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55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
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105-SICUREZZA SUL LAVORO
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dossier TRIBUTI LOCALI
maggio 2023

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTI: Motivazione confusa, atto nullo. Anche l'avviso di accertamento deve essere ragionevole. Un'ordinanza della Corte di cassazione accoglie la tesi prospettata dal contribuente.
La motivazione dell'avviso di accertamento, come quella di ogni provvedimento amministrativo, è improntata alla salvaguardia dei principi di rango costituzionale di ragionevolezza, imparzialità e proporzionalità che governano l'agire amministrativo, commisurata alle esigenze di razionalità operativa e non arbitrarietà del potere discrezionale. Peraltro, nell'ottica del destinatario dell'atto la motivazione è finalizzata alla cognizione del processo decisionale dell'autorità al fine dell'eventuale opposizione in aderenza ai dettami costituzionali.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sez. V civile - ordinanza 17.05.2023 n. 13620, che ha accolto la tesi del contribuente che lamentava la motivazione contraddittoria degli avvisi emessi, disponendo che l'apparato motivazionale assume un aspetto rilevante anche per l'organo giurisdizionale poiché costituisce il principale, se non il solo elemento utilizzabile per il relativo vaglio.
Se è verosimile che l'atto rechi motivazioni concorrenti per delimitare la condotta del contribuente nella fase preliminare del procedimento di formazione della pretesa, il ricorso a molteplici profili motivazionali non deve comprimere l'esigenza del rispetto del vincolo funzionale a cui l'obbligo motivazionale è destinato. Gli ermellini richiamano altri precedenti conformi (Cass. 18767/2020, 6104/2020 e 22003/2014) che evidenziano come l'atto non possa recare un impianto motivazionale contraddittorio, poiché è precluso al contribuente di avere certezza degli elementi costituenti le ragioni della pretesa.
Siffatto vizio è configurabile anche quando sono esposte motivazioni concorrenti ma assolutamente discordanti tra di loro e, perciò, inidonee a rappresentare il fulcro della pretesa. Il fisco non può manifestare una motivazione incoerente con funzione di riserva, perché l'alternatività delle ragioni della pretesa, lasciando la parte pubblica arbitro di scegliere nel corso del contenzioso quella che più le convenga secondo le circostanze, espone la controparte ad una difesa difficile o talvolta impossibile.
I principi sopra affermati sono stati disattesi da giudici di merito avendo ritenuto gli atti opposti immuni dai censurati vizi, sebbene caratterizzati da scarsa rigorosità motivazionale. Orbene, il fatto che i rilievi erariali si fondavano su plurime ragioni, anche in apparenza contrastanti fra loro, non comportava la nullità degli atti, sia perché nessuna norma fa discendere la loro nullità da un vizio di contraddittoria motivazione, sia perché si trattava di scarsa rigorosità motivazionale più che di contraddittorietà della motivazione medesima.
Secondo la Corte, posto la scelta del fisco di affidare l'atto a plurime ragioni tra di loro eterogenee, i giudici di appello avrebbero dovuto verificare concretamente, se la comprensione dei fattori fondanti la pretesa era oggettivamente incerta con riguardo alla possibilità del contribuente di esercitare il diritto di difesa nella sua pienezza (articolo ItaliaOggi del 11.07.2023).

aprile 2023

TRIBUTIPaletti alla esenzione dell'Imu. Imposta dovuta anche se l'ente non profit non realizza utili. La Cassazione definisce i requisiti per usufruire del beneficio per attività non commerciali.
Un ente non profit è soggetto al pagamento dell'Imu sugli immobili utilizzati per attività didattica se richiede agli studenti una retta, anche se modesta. L'imposta è dovuta anche se non vengono realizzati degli utili dallo svolgimento dell'attività. L'esenzione Imu è compatibile con il divieto di aiuti di Stato, sancito dalla normativa unionale, solo nel caso in cui gli immobili siano destinati allo svolgimento di attività non economica, svolta a titolo gratuito o dietro il versamento di un corrispettivo meramente simbolico. Secondo la Corte di giustizia europea, infatti, è attività economica qualsiasi attività che consista nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato con prestazioni che vengono remunerate.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. V civile, con l'ordinanza 13.04.2023 n. 9942.
Per la Suprema corte, il giudice d'appello ha accertato lo svolgimento nell'immobile di un'attività di natura commerciale tenuto conto del pagamento da parte degli utenti di rette come corrispettivo del servizio ricevuto.
L'esenzione Imu “presuppone che l'attività didattica esercitata nell'immobile, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta in concreto con modalità commerciali, delle quali costituisce un indice rivelatore il pagamento di una retta scolastica da parte degli studenti, anche se modesta”.
Il mancato conseguimento di utili “non è indicativo della natura non commerciale dell'attività”. Del resto, l'agevolazione è compatibile con il divieto di aiuti di Stato solo se ha a oggetto “immobili destinati allo svolgimento di attività non economica” e “l'attività sia svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico”.
La disciplina dell'esenzione. L'articolo 1, comma 759, lettera g), della legge di bilancio 2020 (160/2019), che disciplina la nuova Imu, riconosce agli enti il diritto all'esenzione alle stesse condizioni fissate dalla vecchia normativa.
In effetti, il comma 759 dispone che sono esenti dall'imposta, per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili posseduti e utilizzati “dai soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30.12.1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali delle attività previste nella medesima lettera i)”.
Quest'ultima disposizione, richiamata nella pronuncia in esame, prevede che gli immobili sono esonerati dal pagamento dell'imposta municipale solo se vengono svolte le attività sanitarie, didattiche, ricreative, sportive, assistenziali, culturali e così via con modalità non commerciali.
Le attività didattiche, che sono quelle dirette all'istruzione e alla formazione, si ritengono effettuate con modalità non commerciali se le stesse sono paritarie rispetto a quella statale, la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni e viene applicata la contrattazione collettiva al personale docente e non docente.
L'agevolazione si applica anche nel caso in cui l'unità immobiliare abbia un'utilizzazione mista, ma solo sulla parte nella quale si svolge l'attività non commerciale, sempre che sia identificabile. La parte dell'immobile dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente deve essere iscritta in catasto, con attribuzione della relativa rendita.
Se non è possibile accatastarla autonomamente, il beneficio fiscale spetta in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile che deve risultare da apposita dichiarazione. Altro requisito essenziale per fruire dell'esenzione è il possesso qualificato da parte dell'ente non profit. Per l'esonero non è sufficiente il possesso di fatto. Altrimenti l'agevolazione si estenderebbe al soggetto titolare. L'uso indiretto da parte dell'ente che non ne sia possessore non consente al proprietario di fruire dell'esenzione.
La Corte costituzionale (ordinanze 429/2006 e 19/2007) ha chiarito che per fruire dell'esenzione l'ente non commerciale deve non solo utilizzare, ma anche possedere direttamente l'immobile. È richiesta una duplice condizione: l'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e l'esclusiva loro destinazione a attività peculiari che non siano produttive di reddito.
Sempre la Cassazione, con la sentenza 27242/2022, ha affermato che non può essere riconosciuta l'esenzione a un ente non commerciale se l'immobile non viene effettivamente utilizzato. Se il complesso immobiliare per cui viene preteso il diritto a fruire del beneficio fiscale ha formato oggetto di trattative per la sua cessione o di contratti preliminari di vendita, questo dimostra il venir meno della sua funzione strumentale. Il regime di favore può essere riconosciuto solo per il periodo dell'anno durante il quale sussiste la destinazione dell'immobile per l'esercizio delle attività elencate dalla norma di legge.
L'estensione dell'agevolazione. Va ricordato che dal 2020 ai comuni è concessa la facoltà di ampliare i confini dell'esenzione per gli immobili che hanno questa destinazione. L'amministrazione locale può esentare gli immobili dati in comodato gratuito al comune, a altro ente territoriale (provincia, regione) o a un ente non commerciale, purché lo utilizzino esclusivamente per scopi istituzionali o statutari. È una scelta regolamentare contemplata dall'articolo 1, comma 777, della manovra di bilancio 2020 (legge 160/2019) che disciplina la nuova Imu.
In passato anche l'Ifel, l'Istituto di finanza locale dell'Anci, ha predisposto uno schema di regolamento Imu, che contempla questa facoltà. In particolare, è previsto che le amministrazioni comunali possono esentare dal pagamento i fabbricati dati in comodato gratuito, registrato, a enti non commerciali e utilizzati esclusivamente per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività che possono fruire dell'agevolazione.
In realtà, la norma di legge non impone l'obbligo di registrazione del contratto, né alcun obbligo di comunicazione, ma per evitare elusioni della norma o evasioni del tributo sarebbe opportuno richiedere questi adempimenti. Di questa opzione, per esempio, si è avvalso il comune di Milano, che ha apportato modifiche al proprio regolamento Imu, con un ampliamento dell'esenzione oltre i limiti segnati dalla norma di legge, che esclude dal beneficio fiscale gli immobili dati in comodato gratuito
(articolo ItaliaOggi Sette del 08.05.2023).

marzo 2023

TRIBUTI: Imu, pertinenze da dichiarare. Esonero connesso alla comunicazione sull'area edificabile. L'intervento della Cassazione sugli adempimenti previsti per la non imponibilità dei terreni
Per l'esonero dal pagamento dell'Imu delle aree edificabili pertinenziali deve essere presentata la dichiarazione da parte del titolare. Le aree non devono essere assoggettate all'imposta municipale se costituiscono di fatto pertinenze dei fabbricati. Ma per avere diritto all'agevolazione l'interessato deve presentare la dichiarazione, informando il comune sull'utilizzo dell'immobile come pertinenza.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. V civile, con la sentenza 02.03.2023 n. 6281.
Per i giudici di piazza Cavour, il vincolo di pertinenzialità è collegato a una precisa scelta del contribuente “che deve essere necessariamente esplicitata per assumere rilievo”. Va denunciata la “destinazione durevole di un bene a servizio di un altro”, da parte del proprietario dell'immobile o di chi abbia un diritto reale sul bene.
Pertanto, ai fini dell'esclusione dell'autonoma imponibilità dell'area, in quanto pertinenziale, “è necessaria la specifica dichiarazione, da parte del contribuente, di tale qualifica”.
Dichiarazione ed esonero. Spetta al contribuente dimostrare che un'area edificabile non deve essere assoggettata all'imposta municipale perché costituisce pertinenza di un fabbricato. Non conta il dato catastale e il mancato accorpamento al bene principale. Quello che assume rilevanza è l'effettiva destinazione dell'area pertinenziale. Il contribuente è tenuto a provare di trarre un beneficio dal suo uso, dimostrando anche che la scelta non sia finalizzata a eludere il pagamento del tributo.
Per avere diritto all'agevolazione, poi, l'interessato deve presentare la dichiarazione, informando il comune sull'utilizzo dell'immobile come pertinenza. Inoltre, non deve essere possibile una destinazione diversa senza una radicale trasformazione del bene pertinenziale. Naturalmente, la prova dell'asservimento grava sul contribuente. Per la Suprema corte, il contribuente che non abbia evidenziato nella dichiarazione l'esistenza di una pertinenza non ha alcun titolo per impugnare l'avviso di accertamento con cui l'area viene assoggettata a imposizione.
Questa interpretazione degli Ermellini sulla destinazione delle aree pertinenziali e sul diritto dell'interessato a ottenere l'esonero dal pagamento del tributo non può trovare più applicazione a partire dal 2020. Con la nuova Imu, infatti, sono cambiate le regole sulle aree pertinenziali. Queste aree sono soggette al pagamento se non hanno una specifica qualificazione ai fini urbanistici e se non sono accorpate catastalmente al fabbricato. L'articolo 1, comma 741, lettera a), della legge 160/2019 ha apportato delle modifiche alla disciplina delle aree edificabili che sono al servizio di un fabbricato.
Le nuove regole. Dal 2020 non è più applicabile il principio affermato dalla Cassazione, che ha riconosciuto la non imponibilità delle aree anche se non sono accorpate in catasto al fabbricato. In base alle nuove disposizioni, per fabbricato s'intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita catastale, considerandosi parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza ai fini urbanistici, a condizione che venga accatastata unitariamente.
Quindi, fino al 2019 occorre fare riferimento a quanto sostenuto dai giudici di legittimità in ordine all'intassabilità, a certe condizioni, delle aree non accatastate unitariamente ai fabbricati. In generale, per le pertinenze va fatto riferimento alla definizione fornita dall'articolo 817 del codice civile, secondo cui sono da considerare pertinenze le cose destinate in modo durevole al servizio o all'ornamento di un'altra cosa. Per il vincolo pertinenziale serve sia la durevole destinazione della cosa accessoria a servizio o ornamento di quella principale, sia la volontà dell'avente diritto di creare la destinazione.
Al riguardo, l'accatastamento separato dei due immobili non era d'impedimento alla non imponibilità dell'area come pertinenza del fabbricato. In particolare, con la sentenza 8367/2016 non ha ritenuto che fosse necessario l'accatastamento unitario tra area e fabbricato, purché tra i due immobili vi fosse un vincolo d'asservimento durevole e funzionale. E la prova dell'oggettivo asservimento pertinenziale gravava sul contribuente. Altrimenti, la scelta pertinenziale avrebbe avuto l'unica funzione di eludere il prelievo, per ottenere un risparmio fiscale, e avrebbe dato luogo a un abuso del diritto. La Cassazione ha più volte ribadito che quando si tratta di pertinenza di un fabbricato non contano le risultanze catastali, ma la destinazione di fatto.
Un'area pertinenziale e una costruzione, dunque, potevano essere censite catastalmente in modo distinto, al fine di poter essere assoggettate a tassazione come un unico bene. Con la nuova norma sopra citata è invece richiesto, per fruire del vantaggio fiscale, che fabbricato e area siano accorpate catastalmente. Per escludere il pagamento conta la qualificazione urbanistica dell'area e la sua graffatura catastale con il fabbricato. Se non sussistono i requisiti contenuti nella legge di bilancio 2020, il contribuente è tenuto a pagare il tributo.
Va ricordato, infine, che per area fabbricabile s'intende quella utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi oppure in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti delle indennità di espropriazione per pubblica utilità. Un'area è edificabile quando è inserita nel piano regolatore generale ed è soggetta all'Imu indipendentemente dalla successiva lottizzazione del suolo.
È il comune, su richiesta del contribuente, che attesta se un'area sita sul proprio territorio sia edificabile. Se lo strumento urbanistico è approvato dal consiglio comunale, l'ente può dal momento dell'approvazione richiedere il pagamento del tributo. Per il pagamento conta, però, non solo l'edificabilità di diritto, ma anche quella di fatto. Un'area va qualificata edificabile ed è soggetta al tributo anche se non è inserita nel piano regolatore generale o se lo strumento urbanistico viene annullato dal giudice amministrativo.
Per la Suprema corte (ordinanza 30372/2021) la vocazione edificatoria di un terreno, pur non essendo urbanisticamente qualificato, può essere desunta da vari fattori, tra i quali la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio delle zone adiacenti, l'esistenza di servizi pubblici essenziali, la presenza di opere di urbanizzazione primaria
(articolo ItaliaOggi Sette del 01.05.2023).
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Le definizioni
Qualificazione giuridica area edificabile
Per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità
Nuova nozione di fabbricato e pertinenza
Per fabbricato s’intende l’unità immobiliare iscritta nel catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita catastale.
Si considera parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza esclusivamente ai fini urbanistici, purché accatastata unitariamente

gennaio 2022

INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE - TRIBUTIIrap negli incentivi per Imu e Tari.
La Corte dei conti Lombardia, nel parere 13.01.2022 n. 3, ha confermato quanto ormai consolidato in materia di incentivi per le maggiori riscossioni delle entrate, ovvero che «
gli accantonamenti per la copertura e il pagamento degli incentivi derivanti dal maggior gettito accertato e riscosso relativo all'Imu e alla Tari previsto dall'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018 e degli incentivi previsti dall'articolo 113 del Dlgs 50/2016 da destinare al personale interessato allo svolgimento delle funzioni tecniche devono essere determinati al lordo di tutti gli oneri accessori connessi alle erogazioni, ivi comprese le somme che gravano sull'ente a titolo di Irap» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 10.02.2022).

INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE - TRIBUTIAccantonamento degli incentivi al personale al lordo degli oneri accessori dell'erogazione.
Gli accantonamenti per la copertura e il pagamento degli incentivi derivanti dal maggior gettito accertato e riscosso relativo all'Imu e alla Tari (art. 1, comma 1091, della legge 145/2018) e degli incentivi stabiliti all'art. 113 del Dlgs 50/2016 da destinare al personale interessato allo svolgimento delle funzioni tecniche devono essere determinati al lordo di tutti gli oneri accessori connessi alle erogazioni, comprese le somme che gravano sull'ente a titolo di Irap che non possono non riflettersi sulle disponibilità delle risorse effettivamente ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, riducendo "a monte" la quota da attribuire a costoro, la quale andrà calcolata al netto di tali somme.

Questo è il
parere 13.01.2022 n. 3 espresso dalla Corte dei conti, Sezione Regionale per la Lombardia.
In sostanza, per i magistrati contabili le somme indicate per fronteggiare in materia di pubblico impiego gli oneri di spesa, inclusi i fondi di produttività e per i miglioramenti economici, costituiscono le disponibilità complessive massime e, pertanto, non superabili. Del resto, le stesse Sezioni Riunite avevano già sottolineato che «l'incremento della retribuzione accessoria spettante, a qualsiasi titolo, determina anche l'espansione dell'imposta che deve, comunque, trovare copertura nell'ambito delle risorse quantificate e disponibili, in linea con l'obiettivo del contenimento di ogni effetto di incremento degli oneri di personale gravanti sui bilanci degli enti pubblici» (
deliberazione 30.06.2010 n. 33).
La Sezione osserva, infine, che anche la ordinanza 07.10.2021 n. 27315 della Corte di Cassazione, Sez. lavoro, ha confermato l'orientamento della
deliberazione 30.06.2010 n. 33 delle Sezioni riunite, per concludere che «se l'amministrazione è tenuta ad erogare il compenso senza trattenere la quota dell'IRAP è nondimeno obbligata al rispetto della disciplina sulla copertura dei fondi imposta dall'articolo 81, comma 4 cost., con la conseguenza che è tenuta a quantificare le somme che gravano sull'ente a titolo di IRAP rendendole indisponibili e successivamente ripartire l'incentivo, corrispondendo ai dipendenti lo stesso al netto degli oneri».
In conclusione il collegio ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi dalla giurisprudenza sopra richiamata.
Per quanto concerne gli incentivi da maggior gettito Imu e Tasi, a tale conclusione si perviene sulla base di una mera interpretazione letterale dell'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018 che prevede testualmente che i compensi che gli enti locali ripartiscono a titolo di incentivo devono intendersi «al lordo di tutti gli oneri accessori alle erogazioni, ivi compresa la quota IRAP».
Quanto agli incentivi di cui all'articolo 113, comma 3, del Dlgs 50/2016, il collegio osserva che la disposizione del nuovo codice è sostanzialmente sovrapponibile alle previsioni già contenute nell'articolo 92, comma 5, del Dlgs 163/2006 che sono state oggetto di approfondita analisi nel corso della citata
deliberazione 30.06.2010 n. 33 delle Sezioni riunite cui rinvia.
Di conseguenza, alla luce dei criteri ermeneutici affermati univocamente dalla giurisprudenza citata, la Sezione ribadisce che anche in tali fattispecie la copertura degli oneri riflessi e degli oneri fiscali gravanti sull'ente locale (tra cui l'Irap) non può non riflettersi sulle disponibilità delle risorse effettivamente ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, riducendo "a monte" la quota da attribuire a costoro, la quale andrà calcolata al netto di tali somme (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 08.02.2022).

INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE - TRIBUTIIncentivi tributari e per funzioni tecniche.
Gli accantonamenti per la copertura e il pagamento degli incentivi derivanti dal maggior gettito accertato e riscosso relativo all'Imu e alla Tari (art. 1, comma 1091, della legge 145/2018) e degli incentivi di previsti dall'art. 113 del Dlgs 50/2016 da destinare al personale interessato allo svolgimento delle funzioni tecniche devono essere determinati al lordo di tutti gli oneri accessori connessi alle erogazioni, ivi comprese le somme che gravano sull'ente a titolo di Irap.

