensione (art. 51, n. 3, c.p.c.) in sede disciplinare per "grave inimicizia” richiede, oltre la reciprocità, la riferibilità a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell'ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali.
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6.- Non miglior sorte merita il terzo motivo di gravame.
A prescindere da ogni altra considerazione il semplice alterco intervenuto tra il ricorrente ed il Comandante di Stazione non appare sufficiente a giustificare la sussistenza a carico di quest’ultimo di un obbligo di astensione, essendo pressoché fisiologica all’interno di ogni ambiente lavorativo l’insorgenza di contrasti verbali tra il personale in merito all’organizzazione ed all’adempimento degli obblighi lavorativi, senza che ciò comporti una “grave inimicizia” tale ai sensi dell’art. 51, n. 3, c.p.c. da imporre l’astensione del superiore gerarchico.
Infatti la giurisprudenza anche della Cassazione ai fini della configurabilità del predetto obbligo di astensione (art. 51, n. 3, c.p.c.) in sede disciplinare per "grave inimicizia” richiede, oltre la reciprocità, la riferibilità a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell'ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali (Cassazione civile sez. II, 31.10.2018, n. 27923; id. n. 7683/2005) circostanza non rinvenibile nel caso di specie (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 19.11.2021 n. 948 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2021

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOCessazione materia del contendere, improcedibilità per sopravvenuta difetto di interesse e accertamento della illegittimità a fini risarcitori.
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Processo amministrativo - Interesse a ricorrere – Cessazione della materia del contendere e sopravvenuta carenza di interesse – Differenza.
  
Processo amministrativo - Interesse a ricorrere – Carenza sopravvenuta - Decisione di merito – Solo ai fini risarcitori - Limiti.
  
La cessazione della materia del contendere postula la realizzazione piena dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell’azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere il bene della vita agognato, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo.
L’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse risulta, invece, riscontrabile qualora sopravvenga un assetto di interesse ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio -anziché per l’ottenimento- per l’impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente (1).
  
La previsione di cui al terzo comma dell’art. 34 c.p.a. deve essere interpretata, in coerenza con il senso letterale delle espressioni impiegate, nel senso che l’unico interesse deducibile, per evitare l’adozione di una sentenza che dichiari la sopravvenuta carenza di interesse, è quello di natura risarcitoria.
La possibilità che sia sufficiente un mero “interesse morale” è condizionata alla circostanza che tale interesse venga dedotto per dimostrare la sussistenza dei presupposti per la proposizione di una, anche successiva, azione risarcitoria per danno non patrimoniale nella forma del danno morale ovvero di un danno anche di natura diversa correlato alla tipologia di diritto della persona che viene in rilievo.
In definitiva, sono individuabili tre evenienze che si possono realizzare nel corso del processo:
   a) “causa” che rende impossibile la realizzazione del bene della vita originariamente preteso, con improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse;
   b) “causa” che realizza pienamente l’interesse al bene della vita, con cessazione della materia del contendere;
   c) “causa” che, pur privando la parte dell’interesse all’adozione di una sentenza costitutiva di annullamento degli atti, impone l’adozione di una sentenza di accertamento della illegittimità degli atti ai soli fini risarcitori (2).

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   (1) Cons. St., sez. VI, 15.03.2021, n. 2224.
   (2) Cons. St., sez. III, 15.04.2021, n. 3086; id., sez. V, 15.06.2015, n. 2952 (
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.10.2021 n. 6824 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2021

ATTI AMMINISTRATIVIAutonoma valutazione da parte della Prefettura di stralci delle risultanze investigative penali in sede di interdittiva antimafia.
Informativa antimafia – Presupposti – Risultanze investigative penali - Autonoma valutazione da parte della Prefettura – Limiti.
In sede di interdittiva antimafia la autonoma valutazione da parte della Prefettura di stralci delle risultanze investigative penali e della motivazione dei relativi provvedimenti giurisdizionali, in modo difforme rispetto alla magistratura penale, è operazione delicata, anche alla luce del ne bis in idem per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo e soprattutto dell’esigenza di coerenza interna dell’ordinamento giuridico, che non può considerare talune condotte penalmente irrilevanti e al contempo rilevanti in un procedimento amministrativo che sfocia in un provvedimento che per i suoi dirompenti effetti ben può definirsi parapenale; pertanto, siffatta operazione di autonoma e difforme valutazione, da parte della Prefettura, delle risultanze investigative penali richiede sempre un attento vaglio del giudice amministrativo (CGARS, decreto 03.08.2021 n. 544 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2021

ATTI AMMINISTRATIVI: L'esercizio del potere sotteso all'emanazione di ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, siano esse adottate ai sensi dell'art. 50 (situazione di imminente pericolo per l'igiene e la salute pubblica) che dell'art. 54 T.U.E.L. (grave pericolo per l'incolumità pubblica), trova la propria legittimazione nell'esistenza di una situazione di eccezionalità la cui sussistenza deve essere suffragata da una adeguata istruttoria e da una congrua motivazione, non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall'ordinamento; condizione, quest'ultima, unica in ragione della quale si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
Nel caso di specie, gli elementi assunti a presupposto dell’impugnata ordinanza identificano una emergenza nota da tempo e priva, pertanto, dei necessari connotati di imprevedibilità ed urgenza.
Invero, le asserite “segnalazioni” pervenute all’amministrazione in ordine all’aggravamento della situazione (oggetto di ordinanza) “nell’ultimo periodo” sono rimaste prive di ogni riscontro, non avendo l’amministrazione ottemperato alla specifica richiesta istruttoria di questo giudice.
Sicché, in presenza di tali (o analoghe) generiche allegazioni, la giurisprudenza amministrativa si è più volte espressa con indirizzo unanime circa l’illegittimità del ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente.
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... per l'annullamento dell’ordinanza 25.03.2021, n. 9, emessa dal Sindaco del Comune di Marcaria (Mn) e recante disposizioni urgenti per il contenimento e l'eradicazione della nutria (myocastor coypus) sul territorio di Marcaria — ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell'art. 50, comma 5, del d.lgs. 267/2000.
...
9. Ciò posto, il ricorso è manifestamente fondato.
9.1. In assenza di puntuali allegazioni da parte dell’amministrazione comunale circa le ragioni che avrebbero determinato l’urgenza di provvedere mediante l’utilizzo dello strumento dell’ordinanza contingibile ed urgente, la definizione della presente controversia non può che muovere dal consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale “l'esercizio del potere sotteso all'emanazione di ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, siano esse adottate ai sensi dell'art. 50 (situazione di imminente pericolo per l'igiene e la salute pubblica) che dell'art. 54 T.U.E.L. (grave pericolo per l'incolumità pubblica), trova la propria legittimazione nell'esistenza di una situazione di eccezionalità - la cui sussistenza deve essere suffragata da una adeguata istruttoria e da una congrua motivazione, non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall'ordinamento; condizione, quest'ultima, unica in ragione della quale si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi” (TAR Lazio, Roma, sez. III, 27.09.2018, n. 9621; in senso analogo, TAR Brescia, sez. I, 17/07/2020, n. 549; TAR Genova, sez. I, 27/01/2016, n. 82; Consiglio di Stato, sez. V, 19/05/2016, n. 2090; TAR Napoli, sez. V, 06/03/2018, n. 1409).
9.2. Nel caso di specie, il rischio idraulico connesso alle erosioni degli argini ad opera delle nutrie ed il loro incontrollato proliferarsi, nonché i danni arrecati dalle medesime alle coltivazioni (elementi assunti a presupposto dell’impugnata ordinanza) identificano una emergenza nota da tempo e priva, pertanto, dei necessari connotati di imprevedibilità ed urgenza.
9.3. Le asserite “segnalazioni” pervenute all’amministrazione in ordine all’accresciuta presenza delle nutrie sul territorio comunale “nell’ultimo periodo” sono rimaste prive di ogni riscontro, non avendo l’amministrazione ottemperato alla specifica richiesta istruttoria di questo giudice.
9.4. In presenza di tali (o analoghe) generiche allegazioni, la giurisprudenza amministrativa -anche di questo Tribunale- si è più volte espressa con indirizzo unanime circa l’illegittimità del ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente (TAR Brescia, II, 08.03.2017 n. 338; TAR Torino, II, 05.04.2016, n. 429; TAR Brescia, II, 29.08.2014 n. 927; TAR Bologna, II, 26.01.2021 n. 51; si rimanda, per il resto, alla copiosa rassegna giurisprudenziale citata dalla parte ricorrente nell’atto introduttivo).
10. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 31.07.2021 n. 718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Le faq impegnano la p.a.
Essenziali criteri di affidamento del cittadino nella pubblica amministrazione richiedono di tenere conto dell'attività svolta dall'amministrazione con la pubblicazione delle faq (frequently asked questions) sul proprio sito istituzionale.

In tal senso, il consiglio di stato con parere 20.07.2021 n. 1275.
In linea generale, chiarisce il collegio, occorre prendere atto del sempre maggiore ricorso da parte delle p.a. alle risposte alle domande che sono state poste (o potrebbero essere poste) più frequentemente dagli utilizzatori di un certo servizio. In tal modo, infatti, viene data risposta agli interrogativi ricorrenti, sì da chiarire pubblicamente le questioni poste con maggiore frequenza.
Il ricorso alle faq è da ricondurre a esigenze di trasparenza e economicità dell'attività della pubblica amministrazione. Sotto questo secondo aspetto, infatti, il carattere ricorrente di taluni temi o interrogativi induce l'amministrazione a soddisfare in via preventiva le esigenze di chiarimento dei destinatari principali dell'attività. Nel periodo contrassegnato dalle limitazioni dovute alla diffusione del Covid, le faq della pubblica amministrazione hanno conosciuto un rilievo e una notorietà in precedenza sconosciute.
Sebbene esse siano sconosciute all'ordinamento giuridico e, pertanto, non possano essere assimilate a una fonte di diritto, precisa ancora il parere, non può essere sottovalutato l'effetto che le risposte fornite producono sui destinatari. pur non avendo carattere vincolante, le risposte date dall'amministrazione contribuiscono a fornire un'utile indicazione di carattere applicativo in ordine alle ragioni sottese alle procedure e agli atti in corso di esame.
Una volta suggerita una soluzione attraverso le faq, all'amministrazione è consentito discostarsi esclusivamente se in grado di addurre elementi sostanzialmente decisivi e necessariamente soggetti a uno scrutinio particolarmente severo, affinché sia evitato il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta in arbitrio o comunque leda l'affidamento creato nei destinatari delle disposizioni (articolo ItaliaOggi del 08.09.2021).

ATTI AMMINISTRATIVIFaq fuori dalla scala giuridica ma va preservato chi si adegua. Le frequency asked questions non sono previste dall’ordinamento ma, una volta emesse, è necessario che le amministrazioni ne seguano le indicazioni.
Le Faq, risposte a dubbi e quesiti, sono un modo semplice di chiarire le norme vigenti. Ma che affidamento vi si può dare?

Il problema è stato affrontato da un parere del Consiglio di Stato (Sez. I, parere 20.07.2021 n. 1275) decidendo un ricorso che contrapponeva un’impresa alla regione Calabria per ottenere finanziamenti.
La soluzione data dei giudici è complessa, ma rischia, paradossalmente, di disorientare chi si affida alle Faq.
Inesistenti nell’ordinamento
Le frequently asked questions intendono rispondere alle domande che sono poste (o potrebbero essere poste) con una frequenza dagli utilizzatori di un servizio. Si tratta di risposte pubbliche, per lo più su siti web, che chiariscono con effetto generale e pubblicamente le questioni più diffuse. Trasparenza ed economicità suggeriscono infatti di risolvere in via preventiva i problemi interpretativi ed applicativi.
Tuttavia, le Faq sono sconosciute all'ordinamento giuridico: le disposizioni preliminari del Codice civile del 1942, enumerando le fonti del diritto, non lasciano spazio per le Faq, perché queste svolgono una funzione pratica e non indicano elementi utili né circa la loro elaborazione, ne circa i soggetti che ne sono i curatori o i responsabili.
Non possono essere considerate simili a circolari, perché non costituiscono un obbligo nemmeno per le amministrazioni che le hanno emesse.
Non possono essere considerate nemmeno fonte di interpretazione autentica, da parte dell’amministrazione.
Di fatto, le Faq hanno un valore addirittura inferiore ad un mero artigianale cartello che, in un ufficio pubblico, indirizzi gli utenti in un certo percorso.
Strumento apprezzato
Seppur in assenza di peso giuridico, il numero degli utenti che si affidano alle Faq e l’obiettiva complessità delle materie che affrontano generano un’esigenza di tutela e di affidamento del cittadino.
Non a caso, infatti, esse sono pubblicate su siti istituzionali e provengono da fonti qualificate che sembrano chiarire la logica dell’amministrazione nei punti in cui essa è poco intelligibile, o dove sono possibili diverse applicazioni.
Di fatto, quindi, le Faq orientano i comportamenti degli interessati e quindi non possono essere considerate inutili.
Per questo motivo, il Consiglio di Stato precisa che, una volta suggerita, attraverso le Faq, una certa indicazione operativa, l’amministrazione non può discostarsene, se non sulla base di elementi nuovi e decisivi.
I precedenti
Fino ad oggi, le Faq sono approdate nelle aule giudiziarie soprattutto in materia di appalti pubblici, quando ad esempio (Tar Lazio 8420/2021) occorre chiarire come valutare la confezione di un prodotto.
Ma se in una procedura ristrette e tra soggetti qualificati (i soli concorrenti a una gara) le Faq possono prevenire rapidamente molti problemi, in altri settori, quali i benefici edilizi del 110%, le Faq riguardano platee affollate e rischiano di prevalere sulle norme, alterandone l’applicazione.
Non basta quindi, come suggerisce il Consiglio di Stato, evitare le Faq contraddittorie, ma diventa necessario chiarire i casi specifici che le Faq intendono illustrare.
Nel fascicolo di ogni intervento che benefici di contributi, ad esempio, sarà quindi opportuno inserire una copia della Faq utile, tenendo presente l’articolo 10 dello Statuto del contribuente, che esclude sanzioni nel caso di errore che derivi dall’essersi conformati a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione (articolo Il Sole 24 Ore del 31.07.2021).

ATTI AMMINISTRATIVILe FAQ sono sconosciute all’ordinamento giuridico, in particolare all’art. 1 delle preleggi al codice civile. Esse svolgono una funzione eminentemente pratica né, in genere, indicano elementi utili circa la loro elaborazione, la procedura o i soggetti che ne sono i curatori o i responsabili. Non sono pubblicate a conclusione di un procedimento predefinito dalla legge. E’ quindi da escludere che le risposte alle FAQ possano essere assimilate a una fonte del diritto, né primaria, né secondaria. Neppure possono essere considerate affini alle circolari, dal momento che non costituiscono un obbligo interno per gli organi amministrativi.
In difetto dei necessari presupposti legali, esse non possono costituire neppure atti di interpretazione autentica.
Tuttavia, non può essere sottovalutato l’effetto che le risposte alle FAQ producono sui destinatari, a partire dall’affidamento nei confronti di chi (l’amministrazione) fornisce le risposte. In definitiva, le risposte alle FAQ, pur nella loro atipicità, si pongono a metà strada tra le disposizioni di carattere normativo, per loro natura (almeno di regola) generali e astratte e inidonee quindi a prevedere ogni loro possibile applicazione concreta, e il singolo esercizio della funzione amministrativa da parte di una pubblica amministrazione.
Essenziali criteri di affidamento del cittadino nella pubblica amministrazione richiedono tuttavia di tenere conto dell’attività svolta dall’amministrazione stessa con la pubblicazione delle FAQ sul proprio sito istituzionale.
Fatta questa premessa, si può agevolmente riconoscere che vale per le risposte alle FAQ quanto enucleato dal Consiglio di Stato con riferimento alle gare di appalto: “chiarimenti in ordine alla valenza di alcune clausole della lex di gara dal significato poco chiaro, essendo forniti dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle offerte, non costituiscono un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis".
Per quanto non vincolanti, le FAQ orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent.
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Pur non avendo carattere vincolante, le risposte date dall’amministrazione contribuiscono senz’altro a fornire un’utile indicazione di carattere applicativo in ordine alla ratio sottesa alle procedure e agli atti in corso di esame.
Una volta suggerita, attraverso le FAQ, la ratio propria dell’avviso pubblico, all’amministrazione è consentito discostarsi dalle indicazioni già fornite esclusivamente se è in grado di addurre, in un momento successivo, elementi sostanzialmente decisivi e necessariamente soggetti a uno scrutinio particolarmente severo, anche da parte del giudice, affinché sia evitato il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta, con il diverso orientamento amministrativo sopravvenuto, in arbitrio o comunque leda l’affidamento creato nei destinatari delle disposizioni.
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In linea generale, occorre prendere atto del sempre maggiore ricorso da parte delle pubbliche amministrazioni alle Frequently Asked Questions (FAQ), già note, in precedenza, nell’ambito dell’e-commerce e dei servizi sul web. Si tratta di una serie di risposte alle domande che sono state poste (o potrebbero essere poste) più frequentemente dagli utilizzatori di un certo servizio.
In tal modo viene data risposta pubblica, su un sito web, a interrogativi ricorrenti, sì da chiarire erga omnes e pubblicamente le questioni poste con maggiore frequenza. Il ricorso alle FAQ, evidentemente, è normalmente da ricondurre a esigenze di trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione e di economicità della medesima.
Sotto questo secondo aspetto, il carattere ricorrente di taluni temi o interrogativi induce il titolare del sito (in questo caso: l’amministrazione) a soddisfare in via preventiva le esigenze di chiarimento dei destinatari principali dell’attività. Nello stesso periodo contrassegnato dalle limitazioni dovute alla diffusione del COVID 19, le risposte alle FAQ da parte della pubblica amministrazione hanno conosciuto un rilievo e una notorietà in precedenza sconosciute, con l’obiettivo di offrire elementi di chiarezza ai fini interpretativi e applicativi di disposizioni che si potevano, in astratto, prestare a diversi esiti finali.
Tuttavia, non si può neppure dimenticare che le FAQ sono sconosciute all’ordinamento giuridico, in particolare all’art. 1 delle preleggi al codice civile. Esse svolgono una funzione eminentemente pratica né, in genere, indicano elementi utili circa la loro elaborazione, la procedura o i soggetti che ne sono i curatori o i responsabili. Non sono pubblicate a conclusione di un procedimento predefinito dalla legge. E’ quindi da escludere che le risposte alle FAQ possano essere assimilate a una fonte del diritto, né primaria, né secondaria. Neppure possono essere considerate affini alle circolari, dal momento che non costituiscono un obbligo interno per gli organi amministrativi.
In difetto dei necessari presupposti legali, esse non possono costituire neppure atti di interpretazione autentica.
Tuttavia, non può essere sottovalutato l’effetto che le risposte alle FAQ producono sui destinatari, a partire dall’affidamento nei confronti di chi (l’amministrazione) fornisce le risposte. In definitiva, le risposte alle FAQ, pur nella loro atipicità, si pongono a metà strada tra le disposizioni di carattere normativo, per loro natura (almeno di regola) generali e astratte e inidonee quindi a prevedere ogni loro possibile applicazione concreta, e il singolo esercizio della funzione amministrativa da parte di una pubblica amministrazione.
Essenziali criteri di affidamento del cittadino nella pubblica amministrazione richiedono tuttavia di tenere conto dell’attività svolta dall’amministrazione stessa con la pubblicazione delle FAQ sul proprio sito istituzionale.
Fatta questa premessa, si può agevolmente riconoscere che vale per le risposte alle FAQ quanto enucleato dal Consiglio di Stato con riferimento alle gare di appalto: “chiarimenti in ordine alla valenza di alcune clausole della lex di gara dal significato poco chiaro, essendo forniti dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle offerte, non costituiscono un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta d'interpretazione autentica, con cui l'Amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21.01.2013, n. 341; Sez. III, n. 290/2014).
Per quanto non vincolanti, le FAQ orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent.
Questa stessa Sezione, nel parere n. 971/2020, ha evidenziato che il riferimento operato dalla parte ricorrente a una determinata FAQ non risultava conferente, siccome tale FAQ riguardava un caso diverso. Se ne trae, al contrario, il principio –condiviso dal Collegio- che, ove conferenti, avrebbe dovuto essere riconosciuto rilievo alla FAQ in questione.
Nel caso di specie, oggetto dell’odierno ricorso, non può essere neppure revocata in dubbio l’attinenza e l’identità di fattispecie della FAQ rispetto a quella in esame.
In definitiva, pur non avendo carattere vincolante, le risposte date dall’amministrazione contribuiscono senz’altro a fornire un’utile indicazione di carattere applicativo in ordine alla ratio sottesa alle procedure e agli atti in corso di esame (v. Sez. I, n. 6812/2020).
Una volta suggerita, attraverso le FAQ, la ratio propria dell’avviso pubblico, all’amministrazione è consentito discostarsi dalle indicazioni già fornite esclusivamente se è in grado di addurre, in un momento successivo, elementi sostanzialmente decisivi e necessariamente soggetti a uno scrutinio particolarmente severo, anche da parte del giudice, affinché sia evitato il rischio che la discrezionalità amministrativa si converta, con il diverso orientamento amministrativo sopravvenuto, in arbitrio o comunque leda l’affidamento creato nei destinatari delle disposizioni.
Nel caso oggetto del ricorso in esame, gli elementi addotti dall’amministrazione non sono in grado di superare tale scrutinio.
A fronte di una formulazione non felice e non univoca del bando e in assenza di espressi divieti, poi invece introdotti dalla Commissione, le indicazioni contenute nelle FAQ hanno senza dubbio indirizzato la condotta del ricorrente, cui non potevano essere imputate le carenze della domanda presentata, rappresentate dall’amministrazione a seguito delle determinazioni della Commissione che, tra l’altro, è stata nominata dopo la scadenza del termine per la presentazione delle domande e ha enucleato in un momento successivo criteri diversi che, come si è visto, non trovavano puntuale corrispondenza nell’avviso pubblico e nell’interpretazione già suggerita dall’amministrazione.
8. Ne deriva, conclusivamente, che, per le ragioni esposte, il ricorso va accolto, con assorbimento della domanda cautelare (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 20.07.2021 n. 1275 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso agli atti, stressare gli impiegati è reato solo se c'è paralisi degli uffici.
Il diritto d'accesso ai documenti amministrativi è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse. Attese le sue finalità di pubblico valore costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e assicurare l'imparzialità e la trasparenza della Pa. Quest'ultima deve accertare la sussistenza di un motivato interesse alla richiesta; e in caso di riscontro positivo ha il dovere di adottare le misure organizzative più idonee a garantire la piena soddisfazione del diritto in argomento. Ma abusare del «diritto a sapere» può costituire reato qualora la costante pressione del cittadino alteri la regolarità degli uffici, stressati da richieste ripetitive e cavillose.

Secondo la Corte di Cassazione (Sez. VI penale, sentenza 01.07.2021 n. 25296) solo se sia accertato che le sollecitazioni incalzanti abbiano comportato il serio "turbamento" nella gestione dell'ente può configurarsi reato di interruzione di pubblico servizio; altrimenti vale la regola per cui l'esercizio di un diritto, sebbene assillante, esclude la punibilità del «cittadino curioso».
L'interesse all'accesso
Presupposto necessario per configurare il reato di interruzione di servizio pubblico è che le richieste di accesso ai documenti dell'ente non siano sorrette da alcun interesse concreto; o pur sorrette da un interesse siano esercitate sempre per gli stessi atti senza semmai adire l'autorità competente a decidere sui dinieghi opposti.
Dà vita al reato in parola ogni condotta che determini un effettivo congestionamento anche solo temporaneo ma notevole delle procedure in cura all'ufficio coinvolto. Il reato non è invece configurabile quando il servizio nel suo complesso continui a funzionare adempiendo agli scopi ai quali è stato preordinato.
La strumentalizzazione del diritto a sapere
L'esercizio del diritto d'accesso anche quando esercitato con plurime richieste non integra l'elemento oggettivo del reato di interruzione di pubblico servizio se non sia dimostrato il nesso di causalità fra le molteplici richieste e lo scompiglio o il grave intoppo alle attività amministrative.
Manca pure l'elemento soggettivo se non sia accertata la coscienza e volontà del privato di "strumentalizzare" il diritto d'accesso per ingarbugliare il regolare funzionamento delle procedure burocratiche; compiendo azioni che solitamente sono lecite tuttavia accettando che possano "deviare" in un illecito penale.
E si badi -evidenzia la Corte Suprema– in tali casi non va confuso il normale smarrimento psicologico degli impiegati derivante dalle difficoltà, magari incolpevoli, di fronteggiare le insistenti richieste di un utente, con l'oggettivo scombussolamento dell'ufficio se non addirittura col suo palese blocco (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 22.07.2021).

ATTI AMMINISTRATIVI: Troppe richieste di accesso agli atti del Comune non comportano interruzione di pubblico del servizio.
L'esercizio legittimo del diritto d'accesso agli atti non integra, anche quando esercitato con plurime richieste, l'elemento oggettivo del reato di turbamento dell'attività del pubblico ufficio.

La Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con la sentenza 01.07.2021 n. 25296, ha respinto il ricorso delle parti civili, compreso il Comune, nei confronti di un cittadino "colpevole" di aver fatto eccessive richieste di accessi agli atti amministrativi.
Il procedimento penale
La Corte di appello con sentenza del novembre 2019 aveva assolto un cittadino dal reato contestatogli per avere turbato con condotte intimidatorie la regolarità dei servizi di un Comune con continue e immotivate richieste di accesso agli atti così da impegnare totalmente (dal luglio del 2011 al gennaio del 2014) i servizi tecnici e legali a copiare gli atti per rispondere ai quesiti dal cittadino stesso, posti per svariate pratiche edilizie.
La sentenza della Cassazione
Secondo la Cassazione in questo contesto, non può trascurarsi che il diritto all'accesso ai documenti amministrativi (mediante esame o estrazione di copie) è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse e «attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza» (articolo 22, comma 2, della legge n. 241 del 1990). La Pa deve accertare la sussistenza di un motivato interesse alla richiesta e ha l'obbligo di adottare le misure organizzative idonee a garantire l'esercizio del diritto previsto dalla norma.
Solo se sia accertato che la mancanza di un motivato interesse e le continue richieste di accesso e di copia dei più disparati documenti abbiano comportato alterazione nella regolarità dell'ufficio può configurarsi il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico (articolo 340 del codice penale), diversamente vale il principio secondo cui «l'esercizio di un diritto (...) esclude la punibilità» (articolo 51, comma 1, del codice penale).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha rilevato che dai contenuti delle testimonianze acquisite si ricava che:
   a) l'imputato (che agì rappresentando soggetti che avevano interessi specifici in relazione alle situazioni oggetto delle istanze e che esercitavano il diritto riconosciuto dall'articolo 22 della legge 241/1990) si è sempre comportato educatamente, ha rispettato i protocolli -senza pretendere trattamenti di favore o risposte prima dello scadere dei termini fissati dalla legge- e non ha formulato istanze pretestuose o richiesto atti inesistenti;
   b) l'ufficio comunale non è mai stato costretto a chiudere a causa della condotta del cittadino, né, in conseguenza dei colloqui fra gli impiegati e l'imputato si sono mai formate code tali da congestionare l'uffici impedendone il normale funzionamento (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 12.07.2021).
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SENTENZA
1. Secondo l'imputazione, la condotta di Ma.Gr. avrebbe turbato, mediante plurime richieste di accesso agli atti amministrativi formulate esercitando il diritto previsto dall'art. 22 legge n. 241 del 07.08.1990, la regolarità dei servizi del Comune di Barberino Val d'Elsa.
In questo contesto, non può trascurarsi che
il diritto all'accesso ai documenti amministrativi (mediante esame o estrazione di copie) è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse e «attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza» (art. 22, comma 2, legge n. 241 del 1990).
Ne deriva che la pubblica amministrazione deve accertare la sussistenza di un motivato interesse alla richiesta e, in caso di accertamento positivo (da ritenersi implicito una volta che sia stato consentito l'accesso), ha l'obbligo di adottare le misure organizzative idonee a garantire l'esercizio del diritto previsto dalla norma.
Solo se sia accertato che la mancanza di un motivato interesse e le continue richieste di accesso e di copia dei più disparati documenti abbiano comportato alterazione nella regolarità dell'ufficio può configurarsi il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico ex art. 340 cod. pen.
(Sez. 6, n. 13451 del 12/10/2000, Castagna, Rv. 217634), diversamente vale il principio secondo cui «l'esercizio di un diritto (...) esclude la punibilità» (art. 51, comma 1, cod. pen.).
L'art. 24, comma 1, legge 241 del 1990 prevede «Il diritto di accesso si esercita (...) nei modi e nei limiti indicati dalla presente legge» e che, in caso di diniego dell'accesso, il richiedente non esercita il suo diritto reiterando la richiesta ma presentando ricorso al tribunale amministrativo regionale (art. 24, commi 4 e 5, legge n. 241 del 1990).
In altri termini, presupposto necessario per configurare il reato ex art. 340 cod. pen. è che le richieste di accesso ex. art. 22 l. 241/1990, non siano sorrette da alcun interesse o, pur sorrette da un interesse, siano esercitate sempre per gli stessi atti senza adire l'autorità competente a decidere, secondo le norme regolatrici della materia, sui dinieghi opposti.

2. Il Tribunale non ha negato la legittimità delle richieste di accesso avanzate da Gr. ma ha ritenuto che l'imputato abbia volontariamente provocato un turbamento nella regolarità dei servizi del Comune con richieste caratterizzate da anomala frequenza e intensità, spesso senza effettiva motivazione, così compiendo un "abuso" nell'esercizio del diritto pur riconosciuto dall'art. 22 legge n. 241 del 07.08.1990.
Nella sentenza di primo grado sono indicate: la denuncia e le 16 segnalazioni presentate da Gr. al Comune tra il 19 luglio e il 20.08.2011 (vicenda della Et.), in relazione alle quali il responsabile dell'area tecnica successivamente annullò d'ufficio la attestazioni di conformità della quale Gr. aveva denunciato l'illegittimità (p. 3-6); la denuncia presentata da Gr. in relazione al piazzale di parcheggio in località Chiano, con accuse all'architetto Ma. (all'epoca responsabile dell'unità operativa e urbanistica del Comune) e le attività di indagine che ne seguirono, in relazione alle quali il Tribunale amministrativo regionale "disattese un parere espresso dall'architetto" (pp .6-7).
Inoltre, si rileva (p.7) che aspetti simili a quelli che hanno caratterizzato le due vicende ricordate «si rinvengono nella vicenda ATOP e nella pratica La To.», delle quali, però nulla si riporta circa le specifiche condotte dell'imputato e i loro effetti sull'andamento dei servizi comunali Inoltre, la sentenza di primo grado contiene anche una digressione sul concetto di "abuso di diritto" (pp. 8-11) e opina che esso possa applicarsi nel diritto penale come limite alla causa di giustificazione dell'esercizio del diritto prevista dall'art. 51 cod. pen.
Conclude ritenendo che vi sia stato un "turbamento" dell'attività dell'ufficio perché alcuni testi hanno ricordato difficoltà materiali a rispondere alle istanze di altri utenti (sino a chiudere l'ufficio per valutare come rispondere a Gr.) e che la complessità delle questioni provocò uno stato d'ansia nei dipendenti del Comune (pp. 11-12). Assume -senza chiarire su quali basi- che il vero scopo di Gr. fosse di tipo ostruzionistico, ma non precisa rispetto a che cosa.
Per altro verso, il Tribunale ha assolto l'imputato dal reato di calunnia continuata (capo B), ritenendo non provato l'elemento soggettivo del reato e dando atto della dovizia di particolari contenuti nelle sue 38 denunce penali (non riguardanti le vicende oggetto delle condotte di cui al capo A).
3. Il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado ha l'obbligo di fornire, con una motivazione puntuale e adeguata, una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata.
Il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio vale nel caso della pronuncia di una sentenza di condanna ex art. 533 cod. proc. pen., mentre dall'art. 530 cod. proc. pen., che disciplina la decisione assolutoria, emerge un criterio di giudizio opposto: è la condanna che deve intervenire al di là di ogni ragionevole dubbio, non —invece— l'assoluzione, possibile anche ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
Ne deriva, che —mentre quando riforma la sentenza di assoluzione, il giudice d'appello deve argomentare circa la ricostruzione che approva la ipotesi accusatoria come l'unica al di là di ogni ragionevole dubbio— nel caso di riforma della sentenza di condanna il giudice d'appello può limitarsi a giustificare ricostruzioni alternative del fatto che siano plausibili e ancorate alle risultanze processuali, confutando in modo specifico e completo i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza e dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musunneci, Rv. 191229).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha rilevato (p. 8) che dai contenuti delle testimonianze acquisite si ricava che:
   a) l'imputato (che agì rappresentando soggetti che avevano interessi specifici in relazione alle situazioni oggetto delle istanze e che esercitavano il diritto riconosciuto dall'art. 22 legge n. 241/1990) si è sempre comportato educatamente, ha rispettato i protocolli -senza pretendere trattamenti di favore o risposte prima dello scadere dei termini fissati dalla legge- e non ha formulato istanze pretestuose o richiesto atti inesistenti;
   b) l'ufficio comunale non è mai stato costretto a chiudere a causa della condotta di Gr., né, in conseguenza dei colloqui fra gli impiegati e l'imputato si sono mai formate code tali da congestionare l'uffici impedendone il normale funzionamento.
Inoltre, ha osservato che non è provato che il difficoltoso funzionamento dell'ufficio sia stato causato dalle istanze di Gr. e ha considerato che le attività che ne sono derivate non possono ritenersi un "turbamento" dell'ufficio o del servizio solo per i loro contenuti complessi, perché non possono attribuirsi a responsabilità dell'utente le eventuali problematiche di organico altre difficoltà dell'ufficio a provvede nei tempi richiesti (pp. 8-9).
La valutazione della Corte di appello risulta corretta perché
la mancata o insoddisfacente organizzazione dell'attività di un servizio pubblico non può condurre a configurare l'elemento oggettivo del reato ex art. 340 cod. pen. perché la norma sanziona esclusivamente la volontaria alterazione, anche temporanea, del funzionamento di tale servizio, incidente sulla sua complessiva regolarità (Sez. 6, n. 4908 del 06/11/2018, dep. 31.01.2019, Gallucci, Rv. 274933).
In altri termini, occorre che sia dimostrata che il privato fosse consapevole che il proprio comportamento potesse determinare l'interruzione o il turbamento del pubblico ufficio o servizio, accettando il relativo rischio (Sez. 6, n. 39219 del 09/04/2013, Trippitelli, Rv. 257081; Sez. 6, n. 8996 del 11/02/2010, Notarpietro, Rv. 246411).
4.
Costituisce interruzione di ufficio o di pubblico servizio ogni condotta che determini una qualunque temporanea alterazione, oggettivamente apprezzabile, della regolarità dell'ufficio o del servizio, anche se coinvolgente un settore e non la totalità delle attività (Sez. 6, n. 1334 del 12/12/2018, dep. 11.01.2019, Carannante, Rv. 274836; Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017, dep. 17.01.2018, Andriulo, Rv. 272321; Sez. 6, n. 19676 del 16/04/2014, Musolino, Rv. 259768), il che particolarmente vale quando il settore si inserisce in un ufficio di non grandi dimensioni (Sez. 6 n. 6412 del 02.02.2016, dep. 17.02.2016, Caminiti, non mass.).
Tuttavia, il reato ex art. 340 cod. pen. non è configurabile se il servizio pubblico nel suo complesso continua a funzionare regolarmente adempiendo allo scopo per il quale è stato predisposto (Sez. 6, n. 9422 del 17/02/2016, dep. 07.03.2016, non mass.).
Vale il principio di diritto secondo cui
l'esercizio legittimo del diritto d'accesso previsto dagli art. 22 e ss. legge n. 241/1990 non integra, anche quando esercitato con plurime richieste, l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 340 cod. pen., se non è dimostrato il nesso di causalità fra le plurime richieste e il turbamento dell'attività del pubblico ufficio o servizio, né l'elemento soggettivo, se non sia accertata la coscienza e volontà, anche nella forma del dolo eventuale, del privato di strumentalizzare il diritto d'accesso per turbare il regolare funzionamento delle attività contemplate dall'art. 340 cod. pen.
Invece, il Tribunale ha erroneamente confuso il turbamento psicologico degli impiegati di un ufficio pubblico derivante dalla difficoltà, magari incolpevole, a fronteggiare le richieste di un utente, con l'oggettivo turbamento della regolarità del servizio causato da una volontaria alterazione, anche temporanea, del funzionamento di tale servizio, incidente sulla sua complessiva attività (Sez. 6, n. 4908 del 06/11/2018, dep. 2019, Gallucci, Rv. 274933) (Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 01.07.2021 n. 25296).

ATTI AMMINISTRATIVI: PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Plurime richieste di accesso agli atti amministrativi – Turbamento psicologico degli impiegati di un ufficio pubblico – Interruzione di pubblico servizio causato da un legittimo del diritto d’accesso agli atti – Esclusione – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Accesso agli atti atti – Art. 22, 24, L. n. 241/1990 e ss.mm. – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Pratiche edilizie – Diritto all’accesso ai documenti amministrativi (mediante esame o estrazione di copie) – Difficoltà nel funzionamento dell’ufficio pubblico – Interruzione di pubblico servizio ex art. 340 cod. pen. – Esclusione.
L’esercizio legittimo del diritto d’accesso previsto dagli art. 22 e ss. legge n. 241/1990 non integra, anche quando esercitato con plurime richieste, l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 340 cod. pen., se non è dimostrato il nesso di causalità fra le plurime richieste e il turbamento dell’attività del pubblico ufficio o servizio, né l’elemento soggettivo, se non sia accertata la coscienza e volontà, anche nella forma del dolo eventuale, del privato di strumentalizzare il diritto d’accesso per turbare il regolare funzionamento delle attività contemplate dall’art. 340 cod. pen..
A nulla rileva il turbamento psicologico degli impiegati di un ufficio pubblico derivante dalla difficoltà, magari incolpevole, a fronteggiare le richieste di un utente, con l’oggettivo turbamento della regolarità del servizio causato da una volontaria alterazione, anche temporanea, del funzionamento di tale servizio, incidente sulla sua complessiva attività.

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Diritto all’accesso ai documenti amministrativi – Garanzia di partecipazione e imparzialità e trasparenza della P.A. – Presupposti – Limiti alla configurabilità del reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico.
Il diritto all’accesso ai documenti amministrativi (mediante esame o estrazione di copie) è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse e «attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza» (art. 22, comma 2, legge n. 241 del 1990).
Ne deriva che la pubblica amministrazione deve accertare la sussistenza di un motivato interesse alla richiesta e, in caso di accertamento positivo (da ritenersi implicito una volta che sia stato consentito l’accesso), ha l’obbligo di adottare le misure organizzative idonee a garantire l’esercizio del diritto previsto dalla norma.
Solo se sia accertato che la mancanza di un motivato interesse e le continue richieste di accesso e di copia dei più disparati documenti abbiano comportato alterazione nella regolarità dell’ufficio può configurarsi il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico ex art. 340 cod. pen., diversamente vale il principio secondo cui «l’esercizio di un diritto (…) esclude la punibilità» (art. 51, comma 1, cod. pen.).

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DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Turbamento nella regolarità dei servizi del Comune con richieste caratterizzate da anomala frequenza e intensità – Configurabilità dell’interruzione di ufficio o di pubblico servizio – Limiti – Valutazione della condotta – L’esercizio legittimo di un diritto non può mai essere punito come reato – Art. 51, c. 1, cod. pen. – Fattispecie.
Costituisce interruzione di ufficio o di pubblico servizio ogni condotta che determini una qualunque temporanea alterazione, oggettivamente apprezzabile, della regolarità dell’ufficio o del servizio, anche se coinvolgente un settore e non la totalità delle attività il che particolarmente vale quando il settore si inserisce in un ufficio di non grandi dimensioni.
Tuttavia, il reato ex art. 340 cod. pen. non è configurabile se il servizio pubblico nel suo complesso continua a funzionare regolarmente adempiendo allo scopo per il quale è stato predisposto.
Inoltre, la mancata o insoddisfacente organizzazione dell’attività di un servizio pubblico non può condurre a configurare l’elemento oggettivo del reato ex art. 340 cod. pen. perché la norma sanziona esclusivamente la volontaria alterazione, anche temporanea, del funzionamento di tale servizio, incidente sulla sua complessiva regolarità. In altri termini, occorre che sia dimostrata che il privato fosse consapevole che il proprio comportamento potesse determinare l’interruzione o il turbamento del pubblico ufficio o servizio, accettando il relativo rischio.
Fattispecie: continue richieste di accesso agli atti così da impegnare totalmente i servizi tecnici e legali a copiare gli atti per rispondere ai quesiti da lui posti circa svariate pratiche edilizie, in sintesi l’esercizio legittimo di un diritto non può mai configurasi come reato
(Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 01.07.2021 n. 25296 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - PATRIMONIO: E' illegittima l'ordinanza sindacale di sgombero di un'area comunale, abusivamente occupata nonché recintata, poiché viziata da incompetenza.
Il ricorso, che ha ad oggetto un’ordinanza di sgombero di un’area comunale occupata abusivamente dal ricorrente, va accolto, in quanto è fondato l’assorbente motivo dell’incompetenza del Sindaco, trattandosi di atto gestionale.
Invero, come noto, la ripartizione delle competenze amministrative tra gli organi politici e quelli burocratici va effettuata in base al principio generale di distinzione fra atti di gestione e atti d’indirizzo, che trova riscontro non solo nell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 18.08.2000, ma altresì, in termini generali, nell’art. 4 del d.lgs. n. 165 del 30.03.2001, il quale comporta che tutta l’attività gestionale rientra, unitamente alle scelte che le sono inerenti, nella sfera delle competenze dirigenziali, e non in quella degli organi politici.
Nella specie viene in considerazione un’ordinanza di sgombero di un’area abusivamente occupata, la quale rientra nella competenza dirigenziale, senza che a diversa conclusione possa addivenirsi sulla base del mero richiamo fatto dal Sindaco al comma 4-bis dell’art. 54 del TUELL, che presuppone e non fonda il potere di adozione dell’atto, che nella specie, come detto, è mancante.

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... per l’annullamento:
   - dell’ordinanza sindacale n. 13 del 23.04.2020, notificata il giorno 23 successivo, con la quale il Sindaco ha ordinato “lo sgombero per il rilascio immediato dell’area di proprietà del Comune di Cattolica Eraclea, ricadente sulle Via Filippo Turati - Arciprete Sebastiano Gentile, con la relativa bonifica e ripristino dello stato dei luoghi”;
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Con ricorso, notificato il 20.06.2020 e depositato il 16 luglio successivo, il signor Mi.Fa. ha chiesto l’annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, dell’ordinanza n. 13 del 23.04.2020, con cui il Sindaco del Comune di Cattolica Eraclea gli ha intimato di sgomberare l’area ivi indicata, in quanto di proprietà pubblica e dallo stesso abusivamente occupata, nonché recintata, per i seguenti motivi:
   1) Violazione degli artt. 7 e 10-bis della l. n. 241 del 1990.
   2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del TUELL. Difetto dei presupposti e della motivazione. Sviamento e incompetenza.
   3) Eccesso di potere sotto i profili: della carenza di motivazione; del difetto di motivazione; della violazione del principio del legittimo affidamento.
Si è costituito in giudizio il Comune di Cattolica Eraclea che ha depositato una memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, poiché infondato, vinte le spese.
...
Il ricorso, che ha ad oggetto un’ordinanza di sgombero di un’area comunale occupata abusivamente dal ricorrente, va accolto, in quanto è fondato l’assorbente motivo dell’incompetenza del Sindaco, trattandosi di atto gestionale.
Invero, come noto, la ripartizione delle competenze amministrative tra gli organi politici e quelli burocratici va effettuata in base al principio generale di distinzione fra atti di gestione e atti d’indirizzo, che trova riscontro non solo nell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 18.08.2000, ma altresì, in termini generali, nell’art. 4 del d.lgs. n. 165 del 30.03.2001, il quale comporta che tutta l’attività gestionale rientra, unitamente alle scelte che le sono inerenti, nella sfera delle competenze dirigenziali, e non in quella degli organi politici (in termini CGA, sez. giur., 17.06.2016, n. 173).
Nella specie viene in considerazione un’ordinanza di sgombero di un’area abusivamente occupata, la quale rientra nella competenza dirigenziale, senza che a diversa conclusione possa addivenirsi sulla base del mero richiamo fatto dal Sindaco di Cattolica Eraclea al comma 4-bis dell’art. 54 del TUELL, che presuppone e non fonda il potere di adozione dell’atto, che nella specie, come detto, è mancante.
Tale considerazione era già stata fatta negli stessi termini nell’ordinanza cautelare di accoglimento, nella quale si era, altresì, fatto esplicito riferimento alla circostanza che “rimaneva impregiudicato il potere/dovere del Comune di riadottare l’atto, ove ritenga accertata, alla stregua della convenzione relativa al piano di lottizzazione, l’occupazione di un’area pubblica, mediante ordinanza dirigenziale” (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 01.07.2021 n. 2134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2021

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: La domanda di risarcimento per contatto sociale qualificato o per responsabilità extracontrattuale, genericamente introdotta dal ricorrente, va qualificata più correttamente come risarcimento per responsabilità precontrattuale, configurabile nel caso in cui, pur a fronte di un atto legittimo, la condotta dell’amministrazione non sia improntata a correttezza e buona fede e ciò cagioni un pregiudizio al privato interessato.
La domanda va peraltro respinta in quanto del tutto indeterminata nella causa petendi, negli elementi costitutivi e nella quantificazione delle poste di danno, mai precisati in corso di causa.
Il principio generale dell’onere della prova previsto dall’articolo 2697 del codice civile si applica infatti anche all’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione “con la conseguenza che spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi, in particolare, quella della presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della Pubblica Amministrazione all'evento dannoso, e quella dell’effettività del danno di cui si invoca il ristoro, con la conseguenza che, ove la domanda di risarcimento manchi della necessaria prova, la stessa deve essere respinta”.
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13. Ciò comporta la reiezione della domanda di risarcimento fondata sull’illegittimità dell’atto impugnato.
Parimenti va respinta la domanda di risarcimento per contatto sociale qualificato o per responsabilità extracontrattuale, genericamente introdotta dal ricorrente nel ricorso e poi, diversamente da quanto ivi anticipato, non ulteriormente specificata.
Va evidenziato in primo luogo che la domanda azionata va qualificata più correttamente come risarcimento per responsabilità precontrattuale, configurabile nel caso in cui, pur a fronte di un atto legittimo, la condotta dell’amministrazione non sia improntata a correttezza e buona fede e ciò cagioni un pregiudizio al privato interessato.
La domanda va peraltro respinta in quanto del tutto indeterminata nella causa petendi, negli elementi costitutivi e nella quantificazione delle poste di danno, mai precisati in corso di causa.
Il principio generale dell’onere della prova previsto dall’articolo 2697 del codice civile si applica infatti anche all’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione “con la conseguenza che spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi, in particolare, quella della presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della Pubblica Amministrazione all'evento dannoso, e quella dell’effettività del danno di cui si invoca il ristoro, con la conseguenza che, ove la domanda di risarcimento manchi della necessaria prova, la stessa deve essere respinta.” (C.G.A.R. Sicilia, 15.10.2029, n. 914).
14. In conclusione il gravame deve essere respinto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.06.2021 n. 603 - link a www.giuatizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Le circolari interpretative di disposizioni di legge sono, in linea di principio, atti interni finalizzati a indirizzare uniformemente l’azione degli organi amministrativi.
Si tratta, perciò, di atti privi “(...) di rilevanza nell’ordinamento giuridico generale se non in via mediata ed indiretta sotto il profilo dell’obbligo dei destinatari di tali norme di conformarsi ad esse e darne esecuzione (fatta salva la possibilità per il pubblico dipendente di non ottemperare all’ordine illegittimo), e dell’illegittimità, sub specie di eccesso di potere, dell’atto amministrativo esterno contrastante con una norma interna”.
Tuttavia, talora, circolari pur formalmente dirette agli organi periferici dell’amministrazione che le ha emanate, possano presentare una “indubbia rilevanza esterna”, che le rende impugnabili congiuntamente all’atto applicativo.
La giurisprudenza ha precisato che, laddove la circolare sia diretta nei confronti di un organo che non possa disattenderla, ma sia vincolato necessariamente alla sua applicazione (nella specie ci si riferiva al caso delle circolari del Ministero dell’interno che recavano istruzioni impartite agli ufficiali dello stato civile) la circolare non presenta una rilevanza meramente interna e una portata soltanto interpretativa, bensì consista in un atto dotato di effetti esterni nei confronti dei terzi e, come tale, suscettibile di impugnazione da parte dei soggetti che se ne assumano lesi.
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II – Osserva il Collegio, in via preliminare, quanto all’ammissibilità del gravame ed all’appello incidentale dell’Amministrazione, devono svolgersi le seguenti considerazioni.
Seppure secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, le circolari interpretative di disposizioni di legge sono, in linea di principio, atti interni finalizzati a indirizzare uniformemente l’azione degli organi amministrativi.
Si tratta, perciò, di atti privi “(...) di rilevanza nell’ordinamento giuridico generale se non in via mediata ed indiretta sotto il profilo dell’obbligo dei destinatari di tali norme di conformarsi ad esse e darne esecuzione (fatta salva la possibilità per il pubblico dipendente di non ottemperare all’ordine illegittimo), e dell’illegittimità, sub specie di eccesso di potere, dell’atto amministrativo esterno contrastante con una norma interna” (Cons. Stato, Sez. IV, 04.12.2017, n. 5664, Cons. Stato, Sez. IV, 28.01.2016, n. 310; così ancora Cons. Stato, n. 310 del 2016, cit.; nello stesso senso anche Cons. Stato, Sez. IV, 17.04.2018, n. 2284), va rilevato che con la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 19 del 2011 si è affermato che, talora, circolari pur formalmente dirette agli organi periferici dell’amministrazione che le ha emanate, possano presentare una “indubbia rilevanza esterna”, che le rende impugnabili congiuntamente all’atto applicativo.
Ancora, appare utile, per il caso che occupa, evidenziare che la giurisprudenza della Sezione (26.10.2016, n. 4478) ha precisato che, laddove la circolare sia diretta nei confronti di un organo che non possa disattenderla, ma sia vincolato necessariamente alla sua applicazione (nella specie ci si riferiva al caso delle circolari del Ministero dell’interno che recavano istruzioni impartite agli ufficiali dello stato civile) la circolare non presenta una rilevanza meramente interna e una portata soltanto interpretativa, bensì consista in un atto dotato di effetti esterni nei confronti dei terzi e, come tale, suscettibile di impugnazione da parte dei soggetti che se ne assumano lesi (in terminis, da ultimo Tar Lazio, sez. II, sentenza 12.04.2019, n. 4816, riformata ma non sotto il profilo d’interesse dell’ammissibilità del gravame) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 18.06.2021 n. 4732 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOLa presentazione di denunce, come anche le pubbliche accuse di scorretta amministrazione dell’urbanistica comunale, non possono essere considerate motivo di astensione obbligatoria del funzionario.
Per opinione consolidata, infatti, il conflitto d’interessi, rilevante ai sensi dell’art. 6-bis l. 241/1990, coincide con le ipotesi d’incompatibilità di cui all’art. 51 cod. proc. civ., che rivestono carattere tassativo e sfuggono, di conseguenza, a ogni tentativo di manipolazione analogica.
Pertanto, la presentazione di denuncia in sede penale non costituisce causa di legittima ricusazione perché inidonea a creare una situazione di causa pendente –per la natura oggettiva della giurisdizione penale– o di grave inimicizia –che deve essere reciproca, trovare fondamento esclusivamente in rapporti personali ed estrinsecarsi in documentate e inequivocabili circostanze di conflittualità.

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(III) Con il terzo motivo, i ricorrenti hanno dedotto che il responsabile del procedimento avrebbe dovuto astenersi per incompatibilità (art. 6-bis l. 241/1990), in quanto destinatario –assieme ad altri funzionari del Comune– di una serie di denunce penali presentate da Il.Ma. nel 2020 nonché di pubbliche lamentele effettuate da quest’ultimo in ordine all’illegittimità di alcune lottizzazioni.
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6. Nel merito, deve essere dapprima analizzato il terzo motivo di ricorso, stante la riconducibilità dell’incompatibilità del funzionario al vizio d’incompetenza. La fondatezza di tale motivo inibirebbe la valutazione delle restanti censure sostanziali, essendo impedito al giudice di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati (art. 34, comma 2, cod. proc. amm.), tali dovendosi considerare le valutazioni di spettanza dell’organo competente cui il procedimento dovrebbe essere assegnato in caso di annullamento dell’atto per incompetenza (per tutte, Cons. Stato, Ad. Plen., 27.04.2015, n. 5).
La relativa doglianza è infondata, giacché la presentazione di denunce, come anche le pubbliche accuse di scorretta amministrazione dell’urbanistica comunale, non possono essere considerate motivo di astensione obbligatoria del funzionario.
Per opinione consolidata, infatti, il conflitto d’interessi, rilevante ai sensi dell’art. 6-bis l. 241/1990, coincide con le ipotesi d’incompatibilità di cui all’art. 51 cod. proc. civ., che rivestono carattere tassativo e sfuggono, di conseguenza, a ogni tentativo di manipolazione analogica.
Pertanto, la presentazione di denuncia in sede penale non costituisce causa di legittima ricusazione perché inidonea a creare una situazione di causa pendente –per la natura oggettiva della giurisdizione penale– o di grave inimicizia –che deve essere reciproca, trovare fondamento esclusivamente in rapporti personali ed estrinsecarsi in documentate e inequivocabili circostanze di conflittualità (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 02.04.2014, n. 1577; TAR Ancona, Sez. I, 26.03.2019, n. 175) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.06.2021 n. 1152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2021

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: Mancata adozione di provvedimenti amministrativi necessari? La questione è di interessi legittimi.
Posto che la convenzione urbanistica non è suscettibile di produrre obblighi per la pubblica amministrazione, con i correlativi diritti soggettivi del privato, attraverso l'integrazione legale dell'accordo sostitutivo di provvedimento, per l'incompatibilità del principio di integrazione del contratto sulla base della buona fede con la norma attributiva del potere amministrativo, la controversia relativa alla mancata adozione di provvedimenti che abbia determinato la non eseguibilità della convenzione, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, è afferente ad interessi legittimi e non può essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto.
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Sul danno cagionato al privato decide il lodo arbitrale solo se c’è lesione dell’affidamento riposto nell’emanazione del provvedimento amministrativo.
Affinché si perfezioni la fattispecie di lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, e la relativa controversia in quanto concernente diritti soggettivi possa essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto, è necessario che sia identificabile un comportamento della pubblica amministrazione, differenziabile dalla mera inerzia o dalla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo, che abbia cagionato al privato un danno in modo indipendente da eventuali illegittimità di diritto pubblico, ovvero che abbia indotto il privato a non esperire gli strumenti previsti per la tutela dell'interesse legittimo pretensivo a causa del ragionevole affidamento riposto nell'emanazione del provvedimento non più adottato.
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Convenzioni urbanistiche, correttezza e buona fede nella fase civilistica.
Il presupposto di applicabilità dei principi del codice civile alla convenzione urbanistica è l’esaurimento del potere amministrativo con la stipulazione dell’accordo sostitutivo dando vita all’obbligazione di diritto civile, rispetto a cui la buona fede non è quella che l’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo menziona, quale forma del rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione unitamente alla collaborazione, e che corrisponde non alla regola di diritto civile, ma a un principio generale dell’ordinamento che ha la funzione, al pari della collaborazione, di modellare l’esercizio del potere fronteggiato dall’interesse legittimo (e di cui è espressione la previsione del «termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi» nell’art. 21-nonies per l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo, c.d. affidamento legittimo).
La correttezza che emerge con la lesione dell’affidamento è quella cui si correla una posizione di diritto soggettivo, mediante un comportamento, soggetto alla normativa civilistica di correttezza, corrispondente a quell’area in cui l’Amministrazione dismette i panni dell’autorità, o perché manchi una norma attributiva del potere, come nel caso del tempo del procedimento, o perché la stessa Amministrazione assuma una condotta che acquista rilevanza al di là del regime degli atti formali del procedimento amministrativo, entrando in un’area disciplinata dal diritto comune.
La lesione dell’affidamento, ovvero della libertà di autodeterminazione negoziale, quale danno evento, eventualmente in unione con contegni non formali dell’Amministrazione, introduce una distinzione già sul piano del fatto, ancor prima dell’effetto giuridico, rispetto alla fattispecie di violazione procedimentale.
Trattandosi della lesione dell’affidamento di natura civilistica, differenziata ed indipendente dalla violazione procedimentale, deve intervenire un quid pluris rispetto alla mera inerzia o alla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo, tale da integrare una fattispecie di diritto comune nella quale possa valutarsi, dal punto di vista della qualificazione giuridica, che l’Amministrazione abbia dismesso i panni dell’autorità che agisce sulla base di norme di azione per avere assunto dei comportamenti, formali ed informali, eccedenti il significato dell’esercizio fisiologico della funzione amministrativa, entrando così in una sfera suscettibile di essere apprezzata, alla luce della normativa di correttezza, alla stregua di un comune rapporto paritario
(massima tratta da www.sdanganelli.it).
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1. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia che con il lodo arbitrale sono stati decisi quesiti vertenti su questioni aventi natura di interesse legittimo e pertanto non compromettibili.
Osserva la parte ricorrente che era precluso al Collegio Arbitrale l'esame dei quesiti proposti con la domanda indicati con i numeri 2), 3), 4), 5), 6), 7), 8), 12), 16) e 19) e che, quanto al quesito n. 15), relativo alla decadenza dalla concessione del diritto di superficie, trattasi di atto amministrativo c.d. di autotutela vincolata, per il quale era stata dal lodo pronunciata l'illegittimità della decadenza nonostante la mancata impugnazione del relativo atto dirigenziale.
Aggiunge che alcun obbligo gravava sul Comune in ordine all'approvazione di una variante del PRU, trattandosi dell'esercizio di un potere pubblicistico, tale costituendo anche l'approvazione del progetto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione (comportante la dichiarazione di pubblica utilità), di cui nel quesito 4) viene lamentata l'omissione.
Osserva ancora che il quesito n. 5), avente ad oggetto l'omessa sottoscrizione del nuovo schema di convenzione approvato dal Consiglio comunale, in cui veniva riconosciuto il diritto di CO.CA. all'aggiornamento del prezzo, costituiva indebita ingerenza nelle valutazioni della PA e che, quanto al quesito n. 8) avente ad oggetto l'illegittimo accertamento di abusi edilizi, il giudice amministrativo aveva confermato la legittimità dei provvedimenti adottati.
Aggiunge inoltre che il Collegio Arbitrale era sguarnito di ogni competenza circa il quesito 14), avente ad oggetto la mancata realizzazione delle opere pubbliche previste dal PRU.
2.1 Il motivo è parzialmente fondato.
Con riferimento al quesito n. 14), pur reputato dagli arbitri relativo a diritti soggettivi, vi è carenza di interesse a ricorrere trattandosi di quesito rigettato dal lodo, come esposto nello stesso ricorso a pag. 14.
Va premesso che il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione (così da ultimo Cass. Sez. U. 26.10.2020, n. 23418; 30.10.2019, n. 27847).
E' risalente e costante l'affermazione che le convenzioni urbanistiche costituiscono accordi sostitutivi di provvedimento amministrativo ai sensi dell'art. 11 legge n. 241 del 1990 (Cass. Sez. U. 11.08.1997, n. 7452; 01.02.1999, n. 8; 17.01.2005, n. 732; 07.02.2002, n. 1763; 20.11.2007, n. 24009; 09.03.2012, n. 3689; 06.12.2012, n. 21912; 25.05.2007, n. 12186; 05.10.2016, n. 19914). La controversia relativa ad una convenzione urbanistica rientra in tal modo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2), cod. proc. amm.. Ai sensi tuttavia dell'art. 12 del medesimo codice le controversie concernenti diritti soggettivi, devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto.
Deve pertanto farsi una ricognizione dei quesiti posti con la domanda arbitrale, ed oggetto del motivo di ricorso, allo scopo di stabilire se si abbia ricorrenza di diritti soggettivi o interessi legittimi. Un preliminare criterio direttivo della ricognizione è quello della pertinenza del quesito alla questione dell'adempimento delle obbligazioni previste dalla convenzione, questione inerente, come è evidente, anche alla luce del richiamo ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti nel citato art. 11, alla materia dei diritti soggettivi.
Come affermato da Corte cost. 15.07.2016, n. 179,
in base alla convenzione urbanistica sorgono vincoli sia per l'autorità procedente che per il contraente privato. L'effetto obbligatorio della convenzione urbanistica discende dalla circostanza che l'esercizio del potere amministrativo mediante un modulo convenzionale comporta in linea di principio l'esaurimento del potere discrezionale, salvo che non residuino comunque spazi di discrezionalità amministrativa. Il vincolo contrattuale permane finché l'Amministrazione non eserciti il potere di recesso unilaterale dall'accordo per sopravvenuti motivi d'interesse pubblico, dietro corresponsione di indennizzo per l'eventuale pregiudizio, ai sensi dell'art. 11, comma 4, della legge n. 241 del 1990.
La natura anfibia dell'accordo sostitutivo di provvedimento fa si che la subordinazione del recesso unilaterale dell'Amministrazione alla sopravvenienza di motivi d'interesse pubblico derivi non solo dalla vincolatività dell'accordo ai sensi dell'art. 1372 cod. civ. (in base al quale il contratto può essere sciolto «per cause ammesse dalla legge»), ma anche dalla consumazione del potere amministrativo mediante la stipulazione dell'accordo, il quale, come si evince dalla denominazione del capo della legge in cui si inserisce l'art. 11, realizza una forma di partecipazione del privato al procedimento amministrativo, per cui il potere può riemergere solo sub specie di potestà di autotutela
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2.2. Muovendo dalla dichiarazione di decadenza dal diritto di superficie, prevista dall'art. 11 della convenzione nel caso di mancato inizio o ultimazione dei lavori nel termine e di mancato rispetto delle caratteristiche costruttive e tipologiche, la clausola collega al verificarsi dei presupposti previsti, integranti fatti di infedele esecuzione della convenzione, la risoluzione di diritto del rapporto.
Essa è pertanto da qualificare, per la natura di inadempienza delle condotte rilevanti alla luce della disposizione convenzionale, come clausola risolutiva espressa. La risoluzione di diritto integra un'ipotesi di estinzione del rapporto alternativa al recesso unilaterale dal rapporto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico e rappresenta una vicenda rilevante dal punto di vista dell'adempimento della convenzione e dunque dei diritti soggettivi. 
Sul piano dell'adempimento degli obblighi previsti dalla convenzione urbanistica si colloca anche la questione degli abusi edilizi, questione qui rilevante come fatto rientrante nella valutazione della fedele esecuzione della convenzione, ai fini dell'attivazione della clausola risolutiva espressa, e non rilevante ai fini della legittimità del provvedimento adottato in seguito all'accertamento dei detti abusi.
2.3. Gli ulteriori quesiti, oggetto della proposta impugnazione, sono l'omessa sottoscrizione del nuovo schema di convenzione, che avrebbe consentito di aumentare il prezzo di cessione degli alloggi, schema approvato con delibera del Consiglio comunale, il mancato completamento del procedimento di approvazione della variante al Programma di Recupero Urbano e la mancata approvazione dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
La prima verifica da compiere è quella se trattasi di profili rilevanti ai fini dell'adempimento della convenzione urbanistica.
La convenzione non prevede obblighi che rinviino agli aspetti in questione, secondo quanto è dato di accertare mediante il diretto accesso agli atti consentito dalla natura processuale della censura proposta. Peraltro una questione interpretativa della convenzione non si pone perché la denuncia relativa al mancato esercizio di poteri amministrativi attiene a circostanze sopravvenute rispetto alla conclusione della convenzione e relative alla fase dell'esecuzione.
Deve pertanto verificarsi se obblighi siano insorti sulla base dell'integrazione della convenzione alla luce del principio di esecuzione del contratto secondo buona fede di cui all'art. 1375 cod. civ. Del resto, come si legge nel controricorso, ciò che il privato ha inteso dedurre in giudizio è il «comportamento del Comune in relazione agli obblighi assunti con la convenzione».
Come è noto, con riferimento alla buona fede in executivis sono presenti in dottrina due linee di fondo, quella che vi attribuisce una funzione integrativa del regolamento mediante l'inserimento di obblighi accessori o strumentali e quella che vi assegna una funzione valutativa della condotta delle parti, ovvero di limite rispetto a modalità dell'agire reputate abusive nell'ambito di una valutazione distinta da quella di stretto diritto (ed operante anche mediante lo strumento dell'exceptio doli generalis). 
Poiché nella prospettazione della parte attrice il mancato esercizio dei poteri amministrativi, che avrebbe determinato la non eseguibilità della convenzione urbanistica per la parte dipendente dall'esercizio dei detti poteri, rileverebbe «in relazione agli obblighi assunti con la convenzione», ciò che viene qui in rilievo è la buona fede quale fonte di integrazione della convenzione. Deve pertanto deve accertarsi se la detta non eseguibilità sia imputabile all'inadempimento di un'obbligazione, la cui fonte sia non la volontà delle parti della convenzione, ma la legge in forza della clausola di buona fede in executivis.
Più in generale deve essere valutato se, alla luce dell'art. 11 legge n. 241 del 1990, che prevede che agli accordi sostitutivi di provvedimento «si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili», risulti compatibile con l'accordo sostitutivo di provvedimento la norma di cui all'art. 1375 cod. civ. quale fonte eteronoma di obblighi.
Il presupposto di applicabilità dei principi del codice civile alla convenzione urbanistica è l'esaurimento del potere amministrativo con la stipulazione dell'accordo.
Se tale è il presupposto, allora il limite di applicabilità dei principi in discorso è segnato dal regolamento contrattuale divisato dalle parti, perché il perimetro del potere esaurito è dato dalle clausole convenzionali stipulate in luogo del suo esercizio. La sfera di discrezionalità amministrativa, non trasfusa nell'accordo, non è recuperabile all'obbligazione convenzionale, per via di integrazione legale degli obblighi sulla base della fonte eteronoma della buona fede, perché, in mancanza dell'esercizio del potere in forma convenzionale e del suo esaurimento nell'accordo, permane la deroga al diritto civile stabilita dalla norma attributiva del potere amministrativo. L'applicazione della clausola generale di buona fede introdurrebbe obblighi derivanti non dalla convenzione, nella quale è stato speso il potere, ma dalla legge e dunque da un ordinamento nel quale prevale sul diritto comune la norma attributiva del potere. Il diritto comune si riespande solo in presenza dell'esaurimento del potere nell'accordo sostitutivo dando vita all'obbligazione di diritto civile.
La misura di compatibilità dei princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti con l'accordo sostitutivo di provvedimento è data dall'esaurimento del potere nelle clausole convenzionali, che definiscono così il perimento di applicazione dei principi in questione. Per tutto ciò che non è disposto dal regolamento contrattuale vige la norma attributiva del potere, sulla quale non prevalgono le norme di diritto comune, ivi compreso l'art. 1375 quale fonte di obbligazioni, per la natura propria di deroga al diritto comune della norma in discorso, la quale attribuisce all'Amministrazione il potere di regolare gli interessi in luogo della legge e del contratto. Stante la prevalenza della norma attributiva del potere, è incompatibile con l'accordo sostitutivo di provvedimento il principio della buona fede in executivis quale fonte di integrazione degli obblighi contrattuali.
Tale conclusione trova conferma nel requisito della motivazione che ai sensi dell'art. 11, comma 3, deve assistere l'accordo sostitutivo di provvedimento. La motivazione attiene al potere che risulta assorbito nella convenzione, non a quello che non è stato speso ed al quale afferirebbero le determinazioni integratrici di fonte legale. Con l'integrazione legale della convenzione, quanto agli obblighi ricadenti sull'Amministrazione, si avrebbe una produzione di effetti giuridici per un verso riconducibili alla legge, e non all'autorità amministrativa in forma convenzionale, nonostante la presenza della norma attributiva del potere, per l'altro carenti del requisito motivazionale.
Rispetto alla corona di poteri amministrativi non esauriti con la conclusione dell'accordo, e tuttavia incidenti in linea di fatto sull'attuazione dell'accordo medesimo, non essendo configurabile un rapporto obbligatorio permane così una situazione di interesse legittimo. Si tratta, per riprendere quanto affermato da questa Corte a proposito della diversa fattispecie dell'accordo di programma di cui all'art. 27 legge n. 142 del 1990 (poi trasfuso nell'art. 34 d.lgs. n. 267 del 2000), di una situazione analoga a quella dell'interesse legittimo che viene in rilievo quando il privato intende esercitare il potere di reazione avverso scelte discrezionali operate dall'Amministrazione che rendono inattuabile l'accordo nei termini programmati (cfr. Cass. 05.02.2021, n. 2738).
Per tornare al caso di specie, relativo alla mancata approvazione sia della variante al Programma di Recupero Urbano che dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, lo strumento di tutela da esperire, a tutela dell'interesse pretensivo all'esercizio del potere amministrativo in senso favorevole al privato, è quello dell'istanza atipica di parte per l'adozione del provvedimento alla quale far seguire, nel caso di permanenza dell'inerzia dell'Amministrazione, il ricorso avverso il silenzio ai sensi dell'art. 117 cod. proc. amm..
Si rammenti che nell'ambito della giurisdizione amministrativa la domanda di risarcimento del danno per lesione di interesse legittimo trova il limite, ai sensi dell'art. 30, comma 3, cod. proc. amm., nei danni che si sarebbero potuti evitare attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti (come di recente rammentato da Cons. Stato, ad. plen, 23.04.2021, n. 7).
2.4. Escluso che il diritto soggettivo, in relazione a quanto non risulti divisato dalle clausole della convenzione urbanistica, possa sorgere quale effetto di quest'ultima per via di integrazione legale, deve accertarsi se una posizione di diritto soggettivo sia rinvenibile assumendo il punto di vista del comportamento, che il Procuratore generale ha introdotto nelle sue conclusioni motivate, scisso dall'attuazione del rapporto convenzionale, ma tuttavia incidente sull'esecuzione della convenzione ai fini della sussunzione della fattispecie nella clausola arbitrale.
Il riferimento è a quanto di recente affermato da queste Sezioni Unite, e cioè che spetta al giudice ordinario, per la ricorrenza di diritti soggettivi, la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa è configurabile non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione (Cass. Sez. U. 28.04.2020, n. 8236; conforme Cass. Sez. U. 15.01.2021, n. 615).
Il procedimento amministrativo costituisce un'interlocuzione fra l'Amministrazione ed il privato retta da norme per l'esercizio della funzione amministrativa. Rispetto a tale agere che si dispiega mediante atti formali e si colloca sul piano del diritto pubblico, deve essere individuato quale sia lo spazio del comportamento in violazione dei canoni di correttezza e buona fede perché lesivo dell'affidamento riposto nell'adozione di un provvedimento amministrativo.
Deve in particolare meglio essere definito il campo di applicazione del diritto civile rispetto all'azione regolata dal diritto amministrativo.
La buona fede che qui rileva non è quella che l'art. 1 della legge sul procedimento amministrativo menziona, quale forma del rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione unitamente alla collaborazione, e che corrisponde non alla regola di diritto civile, ma a un principio generale dell'ordinamento che ha la funzione, al pari della collaborazione, di modellare l'esercizio del potere fronteggiato dall'interesse legittimo (e di cui è espressione la previsione del «termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi» nell'art. 21-nonies per l'annullamento d'ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo, c.d. affidamento legittimo). La correttezza che emerge con la lesione dell'affidamento è quella cui si correla una posizione di diritto soggettivo.
Per la verità, nella stessa disciplina del procedimento amministrativo s'incunea il diritto comune, ove si consideri l'art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990, che prevede che la pubblica amministrazione è tenuta «al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento».
Come chiarito da Cons. Stato, ad. plen., 04.05.2018, n. 5 (in materia di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrativa in procedura di evidenza pubblica, sul cui solco è da ultimo Cons. Stato, sez. II, 20.11.2020, n. 7237), la norma individua un diritto soggettivo perché la violazione del termine di conclusione del procedimento non determina l'invalidità del provvedimento adottato in ritardo, ma rappresenta un comportamento scorretto dell'Amministrazione. Più precisamente, l'Adunanza plenaria chiarisce che il tempo del procedimento non rientra nella sfera del potere dell'Amministrazione, la quale rispetto al tempo è gravata da un obbligo. In definitiva, per riprendere una classica distinzione dottrinale, la norma sul tempo del procedimento è una norma non di azione, nella quale l'Amministrazione rilevi come autorità, ma è una norma di relazione, ricondotta da Cons. Stato, ad. plen, 23.04.2021, n. 7 nell'ambito della responsabilità aquiliana.
Il campo del comportamento, soggetto alla normativa civilistica di correttezza, corrisponde dunque a quell'area in cui l'Amministrazione dismette i panni dell'autorità, o perché manchi una norma attributiva del potere, come nel caso del tempo del procedimento, o perché la stessa Amministrazione assuma una condotta che acquista rilevanza al di là del regime degli atti formali del procedimento amministrativo, entrando in un'area disciplinata dal diritto comune.
Rispetto alla mera inerzia dell'Amministrazione, suscettibile di essere compulsata con l'istanza del privato ed il successivo ricorso avverso il silenzio, o alle condotte procedimentali quali l'obbligo di valutare le memorie scritte ed i documenti presentati dai partecipanti al procedimento (art. 10) o la tempestiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza (art. 10-bis), il comportamento dell'Amministrazione rilevante ai fini dell'affidamento del privato «si pone -e va valutato- su un piano diverso rispetto a quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo» (Cass. Sez. U. 28.04.2020, n. 8236).
Deve trattarsi di un comportamento che, pur dispiegandosi anche mediante atti formali, sul piano del significato sporga rispetto alla fisiologia del procedimento e che pertanto si differenzi rispetto a quest'ultimo, perché la responsabilità non è da procedimento, che resta regola dell'azione di un'autorità che esercita un potere, ma da comportamento. La questione della correttezza del comportamento è indipendente da quella della legittimità del procedimento, il quale potrebbe anche non essere attinto da violazioni sul piano formale.
La fattispecie di comportamento lesivo dell'affidamento va così tenuta distinta da quella di violazione della norma del procedimento (le cui conseguenze, sul piano del provvedimento, sono regolate dall'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241), per cui potrebbe aversi un comportamento in violazione della regola di responsabilità civile nonostante la validità dell'atto sul piano del diritto pubblico. Non differenziando peraltro procedimento e comportamento, e collegando al medesimo presupposto di fatto la produzione di effetti giuridici distinti a seconda del criterio qualificatorio adottato (legalità del procedimento o correttezza del comportamento), si verrebbe a riproporre l'antica teoria della prospettazione, elaborata sul finire del diciannovesimo secolo dalla dottrina amministrativistica, secondo cui ciò che determina la giurisdizione non è il petitum sostanziale, ossia l'oggettiva situazione dedotta in giudizio, ma la situazione fatta valere della parte, consentendo così a quest'ultima di scegliere il giudice cui rivolgersi. La lesione dell'affidamento (ovvero della libertà di autodeterminazione negoziale, secondo Cons. Stato, ad. plen., 04.05.2018, n. 5) quale danno evento, eventualmente in unione con contegni non formali dell'Amministrazione, introduce una distinzione già sul piano del fatto, ancor prima dell'effetto giuridico, rispetto alla fattispecie di violazione procedimentale.
Entrando nella problematica dell'affidamento, come di recente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, «per aversi un affidamento giuridicamente tutelabile in capo al privato, occorre, da un lato, una condotta della pubblica amministrazione connotata da mala fede o da colpa in grado di far sorgere nell'interessato, versante in una condizione di totale buona fede, un'aspettativa al conseguimento di un bene della vita e, dall'altro, che la fiducia riposta da quest'ultimo in un esito del procedimento amministrativo a lui favorevole sia ragionevole e non colposamente assunta come fondata» (Cons. Stato, sez. II, 09.03.2021, n. 2013, che ha deferito all'Adunanza plenaria la questione, fra l'altro, delle condizioni in presenza delle quali sia configurabile un diritto al risarcimento per lesione dell'affidamento incolpevole). L'affidamento incolpevole di natura civilistica si sostanzia così «nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di un'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell'amministrazione fondata sulla buone fede» (Cass. Sez. U. 28.04.2020, n. 8236).
Trattandosi della lesione dell'affidamento di natura civilistica, differenziata ed indipendente, come si è detto, dalla violazione procedimentale, deve intervenire un quid pluris rispetto alla mera inerzia o alla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo. Quel quid pluris deve integrare una fattispecie di diritto comune nella quale possa valutarsi, dal punto di vista della qualificazione giuridica, che l'Amministrazione abbia dismesso i panni dell'autorità che agisce sulla base di norme di azione per avere assunto dei comportamenti, formali ed informali, eccedenti il significato dell'esercizio fisiologico della funzione amministrativa, entrando così in una sfera suscettibile di essere apprezzata, alla luce della normativa di correttezza, alla stregua di un comune rapporto paritario.
A fronte della possibilità di esperire gli strumenti di tutela dell'interesse legittimo per la mancata emanazione di un provvedimento amministrativo, deve essere intervenuto un comportamento dell'Amministrazione che abbia indotto il privato a non promuovere le iniziative a tutela del proprio interesse legittimo pretensivo ed a confidare ragionevolmente sul soddisfacimento della sua aspettativa. Dunque non la mera inerzia, suscettibile di essere compulsata nelle forme previste dall'ordinamento, la quale potrebbe pure risultare legittima all'esito dell'eventuale esercizio degli strumenti di tutela, ma contegni positivi, formali ed informali, tali da indurre colpevolmente il privato a fare affidamento su un esito favorevole della vicenda in corso e ad astenersi dall'intraprendere le iniziative a tutela del proprio legittimo interesse.
Data l'autonomia della nozione di comportamento rispetto a quella di azione amministrativa, dal punto di vista dell'esercizio della funzione l'inerzia potrebbe essere legittima, ma ciò nondimeno risultano cagionate dalla lesione dell'affidamento nell'emanazione di un provvedimento favorevole conseguenze patrimoniali pregiudizievoli, in termini di perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali condizionate dal comportamento scorretto.
Sotto altro profilo, conseguenza della lesione dell'affidamento, patrimonialmente rilevante, è anche quella che al danno subito a cagione del colposo comportamento non possa più rimediarsi con l'attivazione degli strumenti di tutela avverso l'inerzia dell'Amministrazione, non tempestivamente attivati appunto per l'affidamento ragionevolmente indotto dalla controparte pubblica.
Elemento costitutivo del diritto soggettivo dedotto in giudizio è così l'affidamento colpevolmente indotto dall'Amministrazione con il proprio comportamento circa l'emanazione del provvedimento tale da indurre il privato a non esperire gli strumenti di tutela dell'interesse legittimo pretensivo, ovvero tale da determinare, in assenza di una questione di legittimità di diritto pubblico, l'irrilevanza degli strumenti di controllo dell'azione amministrativa ai fini della preservazione della sfera patrimoniale del privato, la quale può così essere riparata solo con il rimedio risarcitorio.
Il privato che agisce per i danni ha l'onere di allegare (e provare) lo specifico comportamento lesivo dell'affidamento. Ricorrendo tale fattispecie, il diritto soggettivo che, ai fini della compromettibilità in arbitrato, non poteva essere configurato sulla base del rapporto derivato dalla convenzione urbanistica, è suscettibile ora di essere individuato sulla base del comportamento tenuto dall'Amministrazione, a prescindere dall'adempimento dell'obbligazione convenzionale.
2.5. Tornando al caso di specie, va evidenziato che nell'atto introduttivo di procedimento arbitrale, cui queste Sezioni Unite possono accedere in ragione della natura processuale della censura proposta, con riferimento al mancato completamento del procedimento di approvazione della variante al Programma di Recupero Urbano e alla mancata approvazione dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione non risulta dedotta in giudizio una specifica fattispecie di affidamento incolpevole del privato, tale da avere indotto il medesimo a non esperire gli strumenti di tutela dell'interesse legittimo (pretensivo) all'adozione dei provvedimenti in questione. Vi è esclusivamente un riferimento alla convocazione di CO.CA. «a decine di riunioni, facendole sopportare ingenti spese legali e tecniche, per poi abbandonare le trattative nel momento in cui risultava possibile la risoluzione di tutte le problematiche pendenti».
Tale riferimento, a parte il problema della configurabilità di una fattispecie di lesione dell'affidamento, è posto però in relazione non alle suddette omissioni provvedimentali, ma alla contestazione di difformità delle opere realizzate rispetto a quanto assentito e di decadenza dalla concessione edilizia, nonché in relazione alle istanze presentate «per la definizione di tali questioni».
Significativamente nel controricorso CO.CA. continua ad esprimersi in termini di mera omissione di provvedimento ed aggiunge che ciò che intendeva ottenere dagli arbitri, come si è anticipato sopra, era «solo una valutazione del comportamento del Comune in relazione agli obblighi assunti con la convenzione», obblighi la cui portata è stata sopra scrutinata quanto all'estraneità, dei profili relativi al completamento del procedimento di approvazione della variante al Programma di Recupero Urbano e all'approvazione dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, agli effetti dell'accordo.
Deve in conclusione escludersi che in relazione all'emanazione di tali provvedimenti sia stata dedotta una specifica fattispecie di lesione dell'affidamento. A fronte della mera omissione provvedimentale non c'è che l'interesse legittimo pretensivo, tutelabile con l'istanza atipica di provvedimento ed il ricorso avverso il silenzio innanzi al giudice amministrativo.
Quanto invece all'omessa sottoscrizione del nuovo schema di convenzione, che avrebbe consentito di aumentare il prezzo di cessione degli alloggi, approvato con delibera del Consiglio comunale, nell'atto introduttivo del giudizio è stata allegata l'inottemperanza del Comune alla diffida a presentarsi presso il notaio per la stipulazione della convenzione sulla base dello schema per il quale vi era la delibera consiliare.
Non è dubbio che qualora tra l'approvazione dello schema di convenzione e il momento di stipulazione della convenzione stessa vengano meno i presupposti sui quali l'approvazione è stata fondata, l'amministrazione procedente non possa ritenersi obbligata alla stipulazione e, conseguentemente, a proseguire il relativo iter procedimentale, potendo valutare l'eventuale sussistenza di ragioni di revoca dell'approvazione, ai sensi dell'art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990.
Il rapporto dedotto in giudizio non è però relativo all'esercizio del potere in questione, ma al comportamento inerte dell'Amministrazione a fronte dell'approvazione dello schema di convenzione. L'inerzia dell'Amministrazione è qui in grado di acquistare, nello specifico contesto della delibera consiliare di approvazione dello schema e del permanente mancato esercizio del potere di revoca, la valenza di comportamento tale da indurre il legittimo affidamento sulla conclusione della convenzione, per cui può ritenersi dedotta in giudizio la violazione della normativa di correttezza, da cui l'inerenza della controversia a un diritto soggettivo.
2.6. Vanno in conclusione enunciati i seguenti principi di diritto: 
   - "
posto che la convenzione urbanistica non è suscettibile di produrre obblighi per la pubblica amministrazione, con i correlativi diritti soggettivi del privato, attraverso l'integrazione legale dell'accordo sostitutivo di provvedimento, per l'incompatibilità del principio di integrazione del contratto sulla base della buona fede con la norma attributiva del potere amministrativo, la controversia relativa alla mancata adozione di provvedimenti che abbia determinato la non eseguibilità della convenzione, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, è afferente ad interessi legittimi e non può essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto";
   - "
affinché si perfezioni la fattispecie di lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, e la relativa controversia in quanto concernente diritti soggettivi possa essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto, è necessario che sia identificabile un comportamento della pubblica amministrazione, differenziabile dalla mera inerzia o dalla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo, che abbia cagionato al privato un danno in modo indipendente da eventuali illegittimità di diritto pubblico, ovvero che abbia indotto il privato a non esperire gli strumenti previsti per la tutela dell'interesse legittimo pretensivo a causa del ragionevole affidamento riposto nell'emanazione del provvedimento non più adottato" (Corte di Cassazione, Sezz. Unite civili, sentenza 11.05.2021 n. 12428).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGONella specie non è configurabile l’ipotesi della «grave inimicizia» dei due componenti del collegio giudicante nei confronti del menzionato difensore, dovendo questa essere reciproca sicché non è sufficiente ad integrarla la mera presentazione di una denuncia o, comunque, di un atto di impulso idoneo a dare inizio ad un procedimento giudiziale o disciplinare, ma la grave inimicizia deve ricondursi a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell’ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali e alla realtà processuale, con l’indicazione di correlativi fatti circostanziati, concreti e specifici.
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Ebbene, premesso che s’intendono qui richiamate, per ragioni di sinteticità imposte dall’art. 3 cod. proc. amm., le esposizioni in fatto contenute a pp. 3-9 nella menzionata ordinanza n. 245/2019 del TRGA, reiettiva dell’istanza di ricusazione, si rileva che il TRGA, nel respingere l’istanza –fondata sulle ipotesi di «causa pendente» e di «grave inimicizia» tra due dei magistrati componenti il collegio e uno dei difensori dei ricorrenti, ai sensi degli artt. 18, comma 1, cod. proc., amm. e 51, comma 1, numero 3), cod. proc. civ.–, ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali elaborati da questo Consiglio di Stato in tema di ricusazione, in quanto:
   - l’ipotesi della «causa pendente», con riferimento al processo penale, in applicazione del criterio interpretativo restrittivo e tassativo sopra enunciato, deve ritenersi integrata soltanto con l’esercizio dell’azione penale ai sensi degli artt. 60 e 405 cod. proc. pen.;
   - infatti, la pendenza del giudizio penale presuppone la richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio a norma dell’art. 416 cod. proc. pen. e con gli altri atti con i quali si chiede al giudice di decidere sulla pretesa punitiva (v., ex plurimis –seppur con riferimento ed fattispecie diverse dalla ricusazione–, Cons. Stato, Sez. VI, 13.03.2019, n. 1666; Cons. Stato, Sez. III, 22.01.2016, n. 206);
   - nel caso di specie il procedimento penale iscritto sub R.G.N.R. n. 813/2018 dinanzi al Tribunale di Bolzano, Sezione penale, a carico del difensore degli originari ricorrenti su denuncia dei giudici ricusati –peraltro, per ragioni che trovano la loro origine in un precedente processo svoltosi dinanzi allo stesso TRGA, e quindi attinenti all’esercizio di attività istituzionali–, non può essere considerato alla stregua di «causa pendente» ai fini di cui al citato art. 51, comma 1, numero 3), cod. proc. civ., poiché tale procedimento all’epoca della decisione di primo grado si trovava nella fase di opposizione alla richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 409 e ss. cod. proc. pen., formulata dai due magistrati ricusati, e l’azione penale non risultava ancora esercitata dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 50 e 60 cod. proc. pen. (v., sul punto, Cons. Stato, Sez. IV, 19.06.2003, n. 3658, secondo cui l’opposizione al decreto che abbia disposto l’archiviazione dell’esposto penale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 50, comma 1, 405, comma 1, e 409, comma 5, cod. proc. pen., non integra l’avvenuto esercizio dell’azione penale ed inibisce, di conseguenza, che si configuri il presupposto della «causa pendente» ex art. 51 cod. proc. civ., da intendere in senso tecnico-giuridico);
   - anticipare la ‘soglia’ dei procedimenti penali, ai fini di cui all’art. 51, comma 1, numero 3), cod. proc. civ., alla fase anteriore all’esercizio dell’azione penale, comporterebbe, per un verso, il pericolo di impedire e/o aggravare l’esercizio, da parte dell’organo giudicante e/o dei suoi componenti, dei doveri istituzionali di presentare rapporti o esposti ai competenti organi sia giurisdizionali (quali le Procure presso i Tribunali o la Corte dei conti) sia disciplinari (quali i Consigli degli ordini professionali), e, per altro verso, il rischio di una possibile strumentalizzazione delle denunzie o degli esposti ad opera delle parti private in funzione della creazione di situazioni di incompatibilità per eludere il principio della precostituzione del giudice naturale sancito dall’art. 25 Cost.;
   - né nella specie è configurabile l’ipotesi della «grave inimicizia» dei due componenti del collegio giudicante nei confronti del menzionato difensore, dovendo questa essere reciproca sicché non è sufficiente ad integrarla la mera presentazione di una denuncia o, comunque, di un atto di impulso idoneo a dare inizio ad un procedimento giudiziale o disciplinare, ma la grave inimicizia deve ricondursi a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell’ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali e alla realtà processuale, con l’indicazione di correlativi fatti circostanziati, concreti e specifici (v. in tal senso, ex plurimis, Cass. civ., 31.10.2018, n. 27923; Cass. civ., ord. 24.09.2015, n. 18976; id., ord. 24.11.2014), nella specie né allegati né tanto meno provati.
Conclusivamente, il motivo all’esame deve essere disatteso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.05.2021 n. 3556 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti “extra ordinem”, a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotati di capacità derogatoria della disciplina normativa di rango primario, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Con specifico riferimento al potere d'ordinanza contingibile e urgente attribuito ai Sindaci, premesso che, in linea con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ad essi non è concessa una discrezionalità indeterminata nell'ambito delle scelte amministrative aventi conseguenze sulla sfera generale di libertà dei singoli, vengono in rilievo le disposizioni contenute nel D.lgs. n. 267/2000 (TUEL).
Più segnatamente, l’art. 50 TUEL prevede che il Sindaco, in qualità di rappresentante della comunità locale, possa adottare le predette ordinanze in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale.
Peraltro, successivamente è stato esteso l’ambito di intervento del Sindaco anche alle misure volte a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana. Il successivo art. 54 TUEL, che rileva nel caso di specie, conferisce al Sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica.
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone, dunque, necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione.
L’occorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente. Possono emanarsi nel caso di una situazione di pericolo, definita quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione ometta di intervenire tempestivamente. In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico.
Inoltre, «mentre il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa (rispettivamente, la coerenza tra decisioni comparabili), il principio di proporzionalità esige che gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l'amministrazione deve realizzare, sicché la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e della necessità delle misure che si possono prendere: criteri valutativi, da applicare in modo particolarmente rigoroso nel sindacato della legittimità di un potere di natura eccezionale, quale quello attribuito al Sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti, che può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale e impreviste, per le quali sia impossibile utilizzare gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico
».
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Si afferma in giurisprudenza che “la situazione di pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, è tale anche allorquando sia nota da tempo e si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto (ad es. crollo parziale o totale dell'edificio), posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi.
Neppure il requisito della provvisorietà e temporaneità deve essere inteso in senso assoluto e rigido: se è vero, infatti, che connotato essenziale delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti è la necessaria idoneità e proporzionalità delle misure con esse imposte al fine di eliminare la situazione di pericolo costituente presupposto della loro emissione, esse ben possono avere effetti provvisori o definitivi a seconda del tipo di rischio fronteggiato, e cioè a seconda delle specifiche circostanze di fatto del caso concreto, e in rapporto allo scopo pratico perseguito attraverso il provvedimento extra ordinem”.

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   Considerato:
Con il primo motivo di gravame, i ricorrenti contestano i presupposti del provvedimento sindacale (ordinanza n. 15/2019), lamentando come esso sia illegittimo per violazione e falsa applicazione di legge (art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000).
Il motivo è infondato.
Giova premettere che le ordinanze contingibili e urgenti costituiscono provvedimenti “extra ordinem”, a contenuto atipico e a carattere temporaneo, dotati di capacità derogatoria della disciplina normativa di rango primario, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Con specifico riferimento al potere d'ordinanza contingibile e urgente attribuito ai Sindaci, premesso che, in linea con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ad essi non è concessa una discrezionalità indeterminata nell'ambito delle scelte amministrative aventi conseguenze sulla sfera generale di libertà dei singoli, vengono in rilievo le disposizioni contenute nel D.lgs. n. 267/2000 (TUEL).
Più segnatamente, l’art. 50 TUEL prevede che il Sindaco, in qualità di rappresentante della comunità locale, possa adottare le predette ordinanze in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale.
Peraltro, successivamente è stato esteso l’ambito di intervento del Sindaco anche alle misure volte a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana. Il successivo art. 54 TUEL, che rileva nel caso di specie, conferisce al Sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica (Consiglio di Stato, sez. II, 07/12/2020, n. 7734).
Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone, dunque, necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione. L’occorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente. Possono emanarsi nel caso di una situazione di pericolo, definita quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione ometta di intervenire tempestivamente. In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (Cons. Stato, sez. I, parere n. 321/2021).
Censurano i ricorrenti la legittimità dell’ordinanza lamentando, inoltre, la violazione del principio di proporzionalità.
Si è in proposito affermato che «mentre il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa (rispettivamente, la coerenza tra decisioni comparabili), il principio di proporzionalità esige che gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l'amministrazione deve realizzare, sicché la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e della necessità delle misure che si possono prendere: criteri valutativi, da applicare in modo particolarmente rigoroso nel sindacato della legittimità di un potere di natura eccezionale, quale quello attribuito al Sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti, che può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale e impreviste, per le quali sia impossibile utilizzare gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico
» (Consiglio di Stato sez. V, 14/11/2017, n. 5239).
Alla luce di tali principi deve ritenersi conforme al canone di proporzionalità l’ordinanza con la quale veniva richiesta l’adozione di misure e l’esecuzione in danno in ragione della inerzia da parte dei ricorrenti.
Affermano i ricorrenti che la sussistenza del pericolo da lungo tempo sarebbe incompatibile con l’impiego dell’ordinanza contingibile ed urgenza.
La censura non merita accoglimento.
Nel caso di specie, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, il pericolo per la incolumità relativo al possibile crollo dell’edificio lasciato abbandonato e privo di manutenzione sussisteva e la circostanza che questo sussistesse da tempo non rende inutilizzabile lo strumento della ordinanza contingibile ed urgente.
Si afferma infatti in giurisprudenza che “la situazione di pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, è tale anche allorquando sia nota da tempo e si protragga per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto (ad es. crollo parziale o totale dell'edificio), posto che il ritardo nell'agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi. Neppure il requisito della provvisorietà e temporaneità deve essere inteso in senso assoluto e rigido: se è vero, infatti, che connotato essenziale delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti è la necessaria idoneità e proporzionalità delle misure con esse imposte al fine di eliminare la situazione di pericolo costituente presupposto della loro emissione, esse ben possono avere effetti provvisori o definitivi a seconda del tipo di rischio fronteggiato, e cioè a seconda delle specifiche circostanze di fatto del caso concreto, e in rapporto allo scopo pratico perseguito attraverso il provvedimento extra ordinem” (TAR Salerno, Campania, sez. II, 10/10/2018, n. 1406; cfr. TAR Bologna, Emilia Romagna, sez. II, 08/02/2016, n. 157; Cons. Stato, sez. V, 19.09.2012, n. 4968).
Dunque non colgono nel segno le censure che affermano l’illegittimità dell’ordinanza in quanto il pericolo sarebbe esistito da tempo e non sarebbe insorto in ragione di un evento improvviso ed imprevedibile (
Consiglio di Stato, Sez. I, parere 04.05.2021 n. 830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI - VARINomina del difensore civico nella Regione Lombardia.
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Regioni – Difensore civico – Nomina -Adeguato presupposti culturali - Necessità - Licenza di scuola media inferiore – Insufficienza.
Nella regione Lombardia, il difensore civico, per poter svolgere le competenze attribuite dall’art. 61 dello Statuto regionale -id est compiti di carattere para-giurisdizionale nei rapporti tra cittadino ed amministrazione, in funzione del buon andamento e dell’imparzialità di quest’ultima e della tutela dei diritti e degli interessi dei primi- deve possedere una adeguata preparazione culturale, in aggiunta ai requisiti di esperienza specificamente previsti per quest’ultimo dalla l.reg. Lombardia n. 18 del 2010.
E' pertanto illegittima la nomina a difensore civico di un soggetto titolare di licenza di scuola media inferiore, non potendosi considerare in possesso di un “titolo di studio adeguato all’attività dell’organismo interessato” ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. a), l.reg. n. 25 del 2009 (1).

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   (1) Ha premesso la Sezione che l’art. 61 dello statuto della Regione Lombardia, dopo avere definito il difensore regionale “organo indipendente della Regione” (comma 1), cui sono tra l’altro attribuiti i compiti di “tutela i diritti e gli interessi dei cittadini singoli e associati all’interno dei procedimenti regionali, verificando e promuovendo la conoscenza, la trasparenza, la legalità, il buon andamento e l’imparzialità” (comma 2, lett. a), da svolgere «garantendo la tutela non giurisdizionale dei diritti e degli interessi e svolgendo attività di mediazione» (comma 3), prevede che esso sia “scelto tra soggetti con esperienza nei campi del diritto, dell’economia e dell’organizzazione pubblica” (comma 4), sulla base di “requisiti per l’accesso all’incarico” stabiliti con l’art. 2, comma 2, l.reg. n. 18 del 2010, secondo cui il requisito di candidabilità consistente nell’esperienza “nei campi del diritto, dell’economia e dell’organizzazione pubblica”, con l’aggiunta che tali soggetti devono assicurare la “massima garanzia di indipendenza, imparzialità e competenza amministrativa”.
Il successivo comma 3 specifica ulteriormente che i candidati devono essere in possesso di una “qualificata esperienza professionale, almeno decennale (…) nei settori di cui al comma 2, preferibilmente nel campo della difesa dei diritti dei cittadini”, ed equipara a quella maturata “in posizione dirigenziale presso enti od aziende pubbliche o private, ovvero di lavoro autonomo assimilabile”, quella maturata ricoprendo per un decennio “cariche pubbliche di parlamentare nazionale, consigliere regionale, presidente o assessore regionale, presidente o assessore provinciale, sindaco o assessore di comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti”.
Ha evidenziato la Sezione che nella fattispecie rileva anche la l.reg. Lombardia n. 25 del 2009, cui ambito di applicazione, definito dall’art. 2, è relativo alle nomine e alle designazioni dei rappresentanti della Regione negli organi di revisione degli enti strumentali della stessa, oltre che a tutti i casi di “nomine e designazioni di rappresentanti del Consiglio regionale nei casi espressamente previsti dallo Statuto e dalla legge” (comma 1, lett. c). Per queste nomine e designazioni l’art. 5 della medesima legge, relativo ai requisiti professionali dei soggetti da nominare, richiede tra l’altro un «titolo di studio adeguato all’attività dell’organismo interessato» (comma 2, lett. a).
Ad avviso della Sezione il requisito culturale alla figura del difensore regionale della Lombardia. La tesi affermativa sostenuta sul punto dall’appellante può essere accolta alla luce della consustanzialità di un’adeguata preparazione culturale al ruolo alle funzioni del difensore regionale quali definite dall’art. 61 dello Statuto. La disposizione ora richiamata assegna infatti al difensore regionale compiti di carattere para-giurisdizionale nei rapporti tra cittadino ed amministrazione, in funzione del buon andamento e dell’imparzialità di quest’ultima e della tutela dei diritti e degli interessi dei primi. Sulla base di ciò gli assicura una posizione di indipendenza rispetto alla Regione.
Sul piano logico-sistematico la natura di organismo indipendente e la funzioni tutorie e di garanzia assegnate dallo statuto al difensore regionale esigono pertanto un’adeguata preparazione culturale in aggiunta ai requisiti di esperienza specificamente previsti per quest’ultimo dalla l.reg. Lombardia n. 18 del 2010.
Nella misura in cui alle funzioni di garanzia del difensore regionale sono connaturate le conoscenze necessarie per promuovere “la conoscenza, la trasparenza, la legalità, il buon andamento e l’imparzialità” dell’amministrazione, dall’esperienza a tal fine richiesta dalla l.reg. n. 18 del 2010 non può andare disgiunto, come presupposto dell’indipendenza statutariamente prevista, il possesso di titoli culturali adeguati all’incarico (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.05.2021 n. 3465 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
... per la riforma della sentenza 10.04.2019 n. 797 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – Sede di Milano (sezione prima) n. 797/2019, resa tra le parti, concernente l’elezione del difensore regionale della Lombardia;
...
1. L’avvocato Fo. sostiene che la nomina del sig. L. a difensore civico regionale sarebbe illegittima per le seguenti ragioni:
   - quest’ultimo sarebbe privo di «titolo di studio adeguato all’attività dell’organismo interessato», ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge regionale della Lombardia 04.12.2009, n. 25 (Norme per le nomine e designazioni di competenza del Consiglio regionale), integrativa della legge regionale 06.12.2010, n. 18 (Disciplina del Difensore regionale), il cui art. 2, comma 2, prevede a sua volta che siano candidabili «i cittadini esperti nei campi del diritto, dell’economia e dell’organizzazione pubblica, che diano la massima garanzia di indipendenza, imparzialità e competenza amministrativa»; secondo l’appellante il controinteressato non potrebbe giovarsi del solo requisito di esperienza previsto dall’art. 2, comma 3, della medesima legge regionale n. 18 del 2010, consistente nell’avere ricoperto per oltre dieci anni cariche politiche, poiché quest’ultimo si cumulerebbe con quello di competenza previsto dal comma 2 e sopra richiamato, di cui il sig. L. è privo; la sentenza di primo grado avrebbe pertanto errato nel considerare sufficiente i soli requisiti di esperienza ed invece non necessari i titoli culturali previsti in generale dal sopra citato art. 5, comma 2, l.reg. n. 25 del 2009;
   - nel procedimento elettivo non sarebbe stata svolta alcuna comparazione tra i curricula dei candidati, per cui sotto tale dirimente profilo la delibera di elezione del controinteressato sarebbe carente di motivazione, mentre la sentenza avrebbe errato nel considerare questa non necessaria in ragione del carattere politico della scelta di competenza dell’organo consiliare;
   - all’elezione del controinteressato osterebbe il divieto di conferire incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza previsto dall’art. 5, comma 9, del decreto-legge 06.07.2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), applicabile anche al controinteressato quale ex consigliere regionale titolare di vitalizio, diversamente da quanto affermato dalla sentenza di primo grado;
   - l’elezione del sig. L. sarebbe invalida perché sostenuta dalla presentazione della candidatura di un solo consigliere regionale, che tuttavia ha contemporaneamente proposto altre cinque candidature, in violazione dell’art. 3, comma 1 della l.reg. 25 del 2009, che al contrario di quanto statuito dalla sentenza di primo grado attribuisce il potere ai «consiglieri regionali» collettivamente intesi;
   - la candidatura del controinteressato sarebbe priva di un elemento essenziale, consistente nell’indicazione dell’istituto scolastico presso il quale quest’ultimo ha conseguito la licenza media e dunque incompleta e non valutabile, ai sensi dell’art. 3, commi 5, lett. b), e 7, l.reg. n. 25 del 2009;
   - non sarebbero stati valutati alcuni titoli professionali e di esperienza dell’appellante: l’abilitazione forense e il conseguente titolo di avvocato (anche presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in Palazzo Chigi), la carica di segretario comunale, le specializzazioni ed i master, e gli incarichi di ricoperti, oltre alle numerose attività internazionali, come riconosciuto dalle stesse amministrazioni intimate, per cui sarebbe irrilevante il fatto, considerato dalla sentenza a fondamento del rigetto della censura, che i curricula dei candidati erano comunque a disposizione e consultabili dai consiglieri regionali che hanno poi eletto il controinteressato.
2. Premesso che la procedibilità dell’appello non è impedita dal fatto che l’avvocato Fo. ha assunto nelle more del giudizio analoghi incarichi, alla luce dell’interesse da esso manifestato ad ottenere quello oggetto del presente contenzioso, delle censure da esso proposte e sopra sintetizzate sono fondate (re melius perpensa rispetto all’ordinanza resa in sede di appello cautelare, in data 08.09.2017, n. 3627) quelle oggetto del primo motivo d’appello.
3. Esse sollecitano un’analisi dei rapporti tra le varie fonti normative regionali relativi all’incarico in contestazione che deve muovere dalla norma fondamentale contenuta nell’art. 61 dello statuto.
Dopo avere definito il difensore regionale «organo indipendente della Regione» (comma 1), cui sono tra l’altro attribuiti i compiti di «tutela i diritti e gli interessi dei cittadini singoli e associati all’interno dei procedimenti regionali, verificando e promuovendo la conoscenza, la trasparenza, la legalità, il buon andamento e l’imparzialità» (comma 2, lett. a), da svolgere «garantendo la tutela non giurisdizionale dei diritti e degli interessi e svolgendo attività di mediazione» (comma 3), la disposizione statutaria prevede che esso sia «scelto tra soggetti con esperienza nei campi del diritto, dell’economia e dell’organizzazione pubblica» (comma 4), sulla base di «requisiti per l’accesso all’incarico» stabiliti con «legge, approvata a maggioranza dei componenti del Consiglio regionale» (comma 7).
4. La legge in questione è la già citata avente n. 18 del 2010, il cui art. 2, comma 2, riproduce l’art. 61, comma 4, dello statuto nella parte in cui prevede il requisito di candidabilità consistente nell’esperienza «nei campi del diritto, dell’economia e dell’organizzazione pubblica», con l’aggiunta che tali soggetti devono assicurare la «massima garanzia di indipendenza, imparzialità e competenza amministrativa».
Il successivo comma 3 specifica ulteriormente che i candidati devono essere in possesso di una «qualificata esperienza professionale, almeno decennale (…) nei settori di cui al comma 2, preferibilmente nel campo della difesa dei diritti dei cittadini», ed equipara a quella maturata «in posizione dirigenziale presso enti od aziende pubbliche o private, ovvero di lavoro autonomo assimilabile», quella maturata ricoprendo per un decennio «cariche pubbliche di parlamentare nazionale, consigliere regionale, presidente o assessore regionale, presidente o assessore provinciale, sindaco o assessore di comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti».
5. Nella fattispecie oggetto del presente giudizio rileva anche la parimenti sopra citata legge regionale della Lombardia n. 25 del 2009, contenente le norme «per le nomine e designazioni di competenza del Consiglio regionale» (così l’intitolazione), ed il cui ambito di applicazione, definito dall’art. 2, è relativo alle nomine e alle designazioni dei rappresentanti della Regione negli organi di revisione degli enti strumentali della stessa, oltre che a tutti i casi di «nomine e designazioni di rappresentanti del Consiglio regionale nei casi espressamente previsti dallo Statuto e dalla legge» (comma 1, lett. c).
Per queste nomine e designazioni l’art. 5 della medesima legge, relativo ai requisiti professionali dei soggetti da nominare, richiede tra l’altro un «titolo di studio adeguato all’attività dell’organismo interessato» (comma 2, lett. a), di cui l’avvocato Fo. assume essere privo il controinteressato.
6. Tanto premesso, le questioni poste dal primo motivo d’appello riguardano la possibilità di estendere il requisito culturale alla figura del difensore regionale della Lombardia. La tesi affermativa sostenuta sul punto dall’appellante può essere accolta alla luce della consustanzialità di un’adeguata preparazione culturale al ruolo alle funzioni del difensore regionale quali definite dall’art. 61 dello statuto.
La disposizione ora richiamata assegna infatti al difensore regionale compiti di carattere para-giurisdizionale nei rapporti tra cittadino ed amministrazione, in funzione del buon andamento e dell’imparzialità di quest’ultima e della tutela dei diritti e degli interessi dei primi. Sulla base di ciò gli assicura una posizione di indipendenza rispetto alla Regione.
7. Sul piano logico-sistematico la natura di organismo indipendente e la funzioni tutorie e di garanzia assegnate dallo statuto al difensore regionale esigono pertanto un’adeguata preparazione culturale in aggiunta ai requisiti di esperienza specificamente previsti per quest’ultimo dalla legge regionale n. 18 del 2010.
La tesi opposta conduce infatti all’aporia per cui solo nei confronti di soggetti incaricati di svolgere funzioni di rappresentanza nell’interesse della Regione ai sensi della legge regionale n. 25 del 2009 sono richiesti adeguati titoli culturali e non anche nella figura preposta per statuto alla tutela dei diritti e dei cittadini nei confronti della medesima amministrazione regionale.
Per contro, nella misura in cui alle funzioni di garanzia del difensore regionale sono connaturate le conoscenze necessarie per promuovere «la conoscenza, la trasparenza, la legalità, il buon andamento e l’imparzialità» dell’amministrazione, dall’esperienza a tal fine richiesta dalla legge regionale n. 18 del 2010 non può andare disgiunto, come presupposto dell’indipendenza statutariamente prevista, il possesso di titoli culturali adeguati all’incarico.
8. I rilievi di ordine logico-sistematico finora svolti non sono infirmati dal fatto, posto in rilievo dagli appellati, che l’art. 61 dello statuto demanda alla «legge, approvata a maggioranza dei componenti del Consiglio regionale, (…) i limiti e le modalità dell’esercizio delle funzioni, i requisiti per l’accesso all'incarico, le cause di ineleggibilità e incompatibilità, il trattamento economico del Difensore, assicurandone l’effettiva autonomia e indipendenza», e che la fonte normativa così individuata è la legge regionale n. 18 del 2010, e non anche la n. 25 del 2009.
L’una non esclude infatti l’altra, posto che la specialità ratione materiae assegnata dallo statuto alla prima non implica, in assenza di elementi testuali, alcuna esclusività o deroga rispetto alle norme di carattere generale previste per le nomine di competenza del consiglio regionale.
9. Sulla base di tutto quanto finora considerato il primo motivo d’appello va accolto, avuto riguardo al fatto che rispetto all’elezione a difensore regionale il sig. L., titolare di licenza di scuola media inferiore, deve considerarsi non in possesso di un «titolo di studio adeguato all’attività dell’organismo interessato» ai sensi del sopra citato art. 5, comma 2, lett. a), della legge regionale n. 25 del 2009.
10. L’appello va dunque accolto in ragione dell’assorbente fondatezza del primo motivo. Per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, il ricorso dell’avvocato Fo. deve essere accolto per cui l’elezione del sig. L. a difensore regionale ai sensi dell’art. 61 dello statuto della Regione Lombardia va annullata.
In esecuzione della presente sentenza il procedimento elettivo dovrà essere rinnovato senza tenere conto della candidatura del controinteressato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.05.2021 n. 3465 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2021

ATTI AMMINISTRATIVIMotivazione postuma e convalida.
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Atto amministrativo – Convalida – Difetto di motivazione – Supplemento di motivazione – Condizione.
  
Atto amministrativo – Convalida – Difetto di motivazione – In corso di giudizio – Limiti.
  
Atto amministrativo – Convalida – Difetto di motivazione – Art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 come modificato dall’art. 12, comma 1, lett. e), d.l. n. 76 del 2020 – Applicabilità.
  
Ai fini della convalida dell’atto viziato da insufficiente motivazione, va posta la distinzione:
a) se l’inadeguatezza della motivazione riflette un vizio sostanziale della funzione (in termini di contraddittorietà, sviamento, travisamento, difetto dei presupposti), il difetto degli elementi giustificativi del potere non può giammai essere emendato, tanto meno con un mero maquillage della motivazione: l’atto dovrà comunque essere annullato;
b) se invece la carenza della motivazione equivale unicamente ad una insufficienza del discorso giustificativo-formale, ovvero al non corretto riepilogo della decisione presa, siamo di fronte ad un vizio formale dell’atto e non della funzione: in tale caso, non vi sono ragioni per non riconoscersi all’amministrazione la possibilità di tirare nuovamente le fila delle stesse risultanze procedimentali, munendo l’atto originario di una argomentazione giustificativa sufficiente e lasciandone ferma l’essenza dispositiva, in quanto riflette la corretta sintesi ordinatoria degli interessi appresi nel procedimento (1).
  
La convalida dell’atto viziato da insufficiente motivazione, va posta la distinzione:
a) se l’inadeguatezza della motivazione riflette un vizio sostanziale può essere adottata anche se pende l’impugnativa dell’atto da convalidare; in tale caso, l’interessato, con motivi aggiunti, può domandare, sia l’annullamento dell’atto di convalida perché autonomamente viziato ‒contestandone quindi la stessa ammissibilità‒, sia l’annullamento dell’atto come convalidato, adducendone la persistente illegittimità (2).
  
L’art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, come novellato dall’art. 12, comma 1, lett. e, d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.09.2020, n. 120 ‒che impone alla pubblica amministrazione di esaminare l’affare nella sua interezza, già nella fase del procedimento, sollevando, una volta per tutte la questioni ritenute rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente in relazione ai profili non ancora esaminati‒ deve trovare applicazione, per evidenti ragioni sistematiche (e per evitare facili aggiramenti), anche nel caso di convalida per difetto di motivazione (3).
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   (1) La Sezione ha affrontato la questione della conservazione dell’atto amministrativo operata mediante un nuovo atto integrativo della motivazione insufficiente.
La dottrina pubblicistica ha sempre ritenuto ammissibile il fenomeno della «convalescenza» dell’atto amministrativo. La possibilità per l’Amministrazione di concludere il riesame del proprio operato con una decisione di carattere conservativo trova fondamento nel principio generale di economicità e conservazione dei valori giuridici e nella garanzia del buon andamento dell’agire amministrativo.
A seconda della specie di vizio da emendarsi, è stata nel corso del tempo elaborata una articolata tassonomia di atti ad esito confermativo, dei quali fanno parte: la conferma, la ratifica, la convalida, la rettifica, la conversione e la sanatoria.
Sul piano della ricostruzione sistematica, l’insieme di tali istituti è stato ricompreso nella categoria dell’autotutela, ovvero della potestà generale dell’amministrazione di prevenire o risolvere le controversie sulla legittimità dei propri atti, inquadrandoli fra i procedimenti di secondo grado.
In particolare, la pubblica amministrazione ha la facoltà di convalidare i propri atti affetti da vizi di legittimità, attraverso una manifestazione di volontà intesa ad eliminare il vizio da cui l’atto stesso è inficiato.
Al pari dell’istituto romanistico della convalida del contratto annullabile, la convalida amministrativa trae anch’essa origine dalla necessità di rimediare alla “rottura” del collegamento funzionale tra fattispecie concreta e fattispecie astratta, ma si distingue dall’omonimo istituto civilistico, in quanto: nel diritto privato, la convalida si attua attraverso atti e comportamenti negoziali della parte che potrebbe avvalersi dell’invalidità a proprio vantaggio; nel diritto amministrativo, invece soggetto legittimato alla convalida è colui (l’apparato amministrativo) che intende prevenire o scongiurare l’azione di annullamento della controparte.
La l. 11.02.2005, n. 15, ha tipizzato la figura, pur restando tra gli istituti meno studiati in ragione della sua limitata applicazione pratica e giurisprudenziale.
Il comma 2 dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990 fa espressamente «salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole».
Per quanto scarna, la proposizione tratteggia la convalida come un istituto di carattere generale, volto a rendere l’atto stabile a tutti gli effetti per i quali è preordinato, ogniqualvolta il pubblico interesse ne richieda il consolidamento.
Sotto altro profilo, la collocazione della norma nel medesimo articolo dedicato all’annullamento d’ufficio, conferma la comune ambientazione dei due istituti nell’ambito dell’autotutela. Tale correlazione appare altresì espressiva di un principio di preferenza per la scelta amministrativa volta alla correzione e alla conservazione ‒ove possibile‒ di quanto precedentemente disposto, rispetto all’opzione eliminatoria.
L’ampiezza della formula utilizzata dal legislatore consente di ricomprendere nella convalida anche altre figure giuridiche, pure espressive del fenomeno della convalescenza, quali: i) la sanatoria, ovvero l’effetto che si verifica allorquando un provvedimento viziato per mancanza nel procedimento di un atto preparatorio viene sanato dalla successiva emanazione dell’atto mancante; ii) la ratifica, consistente nell’appropriazione dell’atto, emesso da un organo incompetente (ovvero fornito di una competenza temporanea e occasionale), da parte della Autorità che sarebbe stata competente.
La convalida continua invece a distinguersi, per struttura e funzione, da altri istituti limitrofi e segnatamente:
   a) dall’atto meramente confermativo ‒enucleato dalla giurisprudenza per impedire l’elusione della perentorietà del termine di ricorso‒ il quale non modifica forma, motivazione e dispositivo del provvedimento confermato (rimasto generalmente inoppugnato);
   b) dalla conferma propria, la quale ‒sebbene connotata dall’apertura di una nuova istruttoria‒ non è comunque volta a rimuovere alcun vizio;
   c) dalla rettifica, avente ad oggetto le difformità che con comportano l’invalidità del provvedimento originario ma solo la sua irregolarità; d) dalla conversione che tiene fermo l’atto originario sussumendolo però sotto una diversa fattispecie legale.
Sul piano della dinamica giuridica, la convalida non determina una modificazione strutturale del provvedimento viziato (non configurabile neppure logicamente, essendosi la fattispecie stessa già integralmente conclusa), bensì il sorgere di una fattispecie complessa, derivante dalla “saldatura” con il provvedimento convalidato, fonte di una sintesi effettuale autonoma.
L’efficacia consolidativa degli effetti della convalida opera retroattivamente: il provvedimento di convalida, ricollegandosi all’atto convalidato, ne mantiene fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato (si tratta di una opinione risalente quantomeno a Consiglio di Stato, sez. V, 21.07.1951, n. 682). La decorrenza ex tunc è connaturale alla funzione della convalida di eliminare gli effetti del vizio con un provvedimento nuovo ed autonomo. È questa la principale differenza rispetto alla rinnovazione dell’atto che invece non retroagisce per conservarne gli effetti fin dall’origine.
La retroattività della convalida trova tuttavia un importante limite nelle ipotesi in cui l’esercizio del potere sia sottoposto ad un termine perentorio, scaduto il quale anche il potere di convalida viene necessariamente meno.
Sul piano della struttura, il legislatore conferma che la convalida ha un contenuto positivo e non si sostanzia nella mera rinunzia a far valere la potestà di auto-annullamento (come pure in passato teorizzato da alcuni autori).
Il legislatore non ha voluto tuttavia irrigidire i requisiti di forma-contenuto dell’atto: pare quindi superato quell’orientamento giurisprudenziale che, in analogia con le disposizioni del codice civile, riteneva che la convalida dovesse necessariamente contenere l’espressa menzione dell’atto da convalidare, del vizio che lo inficia, e la chiara manifestazione della volontà di eliminare il vizio.
Appare infatti sufficiente che, dal tenore complessivo, si desuma che la “causa” dell’atto è quella di dare stabilità e sicurezza a un atto invalido, in quanto la situazione, che da esso è derivata, ne richiede il consolidamento (e dunque «sussistendone le ragioni di interesse pubblico»).
La norma, analogamente a quanto disposto per l’annullamento d’ufficio, richiede che l’esercizio del potere di riesame avvenga entro un termine ragionevole. Peraltro, è interessante notare come lo stesso trascorrere del tempo possa contribuire a corroborare il legittimo affidamento del privato che dal provvedimento invalido abbia ricavato delle utilità (circostanza, come noto, ostativa all’esercizio dei poteri di auto-annullamento ai sensi dell’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990).
Ciò posto in via generale, veniamo ora al principale nodo problematico rilevante ai fini del decidere: l’emendabilità tramite l’atto di convalida del vizio di motivazione, in termini generali e nel corso del giudizio già instaurato per il suo annullamento.
Non si vi sono dubbi circa la possibilità di emendare i vizi di tipo formale e procedimentale, ivi compreso quello di incompetenza (relativa). Deve ritenersi possibile per la pubblica amministrazione anche di procedere alla convalida di un provvedimento non annullabile ai sensi del citato comma 2 dell’art. 21-octies (la cui regola si muove sul piano processuale), sebbene in tal caso l’utilità giuridica consista al più soltanto in una maggiore certezza e stabilità del rapporto amministrativo.
Non sono invece sanabili i vizi che possono definirsi “sostanziali” ‒derivanti cioè dall’insussistenza di un presupposto o requisito di legge, ovvero dall’irragionevolezza e non proporzionalità del decisum‒ rispetto ai quali la semplice dichiarazione dell’Amministrazione di volerli convalidare non può che rimanere priva di effetto.
La convalida, in questi casi, non potrebbe mai assicurare il permanere, senza alterazioni, della parte dispositiva del provvedimento su cui intende operare. Se infatti l’illegittimità attiene al contenuto dell’atto, la stessa può essere eliminata solo attraverso la sua riforma (spunti in tal senso si traggono, sia pure nel diverso contesto della c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio, nella decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 17 del 2020).
Sono così poste le basi per comprendere entro quali limiti è possibile convalidare ‒ossia sottrarre al rimedio dell’annullamento (e dell’auto annullamento)‒ il vizio di insufficiente motivazione.
   (2) La Sezione si è posta il problema della convalida in corso di giudizio.
Nel vigore del modello processuale amministrativo primigenio ‒in cui la
res litigiosa era tutta incentrata “sull’atto”‒, si è sempre ritenuta ineludibile condizione di ammissibilità della convalida la circostanza che non fosse pendente l’impugnativa dell’atto da convalidare. Se infatti ‒si diceva‒ la convalida valesse ad impedire l’annullamento dell’atto invalido in pendenza di una impugnativa giurisdizionale, l’Autorità finirebbe con l’eludere le garanzie predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento, il quale «ha acquisito il diritto a ottenere una decisione di annullamento del provvedimento viziato».
A tale assunto, si faceva eccezione soltanto per il caso del vizio di incompetenza in virtù dell’espressa previsione contenuta nell’art. 6, l. n. 249 del 1968 ‒secondo cui “Alla convalida in corso di giudizio degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale”‒ norma ritenuta dai più espressiva di un principio generale, come tale applicabile per analogia anche ad altri casi affini.
Sennonché, le ragioni di tale preclusione sono totalmente venute meno nell’impianto del nuovo processo amministrativo.
In primo luogo, al privato è oramai riconosciuta la possibilità di impugnare, mediante la proposizione di motivi aggiunti, tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti e connessi all’oggetto del ricorso stesso.
L’interessato, quindi, nel corso del medesimo giudizio, ben potrà domandare, sia l’annullamento dell’atto di convalida perché autonomamente viziato ‒contestandone quindi la stessa “ammissibilità”‒, sia l’annullamento dell’atto come convalidato, adducendone la persistente illegittimità.
Questa soluzione è inoltre conforme a principi di effettività e concentrazione della tutela (art. 7, comma 7, c.p.a.), i quali postulano il massimo ampliamento del contenuto di accertamento del giudicato amministrativo. Tale canone processuale si realizza facendo confluire all’interno dello stesso rapporto processuale ‒per quanto possibile‒ tutti gli aspetti della materia controversa dalla cui definizione possa derivare una risposta definitiva alla domanda del privato di acquisizione o conservazione di un certo bene della vita, evitando defatiganti parcellizzazioni della medesima disputa.
Quando l’Amministrazione conserva intatto il potere di riemanare un provvedimento con dispositivo identico a quello che risulterebbe annullato per mero difetto di motivazione ‒in quanto il giudicato non ha potuto accertare la spettanza del provvedimento favorevole‒, la combinazione di convalida (la quale può essere spontanea, ovvero occasionata da un ‘remand’ o da una richiesta di chiarimenti del giudice) e motivi aggiunti avverso l’atto di riesercizio del potere è in grado di accrescere le potenzialità cognitive dell’azione di annullamento, consentendo di focalizzare l’accertamento, per successive approssimazioni, sull’intera vicenda di potere (diversa è l’ipotesi in cui venga contestato un atti non ripetibile, giacché in tal caso, come si è detto sopra, la convalida non avrebbe effetto retroattivo).
Il predetto dispositivo di concentrazione ‒coniugando l’inesauribilità del potere amministrativo con il diritto di difesa‒ agevola entrambe le parti del giudizio, in quanto: consente al ricorrente una più rapida ed efficace verifica della sua possibilità di risultato vantaggioso (perseguita attraverso la deduzione di un vizio strumentale come il difetto di motivazione); consente all’amministrazione di evitare annullamenti del tutto “sovradimensionati” rispetto alla reale consistenza dell’interesse materiale del privato, potendo dimostrare che l’insufficiente motivazione non ha alterato la fondatezza sostanziale della decisione.
   (3) Nei procedimenti ad istanza di parte, la definizione positiva (e non parentetica) del conflitto sarà peraltro agevolata dalla nuova regola di preclusione procedimentale di cui all’art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 (come novellato dall’art. 12, comma 1, lett. e), d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.09.2020, n. 120), secondo cui “In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato”.
Tale precetto che impone alla pubblica amministrazione di esaminare l’affare nella sua interezza ‒già nella fase del procedimento (e non solo nel processo, come la giurisprudenza già riteneva in alcune ipotesi: cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 1321 del 2019), sollevando, una volta per tutte la questioni ritenute rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione ai profili non ancora esaminati‒ dovrà trovare attuazione, per evidenti ragioni sistematiche (e per evitare facili aggiramenti), anche nel caso di convalida per difetto di motivazione.
Ha ancora chiarito la Sezione che l’ammissibilità, nei limiti anzidetti, di una motivazione successiva non comporta una ‘dequotazione’ dell’obbligo motivazionale, sussistendo adeguati disincentivi alla sua inosservanza: sul piano individuale, perché restano ferme le ricadute negative sulla valutazione della performance del funzionario; sul piano processuale, in quanto il giudice potrà accollare (in tutto o in parte) le spese di lite all’Amministrazione che (pur non soccombente, cionondimeno) abbia con il suo comportamento dato scaturigine alla controversia (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2021 n. 3385 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
6.‒ Con il primo motivo di gravame, il Codacons contesta il capo di sentenza che ha dichiarato improcedibili il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti.
Il giudice di primo grado ha fondato tale statuizione sulla considerazione che il provvedimento di archiviazione del 23.09.2013, originariamente impugnato, doveva ritenersi oramai superato dal successivo atto del 18.04.2014, con il quale l’Autorità non si era limitata a confermare l’esito dell’archiviazione disposta, bensì aveva fornito le ragioni (che precedentemente non aveva puntualmente esplicitato) a sostegno della decisione assunta.
Secondo l’appellante, tale statuizione si porrebbe in contrasto con il divieto di motivazione postuma.
La questione così sollevata, in parte nuova, necessità di una premessa ricostruttiva.
6.1.‒ Il problema dell’integrazione della motivazione dell’atto amministrativo in corso di giudizio, può essere tematizzato in relazione alle seguenti diverse fattispecie:
   i) la motivazione postuma fornita dall’amministrazione resistente attraverso gli scritti difensivi;
   ii) la statuizione del giudice di non annullabilità dell’atto viziato da carente motivazione, qualora «sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato» (in applicazione, dunque, dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990);
   iii) la possibilità di sanare la motivazione carente o insufficiente con un provvedimento di convalida.
6.2.‒ Con riguardo alla prima ipotesi (dell’integrazione della motivazione tramite atto difensivo), l’orientamento della giurisprudenza è stato sempre di segno negativo.
Gli argomenti tradizionalmente addotti possono essere così sintetizzati: senza una motivazione anteriore al giudizio, verrebbero frustrati gli apporti (oppositivi o collaborativi) del partecipante al procedimento, essendo la motivazione della decisione strettamente legata alle «risultanze dell’istruttoria»; non si potrebbe consentire all’amministrazione di modificare unilateralmente l’oggetto del giudizio rappresentato dall’atto originariamente adottato; si imporrebbe al privato di attivare la tutela giurisdizionale praticamente “al buio”, potendo questi conoscere le ragioni alla base della decisione soltanto nel corso del processo; ulteriore conferma, nel segno della inammissibilità, si traeva poi dall’art. 6, della legge 18.03.1968, n. 249, il quale non ammetteva la convalida nelle more del giudizio se non con riguardo ai vizi di incompetenza.
6.3.‒ Il dibattito sulla motivazione postuma si è riproposto quando il legislatore, al fine di alleggerire il peso dei vincoli formali e procedimentali di una pubblica amministrazione che si sarebbe voluta informata ad una logica di “risultato” più che alla legalità “formale” dei singoli atti, ha introdotto la regola della non applicabilità della misura caducatoria in presenza di difformità dallo schema legale che non abbiano influenzato la composizione degli interessi prefigurata nel dispositivo della decisione (si tratta, come noto, dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge 07.08.1990, n. 241, inserito dall’articolo 14, comma 1, della legge 11.02.2005, n. 15).
Le pronunce che avevano inizialmente ritenuto di fare applicazione della predetta clausola di non annullabilità, considerando il difetto di motivazione come vizio di carattere meramente formale reso irrilevante dall’accertamento che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sono rimaste sporadiche e isolate.
L’indirizzo maggioritario della giurisprudenza amministrativa si è infatti ben presto orientato nel senso che «il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma […] e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti» (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione terza, 07.04.2014, n. 1629; sezione sesta, 22.09.2014, n. 4770; sezione terza, 30.04.2014, n. 2247; sezione quinta, 27.03.2013, n. 1808).
Sulla scorta di tale indirizzo giurisprudenziale, la Corte costituzionale ha dichiarato, con l’ordinanza 26.05.2015, n. 92, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, comma 2, della n. 241 de 1990, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, da una sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, motivando, tra l’altro, che la rimettente si era sottratta al doveroso tentativo di sperimentare l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, chiedendo un improprio avallo a una determinata interpretazione della norma censurata.
Anche la dottrina ha sostenuto l’opinione di inammissibilità della motivazione postuma (sia attraverso gli scritti difensivi che attraverso la regola del raggiungimento dello scopo), ritenendola in contrasto anche con le regole del giusto procedimento amministrativo come delineato dal diritto euro-unitario (in particolare, l’art. 296 TFUE, che richiede la motivazione per tutti gli atti delle istituzioni comunitarie, inclusi quelli normativi, e il diritto a una buona amministrazione di cui all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ) e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che qualifica la motivazione come «forma sostanziale» e motivo d’ordine pubblico da sollevarsi d’ufficio (ex plurimis, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. VII, 11.04.2013, n. 652, C-652/11).
6.4.‒ Nel presente giudizio viene in rilievo la diversa fattispecie della conservazione dell’atto amministrativo operata mediante un nuovo atto integrativo della motivazione insufficiente.
7.‒ La dottrina pubblicistica ha sempre ritenuto ammissibile il fenomeno della «convalescenza» dell’atto amministrativo. La possibilità per l’Amministrazione di concludere il riesame del proprio operato con una decisione di carattere conservativo trova fondamento nel principio generale di economicità e conservazione dei valori giuridici e nella garanzia del buon andamento dell’agire amministrativo.
A seconda della specie di vizio da emendarsi, è stata nel corso del tempo elaborata una articolata tassonomia di atti ad esito confermativo, dei quali fanno parte: la conferma, la ratifica, la convalida, la rettifica, la conversione e la sanatoria.
Sul piano della ricostruzione sistematica, l’insieme di tali istituti è stato ricompreso nella categoria dell’autotutela, ovvero della potestà generale dell’amministrazione di prevenire o risolvere le controversie sulla legittimità dei propri atti, inquadrandoli fra i procedimenti di secondo grado.
7.1.‒ In particolare, la pubblica amministrazione ha la facoltà di convalidare i propri atti affetti da vizi di legittimità, attraverso una manifestazione di volontà intesa ad eliminare il vizio da cui l’atto stesso è inficiato.
Al pari dell’istituto romanistico della convalida del contratto annullabile, la convalida amministrativa trae anch’essa origine dalla necessità di rimediare alla “rottura” del collegamento funzionale tra fattispecie concreta e fattispecie astratta, ma si distingue dall’omonimo istituto civilistico, in quanto: nel diritto privato, la convalida si attua attraverso atti e comportamenti negoziali della parte che potrebbe avvalersi dell’invalidità a proprio vantaggio; nel diritto amministrativo, invece soggetto legittimato alla convalida è colui (l’apparato amministrativo) che intende prevenire o scongiurare l’azione di annullamento della controparte.
7.2.‒ La legge 11.02.2005, n. 15, ha tipizzato la figura, pur restando tra gli istituti meno studiati in ragione della sua limitata applicazione pratica e giurisprudenziale.
Il comma 2 dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 fa espressamente «salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole».
Per quanto scarna, la proposizione tratteggia la convalida come un istituto di carattere generale, volto a rendere l’atto stabile a tutti gli effetti per i quali è preordinato, ogniqualvolta il pubblico interesse ne richieda il consolidamento.
Sotto altro profilo, la collocazione della norma nel medesimo articolo dedicato all’annullamento d’ufficio, conferma la comune ambientazione dei due istituti nell’ambito dell’autotutela. Tale correlazione appare altresì espressiva di un principio di preferenza per la scelta amministrativa volta alla correzione e alla conservazione ‒ove possibile‒ di quanto precedentemente disposto, rispetto all’opzione eliminatoria.
7.3.‒ L’ampiezza della formula utilizzata dal legislatore consente di ricomprendere nella convalida anche altre figure giuridiche, pure espressive del fenomeno della convalescenza, quali: i) la sanatoria, ovvero l’effetto che si verifica allorquando un provvedimento viziato per mancanza nel procedimento di un atto preparatorio viene sanato dalla successiva emanazione dell’atto mancante; ii) la ratifica, consistente nell’appropriazione dell’atto, emesso da un organo incompetente (ovvero fornito di una competenza temporanea e occasionale), da parte della Autorità che sarebbe stata competente.
La convalida continua invece a distinguersi, per struttura e funzione, da altri istituti limitrofi e segnatamente:
   a) dall’atto meramente confermativo ‒enucleato dalla giurisprudenza per impedire l’elusione della perentorietà del termine di ricorso‒ il quale non modifica forma, motivazione e dispositivo del provvedimento confermato (rimasto generalmente inoppugnato);
   b) dalla conferma propria, la quale ‒sebbene connotata dall’apertura di una nuova istruttoria‒ non è comunque volta a rimuovere alcun vizio;
   c) dalla rettifica, avente ad oggetto le difformità che con comportano l’invalidità del provvedimento originario ma solo la sua irregolarità;
   d) dalla conversione che tiene fermo l’atto originario sussumendolo però sotto una diversa fattispecie legale.
7.4.‒ Sul piano della dinamica giuridica, la convalida non determina una modificazione strutturale del provvedimento viziato (non configurabile neppure logicamente, essendosi la fattispecie stessa già integralmente conclusa), bensì il sorgere di una fattispecie complessa, derivante dalla “saldatura” con il provvedimento convalidato, fonte di una sintesi effettuale autonoma.
L’efficacia consolidativa degli effetti della convalida opera retroattivamente: il provvedimento di convalida, ricollegandosi all’atto convalidato, ne mantiene fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato (si tratta di una opinione risalente quantomeno a Consiglio di Stato, sez. V, 21.07.1951, n. 682). La decorrenza ex tunc è connaturale alla funzione della convalida di eliminare gli effetti del vizio con un provvedimento nuovo ed autonomo. È questa la principale differenza rispetto alla rinnovazione dell’atto che invece non retroagisce per conservarne gli effetti fin dall’origine.
La retroattività della convalida trova tuttavia un importante limite nelle ipotesi in cui l’esercizio del potere sia sottoposto ad un termine perentorio, scaduto il quale anche il potere di convalida viene necessariamente meno.
7.5.‒ Sul piano della struttura, il legislatore conferma che la convalida ha un contenuto positivo e non si sostanzia nella mera rinunzia a far valere la potestà di auto-annullamento (come pure in passato teorizzato da alcuni autori).
Il legislatore non ha voluto tuttavia irrigidire i requisiti di forma-contenuto dell’atto: pare quindi superato quell’orientamento giurisprudenziale che, in analogia con le disposizioni del codice civile, riteneva che la convalida dovesse necessariamente contenere l’espressa menzione dell’atto da convalidare, del vizio che lo inficia, e la chiara manifestazione della volontà di eliminare il vizio.
Appare infatti sufficiente che, dal tenore complessivo, si desuma che la “causa” dell’atto è quella di dare stabilità e sicurezza a un atto invalido, in quanto la situazione, che da esso è derivata, ne richiede il consolidamento (e dunque «sussistendone le ragioni di interesse pubblico»).
La norma, analogamente a quanto disposto per l’annullamento d’ufficio, richiede che l’esercizio del potere di riesame avvenga entro un termine ragionevole. Peraltro, è interessante notare come lo stesso trascorrere del tempo possa contribuire a corroborare il legittimo affidamento del privato che dal provvedimento invalido abbia ricavato delle utilità (circostanza, come noto, ostativa all’esercizio dei poteri di auto-annullamento ai sensi dell’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990).
8.‒ Ciò posto in via generale, veniamo ora al principale nodo problematico rilevante ai fini del decidere: l’emendabilità tramite l’atto di convalida del vizio di motivazione, in termini generali e nel corso del giudizio già instaurato per il suo annullamento.
8.1.‒ Non si vi sono dubbi circa la possibilità di emendare i vizi di tipo formale e procedimentale, ivi compreso quello di incompetenza (relativa). Deve ritenersi possibile per la pubblica amministrazione anche di procedere alla convalida di un provvedimento non annullabile ai sensi del citato comma 2 dell’art. 21-octies (la cui regola si muove sul piano processuale), sebbene in tal caso l’utilità giuridica consista al più soltanto in una maggiore certezza e stabilità del rapporto amministrativo.
Non sono invece sanabili i vizi che possono definirsi “sostanziali” ‒derivanti cioè dall’insussistenza di un presupposto o requisito di legge, ovvero dall’irragionevolezza e non proporzionalità del decisum‒ rispetto ai quali la semplice dichiarazione dell’Amministrazione di volerli convalidare non può che rimanere priva di effetto.
La convalida, in questi casi, non potrebbe mai assicurare il permanere, senza alterazioni, della parte dispositiva del provvedimento su cui intende operare. Se infatti l’illegittimità attiene al contenuto dell’atto, la stessa può essere eliminata solo attraverso la sua riforma (spunti in tal senso si traggono, sia pure nel diverso contesto della c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio, nella decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 17 del 2020).
8.2.‒ Sono così poste le basi per comprendere entro quali limiti è possibile convalidare ‒ossia sottrarre al rimedio dell’annullamento (e dell’auto annullamento)‒ il vizio di insufficiente motivazione. In particolare, va rimarcata la seguente distinzione:
   i) se l’inadeguatezza della motivazione riflette un vizio sostanziale della funzione (in termini di contraddittorietà, sviamento, travisamento, difetto dei presupposti), il difetto degli elementi giustificativi del potere non può giammai essere emendato, tanto meno con un mero maquillage della motivazione: l’atto dovrà comunque essere annullato;
   ii) se invece la carenza della motivazione equivale unicamente ad una insufficienza del discorso giustificativo-formale, ovvero al non corretto riepilogo della decisione presa, siamo di fronte ad un vizio formale dell’atto e non della funzione: in tale caso, non vi sono ragioni per non riconoscersi all’amministrazione la possibilità di tirare nuovamente le fila delle stesse risultanze procedimentali, munendo l’atto originario di una argomentazione giustificativa sufficiente e lasciandone ferma l’essenza dispositiva, in quanto riflette la corretta sintesi ordinatoria degli interessi appresi nel procedimento.
8.2.‒ Rimane il tema della convalida in corso di giudizio.
Nel vigore del modello processuale amministrativo primigenio ‒in cui la res litigiosa era tutta incentrata “sull’atto”‒, si è sempre ritenuta ineludibile condizione di ammissibilità della convalida la circostanza che non fosse pendente l’impugnativa dell’atto da convalidare. Se infatti ‒si diceva‒ la convalida valesse ad impedire l’annullamento dell’atto invalido in pendenza di una impugnativa giurisdizionale, l’Autorità finirebbe con l’eludere le garanzie predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento, il quale «ha acquisito il diritto a ottenere una decisione di annullamento del provvedimento viziato».
A tale assunto, si faceva eccezione soltanto per il caso del vizio di incompetenza in virtù dell’espressa previsione contenuta nell’art. 6, della legge n. 249 del 1968 ‒secondo cui: «Alla convalida in corso di giudizio degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale»‒ norma ritenuta dai più espressiva di un principio generale, come tale applicabile per analogia anche ad altri casi affini.
Sennonché, le ragioni di tale preclusione sono totalmente venute meno nell’impianto del nuovo processo amministrativo.
8.3.‒ In primo luogo, al privato è oramai riconosciuta la possibilità di impugnare, mediante la proposizione di motivi aggiunti, tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti e connessi all’oggetto del ricorso stesso.
L’interessato, quindi, nel corso del medesimo giudizio, ben potrà domandare, sia l’annullamento dell’atto di convalida perché autonomamente viziato ‒contestandone quindi la stessa «ammissibilità»‒, sia l’annullamento dell’atto come convalidato, adducendone la persistente illegittimità.
8.4.‒ Questa soluzione è inoltre conforme a principi di effettività e concentrazione della tutela (art. 7, comma 7, del c.p.a.), i quali postulano il massimo ampliamento del contenuto di accertamento del giudicato amministrativo. Tale canone processuale si realizza facendo confluire all’interno dello stesso rapporto processuale ‒per quanto possibile‒ tutti gli aspetti della materia controversa dalla cui definizione possa derivare una risposta definitiva alla domanda del privato di acquisizione o conservazione di un certo bene della vita, evitando defatiganti parcellizzazioni della medesima disputa.
Quando l’Amministrazione conserva intatto il potere di riemanare un provvedimento con dispositivo identico a quello che risulterebbe annullato per mero difetto di motivazione ‒in quanto il giudicato non ha potuto accertare la spettanza del provvedimento favorevole‒, la combinazione di convalida (la quale può essere spontanea, ovvero occasionata da un ‘remand’ o da una richiesta di chiarimenti del giudice) e motivi aggiunti avverso l’atto di riesercizio del potere è in grado di accrescere le potenzialità cognitive dell’azione di annullamento, consentendo di focalizzare l’accertamento, per successive approssimazioni, sull’intera vicenda di potere (diversa è l’ipotesi in cui venga contestato un atti non ripetibile, giacché in tal caso, come si è detto sopra, la convalida non avrebbe effetto retroattivo).
Il predetto dispositivo di concentrazione ‒coniugando l’inesauribilità del potere amministrativo con il diritto di difesa‒ agevola entrambe le parti del giudizio, in quanto:
   - consente al ricorrente una più rapida ed efficace verifica della sua possibilità di risultato vantaggioso (perseguita attraverso la deduzione di un vizio strumentale come il difetto di motivazione);
   - consente all’amministrazione di evitare annullamenti del tutto «sovradimensionati» rispetto alla reale consistenza dell’interesse materiale del privato, potendo dimostrare che l’insufficiente motivazione non ha alterato la fondatezza sostanziale della decisione.
Nei procedimenti ad istanza di parte, la definizione positiva (e non parentetica) del conflitto sarà peraltro agevolata dalla nuova regola di preclusione procedimentale di cui all’art. 10-bis, della legge 241 del 1990 (come novellato dall’articolo 12, comma 1, lettera e, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.09.2020, n. 120), secondo cui: «In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato».
Tale precetto che impone alla pubblica amministrazione di esaminare l’affare nella sua interezza ‒già nella fase del procedimento (e non solo nel processo, come la giurisprudenza già riteneva in alcune ipotesi: cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 1321 del 2019), sollevando, una volta per tutte la questioni ritenute rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione ai profili non ancora esaminati‒ dovrà trovare attuazione, per evidenti ragioni sistematiche (e per evitare facili aggiramenti), anche nel caso di convalida per difetto di motivazione.
8.5.‒ L’ammissibilità, nei limiti anzidetti, di una motivazione successiva non comporta una ‘dequotazione’ dell’obbligo motivazionale, sussistendo adeguati disincentivi alla sua inosservanza: sul piano individuale, perché restano ferme le ricadute negative sulla valutazione della performance del funzionario; sul piano processuale, in quanto il giudice potrà accollare (in tutto o in parte) le spese di lite all’Amministrazione che (pur non soccombente, cionondimeno) abbia con il suo comportamento dato scaturigine alla controversia (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2021 n. 3385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATALa motivazione costituisce il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti.
In particolare, “la motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti, non potendo perciò il suo difetto o la sua inadeguatezza essere in alcun modo assimilati alla mera violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma.
La motivazione del provvedimento costituisce infatti “l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata”, e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio”.
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5. Procedendo all’esame dei motivi di impugnazione, deve, in primo luogo, rilevarsi che le uniche ragioni di diniego esaminabili nel presente giudizio sono quelle recate nei provvedimenti impugnati in prime cure, non potendo estendersi il thema decidendum mediante meri scritti difensivi.
Nel processo amministrativo l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento -nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta- oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.
La motivazione costituisce, infatti, il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (Consiglio di Stato, sez. VI, 19.10.2018, n. 5984).
In particolare, “la motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (si veda Cons. St., Sez. III, 07.04.2014, n. 1629), non potendo perciò il suo difetto o la sua inadeguatezza essere in alcun modo assimilati alla mera violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma.
La motivazione del provvedimento costituisce infatti “l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata” (Consiglio di Stato, III, 30.04.2014, n. 2247), e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio
” (Consiglio di Stato, sez. V, 10.09.2018, n. 5291) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 26.04.2021 n. 3352 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il potere del Sindaco di adottare ordinanze contingibili e urgenti è limitato, ai sensi dell’art. 50, comma 5, del D.Lgs. 18/08/2000, n. 267, al verificarsi di “emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale” di talché deve ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia urgenza di provvedere o un pregiudizio in atto (come quello ipotizzato nel caso di specie, atteso che il pericolo derivante dalla diffusione della nuova Tecnologia 5g appare, allo stato, non effettivo e scientificamente non accertato) o, comunque, si tratti di compiere valutazioni aventi una portata non localizzata al solo territorio comunale.
Deve, altresì, osservarsi che per giurisprudenza costante, la materia in esame non si presta a essere regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente essendo riservata alla competenza esclusiva dello Stato mentre “la valutazione sui rischi connessi all’esposizione derivante dagli impianti di telecomunicazioni è di esclusiva pertinenza dell’A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione della struttura e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato”.
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... per l'annullamento
   - del provvedimento prot. n. 867/2619, comunicato a mezzo PEC in data del 26.01.2021, con il quale il Comune di Martinsicuro ha richiesto alla Wind Tre S.p.A. un'integrazione documentale, nel contempo comunicando “il divieto di iniziare i lavori o la sospensione nel caso in cui fossero iniziati”;
   - dell'ordinanza sindacale n. 19 del 10.03.2021, con la quale il Sindaco del Comune di Martinsicuro ha disposto il divieto temporaneo di installazione di nuove stazioni radio base e l'ampliamento/adeguamento/implementazione di quelle esistenti, per 6 mesi, nelle more dell'adozione del nuovo piano comunale di localizzazione degli impianti e delle infrastrutture funzionali al fine di razionalizzare l'installazione degli impianti;
   - di ogni altro atto ad essi presupposto, connesso e/o consequenziale ivi incluso, ove possa occorrere, il verbale di deliberazione del Consiglio Comunale n. 33 del 23.12.2019, richiamato nel provvedimento prot. 867/2619.
...
2.§- Il gravame è infatti meritevole di positivo apprezzamento.
...
2.3.§- Da ultimo è chiaramente illegittima anche l’ordinanza sindacale con cui, nelle more dell’adozione del nuovo piano comunale di localizzazione degli impianti e delle infrastrutture, il Sindaco del Comune di Martinsicuro ha disposto il divieto temporaneo per la durata di mesi sei di installazione di nuove stazioni radio base e dell’ampliamento/adeguamento/implementazione di quelle esistenti.
Deve rilevarsi al riguardo che è vietato ai Comuni, nelle more dell'adozione dei regolamenti di cui all’art. 8, comma 6, della L. 36/2001, disporre la sospensione della realizzabilità degli interventi di che trattasi (in questo senso, Cons. Stato, Sez. VI, 27.12.2010, n. 9414), bloccando il rilascio delle autorizzazioni necessarie all’installazione degli impianti di telefonia mobile.
Questo Tribunale ha già avuto cura di rimarcare (ibidem TAR Abruzzo, L’Aquila, sentenza n. 8/2021) che il potere del Sindaco di adottare ordinanze contingibili e urgenti è limitato, ai sensi dell’art. 50, comma 5, del D.Lgs. 18/08/2000, n. 267, al verificarsi di “emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale” di talché deve ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia urgenza di provvedere o un pregiudizio in atto (come quello ipotizzato nel caso di specie, atteso che il pericolo derivante dalla diffusione della nuova Tecnologia 5g appare, allo stato, non effettivo e scientificamente non accertato) o, comunque, si tratti di compiere valutazioni aventi una portata non localizzata al solo territorio comunale.
Deve, altresì, osservarsi che per giurisprudenza costante, la materia in esame non si presta a essere regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente (ex multis TAR Sicilia Catania, Ordinanza 22.07.2020 n. 549/2020; TAR Catania, I, 22.05.2020, n. 1126; I. 07.07.2020, n. 1641) essendo riservata alla competenza esclusiva dello Stato (Corte Costituzionale sentenza n. 307 del 07.10.2003) mentre “la valutazione sui rischi connessi all’esposizione derivante dagli impianti di telecomunicazioni è di esclusiva pertinenza dell’A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione della struttura e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato” (cfr. TAR Catania, I, 26/11/2019, n. 2858; Ord., I, 30.3.2020, n. 236).
3.§- Per le ragioni esposte il ricorso in epigrafe è fondato e, pertanto, va accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 26.04.2021 n. 237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVICompatibilità della disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 con i principi costituzionali ed unionali.
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Informativa antimafia – Disciplina - Compatibilità con i principi costituzionali ed unionali
La disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 in materia di informativa antimafia non si pone in contrasto con i principi costituzionali ed eurounitari (1).
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   (1) La Sezione ha premesso di non ignorare che voci fortemente critiche si sono alzate rispetto alla presunta indeterminatezza dei presupposti normativi che legittimano l’emissione dell’informazione antimafia, soprattutto dopo la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23.02.2017, riguardante le misure di prevenzione personali, e taluni autori, nel preconizzare l’“onda lunga” di questa pronuncia anche nella contigua materia della documentazione antimafia, hanno fatto rilevare come anche l’informazione antimafia generica, nelle ipotesi dell’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011 (accertamenti disposti dal Prefetto da compiersi anche avvalendosi dei poteri di accesso), sconterebbe un deficit di tipicità non dissimile da quello che, secondo i giudici di Strasburgo, affligge l’art. 1, lett. a) e b), del medesimo d.lgs. n. 159 del 2011.
Si è osservato che l’assoluta indeterminatezza delle condizioni che possono consentire al Prefetto di emettere una informazione antimafia “generica”, in tali ipotesi di non meglio determinati accertamenti disposti dal Prefetto, apparirebbe poco sostenibile in un ordinamento democratico che rifugga dagli antichi spettri del diritto di polizia o dalle “pene” del sospetto e voglia ancorare qualsiasi provvedimento restrittivo di diritti fondamentali a basi legali precise e predeterminate.
L’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011 –ma con un ragionamento applicabile anche alla seconda parte dell’art. 91, comma 6, dello stesso Codice, laddove si riferisce a non meglio precisati “concreti elementi”– non contemplerebbe, secondo tale tesi, alcun parametro oggettivo, anche il più indeterminato, che possa in qualche modo definire il margine di apprezzamento discrezionale del Prefetto, rendendo del tutto imprevedibile la possibile adozione della misura.
La Sezione ha ritenuto, alla stregua di quanto già affermato dalla Sezione (05.09.2019, n. 6105), che questa tesi non possa essere seguita e che, ferma restando ovviamente, se del caso, ogni competenza del giudice europeo per l’applicazione del diritto convenzionale e, rispettivamente, della Corte costituzionale per l’applicazione delle disposizioni costituzionali, non sia prospettabile alcuna violazione dell’art. 1, Protocollo 1 addizionale, Cedu, con riferimento al diritto di proprietà, e, per il tramite di tale parametro interposto, nessuna violazione dell’art. 117 Cost. per la mancanza di una adeguata base legale atta ad evitare provvedimenti arbitrari.
Anche gli accertamenti disposti dal Prefetto, nella stessa provincia in cui ha sede l’impresa o in altra, sono finalizzati, infatti, a ricercare elementi dai quali possa desumersi, ai sensi dell’art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (v. anche art. 91, comma 4), “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate” e tali tentativi, per la loro stessa natura, possono essere desunti da situazioni fattuali difficilmente enunciabili a priori in modo tassativo.
Nella stessa sentenza sopra ricordata, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rammentato, in via generale, che “mentre la certezza è altamente auspicabile, può portare come strascico una eccessiva rigidità e la legge deve essere in grado di tenere il passo con il mutare delle circostanze”, conseguendone che “molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui interpretazione e applicazione sono questioni di pratica” (§ 107), e ha precisato altresì che “una legge che conferisce una discrezionalità deve indicare la portata di tale discrezionalità” (§ 108).
Ora, non si può negare che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, come si è visto, abbia fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” [quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f)], ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica.
L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.
Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 30.11.2017, dep. 04.01.2018, n. 111).
Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a verificare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame.
Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio.
La funzione di “frontiera avanzata” svolta dall’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi.
Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella citata sentenza, consiste anzitutto nel “tenere il passo con il mutare delle circostanze” secondo una nozione di legittimità sostanziale.
Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale, il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché “il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una ‘condizione’ personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale” (Cass. pen., sez. II, 09.07.2018, n. 30974).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha così enucleato –in modo sistematico a partire dalla sentenza n. 1743 del 03.05.2016 e con uno sforzo ‘tassativizzante’– le situazioni indiziarie, tratte dalle indicazioni legislative o dalla casistica giurisprudenziale, che possono costituire altrettanti ‘indici’ o ‘spie’ dell’infiltrazione mafiosa, non senza precisare che esse, per la loro stessa necessaria formulazione aperta, costituiscono un catalogo aperto e non già un numerus clausus in modo da poter consentire all’ordinamento di poter contrastare efficacemente l’infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa via via che essa assume forme sempre nuove e sempre mutevoli.
Basti qui ricordare a mo’ di esempio, nell’ambito di questa ormai consolidata e pur sempre perfettibile tipizzazione giurisprudenziale, le seguenti ipotesi, molte delle quali tipizzate, peraltro, in forma precisa e vincolata dal legislatore stesso:
   a) i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;
   b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa, nelle multiformi espressioni con le quali la continua evoluzione dei metodi mafiosi si manifesta;
   c) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011;
   d) i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”, in cui il ricambio generazionale mai sfugge al “controllo immanente” della figura del patriarca, capofamiglia, ecc., a seconda dei casi;
   e) i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;
   f) le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa;
   g) le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa, incluse le situazioni, recentemente evidenziate in pronunzie di questa Sezione, in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne, o simili, antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;
   h) la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;
   i) l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.
Come condivisibilmente affermato nella sentenza 05.09.2019, n. 6105, deve essere riaffermato, e con forza, che il sistema della prevenzione amministrativa antimafia non costituisce e non può costituire, in uno Stato di diritto democratico, un diritto della paura, perché deve rispettare l’irrinunciabile principio di legalità, non solo in senso formale ma anche sostanziale, sicché il giudice amministrativo, chiamato a sindacare il corretto esercizio del potere prefettizio nel prevenire l’infiltrazione mafiosa, deve farsi attento custode delle irrinunciabili condizioni di tassatività sostanziale e di tassatività processuale di questo potere per una tutela giurisdizionale piena ed effettiva di diritti aventi rango costituzionale, come quello della libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.), nel necessario, ovvio, bilanciamento con l’altrettanto irrinunciabile, vitale, interesse dello Stato a contrastare l’insidia delle mafie.
La libertà “dalla paura”, obiettivo al quale devono tendere gli Stati democratici, si realizza anche, e in parte rilevante, smantellando le reti e le gabbie che le mafie costruiscono, a scapito dei cittadini, delle imprese e talora anche degli organi elettivi delle amministrazioni locali, imponendo la legge del potere criminale sul potere democratico, garantito e, insieme, incarnato dalla legge dello Stato, per perseguire fini illeciti e conseguire illeciti profitti.
Al delicato bilanciamento raggiunto dall’interpretazione di questo Consiglio di Stato non osta nemmeno l’orientamento assunto dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 24 del 27.02.2019 e n. 195 del 24.07.2019, orientamento di cui, per la sua importanza sistematica anche nella materia della documentazione antimafia, occorre dare qui conto.
Come ha ben posto in rilievo la Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, infatti, allorché si versi –come nel caso di specie– al di fuori della materia penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base “dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione”.
Essenziale –nell’ottica costituzionale così come in quella convenzionale (Corte europea dei diritti dell’uomo, sez. V, 26.11.2011, Gochev c. Bulgaria; id., sez. I, 04.06.2002, Olivieiria c. Paesi Bassi; id. 20.05.2010, Lelas c. Croazia)– è, infatti, che tale interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa.
Nel caso di specie, non si può dubitare che l’interpretazione giurisprudenziale tassativizzante, a partire dalla sentenza n. 1743 del 03.05.2016, consenta ragionevolmente di prevedere l’applicazione della misura interdittiva in presenza delle due forme di contiguità, compiacente o soggiacente, dell’impresa ad influenze mafiose, allorquando, cioè, un operatore economico si lasci condizionare dalla minaccia mafiosa e si lasci imporre le condizioni (e/o le persone, le imprese e/o le logiche) da questa volute o, per altro verso, decida di scendere consapevolmente a patti con la mafia nella prospettiva di un qualsivoglia vantaggio per la propria attività.
Né elementi di segno diverso sul piano della tassatività sostanziale, per di più, si traggono dalla ancor più recente sentenza n. 195 del 24.07.2019, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale l’art. 28, comma 1, d.l. n. 113 del 2018, che aveva inserito il comma 7-bis nell’art. 143 del T.U.E.L., laddove la Corte costituzionale ha rilevato che, mentre per l’attivazione del potere di scioglimento del Consiglio comunale o provinciale occorre che gli elementi in ordine a collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso, raggiungano un livello di coerenza e significatività tali da poterli qualificare come “concreti, univoci e rilevanti” (art. 143, comma 1, del T.U.E.L.), invece, quanto alle “condotte illecite gravi e reiterate”, di cui al comma 7-bis censurato avanti alla Corte, è sufficiente che risultino mere “situazioni sintomatiche”, sicché il presupposto positivo del potere sostitutivo prefettizio “è disegnato dalla disposizione censurata in termini vaghi, ampiamente discrezionali e certamente assai meno definiti di quelli del potere governativo di scioglimento dei Consigli comunali e provinciali, pur essendo il primo agganciato a quest’ultimo come occasionale appendice procedimentale”.
Non è questo il caso, invece, dell’informazione antimafia, anche quella emessa ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011, poiché gli elementi di collegamento con la criminalità organizzata di tipo mafioso devono essere sempre concreti, univoci e rilevanti, come la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente chiarito. Anzi proprio la sentenza n. 195 del 24.07.2019 della Corte costituzionale sembra confermare sul piano sistematico, a contrario, che l’infiltrazione mafiosa ben possa fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti, dotati di coerenza e significatività, quali enucleati dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sì che venga soddisfatto il principio, fondamentale in ogni Stato di diritto come il nostro, secondo cui ogni potere amministrativo deve essere “determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa”, per usare le parole della Corte costituzionale (sent. n. 195 del 24.07.2019, appena citata, che richiama la sentenza n. 115 del 07.04.2011 della stessa Corte costituzionale sull’art. 54, comma 4, del T.U.E.L.)
Ritiene questo Collegio che, alla luce di quanto si è chiarito, siano così soddisfatte le condizioni di tassatività sostanziale, richieste dal diritto convenzionale e dal diritto costituzionale interno, e indefettibili anche per la delicatissima materia delle informazioni antimafia a tutela di diritti fondamentali, come la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte costituzionale nella propria costante giurisprudenza ribadiscono. La tassatività sostanziale, come appena ricordato nella citazione della giurisprudenza costituzionale, ben si concilia con la definita (dalla stessa Corte costituzionale) “elasticità della copertura legislativa”, giacché, come sopra detto, nella prevenzione antimafia lo Stato deve assumere almeno la stessa flessibilità nelle azioni e la stessa rapida adattabilità nei metodi, che le mafie dimostrano nel contesto attuale.
Parimenti la Sezione ha ritenuto che il criterio del “più probabile che non” soddisfi, a sua volta, le indeclinabili condizioni di tassatività processuale, pure menzionate dalla Corte costituzionale nella già richiamata sentenza n. 24 del 27.02.2019, afferenti alle modalità di accertamento probatorio in giudizio e, cioè, al quomodo della prova e “riconducibili a differenti parametri costituzionali e convenzionali […] tra cui, in particolare, il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e il diritto a un ‘giusto processo’ ai sensi, assieme, dell’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU […] di fondamentale importanza al fine di assicurare la legittimità costituzionale del sistema delle misure di prevenzione” (Corte cost. 27.02.2019, n. 24).
Lo standard probatorio sotteso alla regola del “più probabile che non”, nel richiedere la verifica della c.d. probabilità cruciale, impone infatti di ritenere, sul piano della tassatività processuale, più probabile l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa rispetto a “tutte le altre messe insieme”, nell’apprezzamento degli elementi indiziari posti a base del provvedimento prefettizio, che attingono perciò una soglia di coerenza e significatività dotata di una credibilità razionale superiore a qualsivoglia altra alternativa spiegazione logica, laddove l’esistenza di spiegazioni divergenti, fornite di un qualche elemento concreto, implicherebbe un ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 26.09.2017, n. 4483), non richiedendosi infatti, in questa materia, l’accertamento di una responsabilità che superi qualsivoglia ragionevole dubbio, tipico delle istanze penali, né potendo quindi traslarsi ad essa, impropriamente, le categorie tipiche del diritto e del processo penale, che ne frustrerebbero irrimediabilmente la funzione preventiva.
Per queste ragioni la Sezione ha ribadito il proprio orientamento, già riaffermato nella sentenza n. 758 del 30.01.2019, senza dover rimettere la questione di legittimità costituzionale e comunitaria degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, per violazione degli artt. 1 Prot. add. CEDU, art. 2 Prot. nn. 4 e 6 CEDU e degli artt. 3, 24, 41, 42, 97 e 111 Cost..
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, va del resto qui ricordato, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons. St., sez. III, 26.09.2017, n. 4483).
E questo Consiglio ha già esaurientemente illustrato nella già richiamata sentenza n. 758 del 2019, alle cui argomentazioni tutte qui ci si richiama, le ragioni per le quali a questa materia, sul piano della c.d. tassatività processuale, non è legittimo applicare le regole probatorie del giudizio penale, dove ben altri e differenti sono i beni di rilievo costituzionali a venire in gioco, e in particolare i criterî di accertamento, propri del giudizio dibattimentale, e la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, tipica inferenza logica che, se applicata al diritto della prevenzione, imporrebbe alla pubblica amministrazione una probatio diabolica, come si è osservato in dottrina, in quanto, se intesa in senso assoluto, richiederebbe di falsificare ogni ipotesi contraria e, se intesa in senso relativo (secondo il modello dell’abduzione pura, che implica l’assunzione di una ipotesi che va corroborata alla luce degli specifici riscontri probatori), richiederebbe alla pubblica amministrazione uno sforzo istruttorio sproporzionato rispetto alla finalità del suo potere e ai mezzi di cui è dotata per esercitarlo.
Le preoccupazioni, espresse dalla dottrina e da una parte minoritaria della giurisprudenza amministrativa, circa la tenuta costituzionale della prevenzione antimafia sono agevolmente superabili, per gli argomenti già esposti in merito all’istituto dell’informazione antimafia, ma anche ricorrendo al criterio dell’interpretazione sistematica, cui il giudice ben può ricorrere per valutare i profili applicativi e interpretativi di un istituto, esaminandone la coerenza con il sistema normativo in cui esso è inserito.
Ed allora, per la materia in esame, non può sfuggire come il codice antimafia abbia, al suo interno, principi ed istituti –ancorché diversi dalla interdittiva antimafia– che sono posti a presidio di un ragionevole contemperamento tra l’interesse generale prioritario alla prevenzione contro la mafia e il diritto di ciascun imprenditore alla tutela costituzionale di cui all’art. 41 Cost., appunto con i limiti che spetta al legislatore stabilire.
L’istituto della gestione con controllo giudiziale di cui all’art. 34-bis del codice antimafia, introdotto dall’art. 11, l. n. 161 del 2017, dimostra in particolare come il legislatore abbia ben considerato ipotesi in cui –pur in presenza di una informazione antimafia– l’interesse alla sopravvivenza di una impresa può essere tutelato accordando una “occasione” per rimuovere entro un periodo temporale breve, grazie appunto al controllo giudiziale sulla gestione aziendale, la contaminazione mafiosa che il provvedimento interdittivo aveva rilevato. E non a caso l’effetto sulla informazione antimafia non è certo caducante, giacché il giudice ordinario, che non ha potere di sindacarne la legittimità, determina solo la sospensione dell’effetto interdittivo dell’impresa per tutto il periodo della amministrazione controllata.
Il legislatore, quindi, ha stabilito:
   a) che l’informazione antimafia è meramente sospesa nei suoi effetti, fermo restando il sindacato del giudice amministrativo, che parimenti resta sospeso, potendo riprendere il procedimento dopo la conclusione del periodo fissato dal giudice ordinario;
   b) che, ove la contaminazione mafiosa sia ritenuta occasionale e quindi rimovibile in tempi brevi, la tutela costituzionale dell’impresa può essere garantita, seppure sotto il controllo del giudice cui spetterà valutare se durante il periodo stabilito –di solito uno o due anni– le infiltrazioni siano state tutte rimosse, anche attraverso riscontrabili modifiche nella compagine e nel “portafoglio contratti” della società.
Questa ulteriore riflessione vale in modo compiuto a sgombrare il campo da dubbi relativi alla sistematica condizione di equilibrio e contemperamento realizzata dal codice antimafia con riguardo a interessi e diritti meritevoli di indubbia considerazione.
La Sezione ha escluso peraltro l’esistenza di un obbligo di rimessione alla Corte di giustizia nella presente sede d’appello, per essere questo Consiglio di Stato giudice di ultima istanza per gli effetti dell’obbligo di rimessione alla Corte europea sancito dall’art. 267, comma 3, TFUE. Tale obbligo, infatti, non sussiste nelle ipotesi in cui la questione sollevata sia identica ad altra sollevata in relazione ad analoga fattispecie già decisa in via pregiudiziale della Corte, o la giurisprudenza costante della Corte risolva il punto di diritto controverso, indipendentemente dalla natura del procedimento in cui tale giurisprudenza si sia formata (c.d. teoria dell’acte éclairé); ipotesi, quest’ultima, che, alla luce della sopra riportata giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, appare ricorrere nel caso di specie (Cons. St., sez. III, 03.04.2019, n. 2212) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.04.2021 n. 3182 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIComunicazione dell’ordinanza che dispone l’interruzione del giudizio per morte dell’avvocato.
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Processo amministrativo – Interruzione – Per morte dell’avvocato – Ordinanza che dispone l’interruzione – Va comunicato anche alla parte personalmente.
Il provvedimento che dispone l’interruzione del processo per morte dell’avvocato deve essere comunicato anche alla parte personalmente, affinché la stessa sia messa in condizione di sanare il vulnus che ha subito la difesa tecnica (1).
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   (1) Ha chiarito il C.g.a. che la norma del codice di procedura civile che dispone l’interruzione del processo in caso di morte del difensore è una disposizione processuale a tutela del diritto di difesa, in adesione al dettato dell’art. 24 Cost..
La norma è finalizzata a limitare le conseguenze negative della sopravvenuta assenza di continuità della difesa tecnica.
L’interruzione del processo consente alla parte di provvedere a dotarsi dell’indispensabile difesa tecnica evitando che, nelle more, possano prodursi effetti processuali pregiudizievoli per la propria posizione.
La comunicazione alla parte personalmente si impone nel caso in cui la parte si sia costituita in processo a mezzo del procuratore poi deceduto, perché se la comunicazione fosse fatta presso il procuratore deceduto, la parte potrebbe non averne conoscenza.
Il provvedimento che dispone l’interruzione del processo deve essere, pertanto, comunicato anche alla parte personalmente, affinché la stessa sia messa in condizione di sanare il vulnus che ha subito la difesa tecnica (CGARS, ordinanza 20.04.2021 n. 351 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIInterdittiva antimafia e legami affettivi o parentali intercorrenti tra esponenti della compagine sociale e soggetti affiliati o vicini alle consorterie criminali.
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Informativa antimafia - Legame parentale - Tra esponenti della compagine sociale e soggetti affiliati o vicini alle consorterie criminali – Limiti.
Il legame parentale non costituisce di per sé un indizio dell’infiltrazione mafiosa, specie laddove il parente deriva la propria presunta pericolosità dalla frequentazione di altri soggetti; la pericolosità sociale non si trasferisce infatti automaticamente da un parente all’altro ma occorre almeno ipotizzare che dal rapporto di parentela sia scaturita una cointeressenza in illeciti rapporti o compartecipazione in azioni sospette (1).
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   (1) Ha chiarito il C.g.a. che ai sensi dell’art. 84, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011, l'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese.
L’art. 93 comma 4, dispone che il prefetto valuta se dai dati raccolti possano desumersi elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa, e l’art. 91 comma 6, che il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'art. 3, l. 13.08.2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall'art. 8-bis, l. 24.11.1981, n. 689.
La Corte costituzionale ha inquadrato l’istituto affermando che “il potere di adottare un'informazione interdittiva nei confronti delle imprese private oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa perché, pur comportando tale atto un grave sacrificio della libertà di impresa (nella specie era in gioco l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane), esso è giustificato dall'estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana” (Corte cost. 26.03.2020, n. 57).
Con riferimento ai rapporti di parentela la giurisprudenza (Cons. St., III, 08.07.2020, n. 4372) ha chiarito che "laddove il nucleo forte della motivazione del provvedimento prefettizio consista nella valorizzazione dei legami affettivi o parentali intercorrenti tra esponenti della compagine sociale e soggetti affiliati o vicini alle consorterie criminali, dovranno con chiarezza emergere gli elementi concreti che abbiano indotto l’Autorità a ritenere il predetto legame affettivo o parentale una via d’accesso agevolata alla gestione dell’impresa.
Non può dedursi, dal mero vincolo parentale con un soggetto controindicato, non supportato da ulteriori elementi validi, la vocazione criminale del parente stesso: tuttavia, è anche vero che, se non si può scegliere la propria parentela, si può cionondimeno scegliere di prendere le definitive distanze da essa, ove ponga in essere attività non accettabili.
Detto altrimenti, ben può il parente di un soggetto riconosciuto affiliato alle consorterie mafiose svolgere attività imprenditoriale, anche interfacciandosi con la committenza pubblica: a condizione, però, che sia chiara la sua distanza concreta e certa dal metodo e dal mondo criminale
” (CGARS, sentenza 16.04.2021 n. 323 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
12.1. I riferimenti normativi sono contenuti nel d.lgs. n. 159/2011 e, in particolare, nell’art. 84. comma 4, secondo cui l'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese, nell’art. 93, comma 4, secondo cui il prefetto valuta se dai dati raccolti possano desumersi elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa, e nell’art. 91 comma 6, secondo cui il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'articolo 3 della legge 13.08.2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall'articolo 8-bis della legge 24.11.1981, n. 689.
La Corte costituzionale ha inquadrato l’istituto affermando che “il potere di adottare un'informazione interdittiva nei confronti delle imprese private oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa perché, pur comportando tale atto un grave sacrificio della libertà di impresa (nella specie era in gioco l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane), esso è giustificato dall'estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana” (Corte cost., 26.03.2020, n. 57).
Si richiamano brevemente i principi già espressi da questo CGARS con riferimento all’istituto (20.07.2020, n. 641).
Il principio secondo cui in sede di applicazione di misure di prevenzione -e, fra esse, anche di misure interdittive ante delictum- occorre far riferimento ad una condotta tipizzata o a una situazione di fatto (obiettivamente percepibile) che la presupponga (o che sia indice presuntivo sintomatico del pericolo di condizionamento mafioso), è stato affermato dalla Corte costituzionale fin da tempo risalente (Corte cost., n. 2/1956, n. 23/1964, n. 68/1964, n. 113/1975 e n. 177/1980); e, in ultimo, anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 23.02.2017 in ricorso 43395/2009 De Tommaso c/ Italia), la quale, proprio in tema di misure di prevenzione in vigore nella Repubblica italiana, ha affermato l’importanza del rispetto sia del principio di tassatività sia del principio di specificità delle fattispecie, stigmatizzando negativamente le norme che non descrivono con sufficiente determinatezza le condotte umane da valutare ai fini dell’applicazione di misure preventive implicanti la compressione di diritti di libertà (ciò che peraltro era stato già fatto, fin da tempo ben anteriore alla pronunzia della Corte europea testé citata, da CGARS, 29.07.2016 n. 257 e da Cons. St., sez. III, 25.01.2016 n. 253).

ATTI AMMINISTRATIVIPermanenza dell’interesse alla pronuncia di merito una volta venuta meno l’utilità dell’annullamento.
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Processo amministrativo – Interesse a ricorrente – Sopravvenuta carenza - Decisione di merito – Solo ai fini risarcitori.
Ai sensi dell’art. 34 c.p.a., solo l’interesse risarcitorio dà titolo all’accertamento dell’illegittimità di un provvedimento impugnato, una volta divenuto inutile l’annullamento giurisdizionale di un provvedimento non più efficace (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che il principio secondo il quale l’interesse meritevole di tutela può correlarsi, una volta venuta meno l’utilità dell’annullamento, a posizioni d’interesse “strumentale o morale” ha riguardo ad utilità giuridiche comunque attuali, funzionalmente collegate agli effetti del provvedimento impugnato: consistenti, in altre parole, nel “vantaggio che il ricorrente può conseguire per effetto dell'accoglimento del ricorso” in relazione alla “concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell'interesse protetto” (Consiglio di Stato, sez. V, 12.05.2020, n. 2969).
Il legislatore ha perimetrato con chiarezza che l’unica forma d’interesse che legittima la prosecuzione del giudizio una volta acclarata l’inutilità dell’annullamento è quella che sorregge l’azione risarcitoria. Non esiste, evidentemente, un tertium genus (il cui riconoscimento sarebbe peraltro contra legem, in presenza del chiaro disposto dell’art. 34, comma 3, c.p.a.), ma unicamente il rilievo di posizioni d’interesse comunque connesse ad un bene della vita (ancorché immateriale) in qualche modo inciso dal provvedimento.
Il bene della vita cui aspira l’odierno appellante è invece relativo ad una sorta di “interpello” preventivo in merito all’organizzazione e all’attività d’impresa che possa, in futuro, costituire oggetto (non conflittuale) di atti di esercizio del potere amministrativo attribuito dalla disposizione del cui significato si controverte (art. 28, comma 2, d.lgs. 09.04.2008, n. 8). Una simile pretesa non legittima –per il diritto positivo- l’affermazione della permanenza dell’interesse all’accertamento della illegittimità del provvedimento nel giudizio impugnatorio, una volta acclarata l’inutilità della pronuncia caducatoria.
In un’ottica di coerenza sistematica va peraltro rilevato che neppure lo stesso interesse che, a determinate condizioni, legittima –ove ammissibile- la proposizione dell’azione di mero accertamento nel processo amministrativo, può essere ancorato alla tutela di situazioni future od eventuali, non potendo “prescindere dall'esistenza di un pregiudizio attuale del diritto” (Tar Toscana n. 1377 del 2020) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.04.2021 n. 3086 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIÈ costante la giurisprudenza nello statuire che l’omessa indicazione de responsabile del procedimento amministrativo “costituisce una semplice irregolarità, che non determina l'illegittimità del provvedimento finale, in quanto supplisce il criterio legale di imputazione del ruolo al dirigente preposto all'unità organizzativa competente”.
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4. Con la prima censura il ricorrente lamenta la violazione dell’art 20, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, poiché il nominativo del responsabile unico del procedimento non è stato comunicato entro dieci giorni dalla presentazione della domanda del permesso di costruire, avvenuta in data 1.10.2019, ma soltanto il 07.04.2020 con nota n. prot. 2413.
L’assunto non è fondato.
È invero costante la giurisprudenza nello statuire che l’omessa indicazione de responsabile del procedimento amministrativo “costituisce una semplice irregolarità, che non determina l'illegittimità del provvedimento finale, in quanto supplisce il criterio legale di imputazione del ruolo al dirigente preposto all'unità organizzativa competente” (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 02.11.2020, n. 6755) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.04.2021 n. 752 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2021

ATTI AMMINISTRATIVI: Tar Piemonte: i costi di riproduzione per l’accesso civico generalizzato non devono tradursi in una tassa extra ordinem.
Con la sentenza 23.03.2021 n. 332, il TAR Piemonte -Sez. II- dichiara l’illegittimità di un provvedimento di rigetto di una richiesta di accesso civico generalizzato, richiamando le circolari del Dipartimento della Funzione Pubblica a proposito del regime dei costi. La disciplina Foia prevede il principio di gratuità dell’accesso: è ammesso l’addebito dei soli costi di riproduzione, tra i quali non possono ricomprendersi le spese per il personale e quelle riferibili a servizi commerciali come l’I.V.A.
Ecco la storia.
Un Comitato ha chiesto a una società in house l’ostensione –cumulativamente, a titolo di accesso procedimentale, accesso civico generalizzato e accesso ambientale– di una serie di dati relativi ai flussi veicolari su base oraria registrati nell’area urbana di Torino in un determinato lasso di tempo. La società ha ritenuto l’istanza inammissibile, data la inesistenza dei dati richiesti e l’assenza di un obbligo di elaborarli a richiesta.
A seguito dell’accoglimento del ricorso da parte del Tar Piemonte con pronuncia n. 720/2020 la società in house ha comunicato all’istante di essere disponibile a mettere a disposizione un DVD contenente i dati richiesti, previo pagamento di un importo superiore a 2mila euro a copertura dei costi sostenuti per le attività di estrazione, così calcolati: 3 giorni uomo per un analista dati (euro 1.536,00 IVA esclusa) e 1 giorno uomo per un gestore servizi (euro 560,00 IVA esclusa).
L’istante ha nuovamente proposto ricorso al TAR Piemonte, lamentando, tra le altre cose, la violazione del principio della gratuità esplicitato all’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, secondo cui “il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali” (disposizione peraltro richiamata esplicitamente dal Regolamento sull’accesso civico della società).
Nell’accogliere il ricorso, il Tar Piemonte ha, anzitutto, fatto proprio il chiarimento fornito nella Circolare n. 1/2019 del Ministro della pubblica amministrazione, secondo cui “possono essere addebitati solo i costi strettamente necessari per la riproduzione di dati e documenti richiesti, ad esclusione di qualsiasi altro onere a carico del cittadino.
In particolare, il costo rimborsabile, corrispondente a quello “effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione”, non include il costo per il personale impiegato nella trattazione delle richieste di accesso, essendo quest’ultimo un onere che, in linea di principio, grava sulla collettività che intenda dotarsi di un’amministrazione moderna e trasparente
” (par. 4).
Su questa base, constatato che i costi inerenti ad attività umane sono generalmente quelli di ricerca ed estrazione del dato/documento, ha chiarito che tali costi non possono essere posti interamente a carico dei richiedenti, neppure in base all’art. 25 della L. n. 241/1990, che prevede la possibilità di imporre “diritti di ricerca” (da aggiungersi ai costi di riproduzione), ma intendendoli al più come compartecipazione alle spese, e non come prestazione di servizi a carattere commerciale (alla cui logica, peraltro, sembra ispirarsi il provvedimento impugnato, assoggettando a IVA la prestazione).
A sostegno di tale orientamento, il TAR Piemonte ha altresì invocato l’iter parlamentare che ha portato all’approvazione del d.lgs. n. 97/2016, rilevando che, mentre l’iniziale schema di decreto sul punto (art. 6) subordinava il rilascio di dati in formato elettronico o cartaceo “al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione”, il testo finale approvato fa riferimento al più restrittivo concetto di “costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali”.
Pertanto, secondo il Tar Piemonte, in virtù “di una interpretazione non solo letterale della norma ma anche logico-evolutiva, è ragionevole sostenere che corrisponda alla voluntas legis l’esclusione dei costi del personale impiegato nella gestione delle pratiche di accesso civico, inclusi quelli relativi all’attività di estrazione dei dati e dei documenti dai relativi archivi, facendo gli stessi carico alla fiscalità generale. Ciò vale, in linea di principio per tutte le forme di accesso, come peraltro ribadito dalla più recente giurisprudenza”.
Questa pronuncia si pone in linea di continuità con altri precedenti sul tema. Tra questi, si può richiamare il Tar Toscana (sez. I, sentenza 26.04.2019 n. 615) secondo cui “la garanzia del diritto di accesso costituisce un vero e proprio compito che la legge pone a carico delle amministrazioni a garanzia della trasparenza che è valore pubblico ancor prima di tradursi in diritto individuale”, cosicché “gli oneri conseguenti all'esercizio di tale diritto, per la parte che eccede il mero costo di riproduzione, vanno finanziati attraverso la fiscalità (al pari di quanto avviene per gli altri diritti correlati al funzionamento del meccanismo democratico come quello di voto) senza che sia consentito trasferirli sul cittadino istituendo una vera e propria tassa extra ordinem”  (commento tratto da e link a https://foia.gov.it).
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MASSIMA
DIVIETO DI ADDEBITO AL CITTADINO DEI COSTI DI RICERCA ED ESTRAZIONE DEI DATI IN CASO DI RICHIESTA DI ACCESSO CIVICO
La disciplina dettata dall’art. 25, comma 1, L. 241/1990 in materia di accesso documentale prevede la possibilità di imporre diritti di ricerca (da aggiungersi ai costi di riproduzione), da intendersi comunque come compartecipazione alle spese e mai come mero ribaltamento dei costi o come prestazione di servizi a carattere commerciale.
In materia di accesso civico la possibilità di imputare diritti di ricerca non è prevista dalla disciplina di settore.
Alla luce di una ragionevole interpretazione non solo letterale della norma ma anche logico-evolutiva, è ragionevole sostenere che corrisponda alla voluntas legis l’esclusione dei costi del personale impiegato nella gestione delle pratiche di accesso civico, inclusi quelli relativi all’attività di estrazione dei dati e dei documenti dai relativi archivi, facendo gli stessi carico alla fiscalità generale.
Tuttavia, la più recente giurisprudenza
(TAR Toscana (Firenze), Sez. I, 26.04.2019, n. 615) ha ribadito che tale conclusione si estenderebbe, in linea di principio, a tutte le forme di accesso (tratta da www.consiglio.provincia.tn.it)

ATTI AMMINISTRATIVI:  E' illegittimo l’atto amministrativo (impugnato) nella parte in cui richiede alla parte ricorrente la corresponsione di costi diversi da quelli di mera riproduzione su supporto materiale.
Il regime dei costi legati al diritto di accesso è un tema che è stato a lungo dibattuto con riferimento a tutte le diverse forme con cui tale istituto è stato disciplinato nell’ordinamento.
Per quanto qui interessa il legislatore dispone, all’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 33/2013, che “il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali”.
Tale previsione è stata oggetto della circolare esplicativa n. 1/2019 del Ministero della pubblica amministrazione che, al paragrafo 4 (Regime dei costi), precisa la portata del principio di gratuità sancito dalla disposizione normativa.
In particolare prevede che possono essere addebitati solo i costi strettamente necessari per la riproduzione di dati e documenti richiesti, ad esclusione di qualsiasi altro onere a carico del cittadino. In particolare, il costo rimborsabile, corrispondente a quello “effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione”, non include il costo per il personale impiegato nella trattazione delle richieste di accesso, essendo quest’ultimo un onere che, in linea di principio, grava sulla collettività che intenda dotarsi di un’amministrazione moderna e trasparente.
Nel costo di riproduzione del quale l’amministrazione può chiedere il rimborso rientrano le seguenti voci:
   - il costo per la fotoriproduzione su supporto cartaceo;
   - il costo per la copia o la riproduzione su supporti materiali (ad es. CD-rom);
   - il costo per la scansione di documenti disponibili esclusivamente in formato cartaceo, in quanto attività assimilabile alla fotoriproduzione e comunque utile alla più ampia fruizione favorita dalla dematerializzazione dei documenti (art. 42, d.lgs. n. 82 del 2005);
   - il costo di spedizione dei documenti, qualora espressamente richiesta in luogo dell’invio tramite posta elettronica o posta certificata e sempre che ciò non determini un onere eccessivo per la pubblica amministrazione.
In assenza di discipline speciali di settore che stabiliscano specifiche modalità di accesso, l’applicazione della disciplina generale in tema di accesso civico generalizzato non esclude che ai costi addebitabili al richiedente possano cumularsi –come avviene per l’accesso procedimentale alla documentazione urbanistica e/o edilizia– gli oneri in materia di bollo e i diritti di ricerca e visura.
La Relazione tecnica di accompagnamento al d.lgs. n. 97 del 2016 (art. 6), infatti, fa salve le disposizioni in materia, precisando che “all’esercizio [del diritto di accesso civico generalizzato] da parte dei consociati le amministrazioni fanno fronte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, anche in considerazione del fatto che, pur essendo l’accesso civico gratuito, lo stesso è comunque subordinato al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione per il rilascio di dati e documenti in formato elettronico o cartaceo, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura”.
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In tema di accesso i costi inerenti attività umane sono generalmente quelli di ricerca del dato/documento che includono l’estrazione degli stessi. Ma anche questi non sono ribaltabili e non possono essere posti interamente a carico dei richiedenti. La disciplina dettata dall’art. 25 della L. n. 241/1990, ad esempio, prevede la possibilità di imporre “diritti di ricerca” (da aggiungersi ai costi di riproduzione) intesi come compartecipazione alle spese, ma mai come mero ribaltamento dei costi né come prestazione di servizi a carattere commerciale (alla cui logica, peraltro, sembra ispirarsi il provvedimento impugnato dal momento in cui assoggetta ad IVA la prestazione, indicando gli importi come “IVA esclusa”).
Occorre inoltre precisare che, in materia di accesso civico, la possibilità di imputare diritti di ricerca non è neanche prevista dalla disciplina di settore.
Ad ulteriore precisazione si consideri che il testo dello schema di decreto legislativo -trasmesso al Parlamento ed al Consiglio di Stato per i relativi pareri e poi versato con modifiche nel D.Lgs. n. 97/2016 (il cd. FOIA) che ha modificato l’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013 in commento– sul punto, all’art. 6, recava la seguente previsione: “Il rilascio di dati in formato elettronico o cartaceo è subordinato soltanto al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione”.
La relazione di accompagnamento (come evidenziato peraltro anche dalla citata circolare n. 1/2019) precisava che “all'esercizio di tale diritto da parte dei consociati le amministrazioni fanno fronte nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, anche in considerazione del fatto che, pur essendo l'accesso gratuito, lo stesso è comunque subordinato al rimborso del costo sostenuto dall'amministrazione per il rilascio di dati e documenti in formato elettronico cartaceo, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura”.
Tale disposizione è stata oggetto di vaglio critico in sede consultiva
   - sia avanti le Commissioni Parlamentari (nei relativi pareri infatti si legge: “[All'articolo 6, comma 1, capoverso Art. 5, comma 3], sopprimere la previsione del rimborso a carico del cittadino, rendendo sicuramente gratuito l'accesso ai documenti in modalità digitale, con il solo rimborso, comunque da giustificare, dei costi effettivamente sostenuti per l'eventuale riproduzione su supporti materiali”)
   - che del Consiglio di Stato (che nel parere n. 515/2016 così si esprime “11.4 […] Orbene, la Sezione invita l'Amministrazione ad immaginare, […] con riduzione evidente di costi per la finanza pubblica e di oneri per il personale, un percorso più semplice, efficiente e lineare che veda, da una parte, l'inoltro esclusivamente telematico della domanda, quanto meno "di norma", e fatti salvi casi veramente eccezionali, dall'altra l'individuazione di un unico ufficio sportello, per ogni amministrazione, deputato alla ricezione e alla prima gestione delle istanze, correttamente segnalato nella sezione del sito istituzionale, che agisca come una sorta di "desk telematico unico per la trasparenza", costituendo così esso l'interfaccia naturale, facilmente individuabile, per il cittadino che intende accedere. 11.5 Tale previsione ridurrebbe considerevolmente, fino forse a renderli irrilevanti, anche i costi sostenuti dall'amministrazione, che devono essere rimborsati dal richiedente ai sensi dell'ultimo periodo del medesimo comma 3; sicché, a completamento della riformulazione suggerita sub 11.4, ben si potrebbe espungere la previsione del rimborso a carico del cittadino”).
A valle dell’iter appena descritto, la previsione di un rimborso del “costo sostenuto dall’amministrazione” (descritto come il “costo sostenuto dall'amministrazione per il rilascio dei dati e dei documenti”) è scomparsa e la norma ha assunto la formulazione definitiva che, invece, prevede il “costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali”.
Alla luce, pertanto, di una interpretazione non solo letterale della norma ma anche logico-evolutiva, è ragionevole sostenere che corrisponda alla voluntas legis l’esclusione dei costi del personale impiegato nella gestione delle pratiche di accesso civico, inclusi quelli relativi all’attività di estrazione dei dati e dei documenti dai relativi archivi, facendo gli stessi carico alla fiscalità generale.
Ciò vale, in linea di principio per tutte le forme di accesso, come peraltro ribadito dalla più recente giurisprudenza. Invero:
   - “La garanzia del diritto di accesso costituisce un vero e proprio compito che la legge pone a carico delle amministrazioni a garanzia della trasparenza che è valore pubblico ancor prima di tradursi in diritto individuale. Gli oneri conseguenti all'esercizio di tale diritto, per la parte che eccede il mero costo di riproduzione, vanno quindi, finanziati attraverso la fiscalità (al pari di quanto avviene per gli altri diritti correlati al funzionamento del meccanismo democratico come quello di voto) senza che sia consentito trasferirli sul cittadino istituendo una vera e propria tassa extra ordinem”.
Del resto sia la prassi che la giurisprudenza hanno individuato temperamenti al rischio di una possibile lievitazione dei costi dovuti alla gestione della trasparenza “reattiva” per il sistema pubblico. L’ANAC, nella Delibera 1309/2016 (recante Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui all’art. 5, co. 2, del d.lgs. 33/2013) ha previsto, con riferimento alle richieste cd. “massive” che “L’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso generalizzato anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti ed informazioni, a meno che la richiesta risulti manifestamente irragionevole, tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione. Tali circostanze, adeguatamente motivate nel provvedimento di rifiuto, devono essere individuate secondo un criterio di stretta interpretazione, ed in presenza di oggettive condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell’amministrazione”.
Questo Tribunale ha avuto modo di precisare che “Possono costituire oggetto di accesso civico, come precisato da consolidati orientamenti di prassi e di giurisprudenza, esclusivamente informazioni e dati immediatamente ostendibili, non richiesti in forma massiva (tale da ingolfare il regolare svolgimento dei compiti e l’ordinaria organizzazione dei soggetti destinatari) indipendentemente dalla loro forma di rappresentazione, purché versabili su un qualsiasi tipo di supporto adatto alla comunicazione e trasmissione. Questo al fine di evitare sia atteggiamenti meramente esplorativi sia la surrettizia committenza gratuita di forniture o servizi di elaborazione dati”.
Anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di evidenziare che “notevole sarebbe l’incremento dei costi di gestione del procedimento di accesso da parte delle singole pubbliche amministrazioni (e soggetti equiparati), del quale -nell’attuale applicazione della normativa sull’accesso generalizzato, che si basa sul principio della gratuità (salvo il rimborso dei costi di riproduzione)- si è fatto carico l’interprete (in particolare, con riferimento alle richieste “massive o manifestamente irragionevoli”, cfr. Linee Guida ANAC, par. 4.2, nonché gli arresti giurisprudenziali che fanno leva sulla nozione di “abuso del diritto”)".
L’ordinamento, pertanto, legittima il rigetto delle richieste massive che, o in unica soluzione, o mediante la proposizione di più istanze in sequenza, ostacolino il lavoro ed il buon andamento della pubblica amministrazione aggravandone in modo sproporzionato i costi (e dopo che tale eccessiva onerosità emerga a valle di un doveroso dialogo cooperativo con l'istante finalizzato a ridefinire l'oggetto della domanda entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità).
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SENTENZA
... per l'annullamento e/o declaratoria della contrarietà a diritto
   - della nota prot. n. 715/2020 del 09.12.2020, con cui 5T s.r.l. ha comunicato al Comitato Torino Respira l'obbligo di corrispondere euro 2.096,00 iva esclusa per le attività di estrazione dei dati oggetto di richiesta di accesso agli atti, nonché della successiva nota prot. n. 762/2020 del 18.12.2020, con cui 5T s.r.l. ha reiterato la propria posizione quanto alla debenza di euro 2.096,00 iva esclusa, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali anche se non conosciuti

nonché per la condanna
   - di 5T s.r.l. alla ostensione della documentazione oggetto di richiesta di accesso agli atti così come riconosciuto dal Tar Piemonte n. 720/2020, senza che ciò generi l'obbligazione di pagamento imposta dall'Ente al Comitato Torino Respira come da atti sopra indicati

od occorrendo, in subordine, per l'esatta ottemperanza
   - della sentenza Tar Piemonte, Sez. I, 12.11.2020, n. 720, non sospesa ed esecutiva, previo ogni opportuna declaratoria di nullità degli atti impugnati con il presente ricorso.
...
1. Il Comitato Torino Respira, costituito nel 2018, ha lo scopo di promuovere ed adottare iniziative finalizzate a tutelare e migliorare la qualità dell’aria nella Città di Torino e nell’area metropolitana torinese.
Con ricorso n. 503/2020 il Comitato impugnava un diniego di accesso agli atti emanato dalla 5T S.r.l., società in house del Comune di Torino, della Regione Piemonte e della Città Metropolitana, a fronte di una istanza di accesso multipla (formulata contemporaneamente sia come accesso documentale, ai sensi degli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990, sia come accesso civico generalizzato, ex art. 5 D.Lgs. n. 33/2013, sia come accesso alle informazioni ambientali ex art. 6 del D.Lgs. n. 195/2005).
Questo Tribunale con sentenza n. 720/2020 riconosceva la parziale fondatezza del ricorso ed in particolare riconosceva il diritto del ricorrente ad accedere a parte delle informazioni richieste (a titolo di accesso civico e/o di accesso alle informazioni ambientali) ed il dovere della Società all’ostensione delle informazioni, rimettendone al suo prudente apprezzamento le modalità tecnico operative.
La Società, in esecuzione della sentenza, comunicava con nota del 09.12.2020 (prot. n. 715) l’assolvimento dell’obbligo, la produzione di un DVD quale supporto ritirabile presso la sede sociale ed una richiesta di spese pari a 2.096,00 (IVA esclusa) ottenuti dal ribaltamento dei seguenti costi: 3 giorni uomo per un analista dati (per euro 1.536,00 IVA esclusa) e 1 giorno uomo per un gestore servizi (per euro 560,00 IVA esclusa).
Seguiva un carteggio tra le parti, terminato con nota della Società del 18.12.2020 (prot. 762/2020) in cui confermava l’addebito delle somme indicate quali costi di estrazione e riproduzione.
2. Avverso tali atti è insorto il Comitato con ricorso notificato il 08.01.2021 e depositato avanti questo Tribunale con il quale se ne chiede l’annullamento, la condanna all’ostensione senza il pagamento delle somme indicate e, in subordine, l’esatta ottemperanza della sentenza n. 720/2020.
In data 08.02.2021 si è costituita la 5T s.r.l. eccependo inammissibilità del ricorso e controdeducendo nel merito.
Sono seguite il deposito di memorie di entrambe le parti (in data 01.03.2020) e delle memorie di replica (il 05.03.2021 ed il 06.03.2021).
Alla camera di consiglio del 17.03.2021, sentiti i difensori delle parti ai sensi dell’art. 25 del D.L. n. 137/2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
3. Il ricorso è fondato.
4. Il Collegio ritiene di scrutinare preliminarmente l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Società resistente nella propria memoria di costituzione, nella quale censura la scelta di procedere mediante il rito previsto dall’art. 116 c.p.a. invece che con giudizio di ottemperanza.
A tacere il fatto che il ricorso presenta, in subordine, anche domanda di ottemperanza della sentenza n. 720/2020, si osserva che l’iter del percorso di accesso non si è compiuto in quanto anche se la documentazione è stata messa a disposizione della ricorrente, sulla stessa incombe comunque l’onere di rifondere le somme richieste. La posizione giuridica dedotta nel presente ricorso, in altri termini, risulta strettamente connessa e funzionale al regolare e pieno riconoscimento ed esercizio del diritto di accesso.
Ciò a prescindere dal fatto che la Società abbia imposto o meno il preventivo pagamento delle somme richieste rispetto al materiale ritiro del DVD prodotto. A legittimare il rito speciale di cui all’art. 116 c.p.a. infatti, non è la prospettazione delle parti o il segmento procedimentale dedotto in giudizio, quanto l’intero rapporto giuridico coperto dal diritto di accesso che include tutte le prestazioni e gli adempimenti dovuti sino alla sua piena soddisfazione, incluse quelle funzionali ed accessorie.
Per tali ragioni l’eccezione non è condivisibile.
5. Con il primo (ed unico) motivo di ricorso si lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, e dell’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 33/2013, dell’art. 6 d.lgs. n. 195/2005, oltre che della circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 2/2017, della circolare del Ministro per la pubblica amministrazione n. 1/2019 e dell’art. 2.1 del Regolamento 5T per l’accesso civico.
Il Comitato ricorrente sostiene, sostanzialmente, la violazione del principio della gratuità esplicitato all’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013 (disposizione richiamata esplicitamente dall’art. 2.1 del Regolamento 5T sull’accesso civico) e alla circolare 1/2019 citata.
La censura coglie nel segno.
Il regime dei costi legati al diritto di accesso è un tema che è stato a lungo dibattuto con riferimento a tutte le diverse forme con cui tale istituto è stato disciplinato nell’ordinamento.
Per quanto qui interessa il legislatore dispone, all’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 33/2013, che “il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali”.
Tale previsione è stata oggetto della circolare esplicativa n. 1/2019 del Ministero della pubblica amministrazione che, al paragrafo 4 (Regime dei costi), precisa la portata del principio di gratuità sancito dalla disposizione normativa.
In particolare prevede che possono essere addebitati solo i costi strettamente necessari per la riproduzione di dati e documenti richiesti, ad esclusione di qualsiasi altro onere a carico del cittadino. In particolare, il costo rimborsabile, corrispondente a quello “effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione”, non include il costo per il personale impiegato nella trattazione delle richieste di accesso, essendo quest’ultimo un onere che, in linea di principio, grava sulla collettività che intenda dotarsi di un’amministrazione moderna e trasparente.
Nel costo di riproduzione del quale l’amministrazione può chiedere il rimborso rientrano le seguenti voci:
   - il costo per la fotoriproduzione su supporto cartaceo;
   - il costo per la copia o la riproduzione su supporti materiali (ad es. CD-rom);
   - il costo per la scansione di documenti disponibili esclusivamente in formato cartaceo, in quanto attività assimilabile alla fotoriproduzione e comunque utile alla più ampia fruizione favorita dalla dematerializzazione dei documenti (art. 42, d.lgs. n. 82 del 2005);
   - il costo di spedizione dei documenti, qualora espressamente richiesta in luogo dell’invio tramite posta elettronica o posta certificata e sempre che ciò non determini un onere eccessivo per la pubblica amministrazione.
In assenza di discipline speciali di settore che stabiliscano specifiche modalità di accesso, l’applicazione della disciplina generale in tema di accesso civico generalizzato non esclude che ai costi addebitabili al richiedente possano cumularsi –come avviene per l’accesso procedimentale alla documentazione urbanistica e/o edilizia– gli oneri in materia di bollo e i diritti di ricerca e visura.
La Relazione tecnica di accompagnamento al d.lgs. n. 97 del 2016 (art. 6), infatti, fa salve le disposizioni in materia, precisando che “all’esercizio [del diritto di accesso civico generalizzato] da parte dei consociati le amministrazioni fanno fronte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, anche in considerazione del fatto che, pur essendo l’accesso civico gratuito, lo stesso è comunque subordinato al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione per il rilascio di dati e documenti in formato elettronico o cartaceo, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura”.
La Società resistente sostiene che la norma prevedendo la rimborsabilità dei costi “per la riproduzione” questi possano comprendere gli oneri di “estrazione”, vale a dire le attività necessarie per il reperimento dei dati e/o dei documenti da versare successivamente su supporto materiale divulgabile.
Tale ricostruzione non risponde alla ratio della norma in commento.
In tema di accesso, infatti, i costi inerenti attività umane sono generalmente quelli di ricerca del dato/documento che includono l’estrazione degli stessi. Ma anche questi non sono ribaltabili e non possono essere posti interamente a carico dei richiedenti. La disciplina dettata dall’art. 25 della L. n. 241/1990, ad esempio, prevede la possibilità di imporre “diritti di ricerca” (da aggiungersi ai costi di riproduzione) intesi come compartecipazione alle spese, ma mai come mero ribaltamento dei costi né come prestazione di servizi a carattere commerciale (alla cui logica, peraltro, sembra ispirarsi il provvedimento impugnato dal momento in cui assoggetta ad IVA la prestazione, indicando gli importi come “IVA esclusa”).
Occorre inoltre precisare che, in materia di accesso civico, la possibilità di imputare diritti di ricerca non è neanche prevista dalla disciplina di settore.
Ad ulteriore precisazione si consideri che il testo dello schema di decreto legislativo -trasmesso al Parlamento ed al Consiglio di Stato per i relativi pareri e poi versato con modifiche nel D.Lgs. n. 97/2016 (il cd. FOIA) che ha modificato l’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013 in commento– sul punto, all’art. 6, recava la seguente previsione: “Il rilascio di dati in formato elettronico o cartaceo è subordinato soltanto al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione”.
La relazione di accompagnamento (come evidenziato peraltro anche dalla citata circolare n. 1/2019) precisava che “all'esercizio di tale diritto da parte dei consociati le amministrazioni fanno fronte nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, anche in considerazione del fatto che, pur essendo l'accesso gratuito, lo stesso è comunque subordinato al rimborso del costo sostenuto dall'amministrazione per il rilascio di dati e documenti in formato elettronico cartaceo, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura”.
Tale disposizione è stata oggetto di vaglio critico in sede consultiva sia avanti le Commissioni Parlamentari (nei relativi pareri infatti si legge: “[All'articolo 6, comma 1, capoverso Art. 5, comma 3], sopprimere la previsione del rimborso a carico del cittadino, rendendo sicuramente gratuito l'accesso ai documenti in modalità digitale, con il solo rimborso, comunque da giustificare, dei costi effettivamente sostenuti per l'eventuale riproduzione su supporti materiali”) che del Consiglio di Stato (che nel parere n. 515/2016 così si esprime “11.4 […] Orbene, la Sezione invita l'Amministrazione ad immaginare, […] con riduzione evidente di costi per la finanza pubblica e di oneri per il personale, un percorso più semplice, efficiente e lineare che veda, da una parte, l'inoltro esclusivamente telematico della domanda, quanto meno "di norma", e fatti salvi casi veramente eccezionali, dall'altra l'individuazione di un unico ufficio sportello, per ogni amministrazione, deputato alla ricezione e alla prima gestione delle istanze, correttamente segnalato nella sezione del sito istituzionale, che agisca come una sorta di "desk telematico unico per la trasparenza", costituendo così esso l'interfaccia naturale, facilmente individuabile, per il cittadino che intende accedere.
11.5 Tale previsione ridurrebbe considerevolmente, fino forse a renderli irrilevanti, anche i costi sostenuti dall'amministrazione, che devono essere rimborsati dal richiedente ai sensi dell'ultimo periodo del medesimo comma 3; sicché, a completamento della riformulazione suggerita sub 11.4, ben si potrebbe espungere la previsione del rimborso a carico del cittadino
”).
A valle dell’iter appena descritto, la previsione di un rimborso del “costo sostenuto dall’amministrazione” (descritto come il “costo sostenuto dall'amministrazione per il rilascio dei dati e dei documenti”) è scomparsa e la norma ha assunto la formulazione definitiva che, invece, prevede il “costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali”.
Alla luce, pertanto, di una interpretazione non solo letterale della norma ma anche logico-evolutiva, è ragionevole sostenere che corrisponda alla voluntas legis l’esclusione dei costi del personale impiegato nella gestione delle pratiche di accesso civico, inclusi quelli relativi all’attività di estrazione dei dati e dei documenti dai relativi archivi, facendo gli stessi carico alla fiscalità generale.
Ciò vale, in linea di principio per tutte le forme di accesso, come peraltro ribadito dalla più recente giurisprudenza. “La garanzia del diritto di accesso costituisce un vero e proprio compito che la legge pone a carico delle amministrazioni a garanzia della trasparenza che è valore pubblico ancor prima di tradursi in diritto individuale. Gli oneri conseguenti all'esercizio di tale diritto, per la parte che eccede il mero costo di riproduzione, vanno quindi, finanziati attraverso la fiscalità (al pari di quanto avviene per gli altri diritti correlati al funzionamento del meccanismo democratico come quello di voto) senza che sia consentito trasferirli sul cittadino istituendo una vera e propria tassa extra ordinem” (Tar Toscana, Sez. I, 26.04.2019, n. 615).
Del resto sia la prassi che la giurisprudenza hanno individuato temperamenti al rischio di una possibile lievitazione dei costi dovuti alla gestione della trasparenza “reattiva” per il sistema pubblico. L’ANAC, nella Delibera 1309/2016 (recante Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui all’art. 5, co. 2, del d.lgs. 33/2013) ha previsto, con riferimento alle richieste cd. “massive” che “L’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso generalizzato anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti ed informazioni, a meno che la richiesta risulti manifestamente irragionevole, tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione. Tali circostanze, adeguatamente motivate nel provvedimento di rifiuto, devono essere individuate secondo un criterio di stretta interpretazione, ed in presenza di oggettive condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell’amministrazione”.
Questo Tribunale ha avuto modo di precisare che “Possono costituire oggetto di accesso civico, come precisato da consolidati orientamenti di prassi e di giurisprudenza, esclusivamente informazioni e dati immediatamente ostendibili, non richiesti in forma massiva (tale da ingolfare il regolare svolgimento dei compiti e l’ordinaria organizzazione dei soggetti destinatari) indipendentemente dalla loro forma di rappresentazione, purché versabili su un qualsiasi tipo di supporto adatto alla comunicazione e trasmissione. Questo al fine di evitare sia atteggiamenti meramente esplorativi sia la surrettizia committenza gratuita di forniture o servizi di elaborazione dati” (TAR Piemonte, sent. 12/11/2020, n. 720).
Anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di evidenziare che “notevole sarebbe l’incremento dei costi di gestione del procedimento di accesso da parte delle singole pubbliche amministrazioni (e soggetti equiparati), del quale -nell’attuale applicazione della normativa sull’accesso generalizzato, che si basa sul principio della gratuità (salvo il rimborso dei costi di riproduzione)- si è fatto carico l’interprete (in particolare, con riferimento alle richieste “massive o manifestamente irragionevoli”, cfr. Linee Guida ANAC, par. 4.2, nonché gli arresti giurisprudenziali che fanno leva sulla nozione di “abuso del diritto”)” (Cons Stato, sent. 02/08/2019, n. 5502).
L’ordinamento, pertanto, legittima il rigetto delle richieste massive che, o in unica soluzione, o mediante la proposizione di più istanze in sequenza, ostacolino il lavoro ed il buon andamento della pubblica amministrazione aggravandone in modo sproporzionato i costi (e dopo che tale eccessiva onerosità emerga a valle di un doveroso dialogo cooperativo con l'istante finalizzato a ridefinire l'oggetto della domanda entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità).
Ciò precisato, appare inconferente il richiamo al passaggio della sentenza n. 720/2020 di questo Tribunale, più volte ripetuto nelle memorie di parte resistente, che recita “quanto alle modalità tecnico-operative di assolvimento queste sono rimesse al prudente apprezzamento della Società”. Tale passaggio non può, per le ragioni sopra esposte, costituire una deroga al principio della gratuità o un ulteriore temperamento rispetto a quelli normativamente previsti.
Non colgono nel segno le argomentazioni di parte resistente che mirano a differenziare la posizione della società in house rispetto a quella delle pubbliche amministrazioni strettamente intese, poiché tale distinzione non è riconosciuta e legittimata né dalla legge (cfr art. 2, comma 2, lett. b), del D.Lgs. n. 33/2013) né dalla prassi (cfr. la citata delibera ANAC n. 1309/2016 che precisa “2. […] La medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni sopra richiamate è estesa, “in quanto compatibile”, anche a: a) enti pubblici economici e ordini professionali; b) società in controllo pubblico come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell’art. 18 della legge 07.08.2015, n. 124 (d.lgs. 175/2016 c.d. Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) […] Per le categorie di soggetti di cui ai punti 2 e 3 il legislatore prevede che la disciplina della trasparenza si applichi “in quanto compatibile”.
Il principio della compatibilità, tuttavia, concerne la sola necessità di trovare adattamenti agli obblighi di pubblicazione in ragione delle caratteristiche organizzative e funzionali dei citati soggetti. Non è invece operante per quel che concerne l’accesso generalizzato, stante la ratio e la funzione del generalizzato descritta nel primo paragrafo delle presenti Linee guida.
L’accesso generalizzato, pertanto, è da ritenersi senza dubbio un istituto “compatibile” con la natura e le finalità dei soggetti sopra elencati ai punti 2 e 3, considerato che l’attività svolta da tali soggetti è volta alla cura di interessi pubblici
”).
Allo stesso modo non colgono nel segno le considerazioni relative al fatto che l’attività implicita all’ostensione di cui si tratta non si limiti ad una mera collazione dei dati ma alla diversa attività di estrazione che non afferisce i normali protocolli dell’attività ordinaria di 5T (così come definiti negli accordi di servizio e/o negli atti di affidamento delle amministrazioni committenti).
Gli oneri di cui si parla, infatti, discendono direttamente dalla previsione legale e, come condivisibilmente precisato da ANAC nelle linee guida più volte citate “L’intento del legislatore è quello di garantire che la cura concreta di interessi della collettività, anche ove affidati a soggetti esterni all’apparato amministrativo vero e proprio, rispondano comunque a principi di imparzialità, del buon andamento e della trasparenza.
Si ritiene che nel novero di tali attività possano rientrare quelle qualificate come tali da una norma di legge, dagli atti costitutivi o dagli statuti delle società, l’esercizio di funzioni amministrative, la gestione di servizi pubblici nonché le attività che pur non costituendo diretta esplicazione della funzione o del servizio pubblico svolti sono ad esse strumentali
”.
Per le ragioni che precedono il primo motivo di ricorso è fondato.
6. In considerazione degli esiti relativi al primo motivo non si ritiene di dover scrutinare la domanda subordinata di cui al secondo motivo di ricorso.
7. Per le ragioni di cui ai punti precedenti il ricorso è fondato e dev’essere accolto.
Per l’effetto l’atto impugnato dev’essere annullato nella parte in cui richiede alla parte ricorrente la corresponsione di costi diversi da quelli di mera riproduzione su supporto materiale così come individuati nella presente sentenza; viene confermato il diritto di accesso già accertato dalla sentenza n. 720/2020 e, di conseguenza, la Società dev’essere condannata alla ostensione dei dati estratti e raccolti (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 23.03.2021 n. 332 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIReclamo ed autotutela sugli atti del commissario ad acta nominato nello speciale rito avverso il silenzio della p.a..
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Processo amministrativo - Silenzio della p.a. – Atti del commissario ad acta – Contestazione – Con reclamo allo stesso giudice che ha nominato il commissario – Autotutela – Esclusione.
Gli atti del commissario ad acta nominato nello speciale rito avverso il silenzio della p.a. possono essere contestati dalle parti del giudizio solo dinanzi allo stesso giudice che ha nominato il commissario, attraverso lo strumento del reclamo di cui all’art. 114, comma 4, c.p.a.; non possono invece essere annullati in autotutela dall’Amministrazione (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che anche il commissario ad acta nominato nello speciale rito avverso il silenzio della p.a., ai sensi dell’art. 117, comma 3, c.p.a. così come quello nominato in sede di ottemperanza, è un ausiliario del giudice e non un organo straordinario dell’amministrazione.
Pertanto, anche in tale ipotesi gli atti commissariali possono essere contestati dalle parti del giudizio solo dinanzi allo stesso giudice che ha nominato il commissario, attraverso lo strumento del reclamo di cui all’art. 114, comma 4, c.p.a., disposizione la cui applicazione, ancorché non espressamente richiamata, è implicita nel disposto del comma 4 del precitato art. 117 (“il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario”), chiaramente espressivo dell’intento del legislatore di concentrare in capo al giudice la cognizione di tutte le vicende conseguenti alla pronuncia avverso il silenzio-inadempimento, ivi incluso il sindacato sugli atti commissariali eventualmente emanati.
La Sezione ha invece escluso che gli atti adottati dal commissario ad acta nominato dal giudice in esito allo speciale giudizio avverso il silenzio-inadempimento della p.a. non possono essere rimossi in autotutela dall’amministrazione sostituita dal commissario. dato decisivo al fine di dirimere la res controversa è costituito non dal tipo di attività (segnatamente, dall’ampiezza della valutazione discrezionale) che il commissario è chiamato a svolgere nel contesto del giudizio di ottemperanza e del giudizio avverso il silenzio-inadempimento, bensì dalla natura intrinseca degli atti commissariali, in quanto tali.
Questi, infatti, non sono geneticamente riconducibili all’ordinario esercizio della potestà amministrativa, ma, al contrario, conseguono proprio, a monte, al rilievo giurisdizionale di un illegittimo esercizio di tale potestà o di un’illegittima omissione di tale doveroso esercizio.
Ne consegue, in un sistema che costituzionalmente non tollera vuoti di tutela giurisdizionale, l’esigenza di una supplenza giudiziaria, veicolata tramite una specifica figura che, sostituendosi all’Amministrazione, emani, quale ausiliario del giudice e nell’esercizio, dunque, di un potere soggettivamente giurisdizionale, i necessari atti.
L’Amministrazione sostituita, pertanto, non viene indebitamente “espropriata” del potere di autotutela, che, nel caso degli atti commissariali, in radice non le compete, proprio perché il commissario non è un organo straordinario dell’Amministrazione, bensì un organo ausiliario del giudice.
Di converso, l’Amministrazione non è privata della facoltà di contestare gli atti commissariali, potendo attivare l’apposito rimedio del reclamo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.03.2021 n. 2335 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Annullamento in autotutela – Art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990 – Istruttoria nuova – Capacità lesiva autonoma – Impugnazione.
L’esercizio dei poteri di autotutela è, di norma, discrezionale nell’an, ovvero quanto alla fase di avvio del procedimento. Ragion per cui, se anche instata dalla parte privata, l’Amministrazione conserva la piena facoltà in ordine alla decisione se avviare o meno il procedimento di riesame, che resta, dunque, un tipico procedimento ad avvio facoltativo d’ufficio.
Una volta che il Comune, esperita la ricognizione circa la sussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento, si è determinato per il riesame del provvedimento amministrativo, alla luce di una nuova istruttoria mercé la riconsiderazione degli originari presupposti rivalutati alla luce di acquisizioni fattuali prima ignote (articolo 21-nonies, L. n. 241 del 1990), il provvedimento che ne consegue sostituisce l’atto di primo grado nel regolare ex novo l’assetto di interessi ed esprime una rinnovata, autonoma capacità lesiva in grado di legittimare il soggetto alla impugnazione del nuovo atto.
Non si tratta, dunque, di una remissione in termini che autorizza, in via postuma, la proposizione di un ricorso che sarebbe altrimenti ormai tardivo bensì, di un nuovo e diverso ricorso proposto contro un provvedimento che ha regolato ex novo il rapporto inter partes.