Per quanto concerne gli incentivi da maggior gettito Imu e Tasi, a questa conclusione si perviene sulla base di una mera interpretazione letterale dell'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018 che prevede testualmente che i compensi che gli enti locali ripartiscono a titolo di incentivo devono intendersi «al lordo di tutti gli oneri accessori alle erogazioni, ivi compresa la quota Irap».
Quanto agli incentivi previsti dall'articolo 113, comma 3, del Dlgs 50/2016, invece, la disposizione del nuovo Codice è sostanzialmente sovrapponibile alle previsioni già contenute nell'articolo 92, comma 5, del Dlgs 163/2006 (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 13.01.2022 n. 3 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 04.02.2022).
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PARERE
Il Sindaco del comune di Bagnatica (BG), “VISTA la
deliberazione 30.06.2010 n. 33 della Corte dei Conti Sez. Riunite, i cui principi di necessaria copertura della spesa pubblica, sono ad oggi ancora espressamente richiamati nella recente giurisprudenza di legittimità in materia di lavoro (cfr. ad es. Corte di Cassazione Civile, Sez. Lavoro, ordinanza 07.10.2021 n. 27315”, chiede di “sapere come vada correttamente inteso, alla luce delle disposizioni di legge sopra richiamate, il principio di “necessaria copertura della spesa pubblica” richiamato in tali sentenze e quale debba dunque essere il corretto comportamento dell’ente nel momento in cui accantona nel proprio bilancio i fondi per gli incentivi sopra richiamati provvedendo poi di seguito alla liquidazione a favore del dipendente”.
In special modo, la richiesta è tesa a “sapere esattamente se l’accantonamento, calcolato matematicamente a norma di legge (ad esempio il 2% massimo della base d’asta secondo l’art. 113 del D.lgs.. 50/2016 o il fondo calcolato secondo l’art. 1, comma 1091, della legge, tenendo conto anche delle percentuali di cui alla propria disciplina regolamentare):
   - debba già prevedere, comprendendola dunque al suo interno, la copertura per gli oneri riflessi e per l’IRAP;
o se, diversamente
   - debba essere considerato quale somma “netta” (che va al dipendente quale trattamento accessorio) ed alla quale si dovranno dunque aggiungere gli impegni ulteriori di spesa nel bilancio per l’ente per gli oneri riflessi ed IRAP. In tal caso tutta la somma accantonata per legge andrebbe al dipendente dovendo l’ente sostenere oneri ulteriori ed aggiuntivi appunto per gli oneri riflessi e per l’IRAP
”.
...
Ai fini del corretto inquadramento del quesito occorre esaminare preliminarmente le norme di riferimento.
L’art. 1, c. 1091, l. n. 145/2018 testualmente dispone che “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, i comuni (….) possono, con proprio regolamento, prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017, n. 75. La quota destinata al trattamento economico accessorio, al lordo degli oneri riflessi e dell'IRAP a carico dell'amministrazione, è attribuita, mediante contrattazione integrativa, al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate”.
L’articolo 113 del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), rubricato “incentivi per funzioni tecniche” al secondo comma prevede l’accantonamento in un apposito fondo di risorse finanziarie in misura non superiore al 2 per cento, modulate sull'importo dei lavori, servizi e forniture posti a base di gara per riconoscere uno specifico compenso per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti esclusivamente per determinate attività (“programmazione della spesa per investimenti, valutazione preventiva dei progetti, predisposizione e controllo delle procedure di gara ed esecuzione dei contratti pubblici, RUP, direzione dei lavori ovvero direzione dell'esecuzione e collaudo tecnico amministrativo ovvero verifica di conformità, collaudatore statico ove necessario per consentire l'esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti”).
Il successivo terzo comma prevede che una quota, pari all'80 per cento, delle risorse del fondo costituito ai sensi del comma 2 possa essere ripartita, “per ciascuna opera o lavoro, servizio, fornitura con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di apposito regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti, tra il responsabile unico del procedimento e i soggetti che svolgono le funzioni tecniche indicate al comma 2 nonché tra i loro collaboratori. Gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione.”
In tale contesto normativo, il comune istante chiede di sapere se gli accantonamenti previsti da tali disposizioni debbano comprendere la copertura per gli oneri riflessi e per l’IRAP, e se a tali fattispecie debbano applicarsi i principi espressi dalle Sezioni riunite di questa Corte con
deliberazione 30.06.2010 n. 33 che si è pronunciata su tale questione in relazione agli incentivi al personale dipendente per l’assolvimento di funzioni tecniche (allora disciplinati dall’art. 92 del d.lgs. n. 163/2006) e ai compensi professionali degli avvocati “interni” alle pubbliche amministrazioni, come regolati dall’art. 1, comma 208, della legge 23.12.2005, n. 266.
Al principio di diritto espresso dal Supremo Consesso della Magistratura contabile si è conformata la giurisprudenza delle Sezioni regionali di controllo che si è pronunciata sulla materia degli incentivi per la progettazione tecnica e su fattispecie analoghe come i diritti di rogito dei segretari comunale e gli onorari degli avvocati (cfr., per questa Sezione, le deliberazioni n. 73/PAR/2012, n 469/2015/PAR, 40/2018/PAR, n. 267/2018/PAR e n. 407/2019/PAR. Vedi anche le deliberazioni n. 38/2014/PAR della Sezione regionale per la Liguria; n. 16/2012/PAR della Sezione regionale per il Piemonte; n. 146/2013/PAR della Sezione regionale per la Toscana; n. 25/2014/PAR e n. 148/2019/PAR della Sezione regionale per l’Umbria e n. 400/2018/PAR della Sezione regionale per il Veneto).
Le Sezioni regionali hanno in più occasioni sottolineato che “Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Riunite permette di enucleare due punti fermi, a livello interpretativo, a cui debbono conformarsi i pronunciamenti delle Sezioni regionali di controllo” (v. parere 18.12.2015 n. 469 di questa Sezione).
Da una parte, infatti, è indubbio che il presupposto dell’IRAP indicato dall'art. 2 del D.lgs. n. 446 del 1997, e successive modifiche, è “costituito dall'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”. (ibidem). Dall’altra, è indiscutibile che le somme destinate al pagamento dell’IRAP devono trovare preventiva copertura finanziaria in sede di costituzione dei fondi destinati a compensare l’attività incentivante, anche in aderenza alla necessità di garantire adeguata copertura ad una qualunque spesa gravante sulle amministrazioni pubbliche e di rispettare il principio del pareggio di bilancio posto dall’art. 81 della Costituzione. In sostanza, come chiaramente affermato nella deliberazione appena richiamata: “le somme indicate per fronteggiare in materia di pubblico impiego gli oneri di spesa, ivi inclusi i fondi di produttività e per i miglioramenti economici, costituiscono le disponibilità complessive massime e, pertanto, non superabili”.
Del resto, le stesse Sezioni Riunite avevano già sottolineato che “l’incremento della retribuzione accessoria spettante, a qualsiasi titolo, determina anche l’espansione dell’imposta che deve, comunque, trovare copertura nell’ambito delle risorse quantificate e disponibili, in linea con l’obiettivo del contenimento di ogni effetto di incremento degli oneri di personale gravanti sui bilanci degli enti pubblici” (v.
deliberazione 30.06.2010 n. 33).
Questo Collegio osserva, infine, che anche la ordinanza 07.10.2021 n. 27315 della Corte di Cassazione, richiamata dal Comune, ha confermato l’orientamento della
deliberazione 30.06.2010 n. 33 delle SSRR, di cui riporta ampi estratti per concludere che “se l’amministrazione è tenuta ad erogare il compenso senza trattenere la quota dell’IRAP è nondimeno obbligata al rispetto della disciplina sulla copertura dei fondi imposta dall’articolo 81, comma 4 cost., con la conseguenza che è tenuta a quantificare le somme che gravano sull’ente a titolo di IRAP rendendole indisponibili e successivamente e ripartire l’incentivo corrispondendo ai dipendenti lo stesso al netto degli oneri”.
Tornando alle fattispecie oggetto della richiesta di parere del Comune di Bagnatica, il Collegio ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi dalla giurisprudenza sopra richiamata.
Per quanto concerne gli incentivi da maggior gettito IMU e TASI, a tale conclusione si perviene sulla base di una mera interpretazione letterale dell’articolo 1, c. 1091, della legge n. 145/2018 che prevede testualmente che i compensi che gli enti locali ripartiscono a titolo di incentivo devono intendersi “al lordo di tutti gli oneri accessori alle erogazioni, ivi compresa la quota IRAP”.
Quanto agli incentivi di cui all’articolo 113, c. 3, del d.lgs. n. 50/2016, il Collegio osserva che la disposizione del nuovo Codice è sostanzialmente sovrapponibile alle previsioni già contenute nell’art. 92, c. 5, del d.lgs. n. 163/2006 che sono state oggetto di approfondita analisi nel corso della più volte citata
deliberazione 30.06.2010 n. 33 delle Sezioni riunite cui si rinvia.
Tutto ciò premesso, alla luce dei criteri ermeneutici affermati univocamente dalla giurisprudenza citata, il Collegio ribadisce che anche in tali fattispecie la copertura degli oneri riflessi e degli oneri fiscali gravanti sull’ente locale (tra cui l’Irap) non può non riflettersi sulle disponibilità delle risorse effettivamente ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, riducendo “a monte” la quota da attribuire a costoro, la quale andrà calcolata al netto di tali somme.
P.Q.M.
la Sezione regionale di controllo, in riscontro all’istanza di parere formulata dal Comune di Bagnatica (BG), si pronuncia come segue: “
gli accantonamenti per la copertura e il pagamento degli incentivi derivanti dal maggior gettito accertato e riscosso relativo all’IMU e alla TARI ex art. 1, c. 1091, della legge n. 145/2018 e degli incentivi di cui all’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016 da destinare al personale interessato allo svolgimento delle funzioni tecniche devono essere determinati al lordo di tutti gli oneri accessori connessi alle erogazioni, ivi comprese le somme che gravano sull’ente a titolo di Irap” (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 13.01.2022 n. 3).

dicembre 2021

TRIBUTIVia libera agli incentivi Imu-Tari dalla Sezione Autonomie della Corte dei conti
La Sezione Autonomie della Corte dei conti con la deliberazione 10.12.2021 n. 19 ha posto fine alla discussione in merito alla possibilità di riconoscere ai dipendenti addetti al recupero dell'evasione tributaria Imu-Tari l'incentivo introdotto dal comma 1091 dell'articolo 1 della legge 145/2018, anche nel caso di approvazione del bilancio di previsione entro il termine eventualmente differito rispetto a quello del 31 dicembre dell'anno precedente ordinariamente previsto.
Come è noto, il comma 1091 dell'articolo 1 della legge 145/2018 ha reintrodotto, dopo alcuni anni di assenza, la possibilità per i Comuni di destinare una quota delle somme introitate dal recupero dell'evasione Imu e Tari al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente. Tuttavia, questa facoltà, che i Comuni devono esercitare approvando un'apposita norma regolamentare, è subordinata al rispetto dei termini stabiliti dal Dlgs 267/2000 per l'approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto della gestione.
Il generico riferimento contenuto nella norma ai «termini stabiliti dal Dlgs 267/2000» ha fatto sorgere il dubbio se, nel caso del bilancio di previsione, intenda riferirsi alla data del 31 dicembre dell'anno precedente, stabilita dall'articolo 151, comma 1, prima parte, del Dlgs 267/2000, ovvero anche alla data eventualmente differita con apposito Dm, come previsto dall'ultima parte del comma 1 dell'articolo 151 citato. La norma appena richiamata ha stabilito infatti che l'ordinario termine del 31 dicembre possa essere spostato con apposito decreto ministeriale.
Diverse sezioni regionali delle Corte dei conti, quali quelle dell'Emilia Romagna, della Lombardia, della Toscana, dell'Abruzzo e del Piemonte, hanno intrepretato in modo rigoroso la norma, ritenendo che il mancato rispetto del termine del 31 dicembre impedisse all'ente di dare accesso all'incentivo ai propri dipendenti impiegati nell'attività di recupero dell'evasione (che comprende anche lo svolgimento delle attività connesse alla partecipazione del Comune all'accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti, in applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge 203/2005, convertito, con modificazioni, dalla legge 248/2005).
In particolare, la Corte dell'Abruzzo (parere 09.06.2020 n. 120), quella del Piemonte (parere 07.06.2021 n. 92) e quella della Lombardia (parere 06.11.2019 n. 412) hanno evidenziato che, in caso di mancata approvazione del bilancio entro il termine del 31 dicembre ma comunque entro il termine differito da Dm o dalla legge, l'ente si trova a operare in esercizio provvisorio, la cui stringente disciplina limiterebbe anche la previsione e l'erogazione delle risorse incentivanti in favore dei dipendenti.
Inoltre, per la Corte della Lombardia, una diversa interpretazione frusterebbe lo spirito della disposizione, finalizzata alla corretta gestione delle risorse pubbliche e in particolare di quelle relative alla spesa per il personale – precludendo l'erogazione dell'incentivo solo a quei Comuni che, non avendo approvato il bilancio neppure entro il termine prorogato, sarebbero incorsi nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del Consiglio comunale. Con riferimento invece al mancato rispetto del termine di approvazione del rendiconto, la Corte dei conti della Lombardia (parere 10.09.2020 n. 113) aveva ammesso il riconoscimento dell'incentivo nel caso di rispetto del termine prorogato dalla legge (come è avvenuto nel 2020 per effetto delle norme del Dl 18/2020).
La Corte dei conti della Liguria, invece, ha proposto una diversa interpretazione della norma, evidenziando come, in caso di mancata approvazione del bilancio di previsione entro il 31 dicembre, l'applicazione dell'esercizio provvisorio incide solamente sulla gestione finanziaria dell'ente e ha carattere transitorio, venendo meno con l'approvazione del bilancio. Invece, ha osservato la Corte, come previsto dall'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018, la destinazione del maggior gettito al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici preposti alla gestione delle entrate o al riconoscimento di trattamento accessorio avviene sulla base dei dati risultanti dal conto consuntivo relativo all'esercizio precedente (e, quindi, necessariamente, in un momento successivo alla chiusura finanziaria della gestione e rispetto all'approvazione del relativo rendiconto, consentendo di poter valutare se gli obiettivi di incremento di accertamenti e riscossioni di Imu e Tari siano stati effettivamente raggiunti).
La Corte della Liguria ha argomentato come siano altri gli elementi che rilevano ai fini della corretta applicazione della norma del comma 1091, quali la quantificazione del gettito destinabile all'incentivo (incassato e non solo accertato), il rispetto degli equilibri di bilancio e dei vincoli di finanza pubblica, la corretta predeterminazione degli obiettivi, da rilevare nel peg-piano della performance e della loro liquidazione sulla base di entrate certe, rilevabili appunto dal rendiconto. Peraltro, e questo è forse l'aspetto più importante, la Corte remittente ha sottolineato come l'attività di accertamento e di riscossione dei tributi comunali non è incisa dall'approvazione del bilancio di previsione, che ha solo carattere autorizzatorio delle spese e delle entrate da indebitamento.
In altri termini, l'attività incentivata non è condizionata dal bilancio e la quantificazione dell'incentivo non lo è neppure dall'eventuale slittamento del termine di approvazione del rendiconto, basandosi comunque su fatti avvenuti nell'esercizio precedente e non modificati dalla circostanza che il consuntivo sia approvato entro il 30 aprile o entro il diverso termine di legge.
Per la Sezione Autonomie, le riflessioni della Corte dei conti della Liguria meritano di far rivedere l'interpretazione della norma. Infatti, da un punto di vista meramente formale, la disposizione del comma 1091 opera un rinvio al termine di cui all'intero articolo 151 del Dlgs 267/2000 e non solo alla prima parte dello stesso, dove si specifica che il bilancio va approvato entro il 31 dicembre dell'anno precedente, ma anche a quella parte di esso in cui si evidenzia che il termine può essere differito con Dm. Inoltre, la Sezione Autonomie condivide le considerazioni della Corte dei conti della Liguria appena sopra evidenziate relative alla non incidenza dell'approvazione del bilancio sull'attività di accertamento tributario.
Pertanto, la Corte ha concluso che «la locuzione "entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al Dlgs 267/2000" contenuta nell'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018, si riferisce anche al diverso termine prorogato, per il bilancio di previsione, con legge o con decreto del ministro dell'Interno (ai sensi dell'articolo 151, comma 1, ultimo periodo, Tuel) e, per il rendiconto, con legge».
Gli incentivi potranno trovare ora una applicazione generalizzata, fermo restando comunque che si tratta di una facoltà per gli enti, da esercitare con regolamento, e che l'applicazione dell'istituto richiede una corretta disciplina del suo funzionamento. Disciplina che dovrà essere ispirata all'erogazione degli incentivi sulla base degli obiettivi prefissati e del loro raggiungimento (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 29.12.2021).

TRIBUTI: Corte dei conti, la scadenza per gli incentivi anti-evasione Imu e Tari segue quella dei bilanci.
La locuzione «entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al d.lgs. 18.08.2000, n. 267» contenuta nell'articolo 1, comma 1091, della legge di bilancio 2019, si riferisce anche al diverso termine prorogato, per il bilancio di previsione, con legge o con decreto del Ministro dell'Interno (articolo 151, comma 1, ultimo periodo, del Tuel) e, per il rendiconto, con legge.