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PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990 – Annullamento d’ufficio – False rappresentazioni dei fatti – Termine di 18 mesi – Amministrazione incolpevole – Ragionevolezza – Accertamento dell’amministrazione.
L’articolo 21-nonies, legge n. 241/1990 contempla due categorie di provvedimenti –differenziabili in ragione dell’uso della disgiuntiva “o”– che consentono all’Amministrazione di esercitare il potere di annullamento d’ufficio oltre il termine di diciotto mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false.
Quando l’erroneità dei dati è imputabile non già all’Amministrazione, bensì esclusivamente al comportamento della parte, non si può pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione dell’iniziativa di controllo dei dati forniti e rimotiva, dovendosi dare spazio, invece, in questi casi, al più generale canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la tempistica del caso concreto.
Il superamento del rigido limite temporale di 18 mesi per l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21-nonies deve pertanto ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto segnalante abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale.
Viene in rilievo, in questi casi, una fattispecie non corrispondente alla realtà determinata da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive), dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale; se induttiva, invece, di una falsa rappresentazione dei fatti, può essere rilevante al fine di superamento del termine di 18 mesi anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa venga accertata inequivocabilmente dall’Amministrazione con i propri mezzi
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.03.2021 n. 2329 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIn mancanza di una espressa domanda di risarcimento del danno formulata in termini concreti e non meramente "eventuali", è necessario che la parte prospetti almeno per sommi capi il danno di cui intende chiedere il ristoro in separato giudizio, deducendo, quantomeno in nuce, gli elementi strutturali della fattispecie di danno ingiusto, sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo, dovendo comunque la parte allegare e provare l’interesse concreto ad una pronuncia ai soli fini di un futuro giudizio risarcitorio, come si evince dal tenore della richiamata disposizione di rito, laddove si prevede che il giudice accerta l’illegittimità dell’atto “se sussiste l’interesse a fini risarcitori”, con la conseguenza che incombe sulla parte l’onere di dimostrare la sussistenza in concreto (e non meramente in astratto) di un siffatto interesse (...).
Sul punto, si richiama peraltro l’orientamento maggioritario della giurisprudenza secondo cui “L'art. 34, comma 3, c.p.a. non può essere interpretato nel senso che, in seguito ad una semplice generica indicazione della parte, il giudice debba verificare la sussistenza di un interesse a fini risarcitori, anche perché, sul piano sistematico, diversamente opinando, perderebbe di senso il principio dell'autonomia dell'azione risarcitoria enucleato dall'art. 30 dello stesso c.p.a. e verrebbe svalutato anche il principio dispositivo che informa anche il giudizio amministrativo e precludente la mutabilità ex officio del giudizio di annullamento, una volta azionato.

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Giova rimarcare che, in base a consolidata giurisprudenza anche di questo TAR, è possibile affermare che: “In mancanza di una espressa domanda di risarcimento del danno formulata in termini concreti e non meramente "eventuali", è necessario che la parte prospetti almeno per sommi capi il danno di cui intende chiedere il ristoro in separato giudizio, deducendo, quantomeno in nuce, gli elementi strutturali della fattispecie di danno ingiusto, sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo, dovendo comunque la parte allegare e provare l’interesse concreto ad una pronuncia ai soli fini di un futuro giudizio risarcitorio, come si evince dal tenore della richiamata disposizione di rito, laddove si prevede che il giudice accerta l’illegittimità dell’atto “se sussiste l’interesse a fini risarcitori”, con la conseguenza che incombe sulla parte l’onere di dimostrare la sussistenza in concreto (e non meramente in astratto) di un siffatto interesse (...) Sul punto, si richiama peraltro l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, ribadito di recente anche da questo Tribunale, secondo cui “L'art. 34, comma 3, c.p.a. non può essere interpretato nel senso che, in seguito ad una semplice generica indicazione della parte, il giudice debba verificare la sussistenza di un interesse a fini risarcitori, anche perché, sul piano sistematico, diversamente opinando, perderebbe di senso il principio dell'autonomia dell'azione risarcitoria enucleato dall'art. 30 dello stesso c.p.a. e verrebbe svalutato anche il principio dispositivo che informa anche il giudizio amministrativo e precludente la mutabilità ex officio del giudizio di annullamento, una volta azionato” (cfr. TAR Reggio Calabria, 19.04.2019 n. 267; Cons. Stato sez. V, 28.02.2014 n. 1214)” (cfr. TAR Calabria, Reggio Calabria, 18.11.2020, nr. 34/2021; in senso conforme: Tar Veneto, III Sez., 12.02.2020, nr. 324)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.03.2021 n. 377 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: Sulla legittimazione a ricorrere da parte del comune confinante.
Non può disconoscersi la legittimazione e l’interesse ad agire del Comune, nel cui ambito ricade l’impianto de quo, che peraltro aveva espresso parere negativo in seno alla conferenza dei servizi ex art. 208 T.U.A., ad impugnare gli atti della procedura con cui si è assentita la realizzazione dell’impianto medesimo.
Ciò avuto altresì riguardo alla circostanza che il Comune è ente esponenziale della relativa comunità e con il presente gravame fa valere il pregiudizio all’assetto urbanistico ed ambientale anche relativamente al mancato rispetto dalle distanze prescritte dalle norme tecniche del PTCP (artt. 16, 20 e 79) dal corridoio ecologico del Fiume Tammaro e dagli edifici destinati ad abitazione e il mancato espletamento della valutazione di incidenza prevista a protezione dei siti che costituiscono la rete Natura 2000, secondo le prescrizioni dell’articolo 6 della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”.
Come osservato da TAR Brescia, “La legittimazione ad agire dell'ente locale in materia ambientale, in quanto titolare di un interesse collettivo, è riconosciuta dalla giurisprudenza fin da Tar Lazio 1064/1990 (secondo cui "il comune, quale ente territoriale esponenziale di una determinata collettività di cittadini della quale cura istituzionalmente gli interessi a promuovere lo sviluppo, è pienamente legittimato ad impugnare dinanzi al giudice amministrativo i provvedimenti ritenuti lesivi dell'ambiente).
Sarebbe d'altronde alquanto irragionevole riconoscere legislativamente all'ente territoriale la possibilità di agire in giudizio (in via successiva) per il risarcimento del danno all'ambiente (come fa l'art. 18, co. 3, l. 349/1986), e negargli invece la possibilità di agire (in via preventiva) per impedire la produzione di quello stesso danno.
Sarebbe altrettanto irragionevole riconoscere la titolarità di un interesse collettivo ad associazioni ambientaliste, il cui collegamento con il territorio interessato dall'abuso è talora costituito soltanto dal fine statutario, e non individuarlo nell'ente istituzionalmente esponenziale della comunità di riferimento”.
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Parimenti deve riconoscersi, la legittimazione e l’interesse a ricorrere del Comune di Morcone, confinante con il Comune di Sassinoro, quale ente esponenziale della relativa comunità, e degli altri ricorrenti, i quali hanno allegato e comprovato di essere titolari di aziende e/o proprietari di immobili siti a ridosso o comunque nelle immediate vicinanze del capannone in cui dovrebbe essere svolta l’attività, lamentando il pregiudizio derivante dal relativo svolgimento anche in termini di emissioni odorigene derivanti non solo dall’esercizio dell’impianto medesimo, ma anche dal connesso aumento del traffico, nonché il mancato rispetto delle prescrizioni degli artt. 20 e 79 delle NTA del PTCP in materia di localizzazioni degli impianti per il trattamento dei rifiuti, ed ancora il mancato rispetto della normativa posta protezione dei siti della Rete Natura 2000.
Alla stregua di tali rilievi deve senz’altro ritenersi sussistente la loro legittimazione e il loro interesse ad agire in forza del criterio della vicinitas.
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Quanto alla legittimazione ad impugnare del Comune di Morcone, ente territoriale viciniore, basti richiamare la giurisprudenza relativa alla sussistenza delle legitimatio ad causam dei comuni limitrofi ad impugnare la verifica di esclusione dalla Valutazione Ambientale Strategica, affermata da Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 17.09.2012, n. 4926, che ha ricordato come il criterio della vicinitas, è stato in passato positivamente scrutinato da Consiglio Stato, sez. VI, 20.05.2004, n. 3263, secondo cui un impianto di consistenti dimensioni preposto alla produzione di energia elettrica radica in capo al comune finitimo la legittimazione ad agire, poiché non può essere subordinata alla produzione di una prova puntuale della concreta pericolosità dell'impianto, reputandosi sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze della centrale da realizzare.
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In riferimento alla legittimazione ed all’interesse ad agire degli altri ricorrenti deve del pari ritenersi sufficiente il criterio della vicinitas, alla stregua della giurisprudenza in materia che ritiene sufficiente detto criterio in riferimento alla materia ambientale e al connesso diritto alla salute.
Ed invero, nella materia ambientale, viene in rilievo, oltre ai beni fondamentali del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, garantiti dall'art. 9, comma 2, Cost., il bene primario della salute umana, garantito dall'art. 32 Cost. come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività", la cui soglia di tutela giurisdizionale, nella relativa declinazione di salvaguardia dei valori ambientali, deve intendersi anticipata al livello di oggettiva presunzione di lesione.
Conseguentemente, ai fini della sussistenza della legittimazione e dell'interesse ad agire, risulta sufficiente la vicinitas, intesa come situazione di fatto sufficientemente differenziata per ragioni di carattere spaziale in capo ai soggetti che si ritengono lesi dal sito prescelto per l'ubicazione di una struttura avente potenzialità inquinanti e/o degradanti, non potendo loro addossarsi il gravoso onere dell'effettiva prova del danno subito o subendo.
Peraltro, la vicinitas in parola non può certo intendersi a guisa di stretta contiguità geografica col sito assunto come potenzialmente dannoso, giacché la portata delle possibili esternalità negative di una installazione avente impatto sull'ambiente non si limita a investire i soli terreni confinanti, che, al più, sono destinati a sopportarne le conseguenze più gravi.
In questo senso, è stato, dunque, condivisibilmente statuito che, nella materia ambientale, "va seguito un approccio necessariamente non restrittivo nell'individuazione della lesione che potrebbe astrattamente fondare l'interesse all'impugnazione, essendo sul punto sufficiente rammentare come -anche sotto la spinta del diritto europeo- la materia della tutela dell'ambiente si connoti per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e del coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati, come è dimostrato dalle scelte legislative in materia, in specie in tema di valorizzazione degli interessi “diffusi”. Pacificamente, [quindi] la legittimazione al ricorso in materia ambientale va riconosciuta alle persone fisiche anche in base al criterio della “prossimità dei luoghi interessati” ovvero della sussistenza di uno “stabile collegamento” ambientale, come per la materia edilizia".
Ciò posto, nel caso in esame, può ritenersi che la vicinitas, intesa come prossimità, ragionevolmente intesa, al sito di realizzazione dell’impianto, possa ritenersi provata con riguardo alla posizione dei ricorrenti, che non si sono limitati ad allegare la mera vicinanza delle loro proprietà all'area di intervento, ma hanno anche prospettato, in concreto, l'incisione di beni della vita di rilevanza costituzionale (ossia l'ambiente, la salute e la sicurezza degli esseri umani e degli animali) ed euro-unitaria (ossia l'habitat di vita dell'uomo, che assurge a valore primario ed assoluto, in quanto espressivo di un diritto fondamentale della personalità umana) per effetto dei vizi degli atti impugnati, illustrando come l'istruttoria ad essi sottesa sia inidonea a salvaguardarli, cosicché la relativa domanda di tutela può dirsi sorretta dai requisiti della legittimazione e dell'interesse ad agire.
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36. In limine litis, va affronta l’eccezione di difetto di legittimazione e di interesse a ricorrere fatta valere dalla Ne.Vi. in relazione ad entrambi i ricorsi.
36.1. La stessa è infondata.
36.1.1. Ed invero non può certamente disconoscersi la legittimazione e l’interesse ad agire del Comune di Sassinoro, nel cui ambito ricade l’impianto de quo, che peraltro aveva espresso parere negativo in seno alla conferenza dei servizi ex art. 208 T.U.A., ad impugnare gli atti della procedura con cui si è assentita la realizzazione dell’impianto medesimo.
Ciò avuto altresì riguardo alla circostanza che il Comune è ente esponenziale della relativa comunità e con il presente gravame fa valere il pregiudizio all’assetto urbanistico ed ambientale anche relativamente al mancato rispetto dalle distanze prescritte dalle norme tecniche del PTCP (artt. 16, 20 e 79) dal corridoio ecologico del Fiume Tammaro e dagli edifici destinati ad abitazione e il mancato espletamento della valutazione di incidenza prevista a protezione dei siti che costituiscono la rete Natura 2000, secondo le prescrizioni dell’articolo 6 della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”.
Come osservato da TAR Lombardia–Brescia, sez. I, sent. 16.11.2011, n. 1568, “La legittimazione ad agire dell'ente locale in materia ambientale, in quanto titolare di un interesse collettivo, è riconosciuta dalla giurisprudenza fin da Tar Lazio 1064/1990 (secondo cui "il comune, quale ente territoriale esponenziale di una determinata collettività di cittadini della quale cura istituzionalmente gli interessi a promuovere lo sviluppo, è pienamente legittimato ad impugnare dinanzi al giudice amministrativo i provvedimenti ritenuti lesivi dell'ambiente).
Sarebbe d'altronde alquanto irragionevole riconoscere legislativamente all'ente territoriale la possibilità di agire in giudizio (in via successiva) per il risarcimento del danno all'ambiente (come fa l'art. 18, co. 3, l. 349/1986), e negargli invece la possibilità di agire (in via preventiva) per impedire la produzione di quello stesso danno.
Sarebbe altrettanto irragionevole riconoscere la titolarità di un interesse collettivo ad associazioni ambientaliste, il cui collegamento con il territorio interessato dall'abuso è talora costituito soltanto dal fine statutario, e non individuarlo nell'ente istituzionalmente esponenziale della comunità di riferimento
”.
36.1.1. Parimenti deve riconoscersi, la legittimazione e l’interesse a ricorrere del Comune di Morcone, confinante con il Comune di Sassinoro, quale ente esponenziale della relativa comunità, e degli altri ricorrenti nell’ambito del giudizio R.G. n. 1766 del 2018, i quali hanno allegato e comprovato di essere titolari di aziende e/o proprietari di immobili siti a ridosso o comunque nelle immediate vicinanze del capannone in cui dovrebbe essere svolta l’attività, lamentando il pregiudizio derivante dal relativo svolgimento anche in termini di emissioni odorigene derivanti non solo dall’esercizio dell’impianto medesimo, ma anche dal connesso aumento del traffico, nonché il mancato rispetto delle prescrizioni degli artt. 20 e 79 delle norme tecniche di attuazione del piano provinciale territoriale di coordinamento della provincia di Benevento in materia di localizzazioni degli impianti per il trattamento dei rifiuti, ed ancora il mancato rispetto della normativa posta protezione dei siti della Rete Natura 2000.
Alla stregua di tali rilievi deve senz’altro ritenersi sussistente la loro legittimazione e il loro interesse ad agire in forza del criterio della vicinitas.
Quanto alla legittimazione ad impugnare del Comune di Morcone, ente territoriale viciniore, basti richiamare la giurisprudenza relativa alla sussistenza delle legitimatio ad causam dei comuni limitrofi ad impugnare la verifica di esclusione dalla Valutazione Ambientale Strategica, affermata da Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 17.09.2012, n. 4926, che ha ricordato come il criterio della vicinitas, è stato in passato positivamente scrutinato da Consiglio Stato, sez. VI, 20.05.2004, n. 3263, secondo cui un impianto di consistenti dimensioni preposto alla produzione di energia elettrica radica in capo al comune finitimo la legittimazione ad agire, poiché non può essere subordinata alla produzione di una prova puntuale della concreta pericolosità dell'impianto, reputandosi sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze della centrale da realizzare.
36.1.2. In riferimento alla legittimazione ed all’interesse ad agire degli altri ricorrenti deve del pari ritenersi sufficiente il criterio della vicinitas, alla stregua della giurisprudenza in materia che ritiene sufficiente detto criterio in riferimento alla materia ambientale e al connesso diritto alla salute.
Ed invero, nella materia ambientale, viene in rilievo, oltre ai beni fondamentali del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, garantiti dall'art. 9, comma 2, Cost., il bene primario della salute umana, garantito dall'art. 32 Cost. come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività", la cui soglia di tutela giurisdizionale, nella relativa declinazione di salvaguardia dei valori ambientali, deve intendersi anticipata al livello di oggettiva presunzione di lesione.
Conseguentemente, ai fini della sussistenza della legittimazione e dell'interesse ad agire, risulta sufficiente la vicinitas, intesa come situazione di fatto sufficientemente differenziata per ragioni di carattere spaziale in capo ai soggetti che si ritengono lesi dal sito prescelto per l'ubicazione di una struttura avente potenzialità inquinanti e/o degradanti, non potendo loro addossarsi il gravoso onere dell'effettiva prova del danno subito o subendo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.01.2015 n. 263; TAR Marche, 10.01.2014 n. 65; TAR Abruzzo, L'Aquila, 01.03.2016 n. 117; 20.04.2016, n. 237; TAR Lazio, Latina, 18.10.2019, n. 621).
Peraltro, la vicinitas in parola non può certo intendersi a guisa di stretta contiguità geografica col sito assunto come potenzialmente dannoso, giacché la portata delle possibili esternalità negative di una installazione avente impatto sull'ambiente non si limita a investire i soli terreni confinanti, che, al più, sono destinati a sopportarne le conseguenze più gravi (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 05.05.2016 n. 5274).
In questo senso, è stato, dunque, condivisibilmente statuito che, nella materia ambientale, "va seguito un approccio necessariamente non restrittivo nell'individuazione della lesione che potrebbe astrattamente fondare l'interesse all'impugnazione, essendo sul punto sufficiente rammentare come -anche sotto la spinta del diritto europeo- la materia della tutela dell'ambiente si connoti per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e del coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati, come è dimostrato dalle scelte legislative in materia, in specie in tema di valorizzazione degli interessi “diffusi”. Pacificamente, [quindi] la legittimazione al ricorso in materia ambientale va riconosciuta alle persone fisiche anche in base al criterio della “prossimità dei luoghi interessati” ovvero della sussistenza di uno “stabile collegamento” ambientale, come per la materia edilizia" (TAR Abruzzo, Pescara, 08.06.2019, n. 188; cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2014, n. 2043; TAR Toscana, sez. I, 12.09.2016, n. 1334; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 22.12.2017, n. 1478; TAR Abruzzo, L’Aquila, 12.01.2019, n. 41).
Ciò posto, nel caso in esame, può ritenersi che la vicinitas, intesa come prossimità, ragionevolmente intesa, al sito di realizzazione dell’impianto, possa ritenersi provata con riguardo alla posizione dei ricorrenti, che non si sono limitati ad allegare la mera vicinanza delle loro proprietà all'area di intervento, ma hanno anche prospettato, in concreto, l'incisione di beni della vita di rilevanza costituzionale (ossia l'ambiente, la salute e la sicurezza degli esseri umani e degli animali) ed euro-unitaria (ossia l'habitat di vita dell'uomo, che assurge a valore primario ed assoluto, in quanto espressivo di un diritto fondamentale della personalità umana: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 09.01.2014, n. 36) per effetto dei vizi degli atti impugnati, illustrando come l'istruttoria ad essi sottesa sia inidonea a salvaguardarli, cosicché la relativa domanda di tutela può dirsi sorretta dai requisiti della legittimazione e dell'interesse ad agire (in tal senso, da ultimo, TAR Campania-Salerno, sez. II, 24/02/2020, n. 259)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 17.03.2021 n. 1790 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIGiurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie per risarcimento del danno per violazione dei principi di correttezza comportamentale – Termine per l’autotutela nel caso di violazione di disposizione europee.
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Giurisdizione - Risarcimento danni - Violazione dei principi di correttezza comportamentale – Giurisdizione del giudice amministrativo.
  
Contributi e finanziamenti – Annullamento d’ufficio – Per violazione disposizione europee – Termine – Non sussiste.
  
Nelle fattispecie di risarcimento del danno per violazione dei principi di correttezza comportamentale va valutato complessivamente l’agire amministrativo, che, nelle fasi dell’adozione dell’atto ampliativo illegittimo e della decisione legittima di annullarlo in autotutela, è di tipo pubblicistico e si traduce nell’adozione di provvedimenti amministrativi di primo e secondo grado, a fronte del quale si configurano interessi legittimi, la cui cognizione, in caso di impugnazione, spetta al giudice amministrativo, in quanto l’affidamento del privato alla stabilità degli effetti di un atto illegittimo ritirato è strettamente connesso all’esercizio del potere amministrativo (1).
  
L’annullamento in autotutela di provvedimenti di concessione di contributi in violazione di norme europee ha carattere di doverosità anche quando è scaduto il termine a tal fine previsto dal diritto nazionale a tutela della certezza del diritto, in quanto le norme interne in materia di atti di ritiro hanno carattere recessivo rispetto a quello euro-unitarie (2).
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   (1) La Sezione ha avanzato dubbi in ordine alla correttezza del ragionamento seguito dalle Sezioni Unite nell’ordinanza n. 32365 del 2018, la quale si colloca, come noto, nel solco di un orientamento che va consolidandosi, secondo il quale la giurisdizione in materia di risarcimento dell’affidamento incolpevole spetta al giudice ordinario (di recente, con riferimento, peraltro, a una controversia rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, vedi la sentenza n. 8236 del 28.04.2020).
Valga, sotto tale profilo, il richiamo alla condivisa sentenza n. 292 del 18.03.2019 nella quale la sezione prima del Tar Piemonte ha affermato che, nelle ipotesi di esercizio di poteri di ritiro, a cui consegue la lesione dell’affidamento del privato, la complessità della fattispecie causativa del danno non giustifica la disconnessione con l’esercizio del potere, in quanto il provvedimento non recede a fatto storico espressione di un mero comportamento, relativamente soltanto al quale potrebbe ipotizzarsi la sussistenza della giurisdizione ordinaria.
Il Tar Piemonte ha, in particolare, rilevato che il comportamento colpevole tenuto dall’Amministrazione all’interno del procedimento non può ritenersi sconnesso dall’esercizio del potere nemmeno nei casi in cui sia stato legittimamente esercitato; ha, conseguentemente, concluso nel senso che sussiste la giurisdizione amministrativa anche nelle ipotesi di azioni risarcitorie per lesione del legittimo affidamento nella conservazione dell’atto illegittimo favorevole, successivamente annullato.
A tali convincenti considerazioni deve aggiungersi che in tali fattispecie va valutato il senso complessivo dell’agire amministrativo, che, nelle fasi dell’adozione dell’atto ampliativo illegittimo e della decisione legittima di annullarlo in autotutela, è indiscutibilmente di tipo pubblicistico e si traduce nell’adozione di provvedimenti amministrativi di primo e secondo grado, la cui cognizione, in caso di impugnazione, spetta al giudice amministrativo.
Diversamente da quanto ritenuto dalle Sezioni Unite, il Collegio ritiene che la sussistenza dell’esercizio di un vero e proprio potere pubblicistico, a fronte del quale si configurano interessi legittimi rientranti nella cognizione del giudice amministrativo, non è intaccata dall’insorgenza di un affidamento del privato sulla stabilità degli effetti, che non è idoneo a spostare la vicenda sul piano privatistico dei diritti soggettivi.
In altri termini, non corrisponde alla realtà fattuale del dispiegarsi dell’azione amministrativa l’affermazione secondo la quale la pretesa al risarcimento non consegue all’illegittimità dell’atto, ma all’affidamento ingenerato dal comportamento colpevole dell’amministrazione, in quanto il privato ha lamentato una lesione della sua integrità patrimoniale “rispetto alla quale l’esercizio del potere non rileva in sé, ma solo per l’efficacia causale del danno evento”.
È, infatti, vero, il contrario, ovverosia che l’affidamento del privato alla stabilità degli effetti di un atto illegittimo ritirato è strettamente connesso all’esercizio del potere amministrativo, a fronte del quale si configurano interessi legittimi, la cui cognizione spetta al giudice amministrativo.
   (2) Ha ricordato il Tar che la sentenza della Corte di Giustizia Ue n. 24 del 20.03.1997, relativa alla causa 2C-24/95, ha ad oggetto una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, nella quale era stato erogato un aiuto di Stato illegittimo, ma era decorso il termine previsto dalla normativa interna (tedesca) per l’esercizio del potere di ritiro.
La Corte di Giustizia Ue ha, in particolare, affermato che l’autorità nazionale competente è tenuta, in forza del diritto comunitario, a revocare la decisione di concessione di un aiuto attribuito illegittimamente, anche quando: a) abbia lasciato scadere il termine a tal fine previsto dal diritto nazionale a tutela della certezza del diritto; b) l’illegittimità della decisione sia alla stessa imputabile in una misura tale che la revoca appare, nei confronti del beneficiario dell’aiuto, contraria al principio di buona fede; c) tale revoca sia esclusa dal diritto nazionale a causa del venir meno dell’arricchimento, in assenza di malafede, del beneficiario dell’aiuto.
Deve pertanto concludersi -melius re perpensa rispetto a quanto ritenuto da questa Sezione in sede di sommaria delibazione- che il ritiro di aiuti di Stato illegittimi, in quanto erogati in violazione di norme europee, è doveroso, con conseguente recessività delle norme interne in materia di atti di ritiro, cosicché il primo motivo di ricorso va ritenuto infondato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 16.03.2021 n. 875 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAConcessione della Certosa di Trisulti alla Dignitatis Humanae e limiti temporali per l’esercizio del potere di autotutela.
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Beni culturali – Concessione - Certosa di Trisulti – requisiti - Mancanza . Ritiro dell’affidamento della concessione – legittimità.
  
Atto amministrativo – Autotutela – Termine – Provvedimento ampliativo - Autotutela a seguito di false dichiarazioni – Termine di 18 mesi ex art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990 – Inapplicabilità.
  
E’ legittimo il decreto del Ministero dei beni culturali ed ambientali che ha ritirato l'affidamento in concessione del bene immobile culturale denominato della Certosa di Trisulti, in provincia di Frosinone, alla Dignitatis Humanae, a causa della mancanza dei requisiti richiesti dal bando che riguardavano non solo la personalità giuridica, ma anche lo Statuto dell'associazione, che al tempo della presentazione della domanda non riportava gli indirizzi di tutela e valorizzazione richiesti dal ministero (1).
  
Il limite temporale dei 18 mesi per l’esercizio del potere di autotutela, introdotto dall’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, in ossequio al principio del legittimo affidamento con riguardo alla posizione di colui che ha ottenuto un provvedimento autorizzatorio o di attribuzione di vantaggi economici, è dedicato dal legislatore e, quindi, trova applicazione, solo se il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o successivamente all’adozione dell’atto, non abbia indotto in errore l’amministrazione distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a tale comportamento l’amministrazione si sia erroneamente determinata (a suo tempo) a rilasciare il provvedimento favorevole (2).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che il d.m. 06.10.2015, recante la disciplina del rilascio delle concessioni in uso a privati di beni immobili del demanio culturale dello Stato, si esprimano in termini estremamente chiari nel prevedere che alla selezione possano partecipare solo associazioni e fondazioni riconosciute, perché solo a queste tipologie di enti è consentito di essere destinatari della concessione di beni immobili del demanio culturale dello Stato.
Il tenore dell’art. 2 del citato decreto ministeriale non lascia spazio a diverse interpretazioni laddove stabilisce testualmente che “Le concessioni disciplinate dal presente decreto sono riservate alle associazioni e fondazioni di cui al Libro I del codice civile, dotate di personalità giuridica e prive di fini di lucro, che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) previsione, tra le finalità principali definite per legge o per statuto, dello svolgimento di attività di tutela, di promozione, di valorizzazione o di conoscenza dei beni culturali e paesaggistici; b) documentata esperienza almeno quinquennale nel settore della collaborazione per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale; c) documentata esperienza nella gestione, nell'ultimo quinquennio antecedente la pubblicazione dell'avviso pubblico di cui all'art. 3, di almeno un immobile culturale, pubblico o privato, con attestazione della soprintendenza territorialmente competente di adeguata manutenzione e apertura alla pubblica fruizione”.
I requisiti dovevano essere posseduti alla scadenza del termine fissato per presentazione delle domande. Ciò discende da un principio immanente nel nostro ordinamento in virtù del quale i requisiti richiesti per la partecipazione ad una selezione pubblica debbono essere posseduti al momento della scadenza del termine perentorio stabilito dal bando per la presentazione della domanda di partecipazione, al fine di non pregiudicare la par condicio tra i candidati ad una selezione pubblica, che sempre deve assistere lo svolgimento di una siffatta procedura amministrativa, anche solo quale precipitato del principio di cui all’art. 97 Cost., oltre ai principi, criteri e disposizioni recati dall’art. 1, l. n. 241 del 1990, che disciplina ogni tipologia di attività amministrativa, anche di tipo selettivo (Cons. Stato, sez. VI, 08.09.2020, n. 5412) e che, ovviamente (operando, in via principale, quale principio generale relativo alla legittimazione a partecipare alla selezione e non quale condizione per l’ottenimento del beneficio derivante dall’avere superato favorevolmente la selezione stessa), trova applicazione anche nell’ipotesi in cui si verifichi il caso della partecipazione di un solo candidato alla selezione.
Ha ancora affermato la Sezione che la selezione avviata dal Ministero dei beni culturali e conclusa con l’adozione di un decreto di approvazione della graduatoria e di individuazione dell’assegnatario della concessione di un bene immobile di rilievo culturale ha ad oggetto, senza alcun dubbio, l’assegnazione di un vantaggio economico [e proprio per questa ragione la scelta del concessionario di un bene pubblico suscettibile di sfruttamento economico va effettuata mediante procedura competitiva di evidenza pubblica, in applicazione diretta dei principi di matrice eurounitaria del Trattato dell'Unione europea (Cons. Stato, sez. V, 31.05.2011, n. 3250 e 07.04.2011, n. 2151).
   (2) La Sezione ha premesso che la concessione per la cura e lo sfruttamento (e quindi, in sintesi, della gestione) di un bene culturale demaniale costituisce un atto autoritativo con il quale, all’esito di un procedimento amministrativo di tipo selettivo, l’amministrazione concedente individua il soggetto al quale rilasciare la concessione. L’operazione, ad evidente carattere dicotomico, si completa con la stipula della convenzione, che caratterizza il momento civilistico della seconda fase dell’operazione, per mezzo della quale le parti, concedente e concessionario, disciplinano gli aspetti concreti e “la vita” della gestione del bene demaniale, individuando le peculiarità che contraddistinguono il rapporto tra le parti, anche sotto il profilo economico.
Dunque il momento civilistico non avrebbe vita autonoma senza la definizione della fase pubblicistica e, anzi, è strettamente condizionato dalla validità ed efficacia delle scelte effettuate dall’amministrazione concedente nella fase autoritativa di individuazione del concessionario.
Infatti la concessione demaniale integra una fattispecie complessa (a portata dicotomica), alla cui formazione concorrono il potere discrezionale dell’amministrazione e la volontà del privato di accettare le condizioni negoziali di disciplina del rapporto (regime di utilizzo, durata, assetto economico dei rapporti, cause di decadenza per inadempimento, condizioni economiche per lo sfruttamento e la gestione del bene, ecc.). Nell’operazione di rilascio della concessione di beni coesistono, pertanto, un atto amministrativo unilaterale, con il quale l’amministrazione dispone di un proprio bene in via autoritativa e una convenzione attuativa, avente ad oggetto la regolamentazione degli aspetti patrimoniali, nonché dei diritti e obblighi delle parti connessi all'utilizzo di detto bene, elementi, questi, entrambi necessari ai fini della costituzione del rapporto concessorio.
Nello stesso tempo, però, i due momenti, quello pubblicistico e quello consensuale, integrano l’atto complesso costituito dalla concessione-contratto. L’atto accessivo ad una concessione (il “contratto”) che, giuridicamente, va qualificata quale tipico provvedimento amministrativo costitutivo, parteciperebbe della natura provvedimentale della concessione medesima, ben potendo, dunque, al pari di essa, essere oggetto dell'esercizio di poteri di autotutela da parte dell'amministrazione, stante l’intimo rapporto di causa-effetto che intercorre tra le due fasi e tra gli atti che le concludono. D’altronde, anche per quello che si dirà nel prosieguo, una volta accertata l’illegittimità del provvedimento concessorio e una volta che si è proceduto al suo annullamento (in sede giudiziale o in sede amministrativa tramite lo strumento dell’autotutela), l’effetto patologico di tale illegittimità pervade il contratto e quindi provoca la decadenza dal beneficio ottenuto indebitamente.
Ne deriva che, non solo il rilascio di una concessione costituisce un provvedimento di attribuzione di vantaggi economici “a persone ed enti pubblici e privati” (per come è specificato nell’art. 12, l. n. 241 del 1990), ampliativo della sfera giuridica (ed economica) del destinatario, che rappresenta il momento prodromico e pregiudiziale per la composizione civilistica degli interessi del concedente e del concessionario, ma nei confronti di detto provvedimento e del procedimento all’esito del quale esso viene adottato trovano sicuramente applicazione le disposizioni recate dalla l. n. 241 del 1990, ivi compreso l’istituto dell’autotutela ai sensi dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990.
Ha ancora ricordato la Sezione che il potere di autotutela decisoria è, invero, un potere amministrativo di secondo grado, che si esercita su un precedente provvedimento amministrativo, vale a dire su una manifestazione di volontà già responsabilmente espressa dall'amministrazione e in sé costitutiva di affidamenti nei destinatari e che, in base all'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, per esigenze di sicurezza giuridica e certezza dei rapporti immanenti all’ordinamento, deve essere inderogabilmente esercitato entro un termine ragionevole e, comunque, entro diciotto mesi “dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.
Nel caso di specie si è al cospetto di un soggetto (l’associazione DHI) che ha conseguito un vantaggio economico (l’assegnazione del bene di rilievo culturale, all’esito di una selezione, tramite concessione) sulla scorta di dichiarazioni rese al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla relativa selezione, poi dimostratesi non veritiere.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che, al ricorrere di una siffatta ipotesi, l’amministrazione avrebbe potuto annullare il provvedimento, adottato sulla scorta della dichiarazione non veritiera, solo all’esito del giudizio penale (e quindi dopo il passaggio in giudicato della relativa sentenza) avviato nei confronti del dichiarante (ovviamente, laddove detto procedimento venga realmente avviato), in ossequio alla norma contenuta nell’art. 21-nonies, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990.
La Sezione ha ritenuto che tale lettura interpretativa della norma non è condivisibile.
Va detto che in epoca recente, pur se in materia di dichiarazioni rese in occasione di una procedura di gara svolta ai sensi del d.lgs. 18.04.2016, n. 50, ma esprimendo principi che ben possono attagliarsi al caso qui in esame, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 25.09.2020 n. 16, ha affermato che: in via generale, “è risalente l'insegnamento filosofico secondo cui vero e falso non sono nelle cose ma nel pensiero e nondimeno dipendono dal rapporto di quest'ultimo con la realtà. In tanto una dichiarazione che esprima tale pensiero può dunque essere ritenuta falsa in quanto la realtà cui essa si riferisce sia in rerum natura”; premesso quanto sopra, le informazioni false o fuorvianti rese da un concorrente ben possono essere idonee ad influenzare le decisioni che verranno assunte da un’amministrazione che sta svolgendo una procedura selettiva; va però precisato che non è sufficiente che l’informazione sia falsa ma anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura selettiva; a ciò va aggiunto che le informazioni sono strumentali rispetto ai provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativamente alla procedura selettiva, i quali sono a loro volta emessi non solo sulla base dell’accertamento di presupposti di fatto ma anche di valutazioni di carattere giuridico, opinabili tanto per quest’ultima quanto per l’operatore economico che le abbia fornite.
Ne consegue che, in presenza di un margine di apprezzamento discrezionale, la demarcazione tra informazione contraria al vero e informazione ad essa non rispondente ma comunque in grado di sviare la valutazione della stazione appaltante diviene da un lato difficile, con rischi di aggravio della procedura di gara e di proliferazione del contenzioso ad essa relativo e dall'altro lato irrilevante rispetto al disvalore della fattispecie, consistente nella comune attitudine di entrambe le informazioni a sviare l’operato della medesima amministrazione.
Da tutto quanto sopra discende che la considerazione della dichiarazione in termini omissivi o non veritieri, per poter condurre all’esclusione dalla selezione (ovvero, come nel caso di specie, laddove la scoperta della inadeguatezza della dichiarazione rispetto alle regole di partecipazione alla selezione sia successiva all’adozione del provvedimento conclusivo e quindi conduca al suo annullamento in autotutela), deve essere ricondotta dall’amministrazione nell’ambito di un contraddittorio tra l’amministrazione procedente e il concorrente, solo all’esito del quale l’amministrazione potrà stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante, se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni ed infine se il comportamento tenuto dal concorrente abbia inciso in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità partecipativa. Del pari l’amministrazione dovrà stabilire allo stesso scopo se quest'ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa della selezione, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità.
Una lettura costituzionalmente orientata della norma di cui all’art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241 del 1990, tenuto conto della portata degli artt. 3 e 97 Cost., conduce ad affermare che il termine massimo di 18 mesi assegnato dal legislatore nel 2015 all’amministrazione per ritirare dal mondo giuridico, con effetto retroattivo, il provvedimento di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici è stato introdotto al fine di garantire il rispetto del principio del legittimo affidamento che trova il suo fondamento, nell’ordinamento unionale, nei principi del Trattato dell’unione europea e, in quello nazionale, nei principi dell’art. 97 Cost. nonché nelle disposizioni recate dall’art. 1, comma 1, l. n. 241 del 1990.
Sotto il versante del diritto eurounitario (nell'ambito della giurisprudenza della Corte di giustizia UE), il principio di tutela del legittimo affidamento impone che una situazione di vantaggio, assicurata ad un privato da un atto specifico e concreto dell'autorità amministrativa, non possa essere successivamente rimossa, salvo che non sia strettamente necessario per l'interesse pubblico (e fermo in ogni caso l'indennizzo della posizione acquisita). Nello stesso tempo però (Cons. Stato, sez. III, 08.07.2020, n. 4392), affinché un affidamento sia legittimo è necessario un requisito oggettivo, che coincide con la necessità che il vantaggio sia chiaramente attribuito da un atto all'uopo rivolto e che sia decorso un arco temporale tale da ingenerare l'aspettativa del suo consolidamento e un requisito soggettivo, che coincide con la buona fede non colposa del destinatario del vantaggio (l'affidamento non è quindi legittimo ove chi lo invoca versi in una situazione di dolo o colpa).
Sulla spinta dei principi unionali il nostro legislatore ha dunque introdotto un limite massimo per l’adozione di atto di ritiro di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario, sempre che costui sia parte passiva e incolpevole nella provocazione della patologia che, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 1, l. n. 241 del 1990, affligge l’atto da ritirarsi, sicché la responsabilità nella adozione dell’atto illegittimo deve totalmente ascriversi all’amministrazione.
Diverso è il caso in cui il profilo patologico che affligge l’atto e che ne impone, al ricorrere dei presupposti, la rimozione, sia ascrivibile al comportamento mantenuto dalla parte che ha ottenuto l’adozione in suo favore dell’atto autorizzatorio ovvero di attribuzione di vantaggi economici.
Ancora una volta, in considerazione dell’art. 97 Cost e dell’art. 3 Cost., quest’ultimo con riferimento agli altri soggetti che pur potendo aspirare al rilascio del provvedimento ampliativo della sfera giuridica dell’interessato hanno dovuto accettare che il provvedimento favorevole fosse assegnato ad altri, l’ordinamento (sia quello unionale che quello nazionale) non può tollerare che il vantaggio sia conseguito attraverso un comportamento non corretto che abbia indotto in errore l’amministrazione procedente, sviando in modo decisivo la valutazione dei presupposti fissati dalla legge ai fini del rilascio del provvedimento attributivo di quel vantaggio, pregiudicando (anche solo potenzialmente) le aspirazioni di altri (nel caso di specie alla selezione potrebbero non avere partecipato associazioni che, non possedendo i requisiti richiesti dall’avviso pubblico, sapevano che sarebbero state escluse e che, peraltro, potrebbero avere conseguito i requisiti richiesti in epoca successiva rispetto alla scadenza del termine per la presentazione delle domande esattamente come l’associazione DHI che ha, dunque, partecipato alla selezione senza essere in possesso dei requisiti richiesti, addirittura aggiudicandosela).
Pertanto, la su riproposta lettura costituzionalmente orientata dell’art. 21-nonies, comma 1, l. 241 del n. 1990, porta ad affermare che il limite temporale dei 18 mesi, introdotto nel 2015, in ossequio al principio del legittimo affidamento con riguardo alla posizione di colui che ha ottenuto un provvedimento autorizzatorio o di attribuzione di vantaggi economici, è dedicato dal legislatore e, quindi, trova applicazione, solo se il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o successivamente all’adozione dell’atto, non abbia indotto in errore l’amministrazione distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a tale comportamento l’amministrazione si sia erroneamente determinata (a suo tempo) a rilasciare il provvedimento favorevole.
Nel caso contrario, non potendo l’ordinamento tollerare lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata, non può trovare applicazione il limite temporale di 18 mesi oltre il quale è impedita la rimozione dell’atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario (Cons. Stato, sez. IV, 17.05.2019, n. 3192; id. 24.04.2019, n. 2645) (
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.03.2021 n. 2207 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DIRITTO SANITARIO – COVID – 19 e pandemia – Normativa emergenziale sanitaria – Delitto di falso in atto pubblico – Presupposti e limiti – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – COVID 19 – Falsa autodichiarazione – Nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale – Diritto di difesa del singolo (art. 24 Cost.).
Le false dichiarazioni del privato integrano il delitto di falso in atto pubblico solo quando sono destinate a provare la verità dei fatti cui si riferiscono nonché ad essere trasfuse in un atto pubblico.
In tale prospettiva, il delitto di cui all’art. 483 c.p. si consuma non nel momento in cui il privato rende la dichiarazione infedele, ma in quello della relativa percezione da parte del pubblico ufficiale che lo trasfonde nell’atto pubblico.
Inoltre, bisogna ancora evidenziare che, per un privato che si trovi sottoposto a controllo di polizia in relazione ai divieti di spostamento imposti dalla normativa emergenziale Covid 19, non sussiste alcun obbligo giuridico di dire la verità sui fatti oggetto dell’autodichiarazione sottoscritta in quanto non è rinvenibile nel sistema una norma giuridica che in tale contesto prescriva l’obbligo di riferire la verità e, ove una tale norma esistesse, si porrebbe in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo (art. 24 Cost.) e con il principio nemo tenetur se detegere”
(TRIBUNALE di Milano, sentenza 12.03.2021 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAlla Plenaria i limiti di proponibilità della questione di giurisdizione in appello e il tema del risarcimento del danno da provvedimento favorevole annullato.
La II sezione del Consiglio di Stato ha sottoposto all’esame della plenaria le seguenti questioni:
   - se in sede di impugnazione l’originario ricorrente possa contestare la giurisdizione del giudice amministrativo dallo stesso adito;
   - se la questione di giurisdizione possa essere esaminata anche in caso di declaratoria di inammissibilità in primo grado; in caso positivo
   - se sussista la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere una domanda del privato diretta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo favorevole all’interessato;
   - se il privato possa in astratto vantare un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo annullato, idoneo a fondare un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione; in caso positivo,
   - in presenza di quali condizioni ed entro quali limiti possa riconoscersi al privato un diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole.
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Giustizia amministrativa – Appello – Contestazione della giurisdizione amministrativa da parte dell’originario ricorrente – Deferimento all’Adunanza plenaria
  
Giustizia amministrativa – Appello – Declaratoria di inammissibilità – Questione di giurisdizione – Deferimento all’Adunanza plenaria
  
Giustizia amministrativa – Giurisdizione – Risarcimento danni da provvedimento amministrativo favorevole all’interessato annullato – Deferimento all’Adunanza plenaria
  
Giurisdizione e competenza – Responsabilità civile della P.A. – Annullamento giurisdizionale di un provvedimento favorevole – Giurisdizione – Deferimento all’Adunanza plenaria
  
Responsabilità civile della P.A. – Annullamento giurisdizionale di un provvedimento favorevole – Lesione dell’affidamento del contraente – Tutela risarcitoria – Deferimento all’Adunanza plenaria
  
Responsabilità civile della P.A. – Annullamento giurisdizionale di un provvedimento favorevole – Lesione dell’affidamento del contraente – Tutela risarcitoria – Condizioni e limiti – Deferimento all’Adunanza plenaria
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del codice del processo amministrativo, le seguenti questioni:
   a) se sia ammissibile un motivo d’impugnazione volto a contestare la giurisdizione del giudice amministrativo, formulato dalla parte che aveva introdotto il giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, soprattutto quando il giudizio è stato introdotto in un contesto ordinamentale e giurisprudenziale completamente diverso da quello attuale (1);
   b) se il giudice possa comunque affrontare la questione della giurisdizione in generale, anche in caso di una declaratoria d’inammissibilità, dato che una cosa è l’effetto dell’esame della questione, altra è la questione in senso lato (2);
   c) in caso positivo, se sussista la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere una domanda del privato diretta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo ‒emanato dalla medesima amministrazione‒ favorevole all’interessato e, in particolare, di un titolo edilizio esplicito o implicito (3);
   d) se l’interessato ‒a prescindere dalle valutazioni circa la sussistenza in concreto della colpa della pubblica amministrazione, del danno in capo al privato e del nesso causale tra l’annullamento e la lesione‒ possa in astratto vantare un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo annullato, idoneo a fondare un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione (4);
   e) in caso positivo, in presenza di quali condizioni ed entro quali limiti può riconoscersi al privato un diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole (5).

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   (1-5) I. – Con l’ordinanza in esame la II sezione del Consiglio di Stato ha sottoposto all’Adunanza plenaria una serie di questioni, riassunte in massima, relative ai limiti entro i quali può essere esaminata la questione di giurisdizione in appello, nonché in relazione alla giurisdizione sulla domanda da risarcimento del danno proposto dal privato nei confronti dell’amministrazione in caso di annullamento di provvedimento amministrativo favorevole e ai presupposti applicativi e ai limiti della tutela risarcitoria.
   II. – Il collegio, con l’ordinanza in esame, dopo aver analizzato la vicenda processuale sottesa e le argomentazioni delle parti, ha osservato quanto segue:
      a) la ricorrente ha adito l’autorità giurisdizionale al fine di ottenere dal comune resistente il risarcimento dei danni da essa subiti in conseguenza dell’annullamento di una concessione edilizia e delle sue varianti disposto con provvedimento giurisdizionale;
      b) con la sentenza n. 293 del 20.06.2012, il Tar per l’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, dopo aver ritenuto sussistente la propria giurisdizione e tempestivo il ricorso, lo ha respinto;
      c) in via pregiudiziale, va vagliata l’ammissibilità del primo motivo di impugnazione, formulato dalla parte che in primo grado ha adito il Tar e che, in sede di gravame, si duole dell’esplicita affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo da parte del giudice di primo grado, che ha rigettato l’eccezione proposta dal comune resistente:
         c1) dagli atti processuali emerge che la ricorrente, in primo grado, ha solo adombrato che vi potesse essere un difetto di giurisdizione, concludendo per l’accoglimento del ricorso;
         c2) in ogni caso, una eventuale richiesta di declaratoria di difetto di giurisdizione in primo grado sarebbe irrilevante ai fini dell’ammissibilità del motivo di impugnazione, in quanto l’interessata avrebbe potuto utilizzare lo strumento del regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 10 c.p.a.;
         c3) secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa il soggetto che ha proposto ricorso al giudice amministrativo non può poi contestarne la giurisdizione;
         c4) tale orientamento è motivato sia sul presupposto che l’originario ricorrente non è soccombente in punto di giurisdizione, sia sulla circostanza che tale condotta processuale integra un abuso del diritto di difesa, scaturente dal venire contra factum proprium, nonché dalla violazione del dovere di cooperazione per la realizzazione della ragionevole durata del processo sancita dall’art. 2, comma 2, c.p.a.;
         c5) il citato approdo ermeneutico, tuttavia, in mancanza di una norma espressa, non è univoco neanche nella giurisprudenza di legittimità;
      d) nel caso in cui l’Adunanza plenaria ritenesse ammissibile il motivo di giurisdizione, si rileva un contrasto giurisprudenziale in punto di giurisdizione all’interno del Consiglio di Stato:
         d1) secondo un orientamento, la domanda risarcitoria proposta nei confronti della pubblica amministrazione per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria –anche nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo– non trattandosi di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato, ma di una lesione del diritto soggettivo alla sua integrità patrimoniale oppure di una lesione all’affidamento incolpevole quale situazione giuridica soggettiva autonoma, dove l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento;
         d2) in altre pronunce si è invece affermato che nelle materie di giurisdizione esclusiva, le domande relative al risarcimento del danno da lesione dell’affidamento riposto sulla legittimità dei provvedimenti
successivamente annullati rientrerebbero nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo;
         d3) ad avviso del collegio, la domanda proposta dall’appellante sembra rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto il ricorso non si fonda su un mero comportamento dell’amministrazione comunale, ma sulla circostanza che essa aveva rilasciato un permesso a costruire sulla base di un’interpretazione poi rilevatasi errata di una sua norma regolamentare.
Quindi non si tratta di mero comportamento, ma di attività amministrativa procedimentalizzata, con la conseguenza che la lesione di un’aspettativa giuridicamente tutelabile è derivata, nella prospettazione della ricorrente, da un illegittimo esercizio del potere amministrativo che rientra nell’alveo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all’art. 133, lett. f), c.p.a., “atteso che l’ordinamento attribuisce, in ossequio al principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale, alla cognizione del giudice amministrativo tutti gli strumenti processuali idonei a tutelare la posizione lesa dall’esercizio dei pubblici poteri di cui è titolare l’amministrazione e che la circostanza che il danno non sia direttamente cagionato dal provvedimento, ma derivi dal suo annullamento, attiene soltanto al piano cronologico e non, per contro, a quello logico ed eziologico, stante la riconducibilità diretta del pregiudizio al provvedimento amministrativo”;
         d4) l’orientamento favorevole alla giurisdizione del giudice ordinario si basa sul presupposto per cui vi sarebbe l’interesse legittimo solo a fronte della illegittima negazione di un bene della vita e non nell’illegittimo riconoscimento del bene. Tale impostazione non appare coerente con il generale criterio di riparto sancito dalla Costituzione che non condiziona la natura delle situazioni soggettive al carattere satisfattivo o meno del provvedimento amministrativo;
         d5) l’opposta soluzione potrebbe condurre a esiti disarmonici, in quanto, in base ad essa, laddove il risarcimento venga chiesto dal controinteressato per i danni causatigli da un provvedimento illegittimo, vi sarebbe giurisdizione del giudice amministrativo su tale domanda, mentre, qualora la domanda risarcitoria sia proposta dal soggetto destinatario del medesimo illegittimo provvedimento a lui favorevole, la giurisdizione si radicherebbe presso l’autorità giudiziaria ordinaria;
      e) qualora l’Adunanza plenaria reputasse il caso di specie rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo occorrerà esaminare i presupposti dell’azione risarcitoria proposta dal privato:
         e1) a giudizio del collegio appare corretta la statuizione del Tar che ha negato tutela all’appellante evidenziando che: la vicenda trae origine da un atto amministrativo –concessione edilizia– chiesto e voluto dal privato e conforme ai suoi interessi; l’interessata ha difeso in giudizio tale atto amministrativo risultando soccombente; l’affidamento ingenerato dal Comune si sostanzia semplicemente nella buona fede dell’interessata; l’affidamento non deriva da un comportamento colpevole dell’ente pubblico, in quanto è corrispondente e speculare alla convinzione dell’appellante di avere diritto a ottenere la concessione edilizia;
         e2) occorre tuttavia rilevare la presenza di un contrasto giurisprudenziale in punto di diritto al risarcimento da lesione dell’affidamento verso un provvedimento amministrativo illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale;
         e3) secondo una ricostruzione, la sentenza di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo ha accertato l’assenza del danno ingiusto perché all’originario ricorrente non spettava l’ottenimento del bene della vita sotteso al suo interesse legittimo. L’amministrazione, anzi, avrebbe dovuto respingere l’istanza di concessione edilizia, per cui non può dolersi del danno chi abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un progetto non assentibile; in tal caso il ricorrente avrebbe, sotto il profilo soggettivo, manifestato quanto meno una propria colpa e, sotto il profilo oggettivo, avrebbe attivato con efficacia determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno;
         e4) un diverso orientamento giurisprudenziale è invece favorevole al riconoscimento della risarcibilità della lesione dell’affidamento del privato verso un provvedimento illegittimo, annullato in sede di autotutela o in sede giurisdizionale, seppur in presenza di stringenti limiti di prova della colpa dell’amministrazione, del danno subito dall’istante e del nesso di causalità tra l’annullamento e il danno;
      f) nel condividere il primo orientamento, il collegio osserva che:
         f1) “L’affidamento è un istituto giuridico che taglia trasversalmente l’intero ordinamento giuridico e senza dubbio assume rilievo nei rapporti tra i privati e le pubbliche amministrazioni, anche nelle fattispecie in cui vi è esercizio di potere di natura pubblicistica”;
         f2) l’affidamento non è un diritto soggettivo, ma una situazione giuridica soggettiva dai tratti peculiari propri, idonea a fondare una particolare responsabilità, che si colloca tra il contratto e il torto civile;
         f3) in ogni caso, per aversi un affidamento giuridicamente tutelabile in capo al privato occorre: una condotta della pubblica amministrazione connotata da mala fede o da colpa in grado di far sorgere nell’interessato, versante in una condizione di buona fede, un’aspettativa al conseguimento di un bene della vita; che la fiducia riposta da quest’ultimo in un esito del procedimento amministrativo a lui favorevole sia ragionevole e non colposamente assunta come fondata;
         f4) “In sostanza, ai fini della sussistenza dell’affidamento, il privato che ha interloquito con la pubblica amministrazione non soltanto non deve averla condotta dolosamente o colposamente in errore, ma deve aver aspettativa qualificata, ovverosia basata su una pretesa legittima alla luce del quadro ordinamentale applicabile al caso di specie”;
         f5) ai fini dell’affidamento, l’ipotesi dell’annullamento del provvedimento favorevole in sede giurisdizionale va tenuta chiaramente distinta da quella di annullamento d’ufficio in autotutela e dalla revoca, in quanto, a fronte della medesima domanda di risarcimento del danno, le causae petendi sono differenti;
         f6) in tali ultimi casi, infatti, l’eventuale affidamento del privato verrebbe pregiudicato da una condotta dell’amministrazione che modifica unilateralmente l’assetto di interessi in precedenza dalla stessa delineato;
         f7) invece, nel primo caso, il potenziale affidamento verrebbe leso da un provvedimento promanante dal potere giurisdizionale, nei cui confronti non può esserci in radice, per la natura terza del giudice, alcuna aspettativa qualificata all’accoglimento delle proprie ragioni. “Ne discende che l’annullamento del provvedimento amministrativo in sede giurisdizionale non può mai ridondare in una lesione di un affidamento legittimo, idonea a fondare una domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione”;
         f8) tali requisiti non appaiono sussistere nel caso di specie, in cui l’interessato ha chiesto all’amministrazione il rilascio di un provvedimento ampliativo della propria sfera soggettiva, che è stato emesso e poi annullato in sede giurisdizionale. In questi casi, anche qualora possa riscontrarsi la buona fede del privato, l’eventuale aspettativa non sarebbe legittima, in quanto basata su una pretesa non tutelata dall’ordinamento;
         f9) le domande inoltrate dal privato all’amministrazione comunale erano volte ad ottenere una concessione edilizia e successive varianti, non conformi agli strumenti urbanistici, cosicché non può essere riconosciuto un ristoro a chi non avrebbe avuto diritto, in una prospettiva ex ante, al bene della vita;
         f10) “Si evidenzia altresì che, presentando un’istanza infondata, il privato non soltanto non ha subito alcun danno ingiusto e, pertanto, ristorabile, ma, per tal via, ha egli cagionato un danno al Comune, sia in relazione ad uno spreco delle limitate risorse umane e materiali dell’amministrazione per la trattazione della pratica, sia con riferimento all’interesse dell’amministrazione ad una corretta gestione del territorio, atteso che il Comune è l’ente esponenziale che, in via diretta e primaria, ha il compito di pianificare, governare e tutelare l’armonico e sostenibile sviluppo urbanistico”.
   III. – Per completezza si osserva quanto segue:
      g) sulla giurisdizione del giudice ordinario in materia di domanda di risarcimento del danno derivante da atto favorevole al destinatario successivamente annullato ovvero da inerzia nella repressione di abusi dovuti a omessa vigilanza ovvero a omessa esecuzione di provvedimenti repressivi:
         g1) Cons. Stato, Ad. plen., 07.09.2020, n. 17 (in Foro it., 2021, III, 33, con nota di E. TRAVI; oggetto della News US, n. 107 del 28.09.2020, non citata nel deferimento in rassegna), che (al § 8.1.) riconosce espressamente la piena operatività dell’indirizzo espresso dalla Corte di cassazione: “Nell’ordinamento interno, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi a seguito della nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/1999, si è affermato, anche per via legislativa, che il “bene della vita” cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso di correla. E’ quindi ben possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata (sul punto le Sezioni unite sono ferme nel ritenere che trattasi di diritto soggettivo: SSUU, 24.09.2018, n. 22435; 22.06.2017, n. 15640; 04.09.2015, n. 17586; 23.03.2011, n. 6596), l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato”;
         g2) Cass. civ., sez. un., 28.04.2020, n. 8236 (in Giur. it., 2020, 2530, con nota di COMPORTI; Corriere giur., 2020, 1025, con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia, 2020, I, 461; Resp. civ. e prev., 2020, 1181, con nota di PATRITO; Nuova giur. civ., 2020, 1074, con note di ZACCARIA, SCOGNAMIGLIO; Giornale dir. amm., 2020, 805, con nota di BONTEMPI; Rass. dir. civ., 2020, 959, con nota di MANFREDONIA), secondo cui:
- “L'affidamento leso è una situazione autonoma, tutela(ta) in sé e non nel suo collegamento con l'interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia in un'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell'amministrazione fondata sulla buona fede; il comportamento rilevante ai fini di siffatto affidamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra l'amministrazione e il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto o addirittura essere legittimo, e viene apprezzato sulla base di regole di correttezza e di buona fede che si pongono su un piano autonomo rispetto a quelle di validità delle forme di esercizio della funzione pubblica”;
- “La violazione delle regole di correttezza e di buona fede ingenera una responsabilità da «contatto sociale qualificato» o di tipo «relazionale», qualificata dallo status della p.a. i cui agenti sono tenuti a uno sforzo maggiore in termini di correttezza, lealtà e protezione rispetto a quello che si attenderebbe dal quisque de populo, da inquadrare nello schema della responsabilità contrattuale, con l'avvertenza che esso si riferisce non al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio sorto da fonti diverse dell'ordinamento ex art. 1173 c.c.”;
- “Spetta alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della p.a. che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della p.a. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da «contatto sociale qualificato», inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”;
         g3) Cass. civ., sez. un., 19.02.2019, n. 4889 (in Foro it., 2019, I, 4066, con nota di richiami di BORGIANI, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti giurisprudenziali; Riv. giur. edilizia, 2019, I, 580), secondo cui “È devoluta al giudice ordinario la controversia che il privato promuova per il risarcimento dei danni nei confronti del comune che abbia omesso la dovuta sorveglianza ed i controlli prescritti dall'art. 27 d.p.r. 06.06.2001 n. 380, nei confronti del costruttore ed abbia emesso i relativi provvedimenti abilitativi (nella specie, il privato aveva acquistato una porzione dell'edificio, confidando incolpevolmente sulla relativa regolarità urbanistico-edilizia, rivelatasi insussistente)”.
Osserva BORGIANI, op. ult. cit., che con l’ordinanza in esame le sezioni unite confermano il loro indirizzo avviato nel 2011, secondo cui è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarcimento dei danni proposta dal privato nei confronti dell’amministrazione per la lesione dell’affidamento ingenerato da un provvedimento favorevole, successivamente annullato dal giudice amministrativo o dalla stessa amministrazione in autotutela. L'affermazione della giurisdizione ordinaria si fonda sull’argomento che in questo caso la domanda ha ad oggetto non una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato, ma una lesione del suo diritto all'integrità patrimoniale, rispetto al quale l'esercizio del potere amministrativo rileva non in quanto tale, ma come mero comportamento per l'efficacia causale del danno-evento da affidamento legittimo.
Osserva l’A. che la posizione della Corte risulta ormai accolta dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, mentre risulta in via di superamento l’orientamento secondo cui la lesione dell’affidamento riconducibile a un esercizio scorretto del potere determinerebbe sempre la lesione di un interesse legittimo. L’ordinanza ammette un legittimo affidamento non solo in presenza di un provvedimento favorevole poi annullato, ma anche in presenza dell’inerzia dell’amministrazione nell’esercizio dei doveri di vigilanza.
Nel caso di specie, si trattava dell’inerzia dell’amministrazione nell’esercizio dei poteri di vigilanza sull’attività edilizia. In particolare, il privato aveva acquistato una porzione di edificio realizzato dal costruttore con abusi edilizi senza che il comune fosse intervenuto per reprimere tali abusi e l’acquirente era convinto di aver acquistato un immobile regolare. Il comune solo in un secondo tempo aveva applicato le misure sanzionatorie per l’abuso edilizio, misure sanzionatorie che, secondo la giurisprudenza amministrativa hanno carattere reale e pertanto possono essere applicate non solo nei confronti dei soggetti responsabili dell'abuso, ma anche nei confronti del proprietario attuale dell'immobile, ancorché incolpevole.
Il privato acquirente dell'immobile aveva proposto ricorso avanti al giudice amministrativo contro il provvedimento sanzionatorio del comune, ma con esito non positivo. Pur ritenendo ampiamente condivisa la devoluzione della questione alla giurisdizione del giudice ordinario, osserva che le posizioni della giurisprudenza civile e amministrativa risultano divergenti per quanto riguarda l’identificazione delle condizioni per ammettere un legittimo affidamento nei confronti dell’amministrazione. In particolare, in materia edilizia, la giurisprudenza amministrativa ha negato la configurabilità di un legittimo affidamento anche nel caso di un abuso edilizio eseguito in epoca non recente e a lungo non sanzionato, e su questa base ha escluso l’illegittimità del provvedimento di demolizione o di annullamento in autotutela del titolo edilizio, applicato nei confronti del proprietario dell’immobile (cfr. in particolare, Cons. Stato, Ad. plen. 17.10.2017, n. 9, in Foro it., 2018, III, 5; Foro amm., 2017, 1988; Giornale dir. amm., 2018, 67, con nota di TRIMARCHI; Foro amm., 2018, 789, con nota di CURTO; Riv. giur. edilizia, 2017, I, 1128; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 113, con note di DROGHINI, STRAZZA; Riv. amm., 2018, 92; oggetto della News US, in data 23.10.2017).
Argomento centrale nella sentenza dell’Adunanza plenaria è che il decorso di un notevole intervallo di tempo prima dell'adozione del provvedimento sanzionatorio di demolizione o di annullamento in autotutela del titolo edilizio non può rendere legittimo ciò che sin dall'origine è illegittimo e che i trasferimenti a titolo particolare dei beni immobili non sarebbero idonei a dare origine a una condizione di buona fede nell'acquirente.
La tendenza a ridimensionare o ad escludere del tutto una posizione di legittimo affidamento del privato si riscontra inoltre nella giurisprudenza sugli atti assunti dall'amministrazione per far valere o recuperare posizioni creditorie (Cons. Stato, ad. plen., 30.08.2018, n. 12, in Foro it., 2018, III, 618; Vita not., 2018, 1141; Foro amm., 2018, 1197; Guida al dir., 2018, fasc. 38, 86, con nota di PONTE; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 985; Riv. giur. urbanistica, 2019, 91, con nota di GORGERINO; Riv. amm., 2018, 422; oggetto della News US, in data 17.09.2018).
Esemplare è l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di ripetizione delle somme indebitamente erogate dall'amministrazione ai propri dipendenti. Se in origine lo stato di buona fede ed il decorso del tempo erano considerati ostativi rispetto alla ripetizione, perché in definitiva si riteneva configurabile un legittimo affidamento dei pubblici dipendenti, più di recente si è imposto l'orientamento secondo cui il recupero di tali somme costituirebbe per l'amministrazione un dovere per superiori ragioni di finanza pubblica. L'affidamento del dipendente potrebbe solo orientare l'amministrazione ad adottare modalità di ripetizione che non incidano troppo gravosamente sulle esigenze primarie del debitore;
         g4) Cass. civ., sez. un., ordinanza, 24.09.2018, n. 22435 (oggetto della News US, in data 08.10.2018), secondo cui “Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarcimento dei danni derivanti da una fattispecie complessa in cui l’emanazione di un provvedimento favorevole, che venga successivamente annullato in quanto illegittimo, si configura solo come uno dei presupposti dell’azione risarcitoria che si fonda altresì sulla capacità del provvedimento di determinare l’affidamento dell’interessato e la lesione del suo patrimonio che consegue a tale affidamento e alla sopravvenuta caducazione del provvedimento favorevole”;
         g5) alla citata News US, in data 08.10.2018, si rinvia –oltre che per l’esame delle argomentazioni della Corte e per riferimenti giurisprudenziali ai §§ j), k), l) ed m)– per le ulteriori considerazioni sviluppate al § p), ove si precisa che, sul piano strettamente positivo, avuto riguardo al riparto di giurisdizione in relazione al risarcimento del danno derivante da annullamento del provvedimento favorevole:
               p1) l’art. 103 Cost. indica come criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo le nozioni di diritto soggettivo e interesse legittimo, precisando che, in alcune particolari materie indicate dalla legge, il giudice amministrativo ha giurisdizione anche per i diritti soggettivi;
               p2) l’art. 7, commi 1, 4, 5 e 7, c.p.a. delinea la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione al risarcimento del danno precisando, tra l’altro, che: “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni” (comma 1); “sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma” (comma 4); “nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’articolo 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi” (comma 5); “il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi” (comma 7);
               p3) l’art. 30, comma 2, c.p.a. precisa, ancora, che “può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica”;
               p4) la giurisprudenza ha variamente precisato che il risarcimento del danno non costituisce una “materia” autonoma, ma uno strumento, astrattamente, idoneo a tutelare sia i diritti soggettivi che gli interessi legittimi. La domanda risarcitoria può essere proposta anche in via autonoma dinanzi al giudice amministrativo;
               p5) nella prospettiva della giurisprudenza di legittimità, alla quale ha aderito l’ordinanza in commento: sembra esistere un diritto soggettivo a fare affidamento sulla legittimità dell’atto amministrativo; non vi è, in questo caso, esercizio di un pubblico potere, ma si tratta di verificare l’esistenza di doveri di comportamento, con la conseguenza che non può immaginarsi la giurisdizione del giudice amministrativo neanche in ipotesi di materia di giurisdizione esclusiva; il consociato che ha beneficiato di un provvedimento satisfattivo legittimo poi annullato si duole del danno derivante dall’affidamento causatogli dall’emissione del provvedimento e, quindi, non introduce una controversia sull’esercizio del potere amministrativo, ma intende sindacare il comportamento dell’amministrazione nella sua oggettiva idoneità a determinare l’affidamento, quale fatto storico; l’interesse legittimo, soddisfatto dal provvedimento illegittimo, risulta insoddisfatto legittimamente e, dunque, senza che si configuri alcuna sua lesione ai sensi dell’art. 2043 c.c.; ciò che il privato denuncia è la lesione di una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell’integrità del suo patrimonio; il danno ingiusto è individuabile nel fatto che il privato, in seguito al provvedimento favorevole illegittimo, ha sopportato perdite o mancati guadagni a causa dell’agire della pubblica amministrazione; la fattispecie costitutiva del danno ingiusto risulta riconducibile ad una fattispecie complessa rappresentata dall’essere stato il provvedimento ampliativo emesso illegittimamente, dall’essere stato l’agire dell’amministrazione determinativo di affidamento incolpevole e dalla rimozione del provvedimento illegittimo;
               p6) in una prospettiva critica si è osservato che: il privato intende ottenere un provvedimento favorevole, stabile e definitivo, ossia produttivo di tutti gli effetti giuridici di cui è capace, con la conseguenza che il pregiudizio –derivante dall’emissione di un provvedimento non stabile e non definitivo– è, comunque, connesso all’esercizio di un’attività provvedimentale dell’amministrazione (CIRILLO, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento sul provvedimento favorevole annullato e l’interesse alla stabilità dell’atto amministrativo, in Foro amm., 2016, 7-8, 1991 ss.); l’affidamento non è da intendersi come materia autonoma, ma costituisce una situazione che può accedere sia all’interesse legittimo che al diritto soggettivo; l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità crea una distinzione ingiustificata sulla giurisdizione tra provvedimento favorevole e sfavorevole; nella prospettiva della Corte di cassazione, sembra che l’esistenza dell’interesse legittimo sia correlata all’esito dell’esercizio del potere, mentre l’interesse legittimo, sia pretensivo che oppositivo, sorge in presenza di un qualsiasi potere amministrativo in qualunque modo esercitato; l’interesse legittimo è leso non solo quando è illegittimamente negato il bene della vita sotteso allo stesso, ma anche quando è illegittimamente riconosciuto tale bene (cfr. TRAVI, Nota alle tre ordinanze delle Sezioni Unite, in Foro it., 2011, 2398 ss.); nella prospettiva codicistica l’attrazione della tutela risarcitoria nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo non può limitarsi alla sola ipotesi in cui il danno sia consequenziale ad un atto amministrativo tempestivamente impugnato, dovendosi ritenere effetto di ogni forma di esercizio del potere pubblico, in quanto rileva l’attribuzione alla cognizione del giudice amministrativo di tutti gli strumenti processuali idonei a tutelare la posizione soggettiva lesa dall’esercizio dei pubblici poteri di cui è titolare l’amministrazione; il danno è, comunque, eziologicamente legato all’esercizio del potere, infatti la tutela risarcitoria si rivolge contro la conseguenza di un illegittimo potere esercitato nei confronti del privato, essendo controverso l’agere provvedimentale nel suo complesso, del quale l’affidamento costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione (cfr. anche, tra gli altri: CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2018, 100 ss.; AA.VV., Codice del processo amministrativo, diretto da CHIEPPA, Milano, 2018, 63 ss.); nel caso in cui il danno sia la conseguenza dell’illegittimità dei provvedimenti sfavorevoli, la successiva richiesta di danni per la lesione dell’interesse leso e dell’affidamento riposto nella legittimità degli atti amministrativi è comunque collegato al potere amministrativo (Cass. civ., sez. un., 21.04.2016, n. 8057, in Foro it., Mass., 2016, 285);
         g6) Cass. civ., sez. un., ordinanza 22.06.2017, n. 15640 (oggetto della News US, in data 04.07.2017), secondo cui “E’ devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario l’azione di risarcimento del danno proposta dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento ampliativo successivamente dichiarato illegittimo”. Alla citata News US si rinvia, oltre che per l’esame delle argomentazioni sviluppate dal collegio, anche per alcuni precedenti giurisprudenziali ai §§ da a) a g);
         g7) Cass. civ., sez. un., 16.12.2016, n. 25978 (oggetto della News US, in data 09.01.2017, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti), secondo cui “Rientra nella giurisdizione dell’A.G.O. l’azione di risarcimento proposta dal proprietario nei confronti di un Comune per danni asseritamente patiti a causa della omessa demolizione di un manufatto abusivo”;
         g8) in dottrina, per una nitida ricostruzione del tema e per ulteriori approfondimenti: NERI, La tutela dell'affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice ordinario, in www.giustizia-amministrativa.it, Studi e rassegne US, 2021;
      h) sulla impossibilità che l’attore che abbia proposto ricorso dinanzi al giudice amministrativo appelli la sentenza sfavorevole innanzi al Consiglio di Stato, si vedano:
         h1) Cass. civ., sez. un., 05.03.2019, n. 6355 (in www.lanuovaproceduracivile.com, 2019), che, nel chiudere la vicenda processuale di cui a Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza 28.07.2017, n. 4 (in Foro it., 2018, III, 24, con nota di SIGISMONDI, alla quale si rinvia anche per una descrizione delle vicende fattuali e processuali; Dir. proc. amm., 2018, 1357, con nota di CELLINI; Riv. amm., 2018, 90, oggetto della News US, in data 01.08.2017, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti), ha ritenuto che “In materia di giurisdizione, non è configurabile soccombenza rispetto al capo implicito sulla medesima che accompagna la statuizione di rigetto nel merito della domanda principale quando sia stata proposta pure riconvenzionale –o, nel processo amministrativo, ricorso incidentale– poi non esaminata in quanto assorbita dal pieno rigetto della prima, visto che in tal caso il convenuto originario aveva, dispiegando a sua volta una sua domanda, per implicito invocato l'affermazione della giurisdizione del giudice adito e che pure sul punto è risultato pienamente vittorioso; pertanto, il convenuto, non soccombente sulla domanda principale, che aveva però proposto domanda riconvenzionale –ovvero, nel processo amministrativo, impugnazione incidentale in primo grado– non è legittimato ad appellare, in via incidentale eventualmente subordinata, la pronuncia di primo grado di integrale rigetto nel merito della domanda principale”.
Secondo la Corte, in particolare, l’impugnazione costituisce il presupposto per superare il giudicato interno, sia pure implicito, formatosi e va esclusa la legittimazione a proporla in capo alla parte che, benché convenuta in primo grado, abbia in quella sede dispiegato a sua volta domanda sia pure subordinata o condizionata, con la quale ha implicitamente riconosciuto la giurisdizione del giudice cui si è rivolta.
In questo senso deve essere inteso il principio ormai costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione. Rispetto al capo sulla giurisdizione che accompagna la statuizione di rigetto nel merito della domanda è configurabile esclusivamente la soccombenza del convenuto, sempre che a sua volta non abbia chiesto al giudice di dichiararsi munito di giurisdizione.
Il vincitore della causa, se non ha interesse a impugnare per primo il capo della giurisdizione, perché il passaggio in giudicato della statuizione di rigetto gli assicura una utilità maggiore di quella che potrebbe ottenere dalla declinatoria di giurisdizione, ha tuttavia interesse ad impugnare dopo e per effetto della impugnazione principale sul merito da parte del soccombente pratico e così in via incidentale per il caso di suo accoglimento.
Nella specie, sia pure con ricorso incidentale, la stessa ricorrente aveva implicitamente riconosciuto ed anzi invocato la giurisdizione di quel giudice: pertanto, quella stessa parte non poteva sollevare la questione di giurisdizione -sulla quale anzi era vittoriosa, atteso il rigetto nel merito della pretesa del ricorrente principale- ed una tale questione non poteva allora, tanto meno di ufficio, essere esaminata dal giudice amministrativo di secondo grado, non ritualmente investito di quella per il difetto di legittimazione dell'appellante incidentale.
Ne consegue il consolidamento in capo a quel giudice della potestas iudicandi per effetto della formazione a suo beneficio di un giudicato implicito sulla relativa attribuzione; la relativa questione era preclusa, non potendo più essere rimessa in discussione la giurisdizione del giudice amministrativo implicitamente affermata in primo grado anche nei confronti del ricorrente;
         h2) Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza 28.07.2017, n. 4, cit., secondo cui “La parte risultata vittoriosa di fronte al tribunale amministrativo sul capo di domanda relativo alla giurisdizione non è legittimata a contestare in appello la giurisdizione del giudice amministrativo”.
L’Adunanza plenaria, nel restituire gli atti al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Siciliana, ribadisce il principio per cui la parte che ha adito correttamente il giudice amministrativo in primo grado (anche come ricorrente incidentale) non può proporre appello negando la giurisdizione di quest’ultimo, e si sofferma sulla delicata questione dell’ordine di esame dell’appello principale (sul merito) e di quello incidentale (su questione di rito e in particolare di giurisdizione). Osserva, in particolare, SIGISMONDI, op. ult. cit., che l’Adunanza plenaria, nel confermare l’orientamento nel senso dell’inammissibilità, argomenta non sul divieto di venire contra factum proprium e sul limite generale del divieto di abuso del diritto, ma, aderendo alla teoria del doppio oggetto del processo, esclude l'interesse della parte a impugnare un capo di sentenza (quello sulla giurisdizione) rispetto al quale sia risultata vittoriosa.
Nel caso di specie, tuttavia, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo non era stato dedotto dalla parte ricorrente soccombente nel merito, ma dal controinteressato ricorrente incidentale che nel merito era risultato vincitore (anche se i motivi dedotti con il ricorso incidentale erano stati dichiarati assorbiti dopo che il giudice aveva esaminato per primo il ricorso principale, ritenendolo infondato).
Secondo l’A., “al di là di alcuni profili problematici degli argomenti addotti a sostegno della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (in particolare, per quanto riguarda l'esistenza, nelle controversie in questione, del collegamento almeno mediato con l'esercizio di un pubblico potere, dal momento che le stesse riguardano l'attribuzione di spazi per l'esercizio di un'attività commerciale e che il ricorso a una procedura di gara da parte della società di gestione aeroportuale non dipende dalla legge, ma da una clausola della convenzione di concessione), un dato non va sottovalutato: su controversie identiche, a distanza di pochi mesi (l'ordinanza di rimessione all'adunanza plenaria che ha ritenuto la questione di giurisdizione fondata su argomenti seri è dell'ottobre 2015, l'ordinanza cautelare resa nel secondo giudizio d'appello che ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo —poi ribadita dalla sentenza di merito— è del maggio 2016) il medesimo giudice si è espresso in senso diametralmente opposto. Questo non giustifica una critica al giudice (entrambe le decisioni sono estremamente meticolose e argomentate), ma attesta l'esistenza di ambiti di oggettiva incertezza. Il problema è quindi stabilire se in presenza di tali spazi di incertezza il richiamo al principio di autoresponsabilità e la teoria del doppio oggetto del processo siano sufficienti a far ritenere giusta la conclusione che non consente alla parte di poter rimettere in discussione la giurisdizione del giudice adìto. A meno di non considerare definitivamente svalutata la rilevanza della giurisdizione come presupposto processuale”;
         h3) sulla inammissibilità dell’appello da parte dell’attore che in primo grado non abbia contestato la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario riassumendo il giudizio innanzi al Tar, si veda Cons. Stato, sez. IV, 19.04.2017, n. 1839 (in Foro amm., 2017, 835);
         h4) Cass. civ., sez. un., 20.10.2016, n. 21260 (in Foro it., 2017, I, 966, con note di POLI, TRAVI, AULETTA; Giur. it., 2017, 457, con nota di VIPIANA PERPETUA; Corriere giur., 2017, 257, con note di ASPRELLA, CONSOLO; Riv. dir. proc., 2017, 793, con nota di RUFFINI; Riv. corte conti, 2017, fasc. 1, 556: Giusto processo civ., 2017, 777, con nota di FORNACIARI; Dir. proc. amm., 2018, 1357, con nota di CELLINI), secondo cui: “L'attore che abbia incardinato la causa dinanzi a un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato a interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto”;
      h5) in dottrina, tra gli altri: R. VILLATA, Ancora in tema di inammissibilità dell'appello al Consiglio di Stato sulla giurisdizione promosso dal ricorrente soccombente in primo grado, in Riv. dir. proc., 2017, 1093;
      i) sulla diversa situazione in cui versa l’attore che, adito il giudice amministrativo, proponga, nel corso del giudizio di primo grado, regolamento di giurisdizione dubitando ragionevolmente di tale giurisdizione si vedano:
         i1) Cass. civ., sez. un., 26.06.2020, n. 12864 (in Foro it., 2020, I, 3070), secondo cui “La proposizione del regolamento di giurisdizione non è impedita dalla pronuncia di un'ordinanza cautelare da parte del giudice amministrativo, atteso che il provvedimento cautelare, destinato a perdere efficacia per effetto della sentenza di merito, non assume carattere decisorio e non statuisce sulle posizioni soggettive con la forza dell'atto giurisdizionale idoneo ad assumere autorità di giudicato, neppure in punto di giurisdizione”;
         i2) Cass. civ., sez. un., 18.12.2018, n. 32727 (in Ced Cassazione), secondo cui “Il regolamento preventivo di giurisdizione può essere proposto anche dall'attore sussistendo, in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito, un interesse concreto ed immediato alla risoluzione della questione da parte delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, in via definitiva, per evitare che vi possano essere successive modifiche della giurisdizione nel corso del giudizio così ritardando la definizione della causa, anche al fine di ottenere un giusto processo di durata ragionevole”;
         i3) Cons. Stato, sez. IV, 19.04.2017, n. 1839, cit., “Il regolamento preventivo di giurisdizione può essere proposto anche in presenza di un provvedimento cautelare già emesso, non potendosi configurare lo stesso quale decisione che definisce il giudizio; in effetti la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dalla circostanza che il giudice adito per il merito abbia provveduto su una richiesta di provvedimento cautelare, pur se, ai fini della pronuncia, abbia risolto in senso affermativo o negativo una questione attinente alla giurisdizione, ovvero sia intervenuta pronunzia sul reclamo avverso il provvedimento cautelare, in quanto il provvedimento reso sull’istanza cautelare non costituisce sentenza e la pronunzia sul reclamo mantiene il carattere di provvisorietà proprio del provvedimento cautelare”;
         i4) Cass. civ., sez. un., 21.09.2006, n. 20504 (in Ced Cassazione), secondo cui “Il regolamento preventivo di giurisdizione può essere proposto da ciascuna parte, e quindi anche dall'attore nel giudizio di merito, essendo palese, in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito (nella specie, originati da un provvedimento di rigetto di un'istanza proposta in via cautelare), la sussistenza di un interesse concreto ed immediato ad una risoluzione della questione da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in via definitiva ed immodificabile, onde evitare che la sua risoluzione in sede di merito possa incorrere in successive modifiche nel corso del giudizio, ritardando la definizione della causa, anche al fine di ottenere un giusto processo di durata ragionevole”;
      j) sul diritto al risarcimento del danno da provvedimento favorevole poi annullato e da inerzia della P.A., come fattispecie lesive dell’affidamento privato, si vedano, tra le altre: Cons. Stato, Ad. plen., 07.09.2020, n. 17, cit. (e relativa News US, n. 107 del 28.09.2020), secondo cui “I vizi delle procedure amministrative cui fa riferimento l’art. 38 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”) ai fini dell’applicazione della sanzione pecuniaria in caso di annullamento del titolo edilizio, sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”.
In particolare, il collegio, nell’interpretare il citato art. 38 del d.P.R., n. 380 del 2001, osserva tra l’altro che: effetto della disciplina di cui trattasi è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria; detta equiparazione è solo quoad effectum, costituendo un eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita; temperamento in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto del diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi; la composizione degli opposti interessi in rilievo –tutela del legittimo affidamento da una parte, tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio dall’altra– è realizzato dal legislatore per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite” (c.d. fiscalizzazione dell’abuso).
Il punto di equilibrio sin qui individuato nel delicato bilanciamento fra tutela dell’affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo non è depotenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU sul carattere fondamentale del diritto di abitazione e sul necessario rispetto del principio di proporzionalità nell’irrogazione della sanzione demolitoria (si veda, da ultimo, Corte EDU, 21.04.2016, Ivanova vs. Bulgaria, in Urbanistica e appalti, 2016, 1317, con nota di SCARCELLA), sul rilievo che: nell’ordinamento interno, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi, si è affermato, anche per via legislativa, che il bene della vita cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso si correla; è quindi possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione soggettiva del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata, l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato; l’obbligazione interviene a ridare coerenza, ragionevolezza ed effettività al sistema delle tutele, ove la conservazione dell’immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali.
Alla citata News US si rinvia, oltre che per l’esame del caso esaminato dall’Adunanza plenaria e delle relative argomentazioni: al § ee), per approfondimenti giurisprudenziali sul diritto al risarcimento del danno da provvedimento favorevole poi annullato e da inerzia come esaminato dalla giurisprudenza di legittimità (Consiglio di Stato, Sez. II, ordinanza 09.03.2021 n. 2013 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La consolidata giurisprudenza di questo Consiglio afferma che nel caso di ordinanze contingibili ed urgenti non è necessario il rispetto delle garanzie partecipative connaturate ai procedimenti che si concludono con ordinari provvedimenti inibitori o di ripristino dello status quo ante.
Afferma la giurisprudenza “… non sussiste l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento per le ordinanze contingibili e urgenti, considerato che il presupposto per l’adozione dell'ordinanza contingibile è la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica e per l'igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo; ed essendo dunque le regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7 della L. n. 241 del 1990, incompatibili con l’urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del tempo, a pena di svuotamento dei principi di effettività e particolare celerità cui la legge preordina l’istituto".
Inoltre, le ordinanze contingibili e urgenti si presentano quali mezzi di carattere residuale, espressione di “norme di chiusura del sistema” intese ad ovviare a pericoli eccezionali e, cioè, a situazioni contingibili ed urgenti, nei termini sopra specificati, extra ordinem: di pericoli eccezionali deve trattarsi, che non consentono il ricorso ad ordinari e tipici poteri amministrativi, e non di situazioni gravi, per quanto consolidatesi nel tempo, rimediabili con l’esercizio di poteri tipici.
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Secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione. L’occorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente.
Possono emanarsi nel caso di una situazione di pericolo, definita quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione ometta di intervenire tempestivamente.
In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico.
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Il Sindaco ha competenza anche quando il pericolo per la incolumità e la salute provenga da offendicula collocate nell’ambito di proprietà private.
Sia la disciplina di cui all’art. 54 TUEL sia quella dell’art. 32, l. n. 833/1978 in materia sanitaria consentono infatti al Sindaco di adottare ordinanze contingibili ed urgenti quando incolumità privata o pubblica e salute siano messe in pericolo da offendicula non proporzionati alla gravità del pericolo che si prefiggono di evitare. Non può, dunque, ravvisarsi una lesione del diritto di proprietà dei ricorrenti.
L’esercizio del potere amministrativo deve svolgersi secondo un bilanciamento tra l’interesse alla incolumità pubblica ed alla salute e la tutela del diritto di proprietà, entrambi valori costituzionalmente protetti sebbene non equi-ordinati. Tale bilanciamento, effettuato alla luce del canone di proporzionalità, deve condurre l’amministrazione alla scelta dello strumento che risulti più adeguato al perseguimento del fine di tutela della incolumità attraverso una compressione del diritto del destinatario che non ecceda i limiti necessari al conseguimento dell’interesse protetto.
Poi, a nulla rileva la circostanza che l’insorgenza della situazione di rischio fosse risalente. L’urgenza non concerne il momento di insorgenza del pericolo quanto la necessità di ridurre od eliminare i rischi da esso derivanti. La persistenza del pericolo nel tempo aumenta e non diminuisce la necessità di intervenire attraverso lo strumento dell’ordinanza contingibile ed urgente.
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   Premesso:
In data 03.08.2001, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Treviso, con riferimento alla querela presentata dal Dott. Ga.Ca. nei confronti dei Sigg.ri Si.Gr., Ad.Ma. e Al.Gr. per i reati di danneggiamento e molestia e disturbo alle persone, chiedeva al Comando di polizia provinciale del Comune di Treviso di accertare la presenza di un offendiculum erogante corrente elettrica e la situazione di rischio per la famiglia del querelante oltre ad altre informazioni.
Il Comando di polizia provinciale nominava ausiliario di PG il Sig. Pa.Fo., il quale, unitamente al personale dipendente del Comando, effettuava il sopralluogo in loco e provvedeva alla verbalizzazione dell’ispezione.
Dalla verifica effettuata emergeva che “i cavi nudi in apparente filo d’acciaio risultano in tensione elettrica di tipo impulsivo pari a circa max 200 volt”, che “sono disposti ad un’altezza di circa 40-50 cm dal suolo, sul lato del civico 9, abitazione Granata, lungo tutta la recinzione in profilato metallico e da questa sono isolati mediante una apparente basetta di legno lunga circa 10-15 cm”.
Quanto rilevato veniva dal Comune di Treviso ritenuto idoneo a recare pregiudizio alla incolumità delle persone, soprattutto con riferimento a soggetti che per condizioni fisiche peculiari risultino particolarmente sensibili alle scariche elettriche, ad esempio bambini, anziani, cardiopatici ecc…
Pertanto, ritenuto che l’offendiculum di cui sopra possedesse una intensa idoneità lesiva e costituisse pericolo per la incolumità, il Comune di Treviso, con ordinanza n. 63176-49 dell’01.10.2001, ingiungeva ai ricorrenti con ordinanza contingibile ed urgente l’immediata rimozione dei cavi con tensione elettrica di tipo impulsivo pari a circa 200 volt, posti lungo la recinzione esistente tra le abitazioni dei numeri civici 9 e 11 di Via ... in Treviso.
...
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo (Art. 7 e ss. L. 241/1990).
Il motivo è infondato.
Ad avviso dei ricorrenti, il Comune avrebbe emesso l’impugnata ordinanza in violazione di quelle disposizioni che garantiscono la partecipazione dell’interessato al procedimento. In particolare, il Comune avrebbe omesso di notificare ai destinatari la comunicazione di avvio del procedimento.
La consolidata giurisprudenza di questo Consiglio afferma, tuttavia, che nel caso di ordinanze contingibili ed urgenti non è necessario il rispetto delle garanzie partecipative connaturate ai procedimenti che si concludono con ordinari provvedimenti inibitori o di ripristino dello status quo ante.
Afferma la giurisprudenza “… non sussiste l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento per le ordinanze contingibili e urgenti, considerato che il presupposto per l’adozione dell'ordinanza contingibile è la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica e per l'igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo; ed essendo dunque le regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7 della L. n. 241 del 1990, incompatibili con l’urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del tempo (Consiglio di Stato, sez. V, 01.12.2014, n. 5919; id., 19.09.2012, n. 4968), a pena di svuotamento dei principi di effettività e particolare celerità cui la legge preordina l’istituto" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27.10.2014, n. 5308; Cons.. Stato, sez. II, n. 88/2021).
Si dolgono, inoltre, i ricorrenti della insussistenza delle regioni di urgenza che costituiscono prerequisito per la emanazione delle ordinanze contingibili ed urgenti.
Precisa la giurisprudenza che le ordinanze contingibili e urgenti si presentano quali mezzi di carattere residuale, espressione di “norme di chiusura del sistema” intese ad ovviare a pericoli eccezionali e, cioè, a situazioni contingibili ed urgenti, nei termini sopra specificati, extra ordinem: di pericoli eccezionali deve trattarsi, che non consentono il ricorso ad ordinari e tipici poteri amministrativi, e non di situazioni gravi, per quanto consolidatesi nel tempo, rimediabili con l’esercizio di poteri tipici (arg. ex Cons. Stato, sez. III, 20.03.2015, n. 1519).
Richiamano i ricorrenti il principio secondo cui l’emanazione di ordinanze contingibili ed urgenti da parte del Sindaco sarebbe possibile solo se non esistano altri strumenti giuridici per la tutela dell’interesse pubblico. Il potere esercitato nel caso di specie dal Sindaco ha natura straordinaria ed extra ordinem e non sussisterebbero nel caso di specie i requisiti necessari e l’ordine sarebbe lesivo del diritto di proprietà.
Il motivo è infondato
Secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, da cui la Sezione non ritiene di doversi discostare, il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione. L’occorrenza di tali situazioni giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente. Possono emanarsi nel caso di una situazione di pericolo, definita quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione ometta di intervenire tempestivamente.
In particolare, l’urgenza deve essere intesa come impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente, mentre la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico.
Nel caso di specie i requisiti della contingibilità ed urgenza sussistevano. Infatti il pericolo per la incolumità era stato adeguatamente identificato e definito dall’amministrazione, ravvisando una intensa idoneità lesiva della elettrorecinzione. Non sussistevano altri mezzi che potessero tempestivamente assicurare la rimozione della stessa; appare dunque conforme e proporzionato l’uso dell’ordinanza urgente e contingibile ai sensi dell’art. 54 T.U.E.L.
E’ infondato anche il quinto motivo di ricorso con il quale viene dedotta l’incompetenza e che per ragioni di ordine logico si esamina qui di seguito.
Il Sindaco ha competenza anche quando il pericolo per la incolumità e la salute provenga da offendicula collocate nell’ambito di proprietà private. Sia la disciplina di cui all’articolo 54 TUEL sia quella dell’articolo 32, l. n. 833/1978 in materia sanitaria consentono infatti al Sindaco di adottare ordinanze contingibili ed urgenti quando incolumità privata o pubblica e salute siano messe in pericolo da offendicula non proporzionati alla gravità del pericolo che si prefiggono di evitare. Non può, dunque, ravvisarsi una lesione del diritto di proprietà dei ricorrenti.
L’esercizio del potere amministrativo deve svolgersi secondo un bilanciamento tra l’interesse alla incolumità pubblica ed alla salute e la tutela del diritto di proprietà, entrambi valori costituzionalmente protetti sebbene non equi-ordinati. Tale bilanciamento, effettuato alla luce del canone di proporzionalità, deve condurre l’amministrazione alla scelta dello strumento che risulti più adeguato al perseguimento del fine di tutela della incolumità attraverso una compressione del diritto del destinatario che non ecceda i limiti necessari al conseguimento dell’interesse protetto.
L’ordinanza del Sindaco di Treviso risponde a tale principio risultando pertanto immune dalla censura di violazione del diritto di proprietà dei ricorrenti.
Neppure può accogliersi l’ulteriore censura in ragione della quale l’esercizio del potere sarebbe illegittimo in quanto il pericolo era sorto da tempo. A nulla rileva la circostanza che l’insorgenza della situazione di rischio fosse risalente. L’urgenza non concerne il momento di insorgenza del pericolo quanto la necessità di ridurre od eliminare i rischi da esso derivanti. La persistenza del pericolo nel tempo aumenta e non diminuisce la necessità di intervenire attraverso lo strumento dell’ordinanza contingibile ed urgente (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 08.03.2021 n. 329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: In merito alla tutela dell’affidamento incolpevole, ciò si determina ogni qualvolta il privato possa confidare sul già intervenuto rilascio di un provvedimento ampliativo della sua sfera giuridica (anche perché l’eventuale lesione riguarda non già un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato).
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7. - Con l’ottavo motivo, rubricato:
   “8) Erroneità della sentenza per Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11.08.1997, n. 13 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione del principio dell’affidamento ingeneratosi nella ricorrente in ragione della concessione n. 175/2003 del 26.02.2003 e successivo prot. n. 26525/20111, rif. n. 698/2011 del 22.06.2011. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 07.08.1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria. Violazione del principio dell’affidamento”,
si censura la mancata considerazione del legittimo affidamento, ingenerato nella ricorrente, dal Comune che aveva già rilasciato due titoli edilizi relativamente al medesimo immobile, per un intervento analogo, poi non realizzato.
7.1. - La censura non può essere condivisa.
Occorre in primo luogo notare che il rilascio della precedente concessione edilizia non aveva determinato alcuna utilità in capo alla parte appellante, atteso che la concessione edilizia del 2003-2011 è poi decaduta per mancato inizio dei lavori. Non è quindi predicabile alcuna incisione dell’amministrazione su situazioni già determinatesi, il che implica il posizionamento della fattispecie al di fuori dell’ordinario perimetro della tutela dell’affidamento incolpevole, che si determina ogni qualvolta il privato possa confidare sul già intervenuto rilascio di un provvedimento ampliativo della sua sfera giuridica (anche perché l’eventuale lesione riguarda non già un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato, così Cass. civ., sez. un., 08.03.2019, n. 6885).
Pertanto, la parte poteva solo confidare nell’accoglimento della sua istanza e quindi del rilascio di un provvedimento favorevole, condizionato ovviamente al rispetto della strumentazione urbanistica vigente, circostanza questa non verificatasi.
Deve quindi escludersi la sussistenza di alcun affidamento incolpevole tutelabile, con conseguente rigetto della censura (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.03.2021 n. 1867 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Per giurisprudenza pacifica, il giudice di primo grado ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi.
Il che comporta che nel processo amministrativo la valutazione di merito sulla compensazione delle spese giudiziali non è sindacabile in appello neppure per difetto di motivazione, essendo fondata su considerazioni di opportunità ampiamente discrezionali, non sindacabili in sede di gravame se non nel caso di evidente irrazionalità.

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8. - Infine, con un ulteriore motivo recante:
   “II. In via subordinata. 9) Erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.”,
si lamenta l’illegittima condanna dell’originaria ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio a favore del Comune.
8.1. - La censura non può essere condivisa.
Occorre in primo luogo ricordare che, per giurisprudenza pacifica, il giudice di primo grado ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (da ultimo, Cons. Stato, IV, 30.12.2020, n. 8517; id., IV, 23.10.2020, n. 6407; id., IV, 21.09.2020, n. 5545).
Il che comporta che nel processo amministrativo la valutazione di merito sulla compensazione delle spese giudiziali non è sindacabile in appello neppure per difetto di motivazione, essendo fondata su considerazioni di opportunità ampiamente discrezionali, non sindacabili in sede di gravame se non nel caso di evidente irrazionalità (Cons. Stato, II, 27.10.2020, n. 6557; id., III, 07.09.2020, n. 5374).
Nel caso in esame, la detta evidente irrazionalità non appare, atteso che il TRGA ha effettivamente condannato la parte soccombente e il quantum di spese non appare esorbitante rispetto ai minimi tabellari previsti (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.03.2021 n. 1867 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accordi quadro.
Il TAR Milano precisa che la procedura di cui all’art. 54 del d.lgs. n. 50/2016 sugli accordi quadro <<è una procedura bifasica, nella quale la scelta del contraente finale del singolo ente si sviluppa attraverso un articolato procedimento, in cui la fase per così dire conclusiva e relativa all’appalto specifico non può essere ritenuta totalmente avulsa da quella precedente -volta ad individuare gli operatori che saranno coinvolti nell’appalto specifico- nella quale viene già posto in essere un apprezzamento tecnico della proposta contrattuale, mediante l’assegnazione di un punteggio che sarà poi mantenuto nel successivo momento di individuazione definitiva del contraente dell’Amministrazione>>.
Sul punto, il TAR richiama la precedente sentenza dello stesso Tribunale (sez. I, n. 2132/2020) che aveva statuito che la conoscenza dei punteggi attribuiti nella prima fase da parte della Commissione, ma anche di tutti gli operatori, è fisiologicamente preordinata al funzionamento del sistema, in quanto finalizzata a consentire, nella seconda, di proporre offerte migliorative, in modo da modificare la graduatoria: la fattispecie non è quindi diversa da quanto si riscontra nelle operazioni di valutazione tecnica delle offerte nell’ambito delle procedure ordinarie, in cui la commissione giudicatrice procede via via all’assegnazione dei punteggi parziali, ed essendo pertanto a conoscenza degli stessi
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 01.03.2021 n. 541 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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In ogni caso e fermo restando quanto sopra esposto, deve rimarcarsi che la procedura di cui al più volte richiamato art. 54 del codice è una procedura bifasica, nella quale la scelta del contraente finale del singolo ente si sviluppa attraverso un articolato procedimento, in cui la fase per così dire conclusiva e relativa all’appalto specifico non può essere ritenuta totalmente avulsa da quella precedente -volta ad individuare gli operatori che saranno coinvolti nell’appalto specifico- nella quale viene già posto in essere un apprezzamento tecnico della proposta contrattuale, mediante l’assegnazione di un punteggio che sarà poi mantenuto nel successivo momento di individuazione definitiva del contraente dell’Amministrazione.
Sul punto, sia consentito il richiamo alla sentenza del TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 2132/2020, la quale, in una analoga fattispecie di cui al citato art. 54, ha statuito che: «La conoscenza dei punteggi attribuiti nella prima fase da parte della Commissione, ma anche di tutti gli operatori, è fisiologicamente preordinata al funzionamento del sistema, in quanto finalizzata a consentire, nella seconda, di proporre offerte migliorative, in modo da modificare la graduatoria. Come correttamente osservato dalla difesa della controinteressata, la fattispecie in esame non è quindi diversa da quanto si riscontra nelle operazioni di valutazione tecnica delle offerte nell’ambito delle procedure ordinarie, in cui la commissione giudicatrice procede via via all’assegnazione dei punteggi parziali, ed essendo pertanto a conoscenza degli stessi».

ATTI AMMINISTRATIVIAi sensi dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, infatti, <<il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo>>.
La natura discrezionale dell'annullamento d'ufficio fa sì che l'Amministrazione procedente debba motivare, con consistente e convincente articolazione logica, la sussistenza dell'interesse pubblico alla rimozione dell'atto operando una comparazione tra lo stesso e quelli contrapposti dei privati al suo mantenimento. L'onere motivazionale si connota ovviamente in termini di differente intensità a seconda della tipologia e della consistenza di quelli coinvolti nel procedimento, non dei contenuti della funzione esercitata.
Il fatto che, nell'ipotesi di attività vincolata, esso possa risultare notevolmente affievolito, dipende dalle specifiche caratteristiche della fattispecie concreta e dalla tipologia degli interessi in gioco.
In tal senso, è stato sottolineato che <<i provvedimenti di annullamento in autotutela sono attratti all'alveo normativo dell'art. 21-nonies L. n. 241 del 1990 che, per effetto delle riforme introdotte dal legislatore (da ultimo, la L. n. 124 del 2015), ha riconfigurato il relativo potere attribuendo all'Amministrazione un coefficiente di discrezionalità che si esprime attraverso la valutazione dell'interesse pubblico in comparazione con l'affidamento del destinatario dell'atto. Pertanto, nel fare applicazione dei principi espressi anche dall'Adunanza plenaria, si rileva che i presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. L'esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una discrezionalità che non esime l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione>>.
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2. La fattispecie astratta applicabile al caso di specie.
E’ importante partire dalla considerazione per cui il provvedimento in esame non è un mero diniego di autorizzazione ex art. 87, l. n. 259 del 2003, ma un provvedimento di secondo grado in autotutela,
Ciò implica che i presupposti e l’obbligo motivazionale a carico dell’Amministrazione per l’adozione di un provvedimento di annullamento d’ufficio sono sicuramente più stringenti rispetto ad un mero rigetto, il potere autoritativo della P.A. dovendosi confrontare e bilanciare con la tutela del legittimo affidamento del privato e con la necessità di dar conto di tutti gli interessi pubblici e privati che vengono in gioco.
Ai sensi dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, infatti, <<il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo>> (C. Stato, sez. II, 14.12.2020, n. 8004).
La natura discrezionale dell'annullamento d'ufficio fa sì che l'Amministrazione procedente debba motivare, con consistente e convincente articolazione logica, la sussistenza dell'interesse pubblico alla rimozione dell'atto operando una comparazione tra lo stesso e quelli contrapposti dei privati al suo mantenimento. L'onere motivazionale si connota ovviamente in termini di differente intensità a seconda della tipologia e della consistenza di quelli coinvolti nel procedimento, non dei contenuti della funzione esercitata.
Il fatto che, nell'ipotesi di attività vincolata, esso possa risultare notevolmente affievolito, dipende dalle specifiche caratteristiche della fattispecie concreta e dalla tipologia degli interessi in gioco.
In tal senso, è stato sottolineato che <<i provvedimenti di annullamento in autotutela sono attratti all'alveo normativo dell'art. 21-nonies L. n. 241 del 1990 che, per effetto delle riforme introdotte dal legislatore (da ultimo, la L. n. 124 del 2015), ha riconfigurato il relativo potere attribuendo all'Amministrazione un coefficiente di discrezionalità che si esprime attraverso la valutazione dell'interesse pubblico in comparazione con l'affidamento del destinatario dell'atto. Pertanto, nel fare applicazione dei principi espressi anche dall'Adunanza plenaria (cfr. in specie sentenza 17.10.2017, n. 8), si rileva che i presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. L'esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una discrezionalità che non esime l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione (cfr. ad es. Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2018, n. 5277)>> (C. Stato, sez. II, 07.09.2020, n. 5392) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 01.03.2021 n. 288 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2021

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAQuella dell’art. 17-bis L. 241/1990, come noto introdotto dalla legge 07.08.2015 n. 124 “Madia” “Effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici”, è una fattispecie di silenzio con valore tipizzato di assenso, che matura tra amministrazioni pubbliche, oppure tra amministrazioni e soggetti gestori di beni o servizi pubblici, alle condizioni ed entro i limiti disegnati dalla specifica disposizione normativa.
Per tale motivo viene definito come silenzio-assenso “interno”, ossia che interviene all'interno del modulo procedimentale, oppure quale silenzio-assenso “orizzontale”, in quanto concerne i rapporti tra più amministrazioni o enti pubblici e non involge il rapporto “verticale” con il destinatario del provvedimento.
Pertanto, l'ambito di operatività di tale istituto di semplificazione attiene ai procedimenti (e decisioni) pluristrutturati, quando all'emanazione di un provvedimento finale partecipino più amministrazioni, ciascuna portatrice di un peculiare interesse pubblico, che cura nell'esercizio di proprie funzioni, ascritte dalla legge, in tal guisa che l'avviso espresso, con parere, o altra formula di assenso, da una amministrazione è parimenti vincolante, ai fini dell'emanazione della decisione finale.
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Ciò premesso, non vi sono dubbi circa l’ambito oggettivo di applicazione della norma anche agli atti di pianificazione, quali atti amministrativi generali ed agli atti di assenso da parte di amministrazioni deputate alla cura di interessi c.d. sensibili, come espressamente stabilito dal comma terzo del richiamato art. 17-bis.
Come ben evidenziato dalla difesa della ricorrente la giurisprudenza ha affermato che per ragioni letterali, sistematiche e teleologiche, deve ritenersi che l'istituto del silenzio-assenso tra pubbliche Amministrazioni di cui all'art. 17-bis l. n. 241 del 1990 abbia una portata generalizzata, a prescindere dall'Amministrazione coinvolta o dalla natura del procedimento pluristrutturato preso in esame, risultando applicabile anche ai procedimenti diretti all'adozione di atti amministrativi generali, incidenti su interessi pubblici sensibili e all'esito di valutazioni discrezionali complesse (Consiglio di Stato sez. VI, 14.07.2020, n. 4559 in fattispecie relativa a procedimento di adeguamento di un piano comunale generale al piano paesaggistico territoriale).
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La scelta della Soprintendenza di rinvio di ogni valutazione paesaggistica sul Piano attuativo al “procedimento ordinario (art. 146 D.lgs. 42/2004)” si è risolta in un “non parere” ovvero in un vero e proprio rinvio "sine die” dell’esercizio delle proprie prerogative istituzionali, con ciò indubbiamente frustrando le esigenze di semplificazione amministrativa e buon andamento alla base dell’istituto di cui al richiamato art. 17-bis. L. 241/1990.
E ciò è particolarmente evidente nell’ambito di un procedimento preordinato all’approvazione di un piano attuativo o di una sua variante laddove i soggetti proponenti-attuatori debbono poter conoscere le valutazioni dell’Amministrazione preposta alla tutela dei beni soggetti a vincolo, in modo da poter per tempo programmare la propria attività, nel quadro di una legge quale la n. 124/2015 "Madia” inequivocabilmente ispirata all’esigenza di complessiva certezza dei rapporti di diritto pubblico (vedasi anche le modifiche apportate all’art. 21-nonies L. 241/1990 in tema di annullamento d’ufficio) e al potenziamento dell’operatività del silenzio-assenso quale generale rimedio all’inerzia della p.a..
E’ opportuno evidenziare che il Consiglio di Stato, intervenuto più volte in sede consultiva sui testi normativi attuativi della c.d. Riforma Madia, ha rilevato, con considerazioni di carattere generale, che:
   - “il ‘fattore-tempo' assume un ‘valore ordinamentale fondamentale' quale componente determinante per la vita e l'attività dei cittadini e delle imprese, per i quali l'incertezza o la lunghezza dei tempi amministrativi può costituire un costo che incide sulla libertà di iniziativa privata ex art. 41 Cost.”;
   - "Tale fattore assume un ruolo centrale nel diritto amministrativo moderno, e si connette a principi fondamentali di rango costituzionale (quali l'efficienza e il buon andamento della p.A. ex art. 97 Cost., che vanno declinati ‘in concreto' con una efficace scadenza temporale), ma anche sovranazionale (cfr. in particolare l'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che riconosce al cittadino un diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate dall'amministrazione pubblica, oltre che con imparzialità ed equità, anche “entro un termine ragionevole”)”.
Ne consegue che la Soprintendenza, nell’ambito della Conferenza di servizi convocata per il solo rilascio del titolo abilitativo per le opere di urbanizzazione in attuazione del PUA, avrebbe dovuto pronunciarsi esclusivamente con riferimento a tale intervento, non potendo rimettere in discussione gli elementi planovolumetrici derivanti dall’approvata variante, se non previo esercizio del potere di autotutela con funzione di riesame nelle forme, termini e limiti di cui all’art. 21-nonies L. 241/1990.
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In sede di rilascio del parere prescritto dall’art. 16 L. 1150/1942 la mancata adozione da parte della Soprintendenza di un tempestivo atto di dissenso congruamente motivato comporta l’effetto tipico dell’assenso ai sensi dell’art. 17-bis L. 241/1990, non diversamente peraltro da quanto previsto dal vigente comma 3 dell’art. 14-bis L. 241/1990 in tema di conferenza di servizi semplificata, applicabile anche agli atti di assenso delle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico-territoriale e ambientale, fatto qui salvo il rimedio dell’opposizione di cui all’art. 14-quinquies L. 241/1990.
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1.- E’ materia del contendere la legittimità del parere espresso ai sensi dell'art. 146, c. 5, del D.Lgs. n. 42/2004 dalla locale Soprintendenza nell'ambito della Conferenza di servizi asincrona convocata dal Comune di Casalecchio per il rilascio del titolo abilitativo relativo alle opere di urbanizzazione relative all'attuazione del PUA “SA.”.
Si duole la società ricorrente dall’avere la Soprintendenza motivato il proprio parere negativo con valutazioni proprie della fase urbanistica attinente all’esame della variante al Piano particolareggiato, nel convincimento -a suo dire del tutto erroneo- della mancata consumazione del proprio potere consultivo in seguito al parere soprassessorio rilasciato il 23.04.2018.
2.- Preliminarmente può prescindersi dall’eccezione di tardività ex art. 73 c.p.a. sollevata dalla difesa di parte ricorrente, avendovi essa rinunciato all’udienza pubblica e avendo comunque diffusamente replicato a tutte le argomentazioni difensive dell’Autorità tutoria.
3.- Venendo al merito il ricorso è fondato e va accolto.
3.1. - In punto di fatto, va evidenziato come con il parere 9250 del 23.04.2018 rilasciato ai sensi dell’art. 16 L. 1150/1942, sulla variante al Piano Particolareggiato la Soprintendenza abbia affermato testualmente che “Con riferimento agli aspetti di tutela paesaggistica si rinvia il parere alla fase di ordinario procedimento ai sensi del Codice Beni Culturali e Paesaggio”.
Ad avviso dell’Amministrazione tale asserzione non potrebbe avere alcun valore legale tipico, valendo tuttalpiù come silenzio-rifiuto.
3.2. - Non ritiene il Collegio di poter condividere tale assunto.
Ai sensi dell’art. 17-bis L. 241/1990 come noto introdotto dalla legge 07.08.2015 n. 124 “Madia” “Effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici”: “1. Nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell'amministrazione procedente. Esclusi i casi di cui al comma 3, quando per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l'atto, la proposta stessa è trasmessa entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta da parte di quest'ultima amministrazione. Il termine è interrotto qualora l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l'assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; lo stesso termine si applica qualora dette esigenze istruttorie siano rappresentate dall'amministrazione proponente nei casi di cui al secondo periodo. Non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini.
   2. Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. Esclusi i casi di cui al comma 3, qualora la proposta non sia trasmessa nei termini di cui al comma 1, secondo periodo, l'amministrazione competente può comunque procedere. In tal caso, lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, è trasmesso all'amministrazione che avrebbe dovuto formulare la proposta per acquisirne l'assenso ai sensi del presente articolo. In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento.
   3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all'articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta e' di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.
   4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedano l'adozione di provvedimenti espressi
.”
Trattasi di una fattispecie di silenzio con valore tipizzato di assenso, che matura tra amministrazioni pubbliche, oppure tra amministrazioni e soggetti gestori di beni o servizi pubblici, alle condizioni ed entro i limiti disegnati dalla specifica disposizione normativa. Per tale motivo viene definito come silenzio-assenso “interno”, ossia che interviene all'interno del modulo procedimentale, oppure quale silenzio-assenso “orizzontale”, in quanto concerne i rapporti tra più amministrazioni o enti pubblici e non involge il rapporto “verticale” con il destinatario del provvedimento (ex plurimis TAR Puglia Bari, sez. II, 06.02.2020, n. 194).
Pertanto, l'ambito di operatività di tale istituto di semplificazione attiene ai procedimenti (e decisioni) pluristrutturati, quando all'emanazione di un provvedimento finale partecipino più amministrazioni, ciascuna portatrice di un peculiare interesse pubblico, che cura nell'esercizio di proprie funzioni, ascritte dalla legge, in tal guisa che l'avviso espresso, con parere, o altra formula di assenso, da una amministrazione è parimenti vincolante, ai fini dell'emanazione della decisione finale.
3.3. - Ciò premesso, non vi sono dubbi circa l’ambito oggettivo di applicazione della norma anche agli atti di pianificazione, quali atti amministrativi generali (ex plurimis Consiglio di Stato sez. VI, 08.06.2020, n. 3632) ed agli atti di assenso da parte di amministrazioni deputate alla cura di interessi c.d. sensibili, come espressamente stabilito dal comma terzo del richiamato art. 17-bis.
Come ben evidenziato dalla difesa della ricorrente la giurisprudenza ha affermato che per ragioni letterali, sistematiche e teleologiche, deve ritenersi che l'istituto del silenzio assenso tra pubbliche Amministrazioni di cui all'art. 17-bis l. n. 241 del 1990 abbia una portata generalizzata, a prescindere dall'Amministrazione coinvolta o dalla natura del procedimento pluristrutturato preso in esame, risultando applicabile anche ai procedimenti diretti all'adozione di atti amministrativi generali, incidenti su interessi pubblici sensibili e all'esito di valutazioni discrezionali complesse (Consiglio di Stato sez. VI, 14.07.2020, n. 4559 in fattispecie relativa a procedimento di adeguamento di un piano comunale generale al piano paesaggistico territoriale).
3.4. - Tanto doverosamente premesso, la scelta della Soprintendenza espressa con la nota del 23.04.2018 di rinvio di ogni valutazione paesaggistica sul Piano attuativo al “procedimento ordinario (art. 146 D.lgs. 42/2004)” si è risolta in un “non parere” ovvero in un vero e proprio rinvio "sine die” dell’esercizio delle proprie prerogative istituzionali, con ciò indubbiamente frustrando le esigenze di semplificazione amministrativa e buon andamento alla base dell’istituto di cui al richiamato art. 17-bis. L. 241/1990.
E ciò è particolarmente evidente nell’ambito di un procedimento preordinato all’approvazione di un piano attuativo o di una sua variante laddove i soggetti proponenti-attuatori debbono poter conoscere le valutazioni dell’Amministrazione preposta alla tutela dei beni soggetti a vincolo, in modo da poter per tempo programmare la propria attività, nel quadro di una legge quale la n. 124/2015 "Madia” inequivocabilmente ispirata all’esigenza di complessiva certezza dei rapporti di diritto pubblico (vedasi anche le modifiche apportate all’art. 21-nonies L. 241/1990 in tema di annullamento d’ufficio cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 14.10.2019, n. 6975) e al potenziamento dell’operatività del silenzio-assenso quale generale rimedio all’inerzia della p.a. (ex multis TAR Campania Napoli sez. I, 07.01.2016, n. 2).
E’ opportuno evidenziare che il Consiglio di Stato, intervenuto più volte in sede consultiva sui testi normativi attuativi della c.d. Riforma Madia, ha rilevato, con considerazioni di carattere generale, che “il ‘fattore-tempo' assume un ‘valore ordinamentale fondamentale' quale componente determinante per la vita e l'attività dei cittadini e delle imprese, per i quali l'incertezza o la lunghezza dei tempi amministrativi può costituire un costo che incide sulla libertà di iniziativa privata ex art. 41 Cost.”; “Tale fattore assume un ruolo centrale nel diritto amministrativo moderno, e si connette a principi fondamentali di rango costituzionale (quali l'efficienza e il buon andamento della p.A. ex art. 97 Cost., che vanno declinati ‘in concreto' con una efficace scadenza temporale), ma anche sovranazionale (cfr. in particolare l'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che riconosce al cittadino un diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate dall'amministrazione pubblica, oltre che con imparzialità ed equità, anche “entro un termine ragionevole”)” (Consiglio di Stato comm. spec., 15.04.2016, n. 929).
Ne consegue che la Soprintendenza, nell’ambito della Conferenza di servizi convocata per il solo rilascio del titolo abilitativo per le opere di urbanizzazione in attuazione del PUA, avrebbe dovuto pronunciarsi esclusivamente con riferimento a tale intervento, non potendo rimettere in discussione gli elementi planovolumetrici derivanti dall’approvata variante, se non previo esercizio del potere di autotutela con funzione di riesame nelle forme, termini e limiti di cui all’art. 21-nonies L. 241/1990.
3.5. - E’ altrettanto condivisibile poi l’assunto della ricorrente di netta distinzione tra le valutazioni paesaggistiche da effettuarsi in sede di approvazione di piani urbanistici e quelle in sede di parere ex art. 146 d.lgs. 42/2004 sull’autorizzazione adottata dalla Regione o dall'Ente locale subdelegato di compatibilità di un singolo intervento, non essendo consentita una arbitraria commistione tra le due diverse fasi procedimentali peraltro in evidente quanto immotivato pregiudizio degli interessi privati coinvolti.
3.6. - Può semmai discutersi della legittimità, sotto un profilo strettamente costituzionale, della scelta invero non episodica operata dal legislatore statale di estendere forme di silenzio-assenso ad atti emanati da amministrazioni deputate alla cura degli interessi c.d. sensibili.
In realtà la giurisprudenza costituzionale ha più volte escluso quanto al parametro degli artt. 9 e 32 Cost. l’incostituzionalità del silenzio-assenso in materia ambientale e di interessi sensibili, limitandosi invero ad escludere l’introduzione di forme di assenso tacito da parte delle Regioni per contrasto (art. 117 Cost.) con le competenze statali in materia ambientale (Corte Costituzionale 01.07.1992, n. 306; Id. 12.02.1996, n. 26; Id. 27.04.1993 n. 194, Id. 08.11.2017, n. 232; Id. 18.07.2014, n. 209; Consiglio di Stato, Comm. spec., 13.07.2016, n. 1640; Id. Adunanza plen., 27.07.2016, n. 17).
La Consulta, pur qualificando gli interessi sensibili come “valori costituzionali primari”, ha d’altronde chiarito che la “primarietà” non legittima un primato assoluto, incondizionato e aprioristico in un'ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali, ma, piuttosto, impone più limitatamente che essi siano effettivamente presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni (Corte Cost. 09.05.2013, n. 85 sul c.d. caso Ilva). Di contro la semplificazione amministrativa, sempre secondo la giurisprudenza costituzionale, è principio di diretta rilevanza costituzionale (C. Cost. sent. n. 81/2013) e comunitaria (C. Cost. sent. n. 164/2012).
3.7. - Va pertanto ribadito che in sede di rilascio del parere prescritto dall’art. 16 L. 1150/1942 la mancata adozione da parte della Soprintendenza di un tempestivo atto di dissenso congruamente motivato comporta l’effetto tipico dell’assenso ai sensi dell’art 17-bis L. 241/1990, non diversamente peraltro da quanto previsto dal vigente comma 3 dell’art. 14-bis L. 241/1990 in tema di conferenza di servizi semplificata, applicabile anche agli atti di assenso delle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico-territoriale e ambientale, fatto qui salvo il rimedio dell’opposizione di cui all’art. 14-quinquies L. 241/1990.
3.8. - Ne consegue la fondatezza del primo motivo di gravame, di natura assorbente (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 27.02.2021 n. 153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIQuando un provvedimento amministrativo negativo è fondato su una pluralità di motivi, tra loro autonomi, proprio come nel caso in esame, è sufficiente che resti dimostrata, all’esito del giudizio, la fondatezza di uno solo di questi perché ne derivi la consolidazione dell’atto, stante l’impossibilità di disporne l’annullamento giurisdizionale”.
A fronte di un atto c.d. “plurimotivato”, l'eventuale fondatezza di una delle argomentazioni addotte, infatti, non potrebbe in ogni caso condurre all'annullamento del provvedimento impugnato, in quanto esso rimarrebbe sorretto dal primo versante motivazionale risultato immune ai vizi lamentati.

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11. In ragione di quanto esposto i primi due motivi di ricorso devono dichiararsi infondati.
Ne consegue l’operatività nel caso di specie del consolidato principio giurisprudenziale secondo cui “quando un provvedimento amministrativo negativo è fondato su una pluralità di motivi, tra loro autonomi, proprio come nel caso in esame, è sufficiente che resti dimostrata, all’esito del giudizio, la fondatezza di uno solo di questi perché ne derivi la consolidazione dell’atto, stante l’impossibilità di disporne l’annullamento giurisdizionale” (TAR per la Campania – sede di Napoli, Sez. II, 25.11.2019, n. 5565).
A fronte di un atto c.d. “plurimotivato”, l'eventuale fondatezza di una delle argomentazioni addotte, infatti, non potrebbe in ogni caso condurre all'annullamento del provvedimento impugnato, in quanto esso rimarrebbe sorretto dal primo versante motivazionale risultato immune ai vizi lamentati.
Può, quindi, assorbirsi la censura relativa alla dedotta violazione della previsione di cui all’art. 90 del d.P.R. n. 380/2001 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.02.2021 n. 472 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l'obbligo dell'Amministrazione di prendere in considerazione le osservazione dell'interessato non impone affatto la puntuale confutazione delle rimostranze negative, essendo sufficiente la completezza motivazionale dell'atto nel suo complesso, allorché da esso possano agevolmente e chiaramente desumersi le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto posti a base della decisione.
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Secondo la giurisprudenza, “il corretto svolgimento del contraddittorio procedimentale non esige la completa disclosure da parte dell'Amministrazione”; il confronto con il privato si colloca, infatti, nella fase della gestazione del provvedimento conclusivo, pertanto “sarebbe contrario ai principi di efficienza ed economicità dell'attività amministrativa se l'Amministrazione fosse tenuta ad enucleare compiutamente i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, in una sorta di integrale anticipazione del contenuto motivazionale del futuro ed eventuale provvedimento di diniego”.
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13. Con il quinto motivo le ricorrenti deducono la violazione dei principi di partecipazione procedimentale e buon andamento dell’azione amministrativa.
13.1. Il motivo è infondato.
13.2. Infatti, il Comune di Milano ha avviato il confronto con le ricorrenti sia in occasione della comunicazione di avvio del procedimento, a fine 2019, sia in un momento successivo ed ulteriore, nel febbraio 2020. La mancata adesione alle prospettazioni del privato, d’altro canto, non può costituire, di per sé, un indice di violazione del contraddittorio procedimentale.
Del resto, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l'obbligo dell'Amministrazione di prendere in considerazione le osservazione dell'interessato non impone affatto la puntuale confutazione delle rimostranze negative, essendo sufficiente la completezza motivazionale dell'atto nel suo complesso, allorché da esso possano agevolmente e chiaramente desumersi le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto posti a base della decisione (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 01.06.2020, n. 3438; TAR per l’Emilia Romagna – sede di Bologna, sez. I, 07.12.2017, n. 824).
13.3. Parimenti, è priva di fondamento la prospettata violazione delle garanzie procedimentali individuate dalla legge 241/1990 in relazione all’omessa contestazione già nella comunicazione di avvio del procedimento della violazione delle distanze calcolate a partire dalla scala in ferro.
13.3.1. A riguardo occorre premettere come, secondo la giurisprudenza, “il corretto svolgimento del contraddittorio procedimentale non esige la completa disclosure da parte dell'Amministrazione”; il confronto con il privato si colloca, infatti, nella fase della gestazione del provvedimento conclusivo, pertanto “sarebbe contrario ai principi di efficienza ed economicità dell'attività amministrativa se l'Amministrazione fosse tenuta ad enucleare compiutamente i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, in una sorta di integrale anticipazione del contenuto motivazionale del futuro ed eventuale provvedimento di diniego” (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. III, 01.06.2020, n. 3438).
13.3.2. Nel caso in esame, a ben vedere, le criticità in materia di distanze legali erano già state indicate in sede di comunicazione ex art. 7 della legge 241/1990 sebbene con riferimento alla piattaforma elevatrice, mentre con specifico riguardo alla scala, contemplata esclusivamente in variante, il Comune constata come l’edificazione della stessa non faccia che aggravare la violazione delle norme edilizie in materia, come ulteriormente precisato dall’annullamento in autotutela. Le ragioni dell’annullamento si ascrivono, quindi, nell’alveo già tracciato nell’iniziale contestazione comunale. Inoltre, è dirimente osservare come nel caso di specie si tratti di violazione di norma inderogabile e, quindi, di provvedimento a contenuto vincolato con conseguente operatività della regola di cui all’art. 21-octies, co. 2, l. n. 241/1990 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.02.2021 n. 472 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente la responsabilità da attività provvedimentale illegittima della Pubblica Amministrazione va ascritta al paradigma definito dall’articolo 2043 Cod. civ..
Conseguentemente, in virtù del combinato disposto degli articoli 2056, I comma, e 1223 Cod. civ., i danni risarcibili sono quelli che sono conseguenza diretta e immediata del fatto generatore del danno (nel caso di specie, l’atto di approvazione del PGT impugnato in parte qua).
E, come da regola generale (contenuta nell’articolo 2697 Cod. civ.), in capo a colui che si assume danneggiato vi è un onere di allegazione e di prova dei danni di si chiede il risarcimento.
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6.1. Non può di contro trovare accoglimento la domanda risarcitoria formulata dalla società Be.Im. S.a.s., per le ragioni che si vanno a esporre.
6.2. Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente la responsabilità da attività provvedimentale illegittima della Pubblica Amministrazione va ascritta al paradigma definito dall’articolo 2043 Cod. civ. (cfr., C.d.S., Sez. V, sentenza n. 118/2018). Conseguentemente, in virtù del combinato disposto degli articoli 2056, I comma, e 1223 Cod. civ., i danni risarcibili sono quelli che sono conseguenza diretta e immediata del fatto generatore del danno (nel caso di specie, l’atto di approvazione del PGT impugnato in parte qua). E, come da regola generale (contenuta nell’articolo 2697 Cod. civ.), in capo a colui che si assume danneggiato vi è un onere di allegazione e di prova dei danni di si chiede il risarcimento (cfr., TAR Veneto, Sez. I, sentenza n. 128/2018).
6.3. Nel caso di specie, la società Be.Im. S.a.s. ha allegato quale danno patito per effetto della trasformazione da temporaneo a permanente del vincolo di destinazione sull’immobile di proprietà, il fatto di non poter realizzare il proprio progetto di alienazione dell’immobile alla scadenza del vincolo, così da poter restituire il finanziamento contratto per la realizzazione del fabbricato, finanziamento che genera interessi passivi non totalmente coperti dall’attività alberghiera.
Sennonché, tale danno non è risarcibile, perché non è certo, e comunque non è conseguenza diretta e immediata dell’atto amministrativo illegittimamente emesso dall’Amministrazione.
Valgono al riguardo le seguenti considerazioni:
   (i) il vincolo posto dalla convenzione urbanistica non era un vincolo di inalienabilità assoluta, ma era un vincolo a non alienare il fabbricato costruendo per porzioni o unità abitative separate fino a quando perdurava la destinazione turistico –ricettiva– alberghiera (v. articolo 3 - lettera D), dunque nulla impediva alla società ricorrente (allora come ora) di mettere sul mercato il fabbricato nella sua interezza e con l’originaria destinazione, per rientrare, anche prima della scadenza del vincolo, dell’investimento;
   (ii) il progetto di alienazione del fabbricato per unità separate con destinazione residenziale non è definitivamente tramontato, perché allo stato, per effetto della presente pronuncia di annullamento (che sul punto è pienamente satisfattiva dell’interesse fatto valere dalla ricorrente), non sussiste più alcun impedimento giuridico;
   (iii) quand’anche la ricorrente avesse messo sul mercato le singole porzioni del fabbricato, come autonome unità aventi destinazione residenziale alla scadenza del vincolo convenzionale (25.11.2018), non è certo se e quando avrebbe portato a termine l’operazione economica progettata, dipendendo questa anche da variabili legate all’esistenza di una domanda e di un livello di prezzi soddisfacente per l’alienante.
In definitiva, il nocumento che lamenta la società ricorrente, ovverosia il pagamento degli interessi passivi del mutuo, non è certo nella sua esistenza, e comunque non è direttamente riconducibile all’attività provvedimentale illegittima del Comune (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.02.2021 n. 157 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).

gennaio 2021

ATTI AMMINISTRATIVICome è noto, nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza dei requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica della parte ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultima dall'annullamento dell'atto impugnato.
L'interesse all’annullamento dell’atto impugnato deve inoltre sussistere non solo al momento della proposizione del ricorso, ma anche in epoca successiva, in base al principio per il quale le condizioni dell'azione debbono permanere sino al momento del passaggio in decisione della controversia.
Nel caso all’esame, nelle more della definizione nel merito del ricorso si è determinata una situazione di sopravvenuta carenza di interesse, essendosi verificato un mutamento della situazione di fatto e di diritto tale da rendere certa la inutilità di una decisione di merito sulla odierna controversia, non potendo la parte ricorrente trarre alcuna utilità dall'annullamento degli atti impugnati nel presente giudizio ed alcun concreto vantaggio in relazione alla sua posizione legittimante.
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Secondo l'ordine logico delle questioni di cui agli articoli 276, comma 2, c.p.c. e 76 c.p.a. occorre previamente scrutinare l'eccezione di improcediibilità del ricorso sollevata dal Comune.
L’eccezione è fondata.
Come è noto nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza dei requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica della parte ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultima dall'annullamento dell'atto impugnato.
L'interesse all’annullamento dell’atto impugnato deve inoltre sussistere non solo al momento della proposizione del ricorso, ma anche in epoca successiva, in base al principio per il quale le condizioni dell'azione debbono permanere sino al momento del passaggio in decisione della controversia (ex pluribus cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 28.01.2016, n. 309; Consiglio di Stato, Sez. III, 11.12.2012, n. 6353).
Nel caso all’esame, come fondatamente eccepito dall’Amministrazioni resistente, nelle more della definizione nel merito del ricorso si è determinata una situazione di sopravvenuta carenza di interesse, essendosi verificato un mutamento della situazione di fatto e di diritto tale da rendere certa la inutilità di una decisione di merito sulla odierna controversia, non potendo la parte ricorrente trarre alcuna utilità dall'annullamento degli atti impugnati nel presente giudizio ed alcun concreto vantaggio in relazione alla sua posizione legittimante (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.07.2011, n. 4507).
Risulta, invero, dagli atti, che in corso di causa la Co. de. Sc. di Ca. – Is.Ca. di Venezia ha effettuato la disdetta del contratto di locazione della porzione di terreno a suo tempo concessa alla società TIM, con contratto del 05.11.1998, per la realizzazione dell’impianto di telecomunicazioni ove anche Vodafone Omnitel ha in seguito installato le proprie antenne di trasmissione.
Per effetto di tale disdetta, comunicata dall’Istituto con lettera raccomandata del 10.11.2015, con registrazione presso l’Agenzia delle Entrate di Venezia dell’avvenuta risoluzione del contratto di locazione in data 30.12.2016 (cfr. doc. 2 del secondo elenco documenti del Comune), la società ricorrente ha indirettamente perso la disponibilità del sito.
Da ciò consegue la sopravvenuta carenza d’interesse della società Vodafone Omnitel alla decisione del presente ricorso, posto che la ricorrente non potrà conseguire nessuna utilità pratica dall’eventuale accoglimento del gravame.
Difatti, l’intervento di potenziamento dell’impianto progettato dalla ricorrente postula necessariamente che la ditta istante dimostri di godere di un titolo idoneo che le consenta di effettuare l’intervento di potenziamento dell’impianto, titolo che è venuto meno nel corso del giudizio (il contratto di locazione dell’area sulla quale è installato il palo antenna oggetto di modifica è stato risolto e non consta sia stato sostituito da altro contratto di godimento).
Alla luce delle suesposte considerazioni –rilevato che le asserzioni della ricorrente che, in replica alla memoria avversaria, ha affermato di continuare a pagare regolarmente i canoni di locazione, sono rimaste prive di qualsiasi riscontro documentale– il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 28.01.2021 n. 119 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 5 del 27.01.2020, "Attivazione della piattaforma «procedimenti» per la gestione telematica di procedure amministrative" (deliberazione G.R. 20.01.2020 n. 2741).

ATTI AMMINISTRATIVIDeve ritenersi che le FAQ non abbiano alcun valore integrativo del bando, né tanto meno normativo, né può ritenersi che sussistesse in capo agli aspiranti un onere di consultazione.
Invero, “Va subito chiarito che le FAQ (frequently asked questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego, rappresentando una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e dunque inidonea ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale di concorso, né recante alcun valore innovativo rispetto al contenuto del bando e, come tale, giuridicamente inadatta a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando. Tanto meno il contenuto di una FAQ può “condizionare” lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione e che viene contestato nella sede contenziosa”.
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Difatti in aderenza ad un orientamento consolidato della Giurisprudenza, deve ritenersi che le FAQ non abbiano alcun valore integrativo del bando, né tanto meno normativo, né può ritenersi che sussistesse in capo agli aspiranti un onere di consultazione.
Va subito chiarito che le FAQ (frequently asked questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego (come si è surrettiziamente affermato, talvolta in senso di sostegno alle tesi sostenute da parte degli odierni appellanti, talaltra nel senso di non assumere alcun rilievo utile a considerare legittimo il comportamento assunto nella specie dall’Ufficio regionale scolastico per le Marche), rappresentando una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e dunque inidonea ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale di concorso, né recante alcun valore innovativo rispetto al contenuto del bando e, come tale, giuridicamente inadatta a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando. Tanto meno il contenuto di una FAQ può “condizionare” lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione e che viene contestato nella sede contenziosa” (Cons. Stato, sez. VI, 26.10.2020 n. 6473) (TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis, sentenza 22.01.2021 n. 904 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2020

ATTI AMMINISTRATIVIQuanto all’esercizio del potere di convalida in via di autotutela di un atto illegittimo, è costante in giurisprudenza l’affermazione per cui, ai sensi degli artt. 21-nonies, l. 07.08.1990, n. 241, e 6, l. 18.03.1968, n. 249, l'atto amministrativo può essere convalidato dall'Autorità amministrativa anche in pendenza di gravame, in sede amministrativa o giurisdizionale, anche di appello, con la sola esclusione dell'ipotesi in cui sia intervenuta una sentenza passata in giudicato.
E’ stato in proposito osservato che l’esercizio del potere di convalida presuppone un atto non ancora annullato, mancando, in difetto di ciò, lo stesso “oggetto” dell’esercizio del potere di autotutela decisionale; più in particolare, nel caso in cui l’annullamento sia intervenuto in sede giurisdizionale, e la sentenza che lo dispone sia passata in giudicato, gli atti che procedono alla “convalida” di quelli già annullati dal giudice, sono nulli perché adottati in violazione del giudicato.
A ciò deve aggiungersi che tali atti sarebbero nulli anche per difetto totale di elementi essenziali, quali l’oggetto, non potendo sussistere alcun interesse pubblico alla convalida di un atto non più esistente.
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La volontà dell’ente di eliminare i vizi di illegittimità che affliggono gli atti da convalidare, lungi dal determinare uno sviamento del potere rispetto alle finalità per cui esso è riconosciuto, costituisce, al contrario, proprio il perseguimento di tali finalità.
Come noto, infatti, la convalida è il provvedimento con il quale la Pubblica Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all’esito di un procedimento di secondo grado, interviene su un provvedimento amministrativo viziato e, come tale, annullabile, emendandolo dai vizi che ne determinano l’illegittimità e, dunque, l’annullabilità.
Tale atto presuppone pertanto, ai sensi dell’art. 21-nonies, l. 07.08.1990, n. 241, la sussistenza di ragioni di pubblico interesse e che non sia decorso un termine ragionevole dall'adozione dell’atto illegittimo.

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Quanto all’esercizio del potere di convalida in via di autotutela di un atto illegittimo, è costante in giurisprudenza l’affermazione per cui, ai sensi degli artt. 21-nonies, l. 07.08.1990, n. 241, e 6, l. 18.03.1968, n. 249, l'atto amministrativo può essere convalidato dall'Autorità amministrativa anche in pendenza di gravame, in sede amministrativa o giurisdizionale, anche di appello, con la sola esclusione dell'ipotesi in cui sia intervenuta una sentenza passata in giudicato (cfr. Cons. St., Sez. V, 25.06.2015, nr. 4650; Cons. St., sez. IV, 29.12.2014, n. 6384; Cons. St., sez. V, 24.04.2013, n. 2278).
E’ stato in proposito osservato che l’esercizio del potere di convalida presuppone un atto non ancora annullato, mancando, in difetto di ciò, lo stesso “oggetto” dell’esercizio del potere di autotutela decisionale; più in particolare, nel caso in cui l’annullamento sia intervenuto in sede giurisdizionale, e la sentenza che lo dispone sia passata in giudicato, gli atti che procedono alla “convalida” di quelli già annullati dal giudice, sono nulli perché adottati in violazione del giudicato. A ciò deve aggiungersi che tali atti sarebbero nulli anche per difetto totale di elementi essenziali, quali l’oggetto, non potendo sussistere alcun interesse pubblico alla convalida di un atto non più esistente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 02.04.2012 n. 1958).
Nel caso in disamina la convalida è intervenuta ancora pendente il presente giudizio, prima che l’atto illegittimo venisse travolto definitivamente da una pronuncia di annullamento passata in giudicato, così sanando in via retroattiva i vizi riscontrati dall’Amministrazione.
Con il terzo motivo di censura di tale ricorso si lamenta, inoltre, che il potere di convalida sarebbe stato esercitato oltre il termine ragionevole di cui all’art. 21-nonies, comma 2, L. 241/1990, e cioè circa un anno dopo l’adozione dell’atto convalidato, con ciò violando l’affidamento maturato in capo alle ricorrenti.
Il motivo è infondato.
Ritiene il Collegio, avuto riguardo alla concreta scansione degli eventi che hanno interessato la vicenda in disamina, che il termine entro il quale è stato esercitato il potere di autotutela non può considerarsi irragionevole.
Gli atti convalidati sono stati adottati nel mese di luglio dell’anno 2019; nel successivo mese di ottobre le ricorrenti impugnavano tali provvedimenti con il ricorso introduttivo del presente giudizio, prospettandone alcuni vizi di illegittimità; a luglio 2020 interveniva l’atto di convalida qui in contestazione, all’esito di un procedimento avviato nel precedente mese di marzo 2020.
In tale contesto non pare al Collegio che l’esercizio del potere di convalida possa dirsi intempestivo, avuto, peraltro, riguardo al fatto che ove il legislatore ha inteso codificare un termine per l’esercizio del potere di autotutela, prendendo in considerazione quei casi in cui l’autotutela è suscettibile di incidere in maniera particolarmente negativa sugli interessi privati, lo ha determinato in 18 mesi (cfr. art. 21-nonies, comma 1, L. 241/1990, riferito all’annullamento dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici).
Né, d’altro canto, merita tutela l’affidamento che parte ricorrente invoca quanto al fatto che la controversia sarebbe passata in decisione “nei termini prospettati nel ricorso originario”, posto che l’esercizio dell’autotutela è intervenuto proprio per emendare quei vizi di illegittimità che sono stati denunciati dalle ricorrenti.
Con il quarto motivo di gravame si deduce, ancora, che l’atto impugnato sarebbe illegittimo per sviamento di potere, in quanto il potere di convalida sarebbe stato esercitato dall’Amministrazione non per assumere provvedimenti in autotutela (vuoi conservativa, vuoi demolitoria), bensì per “proteggere” gli atti della Giunta e del dirigente dalle statuizioni del Tribunale.
Anche questo motivo non coglie nel segno: è appena il caso di rilevare in proposito che la volontà dell’ente di eliminare i vizi di illegittimità che affliggevano gli atti da convalidare, lungi dal determinare uno sviamento del potere rispetto alle finalità per cui esso è riconosciuto, costituisce, al contrario, proprio il perseguimento di tali finalità.
Come noto, infatti, la convalida è il provvedimento con il quale la Pubblica Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all’esito di un procedimento di secondo grado, interviene su un provvedimento amministrativo viziato e, come tale, annullabile, emendandolo dai vizi che ne determinano l’illegittimità e, dunque, l’annullabilità.
Tale atto presuppone pertanto, ai sensi dell’art. 21-nonies, l. 07.08.1990, n. 241, la sussistenza di ragioni di pubblico interesse, su cui le ricorrenti non svolgono alcuna contestazione, e che non sia decorso un termine ragionevole dall'adozione dell’atto illegittimo (cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza 18.05.2017, n. 2351)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 17.12.2020 n. 1269 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2020

ATTI AMMINISTRATIVILe FAQ (frequently asked questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego, rappresentando una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e dunque inidonea ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale di concorso, né recante alcun valore innovativo rispetto al contenuto del bando e, come tale, giuridicamente inadatta a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando.
Tanto meno il contenuto di una FAQ può “condizionare” lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione e che viene contestato nella sede contenziosa.
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7. - Chiarito doverosamente quanto sopra e in disparte da ciò, per completezza di espressione decisionale sull’intero contenzioso, propria dell’effetto devolutivo del giudizio di appello, il Collegio ritiene nondimeno che il complesso motivo di appello dedotto dagli appellanti non trovi fondatezza e che, quindi, il ricorso in appello proposto debba essere respinto nel merito.
Va subito chiarito che le FAQ (frequently asked questions) non hanno alcun valore normativo e tanto meno integrativo di un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego (come si è surrettiziamente affermato, talvolta in senso di sostegno alle tesi sostenute da parte degli odierni appellanti, talaltra nel senso di non assumere alcun rilievo utile a considerare legittimo il comportamento assunto nella specie dall’Ufficio regionale scolastico per le Marche), rappresentando una mera risposta ad un quesito circa la interpretazione delle disposizioni recate dal bando e dunque inidonea ad integrare o modificare il contenuto della legge speciale di concorso, né recante alcun valore innovativo rispetto al contenuto del bando e, come tale, giuridicamente inadatta a suscitare alcun legittimo affidamento circa la descritta interpretazione delle regole del bando.
Tanto meno il contenuto di una FAQ può “condizionare” lo scrutinio del giudice circa la legittimità o meno del comportamento osservato dall’amministrazione e che viene contestato nella sede contenziosa (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 26.10.2020 n. 6473 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: G.U. 19.10.2020 n. 259 "Adozione delle «Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici»" (AGID, determinazione 09.09.2020 n. 407).
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Correlativamente, si leggano:
  
Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici
   Glossario dei termini e degli acronimi (Allegato 1)
   Formati di file e riversamento (Allegato 2)
   Certificazione di processo (Allegato 3)
   Standard e Specifiche tecniche (Allegato 4)
   I metadati (Allegato 5)
   Comunicazione tra AOO di Documenti Amministrativi Protocollati (Allegato 6)

settembre 2020

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAStante il disposto di cui all’art. 13 della legge n. 689 del 1981, gli organi preposti all’accertamento di illeciti amministrativi possono procedere a ispezioni solo in luoghi diversi dalla «privata dimora».
Tale nozione coincide con quella rilevante per la commissione del reato di violazione di domicilio di cui all’art. 614 cod. pen., la quale prescinde dall’accertamento della proprietà e degli eventuali diritti reali che interessano un determinato luogo, ma dipende dal fatto che in esso si svolgano non occasionalmente atti della vita privata e che si tratti di uno spazio inaccessibile ai terzi senza il consenso del titolare: su questa base, per esempio, si ritiene che gli spazi comuni di un condominio, come l’ingresso, le scale o i pianerottoli, siano luoghi aperti al pubblico, perché di fatto accessibili a un’indistinta categoria di persone, e non soltanto ai condomini.
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1. La ricorrente impugna l’ordinanza con cui il Comune di Gignod le ha ordinato di rimuovere -OMISSIS- collocata nel terreno di sua proprietà, sul presupposto che si tratti di un rifiuto abbandonato.
...
6. Con il primo motivo, si denuncia: violazione dell’art. 13 della legge n. 689 del 1981; violazione dell’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006; sviamento di potere; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; difetto d’istruttoria e motivazione; contraddittorietà.
In particolare, la ricorrente lamenta che l’ispezione, sulla quale l’ordinanza si fonda, sia stata svolta sul suo terreno senza il suo consenso e in assenza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, come invece richiesto per gli accessi a una proprietà privata; a tal fine, contesta che il fondo sia gravato da una servitù di uso pubblico e sostiene che l’eventuale circostanza che sia gravato da una servitù a vantaggio di altri privati non lo renderebbe comunque aperto a un ingresso da parte di una collettività indeterminata.
La difesa dell’Ente sostiene invece che la strada che attraversa il terreno, ancorché di proprietà privata, sia asservita all’uso pubblico (e sia dunque una “strada vicinale”), come dimostrerebbero il fatto che vi passano una serie di condutture pubbliche, che sia stata asfaltata a cura e spese del Comune e che a essa accedano indiscriminatamente tutti gli abitanti della frazione.
Sebbene le parti abbiano dibattuto soprattutto sulla natura privata o pubblica della strada che attraversa il terreno e sul novero dei soggetti che possano legittimamente percorrerla, tale questione non appare dirimente, con la conseguenza che questo Tribunale può esimersi dall’affrontarla (anche perché si tratta di un problema di natura squisitamente civilistica che, di per sé, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario).
A ben vedere, infatti, la ricorrente la solleva solo al fine d’invocare l’applicabilità dell’art. 13 della legge n. 689 del 1981, secondo cui gli organi preposti all’accertamento di illeciti amministrativi possono procedere a ispezioni solo in luoghi diversi dalla «privata dimora».
Tale nozione coincide con quella rilevante per la commissione del reato di violazione di domicilio di cui all’art. 614 cod. pen. (in questi termini, si v. Cass. civ., sez, I, sent. n. 6361 del 2005), la quale prescinde dall’accertamento della proprietà e degli eventuali diritti reali che interessano un determinato luogo, ma dipende dal fatto che in esso si svolgano non occasionalmente atti della vita privata e che si tratti di uno spazio inaccessibile ai terzi senza il consenso del titolare: su questa base, per esempio, si ritiene che gli spazi comuni di un condominio, come l’ingresso, le scale o i pianerottoli, siano luoghi aperti al pubblico, perché di fatto accessibili a un’indistinta categoria di persone, e non soltanto ai condomini (si v., tra le tante, Cass. pen., sez. V, sentt. n. 24755 del 01.06.2018 e n. 53438 del 24.11.2017).
Pertanto, nel caso di specie non è necessario verificare se, sul piano del diritto privato, la strada che attraversa il terreno della ricorrente sia gravata da una servitù privata o asservita all’uso pubblico, quanto piuttosto se, in punto di fatto, risulti o meno accessibile ai terzi.
La risposta non può che essere positiva, perché si tratta di un’area aperta e potenzialmente accessibile da un’indistinta categoria di persone, ovvero dagli abitanti delle case vicine e da coloro che vi si dirigono (occorre infatti rammentare che la stessa servitù di passaggio “civilistica” può essere esercitata dal proprietario del fondo dominante anche in via indiretta, attraverso le visite di terzi riferibili alle normali esigenze della vita di relazione: sul punto si v., tra le più recenti, Cass. civ., sez. II, sent. n. 4821 del 2019).
Pertanto, per quanto è d’interesse in questo giudizio, il terreno della ricorrente non può essere considerato una «privata dimora», ai sensi dell’art. 13 della legge n. 689 del 1981, con la conseguenza che, sotto questo profilo, l’accertamento è legittimo e il primo motivo di ricorso è meritevole di rigetto (TAR Valle d'Aosta, sentenza 16.09.2020 n. 41 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa convalida (ex art. 21-nonies, comma 2, della l. n. 241/1990) per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura “procedurale”, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di “rimozione del vizio” afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale.
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1. Viene all’attenzione dell’Adunanza Plenaria l’esatta interpretazione dell’art. 38 del Testo unico edilizia (disposizione che ricalca esattamente quanto innanzi previsto dall’art. 11 della legge n. 47/1985).
2. La disposizione prevede che “In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36 (comma 2)”.
3. L’articolo da ultimo citato (art. 36, comma 2), com’è noto, disciplina l’accertamento di conformità, ovvero la sanatoria degli interventi abusivi in quanto realizzati ab origine sine titulo, ma conformi alle norme urbanistico edilizie vigenti, sia al tempo della costruzione che al tempo del rilascio del permesso in sanatoria (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 24.04.2018, n. 2496; Sez. II, 18.02.2020, n. 1240).
4. Dunque, il pacifico effetto della disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria.
4.1. L’equiparazione è solo quoad effectum, costituendo un eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita; temperamento in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto del diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi.
4.2. La composizione degli opposti interessi in rilievo –tutela del legittimo affidamento da una parte, tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio dall’altra– è realizzato dal legislatore per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite” (cd fiscalizzazione dell’abuso).
4.2.1. Proprio perché costituente eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi, la disposizione è presidiata da due condizioni: a) la prima è la motivata valutazione circa l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative; b) la seconda è la motivata valutazione circa l’impossibilità di restituzione in pristino.
4.2.2. Trattasi di due condizioni eterogenee poiché la prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di costruire), ex art. 21-nonies comma 2, mediante rimozione del vizio della relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione dei luoghi in pristino stato.
4.3. Entrambe le condizioni sono invero declinate in modo generico dal legislatore, non avendo quest’ultimo chiarito cosa debba intendersi per “vizi delle procedure amministrative” e per “impossibilità” di riduzione in pristino.
4.3.1. I quesiti posti dall’ordinanza di rimessione si concentrano sul primo aspetto, avendo la giurisprudenza in alcuni casi sostenuto che nei “vizi della procedura” possano sussumersi tutti quelli potenzialmente in grado di invalidare il provvedimento, siano essi relativi alla forma e al procedimento, siano essi invece relativi alla conformità del provvedimento finale rispetto alle previsioni edilizie e urbanistiche disciplinati l’edificazione (C.d.S. sez. VI 19.07.2019 n. 5089, e in senso sostanzialmente conforme, fra le molte, C.d.S. sez. VI 28.11.2018 n. 6753 e sez. VI 12.05.2014 n. 2398, da ultimo anche Sez. VI n. 2419/2020).
4.3.2. Secondo questo ormai nutrito filone giurisprudenziale, la fiscalizzazione dell’abuso prescinderebbe dalla tipologia del vizio (procedurale o sostanziale) avendo il legislatore affidato l’eccezionale percorribilità della sanatoria pecuniaria alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, in esecuzione di un potere che affonda le sue radici e la sua legittimazione nell’esigenza di tutelare l’affidamento del privato. In questa chiave di lettura è la “motivata valutazione” fornita dall’amministrazione l’unico elemento sul quale il sindacato del giudice amministrativo dovrebbe concentrarsi.
5. Questa Adunanza plenaria è di diverso avviso, alla luce delle seguenti considerazioni d’ordine testuale e sistematico.
5.1. La disposizione in commento fa specifico riferimento ai vizi “delle procedure”, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria.
5.2. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all’amministrazione l’obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un’attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell’esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall’art. 21-nonies, comma 2, della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura “procedurale”, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di “rimozione del vizio” afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale.
5.3. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 07.09.2020 n. 17 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIn ordine alla determina di convalida oggetto di impugnativa, come chiaramente evincibile peraltro dal suo tenore letterale, la stessa ha inteso, ai sensi dell’art. 21-nonies, comma 2, l. 241/1990, sanare il vizio di incompetenza relativa di cui era affetta la delibera di Giunta Municipale, con la conseguenza efficacia retroattiva della medesima delibera di convalida, i cui effetti non potevano che decorrere dall’atto convalidato.
Invero, al riguardo:
   - “L'esercizio del potere di convalida (mediante ratifica) spettante all'organo competente sana con efficacia retroattiva l'atto viziato da incompetenza relativa, ancorché quest'ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente, ma fino a quando non ne sia intervenuto l'annullamento; infatti il provvedimento di secondo grado con cui l'autorità competente fa proprio un atto adottato da un organo riconosciuto incompetente, esprimendo l'univoca volontà di eliminare il vizio suddetto, costituisce un provvedimento di ratifica -o di convalida, secondo la terminologia adottata dall'art. 6 l. n. 249 del 1968- il quale si sostituisce all'atto viziato con effetto "ex tunc”;
   - “Il provvedimento di convalida, correlato al vizio di incompetenza, opera retroattivamente, sicché l'invalidità lamentata da parte ricorrente è venuta meno ab origine, con conseguente carenza di interesse a dedurre il vizio stesso, specie considerando che l'atto di convalida non è stato oggetto di impugnazione”;
   - “È legittima la deliberazione del consiglio comunale con cui si è proceduto alla convalida della deliberazione della giunta comunale con la quale era stato approvato, entro il termine perentorio previsto dalla legge, il regolamento comunale relativo alla variazione dell'aliquota di compartecipazione all'addizionale Irpef, considerato che ai sensi dell'art. 6 della legge 18.03.1968, n. 249, gli atti viziati da incompetenza dell'organo emanante possono essere legittimamente convalidati con efficacia retroattiva in sede di autotutela dall'organo competente, anche se avverso di essi penda impugnativa, fino a quando non ne sia intervenuto l'annullamento. Il provvedimento adottato ai sensi della norma citata costituisce un provvedimento di ratifica -o di convalida secondo la terminologia adottata dal legislatore- il quale si sostituisce all'atto viziato con effetto ex tunc. Da parte della giurisprudenza i due principi sono stati costantemente affermati, con la precisazione che l'esistenza di una controversia giudiziaria non preclude la ratifica dell'atto solo se questo non è stato già annullato durante il giudizio di prima istanza o anche in appello, quando il ricorso di primo grado è stato respinto. Il principio è oggi confermato dall'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990”).
Ed invero il potere di convalida, quale espressione di diritto positivo del principio di conservazione degli atti giuridici, trae fondamento dall'art. 6 l. 18.03.1968, n. 249, norma con valenza generale, e sana con efficacia retroattiva (cfr. art. 1444 c.c.) l'atto viziato da incompetenza, ancorché quest'ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente. Il potere di convalida è inoltre espressamente riconosciuto dall’art. 21-nonies, comma 2, l. 241/1990, purché esso intervenga entro un termine ragionevole dall’atto che si intenda convalidare.
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   - “La convalida di un atto amministrativo viziato è effettuata dalla Pubblica Amministrazione nell'esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all'esito di un procedimento di secondo grado, laddove sussistano ragioni di pubblico interesse e non sia decorso un termine ragionevole dall'adozione dell'atto illegittimo”;
   - “Per ragioni di economia dei mezzi dell'azione amministrativa e di conservazione dei valori giuridici, è possibile la sanatoria (o convalida) di atti amministrativi affetti da vizi non afferenti al loro contenuto sostanziale. Tale principio ha trovato da ultimo riscontro normativo nell'art. 21-nonies, legge n. 241 del 1990, quale introdotto dalla legge n. 15 del 2005, che espressamente consente la convalida del provvedimento annullabile "sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole".
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   -  “In caso di proposizione di un ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento amministrativo ritenuto lesivo delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento, l’atto di convalida del provvedimento impugnato produce immediati effetti pregiudizievoli per i ricorrenti, ai quali dunque deve essere garantito il rispetto della garanzie di partecipazione previste dall’ordinamento, attraverso l’avviso di avvio del procedimento”;
   - “In caso di proposizione di ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento amministrativo ritenuto lesivo delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento in capo ai medesimi ricorrenti, atteso che l’atto di convalida del provvedimento impugnato è tale da provocare un immediato pregiudizio per i ricorrenti stessi, verso questi ultimi pertanto deve essere garantito il rispetto delle garanzie partecipative con l’invio della comunicazione di avvio del procedimento”.
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In generale, va ricordato che l’art. 7, l. n. 241 cit. impone l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi nonché agli altri soggetti, individuati o facilmente individuabili, che possono subirne pregiudizio, superando in tale maniera il modulo di definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum, già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale degli interessati, introducendo il sistema della democraticità delle decisioni e dell’accessibilità dei documenti amministrativi.
Orbene, in caso di proposizione di ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento amministrativo ritenuto lesivo delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento in capo ai medesimi ricorrenti appare evidente come l’atto di convalida del provvedimento impugnato sia tale da provocare un immediato pregiudizio per i ricorrenti stessi, verso i quali pertanto deve essere garantito il rispetto delle garanzie partecipative di cui alla normativa invocata.
Il rispetto delle predette garanzie emerge altresì dall’inquadramento del potere di convalida nell’ambito del più generale potere di autotutela cioè di incidere sui propri precedenti atti; tale opinione trova conferma nella disciplina introdotta dalla recente riforma della l. 241 che ha inserito la convalida nell’ambito dell’art. 21-nonies dedicato all’annullamento d’ufficio.
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13.1. In tale ottica va esaminata in via prioritaria, in quanto di carattere assolutamente assorbente, avuto riguardo al decorso nelle more del giudizio del termine di cinque anni dalla delibera della giunta comunale n. 107 del 12/09/2013 del Comune di Casoria, oggetto di convalida con la delibera del Commissario straordinario del Comune di Casoria n. 57 del 30.05.2016, la censura sollevata con il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti, nella parte in cui si evidenzia che il Comune avrebbe illegittimamente fatto decorrere il termine di cinque anni di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, entro cui adottare il decreto di esproprio, non dall’atto oggetto di convalida, ma dalla medesima deliberazione di convalida, con conseguente elusione del termine massimo di 5 anni stabilito rispettivamente dall'art. 9, comma 2, e dall'art. 13, commi 3 e 4, D.P.R. 327/2001 (superando anche il termine di ulteriori due anni di proroga della pubblica utilità previsto dal comma 5).
13.2. La stessa è fondata in considerazione del rilievo che la determina di convalida oggetto di impugnativa, come chiaramente evincibile peraltro dal suo tenore letterale, ha inteso, ai sensi dell’art. 21-nonies, comma 2, l. 241/1990, sanare il vizio di incompetenza relativa di cui era affetta la delibera di Giunta Municipale n. 107 del 2013, con la conseguenza efficacia retroattiva della medesima delibera di convalida, i cui effetti non potevano che decorrere dall’atto convalidato (ex multis TAR Catania, (Sicilia) sez. III, 29/04/2011, n. 1071, secondo cui, “L'esercizio del potere di convalida (mediante ratifica) spettante all'organo competente sana con efficacia retroattiva l'atto viziato da incompetenza relativa, ancorché quest'ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente, ma fino a quando non ne sia intervenuto l'annullamento; infatti il provvedimento di secondo grado con cui l'autorità competente fa proprio un atto adottato da un organo riconosciuto incompetente, esprimendo l'univoca volontà di eliminare il vizio suddetto, costituisce un provvedimento di ratifica -o di convalida, secondo la terminologia adottata dall'art. 6 l. n. 249 del 1968- il quale si sostituisce all'atto viziato con effetto "ex tunc”;
   - in senso analogo TAR Milano, (Lombardia) sez. III, 06/04/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 06/04/2010), n. 988 secondo cui “Il provvedimento di convalida, correlato al vizio di incompetenza, opera retroattivamente, sicché l'invalidità lamentata da parte ricorrente è venuta meno ab origine, con conseguente carenza di interesse a dedurre il vizio stesso, specie considerando che l'atto di convalida non è stato oggetto di impugnazione”;
   - TAR Firenze, (Toscana) sez. I, 20/03/2008, n. 411 secondo cui “È legittima la deliberazione del consiglio comunale con cui si è proceduto alla convalida della deliberazione della giunta comunale con la quale era stato approvato, entro il termine perentorio previsto dalla legge, il regolamento comunale relativo alla variazione dell'aliquota di compartecipazione all'addizionale Irpef, considerato che ai sensi dell'art. 6 della legge 18.03.1968, n. 249, gli atti viziati da incompetenza dell'organo emanante possono essere legittimamente convalidati con efficacia retroattiva in sede di autotutela dall'organo competente, anche se avverso di essi penda impugnativa, fino a quando non ne sia intervenuto l'annullamento. Il provvedimento adottato ai sensi della norma citata costituisce un provvedimento di ratifica -o di convalida secondo la terminologia adottata dal legislatore- il quale si sostituisce all'atto viziato con effetto ex tunc. Da parte della giurisprudenza i due principi sono stati costantemente affermati, con la precisazione che l'esistenza di una controversia giudiziaria non preclude la ratifica dell'atto solo se questo non è stato già annullato durante il giudizio di prima istanza o anche in appello, quando il ricorso di primo grado è stato respinto. Il principio è oggi confermato dall'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990”).
Ed invero il potere di convalida, quale espressione di diritto positivo del principio di conservazione degli atti giuridici, trae fondamento dall'art. 6 l. 18.03.1968, n. 249, norma con valenza generale, e sana con efficacia retroattiva (cfr. art. 1444 c.c.) l'atto viziato da incompetenza, ancorché quest'ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente. Il potere di convalida è inoltre espressamente riconosciuto dall’art. 21-nonies, comma 2, l. 241/1990, purché esso intervenga entro un termine ragionevole dall’atto che si intenda convalidare.
13.3. Le conclusioni innanzi evidenziate sono nell’ipotesi di specie tanto più valide, avuto riguardo alla circostanza che per contro la delibera di Giunta Comunale n. 6 del 2014, di approvazione del progetto esecutivo –che non può che essere successiva all’approvazione del progetto definitivo– con la delibera del commissario straordinario viene sottoposta ad atto meramente confermativo, come claris verbis evincibile dalla relativa motivazione, senza nuova istruttoria e motivazione, con la conseguenza che la delibera del commissario straordinario, rispetto al progetto esecutivo, non ha alcuna natura novativa in senso provvedimentale.
Ciò a dimostrazione della circostanza che con la delibera del Commissario straordinario non si è inteso rinnovare in toto la procedura espropriativa –altrimenti avrebbe dovuto procedersi anche alla riapprovazione, con atto di conferma in senso proprio e non con atto meramente confermativo, del progetto esecutivo– ma semplicemente emendare, con efficacia retroattiva, l’atto di approvazione del progetto definitivo dal vizio di incompetenza relativa da cui era affetto.
Pertanto illegittimamente e contraddittoriamente, con la delibera del commissario straordinario, nonostante il chiaro richiamo all’art. 21-nonies, comma 2, l. 241/1990 e alla circostanza che si intendesse emendare il vizio di incompetenza relativa da cui era affetto l’atto della G.M. di approvazione del progetto definitivo, sottoponendo peraltro ad atto meramente confermativo l’atto di approvazione del progetto esecutivo, si è fatto decorrere il termine di cinque anni, entro il quale adottare il decreto di esproprio, non dall’atto convalidato ma dal provvedimento di convalida.
13.4. Peraltro così facendo il Comune ha inoltre eluso il termine di cinque anni posto dall'art. 13, commi 3 e 4, D.P.R. 327/2001 (superando anche il termine di ulteriori due anni di proroga della pubblica utilità previsto dal comma 5) (cfr. al riguardo, in ordine alla natura perentoria del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità ex multis Cons. Stato Sez. IV Sent., 26/07/2011, n. 4457 secondo cui “L'art. 13 del D.P.R. n. 327 del 2001, dal titolo "Contenuto ed effetti dell'atto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità", al comma 3 prevede che "nel provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera può essere stabilito il termine entro il quale il decreto di esproprio va emanato"; al successivo comma 4 poi è espressamente contemplato che "se manca l'espressa determinazione del termine di cui al comma 3, il decreto di esproprio può essere emanato entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera"; ancora, al comma 5 è stabilito che "l'autorità che dichiarato la pubblica utilità dell'opera può disporre la proroga dei termini previsti dai commi 3 e 4 per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni. La proroga può essere disposta anche d’ufficio, prima della scadenza del termine, per un periodo non superiore a due anni"; quindi al sesto comma è previsto che "la scadenza del termine entro il quale può essere emanato il decreto di esproprio determina l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità". Sulla natura perentoria e non ordinatoria del termine quinquennale entro cui adottare l'atto conclusivo del procedimento ablativo, non pare sussistano dubbi, in ossequio ad un più che ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale "al termine finale va riconosciuto, a differenza del termine iniziale, natura perentoria e tanto con riferimento anche al regime giuridico descritto sul punto dall'art. 13 della legge n. 2359 del 1865, norma sostanzialmente riprodotta nell'omologo art. 13 del D.P.R. n. 327/2001” (conferma della sentenza del Tar Lombardia-Brescia, sez. II, n. 2072/2010).
14. Nonostante il carattere assorbente dell’indicata censura, avuto riguardo all’intervenuto decorso del termine quinquennale, con conseguente impossibilità per il Comune di adottare il decreto di esproprio, va osservato che parimenti fondato è il primo motivo di ricorso, nella parte in cui i ricorrenti si dolgono della violazione del disposto dell’art. 21-nonies, comma 2, l. 241/1990, per essere stato l’atto di convalida adottato dopo un lungo lasso di tempo, ovvero due anni e otto mesi, dall’atto convalidato e quindi oltre il termine ragionevole previsto dalla legge (ex multis Cons. Stato Sez. IV, 26/10/2018, n. 6125 secondo cui “La convalida di un atto amministrativo viziato è effettuata dalla Pubblica Amministrazione nell'esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all'esito di un procedimento di secondo grado, laddove sussistano ragioni di pubblico interesse e non sia decorso un termine ragionevole dall'adozione dell'atto illegittimo”; in senso analogo Cons. Stato Sez. IV, 18/05/2017, n. 2351, Cons. Stato Sez. IV Sent., 18/05/2017, n. 2351; Cons. Stato Sez. VI, 20/04/2006, n. 2198, secondo cui “Per ragioni di economia dei mezzi dell'azione amministrativa e di conservazione dei valori giuridici, è possibile la sanatoria (o convalida) di atti amministrativi affetti da vizi non afferenti al loro contenuto sostanziale. Tale principio ha trovato da ultimo riscontro normativo nell'art. 21-nonies, legge n. 241 del 1990, quale introdotto dalla legge n. 15 del 2005, che espressamente consente la convalida del provvedimento annullabile "sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole").
Ed invero, si deve ritenere, avuto riguardo al termine quinquennale di validità della dichiarazione di pubblica utilità, che il termine di due anni e otto mesi, pari ad oltre la metà di detto termine, non sia un termine ragionevole, avuto anche riguardo alla circostanza che parte ricorrente, già con la notifica del ricorso introduttivo dell’odierno giudizio, avvenuta in data 28.10.2014, aveva sollevato la censura di incompetenza da cui era affetta la delibera della giunta comunale n. 107 del 12/09/2013, confidando nel relativo annullamento giurisdizionale e che pertanto il Comune avrebbe dovuto prontamente attivarsi in ordine alla sua convalida, intervenuta per contro solo in data 30.05.2016.
15. Fondata è inoltre la censura, del pari riferita all’atto di convalida, formulata nel secondo motivo di ricorso, relativa alla violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, per non essere stato lo stesso preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, tanto più necessaria in relazione agli atti di autotutela, avuto riguardo al loro carattere discrezionale.
15.1. Peraltro nell’ipotesi di specie in alcun modo poteva essere bypassata la comunicazione di avvio del procedimento, avuto riguardo alla pendenza del ricorso giurisdizionale avverso l’atto convalidato e all’affidabilità nutrita dalla parte ricorrente in ordine al suo annullamento, quanto meno in relazione alla sollevata censura di incompetenza relativa dell’atto giuntale di approvazione del progetto definitivo (in senso analogo TAR Campania, Salerno, sez. II. 14/12/2011, n. 1991).
Come indicato nella citata pronuncia infatti in giurisprudenza deve intendersi prevalente l’affermazione della necessità di tale adempimento formale, proprio nel caso di convalida di vizi, fatti risaltare a mezzo di ricorso giurisdizionale amministrativo: “In caso di proposizione di un ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento amministrativo ritenuto lesivo delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento, l’atto di convalida del provvedimento impugnato produce immediati effetti pregiudizievoli per i ricorrenti, ai quali dunque deve essere garantito il rispetto della garanzie di partecipazione previste dall’ordinamento, attraverso l’avviso di avvio del procedimento” (TAR Trentino Alto Adige Trento, 02.01.2007, n. 4); “In caso di proposizione di ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento amministrativo ritenuto lesivo delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento in capo ai medesimi ricorrenti, atteso che l’atto di convalida del provvedimento impugnato è tale da provocare un immediato pregiudizio per i ricorrenti stessi, verso questi ultimi pertanto deve essere garantito il rispetto delle garanzie partecipative con l’invio della comunicazione di avvio del procedimento” (TAR Liguria Genova, sez. I, 07.04.2006, n. 353).
Nella parte motiva della decisione, da ultimo citata, significativamente si legge: “Del pari fondato appare il sesto motivo di gravame laddove si censura l’adozione di un atto di convalida senza il rispetto delle garanzie partecipative al relativo procedimento facenti capo ai soggetti che quel provvedimento hanno impugnato in sede giurisdizionale.
In generale, va ricordato che l’art. 7, l. n. 241 cit. impone l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi nonché agli altri soggetti, individuati o facilmente individuabili, che possono subirne pregiudizio, superando in tale maniera il modulo di definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum, già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale degli interessati, introducendo il sistema della democraticità delle decisioni e dell’accessibilità dei documenti amministrativi (cfr. ad es. Consiglio Stato, sez. VI, 30.12.2005, n. 7592).
Orbene, in caso di proposizione di ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento amministrativo ritenuto lesivo delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento in capo ai medesimi ricorrenti appare evidente come l’atto di convalida del provvedimento impugnato sia tale da provocare un immediato pregiudizio per i ricorrenti stessi, verso i quali pertanto deve essere garantito il rispetto delle garanzie partecipative di cui alla normativa invocata.
Il rispetto delle predette garanzie emerge altresì dall’inquadramento del potere di convalida nell’ambito del più generale potere di autotutela cioè di incidere sui propri precedenti atti; tale opinione trova conferma nella disciplina introdotta dalla recente riforma della l. 241 che ha inserito la convalida nell’ambito dell’art. 21-nonies dedicato all’annullamento d’ufficio
”.
16. In considerazione delle precedenti considerazioni, il ricorso per motivi aggiunti va accolto, con assorbimento delle ulteriori censure, avuto riguardo tra l’altro all’intervenuto decorso del termine di cinque anni di validità della dichiarazione di pubblica utilità, secondo quanto evidenziato nella disamina del terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti, con conseguente annullamento della delibera del Commissario straordinario del Comune di Casoria n. 57 del 30.05.2016, nonché dei relativi atti consequenziali fra cui (avuto riguardo alla ritenuta retroattività delle delibera del commissario straordinario) la delibera n. 6 del 23/01/2014 della Giunta comunale di Casoria, di approvazione del progetto esecutivo dell'opera (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 01.09.2020 n. 3716 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2020

ATTI AMMINISTRATIVISospensione dell'ordinanza del Presidente della Regione Siciliana. Chi ha sbagliato, come sempre, non pagherà (28.08.2020 - link a https://luigioliveri.blogspot.com).

ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGOOrdinanzite, la grave malattia che flagella l'ordinamento giuridico (24.08.2020 - link a https://luigioliveri.blogspot.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1.- Privacy – oscuramento dei dati personali ex art. 52, c. 1, Dlgs. n. 196/2003 – condizioni.
La domanda di oscuramento dei dati personali presentata dall'interessato ai sensi dell'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 196 del 2003, deve essere sostenuta dalla indicazione dei "motivi legittimi" che segnano all'evidenza il discrimine fra l'accoglimento ed il rigetto della relativa domanda.
Il concetto utilizzato dal legislatore, per certo non felice, abbisogna di un'opportuna interpretazione. Va innanzi tutto escluso che l'espressione possa essere intesa nell'accezione di "motivi normativi": in tal senso depone sia la clausola di riserva che figura nell'incipit del citato articolo di legge ("Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado..."), sia il ricorso ad elementari criteri esegetici, in ragione dell'evidente superfluità di una disposizione che si limiti a fare riferimento a quanto già previsto da altre norme.
Dunque, per dare un significato compiuto all'espressione che ne occupa -che, ovviamente, non può neppure discendere da un'interpretazione a contrario, non potendosi ammettere l'esito positivo di una richiesta di oscuramento dati per motivi illegittimi- non resta che apprezzarla come sinonimo di "motivi opportuni": donde la particolare ampiezza, opportunamente non predeterminata dal legislatore all'interno di schemi rigidi, delle ragioni che possono essere addotte a sostegno della richiesta di oscuramento, fermo restando che l'accoglimento della richiesta medesima interverrà ogniqualvolta l'Autorità giudiziaria ravviserà un equilibrato bilanciamento tra le esigenze di riservatezza del singolo e il principio della generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, quale strumento di democrazia e di informazione giuridica
(massima free tratta da www.giustamm.it).
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SENTENZA
Considerato che:
   - va preliminarmente rigettata l'istanza di omissione delle generalità e degli altri dati identificativi avanzata dai controricorrenti, ai sensi dell'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 196 del 2003, per i motivi di seguito indicati;
   - l'art. 52 cit. definisce i casi nei quali è garantito il diritto all'anonimato delle parti in giudizio o dei soggetti interessati.
Ai sensi del primo comma del detto articolo -che disciplina l'ipotesi in cui l'anonimizzazione delle generalità e degli altri dati identificativi è affidata all'intervento del giudice- fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado [sicché le pronunce, nel momento in cui sono redatte e depositate in cancelleria, devono contenere l'indicazione del nome delle parti, dei loro difensori e del giudice ex art. 133 cod. proc. civ. e artt. 536 e 545 cod. proc. pen.], l'«l'interessato» può chiedere per «motivi legittimi», con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria dell'ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento;
   - la qualità di «interessato» legittimato a presentare la domanda di cui all'art. 52, primo comma, cit. è definita direttamente dall'art. 4, comma 1, lett. i), del medesimo decreto legislativo, disposizione che, se nella originaria formulazione includeva non solo la persona fisica, ma anche la persona giuridica, l'ente o l'associazione cui si riferivano i dati personali, coincidendo il concetto di "dato personale" di cui alla lett. b) del medesimo articolo con "qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale", a decorrere dal 06/12/2011, in forza della novella ex art. 40 del d.l. del 06/12/2011 n. 201, include solo la persona fisica, cui si riferiscono i dati personali, coincidendo il modificato concetto di "dato personale" di cui alla lett. b) dell'art. 4 con "qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale".
Questa diversa ampiezza del termine "dato personale" orienta anche la lettura dei concetti di "dati identificativi" di cui alla lett. c) dell'art. 4 quali "dati personali che permettono l'identificazione diretta dell'interessato" e di "dati sensibili" di cui alla lett. d) dell'art. 4 quali "dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale" (v. ora art. 9 del Regolamento (UE) 2016/679);
   - la domanda di oscuramento dei dati personali presentata dall'interessato deve essere sostenuta dalla indicazione dei "motivi legittimi" che segnano all'evidenza il discrimine fra l'accoglimento ed il rigetto della relativa domanda. Il concetto utilizzato dal legislatore, per certo non felice, abbisogna di un'opportuna interpretazione.
Va innanzi tutto escluso che l'espressione possa essere intesa nell'accezione di "motivi normativi": in tal senso depone sia la clausola di riserva che figura nell'incipit del citato articolo di legge ("Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado..."), sia il ricorso ad elementari criteri esegetici, in ragione dell'evidente superfluità di una disposizione che si limiti a fare riferimento a quanto già previsto da altre norme.
Dunque, per dare un significato compiuto all'espressione che ne occupa -che, ovviamente, non può neppure discendere da un'interpretazione a contrario, non potendosi ammettere l'esito positivo di una richiesta di oscuramento dati per motivi illegittimi- non resta che apprezzarla come sinonimo di "motivi opportuni": donde la particolare ampiezza, opportunamente non predeterminata dal legislatore all'interno di schemi rigidi, delle ragioni che possono essere addotte a sostegno della richiesta che qui interessa, fermo restando che l'accoglimento della richiesta medesima interverrà ogniqualvolta l'autorità giudiziaria ravviserà un equilibrato bilanciamento tra le esigenze di riservatezza del singolo e il principio della generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, quale strumento di democrazia e di informazione giuridica.
In tal senso, interessanti indicazioni conformi si traggono dalle linee guida dettate dal Garante della privacy il 02.12.2010, "in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica", pubblicate sulla G.U. n. 2 del 04.01.2011, in cui al punto 3., con specifico riferimento alla c.d. "procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali" di cui all'art. 52, commi da 1 a 4, del d.lgs. n. 196/2003, si indicano possibili "motivi legittimi", in grado di fondare la relativa richiesta (ovvero di indurre l'A.G. a provvedere d'ufficio), nella "particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili)", ovvero nella "delicatezza della vicenda oggetto del giudizio" (Cass. pen. 13.03.2017, n. 11959);
   - nella specie, la richiesta dei controricorrenti di omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ad essi riconducibili è da respingere, in quanto, ancorché la si possa intendere riferita ai legali rappresentanti delle società controricorrenti (con ciò non rilevando, quindi, la mancata inclusione delle persone giuridiche nel concetto di "interessato" in base alla formulazione- con decorrenza dal 06/12/2011- dell'art. 4, comma 1, lett. i), e la restrizione di quello di "dato personale" di cui all'art. 4, comma 1, lett. b), difettano i presupposti per la detta domanda, non essendo stati indicati i "motivi legittimi" a giustificazione della medesima.
Infatti, premesso che la materia trattata nel presente giudizio (atto di contestazione di sanzioni a seguito di rettifica del valore doganale delle merci importate) non può ritenersi di per sé sensibile, e come tale, assoggettata al cogente regime di tutela della riservatezza delle parti in causa, né tanto meno la vicenda oggetto di controversia può ritenersi caratterizzata in re ipsa da una particolare "delicatezza", era fatto onere ai richiedenti di specificare resistenza e la natura dei motivi che avrebbero dovuto qui apportare deroga alla regola generale di cui al co. 7 della stessa disposizione, secondo la quale: "Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali" (nello stesso senso v. Cass., Sez. 5, 29.03.2019, n. 8829); al riguardo, i controricorrenti si sono limitati a richiedere l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi ad essi riconducibili "avendone motivo legittimo", senza esternare il medesimo; (Corte di Cassazione, Sez. V civile, ordinanza 07.08.2020 n. 16807).