Questo il principio di diritto affermato dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti con deliberazione 10.12.2021 n. 19.
Il comma 1091 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019 ha previsto la possibilità per i Comuni di destinare una quota delle risorse derivanti dal recupero dell'evasione dell'imposta municipale propria (Imu) e della Tari al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017 n. 75.
Tra le condizioni che la norma pone per la sua applicazione vi è quella secondo la quale l'ente deve aver approvato il bilancio di previsione e il rendiconto «entro i termini stabiliti dal Tuel».
Sin da subito l'inciso utilizzato dal legislatore ha alimentati dubbi sul suo corretto significato: deve considerarsi in modo tassativo il termine indicato dal Tuel oppure è possibile far riferimento anche al diverso termine prorogato da legge o da specifico decreto ministeriale?
La giurisprudenza contabile che si è pronunciata in argomento (Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Abruzzo e Piemonte) ha affermato che il termine per l'approvazione del bilancio di previsione, a cui il suddetto comma 1091 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019 fa riferimento, è da ritenersi esclusivamente quello del 31 dicembre dell'anno precedente (articolo 151, comma 1, del Tuel) a prescindere da eventuali proroghe.
La Corte dei conti della Liguria (deliberazione 05.10.2021 n. 78, si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 20 ottobre) ha, invece, ipotizzato una possibile diversa lettura della norma e, pertanto, ha rimesso al presidente della Corte dei conti la valutazione dell'opportunità di deferire alla sezione delle Autonomie la questione interpretativa ai termini di approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto. Così la questione è stata deferita alla Sezione delle autonomie.
Secondo la Sezione autonomie la tesi sostenuta nel summenzionato consolidato orientamento giurisprudenziale non può essere condivisa poiché si riferisce esclusivamente al termine del 31 dicembre, e ciò implicherebbe che esso operi un rinvio alla sola prima parte dell'articolo 151, comma 1, del Tuel, mentre il dettato normativo non appare frazionabile in mancanza di un riferimento esplicito della norma che opera il rinvio (principio interpretativo «ubi lex voluit, dixit»).
Meritevole di attenzione appare, si legge nella deliberazione, il ragionamento dei magistrati contabili liguri, laddove evidenziano che sebbene l'approvazione differita del bilancio implichi indubbiamente l'applicazione della disciplina –più restrittiva– di tale tipologia di esercizio, la stessa incide solamente sulla gestione finanziaria dell'ente e ha carattere transitorio, venendo meno con l'approvazione del bilancio. Invece, come previsto dal comma 1091 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019, la destinazione del maggior gettito al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici preposti alla gestione delle entrate o al riconoscimento di trattamento accessorio avviene sulla base dei dati risultanti dal conto consuntivo relativo all'esercizio precedente (e, quindi, necessariamente, in un momento successivo alla chiusura finanziaria della gestione e rispetto all'approvazione del relativo rendiconto, consentendo di poter valutare se gli obiettivi di incremento di accertamenti e riscossioni di Imu e Tari siano stati effettivamente raggiunti).
Ciò che rileva, in sostanza, ai fini della corretta applicazione della disposizione in esame è che la destinazione del maggior gettito (da incassare, oltre che da accertare) avvenga nel rispetto degli equilibri di bilancio e dei principi di finanza pubblica (e, quindi, sulla base di idonea programmazione), della corretta e preventiva determinazione degli obiettivi (che trovano fonte nei documenti annuali di perfomance organizzativa e individuale), della destinazione dei soli maggiori incassi (o meglio, di una percentuale di essi) al trattamento accessorio e, infine, della liquidazione sulla base di entrate certe, la cui puntuale determinazione è possibile, appunto, solo con l'approvazione del rendiconto (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 13.12.2021).
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PARERE
La locuzione “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al d.lgs. 18.08.2000, n. 267” contenuta nell’art. 1, co. 1091, della legge n. 145/2018, si riferisce anche al diverso termine prorogato, per il bilancio di previsione, con legge o con decreto del Ministro dell'interno (ai sensi dell’art. 151, co. 1, ultimo periodo, TUEL) e, per il rendiconto, con legge.
...
PREMESSO
Con la deliberazione 05.10.2021 n. 78, adottata nella Camera di Consiglio telematica del 13.09.2021, a seguito di una richiesta inviata tramite il CAL in data 27.05.2021 dal Sindaco del Comune di Santa Margherita Ligure (GE), la Sezione regionale di controllo per la Liguria ha sospeso la pronuncia in merito al seguente quesito «Se il compenso incentivante ex articolo 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018 possa essere erogato stante l’approvazione del bilancio di previsione nei termini così come prorogati più volte a causa della situazione emergenziale dovuta all’epidemia Covid 19».
La Sezione interpellata, dopo aver richiamato l’orientamento sostanzialmente uniforme delle Sezioni regionali di controllo in merito all’interpretazione dell’art. 1, comma 1091, della legge 145/2018, ha individuato ed esposto una possibile diversa lettura della norma.
Ha ritenuto opportuno, pertanto, sottoporre al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alla Sezione delle autonomie, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del decreto legge 10.10.2012, n. 174, o alle Sezioni Riunite in sede di controllo, ai sensi dell’art. 17, comma 31, decreto legge 01.07.2009, n. 78, la seguente questione di massima, ai fini dell’adozione di una pronuncia di orientamento generale: «se la locuzione “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al d.lgs. 18.08.2000, n. 267” per l’approvazione del bilancio preventivo e del conto consuntivo contenuta all’art. 1, co. 1091, della legge n. 145/2018 debba intendersi riferita, per il bilancio di previsione, al termine del 31 dicembre dell’anno precedente (ex art. 151, co. 1, TUEL) e, per il rendiconto, a quello del 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento (ex artt. 151, co. 1, e 227, co. 2, TUEL), ovvero se questa possa intendersi riferita anche al diverso termine prorogato, per il bilancio di previsione, con legge o con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze (ai sensi dell’art. 151, co. 1, ultimo periodo, TUEL) e, per il rendiconto, con legge».
La questione è stata deferita a questa Sezione con ordinanza del Presidente della Corte dei conti n. 16 del 18.10.2021. CONSIDERATO
1. L’art. 1, co. 1091, della legge n. 145/2018 dispone che i Comuni che hanno approvato il bilancio di previsione e il rendiconto entro i termini stabiliti dal Testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 (di seguito: TUEL), possono, con proprio regolamento, prevedere che il maggior gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell’imposta municipale propria e della TARI, nell’esercizio fiscale precedente a quello di riferimento, risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all’anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all’articolo 23, comma 2, del d.lgs. 25.05.2017, n. 75, mediante contrattazione integrativa.
Poiché la facoltà riconosciuta ai Comuni dalla norma appena richiamata resta espressamente condizionata all’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267” e, quindi, nei termini previsti dagli artt. 151, comma 1 e 227, comma 2, del TUEL, occorre innanzitutto chiarire se questa condizione possa ritenersi soddisfatta nel solo caso in cui il bilancio di previsione sia stato deliberato entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, ovvero anche ove il bilancio di previsione sia stato approvato entro il diverso termine prorogato da specifiche disposizioni normative o con decreto ministeriale come previsto dall’ultimo periodo dell’art. 151, comma 1, del TUEL.
La giurisprudenza delle Sezioni regionali che si sono pronunciate in argomento (Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Abruzzo e Piemonte) ha affermato che il termine per l’approvazione del bilancio di previsione, a cui il suddetto comma 1091, della legge n. 145/2018 fa riferimento, è da ritenersi esclusivamente quello del 31 dicembre dell’anno precedente, ai sensi dell’art. 151, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, a prescindere da eventuali proroghe.
La richiamata giurisprudenza, pertanto, considera quale condizione di applicabilità dell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018, il termine del 31 dicembre previsto nel primo periodo dell’art. 151, comma 1, del Tuel, interpretando in tal senso la norma che esplicitamente richiama «i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.082000, n. 267».
Inoltre, diverse pronunce hanno messo in luce come l’approvazione del bilancio di previsione oltre il termine del 31 dicembre determini precise conseguenze sul piano della gestione finanziaria dell’ente, ossia l’applicazione, ai sensi dell’art. 163 TUEL e del paragrafo 8 del Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria (contenuto nell’allegato 4/2 al d.lgs. 23.06.2011, n. 118), della più stringente disciplina che regola l’esercizio provvisorio, «con riguardo al quale anche la previsione e l’erogazione di risorse incentivanti, quale l’incentivo economico a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse alla partecipazione dell’Ente all'accertamento dei tributi erariali, non possono considerarsi sottratte ai suddetti limiti» (SRC Piemonte, parere 07.06.2021 n. 92, SRC Abruzzo, parere 09.06.2020 n. 120; SRC Lombardia, parere 06.11.2019 n. 412).
Infine, si è evidenziato che una diversa interpretazione del comma 1091 in oggetto priverebbe di significato l’espressa apposizione di un termine da parte del legislatore -oltre a frustrare lo spirito della disposizione, finalizzata alla corretta gestione delle risorse pubbliche e in particolare di quelle relative alla spesa per il personale- precludendo l’erogazione dell’incentivo solo a quei comuni che, non avendo approvato il bilancio neppure entro il termine prorogato, sarebbero incorsi nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del Consiglio comunale ex art. 141 TUEL (SRC Lombardia, parere 06.11.2019 n. 412).
Con riguardo ai termini di approvazione del rendiconto, merita menzione il parere della Sezione regionale di controllo per la Lombardia espresso nel parere 10.09.2020 n. 113. Il collegio lombardo, nel confermare il precedente e sopra riportato orientamento relativo all’individuazione del termine per l’approvazione del bilancio di previsione, ha ritenuto che, posta la diversa funzione di tale documento contabile e del rendiconto -rispettivamente preordinati alla programmazione degli interventi e all’allocazione delle relative risorse nell’esercizio finanziario futuro, il primo, e alla rappresentazione delle risultanze della gestione precedente, il secondo- sarebbe privo di senso logico correlare gli anzidetti incentivi all’approvazione del rendiconto esclusivamente entro il termine ordinario del 30 aprile fissato ex art. 151, comma 7, TUEL. Ciò anche in considerazione del fatto che l’approvazione del rendiconto oltre il termine fissato dal d.lgs. n. 267/2000, ma entro il termine per legge differito, non altera i risultati raggiunti nel precedente esercizio finanziario, né produce alcun effetto sull’avvenuta attività di riscossione da parte del personale che, avendo raggiunto l’obiettivo assegnato, sarebbe pregiudicato dalla mancata corresponsione dell’incentivo pianificato nel bilancio di previsione tempestivamente approvato entro il 31 dicembre.
2. La Sezione remittente, nella sua attenta ricostruzione dei profili giuridici della questione in esame, ricorda che sia i termini di cui all’art. 163, comma 1, TUEL (il quale prevede che ove il bilancio di previsione non sia approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre, la gestione finanziaria dell'ente debba svolgersi nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l'esercizio provvisorio), sia i termini di cui all’art. 151, comma 7, e 227, comma 2, del TUEL (che dispongono che il rendiconto deve essere deliberato dall'organo consiliare entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello cui si riferisce) sono stati più volte prorogati dal legislatore. Quello di approvazione del bilancio di previsione è stato costantemente differito a decorrere dal 2001. Per quanto concerne il bilancio di previsione 2021-2023, il termine è stato prorogato più volte, a causa dell’emergenza sanitaria, e in particolare:
   - al 31.01.2021 dall'art. 107, co. 2, decreto-legge 17.03.2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27, come ulteriormente modificato dall'art. 106, co. 3-bis, decreto-legge 19.05.2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.07.2020, n. 77;
   - al 31.03.2021, dall'articolo unico, co. 1, decreto ministeriale 13.01.2021;
   - al 30.04.2021, dall'art. 30, co. 4, decreto-legge 22.03.2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 21.05.2021, n. 69;
   - al 31.05.2021, dall'art. 11-quater, co. 2, decreto-legge 22.04.2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.06.2021, n. 87;
   - al 31.07.2021, dall'art. 52, co. 2, lett. b), decreto-legge 25.05.2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23.07.2021, n. 106 per gli enti locali che hanno incassato le anticipazioni di liquidità di cui al decreto-legge 08.04.2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.06.2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti.
Nel riportare l’orientamento consolidato della giurisprudenza soprarichiamata, la Sezione ligure osserva che, se l’art. 1, comma 1091, si riferisse esclusivamente al termine del 31 dicembre, ciò implicherebbe sostenere che esso operi un rinvio alla sola prima parte dell’art. 151, comma 1, TUEL.
Inoltre, per quanto concerne le criticità evidenziate in merito all’esercizio provvisorio, la Sezione remittente rileva che, sebbene l’approvazione differita del bilancio implichi indubbiamente l’applicazione della disciplina –più restrittiva– di tale tipologia di esercizio, ai sensi dell’art. 163, comma 1, TUEL, la stessa incide solamente sulla gestione finanziaria dell’ente e ha carattere transitorio, venendo meno con l’approvazione del bilancio. Invece, come previsto dall’art. 1, co. 1091, della legge n. 145/2018, la destinazione del maggior gettito al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici preposti alla gestione delle entrate o al riconoscimento di trattamento accessorio avviene sulla base dei dati risultanti dal conto consuntivo relativo all’esercizio precedente (e, quindi, necessariamente, in un momento successivo alla chiusura finanziaria della gestione e rispetto all’approvazione del relativo rendiconto, consentendo di poter valutare se gli obiettivi di incremento di accertamenti e riscossioni di IMU e TARI siano stati effettivamente raggiunti).
Quanto alla considerazione che un’interpretazione estensiva dell’art. 1, comma 1091, rischierebbe di frustrare lo spirito della disposizione, il Collegio ligure argomenta che, ciò che rileva ai fini della corretta applicazione della disposizione in esame è che la destinazione del maggior gettito (da incassare, oltre che da accertare) avvenga nel rispetto degli equilibri di bilancio e dei principi di finanza pubblica (e, quindi, sulla base di idonea programmazione), della corretta e preventiva determinazione degli obiettivi (che trovano fonte nei documenti annuali di perfomance organizzativa e individuale), della destinazione dei soli maggiori incassi (o meglio, di una percentuale di essi) al trattamento accessorio e, infine, della liquidazione sulla base di entrate certe, la cui puntuale determinazione è possibile, appunto, solo con l’approvazione del rendiconto.
Rileva, infine, la Sezione remittente che le ultime disposizioni citate, nella quasi totalità dei casi, nulla hanno a che vedere con le azioni programmate dai Comuni in materia di incremento degli accertamenti di IMU e TARI, né con l’implementazione delle azioni di miglioramento della riscossione intervenute in corso d’anno, considerato, infine, che dal punto di vista giuridico-contabile, l’approvazione del bilancio di previsione, in un sistema di contabilità finanziaria, costituisce momento di autorizzazione delle spese e delle sole entrate da indebitamento, mentre non autorizza l’attività di accertamento e riscossione delle entrate (cfr. art. 164 d.lgs. n. 267/2000).
3. La soluzione della questione rimessa alla valutazione di questa Sezione richiede preliminarmente di precisare la portata del rinvio alla norma del TUEL che prevede, in via generale, i termini di approvazione del bilancio di previsione (art. 151, comma 1), operato dalla norma di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018.
Orbene, l’art. 151, comma 1, TUEL, nel fissare per il bilancio di previsione il termine ordinario di approvazione al 31 dicembre, contestualmente prevede la possibilità che questo possa essere differito al ricorrere di giustificate ragioni.
Al di là della presunzione generale favorevole alla natura formale dei rinvii normativi generici (la regola che vuole che nella generalità dei casi il rinvio sia considerato “mobile” è stata affermata anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 311/1993), il riferimento all’interpretazione letterale appare come il criterio orientativo da adottarsi nel caso specifico.
La tesi secondo la quale l’art. 1, comma 1091, si riferisce esclusivamente al termine del 31 dicembre –sostenuta dalle pronunce più sopra richiamate- implicherebbe che esso operi un rinvio alla sola prima parte dell’art. 151, comma 1, TUEL, secondo un’interpretazione che, ad avviso di questa Sezione, deve essere rivista nel senso che il dettato normativo non appare frazionabile in mancanza di un riferimento esplicito della norma che opera il rinvio.
L’applicabilità alla fattispecie del principio interpretativo “ubi lex voluit, dixit” sembra, d’altra parte, confermata anche da una diversa norma, il comma 905 del medesimo art. 1 della legge n. 145/2018, che, pur se successivamente abrogata, prevede(va) espressamente che alcune specifiche norme recate in disposizioni di legge precedenti (contenute in leggi finanziarie, di bilancio, di semplificazione ecc.) a decorrere dall’esercizio 2019, “…non trovano applicazione…” nei confronti dei “…comuni (…) che approvano il bilancio consuntivo entro il 30 aprile e il bilancio preventivo dell'esercizio di riferimento entro il 31 dicembre dell'anno precedente".
Analogamente, tale principio è rinvenibile anche nell’abrogazione esplicita (operata dal decreto-legge 19.05.2020, n. 34) delle norme che stabilivano, per il 2020, la proroga dei termini per l’adozione delle delibere con cui vengono determinate le tariffe e le aliquote dei tributi, e che, ai sensi dell’art. 1, co. 169, della legge n. 296/2006, devono essere adottate contestualmente all’approvazione del bilancio di previsione.
Soccorre, per una puntuale interpretazione della fattispecie, anche il principio di specialità, quale già enucleato anche dalla Sezione Lombardia nel parere 10.09.2020 n. 113 a proposito del termine di approvazione del rendiconto 2019, prorogato dal d.l. n. 18/2020.
Secondo tale approdo ermeneutico, che questo Collegio ritiene di poter condividere, il criterio di specialità ricorre in presenza di una norma speciale dettata per regolare una fattispecie che presenta elementi aggiuntivi rispetto a quella generale, di cui ne ripete tuttavia il nucleo fondamentale. Il d.l. n. 18 del 2020 (c.d. “Cura Italia”) -e le altre norme “emergenziali” sopra richiamate- nel dettare misure straordinarie onde evitare la paralisi degli enti, rappresentano l’eccezione, il cui elemento di specialità è rappresentato proprio dal contesto emergenziale e di urgenza da Covid-19, nel quale gli stessi enti sono tenuti ad operare. Ne deriva la prevalenza della norma speciale su quella generale, la cui latitudine applicativa verrà ripristinata alla cessazione di efficacia della prima per il venir meno del profilo di specialità che ha giustificato l’esigenza del legislatore nel prevederla.
Meritevole di attenzione appare, altresì, il ragionamento della Sezione ligure remittente, laddove evidenzia che sebbene l’approvazione differita del bilancio implichi indubbiamente l’applicazione della disciplina –più restrittiva– di tale tipologia di esercizio, ai sensi dell’art. 163, comma 1, TUEL, la stessa incide solamente sulla gestione finanziaria dell’ente e ha carattere transitorio, venendo meno con l’approvazione del bilancio. Invece, come previsto dall’art. 1, comma 1091, legge n. 145/2018, la destinazione del maggior gettito al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici preposti alla gestione delle entrate o al riconoscimento di trattamento accessorio avviene sulla base dei dati risultanti dal conto consuntivo relativo all’esercizio precedente (e, quindi, necessariamente, in un momento successivo alla chiusura finanziaria della gestione e rispetto all’approvazione del relativo rendiconto, consentendo di poter valutare se gli obiettivi di incremento di accertamenti e riscossioni di IMU e TARI siano stati effettivamente raggiunti).
4. Un punto fermo dell’orientamento consolidato delle Sezioni regionali di controllo, sul quale vale la pena di soffermarsi, è quello esplicitato dalla Sezione Toscana con deliberazione n. 46 del 23.04.2020, laddove si afferma che l’inciso contenuto nell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018, riguardante i tempi di approvazione dei documenti di bilancio non può che essere interpretato in coerenza con lo spirito della norma che lo contiene, e, dunque, in un’ottica di contenimento e corretta gestione delle risorse pubbliche, con riferimento alla spesa di personale. In argomento, detta Sezione regionale ha osservato che «ammettere un’interpretazione estensiva dell’inciso normativo, tale da ricomprendere anche le ipotesi di approvazione del bilancio di previsione entro il diverso termine fissato con decreto ministeriale motivato significherebbe, infatti, frustrare lo spirito della norma, consentendo l’erogazione dell’incentivo da parte di tutti i Comuni che abbiano comunque approvato il bilancio, rispettando almeno uno dei due termini».
In realtà, la ratio della disposizione appare essere quella di destinare risorse specifiche al fine di potenziare l’attività di acquisizione delle entrate comunali. Obiettivo che risulta a tal punto rilevante ai fini degli equilibri di bilancio dell’ente da sottrarre il trattamento accessorio per il personale, a siffatto fine previsto, al limite indicato dall’art. 23 del decreto legislativo n. 75 del 2017 (il cui comma 2 prevede che a decorrere dal 01.01.2017, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, non può superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2016).
Se, dunque, come ben evidenzia la Sezione remittente, lo spirito della norma è quello di premiare l’effettivo incremento di accertamenti e incassi da IMU e TARI, non può che condividersi l’assunto che ciò che rileva ai fini della corretta applicazione della disposizione in esame è che la destinazione del maggior gettito (da incassare, oltre che da accertare) avvenga nel rispetto degli equilibri di bilancio e dei principi di finanza pubblica deducibile da idonea programmazione, della corretta e preventiva determinazione degli obiettivi (che trovano fonte nei documenti annuali di perfomance organizzativa e individuale), della destinazione dei soli maggiori incassi (o meglio, di una percentuale di essi) al trattamento accessorio e, infine, della liquidazione sulla base di entrate certe risultanti dall’approvazione del rendiconto del precedente esercizio finanziario.
5. A proposito dei termini di approvazione del rendiconto, appare logicamente ineccepibile e conforme ai principi contabili quanto evidenziato dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia con il parere 10.09.2020 n. 113 circa la diversa funzione del bilancio di previsione e del rendiconto -rispettivamente preordinati alla programmazione degli interventi e all’allocazione delle relative risorse nell’esercizio finanziario futuro, il primo, e alla rappresentazione delle risultanze della gestione precedente, il secondo– per cui appare incongruo correlare gli incentivi di cui al predetto comma 1091 all’approvazione del rendiconto esclusivamente entro il termine ordinario del 30 aprile fissato ex art. 151, co. 7, TUEL.
Ciò anche in considerazione del fatto che l’approvazione del rendiconto oltre il termine fissato dal d.lgs. n. 267/2000, ma entro il termine per legge differito, non altera i risultati raggiunti nel precedente esercizio finanziario, né produce alcun effetto sull’avvenuta attività di riscossione da parte del personale che, avendo raggiunto l’obiettivo assegnato, sarebbe pregiudicato dalla mancata corresponsione dell’incentivo pianificato nel bilancio di previsione tempestivamente approvato. Non va dimenticato, d’altra parte, che, a mente dell’art. 164 del d.lgs. n. 267/2000, l’approvazione del bilancio di previsione, in un sistema di contabilità finanziaria, costituisce momento di autorizzazione delle spese e delle sole entrate da indebitamento, non dell’attività di accertamento e riscossione delle entrate. P.Q.M.
La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, pronunciandosi sulla questione di massima posta dalla Sezione regionale di controllo per la Liguria con la deliberazione 05.10.2021 n. 78, enuncia il seguente principio di diritto:
«La locuzione “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al d.lgs. 18.08.2000, n. 267” contenuta nell’art. 1, co. 1091, della legge n. 145/2018, si riferisce anche al diverso termine prorogato, per il bilancio di previsione, con legge o con decreto del Ministro dell'interno (ai sensi dell’art. 151, co. 1, ultimo periodo, TUEL) e, per il rendiconto, con legge».