luglio 2020

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Sulla valutazione del danno da ritardo.
E' condivisibile la giurisprudenza espressa in materia di risarcimento del danno da ritardo, secondo cui l’espresso riferimento al “danno ingiusto” –contenuto nell’art. 2-bis l. n. 241 del 1990, così come nel comma 2 dell’art. 30 c.p.a., secondo cui può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal “mancato esercizio di quella obbligatoria”– induce a ritenere che per poter riconoscere la tutela risarcitoria in tali fattispecie, come in quelle in cui la lesione nasce da un provvedimento espresso, non possa in alcun caso prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile.
L’ingiustizia del danno e, quindi, la sua risarcibilità per il ritardo dell’azione amministrativa, pertanto, è configurabile solo ove il provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo, dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al procedimento.
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Secondo la giurisprudenza in tema di variante semplificata ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998, l'eventuale esito positivo della conferenza di servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio comunale, il quale, siccome organo titolare della potestà pianificatoria, resta pienamente padrone della propria autonomia e discrezionalità, potendo discostarsi dalla proposta di variante e respingerla senza alcun dovere di motivazione puntuale o "rafforzata", in quanto l'esito della conferenza non comporta il sorgere di alcun affidamento né di aspettative qualificate in capo al proponente, essendo la determinazione conclusiva della conferenza qualificabile come mera "proposta di variante".
Invero, il Consiglio comunale, in seguito alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi, conserva le proprie attribuzioni e valuta autonomamente se aderire o meno ad essa, dovendo apportare, nell’esercizio della propria potestà pianificatoria urbanistica, una valutazione globale e definitiva in termini di governo del territorio, per converso non potendo essa essere limitata alla sola possibilità di confutare nel merito le valutazioni tecniche della conferenza.
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12.3. Premesse tali considerazioni, occorre tuttavia rilevare che:
   a) in relazione a un periodo di circa cinque mesi, ossia fino all’adozione della sentenza del Tar Campania – Sezione di Salerno n. 826 del 03.05.2011, avente ad oggetto la delibera di Giunta comunale n. 159/2010, non è ravvisabile in capo all’Amministrazione comunale l’elemento soggettivo della colpa, atteso che nel periodo precedente a tale pronuncia residuavano dubbi in ordine alla natura vincolante o meno del parere della Soprintendenza, risultando lo stesso variamente interpretabile;
   b) nella condotta della società è ravvisabile un contributo causale nella determinazione del ritardo per un durata complessiva di circa dieci mesi, non avendo essa prodotto la totalità dei documenti richiesti e risultando in tal modo preclusa la convocazione della conferenza di sevizi da parte del Comune; invero, la società produceva tutta la documentazione richiesta, e necessaria per la convocazione della conferenza dei servizi, solo in data 24.11.2011, allorquando il d.P.R. n. 160/2010 era già entrato in vigore;
   c) sulla base di un giudizio prognostico vi è assoluta incertezza in ordine alla spettanza del bene della vita, necessaria per accordare il risarcimento del danno da ritardo, in quanto:
      c.1) è condivisibile la giurisprudenza espressa dalla Sezione in materia di risarcimento del danno da ritardo, secondo cui l’espresso riferimento al “danno ingiusto” –contenuto nell’art. 2-bis l. n. 241 del 1990, così come nel comma 2 dell’art. 30 c.p.a., secondo cui può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal “mancato esercizio di quella obbligatoria”– induce a ritenere che per poter riconoscere la tutela risarcitoria in tali fattispecie, come in quelle in cui la lesione nasce da un provvedimento espresso, non possa in alcun caso prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile.
L’ingiustizia del danno e, quindi, la sua risarcibilità per il ritardo dell’azione amministrativa, pertanto, è configurabile solo ove il provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo, dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al procedimento (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 27.02.2020, n. 1437; cfr. id., sez. IV, 02.12.2019, n. 8235; id., sez. IV, 15.07.2019, n. 4951);
      c.2) con riferimento al caso di specie, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di variante semplificata ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 (da ultimo, sez. IV, 01.03.2017, n. 940; sez. IV, 18.02.2016, n. 650), l'eventuale esito positivo della conferenza di servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio comunale, il quale, siccome organo titolare della potestà pianificatoria, resta pienamente padrone della propria autonomia e discrezionalità, potendo discostarsi dalla proposta di variante e respingerla senza alcun dovere di motivazione puntuale o "rafforzata", in quanto l'esito della conferenza non comporta il sorgere di alcun affidamento né di aspettative qualificate in capo al proponente, essendo la determinazione conclusiva della conferenza qualificabile come mera "proposta di variante" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 04.11.2013, n. 5292; id., sez. IV, 19.10.2007, n. 5471; id., 27.06.2007, n. 3772; id., sez. VI, 26.06.2007, n. 3593; id., sez. IV, 14.04.2006, n. 2170); invero, il Consiglio comunale, in seguito alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi, conserva le proprie attribuzioni e valuta autonomamente se aderire o meno ad essa, dovendo apportare, nell’esercizio della propria potestà pianificatoria urbanistica, una valutazione globale e definitiva in termini di governo del territorio, per converso non potendo essa essere limitata alla sola possibilità di confutare nel merito le valutazioni tecniche della conferenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.07.2020 n. 4669 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio condivide, in termini generale, quanto esposto dal comune e dalla controinteressata in ordine all’insussistenza di un obbligo di informazione preventiva dell’interessato della pratica edilizia che riguardi un ambito limitrofo alla proprietà.
In secondo luogo, deve osservarsi come la censura si sostanzi nella negazione della possibilità di un apporto partecipativo.
Ora, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, “il rispetto delle garanzie procedimentali […] non può essere inteso in senso meramente formalistico, dovendo piuttosto interpretarsi in senso sostanziale (in quanto le garanzie partecipative non assolvono soltanto ad una funzione difensiva in favore del destinatario dell'atto conclusivo) ed evitando di affidarsi a letture formalistiche che possono sottendere fini meramente speculativi e non in linea con il principio di effettività”.
Tale principio, calibrato principalmente in relazione alla posizione del destinatario del provvedimento, vale, persino a fortiori, con riguardo alla posizione del soggetto terzo che si ritiene leso.
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28. Con il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti in esame le ricorrenti deducono l’illegittimità degli atti impugnati per eccesso di potere, sub specie di violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e di leale collaborazione della Pubblica Amministrazione e per violazione dell’articolo 1 della L. 07.08.1990, n. 241.
Osservano le ricorrenti come il comune di Milano ometta di informarle dell’iniziativa della controinteressata, impedendo loro di presentare memorie ed osservazioni da tener conto ai fini dell’esercizio del potere inibitorio.
28.1. La censura è infondata per due ordini di ragioni.
28.2. In primo luogo, il Collegio condivide, in termini generale, quanto esposto dal comune e dalla controinteressata in ordine all’insussistenza di un obbligo di informazione preventiva dell’interessato della pratica edilizia che riguardi un ambito limitrofo alla proprietà. Né simile obbligo risulta predicabile ratione temporis considerato che l’assetto normativo all’epoca vigente conferisce, comunque, diversi ma non meno rilevanti strumenti di tutela del terzo, come diffusamente evidenziato dalla sentenza n. 1147/2019 a cui si rinvia.
28.3. In secondo luogo, deve osservarsi come la censura si sostanzi nella negazione della possibilità di un apporto partecipativo. Ora, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, “il rispetto delle garanzie procedimentali […] non può essere inteso in senso meramente formalistico, dovendo piuttosto interpretarsi in senso sostanziale (in quanto le garanzie partecipative non assolvono soltanto ad una funzione difensiva in favore del destinatario dell'atto conclusivo) ed evitando di affidarsi a letture formalistiche che possono sottendere fini meramente speculativi e non in linea con il principio di effettività” (TAR per il Lazio – sede di Roma, sez. II-quater, 14.03.2016, n. 3175; TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 04.11.2019, n. 2294, relativa ad una vicenda omologa a quella in esame).
Tale principio, calibrato principalmente in relazione alla posizione del destinatario del provvedimento, vale, persino a fortiori, con riguardo alla posizione del soggetto terzo che si ritiene leso.
Nel caso di specie, le ricorrenti sono messe in condizioni di operare una valutazione approfondita degli interventi della controinteressata prendendo visione degli atti e presentando osservazioni e istanze nel momento procedimentale e, successivamente, allestendo un’azione giudiziaria articolata e composta da una pluralità di domande che investono numerosi aspetti di tali interventi. Non vi è, quindi, alcuna concreta e sostanziale lesione delle facoltà partecipative delle ricorrenti o dimidiazione della tutela delle loro posizioni giuridiche soggettive (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.07.2020 n. 1413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALIÈ illegittima la nomina di un RT diverso dal RPC?
Domanda
Nel nostro comune, il responsabile della trasparenza è figura diversa dal responsabile della prevenzione della corruzione (segretario comunale). A un corso di formazione ci hanno detto che tale situazione è illegittima.
È veramente così?
Risposta
L’articolo 43, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nel testo modificato dall’articolo 34, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 25.05.2016, n. 97, prevede testualmente che: 1. All’interno di ogni amministrazione il responsabile per la prevenzione della corruzione, di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 06.11.2012, n. 190, svolge, di norma, le funzioni di Responsabile per la trasparenza, di seguito «Responsabile», e il suo nominativo è indicato nel Piano triennale per la prevenzione della corruzione. Il responsabile svolge stabilmente un’attività di controllo sull’adempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, assicurando la completezza, la chiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubblicate, nonché segnalando all’organo di indirizzo politico, all’Organismo indipendente di valutazione (OIV), all’Autorità nazionale anticorruzione e, nei casi più gravi, all’ufficio di disciplina i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione.
Come ben si comprende, l’indicazione del legislatore nazionale –dal 2016– è quella di unificare sotto la stessa persona –negli enti locali “di norma” il segretario comunale– i compiti di responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, utilizzando, appunto, l’acronimo di RPCT.
Analoga posizione è stata poi assunta dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), la quale –nella delibera n. 1310 del 28.12.2016, (di commento del d.lgs. 97/2016)– sostiene che: “Ad avviso dell’Autorità, considerata la nuova indicazione legislativa sulla concentrazione delle due responsabilità, la possibilità di mantenere distinte le figure di RPCT e di RT va intesa in senso restrittivo: è possibile, cioè, laddove esistano obiettive difficoltà organizzative tali da giustificare la distinta attribuzione dei ruoli. Ciò si può verificare, ad esempio, in organizzazioni particolarmente complesse ed estese sul territorio e al solo fine di facilitare l’applicazione effettiva e sostanziale della disciplina sull’anticorruzione e sulla trasparenza. E’ necessario che le amministrazioni chiariscano espressamente le motivazioni di questa eventuale scelta nei provvedimenti di nomina del RPC e RT e garantiscano il coordinamento delle attività svolte dai due responsabili, anche attraverso un adeguato supporto organizzativo”.
Il contenuto letterale della disposizione non prevede affatto, dunque, l’obbligo di avere, in ogni ente e amministrazione, un unico responsabile per la prevenzione della corruzione e trasparenza, quindi l’indicazione del relatore circa la presunta illegittimità della nomina del RT appare non ancorata a nessuna fonte normativa. Resta pertinente, invece, la specificazione dell’ANAC, la quale raccomanda che l’atto di nomina emanato dal sindaco sia debitamente motivato, circa le ragioni (legate a obiettive difficoltà organizzative) del discostamento dal “di norma”.
Se l’ente intende confermare la propria posizione di avere due distinti responsabili (RT e RPC), sarà poi necessario definire nel PTPCT gli ambiti di collaborazione sinergica tra le due figure, tenendo comunque conto che la redazione della proposta del PTPCT, compresa la sezione dello stesso dedicata alla Trasparenza, compete esclusivamente al Responsabile della prevenzione della corruzione, come previsto dall’articolo 1, comma 8, della legge 190/2012. Stessa cosa vale per la relazione annuale recante i risultati dell’attività svolta, prevista dal comma 14, del citato articolo 1, della Legge Severino.
Si ricorda, infine, che i dati relativi al Responsabile della trasparenza e al Responsabile della prevenzione della Corruzione vanno pubblicati su Amministrazione trasparente, all’interno della sotto-sezione: Altri contenuti > Prevenzione della Corruzione (21.07.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi.
In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può condurre a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione.
Ricorre invece l’atto meramente confermativo quando l’Amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione.
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2.1. L’eccezione è fondata nella parte in cui non si riferisce alle risultanze del lotto 10 (“artroprotesi primaria non cementata – conservazione di collo”), che non è stato oggetto di rivalutazione da parte della Stazione appaltante.
Con la determina n. 414 del 05.12.2019, depositata in giudizio da A.R.I.A. in data 06.12.2019, la Stazione appaltante ha recepito l’attività di rivalutazione posta in essere dalla Commissione giudicatrice in seguito all’accoglimento dell’istanza di riesame formulata da Ad.Or. in data 17.09.2019 –accolta con determina n. 213 del 10.10.2019– all’esito della quale sono stati in parte confermati gli esiti di cui alla determina di esclusione del 22.07.2019, impugnata con il ricorso.
L’attività posta in essere dalla Stazione appaltante è consistita in una rivalutazione, per mezzo di una nuova istruttoria (cfr. verbali allegati alla memoria di A.R.I.A. del 06.12.2019), della fattispecie pregressa, che in parte ha dato luogo anche ad una modifica dell’originaria determinazione (cfr. il rinnovato esito di alcuni lotti, 7-bis e 8, sebbene estranei a questo giudizio), da cui è scaturito un atto confermativo in senso proprio e non meramente confermativo, che avrebbe onerato il ricorrente Ad.Or. a proporre ricorso avverso i suoi esiti; una tale conclusione non risulta contraddetta dalla circostanza che, con riguardo ad alcuni lotti, l’attività di rivalutazione abbia avuto un esito parzialmente favorevole per la predetta ricorrente, con l’attribuzione di maggiori punteggi, visto che le risultanze conclusive –cui la Stazione appaltante è pervenuta, come evidenziato in precedenza, attraverso l’adozione di un nuovo provvedimento, che assume una autonoma lesività– non hanno consentito alla stessa di collocarsi in posizione utile nella graduatoria finale.
Avendo il nuovo provvedimento preso il posto del precedente oggetto di impugnazione, nessun interesse residua ormai in capo alla parte ricorrente in ordine allo scrutinio di quest’ultimo, non esplicando più alcun effetto. In assenza di impugnazione dell’ultimo provvedimento, il ricorso originario deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Ciò appare in linea con la consolidata giurisprudenza, secondo la quale, «allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi. In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può condurre a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre invece l’atto meramente confermativo quando l’Amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione» (TAR Lombardia, Milano, II, 15.06.2020, n. 1067; altresì, Consiglio di Stato, V, 29.01.2020, n. 716; IV, 27.01.2017, n. 357; 12.10.2016, n. 4214; 12.02.2015, n. 758) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.07.2020 n. 1386 - link a www.giustizia-amministraiva.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVISecondo noti principi, l'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.
In altre parole, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento
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Pur volendo ritenere che il provvedimento impugnato si giustifichi e tragga fondamento dagli artt. 242 e 244, comma 2, del d.lgs. 152/2006 esso sarebbe parimenti illegittimo per incompetenza e per assenza dei presupposti.
L’art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006 dispone, infatti, che “La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”, e cioè a presentare il piano di caratterizzazione e a predisporre il progetto di bonifica o di messa in sicurezza del sito, con le eventuali misure di riparazione e di ripristino ambientale previste dall’art. 242.
La norma è chiara nell’attribuire la competenza all’adozione del provvedimento di diffida di cui sopra alla Provincia (e non al sindaco); e in ogni caso, prevede che l’ordinanza possa essere adottata soltanto nei confronti del “responsabile dell’inquinamento”, laddove nel caso di specie è pacifico che i ricorrenti non sono i responsabili dell’inquinamento, ma solo i titolari di diritti reali sull’area oggetto del deposito incontrollato dei rifiuti; il che conduce a ritenere fondati, non solo i primi due motivi di ricorso, ma anche il terzo, con cui i ricorrenti hanno contestato, tra l’altro, la violazione dell’art. 244, comma 2, d.lgs. 152/2006, in forza del quale l’individuazione del responsabile dell’inquinamento costituisce il presupposto essenziale per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 244, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, di modo che al mero titolare di diritti reali sull’area inquinata che -come nel caso di specie- non sia responsabile dell’inquinamento, non possono essere addossati obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale.
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... per l'annullamento dell'ordinanza n. 1597 del 15.05.2019, emessa dal Sindaco del Comune di Iseo, avente ad oggetto il “Ripristino dei luoghi mediante bonifica delle aree identificate catastalmente al fg. 21, partt. 496 - 497 e 499 NCT di Iseo”, con cui è stato ordinato a Fe.El. e Fo.Do., nella loro qualità di usufruttuari e a Fe.Ma. e Fe.Da., nella loro qualità di nudi proprietari delle identificate aree, di predisporre il piano di caratterizzazione e di presentare copia del piano di bonifica entro 30 giorni dalla notificazione dell'ordinanza.
...
Il ricorso è fondato e va accolto.
1. Giova premettere, in punto di fatto, che il procedimento amministrativo sfociato nell’adozione dell’ordinanza impugnata ha preso le mosse dall’esposto presentato in data 17.03.2012 dalla società Al. s.r.l., che nel marzo del 2011 aveva acquistato dagli odierni ricorrenti la proprietà del terreno oggetto del presente giudizio per impiantarvi un’attività di torrefazione, e a tale scopo aveva avviato accertamenti tecnici prodromici all’esecuzione dell’intervento; nell’esposto, la medesima segnalava all’amministrazione comunale che in data 14.03.2012, a seguito dell’esecuzione di carotaggi nel sottosuolo, alla profondità di circa 2 metri, erano stati rinvenuti “rifiuti frammisti al terreno”.
A seguito dell’esposto, l’amministrazione comunale avviava un procedimento per “abbandono e deposito incontrollato di rifiuti nel suolo”, dandone comunicazione anche al sig. Fe.El., odierno ricorrente; il procedimento si articolava in alcune riunioni, a cui partecipavano vari enti pubblici (Comune di Iseo, Provincia di Brescia, Regione Lombardia, ARPA, ASL), nonché i consulenti legali e le parti interessate, riunioni nelle quali era proposto a tutti i privati proprietari dei terreni di effettuare un’unica indagine geognostica ambientale di caratterizzazione, areale e verticale, dell’intera area.
Peraltro, dal momento che tra la società Al. s.r.l. e gli odierni ricorrenti era insorta controversia civile dinanzi al Tribunale di Brescia per la risoluzione dell’atto di compravendita per aliud pro aliud, e dal momento che in tale giudizio era stata disposta c.t.u. al fine di accertare lo stato dei luoghi, la natura dei rifiuti eventualmente presenti e gli interventi di bonifica eventualmente necessari con i relativi costi, il procedimento amministrativo restava di fatto sospeso in attesa degli accertamenti del c.t.u. e della definizione del giudizio.
Il c.t.u. depositava due relazioni peritali, la prima in data 15.07.2014 e la seconda in data 29.10.2014 nelle quali evidenziava, in sintesi:
   - che su una porzione di terreno costituente circa un quarto dell’area interessata (circa 1450 mq) era stato rivenuto nel sottosuolo un abbancamento di rifiuti confinati in sacchi, non frammisti a terreno, identificabili come deposito incontrollato di rifiuti classificati come non pericolosi;
   - che nella porzione residua dell’area era stato rinvenuto nel sottosuolo materiale di origine antropica frammisto a terreno naturale, caratterizzato in alcuni punti da concentrazioni di inquinanti chimici al di sopra della C.S.C. relativa alle aree verdi/residenziali, nonché altri da materiali riconducibili ad attività di demolizione edile, frammisti a terreno naturale;
   - il c.t.u. stimava in € 80.000,00–100.000,00 i costi per le opere di bonifica delle frazioni di terreno ed ulteriori 5.000,00-7.000,00 per le indagini integrative necessarie all’analisi di rischio.
Con sentenza n. 3642/2017 del 15.12.2017 il Tribunale civile di Brescia dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita stipulato il 30.03.2011 tra gli odierni ricorrenti e la società Al. s.r.l. per inadempimento dei venditori.
A seguito di tale sentenza, l’amministrazione comunale riattivava il procedimento amministrativo notificando agli odierni ricorrenti in data 26.10.2018 una nota con cui li invitava alla presentazione entro 60 giorni di un “progetto di bonifica conformemente ai contenuti della relazione peritale effettuata sugli esiti delle indagini ambientali”.
Seguivano contatti tra le parti che, tuttavia, non portavano ad alcuna soluzione concordata.
Quindi, in data 15.05.2019 il Comune adottava l’ordinanza impugnata nel presente giudizio.
2. Costituendosi in giudizio, l’amministrazione comunale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, asserendo che l’atto impugnato non avrebbe natura lesiva trattandosi di un mero invito rivolto ai ricorrenti a partecipare al procedimento amministrativo al solo fine di prevenire l’iscrizione sul terreno di loro proprietà dell’onere reale di cui all’art. 253, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006.
L’eccezione non può essere condivisa, in quanto, come già rilevato in sede cautelare, l’ordinanza impugnata, giusta il tenore letterale ed il contenuto sostanziale, non può essere qualificata quale mero invito rivolto ai ricorrenti ad effettuare un intervento volontario per evitare l’iscrizione dell’onere reale di cui all’art. 253 del d.lgs. 152/2006; si tratta, invece, di un atto con cui l’amministrazione comunale ha ordinato ai ricorrenti di predisporre il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’Allegato 2 del d.lgs. n. 152/2006 e di produrre alle Amministrazioni indicate copia del piano di bonifica entro 30 giorni dalla notificazione, con avvertimento che in mancanza, salvi i provvedimenti amministrativi e penali del caso, il Comune avrebbe proceduto in via sostitutiva.
E’ quindi un provvedimento che implica l’imposizione di obblighi di facere e di oneri economici a carico degli intimati e che prefigura anche l’irrogazione di sanzioni amministrative e penali in caso di inosservanza. L’immediata lesività di tale provvedimento non può seriamente essere contestata.
3. Nel merito, il ricorso è fondato.
Il provvedimento impugnato è stato adottato dal sindaco di Iseo in espressa applicazione degli artt. 50, comma 4 e 5, e 242 e 244 del d.lgs. n. 152/2006. In realtà, la competenza del sindaco si giustifica astrattamente solo in relazione ai disposti dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, mentre non si giustifica in relazione agli art. 242 e 244 del Codice dell’Ambiente che attribuiscono la competenza ad adottare i provvedimenti ivi disciplinati alla Provincia.
I due profili appena evidenziati formano oggetto delle censure dedotte dai ricorrenti con i primi due motivi, che sono entrambi fondati e assorbenti.
3.1. L’art. 50, comma 5, del d.lgs. 267/2000 dispone che “In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana (…)”.
Come già detto, tra le norme attributive del potere richiamate nel provvedimento impugnato, questa è l’unica che potrebbe astrattamente giustificare la competenza del sindaco; in concreto, tuttavia, la norma è stata applicata senza che ne ricorressero i presupposti di contingibilità e di urgenza, o, comunque, senza che tali presupposti siano stati minimamente evidenziati nella motivazione dell’atto impugnato.
3.1.1. Secondo noti principi, l'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile (Consiglio di Stato, sez. III, 29/05/2015, n. 2697; TAR Perugia, sez. I, 12/02/2020, n. 64).
In altre parole, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento (TAR Torino, sez. I , 04/02/2020, n. 102).
3.1.2. Nel caso di specie, non soltanto il provvedimento impugnato appare totalmente privo di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di contingibilità ed urgenza richiesti per l’adozione dell’ordinanza sindacale ex art. 50 d.lgs. 267/2000, con particolare riferimento alla sussistenza di una situazione eccezionale e imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica derivante dalla presenza di rifiuti sull’area di proprietà degli intimati; ma, per di più, il comportamento serbato dall’amministrazione nel corso dell’intero procedimento amministrativo, avviato sin dal 2012 e concluso solo nel 2019, attesta di per sé l’inesistenza dei tali presupposti di eccezionalità e di urgenza, se solo si considera che la stessa amministrazione comunale ha ritenuto di potere sospendere, di fatto, per diversi anni il procedimento in questione in attesa del deposito della relazione peritale nel giudizio civile intercorrente tra le parti private e in attesa della definizione del giudizio medesimo, prima di assumere il provvedimento conclusivo impugnato nel presente giudizio, peraltro a distanza di quasi cinque anni dal deposito della relazione peritale e di due anni dalla sentenza del giudice civile.
E d’altra parte, la stessa consulenza tecnica d’ufficio svolta nel giudizio civile, pur rilevando la presenza di rifiuti di varia tipologia all’interno dell’area di proprietà dei ricorrenti, non aveva evidenziato l’esistenza di profili di criticità tali da imporre l’adozione di interventi immediati ed urgenti.
3.1.3. Alla luce di tali considerazioni l’ordinanza impugnata, ove intesa come ordinanza contingibile e urgente ex art. 50, comma 5, TUEL, è illegittima per difetto di istruttoria e di motivazione circa la sussistenza dei presupposti di contingibilità e di urgenza richiesti dalla norma applicata.
3.2. Peraltro, a voler ritenere che il provvedimento impugnato si giustifichi e tragga fondamento dagli artt. 242 e 244, comma 2, del d.lgs. 152/2006 -pure richiamati nella motivazione dell’atto- esso sarebbe parimenti illegittimo per incompetenza e per assenza dei presupposti.
3.2.1. L’art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006 dispone, infatti, che “La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”, e cioè a presentare il piano di caratterizzazione e a predisporre il progetto di bonifica o di messa in sicurezza del sito, con le eventuali misure di riparazione e di ripristino ambientale previste dall’art. 242.
3.2.2. La norma è chiara nell’attribuire la competenza all’adozione del provvedimento di diffida di cui sopra alla Provincia (e non al sindaco); e in ogni caso, prevede che l’ordinanza possa essere adottata soltanto nei confronti del “responsabile dell’inquinamento”, laddove nel caso di specie è pacifico –perché ammesso espressamente dall’amministrazione comunale nelle proprie difese– che i ricorrenti non sono i responsabili dell’inquinamento, ma solo i titolari di diritti reali sull’area oggetto del deposito incontrollato dei rifiuti; il che conduce a ritenere fondati, non solo i primi due motivi di ricorso, ma anche il terzo, con cui i ricorrenti hanno contestato, tra l’altro, la violazione dell’art. 244, comma 2, d.lgs. 152/2006, in forza del quale l’individuazione del responsabile dell’inquinamento costituisce il presupposto essenziale per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 244, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, di modo che al mero titolare di diritti reali sull’area inquinata che -come nel caso di specie- non sia responsabile dell’inquinamento, non possono essere addossati obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale.
4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e assorbimento delle ulteriori censure dedotte (TAR Lombardia-Brescia, sez. I, sentenza 17.07.2020 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Presupposti per l’ordinanza contingibile e urgente.
L'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.
In altre parole, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento
(TAR Lombardia- Brescia, Sez. I, sentenza 17.07.2020 n. 549 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
3. Nel merito, il ricorso è fondato.
Il provvedimento impugnato è stato adottato dal sindaco di Iseo in espressa applicazione degli artt. 50, comma 4 e 5, e 242 e 244 del d.lgs. n. 152/2006. In realtà, la competenza del sindaco si giustifica astrattamente solo in relazione ai disposti dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, mentre non si giustifica in relazione agli art. 242 e 244 del Codice dell’Ambiente che attribuiscono la competenza ad adottare i provvedimenti ivi disciplinati alla Provincia.
I due profili appena evidenziati formano oggetto delle censure dedotte dai ricorrenti con i primi due motivi, che sono entrambi fondati e assorbenti.
3.1. L’art. 50, comma 5, del d.lgs. 267/2000 dispone che “In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana (…)”.
Come già detto, tra le norme attributive del potere richiamate nel provvedimento impugnato, questa è l’unica che potrebbe astrattamente giustificare la competenza del sindaco; in concreto, tuttavia, la norma è stata applicata senza che ne ricorressero i presupposti di contingibilità e di urgenza, o, comunque, senza che tali presupposti siano stati minimamente evidenziati nella motivazione dell’atto impugnato.
3.1.1. Secondo noti principi, l'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile (Consiglio di Stato, sez. III, 29/05/2015, n. 2697; TAR Perugia, sez. I, 12/02/2020, n. 64).
In altre parole, la possibilità di ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è legata alla sussistenza di un pericolo concreto che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento (TAR Torino, sez. I , 04/02/2020, n. 102).
3.1.2. Nel caso di specie, non soltanto il provvedimento impugnato appare totalmente privo di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di contingibilità ed urgenza richiesti per l’adozione dell’ordinanza sindacale ex art. 50 d.lgs. 267/2000, con particolare riferimento alla sussistenza di una situazione eccezionale e imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica derivante dalla presenza di rifiuti sull’area di proprietà degli intimati; ma, per di più, il comportamento serbato dall’amministrazione nel corso dell’intero procedimento amministrativo, avviato sin dal 2012 e concluso solo nel 2019, attesta di per sé l’inesistenza dei tali presupposti di eccezionalità e di urgenza, se solo si considera che la stessa amministrazione comunale ha ritenuto di potere sospendere, di fatto, per diversi anni il procedimento in questione in attesa del deposito della relazione peritale nel giudizio civile intercorrente tra le parti private e in attesa della definizione del giudizio medesimo, prima di assumere il provvedimento conclusivo impugnato nel presente giudizio, peraltro a distanza di quasi cinque anni dal deposito della relazione peritale e di due anni dalla sentenza del giudice civile.
E d’altra parte, la stessa consulenza tecnica d’ufficio svolta nel giudizio civile, pur rilevando la presenza di rifiuti di varia tipologia all’interno dell’area di proprietà dei ricorrenti, non aveva evidenziato l’esistenza di profili di criticità tali da imporre l’adozione di interventi immediati ed urgenti.
3.1.3. Alla luce di tali considerazioni l’ordinanza impugnata, ove intesa come ordinanza contingibile e urgente ex art. 50, comma 5, TUEL, è illegittima per difetto di istruttoria e di motivazione circa la sussistenza dei presupposti di contingibilità e di urgenza richiesti dalla norma applicata.
3.2. Peraltro, a voler ritenere che il provvedimento impugnato si giustifichi e tragga fondamento dagli artt. 242 e 244, comma 2, del d.lgs. 152/2006 -pure richiamati nella motivazione dell’atto- esso sarebbe parimenti illegittimo per incompetenza e per assenza dei presupposti.
3.2.1. L’art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006 dispone, infatti, che “La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”, e cioè a presentare il piano di caratterizzazione e a predisporre il progetto di bonifica o di messa in sicurezza del sito, con le eventuali misure di riparazione e di ripristino ambientale previste dall’art. 242.
3.2.2. La norma è chiara nell’attribuire la competenza all’adozione del provvedimento di diffida di cui sopra alla Provincia (e non al sindaco); e in ogni caso, prevede che l’ordinanza possa essere adottata soltanto nei confronti del “responsabile dell’inquinamento”, laddove nel caso di specie è pacifico –perché ammesso espressamente dall’amministrazione comunale nelle proprie difese– che i ricorrenti non sono i responsabili dell’inquinamento, ma solo i titolari di diritti reali sull’area oggetto del deposito incontrollato dei rifiuti; il che conduce a ritenere fondati, non solo i primi due motivi di ricorso, ma anche il terzo, con cui i ricorrenti hanno contestato, tra l’altro, la violazione dell’art. 244, comma 2, d.lgs. 152/2006, in forza del quale l’individuazione del responsabile dell’inquinamento costituisce il presupposto essenziale per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 244, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, di modo che al mero titolare di diritti reali sull’area inquinata che -come nel caso di specie- non sia responsabile dell’inquinamento, non possono essere addossati obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale.
4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e assorbimento delle ulteriori censure dedotte.

ATTI AMMINISTRATIVI: PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Ordinanze contingibili e urgenti – Strumenti atipici – Eventi non prevedibili a priori – Temporaneità – Compressione diritti e interessi privati – Eccezionalità e provvisorietà
Le ordinanze contingibili ed urgenti sono strumenti atipici e funzionali allo scopo di far fronte ad eventi non prevedibili a priori (Tar Veneto Sez. I 21/09/2016 n. 1055) e proprio per la possibilità delle stesse di disporre la compressione di diritti ed interessi dei privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge devono avere quale presupposto un’efficacia solo in via temporanea (Cons. Stato Sez V 26/07/2016 n. 3369; TAR Campania Sez. V 09/11/2016 n. 5162 e 17/02/2016 n. 860).
Da ciò deriva che è necessario che l’ordinanza extra ordinem contenga un termine di efficacia. L’assenza dell’indicazione del periodo temporale non può non invalidare gli atti stessi posto che l’Autorità può intervenire con dette ordinanze eccezionalmente e solamente in via provvisoria
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 17.07.2020 n. 25 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVICom’è noto, le ordinanze contingibili ed urgenti sono strumenti atipici essendo funzionali allo scopo di far fronte ad eventi non prevedibili a priori e proprio perché possono disporre la compressione di diritti ed interessi dei privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge devono avere come presupposto una efficacia solo in via temporanea.
Ne consegue dall’applicazione del principio su indicato che occorre fissare nell’ordinanza extra ordinem un termine di efficacia e nella specie per le su indicate due ordinanza alcunché è detto in ordine alla efficacia nel tempo degli ordini impartiti.
Ora l’assenza della indicazione del periodo temporale di efficacia non può non invalidare gli atti stessi dal momento che l’Autorità può intervenire con detti strumenti solo eccezionalmente in via provvisoria, cosa che qui non è dato rilevare.
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... per l'annullamento:
   - dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 28/2019 del 06.09.2019 notificata il 11.09.2019 con la quale il Sindaco del Comune di Ayas ha ordinato alla società Le Re. sas rappresentata dal Sig. Pr.Co., nato ad ... (TO) il ... e residente in Ayas (AO) Fraz. ... n. ..., di garantire il passaggio dei mezzi adibiti alla raccolta rifiuti, tutti i giorni dal lunedì al sabato con orario dalle 5.00 alle 8.00 nonché
   - dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 23/2019 del 08.08.2019 notificata il 12.08.2019 con la quale il Sindaco del Comune di Ayas ha ordinato alla società Le Re. sas rappresentata dal Sig. Pr.Co., nato ad ... (TO) il ... e residente in Ayas (AO) Fraz. ... n. ..., la rimozione delle reti metalliche e della sbarra limitatrice di traffico nel luogo indicato in epigrafe, entro e non oltre 48 (quarantotto) ore dalla notifica della presente Ordinanza garantendo il passaggio dei mezzi adibiti alla raccolta dei rifiuti, tutti i giorni dal lunedì al sabato con orario dalla 5.00 alle 8.00 per tutto il periodo di maggior afflusso turistico e comunque sino all'08.09.2019;
   - di tutti gli atti e provvedimenti ai predetti provvedimenti presupposti, conseguenti e/o comunque connessi e, in particolare, dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 19/2019 del 25.07.2019 notificata il 26.07.2019 con la quale il Sindaco del Comune di Ayas ha ordinato alla società Le Re. sas rappresentata dal Sig. Pr.Co., nato ad ... (TO) il ... e residente in Ayas (AO) Fraz. ... n. ..., la rimozione delle reti metalliche e della sbarra limitatrice di traffico nel luogo in epigrafe citato, entro e non oltre 48 (quarantotto) ore dalla notifica della presente Ordinanza.
...
Passando al merito, il ricorso si rivela fondato con riferimento alle prima delle tre ordinanze, la n. 19/2019, per un profilo di illegittimità avente carattere assorbente.
Com’è noto le ordinanze contingibili ed urgenti sono strumenti atipici essendo funzionali allo scopo di far fronte ad eventi non prevedibili a priori (cfr. Tar Veneto Sez. I 2179/2016 n. 1055) e proprio perché possono disporre la compressione di diritti ed interessi dei privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge devono avere come presupposto una efficacia solo in via temporanea (cfr. Cons Stato Sez. V 26/772016 n. 3369; TAR Campania Sez. V 09/11/2016 n. 5162 e 17/2/2016 n. 860).
Ne consegue dall’applicazione del principio su indicato che occorre fissare nell’ordinanza extra ordinem un termine di efficacia (cfr. TAR Lazio-Roma Sez. II n. 10859 del 19/08/2015) e nella specie per le su indicate due ordinanza alcunché è detto in ordine alla efficacia nel tempo degli ordini impartiti.
Ora l’assenza della indicazione del periodo temporale di efficacia non può non invalidare gli atti stessi dal momento che l’Autorità può intervenire con detti strumenti solo eccezionalmente in via provvisoria, cosa che qui non è dato rilevare.
Di qui la illegittimità delle ordinanza n. 19/2019, con accoglimento quindi del ricorso in parte qua (TAR Valle d'Aosta, sentenza 17.07.2020 n. 25 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIRPCT e attestazione obblighi trasparenza.
Domanda
Sono un RPCT e nel mio comune l’OIV non mi ha coinvolto affatto nella procedura per l’attestazione del corretto adempimento degli obblighi, richiesta dalla delibera ANAC n. 213/2020, mentre il mio collega di un altro ente locale mi riferisce di aver condotto le verifiche e predisposto le griglie in totale autonomia, in quanto l’OIV non si è affatto interessato della questione.
Vorrei sapere quale è la procedura corretta e se devo prendere qualche iniziativa.
Risposta
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha adottato la delibera n. 213 del 04.03.2020, nell’esercizio delle funzioni di controllo di cui all’art. 45, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 (c.d. “decreto trasparenza”).
Per espressa formulazione, l’ANAC si rivolge sia alle Amministrazioni e agli altri soggetti di cui all’art. 2-bis, ai quali si applica il decreto trasparenza, sia ai rispettivi Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV) o organismi con funzioni analoghe, chiamati ad attestare l’assolvimento degli obblighi di pubblicazione, ai sensi dell’art. 14, comma 4, lett. g), del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150.
Come noto, l’OIV rappresenta una figura di riferimento per l’ANAC, in merito all’attuazione degli obblighi di trasparenza, analogamente al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT), che è un soggetto interno all’amministrazione.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 45, comma 2, del d.lgs. 33/2013, “L’autorità nazionale anticorruzione controlla l’operato dei responsabili per la trasparenza a cui può chiedere il rendiconto sui risultati del controllo svolto all’interno delle amministrazioni. L’autorità nazionale anticorruzione può inoltre chiedere all’organismo indipendente di valutazione (OIV) ulteriori informazioni sul controllo dell’esatto adempimento degli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente”.
Dal canto suo, il RPCT è la figura chiave in materia di trasparenza all’interno dell’Amministrazione, dovendo svolgere un ruolo stabile di promozione e controllo del rispetto degli obblighi di pubblicazione, ai sensi dell’art. 43, del d.lgs. n. 33/2013 e, prima ancora, della “legge Severino” (legge 06.11.2012, n. 190).
Premesso che, tra l’OIV e il RPCT deve instaurarsi, in materia di trasparenza e in generale di prevenzione della corruzione, un rapporto di piena e stretta collaborazione, va precisato che, con riferimento al caso specifico –attività di verifica del corretto assolvimento degli obblighi– la scelta in merito alle modalità di coinvolgimento del RPCT è rimessa alla discrezionalità dell’OIV.
Ai sensi dell’8-bis, della legge 190/2012, infatti “l’Organismo medesimo può chiedere al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del controllo”.
Coerentemente con tale quadro normativo, nella delibera ANAC n. 213/2020, si dice che, ai fini della predisposizione dell’attestazione, “gli OIV, o gli altri organismi con funzioni analoghe, si possono avvalere della collaborazione del RPCT il quale, ai sensi dell’art. 43, co. 1, del d.lgs. 33/2013, «svolge stabilmente un’attività di controllo sull’adempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, assicurando la completezza, la chiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubblicate», segnalando anche agli OIV «i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione».”.
Non si può, dunque, stabilire a priori quale delle prassi adottate nei due comuni sia corretta. È chiaro che la responsabilità di quanto riportato nella attestazione è essenzialmente dell’OIV, il quale non può certo disinteressarsi dell’istruttoria, dovendola recepire nella sottoscrizione del documento di cui all’Allegato 1, della delibera 213/2020.
Le procedure e le modalità, seguite dall’OIV per la rilevazione, devono essere indicate nella scheda di sintesi di cui all’Allegato 3, della medesima delibera, nella quale si forniscono i seguenti suggerimenti:
A titolo esemplificativo e non esaustivo, si indicano alcune modalità, non alternative fra loro, che potrebbero essere seguite:
   • verifica dell’attività svolta dal Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza per riscontrare l’adempimento degli obblighi di pubblicazione;
   • esame della documentazione e delle banche dati relative ai dati oggetto di attestazione;
   • colloqui con i responsabili della trasmissione dei dati;
   • colloqui con i responsabili della pubblicazione dei dati;
   • verifica diretta sul sito istituzionale, anche attraverso l’utilizzo di supporti informatici
.”
È corretto d’altro canto che, qualora il RPCT non venga per nulla coinvolto nell’attività di controllo, si chieda se e in che termini proporre all’OIV la propria collaborazione, essendo legittimato senz’altro a prendere l’iniziativa, ai sensi degli articoli 43 e 44, del d.lgs. 33/2013 e articolo 1, comma 7, della legge 190/2012.
Al di là dell’obbligo di segnalare eventuali disfunzioni o situazioni di mancato o ritardato adempimento, resta inteso che il RPCT può trasmettere all’OIV, in sede di attestazione annuale come anche in corso d’anno, le proprie valutazioni positive, relazionando sulle modalità di assolvimento degli obblighi di trasparenza e sul grado di attuazione di quanto previsto nel Piano Triennale di Trasparenza e Prevenzione della Corruzione (14.07.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Inefficace la DIA (ora SCIA) in assenza dell'autorizzazione paesaggistica.
Come evidenziato da un condivisibile orientamento giurisprudenziale, le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi in assenza dei quali la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate –in quanto prive di titolo abilitativo– agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.
Detti requisiti sono precisati nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione temporis), che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche “gli atti di assenso eventualmente necessari”.
La stessa previsione contenuta nel comma 4 –in cui si prevede la convocazione, da parte del Comune, di una conferenza di servizi, quando non risulti allegato alla d.i.a., sebbene richiesto e non ancora ottenuto, il “parere favorevole del soggetto preposto alla tutela” del bene (con inefficacia della stessa d.i.a. in caso di esito non favorevole della conferenza)– «non può non ritenersi ostativa dell’efficacia della medesima DIA alla scadenza del termine, in astratto previsto per l’esecuzione delle opere oggetto della domanda: non a caso, il comma 6 dell’art. 22 del più volte citato d.P.R. n. 380/2001 subordina la realizzazione degli interventi edilizi, per gli immobili vincolati, al “preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative” (con evidente riferimento alla non decorrenza del termine, previsto per l’inizio dei lavori, in assenza di detti pareri o autorizzazioni)».
Sicché, l’inefficacia della d.i.a. rende privi di un idoneo titolo abilitativo i lavori realizzati e, quindi, legittima l’attività sanzionatoria posta in essere dal Comune.
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La qualificazione del provvedimento amministrativo deve essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti, e non anche del nomen iuris assegnatogli dall’Autorità emanante.
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Non assume rilievo determinante, in senso opposto, l’orientamento giurisprudenziale segnalato dalle parti ricorrenti, secondo il quale il titolo edilizio privo dell’autorizzazione paesaggistica è illegittimo e non inefficace –laddove “il permesso di costruire è stato rilasciato dal Comune sull’erroneo convincimento della non necessità dell’autorizzazione paesaggistica [lo stesso] non è inefficace ma illegittimo, perché rilasciato sul falso presupposto dell’assenza di un vincolo paesaggistico, e riguarda pertanto una fattispecie in cui l’attività edilizia posta in essere è stata ab origine supportata da un titolo edilizio che appariva oggettivamente idoneo a legittimare l’intervento” (TAR Veneto, II, 07.11.2018, n. 1033)– giacché tale pronuncia ha ad oggetto un permesso di costruire che è un atto amministrativo a tutti gli effetti ed è quindi assoggettato a tutte le prescrizioni regolanti la validità e l’efficacia degli atti amministrativi in generale: è evidente che nell’adozione di un provvedimento amministrativo il contenuto e gli effetti dello stesso sono totalmente riferibili all’Amministrazione procedente anche laddove il procedimento sia avviato o mediato da un’istanza del privato.
Diversamente, la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) è un atto soggettivamente e oggettivamente privato (cfr. art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990) che abilita all’esecuzione di determinate categorie di interventi edilizi, ferma restando però la necessaria sussistenza di tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa, soprattutto quelli posti a presidio di interessi particolarmente sensibili e rilevanti, in carenza dei quali la denuncia non può esplicare alcun effetto.
La natura privata della d.i.a. genera una differenziazione del trattamento giuridico della stessa rispetto ad un atto amministrativo, qual è il permesso di costruire –si veda la posizione deteriore dei terzi lesi dall’intervento effettuato con d.i.a. o s.c.i.a. rispetto a quelli effettuati con il permesso di costruire (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019)– da cui necessariamente discende una parziale divergenza di regime; in tal senso, vanno richiamate le previsioni del Testo unico dell’edilizia che hanno previsto per l’interessato la facoltà di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi effettuabili con s.c.i.a. (art. 22, comma 7) o viceversa di avvalersi della s.c.i.a. in alternativa al permesso di costruire (art. 23), in modo da consentire al privato, a prescindere dalla tipologia di intervento programmato, di scegliersi un regime giuridico più formalistico ma più garantito, oppure più snello ma con maggiori oneri e responsabilità a proprio carico.
Pertanto, avendo realizzato il box (abusivo) in un ambito sottoposto a vincolo, in assenza della previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, i ricorrenti lo hanno fatto sulla base di un titolo non efficace, dando in tal modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo il quale “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”.
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2. Con le prime tre doglianze proposte dalle parti ricorrenti, da trattare contestualmente in quanto strettamente e logicamente connesse, si assume l’illegittimità dei provvedimenti comunali impugnati, poiché la d.i.a. in base alla quale è stato realizzato, in maniera del tutto conforme al titolo, il box sarebbe assolutamente legittima, come sarebbe dimostrato anche dalle plurime verifiche effettuate dall’Ufficio tecnico comunale nel corso del tempo e dalla circostanza che nel termine previsto dalla normativa non sarebbe stata effettuata alcuna attività di autotutela nel rispetto dei presupposti individuati dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, non potendo assumere rilevanza, in senso contrario, il tardivo sollecito dei poteri di controllo del Comune da parte dei vicini controinteressati; infine, non sarebbe giustificata la circostanza assunta a fondamento degli atti impugnati, in origine nemmeno presa in considerazione dallo stesso tecnico comunale, ovvero che l’autorimessa dei ricorrenti rientri tra i beni di cui agli art. 10-13 del D.Lgs. n. 42 del 2004 o tra quelli di cui all’art. 134 del medesimo Decreto (rientrando nel perimetro del Parco Agricolo Sud Milano).
2.1. Le doglianze sono infondate.
Va premesso che, in data 06.05.2019, in esecuzione dell’ordinanza n. 428/2019, il Comune di Lacchiarella ha depositato in giudizio una Relazione attraverso la quale ha segnalato la sussistenza di un vincolo indiretto gravante sugli immobili limitrofi alla Chiesa di San Martino ed imposto dal P.G.T. entrato in vigore il 01.01.2013.
Nello specifico, nel paragrafo “3.4 Vincoli gravanti sul territorio comunale” dell’elaborato “Piano delle regole- RP.03- Relazione”, si è evidenziato che, “per effetto del DLgs 42/2004 (codice Urbani), oltre al territorio compreso nel Parco regionale: - uno specifico vincolo di rispetto della chiesa di San Martino è in vigore per effetto dell’art. 10 e riguarda le modalità di intervento negli isolati al contorno della chiesa”.
L’art. 28.1 (“Immobili assoggettati a tutela”) delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano delle Regole prescrive che “sono assoggettati alla tutela prevista dal decreto legislativo 22.01.2004, n. 42: - ai sensi degli artt. 10-13, gli immobili identificati nella tav. DA. 02, nonché gli immobili di proprietà pubblica nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico e di persone giuridiche private senza fine di lucro, anche in assenza della dichiarazione di sussistenza di specifico interesse”.
La Tavola “DA. 02- Vincoli gravanti sul territorio comunale” inserisce i fondi di proprietà dei ricorrenti Tr./Ta. (e delle controinteressate Bo. e Ri.) tra gli “Isolati interessati dal vincolo ex art. 136 del d.lgs. 42/2004”. Anche la tavola “RP 01-bis Carta di sintesi dei contenuti del PGT” inserisce le residenze dei ricorrenti e delle controinteressate all’interno degli isolati soggetti al vincolo ex art. 136 del D.Lgs. n. 42 del 2004 (“Vincoli ambientali e monumentali”).
Pertanto, si è al cospetto di un vicolo diretto (assoluto) sulla Chiesa di San Martino e indiretto (relativo) sugli isolati posti nell’intorno, in cui è collocata anche l’area di proprietà dei ricorrenti su cui è stato realizzato il box oggetto del presente contenzioso. Ne discende che, ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2004, in presenza di un intervento che altera lo stato dei luoghi dei fondi interessati dal vincolo, si impone il previo ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica.
2.2. Trattandosi di intervento effettuato con d.i.a. n. 26/2013 del 15.04.2013, lo stesso è assoggettato alla disciplina urbanistica vigente a quella data e quindi al richiamato P.G.T., entrato in vigore il 01.01.2013. È altrettanto pacifico tra le parti di causa che nessuna autorizzazione paesaggistica è stata richiesta e ottenuta per la realizzazione del box.
Tuttavia, le parti ricorrenti ritengono che la mancanza della predetta autorizzazione non abbia alcuna conseguenza sulla validità ed efficacia della d.i.a. n. 26/2013 (e sulla successiva variante, n. 50/2013), poiché lo stesso Tecnico comunale, all’atto della presentazione del titolo edilizio, ne aveva escluso la indispensabilità, e in ogni caso sarebbe maturato un affidamento legittimo in capo ai ricorrenti in ordine alla regolarità dell’intervento edilizio posto in essere, anche in relazione al lungo lasso di tempo trascorso tra la sua realizzazione e la conclusione dell’attività sanzionatoria comunale, avvenuta nel mese di febbraio 2019.
I predetti rilievi non appaiono persuasivi, atteso che, come evidenziato da un condivisibile orientamento giurisprudenziale, le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate –in quanto prive di titolo abilitativo– agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione. Detti requisiti sono precisati nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione temporis), che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche “gli atti di assenso eventualmente necessari”.
La stessa previsione contenuta nel comma 4 –in cui si prevede la convocazione, da parte del Comune, di una conferenza di servizi, quando non risulti allegato alla d.i.a., sebbene richiesto e non ancora ottenuto, il “parere favorevole del soggetto preposto alla tutela” del bene (con inefficacia della stessa d.i.a. in caso di esito non favorevole della conferenza)– «non può non ritenersi ostativa dell’efficacia della medesima DIA alla scadenza del termine, in astratto previsto per l’esecuzione delle opere oggetto della domanda: non a caso, il comma 6 dell’art. 22 del più volte citato d.P.R. n. 380/2001 subordina la realizzazione degli interventi edilizi, per gli immobili vincolati, al “preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative” (con evidente riferimento alla non decorrenza del termine, previsto per l’inizio dei lavori, in assenza di detti pareri o autorizzazioni)» (Consiglio di Stato, VI, 20.11.2013, n. 5513; altresì, IV, 11.10.2018, n. 5841; VI, 24.03.2014, n. 1413).
L’inefficacia della d.i.a. rende privi di un idoneo titolo abilitativo i lavori di realizzazione del box e quindi legittima l’attività sanzionatoria posta in essere dal Comune. La circostanza che nel provvedimento di chiusura del procedimento impugnato sia stata eccepita la “carenza di un requisito di legittimità” e non sia invece stata prospettata l’inefficacia della d.i.a. non appare invalidante, atteso che comunque era evidente e nettamente percepibile il riferimento alla carenza dell’autorizzazione paesaggistica (punto 1 del provvedimento); del resto, la qualificazione del provvedimento amministrativo deve essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti, e non anche del nomen iuris assegnatogli dall’Autorità emanante (Consiglio di Stato, IV, 13.04.2017, n. 1718; TAR Lombardia, Milano, IV, 18.03.2019, n. 567).
Infine, non assume rilievo determinante, in senso opposto, l’orientamento giurisprudenziale segnalato dalle parti ricorrenti, secondo il quale il titolo edilizio privo dell’autorizzazione paesaggistica è illegittimo e non inefficace –laddove “il permesso di costruire è stato rilasciato dal Comune sull’erroneo convincimento della non necessità dell’autorizzazione paesaggistica [lo stesso] non è inefficace ma illegittimo, perché rilasciato sul falso presupposto dell’assenza di un vincolo paesaggistico, e riguarda pertanto una fattispecie in cui l’attività edilizia posta in essere è stata ab origine supportata da un titolo edilizio che appariva oggettivamente idoneo a legittimare l’intervento” (TAR Veneto, II, 07.11.2018, n. 1033)– giacché tale pronuncia ha ad oggetto un permesso di costruire che è un atto amministrativo a tutti gli effetti ed è quindi assoggettato a tutte le prescrizioni regolanti la validità e l’efficacia degli atti amministrativi in generale: è evidente che nell’adozione di un provvedimento amministrativo il contenuto e gli effetti dello stesso sono totalmente riferibili all’Amministrazione procedente anche laddove il procedimento sia avviato o mediato da un’istanza del privato.
Diversamente, la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) è un atto soggettivamente e oggettivamente privato (cfr. art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990; Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019; Consiglio di Stato, II, 12.03.2020, n. 1795; TAR Lombardia, Milano, II, 26.06.2020, n. 1205) che abilita all’esecuzione di determinate categorie di interventi edilizi, ferma restando però la necessaria sussistenza di tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa, soprattutto quelli posti a presidio di interessi particolarmente sensibili e rilevanti, in carenza dei quali la denuncia non può esplicare alcun effetto.
La natura privata della d.i.a. genera una differenziazione del trattamento giuridico della stessa rispetto ad un atto amministrativo, qual è il permesso di costruire –si veda la posizione deteriore dei terzi lesi dall’intervento effettuato con d.i.a. o s.c.i.a. rispetto a quelli effettuati con il permesso di costruire (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019)– da cui necessariamente discende una parziale divergenza di regime; in tal senso, vanno richiamate le previsioni del Testo unico dell’edilizia che hanno previsto per l’interessato la facoltà di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi effettuabili con s.c.i.a. (art. 22, comma 7) o viceversa di avvalersi della s.c.i.a. in alternativa al permesso di costruire (art. 23), in modo da consentire al privato, a prescindere dalla tipologia di intervento programmato, di scegliersi un regime giuridico più formalistico ma più garantito, oppure più snello ma con maggiori oneri e responsabilità a proprio carico.
Pertanto, avendo realizzato il box (abusivo, come evidenziato in precedenza) in un ambito sottoposto a vincolo, in assenza della previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, i ricorrenti lo hanno fatto sulla base di un titolo non efficace, dando in tal modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo il quale “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio” (sulla prevalenza della disciplina paesaggistica su quella edilizia, cfr. Consiglio di Stato, IV, 08.07.2019, n. 4778; anche, TAR Lombardia, Milano, II, 11.03.2020, n. 471; 21.01.2019, n. 118).
2.3. Ciò determina il rigetto delle scrutinate censure (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.07.2020 n. 1303 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2020

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATADeroga all’annullamento ex tunc dell’atto impugnato: il Piano antincendio della Toscana.
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Processo amministrativo – Decisione – Di accoglimento – Effetti ex tunc – Deroga – Possibilità.
La regola dell'annullamento con effetti ex tunc dell'atto impugnato può essere derogata allorché, nel caso di atti normativi o generali, l’annullamento dell’atto possa generare una condizione amministrativa di vuoto regolatorio, tale da determinare effetti peggiorativi della posizione giuridica tutelata col ricorso, nel senso di pregiudicare, anziché proteggere, il bene della vita che l’interessato aspira a conseguire o mantenere (1).
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   (1) La Sezione ha accolto il ricorso nella parte in cui si considerano paesaggisticamente irrilevanti -e perciò sottratti alla preventiva autorizzazione- tutti gli interventi previsti, omettendo un'adeguata analisi e valutazione dell'impatto paesaggistico, e nella parte in cui la valutazione di incidenza sui siti della rete Natura 2000 interessati dalle misure è carente nell'istruttoria e nelle motivazioni, oltre che corredata da semplici raccomandazioni di buona esecuzione degli interventi prive della consistenza di prescrizioni integrative.
La Sezione però -nel particolare caso in esame- consapevole dell'importanza del piano antincendi predisposto dalla Regione e dell'inizio della stagione estiva, innovando la giurisprudenza sul punto, ha differito l'annullamento di 180 giorni per consentire alle amministrazioni l'adozione di un nuovo Piano senza rinunciare alla lotta agli incendi nel periodo estivo.
In particolare dovranno essere adottate tutte le misure per mettere in sicurezza il sito e dovranno essere posti in essere gli interventi improcrastinabili e indifferibili relativi ad aree -soprattutto vicine ad insediamenti antropici- che presentano rischi elevati (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 30.06.2020 n. 1233 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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PARERE
1. Il ricorso è in parte fondato e deve pertanto essere accolto, nei limiti di seguito precisati.
2. È incontroverso tra le parti che la Pineta del Tombolo, oggetto del piano specifico di prevenzione AIB per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia, oggetto di lite, previsto nella delibera di giunta della Regione Toscana n. 355 del 18.03.2019, è sottoposta a vincolo paesaggistico di tipo provvedimentale (ai sensi dell'articolo 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, giusta sei decreti ministeriali degli anni dal 1958 al 1967), è inserita nel piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico della Regione Toscana e ricade nella rete ecologica europea denominata “Natura 2000” [ZSC/ZPS Tombolo da Marina di Grosseto a Castiglione della Pescaia (IT51A0012), ZSC/ZPS Diaccia Botrona (IT51A0011) e ZSC punta Ala e Isolotto dello Sparviero (IT51A0007)].
3. È altresì incontroverso in atti che il piano specifico di prevenzione AIB oggetto di lite prevede, in sintesi, come denunciato dalle associazioni ricorrenti e riferito nella relazione ministeriale, il taglio di circa il 70% dei pini esistenti e di circa l’80% della vegetazione arbustiva del sottobosco.
Nella memoria difensiva regionale (pag. 7) si afferma che “È da sottolineare che le aree soggette agli interventi strategici, contrariamente a quanto riportato nel presente ricorso, non arrivano nemmeno al 15% della superficie totale complessiva dell'area considerata, da trattarsi nei 10 anni di validità del Piano ed impossibile che si verifichi la lamentata scomparsa delle aree di Rete Natura 2000”. Ma tale rilievo non contesta tuttavia quanto affermato in ricorso, riguardo alle percentuali di pini e di sottobosco destinati al taglio, sia pur limitatamente alle aree interessate dagli interventi programmati.
Il piano, inoltre, qualifica espressamente gli interventi previsti come “non soggetti ad autorizzazione paesaggistica”, ai sensi dell’articolo 149 del citato d.lgs. n. 42 del 2004, la cui lettera b) del comma 1 esclude la necessità dell’autorizzazione paesaggistica per gli “interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio”.
4. Il piano specifico di prevenzione AIB oggetto di lite costituisce uno strumento introdotto dalla legge regionale della Toscana 20.03.2018, n. 11, pubblicata nel B.U. Toscana 26.03.2018, in vigore dal 10.04.2018, che, con l’articolo 12, aggiunge nella legge regionale forestale della Toscana 21.03.2000, n. 39 un nuovo articolo 74-bis del seguente tenore: “Piani specifici di prevenzione AIB. 1. Nelle aree individuate dal piano AIB sono approvati dalla Giunta regionale i piani specifici di prevenzione AIB riferiti a un periodo minimo di dieci anni. Il piano specifico di prevenzione può essere aggiornato nell'arco temporale della sua validità. Il regolamento forestale disciplina le modalità per la realizzazione dei piani specifici di prevenzione AIB”.
Nella relazione ministeriale si riferisce che questo “piano specifico di prevenzione AIB” costituisce un piano operativo di prevenzione, riferito alle aree “ritenute ad alto rischio per l'intensificarsi di fenomeni dovuti agli incendi boschivi, stante le mutate condizioni climatiche e l'acuirsi di fenomeni estremi che negli ultimi anni hanno colpito anche il territorio toscano”, basato sul regime storico degli incendi boschivi ricorrenti in un determinato comprensorio territoriale, al fine di individuare e gestire i punti strategici dove realizzare adeguati interventi di prevenzione per contenere gli incendi boschivi, entro la capacità di estinzione del sistema e per salvaguardare l'incolumità pubblica e l'ambiente naturale.
In questa prima fase sono stati individuati venti comprensori territoriali -soggetti ad alto rischio incendi boschivi, espressi in termini di frequenza, vulnerabilità e pericolosità potenziale- per i quali la Regione ha ritenuto opportuno procedere prioritariamente con la predisposizione, entro la fine del 2020, di altrettanti piani specifici di prevenzione AIB.
5. Quasi contemporaneamente alla emanazione della legge regionale n. 11 del 2018 è intervenuto a livello di legislazione statale il nuovo d.lgs. 03.04.2018, n. 34, recante il Testo unico in materia di foreste e filiere forestali, pubblicato nella Gazz. Uff. 20.04.2018, n. 92 ed entrato in vigore il 05.05.2018.
È indispensabile ai fini dell’esame dei motivi di ricorso svolgere una breve descrizione del quadro normativo come ridefinito dal suddetto d.lgs. n. 34 del 2018.
5.1.
È ormai un dato acquisito nella dottrina e nella giurisprudenza che il patrimonio forestale nazionale reca in sé ed esprime una pluralità di valori, interessi, beni, che chiamano in causa plurimi campi di materia e titoli di potestà legislativa, essendo ormai superata la tradizionale visione che relegava questo settore al solo campo dell’agricoltura (silvicoltura).
È dunque pacifico che, oggi, il patrimonio forestale nazionale intreccia titoli di competenza statale [in particolare, quelli di cui alla lettera s) del comma 2 dell’articolo 117, Cost.: tutela dell’ambiente e del paesaggio, in quanto componente del patrimonio culturale] e di competenza concorrente Stato-regioni, in particolare le politiche agricole contemplate dal comma 3 del citato articolo 117, Cost.
Lo stesso articolo 1 del d.lgs. n. 34 del 2018
(“Principi”) non manca di esplicitare che “La Repubblica riconosce il patrimonio forestale nazionale come parte del capitale naturale nazionale e come bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future (comma 1) e che lo Stato e le regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, perseguono il “fine di riconoscere il ruolo sociale e culturale delle foreste, di tutelare e valorizzare il patrimonio forestale, il territorio e il paesaggio nazionale, rafforzando le filiere forestali e garantendo, nel tempo, la multifunzionalità e la diversità delle risorse forestali, la salvaguardia ambientale, la lotta e l'adattamento al cambiamento climatico, lo sviluppo socio-economico delle aree montane e interne del Paese (comma 3).
Coerentemente, nell’articolo 2 (“Finalità”) sono enumerati scopi sia di tipo conservativo-ambientale ([lettera a) del comma 1: “garantire la salvaguardia delle foreste nella loro estensione, distribuzione, ripartizione geografica, diversità ecologica e bio-culturale”], sia di tipo economico-produttivo [ad es., le lett. b) e c): “promuovere la gestione attiva e razionale del patrimonio forestale nazionale al fine di garantire le funzioni ambientali, economiche e socio-culturali; promuovere e tutelare l'economia forestale, l'economia montana e le rispettive filiere produttive ... etc.”].
5.2. Conseguentemente, nella premessa al testo dell’articolato vi è un generico richiamo all’articolo 117 della Costituzione, ma sono significativamente richiamati sia il d.lgs. 22.01.2004, n. 42, recante codice dei beni culturali e del paesaggio, sia il decreto d.lgs. 03.04.2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, ed è stata acquisita l'intesa della Conferenza unificata, espressa nella seduta dell'11.01.2018.
Non può pertanto condividersi la tesi svolta nella memoria difensiva regionale, secondo la quale “il d.lgs. n. 34 del 2018 (Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali) non ha altresì innovato la legge n. 353 del 2000 (Legge quadro sugli incendi boschivi) in quanto tratta di materie diverse”, poiché “il d.lgs. n. 34 del 2018 ha carattere di norma di orientamento facendo salve le competenze esclusive della Regione sancite dalla Costituzione”.
In realtà, il nuovo testo unico, aggiornando la normativa nazionale al mutato quadro interpretativo e alle più recenti acquisizioni sulle valenze ambientali e paesaggistiche del patrimonio forestale, ha largamente superato la vecchia impostazione (risalente alla seconda metà del secolo scorso, il cui precipitato giuridico conclusivo si era depositato nel d.lgs. 31.03.1998, n. 112), che configurava il bosco come una mera risorsa agricola in un’ottica di sfruttamento economico, cui era legata la competenza legislativa regionale concorrente nella tradizionale materia della “agricoltura e foreste” dell’originario testo dell’articolo 117 della Costituzione (materia da intendersi nella sua proiezione esclusivamente economica, oggi rifluita nella potestà legislativa residuale regionale, di cui al comma 4 dell’articolo 117 della Costituzione, nel testo novellato con la riforma del 2001).
5.3. Il d.lgs. n. 34 del 2018, in considerazione di questo inestricabile intreccio di valori-beni-interessi espressi dal patrimonio forestale e delle annesse e conseguenti competenze normative e amministrative, ha avuto cura di costruire un sistema volto ad assicurare che tutti i diversi (e a volte confliggenti) interessi generali-pubblici messi in gioco dal tema della gestione del patrimonio forestale fossero adeguatamente rappresentati, acquisiti e valutati nei procedimenti attuativi, al fine di garantire, per quanto possibile, un ragionevole equilibrio tra le esigenze gestionali, anche di tipo economico-produttivo, e quelle di tutela ambientale e paesaggistica.
5.4. In particolare, come bene illustrato anche negli scritti difensivi delle parti, il decreto legislativo prevede un complesso percorso attuativo che si snoda attraverso i seguenti passaggi essenziali:
   a) l’adozione, da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, d'intesa con la Conferenza unificata ed in coordinamento, per quanto di rispettiva competenza, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di appositi atti di indirizzo e coordinamento delle attività necessarie a garantire il perseguimento unitario e su tutto il territorio nazionale delle finalità enunciate nel decreto legislativo;
   b) l’adozione, con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, adottato di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministro dello sviluppo economico e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, di una “Strategia forestale nazionale” (art. 6, Programmazione e pianificazione forestale), che definisce, con validità ventennale soggetta a revisione e aggiornamento quinquennale, gli indirizzi nazionali per la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva del patrimonio forestale nazionale e per lo sviluppo del settore e delle sue filiere produttive, ambientali e socio-culturali;
   c) l’adozione da parte delle Regioni, in coerenza con la Strategia forestale nazionale, di Programmi forestali regionali per individuare i propri obiettivi e definire le relative linee d'azione;
   d) la predisposizione da parte delle Regioni, nell'ambito di comprensori territoriali omogenei, di piani forestali di indirizzo territoriale, che “concorrono alla redazione dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 145 del medesimo decreto legislativo”;
   e) la promozione, da parte delle Regioni, della redazione di piani di gestione forestale o di strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, quali strumenti indispensabili a garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva delle risorse forestali (per i quali è richiesto il parere del Soprintendente, salvo che per la parte inerente la realizzazione o l'adeguamento della viabilità forestale di cui al punto A.20 dell'Allegato A del d.P.R. 13.02.2017, n. 31, ove i piani di gestione forestale siano conformi ai piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3 dell’art. 6).
5.5. I commi 6 e 7 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 34 del 2018 prevedono che gli strumenti pianificatori sopra indicati (i piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3 e i piani di gestione forestale, o strumenti equivalenti, di cui al comma 6) debbano essere conformi ai “criteri minimi nazionali di elaborazione” da adottarsi con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, al fine di armonizzare le informazioni e permetterne una informatizzazione su scala nazionale, con previsione dell’obbligo delle regioni di adeguarsi alle suddette disposizioni entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.
Il comma 8 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 34 del 2018 prevede, inoltre, che le regioni, in conformità a quanto statuito al comma 7, definiscono i criteri di elaborazione, attuazione e controllo dei piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3 e dei piani di gestione forestale o strumenti equivalenti di cui al comma 6, definiscono, altresì, i tempi minimi di validità degli stessi e i termini per il loro periodico riesame, garantendo che la loro redazione e attuazione venga affidata a soggetti di comprovata competenza professionale, nel rispetto delle norme relative ai titoli professionali richiesti per l'espletamento di tali attività.
6. Di particolare rilievo, ai fini della decisione della controversia in esame, sono infine le previsioni contenute nei commi 12 e 13 dell’articolo 7 (“Disciplina delle attività di gestione forestale”) del d.lgs. n. 34 del 2018: “12. Con i piani paesaggistici regionali, ovvero con specifici accordi di collaborazione stipulati tra le regioni e i competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 15 della legge 07.08.1990, n. 241, vengono concordati gli interventi previsti ed autorizzati dalla normativa in materia, riguardanti le pratiche selvicolturali, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, e ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo. Gli interventi di cui al periodo precedente, vengono definiti nel rispetto delle linee guida nazionali di individuazione e di gestione forestale delle aree ritenute meritevoli di tutela, da adottarsi con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
13. Le pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
”.
7. Così definito e chiarito il quadro giuridico di riferimento, è ora possibile procedere alla trattazione dei singoli motivi di ricorso.
8. Con il primo motivo le associazioni ricorrenti assumono che i piani AIB impugnati si porrebbero in violazione della legge nazionale e del riparto di competenze stabilito dalla Costituzione in materia di antincendio boschivo per i vari profili ambientali, paesaggistici, sanitari, di protezione civile oltre che forestali in esso coinvolti. La Regione Toscana non avrebbe quindi potuto adottare un piano antincendio boschivo specifico prima del completamento del quadro normativo attuativo nazionale, come previsto dal d.lgs. n. 34 del 2018.
In ogni caso, il piano specifico in oggetto sarebbe stato approvato in violazione della stessa legge regionale forestale n. 39 del 2000 (come modificata dalla legge regionale 20.03.2018, n. 11, che per la prima volta ha introdotto lo strumento dei piani specifici), il cui articolo 74-bis prevede che un piano specifico di prevenzione AIB può essere approvato solo se esista un presupposto vigente piano AIB che ne abbia individuato l’area, piano generale che, al momento dell’approvazione del piano specifico, non era in vigore.
La tesi di parte ricorrente non è condivisibile, poiché lo stesso articolo 17 del decreto legislativo da essa invocato, recante le disposizioni applicative e transitorie, nel prevedere che “nelle more dell'adozione dei decreti ministeriali e delle disposizioni di indirizzo elaborate ai sensi del presente decreto restano valide le eventuali normative di dettaglio nazionali e regionali vigenti” (comma 2), fa salva, contrariamente all’assunto delle associazioni ricorrenti, la previsione della legge regionale n. 11 del 2018 e i piani specifici di prevenzione AIB in forza di tale nuova legge adottati (tra i quali vi è quello qui oggetto di lite).
Parimenti non condivisibile deve giudicarsi la tesi secondo la quale il piano specifico di prevenzione AIB relativo alla Pineta del Tombolo sarebbe illegittimo in quanto adottato prima del piano AIB pluriennale generale 2019-2021, che doveva costituire il suo presupposto, approvato dalla giunta regionale solo successivamente, in data 23.04.2019.
In senso contrario persuade la tesi difensiva secondo la quale il piano AIB “generale” preesisteva, nel sistema normativo regionale, alla novella introdotta dalla legge regionale n. 11 del 2018, poiché già la legge forestale della Toscana n. 39 del 2000 prevedeva, nell’articolo 74, la “Pianificazione dell'AIB”.
Era dunque già vigente, all’atto dell’adozione della delibera di giunta n. 355 del 18.03.2019, il precedente piano AIB 2014-2016 approvato con delibera di giunta n. 50 del 28.01.2014, variamente prorogato fino al 2019. Inoltre, come evidenziato nelle difese regionali, il nuovo piano AIB è intervenuto dopo pochi giorni rispetto al piano specifico relativo alla Pineta del Tombolo e lo ha sostanzialmente recepito, con un indiretto effetto, ove necessario, di sanatoria.
La stessa delibera n. 355 del 18.03.2020 dà inoltre conto, nelle premesse, “che sono in corso le attività di redazione del testo definitivo del nuovo piano AIB che, come previsto all’articolo 74-bis, comma 1, individua le aree soggette ad alto rischio incendi boschivi, espresso in termini di frequenza, vulnerabilità e pericolosità potenziale”, ed ha espressamente valutato, in modo non irragionevole, “la necessità di dover procedere, nelle more dell’approvazione del suddetto piano AIB, alla realizzazione di uno specifico piano di prevenzione del rischio incendi boschivi per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia che presenta un’alta incidenza e pericolosità relativa al fenomeno degli incendi boschivi”.
9. Il secondo motivo di ricorso introduce due distinte censure: la mancata sottoposizione a VAS e la ritenuta non necessità di controllo paesaggistico degli interventi. Tali censure devono essere partitamente esaminate, essendo infondata la prima e in parte fondata la seconda.
10. Sotto un primo profilo, le associazioni ricorrenti, con il secondo motivo in esame, hanno censurato gli atti gravati per la omessa valutazione ambientale strategica (VAS, ai sensi degli articoli 5, 11 e 15 del d.lgs. n. 152 del 2006), a loro dire necessaria (in luogo del mero studio di incidenza con valutazioni relative ai SIC/ZPS ai sensi delle direttive Natura 2000 “habitat” e “uccelli” esperito dalla Regione) giusta la previsione dell’articolo 5, comma 2, lett. a), della legge regionale della Toscana 12.02.2010, n. 10.
La norma, riproducendo peraltro il testo della legge nazionale [art. 6, comma 2, lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006], impone la sottoposizione a VAS, tra gli altri, dei piani e dei programmi elaborati per i settori agricolo e forestale e prevede la VAS obbligatoria [lett. b)] anche per “i piani e i programmi per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e di quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione di incidenza, ai sensi dell'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 08.09.1997, n. 357”, come invero avvenuto nel caso di specie.
L’assunto non è condiviso dalla Sezione.
Deve infatti ritenersi fondata la replica regionale, che invoca l’eccezione costituita dalla previsione della lettera c-bis) del comma 4 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, [“Sono comunque esclusi dal campo di applicazione del presente decreto:… c-bis) i piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i criteri della gestione forestale sostenibile e approvati dalle regioni o dagli organismi dalle stesse individuati”] ed evidenzia come il piano specifico di prevenzione AIB costituisce uno strumento equivalente al piano di gestione forestale, in quanto contiene gli interventi selvicolturali e le opere necessarie alla prevenzione AIB, ed è redatto secondo i criteri della gestione forestale sostenibile.
10.1. Aggiunge al riguardo il Ministero che, per i siti compresi nella rete ecologica europea denominata “Natura 2000” [Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone speciali di Conservazione (ZSC), di cui alla direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche (“Direttiva Habitat”); Zone di Protezione Speciale (ZPS) previste dalla direttiva 79/409/CEE, ora 2009/147/CE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (“Direttiva Uccelli”)], disciplinati, a livello di normativa nazionale, dal d.P.R. 08.09.1997, n. 357, dalla legge 11.02.1992, n. 157, dai decreti ministeriali 03.09.2002 (recante “Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000”) e 17.10.2007 (relativo ai criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative di detti siti), qualsiasi piano o progetto che possa pregiudicare significativamente il sito non può essere autorizzato senza una preventiva valutazione della sua incidenza (articolo 6, comma 3, della direttiva habitat).
Nel caso di specie risulta formalmente svolto uno studio di incidenza per la realizzazione del piano oggetto di lite, ciò che -in disparte la questione della sufficienza di tale studio di incidenza, che costituisce l’oggetto di una separata e autonoma censura di parte ricorrente- consentirebbe di giudicare rispettati i canoni normativi invocati a parametro di legittimità dalle associazioni ricorrenti.
10.2. Benché lo stesso disposto normativo dell’articolo 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 rechi in sé un elemento di interna contraddittorietà tra il comma 2 e la lettera c-bis) del comma 4 (aggiunta, senza un adeguato coordinamento, dall'art. 4-undecies, comma 1, del d.l. 03.11.2008, n. 171, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.12.2008, n. 205), tuttavia, seguendo in ciò l’impostazione sottesa alla relazione ministeriale che privilegia il profilo di conformità comunitaria, può pervenirsi alla soluzione negativa della necessità nella fattispecie della previa VAS.
Ed invero l’articolo 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 da un lato afferma che è necessaria la VAS “per tutti i piani e i programmi che sono elaborati ... per i settori agricolo, forestale, ... etc.” [comma 2, lett. a)] e che tale valutazione è altresì necessaria per i piani e i programmi che presentano “possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici ... etc.” [lett. b)]; dall’altro lato, afferma che sono comunque esclusi dalla VAS “i piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i criteri della gestione forestale sostenibile e approvati dalle regioni o dagli organismi dalle stesse individuati” (comma 4, lettera c-bis).
Onde l’evidente contraddizione con il combinato disposto delle lettere a) e b) del comma 2, poiché pressoché tutti i siti della rete “Natura 2000” sono “di livello locale” e dunque, dovendo prevalere la ora detta lettera c-bis) in quanto disposizione speciale-derogatoria, nessun piano o programma di gestione forestale o strumento equivalente, ancorché molto impattante su uno di tali siti, essendo inevitabilmente di livello locale, potrà mai essere sottoposto a VAS [il che svuota di senso, in una parte consistente, il disposto della lettera b) del comma 2].
Nondimeno, come anticipato sopra e come in qualche modo prospettato nella relazione ministeriale, ciò che soprattutto rileva è il dettato della direttiva europea, che non richiede la VAS, ma la valutazione di incidenza ambientale. In questo senso può confermarsi la non fondatezza della censura in esame, pur, deve darsene atto, a fronte di un quadro normativo al riguardo non privo di elementi di contraddittorietà.
11. Fondato e meritevole di accoglimento viene invece giudicato dalla Sezione il secondo profilo di censura articolato dalle ricorrenti nel motivo di ricorso in esame, riguardo alla insufficiente considerazione dei vincoli paesaggistici gravanti sulla Pineta del Tombolo.
La contestazione in esame fa emergere due distinti (anche se connessi e conseguenziali) elementi di illegittimità riguardo al trattamento dei suddetti vincoli paesaggistici: l’erronea presupposizione (poi esplicitata in puntuali note del dirigente del settore regionale competente) della piena riconducibilità di tutti gli interventi previsti nel piano nell’esclusione dalla previa autorizzazione paesaggistica ai sensi delle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 149 del codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004; la (connessa e conseguente) assenza, negli atti istruttori, di una analisi e valutazione adeguate degli impatti paesaggistici dei medesimi interventi sui beni vincolati (analisi e valutazione che, per quanto si dirà, avrebbero dovuto comunque coinvolgere i competenti uffici territoriali del Ministero di settore).
11.1. È in particolare illegittima la previsione, implicita nel piano specifico di prevenzione AIB impugnato, della esclusione della previa autorizzazione paesaggistica per tutti indistintamente gli interventi programmati, secondo la tesi per cui tali interventi si configurerebbero come pratiche selvicolturali, in quanto tali rientranti tutti nell’ambito delle misure non soggette ad autorizzazione ai sensi dell’articolo 149, comma 1, lettera c) del d.lgs. n. 42 del 2004.
11.1.2. È vero che né la delibera di giunta n. 355 del 2019, né l’allegato piano specifico di prevenzione AIB con essa approvato contengono un’espressa affermazione in questo senso. Ma che questa tesi sia acquisita implicitamente negli atti impugnati e ne costituisca il presupposto logico-giuridico fondamentale, per quanto attiene al profilo paesaggistico, è dimostrato e reso esplicito dalle note a firma del dirigente della Direzione agricoltura e sviluppo rurale - settore forestazione - usi civici - agroambiente della Regione Toscana, di riscontro (rispettivamente) delle domande di accesso agli atti del 4 e del 17.04.2019 presentate dal Tavolo permanente di amministrazione e di governo della Pineta da Castiglione della Pescaia ai Monti dell'Uccellina (allegati nn. 19 e 21 della produzione di parte ricorrente), nelle quali si precisa che “gli interventi previsti dal Piano Specifico di prevenzione AIB si configurano come pratiche selvicolturali e in quanto tali rientranti nell’ambito degli interventi non soggetti ad autorizzazione, ai sensi dell’articolo 149, comma 1, lettera c) del Codice dei beni culturali e del paesaggio. (d.lgs. n. 42 del 2004)” e, inoltre, che “ai sensi del Regolamento Forestale, articolo 61-bis, comma 4, l'attuazione dei singoli interventi previsti dal Piano è soggetta a una dichiarazione, quale forma semplificata di autorizzazione. Pertanto, al momento della realizzazione dei singoli interventi, resta a carico dell’ente competente rilasciare le relative autorizzazioni”.
Che la costruzione del piano si fondi su questo errato presupposto interpretativo è infine dimostrato ulteriormente dalle stesse difese regionali, dove si sostiene (pag. 9-10 della memoria difensiva) che “lo stesso articolo 7, comma 13, prevede per le tipologie di interventi di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 34 del 2018 (tra i quali rientrano anche gli interventi volti alla prevenzione incendi) l'equiparazione ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c) del d.lgs. n. 42 del 2004 (interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica” (tesi poi ribadita nella pag. 16 della memoria, con riferimento alla legge regionale n. 39 del 2000).
11.1.3. La tesi regionale non ha pregio e non può essere condivisa, e ciò sia per ragioni legate alla lettera delle disposizioni normative di riferimento sia per ragioni discendenti dall’interpretazione sistematica e finalistica del complesso normativo in cui tali disposizioni si inquadrano, come tratteggiato nel precedente par. 5 di questa motivazione.
In estrema sintesi,
l’errore interpretativo che inficia la posizione regionale consiste nell’aver esteso ai boschi e foreste sottoposti a vincolo provvedimentale (articolo 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, già legge 29.06.1939, n. 1497) il regime (meno severo) previsto per i boschi e le foreste sottoposti a vincolo ex lege [articolo 142, comma 1, lettera g) del predetto d.lgs. n. 42 del 2004, già legge 08.08.1985, n. 431].
11.1.4. Sul piano letterale,
occorre considerare che l’articolo 149 del codice dei beni culturali e del paesaggio, a proposito dell’esclusione della preventiva autorizzazione paesaggistica, distingue chiaramente, nelle lettere b) e c) del comma 1, il regime proprio degli interventi “inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio” rispetto a quello degli interventi consistenti nel taglio colturale, nella forestazione, riforestazione, in opere di bonifica, antincendio e di conservazione “da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia” (lett. c).
Questo diverso regime deriva dalla distinzione (articolo 134 del medesimo codice del 2004) tra i boschi e le foreste vincolati sulla base di un apposito provvedimento amministrativo, che ne abbia acclarato il notevole interesse pubblico paesaggistico (articolo 136 dello stesso codice), e i boschi e le foreste vincolati indistintamente ex lege, come categoria geografica, in base alla cosiddetta legge “Galasso [d.l. 27.06.1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 08.08.1985, n. 431, oggi rifluita nell’articolo 142, comma 1, lett. g) del codice].
Il combinato disposto delle sopra riportate lettere b) e c) dell’articolo 149 dimostra in tutta evidenza che per la prima tipologia di boschi e foreste (vincolati con apposito provvedimento amministrativo) l’esclusione della necessaria autorizzazione paesaggistica preventiva prevista dalla lettera b) dell’articolo 149 per gli interventi “inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale” vale solo per gli interventi “minori”, che non si traducano nel “taglio colturale, [nel]la forestazione, [nel]la riforestazione, [nel]le opere di bonifica, antincendio e di conservazione”, i quali sono sottratti all’obbligo della previa autorizzazione paesaggistica solo ed esclusivamente quando siano “da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia [articolo 149, lettera c)].
Con la conseguenza che le ora dette tipologie di interventi -tra i quali rientra senz’altro la maggior parte di quelli previsti dal piano oggetto di lite- riguardando un bosco vincolato con apposito provvedimento amministrativo, ai sensi dell’articolo 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, qual è pacificamente la pineta del Tombolo, non possono in alcun modo considerarsi senz’altro e a priori sottratti all’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica preventiva prevista dall’articolo 146 del decreto legislativo da ultimo citato.
Il che trova una sua evidente spiegazione razionale nel fatto che sia il taglio colturale, sia quello antincendio, nella modalità prevista nel piano in esame, se può presumersi compatibile con la nozione generica di territorio coperto da foreste e da boschi, considerati in astratto, come tipologia generale, senza alcuno specifico accertamento tecnico-discrezionale in loco, non può logicamente ammettersi, senza un previo controllo puntuale di compatibilità esercitato in concreto dagli organi a ciò preposti, nel caso di boschi e foreste dichiarati di notevole interesse pubblico e paesaggistico con apposito provvedimento motivato, nel qual caso è coessenziale al vincolo il controllo preventivo tecnico-discrezionale di compatibilità dei tagli proposti rispetto alla consistenza e alla fisionomia paesaggisticamente percepibile del bene protetto, come accertata e dichiarata nel provvedimento di vincolo.
Coerente con questo sistema normativo e con le sue finalità logiche si pone altresì il Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, di cui al d.P.R. n. 31 del 2017, nel cui allegato A (di cui all'art. 2, comma 1 - Interventi ed opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica), non a caso e significativamente, sono bene distinti e graduati, nelle voci A.19 e A.20, rispettivamente, gli interventi sottratti all’autorizzazione paesaggistica “nell’ambito degli interventi di cui all'art. 149, comma 1, lettera b) del codice” e quelli sottratti all’autorizzazione paesaggistica “nell'ambito degli interventi di cui all'art. 149, comma 1, lettera c) del Codice”.
Al riguardo le difese regionali propongono, invece, un’erronea lettura di tale previsione regolamentare, lì dove (pag. 17) si pretende di riferire anche ai boschi vincolati con apposito provvedimento la voce A.20, che è invece testualmente riferita solo ai boschi e alle foreste vincolati ex lege.
Il regime di tutela “rafforzato” che, limitatamente a certi aspetti, assiste i beni paesaggistici dichiarati con apposito provvedimento motivato, rispetto a quelli tutelati ex legeGalasso”, trova ulteriori espressioni nel diverso trattamento previsto nell’ambito della pianificazione paesaggistica [articolo 143, comma 4, lettera a) del codice di settore del 2004].
11.1.5. In questo senso torna ad acquistare rilievo l’ampia premessa sopra svolta (sub par. 5) -sull’abbrivio delle specifiche censure pure prospettate dalle ricorrenti- riguardo all’inestricabile intreccio di competenze che caratterizza la disciplina della gestione del patrimonio forestale nazionale, che implica (sul piano sistematico e teleologico dell’interpretazione) l’esigenza di garantire comunque il coinvolgimento degli organi tecnico-scientifici statali ai quali la legge riserva, nella cooperazione delle regioni e degli altri enti territoriali (articolo 5 e Parte III del d.lgs. n. 42 del 2004), l’esercizio delle funzioni di tutela paesaggistica.
Significativamente e non a caso, anche il nuovo Testo unico in materia di foreste e filiere forestali del 2018 stabilisce che le regioni e i competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, “con i piani paesaggistici regionali, ovvero con specifici accordi di collaborazione stipulati ai sensi dell'articolo 15 della legge 07.08.1990, n. 241”, concordino “gli interventi previsti ed autorizzati dalla normativa in materia, riguardanti le pratiche selvicolturali, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, e ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo” (articolo 7, comma 12).
Per completezza di esame della fattispecie, deve inoltre evidenziarsi che la previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma 12 ora esaminato (secondo la quale “Gli interventi di cui al periodo precedente, vengono definiti nel rispetto delle linee guida nazionali di individuazione e di gestione forestale delle aree ritenute meritevoli di tutela, da adottarsi con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano”), contrariamente alla tesi regionale (secondo la quale non sarebbe “vigente in quanto collegato al D.M. non ancora promulgato”), non introduce un vincolo impeditivo della possibilità di stipula, già prima dell’emanazione delle suddette linee guida, di appositi accordi tra l’amministrazione regionale e quella ministeriale, atteso che l’articolo 15 della legge n. 241 del 1990 costituisce un potere implicito di carattere generale delle amministrazioni, attivabile anche indipendentemente da specifiche norme autorizzative, ed esistendo ed essendo già operanti, inoltre, anche sulla base della nuova pianificazione paesaggistica regionale e della relativa legislazione regionale della Toscana, diversi organismi a partecipazione mista che curano la gestione e l’attuazione del piano paesaggistico e delle problematiche di comune interesse inerenti la tutela dei paesaggi, in seno alle quali ben sarebbe stato possibile ricercare forme di concordamento in attuazione della previsione della norma del decreto del 2018 sopra richiamata.
11.1.6. Diventa recessiva, al cospetto di questo coerente sistema, la tesi interpretativa proposta dalle difese regionali, secondo la quale l’articolo 7, comma 13 del d.lgs. n. 34 del 2018, nel prevedere che “le pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c), del d.lgs. 22.01.2004, n. 42”, avrebbe escluso la previa autorizzazione paesaggistica anche per gli interventi sui boschi e le foreste vincolati ai sensi dell’art. 136 del codice di settore del 2004.
Proprio alla luce di quanto osservato e considerato nel precedente paragrafo 11.1.4, risulta chiaro, invece, che questa previsione si riferisce solo ed esclusivamente ai boschi e alle foreste vincolati ex lege (art. 142, comma 1, lett. g) del codice del 2004), come è del resto reso evidente dal puntuale richiamo in essa contenuto alla lettera c) del comma 1 dell’art. 149 che, come si è visto sopra, riguarda esclusivamente i boschi e le foreste ex lege Galasso.
Questa lettura, oltre che dalla coerenza del sistema, è imposta anche dal dato topografico del testo dell’articolo 7 del d.lgs. n. 34 del 2018, che antepone la norma speciale prevista dal comma 12 (relativo ai boschi e alle foreste tutelati in base a un vincolo di tipo provvedimentale) a quella generale di cui al seguente comma 13, erroneamente invocato dalle difese regionali.
Una diversa e più ampliativa interpretazione del d.lgs. n. 34 del 2018, quale quella che sembra essere ipotizzata dalla Regione Toscana, tale da derogare alle più stringenti norme di tutela prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, renderebbe inoltre incostituzionale per eccesso di delega il decreto del 2018, nella cui delega di legge non vi era in alcun modo il potere di incidere in senso riduttivo sui livelli di tutela del paesaggio.
11.2. La diversa –ma non condivisa dalla Sezione– lettura del combinato disposto delle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 149 del d.lgs. n. 42 del 2004 (e del d.lgs. n. 34 del 2018), con conseguente confusione tra il regime di tutela paesaggistica del patrimonio forestale vincolato con apposito provvedimento rispetto a quello proprio del patrimonio forestale vincolato ex lege Galasso, ha ingenerato, come prima anticipato, un secondo elemento di illegittimità del piano impugnato, nella parte in cui ha condotto a una sottovalutazione degli aspetti paesaggistici, con conseguente carenza istruttoria e motivazionale sul punto.
11.2.1. È da notare che nulla è detto nella delibera di giunta n. 355 del 2019, né nell’allegato piano specifico di prevenzione AIB con essa approvato, in tema di valutazione paesaggistica degli interventi. Nelle premesse della delibera compare solo la seguente considerazione: “Preso atto che sono stati acquisiti con esito favorevole tutti gli atti e pareri previsti dalla normativa vigente in relazione alla tipologia degli interventi colturali straordinari e delle opere destinati alla prevenzione e lotta agli incendi boschivi”.
Di tali atti e pareri non è tuttavia fornita alcuna indicazione specifica.
Nella parte finale del piano, alla voce “Quadro normativo e bibliografia” (pag. 138), figura solo un generico richiamo dei vincoli paesaggistici provvedimentali imposti sulle aree interessate dal piano, nonché al codice di tutela del 2004 (e al regolamento di semplificazione di cui al d.P.R. n. 31 del 2017).
Inoltre, nello studio di incidenza presentato ai sensi dell’articolo 5 del d.P.R. n. 357 del 1997, si afferma “gli interventi per cui viene valutata l’incidenza vertono perlopiù sull’attività di ordinaria coltivazione di soprassuoli boschivi all’interno del sito di interesse comunitario” (pag. 5).
Nel medesimo studio di incidenza risultano solo citate le misure di conservazione contenute nel piano paesaggistico della Regione Toscana, in particolare rispetto all’Ambito di Paesaggio 18 ovvero “Maremma Grossetana” (pagg. 49 -53), ma -in disparte la considerazione che ogni valutazione di tutela paesaggistica avrebbe dovuto essere acquisita presso gli organi competenti e nell’ambito delle procedure appropriate e non avrebbe potuto comunque essere utilmente svolta nello studio di incidenza- il suddetto documento si è limitato in proposito a una mera riproduzione testuale della relativa scheda di piano paesaggistico, con annesse “Criticità” e “Obiettivi di qualità e direttive - Obiettivo 4”, senza alcuna aggiunta o considerazione sulla compatibilità degli interventi.
Nella pag. 149 vi è poi un breve paragrafo intitolato “Incidenza degli interventi proposti rispetto al piano paesaggistico” del seguente tenore: “Nella parte inerente gli Obiettivi di qualità e direttive si legge al punto 4: Salvaguardare e valorizzare i rilievi dell’entroterra e l’alto valore iconografico e naturalistico dei ripiani tufacei, reintegrare le relazioni ecosistemiche, morfologiche, funzionali e visuali con le piane costiere 1.13 - tutelare l’elevato grado di panoramicità del sistema costiero e le relazioni visuali con il mare e con le aree retrostanti. Gli interventi previsti sono volti alla conservazione dell’ambiente pineta così come appare oggi, grazie ad azioni selvicolturali volte alla lotta contro gli incendi boschivi. Incidenza Positiva”.
La disamina ora compiuta del modo in cui i profili paesaggistici sono stati presi in considerazione nei documenti di piano dimostra, ad avviso della Sezione, la fondatezza della censura di insufficienza istruttoria e motivazionale su tali, pur essenziali, profili di tutela.
12. Con il terzo motivo di ricorso le associazioni ricorrenti hanno lamentato che la Regione Toscana avrebbe condotto l’istruttoria in modo carente, ostacolando la partecipazione delle associazioni e dei cittadini interessati alla tutela delle aree in questione, comprimendo i tempi procedimentali per consentire l’accesso ai finanziamenti comunitari e trascurando l’istruttoria relativa ai vincoli ambientale, paesaggistico e idrogeologico.
Sarebbero state sottovalutate la reale consistenza del monumento naturale in questione, l’insistenza sul medesimo di domini collettivi ai sensi della legge n. 168 del 2017 e l’eventuale presenza di piante monumentali previste dall’articolo 7 della legge n. 10 del 2013 per il rilascio di esemplari vetusti e di ricovero.
In sostanza, con il mezzo di censura in esame, corroborato e integrato con i numerosi rilievi puntuali svolti nel paragrafo del ricorso introduttivo denominato “Conclusioni tecnico-scientifiche”, le associazioni ricorrenti denunciano una complessiva carenza istruttoria, che si sarebbe tradotta in una sostanziale sottovalutazione e non adeguata considerazione dei vincoli ambientali e paesaggistici esistenti sulla pineta del Tombolo.
Rinviando ai paragrafi precedenti per gli aspetti paesaggistici, già ivi trattati, occorre qui esaminare l’adeguatezza istruttoria e motivazionale del piano specifico impugnato relativamente ai profili di tutela ambientale, segnatamente quelli legati alla inclusione di parti delle aree interessate dal piano AIB in ambiti ricomprese nel sistema Natura 2000.
12.1. Fermo restando che, come chiarito supra al par. 10, nella fattispecie non era necessaria la VAS, risultano tuttavia dagli atti significativi elementi che depongono nel senso dell’inadeguatezza istruttoria e motivazionale della valutazione d’incidenza svolta dalla Regione Toscana.
Ed invero dall’esame dell’atto di autorizzazione regionale emerge che si risolve in un riscontro piuttosto formalistico di corrispondenza degli interventi, singolarmente considerati, ad alcune voci tipologiche desunte dalla modulistica di settore, senza un’adeguata valutazione d’insieme –con conseguente difetto di motivazione– della reale dimensione degli impatti del piano.
12.2. Nello studio di incidenza, nel capitolo intitolato “Fase 2. Valutazione "appropriata": Stima degli effetti degli interventi proposti”, compaiono alcune indicazioni di “incidenza negativa” (evidenziate in rosso) e numerose indicazioni di “incidenza non significativa” (in verde) o “positiva” (in colore scuro).
Nella parte dedicata alla incidenza sulla fauna (pagg. 150 ss.) figura una sola ipotesi di incidenza negativa sugli insetti (per la specie Chalcophora detrita, pag. 151) e nessuna incidenza negativa sugli uccelli (riguardo ai quali ricorre, invece, sistematicamente, la valutazione di incidenza positiva degli interventi, con la ripetitiva motivazione per cui “Con la lotta agli incendi boschivi anche questa specie troverà beneficio, in quanto molti degli habitat a cui si lega saranno salvaguardati dalla distruzione - Incidenza Positiva”). Per i mammiferi ricorre una sola incidenza negativa (pag. 160, per il topo quercino).
In senso opposto le associazioni ricorrenti hanno sottolineato come la previsione del taglio del 70% dei pini (con eliminazione progressiva dei pini marittimi, molti dei quali molto vetusti e di ricovero per molte specie animali) e dell’80% del sottobosco (habitat elettivo di numerose specie di insetti, di rettili, di uccelli e di mammiferi), nonché l’ampio ricorso al cosiddetto “fuoco prescritto”, non possono realisticamente essere valutati pressoché tutti e interamente con “incidenza non significativa” o “positiva”, con pochissime eccezioni di “incidenza negativa”, come si è visto sopra.
Ritiene il Collegio che, escluso in questa sede ogni inammissibile giudizio di merito che spetta all’amministrazione effettuare e che non può essere qui compiuto, la valutazione svolta, in ragione dell’entità degli interventi programmati, non sia adeguatamente motivata.
Ad esempio la frase ricorrente –“Con la lotta agli incendi boschivi anche questa specie troverà beneficio, in quanto molti degli habitat a cui si lega saranno salvaguardati dalla distruzione - Incidenza Positiva"– avrebbe meritato un maggiore approfondimento perché, per un verso, è certo che con la lotta agli incendi boschivi la fauna ne ricaverà beneficio ma, fermo tale punto, per altro verso, non è chiarito se ciò rimane vero –ed eventualmente in che termini– anche a seguito del diradamento degli alberi e delle altre misure contemplate.
12.3. Conseguenziale e specularmente aderente alla prospettazione molto favorevole contenuta nello studio di incidenza si rivela la trattazione fattane dall’amministrazione regionale in sede di “autorizzazione VINCA” (doc. n. 4 allegato alla produzione regionale).
Questo provvedimento, riscontrando “l'istanza in oggetto, acclarata con Prot. n. 31847 del 23.01.2019, per la quale lo scrivente Settore ha ricevuto dagli Uffici Regionali la modulistica e lo studio di incidenza per la realizzazione di un Piano di prevenzione AIB dei punti strategici nelle pinete litoranee dei comuni di Grosseto e Castiglione della Pescaia”, prende atto “dello Studio di incidenza e della modulistica presentata, in cui si analizza compiutamente l’opera proponendo misure di mitigazione” e, viste le misure di conservazione mediante interventi selvicolturali individuate per l’habitat “2270 - Dune con foreste di Pinus pinea e Pinus pinaster” dalla delibera regionale n. 1223/2015, ritenuto che “gli interventi risultano coerenti con le misure di conservazione vigenti e le incidenze negative rilevate risultano essere non significative per la loro transitorietà ed estensione”, che, anzi, “gli interventi previsti determineranno anche incidenze positive per la conservazione attiva dell'habitat 2270 a medio termine e quindi delle specie di interesse conservazionistico che utilizzano tale habitat”, che “la realizzazione degli interventi previsti seguendo le prescrizioni indicate nella parte dispositiva del presente provvedimento non determinerà effetti negativi sugli obiettivi di conservazione, sulla disponibilità di siti per la nidificazione e/o il rifugio della fauna, sulla complessità delle reti alimentari ivi presenti, sulla struttura e funzioni necessarie alla conservazione a lungo termine degli habitat e delle specie tutelati presenti nei siti Natura 2000 in oggetto”, ha espresso una valutazione positiva “in base alle informazioni fornite”.
È mancata dunque la necessaria considerazione e valutazione unitaria dell’impatto delle attività proposte sugli habitat oggetto di protezione che, si ripete ancora una volta, spettava all’amministrazione compiere e non certo a questo Decidente
12.3.3. Anche le prescrizioni —riassumibili in sintesi nei seguenti quattro punti:
   1) salvaguardare i periodi di nidificazione (eseguire dunque gli interventi possibilmente tra il 1 ottobre ed il 28 febbraio di ogni anno, salvo estensioni e deroghe motivate, con alcuni accorgimenti);
   2) evitare la perdita di lubrificanti e carburante e limitare l’emissione di gas di scarico e di rumori durante l’esecuzione dei lavori;
   3) avvisare il Servizio regionale competente qualora siano rinvenuti, durante l’esecuzione dell'intervento, nidi o cavità sulle piante da abbattere;
   4) verificare la sussistenza sull’area delle condizioni indicate dal progetto per applicare la tecnica del “fuoco prescritto”, facendo attenzione a monitorare durante l’esecuzione i parametri più importanti per l’utilizzo di questa tecnica, quali il vento, la temperatura, l’umidità, etc.— avrebbero meritato maggiore attenzione, e comunque migliore motivazione, perché, lungi dal costituire “specifiche prescrizioni” come affermato nella memoria difensiva regionale, non sembrano avere alcun contenuto prescrittivo autonomo rispetto a quelle che sono le comuni buone regole tecniche minimali già implicite negli interventi antincendio boschivo presi in considerazione.
Si tratta, quindi, di mere raccomandazioni generiche di eseguire a regola d’arte i lavori che non aggiungono e non tolgono alcunché a quanto già previsto nel piano. Anche sotto tale aspetto è necessario che, coerentemente alla regola generale, sia fornita una migliore motivazione della scelta fatta.
13. L’enucleazione, svolta nei precedenti paragrafi, dei rilevati vizi di carenza istruttoria e motivazionale, tradottisi in una sostanziale sottovalutazione dei profili paesaggistici e ambientali degli interventi antincendio programmati, fa emergere anche
un ulteriore profilo, diffusamente proposto nel ricorso introduttivo, concernente la mancata partecipazione al percorso elaborativo delle associazioni di tutela ambientale, le quali pure avevano più volte chiesto di essere ascoltate e di poter contribuire al procedimento.
Se è vero che non si rinvengono nel panorama normativo (nazionale e regionale) specifiche previsioni che impongano tale partecipazione -sicché deve escludersi la sussistenza di puntuali vizi di violazione di legge sotto questo profilo- è altrettanto vero che non è conforme a criteri generali di buona amministrazione non prendere in considerazione i possibili contributi delle associazioni ambientaliste che abbiano chiesto di essere sentite o che abbiano prodotto memorie e documenti.
Si ricordi, a tale riguardo che, ai sensi dell’articolo 9 l. 07.08.1990, n. 241, qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento e che è loro riconosciuto, giusta il disposto del successivo articolo 10, il diritto di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento.
Ciò peraltro risponde ai canoni di buona amministrazione sanciti dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, come è noto, ai sensi dell’articolo 6 TUE, ha lo stesso valore giuridico dei trattati.

Fermo restando che l’amministrazione ha il dovere di procedere, anche celermente quando necessario, in vicende come queste sarebbe stato utile garantire la possibilità di ascolto e di presa in considerazione dei punti di vista diversi da quelli dell’amministrazione quando ciò non si traduce esclusivamente in ostacoli al compimento del procedimento amministrativo.
14. In conclusione, per tutte le esposte ragioni
il ricorso deve giudicarsi fondato e merita pertanto accoglimento, con conseguente annullamento della delibera di giunta regionale n. 355 del 18.03.2019 e dell’annesso “Piano Specifico di Prevenzione AIB per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia, nella parte in cui considera erroneamente come paesaggisticamente irrilevanti -e perciò sottratti alla preventiva autorizzazione paesaggistica- tutti gli interventi previsti nel piano, omettendo un’adeguata analisi e valutazione dell’impatto paesaggistico di tali interventi, nonché nella parte in cui si fonda su una valutazione di incidenza sui siti della rete Natura 2000 interessati dalle misure rivelatasi carente nell’istruttoria e nelle motivazioni, oltre che corredata da mere raccomandazioni di buona esecuzione degli interventi prive della consistenza di prescrizioni integrative.
15. L’annullamento della delibera n. 355 del 18.03.2019 e dell’annesso piano si riverbera sulla delibera n. 564 del 23.04.2019 (di approvazione del piano AIB 2019-2021) nella sola parte in cui tale ultima delibera recepisca, approvi, ratifichi o comunque faccia propri i contenuti della delibera n. 355 del 2019 e dell’annesso piano specifico AIB.
16. La Regione Toscana ha più volte sottolineato, nella sua memoria difensiva, l’estrema urgenza di eseguire interventi AIB a tutela della pubblica incolumità e della sicurezza di persone e cose seriamente minacciate dal rischio sempre più urgente e pressante di devastanti incendi boschivi, molto probabili (se non, pare di capire, inevitabili) a causa del mutamento climatico, non senza evocare scenari tragici, quali quelli di recente verificatisi in Grecia, in Spagna e in Portogallo (per guardare solo alle aree mediterranee e per non parlare della California o dell’Australia).
Scrive, ad esempio, la Regione Toscana (pag. 6 della memoria in data 29.11.2019): “È evidente che in tali condizioni, eventuali decisioni di rinuncia agli interventi di prevenzione comportano l'assunzione di responsabilità in merito alle conseguenze di eventi che dovessero accadere” e, ancora (ivi): “Nel corso del 2017 un incendio ad alta intensità e di limitata superficie (3,5 ha) ha danneggiato case e veicoli in località Marina di Grosseto, mentre a Castiglione della Pescaia si è verificato un incendio boschivo di 75,9 ettari che ha raggiunto una velocità di propagazione di 20 metri/minuto”, sicché le delibere impugnate e il piano specifico di prevenzione AIB delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia “sono volti ad assicurare la salvaguardia dell'incolumità di residenti e turisti; una loro mancata attuazione esporrebbe al permanere delle condizioni di rischio come sopra evidenziate” (pag. 7).
16.1. A fronte di tali impegnative affermazioni dell’Amministrazione regionale,
il Collegio deve porsi la questione di come poter in qualche modo bilanciare le contrapposte esigenze di tutela giurisdizionale degli interessi dei ricorrenti (e di ripristino della legittimità dell’azione amministrativa) con quelle di tutela della pubblica incolumità e della sicurezza delle persone e dei beni patrimoniali delle concentrazioni antropiche che insistono nella (o in prossimità della) pineta oggetto del piano AIB impugnato.
In particolare,
il Collegio non può sottrarsi alla responsabilità di esplorare a fondo la possibilità, per le suddette finalità, di graduare l’effetto caducatorio degli atti impugnati discendente dal disposto annullamento, in modo da scongiurare effetti di paralisi, che potrebbero rivelarsi dannosi per gli stessi interessi ambientali fatti valere dalle Associazioni ricorrenti.
Soccorre all’uopo, ad avviso del Collegio, la possibilità di calibrare l’effetto di annullamento, al fine di consentire alla Regione Toscana di disporre di un congruo lasso di tempo per rivedere ed emendare, in linea con i precetti regolativi desumibili dalla presente decisione, il piano specifico AIB oggetto della presente pronuncia di annullamento, consentendone, nelle more, interventi di messa in sicurezza o che si presentino come particolarmente urgenti e ineludibili.
16.2. Com’è noto,
la facoltà di modulare gli effetti demolitori delle sentenze di annullamento è stata riconosciuta dal Consiglio di Stato con la sentenza 10.05.2011, n. 2755. In quella sede, la Sezione VI, accertata l’illegittimità del piano faunistico venatorio della regione Puglia a cagione dell’omesso svolgimento del procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS), accoglieva il ricorso e dichiarava la perdurante efficacia dell’atto impugnato nelle more dell’adozione di un nuovo provvedimento programmatorio sostitutivo.
A tali conclusioni il Collegio giudicante perveniva non soltanto sul rilievo della potenziale compromissione degli equilibri ambientali derivante dall’eliminazione degli effetti del piano originariamente approvato, ma anche in ragione del contenuto delle pretese fatte valere dalla parte ricorrente. In quella sede si sosteneva infatti che il principio di effettività della tutela giurisdizionale, nella declinazione desumibile tanto dalle fonti sovranazionali (articoli 6 e 13 della CEDU), quanto da quelle interne (articoli 24 e 113 della Costituzione), imponeva una modulazione temporale dell’efficacia tipica del dictum giudiziale, in vista della necessità di assicurare una soddisfazione non meramente formale dell’interesse fatto valere con la domanda.
La Sezione VI osservava altresì che il riconoscimento di deroghe alla naturale retroattività degli effetti caducatori non incontrerebbe alcuna preclusione nelle norme sostanziali e processuali, laddove rispettivamente disciplinano l’annullamento in autotutela degli atti amministrativi (articolo 21-nonies, legge n. 241 del 1990) ed i contenuti delle sentenze che dispongono l’eliminazione dalla realtà giuridica del provvedimento impugnato (articolo 34, comma 1, lettera a), c.p.a.).
Parimenti, i poteri valutativi esercitabili dal giudice in ordine all’efficacia del contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione illegittima (articoli 121-122, c.p.a.) costituirebbero un ulteriore indice normativo a sostegno della compatibilità sistematica di pronunce che, accertata la difformità dell’atto a contenuto generale rispetto al parametro legale, escludono la produzione di effetti caducatori sino all’adozione del nuovo provvedimento da parte dell’Amministrazione.
In virtù dell’ascrivibilità della disciplina ambientale al novero delle competenze concorrenti fra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione europea, questo Consiglio affermava inoltre che gli interessi fatti valere in tale ambito materiale dovessero essere tutelati dai giudici nazionali secondo livelli di garanzia non inferiori rispetto a quelli assicurati dal diritto eurounitario. In tal senso, le disposizioni di cui all’articolo 264 del TFUE, specie nella parte in cui affidano alla Corte di giustizia la facoltà di precisare “gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi” (paragrafo 2), troverebbero ingresso nell’ordinamento interno in qualità di principi idonei a garantire una “tutela piena ed effettiva” delle situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio (articolo 1, c.p.a.).
16.3.
Giova osservare come, sulla base degli argomenti posti a fondamento della sentenza 10.05.2011, n. 2755, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato abbia ammesso la configurabilità di deroghe all’efficacia retroattiva delle pronunce con cui il giudice della nomofilachia modifica orientamenti giurisprudenziali consolidati (Cons. St., Ad. plen., sentenza 22.12.2017, n. 13).
Se il contenuto di un siffatto richiamo vale indubbiamente a rafforzare l’apparato argomentativo della citata decisione del 2017, non può tuttavia omettersi di precisare come il cosiddetto prospective overruling non condivida con la graduazione della portata caducatoria delle sentenze di annullamento null’altro che la comune riconducibilità alle tecniche di governo dell’efficacia delle pronunce giurisdizionali.
L’elaborazione di principi di diritto innovativi rispetto all’orientamento precedentemente consolidato, in quanto formulati in sentenze dichiarative di interpretazione intese a rendere manifesto il significato dell’originario dato normativo, esprime una naturale tendenza alla retroazione dei nuovi canoni esegetici. Tuttavia, a fronte della potenziale lesione di controinteressi di rango costituzionale, l’operatività del revirement giurisprudenziale può essere limitata alle sole fattispecie che vengano in rilievo posteriormente alla pubblicazione della nuova decisione.
Muovendo dalla risalente tradizione pretoria della Corte suprema statunitense, la giurisprudenza non ha tuttavia mancato di delimitare puntualmente le condizioni di praticabilità del prospective overruling. Sin dalla sentenza 11.07.2011, n. 15144, il Giudice di legittimità ha costantemente sostenuto che l’ammissibilità di interventi nomofilattici con efficacia ex nunc sia subordinata alla cumulativa presenza dei seguenti requisiti:
   a) la nuova interpretazione incida su norme processuali;
   b) il mutamento giurisprudenziale sia stato imprevedibile e sopravvenga ad un distinto orientamento consolidato nel tempo, in modo da indurre la parte ad un ragionevole affidamento sulla perdurante validità dell’indirizzo anteriore;
   c) l’overruling precluda l’esercizio del diritto di azione o di difesa delle parti (da ultimo, cfr. Cass. civ., Sez. II, ordinanza 10.05.2018, n. 11300; Cass. civ., Sez. un., sentenza 03.10.2018, n. 24133; Cass. civ., Sez. un., sentenza 12.02.2019, n. 4135; Cass. civ., Sez. lav., ordinanza 13.01.2020, n. 403).
Ad analoga definizione dei presupposti fondativi dell’istituto in esame è pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., 02.11.2015, n. 9; Cons. St., Sez. III, ordinanza 07.11.2017, n. 5138). E in applicazione delle medesime condizioni questo Consiglio ha recentemente escluso la differibilità nel tempo dei principi di diritto enunciati in tema di riapertura delle graduatorie ad esaurimento (Cons. St., Ad. plen., 27.02.2019, n. 4; Cons. St., Sez. VI, sentenza 08.04.2019, n. 2266), nonché di superamento della pregiudiziale amministrativa nella domanda di risarcimento del danno (Cons. St., Sez. III, sentenza 22.02.2019, n. 1230; Cons. St., Sez. IV, sentenza 28.06.2018, n. 3977).
Rispetto a tale assetto giurisprudenziale si distingue invece la citata sentenza n. 13 del 2017, con la quale l’Adunanza plenaria, accogliendo la tesi della cosiddetta “discontinuità” dell’efficacia del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, giunge ad estendere la portata del prospective overruling anche all’esegesi di norme a contenuto sostanziale.
Conoscendo di una fattispecie rientrante nella sfera di vincolatività dei principi di diritto formulati dall’Adunanza plenaria n. 13 del 2017, la Sezione VI del Consiglio di Stato, con sentenza 03.12.2018, n. 6858, ha parimenti sostenuto che “anche nell’ambito del procedimento amministrativo (nel caso in esame, di conclusione del procedimento di vincolo), come in ambito processuale, la modifica del precedente orientamento non può che comportare che la parte (nella specie, l’Amministrazione) incorra in decadenze fino allora non prevedibili”.
In altri termini, giova in questa sede evidenziare con forza che
il potere di disporre la decorrenza ex nunc degli effetti delle sentenze a contenuto interpretativo non possa assimilarsi alle tecniche di modulazione della portata caducatoria delle pronunce costitutive di annullamento degli atti illegittimi. Queste ultime, lungi dall’incidere sulla stabilità di precedenti giurisprudenziali consolidati, contengono indefettibilmente un accertamento circa la legittimità/illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato in vista della soddisfazione di un interesse protetto dall’ordinamento sostanziale. Le prime, invece, individuano il momento a partire dal quale il nuovo orientamento interpretativo deve essere applicato.
Deve in conclusione ritenersi che l’indagine sulla graduazione degli effetti dell’annullamento non possa che essere condotta sulla base di criteri distinti rispetto a quelli cui la giurisprudenza ordinaria e amministrativa ricorre per giustificare la praticabilità del prospective overruling.
16.4. La Sezione è consapevole dei rilievi critici mossi da una parte della dottrina avverso la graduazione degli effetti caducatori delle sentenze di annullamento.
Si è osservato, in primo luogo, come nel sistema della giustizia amministrativa il contenuto tipico dell’azione di annullamento, consistente nell’eliminazione del provvedimento illegittimo dalla realtà giuridica, sarebbe violato dalle decisioni con cui il giudice dispone il mantenimento dell’efficacia dell’atto impugnato nelle more dell’ulteriore esercizio del potere. Le conseguenze caducatorie dell’accoglimento della domanda, benché non puntualmente desumibili dalla disciplina processuale, sarebbero imposte dalla natura costitutiva della sentenza di annullamento, dei cui effetti demolitori dovrebbe dunque predicarsi la radicale indisponibilità.
Con un secondo argomento critico si è inoltre ritenuto che le tesi sostenute dalla Sezione VI del Consiglio di Stato con la citata sentenza n. 2755 del 2011 presenterebbero profili di contrasto con l’articolo 113, comma 3 della Costituzione, ai sensi del quale “la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”. La necessaria intermediazione legislativa nella definizione dei poteri di annullamento osterebbe infatti all’autonoma gestione giudiziaria dell’efficacia delle pronunce costitutive, dal momento che la produzione del risultato demolitorio potrebbe essere legittimamente escluso nelle sole ipotesi predeterminate dalla fonte primaria.
Una terza censura di matrice dottrinale è stata avanzata in relazione alla pretesa violazione del carattere dispositivo del processo amministrativo. Il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (articolo 112, c.p.c.) non consentirebbe al giudice di modulare il contenuto del decisum in senso difforme rispetto alla pretesa annullatoria fatta valere con la domanda di parte.
Anche gli argomenti di diritto positivo posti a fondamento del percorso motivazionale della sentenza n. 2755 del 2011 non hanno mancato di suscitare la disapprovazione di alcuni esponenti della dottrina.
Non persuasivo è ritenuto il riferimento ai poteri esercitabili della Corte di giustizia nel giudizio sulla legittimità degli atti delle istituzioni eurounitarie (articolo 264, paragrafo 2, TFUE). Né il richiamo ai principi di derivazione europea, previsto dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo, consentirebbe per ciò solo di trasporre nell’ordinamento interno gli istituti tipici di un distinto sistema processuale. Sulla base delle norme di matrice eurounitaria non potrebbe infatti imporsi ai giudici nazionali la temporanea conservazione dell’efficacia di atti illegittimi in vista della necessaria protezione di controinteressi meritevoli di tutela.
Quanto alla disciplina speciale di cui agli articoli 121-122 del codice del processo amministrativo, la previsione di una deroga espressa all’inefficacia retroattiva del contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione illegittima costituirebbe un significativo indice dell’eccezionalità del rimedio pretorio in esame, non invece la esplicitazione settoriale di un generale potere di valutazione circa la perduranza o meno degli effetti del provvedimento annullato.
Da ultimo, la radicale distinzione tra le funzioni giurisdizionali e quelle di amministrazione attiva precluderebbe l’assimilazione tra la rimozione in autotutela degli atti illegittimi (articolo 21-nonies, legge n. 241 del 1990) e le sentenza costitutive di annullamento.
16.5. La Sezione ritiene che tali rilievi critici non debbano essere condivisi.
16.5.1 Con riguardo alla pretesa violazione del contenuto tipico delle pronunce costitutive di annullamento, occorre osservare quanto segue.
In esito al complesso percorso evolutivo che ha visto la pretesa alla soddisfazione del bene della vita progressivamente acquisire una valenza centrale entro la struttura dell’interesse legittimo, la disciplina processuale delle azioni esperibili a fronte dell’esercizio del potere richiede un costante adeguamento interpretativo alle esigenze di effettività imposte dalla cognizione di una posizione giuridica soggettiva sostanziale.
È noto che il modello rimediale pluralistico originariamente accolto dalla bozza del codice del processo amministrativo licenziata l’08.02.2010 dalla Commissione insediata presso il Consiglio di Stato sia stato solo parzialmente recepito nella versione definitiva del testo legislativo. Ove tuttavia si ritenesse che il riferimento alle azioni di annullamento (articolo 29, c.p.a.) e di condanna (articolo 30, c.p.a.), nonché a quelle in materia di silenzio-inadempimento (articolo 31, commi 1-3, c.p.a.) e di nullità (articolo 31, comma 4, c.p.a.), sia espressivo di un sistema di tutela tipico e conchiuso, dovrebbe al contempo ammettersi la validità di una configurazione meramente processuale dell’interesse legittimo.
Per converso, e in modo più condivisibile, la considerazione del moderno schema dei rapporti di diritto pubblico, nel quale il bene della vita inciso dall’esercizio del potere diviene l’elemento costitutivo di una situazione giuridica soggettiva sostanziale, esige la costruzione di un apparato rimediale idoneo ad assicurare a quest’ultima una protezione adeguata alla sua intrinseca natura.
In forza dei criteri direttivi di cui all’articolo 44 della legge 18.06.2009, n. 69, nonché del richiamo ai principi costituzionali e comunitari previsto dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo, deve dunque ritenersi che il canone di effettività della tutela giurisdizionale si ponga a fondamento di un sistema atipico di azioni, la cui esperibilità garantisce la soddisfazione di interessi giuridicamente rilevanti mediante strumenti processuali non necessariamente coincidenti con quelli espressamente previsti dalla legge.
Con specifico riguardo all’azione generale di accertamento, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 29.07.2011, n. 15, ha infatti autorevolmente sostenuto che “nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza costituzionale di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo, dell’azione generale di accertamento non preclude la praticabilità di una tecnica di tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che, ove necessaria al fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni tipizzate, ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo (articoli 24, 103 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente
”.
Così delineato il quadro dei mezzi di tutela esperibili nell’attuale sistema di giustizia amministrativa, deve ulteriormente osservarsi come l’atipicità dell’apparato rimediale possa presentare anche una declinazione di tipo contenutistico, nella misura in cui la decisione del giudice esprime una sintesi degli interessi in conflitto non astrattamente predeterminabile dal legislatore.
Ed in specie, l’estensione dell’oggetto della cognizione al rapporto giuridico controverso, al di là dei confini imposti dal mero scrutinio di legittimità dell’atto impugnato, può giustificare il riconoscimento di poteri valutativi in ordine alla perduranza degli effetti dell’atto illegittimo, nell’ottica del bilanciamento fra le esigenze di tutela fatte valere dalla parte ricorrente ed i controinteressi generali e particolari rilevanti nel caso concreto.
Il governo degli effetti delle sentenze costitutive di annullamento appare dunque ammissibile nel quadro di atipicità rimediale e contenutistica che permea la moderna struttura del processo amministrativo.
Del resto -come è stato notato- sotto il profilo dell’azione proposta, la domanda di annullamento contiene sempre il quid minus della domanda di mero accertamento dell'illegittimità con effetti non retroattivi o non eliminatori e, sotto il profilo dei poteri del giudice, l'attribuzione del potere di decidere quando annullare l'atto illegittimo implica (rectius: può implicare) anche il potere, meno incisivo, di stabilire da quando far decorrere la portata della sentenza di annullamento dell'atto.
16.5.2 Con il secondo degli esaminati rilievi critici si sostiene che i poteri di modulazione riconosciuti dalla sentenza n. 2755 del 2011 configurerebbero una violazione della riserva di legge prevista dall’articolo 113, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui affida all’intermediazione legislativa la determinazione dei casi e degli effetti dell’annullamento giurisdizionale.
Anche la suddetta censura di matrice dottrinale non appare persuasiva.
Deve in primo luogo osservarsi che nessuna norma di diritto sostanziale o processuale espressamente preclude l’individuazione di deroghe alla portata retroattiva delle pronunce a contenuto demolitorio.
In secondo luogo il vigente assetto processuale, oltre a rimettere al giudice la valutazione circa la necessità dell’annullamento dell’atto illegittimo (articolo 34, comma 3, c.p.a.), accentua il carattere conformativo delle decisioni adottabili. A questo proposito giova infatti ricordare che il combinato disposto dell’articolo 30, comma 1 e dell’articolo 34, comma 1, lettera c), primo periodo del codice del processo amministrativo consente la proposizione di domande atipiche di condanna, le quali, se formulate contestualmente ad altra azione, possono condurre alla pronuncia di sentenze di accoglimento che obbligano l’Amministrazione “all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio”.
Lungi dall’integrare una violazione della riserva di legge prevista dall’articolo 113, comma 3, della Costituzione, la dichiarazione di efficacia dell’atto illegittimo sino al nuovo esercizio del potere da parte dell’Amministrazione rinviene quindi nella disciplina processuale di rango primario un fondamento normativo.
16.5.3 Il terzo profilo di criticità interpretativa contestato da una parte della dottrina attiene all’asserita incompatibilità fra le tecniche di modulazione degli effetti demolitori e il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (articolo 112, c.p.c.).
Anche tale argomento va superato.
L’oggetto dell’azione di annullamento comprende indefettibilmente la domanda di accertamento circa l’illegittimità dell’atto impugnato. La pronuncia con cui il giudice, pur dichiarando la sussistenza di profili di contrasto rispetto al parametro legale, sospende provvisoriamente la produzione dell’effetto eliminatorio della sentenza, o stabilisce che l’atto illegittimo sia annullato senza far retroagire gli effetti della caducazione, non può ritenersi difforme rispetto ai contenuti del petitum.
Né, in senso diverso, possono ricavarsi argomenti da una sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che –statuendo in ordine ad una controversia nella quale si discuteva della possibilità di sostituire l’annullamento degli atti di una procedura concorsuale con il “semplice” risarcimento dei danni– è giunta a formulare il seguente principio di diritto: “sulla base del principio della domanda che regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l’Amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell’istante ed in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall’adozione degli atti, e ad essa debba seguire il mero rinnovo, in tutto o in parte, della procedura esperita” (Cons. St., Ad. plen., sentenza 13.04.2015, n. 4).
Proprio dalle motivazioni della citata sentenza del giudice della nomofilachia si desume peraltro che la condivisibile preclusione alla sostituzione officiosa delle forme di tutela richieste dalla parte ricorrente (risarcimento al posto dell’annullamento) non può in alcun modo estendersi alla modulazione degli effetti caducatori delle pronunce di annullamento, con la quale il giudice amministrativo assicura una protezione effettiva alle pretese dedotte in giudizio, senza travalicare i limiti imposti dall’oggetto e dalle ragioni della domanda (cfr. paragrafo n. 7 delle motivazioni in diritto).
In chiave sistematica, poi, le deroghe alla retroattività delle sentenze di annullamento del contratto, previste dagli articoli 1443 e 1445 del codice civile rispettivamente a tutela dell’incapace e del terzo subacquirente, confermano la validità dell’orientamento che ammette la modulazione degli effetti delle pronunce demolitorie, ove tale soluzione sia imposta dalla necessità di proteggere adeguatamente gli interessi dedotti in giudizio.
Per il giudice ordinario, infatti, in materia di annullamento del contratto, l'art. 1445 c.c., escludendo gli effetti dell'annullamento nei confronti dei terzi di buona fede che abbiano acquistato a titolo oneroso, sancisce implicitamente l'efficacia dell'annullamento nei confronti degli acquirenti rispetto ai quali non ricorra tale requisito soggettivo (Cass. civile, sez. II, 10.09.2019, n. 22585), così confermando che gli effetti possono essere calibrati in ragione degli interessi coinvolti.
Si tratta, peraltro, di soluzione immanente all’ordinamento giuridico, come confermato da una non recente decisione: "La disposizione dell'articolo 2652, n. 6, c.c., riguardante l'onere della trascrizione delle domande dirette a far dichiarare la nullità o far pronunziare l'annullamento di atti soggetti a trascrizione, ha lo scopo di limitare l'efficacia retroattiva e l'opponibilità della pronuncia dichiarativa della nullità, in quanto fa salvi i diritti che i terzi di buona fede abbiano acquistato in base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di nullità, qualora quest'ultima sia stata trascritta dopo decorsi cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato. Il verificarsi del duplice presupposto della trascrizione del titolo di acquisto e dell'omissione della trascrizione della domanda di dichiarazione di nullità entro il quinquennio attribuisce pertanto sia al primo acquirente sia ad ogni altro successivo avente causa una posizione di piena tutela nei confronti della pretesa di invalidità del titolo del dante causa" (Cass. civ., Sez. I, sentenza 20.05.1967, n. 1095).
16.6. La soluzione inaugurata dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2755/2011, con tutta evidenza, trae fondamento nell'evoluzione del sindacato del giudice che si è trasformato da giudizio di mera conformità dell’atto ad un determinato parametro normativo a giudizio sul legittimo esercizio della funzione amministrativa con riferimento al rapporto.
Nella prospettiva tradizionale –e ormai superata perché incentrata esclusivamente sulla legittimità/illegittimità dell’atto– la posizione di sovraordinazione, propria dell’amministrazione, impediva di individuare vincoli in capo all’ente nel rapporto con il privato (prima suddito e poi cittadino) e conseguentemente nessuno spazio vi era per una “relazione giuridica in senso proprio”. Come affermato dalla dottrina, “l’ordinamento giuridico poteva anche disciplinare il potere dell’amministrazione con norme volte ad orientare l’attività della medesima nell’interesse della stessa amministrazione (norme d’azione), ma senza che si instaurasse una relazione giuridica in senso proprio”.
Con l’affermarsi dello Stato di diritto –e poi con alcune rilevanti modifiche normative (possibilità di risarcire i danni cagionati da lesioni agli interessi legittimi, impugnazione di atti connessi con l’istituto dei motivi aggiunti, possibilità di valutare la fondatezza della pretesa e non annullabilità degli atti illegittimi che non potevano avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato)– l’interesse legittimo ha assunto un’indiscutibile valenza sostanziale consentendo di ricostruire “i termini dialettici … di una relazione giuridica bilaterale” in cui è essenziale penetrare nel rapporto tra amministrazione e cittadino per saggiarne la reale consistenza. Emblematico in tal senso è la disposizione che esclude l’annullamento dell’atto illegittimo quando il contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Altra dottrina –dopo aver distinto il “rapporto dinamico (procedimento) e quello statico (provvedimento), poiché nella dinamica procedimentale il privato, parte del rapporto, interagisce col responsabile del procedimento, mentre nel provvedimento è solo destinatario rispetto all'assetto degli interessi”– ha insistito per la costruzione di un più maturo quadro di tutele che, ad avviso della Sezione, non può che passare per un ampliamento degli schemi consolidati.
Anche la giurisprudenza ha rilevato che “l'interesse legittimo non rileva come situazione meramente processuale, ossia quale titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, né si risolve in un mero interesse alla legittimità dell'azione amministrativa in sé intesa, ma si rivela posizione schiettamente sostanziale, correlata, in modo intimo e inscindibile, ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione a seconda che si tratti di interesse oppositivo o pretensivo) può concretizzare un pregiudizio”; conseguentemente si aprono le porte ad un “giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata” (Cons. St., a.p., 23.03.2011, n. 3).
È bene precisare però che quanto sino ad ora affermato non deve mai travalicare i confini del merito amministrativo, se non nei rari casi previsti dalla legge (articolo 134 c.p.a).
16.7. Non può inoltre omettersi di osservare come l’impostazione accolta in questa sede si ponga in continuità con l’indirizzo accolto dalla giurisprudenza eurounitaria.
La Corte di Giustizia, prima in applicazione dell’articolo 231 Trattato CE, poi in ossequio a quanto stabilito dall’articolo 264 TFUE, ritiene di poter decidere, di volta in volta, sugli effetti dell’annullamento nel caso di riscontrata invalidità di un regolamento e “anche nei casi di impugnazione delle decisioni, delle direttive e di ogni altro atto generale”.
A tale riguardo, giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 264 TFUE, se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato. Viene altresì precisato che, ove lo reputi necessario, la Corte precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi.
Con la sentenza 10.01.2006, in causa C-178/03, la Corte, richiamando l’articolo 231, secondo comma, allora vigente, ha mantenuto gli effetti dell’atto annullato “sino all’adozione, entro un termine ragionevole, di un nuovo regolamento basato su fondamenti normativi adeguati”.
Con altra sentenza, sempre la Corte di Giustizia, ha mantenuto gli effetti dell’atto impugnato “per un periodo non eccedente i tre mesi”, a decorrere dalla data di pronuncia della sentenza, sul presupposto che l'annullamento con effetto immediato avrebbe potuto “arrecare un pregiudizio grave ed irreversibile all'efficacia delle misure” imposte dall’atto caducato (Corte di giustizia, sentenza 03.09.2008, in cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P).
Di particolare interesse è altra pronuncia con la quale la Corte di Giustizia, dopo aver riscontrato l’illegittimità di una decisione, ha sospeso “gli effetti della constatazione d’invalidità”, per un periodo non superiore a due mesi, stabilendo altresì alcune eccezioni in considerazione della particolare posizione di determinati ricorrenti (Corte di giustizia, sentenza 22.12.2008, in causa C-333/07).
Parimenti, l’analisi delle tradizioni giurisprudenziali straniere (in specie francese) dimostra il diffuso riconoscimento di deroghe alla retroattività delle sentenze di annullamento.
In particolare, il Conseil d'Etat, in data 11.05.2004, Association Ac ed Autres, ha ritenuto che “Se l'annullamento di un atto amministrativo implica in linea di principio che tale atto non si considera mai avvenuto, quando le conseguenze di un annullamento retroattivo sarebbero manifestamente eccessive per gli interessi pubblici e privati coinvolti, il giudice può, in via eccezionale, modulare nel tempo gli effetti dell’annullamento che pronuncia”.
16.8. La Sezione non ignora che le tesi sostenute con la citata sentenza n. 2755 del 2011 siano state solo occasionalmente accolte dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado (cfr. TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 13.12.2011, n. 700; TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis, sentenza 09.04.2014, n. 3838; TAR Molise, sentenza 21.11.2014, n. 637).
E ciò ancorché ancora recentemente la Sezione VI del Consiglio di Stato, con sentenza 06.04.2018, n. 2133, ha affermato che “il giudice amministrativo -anche in sede di cognizione- può comunque determinare se, nel caso di fondatezza delle censure poste a base di una domanda di annullamento, sussistano i presupposti per applicare il principio generale per il quale l’atto illegittimo vada rimosso con effetti ex tunc, oppure vada rimosso con effetti ex nunc, ovvero l’atto stesso non vada rimosso, ma debba o possa essere sostituito, con un ulteriore provvedimento, a sua volta se del caso avente effetti ex nunc (cfr. Cons. St., Sez. VI, sentenza 10.05.2011, n. 2755; Cons. St., Ad. plen., sentenza 22.12.2017, n. 13).
Anche in considerazione del principio di effettività della tutela del ricorrente vittorioso (richiamato dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo), in rapporto alla consistenza dei poteri comunque esercitabili dall’Amministrazione a seguito della rilevata illegittimità del suo provvedimento, il giudice amministrativo -con la sentenza di cognizione o d’ottemperanza- nell’esercizio dei propri poteri conformativi e se del caso di merito può determinare quale sia la regola più giusta, che regoli il caso concreto.
Tale ampio potere del giudice amministrativo deve però tenere conto della normativa applicabile nella materia in questione e non deve condurre a conseguenze incongrue o asistematiche
”.
In effetti il giudice amministrativo fa un uso molto avveduto del potere in esame, limitandolo alle sole ipotesi in cui un temperamento alla regola della caducazione retroattiva degli atti illegittimi si renda strettamente necessario per la tutela degli interessi rilevanti nel caso concreto, così come s’è visto accade oltralpe.
16.9.
In conclusione reputa la Sezione che risponda meglio al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale la possibilità di “modulare” gli effetti dell’annullamento.
Tale potere, tuttavia, dovrà essere utilizzato in modo accorto e solo nelle ipotesi in cui si renda necessario per una migliore tutela degli interessi fatti valere nel giudizio in confronto con quelli pubblici e privati coinvolti.
E ciò anche al fine di evitare che le esigenze di effettività della tutela trasmodino –com’è stato giustamente paventato- in situazioni di incertezza giuridica o amministrativa.
In particolare
tale possibilità soccorrerà allorché -come nel caso in esame- occorre evitare che l’annullamento di un atto dell’amministrazione possa generare una condizione amministrativa di vuoto regolatorio (in caso di annullamento di atti normativi o generali), tale da determinare effetti peggiorativi della posizione giuridica tutelata col ricorso, nel senso di pregiudicare, anziché proteggere, il bene della vita che l’interessato aspira a conseguire o mantenere.
Sotto questo profilo, il caso qui all’odierno esame della Sezione appare paradigmatico: l’annullamento del piano specifico AIB potrebbe indurre indirettamente un effetto di paralisi dell’azione amministrativa di prevenzione incendi, impedire dunque anche quegli interventi urgenti, necessari a mitigare il rischio di incendi boschivi e, con l’approssimarsi della stagione estiva, aumentare di fatto ancor di più il rischio di devastanti incendi, difficilmente controllabili, con il risultato paradossale che l’accoglimento del ricorso proposto dalle associazioni ambientaliste per garantire più elevati livelli di tutela del paesaggio tutelato e delle aree naturali protette che ospitano specie vegetali e animali nel sistema Rete Natura 2000 potrebbe finire per (con)causare indirettamente la distruzione definitiva di quei paesaggi e di quegli habitat naturali.
16.10. Per le considerazioni sino a qui espresse, quindi,
il Consiglio esprime parere nel senso che il ricorso vada accolto, disponendo l'annullamento degli atti impugnati, nei limiti delle censure accolte e solo a decorrere dall'approvazione del nuovo piano AIB, approvazione che dovrà avvenire nel rispetto dei principi affermati con la presente decisione nel termine di 180 giorni dalla comunicazione del decreto che decide il ricorso.
Per garantire la piena tutela degli interessi fatti valere col ricorso e degli interessi pubblici coinvolti, dunque, il piano qui annullato rimane in vigore durante il predetto periodo di 180 giorni. Resta chiaro che le Autorità competenti, in tale lasso temporale, hanno l’obbligo di adottare tutte le misure e le azioni, eventualmente anche in attuazione parziale del piano qui annullato, per mettere in sicurezza il sito nonché per fronteggiare gli interventi improcrastinabili e indifferibili relativi ad aree -soprattutto vicine ad insediamenti antropici- che presentano rischi elevati secondo la prudente e responsabile valutazione delle amministrazioni che certamente non compete a questo Decidente.
Decorso il predetto termine, il piano oggetto del ricorso rimane definitivamente annullato e privo di effetti con la conseguenza che, qualora l’amministrazione non dovesse ottemperare alla decisione, parte ricorrente potrà agire in sede di ottemperanza secondo il costante orientamento della giurisprudenza (ex multis, Cons. St., ad. plen., 05.06.2012, n. 18; Cons. St., ad. plen., 06.05.2013, n. 9; Cons. St., ad. plen., 14.07.2015, n. 7).
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere accolto esclusivamente nei limiti e con le prescrizioni indicati in motivazione.

ATTI AMMINISTRATIVIAmministrazione trasparente: le sezioni sono obbligatorie?
Domanda
Sulla base del gestionale informatico che è stato acquistato di recente, abbiamo notato che nella sezione Amministrazione trasparente, compare anche la sotto-sezione "Strutture sanitarie private accreditate".
Essendo un ente locale (comune sotto 10.000 abitanti) è possibile eliminare la sotto-sezione dall’Albero?
Risposta
Come previsto nell’articolo 48, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, modificato dall’articolo 39 del d.lgs. 97/2016, all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) viene demandato il compito di definire i criteri, i modelli e gli schemi standard per l’organizzazione, la codificazione e la rappresentazione dei documenti, delle informazioni e dei dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, ai sensi della normativa vigente, nonché relativamente all’organizzazione della sezione «Amministrazione trasparente».
L’ANAC ha provveduto, da ultimo, a svolgere il compito assegnatole dal legislatore nazionale, mediante l’adozione dell’Allegato “1” alla delibera n. 1310 del 28.12.2016, dove sono state previste n. 26 sotto-sezioni di Livello 1, tra le quali, figura tutt’ora la sotto-sezione “Strutture sanitarie private accreditate” a cui si fa riferimento nel quesito.
Come ben specificato nel comma 4, dell’articolo 41, del d.lgs. 33/2013, l’obbligo riguarda la pubblicazione annuale dell’elenco delle strutture sanitarie private accreditate. Devono essere, inoltre, pubblicati gli accordi con esse intercorsi.
L’articolo 41, del decreto Trasparenza è, appunto, rubricato “Trasparenza del servizio sanitario nazionale”.
Tra i svariati compiti e funzioni riservati ai comuni dalle leggi nazionali e regionali non compare la competenza per l’accreditamento delle strutture sanitarie, compito che, come sappiamo, è svolto dalle regioni.
Chiarito, pertanto, che i comuni non sono soggetti a nessuna pubblicazione nella sotto-sezione in parola, resta da definire se è possibile eliminare la sotto-sezione dall’alberatura.
A parere di chi scrive, la risposta è negativa dal momento che il d.lgs. 33/2013, all’art. 48, comma 4, prevede che gli standard e i modelli dell’Alberto della Trasparenza debbano assicurare “la soddisfazione delle esigenze di uniformità delle modalità di codifica e di rappresentazione delle informazioni e dei dati pubblici”.
In aggiunta, si ricorda che l’Allegato A, del d.lgs. 33/2013, ben specifica che le sotto-sezioni devono essere denominate esattamente come indicato in Tabella 1, lasciando chiaramente intendere che la struttura di Amministrazione trasparente non è modificabile a piacere dai singoli enti. La stessa ANAC, a conferma di quanto sopra, suggerisce che non è consigliabile lasciare le sotto sezioni vuote. L’Autorità considera questi casi specifici, infatti, come omessa pubblicazione. Meglio inserire una dicitura (o un documento) che dia conto delle motivazioni della mancanza dei contenuti. Nel caso del vostro comune la dicitura che si consiglia di inserire è la seguente: “Disposizione non applicabile al comune. La sezione è di esclusiva competenza delle amministrazioni facenti capo al Servizio Sanitario Nazionale”.
Chiudiamo con un piccola curiosità.
Per formulare la presente risposta ci è capitato di consultare numerosi siti web, sezione Amministrazione trasparente di alcune pubbliche amministrazioni. Tra queste, per esempio, il sito della presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero della Salute, Ministero Interno, Giustizia, MIT, MIUR, Esteri e Ministero dello sviluppo economico (MISE). Oppure, restando ai comuni, quelli di Milano, Bologna, Roma e Napoli. Come verifica finale abbiamo pensato di andare a consultare l’Albero della Trasparenza di ANAC (se non lo sanno loro…)
Ebbene, in nessuno di questi siti, nella sezione Amministrazione Trasparente, compare il link “Strutture sanitarie private accreditate”, che risulta presente, invece, nei siti web del Garante privacy italiano, CNEL, ANCI (Ass. Comuni Italiani), Ministero della Difesa, AGID-Agenzia per l’Italia Digitale, Corte dei Conti, comune Trento, comune Catanzaro, Camera Commercio Padova, Le Gallerie degli Uffizi, eccetera eccetera.
Quindi, la risposta, revisionata, al quesito diventa la seguente “fate come volete” (30.06.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIDiffusione nominativi defunti covid-19 e tutela dei dati personali.
Domanda
Nel nostro Comune, da molti giorni non si registrano più nuovi contagi, ma il bollettino delle vittime purtroppo è stato elevato.
In occasione della cerimonia per festa del Patrono, il sindaco avrebbe intenzione di ricordare pubblicamente i nostri concittadini deceduti in conseguenza del COVID-19, ma vorremmo sapere se ci sono problemi di privacy.
Risposta
Il quesito posto richiede una premessa relativa al trattamento dei dati personali delle persone decedute.
Il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.04.2016 (GDPR), non contempla una disciplina specifica in merito, rinviando alla legislazione degli Stati membri. La clausola di salvaguardia contenuta nel Considerando 27, prevede che il presente regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute. Gli Stati membri possono prevedere norme riguardanti il trattamento dei dati personali delle persone decedute?
Il decreto legislativo 30.06.2003, n. 196 (Codice Privacy italiano), come ampiamente modificato dal decreto legislativo 10.08.2018, n. 101, disciplina, all’art. 2-terdecies, i diritti riguardanti le persone decedute, disponendo, al comma 1, che i diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione. Da ciò deduce che i dati personali del defunto meritano tutela sia nell’interesse del defunto stesso che dei suoi familiari.
Sul punto si espresso chiaramente il Garante per la protezione dei dati personali (Garante Privacy italiano) il 10.02.2019, con riferimento ad un diniego di accesso da parte di una azienda sanitaria al percorso clinico di un paziente, affermando che “ai dati personali concernenti le persone decedute continuano ad applicarsi le tutele previste dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali”.
Nel caso di specie occorre, peraltro, tener conto della circostanza che si tratta di persone decedute per contagio da COVID-19.
Come noto il Garante privacy, sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, ha ritenuto ammissibili le limitazioni del diritto alla privacy soltanto se giustificate dall’esigenza di contenere il contagio e dunque nella misura strettamente necessaria alla tutela del diritto alla salute della collettività
Il Comune detiene i nominativi dei soggetti colpiti da COVID-19 per finalità connesse alla gestione dell’emergenza e non può farne un uso diverso. Inoltre, la diffusione di dati relativi alla salute è vietata espressamente dall’art. art. 2-septies, comma 8 del Codice Privacy.
Il Garante Privacy ha ricevuto segnalazioni e reclami con i quali viene lamentata, da parte dei familiari, la diffusione sui canali social e sugli organi di stampa, anche on-line, di dati personali riguardanti soggetti risultati positivi al Covid 19. Nello stigmatizzare questo comportamento degli organi di stampa, il Garante precisa che l’obbligo di rispettare la dignità e la riservatezza dei malati vige anche per gli utenti dei social, a cominciare da alcuni amministratori locali, che spesso diffondono dati personali di persone decedute o contagiate senza valutarne interamente le conseguenze per gli interessati e per i loro famigliari.
Seppure l’iniziativa del comune finalizzata semplicemente a celebrare la memoria dei propri concittadini, considerate le circostanze della malattia e del decesso, è possibile che i parenti delle vittime vogliano mantenere il silenzio. A fronte di tale iniziativa, pertanto, non si può escludere il rischio di denunce nei confronti del comune per cui si consiglia, quanto meno, di acquisire il consenso dei familiari (23.06.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOIndicizzazione dei dati: quando è vietata.
Domanda
Il nostro Nucleo di Valutazione ci ha fatto notare che nell’attestazione da compilare per la rilevazione di quest’anno sugli obblighi di pubblicazione in Amministrazione Trasparente, c’è una novità riferita alle modalità adottate dall’ente per indicizzare o meno i dati pubblicati.
Cosa riguarda? Cosa dobbiamo fare?
Risposta
Il principale riferimento normativo rispetto a quanto l’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) chiede di dichiarare nel documento di attestazione, a cura degli Organismi Indipendenti di Valutazione –OIV– (o dei Nucleo di Valutazione), in occasione della rilevazione 2020 sulle pubblicazioni di Amministrazione Trasparente, è il cosiddetto decreto Milleproroghe (n. 162 del 30.12.2019), che prevede lo slittamento di una serie di termini legislativi in materia finanziaria, di organizzazione di pubbliche amministrazioni e magistrature.
Tra le varie disposizioni sostanziali, il Milleproroghe, l’articolo 1, comma 7-ter, nel testo introdotto dalle legge di conversione n. 8 del 28.02.2020, stabilisce che “non è comunque consentita l’indicizzazione dei dati e delle informazioni oggetto del regolamento di cui al comma 7”, diversamente da quanto dispone in merito il decreto Trasparenza (d.lgs. 33/2013) che evidenzia, invece, l’obbligo di indicizzazione in due specifiche norme:
   • all’articolo 9, comma 1;
   • articolo 7-bis, introdotto dal decreto legislativo n. 97/2016.
Il regolamento interministeriale citato con riguardo ai dati non indicizzabili, non è ancora stato adottato (lo sarà entro il 31.12.2020, salvo proroghe) e si riferisce, in particolare, ai dati e alle informazioni relativi ai titolari di incarichi politici, di direzione e di governo, oltre ai dirigenti e alle posizioni organizzative con funzioni dirigenziali, così come evidenziati dall’articolo 14, comma 1, del d.lgs. 33/2013, come modificato dal d.lgs. 97/2016. Tale regolamento, avrà lo scopo di individuare con precisione i dati e le informazioni –riguardanti i soggetti citati– che saranno oggetto di pubblicazione nella sezione di Amministrazione Trasparente del sito web istituzionale, sulla base di determinati criteri, secondo il (giusto) principio della “graduazione dell’obbligo”.
Pertanto, possiamo rappresentare il quadro normativo nel modo seguente:
   1. il decreto Trasparenza prevede l’obbligo generale di indicizzare i dati, evitando di disporre filtri o altre soluzioni tecnico–informatiche che impediscono ai motori di ricerca di rintracciare dati e informazioni pubblicate nella sezione del sito web istituzionale di Amministrazione Trasparente, permettendo, quindi, il loro riutilizzo nel rispetto dei principi sul trattamento dei dati personali;
   2. il decreto Milleproroghe introduce una misura di tutela disponendo, invece, che non siano indicizzabili i soli dati relativi ai titolari di incarichi politici, di direzione e di governo, oltre ai dirigenti e alle posizioni organizzative con funzioni dirigenziali.
È importante evidenziare che fino al 31.12.2020 –data ultima in cui il regolamento interministeriale dovrà essere adottato– risultano sospese le sanzioni disposte dal decreto Trasparenza (articoli 46 e 47) per la mancata pubblicazione dei dati e delle informazioni citate sopra al punto 2), nelle more dell’adozione di provvedimenti che chiariscano la questione sollevata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 20 del 23.01.2020.
Comunque, gli obblighi di pubblicazione di tali dati continuano a permanere! È stata temporaneamente sospesa solamente l’applicazione delle sanzioni.
Tornando a quanto riportato sul documento di attestazione, che deve essere compilato dall’Organismo Indipendente di Valutazione –OIV– (o dal Nucleo di Valutazione) in occasione della rilevazione 2020 sull’adempimento degli obblighi di pubblicazione in Amministrazione Trasparente, l’ente deve dichiarare, quindi, di essersi o meno già allineato alla normativa, comunicando all’OIV (o al Nucleo) se ha o meno adottato filtri e/o altre soluzioni tecniche, allo scopo di impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare ricerche che abbiano per oggetto i dati e le informazioni che il legislatore ha individuato come non rintracciabili (16.06.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl diritto di accesso a documenti amministrativi è riconosciuto a chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, che corrisponde ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso, non essendo pertanto necessaria l'instaurazione di un giudizio bensì sufficiente la dimostrazione del grado di protezione al bene della vita dal quale deriva l'interesse ostensivo, pertanto la legittimazione all'accesso agli atti della P.A. va riconosciuta a chi è in grado di dimostrare che gli atti oggetto dell'accesso hanno prodotto o possano produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, a prescindere dalla lesione di una posizione giuridica.
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L’art. 24 L. 241/1990 -dopo aver previsto, al comma 1, le fattispecie nelle quali il diritto di accesso è escluso- al comma successivo affida alle singole amministrazioni il compito di individuare “le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1”.
L’ANAC, nel dare attuazione a tali disposizioni con il Regolamento del 24.10.2018, non si è limitata a indicare (all’art. 22) i documenti esclusi dall’accesso per motivi di riservatezza di terzi, persone, gruppi e imprese e (all’art. 23) i documenti esclusi dall’accesso per motivi inerenti la sicurezza e le relazioni internazionali, ma ha previsto (all’art. 24) un’ulteriore categoria di documenti sottratti all’accesso “per motivi di segretezza e riservatezza dell’Autorità”, che comprende:
   “a) le note, gli appunti, le proposte degli uffici ed ogni altra elaborazione con funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti ad eccezione delle parti che costituiscono motivazione per relationem dell’atto o provvedimento, opportunamente oscurate nel rispetto della normativa sulla riservatezza;
   b) i pareri legali relativi a controversie in atto o potenziali e la inerente corrispondenza, salvo che gli stessi costituiscano presupposto logico giuridico di provvedimenti assunti dall’Autorità e siano in questi ultimi richiamati;
   c) gli atti e la corrispondenza inerenti la difesa dell’Autorità nella fase precontenziosa e contenziosa e i rapporti rivolti alla magistratura contabile e penale;
   d) i verbali delle riunioni del Consiglio nelle parti riguardanti atti, documenti ed informazioni sottratti all’accesso o di rilievo puramente interno; e) i documenti inerenti l’attività relativa all'informazione, alla consultazione e alla concertazione e alla contrattazione sindacale, fermi restando i diritti sindacali previsti anche dai protocolli sindacali”.
Tale ulteriore categoria, che non trova un immediato e diretto riscontro nell’art. 24 L. 241/1990, deve comunque essere interpretata alla luce della disciplina generale del diritto di accesso posta dagli articoli 22 e ss. della predetta legge.
Ne consegue, per quanto qui di interesse, che la disposizione dell’art. 24, comma 1, lett. a), relativa a “le note, gli appunti, le proposte degli uffici ed ogni altra elaborazione con funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti” non può trovare applicazione laddove i suddetti atti vadano ad innestarsi nell’iter procedimentale, assumendo la configurazione di veri e propri atti endoprocedimentali.
Ne consegue, altresì, che le disposizioni dell’art. 24, comma 1, lett. a), devono essere interpretate sia alla luce dell’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241/1990, che assoggetta al diritto di accesso anche gli atti interni al procedimento, sia alla luce del già richiamato art. 24, comma 1, della legge n. 241/1990, che indica i documenti sottratti all’accesso.
Ciò comporta che la predetta disposizione, nella parte in cui sottrae all’accesso “le note, gli appunti, le proposte degli uffici ed ogni altra elaborazione con funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti” risulterebbe in palese contrasto con l’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241/1990 se fosse interpretata nel senso di escludere tout court tali atti dal diritto di accesso, cioè anche nel caso in cui assumano la valenza di veri e propri atti endoprocedimentali.
Anche laddove si trattasse di annotazioni, appunti o bozze preliminari, deve rammentarsi che, secondo la giurisprudenza più risalente, solo le c.d. minute (intese come semplici appunti finalizzati alla redazione di documenti veri e propri) e gli scritti informali privi di firma o di sigla non costituiscono documenti amministrativi in senso proprio (ancorché presenti nel fascicolo di ufficio).
Peraltro, tale orientamento è stato di recente rivisto, in una vicenda riguardante l’accesso agli atti dell’AGCM, nel senso che "ogni “atto interno” afferente al momento decisorio … in quanto tale, rientra nel perimetro oggettivo dell’accesso documentale”, purché tale atto sia materialmente esistente e detenuto dall’amministrazione.
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5. Sempre in via preliminare si osserva che sussiste un interesse della parte ricorrente ad accedere agli atti richiesti.
Come chiarito da giurisprudenza consolidata (per tutte: TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 31.10.2019, n. 12541) “il diritto di accesso a documenti amministrativi è riconosciuto a chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, che corrisponde ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso, non essendo pertanto necessaria l'instaurazione di un giudizio bensì sufficiente la dimostrazione del grado di protezione al bene della vita dal quale deriva l'interesse ostensivo, pertanto la legittimazione all'accesso agli atti della P.A. va riconosciuta a chi è in grado di dimostrare che gli atti oggetto dell'accesso hanno prodotto o possano produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, a prescindere dalla lesione di una posizione giuridica”.
Nel caso di specie la parte ricorrente ha esplicitato di riservare eventuali iniziative giudiziarie, che non necessariamente devono ritenersi circoscritte all’impugnazione della delibera ANAC n. 780 del 04.09.2019.
Ciò posto va rilevata, fin d’ora, la fondatezza del motivo con il quale la ricorrente censura i provvedimenti impugnati in quanto accomunati da un’erronea interpretazione estensiva dell’ambito di applicazione delle cause di esclusione del diritto di accesso previste dell’art. 24 del Regolamento dell’Autorità del 24.10.2018, alla luce delle seguenti considerazioni.
5. Innanzitutto si rammenta che l’art. 24 L. 241/1990 -dopo aver previsto, al comma 1, le fattispecie nelle quali il diritto di accesso è escluso- al comma successivo affida alle singole amministrazioni il compito di individuare “le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1”.
L’ANAC, nel dare attuazione a tali disposizioni con il Regolamento del 24.10.2018, non si è limitata a indicare (all’art. 22) i documenti esclusi dall’accesso per motivi di riservatezza di terzi, persone, gruppi e imprese e (all’art. 23) i documenti esclusi dall’accesso per motivi inerenti la sicurezza e le relazioni internazionali, ma ha previsto (all’art. 24) un’ulteriore categoria di documenti sottratti all’accesso “per motivi di segretezza e riservatezza dell’Autorità”, che comprende:
   “a) le note, gli appunti, le proposte degli uffici ed ogni altra elaborazione con funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti ad eccezione delle parti che costituiscono motivazione per relationem dell’atto o provvedimento, opportunamente oscurate nel rispetto della normativa sulla riservatezza;
   b) i pareri legali relativi a controversie in atto o potenziali e la inerente corrispondenza, salvo che gli stessi costituiscano presupposto logico giuridico di provvedimenti assunti dall’Autorità e siano in questi ultimi richiamati;
   c) gli atti e la corrispondenza inerenti la difesa dell’Autorità nella fase precontenziosa e contenziosa e i rapporti rivolti alla magistratura contabile e penale;
   d) i verbali delle riunioni del Consiglio nelle parti riguardanti atti, documenti ed informazioni sottratti all’accesso o di rilievo puramente interno; e) i documenti inerenti l’attività relativa all'informazione, alla consultazione e alla concertazione e alla contrattazione sindacale, fermi restando i diritti sindacali previsti anche dai protocolli sindacali
”.
Tale ulteriore categoria, che non trova un immediato e diretto riscontro nell’art. 24 L. 241/1990, deve comunque essere interpretata alla luce della disciplina generale del diritto di accesso posta dagli articoli 22 e ss. della predetta legge.
Ne consegue, per quanto qui di interesse, che la disposizione dell’art. 24, comma 1, lett. a), relativa a “le note, gli appunti, le proposte degli uffici ed ogni altra elaborazione con funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti” non può trovare applicazione laddove i suddetti atti vadano ad innestarsi nell’iter procedimentale, assumendo la configurazione di veri e propri atti endoprocedimentali.
Ne consegue, altresì, che le disposizioni dell’art. 24, comma 1, lett. a), devono essere interpretate sia alla luce dell’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241/1990, che assoggetta al diritto di accesso anche gli atti interni al procedimento, sia alla luce del già richiamato art. 24, comma 1, della legge n. 241/1990, che indica i documenti sottratti all’accesso.
Ciò comporta che la predetta disposizione, nella parte in cui sottrae all’accesso “le note, gli appunti, le proposte degli uffici ed ogni altra elaborazione con funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti” risulterebbe in palese contrasto con l’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241/1990 se fosse interpretata nel senso di escludere tout court tali atti dal diritto di accesso, cioè anche nel caso in cui assumano la valenza di veri e propri atti endoprocedimentali (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24.09.2015, n. 4481).
Anche laddove si trattasse di annotazioni, appunti o bozze preliminari, deve rammentarsi che, secondo la giurisprudenza più risalente, solo le c.d. minute (intese come semplici appunti finalizzati alla redazione di documenti veri e propri) e gli scritti informali privi di firma o di sigla non costituiscono documenti amministrativi in senso proprio (ancorché presenti nel fascicolo di ufficio) (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II, 23.02.2015, n. 3068).
Peraltro, tale orientamento è stato di recente rivisto, in una vicenda riguardante l’accesso agli atti dell’AGCM, nel senso che "ogni “atto interno” afferente al momento decisorio … in quanto tale, rientra nel perimetro oggettivo dell’accesso documentale” (Cons. Stato, Sez. VI, ord. n. 6340 del 23.09.2019), purché tale atto sia materialmente esistente e detenuto dall’amministrazione (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 29.05.2920, n. 5736; id. ord. 13.05.2020, n. 5023).
Nel caso di specie gli atti di interesse della parte ricorrente, per come individuati dall’amministrazione, sono invece veri e propri documenti amministrativi endoprocedimentali, firmati e muniti di data e protocollo interno, dunque senz’altro accessibili se non rientranti nell’ambito di applicazione degli articoli 22 e 23 del Regolamento.
Conclusivamente, per quanto precede, il ricorso per motivi aggiunti deve essere accolto dovendo l’ANAC consentire l’accesso agli atti richiesti come innanzi individuati, con eventuale oscuramento di parti sensibili nel rispetto della normativa sulla riservatezza (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 11.06.2020 n. 6457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Come osservato dalla giurisprudenza, “nel processo amministrativo impugnatorio la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi-motivi si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo”.
Nel processo amministrativo, quindi, il ricorso cumulativo, pur non essendo precluso in astratto ha, comunque, carattere eccezionale, che si giustifica se ricorre una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all'interno della medesima azione amministrativa.
Si ritiene, quindi, che la cumulabilità delle impugnative imponga che tra gli atti gravati debba potersi rintracciare una ragione comune per cui, anche se appartengono a procedimenti diversi, sono fra loro comunque collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità o comunque di connessione.
In sostanza, il cumulo delle cause, richiede un collegamento tra gli atti di tipo procedimentale tanto da determinare un quadro unitariamente lesivo degli interessi del ricorrente (come nel caso dell’impugnazione congiunta dell’atto presupposto e di quello conseguenziale), ovvero è possibile quando gli atti si fondano su identici presupposti e le censure proposte implicano la soluzione di identiche questioni (come, ad esempio, nel caso di impugnazione di diversi dinieghi in materia urbanistica fondati sull’interpretazione delle stesse norme del piano regolatore generale). Devono ritenersi invece preclusi i ricorsi cumulativi quando danno origine a controversie del tutto differenti, prive di qualunque collegamento tra loro.
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Con specifico riferimento alle gare pubbliche la giurisprudenza amministrativa ritiene che, nel caso di presentazione di offerte per più lotti, l'impugnazione possa essere proposta con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto.
Si tratta di un orientamento che viene, in sostanza, “codificato” nella previsione di cui all’articolo 120, comma 11-bis, c.p.a, introdotto dall'articolo 204, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50.
Secondo tale orientamento “l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta”.
Il cumulo di azioni è, quindi, ammissibile solo a condizione che le domande si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale.
In quest’ultimo caso, infatti, si ricade nell’ipotesi generale nella quale gli atti –sebbene formalmente distinti– si fondano sui medesimi presupposti e le censure dedotte nei loro confronti sono le stesse: in tale situazione, infatti, la diversità degli atti è meramente nominalistica in quanto hanno tutti il medesimo contenuto dispositivo, fondandosi sui medesimi presupposti.
La ricostruzione operata dalla giurisprudenza sin qui richiamata non pone, inoltre, problemi di compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione europea.
Infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione europea afferma: “l’articolo 1 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, nonché i principi di equivalenza ed effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi”.
Inoltre, secondo la Corte, “l’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza ed effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici”. Tale insegnamento della Corte risulta valevole anche nel caso all’attenzione del Collegio in quanto la decisione risulta fondata sui medesimi principi su cui il legislatore europeo codifica le direttive in materia di appalti attualmente vigenti.

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19. Prima di procedere alla disamina nel merito di tale motivo si deve verificare, tuttavia, la fondatezza dell’eccezione in ordine al ricorso per motivi aggiunti ove sono articolate una serie di censure relative alle offerte tecniche della controinteressata presentate in relazione ai lotti 1, 2 e 3.
19.1. Sul punto il Collegio ritiene opportuno, prima di procedere all’interpretazione della previsione di cui all’articolo 120, comma 11-bis, c.p.a., richiamare i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa in tema di ricorso cumulativo.
19.2. Come osservato dalla giurisprudenza, “nel processo amministrativo impugnatorio la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi-motivi si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo (Consiglio di Stato, Ad. plen., 27.04.2015, n. 5; altresì, IV, 26.08.2014, n. 4277; V, 27.01.2014, n. 398; V, 14.12.2011, n. 6537)” (Consiglio di Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569).
Nel processo amministrativo, quindi, il ricorso cumulativo, pur non essendo precluso in astratto ha, comunque, carattere eccezionale, che si giustifica se ricorre una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all'interno della medesima azione amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16.04.2019, n. 2481; Consiglio di Stato, Sez. III, 07.12.2015 n. 5547; Consiglio di Stato, Sez. IV, 18.03.2010 n. 1617).
Si ritiene, quindi, che la cumulabilità delle impugnative imponga che tra gli atti gravati debba potersi rintracciare una ragione comune per cui, anche se appartengono a procedimenti diversi, sono fra loro comunque collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità o comunque di connessione (Consiglio di Stato, Sez. V, 14.03.2019, n. 1687).
In sostanza, il cumulo delle cause, richiede un collegamento tra gli atti di tipo procedimentale tanto da determinare un quadro unitariamente lesivo degli interessi del ricorrente (come nel caso dell’impugnazione congiunta dell’atto presupposto e di quello conseguenziale), ovvero è possibile quando gli atti si fondano su identici presupposti e le censure proposte implicano la soluzione di identiche questioni (come, ad esempio, nel caso di impugnazione di diversi dinieghi in materia urbanistica fondati sull’interpretazione delle stesse norme del piano regolatore generale). Devono ritenersi invece preclusi i ricorsi cumulativi quando danno origine a controversie del tutto differenti, prive di qualunque collegamento tra loro.
19.3. Con specifico riferimento alle gare pubbliche la giurisprudenza amministrativa ritiene che, nel caso di presentazione di offerte per più lotti, l'impugnazione possa essere proposta con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto (Consiglio di Stato, Sez. V, 08.02.2019, n. 948; Consiglio di Stato, Sez. III, 17.09.2018, n. 5434).
19.4. Si tratta di un orientamento che viene, in sostanza, “codificato” nella previsione di cui all’articolo 120, comma 11-bis, c.p.a, introdotto dall'articolo 204, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, (Consiglio di Stato, Sez. III, 04.02.2016, n. 449; Consiglio di Stato, Sez. V, 26.06.2015, n. 3241).
Secondo tale orientamento “l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta” (Consiglio di Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569).
19.5. Il cumulo di azioni è, quindi, ammissibile solo a condizione che le domande si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale (Consiglio di Stato, Sez. III, 15.05.2018, n. 2892).
In quest’ultimo caso, infatti, si ricade nell’ipotesi generale nella quale gli atti –sebbene formalmente distinti– si fondano sui medesimi presupposti e le censure dedotte nei loro confronti sono le stesse: in tale situazione, infatti, la diversità degli atti è meramente nominalistica in quanto hanno tutti il medesimo contenuto dispositivo, fondandosi sui medesimi presupposti.
19.6. La ricostruzione operata dalla giurisprudenza sin qui richiamata non pone, inoltre, problemi di compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione europea. Infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 06.10.2015 resa nella causa C-61/14, afferma: “l’articolo 1 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, nonché i principi di equivalenza ed effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi”.
Inoltre, secondo la Corte, “l’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza ed effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici”. Tale insegnamento della Corte risulta valevole anche nel caso all’attenzione del Collegio in quanto la decisione risulta fondata sui medesimi principi su cui il legislatore europeo codifica le direttive in materia di appalti attualmente vigenti (cfr., Consiglio di Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.06.2020 n. 1046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIVerbalizzazione delle attività espletate da un organo collegiale e forma scritta dei relativi atti.
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Atto amministrativo – Atto collegiale – Verbalizzazione – Natura.
  
Atto amministrativo – Forma – Atto collegiale – Forma scritta – Necessità – Esclusione.
  
La verbalizzazione delle attività espletate da un organo amministrativo costituisce un atto necessario, in quanto consente la verifica della regolarità delle operazioni medesime (1).
  
Gli atti adottati da un organo collegiale non devono necessariamente avere forma scritta (1).
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   (1) Ha affermato la Sezione che secondo la dottrina in materia di studio sugli atti amministrativi, il verbale può definirsi quale atto giuridico, appartenente alla categoria delle certificazioni, quale documento avente lo scopo di descrivere atti o fatti rilevanti per il diritto, compiuti alla presenza di un funzionario verbalizzante cui è stata attribuita detta funzione.
La verbalizzazione, pertanto, ha l’obiettivo di assicurare e dare conto della certezza
Un primo carattere importante degli atti verbali consiste nella documentazione di quanto si è verificato in relazione ad un determinato accadimento della vita e, nella sua qualità di atto amministrativo, deve essere distinto rispetto agli atti ed ai fatti che vengono rappresentati e descritti proprio nelle verbalizzazioni.
Ne è un esempio la deliberazione adottata ad esempio da parte di un certo organo collegiale che esiste a prescindere dall’atto verbale che ne riferisce i contenuti.
In relazione alla forma dell’atto amministrativo consistente nel verbale, occorre aggiungere che, in generale, il diritto amministrativo sancisce un principio (seppur temperato) di libertà della forma salvo che non sussistono del diritto positivo delle specifiche norme giuridiche che dispongono invece una determinata forma richiesta per l’esistenza dell’atto cd. ad substantiam.
Detto principio di libertà della forma, in ogni caso, è relativo alla possibilità di redazione di un atto in forma scritta senza il rispetto di particolari metodi solenni.
In sostanza la forma è un elemento che si lega alla dichiarazione, determinato per legge. Nel diritto amministrativo la forma degli atti è tendenzialmente libera, potendo l'atto amministrativo rivestire sia la forma scritta (es. un verbale) sia la forma orale (es. un atto iussivo) sia la forma simbolica o per immagini (es. un segnale stradale).
In genere è la legge che stabilisce quale forma l'atto debba assumere, in ossequio ai principi di tipicità e nominatività degli atti. In difetto, occorre valutare il grado di incidenza dell'atto sulle situazioni giuridiche dei destinatari e la natura degli interessi in gioco, richiedendosi preferibilmente la forma scritta nel caso di provvedimenti limitativi della sfera giuridica altrui.
Se la forma è essenziale, la sua violazione comporta, di regola, l'annullabilità dell'atto ed il relativo vizio è quello della violazione di legge.
Se si ritiene, peraltro, che la forma sia un elemento costitutivo all'atto, la sua mancanza comporta la nullità dell'atto. Se invece la violazione attiene ad un aspetto meramente formale, che non incide sugli elementi essenziali, allora il vizio può essere sanato mediante autocorrezione (es., in caso di mera irregolarità) ovvero mediante il principio del raggiungimento dello scopo.
Resta da chiarire che, in ogni caso, la forma dell’atto si distingue necessariamente rispetto alla documentazione nell’ambito della quale vengono trascritti gli accadimenti dei fatti occorsi.
Con ciò si afferma, pertanto, che, nel prescindere da un’essenziale esigenza di forma scritta per la sostanza dell’atto amministrativo, quest’ultimo è necessariamente documentabile mediante la scrittura od altro strumento da cui possa trarsi la verificabilità dell’atto o dei fatti avvenuti.
Si tenga inoltre conto che l’art. 22, l. n. 241 del 1990 offre una definizione di documento amministrativo e cioè ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi a uno specifico procedimento, detenuti da una Pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
Detta disposizione conferma la distinzione ontologica, adottata dallo stesso diritto positivo, tra atto amministrativo e sua documentazione.
   (2) Ha chiarito la Sezione che nello specifico degli atti degli organi collegiali, di norma la forma scritta non qualifica le decisioni adottate dagli stessi, potendosi le stesse manifestare mediante forme anche diverse dallo scritto, come per le votazioni e proclamazione delle stesse.
Successivamente rispetto alle votazioni espresse nell’ambito di un collegio, si procede a stilare l’atto di deliberazione che, in pratica, riproduce un atto già di per se valido ed efficace.
In tal caso il documento amministrativo contenente le manifestazioni di volontà del consesso e ha la funzione di conservare alla memoria la deliberazione così come è stata adottata.
Pertanto nell’ambito degli organi collegiali, la volontà viene manifestata mediante formalità che possono essere anche differenti dall’atto scritto.
La documentazione dell’atto, ovvero le deliberazioni, trova la sua fonte nella verbalizzazione di quanto viene manifestato all’interno della seduta del consesso.
Detto verbale forma la memoria conservativa rispetto a quanto è accaduto nell’ambito delle decisioni intraprese dall’assemblea e va a costituire la documentazione amministrativa necessaria ai fini amministrativi.
Tale verbalizzazione può avvenire, in certi casi, anche nella seduta successiva, in cui viene dato atto della deliberazione adottata (già adottata e perfezionata, quindi), nella seduta precedente.
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (11 dicembre 2001, n. 6208), infatti, il verbale ha il compito di attestare il compimento dei fatti svoltisi in modo tale che sia sempre verificabile la regolarità dell’iter di formazione della volontà collegiale e di permettere il controllo delle attività svolte, senza che sia necessaria una indicazione minuta delle singole attività che sono state compiute e le singole opinioni espresse.
Pertanto, distinguendo tra atto documentato e verbale ed anche tra documento e verbale in cui si conserva l’atto già valido, l’iter logico seguito per l’adozione di una deliberazione da parte di un organo collegiale deve risultare dalla delibera stessa e non dal verbale della seduta poiché il verbale ha l’esclusivo compito di certificare fatti storici già accaduti e di assicurare certezza a delle determinazioni che sono già state adottate e che sono già entrate a fare parte del mondo giuridico dal momento della loro adozione: la mancanza o il difetto di verbalizzazione non comportano, quindi, l’inesistenza dell’atto amministrativo, poiché a determinazione di volontà da parte dell’organo è distinta inequivocabilmente dalla sua proiezione formale.
Il difetto di verbalizzazione, in sintesi, non comporta l’inesistenza dell’atto amministrativo, dato che la determinazione volitiva dell’organo è ben distinta dalla sua proiezione formale (Cons. St., sez. IV, 18.07.2018, n. 4373), confermandosi, così, la distinzione tra atto deliberato e sua verbalizzazione.
Dal punto di vista contenutistico, di conseguenza, l’atto di verbalizzazione, ha una funzione di certificazione pubblica, contiene e rappresenta i fatti e gli atti giuridicamente rilevanti che è necessario siano conservati per le esigenze probatorie con fede privilegiata - dal momento che sono redatti da un pubblico ufficiale - che si sostanzia essenzialmente nella attendibilità in merito alla provenienza dell'atto, alle dichiarazioni compiute innanzi al pubblico ufficiale ed ai fatti innanzi a lui accaduti (Cass., sez. I, 3 dicembre 2002, n. 17106).
Infine, deve rammentarsi, che, secondo la maggioritaria giurisprudenza amministrativa, con la quale si concorda pienamente, il verbale non deve essere necessariamente prodotto ed approvato in contemporaneità con la seduta dell’organo collegiale, ma può essere prodotto anche in un momento successivo al provvedimento deliberativo adottato durante la seduta (Cons. St. n. 1189 del 2001).
Peraltro, la non ascrivibilità del verbale agli atti collegiali comporta che la sottoscrizione di tutti i componenti del collegio non è essenziale per la sua esistenza e validità, che possono essere incise solo dalla mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale redattore, ovvero dalla mancata indicazione delle persone intervenute (
Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 04.06.2020 n. 3544 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISecondo noti principi, il risarcimento del danno non costituisce una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo illegittimo, essendo necessario che il danneggiato alleghi e provi non solo la lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, ma anche la sussistenza di un danno ingiusto, il nesso causale tra condotta ed evento, nonché la colpa o il dolo della pubblica amministrazione.
In particolare, il risarcimento del danno “da ritardo”, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse.
Dunque, il mero ritardo nell'adozione del provvedimento non giustifica, di per sé, il riconoscimento di un danno risarcibile.
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3.1. Giova premettere che, secondo noti principi, il risarcimento del danno non costituisce una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo illegittimo, essendo necessario che il danneggiato alleghi e provi non solo la lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, ma anche la sussistenza di un danno ingiusto, il nesso causale tra condotta ed evento, nonché la colpa o il dolo della pubblica amministrazione.
In particolare, il risarcimento del danno “da ritardo”, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse.
Dunque, il mero ritardo nell'adozione del provvedimento non giustifica, di per sé, il riconoscimento di un danno risarcibile (Consiglio di Stato, sez. IV, 15/07/2019, n. 4951) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 04.06.2020 n. 429 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2020

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il principio di buon andamento impegna la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizza quindi anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente; il potere di autotutela decisoria in capo all'Amministrazione non ha in verità come unica finalità il mero ripristino della legalità, costituendo una potestà discrezionale che deve contemplare la verifica di determinate condizioni, previste dall'ordinamento e concernenti l'opportunità di correggere l'azione amministrativa svoltasi illegittimamente.
Anche i provvedimenti di annullamento in autotutela in materia di governo del territorio sono attratti all'alveo normativo dell'art. 21-nonies della Legge n. 241 del 1990 che, per effetto delle riforme introdotte dal Legislatore, ha riconfigurato il relativo potere attribuendo all'Amministrazione un coefficiente di discrezionalità che si esprime attraverso la valutazione dell'interesse pubblico in comparazione con l'affidamento del destinatario dell'atto; in particolare, in applicazione dei principi espressi anche dall'Adunanza plenaria, i presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento e dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.
L'esercizio del potere di autotutela è dunque, anche in materia di governo del territorio, espressione di una rilevante discrezionalità che non esime l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione; quanto appena richiamato in termini di principio, va all'evidenza esteso a quella peculiare tipologia di titoli edilizi derivanti da sanatorie speciali.
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Rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all'attuale versione dell'art. 21-nonies della Legge n. 241/1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, fatta salva, comunque, l'operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione del medesimo art. 21-nonies.
Depone a favore di tale interpretazione la stessa lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere emanato dopo 18 mesi dal momento dell’adozione – momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che essere successivo alla sua entrata in vigore– del provvedimento autorizzativo (di primo grado).
E’ bene aggiungere che il Decreto-legge 12.09.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla Legge 11.11.2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, rappresentato da «diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici»; a prescindere dall’applicabilità ratione temporis, detta disposizione in ogni caso rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti.

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4. Il Collegio ritiene che la causa sia fondata e meriti accoglimento nei termini che seguono.
In definitiva parte ricorrente lamenta l’esercizio del potere di autotutela in violazione della Legge n. 124/2015 e del principio di affidamento, nonché l’erroneità dell’istruttoria nella parte in cui si è ritenuto che l’istanza di sanatoria fosse stata presentata oltre il termine di novanta giorni dall’adozione dell’ordinanza di demolizione, quando dunque era già maturato l’effetto acquisitivo in capo al Comune di Aversa.
Così sinteticamente riassunte le questioni oggetto di contenzioso, appare opportuno richiamare in questa sede le coordinate ermeneutiche elaborate dalla giurisprudenza in materia.
4.1 In via preliminare va evidenziato che il principio di buon andamento impegna la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizza quindi anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente (TAR Calabria, Reggio Calabria, 24.10.2007, n. 1077; Cons. Stato, V, n. 508/1999; n. 1263/96; VI, 29.03.1996, n. 518; 30.04.1994, n. 652); il potere di autotutela decisoria in capo all'Amministrazione non ha in verità come unica finalità il mero ripristino della legalità, costituendo una potestà discrezionale che deve contemplare la verifica di determinate condizioni, previste dall'ordinamento e concernenti l'opportunità di correggere l'azione amministrativa svoltasi illegittimamente.
Anche i provvedimenti di annullamento in autotutela in materia di governo del territorio sono attratti all'alveo normativo dell'art. 21-nonies della Legge n. 241 del 1990 che, per effetto delle riforme introdotte dal Legislatore, ha riconfigurato il relativo potere attribuendo all'Amministrazione un coefficiente di discrezionalità che si esprime attraverso la valutazione dell'interesse pubblico in comparazione con l'affidamento del destinatario dell'atto; in particolare, in applicazione dei principi espressi anche dall'Adunanza plenaria (17.10.2017, n. 8), i presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento e dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.
L'esercizio del potere di autotutela è dunque, anche in materia di governo del territorio, espressione di una rilevante discrezionalità che non esime l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, IV, 07.09.2018, n. 5277); quanto appena richiamato in termini di principio, va all'evidenza esteso a quella peculiare tipologia di titoli edilizi derivanti da sanatorie speciali.
4.2 Ora parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 6 della Legge n. 124/2015 (cd. “Legge Madia”) allorché il Permesso di costruire in sanatoria del 25/09/2006 è stato oggetto di autotutela con l’impugnato provvedimento del 27/12/2018, ma il Collegio ritiene più correttamente di chiarire che l'annullamento è stato connotato dall’art. 21-nonies, come appunto modificato con Legge entrata in vigore il 28.08.2015, in termini di rinnovata manifestazione, entro un termine ragionevole, della funzione amministrativa; proprio con riguardo all’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 come appunto innovato dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1 della Legge n. 124/2015 (“comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20”), la Sezione ritiene che -nella disamina della sussistenza dei presupposti per l'esercizio delle prerogative di autotutela- vada per prima cosa esaminato l’aspetto riguardante la tempistica.
In proposito si ribadisce (cfr. sentenze n. 5648 del 29.11.2019; n. 6325 del 29.10.2018 alla cui ampia motivazione e alla giurisprudenza richiamata si rinvia, ai sensi dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., per la preliminare e sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento riguardante la tempestività dell’intervenuto annullamento) che, rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all'attuale versione dell'art. 21-nonies della Legge n. 241/1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, fatta salva, comunque, l'operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione del medesimo art. 21-nonies (Cons. Stato, VI, 08.05.2019, n. 2974; V, 19.01.2017, n. 250; VI, 13.7.2017, n. 3462).
Depone a favore di tale interpretazione la stessa lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere emanato dopo 18 mesi dal momento dell’adozione – momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che essere successivo alla sua entrata in vigore– del provvedimento autorizzativo (di primo grado).
E’ bene aggiungere (Cons. Stato, VI, 10.12.2015, n. 5625) che il Decreto-legge 12.09.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla Legge 11.11.2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, rappresentato da «diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici»; a prescindere dall’applicabilità ratione temporis, detta disposizione in ogni caso rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 28.05.2020 n. 2046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Adempimenti approvazione PTPCT.
Domanda
È possibile conoscere quali adempimenti dobbiamo svolgere dopo che la Giunta del nostro comune ha approvato il Piano Triennale Anticorruzione? Il Piano va spedito alla Funzione pubblica e all’ANAC?
Risposta
La legge anticorruzione (legge 06.11.2012, n. 190), all’articolo 1, comma 8, prevede che le pubbliche amministrazioni, entro il 31 gennaio di ogni anno, debbano approvare il Piano Triennale Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) e ne curano la trasmissione all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).
L’articolo 10, comma 8, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 (cd: decreto Trasparenza) prevede che ogni amministrazione ha l’obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale nella sezione: “Amministrazione trasparente”, il Piano Anticorruzione.
L’ANAC, in vari suoi documenti e da ultimo nel Piano Nazionale Anticorruzione 2019, approvato con delibera n. 1064 del 13.11.2019 (Paragrafo 6), ha specificato che nessun piano –contrariamente a quanto previsto nella legge Severino– deve essere inviato all’ANAC.
Per non disattendere completamente la disposizione legislativa, l’Autorità, in collaborazione con due università italiane, ha sviluppato una piattaforma on-line sul sito web istituzionale. La piattaforma è attiva dal 01.07.2019 ed è finalizzata alla rilevazione delle informazioni sulla predisposizione dei PTPCT e sulla loro attuazione.
Al momento, la piattaforma ha carattere sperimentale e, nella prima fase, è stata delimitata l’operatività della stessa unicamente alle amministrazioni pubbliche, di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (quindi, anche agli enti locali), agli enti pubblici economici, agli ordini professionali e alle società in controllo pubblico.
Con un comunicato datato 22.04.2020 –pubblicato nel sito web dell’ANAC il 04.05.2020– l’Autorità ha chiarito che l’acquisizione dei dati sui PTPCT, tramite la piattaforma, avviene esclusivamente mediante la compilazione di specifici moduli predisposti dall’Autorità e mai attraverso l’invio o il caricamento di documenti. In aggiunta, viene specificato che i dati sui PTPCT riferiti al triennio 2020-2022, non vanno ancora inseriti sulla piattaforma. L’Autorità fornirà, prossimamente, sul sito istituzionale specifiche informazioni in merito alle modalità di acquisizione di tali dati.
Chiarito il quadro complessivo, si risponde allo specifico quesito, illustrando che:
   a) Il PTPCT 2020/2022 deve essere pubblicato, entro un mese dall’adozione (sostiene l’ANAC, ma non la legge) nel sito web dell’ente, nella sezione Amministrazione trasparente > Altri contenuti > Prevenzione della corruzione. Il Piano va pubblicato anche nella sottosezione Disposizioni generali > Piano Triennale per la prevenzione della corruzione e trasparenza, dove, per evitare inutili duplicazioni, è possibile inserire un link che apra la prima sottosezione;
   b) è opportuno, ma non previsto da alcuna disposizione, che il Piano, approvato con deliberazione della Giunta, venga altresì trasmesso: al Responsabile Anticorruzione dell’ente e ai suoi referenti; ai dirigenti o posizioni organizzative (figure apicali), ai componenti dell’OIV o Nucleo di Valutazione.
Il PTPCT comunale, dunque, NON va trasmesso all’ANAC, né al dipartimento della Funzione pubblica, come previsto, invece, per le (sole) pubbliche amministrazioni centrali (art. 1, comma 5, legge 190/2012). Per il caricamento dei dati riferiti al Piano 2020/2022 nella Piattaforma ANAC occorre attendere le ulteriori disposizioni che l’Autorità emanerà (19.05.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVISospensione dei termini in materia di accesso.
Domanda
L’amministrazione deve ancora dare riscontro ad una richiesta di accesso civico generalizzato, pervenuta in data 12.02.2020.
È possibile applicare l’articolo 103, del decreto Cura Italia o esiste una diversa disposizione in merito ai termini del procedimento per l’accesso? Quale è precisamente il termine entro cui deve rispondere l’amministrazione?
Risposta
Il comma 1, dell’articolo 103, del decreto- legge 18/2020, detta una disposizione di carattere generale, che si applica a tutti i procedimenti amministrativi, sia ad istanza di parte che d’ufficio, pendenti alla data del 23.02.2020 o iniziati successivamente a tale data, in relazione ai quali dispone che, ai fini del computo dei termini, non si tiene conto del periodo compreso tra tale data e il 15.04.2020. L’art. 37, comma 1, del decreto legge 08.04.2020, n. 23, ha prorogato tale termine al 15.05.2020.
Le uniche eccezioni all’applicazione della sospensione dei termini sono quelle previste dai commi 3 e 4, del medesimo articolo 103, del d.l. 18/2020
[1].
Considerato che il comma 3, esclude l’applicazione di tale disposizione nel caso di termini stabiliti da specifiche disposizioni dello stesso decreto-legge, occorre verificare che non vi sia una norma speciale concernente i termini del procedimento di accesso generalizzato.
Con una interpretazione evidentemente bizzarra, qualche commentatore ha ritenuto che il comma 3, dell’articolo 67, potesse consentire una sospensione fino al 31.05.2020.
Tale norma prevede che “Sono, altresì, sospese, dall’8 marzo al 31.05.2020 … le risposte alle istanze formulate ai sensi dell’articolo 22 della legge 07.08.1990, n. 241, e dell’articolo 5 del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33”, ma si inserisce nella disciplina speciale concernente la “sospensione dei termini relativi all’attività degli uffici degli enti impositori”. Essa, dunque, si applica soltanto ai procedimenti di accesso del settore dell’amministrazione fiscale, come precisato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, in apposito Comunicato del 3 aprile.
Si richiamano anche i due Comunicati del 3 aprile e del 9 aprile pubblicati sul sito del Centro nazionale di competenza FOIA (istituito presso il Dipartimento della Funzione Pubblica). È certo, pertanto, che “La sospensione dei termini, data la sua portata generale, interessa anche i procedimenti in materia di accesso, incluso l’accesso civico generalizzato. Pertanto, ove nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 15.05.2020 siano pendenti richieste di accesso civico generalizzato (o di altro tipo), le amministrazioni possono avvalersi della sospensione del termine di conclusione dei relativi procedimenti per il periodo indicato (23 febbraio-15.05.2020)”.
Ad una lettura attenta, anche il Comunicato del 9 aprile dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) concernente “Indicazioni in merito all’attuazione delle misure di trasparenza di cui alla legge 06.11.2012, n. 190, e al decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nella fase dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e all’attività di vigilanza e consultiva dell’ANAC”, nel menzionare i diversi termini di sospensione del comma 3, dell’art. 67, ricorda che essi valgono per i soli enti impositori.
In merito al computo del nuovo termine a disposizione dell’amministrazione, trattandosi di sospensione e non di interruzione, occorre tener conto soltanto del tempo residuo, da aggiungere al termine della sospensione (15 maggio).
Rispondendo nello specifico al quesito, considerato che la richiesta di accesso è pervenuta il 12 febbraio –e dunque, al momento della sospensione (23 febbraio) erano decorsi 10 giorni,– restano da aggiungere 20 giorni, pertanto il nuovo termine scadrà il 04.06.2020.
È auspicabile, tuttavia, che l’amministrazione, in applicazione dei principi di buona amministrazione, proceda il più celermente possibile a dare riscontro all’istanza. L’art. 103, opportunamente precisa che “Le pubbliche amministrazioni adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati.”.
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[1] 3. Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai termini stabiliti da specifiche disposizioni del presente decreto e dei decreti-legge 23.02.2020, n. 6, 02.03.2020, n. 9 e 08.03.2020, n. 11, nonché dei relativi decreti di attuazione.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai pagamenti di stipendi, pensioni, retribuzioni per lavoro autonomo, emolumenti per prestazioni di lavoro o di opere, servizi e forniture a qualsiasi titolo, indennità di disoccupazione e altre indennità da ammortizzatori sociali o da prestazioni assistenziali o sociali, comunque denominate nonché di contributi, sovvenzioni e agevolazioni alle imprese comunque denominati
(05.05.2020 - link a www.publika.it).

aprile 2020

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: F. Donegani, COVID-19: sospensione dei termini amministrativi e possibilità di provvedere nelle more. Esiste la possibilità per le amministrazioni di dar corso a procedimenti amministrativi e adottare provvedimenti pur in pendenza del periodo di sospensione disposto dall'art. 103 del d.l. n. 18/2020? (23.04.2020 - link a www.dirittopa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La pubblicazione delle ordinanze del sindaco per l’emergenza sanitaria da COVID-19.
Domanda
Nell’ambito dell’emergenza sanitaria da COVID-19, il sindaco ha emesso numerose ordinanze di carattere contingibile e urgente.
Dove si devono pubblicare tali atti ai fini della trasparenza?
Risposta
La potestà del sindaco di emettere ordinanze contingibili ed urgenti, in caso di emergenze sanitari o di igiene pubblica, è rinvenibile nell’art. 50, comma 5, del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, laddove vengono elencate le competenze del sindaco, in qualità di capo dell’amministrazione.
Analoga facoltà è contenuta anche nell’articolo 32, comma 3, della legge 23.12.1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale.
In relazione alla eccessiva creatività e senso spiccatamente pirotecnico di alcuni sindaci, sprigionato in modo irrefrenabile, soprattutto nella prima fase di contagio, il Governo è stato costretto ad intervenire, con somma urgenza, inserendo una specifica clausola nel decreto-legge 25.03.2020, n. 19, laddove all’articolo 3, comma 2, si specifica che: "2. I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1.".
Chiarito il percorso normativo che precede l’adozione di una ordinanza sindacale, è possibile rispondere al quesito richiamando il contenuto dell’articolo 42, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 (cosiddetto: decreto Trasparenza), il quale prevede che le pubbliche amministrazioni che adottano provvedimenti contingibili e urgenti e in generale provvedimenti di carattere straordinario in caso di calamità naturali o di altre emergenze, ivi comprese quelle relative ai compiti di Protezione civile, sono tenute a pubblicare:
   a) i provvedimenti adottati, con la indicazione espressa delle norme di legge eventualmente derogate e dei motivi della deroga, nonché l’indicazione di eventuali atti amministrativi o giurisdizionali intervenuti;
   b) i termini temporali eventualmente fissati per l’esercizio dei poteri di adozione dei provvedimenti straordinari;
   c) il costo previsto degli interventi e il costo effettivo sostenuto dall’amministrazione.
Tali informazioni vanno pubblicate nella sezione Amministrazione trasparente > Interventi straordinari e di emergenza, in formato tabellare aperto, con aggiornamento tempestivo e per la durata di cinque anni, contati dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di pubblicazione, per effetto dell’art. 8 del d.lgs. 33/2013 (14.04.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Provvedimento di annullamento in autotutela: il TAR ne stabilisce la “scadenza”.
Quando scatta l’illegittimità per il provvedimento in autotutela che è andato oltre i tempi “ragionevoli”? Ecco il parere del TAR Sicilia.
Provvedimento di annullamento in autotutela: il TAR si pronuncia in merito ai suoi termini di scadenza.

Nel caso in esame un consorzio d’ambito territoriale ha disposto l’annullamento di una delibera, relativa al conferimento di un incarico professionale, dopo ben 4 anni.
Per questo termine così temporalmente dilatato la decisione è stata portata di fronte ai giudici amministrativi, che hanno espresso il loro parere in merito.
Provvedimento di annullamento in autotutela: il TAR ne stabilisce la “scadenza
L’autotutela amministrativa può essere definita come quel complesso di attività con cui ogni Pubblica Amministrazione risolve i conflitti potenziali o attuali, relativi ai suoi provvedimenti o alla sue pretese. In questi casi essa interviene con i mezzi amministrativi a sua disposizione, tutelando autonomamente la propria sfera d’azione.
Secondo il TAR Scilia-Catania - Sez. III, sentenza 10.04.2020 n. 776, tuttavia, i provvedimenti emessi in autotutela hanno una scadenza, e non possono essere emessi arbitrariamente.
I giudici si sono appellati alla modifica dell’articolo 21-nonies della legge 241/1990, introdotta dall’articolo 6 della legge 124/2015, la quale ha previsto un termine di 18 mesi per l’annullamento.
Secondo i giudici, inoltre, la deliberazione impugnata non sarebbe sorretta da alcuna motivazione sull’interesse del professionista. Infatti egli comunque avrebbe completamente eseguito l’incarico senza osservazioni o contestazioni da parte del Consorzio.
Inoltre i riferimenti all’interesse pubblico travolto dall’annullamento sono meramente formali, richiamando un presunto interesse pubblico all’annullamento. Mentre al contrario il piano per la sicurezza costituisce elemento indispensabile per la definizione della procedura di approvazione del progetto.
Per questo annullare e dunque non utilizzare un piano di sicurezza già predisposto dal ricorrente risulta contrario a qualsiasi principio di economicità, efficacia ed efficienza, nonché non aggravamento dell’azione amministrativa (commento tratto da www.lentepubblica.it).
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SENTENZA
Il ricorso è fondato.
Risulta infatti fondata, ogni diverso motivo o censura assorbiti, la censura, contenuta nel secondo motivo di ricorso, secondo cui sarebbe stata violata la previsione di adottare il provvedimento di autotutela entro un termine ragionevole.
Occorre muovere, sul punto, dalle norme applicabili all’ipotesi di annullamento in autotutela applicabili al caso di specie ratione temporis.
La norma generale è contenuta nell’art. 21-nonies, comma 1, della legge 241/1990, che, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva: «Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».
Parallelamente, vigeva, al tempo dell’emanazione dell’impugnata delibera di annullamento, l’art. 1, comma 136, della legge 30.12.2004, n. 311, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), che prevedeva: «Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L'annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall'eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante».
Ora, è noto che la giurisprudenza ha variamente interpretato la ragionevolezza del termine, anche ritenendo che esso potesse essere anche più lungo di quello triennale di cui al citato art. 1, comma 136 (ex plurimis, TAR Lazio–Roma, Sez. II, 02.09.2015, n. 11008).
Nell’odierna controversia non occorre tuttavia valutare come le due diverse norme possano essere fra loro coordinate ai fini della loro applicabilità al caso di specie (per un excursus sulla questione, e per richiami di giurisprudenza, si rinvia a Cons. Stato, Sez. III, 17.11.2015, n. 5259), atteso che:
   a) le stesse difese del Consorzio resistente danno conto che la delibera impugnata (che omette di indicare le relative norme) fonda il proprio potere di annullamento sulla normativa introdotta dalla legge finanziaria per il 2005;
   b) il termine appare comunque irragionevolmente lungo, anche ove si ritenesse applicabile il citato art. 21-nonies.
Sotto il primo profilo, va anzitutto ricordato che il provvedimento impugnato è stato emanato oltre quattro anni dopo la determina da esso annullata; ciò importa il pacifico superamento del termine triennale di cui al citato comma 136.
Sotto il secondo profilo, va ricordato anzitutto come la modifica dell’art. 21-nonies citato, introdotta dall’art. 6 della legge 124/2015, prevedendo un «…termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi…», ha chiuso il dibattito giurisprudenziale in ordine alla ragionevolezza di periodi più lunghi, quanto meno in relazione ai provvedimenti di annullamento emanati successivamente alla data di entrata in vigore della legge 124/2015 (per un excursus sulla questione, e per richiami di giurisprudenza, si rinvia a TAR Lazio–Roma, Sez. I, 03.06.2019, n. 7071); in proposito, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui comunque «…la novella non può non valere come prezioso indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell'osservanza della regola di condotta in questione…» (Cons. Stato, Sez. VI, 08.05.2019, n. 2974).
Tanto premesso, il Collegio ritiene superato anche il termine ragionevole di cui all’art. 21-nonies, non solo per il tempo intercorrente fra l’impugnata delibera di annullamento e la determina da esso annullata, ma anche alla luce del tempo trascorso fra la consegna degli elaborati redatti in dipendenza della determina di affidamento dell’incarico e l’impugnata delibera di annullamento.
Dalla delibera impugnata risulta infatti che il ricorrente, in data 17.09.2009, ha trasmesso al Consorzio resistente il piano di sicurezza e coordinamento; da tale data il Consorzio resistente ha impiegato più di diciotto mesi per pervenire all’emanazione dell’impugnata delibera di annullamento, e ciò fermo restando che l’incarico era stato conferito oltre quattro anni prima dell’annullamento.
E’ poi da ultimo il caso di osservare che, laddove si ritenesse applicabile l’art. 21-nonies della legge 241/1990 nel testo vigente ratione temporis, che non quantifica espressamente il termine “ragionevole”, e laddove si ritenesse che tale termine ragionevole possa essere più lungo di quello di cui al citato comma 136, allora comunque non sarebbe stata effettuata la valutazione degli interessi in gioco prevista dalla norma quale ulteriore presupposto per l’annullamento.

ATTI AMMINISTRATIVIAnac «allenta» gli obblighi della trasparenza e rimette la valutazione alle amministrazioni.
Anac rende noto che la sospensione dei termini fino al 15 maggio è applicabile anche alla pubblicazione dei dati e rinvia, sempre fino al prossimo 15 maggio, l'avvio di nuovi procedimenti di vigilanza sul rispetto delle misure di trasparenza, sia d'ufficio sia su segnalazione.
Questo in sintesi quanto riportato nel Comunicato del Presidente 09.04.2020 (Indicazioni in merito all’attuazione delle misure di trasparenza di cui alla legge 06.11.2012, n. 190, e al decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nella fase dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e all’attività di vigilanza e consultiva dell’ANAC) dove l'Autorità ha fornito indicazioni in merito all'attuazione delle misure di trasparenza (legge 190/2012 e Dlgs 33/2013) nella fase dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 e all'attività di vigilanza e consultiva dell'Anac.
In proposito, Anac richiama la modifica apportata dall'articolo 37 del Dl 23/2020 (Decreto Liquidità) all'articolo 103 del Dl «Cura Italia», dove si dispone che la sospensione dei termini relativi ai procedimenti amministrativi è prorogata alla data del 15.05.2020, in luogo dell'originaria data fissata al 15 aprile.
L'Autorità ha precisato che la sospensione può essere applicata anche ai termini per la pubblicazione dei dati previsti dalla legge 190/2012 e dal decreto legislativo 33/2013, questo nell'ottica di alleviare gli oneri degli enti e delle amministrazioni impossibilitati a raccogliere i dati che devono essere oggetto di pubblicazione.
Le amministrazioni e gli enti, dove lo ritengano possibile, continueranno comunque a pubblicare secondo le consuete modalità e in base a quanto previsto dalla legge 190/2012, dal Dlgs 33/2013 e dai propri piani triennali di prevenzione della corruzione e della trasparenza (Ptpct), in pratica Anac rimette alle singole amministrazioni, fino al 15 maggio, la valutazione sugli obblighi pubblicitari.
Anac precisa poi che la sospensione dei termini per la pubblicazione dei dati di cui alla legge 190/2012 e al decreto trasparenza 33/2013 non incide sulle specifiche disposizioni contenute negli articoli 67 e 99 del Decreto Cura Italia.
In particolare, l'articolo 67, al comma 3, sospende, per i soli enti impositori, a far data dall'8 marzo al 31.05.2020, anche la trattazione delle istanze di accesso documentale (accesso agli atti di cui all'articolo 22 della legge 241/1990) e delle istanze di accesso civico e generalizzato (accessi secondo l'articolo 5 del decreto legislativo 33/2013). Mentre l'articolo 99, al comma 5, introduce per le amministrazioni beneficiarie l'obbligo di pubblicare sul proprio sito internet o, in assenza, su altro idoneo sito internet, al termine dello stato di emergenza sanitaria, l'apposita rendicontazione separata per le erogazioni liberali ricevute a sostegno del contrasto all'emergenza del Coronavirus, per garantire la trasparenza della fonte e dell'impiego delle liberalità.
Inoltre, Anac, sempre nel Comunicato, afferma di rinviare fino alla data del 15.05.2020 l'avvio di nuovi procedimenti di vigilanza sul rispetto delle misure di trasparenza, sia d'ufficio che su segnalazione, l'attività di vigilanza riprenderà dal 15 maggio con modalità graduale, tenendo conto delle dimensioni organizzative delle amministrazioni e degli enti.
Resta ferma l'attività consultiva esercitata dall'Autorità in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, ricordando che per la presentazione delle richieste di parere si possono utilizzare i moduli allegati al Regolamento del 07.12.2018 da trasmettere all'indirizzo protocollo@pec.anticorruzione.it (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 15.04.2020).

ATTI AMMINISTRATIVIPubblicazione dati personali per possesso arma da fuoco.
Domanda
Un Agente della Polizia locale chiede la rimozione di un decreto del Sindaco, adottato nell’anno 2016 e tutt’ora pubblicato nel sito web del comune nella sezione Albo Pretorio on-line, per la disciplina dell’assegnazione dell’arma da fuoco, ai componenti del comando di Polizia locale.
Dobbiamo accogliere la richiesta?
Risposta
Ai sensi della disciplina in materia –articolo 4, Paragrafo 1, n. 1, del Regolamento UE 2016/679, in materia di privacy– si considera “dato personale” qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (“interessato”). Inoltre, “si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo on-line o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale”.
Sulla base del su indicato enunciato, il trattamento dei dati personali deve avvenire nel rispetto dei principi indicati nell’articolo 5, del Regolamento UE, fra cui viene menzionato quello di “minimizzazione dei dati”, secondo il quale i dati personali devono essere “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati” (Paragrafo 1, lettera c).
Il regolamento UE 2016/679, in aggiunta, al Capo III, Sezione I, articoli da 15 a 21 prevede, in capo agli interessati, alcuni diritti, tra i quali (articolo 17), il Diritto alla cancellazione, che si sostanzia nell’ottenere, senza ingiustificato ritardo, la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, nei casi previsti dal Regolamento UE.
Dalla consultazione del documento comunale, effettuata direttamente nel sito web, è emerso che:
   • sono presenti i nominativi di tutti gli Agenti a cui viene affidata un’arma da fuoco;
   • viene riportato, per ciascuno di essi, la data e il luogo di nascita, nonché l’indirizzo di residenza;
   • vengono riportati i dati del decreto Prefettizio che attribuisce, a ciascuno di loro, la qualifica di Agente di Pubblica sicurezza.
Per quanto sopra, si consiglia, di provvedere con urgenza:
   a) ad accogliere la richiesta del dipendente, rimuovendo il decreto del sindaco, che, tra l’altro, è dell’anno 2016;
   b) evitare, per il futuro, di pubblicare simili decreti, dal momento che è sufficiente la loro notifica agli interessati, indicando l’autorità e il termine entro cui è possibile presentare ricorso (art. 3, comma 4, legge 241/1990);
   c) non si rinviene alcuna norma di legge che obbliga le P.A. a pubblicare nel sito web, tali documenti, completi di tutti dati personali, sopra meglio elencati;
   d) verificare se esiste una norma di regolamento (Regolamento del Corpo di Polizia Locale?) che prevede l’obbligo di pubblicazione del decreto del sindaco ed eventualmente modificarlo, sopprimendo l’obbligo;
   e) assicurarsi che dopo l’eliminazione, il documento non sia più consultabile in rete, né con i normali motori di ricerca, né con quelli propri del sito web dell’ente;
   f) applicare, per tutti i documenti che vengono pubblicati via web, all’albo pretorio e/o nella sezione Amministrazione trasparente, il principio di pertinenza e non eccedenza, in applicazione delle richiamate disposizioni del Regolamento UE 2016/679 e del documento del Garante privacy italiano, datato 15.05.2014, recante “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati” (07.04.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVIPer giurisprudenza pacifica, malgrado il mero ripristino della presunta legalità violata non possa di per sé sorreggere il ritiro in autotutela, ciò ha tuttavia luogo ogni qualvolta la posizione del destinatario del provvedimento rimosso si sia consolidata, suscitando un affidamento sulla sua legittimità, essendo in tale caso l'esercizio del potere di secondo grado subordinato alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'annullamento, prevalente su quello del privato alla conservazione del titolo legittimo.
Viceversa, quando non sia ingenerato alcun legittimo affidamento nel destinatario, poiché ad esempio, come ha avuto luogo nel caso di specie, l'annullamento d'ufficio interviene a breve distanza di tempo, non è invece necessaria una penetrante motivazione sull'interesse pubblico, né una sua comparazione con quello del privato sacrificato, posto che, in tali casi, l'interesse all'annullamento può considerarsi “in re ipsa”.
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In base a quanto previsto dall’art. 21-nonies, c. 2, L. n. 241/1990, “è fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico” che, nel caso di specie, risultano tuttavia assenti, sia in ragione della palese violazione dell’art. 6-bis L. n. 241/1990, e del sotteso interesse pubblico di rango costituzionale al buon andamento ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, che del breve lasso di tempo intercorso tra il provvedimento e l’esercizio dell’autotutela.
Inoltre, rientrando la convalida dell'atto viziato nell'esercizio della discrezionalità dell'Amministrazione, dall’omesso esercizio di tale potere, non possono desumersi vizi di irragionevolezza, in presenza dell'illegittimità della procedura e del provvedimento finale.

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III.1) Con il secondo motivo, l’istante lamenta la mancanza di un concreto interesse pubblico all’esercizio del potere di autotutela, ciò che ne renderebbe illegittimo l’esercizio.
Il motivo è infondato considerato che, per giurisprudenza pacifica, malgrado il mero ripristino della presunta legalità violata non possa di per sé sorreggere il ritiro in autotutela, ciò ha tuttavia luogo ogni qualvolta la posizione del destinatario del provvedimento rimosso si sia consolidata, suscitando un affidamento sulla sua legittimità, essendo in tale caso l'esercizio del potere di secondo grado subordinato alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'annullamento, prevalente su quello del privato alla conservazione del titolo legittimo (TAR Liguria, Sez. I, 26.07.2017, n. 687).
Viceversa, quando non sia ingenerato alcun legittimo affidamento nel destinatario, poiché ad esempio, come ha avuto luogo nel caso di specie, l'annullamento d'ufficio interviene a breve distanza di tempo, non è invece necessaria una penetrante motivazione sull'interesse pubblico, né una sua comparazione con quello del privato sacrificato, posto che, in tali casi, l'interesse all'annullamento può considerarsi “in re ipsa” (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 23.10.2019, n. 2215, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 07.03.2017, n. 3204).
...
IV) Con il terzo motivo, l’istante lamenta il mancato esercizio del potere di convalida, essendo pacifico, a suo dire, il suo possesso dei requisiti necessari ad ottenere l’assegnazione dell’incarico annullato dal provvedimento impugnato.
Osserva il Collegio che, in base a quanto previsto dall’art. 21-nonies, c. 2, L. n. 241/1990, “è fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico”, che come detto, nel caso di specie, risultano tuttavia assenti, sia in ragione della palese violazione dell’art. 6-bis L. n. 241/1990, e del sotteso interesse pubblico di rango costituzionale al buon andamento ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, che del breve lasso di tempo intercorso tra il provvedimento e l’esercizio dell’autotutela.
Inoltre, rientrando la convalida dell'atto viziato nell'esercizio della discrezionalità dell'Amministrazione, dall’omesso esercizio di tale potere, non possono desumersi vizi di irragionevolezza, in presenza dell'illegittimità della procedura e del provvedimento finale (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 01.02.2016, n. 607)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.04.2020 n. 590 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Istanza di accesso formulata in modo generico o cumulativo – Pubblica amministrazione – Esame dell’istanza – Titolo dell’accesso – Accesso civico generalizzato – Accesso documentale.
La pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento (Consiglio di Stato, A.P,. sentenza 02.04.2020 n. 10 - link a www.ambientediritto.it).

marzo 2020

ATTI AMMINISTRATIVICome evidenziato dalla più recente giurisprudenza amministrativa che questo Collegio condivide, «l’emanazione di un’ordinanza contingibile e urgente emanata ai sensi degli artt. 50 o 54 t.u.e.l., indifferentemente, presuppone l’esistenza di una situazione eccezionale e imprevedibile: tale presupposto, tuttavia, va interpretato nel senso che rileva non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell’urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall’imputabilità se del caso perfino all’Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere. In definitiva, quindi, il decorso del tempo non consuma il potere di ordinanza, perché ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza. Cosicché, la circostanza che la situazione di pericolo perduri da tempo può addirittura aggravare la situazione di pericolo».
Ribadisce pertanto la giurisprudenza che il fondamento del potere di ordinanza ex art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 possa rinvenirsi sia nella necessità di fronteggiare situazioni imprevedibili e eccezionali sia qualora sussista l’immediata e necessità di provvedere a tutela della pubblica incolumità.
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... per l’annullamento dell'ordinanza sindacale n. 89 del 13.10.2015 con cui il Sindaco del Comune di Castellana Sicula intimava di “rimuovere una gru a torre installata da qualche anno nel termine di giorni 30, con l'avvertimento che, decorso detto termine, si provvederà in via sostitutiva con spese ed oneri a carico delle parti interessate, restando salva ogni eventuale azione amministrativa o penale”.
...
Il motivo di doglianza è infondato.
Il provvedimento amministrativo impugnato è stato emesso dall’amministrazione resistente a fronte di un manufatto precario servente un cantiere edile, la cui funzione era cessata da oltre un decennio poiché la relativa concessione edilizia era scaduta il 30.07.2004.
A fondamento di tale determinazione il Comune resistente ha addotto un potenziale pericolo per la pubblica incolumità e un effettivo pregiudizio del decoro urbano così come delineato dall’art. 55 e 56 del Regolamento edilizio comunale.
A fondamento della valutazione di pericolosità, nel provvedimento impugnato, è stato richiamato il sopralluogo dei vigili del fuoco che in data 15.09.2015 ne hanno accertato lo stato di abbandono nonché la condizione di vetustà che ove trascurati, in ragione degli agenti atmosferici, avrebbero potuto comportare serio pericolo per le persone e le cose.
Onde smentire tale presupposto di fatto, parte ricorrente ha depositato una perizia redatta dal Perito industriale An.Bl. il 28.10.2015 che si limita a concludere in ordine al potenziale periodo residuo di utilizzo della gru, chiarendo però che tale valutazione fosse da considerarsi puramente teorica e non tenendo conto dell’insorgenza di possibili anomalie derivanti da difetti del materiale o strutturali.
In altre parole, tale perizia prospetta solamente la durata teorica del ciclo di vita della gru, ma non confuta i profili di potenziale rischio di cedimento della struttura.
Come evidenziato dalla più recente giurisprudenza amministrativa che questo Collegio condivide «l’emanazione di un’ordinanza contingibile e urgente emanata ai sensi degli artt. 50 o 54 t.u.e.l., indifferentemente, presuppone l’esistenza di una situazione eccezionale e imprevedibile: tale presupposto, tuttavia, va interpretato nel senso che rileva non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell’urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall’imputabilità se del caso perfino all’Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere. In definitiva, quindi, il decorso del tempo non consuma il potere di ordinanza, perché ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza. Cosicché, la circostanza che la situazione di pericolo perduri da tempo può addirittura aggravare la situazione di pericolo (cfr., ex multis, Cons. St., sez. II, 22/07/2019 n. 5150)» (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 04.12.2019, n. 13898).
Ribadisce pertanto la giurisprudenza che il fondamento del potere di ordinanza ex art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 possa rinvenirsi sia nella necessità di fronteggiare situazioni imprevedibili e eccezionali sia qualora sussista l’immediata e necessità di provvedere a tutela della pubblica incolumità (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 01.08.2019, n. 4231).
Deve, pertanto, rigettarsi il motivo di ricorso secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato per carenza dei presupposti, sussistendo indubbiamente l’urgenza di provvedere in relazione a un pericolo imminente di cedimento strutturale che non necessariamente deve essere prossimo, ossia temporalmente vicino, ma incombente, ossia in grado di prodursi repentinamente senza preavviso (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 23.03.2020 n. 683 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAdempimenti per le griglie della trasparenza.
Domanda
Ci hanno detto che l’ANAC ha pubblicato la solita delibera annuale per la verifica delle griglie della trasparenza, con scadenza 30.03.2020. Diteci, per favore, che non è vero.
Risposta
Purtroppo, dobbiamo confermare la notizia. L’ANAC ha adottato la delibera n. 213 del 04.03.2020 –depositata presso la segretaria del Consiglio il 10.03.2020– composta da dodici pagine e undici allegati, per imporre ai soggetti che vi devono provvedere, la verifica annuale in merito all’attestazione sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione previsti dall’articolo 14, comma 4, lettera g), del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150.
Le attestazioni, come di consueto, devono essere predisposte dagli Organismi di Valutazione (OIV) o altri organismi con funzioni analoghe – negli enti locali, di norma, si tratta dei Nuclei di Valutazione.
Tali organismi sono tenuti ad attestare le avvenute pubblicazioni entro il 31.03.2020 e l’attestazione va affissa, da parte degli enti, nella sezione “Amministrazione trasparente” entro il 30.04.2020. Per le pubbliche amministrazioni le sotto-sezioni da investigare (allegato 2.1 della delibera) sono:
   1. Consulenti e collaboratori;
   2. Bandi di concorso;
   3. Attività e procedimenti;
   4. Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici;
   5. Servizi erogati;
   6. Informazioni ambientali.
Il 12.03.2020, qualche misterioso informatore, deve aver avvisato i “marziani” dell’ANAC che in Italia c’era una epidemia in corso, con un trecento morti al giorno.
Il Presidente, facente funzioni, dell’ANAC, con un comunicato del 12 marzo, di conseguenza, ha spostato i termini di verifica e di pubblicazione delle “griglie” rispettivamente al 30 giugno e 31.07.2020 (17.03.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl potere di convalida del provvedimento amministrativo illegittimo, previsto dall’art. 21-novies, comma 2, della l. 07.08.1990, n. 241, ha quali unici presupposti le ragioni di interesse pubblico e il rispetto di un termine ragionevole.
L’istituto in esame si inquadra nel fenomeno della “convalescenza” dell’atto amministrativo, che si verifica allorquando la Pubblica amministrazione, in presenza di un atto annullabile per illegittimità, ritenga con una propria determinazione volitiva, anziché di procedere al ritiro mediante l’annullamento, di mantenerlo in vita eliminando i vizi che lo inficiano. Trattasi, cioè, di atto espressivo di un potere di autotutela conservativa, destinato in quanto tale a sanare retroattivamente i vizi di atti già adottati senza tuttavia provvedere alla sostituzione di questi in modo da assumere autonoma efficacia abilitativa.
Afferma il TAR Veneto che il requisito dell’interesse pubblico nella convalida non può «essere enfatizzato, in quanto un atto di convalida trova la sua giustificazione nell’evitare le conseguenze negative dell’illegittimità di un provvedimento e nell’esigenza del ripristino della legalità».
La ragione di interesse pubblico sottesa all’opzione per la convalida, anziché per la riedizione del relativo potere amministrativo, è da ravvisare nelle esigenze di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti sottesi alla codifica del relativo istituto.
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16. Ritiene infine la Sezione di poter trattare congiuntamente gli ultimi due motivi di gravame, in quanto riproduttivi delle doglianze esposte nei motivi aggiunti con specifico riguardo alla reiterazione del provvedimento quale “convalida” del precedente, emendato dei vizi paventati nell’ordinanza cautelare n. 878/2005: in essa, dunque, non si sarebbe dato debito conto delle osservazioni della parte, con ciò depauperandone la disposta partecipazione al procedimento, e di fatto omettendo di valutare le aporie ed incongruenze ampiamente descritte nei paragrafi precedenti.
Il potere di convalida del provvedimento amministrativo illegittimo, previsto dall’art. 21-novies, comma 2, della l. 07.08.1990, n. 241, ha quali unici presupposti le ragioni di interesse pubblico e il rispetto di un termine ragionevole.
L’istituto in esame si inquadra nel fenomeno della “convalescenza” dell’atto amministrativo, che si verifica allorquando la Pubblica amministrazione, in presenza di un atto annullabile per illegittimità, ritenga con una propria determinazione volitiva, anziché di procedere al ritiro mediante l’annullamento, di mantenerlo in vita eliminando i vizi che lo inficiano. Trattasi, cioè, di atto espressivo di un potere di autotutela conservativa, destinato in quanto tale a sanare retroattivamente i vizi di atti già adottati senza tuttavia provvedere alla sostituzione di questi in modo da assumere autonoma efficacia abilitativa (Cons. Stato, sez. V, sez. V, 18.12.2017, n. 5928; id., 07.07.2015, n. 3340).
Afferma il TAR per il Veneto
(Sez. II, sentenza 12.12.2012 n. 1540) che il requisito dell’interesse pubblico nella convalida non può «essere enfatizzato, in quanto un atto di convalida trova la sua giustificazione nell’evitare le conseguenze negative dell’illegittimità di un provvedimento e nell’esigenza del ripristino della legalità».
Nella specie, si è in presenza di un provvedimento nuovo (il decreto di convalida del 14.02.2007), ma che si collega all’atto convalidato (permesso di costruire in sanatoria del 06.11.2003), al fine di mantenerne fermi gli effetti fin dal momento in cui questo venne emanato (efficacia ex tunc), con il preciso scopo di operare una sanatoria dell’atto viziato nel momento storico di avvenuta instaurazione della controversia giudiziaria, senza che in ciò possa rinvenirsi una qualsiasi volontà di riesercizio di un’attività discrezionale e/o di amministrazione attiva esercitata per la prima volta.
La ragione di interesse pubblico sottesa all’opzione per la convalida, anziché per la riedizione del relativo potere amministrativo, è da ravvisare nelle esigenze di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti sottesi alla codifica del relativo istituto: preso atto della assentibilità dell’istanza, ontologicamente volta ad incidere su un intervento già realizzato, comunque l’effetto sanante avrebbe dovuto incidere sullo stato di fatto per come prospettato al momento della presentazione dell’istanza.
Ciò a maggior ragione avuto riguardo alla tipologia di vizio che il Comune di Venezia, in via del tutto tuzioristica, ha inteso sanare in adesione alle indicazioni del giudice di prime cure ed evitando ulteriore pregiudizio, riveniente dall’accentuata situazione di incertezza, per il richiedente il titolo, ovvero il mancato preventivo coinvolgimento di un soggetto che, agli esiti dell’odierno giudizio, non aveva alcun titolo a prendere parte al relativo procedimento (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 16.03.2020 n. 1889 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’esecuzione spontanea di un’ordinanza contingibile e urgente (in specie riguardante la messa in sicurezza di manufatti accessori al capannone principale) non può spiegare alcun effetto sull’individuazione del soggetto passivo e, quindi, sulla legittimazione passiva rispetto ad un’altra successiva ordinanza contingibile e urgente, riguardante altri beni ed altri oneri.
La mancata impugnazione del precedente provvedimento, cui si è prestata acquiescenza, non rende inammissibile il ricorso contro il provvedimento successivo che non sia di mera conferma –come ritenuto con la decisione di primo grado di rigetto della corrispondente eccezione della difesa comunale- allo stesso modo detta acquiescenza, esaurendo i suoi effetti con riguardo al singolo provvedimento (anche se in ipotesi illegittimo), non può certo valere come rinuncia preventiva all’impugnazione di futuri provvedimenti.