novembre 2021

TRIBUTIIncentivi antievasione Imu e Tari solo con l'ok del rendiconto 2019 entro il 30.06.2020.
Si consolida l'orientamento dei magistrati contabili sugli incentivi economici a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse al recupero dei tributi erariali (Imu e Tari) in merito alla corretta corresponsione degli stessi nel caso in cui l'approvazione del rendiconto 2019 sia avvenuta successivamente al 30.04.2020 (termine previsto dal Tuel) ma entro il termine prorogato dal legislatore con il decreto Cura Italia (cioè entro il 30.06.2020).
Infatti, dopo la posizione iniziale assunta dalla Corte dei conti della Lombardia con parere 10.09.2020 n. 113 (si veda NT+Enti locali & Edilizia del 16.09.2020), ora anche i magistrati veneti con il parere 16.11.2021 n. 186 hanno ribadito che, ai fini della possibilità di riconoscere l'incentivo in questione, per l'esercizio 2019 deve farsi riferimento al termine di approvazione del rendiconto differito dal decreto legge 18/2020.
Apriamo un piccola parentesi per segnalare che, su tali incentivi, di recente la Corte dei conti della Liguria (deliberazione 05.10.2021 n. 78, si veda NT+Enti locali & Edilizia del 20.10.2021), ha rimesso al presidente della Corte dei conti la valutazione dell'opportunità di deferire alla sezione delle Autonomie la questione interpretativa ai termini di approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto (ovvero se debba considerarsi in modo tassativo il termine indicato dal Tuel oppure è possibile far riferimento anche al diverso termine prorogato da legge o da specifico decreto ministeriale).
Il comma 1091 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019 ha previsto la possibilità per i Comuni di destinare una quota delle risorse derivanti dal recupero dell'evasione dell'imposta municipale propria (Imu) e della Tari al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017 n. 75.
Tra le condizioni che la norma pone per la sua applicazione c'è quella secondo la quale l'ente deve aver approvato il bilancio di previsione e il rendiconto «entro i termini stabiliti dal Tuel».
Ma come impattano sulla corresponsione di tali incentivi le disposizioni contenute nel decreto «Cura Italia» che hanno comportato la proroga della scadenza del 30.04.2020, fissata dall'articolo 151, comma 7, del Tuel, al 30.06.2020? Questo l'oggetto della richiesta di parere formulata da un ente locale ai magistrati contabili.
I giudici contabili veneti rammentano come la disposizione che regge l'impianto degli incentivi in questione pone quale condizione di applicabilità il rispetto dei termini di approvazione dei documenti contabili (bilancio e rendiconto) previsti dal Tuel.
Deve però osservarsi che l'inapplicabilità al rendiconto 2019 dell'obbligo di approvazione entro il 30.04.2020 non è frutto di una tesi interpretativa, ma da uno specifico intervento operato dal legislatore con il decreto Cura Italia (che ha spostato, a causa del contesto emergenziale, le lancette della scadenza al 30 giugno).
Ad avviso dei giudici l'approvazione del rendiconto 2019 avvenuta successivamente al 30.04.2020 ed entro il termine prorogato dal legislatore con il decreto Cura Italia (cioè entro il 30.06.2020), consente la legittima erogazione degli incentivi economici al personale (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 23.11.2021).

TRIBUTI: Ai fini della possibilità di riconoscere l’incentivo di cui all’art. 1, comma 109, della Legge 30.12.2018, n. 145 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019–2021”, l’obbligo di approvazione del rendiconto entro il 30/04/2020, termine previsto dal D.lgs. 267/2000, non si applica al rendiconto dell’esercizio 2019 il cui termine di approvazione è stato differito dal D.L. 18/2020 al 30.06.2020.
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In data 23.08.2021, il Comune di Padova ha trasmesso a questa Sezione una richiesta di parere, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 05.06.2013, n. 131.
In particolare, nella citata richiesta il Comune ha posto il quesito di seguito indicato: “Si chiede, pertanto, ai fini della possibilità di riconoscere l’incentivo di cui all’art. 1, comma 109, della sopra citata Legge 30.12.2018, n. 145 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019–2021”, di conoscere se è corretta la tesi interpretativa secondo la quale l’obbligo di approvazione del rendiconto entro il 30/04/2020, termine previsto dal D.lgs. 267/2000, non si applica al rendiconto dell’esercizio 2019 il cui termine di approvazione è stato spostato dal legislatore in considerazione di condizioni oggettivamente inedite e gravissime.
...
Nel merito si premette che l’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018 (legge di bilancio 2019), riconoscendo ai comuni la possibilità di prevedere, con proprio regolamento, che “il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente”, pone, quale condizione alla regolamentazione comunale, l’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”.
La menzionata disposizione postula dunque, quale condizione di applicabilità dell’incentivo in questione, il rispetto dei termini di cui al D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL).
Quest’ultimo, all’art. 151, comma 7, prevede che il rendiconto deve essere “deliberato dall’organo consiliare entro il 30 aprile dell’anno successivo” a quello di riferimento.
Il D.L. n. 18 del 2020, c.d. “Cura Italia” (convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27) ha successivamente differito il termine di approvazione del rendiconto 2019, prevedendo la proroga della scadenza dal 30 aprile al 30.06.2020.
In relazione alla richiesta avanzata, deve dunque osservarsi che l’inapplicabilità al rendiconto 2019 dell’obbligo di approvazione entro il 30/04/2020 non è frutto di una tesi interpretativa (come dalla stessa sembrerebbe dedursi), ma della predetta disposizione legislativa.
Il parere richiesto è in realtà sostanzialmente volto a chiarire i dubbi interpretativi sul rispetto della condizione di applicabilità (e dunque sulla possibilità di erogazione) dell’incentivo al personale, previsto dal citato art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018, a seguito dell’intervento della menzionata norma del c.d. decreto “Cura Italia”, in relazione all’ipotesi in cui:
   - il bilancio 2019 sia stato approvato entro i termini previsti dal TUEL;
   - il rendiconto 2019 sia stato approvato oltre il termine ordinariamente previsto dal TUEL, ma entro quello prorogato dal citato decreto legge.
In altri termini, la richiesta comporta l’individuazione del termine entro il quale l’Ente doveva approvare il rendiconto 2019, al fine di poter procedere all’erogazione dell’incentivo al personale, alla luce della menzionata sopravvenienza normativa, che ha comportato la proroga della scadenza del 30.04.2020.
Va al riguardo osservato che la norma esaminata (art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018) prevede essenzialmente, quale condizione di applicabilità degli incentivi disciplinati, il tempestivo adempimento contabile da parte del comune.
Tale adempimento avviene, in generale, con il rispetto dei termini previsti dal TUEL, cui la predetta norma rinvia.
Detto espresso rinvio ai termini del TUEL non preclude tuttavia la possibilità di ritenere soddisfatta la condizione di applicabilità degli stessi incentivi a fronte di un rendiconto (2019) che sia stato approvato nei termini previsti dal D.L. n. 18 del 2020.
La richiamata disposizione ha infatti previsto misure straordinarie, il cui elemento peculiare è rappresentato dal contesto emergenziale, nel quale gli enti sono tenuti ad operare; la stessa si configura dunque quale norma speciale, avendo regolato una fattispecie che presenta elementi aggiuntivi rispetto a quella generale del TUEL, di cui ripete tuttavia il nucleo fondamentale.
La previsione in essa dettata deroga pertanto al termine ordinariamente indicato nel TUEL, configurando quale tempestiva l’approvazione del rendiconto 2019 avvenuta successivamente al 30.04.2020 ed entro il termine prorogato dal legislatore (cioè entro il 30.06.2020), consentendo l’applicazione dei menzionati incentivi economici al personale, in caso di avvenuto conseguimento degli obiettivi assegnati nelle attività di accertamento dei tributi erariali, di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018 entro il 30.06.2020.
Tale orientamento risulta peraltro in linea con l’art. 12 delle preleggi e con i principi giuridici che disciplinano il rapporto tra norme regolatrici di una determinata fattispecie, secondo i quali, ove vi siano dubbi in merito al significato da attribuire alla disposizione normativa, si ricorre alla c.d. interpretazione correttiva, che ne estende il significato oltre il dato letterale (interpretazione estensiva) o esclude dall’ambito applicativo della disposizione medesima fattispecie che, in base al criterio letterale, potrebbero esservi ricomprese (interpretazione restrittiva).
In conclusione,
ai fini della possibilità di riconoscere l’incentivo considerato, per l’esercizio 2019 deve farsi riferimento al termine di approvazione del rendiconto differito dal D.L. n. 18/2020 (Corte dei Conti, Sez. controllo Veneto, parere 16.11.2021 n. 186).