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L’obbligo di rimozione della copertura di cemento-amianto del capannone industriale, così come imposto con l’ordinanza contingibile e urgente qui impugnata, è illegittimo poiché quest'ultima è stata adottata non in presenza dei presupposti legittimanti, previa adeguata istruttoria.
Invero:
   - l’obbligo di rimozione è stato imposto al curatore fallimentare, esclusivamente a titolo di responsabilità di posizione, in luogo ed in sostituzione del proprietario tenuto all’eliminazione del vizio strutturale;
   - l'ordinanza impugnata, pur essendo stata adottata ai sensi dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, che conferisce al sindaco il potere di far fronte, mediante ordinanze contingibili e urgenti, a "emergenze sanitarie o di igiene pubblica", non dà atto della ricorrenza di tali fattispecie legittimanti;
   - né dal provvedimento risulta che sia stata accertata l’urgente necessità degli interventi imposti alla curatela, come fatto palese sia dal testo della nota allegata all’ordinanza, in cui si rappresenta “la presenza di una copertura che … potrebbe contenere amianto”, sia dal tempo trascorso dall’accertamento ispettivo, effettuato nei mesi di maggio-giugno 2014, senza alcun seguito;
   - infine, manca anche l’indicazione di una situazione di eccezionalità non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall’ordinamento, tra cui rilevano, nel caso di specie, i rimedi individuati dalla normativa speciale in materia di amianto, da interpretarsi nei termini sopra detti.
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... per la riforma della sentenza n. 467/2015 del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. I, resa tra le parti.
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1. La curatela del Fallimento Be. s.r.l., nella persona del curatore, ha impugnato l’ordinanza contingibile e urgente n. 31 del 22.07.2014 (nonché la successiva ordinanza confermativa n. 34 del 07.08.2014 e il provvedimento con cui l’amministrazione ha ritenuto di non annullare in autotutela i suddetti provvedimenti), limitatamente alla parte con la quale il sindaco del Comune di Maltignano ha imposto al curatore l’esecuzione del seguente intervento, dichiaratamente finalizzato a prevenire possibili rischi per la salute e l’incolumità pubbliche:
   - adottare tutti gli adempimenti necessari ed urgenti per la messa in sicurezza delle parti della copertura danneggiate, oltre ai restanti adempimenti di cui alla relazione ispettiva del 03.06.2014 (richiamata a formare parte integrante del provvedimento).
Gli adempimenti predetti riguardano la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nella struttura edilizia di copertura di un capannone industriale, ricadente alla via ... n. 2 del territorio di Maltignano, nel quale la fallita società Be. aveva svolto la propria attività d’impresa fino al 2001 e per il quale -dopo la dichiarazione di fallimento intervenuta nel 2007 ed in pendenza di un’esecuzione individuale, intrapresa da un creditore fondiario nel 2010, avente ad oggetto il medesimo compendio immobiliare- l’organo tecnico competente aveva rilevato il rischio di “potenziale dispersione di fibre cancerogene nell’ambiente circostante” (come da relazione dell’ASUR del 03.06.2014).
...
3. Col primo motivo si censura la sentenza nella parte in cui, in riferimento all’acquiescenza prestata dalla curatela all’ordinanza del 2013, ha affermato che ciò “costituisce un primo elemento a sfavore della tesi di parte ricorrente, non potendosi ritenere che la legittimazione passiva rispetto ad un provvedimento del tenore di quello impugnato sia legata all’entità della spesa necessaria ad adempire l’ordine di bonifica […]”.
3.1. Il motivo è fondato laddove sostiene che l’esecuzione spontanea di un’ordinanza contingibile e urgente (in specie, quella del 04.06.2013 riguardante la messa in sicurezza di manufatti accessori al capannone principale, oggetto invece delle ordinanze qui impugnate) non può spiegare alcun effetto sull’individuazione del soggetto passivo e quindi sulla legittimazione passiva rispetto ad un’altra successiva ordinanza contingibile e urgente (in specie, quella del 22.07.2014), riguardante altri beni ed altri oneri.
3.2. Così come la mancata impugnazione del precedente provvedimento, cui si è prestata acquiescenza, non rende inammissibile il ricorso contro il provvedimento successivo che non sia di mera conferma –come ritenuto con la decisione di primo grado di rigetto della corrispondente eccezione della difesa comunale- allo stesso modo detta acquiescenza, esaurendo i suoi effetti con riguardo al singolo provvedimento (anche se in ipotesi illegittimo), non può certo valere come rinuncia preventiva all’impugnazione di futuri provvedimenti (cfr. Cons. Stato, IV, 22.11.2013, n. 5557).
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10. Occorre pertanto verificare se sia riconducibile a tale ultima fattispecie l’obbligo di rimozione della copertura interna di cemento-amianto del capannone industriale, così come imposto con l’ordinanza contingibile e urgente qui impugnata, e se questa e gli atti successivi (di conferma e di diniego di autotutela) siano stati adottati in presenza dei presupposti legittimanti, previa adeguata istruttoria, di cui si sia dato conto in motivazione.
10.1. La risposta è negativa, come dedotto con i su riportati motivi di appello, atteso che:
   - l’obbligo di rimozione è stato imposto al curatore, esclusivamente a titolo di responsabilità di posizione, in luogo ed in sostituzione del proprietario tenuto all’eliminazione del vizio strutturale;
   - l'ordinanza impugnata, pur essendo stata adottata ai sensi dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, che conferisce al sindaco il potere di far fronte, mediante ordinanze contingibili e urgenti, a "emergenze sanitarie o di igiene pubblica", non dà atto della ricorrenza di tali fattispecie legittimanti;
   - né dal provvedimento risulta che sia stata accertata l’urgente necessità degli interventi imposti alla curatela, come fatto palese sia dal testo della nota allegata all’ordinanza, in cui si rappresenta “la presenza di una copertura che … potrebbe contenere amianto”, sia dal tempo trascorso dall’accertamento ispettivo, effettuato nei mesi di maggio-giugno 2014, senza alcun seguito;
   - infine, manca anche l’indicazione di una situazione di eccezionalità non fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall’ordinamento, tra cui rilevano, nel caso di specie, i rimedi individuati dalla normativa speciale in materia di amianto, da interpretarsi nei termini sopra detti.
11. L’appello va quindi accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va accolto il ricorso proposto dal Fallimento Be. s.r.l. e vanno annullati gli atti impugnati (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.03.2020 n. 1759 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’accesso civico generalizzato per i contributi economici.
Domanda
In una istanza di accesso civico generalizzato, un cittadino ci ha chiesto di fornire un riepilogo di tutti i contributi erogati dal comune negli ultimi tre anni, con la specificazione dei contributi erogati per ragioni di salute o per disagio socio-economico.
Come ci dobbiamo comportare?
Risposta
L’accesso civico generalizzato, noto anche con l’acronico inglese di FOIA (Freedom Of Information Act), è disciplinato dall’articolo 5, comma 2 e seguenti del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nel testo introdotto dall’articolo 6, comma 1, del d.lgs. 25.05.2016, n. 97.
In pratica, con la nuova disposizione, si stabilisce che qualsiasi cittadino ha il diritto di accedere ai dati e documenti detenuti da una pubblica amministrazione, ulteriori a quelli che risultano già oggetto di pubblicazione obbligatoria nel sito web dell’ente nella sezione Amministrazione trasparente. Tale nuova forma di accesso, però, incontra delle esclusioni e dei limiti, disciplinati nell’articolo 5-bis, del citato d.lgs. 33/2013, nel testo inserito dall’articolo 6, comma 2, d.lgs. 97/2016.
Chiarito l’ambito applicativo in cui ci si muove è possibile affermare che:
   • l’elenco dei contributi erogati dal comune, rappresenta già un obbligo disciplinato dall’articolo 27, comma 2, del d.lgs. 33/2013, laddove si prevede che gli enti devono organizzare annualmente, in un unico elenco, in formato tabellare aperto, tutti i contributi erogati nell’anno precedente, di importo superiore a 1.000 euro;
   • per quanto riguarda, invece, la pubblicazione dei dati di coloro che hanno beneficiato di un contributo pubblico, per ragioni riferite allo stato di salute e/o per situazione di disagio economico-sociale, l’articolo 26, comma 4, del d.lgs. 33/2013, prevede un vero e proprio divieto, escludendo la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche interessate;
   • con la richiesta di accesso generalizzato possono essere richiesti i documenti, dati e informazioni in possesso dell’amministrazione. Ciò significa che:
   1. il comune non è tenuto a raccogliere informazioni che non sono in suo possesso per rispondere ad una richiesta di accesso generalizzato, ma deve limitarsi a rispondere sulla base dei documenti e delle informazioni che detiene;
   2. l’amministrazione non è tenuta a rielaborare informazioni in suo possesso, ma deve consentire l’accesso ai documenti, ai dati e dalle informazioni, così come sono già detenuti, organizzati, gestiti e fruiti;
   3. sono ammissibili, invece, le operazioni di elaborazione che consistono nell’oscuramento dei dati personali presenti nel documento o nell’informazione richiesta, e più in generale nella loro anonimizzazione, qualora ciò sia funzionale a rendere possibile l’accesso;
   4. la richiesta di accesso generalizzato deve identificare i documenti e i dati richiesti. Ciò significa:
– che la richiesta deve indicare, con precisione, i documenti o i dati richiesti, ovvero
– che la richiesta deve consentire all’amministrazione di identificare agevolmente i documenti o i dati richiesti.
Dovranno essere ritenute inammissibili, pertanto, le richieste formulate in modo così vago da non permettere all’amministrazione di identificare i documenti o le informazioni richieste. In questi casi, l’amministrazione destinataria della domanda dovrebbe chiedere di precisare l’oggetto della richiesta.
Premesso quanto sopra, si consiglia di rispondere all’istanza chiarendo che:
   • le informazioni richieste si trovano già a disposizione di tutti, pubblicate nel sito web su Amministrazione trasparente > Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici > Atti di concessione, con i dati riferiti agli ultimi cinque anni, inserendo nella risposta il link di accesso;
   • la richiesta di accesso generalizzato, pertanto, non può essere presa in considerazione in quanto è riferita a documenti per i quali esiste già l’obbligo di pubblicazione (cfr. art. 5, comma 5, d.lgs. 33/2013);
   • qualora i dati non siano (tutti) pubblicati, il richiedente potrà presentare istanza, indirizzata al responsabile della trasparenza dell’ente, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del d.lgs. 33/2013, attivando l’istituto dell’accesso civico semplice;
   • i dati riferiti allo stato di salute e a situazioni di disagio socio-economico, di persone fisiche a cui il comune ha erogato un contributo non sono ostensibili, per espressa previsione di legge (articolo 26, comma 4, d.lgs. 33/2013) e sono tutelati dal Regolamento (UE) 2016/679, all’articolo 9, essendo annoverati tra i dati “particolari” (ex sensibili) (10.03.2020 - link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Sulla domanda di risarcimento del danno proposta direttamente nei confronti del funzionario pubblico.
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Risarcimento danni – Pubblico impiego – Azione direttamente posta nei confronti del funzionario – Per l’attività svolta nell’esercizio delle sue funzioni – Inammissibilità.
É inammissibile la domanda di condanna al risarcimento del danno proposta, in sede di giurisdizione amministrativa, direttamente nei confronti del funzionario pubblico per l’attività svolta nell’esercizio delle sue funzioni, alla stregua del consolidato indirizzo delle Sezioni unite della Corte di cassazione (1). 
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   (1) Cass. civ., S.U., ord. 03.10.2016, n. 19677 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.03.2020 n. 1686 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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6.1. Parimenti inammissibile è, poi, la domanda di condanna al risarcimento del danno proposta, in sede di giurisdizione amministrativa, direttamente nei confronti del funzionario pubblico per l’attività svolta nell’esercizio delle sue funzioni, alla stregua del consolidato indirizzo delle Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr., fra le tante, ord. 03.10.2016, n. 19677).
7. Per scrupolo motivazionale, comunque, il Collegio osserva nel merito -nei limiti di quanto evincibile dall’atto di appello- quanto segue.
7.1. Non si è verificata alcuna effettiva e concreta lesione delle prerogative procedimentali del ricorrente, posto che l’Amministrazione lo ha messo in condizione di interloquire, con espressa riserva, all’esito, di un’eventuale modifica del decisum, la cui applicazione, nelle more della rinnovata fase procedimentale, era stata, per di più, unilateralmente sospesa.
7.1.1. Sul punto, il Collegio conviene con l’esegesi sostanzialistica propugnata dal Tribunale.
7.1.2. Invero, la partecipazione al procedimento è un valore sostanziale cui le forme dell’azione amministrativa sono meramente serventi: pertanto, la violazione delle forme attinge la soglia dell’illegittimità solo e nei limiti in cui ne sia conseguito un concreto ed effettivo vulnus alle facoltà di partecipazione dell’interessato.
7.1.3. Nella specie, di contro, il De. è stato messo nella condizione di interloquire con l’Amministrazione, di presentare memorie e documenti e di accedere a quelli in possesso dell’Amministrazione entro un termine prima facie congruo (30 giorni), riservandosi l’Amministrazione, all’esito di tale segmento procedimentale, una nuova valutazione dei fatti.
7.1.4. In tal modo, è stato pienamente assicurato il valore (appunto, sostanziale) della partecipazione procedimentale con un’intensità, un’ampiezza ed una pienezza del tutto analoga a quella che il ricorrente avrebbe ottenuto mediante la riedizione del procedimento.
7.1.5. A fortiori, la violazione di forme del procedimento non determina il radicale vizio della nullità, predicabile solo nei casi eccezionali enucleati nell’art. 21-septies l. n. 241 del 1990 (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. un., 05.03.2018, n. 5097 e 03.10.2016, n. 19682; Cons. Stato, Sez. IV, 24.05.2016, n. 2202).

ATTI AMMINISTRATIVIE' illegittima l'ordinanza contingibile e urgente di sgombero dei locali posti a piano terra e interrati “fino al ripristino delle condizioni igienico-sanitarie e all’adeguamento dell’impianto idrico fognante alle norme di legge”.
Invero, l’impugnato provvedimento è carente dei presupposti normativi che legittimino l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 54 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 (disposizione espressamente richiamata dalla censurata ordinanza e su di essa fondata), tenuto conto che il Comune avrebbe dovuto far ricorso agli strumenti ordinari (i.e. ordinanza in materia di rimozione dei rifiuti e di bonifica ambientale ex art. 192, comma 3, del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, ovvero potere del sindaco ex art. 222 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265, di dichiarare inabitabili una casa o parte di essa per ragioni di igiene e di ordinarne lo sgombero), in relazione ad una situazione conosciuta ormai da tempo e quindi prevedibile.
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... per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’ordinanza n. -OMISSIS- del Commissario straordinario del Comune di Manfredonia, trasmessa alla società ricorrente via pec con nota prot. n. 24862 del 02.07.2019 ed avente ad oggetto “lo sgombero dei locali posti a piano terra e interrati dell’unità immobiliare denominata “-OMISSIS-” ubicata in via -OMISSIS- in -OMISSIS-”, con cui si imponeva alla stessa società di eseguire, “entro 15 giorni dalla data di notifica” dell’ordinanza medesima, lo sgombero dei suddetti locali “fino al ripristino delle condizioni igienico-sanitarie e all’adeguamento dell’impianto idrico fognante alle norme di legge”, nonché di espletare le “opportune verifiche statiche” e di trasmettere la relativa documentazione alla stessa Amministrazione, “prima dell’utilizzo degli immobili”;
...
1. - Con l’atto introduttivo del presente giudizio la società istante -OMISSIS- s.r.l. in liquidazione (proprietaria dell’immobile denominato “-OMISSIS-” sito in Manfredonia in via -OMISSIS- “-OMISSIS-”) impugnava l’ordinanza commissariale contingibile e urgente in epigrafe indicata di sgombero dei locali posti a piano terra e interrati di detta unità immobiliare.
Deduceva un’unica censura così riassumibile:
   - violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000 per mancanza dei presupposti da esso richiesti per l’esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente; eccesso di potere per erronea presupposizione di fatto e di diritto e per difetto d’istruttoria, illogicità e ingiustizia manifesta; violazione dei principi generali di efficienza, proporzionalità e adeguatezza dell’azione amministrativa; violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241/1990.
...
4. - Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Giudice che il ricorso debba essere accolto in quanto fondato.
Invero, sono condivisibili le argomentazioni svolte dalla parte ricorrente.
L’impugnato provvedimento commissariale è carente dei presupposti normativi che legittimino l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 54 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 (disposizione espressamente richiamata dalla censurata ordinanza e su di essa fondata), tenuto conto che il Comune di Manfredonia avrebbe dovuto far ricorso agli strumenti ordinari (i.e. ordinanza in materia di rimozione dei rifiuti e di bonifica ambientale ex art. 192, comma 3, del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, ovvero potere del sindaco ex art. 222 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265, di dichiarare inabitabili una casa o parte di essa per ragioni di igiene e di ordinarne lo sgombero), in relazione ad una situazione conosciuta ormai da tempo e quindi prevedibile (v. segnalazione della Prefettura di Foggia del 23.01.2019 e relazione di servizio dell’UTC del 20.02.2019, atti entrambi menzionati nelle premesse della censurata ordinanza del 02.07.2019).
Con riferimento al carattere extra ordinem delle ordinanze in questione, da emettere solo allorquando siano preclusi gli strumenti ordinari, si richiama la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 12.06.2014, n. 3001; mentre in relazione all’impossibilità di utilizzare detto strumento eccezionale per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti si richiama la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 21.02.2017, n. 774.
Va, altresì, evidenziato che l’immobile per cui è causa risulta essere stato concesso in locazione al Comune di Foggia in forza di contratto del 12.07.2007, con la conseguenza che l’ordine di messa in sicurezza sarebbe dovuto essere indirizzato al responsabile della situazione di fatto (vale a dire lo stesso Comune di Foggia), tenuto altresì conto delle possibili problematicità insite nel realizzare lo sgombero di un immobile occupato da altri soggetti, implicando ciò, se del caso, l’intervento della forza pubblica.
5. - Dalle argomentazioni espresse in precedenza discende l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento dell’ordinanza n. -OMISSIS- del Commissario straordinario del Comune di Manfredonia (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 06.03.2020 n. 366 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’orientamento prevalente della giurisprudenza ritiene le circolari interpretative non autonomamente impugnabili in quanto prive di carattere provvedimentale, con conseguente insussistenza, da un lato, di un onere di impugnativa e, dall’altro, di alcun vincolo sia dell’amministrazione stessa nella relativa applicazione sia del giudice nel valutare la legittimità dell’atto applicativo.
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5.2. Non merita condivisione neppure l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse in relazione alla natura degli atti impugnati in quanto non lesivi.
5.2.1. Va premesso che l’atto principalmente impugnato –essendo gli altri, con eccezione del DPCM inerente i LEA, su cui ci si soffermerà in seguito, mere comunicazioni endoprocedimentali prive di efficacia lesiva autonoma– ha evidente natura di circolare interpretativa, avendo la funzione di veicolare l’orientamento del Ministero della Salute in merito alla “competenza” alla effettuazione del trattamento di dermopigmentazione in discorso.
5.2.2. Non ignora il Collegio che l’orientamento prevalente della giurisprudenza ritiene le circolari interpretative non autonomamente impugnabili in quanto prive di carattere provvedimentale, con conseguente insussistenza, da un lato, di un onere di impugnativa e, dall’altro, di alcun vincolo sia dell’amministrazione stessa nella relativa applicazione sia del giudice nel valutare la legittimità dell’atto applicativo (ex multis, TAR Campania, Sez. VIII, 16.12.2019 n. 5952; Cons. di Stato, sez. III, 01.12.2016, n. 5047; TAR Sicilia, Sez. I, 12.06.2015, n. 1433) (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 02.03.2020 n. 2686 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lo stato di abbandono consolidato di un cantiere non legittima l'ordinanza contingibile ed urgente del sindaco.
È illegittima, per carenza dei presupposti, l’ordinanza sindacale extra ordinem finalizzata all’esecuzione di lavori riguardanti la messa in sicurezza di un cantiere il cui stato di abbandono si sia consolidato negli anni, non costituendo un fatto eccezionale da rimuovere con urgenza.
Invero, il potere del sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, cui sia impossibile far fronte con strumenti ordinari, nonché l'esistenza di una situazione di pericolo quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'amministrazione non intervenga prontamente.
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I. Parte ricorrente impugna, unitamente al provvedimento di rigetto di accoglimento dell’istanza in autotutela, l’ordinanza contingibile ed urgente con la quale il Sindaco le ha ordinato, in concorso con la società fallita, titolare dei titoli edilizi e proprietaria in quota parte delle aree di cantiere, originariamente oggetto di permuta (cfr. nota Comando P.M. prot. n. 4774 del 04.05.2018), l’esecuzione di alcuni lavori di messa in sicurezza nell’ambito delle aree distinte in catasto al foglio n. 7, p.lle nn. 5345, 5348 e 5463 (asseritamente assorbite nella particella n. 5678, cfr. nota comunale del 04.10.2018, prot. n. 12806).
II. A sostegno del gravame deduce i seguenti motivi di diritto:
   a) violazione degli artt. 50, 54 e 107 del d.lgs. n. 267/2000 in relazione all’art. 3 della l. n. 241/1990;
   b) eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto e di istruttoria;
   c) incompetenza.
III. Si è costituito, tramite l’Avvocatura distrettuale, il Sindaco nella sua qualità di ufficiale di governo, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, in quanto asseritamente notificato esclusivamente alla difesa erariale e non anche presso gli uffici comunali e concludendo in subordine per il rigetto del gravame.
IV. All’udienza pubblica del 17.12.2019, fissata per la trattazione, la causa è stata introitata per la decisione.
V. Va, in primo luogo, disattesa l’eccezione in rito.
V.1. Sostiene la difesa erariale che la notificazione del ricorso sarebbe nulla in quanto non poteva essere effettuata presso l’Avvocatura dello Stato ma andava effettuata presso la Casa Comunale.
Le ordinanze contingibili e urgenti adottate dal Sindaco quale ufficiale di Governo, sebbene soggette a regole diverse da quelle ordinariamente applicabili agli atti del Sindaco come capo dell’amministrazione comunale, sarebbero pur sempre atti redatti e decisi dagli uffici comunali.
Sussisterebbe pertanto la legittimazione del Comune a resistere nel giudizio in caso di controversia sulla legittimità dell’ordinanza sindacale (cfr. Cons. St., sez. IV, 28.03.1994, n. 291): essendo i provvedimenti emessi dal Sindaco quale ufficiale di governo pur sempre imputabili al Comune, di cui il Sindaco stesso è organo, il ricorso proposto contro il Sindaco, che abbia agito nell’anzidetta qualità, dovrebbe essere pertanto notificato presso la sede del Comune anziché presso l’Avvocatura dello Stato (cfr. Cons. St., sez. V, 07.11.2007, n. 4718).
V.1.1. Ritiene opportuno il Collegio, in primo luogo, richiamare consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale secondo il quale:
   a)
vero è che di norma, “nelle ipotesi di impugnazione delle ordinanze adottate dal sindaco ex art. 54 T.u.e.l., adottato con d.lgs., 18.08.2000 n. 267, sussiste non solo la legittimazione passiva in capo al Comune, ma anche il difetto di legittimazione passiva di altre amministrazioni statali nelle stesse ipotesi, atteso che l'imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell'atto dell'organo del Comune ha una natura meramente formale, nel senso che non per questo il Sindaco diventa organo di un'amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel complesso organizzativo dell'ente locale, senza che il suo status sia modificato (Cons. di St. sez. IV, 29.04.2014 n. 2221);
   b)
l’estromissione ovvero l’inammissibilità del ricorso per notifica alla sola Amministrazione centrale, tuttavia, va disposta esclusivamente qualora il ricorso sia stato proposto per l'annullamento di atti, "mentre deve essere ritenuto diversamente nel caso di contemporanea o successiva azione risarcitoria, affinché lo Stato non venga chiamato a rispondere dei danni senza aver potuto tempestivamente difendersi; invero, è applicabile il principio che lo Stato (e non il Comune) sia l'unico soggetto legittimato passivo dell'azione risarcitoria proposta per il ristoro dei danni derivanti dall'esecuzione delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal Sindaco (TAR Campania, Napoli, sez. VI, 03.08.2016, n. 4013 e sez. V, 30.05.2017, n. 2902).
Ed invero, “
Il potere di ordinanza spettante al Sindaco per l'emanazione dei provvedimenti contingibili ed urgenti a fini di pubblico interesse appartiene allo Stato, ancorché nel provvedimento siano coinvolti interessi locali, poiché il Sindaco agisce quale ufficiale del Governo. Ne consegue che, sia per le azioni risarcitorie, sia per le azioni di pagamento diverse, fondate su responsabilità per atto lecito, sussiste la legittimazione passiva dell'amministrazione statale competente ancorché ai Comuni siano state assegnate le somme necessarie per pagare le relative indennità” (Cassazione civile, sez. I, 28.02.2019, n. 5970).
V.2. Tanto precisato e a prescindere dalla possibile azione risarcitoria, la censura è infondata in fatto.
Invero, il ricorso in oggetto è stato notificato:
   a) a mezzo pec:
      - al Sindaco del Comune di Santa Maria a Vico – nella qualità di Ufficiale di Governo, elettivamente domiciliato ope legis presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli;
      – al Fallimento Società A.R.G. Costruzioni S.R.L. – in persona del Curatore p.t. Dott. El.Co.;
   b) ma anche a mezzo posta:
      - al Comune di Santa Maria a Vico –in persona del legale rappresentante p.t.– domiciliato per la carica presso la Casa Comunale;
      - al Sindaco del Comune di Santa Maria a Vico –nella qualità di Ufficiale di Governo- domiciliato per la carica presso la Casa Comunale.
In altri termini, la notifica al Sindaco di Santa Maria a Vico, nella qualità di Ufficiale di Governo, è stata effettuata sia a mezzo pec (presso l’Avvocatura) che a mezzo posta (presso la Casa Comunale): muovendo da tali presupposti è evidente la manifesta infondatezza dell’eccezione opposta.
VI. Ciò posto, il ricorso è fondato nei termini di seguito esplicati.
VI.1. Orbene, la gravata ordinanza risulta essere stata adottata sulla base dei seguenti presupposti: “La recinzione provvisionale atta ad evitare l'accesso al cantiere è inefficiente, poco stabile e necessita di un urgente intervento di ripristino. A breve distanza dal marciapiede permane uno scavo aperto con parete verticale, d'altezza di circa 2 metri priva di qualunque elemento di sostegno, avente una dimensione planimetrica di circa 28 M x 2 m, che in caso d'instabilità potrebbe causare dissesti all'adiacente proprietà pubblica; L'area di cantiere è abbandonata ed oggetto di degrado e possibile focolaio di problemi di carattere igienico-sanitario;
VISTO che il titolo edilizio è intestato alla società AR.CO. S.RL. in stato di fallimento, con sede in Sant’Antimo alla via ... s.n.c., e sottoposto alla curatela fallimentare;
VISTO che l'area è intestata ai germani DE LU. ”…Tanto premesso si ordina al dott. CO.El., nella sua qualità di Curatore Fallimentare della ditta AR.CO. e ai proprietari del fondo “di procedere con estrema urgenza all'esecuzione dei lavori di sostituzione della recinzione di cantiere con altra recitazione stabilmente ancorata al suolo, invalicabile e di altezza dal marciapiede almeno pari a 2m” nonché alla “messa in sicurezza dello scavo prospiciente il marciapiede di via ... mediante puntellatura delle pareti delle scavo onde garantirne la stabilità (si faccia riferimento all’art. 119 del D.Lvo 81/2008) o in caso di non immediata ripresa dei lavori, di reinterro del fosso
”, unitamente alla “Eliminazione dell'erbe Infestanti ed esportazione degli eventuali rifiuti giacenti nell’area”.
VI.2. Il provvedimento di rigetto del riesame è, poi, motivato nei termini che seguono: “le particelle indicate nell'ordinanza sono quelle riferite al permesso di costruire in forza del quale sono stati avviati i lavori e sono state assorbite nella particella 5678; …negli atti urbanistici si rileva la presenza di una permuta, come confermato dalla documentazione trasmessa, per effetto della quale risulta ancora un titolo, in capo ai germani De Lucia, sulla proprietà dalla quale proviene il degrado ed il pericolo ed oggetto di ordinanza; … la contingibilità ed urgenza per l'emissione dell'ordinanza sindacale sono dettate dalla situazione di pericolo e degrado in un'area centrale densamente abitata e frequentata”.
VII. Con il terzo motivo di ricorso, assorbente, parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000 dolendosi dell’assenza dei requisiti legittimanti l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente extra ordinem.
VII.1. Richiama, la medesima parte, consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale
presupposto indefettibile per l’adozione delle ordinanze sindacali, ai sensi degli artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo Unico Enti Locali) è la necessità di intervenire urgentemente con misure eccezionali ed imprevedibili di carattere “provvisorio”, non fronteggiabili con gli ordinari mezzi previsti dall’ordinamento giuridico e a condizione della “temporaneità dei loro effetti (Cons. di Stato, Sez. VI, del 31.10.2013 n. 5276).
VII.1.1. I suddetti requisiti, nella specie, sarebbero carenti, esistendo la contestata recinzione e lo scavo prospiciente il marciapiede da anni, non essendo, conseguentemente, configurabile alcun fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza.
Il lungo lasso temporale intercorso dal consolidarsi della situazione di fatto, peraltro, evidente, tanto da essere stata la condizione dei luoghi segnalata nel tempo da comuni cittadini, come tale, conosciuta o conoscibile dall’Amministrazione intimata, avrebbe consentito alla medesima di fronteggiare l’evenienza con gli ordinari mezzi previsti dall’ordinamento giuridico.
VII.2. La censura è fondata.
VII.2.1.
Per legittimare l’adozione dei poteri di cui agli artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000 devono, infatti, ricorrere i seguenti diversi e concorrenti presupposti:
   a) la necessità di intervenire in alcune materie espressamente previste, quali, ad esempio, la sanità, l’igiene, l’edilizia e la Polizia Locale;
   b) necessità dell’intervento nell’attualità e/o nell’imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza;
   c) il previo accertamento, da parte degli organi competenti, della situazione di pericolo o di danno che si intende fronteggiare;
   d) la mancanza di strumenti alternativi previsti dall’ordinamento, stante il carattere extra ordinem del potere sindacale di ordinanza.

VII.2.2. Orbene, ora, come già affermato anche da questa stessa sezione, “
le ordinanze contingibili ed urgenti costituiscono provvedimenti extra ordinem, in quanto dotate di capacità derogatoria dell'ordinamento giuridico, al fine di consentire alla P.A., in deroga al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, di sopperire a situazioni straordinarie ed urgenti non fronteggiabili con l'uso dei poteri ordinari.
Presupposti indefettibili delle ordinanze contingibili ed urgenti sono costituiti:
   a) dall'impossibilità di differire l'intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di un danno incombente (urgenza);
   b) dall'impossibilità di far fronte alla situazione di pericolo incombente con gli ordinari mezzi offerti dall'ordinamento giuridico (contingibilità);
   c) dalla precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalle legge
” (TAR Campania, Napoli, sez. V, 09.11.2016 n. 5162 e 17.02.2016 n. 860; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 12.01.2016 n. 69; Cons. di St., sez. V, 26.07.2016 n. 3369).
Non ultronea appare, altresì, la precisazione che “
tali provvedimenti costituiscono strumenti atipici per quanto attiene al contenuto, fissando la legge unicamente i presupposti per l'esercizio del potere di ordinanza, atteso che l'atipicità è conseguenza della funzione dell'istituto, considerato che le situazioni di urgenza concretamente verificabili non sono prevedibili a priori” (TAR Veneto, Venezia, sez. I, 21.09.2016 n. 1055).
Ed invero, “
le ordinanze contingibili ed urgenti sono consentite esclusivamente per far fronte a straordinarie ed imprevedibili esigenze —a cui non è possibile ovviare facendo ricorso agli ordinari strumenti tipizzati dalla legge— per il tempo strettamente necessario affinché l'amministrazione possa intervenire in via ordinaria” (TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 26.09.2016 n. 2268).
Solo “in ragione di tali situazioni si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale (Cons. di St., sez. V, 22.03.2016 n. 1189).
In definitiva, quindi, “
il potere del Sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui sia impossibile far fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento, nonché l'esistenza e l'indicazione nel provvedimento impugnato di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente” (Cons. Stato Sez. II, 22.01.2020, n. 538).
VII.2.3. Orbene, nel caso all’esame, lo stato di pericolo per la pubblica e privata incolumità risulta solo asserito e l’ordinanza difetta, comunque, come dedotto dalla parte ricorrente, del requisito della contingibilità intesa come eccezionalità ed imprevedibilità dell’evento (trattasi, invero, della cattiva manutenzione della delimitazione della zona di cantiere in stato di abbandono) cui non possa farsi fronte con gli strumenti ordinari previsti dall’ordinamento.
Invero, secondo quanto relazionato dal geometra incaricato a seguito del sopralluogo eseguito in data 27.04.2018, con riferimento al “marciapiede di che trattasi, confinante con la proprietà della Società "AR.Co. s.r.l," con sede in Sant'Antimo, al momento non si evidenziano cedimenti, ma comunque il fondo confinante è abbisognevole di messa in sicurezza”, nelle forme poi dettagliatamente descritte. A tal proposito lo stesso tecnico meramente attesta, quanto al tratto della recinzione prospiciente il marciapiede, che “la stessa al momento non efficiente” (specificandosi, solo per il 4° tratto che “la stessa al momento risulta del tutto caduta, e pericolosa per i residenti del posto”) e, quanto alla parete di terreno confinante con il medesimo marciapiede, meramente che “la stessa è sprovvista di qualsiasi sostegno per cui potrebbe causare danno al marciapiede stesso con possibilità di pericolo, per la pubblica e privata incolumità”.
Manca altresì, come sostenuto, l’ulteriore presupposto indefettibile per l'adozione di siffatte ordinanze ovvero la necessità di intervenire urgentemente con misure eccezionali ed imprevedibili di carattere "provvisorio", non fronteggiabili, come detto, con gli "ordinari" mezzi previsti dall'ordinamento giuridico e a condizione della "temporaneità dei loro effetti" (cfr. Corte Costituzionale, sentenze del 07.04.2011 n. 115 e del 01.07.2009 n. 196).
Ed invero l’ordinanza gravata è stata adottata il 23.05.2018, a distanza di circa un mese dall’avvenuto sopralluogo, accertante, in data 27.04.2018, le descritte criticità, tanto da potersi escludere qualsiasi carattere di urgenza e di imminente e concreto pericolo per la pubblica igiene e incolumità.
La medesima ordinanza sindacale impugnata, peraltro, non indica alcun termine finale presentando un'efficacia sine die, o meglio, produce effetti sino alla contestata eliminazione del pericolo senza che residui alcuno spazio per l’esercizio dei poteri ordinari, aspetto, questo, che contrasta proprio con il carattere eccezionale e temporaneo tipico del provvedimento di carattere straordinario.
VII.2.4. Devono allora ritenersi fondate le censure dedotte da parte ricorrente, quanto agli eventuali interventi per il ripristino delle condizioni di sicurezza, essendo discutibile l’imprescindibilità del ricorso ai poteri extra ordinem per l’asserita impossibilità di un efficace utilizzo degli strumenti ordinari previsti dall’ordinamento, a fronte, di contro, del protrarsi dello stato di abbandono proprio per l’omessa e reiterata assenza di manutenzione nella delimitazione del cantiere (recinzione e scavo prospiciente il marciapiede) ad opera della società affidataria dei lavori, intestataria della licenza edilizia, che, invero, si è andato aggravando nel tempo con conseguenze tutt’altro che imprevedibili.
VIII. Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso, assorbite le ulteriori censure dedotte, va comunque accolto, nei termini di cui in motivazione, per carenza dei requisiti legittimanti tanto l’adozione di una ordinanza contingibile ed urgente quanto il conseguente diniego di riesame (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 02.03.2020 n. 971 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

febbraio 2020

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sulla richiesta di accesso all'elenco delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate ex art. 146, comma 13, d.lgs. n. 42/2004 – Richiesta di accesso formulata in modo poco chiaro – Sostanziale esercizio del diritto di cui all’art. 5, c. 1, d.lgs. n. 33/2013 – Obbligo, a carico dell’amministrazione, di interpretazione quale istanza di accesso civico generalizzato.
Nel caso di istanza di accesso formulata dal in modo poco chiaro (nella fattispecie non recante riferimenti all’accesso civico generalizzato limitandosi a menzionare la normativa dell’articolo 146, comma 13, d.lgs. n. 42 e le disposizioni della legge 07.08.1990, n. 241 relative all’accesso documentale) il comune deve interpretare l’istanza, tenuto conto che il cittadino può anche non possedere particolari conoscenze giuridiche e che sussiste un dovere di soccorso delle amministrazioni pubbliche, come una istanza di accesso civico generalizzato.
Questa conclusione è del resto ampiamente giustificata dal rilievo che appare evidente che, non menzionando l’istanza un particolare interesse alla conoscenza dell’atto richiesto (il che permette di escluderne la qualificabilità come ordinaria istanza di “accesso documentale”) e facendo riferimento la medesima all’elenco dell’articolo 146, comma 13, d.lgs. n. 42 che è un elenco che le amministrazioni hanno l’obbligo di istituire (aggiornandolo mensilmente) e di rendere liberamente consultabile a tutti anche in via telematica, il ricorrente stava esercitando il diritto dell’articolo 5, comma 1, d.lgs. n. 33 secondo cui “l'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”;
In questo senso è illegittimo che il comune –anziché esibire prontamente al ricorrente la documentazione richiesta ponendo rimedio a una propria inadempienza a obblighi di legge (istituzione e periodico aggiornamento dell’elenco ex articolo 146, comma 13, citato)- abbia affermato da un lato l’insussistenza di un obbligo di pubblicazione e dall’altro affermato che il ricorrente avrebbe potuto richiedere l’accesso civico ai documenti (in pratica proponendo una nuova istanza, contenutisticamente identica se non per il mero riferimento formale all’accesso civico generalizzato a quella già presentata);
Questo modo di operare appare espressione di una concezione burocratica e formalistica dell’operare dell’amministrazione che si pone in chiaro contrasto non solo coi principi generali, che viceversa pongono l’amministrazione al servizio dei cittadini imponendole di operare in modo economico ed efficiente, ma anche con la legge generale sul procedimento amministrativo che impone all’amministrazione anche di sollecitare la rettifica di istanze erronee non chiare o incomplete (fermo restando che in questo caso non sarebbe stata necessaria alcuna rettifica dato che sarebbe stato sufficiente qualificare l’istanza del ricorrente per quello che in realtà essa era, cioè una richiesta di accesso civico a un elenco di cui la legge prescrive la pubblicazione e il costante aggiornamento da dieci anni e che quindi il ricorrente avrebbe dovuto poter consultare liberamente senza necessità di farne esplicita richiesta al comune).
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Espone il ricorrente di aver presentato al comune di Solopaca in data 17.09.2019 una istanza di accesso con cui chiedeva –avendo notato la realizzazione di lavori edili su un immobile appartenente alla controinteressata– l’accesso all’autorizzazione paesaggistica, se esistente, e all’elenco delle autorizzazioni paesaggistiche previsto dall’articolo 146, comma 13, d.lgs. 22.01.2004, n. 42.
Il successivo 23.10.2019 il responsabile dell’ufficio tecnica dava riscontro all’istanza con una nota in cui faceva presente che: a) “per i provvedimenti finali di autorizzazione e concessione …. non sussiste un obbligo di pubblicazione trattandosi di atti già soggetti ad accesso civico”; b) che “resta ferma la possibilità di esercitare il diritto di accesso civico generalizzato …. ai sensi degli articoli 5, co. 2 e 5-bis del d.lgs. 33/2013”; c) sarebbe comunque stato in “corso di predisposizione” la pubblicazione sul sito web comunale dell’elenco nella sezione dedicata alla trasparenza.
Di qui il ricorso all’esame, notificato il 19.11.2019 e depositato il 26.11.2019 con cui il ricorrente denuncia che la nota in questione è illegittima per violazione dell’articolo 146, comma 13, d.lgs. 22.01.2004, n. 42, dell’articolo 5 d.lgs. 14.03.2013, n. 33 e degli articoli 22, 24 e 25 della legge 07.08.1990, n. 241.
Né il comune di Solopaca né la controinteressata si sono costituiti in giudizio.
Il ricorso è fondato e va accolto, ritenendo il collegio che sussista la violazione della normativa in materia di accesso civico generalizzato.
Va premesso che l’istanza di accesso è stata formulata dal ricorrente in modo poco chiaro, dato che essa non reca riferimenti all’accesso civico generalizzato limitandosi a menzionare la normativa dell’articolo 146, comma 13, d.lgs. n. 42 e le disposizioni della legge 07.08.1990, n. 241 relative all’accesso documentale.
Ad avviso del Collegio, tuttavia, il comune avrebbe potuto e dovuto interpretare l’istanza, tenuto conto che il cittadino può anche non possedere particolari conoscenze giuridiche e che sussiste un dovere di soccorso delle amministrazioni pubbliche, come una istanza di accesso civico generalizzato; questa conclusione è del resto ampiamente giustificata dal rilievo che appare evidente che, non menzionando l’istanza un particolare interesse alla conoscenza dell’atto richiesto (il che permette di escluderne la qualificabilità come ordinaria istanza di “accesso documentale”) e facendo riferimento la medesima all’elenco dell’articolo 146, comma 13, d.lgs. n. 42 che è un elenco che le amministrazioni hanno l’obbligo di istituire (aggiornandolo mensilmente) e di rendere liberamente consultabile a tutti anche in via telematica, il ricorrente stava esercitando il diritto dell’articolo 5, comma 1, d.lgs. n. 33 secondo cui “l'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”; in questo senso è illegittimo che il comune –anziché esibire prontamente al ricorrente la documentazione richiesta ponendo rimedio a una propria inadempienza a obblighi di legge (istituzione e periodico aggiornamento dell’elenco ex articolo 146, comma 13, citato)- abbia affermato da un lato l’insussistenza di un obbligo di pubblicazione e dall’altro affermato che il ricorrente avrebbe potuto richiedere l’accesso civico ai documenti (in pratica proponendo una nuova istanza, contenutisticamente identica se non per il mero riferimento formale all’accesso civico generalizzato a quella già presentata); questo modo di operare appare espressione di una concezione burocratica e formalistica dell’operare dell’amministrazione che si pone in chiaro contrasto non solo coi principi generali, che viceversa pongono l’amministrazione al servizio dei cittadini imponendole di operare in modo economico ed efficiente, ma anche con la legge generale sul procedimento amministrativo che impone all’amministrazione anche di sollecitare la rettifica di istanze erronee non chiare o incomplete (fermo restando che in questo caso non sarebbe stata necessaria alcuna rettifica dato che sarebbe stato sufficiente qualificare l’istanza del ricorrente per quello che in realtà essa era, cioè una richiesta di accesso civico a un elenco di cui la legge prescrive la pubblicazione e il costante aggiornamento da dieci anni e che quindi il ricorrente avrebbe dovuto poter consultare liberamente senza necessità di farne esplicita richiesta al comune).
Conclusivamente il ricorso va accolto con il conseguente ordine al comune di Solopaca di fornire al ricorrente la documentazione che ha richiesto (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 28.02.2020 n. 928 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Contributi e finanziamenti pubblici, illegittimi senza criteri trasparenti. Il problema delle graduatorie per la concessione di un finanziamento pubblico non accompagnate da criteri oggettivi di valutazione.
In materia di concessione di contributi pubblici, è necessario che i criteri seguiti per formare la graduatoria siano individuati da appositi atti dell’amministrazione, in mancanza la graduatoria si presenta priva di motivazione.
Ai sensi dell’art. 12, comma 2, della l. 241/1990, l’amministrazione ha il dovere di indicare, con il provvedimento attributivo di vantaggi economici, i criteri e le modalità osservate nella ripartizione di essi.
In via più generale, l’art. 3 della stessa legge prevede l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi: “Ogni provvedimento amministrativo (…) deve essere motivato (…) La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.
Sulla base del combinato disposto di queste disposizioni, il TAR Lazio ha annullato per difetto di motivazione una graduatoria perché né l’atto impugnato, né ulteriori documenti ad esso allegati, o comunque resi disponibili dall’amministrazione, avevano indicato quali criteri erano stati seguiti per la sua formazione.
Il dovere di motivazione nella procedura di concessione di un finanziamento pubblico
In via generale il combinato disposto dell’art. 3 della l. 241/1990 sul dovere di motivazione e del sopra citato art. 12, sull’obbligo di individuare i criteri nell’attribuzione di vantaggi economici, impone una previa determinazione dei criteri per la formazione di una graduatoria finalizzata alla concessione di contributi pubblici.
In particolare una tale determinazione è necessaria ai fini di assolvere all’obbligo motivazionale mediante punteggio numerico (Cons. Stato, sez. III, n. 2725 del 2019).
Tali criteri sono tesi ad evitare arbitrii lesivi del principio di imparzialità dell’agire amministrativo.
Ciò detto, ammettono i giudici amministrativi capitolini, sarebbe anche possibile che tali criteri emergano da altro atto diverso ma richiamato, o siano persino resi noti successivamente su istanza di accesso.
Inoltre, l’amministrazione in difetto di criteri potrebbe invocare a sua difesa l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, nei casi in cui l’atto sia vincolato e quindi il suo contenuto non possa essere differente (fermo restano che il dovere di motivazione si riferisce anche agli atti vincolati, e che è solo la sua inosservanza a consentire l’applicazione di tale regola, ove ne ricorrano i presupposti, tra cui il carattere palese del dato acquisito).
L’atto privo di motivazione non è nullo, ma annullabile
Quanto ad una possibile declaratoria di nullità dell’atto per assenza di motivazione, e dunque carenza di un elemento essenziale (cd. “nullità strutturale”: art. 21-septies legge n. 241 del 1990), la sentenza chiarisce che il difetto di motivazione (e anche la sua totale assenza) rifluisce nel vizio di violazione di legge, e comporta annullabilità (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 25.02.2020 n. 2483 - commento tratto da www.giurdanella.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: È illegittima l’erogazione di contributi se la graduatoria non indica i criteri di valutazione delle domande
È illegittima la concessione di contributi pubblici nel caso in cui la graduatoria dei beneficiari sia priva di motivazione, ossia non indichi i criteri seguiti per formarla, né faccia rinvio ad altro documento esplicativo con riguardo alla procedura di valutazione eseguita dalla Pa.
Questo il principio affermato dal TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, con la sentenza 25.02.2020 n. 2483, per effetto del corollario desunto dal combinato disposto degli articoli 3 (obbligo di motivazione dell'atto amministrativo) e 12 (provvedimenti attributivi di vantaggi economici) della legge 241/1990.
La pronuncia è degna di interesse anche per il fatto che in genere gli enti, pur dotati formalmente del regolamento prescritto dal suddetto articolo 12, non sempre procedono all'erogazione di sussidi sulla base di criteri e modalità ispirati ai principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza.
La decisione
La vicenda riguarda un ricorso proposto contro un decreto del ministero dei Beni e delle attività culturali che, in attuazione della legge 220/2016 e del Dpcm 04.08.2017, ha disposto la concessione di contributi pubblici per supportare la diffusione e l'ammodernamento delle sale cinematografiche, dando fondo alla distribuzione di risorse per un importo di poco superiore a 5 milioni di euro.
La parte ricorrente si era classificata al nono posto tra i soggetti ammessi a contributo, ma non aveva ricevuto fondi per esaurimento delle risorse disponibili, che erano state assegnate solo ai primi sette della graduatoria.
Di qui il gravame dinanzi al Tar contro il decreto del ministero, con la conseguente richiesta di annullamento dell'atto per difetto di motivazione, violazione di legge ed eccesso di potere.
I giudici hanno accolto il ricorso censurando l'operato del ministero, che ora dovrà ripartire da zero con una nuova valutazione delle domande delle sale cinematografiche, previa individuazione dei criteri di riparto delle risorse in palio, dandone comunicazione ai soggetti interessati.
Come si è detto, i giudici hanno fondato la pronuncia di annullamento del decreto ministeriale sull'obbligo della Pa di motivare gli atti che incidono sulla sfera giuridica dei terzi, dando applicazione ai criteri di trasparenza, di pubblicità e di imparzialità nel distribuire le risorse pubbliche.
I giudici hanno riscontrato che «il decreto censurato ha approvato la graduatoria senza alcun riferimento ai criteri seguiti per formarla, e senza rinviare ad altro documento esplicativo».
Si noti, per inciso, che il decreto in questione recava un'apposita sezione con la tabella dei punteggi assegnati alle domande, ma era carente di motivazione in ordine alla procedura di valutazione eseguita per giungere al risultato degli ammessi.
Quel che mancava, in sostanza, era la griglia predeterminata dei criteri ai fini della ripartizione dei fondi, non bastando il mero esito esplicativo dell'attività svolta.
La mancata dimostrazione del rapporto tra attribuzione del punteggio e parametri di valutazione è risultata dirimente ai fini della declaratoria di illegittimità, stante il contrasto della fattispecie con il principio di buon andamento cui deve sempre uniformarsi l'azione della Pa.
I precedenti giurisprudenziali
È il caso di ricordare come la giurisprudenza amministrativa e contabile abbia più volte ribadito l'esigenza di dare corso con particolare cautela all'impiego di risorse pubbliche nei confronti dei terzi, tenuto conto del fatto che la mancata osservanza delle regole in materia può costituire fonte di danno erariale.
In particolare, il Consiglio di Stato, con la sentenza 7845/2019 ha osservato che l'onere di subordinare la concessione di vantaggi economici a soggetti terzi alla predeterminazione di criteri e modalità cui attenersi «è espressione di un principio generale per il quale l'erogazione di somme di denaro da parte dell'amministrazione pubblica, in qualsiasi forma avvenga, non può considerarsi completamente libera, essendo, invece, necessario che la discrezionalità che connota tale attività sia incanalata mediante la preventiva predisposizione di criteri e modalità di scelta del progetto o dell'attività da beneficiare».
Di qui la necessità che l'erogazione di contributi pubblici venga circoscritta con cura e subordinata all'osservanza di criteri predeterminati, secondo un'apposita istruttoria da riportare volta per volta nella motivazione dei provvedimenti adottati (articolo Scuola24 del 16.04.2020).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Illegittima l'erogazione di contributi se la graduatoria non indica i criteri di valutazione delle domande.
È illegittima la concessione di contributi pubblici nel caso in cui la graduatoria dei beneficiari sia priva di motivazione, ossia non indichi i criteri seguiti per formarla, né faccia rinvio ad altro documento esplicativo con riguardo alla procedura di valutazione eseguita dalla Pa.
Questo il principio affermato dal TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, con la sentenza 25.02.2020 n. 2483 per effetto del corollario desunto dal combinato disposto degli articoli 3 (obbligo di motivazione dell'atto amministrativo) e 12 (provvedimenti attributivi di vantaggi economici) della legge 241/1990.
La pronuncia è degna di interesse anche per il fatto che in genere gli enti, pur dotati formalmente del regolamento prescritto dal suddetto articolo 12, non sempre procedono all'erogazione di sussidi sulla base di criteri e modalità ispirati ai principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza.
Si noti, per inciso, che il decreto in questione recava un'apposita sezione con la tabella dei punteggi assegnati alle domande, ma era carente di motivazione in ordine alla procedura di valutazione eseguita per giungere al risultato degli ammessi. Quel che mancava, in sostanza, era la griglia predeterminata dei criteri ai fini della ripartizione dei fondi, non bastando il mero esito esplicativo dell'attività svolta (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 15.04.2020).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai documenti amministrativi e detenzione degli atti di cui si chiede l’ostensione.
L’Amministrazione, in sede di istanza di accesso ai documenti amministrativi, è tenuta unicamente a rendere gli atti di cui abbia la disponibilità giuridica e materiale e non anche a compiere un’attività di ricerca degli stessi presso terzi, anche se soggetti pubblici, ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso l'esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, non potendosi azionare il rimedio di cui all’art. 25 della l. n. 241/1990 allo scopo di riversare su quest’ultima l’onere di reperire la documentazione richiesta bensì esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già in possesso della stessa.
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Il ricorso non è meritevole di accoglimento risultando dagli atti di causa che, come rappresentato in atti dall’Ateneo resistente, il competente ufficio dell’Area Risorse Umane dell’Università abbia già l’08.08.2019 consentito al legale di parte ricorrente di accedere al fascicolo personale del ricorrente e di estrarne copia di tutta la documentazione ivi contenuta, per un totale di “374 fogli”, come da relativo verbale redatto in pari data, richiamato anche nella contestata nota del 15.11.2019, in cui, con riferimento a “l’ulteriore richiesta di acquisizione atti …inerente l’attività assistenziale del Prof. Vi.Al. nella sua qualità di docente medico strutturato presso l’Azienda Ospedaliera Policlinico Umberto I”, si evidenziava “la necessità di rivolgere analoga richiesta ai competenti Uffici dell’A.O.U. Policlinico Umberto I”.
Ne discende come risulti incontestato che l’Ateneo intimato, già nel riscontrare la prima richiesta di accesso avanzata dal ricorrente, abbia già messo a disposizione del ricorrente tutta la documentazione di cui dispone e che è tenuta a detenere, residuando rispetto ad essa i soli atti relativi all’attività assistenziale da costui svolta presso un diverso ente (l’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico Umberto I) -avente autonoma personalità giuridica ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 517/1999- al quale egli afferma di aver, tra l’altro, già avanzato la relativa richiesta.
La giurisprudenza amministrativa è, infatti, consolidata nell’affermare come l’Amministrazione, in sede di istanza di accesso ai documenti amministrativi, sia tenuta unicamente a rendere gli atti di cui abbia la disponibilità giuridica e materiale e non anche a compiere un’attività di ricerca degli stessi presso terzi, anche se soggetti pubblici, ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso l'esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, non potendosi azionare il rimedio di cui all’art. 25 della l. n. 241/1990 allo scopo di riversare su quest’ultima l’onere di reperire la documentazione richiesta bensì esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già in possesso della stessa (in tal senso, ex multis, questo TAR Lazio, Roma, Sezione I, n. 4695/2018, e Sezione III, n. 11291/2017) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 19.02.2020 n. 2189 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIA fronte di verifiche antimafia "positive" (con riscontro di interdittive) questa Amministrazione statale operante nella pubblica sicurezza procede a adottare i conseguenti provvedimenti di autotutela o cautelari.
Spesso gli interessati contestano che le informazioni antimafia siano state emesse senza contraddittorio o avvio del procedimento e ne chiedono l’annullamento.
Vi sono margini per accogliere queste lamentele?

La disciplina delle "informazioni antimafia") è contenuta nel D.Lgs. 06.09.2011, n. 159 il quale delinea un procedimento peculiare (rispetto agli ordinari procedimenti amministrativi), di natura cautelare e urgente che deroga, secondo la costante e consolidata giurisprudenza, alla disciplina della L. 07.08.1990, n. 241.
Infatti si sottolinea in modo costante come "Ai fini delle informazioni antimafia non occorre la comunicazione di avvio del procedimento, previsto dall'art. 7 della L. n. 241 e il preavviso di rigetto, previsto dall'art. 10-bis della stessa legge. L'informazione antimafia non richiede la necessaria osservanza del contraddittorio procedimentale, meramente eventuale in questa materia ai sensi dell'art. 93, comma 7, del D.Lgs. n. 159 del 2011". Ciò in quanto procedimento "intrinsecamente caratterizzato da profili di urgenza".
Ciò detto, se non è possibile dare rilievo a eventuali osservazioni concernenti le modalità di rilascio dell’informativa antimafia l’amministrazione procedente deve tuttavia valutare la necessità, nell’ambito del proprio procedimento (es. concessione di contributi, appalti ecc..) di procedere comunque tramite le garanzie previste dalla L. 07.08.1990, n. 241 in quanto, nel caso concreto, potrebbero non sussistere le ragioni di urgenza che legittimano l’omissione del contraddittorio.
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Riferimenti normativi e contrattuali
L. 07.08.1990, n. 241, art. 7 - D.Lgs. 06.09.2011, n. 159, art. 93
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. III, 31.01.2020, n. 820 - TAR Piemonte-Torino Sez. I, 18.11.2019, n. 1152 - TAR Campania-Napoli Sez. I, 07.11.2018, n. 6465 - TAR Sicilia-Catania Sez. I, 20.08.2018, n. 1718 - Cons. Stato Sez. III Sent., 27.03.2017, n. 1378 - Cons. Stato Sez. III Sent., 28.10.2016, n. 4555 - Cons. Stato Sez. III Sent., 28.10.2016, n. 4550 - Cons. Stato Sez. III, 01.09.2014, n. 4447 (19.02.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il presupposto necessario perché sia ammissibile l'istanza di accesso civico generalizzato è che sia strumentale alla tutela di un interesse generale.
Uno solo è il presupposto imprescindibile di ammissibilità dell'istanza di accesso civico generalizzato, ossia la sua strumentalità alla tutela di un interesse generale. La relativa istanza, dunque, andrà in ogni caso disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale.
Lo strumento in esame può pertanto essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari: al riguardo, il giudice amministrativo è tenuto a verificare in concreto l'effettività di ciò, a nulla rilevando  tanto meno in termini presuntivi- la circostanza che tali soggetti eventualmente auto-dichiarino di agire quali enti esponenziali di (più o meno precisati) interessi generali.
Pertanto, sebbene il legislatore non chieda all'interessato di formalmente motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa vada disattesa, ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l'esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato.
In tal caso, invero, non si tratterebbe di imporre per via ermeneutica un onere non previsto dal legislatore, bensì di verificare se il soggetto agente sia o meno legittimato a proporre la relativa istanza
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.02.2020 n. 1121 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: La pretesa risarcitoria nei confronti del funzionario di un ente pubblico, come responsabile del procedimento indicato come fonte del danno, va proposta al giudice ordinario.
Considerato l’articolo 28 Cost. (sulla diretta responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici «per gli atti compiuti in violazione dei diritti») e l’art. 103 della Costituzione (per il quale il giudice amministrativo ha giurisdizione «per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie, indicate dalla legge, dei diritti soggettivi»), si evince che la pretesa risarcitoria nei confronti del funzionario di un ente pubblico, come responsabile del procedimento indicato come fonte del danno, va proposta al giudice ordinario: e non porta a diverse conclusioni la circostanza della avvenuta chiamata in garanzia dell'ente pubblico, perché la connessione non fa derogare alla giurisdizione.
Nemmeno rileva accertare preliminarmente se il funzionario ha agito in veste di organo dell'ente pubblico, cioè nell’ambito del rapporto di immedesimazione organica, ovvero al di fuori del rapporto organico. Nell’uno e nell’altro caso, invero, la domanda risarcitoria è proposta contro la persona del funzionario, che è distinta dall'amministrazione (la quale, al più, è con lui solidamente obbligata).
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4. Va in limine esaminato il terzo motivo di appello, con cui la società Ni.Ga. ha contestato le statuizioni di prime cure nella parte in cui hanno dichiarato inammissibile, perché proposta dinanzi al giudice privo di giurisdizione, la domanda risarcitoria nei confronti dei RUP dell’Amministrazione appellata.
Per l’appellante si verte nella specie in un’ipotesi di giurisdizione amministrativa esclusiva: la domanda risarcitoria è stata, infatti, formulata nei confronti dei funzionari dell’ente pubblico in quanto anch’essi responsabili dell’inadempimento agli obblighi assunti con l’accordo ex art. 11 l. n. 241 del 1990 di cui al verbale di riunione sottoscritto il 01.12.2009. Non sarebbe pertanto in sé dirimente la natura privata del soggetto convenuto.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Bene la sentenza appellata ha rilevato il difetto di giurisdizione amministrativa in parte qua, ritenendo la giurisdizione ordinaria.
Infatti, considerato l’articolo 28 Cost. (sulla diretta responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici «per gli atti compiuti in violazione dei diritti») e l’art. 103 della Costituzione (per il quale il giudice amministrativo ha giurisdizione «per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie, indicate dalla legge, dei diritti soggettivi»), si evince che la pretesa risarcitoria nei confronti del funzionario di un ente pubblico, come responsabile del procedimento indicato come fonte del danno, va proposta al giudice ordinario: e non porta a diverse conclusioni la circostanza della avvenuta chiamata in garanzia dell'ente pubblico, perché la connessione non fa derogare alla giurisdizione (Cass., SS.UU., 05.03.2008 n. 5914, 17.05.2010, n. 11932 e 08.03.2011 n. 5408).
Nemmeno rileva accertare preliminarmente se il funzionario ha agito in veste di organo dell'ente pubblico, cioè nell’ambito del rapporto di immedesimazione organica, ovvero al di fuori del rapporto organico. Nell’uno e nell’altro caso, invero, la domanda risarcitoria è proposta contro la persona del funzionario, che è distinta dall'amministrazione (la quale, al più, è con lui solidamente obbligata) (Cass., SS.UU., 13.06.2006 n. 13659) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.02.2020 n. 1055 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATASecondo la disciplina contenuta nel più volte menzionato art. 208 del D.Lgs. n. 152/2006, la compatibilità urbanistica e quella ambientale dell’impianto sono presupposti imprescindibili per procedere al rilascio dell’autorizzazione definitiva.
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Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l'imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l'adozione delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso.
La qualificazione di rilevanza ambientale di un sito non è determinata dal suo grado di degrado o di inquinamento, perché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di tutela; ne consegue che l'imposizione del relativo vincolo, ovvero l'emanazione di atti preclusivi di ulteriori modifiche dello stato dei luoghi, serve piuttosto a prevenire l'aggravamento della situazione ed a perseguirne il possibile recupero.
Pertanto, qualora venga apposto su un’area un vincolo ambientale, ancorché sopravvenuto rispetto all'intervento edilizio o, come nel caso di specie, alla localizzazione di un impianto, lo stesso non può restare senza effetti sul piano giuridico, con la conseguenza che deve ritenersi sussistente l'onere procedimentale di acquisire il prescritto parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine alla compatibilità della permanenza definitiva dell’impianto, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo, tale valutazione essendo funzionale all'esigenza di vagliare l'attuale compatibilità dell’insediamento con lo speciale regime di tutela del bene compendiato nel vincolo.

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Secondo la consolidata giurisprudenza, in presenza di provvedimenti con motivazione plurima, solo l’accertata illegittimità di tutti i singoli profili su cui essi risultano incentrati può comportare l’illegittimità e il conseguente effetto annullatorio dei medesimi.
Ne consegue che, come chiarito anche dal Consiglio di Stato, nei casi in cui il provvedimento impugnato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall’ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze.

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1. La società ricorrente ha impugnato, assieme a tutti gli atti inerenti e presupposti, la determina dirigenziale specificata in epigrafe, con la quale l’amministrazione comunale ha concluso negativamente la conferenza di servizi indetta in relazione al procedimento di rilascio dell’autorizzazione ex art. 208 del D.Lgs. n. 152/2006.
La determinazione conclusiva della conferenza ha fondato il diniego sulla ritenuta assenza dei requisiti urbanistici e ambientali previsti per la realizzazione degli impianti di autodemolizione dalla normativa vigente e, in particolare, dal citato art. 208 del D.Lgs. n. 152/2006 e dal D.Lgs. n. 209/2003.
In fatto, ha dedotto la ricorrente di svolgere attività di autodemolizione da circa trent’anni in virtù di una serie di autorizzazioni provvisorie, sempre di volta in volta rinnovate, e di aver presentato vari progetti di adeguamento in linea con le normative succedutesi nel tempo e a seguito delle relative richieste da parte dell’amministrazione.
Ha altresì affermato di aver accettato la prefigurata delocalizzazione degli impianti di autodemolizione, così come era stato previsto nell’ambito dell’accordo di programma intervenuto tra Comune e Regione, ratificato con delibera del Consiglio comunale n. 263 del 02.10.1997.
Ha pure sostenuto di aver presentato nel 2004 un apposito progetto di adeguamento dell’attuale impianto ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n. 209/2003, impianto che risulterebbe idoneo ad ottenere l’autorizzazione definitiva, titolo che tuttavia non è stato mai rilasciato; che anzi Roma Capitale, sin dal 2016, ha continuato a pretendere le garanzie fideiussorie e ha imposto anche la presentazione di un progetto definitivo (la ricorrente ha presentato un progetto per la delocalizzazione di Casal Selce, località indicata dal Comune e mai effettivamente assegnata).
Nelle more, l’istante ha svolto la propria attività, come detto, sulla base di titoli provvisori, rilasciati dapprima dal Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti a Roma e dalla Provincia e quindi da Roma Capitale (una volta cessato il regime commissariale del 2013).
Inopinatamente e inaspettatamente -deduce la società esponente in ricorso- il Dipartimento Tutela Ambientale Direzione Rifiuti Risanamenti e Inquinamenti – U.O. Rifiuti e Risanamenti ha adottato la determina n. QL315/2018 dell’01.03.2018, con la quale ha richiesto in tempi brevi la presentazione di un progetto definitivo di impianto per l’area attuale, ai fini dell’approvazione ai sensi dell’art. 208 D.Lgs. 152/2006.
...
2. Il ricorso non può essere accolto.
3. Il Collegio ritiene utile, in primo luogo, riepilogare la normativa applicabile alla fattispecie in esame.
Il più volte citato art. 208 del D.lgs. n. 152/2006, al primo comma, recita che “I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all'autorità competente ai predetti fini (...)”.
Al comma quarto il medesimo articolo stabilisce che “Entro novanta giorni dalla sua convocazione, la Conferenza di servizi: a) procede alla valutazione dei progetti; b) acquisisce e valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con quanto previsto dall'articolo 177, comma 4; c) acquisisce, ove previsto dalla normativa vigente, la valutazione di compatibilità ambientale; d) trasmette le proprie conclusioni con i relativi atti alla regione”.
Con l’art. 6, comma 2, lettere b) e c), della L.R. n. 27/1998 la Regione Lazio ha delegato ai Comuni “b) l'approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti e la relativa autorizzazione alla realizzazione degli impianti, nonché l'approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio e la relativa autorizzazione alla realizzazione;” e “c) l'autorizzazione all'esercizio delle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)”.
Ne discende, pertanto, che nel caso di specie l’amministrazione procedente è correttamente Roma Capitale.
Occorre, infine, rammentare l’art. 177, comma 4, del D.lgs. n. 152/2006, richiamato dal su citato art. 208, ai sensi del quale “I rifiuti sono gestiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare: a) senza determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora; b) senza causare inconvenienti da rumori o odori; c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente”.
4. Secondo la disciplina contenuta nel più volte menzionato art. 208 del D.Lgs. n. 152/2006, la compatibilità urbanistica e quella ambientale dell’impianto sono presupposti imprescindibili per procedere al rilascio dell’autorizzazione definitiva.
Nella specie, come emerge dalla parte motiva della determina impugnata, nell’ambito della conferenza sono stati valutati gli aspetti urbanistici ed ambientali, le cui risultanze non potevano che condurre ad un esito negativo per assenza dei predetti requisiti.
4.1. In detto provvedimento viene riportato il parere del Dipartimento PAU, il quale ha rilevato che il sito ricade in un’area con la seguente destinazione di PRG: Sistema Insediativo, Citta della Trasformazione, Ambiti a Pianificazione Particolareggiata definita, di all’art. 62 delle N.T.A. di P.R.G. vigente, in quanto risulta inserita nel Piano Particolareggiato di Zona “O” P.P. n. 12- Casalotti Mazzalupo, approvato con Deliberazione di Giunta Regionale n. 536 del 04/08/2006.
Nell’elaborato Tav. B del P.T.P.R. – Beni paesaggistici del Piano territoriale Paesistico Regionale, l’area presenta il seguente Bene Paesaggistico: Protezione dei corsi delle acque pubbliche, di cui all’art. 35 delle N.T.A. di P.T.P.R., denominato “Fosso della Magliana di Maglianella, di S. Spirito e della Palmarola”. Pertanto, considerata l’inclusione dell’area nel perimetro del Piano Particolareggiato denominato “Casalotti Mazzalupo”, avente destinazione a Zona di Conservazione, Completamento e nuova Edificazione residenziale, non residenziale e Mista, e minima parte destinata a Verde Pubblico e il contesto edilizio circostante, si è ritenuto che la localizzazione di un impianto di autodemolizione risultasse non compatibile.
Il Dipartimento PAU, inoltre, ha evidenziato che non risultava dimostrata la legittimità della preesistenza dell’impianto.
4.2. Inoltre, l’Autorità di Bacino del Fiume Tevere ha elaborato un’analisi di dettaglio, dalla quale si desume che l’impianto ricade all’interno di un “corridoio ambientale”, per cui viene dichiarato non compatibile con la pianificazione di bacino, “poiché per la sua tipologia non persegue le finalità PS5 Piano di Bacino del fiume Tevere – Piano stralcio per il tratto metropolitano del Tevere da Castel Giubileo alla foce”.
4.3. Quanto agli aspetti ambientali, ARPA Lazio ha evidenziato che il progetto risulta incompleto degli elementi necessari rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente e, in particolare, dall’art. 208 del D.Lgs. 152/2006 e dal D.Lgs. 209/2003, specificando il dettaglio delle carenze riscontrate nella documentazione progettuale.
4.4. La Regione Lazio, nel parere relativo alla Valutazione di Impatto Ambientale ha rilevato la necessità che la documentazione fosse integrata con elementi fondamentali a valutare l’assoggettabilità a VIA.
4.5. La Città Metropolitana di Roma Capitale ha poi sostenuto che devono essere sottoposte a trattamento depurativo non soltanto le acque di prima pioggia, ma tutte le acque meteoriche di dilavamento, così come previsto dalla Circolare del Ministero dell’Ambiente prot. 4084 del 15/03/2018, recante “Linee Guida per la gestione Operativa degli Stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi”, qualora vi siano depositi di rifiuti sui piazzali scoperti, concludendo che l’autorizzazione allo scarico in copro idrico delle sole acque di prima pioggia rilasciata a favore della Società con D.D. R.U. 4249 del 06/10/2017 non potesse più ritenersi esaustiva.
Per quanto concerne le emissioni in atmosfera, essa ha rilevato la carenza della documentazione integrativa richiesta alla Società.
5. Deve considerarsi che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l'imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l'adozione delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso (cfr. Consiglio di Stato, VI, 11.06.2012, n. 3401; Consiglio di Stato, VI, 15.06.2011, n. 3644).
La qualificazione di rilevanza ambientale di un sito non è determinata dal suo grado di degrado o di inquinamento, perché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di tutela; ne consegue che l'imposizione del relativo vincolo, ovvero l'emanazione di atti preclusivi di ulteriori modifiche dello stato dei luoghi, serve piuttosto a prevenire l'aggravamento della situazione ed a perseguirne il possibile recupero (cfr. TAR Lazio, Roma, II-quater, 30.10.2018, n. 10466).
Pertanto, qualora venga apposto su un’area un vincolo ambientale, ancorché sopravvenuto rispetto all'intervento edilizio o, come nel caso di specie, alla localizzazione di un impianto, lo stesso non può restare senza effetti sul piano giuridico, con la conseguenza che deve ritenersi sussistente l'onere procedimentale di acquisire il prescritto parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine alla compatibilità della permanenza definitiva dell’impianto, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo, tale valutazione essendo funzionale all'esigenza di vagliare l'attuale compatibilità dell’insediamento con lo speciale regime di tutela del bene compendiato nel vincolo.
5.1. Il parere nel caso in esame è di segno negativo.
6. In ogni caso occorre evidenziare che il provvedimento gravato è un atto plurimotivato in quanto basato su molteplici ragioni.
Secondo la consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, in presenza di provvedimenti con motivazione plurima, solo l’accertata illegittimità di tutti i singoli profili su cui essi risultano incentrati può comportare l’illegittimità e il conseguente effetto annullatorio dei medesimi (cfr. Cons. St., V, 10.03.2009 n. 1383; Cons. St., V, 28.12.2007, n. 6732; Tar Campania, Napoli, VII, 28.07.2014, n. 4349; Tar Campania, Napoli, VII, 09.12.2013 n. 5632).
Ne consegue che, come chiarito anche dal Consiglio di Stato, nei casi in cui il provvedimento impugnato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall’ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze (cfr. Cons. St., IV, 05.02.2013, n. 694; Cons. St., IV, 08.06.2007 n. 3020; Tar Campania, Napoli, III, 09.02.2013, n. 844; Tar Campania, Napoli, II, 15.01.2013, n. 304).
6.1. Fatte queste premesse, deve considerarsi che, come si è evidenziato in precedenza, il diniego di autorizzazione definitiva relativo all’impianto gestito dalla ditta ricorrente, in cui si sostanzia la conclusione negativa del procedimento di autorizzazione ai sensi dell'art. 208 del dlgs 152/2006 e ss.mm.ii. di cui alla determina qui impugnata, si fonda in primo luogo sull’incompatibilità urbanistica dell’impianto stesso, profilo, che, all’esito dello scrutinio eseguito in questa sede, è risultato esente da vizi.
7. Deve poi sottolinearsi che non può ritenersi sussistente alcun tipo di affidamento in capo alla ricorrente circa la localizzazione dell’impianto, proprio in quanto la stessa ha sempre operato in forza unicamente di autorizzazioni provvisorie che non sono idonee a legittimarne l’ubicazione.
Dal che la piena legittimità del provvedimento impugnato.
8. Né può ritenersi un’invalidità dell’atto per effetto dell’inerzia palesata dalle amministrazioni comunale e regionale nel provvedere alla delocalizzazione.
8.1. Al riguardo, sotto un primo profilo, deve evidenziarsi come gli stessi titolari degli impianti di autodemolizione potevano attivarsi al fine di ottenere l’adempimento dell’accordo di programma e dunque sollecitare nelle dovute sedi e con gli opportuni strumenti (anche giudiziali) gli enti che rimanevano inerti.
8.2. Sotto altro profilo, una eventuale responsabilità potrà essere fatta valere, se del caso e laddove sussistente in tutti i suoi elementi costitutivi, in altra e separata sede, non potendo tuttavia ridondare l’inadempimento dell’amministrazione quale motivo di illegittimità dell’odierno provvedimento.
9. Resta fermo come sia auspicabile la doverosa conclusione del procedimento di delocalizzazione degli impianti che risultino ubicati in aree incompatibili, perché aventi una diversa destinazione urbanistica o perché gravati da vincoli statali di natura paesaggistica o archeologica.
Sia il D.Lgs. 209/2003, sia l’art. 6-bis introdotto dalla LR n. 13/2018 nella LR n. 27/1998, sollecitano una rilocalizzazione degli impianti in quanto solo in questo modo si può addivenire ad una disciplina di settore che contemperi le esigenze pubbliche con quelle economiche e produttive delle attività.
E del resto i principi di efficienza, buon andamento ed efficacia dell’azione amministrativa inducono ad una celere definizione della annosa vicenda de qua, la quale paralizza sine die le attività di trattamento dei veicoli fuori uso e/o di trattamento dei rifiuti metallici ferrosi e non ferrosi che, seppure private e con finalità di lucro sono comunque funzionali anche ad esigenze di smaltimento di rifiuti e sanitarie del territorio metropolitano.
10. Né possono accogliersi le doglianze mosse dal ricorrente, segnatamente sotto il profilo procedimentale.
11. Quanto alla dedotta violazione del contraddittorio procedimentale (art. 10-bis e 14 ss. Legge 241/1990), si tratta, con tutta evidenza, di mere irregolarità emendabili ai sensi dell’articolo 21-octies, comma 2, Legge 241/1990, che non possono condurre a ritenere il contenuto sostanziale dell’atto illegittimo.
11.1. Peraltro il privato aveva partecipato agli sviluppi della conferenza; ergo non si può dire che la determina finale sia un sorta di atto “a sorpresa” (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 10.02.2020 n. 1780 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1.- Pubblica amministrazione - procedimento amministrativo – art. 17-bis L. 241/1990 – silenzio-assenso “orizzontale” - ratio e finalità.
L’art. 3 della legge 07.08.2015 n. 124 (c.d. legge Madia) ha disciplinato, all’art. 17-bis, un nuovo istituto di semplificazione del procedimento amministrativo: si tratta di una fattispecie di silenzio con valore tipizzato di assenso, che matura tra Amministrazioni Pubbliche, oppure tra Amministrazioni e soggetti gestori di beni o servizi pubblici, alle condizioni ed entro i limiti disegnati dalla specifica disposizione normativa.
Per tale motivo viene definito come silenzio-assenso “interno”, ossia che interviene all’interno del modulo procedimentale, oppure anche come silenzio-assenso “orizzontale”, in quanto concerne i rapporti tra più amministrazioni o enti pubblici e non involge il rapporto “verticale” con il destinatario del provvedimento.
Pertanto, l’ambito di operatività di tale istituto di semplificazione attiene ai procedimenti (e decisioni) pluristrutturati, quando all’emanazione di un provvedimento finale partecipino più Amministrazioni, ciascuna portatrice di un peculiare interesse pubblico, che cura nell’esercizio di proprie funzioni, ascritte dalla legge, in tal guisa che l’avviso espresso, con parere, o altra formula di assenso, da una Amministrazione è parimenti vincolante, ai fini dell’emanazione della decisione finale.
L’obiettivo raggiunto dal legislatore è stato quello di aver introdotto un elemento di semplificazione, che questa volta interviene nella fase decisoria del procedimento.
In sintesi, mentre gli istituti di semplificazione, previsti dagli artt. 16 e 17 della legge 07.08.1990 n. 241, riguardano i pareri amministrativi e le valutazioni (pareri) tecnici, da acquisirsi nella fase istruttoria del procedimento, l’istituto di semplificazione, introdotto dall’art. 17-bis della legge 07.08.1990 n. 241, del silenzio tra Amministrazioni, concerne invece la fase decisoria(e precisamente quellapre-decisioria) del procedimento, quando cioè v’è uno schema, o bozza di provvedimento amministrativo (o di atto normativo) da adottarsi
(massima free tratta da e link a www.giustamm.it - TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 06.02.2020 n. 194).
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SENTENZA
1.- Con il primo motivo, la società deduce l’avvenuto compimento, nel corso dell’esame della propria istanza, di una fattispecie di silenzio-assenso c.d. orizzontale tra amministrazioni, motivandone ampiamente le ragioni in diritto.
Tuttavia, la tesi non può essere condivisa, stante la lettera della disposizione normativa e la finalità della novella della legge 07.08.1990 n. 241, effettuata ad opera dell’art. 3 della legge 07.08.2015 n. 124 (c.d. legge Madia), che ha disciplinato, all’art. 17-bis, un nuovo istituto di semplificazione del procedimento amministrativo.
Si tratta di una fattispecie di silenzio con valore tipizzato di assenso, che matura tra amministrazioni pubbliche, oppure tra amministrazioni e soggetti gestori di beni o servizi pubblici, alle condizioni ed entro i limiti disegnati dalla specifica disposizione normativa.
Per tale motivo viene definito come silenzio-assenso “interno”, ossia che interviene all’interno del modulo procedimentale, oppure anche come silenzio-assenso “orizzontale”, in quanto concerne i rapporti tra più amministrazioni o enti pubblici e non involge il rapporto “verticale” con il destinatario del provvedimento.
Pertanto, l’ambito di operatività di tale istituto di semplificazione attiene ai procedimenti (e decisioni) pluristrutturati, quando all’emanazione di un provvedimento finale partecipino più amministrazioni, ciascuna portatrice di un peculiare interesse pubblico, che cura nell’esercizio di proprie funzioni, ascritte dalla legge, in tal guisa che l’avviso espresso, con parere, o altra formula di assenso, da una amministrazione è parimenti vincolante, ai fini dell’emanazione della decisione finale.
L’obiettivo raggiunto dal legislatore è stato quello di aver introdotto un elemento di semplificazione, che questa volta interviene nella fase decisoria del procedimento.
Per meglio dire, mentre gli istituti di semplificazione, previsti dagli artt. 16 e 17 della legge 07.08.1990 n. 241, riguardano i pareri amministrativi e le valutazioni (pareri) tecnici, da acquisirsi nella fase istruttoria del procedimento, l’istituto di semplificazione, introdotto dall’art. 17-bis della legge 07.08.1990 n. 241, del silenzio tra amministrazioni, concerne invece la fase decisoria (e precisamente quella pre-decisioria) del procedimento, quando cioè v’è uno schema, o bozza di provvedimento amministrativo (o di atto normativo) da adottarsi (così: Cons. St., comm. spec., parere 23.06.2016 n. 1640; Cons. St., sez. III, 20.06.2018 n. 3783).
Tant’è che l’art. 17-bis della legge n. 241 citato prevede che, qualora debba acquisirsi l’assenso (o concerto, o nulla osta) per l’adozione di provvedimenti amministrativi (o anche di atti normativi) di competenza di altre amministrazioni, le amministrazioni interpellate comunicano l’assenso, ove lo ritengano, entro trenta giorni dal ricevimento di uno schema, già elaborato, che deve essere corredato dalla relativa documentazione, evidentemente istruttoria.
Il termine è interrotto qualora l’amministrazione, che deve rendere il proprio assenso, rappresenti l’esigenza di ulteriore istruttoria, oppure richieda motivate modifiche dello schema, formulate in modo puntuale. In tal caso, l’assenso dovrà essere reso nei successivi trenta giorni.
Decorsi i predetti termini, senza che sia stato comunicato l’assenso, lo stesso si intende acquisito (silenzio-assenso interno).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sul diritto all'accesso civico generalizzato.
Il "diritto all'accesso civico generalizzato" riguarda la possibilità di accedere a dati, documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria previsti dal d.lgs. n. 33/2013. La legittimazione a esercitare il diritto è riconosciuta a chiunque, a prescindere da un particolare requisito di qualificazione.
La richiesta deve consentire all'amministrazione di individuare il dato, il documento o l'informazione; sono pertanto ritenute inammissibili richieste generiche. Nel caso di richiesta relativa a un numero manifestamente irragionevole di documenti, tale da imporre un carico di lavoro in grado di compromettere il buon funzionamento dell'amministrazione, la stessa può ponderare, da un lato, l'interesse all'accesso ai documenti, dall'altro, l'interesse al buon andamento dell'attività amministrativa (Linee guida Agenzia Nazionale Anticorruzione-ANAC su accesso civico generalizzato, par. 4.2).
L'esercizio di tale diritto deve svolgersi nel rispetto delle eccezioni e dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti (articolo 5-bis, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 33/2013)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 05.02.2020 n. 3 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATADifferenza tra i presupposti dell'accesso normale e quelli dell'accesso civico generalizzato, in relazione all'impugnativa di un diniego di permesso di costruire.
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Accesso ai documenti – Istanza – Reiterazione – Possibilità – Condizione.
  
Accesso ai documenti – Accesso generalizzato – Ambito di applicazione – Individuazione.
  
La reiterazione di una domanda di accesso agli atti è ammissibile se articolata su fatti nuovi non rappresentati nell'originaria istanza ed a fronte di diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante (1).
  
Il diritto all'accesso civico generalizzato riguarda la possibilità di accedere a dati, documenti e informazioni detenuti dalle Pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria previsti dal d.lgs. n. 33 del 2013; la legittimazione a esercitare tale diritto è riconosciuta a chiunque, a prescindere da un particolare requisito di qualificazione (2).
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   (1) Ha chiarito il Tar che tale conclusione discende, nonostante la qualificazione dell'accesso come diritto, dalla natura impugnatoria del processo in materia di accesso ai documenti amministrativi; sicché deve ritenersi inammissibile il ricorso nella sola ipotesi avente ad oggetto la medesima domanda di accesso a suo tempo già proposta e sulla quale si era già formata una preclusione procedimentale-processuale.
Nel caso di specie (ove dalla conoscenza di alcuni atti -segnatamente il citato preavviso di diniego– si ritiene scaturire l'esigenza di ulteriori acquisizioni documentali, senza che possa configurarsi un utilizzo frazionato e protratto nel tempo dello strumento procedurale e processuale del diritto di accesso) non viene in rilievo una ripetuta reiterazione delle istanze di accesso che si rivela di per sé non conforme alle finalità della normativa in materia, circa la consentita conoscenza di tutta la documentazione che l'interessato può ritenere utile per l'accertamento di fatti che lo riguardano.
   (2) Ha chiarito il Tar che la richiesta deve consentire all’amministrazione di individuare il dato, il documento o l'informazione; sono pertanto ritenute inammissibili richieste generiche. Nel caso di richiesta relativa a un numero manifestamente irragionevole di documenti, tale da imporre un carico di lavoro in grado di compromettere il buon funzionamento dell’amministrazione, la stessa può ponderare, da un lato, l’interesse all’accesso ai documenti, dall’altro, l’interesse al buon andamento dell’attività amministrativa (Linee guida Autorità Nazionale Anticorruzione-ANAC n. 1309/2016 su accesso civico generalizzato, paragrafo 4.2).
L’esercizio di tale diritto deve svolgersi nel rispetto delle eccezioni e dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti (art. 5-bis, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 33 del 2013) (
TAR Valle d'Aosta, sentenza 05.02.2020 n. 3 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
Con il ricorso in epigrafe, ex art. 166 D.Lgs. 104/2010, il ricorrente, il Sig.re Gu.Pe., ha impugnato il provvedimento negativo rilasciato dal Comune di Courmayeur in data 10.06.2019, nell’ambito di un procedimento avviato presso lo Sportello Unico Enti Locali (la domanda presenta il 04.03.2019; il preavviso di diniego di rilascio di permesso di costruire emesso il 18.06.2019) per la realizzazione di dortoirs (strutture ricettive di basso impatto ambientale) ivi asserendosi che l’intervento in oggetto non è ammissibile in quanto in contrasto con le norme urbanistiche di cui all’art. 14.4 delle N.T.A. del vigente PRGC, riguardante una zona specifica la sottozona Ec.
Viene precisato fin da subito che il Comune ha immediatamente rappresentato, nei colloqui con i tecnici della proprietà e nel parere reso allo Sportello Unico, che a suo avviso, nelle zone E del Territorio Comunale sarebbe preclusa l’edificazione; l’opposto da quanto rappresentato dalla famiglia dell’odierno ricorrente, titolare di una struttura alberghiera nel Comune di Courmayeur, e che secondo quanto asserito in atti, le aree destinate all’intervento si trovano in zona E sottozona Ec09 di cui alle N.T.A. del Piano Regolatore Generale del Comune di Courmayeur, nelle quali, sulla base dell’art. 14.1 delle stesse, è ammessa la realizzazione di tali strutture.
Infatti, tale norma prevede che nelle zone E entro cui ricade l’area del ricorrente è ammessa “la realizzazione di [...] bivacchi e posti di tappa escursionistici o dortoirs, ai sensi di legge ad esclusione delle sottozone Ed, Ee, Eg, ed Ei”. Ergo, nelle zone Ec quale quella de qua, non indicate nell’elenco di quelle ove è inibita la realizzazione di dortoirs.
Si è costituito il Comune intimato concludendo per l’inammissibilità ed il rigetto del ricorso.
Ciò detto, il ricorso è parzialmente fondato e va accolto in parte per le ragioni e nei limiti (segnatamente temporali ove riferiti alla data della documentazione richiesta) che seguono, non potendosi condividere le eccezioni in rito formulate dall’Amministrazione resistente.
Ed, invero, l’eccepita inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso in ragione della mera reiterazione di identiche istanze di accesso non appare condivisibile nella misura in cui, per un verso, rilevano tra le stesse significative differenze soggettive ed oggettive; e, per altro verso e soprattutto, vengono in rilievo sopravvenienze giuridiche e fattuali (favorevole responso del Difensore Civico interpellato il 20.06.2019 che ha ritenuto ammissibile l’istanza avanzata dall’odierno ricorrente; preavviso di diniego di rilascio di permesso di costruire emesso il 18.06.2019, cui, da un lato, si correla un’autonoma e ulteriore esigenza conoscitivo-ostensiva in ragione, da un lato, del conseguente esercizio di poteri partecipativo-procedimentali in punto di osservazione varianti progettuali; e, dall’altro, in quanto oggetto di distinto ricorso giurisdizionale presso questo Tribunale, del conseguente, effettivo esercizio del diritto di difesa); per altro verso, il nuovo ed odiernamente impugnato atto di riscontro anche alla prima istanza di accesso (nota del Comune di Courmayeur 29.08.2019).
La reiterazione di una domanda di accesso agli atti, nel caso di specie quindi, è ammissibile in quanto articolata su fatti nuovi non rappresentati nell'originaria istanza ed a fronte di diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante. Tale conclusione discende, nonostante la qualificazione dell'accesso come diritto, dalla natura impugnatoria del processo in materia di accesso ai documenti amministrativi; sicché deve ritenersi inammissibile il ricorso nella sola ipotesi, qui non verificatasi, avente ad oggetto la medesima domanda di accesso a suo tempo già proposta e sulla quale si era già formata una preclusione procedimentale-processuale.
Conclusivamente sul punto, appare sì condivisibile in astratto il principio di diritto per cui la ripetuta reiterazione delle istanze di accesso si rivela di per sé non conforme alle finalità della normativa in materia, circa la consentita conoscenza di tutta la documentazione che l'interessato può ritenere utile per l'accertamento di fatti che lo riguardano, ma non è questo il caso che ci occupa.
Invero, in ragione dei fatti che hanno connotato l’origine e il successivo sviluppo della vicenda in contestazione è ragionevole ritenere che dalla conoscenza di alcuni atti (segnatamente il citato preavviso di diniego), può dimostratamente scaturire l'esigenza di ulteriori acquisizioni documentali; senza che possa configurarsi nella specie un utilizzo frazionato e protratto nel tempo dello strumento procedurale e processuale del diritto di accesso, comportamento, questo sì idoneo ad introdurre una sorta di mera indagine sull’attività amministrativa che certamente non può trovare legittimazione per l’attivazione della relativa azione giurisdizionale, ipotesi che qui, appunto, non ricorre.
Così definiti i profili di ammissibilità, nel merito si rileva che l’interesse che muove la domanda d’accesso agli atti –e che è altresì misura della genericità o meno dell’istanza ostensiva, rispetto alla quale viene in rilievo l’ulteriore eccezione in rito dell’amministrazione comunale, parimenti da disattendere- si concretizza nel presupposto di tutela di proprie situazioni e interessi giuridici di parte in un procedimento edilizio, così qualificandosi in termine di interesse diretto, concreto e attuale: l’istante viene, dunque, in rilievo quale portatore di una posizione giuridica soggettiva tutelata, qualificata e differenziata; l’esigenza di tutela non è quindi astratta o meramente ipotetica ed, ancora, vi sono riflessi attuali del documento sulla posizione giuridica tutelata (l’interesse non è meramente storico documentativo).
Nel caso di specie, infatti, l’interesse è diretto, in quanto il Sig. Pe. è il titolare della domanda di permesso di costruire -insieme alla sorella- in esito alla successione dal padre deceduto il 26.03.2019; è altresì concreto in quanto non volto a una tutela meramente astratta e ipotetica, ma la documentazione attiene direttamente le questioni relative alla domanda di permesso di costruire agli atti; ed infine vi è l’attualità dell’interesse in quanto rileva al fine di evitare un provvedimento di diniego di titolo edilizio e far valere le posizioni in sede di procedimento (o in denegata ipotesi in sede giurisdizionale).
Ciò posto quanto all’interesse all’accesso, per quel che attiene l’oggetto della richiesta, la domanda attiene documenti riconosciuti come accessibili anche dalla giurisprudenza di questo Tribunale (Tar Valle d’Aosta, sentenza n. 12/2017).
Il ricorrente ha infatti evidenziato la possibilità e la disponibilità di voler e poter apportare delle modifiche al progetto, rispetto alle prescrizioni impartite, esortando il Comune a rivedere la sua posizione negatoria e a rilasciare parere positivo. Inoltre, al ricorrente risulta che nelle zone E, sottozone EC09, del territorio Comunale di cui alle Norme Tecniche di Attuazione, del Piano Regolatore Generale di Courmayeur, esistono e sono stati assentiti diversi interventi di edificazione; pertanto, non risulta preclusa l’oggetto di intervento di domanda di permesso di costruire. Si fa presente, inoltre per completezza, che i dortoirs sono a basso impatto ambientale e sono in sostanza rifugi di montagna, ideati per soste brevi.
Per verificare tali aspetti la famiglia Pe. ha inviato ed invitato l’arch. Ma., a presentare il 05.03.del 2019, con procura speciale rilasciata dalla famiglia Pe. prima della morte del padre avvenuta il 26.03.2019, una propria istanza di accesso agli atti per ottenere i titoli relativi agli interventi realizzati nelle zone E, con possibilità anche di presa di visione del registro cronologico relativo alle medesime zone delle relative pratiche edilizie, al fine di verificare come prevedere l’edificazione dell’area, motivando l’istanza in relazione alle proprie esigenze professionali, accludendone parere legale a riprova delle ragioni che legittimavano la sua richiesta, rimasta senza riscontro.
Allora, il Sig.re Gu.Pe. ha presentato il progetto edilizio presso gli Uffici comunali il 12.03.2019, difatti, in data 21.03.2019 richiedeva alla medesima Amministrazione di avere accesso a tutto quanto già detto in epigrafe del ricorso. È evidente che l’interesse all’accesso, risulta essere essenziale per la cura dei propri interessi giuridici (ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
E la giurisprudenza è uniformemente orientata nell’affermare che “- è jus receptum il principio (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 19.04.2017 n. 1832) per cui, di regola, il diritto di accesso non soffre limitazioni se non quelle espressamente previste con legge o in base, comunque, a norme evincibili da ordinamenti di settore” (Cons. Stato, sez. VI, 06.09.2018, n. 5257).
Ovviamente, tale interesse è rivolto a far valere in sede procedimentale le ragioni del ricorrente, ragioni per le quali il procedimento di rilascio del permesso di costruire è, ancora, in corso e in quella sede, si puntualizza la disponibilità asseveratrice e servizievole del ricorrente medesimo, alla revisione di alcuni degli aspetti progettuali presentati e valutati in maniera favorevole anche alle Amministrazioni coinvolte nel Procedimento Unico in parola, per permettere di apportare con le dovute modifiche “a compimento” il progetto, in concerto con gli Enti emittenti, previo rilascio del permesso.
Anche questa richiesta, però, veniva palesemente archiviata e respinta ritenendola inammissibile, il 12.04.2019 da parte dell’Amministrazione, in quanto ritenuta “non ammissibile” ai sensi degli artt. 40, c. 2; 41, c. 2; 43, c. 3 e 4 della Legge Regionale Valle d’Aosta 06.08.2007, n. 19.
A seguito di apposito sollecito presentato dal Sig.re Pe. in data 14.05.2019, il ricorrente il 03.06.2019 invitava ed ammoniva ancora una volta l’Amministrazione ed pungolava il Difensore Civico della Regione Valle d’Aosta ad esercitare funzioni d’intervento nei confronti del Comune in indirizzo, in forza della vigente Convenzione stipulata tra l’Amministrazione Comunale e il Consiglio regionale il 03.08.2018, in combinato disposto con l’art. 11, c. 2, della Legge Regionale Valle d’Aosta n. 17/2001.
A questo punto, il Difensore Civico interpellato il 20.06.2019 ha ritenuto ammissibile l’istanza avanzata dallo scrivente disponendo che: “le concessioni edilizie sono atti pubblicati all’Albo Pretorio, non solo, non si fa luogo, come nel caso di specie, a scrutinio in ordine alla protezione di dati personali, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 33/2013”. Non è questo il caso di opporre il diritto alla riservatezza dei dati, “poiché il titolo abilitativo non attiene alla sfera privata del titolare, ma ad un atto di gestione del territorio”. Ha riconosciuto il diritto di accesso del ricorrente, seppure qualificando la posizione come “accesso civico generalizzato”, trattandosi di atti pubblici esposti per estratto all’albo.
Sul punto appare utile precisare che il “diritto all'accesso civico generalizzato” riguarda la possibilità di accedere a dati, documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria previsti dal d.lgs. n. 33/2013. La legittimazione a esercitare il diritto è riconosciuta a chiunque, a prescindere da un particolare requisito di qualificazione.
La richiesta deve consentire all’amministrazione di individuare il dato, il documento o l'informazione; sono pertanto ritenute inammissibili richieste generiche. Nel caso di richiesta relativa a un numero manifestamente irragionevole di documenti, tale da imporre un carico di lavoro in grado di compromettere il buon funzionamento dell’amministrazione, la stessa può ponderare, da un lato, l’interesse all’accesso ai documenti, dall’altro, l’interesse al buon andamento dell’attività amministrativa (Linee guida Agenzia Nazionale Anticorruzione-ANAC su accesso civico generalizzato, paragrafo 4.2).
L’esercizio di tale diritto deve svolgersi nel rispetto delle eccezioni e dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti (articolo 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013).
Nel caso di specie, pur coesistendo diversi livelli di esercizio del diritto di accesso, non appare necessario procedere in astratto alla perimetrazione dei rispettivi ambiti di operatività ed ai reciproci rapporti di interferenza.
Sul punto, come noto, recentemente (Cons. St., sez. III, ord., 16.12.2019, n. 8501), sono state rimesse al vaglio dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, tre progressive questioni ermeneutiche scaturenti dal complesso intreccio normativo sulla materia de qua e rispettivamente volte a chiarire, al di là dello specifico riferimento al settore dei contratti pubblici, per un verso, se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33 del 2013; per altro verso, se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.
Nella odierna vicenda, come sopra argomentato e con la precisazione temporale di cui si dirà, non emerge un problema di previa qualificazione in ragione della riscontrata sussistenza dei presupposti normativi di riferimento.
Ed, invero, deve aggiungersi, per questo caso, che, a far data dall’entrata in vigore della legge 10/1977, che operò la separazione tra diritto di proprietà e diritto a costruire, o ad edificare, sottratto alla privata disponibilità in quanto ritenuto afferente a preminente interesse collettivo (TAR Valle d’Aosta, Sez. I, sent. n. 12/2017), sussiste il diritto di accedere ai titoli abilitativi rilasciati per atti progettuali interventistici, risultando per tanto allo stato della controversia attuale illegittimo il diniego all’ostensione dei documenti. Nel caso di specie, il difensore civico ha chiaramente rappresentato l’ammissibilità della richiesta, senza riscontro alcuno del Comune, con ciò contravvenendo al disposto dell’art. 12, c. II, l.r. 17/2001, in forza del quale “qualora l'amministrazione non intenda uniformarsi alle osservazioni, deve fornire adeguata motivazione scritta del dissenso al Difensore civico”. La domanda d’accesso deve essere evasa alla luce del pronunciamento del difensore civico, la cui mancata ottemperanza profila l’omissione ai propri doveri d’ufficio riconosciuti tali dal difensore civico regionale.
Inoltre, al fine di contestare il preavviso di diniego e il provvedimento di diniego del permesso di costruire, il ricorrente ha necessità della documentazione richiesta, atteso che riguarda titoli edilizi rilasciati su aree aventi la medesima destinazione urbanistica di quella del ricorrente e perché risulta essere essenziale ai fini di un corretto esercizio di difesa e che sussistono fatti nuovi su cui si fonda.
Non vi è inoltre ragione per pretese difficoltà di reperimento della documentazione, sia perché si riferisce ad alcune aree specifiche, sia perché l’accesso potrà essere esercitato progressivamente, senza nessuna altra procrastinazione.
Deve invece osservarsi, in ciò condividendosi il rilievo comunale, che, proprio in ragione della complessiva tipologia di bisogno conoscitivo che sorregge l’istanza ostensiva, non possa consentirsi il suo esercizio con riferimento all’intero intervallo di tempo richiesto (01.01.2008/31.12.2018, come da istanza dell’08/07/2019), trattandosi di un’estensione cronologica della domanda di accesso ultronea rispetto all’interesse fatto valere e che, come detto, si concentra sulla portata ermeneutica n.t.a. de quibus (che, non prevedendo indici per le zone E, avrebbero con ciò inteso precludere interventi su di esse) e ad appurare a tal fine l’orientamento espresso in precedenza dal medesimo Comune in aree con la stessa destinazione.
Ne consegue che –posto che, per un verso, il testo definitivo delle N.T.A. è stato approvato con deliberazione del Consiglio comunale del 22/02/2013, n. 8 ed è divenuto efficace in data 19/03/2013; e, per altro verso, le norme di carattere generale dettate per le zone di tipo E paragrafo 14.1, lett. e) confermano “le destinazioni d’uso in atto al 31.03.2012”, ancorché diverse da quelle previste nelle rispettive sottozone-, l’istanza di accesso non può operare nei confronti dei titoli rilasciati dopo il 2008 e prima dell’entrata in vigore delle N.T.A. (19.3.2013), così come per quelli rilasciati dopo il 2008 e relativi a destinazioni d’uso diverse ma in atto al 31/03/2012: ed, invero, non potendo le N.T.A. costituire rispetto a tali atti valido parametro giuridico di riferimento, difetta un interesse giuridicamente rilevante alla loro acquisizione documentale.
Non appare invece parimenti condivisibile l’ulteriore limitazione tipologica invocata dal Comune resistente e relativa ad interventi post. 19.03.2013 ed sottozone diverse dalla Ec: ed, invero, operando per talli interventi edilizi il medesimo regime tecnico-giuridico, sussiste comunque un qualificato interesse all’acquisizione della relativa documentazione onde verificare, sia pure in diverse sottozone, ma assoggettate alla medesima regula juris, quale ne sia stata l’interpretazione del comune per differentiam.
Analoghi rilievi, anche in ragione della identità di tipologia edilizia, concernono la piena ammissibilità dell’istanza di accesso rispetto ai segnalati ai titoli edilizi rilasciati per le aree relative agli edifici Rifugio Bertone, Rifugio Elisabetta, Cabane du ombal, Le Randonneur.
In conclusione il ricorso va in parte accolto, ordinando, nei limiti sopradescritti, l’esibizione ed il rilascio della documentazione richiesta con riferimento ai titoli successivi al 19.03.2013.

ATTI AMMINISTRATIVIAll’Adunanza plenaria l’accessibilità dei documenti reddituali, patrimoniali e finanziari.
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Accesso ai documenti – Imposte e tasse - Documenti reddituali patrimoniali e reddituali – Accessibilità - Rimessione all’Adunanza plenaria.
Sono rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le questioni:
   a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990;
   b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis c.p.c.me 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.);
   c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della l. n. 241 del 1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente- concorrendo con le stesse;
   d) ovvero se -all’opposto- la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990;
   e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità va consentito l’accesso, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, ovvero ancora per via telematica (1).

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   (1) Ha chiarito la Sezione che va stabilito se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22 cit. sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente- concorrendo con le stesse.
Ciò equivarrebbe ad affermare tre principi:
   - il primo, che il diritto di accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato –come è accaduto nel caso di specie- prima ed indipendentemente dal fatto che il giudice del procedimento autorizzi la produzione di determinati documenti del numerato punto 9: l’accesso agli atti è stato azionato ed in parte consentito prima ancora che si svolgesse l’udienza di prima comparizione);
   - il secondo, che l’accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato anche cumulativamente, rispetto alle previsioni sulle acquisizioni secondo la normativa processualcivilistica;
   - il terzo, che l’accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato anche quando il giudice del procedimento civile non abbia disposto il deposito della documentazione a carico delle parti o non abbia autorizzato le istanze istruttorie formulate dalle parti.
All’opposto, se la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, con l’attribuzione dei relativi poteri istruttori ad un giudice avente giurisdizione sulla controversia ‘principale’, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990.
Ciò equivarrebbe a dire che il privato non potrebbe mai azionare il diritto di accesso agli atti richiesti, pur se qualificati in senso sostanziale come atti amministrativi, dovendosi sempre rimettere, per la tutela delle proprie situazioni giuridiche, all’esercizio dei poteri istruttori del giudice civile, quando dunque il procedimento civile già pende.
Ciò premesso, la Sezione segnala che, a favore della prima tesi, militano gli argomenti variamente articolati dalla Sezione nelle sentenze n. 2472/2014, n. 5347/2019 e n. 5910/2019, e che di seguito più o meno testualmente si riportano.
La disciplina sull’accesso agli atti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce -ai sensi dell’art. 22, comma 2, della legge n. 241 del 1990- “principio generale dell'attività amministrativa”.
La ratio dell’istituto può essere ravvisata sia sull’esigenza di rendere l’Amministrazione una ‘casa di vetro’ per l’attuazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, rilevanti per l’art. 97 della Costituzione (cfr. Ad. Plen., 18.04.2006, n. 6; Sez. IV, 14.04.2010, n. 2093), sia sull’esigenza di agevolare agli interessati di ottenere gli atti il cui esame consente di valutare se sia il caso di agire in giudizio, a tutela di una propria posizione giuridica (cfr. Sez. IV, 12.03.2009, n. 1455), non potendosi ravvisare ‘zone franche’ in cui non rilevino i principi sopra richiamati (Ad. Plen., 24.06.1999, n. 16).
La specialità che connota la disciplina processualistica non può ritenersi tale da giustificare la presenza di una deroga, al punto da rimettere alla (eventuale ed esclusiva) positiva valutazione del giudice –titolare del potere di decidere la controversia ‘principale’- la reale conoscibilità di documentazione di rilievo e, per altro verso, la concretizzazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale.
L’affermazione del diritto di accesso è estrinsecazione anche della tutela dei diritti fondamentali dei familiari, in quanto nei procedimenti in materia di famiglia sono spesso presenti sia gli interessi confliggenti dei coniugi o dei conviventi, che gli interessi dei figli minorenni, questi ultimi tutelati dall'art. 5 del settimo Protocollo Addizionale della CEDU e dagli artt. 29 e 30 della Costituzione.
Il consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza amministrativa ammette, senza limitazioni, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la conseguente applicazione della relativa disciplina sostanziale e processuale, anche in pendenza dei giudizi civili.
In questo senso, è stato più volte affermato come “non possa ritenersi che l'accesso ai documenti sia automaticamente precluso dalla pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l'ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal g.o., mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l'autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli artt. 22 e ss. l. n. 241 cit. rispetto alla posizione che l'interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall'ordinamento a tutela del diritto di accesso, perché, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell'effettività della tutela giurisdizionale” (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15.11.2018, n. 6444; id., 21.03.2018, n. 1805).
La tutela dei diritti fondamentali non troverebbe eguale garanzia mediante l’utilizzo degli strumenti previsti dal codice di procedura civile, i quali rimettono all’apprezzamento del giudice l’ingresso nel giudizio di documenti, di atti e di informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione.
L'ampliamento delle prerogative del giudice civile nell'acquisizione delle informazioni e dei documenti patrimoniali e finanziari nei procedimenti in materia di famiglia, rispetto ai poteri istruttori già previsti dall’art. 210 c.p.c., introdotte dal combinato disposto degli artt. 155-sexies delle disposizioni di attuazione del cod. proc. civ. e dell'art. 492-bis del cod. proc. civ., non può costituire un ostacolo all'accesso difensivo, soprattutto laddove le istanze istruttorie proposte nel giudizio non siano state accolte.
Dall’ampliamento delle menzionate prerogative non potrebbe trarsi in via diretta, né desumersi in via indiretta, alcuna ipotesi derogatoria alla disciplina in materia di accesso alla documentazione contenuta nelle banche dati della Pubblica Amministrazione.
Diversamente opinando, l’implementazione dei poteri istruttori del giudice ordinario nell'ambito dei procedimenti in materia di famiglia si tradurrebbe in un ingiustificato ridimensionamento della disciplina generale sull’accesso, fuori dei casi e dei modi contemplati dall’ordinamento.
Tra le due discipline non sussisterebbe un rapporto di specialità, nel senso che la norma speciale derogherebbe a quella generale, escludendone l’applicazione, bensì di concorrenza e di complementarietà, poiché il giudice che tratta la vicenda di famiglia può utilizzare i poteri di accesso ai dati della Pubblica Amministrazione genericamente previsti dall'art. 210 cod. proc. civ., come ampliati dalle nuove norme inserite nel 2014, ma questa rimane una sua facoltà e non un obbligo.
Deve conservarsi la possibilità, per il privato, di avvalersi degli ordinari strumenti offerti dalla l. n. 241 del 1990, per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare di consegnare all'Amministrazione.
La piena esplicazione del diritto di difesa non potrebbe dipendere dalla spontanea produzione in giudizio della controparte, né dall’esercizio discrezionale del potere acquisitivo da parte del giudice. Mentre l’esercizio dell’accesso non incontrerebbe limiti se non rispetto alla delibazione dei presupposti che consentono l’ingresso dell’azione ostensiva e alla verifica dell’inesistenza delle preclusioni di cui all’art. 24 della l. n. 241/1990, l’ammissibilità dell’acquisizione probatoria processualcivilistica (ordine di esibizione tradizionale o autorizzazione alla ricerca telematica) sarebbe soggetta al principio del convincimento del giudice del procedimento, il quale potrebbe non consentire l’accesso in ragione della scarsa attendibilità delle allegazioni della parte e dei documenti probatori offerti a loro sostegno, elidendo così alla radice ogni prospettiva di piena esplicazione del diritto di difesa.
L’accesso ai documenti, inoltre, potrebbe essere esperito anche prima ed indipendentemente dalla pendenza del procedimento civile, anche allo scopo di impedire il verificarsi degli effetti negativi discendenti dal cd. ricorso “al buio”.
L’ordine di esibizione o l’autorizzazione all’accesso telematico da parte del giudice del procedimento, infatti, potrebbe rimediare alle eventuali lacune di allegazione e di prova dei fatti contenute negli atti introduttivi del giudizio, ma non potrebbe sortire effetti sulla decisione –che spetta alla parte soltanto- di valutare, a monte, la convenienza o l’opportunità dell’instaurazione del procedimento.
Come ha già osservato questo Consiglio (Sez. VI, 18.12.1997, n. 1591; Sez. IV, 06.03.1995, n. 158), «se esercitato ante causam, l’accesso può avere anche esiti di prevenzione della lite: la conoscenza dei documenti rilevanti, infatti, o corroborando la legittimità degli atti amministrativi o comunque ingenerando il convincimento dell’inopportunità dell’impugnazione, può dissuadere l’amministrato dall’azione giurisdizionale»: tali considerazioni sono state formulate in fattispecie in cui si è considerata rilevante l’esigenza degli interessati di accedere agli atti, per valutare se proporre un ricorso nei confronti di una pubblica Amministrazione, ma possono essere considerate rilevanti anche per i casi in cui l’acquisizione degli atti possa indurre a valutare se agire o meno nei confronti di un soggetto privato, per controversie di ‘natura civilistica’.
È stato anche osservato –ma non riguarda nello specifico il caso di specie, perché si tratta di soggetti che hanno convissuto di fatto- che il diritto del richiedente al pieno accesso ai documenti fiscali del coniuge in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio, ed indipendentemente dall’esercizio discrezionale del potere di ammissione o di autorizzazione probatoria da parte del giudice civile, si pone anche in sintonia con le recenti tendenze della giurisprudenza civile sviluppatesi in ordine alla tematica della individuazione dei criteri di determinazione dell’assegno divorzile, sempre più vicine ad ammettere la funzione sia assistenziale, che equilibratrice, che perequativo-compensativa (Cass. civ., Sez. un., 11.07.2018, n. 18827).
Indipendentemente dal caso specifico della strumentalità dell’accesso agli atti ai fini della quantificazione dell’assegno di separazione o di divorzio, l’accesso pieno ed integrale alla condizione reddituale, patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali -siano essi coniugi o conviventi di fatto- sarebbe da considerare precondizione necessaria per l’uguale trattamento giuridico nell’ambito di tutti i procedimenti di famiglia.
Sono oramai pacificamente acquisiti a livello legislativo e giurisprudenziale i principi sulla pari dignità e sull’uguaglianza sostanziale di tutti i nuclei familiari, sia quelli fondati sul matrimonio, che quelli consistenti in rapporti di convivenza di fatto, soprattutto a tutela e a garanzia dei figli minorenni o di quelli maggiorenni economicamente non indipendenti.
Ai fini dell’accertamento della complessiva situazione economico-patrimoniale, non avrebbe senso la distinzione, operata dall’Agenzia, tra i documenti immediatamente accessibili (quelli reddituali e patrimoniali) e quelli che necessitano della previa autorizzazione del giudice competente (quelli finanziari): sia perché potrebbe difettare, nei singoli casi, la pendenza di una controversia civile; sia perché i documenti finanziari consentirebbero di ricostruire fedelmente le condizioni economico-patrimoniali in cui versano le parti -soprattutto a garanzia dei figli minorenni- perché provenienti, il più delle volte, da terzi estranei, quali gli operatori finanziari.
L’istituto dell’accesso rivestirebbe anche una posizione di assoluta rilevanza al fine di consentire la massima trasparenza, tra le parti ed a tutela soprattutto dei figli minorenni, delle condizioni economiche nel momento della crisi delle relazioni familiari.
L’ordinamento nel suo complesso aspirerebbe alla massima protezione possibile delle situazioni giuridiche soggettive, a prescindere dalla loro consistenza (di diritto soggettivo o di interesse legittimo) e dalla loro natura (a seconda che si tratti, cioè, di una situazione finale o di una situazione strumentale), secondo i principi generali dell’unitarietà, della concorrenza e della complementarietà delle tutele.
In base all’ordinamento medesimo, non vi sarebbe dubbio sul fatto che le comunicazioni relative ai rapporti finanziari, stando alla terminologia propria della disciplina sull’accesso di cui all'art. 22, comma 1, lett. d) della l. n. 241 del 1990 e all'art. 1, comma 1, lett. a) del d.P.R. 28.12.2000, n. 445, costituiscono “documenti”, in quanto l’Amministrazione finanziaria, sebbene non sia essa a formarli, può utilizzarli per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, come previsto nel dettaglio dall’art. 7 del d.P.R. 29.09.1973, n. 605.
Sussisterebbe l’interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato richiesto l’accesso, ai sensi dell’art. 22 l. n. 241/1990, attesa la pendenza del giudizio di volontaria giurisdizione.
Il divieto contenuto nella circolare dell’Agenzia delle entrate del 10.10.2017, relativo all’accesso alle “risultanze derivanti dall’Archivio dei rapporti finanziari”, in assenza dell’autorizzazione del Tribunale, non troverebbe fondamento normativo, in mancanza di espressa previsione rinvenibile in tal senso.
L’art. 7 del d.P.R. n. 605 del 1973 (come modificato dal d.l. 04.07.2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 04.08.2006, n. 248) ha previsto l'obbligo per ogni operatore finanziario di comunicare, in un'apposita sezione dell'Anagrafe tributaria denominata “Archivio dei rapporti finanziari”, l'esistenza e la relativa natura dei rapporti finanziari intrattenuti con qualsiasi soggetto. L’art. 7 non ha previsto che queste informazioni, una volta riversate nell'Archivio dei rapporti finanziari da parte delle banche e degli operatori finanziari, possano essere utilizzate "unicamente" dall'Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza, ma si è limitato a precisare che si tratta di atti certamente utilizzabili da tali soggetti per l'azione di contrasto all'evasione fiscale, senza affrontare per nulla il tema della loro ostensibilità e dell’eventuale conflitto con il diritto alla riservatezza del soggetto cui gli atti afferiscono.
La questione andrebbe risolta facendo applicazione dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990: "Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'art. 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".
Il bilanciamento degli interessi contrapposti andrebbe effettuato e risolto in applicazione del D.M. 29.10.1996, nr. 603, recante "Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell'art. 24, comma 2, della L. 07.08.1990, n. 241". L'art. 5, lettera a) del decreto menziona la "documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisita ai fini dell'attività amministrativa"; la sottrae all'accesso inteso come diritto alla copia, ma garantisce "la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”.
Con riguardo al rapporto tra accesso e privacy, rileverebbe il combinato disposto degli artt. 59 e 60 del D.lgs. 30.06.2003, n. 196 (cd. Codice della privacy), e delle disposizioni di cui alla l. n. 241 del 1990, dal quale deriva un sistema connotato da tre livelli di protezione dei dati dei terzi e, in maniera corrispondente, tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso.
Il bilanciamento investirebbe il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso ai documenti “sensibili” dell’ex convivente e, dall’altro, la cura e la tutela degli interessi economici e della serenità dell'assetto familiare, soprattutto nei riguardi del figlio minorenne, presente nella controversia in questione.
Occorrerebbe, infine, affrontare gli argomenti finora esposti, al lume del complessivo e vigente quadro normativo all’interno del quale si inserisce la previsione di cui all’art. 492-bis del cod. proc. civ., e dal quale sembrerebbe emergere -oltre alla forte discrezionalità del potere istruttorio del giudice civile, sopra evidenziata- anche la obiettiva difficoltà incontrata dalle parti processuali nel sollecitare la supplenza istruttoria del giudice.
Le lacune istruttorie spesso si verificano –come nel caso di specie- a causa del comportamento processuale di una parte a danno dell’altra, inottemperante o parzialmente ottemperante agli obblighi di deposito, ed il superamento delle medesime postula l’utilizzo di tecniche di indagine molto invasive, soprattutto per la sfera giuridica dei terzi estranei (es. le indagini fiscali e tributarie), con notevole dispiegamento dell’energia della forza pubblica (es. Guardia di Finanza).
Tali indagini –peraltro- difficilmente sono autorizzate dal giudice civile, in assenza di puntuali, specifici e ben motivati elementi conoscitivi (ex multis, Cass. civ., sez. I, 06.06.2013, n. 14336; Id., sez. I, 20.09.2013, n. 21603; Id., sez. VI, 15.11.2016, n. 23263; Id., sez. I, 04.04.2019, n. 9535).
L’accesso agli atti, dunque, sotto quest’angolo prospettico, consentirebbe di conoscere in anticipo le informazioni utili alla difesa dei propri interessi; di acquisire le informazioni senza dispiegamento della forza pubblica; di non gravare eccessivamente l’Amministrazione finanziaria, attraverso l’eventuale autonomo accesso telematico alle banche dati; comunque sia, nel bilanciamento degli interessi, di gravare l’Agenzia delle Entrate -che per sua funzione istituzionale è l’ente depositario di tutti questi atti- rispetto alla polizia fiscale e tributaria, deputata allo svolgimento di altre funzioni istituzionali (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 04.02.2020 n. 888 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ATTI AMMINISTRATIVIE' illegittima l'ordinanza sindacale contingibile ed urgente avente ad oggetto “sgombero e contenimento numero animali da affezione detenuti in abitazione privata in territorio comunale” tenuto conto che nella motivazione non si dà conto della sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza sindacale: non vi è alcun riferimento a una situazione contingibile –intesa come accadimento di un evento eccezionale e imprevedibile che devi dalla catena regolare degli avvenimento e richieda l’esercizio di un potere atipico e residuale per farvi fronte– né a una situazione di urgenza –intesa come pericolo attuale non fronteggiabile con gli ordinari strumenti.
Anzi, lo stesso ordine di riduzione graduale del numero di animali e l’assenza di un termine per provvedere all’ordine, a ben vedere, si pongono in contrasto con l’ipotetica (comunque non dichiarata) esistenza di una situazione di urgenza.
Inoltre, dalla motivazione dell’ordinanza non è possibile evincere il percorso logico-argomentativo che ha condotto il sindaco, tra più soluzioni possibili, a privilegiare quella adottata.
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... per l’annullamento dell’ordinanza n. -OMISSIS- adottata il -OMISSIS- dal Sindaco di -OMISSIS-, notificata il successivo 18 marzo avente ad oggetto “sgombero e contenimento numero animali da affezione detenuti in abitazione privata in territorio comunale”;
   - nonché per l’annullamento degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e connessi del relativo procedimento, ivi compreso, occorrendo, l’art. 30 del Regolamento comunale di -OMISSIS- approvato con delibera -OMISSIS-;
...
1. La ricorrente contesta –con il primo motivo– la sussistenza dei requisiti di contingibilità e urgenza per l’adozione di ordinanze extra ordinem da parte del Sindaco.
Con gli altri motivi di censura (da 2 a 4), si contesta invece l’erronea applicazione e interpretazione della normativa regolamentare circa il numero di animali che sia possibile detenere nelle pertinenze di un’abitazione.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbente rispetto agli altri motivi, attinenti al merito della decisione sindacale.
Come dedotto dalla ricorrente, nella motivazione del provvedimento non si dà conto della sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza sindacale: non vi è alcun riferimento a una situazione contingibile –intesa come accadimento di un evento eccezionale e imprevedibile che devi dalla catena regolare degli avvenimento e richieda l’esercizio di un potere atipico e residuale per farvi fronte (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 20.02.2012, n. 904)– né a una situazione di urgenza –intesa come pericolo attuale non fronteggiabile con gli ordinari strumenti.
Anzi, lo stesso ordine di riduzione graduale del numero di animali e l’assenza di un termine per provvedere all’ordine, a ben vedere, si pongono in contrasto con l’ipotetica (comunque non dichiarata) esistenza di una situazione di urgenza.
Inoltre, dalla motivazione dell’ordinanza non è possibile evincere il percorso logico-argomentativo che ha condotto il sindaco, tra più soluzioni possibili, a privilegiare quella adottata; ciò vale a maggior ragione se si tenga presente che la stessa -OMISSIS- la quale ha accertato la detenzione degli animali in condizioni non idonee –era dotata di poteri sanzionatori per garantire l’adempimento alle prescrizioni poste, ai sensi dell’art. 15 della L.R. 26.07.1993 n. -OMISSIS-.
3. Stante la fondatezza del primo motivo, il ricorso deve essere accolto, con annullamento dell’ordinanza sindacale (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.02.2020 n. 102 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ATTI AMMINISTRATIVILe FAQ non hanno alcun valore normativo, e tanto meno integrativo, rappresentando una mera risposta ad un quesito.
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16. Con il quarto motivo di appello, L. S.p.a. lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado ha respinto anche il quarto motivo di ricorso, con il quale, in subordine, l’odierna appellante aveva dedotto il vizio di violazione del principio del legittimo affidamento, nel caso in cui fossero stati ritenuti applicabili i chiarimenti forniti dal Ministero dell’Ambiente nelle FAQ pubblicate sul proprio sito web istituzionale solo in data 24.01.2014.
16.1. Il motivo è infondato.
Le FAQ non hanno alcun valore normativo, e tanto meno integrativo del d.m. 23.01.2012, rappresentando una mera risposta ad un quesito circa l’assoggettamento a tali obblighi, quale operatore economico, anche del c.d. trader senza deposito; in particolare, il contenuto della risposta non ha alcun valore innovativo rispetto al contenuto del d.m. 23.12.2012 e, come tale, è inidoneo a suscitare alcun legittimo affidamento per il periodo anteriore alla data di pubblicazione circa il carattere non necessario del rilascio del certificato di sostenibilità da parte del trader.
Si tratta di una semplice specificazione, della chiara definizione di operatore economico che il legislatore ha fornito agli articoli 2, comma 1, lettera i-septies), del decreto legislativo n. 66 del 2005 e 2, comma 3, del d.m. 23.01.2102.
16.2. Merita pertanto piena conferma l’affermazione del TAR secondo cui “Per quanto già sopra osservato, nello scrutinio del primo motivo di gravame, deve ritenersi che il valore di detto chiarimento del Ministero nelle FAQ, pubblicate il 24.01.2014, non abbia alcuna portata innovativa delle norme di cui al d.lgs. 66/2005, come modificato dal d.lgs. 55/2011, e del DM 2301.2012. Si tratta, come è assolutamente evidente anche dalla lettura del testo della domanda e della risposta, di una conferma dell’interpretazione fatta palese dal testo stesso delle previsioni di cui alle disposizioni sopra richiamate”.
Nessun preteso affidamento può, quindi, essere invocato sulla normativa di recepimento delle Direttive comunitarie 2009/28/CE e 2009/30/CE, tale da poter giustificare il recupero degli incentivi solo a partire dalla data di pubblicazione delle predette FAQ sicché, in definitiva, il motivo deve essere respinto in quanto infondato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.02.2020 n. 846 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2020

ATTI AMMINISTRATIVI: Non è impugnabile un atto comunale recante una mera “diffida”.
Secondo la pacifica giurisprudenza, è inammissibile, per carenza del requisito della lesività, il ricorso proposto per l’annullamento giurisdizionale di un atto comunale recante una mera “diffida”, trattandosi, infatti, di un atto che assume carattere meramente preparatorio, a rigore nemmeno necessario, rispetto all’adozione della successiva ordinanza contingibile e urgente, la quale costituisce il provvedimento conclusivo del procedimento.
Alla luce delle superiori considerazioni va pertanto ribadita l’inammissibilità dell’impugnativa del verbale di diffida, in quanto atto endoprocedimentale, al più valevole come comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’adozione della successiva ordinanza.
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1. Con il presente ricorso, ritualmente notificato e depositato, è contestata la legittimità del Verbale di Diffida del 24.05.2016, notificato il successivo 08.06.2016, con il quale il Servizio Autonomo di Polizia Locale dell’Ente ha intimato alla ricorrente, in qualità di comproprietaria al 50% dell’immobile sito in Napoli, alla piazza ... n. 92, di “non praticare i luoghi pericolanti”, e “di far eseguire con urgenza i lavori di riparazione necessari”, essendo stato l’immobile danneggiato dagli eventi sismici del occorsi nel 1980.
2. Dopo aver rimarcato in punto di fatto che l’immobile danneggiato dal terremoto del 1980 era incluso tra quelli che avrebbero dovuto essere riattati dal Comune di Napoli, la ricorrente ha dedotto a sostegno della domanda di annullamento del verbale di diffida, un articolato motivo di diritto, con cui lamenta la violazione e falsa applicazione della normativa di settore (L. del 22.12.1980 n. 874; L. del 14.05.1981 n. 219, D.LGS. n. 76/1990 art. 9, comma 1, lettera d), e dell’Ordinanza Commissariale del 06.01.1981; eccesso di potere per contraddittorietà, errata istruttoria, travisamento dei fatti.
...
5. Il ricorso è inammissibile.
5.1 Come anche rimarcato dalla difesa della resistente amministrazione, non costituendo la mera diffida dell’ente pubblico un atto immediatamente lesivo della sfera giuridica del soggetto intimato, non può dirsi integrato l’interesse a ricorrere come invece accade nell’ipotesi, del tutto diversa, dell’ordinanza amministrativa emanata dall’ente.
Secondo la pacifica giurisprudenza, anche di questa Sezione, è inammissibile, per carenza del requisito della lesività, il ricorso proposto per l’annullamento giurisdizionale di un atto comunale recante una mera “diffida”, trattandosi, infatti, di un atto che assume carattere meramente preparatorio, a rigore nemmeno necessario, rispetto all’adozione della successiva ordinanza contingibile e urgente, la quale costituisce il provvedimento conclusivo del procedimento (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 20.08.2015 n. 3955, Tar Campania Napoli, sez. V, 26.05.2016, n. 2719; Tar Campania, Sez. V, 15.12.2016 n. 5782).
5.2 Alla luce delle superiori considerazioni va pertanto ribadita l’inammissibilità dell’impugnativa del verbale di diffida meglio precisato in epigrafe, in quanto atto endoprocedimentale, al più valevole come comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’adozione della successiva ordinanza (cfr. Tar Campania, Sez. V, Sent. 4285/2018) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 31.01.2020 n. 463 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ATTI AMMINISTRATIVINuovamente alla Corte costituzionale l’automaticità delle conseguenze derivanti dalla dichiarazione mendace.
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Procedimento amministrativo – Dichiarazione sostitutiva atto di notorietà – Dichiarazione falsa – Conseguenza – Art. 75, d.P.R. n. 445 del 2000 – Conseguenza – Decadenza automatica del beneficio – Violazione art. 3 Cost. – Rilevante e non manifestamente infondata.
E’ rilevante e non manifestamente infondata, per violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 75, d.P.R. 28.12.2000, n. 445, nella parte in cui introduce un automatismo legislativo tra la non veridicità della dichiarazione resa dall’interessato e la perdita dei benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera (1).
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   (1) Analoga rimessione è stata disposta dalla Sezione con ordinanza 24.10.2018 n. 1544; 23.10.2018 n. 1531; 25.10.2018 n. 1552 e 17.09.2018 n. 1346.
Ha chiarito la Sezione che la granitica giurisprudenza formatasi in subiecta materia, con riferimento ai vizi “sostanziali” dell’autodichiarazione, ha osservato che il su riportato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 “si inserisce in un contesto in cui alla dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti è attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del dichiarante di affermare il vero.
Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” al di là dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell’ambito della disciplina dettata dalla l. n. 445 del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio
(ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. V, 09.04.2013, n. 1933).
Pertanto, <<In tale contesto normativo, in cui la “dichiarazione falsa o non veritiera” opera come fatto, perde rilevanza l’elemento soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante>> (Consiglio di Stato, Sez. V, cit., n. 1933/2013), “poiché, se così fosse, verrebbe meno la ratio della disciplina che è volta a semplificare l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante” (Consiglio di Stato, Sez. V, 27.04.2012, n. 2447): sicché ogni eventuale ulteriore circostanza, “senz’altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del falso ideologico, attesa la mancanza dell’elemento soggettivo, ovvero della volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo nell’ambito della L. n. 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è diretto” (Consiglio di Stato, Sez. V, cit., n. 1933/2013).
Ai sensi della normativa statale generale di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 445 del 2000, quindi, “la non veridicità di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con l’autodichiarazione non veritiera”; così la sent. 13.09.2016, n. 9699)” (TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 24.05.2017, n. 6207), “senza che tale disposizione lasci margine di discrezionalità alle Amministrazioni (cfr. ad es. CdS 1172/2017)” (TAR Liguria, Genova, Sez. I, 14.06.2017, n. 534; in termini, Consiglio di Stato, Sez. VI, 20.08.2019, n. 5761; Consiglio di Giustizia Amministrativa Sicilia, 09.12.2019, n. 1039; Consiglio di Stato, Sez. V, 03.02.2016, n. 404; Consiglio di Stato, Sez. V, 15.03.2017, n. 1172).
In definitiva, per effetto della suddetta esegesi consolidata (tale da assurgere al rango di “diritto vivente”, sicché neppure è possibile per il Tribunale operare una c.d. “interpretazione costituzionalmente conforme”):
   - l’applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 comporta l’automatica decadenza dal beneficio eventualmente già conseguito, non residuando, nell’applicazione della predetta norma, alcun margine di discrezionalità alle Pubbliche Amministrazioni che, in sede di controllo (d’ufficio) ex art. 71 del medesimo Testo Unico, si avvedano della (oggettiva) non veridicità delle autodichiarazioni, posto che tale norma prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante, attestandosi (unicamente) sul dato oggettivo della non veridicità, rispetto al quale risulta, peraltro, del tutto irrilevante il complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo;
   - parimenti, tale disposizione, nel contemplare la decadenza dai benefici conseguenti al provvedimento emanato sulla base delle dichiarazioni non veritiere, impedisce (ovviamente e “a fortiori”, come nel caso di specie) anche l’emanazione del provvedimento (ampliativo) di accoglimento dell’istanza tendente ad ottenere i benefici dalla P.A..
Non risulta pertinente in proposito, al fine dell’espletamento del tentativo di “interpretazione conforme”, il riferimento (si vedano le argomentazioni opposte dall’Avvocatura Generale dello Stato nel precedente giudizio di legittimità costituzionale - cfr. la menzionata sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2019, paragrafo 4.1) a taluna giurisprudenza formatasi con riferimento ai vizi meramente formali dell’autodichiarazione (quali, ad esempio, l’omessa produzione di copia del documento di identità sottoscritto e del “curriculum” formativo/professionale con dichiarazione sostitutiva - cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 17.01.2018, n. 257, che ha sancito l’ammissibilità del soccorso istruttorio, peraltro, nel caso ivi in esame, in applicazione di apposita e specifica disposizione del bando): ciò in quanto, nella fattispecie di che trattasi, la menzionata omissione, sanzionata ai sensi del citato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, concreta un vizio -con ogni evidenza- sostanziale e non già meramente formale dell’autodichiarazione, non veritiera al riguardo.
Orbene, la predetta norma (art. 75 del D.P.R. n. 445/2000), intesa alla stregua dell’illustrato “diritto vivente”, nel suo meccanico automatismo legale (del tutto decontestualizzato dal caso specifico) e nella sua assoluta rigidità applicativa (che non conosce eccezioni), sembra al Collegio incostituzionale, per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza sostanziale, sanciti dall’art. 3 della Costituzione.
Ed invero, “il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti. Sicché, … l’impossibilità di fissare in astratto un punto oltre il quale scelte di ordine quantitativo divengono manifestamente arbitrarie e, come tali, costituzionalmente illegittime, non può essere validamente assunta come elemento connotativo di un giudizio di merito, essendo un tratto che si riscontra … anche nei giudizi di ragionevolezza. Del resto,……, le censure di merito non comportano valutazioni strutturalmente diverse, sotto il profilo logico, dal procedimento argomentativo proprio dei giudizi valutativi implicati dal sindacato di legittimità, differenziandosene, piuttosto, per il fatto che in quest’ultimo le regole o gli interessi che debbono essere assunti come parametro del giudizio sono formalmente sanciti in norme di legge o della Costituzione” (Corte Costituzionale, 22.12.1988, n. 1130).
In conclusione:
   - per un verso, il giudizio di ragionevolezza della norma di legge deve essere necessariamente ancorato al criterio di proporzionalità, rappresentando quest’ultimo “diretta espressione del generale canone di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.)” (Corte Costituzionale, 01.06.1995, n. 220);
   - per altro verso, la ragionevolezza va intesa come forma di razionalità pratica (tenuto conto, appunto, “delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” - Corte Costituzionale, cit., n. 1130/1988), non riducibili alla mera (e sola) astratta razionalità sillogistico-deduttiva e logico-formale, laddove (invece) la ragione (pratica e concreta) deve essere aperta all’impatto che su di essa esplica il caso, il fatto, il dato di realtà (che diventa esperienza giuridica), solo così potendo (doverosamente) valutarsi l’adeguatezza del mezzo al fine, la ragionevolezza “intrinseca”, in uno agli (eventuali) esiti ed effetti sproporzionati e/o paradossali che possono concretamente derivare da una regola generale apparentemente ed astrattamente logica.
In tal senso, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal limitarsi alla (sola) valutazione della singola situazione oggetto della specifica controversia da cui sorge il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, si appalesa idoneo (traendo spunto da quest’ultima) a vagliare gli effetti della Legge sull’intera realtà sociale che la Legge medesima è chiamata a regolare, anche in funzione dell’<<“esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità” ... ed a criteri di coerenza logica, teleologica …. , che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa» (sentenza n. 87 del 2012)>> (Corte Costituzionale, sentenza 10.06.2014, n. 162).
E tanto anche confrontando i benefici che derivano dall’adozione, per dir così, “neutra” del provvedimento con i suoi “costi”, e valutando l’eventuale inadeguata penalizzazione degli altri diritti e interessi di rango costituzionale contestualmente in gioco (bilanciamento).
Orbene, l’illustrata fattispecie di “automatismo legislativo” di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, intesa alla stregua del “diritto vivente”, non sfugge, ad avviso meditato del Collegio, a forti dubbi di incostituzionalità per violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3 della Costituzione.
Ed invero, le conseguenze decadenziali/impeditive (definitive e in alcun modo “rimediabili”) dal beneficio (peraltro, “lato sensu” sanzionatorie), legate alla non veridicità obiettiva della dichiarazione, e, “a fortiori”, l’impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, appaiono al Tribunale irragionevoli e incostituzionali, contrastando con il principio di proporzione, che è alla base della razionalità che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex art. 3, comma 2 della Costituzione.
E tanto ove si considerino (innanzitutto e in via dirimente) il meccanico automatismo legale (del tutto “slegato” dalla fattispecie concreta) e l’assoluta rigidità applicativa della norma in questione, che (da un lato) impone “tout court” (senza alcun distinguo, né gradazione) la decadenza dal beneficio (o l’impedimento al conseguimento dello stesso), a prescindere dall’effettiva gravità del fatto contestato (sia per le fattispecie in cui la dichiarazione non veritiera riveste un’incidenza del tutto marginale rispetto all’interesse pubblico perseguito dalla P.A., sia per quelle nelle quali tale dichiarazione risulta in netto contrasto con tale interesse, riservando, quindi, il medesimo trattamento a situazioni di oggettiva diversa gravità), e (dall’altro) non consente di escludere nemmeno le ipotesi di non veridicità delle autodichiarazioni su aspetti di minima rilevanza concreta (come, appunto, nel caso di cui al presente giudizio), con ogni possibile (e finanche prevedibile) abnormità e sproporzione delle relative conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso.
Sotto altro profilo, inoltre, l’assoluta rigidità applicativa dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 appare eccessiva, in quanto non consente (parimenti irragionevolmente e inadeguatamente) di valutare l’elemento soggettivo (dolo -la c.d. coscienza e volontà di immutare il vero -ovvero colpa, grave o meno- nell’ipotesi di fatto dovuto a mera leggerezza o negligenza dell’agente) della dichiarazione (oggettivamente) non veritiera, nella naturale (e contestuale) sede del procedimento amministrativo (o anche, laddove la P.A. lo ritenga, nell’ambito del pertinente giudizio penale).
Né può ritenersi che i suddetti dubbi di costituzionalità possano essere superati facendo leva sulla “ratio” sottesa alla disposizione di che trattasi, rinvenibile, secondo il diritto “vivente” (cfr., “ex plurimis”, Consiglio di Stato, Sez. V, cit., n. 2447/2012), nel principio generale di semplificazione amministrativa (cui si accompagna l’affermazione dell’autoresponsabilità -“oggettiva”- del dichiarante, in uno -anche- all’interruzione “ex lege” del rapporto di fiducia tra P.A. e cittadino).
E’ ben vero, infatti, che l’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 debba qualificarsi quale norma generale di semplificazione amministrativa.
Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma, se, da un lato, è sicuramente volta a rendere più efficiente ed efficace l’azione dell’Amministrazione pubblica (buon andamento, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione), dall’altro è (altrettanto inequivocabilmente) finalizzata a garantire i diritti dei singoli costituzionalmente tutelati e di volta in volta coinvolti nel procedimento amministrativo attivato (e nell’ambito del quale sono state rese le autodichiarazioni medesime): si pensi, ad esempio, al diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute (art. 32), al diritto al lavoro (artt. 4 e 35), al diritto all’assistenza sociale (art. 38), al diritto di iniziativa economica privata (art. 41, come nel caso di specie).
Sicché, anche nella prospettiva del necessario bilanciamento degli interessi costituzionali coinvolti (nonché della massima espansione possibile delle relative tutele), il rigido automatismo applicativo (in uno ai correlati e definitivi effetti preclusivi e/o decadenziali, non emendabili) si rivela, in concreto, lesivo del doveroso equilibrio fra le diverse esigenze in gioco, e persino tale da pregiudicare definitivamente proprio quei diritti costituzionali del singolo alla cui migliore e più rapida realizzazione la norma di semplificazione “de qua” è, in definitiva, finalizzata.
E tanto vieppiù allorché si consideri che l’art. 40 (“Certificati”) del D.P.R. 28.12.2000, n. 445 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”), come modificato dall’art. 15, comma 1, lett. a), L. 12.11.2011, n. 183, ha disposto che “01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47” e che <<02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi”>>: sicché, in definitiva, essendo il privato obbligato, e non più (meramente) facultato, a presentare alle PP.AA. le “dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47”, la semplificazione “de qua” si risolve, in ultima analisi, per un verso, nella (sicura) diminuzione degli adempimenti a carico dell’Amministrazione Pubblica (a fronte dei controlli d’ufficio, “anche a campione”, ai sensi dell’art. 71 del D.P.R. n. 445/2000), e, per altro verso, nell’eccessiva (considerate le conseguenze automatiche derivanti dall’eventuale dichiarazione non veritiera, ex art. 75 del D.P.R. n. 445/2000) autoresponsabilità (“oggettiva”) del privato medesimo.
Pertanto, rispetto ad una disposizione -l’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000-, nel significato in cui essa “vive” nella (costante) applicazione giudiziale, il Collegio non può che sollevare la questione di legittimità costituzionale, tenuto conto, per quanto innanzi esposto, che la stessa appare non superabile in via interpretativa (in ragione, appunto, del “diritto vivente”) e non manifestamente infondata (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, ordinanza 30.01.2020 n. 92 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
6. - Le predette considerazioni fondano la rilevanza decisiva, nella fattispecie concreta in esame, dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, sicché -risultando, ad avviso di questa Sezione, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 (per le ragioni nel prosieguo illustrate)- l’intervento del Giudice delle Leggi appare assolutamente necessario nella presente controversia, non potendosi prescindere dalla definizione (necessariamente e logicamente pregiudiziale) di tale questione ai fini della decisione del presente giudizio.
Infatti, nell’ipotesi in cui il citato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 dovesse essere dichiarato incostituzionale, verrebbe meno il presupposto normativo decisivo posto, sostanzialmente (a ben vedere), a fondamento del gravato diniego; nel mentre, in caso contrario, il gravame sarebbe infondato, alla stregua delle censure formulate dalla parte ricorrente.
7. - A questo punto, osserva il Collegio che
la granitica giurisprudenza formatasi “in subiecta materia”, con riferimento (come nella fattispecie “de qua”) ai vizi “sostanziali” dell’autodichiarazione, ha osservato che il su riportato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 <<si inserisce in un contesto in cui alla dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti è attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del dichiarante di affermare il vero. Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” al di là dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell’ambito della disciplina dettata dalla L. n. 445 del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio>> (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 09.04.2013, n. 1933).
Pertanto, <<
In tale contesto normativo, in cui la “dichiarazione falsa o non veritiera” opera come fatto, perde rilevanza l’elemento soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante>> (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013), “poiché, se così fosse, verrebbe meno la ratio della disciplina che è volta a semplificare l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante” (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 27.04.2012, n. 2447): sicché ogni eventuale ulteriore circostanza, “senz’altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del falso ideologico, attesa la mancanza dell’elemento soggettivo, ovvero della volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo nell’ambito della L. n. 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è diretto (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013).
Ai sensi della normativa statale generale di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 445 del 2000, quindi, “
la non veridicità di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con l’autodichiarazione non veritiera”; così la sent. 13.09.2016, n. 9699)” (TAR Lazio, Roma, Sezione Terza ter, 24.05.2017, n. 6207), “senza che tale disposizione lasci margine di discrezionalità alle Amministrazioni (cfr. ad es. CdS 1172/2017)” (TAR Liguria, Genova, Sezione Prima, 14.06.2017, n. 534; in termini, Consiglio di Stato, Sezione Sesta, 20.08.2019, n. 5761; Consiglio di Giustizia Amministrativa Sicilia, 09.12.2019, n. 1039; Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 03.02.2016, n. 404; Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 15.03.2017, n. 1172).
In definitiva,
per effetto della suddetta esegesi consolidata (tale da assurgere al rango di “diritto vivente”, sicché neppure è possibile per il Tribunale operare una c.d. “interpretazione costituzionalmente conforme”):
   - l’applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 comporta l’automatica decadenza dal beneficio eventualmente già conseguito, non residuando, nell’applicazione della predetta norma, alcun margine di discrezionalità alle Pubbliche Amministrazioni che, in sede di controllo (d’ufficio) ex art. 71 del medesimo Testo Unico, si avvedano della (oggettiva) non veridicità delle autodichiarazioni, posto che tale norma prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante, attestandosi (unicamente) sul dato oggettivo della non veridicità, rispetto al quale risulta, peraltro, del tutto irrilevante il complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo;
   - parimenti, tale disposizione, nel contemplare la decadenza dai benefici conseguenti al provvedimento emanato sulla base delle dichiarazioni non veritiere, impedisce (ovviamente e “a fortiori”, come nel caso di specie) anche l’emanazione del provvedimento (ampliativo) di accoglimento dell’istanza tendente ad ottenere i benefici dalla P.A..

Non risulta pertinente in proposito, al fine dell’espletamento del tentativo di “interpretazione conforme”, il riferimento (si vedano le argomentazioni opposte dall’Avvocatura Generale dello Stato nel precedente giudizio di legittimità costituzionale - cfr. la menzionata sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2019, paragrafo 4.1) a taluna giurisprudenza formatasi con riferimento ai vizi meramente formali dell’autodichiarazione (quali, ad esempio, l’omessa produzione di copia del documento di identità sottoscritto e del “curriculum” formativo/professionale con dichiarazione sostitutiva - cfr. Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 17.01.2018, n. 257, che ha sancito l’ammissibilità del soccorso istruttorio, peraltro, nel caso ivi in esame, in applicazione di apposita e specifica disposizione del bando): ciò in quanto, nella fattispecie di che trattasi, la menzionata omissione, sanzionata ai sensi del citato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, concreta un vizio -con ogni evidenza- sostanziale e non già meramente formale dell’autodichiarazione, non veritiera al riguardo.
8. - Orbene,
la predetta norma (art. 75 del D.P.R. n. 445/2000), intesa alla stregua dell’illustrato “diritto vivente”, nel suo meccanico automatismo legale (del tutto decontestualizzato dal caso specifico) e nella sua assoluta rigidità applicativa (che non conosce eccezioni), sembra al Collegio incostituzionale, per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza sostanziale, sanciti dall’art. 3 della Costituzione.
9. - Ed invero, “
il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti. Sicché, … l’impossibilità di fissare in astratto un punto oltre il quale scelte di ordine quantitativo divengono manifestamente arbitrarie e, come tali, costituzionalmente illegittime, non può essere validamente assunta come elemento connotativo di un giudizio di merito, essendo un tratto che si riscontra … anche nei giudizi di ragionevolezza. Del resto,……, le censure di merito non comportano valutazioni strutturalmente diverse, sotto il profilo logico, dal procedimento argomentativo proprio dei giudizi valutativi implicati dal sindacato di legittimità, differenziandosene, piuttosto, per il fatto che in quest’ultimo le regole o gli interessi che debbono essere assunti come parametro del giudizio sono formalmente sanciti in norme di legge o della Costituzione” (Corte Costituzionale, 22.12.1988, n. 1130).
In conclusione:
   - per un verso,
il giudizio di ragionevolezza della norma di legge deve essere necessariamente ancorato al criterio di proporzionalità, rappresentando quest’ultimo “diretta espressione del generale canone di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.) (Corte Costituzionale, 01.06.1995, n. 220);
   - per altro verso,
la ragionevolezza va intesa come forma di razionalità pratica (tenuto conto, appunto, “delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti - Corte Costituzionale, cit., n. 1130/1988), non riducibili alla mera (e sola) astratta razionalità sillogistico-deduttiva e logico-formale, laddove (invece) la ragione (pratica e concreta) deve essere aperta all’impatto che su di essa esplica il caso, il fatto, il dato di realtà (che diventa esperienza giuridica), solo così potendo (doverosamente) valutarsi l’adeguatezza del mezzo al fine, la ragionevolezza “intrinseca”, in uno agli (eventuali) esiti ed effetti sproporzionati e/o paradossali che possono concretamente derivare da una regola generale apparentemente ed astrattamente logica.
In tal senso,
il giudizio di ragionevolezza, lungi dal limitarsi alla (sola) valutazione della singola situazione oggetto della specifica controversia da cui sorge il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, si appalesa idoneo (traendo spunto da quest’ultima) a vagliare gli effetti della Legge sull’intera realtà sociale che la Legge medesima è chiamata a regolare, anche in funzione dell’<<“esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità” ... ed a criteri di coerenza logica, teleologica …. , che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa» (sentenza n. 87 del 2012)>> (Corte Costituzionale, sentenza 10.06.2014, n. 162).
E tanto anche confrontando i benefici che derivano dall’adozione, per dir così, “neutra” del provvedimento con i suoi “costi”, e valutando l’eventuale inadeguata penalizzazione degli altri diritti e interessi di rango costituzionale contestualmente in gioco (bilanciamento).
10. - Orbene,
l’illustrata fattispecie di “automatismo legislativo” di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, intesa alla stregua del “diritto vivente”, non sfugge, ad avviso meditato del Collegio, a forti dubbi di incostituzionalità per violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3 della Costituzione.
10.1 - Ed invero,
le conseguenze decadenziali/impeditive (definitive e in alcun modo “rimediabili”) dal beneficio (peraltro, “lato sensu” sanzionatorie), legate alla non veridicità obiettiva della dichiarazione, e, “a fortiori”, l’impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, appaiono al Tribunale irragionevoli e incostituzionali, contrastando con il principio di proporzione, che è alla base della razionalità che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex art. 3, comma 2 della Costituzione.
E tanto ove si considerino (innanzitutto e in via dirimente) il meccanico automatismo legale (del tutto “slegato” dalla fattispecie concreta) e l’assoluta rigidità applicativa della norma in questione, che (da un lato) impone “tout court” (senza alcun distinguo, né gradazione) la decadenza dal beneficio (o l’impedimento al conseguimento dello stesso), a prescindere dall’effettiva gravità del fatto contestato (sia per le fattispecie in cui la dichiarazione non veritiera riveste un’incidenza del tutto marginale rispetto all’interesse pubblico perseguito dalla P.A., sia per quelle nelle quali tale dichiarazione risulta in netto contrasto con tale interesse, riservando, quindi, il medesimo trattamento a situazioni di oggettiva diversa gravità), e (dall’altro) non consente di escludere nemmeno le ipotesi di non veridicità delle autodichiarazioni su aspetti di minima rilevanza concreta (come, appunto, nel caso di cui al presente giudizio), con ogni possibile (e finanche prevedibile) abnormità e sproporzione delle relative conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso.
10.2 - Sotto altro profilo, inoltre, l’assoluta rigidità applicativa dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 appare eccessiva, in quanto non consente (parimenti irragionevolmente e inadeguatamente) di valutare l’elemento soggettivo (dolo -la c.d. coscienza e volontà di immutare il vero- ovvero colpa -grave o meno- nell’ipotesi di fatto dovuto a mera leggerezza o negligenza dell’agente) della dichiarazione (oggettivamente) non veritiera, nella naturale (e contestuale) sede del procedimento amministrativo (o anche, laddove la P.A. lo ritenga, nell’ambito del pertinente giudizio penale).
10.3 - Né può ritenersi che i suddetti dubbi di costituzionalità possano essere superati facendo leva sulla “ratio” sottesa alla disposizione di che trattasi, rinvenibile, secondo il diritto “vivente” (cfr., “ex plurimis”, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 2447/2012), nel principio generale di semplificazione amministrativa (cui si accompagna l’affermazione dell’autoresponsabilità - “oggettiva” - del dichiarante, in uno -anche- all’interruzione “ex lege” del rapporto di fiducia tra P.A. e cittadino).
E’ ben vero, infatti, che l’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 debba qualificarsi quale norma generale di semplificazione amministrativa.
Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma, se, da un lato, è sicuramente volta a rendere più efficiente ed efficace l’azione dell’Amministrazione pubblica (buon andamento, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione), dall’altro è (altrettanto inequivocabilmente) finalizzata a garantire i diritti dei singoli costituzionalmente tutelati e di volta in volta coinvolti nel procedimento amministrativo attivato (e nell’ambito del quale sono state rese le autodichiarazioni medesime): si pensi, ad esempio, al diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute (art. 32), al diritto al lavoro (artt. 4 e 35), al diritto all’assistenza sociale (art. 38), al diritto di iniziativa economica privata (art. 41, come nel caso di specie).
Sicché, anche nella prospettiva del necessario bilanciamento degli interessi costituzionali coinvolti (nonché della massima espansione possibile delle relative tutele), il rigido automatismo applicativo (in uno ai correlati e definitivi effetti preclusivi e/o decadenziali, non emendabili) si rivela, in concreto, lesivo del doveroso equilibrio fra le diverse esigenze in gioco, e persino tale da pregiudicare definitivamente proprio quei diritti costituzionali del singolo alla cui migliore e più rapida realizzazione la norma di semplificazione “de qua” è, in definitiva, finalizzata.
E tanto vieppiù allorché si consideri che l’art. 40 (“Certificati”) del D.P.R. 28.12.2000, n. 445 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”), come modificato dall’art. 15, comma 1, lett. a), L. 12.11.2011, n. 183, ha disposto che “01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47” e che <<02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi”>>: sicché, in definitiva, essendo il privato obbligato, e non più (meramente) facultato, a presentare alle PP.AA. le “dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47”, la semplificazione “de qua” si risolve, in ultima analisi, per un verso, nella (sicura) diminuzione degli adempimenti a carico dell’Amministrazione Pubblica (a fronte dei controlli d’ufficio, “anche a campione”, ai sensi dell’art. 71 del D.P.R. n. 445/2000), e, per altro verso, nell’eccessiva (considerate le conseguenze automatiche derivanti dall’eventuale dichiarazione non veritiera, ex art. 75 del D.P.R. n. 445/2000) autoresponsabilità (“oggettiva”) del privato medesimo.
11. - Pertanto, rispetto ad una disposizione -l’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000-, nel significato in cui essa “vive” nella (costante) applicazione giudiziale, il Collegio non può che sollevare la questione di legittimità costituzionale, tenuto conto, per quanto innanzi esposto, che la stessa appare non superabile in via interpretativa (in ragione, appunto, del “diritto vivente”) e non manifestamente infondata.
12. -
Il Collegio, in conclusione, ritiene che la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza di cui all’art. 3, comma 2 della Costituzione, dell’art. 75 del D.P.R. 28.12.2000, n. 445, sia rilevante (sussistendo, appunto, il nesso di assoluta pregiudizialità tra la soluzione della prospettata questione di legittimità costituzionale e la decisione del presente giudizio) e non manifestamente infondata, e debba, conseguentemente, essere rimessa all’esame della Corte Costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso fino alla decisione della Consulta.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza, pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe,
sospende il giudizio e solleva questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3, comma 2, della Costituzione, nei sensi e termini di cui in motivazione, dell’art. 75 del D.P.R. 28.12.2000, n. 445.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

ATTI AMMINISTRATIVIIndividuazione del destinatario delle ordinanze contingibili e urgenti.
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Ordinanze contingibili e urgenti – Destinatari – Individuazione.
In materia di ordinanze contingibili e urgenti ex art. 54, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, con riguardo all’individuazione del destinatario dell’ordine di eseguire i lavori indispensabili per eliminare il pericolo, presupposto indispensabile è la disponibilità del bene in capo a tale soggetto, che costituisce condizione logica e materiale indispensabile per l’esecuzione dell’ordine impartito (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che in presenza di una conclamata condizione di pericolo per l’incolumità pubblica, per la legittimità dell’ordine è sufficiente che il Comune provveda ad individuarne i destinatari in base alla situazione di fatto che si presenta nell’immediato, indipendentemente da ogni laboriosa e puntuale ripartizione, di fronte a più soggetti eventualmente obbligati, dei rispettivi oneri di concorso all’eliminazione dell’accertata situazione di pericolo.
Il fatto che l’ordine di esecuzione dei lavori è legittimamente indirizzato al soggetto nella condizione di eliminare la situazione di pericolo lascia impregiudicata, perché estranea alla funzione del provvedimento contingibile e urgente, la diversa e successiva questione dell’accollo economico dei costi dell’intervento in capo ai soggetti responsabili (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 22.01.2020 n. 536 - commento tratto da e link a ww.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
1. - E’ appellata la sentenza con la quale il giudice di primo grado ha accolto il ricorso proposto avverso l’ordinanza sindacale con cui l’amministratore del condominio in epigrafe era stato diffidato ad eseguire tutte le opere di assicurazione strettamente necessarie ad eliminare lo stato di pericolo derivante dal “distacco d’intonaco dalla scala di collegamento tra le rampe che formano Via del Parco Grifeo, accosto al civico 30/M con caduta sul sottostante terrazzino …, con accesso da Via del Parco Grifeo n. 30/M”.
2. - Il TAR ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione dell’amministratore del condominio ricorrente per non essere stato autorizzato ad agire in giudizio con regolare delibera dell’assemblea condominiale, rilevando, in senso contrario, che egli era stato autorizzato alla lite giudiziaria con delibera condominiale del 19.06.2008.
Nel merito, ha accolto l’unico motivo di censura proposto, nei limiti del difetto di istruttoria e di motivazione, “in mancanza da parte del Comune di adeguata dimostrazione della proprietà condominiale della scala di collegamento ritenuta versare in stato di pericoloso dissesto, quale presupposto necessario e sufficiente per imporre al Condominio ed al suo amministratore, gli obblighi di messa in sicurezza della scala predetta” (pag. 11 della sentenza appellata).
...
5. – Col secondo motivo di appello il Comune ripropone, in termini critici, le questioni relative alla sufficienza dell’istruttoria condotta, in relazione al fatto che il giudice di primo grado, riscontrando che nessuno degli argomenti addotti dalle parti risultava decisivo per stabilire se la proprietà delle scale fosse condominiale o comunale, ha annullato il provvedimento impugnato per una pretesa carenza di istruttoria, assumendo che lo stesso dovesse essere preceduto da un rigoroso accertamento della proprietà della scala di collegamento ritenuta versare in stato di pericoloso dissesto.
Il motivo di appello è fondato.
In materia di ordinanze contingibili e urgenti ex art. 54, d.lgs. n. 267/2000, con riguardo all’individuazione del destinatario dell’ordine di eseguire i lavori indispensabili per eliminare il pericolo, presupposto indispensabile è la disponibilità del bene in capo a tale soggetto, che costituisce condizione logica e materiale indispensabile per l’esecuzione dell’ordine impartito (cfr. TAR Sardegna, sez. I, 03.10.2018, n. 817; id., sez. II, 05.06.2017, n. 375; TAR Liguria, sez. I, 19.04.2013, n. 702; TAR Lazio, sez. II ter, 17.10.2016, n. 10344).
Pertanto,
in presenza di una conclamata condizione di pericolo per l’incolumità pubblica, per la legittimità dell’ordine è sufficiente che il Comune provveda ad individuarne i destinatari in base alla situazione di fatto che si presenta nell’immediato, indipendentemente da ogni laboriosa e puntuale ripartizione, di fronte a più soggetti eventualmente obbligati, dei rispettivi oneri di concorso all’eliminazione dell’accertata situazione di pericolo (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12.11.2008, n. 5310; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 20.12.2001, n. 2493; TAR Campania, Napoli, 03.02.2004 n. 166).
Il fatto che l’ordine di esecuzione dei lavori è legittimamente indirizzato al soggetto nella condizione di eliminare la situazione di pericolo lascia impregiudicata, perché estranea alla funzione del provvedimento contingibile e urgente, la diversa e successiva questione dell’accollo economico dei costi dell’intervento in capo ai soggetti responsabili.
Pertanto, l’Amministrazione comunale appellante non era tenuta a un’approfondita istruttoria in ordine alla proprietà del bene, essendo sufficiente che ne fosse accertata la disponibilità in capo al condominio.
Non essendo contestato che il condominio avesse la disponibilità e l’uso della rampa di scale in questione, il motivo di appello va, di conseguenza, accolto.
6. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinto il ricorso di primo grado.

ATTI AMMINISTRATIVI: Alla Corte di Giustizia la mancanza della fase del contraddittorio prima dell’emissione dell’informativa antimafia interdittiva.
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Informativa antimafia – Comunicazione di avvio del procedimento - Esclusione – Rimessione alla Corte di giustizia Ue.
E’ rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione se gli artt. 91, 92 e 93, d.lgs. 06.09.2011, n. 159, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto nei cui riguardi l’Amministrazione si propone di rilasciare una informativa antimafia interdittiva, siano compatibili con il principio del contraddittorio ex art. 7, l. 07.08.1990, m. 241, così come ricostruito e riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione (1).
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   (1) La Sezione non condivide l’assunto della natura cautelare dell’informativa antimafia interdittiva, poiché non si tratta di misura provvisoria e strumentale, adottata in vista di un provvedimento che definisca, con caratteristiche di stabilità e inoppugnabilità, il rapporto giuridico controverso, bensì di atto conclusivo del procedimento amministrativo avente effetti definitivi, conclusivi e dissolutori del rapporto giuridico tra l’impresa e la P.A., con riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili, se si considera che alla citata interdittiva antimafia segue il ritiro di un titolo pubblico o il recesso o la risoluzione contrattuale, nonché la sostanziale messa al bando dell’impresa e dell’imprenditore che, da quel momento e per sempre, non possono rientrare nel circuito economico dei rapporti con la P.A. dal quale sono stati estromessi.
L’informazione antimafia interdittiva non fa pertanto parte dei provvedimenti interinali e cautelari in relazione ai quali il legislatore nazionale consente di escludere, in via generale, l’applicazione della partecipazione al procedimento amministrativo (art. 7, l. 07.08.1990, n. 241).
La stessa partecipazione al procedimento amministrativo, garantita attraverso l’ascolto delle ragioni del destinatario del provvedimento interdittivo antimafia, non ha controindicazioni perché il soggetto nei cui riguardi opera la misura non ha alcuna possibilità di mettere in atto strategie elusive o condotte ostruzionistiche con l’intento di sottrarsi al provvedimento conclusivo.
Ha aggiunto il Tar che il procedimento amministrativo che culmina nel rilascio della informazione antimafia interdittiva, pur in presenza di considerevoli effetti negativi nella sfera giuridica del destinatario, non prevede alcuna forma di contraddittorio con il destinatario medesimo, se non nella ipotesi disciplinata dall’art. 93, d.lgs. n. 159 del 2011, in cui “Il prefetto emette, entro quindici giorni dall’acquisizione della relazione del gruppo interforze, l’informazione interdittiva, previa eventuale audizione dell’interessato secondo le modalità individuate dal successivo comma 7”.
Anche nel caso ora esaminato, si tratta di audizione con finalità istruttoria la quale consente un contraddittorio meramente eventuale, non di garanzia effettiva di partecipazione al procedimento, atteso che l’eventualità che il contraddittorio si instauri è discrezionalmente valutata dall’Autorità prefettizia che procede, in base alle proprie esigenze istruttorie.
La garanzia partecipativa assume speciale rilievo e importanza nel procedimento in esame in relazione ad almeno tre circostanze:
   1) le valutazioni del Prefetto possono fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (ex art. 84, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011; si pensi ai cosiddetti delitti-spia), mentre altri elementi fattuali, cosiddetti “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’Autorità amministrativa, che può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali ovvero anche solo da elementi da cui risulti che l’attività di impresa «possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata» (Cons. Stato, sez. III, 30.01.2019, n. 758);
   2) tale ultima ipotesi di “condizionamento indiretto” dell’impresa da parte della mafia comprende un numero di casi davvero molto significativo e appare di difficile distinzione rispetto a quella dei casi di imprese che subiscono le pressioni mafiose, essendone le vittime;
   3) il Giudice amministrativo chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario posto a base della valutazione prefettizia, in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, possiede un sindacato giurisdizionale estrinseco sull'esercizio del potere prefettizio, la qual cosa comporta un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consentendo di sindacare l'esistenza o meno di questi fatti, ma non possiede un vero e proprio sindacato ab intrinseco che vada oltre l’apprezzamento della ragionevolezza e della proporzionalità della prognosi inferenziale che l'Autorità amministrativa trae da quei fatti (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. III, 05.09.2019, n. 6105; id. 30.01.2019, n. 758); ne discende che il contraddittorio tra il Prefetto e l’impresa nella fase procedimentale assume un’importanza davvero rilevante ai fini della tutela della posizione giuridica dell’impresa la quale potrebbe offrire al Prefetto prove e argomenti convincenti per ottenere un’informazione liberatoria, pur in presenza di elementi o indizi sfavorevoli, mentre è più difficile che il Giudice amministrativo sostituisca il proprio convincimento a quello dell’Autorità, una volta che quest’ultima abbia adottato l’interdittiva antimafia.
Il Tar ha infine ricordato che il diritto dell’Unione riconosce la sussistenza di un principio del contraddittorio di carattere endoprocedimentale, da far valere al di fuori del diritto di difesa nel processo giurisdizionale e da intendere nel senso che “ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione; il principio del contraddittorio endoprocedimentale è enunciato in maniera precisa, in quanto sono chiariti con sufficienza gli elementi che ne fanno parte e in maniera incondizionata, trattandosi di principio capace di autoaffermarsi nei rapporti del cittadino con l’Amministrazione; il principio del contraddittorio, quale espressione fondamentale di civiltà giuridica europea, appartiene, oltretutto, al catalogo dei principi generali del Diritto dell’Unione in base all’art. 6, par. 3 del Trattato sull’Unione Europea, a mente del quale “i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali” (TAR Puglia-Bari, Sez. III, ordinanza 13.01.2020 n. 28 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISecondo giurisprudenza consolidata, i presupposti necessari per l'emanazione di provvedimenti contingibili e urgenti sono costituiti, da un lato, dall’esistenza di una situazione di pericolo concreto e attuale che rende impossibilità differire l'intervento ad altro momento in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (da cui il carattere dell'urgenza); dall'altro, dall'impossibilità di fronteggiare la situazione di pericolo con gli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento giuridico (da cui la contingibilità).
Con specifico riferimento, poi, ai provvedimenti volti a prevenire/eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini, si è anche precisato che la circostanza che la situazione di pericolo sia protratta nel tempo non rende illegittima l'ordinanza dal momento che in determinate situazioni il trascorrere del tempo non elimina il pericolo, ma può, eventualmente, aggravarlo e che stante l'indispensabile celerità che caratterizza l'intervento, si può anche prescindere dalla verifica della responsabilità di un determinato evento dannoso provocato dal privato interessato, facendo comunque salva la necessità di individuare in un momento successivo il soggetto effettivamente responsabile della situazione abusiva.
E’, tuttavia, indispensabile che, pur a fronte della necessaria sommarietà degli accertamenti che ne precedono l'emissione, le ordinanze contingibili e urgenti siano adeguatamente motivate almeno in relazione alla concreta situazione di fatto che è necessario fronteggiare e alle ragioni di “urgenza” tali da non consentire il tempestivo utilizzo dei rimedi ordinari offerti dall'ordinamento, poiché solo la contestuale presenza dei presupposti sopra richiamati giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
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Con ordinanza contingibile e urgente indicata in epigrafe e adottata ai sensi degli artt. 50 e 54 del D.lgs. 267/2000, il Sindaco del Comune di San Gregorio di Catania ha ordinato alle signore D’An.Sa. e Ro.Ma. la realizzazione, in solido, dei lavori di messa in sicurezza del muro di confine tra le due proprietà, già interessato da crolli risalenti nel tempo, ed oggetto di una precedente ordinanza di messa in sicurezza (n. 2/2006), nonché di un contenzioso tra l’ente e la signora D’An. in sede civile presso il Tribunale di Catania (r.g. 12570/2015), nell’ambito del quale è stata emanata l’ordinanza del 27.11.2015 -mai eseguita- recante condanna del Sa.Gr. di Ca. “(…), di eseguire con urgenza –dandovi avvio entro e non oltre giorni trenta dalla notifica (a cura di parte) della presente ordinanza, e portandole a compimento nel rispetto dei tempi tecnici strettamente necessari– le opere di messa in sicurezza del muro di sostegno di cui in atti dettagliatamente elencate nel computo metrico estimativo allegato alla relazione di CTU in atti, a firma dell’ing. Sa.Ne., depositata in cancelleria addì 21.11.2015 (…)”.
Con il ricorso in esame la signora d’An. -dopo aver premesso alcuni fatti e circostanze concernenti la vicenda (realizzazione da parte della signora Ma. di un edificio, in parte abusivo, sul terreno confinante e di un muro di contenimento; acquisizione gratuita dell’immobile Ma. da parte dell’ente poi annullata con sentenza CGA n. 916/2019; ripetuti episodi di crolli del muro con conseguente intervento dei VV.FF)- ha chiesto l’annullamento, per quanto di interesse, dell’ordinanza contingibile e urgente per i seguenti motivi:
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Il ricorso è fondato sotto il profilo dell'insussistenza dei requisiti legittimanti l'esercizio del potere extra ordinem del Sindaco e in particolare per l'assenza di una concreta situazione di grave pericolo per l'incolumità pubblica.
Ed invero, secondo giurisprudenza consolidata (cfr., tra le tante: Corte Cost., 07.04.2011, n. 115 Cons. Stato, Sez. VI, 31.05.2013, n. 3007; Sez. V, 19.09.2012, n. 4968 e 20.02.2012, n. 904; Sez. VI, 09.02.2010, n. 642) i presupposti necessari per l'emanazione di provvedimenti contingibili e urgenti sono costituiti, da un lato, dall’esistenza di una situazione di pericolo concreto e attuale che rende impossibilità differire l'intervento ad altro momento in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (da cui il carattere dell'urgenza); dall'altro, dall'impossibilità di fronteggiare la situazione di pericolo con gli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento giuridico (da cui la contingibilità).
Con specifico riferimento, poi, ai provvedimenti volti a prevenire/eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini, si è anche precisato che la circostanza che la situazione di pericolo sia protratta nel tempo non rende illegittima l'ordinanza dal momento che in determinate situazioni il trascorrere del tempo non elimina il pericolo, ma può, eventualmente, aggravarlo (Cons. St., Sez. V, 25.05.2012, n. 3077; Id., 12.10.2010, n. 7411) e che stante l'indispensabile celerità che caratterizza l'intervento, si può anche prescindere dalla verifica della responsabilità di un determinato evento dannoso provocato dal privato interessato, facendo comunque salva la necessità di individuare in un momento successivo il soggetto effettivamente responsabile della situazione abusiva (Cons. Stato, Sez. V, 26.05.2015, n. 2610).
E’, tuttavia, indispensabile che, pur a fronte della necessaria sommarietà degli accertamenti che ne precedono l'emissione, le ordinanze contingibili e urgenti siano adeguatamente motivate almeno in relazione alla concreta situazione di fatto che è necessario fronteggiare e alle ragioni di “urgenza” tali da non consentire il tempestivo utilizzo dei rimedi ordinari offerti dall'ordinamento, poiché solo la contestuale presenza dei presupposti sopra richiamati giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
Alla stregua di tali principi l'ordinanza per cui è causa appare illegittima giacché:
   - in primo luogo è insussistente qualsiasi profilo di tutela della “pubblica incolumità”, posto che il provvedimento, al di là del mero generico richiamo alle disposizioni degli artt. 50 e 54 del D.lgs. 267/2000, non è correlata ad un evento straordinario, né all’aggravamento deterioramento della situazione già esistente sin dal 2006; anche sotto questo profilo l’impugnata ordinanza si limita a richiamare fatti pregressi, ma non rappresenta l’attuale situazione e grado di pericolo;
   -non appare nemmeno configurabile il requisito della contingibilità, tenuto conto che l'ordinanza gravata non reca alcuna motivazione in ordine all'impossibilità, per il Comune -nei limiti della propria competenza- di utilizzare gli ordinari strumenti in materia di vigilanza edilizia e uso del territorio;
   - essa si riconnette, per contro, ad esigenze prevedibili e permanenti ed è diretta a definire i problemi di staticità del muro di confine posto tra le proprietà Ma. e D’An., risalenti nel tempo e conosciuti dall’ente che –sebbene destinatario, sin dal 2015, di un preciso ordine di esecuzione dei lavori di messa in sicurezza da parte del giudice civile- ha preferito attendere l’esito del giudizio amministrativo, palesando l’assenza di un pericolo concreto e attuale per la pubblica incolumità che giustifichi l'uso di poteri eccezionali;
   - si tratta, di contro, di una situazione di pericolo ormai consolidata che -salvo eventuali situazioni di effettivo pericolo concreto ed attuale (che, invece, allo stato non sono adeguatamente rappresentate)- può trovare soluzione in mezzi ordinari forniti dall'ordinamento giuridico, anche mediante attivazione dei poteri di vigilanza sull’attività edilizia realizzata dalle parti, mentre eventuali emergenze tali da giustificare un intervento contingibile e urgente non possono prescindere dalla valutazione specifica del pericolo per la incolumità dei cittadini (e non solo dei soggetti occupanti gli immobili in questione).
Per le ragioni che precedono e assorbita ogni ulteriore questione, il ricorso è fondato e va accolto e, per l'effetto va annullata, per quanto di interesse, l’impugnata ordinanza, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione comunale (TAR Scilia-Catania, Sez. II, sentenza 10.01.2020 n. 42 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’atto endoprocedimentale non è, di regola, impugnabile se non unitamente all’atto che conclude il procedimento amministrativo.
Nel caso di specie, trattandosi di di un mero atto endoprocedimentale la natura provvedimentale è esclusa dall’assenza di idoneità ad incidere in modo definitivo sulla posizione soggettiva del ricorrente. E deve pure escludersi che esso ponga in essere un arresto procedimentale di qualunque genere.
Sul punto, è sufficiente richiamare i principi di recente affermati, in materia, dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in tema di procedimento amministrativo, il provvedimento finale a rilevanza esterna è impugnabile quale atto direttamente e immediatamente lesivo, mentre non sussiste l'interesse ad impugnare un atto privo di effetti immediati e diretti in quanto meramente endoprocedimentale”, ove in particolare si è precisato che “la regola secondo cui l'atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile -la lesione della sfera giuridica dell'interessato provenendo in tal caso solo dall'atto conclusivo del procedimento amministrativo- trova eccezione solo nei casi in cui dall'atto procedimentale consegua un effetto preclusivo del successivo sviluppo del procedimento e, quindi, solo in caso di:
   a) atti di natura vincolanti (pareri o proposte) idonei come tali ad esprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva;
   b) atti interlocutori, idonei ad arrecare un arresto procedimentale capace di frustrare l'aspirazione dell'istante ad un celere soddisfacimento dell'interesse pretensivo prospettato;
   c) atti soprassessori, i quali rinviano ad un evento futuro ed incerto nell'an e nel quando il predetto soddisfacimento e, quindi, determinano un arresto procedimentale a tempo indeterminato.
Ciò posto e considerato altresì che l'interesse ad impugnare va accertato con riferimento al concreto ed attuale pregiudizio che l'atto arreca all'interesse sostanziale dedotto in giudizio e non già con riguardo alla possibile futura incidenza dell'atto sulla sfera giuridica del ricorrente, si osserva che, nello specifico, è la stessa natura del provvedimento impugnato (…) ad escludere che l'atto in questione possa considerarsi espressivo di una volontà dell'amministrazione con efficacia immediatamente lesiva e depone, invece, nel senso di un atto meramente interinale, privo di effetti "diretti", che si inserisce nell'istruttoria senza peraltro condizionarne l'esito (…)”.
Tale indirizzo trova sostanziale rispondenza nell’orientamento del Consiglio di Stato, che, a partire dalla nota decisione dell’Adunanza plenaria n. 8 del 10.07.1986, ha delineato i contorni del c.d. “arresto procedimentale”, ponendo l’accento sull’effetto preclusivo derivante da un atto prodromico che, da un lato, frustra l’aspirazione alla realizzazione dell’interesse pretensivo provocando un’interruzione, virtualmente definitiva, del normale svolgimento del procedimento amministrativo, e, dall’altro, assumendo natura “esterna”, incide immediatamente sulla situazione giuridica del richiedente.
L’arresto procedimentale assume, quindi, una duplice valenza, che può ricondursi, volendo individuare un comune elemento caratterizzante, a una particolare efficacia, normalmente preclusiva, dell'atto prodromico rispetto alla propria funzione endoprocedimentale e agli effetti normalmente prodotti dal provvedimento conclusivo del procedimento.
Nel tempo la giurisprudenza amministrativa ha ulteriormente specificato che non è autonomamente impugnabile un atto prodromico che non possa essere considerato come un diniego esplicito, né come un provvedimento dotato di autonoma capacità lesiva, in quanto inidoneo, in ragione della sua natura meramente interlocutoria, a determinare un arresto procedimentale.
Deve, dunque, concludersi nel senso che l’atto endoprocedimentale non è, di regola, impugnabile se non unitamente all’atto che conclude il procedimento amministrativo.
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E' consolidato il principio per cui “Ai sensi degli artt. 14-bis, 14-ter e 14-quater, l. 07.08.1990, n. 241, l’atto conclusivo dei lavori della conferenza di servizi si concreta in un atto istruttorio endoprocedimentale a contenuto consultivo, perché l’atto conclusivo del procedimento è il provvedimento finale a rilevanza esterna con cui l’Amministrazione c.d. “procedente” decide a seguito di una valutazione complessiva, ed è contro di esso, in quanto atto direttamente e immediatamente lesivo, che deve dirigersi l’impugnazione, e ciò perché gli altri atti o hanno carattere meramente endoprocedimentale o non risultano impugnabili, se non unitamente al provvedimento conclusivo, in quanto non immediatamente lesivi”.
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Come noto, l’art. 7 l. 241/1990 esonera la P.A. procedente dalla comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 10-bis della medesima legge quando “sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”.
A ciò si aggiunga che, in ogni caso, l’art. 21-octies della norma sul procedimento amministrativo espressamente esclude l’annullabilità del provvedimento per omissione della comunicazione in esame “qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Tuttavia, quanto alla consistenza dell’onere probatorio posto a carico dell’Amministrazione, l’orientamento prevalente in giurisprudenza, dal quale questo Collegio non ha ragione di discostarsi, è quello per cui “onde evitare di gravare la P.A. di una probatio diabolica, quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento, risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi dell’omessa comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione, la P.A. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato. Ne consegue che, ove il ricorrente si limiti a dedurre la mancata comunicazione di avvio per contestare la legittimità del provvedimento adottato dall’Amministrazione, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre alla stessa, il motivo di cui si lamenta comunicazione deve ritenersi inammissibile”.
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Per consolidata giurisprudenza amministrativa, “l'annullamento d'ufficio che intervenga entro breve tempo dall'adozione del provvedimento annullabile, quando le situazioni giuridiche coinvolte non si siano consolidate, è soggetto a un obbligo di motivazione attenuato.
Si tratta di un provvedimento ad alto contenuto discrezionale, con il quale l'Amministrazione persegue la tutela dell'interesse pubblico nella sua dinamicità temporale, né tanto meno, in siffatta ipotesi, è richiesta la comparazione con l’interesse privato sacrificato, “posto che in presenza di tale circostanza l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto illegittimo può considerarsi in re ipsa”.
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Tutto ciò premesso, il Collegio ritiene il ricorso inammissibile per carenza di interesse e, in ogni caso, infondato nel merito.
Sul piano argomentativo e motivazionale, i motivi di gravame di cui al ricorso introduttivo sono suscettivi di trattazione unitaria, facendo tutti leva sul medesimo ordine di argomentazioni di massima.
In primo luogo, è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal Comune di Manfredonia.
Invero, come emerge dalla ricostruzione in fatto, la società En. S.p.A. impugnava il provvedimento di annullamento d’ufficio dalla Direzione Generale presso il M.I.B.A.C., reso nel corso della sessione conferenziale e giustificato dall’esigenza di acquisire puntuali integrazioni documentali in ordine alle opere in progetto indispensabili per il successivo sviluppo procedimentale, stante l’introduzione del nuovo P.P.T.R. della Regione Puglia.
Risulta evidente che di tale atto non è in alcun modo predicabile la natura provvedimentale o di arresto procedimentale idonea a radicare l’interesse all’impugnazione.
Essendo invero un mero atto endoprocedimentale, la natura provvedimentale, in particolare, è esclusa dall’assenza di idoneità ad incidere in modo definitivo sulla posizione soggettiva del ricorrente.
Deve pure escludersi che esso ponga in essere un arresto procedimentale di qualunque genere.
Sul punto, sarà sufficiente richiamare i principi di recente affermati, in materia, dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in tema di procedimento amministrativo, il provvedimento finale a rilevanza esterna è impugnabile quale atto direttamente e immediatamente lesivo, mentre non sussiste l'interesse ad impugnare un atto privo di effetti immediati e diretti in quanto meramente endoprocedimentale” (cfr. Cass., Sez. UU, Sentenza 19.04.2016, n. 7702), ove in particolare si è precisato che “la regola secondo cui l'atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile -la lesione della sfera giuridica dell'interessato provenendo in tal caso solo dall'atto conclusivo del procedimento amministrativo- trova eccezione solo nei casi in cui dall'atto procedimentale consegua un effetto preclusivo del successivo sviluppo del procedimento e, quindi, solo in caso di:
   a) atti di natura vincolanti (pareri o proposte) idonei come tali ad esprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva;
   b) atti interlocutori, idonei ad arrecare un arresto procedimentale capace di frustrare l'aspirazione dell'istante ad un celere soddisfacimento dell'interesse pretensivo prospettato;
   c) atti soprassessori, i quali rinviano ad un evento futuro ed incerto nell'an e nel quando il predetto soddisfacimento e, quindi, determinano un arresto procedimentale a tempo indeterminato (cfr. ex multis, Cons. Stato, 28.03.2012, n. 1829).
Ciò posto e considerato altresì che l'interesse ad impugnare va accertato con riferimento al concreto ed attuale pregiudizio che l'atto arreca all'interesse sostanziale dedotto in giudizio e non già con riguardo alla possibile futura incidenza dell'atto sulla sfera giuridica del ricorrente, si osserva che, nello specifico, è la stessa natura del provvedimento impugnato (…) ad escludere che l'atto in questione possa considerarsi espressivo di una volontà dell'amministrazione con efficacia immediatamente lesiva e depone, invece, nel senso di un atto meramente interinale, privo di effetti "diretti", che si inserisce nell'istruttoria senza peraltro condizionarne l'esito (…)
”.
Tale indirizzo trova sostanziale rispondenza nell’orientamento del Consiglio di Stato, che, a partire dalla nota decisione dell’Adunanza plenaria n. 8 del 10.07.1986, ha delineato i contorni del c.d. “arresto procedimentale”, ponendo l’accento sull’effetto preclusivo derivante da un atto prodromico che, da un lato, frustra l’aspirazione alla realizzazione dell’interesse pretensivo provocando un’interruzione, virtualmente definitiva, del normale svolgimento del procedimento amministrativo, e, dall’altro, assumendo natura “esterna”, incide immediatamente sulla situazione giuridica del richiedente.
L’arresto procedimentale assume, quindi, una duplice valenza, che può ricondursi, volendo individuare un comune elemento caratterizzante, a una particolare efficacia, normalmente preclusiva, dell'atto prodromico rispetto alla propria funzione endoprocedimentale e agli effetti normalmente prodotti dal provvedimento conclusivo del procedimento.
Nel tempo la giurisprudenza amministrativa ha ulteriormente specificato che non è autonomamente impugnabile un atto prodromico che non possa essere considerato come un diniego esplicito, né come un provvedimento dotato di autonoma capacità lesiva, in quanto inidoneo, in ragione della sua natura meramente interlocutoria, a determinare un arresto procedimentale (Cons. Stato, 27.05.2014, n. 2742; Cons. Stato, Sez. V, 03.05.2012, n. 2530).
Deve, dunque, concludersi nel senso che l’atto endoprocedimentale non è, di regola, impugnabile se non unitamente all’atto che conclude il procedimento amministrativo.
Come visto supra, le relative eccezioni sono costituite dagli atti di natura vincolata idonei a determinare in via inderogabile il contenuto dell’atto conclusivo del procedimento, ovvero dagli atti interlocutori che comportino un arresto procedimentale (Cons. Stato, 13.02.2017, n. 602): la natura eccezionale di tale impugnabilità consiglia una rigorosa interpretazione dell’atto amministrativo, pur sempre da svolgersi nell’ambito dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 1362 c.c. e s.s. (Cons. Stato, 09.10.2015, n. 4648; id., 27.11.2014, n. 5877).
Nel caso di specie, il Collegio ritiene che l’atto impugnato, stante il suo carattere evidentemente interlocutorio, non rechi in sé alcuna autonoma idoneità lesiva della posizione giuridica della ricorrente, in quanto non determina di per sé alcun autonomo effetto preclusivo del successivo sviluppo procedimentale, poiché reso nell’ambito della conferenza di servizi indetta dal M.I.S.E. ai fini del rilascio dell’Autorizzazione Unica, per la quale gli artt. 14-ter e s.s. della L. n. 241/1990 prevedono, come è noto, specifiche modalità di superamento del dissenso espresso dalle Amministrazioni coinvolte, ove tale dissenso si ritenga di dover superare.
In siffatto contesto, invero, è consolidato il principio per cui “Ai sensi degli artt. 14-bis, 14-ter e 14-quater, l. 07.08.1990, n. 241, l’atto conclusivo dei lavori della conferenza di servizi si concreta in un atto istruttorio endoprocedimentale a contenuto consultivo, perché l’atto conclusivo del procedimento è il provvedimento finale a rilevanza esterna con cui l’Amministrazione c.d. “procedente” decide a seguito di una valutazione complessiva, ed è contro di esso, in quanto atto direttamente e immediatamente lesivo, che deve dirigersi l’impugnazione, e ciò perché gli altri atti o hanno carattere meramente endoprocedimentale o non risultano impugnabili, se non unitamente al provvedimento conclusivo, in quanto non immediatamente lesivi” (cfr. TAR Torino, Piemonte, sez. I, 28.11.2018, n. 1314, TAR Lazio, Latina, sez. I, 06.06.2018, n. 312; Consiglio di Stato, sez. IV, 10.04.2014, n. 178).
Di conseguenza, ove pure, per ipotesi, la Soprintendenza dovesse esprimere -a seguito del prescritto approfondimento istruttorio- parere definitivamente sfavorevole alla realizzazione dell’impianto progettato dalla società En., ciò non sarebbe di per sé sufficiente a precludere la positiva conclusione della conferenza di servizi in corso.
Né, tanto meno, nella fattispecie de qua è dato riscontrare un “blocco procedimentale”, così come sostenuto da parte ricorrente, trattandosi di un semplice differimento del termine di conclusione del procedimento per ritenute esigenze di approfondimento istruttorio.
Ne deriva, dunque, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse all’azione, non vantando, la società in epigrafe, alcuna concreta possibilità di perseguire il bene della vita richiesto attraverso l’odierno giudizio, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto, a norma dell'art. 100 c.p.c..
Ad abundantiam il ricorso è da ritenersi, altresì, infondato nel merito.
Con primo motivo di doglianza, la società ricorrente censura l’illegittima omissione, ad opera dell’Amministrazione procedente, della formale comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 10-bis della legge n. 241/1990, la quale avrebbe precluso alla società attrice la possibilità di fornire il proprio contributo documentale a sostegno della compatibilità ambientale dell’impianto in questione.
Tale rilievo non è, tuttavia, suscettibile di positivo apprezzamento.
Come noto, infatti, l’art. 7 del disposto normativo richiamato esonera la P.A. procedente dalla comunicazione anzidetta quando “sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”, esigenze ravvisabili nel caso di specie, in cui il celere esercizio del potere di annullamento in autotutela ad opera della Direzione Generale presso il M.I.B.A.C., risulta giustificato dalla necessità di salvaguardare un interesse pubblico superiore, in virtù del potere di controllo sugli atti del proprio ufficio alla stessa attribuito dall’art. 17, comma 1, lettera d), del D.lgs. n. 165/2001.
A ciò si aggiunga che, in ogni caso, l’art. 21-octies della norma sul procedimento amministrativo espressamente esclude l’annullabilità del provvedimento per omissione della comunicazione in esame “qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Tuttavia, quanto alla consistenza dell’onere probatorio posto a carico dell’Amministrazione, l’orientamento prevalente in giurisprudenza, dal quale questo Collegio non ha ragione di discostarsi, è quello per cui “onde evitare di gravare la P.A. di una probatio diabolica, quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento, risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi dell’omessa comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione, la P.A. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato. Ne consegue che, ove il ricorrente si limiti a dedurre la mancata comunicazione di avvio per contestare la legittimità del provvedimento adottato dall’Amministrazione, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre alla stessa, il motivo di cui si lamenta comunicazione deve ritenersi inammissibile” (cfr. TAR Veneto, Venezia, Sez. III, 12.04.2018, n. 391).
Ne deriva, dunque, l’infondatezza di tale censura anche alla luce dell’omessa allegazione, da parte della società in epigrafe, dei presunti elementi che, qualora tempestivamente sottoposti al vaglio della P.A. procedente, avrebbero potuto determinare un differente esito dell’istruttoria.
Da ultimo, non coglie nel segno il profilo di asserita illegittimità dell’impugnato provvedimento di annullamento in autotutela per carenza dei presupposti di cui all’art. 21-nonies, posto che lo stesso risulta adeguatamente motivato in ordine al pubblico e prevalente interesse sotteso al disposto annullamento e che il legittimo affidamento del privato risulta adeguatamente tutelato mediante il celere esercizio di tale potere, il cui termine ragionevole è fissato dalla legge in diciotto mesi.
Invero, per consolidata giurisprudenza amministrativa, “l'annullamento d'ufficio che intervenga entro breve tempo dall'adozione del provvedimento annullabile, quando le situazioni giuridiche coinvolte non si siano consolidate, è soggetto a un obbligo di motivazione attenuato. Si tratta di un provvedimento ad alto contenuto discrezionale, con il quale l'Amministrazione persegue la tutela dell'interesse pubblico nella sua dinamicità temporale” (cfr. TAR Roma, Lazio, sez. III, 21/12/2018, n. 12485), né tanto meno, in siffatta ipotesi, è richiesta la comparazione con l’interesse privato sacrificato, “posto che in presenza di tale circostanza l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto illegittimo può considerarsi in re ipsa” (cfr. TAR Venezia, Veneto, sez. I, 07/01/2019, n. 22).
In conclusione, l’accoglimento dell’eccezione preliminare di rito supra esaminata è di per sé idoneo e sufficiente a supportare la declaratoria di inammissibilità del ricorso in epigrafe, di per sé comunque, altresì, infondato nel merito.
Quanto al resto, le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22.03.1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16.05.2012 n. 7663; sez. I, 27.12.2013 n. 28663).
Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 03.01.2020 n. 5 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVIIl Collegio intende dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale:
   - la nozione di controinteressato all'accesso è data dall'art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, per il quale sono ‘controinteressati’ ‘tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza’; il che avviene quando vi sia un soggetto titolare di un diritto alla riservatezza dei dati racchiusi nel documento;
   - l’Amministrazione deve valutare l'esistenza di controinteressati ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184, per il quale, “fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione”;
   - se, nel procedimento avviato dall'istanza di accesso ai documenti, l'Amministrazione individua un controinteressato, a quel soggetto dovrà essere notificato l'eventuale ricorso proposto dall'istante avverso il rifiuto all'accesso adottato dall'amministrazione (ovvero avverso il silenzio); per converso, nel caso in cui l'Amministrazione non abbia in sede procedimentale individuato alcun controinteressato, l'istante non sarà onerato a notificare il ricorso, a pena di sua inammissibilità, ad alcun controinteressato;
   - qualora l'amministrazione, in sede procedimentale, non ravvisi posizioni di controinteresse rispetto alla domanda di accesso e, dunque, l'istante non sia tenuto a notificare il ricorso ad altri oltre all'Amministrazione, il giudice adito deve valutare comunque, anche d'ufficio, l'esistenza di controinteressati e imporre la notifica del ricorso di primo grado ai fini dell’integrazione del contraddittorio;
   - dall'art. 3, comma 1, del d.P.R. 12.04.2006, n. 184 emerge che, in sede giurisdizionale, non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per l'accesso, per mancata notifica al controinteressato, quando l’Amministrazione, in sede procedimentale, non abbia consentito la partecipazione di altri soggetti suscettibili di essere pregiudicati dall'accoglimento dell’istanza di accesso, che acquisterebbero la qualifica di controinteressati nel caso di impugnazione del conseguente diniego: in tali ipotesi -ove ravvisi posizioni di controinteresse – il giudice adito è tenuto a imporre la notifica del ricorso di primo grado alla parte controinteressata, al fine di integrare il relativo contraddittorio processuale.
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In via generalizzata, la parte controinteressata viene individuata nel soggetto, individuato o facilmente individuabile sulla base del provvedimento impugnato, titolare di un interesse eguale e contrario a quello azionato dal ricorrente principale –e, quindi, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, messa in forse dal ricorso, fonte di una posizione qualificata meritevole di tutela conservativa- suscettibile di essere pregiudicato dall’eventuale emissione di una sentenza di accoglimento del ricorso.
Come osservato, con riferimento alla materia dell’accesso ai documenti amministrativi deve, in particolare, ritenersi ‘controinteressato’ colui che vedrebbe compromesso il proprio diritto alla riservatezza dall’ostensione del documento richiesto.
Trattasi di nozione ricavabile:
   - dall’art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, secondo cui i controinteressati devono individuarsi in tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;
   - dall’art. 5-bis D.Lgs. 14.03.2013, n. 33 che, in materia di accesso civico, prevede tra gli interessi qualificati, in funzione ostativa all’accesso, la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, nonché gli interessi economici e commerciali del singolo, suscettibili di essere pregiudicati dall’ostensione del documento oggetto di accesso;
   - dall’art. 53, comma 5, lett. a), D.Lgs. n. 50/2016 che, in materia di appalti pubblici, accorda tutela alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali.
A prescindere dai rapporti intercorrenti fra le esigenze di trasparenza amministrativa e di tutela giuridica degli istanti, sottese all’istanza di accesso, e le esigenze di tutela della riservatezza, poste a garanzia della posizione del controinteressato –variamente ricostruibili a seconda del regime giuridico di accesso concretamente rilevante– in ogni caso, deve riconoscersi una posizione di controinteresse in capo a colui che, in quanto titolare di dati personali ovvero di segreti commerciali o tecnici suscettibili di essere disvelati dall’ostensione del documento richiesto, dall’accoglimento dell’istanza di accesso subirebbe un pregiudizio nella propria sfera giuridica, sub specie di diritto alla riservatezza di dati racchiusi nel relativo documento.
Trattasi, pertanto, di posizione qualificata e differenziata, in quanto, da un lato, presa in considerazione dal legislatore nel regolare la materia dell’accesso ai documenti amministrativi, dall’altro, imputabile ad un soggetto direttamente inciso dall’azione amministrativa, titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva (diritto alla riservatezza) correlata allo specifico documento oggetto di accesso.
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1. In via pregiudiziale, attenendo alla corretta instaurazione del contraddittorio processuale -presupposto di validità del giudizio, necessario per poter esaminare il merito della controversia– occorre pronunciare sul capo di sentenza con cui il Tar, escludendo che il Ci. rivestisse la qualità di contoininteressato, ha (implicitamente) ritenuto ammissibile il ricorso di prime cure: trattasi di statuizione censurata sia dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca con il primo motivo di appello, sia dal Ci. con il primo motivo di opposizione di terzo, valevole altresì come atto di intervento ex art. 109, comma 2, c.p.a.
In subiecta materia, anche ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), del codice del processo amministrativo, il Collegio intende dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 04.0.2019, n. 6719), in forza del quale:
   - la nozione di controinteressato all'accesso è data dall'art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, per il quale sono ‘controinteressati’ ‘tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza’; il che avviene quando vi sia un soggetto titolare di un diritto alla riservatezza dei dati racchiusi nel documento;
   - l’Amministrazione deve valutare l'esistenza di controinteressati ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184, per il quale, “fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione”;
   - se, nel procedimento avviato dall'istanza di accesso ai documenti, l'Amministrazione individua un controinteressato, a quel soggetto dovrà essere notificato l'eventuale ricorso proposto dall'istante avverso il rifiuto all'accesso adottato dall'amministrazione (ovvero avverso il silenzio); per converso, nel caso in cui l'Amministrazione non abbia in sede procedimentale individuato alcun controinteressato, l'istante non sarà onerato a notificare il ricorso, a pena di sua inammissibilità, ad alcun controinteressato;
   - qualora l'amministrazione, in sede procedimentale, non ravvisi posizioni di controinteresse rispetto alla domanda di accesso e, dunque, l'istante non sia tenuto a notificare il ricorso ad altri oltre all'Amministrazione, il giudice adito deve valutare comunque, anche d'ufficio, l'esistenza di controinteressati e imporre la notifica del ricorso di primo grado ai fini dell’integrazione del contraddittorio;
   - dall'art. 3, comma 1, del d.P.R. 12.04.2006, n. 184 emerge che, in sede giurisdizionale, non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per l'accesso, per mancata notifica al controinteressato, quando l’Amministrazione, in sede procedimentale, non abbia consentito la partecipazione di altri soggetti suscettibili di essere pregiudicati dall'accoglimento dell’istanza di accesso, che acquisterebbero la qualifica di controinteressati nel caso di impugnazione del conseguente diniego: in tali ipotesi -ove ravvisi posizioni di controinteresse – il giudice adito è tenuto a imporre la notifica del ricorso di primo grado alla parte controinteressata, al fine di integrare il relativo contraddittorio processuale.
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, preliminarmente, occorre verificare se nella specie sia corretta la decisione del Tar di non ritenere il Ci. parte controinteressata nel presente giudizio; in caso di riscontrata erroneità della relativa statuizione, sarà necessario verificare se l’omessa evocazione in primo grado del Ci. abbia comportato l’inammissibilità del ricorso, come dedotto dal Miur e dal Ci., ovvero abbia determinato la violazione del contraddittorio processuale, fattispecie rilevante ai fini della rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a.
2. Con riferimento al primo profilo di indagine, il Collegio ritiene che il Ci. sia da considerare parte controinteressata in relazione al ricorso ex art. 116 c.p.a. proposto in prime cure.
In via generalizzata, la parte controinteressata viene individuata nel soggetto, individuato o facilmente individuabile sulla base del provvedimento impugnato, titolare di un interesse eguale e contrario a quello azionato dal ricorrente principale –e, quindi, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, messa in forse dal ricorso, fonte di una posizione qualificata meritevole di tutela conservativa- suscettibile di essere pregiudicato dall’eventuale emissione di una sentenza di accoglimento del ricorso (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 06.06.2019, n. 3911).
Come osservato, con riferimento alla materia dell’accesso ai documenti amministrativi deve, in particolare, ritenersi ‘controinteressato’ colui che vedrebbe compromesso il proprio diritto alla riservatezza dall’ostensione del documento richiesto.
Trattasi di nozione ricavabile:
   - dall’art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, secondo cui i controinteressati devono individuarsi in tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;
   - dall’art. 5-bis D.Lgs. 14.03.2013, n. 33 che, in materia di accesso civico, prevede tra gli interessi qualificati, in funzione ostativa all’accesso, la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, nonché gli interessi economici e commerciali del singolo, suscettibili di essere pregiudicati dall’ostensione del documento oggetto di accesso;
   - dall’art. 53, comma 5, lett. a), D.Lgs. n. 50/2016 che, in materia di appalti pubblici, accorda tutela alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali.
A prescindere dai rapporti intercorrenti fra le esigenze di trasparenza amministrativa e di tutela giuridica degli istanti, sottese all’istanza di accesso, e le esigenze di tutela della riservatezza, poste a garanzia della posizione del controinteressato –variamente ricostruibili a seconda del regime giuridico di accesso concretamente rilevante (nella specie, la parte appellata ha comunque fatto riferimento, in primo grado, sia all’accesso documentale ex art. 22 e ss. L. n. 241/1990, sia all’accesso civico ex art. 5 D.Lgs. 14.03.2013, n. 33)– in ogni caso, deve riconoscersi una posizione di controinteresse in capo a colui che, in quanto titolare di dati personali ovvero di segreti commerciali o tecnici suscettibili di essere disvelati dall’ostensione del documento richiesto, dall’accoglimento dell’istanza di accesso subirebbe un pregiudizio nella propria sfera giuridica, sub specie di diritto alla riservatezza di dati racchiusi nel relativo documento.
Trattasi, pertanto, di posizione qualificata e differenziata, in quanto, da un lato, presa in considerazione dal legislatore nel regolare la materia dell’accesso ai documenti amministrativi, dall’altro, imputabile ad un soggetto direttamente inciso dall’azione amministrativa, titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva (diritto alla riservatezza) correlata allo specifico documento oggetto di accesso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 02.01.2020 n. 30 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).