ottobre 2021

TRIBUTIIncentivi per il recupero dell'evasione IMU-TARI: possibile intervento della Sezione Autonomie della Corte dei Conti.
Torna in gioco la possibilità per i Comuni di erogare l'incentivo per il recupero dell'evasione tributaria Imu e Tari, anche se non approvano il bilancio di previsione entro il 31 dicembre, in caso di proroga dei termini. La Corte dei conti della Liguria, con la recente deliberazione 05.10.2021 n. 78, ha rimesso al presidente della Corte dei conti la valutazione dell'opportunità di deferire la questione alla Sezione delle autonomie.
L'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018, dopo alcuni anni di assenza, ha reintrodotto la possibilità per i Comuni di destinare una quota del maggior gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti Imu e Tari, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente. Tuttavia, questa facoltà è stata riservata ai Comuni che hanno approvato il bilancio di previsione e il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico degli enti locali.
Come è noto, mentre il termine per approvare il rendiconto è fissato dalla legge al 30 aprile dell'anno successivo, quello per l'approvazione del bilancio di previsione è individuato, dall'articolo 151 del Dlgs 267/2000, nel 31 dicembre dell'anno precedente, il quale stabilisce tuttavia che il termine può essere differito con decreto del ministero dell'Interno. Cosa che è puntualmente avvenuta ogni anno, in considerazione del permanente quadro di incertezza della finanza comunale.
La formulazione della norma ha spinto diverse Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (Emilia Romagna parere 18.09.2019 n. 52; Lombardia parere 06.11.2019 n. 412, parere 23.03.2020 n. 40 e parere 10.09.2020 n. 113; Toscana parere 23.04.2020 n. 46; Abruzzo parere 09.06.2020 n. 120; Piemonte parere 07.06.2021 n. 92 e parere 02.07.2021 n. 96) a ritenere che il termine per l'approvazione del bilancio di previsione a cui fa riferimento il comma 1091 sopra citato è quello del 31 dicembre dell'anno precedente e non quello eventualmente differito con decreto ministeriale o legge. Ciò in quanto l'approvazione del bilancio oltre il 31 dicembre comporta l'applicazione delle regole dell'esercizio provvisorio, che limiterebbero la possibilità di erogare risorse incentivanti e poiché, una diversa interpretazione, frustrerebbe lo spirito della disposizione, volta alla corretta gestione delle risorse pubbliche.
Invece, con riferimento all'obbligo di rispetto del termine del 30 aprile, in caso di proroga della scadenza per l'approvazione del rendiconto disposta dalla legge (come è avvenuto lo scorso anno per effetto dell'emergenza sanitaria Covid-19), la Corte dei conti della Lombardia (parere 10.09.2020 n. 113), pur ritenendo obbligatorio il rispetto del termine del 31 dicembre per il bilancio di previsione, ha aperto alla possibilità di considerare rispettata la previsione della norma del comma 1091 anche nel caso di approvazione del rendiconto entro il termine prorogato. Ciò per la diversa funzione che ha il rendiconto rispetto al bilancio di previsione, in quanto il primo è volto a rappresentare le risultanze della gestione e il secondo, invece, a programmare gli interventi e allocare le risorse nell'esercizio. Peraltro, osserva la Corte lombarda, l'approvazione del rendiconto oltre il termine del 30 aprile, pur sempre entro quello prorogato dalla legge, non altera in alcun modo i risultati dell'esercizio finanziario precedente, né tanto meno le riscossioni effettuate dall'attività di accertamento.
La Corte dei conti della Liguria, con la deliberazione sopra citata, ha rimesso invece in discussione l'interpretazione rigorosa in merito al rispetto del termine del 31 dicembre, ai fini dell'erogazione dell'incentivo al personale.
La prima considerazione posta dalla Corte è il dato testuale del comma 1091 il quale, rinviando genericamente al termine previsto dal Tuel, fa riferimento non solo al termine del 31 dicembre, ma anche a quello eventualmente differito, in quanto ipotesi contemplata espressamente dall'articolo 151. La norma del comma 1091 non rinvia solo alla prima parte dell'articolo 151, quella che fissa il termine al 31 dicembre, ma a tutto l'articolo, e quindi anche a quella che contempla la possibilità di differimento del termine.
Peraltro, già Anutel da tempo aveva evidenziato come, ai sensi del Tuel, non esistano più termini per approvare il bilancio di previsione, ma uno solo, dato dal 31 dicembre o da quello differito dal decreto ministeriale. Pertanto, il rinvio ai termini del medesimo Tuel operato dal comma 1091 non poteva che riferirsi a quello eventualmente differito.
Anche le criticità evidenziate in merito all'esercizio provvisorio non reggono per la Corte della Liguria, in quanto queste incidono solo sulla gestione finanziaria dell'ente e non anche sulla destinazione del maggior gettito al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici entrate o al trattamento accessorio del personale addetto al recupero, in quanto questa avviene sulla base dei risultati del rendiconto dell'esercizio precedente.
In altri termini, si può ritenere che le risorse che alimentano il fondo per il trattamento incentivante o il potenziamento delle risorse strumentali provengono dal maggior gettito accertato e riscosso nell'anno precedente. Ciò che è importante, per la corretta applicazione della norma, sono, oltre al rispetto degli equilibri di bilancio, la corretta programmazione con la fissazione degli obiettivi nell'ambito dei documenti di performance organizzativa e individuale, con i quali si stabiliscono i target di recupero dell'evasione che si vogliono raggiungere o le attività prefissate e si individuano i soggetti coinvolti; la destinazione solo dei maggiori incassi, nel limite massimo del 5 per cento; la liquidazione delle risorse solo sulla base di entrate certe, verificate dopo l'approvazione del rendiconto. In altre parole, l'erogazione dell'incentivo presuppone una preventiva attività programmatoria nell'ambito dei documenti della performance, volta a definire gli obiettivi di recupero dell'evasione e il personale addetto al recupero delle entrate.
Inoltre, la stessa richiede la verifica consuntiva dei risultati raggiunti, rispetto agli obiettivi prefissati, la definitiva quantificazione delle risorse incassate dal maggior recupero dell'evasione Imu e Tari, di cui una percentuale determina l'ammontare massimo del fondo, e la liquidazione dei compensi incentivanti ai soggetti coinvolti, sulla base del grado di raggiungimento degli obiettivi e dell'apporto individuale da ciascuno fornito, secondo le regole definite dal Comune.
La palla potrebbe ora passare alla Sezione Autonomie, che dovrà dirimere una volta per tutte la questione, stabilendo se i termini per l'approvazione del rendiconto e del bilancio di previsione a cui fa riferimento il comma 1091, debbano intendersi rispettivamente il 30 aprile dell'anno successivo e il 31 dicembre dell'anno precedente, ovvero si possa far riferimento anche al diverso termine prorogato, per il bilancio, con Dm o legge e, per il rendiconto, dalla legge.
Si tratta di una questione in relazione alla quale Anutel ha ripetutamente chiesto un intervento normativo chiarificatore, al fine di evitare che il ripristino dell'incentivo per il recupero dell'evasione, scomparso con la fine dell'Ici, si tramuti in una beffa per gli addetti al settore tributi, i quali pur svolgendo anche importanti attività di recupero dell'evasione, si vedono pregiudicati dal mancato rispetto di un termine, quello del bilancio, non dipendente in alcun modo dalla loro volontà. Pur quando lo stesso Ministero o il legislatore hanno differito il medesimo proprio in considerazione delle difficoltà incontrate dagli enti locali a causa dell'incerto quadro di finanzia pubblica (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 20.10.2021).
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DELIBERAZIONE
Con la nota in epigrafe, il Sindaco del Comune di Santa Margherita Ligure (GE), per il tramite del Consiglio delle Autonomie, ha posto un quesito riguardante l’art. 1, c. 1091, della legge 30.12.2018, n. 145 (legge di bilancio 2019).
La citata disposizione prevede la facoltà per i comuni di destinare una quota del maggior gettito IMU e TARI accertato e riscosso al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici preposti alla gestione delle entrate e all’erogazione di un compenso incentivante a favore del personale impegnato nell’attività di accertamento dell’evasione tributaria, subordinandola all’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al d.lgs. 18.08.2000, n. 267” (Testo unico degli enti locali, TUEL).
Il Comune, rilevando che il termine per l’approvazione del bilancio di previsione è stato differito, da ultimo, al 31.05.2021 dall’art. 3 del decreto legge 30.04.2021, n. 56, convertito, con modificazioni, con legge 17.06.2021, n. 87, ha formulato il seguente quesito “Se il compenso incentivante ex articolo 1, comma 1091 della legge n. 145 del 2018 possa essere erogato stante l’approvazione del bilancio di previsione nei termini così come prorogati più volte a causa della situazione emergenziale dovuta all’epidemia Covid 19.
...
Tanto considerato, la richiesta di parere verte, in termini astratti, sull’interpretazione dell’art. 1, comma 1091, l. n. 145/2018, insistendo inter alia su una materia –quella degli incentivi al personale- che, alla luce di quanto fin qui riportato nonché della consistente giurisprudenza consultiva di questa Corte (cfr. SRC Emilia Romagna, parere 18.09.2019 n. 52; SRC Lombardia, parere 06.11.2019 n. 412, parere 23.03.2020 n. 40 e parere 10.09.2020 n. 113; SRC Toscana, parere 23.04.2020 n. 46 e SRC Abruzzo, parere 09.06.2020 n. 120; SRC Piemonte, parere 07.06.2021 n. 92 e parere 02.07.2021 n. 96), è da ritenersi riconducibile alla materia della contabilità pubblica.
2. Passando ad esaminare il merito della questione, l’art. 1, c. 1091, l. n. 145/2018 testualmente dispone che “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, possono, con proprio regolamento, prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017, n. 75. La quota destinata al trattamento economico accessorio, al lordo degli oneri riflessi e dell'IRAP a carico dell'amministrazione, è attribuita, mediante contrattazione integrativa, al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, anche con riferimento alle attività connesse alla partecipazione del comune all'accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti, in applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge 30.09.2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 02.12.2005, n. 248. Il beneficio attribuito non può superare il 15 per cento del trattamento tabellare annuo lordo individuale. La presente disposizione non si applica qualora il servizio di accertamento sia affidato in concessione”.
La possibilità di destinare quota parte del maggior gettito IMU e TARI al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente è, pertanto, espressamente condizionata all’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”.
La questione interpretativa richiede di scrutinare se questa condizione possa ritenersi soddisfatta nel solo caso in cui il bilancio di previsione sia stato deliberato entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento (come prevede l’art. 151, c. 1, TUEL) ovvero anche ove il bilancio di previsione sia stato approvato entro il diverso termine prorogato da specifiche disposizioni normative o con decreto ministeriale ai sensi dell’art. 151, c. 1, ultimo periodo, TUEL.
L’art. 151, c. 1, TUEL, difatti, individua il 31 dicembre come termine per la deliberazione del bilancio di previsione, disponendo, tuttavia, che la detta scadenza possa essere differita con decreto ministeriale al ricorrere di particolari esigenze (“Gli enti locali (…) deliberano il bilancio di previsione finanziario entro il 31 dicembre (…).I termini possono essere differiti con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze”).
L’art. 163, c. 1, TUEL prevede, poi, che ove il bilancio di previsione non sia approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre, la gestione finanziaria dell'ente debba svolgersi nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l'esercizio provvisorio.
Per quanto concerne il rendiconto, l’art. 151, c. 7, e l’art. 227, c. 2, TUEL, prevedono che deve essere deliberato dall'organo consiliare entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello cui si riferisce.
Entrambi i termini in argomento sono stati più volte prorogati dal legislatore. Quello di approvazione del bilancio di previsione –oggetto del quesito– è stato costantemente differito a decorrere dal 2001.
Per quanto concerne il bilancio di previsione 2021-2023, il termine è stato prorogato più volte, a causa dell’emergenza sanitaria, ed in particolare:
   - al 31.01.2021 dall'art. 107, c. 2, decreto legge 17.03.2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27, come modificato dall'art. 106, c. 3-bis, decreto legge 19.05.2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.07.2020, n. 77;
   - al 31.03.2021, dall'articolo unico, c. 1, decreto ministeriale 13.01.2021;
   - al 30.04.2021, dall'art. 30, c. 4, decreto legge 22.03.2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 21.05.2021, n. 69;
   - al 31.05.2021, dall'art. 11-quater, c. 2, decreto legge 22.04.2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.06.2021, n. 87;
   - al 31.07.2021, dall'art. 52, c. 2, lett. b), decreto legge 25.05.2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23.07.2021, n. 106 per gli enti locali che hanno incassato le anticipazioni di liquidità di cui al decreto legge 08.04.2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.06.2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti.
2.1 A seguito dell’approvazione dell’art. 1, c. 1091, l. n. 145/2018, la questione in esame è stata in più occasioni portata all’attenzione della magistratura contabile, che si è espressa concordemente, ritenendo che il termine per l’approvazione del bilancio a cui la ridetta norma fa riferimento è quello del 31 dicembre dell’anno precedente, ai sensi dell’art. 151, c. 1, d.lgs. n. 267/2000, a prescindere da eventuali proroghe (SRC Emilia Romagna, parere 18.09.2019 n. 52; SRC Lombardia parere 06.11.2019 n. 412, parere 23.03.2020 n. 40 e parere 10.09.2020 n. 113; SRC Toscana, parere 23.04.2020 n. 46; SRC Abruzzo, parere 09.06.2020 n. 120; SRC Piemonte parere 07.06.2021 n. 92 e parere 02.07.2021 n. 96).
Nella maggior parte dei casi, i quesiti proposti alle Sezioni regionali erano formulati con riferimento al termine prorogato con decreto ministeriale di cui all’art. 151 TUEL; tuttavia, l’interpretazione è stata ribadita anche con riferimento alla proroga del termine operata con legge (es., nel caso della legislazione emergenziale relativa all’epidemia da Covid-19, cfr. SRC Abruzzo, parere 09.06.2020 n. 120).
L’orientamento consolidato delle Sezioni regionali è basato su una prospettata interpretazione letterale della disposizione più volte citata, che espressamente rimanda ai termini previsti dal TUEL.
In aggiunta, le medesime Sezioni regionali hanno messo in luce come l’approvazione del bilancio di previsione oltre il termine del 31 dicembre determini conseguenze sul piano della gestione finanziaria dell’ente, ossia l’applicazione, ai sensi dell’art. 163 TUEL e del paragrafo 8 del Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria, di cui all. 4/2 al d.lgs. 23.06.2011, n. 118, della più stringente disciplina che regola l’esercizio provvisorio, “con riguardo al quale anche la previsione e l’erogazione di risorse incentivanti, quale l’incentivo economico a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse alla partecipazione dell’Ente all'accertamento dei tributi erariali, non possono considerarsi sottratte ai suddetti limiti” (SRC Piemonte parere 07.06.2021 n. 92, cfr. anche SRC Abruzzo, parere 09.06.2020 n. 120; SRC Lombardia, parere 06.11.2019 n. 412).
Inoltre, è stato ritenuto che una diversa interpretazione dell’art. 1, c. 1091, l. n. 145/2018, priverebbe di significato l’espressa apposizione di un termine da parte del legislatore, nonché frustrerebbe lo spirito della disposizione, finalizzata alla corretta gestione delle risorse pubbliche e in particolare di quelle relative alla spesa per il personale, precludendo l’erogazione dell’incentivo solo a quei comuni che, non avendo approvato il bilancio nemmeno entro il termine prorogato, sarebbero incorsi nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del Consiglio comunale ex art. 141 TUEL (SRC Lombardia, parere 06.11.2019 n. 412).
Va, poi, dato atto di un recente orientamento formatosi sul termine rilevante, ai fini dell’applicazione dell’art. 1, c. 1091, l. n. 145/2018, per l’approvazione del rendiconto.
Con il parere 10.09.2020 n. 113, la Sezione regionale di controllo per la Lombardia, nel confermare il precedente e sopra riportato orientamento relativo all’individuazione del termine per l’approvazione del bilancio di previsione, ha, difatti, ritenuto che, posta la diversa funzione di tale documento contabile e del rendiconto -rispettivamente preordinati alla programmazione degli interventi e all’allocazione delle relative risorse nell’esercizio finanziario futuro, il primo, e alla rappresentazione delle risultanze della gestione precedente, il secondo- sarebbe privo di senso logico correlare gli anzidetti incentivi all’approvazione del rendiconto esclusivamente entro il termine ordinario del 30 aprile fissato ex art. 151, c. 7, TUEL.
Ciò anche in considerazione del fatto che l’approvazione del rendiconto oltre il termine fissato dal d.lgs. n. 267/2000, ma entro il termine per legge differito, non altera i risultati raggiunti nel precedente esercizio finanziario, né produce alcun effetto sull’avvenuta attività di riscossione da parte del personale che, avendo raggiunto l’obiettivo assegnato, sarebbe pregiudicato dalla mancata corresponsione dell’incentivo pianificato nel bilancio di previsione tempestivamente approvato entro il 31 dicembre.
L’orientamento della Sezione Lombardia si fonda, altresì, sul fatto che la richiesta di parere verteva, in particolare, sul termine di approvazione del rendiconto 2019, prorogato dal d.l. 17.03.2020, n. 18, convertito con legge 24.04.2020 n. 27, che, in quanto norma speciale rispetto al TUEL, deroga al termine fisiologicamente in quest’ultimo indicato.
2.2 Con riferimento al termine rilevante per l’approvazione del bilancio di previsione, il Collegio ritiene possibile una differente interpretazione ai fini dell’applicazione dell’art. 1, c. 1091, l. n. 145/2018.
In primo luogo, a parere della Sezione, andrebbe valorizzato il fatto che l’art. 1, c. 1091, opera un rinvio generico ai termini stabiliti dal TUEL che, per esplicita previsione dello stesso Testo unico, per quanto riguarda il bilancio di previsione possono essere differiti con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze. In altre parole, lo stesso art. 151, c. 1, TUEL, nel fissare per il bilancio di previsione il termine ordinario di approvazione al 31 dicembre, contestualmente prevede la possibilità che questo possa essere differito al ricorrere di giustificate ragioni.
Considerare che l’art. 1, c. 1091, si riferisca esclusivamente al termine del 31 dicembre implicherebbe sostenere che esso operi un rinvio alla sola prima parte dell’art. 151, c. 1, TUEL, mentre il Collegio reputa che il rinvio in esame debba ritenersi esteso anche ai termini stabiliti dagli eventuali decreti ministeriali di proroga dei termini stessi.
Laddove, poi, la data del 31 dicembre (ovvero quella del 30 aprile nel caso del rendiconto), sia prorogata con legge, la successiva disposizione, di pari rango, che concede un nuovo termine opera una deroga, temporalmente limitata, rispetto al termine ordinario del TUEL (sul punto si rimanda anche al ragionamento descritto dalla Sez. Lombardia ne citato parere 10.09.2020 n. 113 in relazione al criterio di specialità). Pertanto, anche nel caso di proroga del termine intervenuta con legge, il rinvio effettuato dall’art. 1, c. 1091, può essere riferito al diverso termine previsto con la successiva –derogatoria e speciale- disposizione.
Inoltre, per quanto concerne le criticità evidenziate in merito all’esercizio provvisorio, si osserva che, sebbene l’approvazione differita del bilancio implichi indubbiamente l’applicazione della disciplina –più restrittiva– di tale tipologia di esercizio, ai sensi dell’art. 163, c. 1, TUEL, va rilevato che la stessa incide solamente sulla gestione finanziaria dell’ente e ha carattere transitorio, venendo meno con l’approvazione del bilancio. Invece, come previsto dall’art. 1, comma 1091, legge n. 145/2018, la destinazione del maggior gettito al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici preposti alla gestione delle entrate o al riconoscimento di trattamento accessorio avviene sulla base dei dati risultanti dal conto consuntivo relativo all’esercizio precedente (e, quindi, necessariamente, in un momento successivo alla chiusura finanziaria della gestione e rispetto all’approvazione del relativo rendiconto, consentendo di poter valutare se gli obiettivi di incremento di accertamenti e riscossioni di IMU e TARI siano stati effettivamente raggiunti).
Infine, con riferimento alla considerazione che un’interpretazione estensiva dell’art. 1, c. 1091, rischierebbe di frustrare lo spirito della disposizione, il Collegio ritiene che ciò che rileva ai fini della corretta applicazione della disposizione in esame è che la destinazione del maggior gettito (da incassare, oltre che da accertare) avvenga nel rispetto degli equilibri di bilancio e dei principi di finanza pubblica (e, quindi, sulla base di idonea programmazione), della corretta e preventiva determinazione degli obiettivi (che trovano fonte nei documenti annuali di perfomance organizzativa e individuale), della destinazione dei soli maggiori incassi (o meglio, di una percentuale di essi) al trattamento accessorio e, infine, della liquidazione sulla base di entrate certe – la cui puntuale determinazione è possibile, appunto, solo con l’approvazione del rendiconto.
Ciò considerato, se tali elementi ricorrono, non si ritiene che l’approvazione del bilancio o del rendiconto entro i termini prorogati dal legislatore o dal Ministero dell’interno possa frustrare lo spirito della norma (tesa a premiare l’effettivo incremento di accertamenti e incassi da IMU e TARI).
Piuttosto, considerare come termini rilevanti di approvazione dei documenti contabili unicamente quelli “ordinari” rischia di vanificare le particolari e spesso eccezionali esigenze poste alla base del loro differimento (si rimanda, ad esempio, alle sopra richiamate disposizioni che hanno differito i termini di approvazione del bilancio 2021, contenute in leggi specificatamente emanate per fronteggiare le conseguenze dell’epidemia da Covid-19 nonché, all’art. 106, c. 3-bis, d.l. n. 34/2020 recante il differimento dei termini di approvazione dei bilanci 2020 e 2021 alla luce “delle condizioni di incertezza sulla quantità delle risorse disponibili per gli enti locali”).
Le ultime disposizioni citate, inoltre, nella quasi totalità dei casi, nulla hanno a che vedere con le azioni programmate dai comuni in materia di incremento degli accertamenti di IMU e TARI, né con l’implementazione delle azioni di miglioramento della riscossione intervenute in corso d’anno, considerato, infine, che dal punto di vista giuridico-contabile, l’approvazione del bilancio di previsione, in un sistema di contabilità finanziaria, costituisce momento di autorizzazione delle spese e delle sole entrate da indebitamento, mentre non autorizza l’attività di accertamento e riscossione delle entrate (cfr. art. 164 d.lgs. n. 267/2000).
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, sospende la pronuncia nel merito e, alla luce delle considerazioni riportate nella parte motiva, delibera di sottoporre al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alla Sezione delle Autonomie, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del decreto legge 10.10.2012, n. 174, o alle Sezioni Riunite in sede di controllo, ai sensi dell’art. 17, comma 31, decreto legge 01.07.2009, n. 78, la seguente questione di massima ai fini dell’adozione di una pronuncia di orientamento generale: “
se la locuzione “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al d.lgs. 18.08.2000, n. 267” per l’approvazione del bilancio preventivo e del conto consuntivo contenuta all’art. 1, c. 1091, della legge n. 145/2018 debba intendersi riferita, per il bilancio di previsione, al termine del 31 dicembre dell’anno precedente (ex art. 151, c. 1, TUEL) e, per il rendiconto, a quello del 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento (ex artt. 151, c. 1, e 227, c. 2, TUEL) ovvero se questa possa intendersi riferita anche al diverso termine prorogato, per il bilancio di previsione, con legge o con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze (ai sensi dell’art. 151, c. 1, ultimo periodo TUEL) e, per il rendiconto, con legge” (Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, deliberazione 05.10.2021 n. 78).

luglio 2021

TRIBUTILa possibilità di utilizzare quota parte del gettito della riscossione dell’imposta municipale propria e della TARI ai sensi dell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018 per il potenziamento degli uffici di gestione delle entrate (anche sotto forma di trattamento accessorio per il personale ivi impiegato) è condizionato all’approvazione del bilancio di previsione entro il 31 dicembre, non rilevando a tal fine la proroga che può essere concessa con apposito decreto ministeriale ai sensi dell’art. 151 del D.Lgs. n. 267 del 2000.
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... il Sindaco del Comune di Pianezza (TO) ha formulato un quesito riguardante l’interpretazione dell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018, chiedendo se, nel caso di tardiva approvazione del bilancio di previsione, sia possibile erogare il compenso incentivante al personale che ha svolto attività di accertamento dell’evasione tributaria.
In particolare, viene specificato che “anche sulla base degli orientamenti espressi, l’applicazione della suddetta norma pare possibile solo nei confronti dei Comuni che hanno approvato il bilancio di previsione entro il 31 dicembre dell’anno precedente ed il rendiconto entro il 30 aprile dell’anno successivo, così come disposto dall’art. 151 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 e dall’art. 1, comma 1091 della legge di bilancio 145/2018”.
Sulla base di tali argomentazioni, viene richiesto se “ai fini di poter riconoscere l’incentivo in argomento al personale dell’ufficio tributi, possa considerarsi valido anche l’eventuale termine successivamente stabilito con Decreto del Ministero dell’Interno in presenza di motivate esigenze, così come previsto dall’art. 151, comma 1, terzo periodo del D.Lgs. 267/2000.
...
Ciò posto, si evidenzia che il quesito formulato dal Comune di Pianezza riguarda l’interpretazione dell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018 per il quale si chiede se, nel caso di tardiva approvazione del bilancio di previsione, sia possibile erogare il compenso incentivante al personale che ha svolto attività di accertamento dell’evasione tributaria
Detto comma 1091, nello specifico, nella sua prima parte prevede che “[f]erme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, possono, con proprio regolamento, prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017, n. 75”.
Sul punto si evidenzia che tale quota di maggiore gettito può essere impiegata, oltre che per il trattamento accessorio del personale, anche per il potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate. La norma, pertanto, è volta ad incentivare gli enti ad impiegare risorse per il potenziamento della riscossione non solo in termini di incentivi economici per il personale impiegato negli uffici preposti alla gestione delle entrate, ma anche per potenziare le dotazioni strumentali di tali uffici.
Per i termini di approvazione del bilancio di previsione, le norme di riferimento del D.Lgs. n. 267 del 2000 sono contenute nell’art. 151.
In particolare, il primo comma di tale articolo prevede che gli enti locali “deliberano il bilancio di previsione finanziario entro il 31 dicembre”. L’ultimo periodo del medesimo comma specifica che “[i] termini possono essere differiti con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze”.
Sulla base del delineato quadro normativo deve trovare soluzione il quesito posto dal Comune di Pianezza.
2. In ordine a tale tematica questa Sezione si è recentemente espressa con il
parere 07.06.2021 n. 92 con la quale ha ritenuto che la possibilità di utilizzare il maggiore gettito accertato e riscosso relativo agli accertamenti dell’imposta municipale propria e della TARI per il potenziamento dell’attività di riscossione sia condizionata all’approvazione del bilancio di previsione entro il 31 dicembre e non anche entro il termine eventualmente prorogato con decreto ministeriale ai sensi dell’art. 151, comma 1, del D.Lgs. n. 267 del 2000.
Con tale deliberazione la Sezione si è uniformata ad un’ormai consolidato orientamento espresso da diverse Sezioni regionali di controllo, a partire dal parere 18.09.2019 n. 52 della Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna con cui è stato posto in evidenza che “l’inciso di cui alla norma citata consente la facoltà di destinare risorse per incentivi al personale per l’accertamento di imposte municipali alla condizione dell’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”, e cioè nei termini previsti dall’art. 163, comma 1, Tuel, e dunque solo nel caso in cui il bilancio di previsione sia approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente”.
Tale orientamento è stato poi ripreso dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia che, con parere 06.11.2019 n. 412 (in senso conforme anche la deliberazione n. 40 del 18.03.2020 della stessa Sezione), ha tra l’altro osservato che “ove si optasse per una diversa interpretazione della norma, vale a dire quella di considerare, ai fini dell’applicazione della stessa, il termine di approvazione del bilancio di previsione prorogato (il 31.03.2019), si finirebbe per privare di significato l’espressa apposizione di un termine da parte del legislatore (“... i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267...”), considerato che la disposizione normativa sarebbe applicabile praticamente a tutti gli enti che hanno approvato il bilancio di previsione (entro il 31.03.2019), rimanendone esclusi solo ed esclusivamente quelli che, non avendolo approvato neanche nel termine prorogato, incorrerebbero nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del Consiglio comunale di cui all’art. 141 del Tuel; evenienza, quest’ultima, che sarebbe, comunque, ostativa a qualsivoglia atto di gestione o di disposizione delle risorse di bilancio da parte dell’ente”.
La Sezione regionale di controllo per la Toscana, a sua volta, con parere 23.04.2020 n. 46, ha ritenuto che l’inciso contenuto nell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018 riguardante i tempi di approvazione dei documenti di bilancio “non può che essere interpretato in coerenza con lo spirito della norma che lo contiene, e, dunque, in un’ottica di contenimento e corretta gestione delle risorse pubbliche, con riferimento alla spesa di personale”. In argomento detta Sezione regionale ha osservato che “[a]mmettere un’interpretazione estensiva dell’inciso normativo, tale da ricomprendere anche le ipotesi di approvazione del bilancio di previsione entro il diverso termine fissato con decreto ministeriale motivato significherebbe, infatti, frustrare lo spirito della norma, consentendo l’erogazione dell’incentivo da parte di tutti i Comuni che abbiano comunque approvato il bilancio, rispettando almeno uno dei due termini”.
In senso conforme si è pronunciata anche la Sezione regionale per l’Abruzzo con il parere 09.06.2020 n. 120.
Per quanto esposto, questa Sezione conferma l’orientamento già espresso con il richiamato
parere 07.06.2021 n. 92, uniformandosi al consolidato orientamento espresso dalle diverse Sezioni regionali di controllo.
Nello specifico, si ritiene che la possibilità di utilizzare quota parte del gettito della riscossione dell’imposta municipale propria e della TARI ai sensi dell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018 per il potenziamento degli uffici di gestione delle entrate (anche sotto forma di trattamento accessorio per personale ivi impiegato) è condizionato all’approvazione del bilancio di previsione entro il 31 dicembre, non rilevando a tal fine la proroga che può essere concessa con apposito decreto ministeriale. Ammettere che si possa riconoscere, ai fini dell’applicazione della norma in commento, la possibilità di approvare il bilancio di previsione entro l’ulteriore termine indicato dal decreto ministeriale previsto dall’art. 151, primo comma, comporterebbe un improprio ampliamento dell’indicazione data dal legislatore avendo fatto lo stesso riferimento “ai termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”.
3. In conclusione, la Sezione, sulla base delle predette argomentazioni e tenendo conto della giurisprudenza menzionata, ritiene che la possibilità di utilizzare quota parte del gettito della riscossione dell’imposta municipale propria e della TARI ai sensi dell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018 per il potenziamento degli uffici di gestione delle entrate (anche sotto forma di trattamento accessorio per personale ivi impiegato) è condizionato all’approvazione del bilancio di previsione entro il 31 dicembre, non rilevando a tal fine la proroga che può essere concessa con apposito decreto ministeriale ai sensi dell’art. 151 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 02.07.2021 n. 96).

giugno 2021

TRIBUTI: In tema di erogazione degli incentivi economici al personale per il conseguimento degli obiettivi assegnati nelle attività di accertamento dei tributi erariali, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1091, della Legge 30.12.2018, n. 145 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”).
La facoltà di accantonare una quota di gettito tributario per destinarla al “trattamento accessorio del personale dipendente” non è riconosciuta indistintamente a favore di tutti i Comuni, bensì a favore dei soli Comuni che abbiano adottato il bilancio di previsione ed il consuntivo “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”.
Tale inciso, infatti, non può che essere interpretato in coerenza con lo spirito della norma che lo prevede, e, dunque, in un’ottica di contenimento e corretta gestione delle risorse pubbliche, con riferimento alla spesa di personale; con la conseguenza che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1, comma 1091, della L. n. 145/2019, “i termini stabiliti dal testo unico” specificatamente per l’approvazione del bilancio di previsione sono i termini di cui all’art. 151, comma 1, prima parte, TUEL, cioè il 31 dicembre dell’anno precedente, termini per così dire “ordinari” per l’approvazione del bilancio di previsione: un’interpretazione estensiva dell’inciso normativo, tale da ricomprendere anche l’ipotesi di approvazione del bilancio di previsione entro il diverso termine fissato con decreto ministeriale motivato in base all’ultima parte del citato art. 151, comma 1, TUEL, significherebbe, infatti, frustrare lo spirito della norma, consentendo l’erogazione dell’incentivo da parte di tutti i Comuni che abbiano comunque approvato il bilancio, rispettando almeno uno dei due termini.
E, del resto, l’adozione del bilancio di previsione oltre il termine fisiologicamente indicato del 31 dicembre determina conseguenze ben precise sul piano della gestione finanziaria dell’Ente, come previsto dall’art. 163 TUEL e dallo stesso D.Lgs. n. 118 del 2011, al punto 8 dell’allegato 4/2.
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Con nota indicata in epigrafe il Sindaco del Comune di Trecate (NO) ha formulato una richiesta di parere in tema di erogazione degli incentivi economici al personale per il conseguimento degli obiettivi assegnati nelle attività di accertamento dei tributi erariali, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1091, della Legge 30.12.2018, n. 145 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”).
In particolare, in argomento, l’istante chiede alla Sezione “di esprimere un’interpretazione in merito alla possibilità di prevedere nel redigendo regolamento degli incentivi economici per i dipendenti derivante dall’attività di accertamento delle entrate, una disposizione che subordini l’erogazione dei compensi all’avvenuta approvazione del bilancio di previsione nei termini stabiliti dall’art. 151, comma I, del D.lgs. n. 267/2000 e s.m.i., senza operare alcuna distinzione tra il termine generale stabilito dalla parte I del comma citato e l’ulteriore termine, differito per legge o per decreto, previsto nella seconda parte del medesimo comma.
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Ciò premesso, con riguardo all’esame del quesito posto dal Comune di Trecate la trattazione nel merito, nei limiti sopra espressamente indicati, prende le mosse dall’inquadramento normativo della materia oggetto del medesimo, in base alla disposizione già richiamata.
In particolare, l’art. 1, comma 1091, della Legge n. 145/2018, cit., dispone che: “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all' articolo 52 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, possono, con proprio regolamento, prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all' articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017, n. 75. La quota destinata al trattamento economico accessorio, al lordo degli oneri riflessi e dell'IRAP a carico dell'amministrazione, è attribuita, mediante contrattazione integrativa, al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, anche con riferimento alle attività connesse alla partecipazione del comune all'accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti, in applicazione dell' articolo 1 del decreto-legge 30.09.2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 02.12.2005, n. 248. Il beneficio attribuito non può superare il 15 per cento del trattamento tabellare annuo lordo individuale. La presente disposizione non si applica qualora il servizio di accertamento sia affidato in concessione”.
Il testo di legge prevede, dunque, la possibilità per i Comuni di accantonare una quota di gettito tributario per destinarla al “potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente”.
Tuttavia, appare evidente dallo stesso tenore letterale della norma in parola che la facoltà di erogare il trattamento accessorio anzidetto non è riconosciuta indistintamente a favore di tutti i Comuni, bensì a favore dei soli Comuni che abbiano adottato il bilancio di previsione ed il consuntivo “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”.
Tale inciso, peraltro, non può che essere interpretato in coerenza con lo spirito della norma che lo prevede, e, dunque, in un’ottica di contenimento e corretta gestione delle risorse pubbliche, con riferimento alla spesa di personale; con la conseguenza che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1, comma 1091, della L. n. 145/2019 citata, “i termini stabiliti dal testo unico” specificatamente per l’approvazione del bilancio di previsione sono i termini di cui all’art. 151, comma 1, prima parte, TUEL, cioè il 31 dicembre dell’anno precedente, termini per così dire “ordinari” per l’approvazione del bilancio di previsione: un’interpretazione estensiva dell’inciso normativo, tale da ricomprendere anche l’ipotesi di approvazione del bilancio di previsione entro il diverso termine fissato con decreto ministeriale motivato in base all’ultima parte del citato art. 151, comma 1, TUEL, significherebbe, infatti, frustrare lo spirito della norma, consentendo l’erogazione dell’incentivo da parte di tutti i Comuni che abbiano comunque approvato il bilancio, rispettando almeno uno dei due termini (cfr., in tal senso, la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Toscana parere 23.04.2020 n. 46; nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza contabile consolidata, e, in particolare: la Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna parere 18.09.2019 n. 52; la Sezione regionale di controllo per la Lombardia parere 06.11.2019 n. 412 e parere 23.03.2020 n. 40, e la Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo parere 09.06.2020 n. 120).
Infatti, tale diversa opzione ermeneutica, quella cioè che considerasse, ai fini dell’applicazione della disposizione di cui all’art. 1, comma 1091, della L. n. 145/2018, il termine di approvazione del bilancio di previsione prorogato (il 31 marzo), finirebbe per privare di significato l’espressa apposizione di un termine da parte del legislatore (“… i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267…”), posto che “la disposizione normativa sarebbe applicabile praticamente a tutti gli enti che hanno approvato il bilancio di previsione (entro il 31.03.2019), rimanendone esclusi solo ed esclusivamente quelli che, non avendolo approvato neanche nel termine prorogato, incorrerebbero nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del Consiglio comunale di cui all’art. 141 del Tuel; evenienza, quest’ultima, che sarebbe, comunque, ostativa a qualsivoglia atto di gestione o di disposizione delle risorse di bilancio da parte dell’Ente” (v., in questi termini, la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Lombardia parere 06.11.2019 n. 412 cit.).
D’altra parte, l’adozione del bilancio di previsione oltre il termine fisiologicamente indicato del 31 dicembre determina conseguenze ben precise sul piano della gestione finanziaria dell’Ente; in tal caso, infatti, il legislatore, all’art. 163 TUEL, “limita l’attività gestionale dell’ente ad una serie di attività tassativamente indicate e tra esse non può rientrarvi quella della destinazione di incentivi al personale; e ciò in base alla sottesa considerazione concernente la fase di criticità in cui versa quell’ente che non sia in grado di corrispondere al fondamentale obiettivo della tempestiva approvazione del bilancio di previsione, dal che discende, ex lege, una gestione di tipo provvisorio dell’ente e limitata a specifiche attività” (cfr., così, la deliberazione della Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna parere 18.09.2019 n. 52 cit.).
E, del resto, anche il D.Lgs. n. 118 del 2011, al punto 8 dell’allegato 4/2 denominato “principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria”, sostanzialmente conferma la disciplina limitativa dell’art. 163, comma 3 e seguenti, Tuel, con la conseguenza che il Comune si troverà ad operare in un regime restrittivo, in cui l’attività gestionale è limitata ad una serie di attività tassativamente indicate e con riguardo al quale anche la previsione e l’erogazione di risorse incentivanti, quale l’incentivo economico a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse alla partecipazione dell’Ente all'accertamento dei tributi erariali, non possono considerarsi sottratte ai suddetti limiti (v., così, la deliberazione della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo parere 09.06.2020 n. 120 cit.).
Il Collegio, pertanto, non ha ragione di discostarsi dalle esaustive e condivisibili considerazioni formulate nelle deliberazioni di questa Corte sopra richiamate, concludendo nel senso di considerare, quale condizione di applicabilità dell’art. 1, comma 1091, della L. n. 145/2018, il termine del 31 dicembre ai sensi dell’art. 151, comma 1, prima parte, Tuel, alla luce, peraltro, della perentoria lettera della norma che esplicitamente si riferisce ai “comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”, fermo che in caso di autorizzazione al differimento dei termini ordinari l’Ente prosegue la propria attività in regime finanziario di esercizio provvisorio con le limitazioni alla gestione finanziaria di cui all’art. 163 Tuel e al D.Lgs. n. 118/2011, che, certamente, impediscono anche l’erogazione degli incentivi in esame (Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 07.06.2021 n. 92).

settembre 2020

TRIBUTILa modifica di aliquote e tariffe di tributi per gli enti che hanno gia’ approvato il bilancio di previsione 2020-2022.
Domanda
Il mio comune ha già approvato il bilancio di previsione 2020-2022 lo scorso 13 febbraio. E’ ancora possibile intervenire sulle aliquote tributarie?
Risposta
Come è ormai noto, la crisi da Covid-19 ha comportato l’ulteriore differimento del termine per l’approvazione del bilancio di previsione 2020-2022 al 30 settembre prossimo. A farlo, da ultimo, è stato l’art. 106, comma 3-bis, del d.l. 34/2020 aggiunto dalla legge di conversione n. 77 del 17.07.2020.
Il dubbio del lettore è condiviso –oggi come in passato– da molti amministratori locali e responsabili finanziari. Su di esso è intervenuta incidentalmente Ifel con propria nota del 7 agosto scorso (qui il testo integrale della nota). Dopo aver analizzato nel dettaglio gli effetti del differimento di detto termine sulla scadenza dei termini per l’approvazione di regolamenti, tariffe e aliquote dei tributi locali, la nota ha affrontato proprio il tema oggetto del quesito.
Ifel conferma il proprio orientamento ormai consolidato da anni secondo il quale la proroga dei termini di legge per l’approvazione del bilancio di previsione consente ai comuni, anche laddove la sua approvazione sia già avvenuta, di modificare la propria disciplina tributaria. Ciò, a maggior ragione nel caso di variazioni dettate da sopravvenute modifiche del quadro normativo di riferimento o da situazioni di emergenza quale è proprio quella derivante dal Covid-19.
La variazione di gettito conseguente alla determinazione di diverse aliquote tributarie, rispetto a quelle a suo tempo approvate unitamente al bilancio di previsione, dovrà essere accompagnata o seguita da una coerente variazione di bilancio, debitamente motivata, senza che vi sia “alcun obbligo di procedere alla ripetizione ex novo del processo di formazione del bilancio”. Ricorda poi Ifel che allo stesso modo si è espresso a suo tempo il MEF con propria risoluzione n. 1/DF del 02/05/2011 (qui il testo integrale).
In quell’occasione il MEF, pur rilevando che le delibere di approvazione delle tariffe ed aliquote costituiscono un allegato al bilancio di previsione, dà atto che nel caso in cui questo sia già stato approvato, l’ente può legittimamente approvare o modificare le delibere tariffarie, unitamente alla contestuale variazione del bilancio di previsione medesimo, senza necessità, appunto, di una sua riapprovazione integrale.
Sul tema, ricorda infine la nota IFEL, era intervenuta anche la VI Commissione Finanze, con la risoluzione del 21.11.2013, nella quale si afferma “(…) come il competente Ministero dell’Interno esprima l’avviso che le eventuali modifiche da apportare al bilancio di previsione da parte degli enti, che tengano conto delle intervenute novità introdotte nei regolamenti riguardanti le entrate tributarie dell’ente, possano essere recepite attraverso successive apposite variazioni al documento contabile già approvato da parte dei comuni, senza che sia indispensabile l’integrale approvazione di nuovo bilancio”.
Quindi, in conclusione: piena libertà per tutti gli enti (con bilancio già approvato ovvero ancora da approvare) di intervenire sulle proprie aliquote e tariffe tributarie entro il prossimo 30 settembre, naturalmente nel rispetto degli equilibri di bilancio, ad esclusione di Icp e Dpa che devono essere deliberate entro il 31 marzo. In caso di mancata adozione della deliberazione, si intendono prorogate le tariffe vigenti (14.09.2020 - link a www.publika.it).

TRIBUTIGli incentivi per il recupero dell'evasione tributaria spettano anche se il rendiconto è approvato entro il 30.06.2020.
La Corte dei conti della Lombardia torna ad affrontare la questione della spettanza degli Incentivi previsti per il recupero dell'evasione Imu e Tari nel caso di mancata approvazione dei termini ordinariamente stabiliti dal testo unico degli enti locali, giungendo tuttavia, per il rendiconto, a una conclusione diversa da quella sostenuta per il bilancio di previsione.
L'incentivo al recupero dell'evasione
L'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018 ha dopo alcuni anni reintrodotto la possibilità per i Comuni di prevedere degli Incentivi in favore del personale addetto al recupero dell'evasione tributaria, destinando a questo fine una parte del maggior gettito accertato e riscosso riferito all'Imu e alla Tari, nell'anno precedente a quello di riferimento, risultante dal rendiconto.
La disposizione tuttavia subordina la possibilità di operare la destinazione delle somme (nel limite massimo del 5 per cento) all'avvenuta approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto della gestione entro i termini previsti dal testo unico degli enti locali.
L'interpretazione della Corte dei conti
La questione ha da subito ingenerato dei dubbi interpretativi, in particolare nel caso in cui i Comuni abbiano approvato il bilancio di previsione oltre il termine del 31 dicembre dell'anno precedente, previsto dall'articolo 151 del Tuel, ma comunque entro il termine differito dal decreto ministeriale (o dalla norma di legge nel caso dell'anno 2020). Diverse sezioni regionali della Corte dei conti, (Emilia Romagna, parere 18.09.2019 n. 52; Lombardia, deliberazioni parere 06.11.2019 n. 412 e parere 23.03.2020 n. 40; Toscana, parere 23.04.2020 n. 46; Abruzzo, parere 09.06.2020 n. 120), hanno sostenuto che la mancata approvazione del bilancio di previsione dell'anno di riferimento entro il termine del 31 dicembre dell'anno precedente, precluda la destinazione delle somme all'incentivazione del recupero delle entrate, anche se l'approvazione avvenga entro il maggior termine stabilito dall'apposito decreto ministeriale.
Ciò in quanto una diversa interpretazione della norma frustrerebbe lo spirito della stessa, dettata in un'ottica di contenimento e di corretta gestione delle spese pubbliche, con particolare riferimento alle spese del personale. Diversamente opinando la norma sarebbe applicabile praticamente a tutti gli enti, escludendo solo quelli che approvano il bilancio in ritardo rispetto alla legge. Peraltro, ricorda la Corte, nell'evenienza dell'approvazione del bilancio oltre il 31 dicembre, anche se nel termine di legge, l'ente si troverebbe ad operare per il suddetto periodo in esercizio provvisorio, riducendosi la sua attività a quelle tassativamente previste dalla legge, tra le quali non vi rientra la destinazione di Incentivi al personale.
L'approvazione del rendiconto entro il 30.06.2020
Per la Corte lombarda (parere 10.09.2020 n. 113) tuttavia una siffatta interpretazione restrittiva non sarebbe da applicarsi alla mancata approvazione del rendiconto entro il termine del 30 aprile, purché lo stesso sia approvato entro il termine differito dalla legge. Come è noto, infatti, il termine per approvare il rendiconto dell'anno 2019 è stato differito, per la situazione emergenziale derivante dalla diffusione del virus Covid-19, al 30.06.2020 (articolo 107 del Dl 18/2020).
Questo perché, ha evidenziato la Corte, "l'approvazione del rendiconto entro il 30.06.2020, termine fissato per effetto di proroga legislativa dal Dl 18/2020 onde consentire all'ente locale gli adempimenti contabili non perfezionati a causa della situazione emergenziale da Covid-2019, non altera di per sé i risultati raggiunti nel precedente esercizio finanziario, di cui si rende conto, e non produce alcun effetto sull'avvenuta attività di riscossione, nel medesimo esercizio, da parte del personale; quest'ultimo, avendo raggiunto l'obiettivo assegnato, sarebbe pregiudicato dalla mancata corresponsione dell'incentivo pianificato nel bilancio di previsione tempestivamente approvato entro il 31 dicembre".
Stante la diversa funzione dei documenti contabili, preordinato alla programmazione degli interventi e all'allocazione delle risorse, il bilancio di previsione, e alla rappresentazione delle risultanze della gestione, il rendiconto, non ha senso logico correlare gli Incentivi all'approvazione del rendiconto entro il 30 aprile dell'anno successivo, perché l'approvazione del rendiconto 2019 entro il 30.06.2020 si atteggia ugualmente a tempestiva adempienza contabile del Comune, richiesta dalla norma in commento quale condizione di applicabilità degli incentivi, vale a dire il rendere conto tempestivamente e certi i risultati della gestione dell'esercizio finanziario ormai passato.
Inoltre, deve prevalere nella situazione emergenziale, la specialità della norma del Dl 18/2020 che ha derogato all'ordinario termine di approvazione del rendiconto.
In conclusione, le previsioni del comma 1091 sono applicabili se l'ente ha approvato il bilancio di previsione entro il 31 dicembre precedente ed ha approvato il rendiconto entro il termine differito del 30.06.2020.
Resta invece precluso il ricorso all'istituto per i Comuni che non hanno approvato il bilancio di previsione entro il 31 dicembre dell'anno precedente, secondo la rigorosa interpretazione della Corte dei conti, posizione che, a questo punto, può superarsi solo con un intervento chiarificatore del legislatore, più volte sollecitato anche dall'Anutel. Specie in questo anno di emergenza in cui molti Comuni devono ancora approvare il bilancio, pur impegnando comunque il personale nella delicata operazione di recupero delle entrate specie tributarie, in alcuni casi ancora più necessaria per preservare i delicati equilibri del bilancio degli enti (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 22.09.2020).

TRIBUTIIncentivi antievasione IMU e TARI ai dipendenti anche con il rendiconto approvato dopo il 30 aprile.
Possono essere corrisposti gli incentivi economici a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse al recupero dei tributi erariali (Imu e Tari) anche nell'ipotesi in cui l'approvazione del rendiconto è intervenuta successivamente al 30 aprile (ma comunque entro il termine prorogato dal legislatore con norma di carattere eccezionale), purché il bilancio di previsione sia stato approvato entro il 31 dicembre.

È questa l'importante indicazione fornita dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia col parere 10.09.2020 n. 113.
Il comma 1091 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019 ha previsto la possibilità per i Comuni di destinare una quota delle risorse derivanti dal recupero dell'evasione dell'imposta municipale propria (Imu) e della Tari al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite stabilito dall'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017 n. 75.
Tra le condizioni che la norma pone per la sua applicazione vi è quella secondo la quale l'ente deve aver approvato il bilancio di previsione e il rendiconto «entro i termini stabiliti dal Tuel».
Ma come impattano sulla corresponsione di questi incentivi le disposizioni contenute nel decreto «Cura Italia» che hanno comportato la proroga della scadenza del 30.04.2020, fissata dall'articolo 151, comma 7, del Tuel, al 30.06.2020?
Questo l'oggetto della richiesta di parere formulata alla Corte dei conti territorialmente competente da un ente locale.
I giudici contabili lombardi ricordano come si sia consolidato l'orientamento restrittivo nella lettura della norma secondo il quale gli incentivi economici a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse al recupero dei tributi erariali (Imu e Tari) possono essere corrisposti solo se l'ente approva il bilancio di previsione entro il 31 dicembre dell'anno precedente e non anche il termine differito con decreto ministeriale o con legge a norma dell'articolo 163, comma 3, del Dlgs 267/2000 (si veda Enti locali & Edilizia del 27.11.2019).
A diversa conclusione sembra giungersi nel caso dell'approvazione del rendiconto, il cui termine fissato al 30.06.2020 per effetto di proroga legislativa dal decreto «Cura Italia» onde consentire all'ente locale gli adempimenti contabili non perfezionati a causa della situazione emergenziale da Covid-2019.
Ad avviso dei giudici, infatti, l'approvazione del rendiconto entro il 30.06.2020 non altera di per sé i risultati raggiunti nel precedente esercizio finanziario, di cui si rende conto, e non produce alcun effetto sull'avvenuta attività di riscossione, nel medesimo esercizio, da parte del personale; quest'ultimo, avendo raggiunto l'obiettivo assegnato, sarebbe pregiudicato dalla mancata corresponsione dell'incentivo pianificato nel bilancio di previsione tempestivamente approvato entro il 31 dicembre.
In conclusione, laddove il bilancio di previsione è approvato entro il 31 dicembre, l'approvazione del rendiconto intervenuta successivamente al 30.04.2020 ed entro il termine prorogato (al 30.06.2020) dal legislatore con norma di carattere eccezionale (qual è il Dl 18/2020 che ha carattere di specialità dettato dal contesto emergenziale e di urgenza da Covid-19, nel quale gli enti sono tenuti ad operare) consente la corresponsione degli incentivi economici a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse al recupero dei tributi erariali (Imu e Tari) (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 16.09.2020).
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MASSIMA
Laddove il bilancio di previsione sia approvato entro il 31 dicembre, l’approvazione del rendiconto intervenuta successivamente al 30.04.2020 ed entro il termine prorogato dal legislatore con norma di carattere eccezionale consente l’applicazione delle previsioni di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018, in tema di incentivi economici al personale per il conseguimento degli obiettivi assegnati nelle attività di accertamento dei tributi erariali.
PARERE
Con la nota indicata in epigrafe il Sindaco del Comune di Sermide e Felonica (MN) ha presentato una richiesta di parere volta a superare i dubbi interpretativi relativi alle condizioni di applicabilità della previsione recata dall’art. 1, comma 1091 della legge n. 145 del 2018, nella parte in cui subordina all’avvenuta approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267,” la possibilità per i comuni di riconoscere, con proprio regolamento, l’erogazione di un compenso incentivante al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, anche con riferimento alle attività correlate all'accertamento dei tributi erariali non riscossi.
Premesso che con deliberazione dell’organo esecutivo dell’ente n. 73 del 01/08/2019 è stato approvato il “Regolamento gestione incentivi entrate” e che sono stati assegnati al servizio tributi obiettivi in tema di “attività di controllo dichiarazioni e versamento IMU, al fine di ridurre gli insoluti”, l’istante evidenzia l’avvenuta approvazione del bilancio di previsione 2020–2022 entro i termini previsti dal D.Lgs. n. 267/2000, avvalendosi, di contro, della proroga straordinaria prevista dal D.L. n. 18 del 2000, dettata dall’emergenza epidemiologica da COVID–2019, ai fini dell’approvazione del rendiconto 2019, avvenuta con delibera consiliare n. 15 del 18.06.2020.
Premesso ed evidenziato quanto sopra, il rappresentante legale dell’ente “chiede di conoscere se l’obbligo dell’approvazione del rendiconto entro il 30/04/2020, termine previsto dal D.Lgs. n. 267/2000, si applichi anche al rendiconto dell’esercizio 2019.
...
La richiesta di parere sopra riportata si incentra sull’individuazione del termine entro il quale l’Ente deve approvare il rendiconto 2019 al fine di poter procedere all’erogazione dell’incentivo al personale, previsto dall’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018; ciò alla luce della sopravvenienza normativa (D.L. n. 18 del 2020 c.d. “Cura Italia” convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 24.04.2020, n. 27) che ha comportato la proroga della scadenza del 30.04.2020, fissata dall’art. 151, comma 7, del D.Lgs. n. 267/2000, al 30.06.2020.
Il comma 1091 dell’art. 1, sopra citato, nel riconoscere ai comuni la possibilità di prevedere, con proprio regolamento, che “il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate”, pone, quale condizione alla regolamentazione comunale, l’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”.
Il parere richiesto, volto a chiarire i dubbi interpretativi sul rispetto di tale condizione di applicabilità degli incentivi alla luce dei sopravvenuti mutamenti legislativi che differiscono il termine di approvazione del rendiconto 2019, postula un’attività interpretativa del già menzionato enunciato normativo (art. 1, comma 1091, l. n. 145/2018) entro le coordinate fissate dall’art. 12 delle preleggi e dai principi giuridici che regolano il rapporto tra norme regolatrici di una determinata fattispecie.
Ai sensi di tale ultimo disposto, al dato normativo non va attribuito altro senso che il significato letterale, ossia quello proprio delle parole che lo enunciano, secondo la connessione tra le stesse (interpretazione letterale), e quello rispondente allo scopo obiettivo perseguito dal legislatore (interpretazione teleologica).
Laddove, tuttavia, la lettera della legge dia adito a ragionevoli dubbi in merito al significato da attribuire alla disposizione normativa soccorre la c.d. interpretazione correttiva, che ne estende il significato oltre il dato letterale (interpretazione estensiva) o esclude dall’ambito applicativo della disposizione medesima fattispecie che in base al criterio letterale potrebbero esservi ricomprese (interpretazione restrittiva).
Trasponendo tali brevi riflessioni in punto di diritto al disposto ex art. 1, comma 1091, della legge di bilancio 2019, nella parte in cui postula, quale condizione di applicabilità degli incentivi in parola, il rispetto dei termini di cui al D.Lgs. n. 267/2000, è bene sottolineare come ormai sia consolidato l’orientamento della giurisprudenza contabile nel riconoscere soddisfatta la condizione medesima, con riferimento all’approvazione del bilancio di previsione, solo se l’ente locale lo approvi entro il 31 dicembre e non entro i termini prorogati in conseguenza di modifiche normative.
Nel dettaglio, plurime deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti subordinano gli incentivi economici in esame al rispetto del termine ordinario stabilito dal Tuel nel comma 1 dell’art. 151, ossia il 31 dicembre, e non di quello eventualmente differito con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze, giusta previsione del medesimo comma dell’articolo citato, u. c.
Ricomprendere anche tale ultima ipotesi nell’alveo applicativo dell’inciso normativo di cui al comma 1091 dell’art. 1 della legge 145/2018 frusterebbe lo spirito della norma, dettata in un’ottica di contenimento e di corretta gestione delle risorse pubbliche, con riferimento alla spesa del personale.
Come rilevato da questa Sezione nel parere reso con parere 06.11.2019 n. 412, e ribadito dalla stessa nel successivo parere 23.03.2020 n. 40, una simile lettura della disposizione in esame comporterebbe che la stessa sarebbe applicabile praticamente a tutti gli enti che hanno approvato il bilancio di previsione, entro il termine ordinario o differito, “rimanendone esclusi solo ed esclusivamente quelli che, non avendolo approvato neanche nel termine prorogato, incorrerebbero nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del Consiglio comunale di cui all’art. 141 del Tuel; evenienza, quest’ultima, che sarebbe, comunque, ostativa a qualsivoglia atto di gestione o di disposizione delle risorse di bilancio da parte dell’ente”.
A suggellare la restrittiva ricostruzione esegetica operata dal giudice contabile concorre altresì il regime limitativo, sostanzialmente confermato dal D.Lgs. n. 118 del 2011, in cui incorre l’ente nel corso dell’esercizio provvisorio per effetto dell’approvazione del bilancio di previsione entro il termine differito con decreto ministeriale o con legge (art. 163, comma 3, Tuel); regime che riduce l’attività gestionale ad una serie di attività tassativamente indicate nella quale non può rientrarvi quella della destinazione di incentivi al personale.
Di converso, argomentazioni differenti sorreggono una lettura meno restrittiva della norma in commento, con riferimento al rispetto del termine per l’approvazione del rendiconto, fissato dall’art. 151, comma 7, Tuel al 30 aprile dell’esercizio n+1, quale condizione di applicabilità dell’incentivo economico al personale dell’ente locale in caso di positivo riscontro del raggiungimento degli obiettivi assegnati del “settore entrate”.
L’approvazione del rendiconto entro il 30.06.2020, termine fissato per effetto di proroga legislativa dal D.L. n. 18/2020 onde consentire all’ente locale gli adempimenti contabili non perfezionati a causa della situazione emergenziale da Covid 2019, non altera di per sé i risultati raggiunti nel precedente esercizio finanziario, di cui si rende conto, e non produce alcun effetto sull’avvenuta attività di riscossione, nel medesimo esercizio, da parte del personale; quest’ultimo, avendo raggiunto l’obiettivo assegnato, sarebbe pregiudicato dalla mancata corresponsione dell’incentivo pianificato nel bilancio di previsione tempestivamente approvato entro il 31 dicembre.
Posta la diversa funzione dei documenti contabili richiamati dal comma 1091 dell’art. 1, citato, ossia il bilancio di previsione e il rendiconto dell’ente, rispettivamente preordinati alla programmazione degli interventi e all’allocazione delle relative risorse nell’esercizio finanziario futuro, il primo, e alla rappresentazione delle risultanze della gestione precedente, il secondo, sarebbe privo di senso logico correlare gli anzidetti incentivi all’approvazione del rendiconto 2019 esclusivamente entro il termine ordinario del 30 aprile fissato ex art. 157 del D.Lgs. 267/2000.
Per effetto del sopravvenuto mutamento legislativo di proroga, preordinato a consentire agli enti gli adempimenti contabili cui sono tenuti per legge, l’approvazione del rendiconto 2019 entro il 30.06.2020 si atteggia ugualmente a tempestiva adempienza contabile del comune, richiesta dalla norma in commento quale condizione di applicabilità degli incentivi, vale a dire il rendere conto tempestivamente e certi i risultati della gestione dell’esercizio finanziario ormai passato.
Orienta l’interprete nella soluzione indicata anche il criterio di specialità, il quale ricorre in presenza di una norma speciale dettata per regolare una fattispecie che presenta elementi aggiuntivi rispetto a quella generale, di cui ne ripete tuttavia il nucleo fondamentale.
Il D.L. n. 18 del 2020 (c.d. “Cura Italia”), per quanto ci occupa in tale sede, nel dettare misure straordinarie onde evitare la paralisi degli enti, rappresenta l’eccezione, il cui elemento di specialità è rappresentato proprio dal contesto emergenziale e di urgenza da Covid–2019, nel quale gli stessi sono tenuti ad operare.
Ne deriva che la previsione in esso dettata, relativamente al riferimento temporale per l’approvazione del rendiconto 2019, deroga al termine fisiologicamente indicato nel D.Lgs. n. 267/2000 cui rinvia l’art. 1, comma 1091, della legge di bilancio 2019; effetto tipico, questo, della prevalenza della norma speciale su quella generale, la cui latitudine applicativa verrà ripristinata alla cessazione di efficacia della prima per il venir meno del profilo di specialità che ha giustificato l’esigenza del legislatore nel prevederla.
In via conclusiva,
laddove il bilancio di previsione sia approvato entro il 31 dicembre, l’approvazione del rendiconto intervenuta successivamente al 30.04.2020 ed entro il termine prorogato dal legislatore con norma di carattere eccezionale consente l’applicazione delle previsioni di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018, in tema di incentivi economici al personale per il conseguimento degli obiettivi assegnati nelle attività di accertamento dei tributi erariali (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 10.09.2020 n. 113).

TRIBUTIQuesto Comune, ha confermato, nel proprio regolamento IMU aggiornato alla L. 27.12.2019, n. 160 appena approvato, la riduzione del 50% del tributo per gli immobili concessi in comodato d'uso ai parenti in linea retta entro il primo grado (come previsto dalla Legge di Stabilità 2016 - art. 1, comma 10, L. 28.12.2015, n. 208).
Si chiede se, in base alla nuova normativa introdotta dal 01.01.2020, tale agevolazione sia riconoscibile al dichiarante anche senza la registrazione del contratto di comodato.

Per rispondere al quesito proposto non possiamo che riprendere testualmente la previsione di cui all'art. 1, comma 747, Legge di Bilancio per il 2020 (L. 27.12.2019, n. 160) che ha istituito la c.d. "Nuova IMU" a decorrere dal 01.01.2020 abrogando le previgenti disposizioni in materia di componente IMU dell'Imposta Unica Comunale (IUC).
La richiamata disposizione infatti prevede che "la base imponibile è ridotta del 50 per cento nei seguenti casi ….. c) per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda una sola abitazione in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l'immobile concesso in comodato".
Pertanto, anche a seguito delle precisazioni offerte dal Dipartimento delle finanze con propria Ris. 17.02.2016, n. 1/DF emanata sull'impianto normativo della "vecchia IMU" (che sostanzialmente è ripreso dalla nuova normativa), non possiamo che affermare che tale beneficio può essere concesso, in materia di IMU, solamente nel caso in cui l'immobile venga concesso in comodato d'uso tra parenti in linea retta entro il primo grado, alle condizioni stabilite, soltanto previa stipula e registrazione di apposito contratto di comodato, escludendo, al momento, altre possibilità di riconoscere l'agevolazione di cui trattasi.
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Riferimenti normativi e contrattuali
Ris. 17.02.2016, n. 1/DF - Art. 1, comma 747, L. 27.12.2019, n. 160 (09.09.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

luglio 2020

TRIBUTI: C. Montanari, Incentivi al personale per il recupero dell’evasione tributaria (Azienditalia Enti Locali n. 7/2020). 
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Lo scritto intende approfondire le condizioni alle quali è possibile l’erogazione degli incentivi al personale previsti dall’art. 1, comma 1091, Legge n. 145/20018, per il recupero dell’evasione tributaria IMU e TARI.

giugno 2020

TRIBUTI: L'ufficio Tributi di questo Comune intende procedere alla notifica dei c.d. "accertamenti esecutivi" durante il periodo di sospensione "Covid".
Quale è l'attuale disciplina con riferimento al termine attuale fissato al 31 agosto?

Per rispondere al quesito proposto occorre innanzitutto ripercorrere le tappe fondamentali della normativa di cui trattasi.
In primis
, fu il comma 1 dell'art. 67, D.L. 17.03.2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 24.04.2020, n. 27 a stabilire la sospensione, dall'8 marzo al 31.05.2020, dei termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori, ivi compresi quelli degli enti locali. È bene sottolineare che comunque questa disposizione non sospende l'attività degli enti impositori ma prevede esclusivamente la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza delle predette attività nel periodo individuato.
Il comma 1 dell'art. 68 dello stesso D.L. 17.03.2020, n. 18 dispone invece, con riferimento alle entrate tributarie e non tributarie, la sospensione dei termini dei versamenti, scadenti nel periodo dall'08.03. al 31.08.2020, derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, nonché dagli avvisi previsti dagli artt. 29 e 30, D.L. 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30.07.2010, n. 122 (avvisi di accertamento e riscossione emessi rispettivamente dall'Agenzia delle Entrate e dall'Inps).
Il successivo comma 2, poi, stabilisce che la sospensione in discorso si applica anche alle ingiunzioni di cui al R.D. 14.04.1910, n. 639, emesse dagli enti territoriali, nonché agli atti di accertamento esecutivo di cui all'art. 1, comma 792, L. 27.12.2019, n. 160.
Per completezza di analisi bisogna citare in ultimo anche la norma di cui all'art. 12, D.Lgs. 24.09.2015, n. 159 ("Sospensione dei termini per eventi eccezionali"), richiamata nel comma 1 dell'art. 68: nel periodo di sospensione in parola l'agente della riscossione non procede alla notifica delle cartelle di pagamento, come disposto dal comma 3 del medesimo art. 12. A chiarire però la portata di tali disposizioni, che a prima lettura sembrerebbero includere "nella scure" della sospensione anche la nuova fattispecie dell'accertamento esecutivo, è intervenuto, nei giorni scorsi, il Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle finanze con la propria Ris. 15.06.2020, n. 6/DF.
Tale documento, per ciò che concerne la fattispecie tributaria che si sta analizzando, ovvero quella dell'accertamento esecutivo, sottolinea che tale atto, di cui all’art. 1, comma 792, L. 27.12.2019, n. 160, racchiude in sé due distinti atti che prima della riforma caratterizzavano la riscossione, vale a dire l'avviso di accertamento o l'atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali e la cartella di pagamento o l'ingiunzione fiscale.
Sulla scorta di ciò, il Ministero ritiene che, nell'ambito dell'applicazione del richiamato art. 68, D.L. 17.03.2020, n. 18, tale atto possa rientrare solo dopo che lo stesso sia divenuto esecutivo ai sensi della lett. b), dello stesso comma 792, con la conseguenza che gli enti locali e i soggetti affidatari non possono attivare procedure di recupero coattivo né adottare misure cautelari, in accordo a quanto disposto dal comma 3 dell'art. 12, D.Lgs. 24.09.2015, n. 159, mentre, al contempo e per effetto dello stesso art. 68, per il contribuente è prevista la sospensione dei versamenti.
Pertanto, sulla scorta di quanto specificato dal MEF nella propria risoluzione, l'ufficio tributi è legittimato a procedere alla notifica degli atti di accertamento esecutivo anche durante il periodo di sospensione, individuato dall'art. 68, D.L. 17.03.2020, n. 18, che termina il 31.08.2020, in quanto tali atti racchiudono al loro interno sia l'atto di accertamento sia quello esecutivo.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 24.09.2015, n. 159, art. 12 - L. 27.12.2019, n. 160, art. 1, comma 792 - D.L. 17.03.2020, n. 18, art. 67 - D.L. 17.03.2020, n. 18, art. 68 - D.L. 17.03.2020, n. 18 - R.D. 14.04.910, n. 639 - L. 24.04.2020, n. 27 - Ris. 15.06.2020, n. 6/DF del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle finanze
 (24.06.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

TRIBUTI: Incentivo per il recupero dell'evasione IMU, il vincolo dell'approvazione del bilancio frena gli Enti.
Neanche la pandemia Convid-19 riesce a scalfire la rigida interpretazione fornita da alcune Corti dei conti in tema di incentivo per il recupero dell'evasione Imu.
Si ricorderà che la normativa Ici prevedeva la possibilità per i Comuni di destinare parte del gettito da recupero dell'evasione all'incentivazione del personale. Questa possibilità non era stata replicata all'inizio nell'Imu, ma è stata successivamente introdotta con l'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018 (legge di bilancio 2019).
Occorre premettere che uno dei mali peggiori che affligge gli enti locali è la difficoltà di accertare l'evasione e di riscuotere le proprie entrate. La Corte dei conti ripete sistematicamente che una delle principali cause di dissesto dei Comuni va proprio ricercata nella diffusa inefficienza della capacità di riscossione delle proprie entrate, a iniziare da quelle tributarie.
Negli ultimi anni il legislatore ha finalmente fornito strumenti più efficaci per incrementare il tasso di riscossione. Da ultimo, con l'accertamento esecutivo e con le nuove regole sulla riscossione coattiva, che sono intervenute risolvendo annose problematiche, come quelle relative alla figura del funzionario responsabile della riscossione e agli oneri ripetibili dal debitore.
Ma per incrementare il recupero dell'evasione, che in Italia raggiunge livelli elevatissimi anche nell'ambito dei tributi comunali, occorrono non solo norme chiare ma anche personale.
Dall'analisi sul patrimonio immobiliare in Italia del Mef e dell'agenzia dell'Entrate, si stima solo per l'Imu un'evasione annuale di 5,2 miliardi, con un percentuale media di evasione del 27%, con punte del 45% nel meridione e tassi che non scendono comunque sotto il 10% neanche al Nord.
Conti alla mano, quindi, i Comuni hanno un bacino di recupero nei cinque anni accertabili di ben 26 miliardi di euro. E allora si comprende l'esigenza del legislatore di dare una sferzata anche agli uffici tributi del Comune, ugualmente a quanto avviene per i dipendenti dell'agenzia dell'Entrate, destinatari anche loro di Incentivi sul recupero dell'evasione.
Ma la scrittura del comma 1091 è risultata criptica in più punti. Uno di questi attiene al vincolo dell'approvazione del bilancio preventivo e del rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico, ovvero 31 dicembre e 30 aprile.
Ma se il termine del 31 dicembre viene prorogato, come poi è sempre avvenuto, l'approvazione entro il nuovo termine è tardiva? Approvare il bilancio di previsione entro il 31.07.2020 vuol dire approvare il bilancio entro i termini stabiliti dal Tuel?
La risposta è ovviamente sì. Le proroghe non vengono disposte così, ma sempre in conseguenza di modifiche normative che richiedono un recepimento nell'ordinamento comunale. Non approvare il bilancio entro il 31 dicembre perché la legge di bilancio ha stravolto il quadro normativo di riferimento non è sintomo di inefficienza, come pure qualche Corte ha sostenuto.
Nel 2020 praticamente l'incentivo spetterà solo a qualche isolato Comune, che è riuscito ad approvare il bilancio preventivo a dicembre e il rendiconto entro il 30 aprile, nonostante la pandemia.
Ma ci si chiede, qual è la correlazione logica che esiste tra incentivo al recupero dell'evasione dei tributi e termine di approvazione del bilancio: nessuna.
Peraltro, nell'organizzazione comunale questi sono adempimenti posti a capo di uffici diversi. il personale del servizio tributi deve subire le conseguenze delle attività svolte dal personale del servizio ragioneria? Sarebbe totalmente illogico.
L'incentivo del comma 1091 mira a potenziare l'attività di recupero dell'evasione e della riscossione dei tributi comunali, non mira a far rispettare i termini di approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi.
A questo punto non resta che sperare nel buon senso di una modifica normativa (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 22.06.2020).

TRIBUTI: Depuratore acqua non funzionante: rimborsato l’utente.
La quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è una componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, configurato come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa.
Ne consegue che, qualora il servizio di depurazione non sia stato fornito, ma quella quota di tariffa sia stata comunque versata, l’utente deve essere rimborsato dalla società con cui ha il contratto per la fornitura di acqua, anche se poi il proprietario dell’impianto di depurazione è un altro soggetto.
Infatti, ai fini del rapporto con l’utente conta solo colui con cui quest’ultimo ha firmato il contratto
(massima tratta da www.tuttoambiente.it).
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8.1. Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
8.1.1. Sul punto, occorre muovere dalla constatazione, ancora di recente ribadita da questa Corte, che -mentre fino al 03.10.2000- il canone o diritto di cui alla legge 10.05.1976, n. 319 "doveva essere considerato un tributo, conformemente al costante orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità", a partire da questa data, per effetto del d.lgs. 18.08.2000, n. 258, art. 24, che, nel sopprimere il d.lgs. 11.05.1999, n. 152, art. 62, commi 5 e 6, ha fatto venire meno, per il futuro, il differimento dell'abrogazione della previgente disciplina, "si è passati all'applicazione della tariffa del servizio idrico integrato di cui alla legge 05.01.1994 n. 36, art. 13 e ss.".
Orbene, in rapporto "alla tariffa di fognatura e di depurazione soggetta alla innovata disciplina", questa Corte di legittimità ha affermato "che i Comuni non possono chiedere il pagamento dell'apposita tariffa ove non diano prova di esser forniti di impianti di depurazione delle acque reflue".
Invero, "la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è divenuta, appunto, una componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, configurato come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa che, per quanto determinata nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto di utenza. Sicché, tenuto conto della declaratoria di incostituzionalità della legge 05.01.1994, n. 36, art. 14, comma 1 -sia nel testo originario, sia nel testo modificato dalla legge 31.07.2002, n. 179, art. 28 (Disposizioni in materia ambientale)- nella parte in cui prevedeva che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione fosse dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi» (v. C. Cost. n. 335/2008), va affermato il principio secondo il quale, in caso di mancata fruizione, da parte dell'utente, del servizio di depurazione, per fatto a lui non imputabile, è irragionevole, per mancanza della controprestazione, l'imposizione dell'obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio" (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 18.04.2018, n. 9500, Rv. 647829-01).  
8.1.2. Invero, una volta ricostruita la pretesa fatta valere, anche nel presente giudizio, come derivante dall'inadempimento di una prestazione che ha fonte negoziale, e segnatamente nel contratto di utenza, il soggetto tenuto alla restituzione non può che individuarsi in quello che, in forza del predetto contratto, ha richiesto (e conseguito) il pagamento.
Difatti, se è vero che "la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto", ne consegue che, ove il servizio di depurazione non sia stato fornito, ma quella quota di tariffa sia stata comunque versata, è nei confronti della controparte del contratto di utenza che la pretesa restitutoria va azionata, in quanto è alla "effettiva fruizione del servizio di depurazione" che, "per la rilevata natura sinallagmatica del rapporto", risulta "condizionato l'accoglimento della pretesa di pagamento" (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 04.06.2013, n. 14042, Rv. 626790-01).
In altri termini, la titolarità di ABC -dal lato passivo- del rapporto controverso originato dalla pretesa restitutoria degli utenti, trova il suo fondamento nella posizione di parte negoziale del contratto di utenza, ciò che del resto, fino al riconoscimento della non debenza della quota della tariffa relativa alla depurazione acque (per effetto dell'intervento caducatorio del Giudice delle leggi), aveva legittimato la predetta azienda municipalizzata a pretendere la riscossione dell'intero corrispettivo del servizio idrico.
8.2. Quanto al secondo motivo di ricorso principale, anch'esso è fondato, nei termini di seguito precisati.
8.2.1. La decisione del Tribunale di Napoli di riformare quella del primo giudice, sul rilievo che era onere degli utenti provare che l'impianto di depurazione di Cuma era "inattivo", risulta effettivamente assunta, come lamentano i ricorrenti, in violazione dell'art. 2697 cod. civ.
Sul punto, in via preliminare, va osservato che la "violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni" (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29.05.2018, n. 13395, Rv. 649038-01).
Tale evenienza ricorre nel caso di specie.
Infatti, costituisce principio generale quello secondo cui il creditore di una prestazione contrattuale -nella specie, l'utente del servizio idrico- "deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento" (da ultimo, tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 20.01.2015,. n. 826, Rv. 634361-01).
D'altra parte, proprio con riferimento specifico alla presente fattispecie, si è ritenuto che, configurandosi "la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l'esistenza di un impianto di depurazione funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale esso pretenda la riscossione" (Cass. Sez. 3, sent. n. 14042 del 2013, cit.) (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 12.06.2020 n. 11270).

marzo 2020

TRIBUTILa Sezione ribadisce il principio di diritto già enunciato nella deliberazione n. 412/2019/PAR, le cui argomentazione si intendono in questa sede richiamate e confermate, per cui, ai fini della possibilità di attribuire l’incentivo di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018, la data entro la quale deve essere approvato il bilancio di previsione è il 31 dicembre dell’anno precedente ai sensi dell’art. 151, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 23.03.2020 n. 40).

novembre 2019

TRIBUTIIncentivi antievasione IMU-TARI solo con ok al bilancio entro il 31 dicembre. Ancora un «sì» dalla Corte dei conti.
Si consolida l'orientamento dei magistrati contabili sugli incentivi economici a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse al recupero dei tributi erariali (Imu e Tari) e sul fatto che possano essere corrisposti solo se l'ente approva il bilancio di previsione entro il 31 dicembre dell'anno precedente.
Infatti, dopo la posizione iniziale assunta dalla Corte dei conti dell'Emilia Romagna con parere 18.09.2019 n. 52 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 2 ottobre), ora anche i magistrati della Corte dei conti della Lombardia, con parere 06.11.2019 n. 412, hanno ribadito che il termine di approvazione del bilancio da considerare quale condizione di applicabilità dell'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018 «…è da intendersi il 31/12 dell'anno di riferimento di cui all'art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 e non anche il termine differito di cui all'art. 163, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000…».
La richiesta di parere
Il comma 1091 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019 ha previsto la possibilità per i Comuni di destinare una quota delle risorse derivanti dal recupero dell'evasione dell'imposta municipale propria (Imu) e della Tari al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite stabilito dall'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017 n. 75.
Tra le condizioni che la norma pone per la sua applicazione vi è quella secondo la quale l'ente deve aver approvato il bilancio di previsione e il rendiconto «entro i termini stabiliti dal Tuel». Ciò premesso, un ente locale lombardo ha evidenziato come attorno al concetto «entro i termini stabiliti dal Tuel» si siano sviluppate contrapposte letture interpretative.
Da una parte la magistratura contabile, con parere 18.09.2019 n. 52 della Corte dei conti dell'Emilia Romagna secondo cui il termine per l'approvazione del bilancio è da intendersi il 31/12 dell'anno di riferimento e non anche il termine differito. Dall'altra quella dell'Ifel (Fondazione Anci), con la nota di approfondimento 28.02.2019 al comma 1091 della legge di bilancio 2019 (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 4 marzo), secondo cui è soddisfatta la condizione imposta dalla legge anche quando l'ente approvi il bilancio di previsione entro i termini prorogati dal decreto ministeriale.
La risposta
Per la Corte dei conti della Lombardia l'interpretazione fornita dai colleghi emiliani è quella più corretta. Nella deliberazione in esame si precisa che, ove si optasse per una diversa interpretazione della norma, vale a dire quella proposta dall'Ifel, si finirebbe per privare di significato l'espressa apposizione di un termine da parte del legislatore, considerato che la disposizione normativa sarebbe applicabile praticamente a tutti gli enti che hanno approvato il bilancio di previsione, rimanendone esclusi solo ed esclusivamente quelli che, non avendolo approvato neanche nel termine prorogato, incorrerebbero nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del consiglio comunale secondo l'articolo 141 del Tuel.
Inoltre, quanto asserito dall'Ifel si contraddice con l'intento del legislatore il quale ha inteso specificare che alcune norme precedenti alla legge di bilancio 2019 (e ordinariamente applicabili agli enti locali) non si applicano più a decorrere dal 2019 proprio nei confronti degli enti più virtuosi, ovvero quelli che, appunto, hanno rispettato il termine di approvazione del bilancio di previsione del 31 dicembre e del conto consuntivo del 30 aprile (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 27.11.2019).

TRIBUTIIl termine di approvazione del bilancio da considerare quale condizione di applicabilità dell’art. 1, comma 1091, della Legge n. 145/2018 “…è da intendersi il 31/12 dell’anno di riferimento di cui all’art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 e non anche il termine differito di cui all’art. 163, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000…”.
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Il Sindaco del Comune di Cornaredo (MI) ha formulato una richiesta di parere volta a conoscere le modalità di applicazione dell’art. 1, comma 1091, della Legge n. 145/2018, con il quale è stata riconosciuta agli enti locali la possibilità, previa adozione di uno specifico regolamento, di destinare il maggiore gettito (accertato e riscosso) derivante dagli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente.
Nello specifico, il rappresentante legale, nell’evidenziare che l’applicazione della suddetta norma è possibile, per espressa indicazione del legislatore, solo nei confronti dei comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ha chiesto “…se ai fini della possibilità di attribuire l’incentivo al settore entrate la data entro la quale deve essere approvato il bilancio di previsione sia il 31/12 dell’anno precedente, ai sensi dell’art. 151, c. 1, del D.Lgs. n. 267/2000, oppure se a tale scopo possa considerarsi valido anche l’eventuale termine successivo al 31/12 stabilito con Decreto del Ministro dell’Interno in presenza di motivate esigenze, come previsto nell’ultima parte del medesimo art. 151…”.
A tal proposito, l’ente istante ha rappresentato che recentemente si è pronunciata la Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna (cfr. parere 18.09.2019 n. 52), la quale ha considerato, ai fini dell’applicazione della suddetta norma, il termine di approvazione del bilancio entro il 31 dicembre; a differenti conclusioni, invece, è giunta l’IFEL (Fondazione ANCI) nella “Nota di approfondimento del comma 1091 della Legge di bilancio 2019”, nella quale è stata prospettata l’applicazione del comma de quo anche nel caso in cui l’approvazione del bilancio di previsione sia avvenuta nei termini “…prorogati dal decreto ministeriale (…) previsto al comma 1, ultimo periodo, dell’art. 151 del Tuel e, quindi, per il 2019 occorre far riferimento alla data del 31 marzo. D’altro canto, se il legislatore avesse voluto far espresso riferimento ai termini non prorogati ordinariamente previsti dal Tuel lo avrebbe fatto in modo esplicito, indicando il termine del 31 dicembre per il bilancio di previsione, modalità peraltro adottata dal comma 905 della stessa legge di bilancio 2019…”.
Conclusivamente il Sindaco del Comune di Cornaredo ha formulato la seguente istanza di parere: “…Stante le letture contrapposte della norma di legge e la necessità da parte del Comune di non incorrere nel rischio di riconoscere indebiti incentivi retributivi al personale dipendente, si chiede a codesta Sezione della Corte dei Conti di voler fornire il proprio autorevole parere in merito alla questione sottoposta….
...
Così come chiaramente esplicitato nel parere reso dalla Sezione regionale dell’Emilia Romagna (cfr. parere 18.09.2019 n. 52), richiamato dal medesimo ente istante, il termine di approvazione del bilancio da considerare quale condizione di applicabilità dell’art. 1 comma 1091 della Legge n. 145/2018 “…è da intendersi il 31/12 dell’anno di riferimento di cui all’art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 e non anche il termine differito di cui all’art. 163, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000…”.
Il Collegio non ha motivo di discostarsi dalle esaurienti e condivisibili considerazioni formulate nel parere su indicato, le quali sono volte precipuamente ad evidenziare come la possibilità riconosciuta dal legislatore di differire con Decreto ministeriale (oltre il termine del 31 dicembre) l’approvazione del bilancio di previsione “…in presenza di motivate esigenze…” -contemplata dall’art. 163 comma 3 del D.Lgs. n. 267/2000 (Tuel)-, è tutt’altro che priva di effetti sulla gestione del bilancio, operando, nel caso di specie, il regime restrittivo previsto per l’esercizio provvisorio di cui al medesimo art. 163, commi 4, 5, 6 e 7. Né la previsione e l’erogazione di risorse incentivanti, quali quelle previste dall’art. 1, comma 1092, della Legge n. 145/2018, possono ritenersi sottratte ai suddetti limiti.
Occorre, inoltre, precisare che ove si optasse per una diversa interpretazione della norma, vale a dire quella di considerare, ai fini dell’applicazione della stessa, il termine di approvazione del bilancio di previsione prorogato (il 31.03.2019), si finirebbe per privare di significato l’espressa apposizione di un termine da parte del legislatore (“… i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267…”), considerato che la disposizione normativa sarebbe applicabile praticamente a tutti gli enti che hanno approvato il bilancio di previsione (entro il 31.03.2019), rimanendone esclusi solo ed esclusivamente quelli che, non avendolo approvato neanche nel termine prorogato, incorrerebbero nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del Consiglio comunale di cui all’art. 141 del Tuel; evenienza, quest’ultima, che sarebbe, comunque, ostativa a qualsivoglia atto di gestione o di disposizione delle risorse di bilancio da parte dell’ente.
Infine, ad avviso del Collegio, risulta essere priva di pregio, l’affermazione contenuta nella “Nota dell’IFEL” e riportata nell’istanza di parere secondo la quale il legislatore se “…avesse voluto far espresso riferimento ai termini non prorogati ordinariamente previsti dal Tuel lo avrebbe fatto in modo esplicito, indicando il termine del 31 dicembre per il bilancio di previsione, modalità peraltro adottata dal comma 905 della stessa legge di bilancio 2019…”, infatti, è appena il caso di precisare che la norma richiamata prevede espressamente che alcune specifiche norme recate in disposizioni di legge precedenti (contenute in leggi finanziarie, di bilancio, di semplificazione ecc.) a decorrere dall’esercizio 2019, “…non trovano applicazione…” nei confronti dei “…comuni (…) che approvano il bilancio consuntivo entro il 30 aprile e il bilancio preventivo dell'esercizio di riferimento entro il 31 dicembre dell'anno precedente…”.
In altri termini, il legislatore ha inteso specificare che alcune norme precedenti alla Legge di bilancio 2019 ed ordinariamente applicabili agli enti locali, non si applicano più “…a decorrere dal 2019…”, proprio nei confronti degli enti più virtuosi (che hanno rispettato il termine di approvazione del bilancio di previsione del 31 dicembre e del conto consuntivo del 30 aprile), quindi si tratta, all’evidenza, contrariamente a quanto asserito dall’IFEL, di fattispecie legislativa assolutamente non sovrapponibile, neanche sotto il profilo meramente esegetico, a quella che qui ne occupa, sia in quanto il citato comma 1091 è contenuto nella medesima legge di bilancio, sia in quanto è indubbiamente (ed esclusivamente) applicabile agli enti che hanno rispettato il termine legale di approvazione del bilancio (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 06.11.2019 n. 412).

ottobre 2019

TRIBUTIL'ufficio tributi di questo Ente pubblico si trova spesso a ricevere scritti difensivi con richieste di annullamento o rettifica di accertamenti basati sul principio che l'onere della prova dell'esistenza del tributo è a carico dell'Amministrazione. E' realmente così ed in base a quali norme?
In linea di principio le obiezioni formulate dagli interessati fanno riferimento ad un principio immanente nel nostro ordinamento, in base al quale spetta all'Amministrazione dimostrare le ragioni a fondamento della propria pretesa impositiva (tributaria e non). Si tratta dei principi di legalità ricavabili da disposizioni costituzionali (art. 23, 53, 97) e meglio esplicitati in varie disposizioni della L. 27.07.2000, n. 212 "Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente" quali ad esempio:
   - Art. 11, comma 1, "Il contribuente può interpellare l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a: a) l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza".
   - Art. 6, comma 2, "L'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito".
   - Art. 6, comma 4, "Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell'articolo 18, commi 2 e 3, della legge 07.08.1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d'ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa".
Questi principi e queste disposizioni però non determinano un onere di ricerca degli elementi della fattispecie tributaria talmente onerosi da formare una "prova" dell'esistenza del presupposto, potendo l'amministrazione finanziaria in molti contesti (ma la valutazione va fatta con riferimento alla singola disposizione) operare mediante elementi indiziari gravi, precisi e concordati.
Recentemente ad esempio, in relazione all'applicazione dell'art. 63, comma 3, primo periodo, D.Lgs. n. 446 del 1997 che recita "Il canone è determinato sulla base della tariffa di cui al comma 2, con riferimento alla durata dell'occupazione e può essere maggiorato di eventuali effettivi e comprovati oneri di manutenzione in concreto derivanti dall'occupazione del suolo e del sottosuolo, che non siano, a qualsiasi titolo, già posti a carico delle aziende che eseguono i lavori" il Consiglio di Stato ha ritenuto che "L'onere della prova ricadente sull'amministrazione [...] ben può essere assolto con il ricorso a criteri presuntivi, ferma ovviamente la possibilità, per la parte controinteressata, di dimostrare l'erroneità o l'implausibilità di quanto sostenuto dalla parte pubblica".
Alla luce del quadro esposto, ferma restando la necessità di verificare la singola disposizione impositiva, l'amministrazione potrà assolvere al proprio onere probatorio anche mediante indizi ed in tal senso rimettere al contribuente la dimostrazione di eventuali esclusioni, esimenti o altri elementi che, nel caso concreto, dimostrino l'infondatezza della pretesa tributaria.
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Riferimenti normativi e contrattuali
Art. 23 Cost. - Art. 53 Cost. - Art. 97 Cost. - L. 07.08.1990, n. 241, art. 1 - L. 27.07.2000, n. 212 - L. 01.08.2002, n. 166, art. 10
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. V, 11.10.2018, n. 5862
(23.10.2019 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

TRIBUTI - URBANISTICAOmessa comunicazione: sanzioni dovute.
In caso di omessa comunicazione dell’amministrazione comunale delle variazioni apportate allo strumento urbanistico, e del cambio di destinazione di un terreno, il contribuente è tenuto a pagare non solo il tributo sull’area edificabile, ma anche sanzioni e interessi. L’omessa comunicazione non fa venir meno le penalità.

Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. V civile, con la sentenza 16.10.2019 n. 26169.
Per i giudici di legittimità, la mancata comunicazione prevista dalla legge per informare il contribuente sulle modifiche apportate allo strumento urbanistico e sui cambi di destinazione, da terreno a area edificabile, «non esclude l’obbligo dichiarativo».
«Né la mancata comunicazione può riverberare effetti sull’applicazione di sanzioni e interessi in caso di mancato adempimento da parte del contribuente».
Le omesse comunicazioni non possono essere opposte come causa di giustificazione delle violazioni commesse. In effetti, quando i comuni attribuiscono a un terreno la natura di area fabbricabile, sono obbligati a darne comunicazione al contribuente. Il mancato rispetto di questo adempimento, però, non comporta alcuna conseguenza in ordine agli obblighi che incombono sul contribuente (articolo ItaliaOggi Sette del 10.08.2020).
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SENTENZA
10. Passando all'esame della seconda censura, l'art. 31 della legge 289/2002 non condiziona la produttività di effetti ai fini tributari dell'avvenuta destinazione edificatoria dell'area alla notifica della comunicazione prevista dalla stessa norma.
Peraltro, l'articolo 36, comma 2, del Dl 223/2006 stabilisce che in base al Dlgs 30.12.1992 n. 504, un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio secondo lo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione della Regione e dall'adozione di strumenti attuativi.
Pertanto, la mera previsione dello strumento urbanistico generale semplicemente adottato dal Comune fa sorgere l'obbligo di corrispondere l'Ici (e oggi l'Imu e la TAasi) sull'area edificabile.
Circostanza non subordinata a nessuno specifico adempimento di comunicazione o di notifica. Inoltre, la mancanza della comunicazione non esclude l'obbligo dichiarativo, previsto dall'articolo 10 del Dlgs 504/1992 (ma anche nell'Imu, articolo 13, comma 12-ter, DI 201/2011; v. Cass. n. 15558/2009; n. 12308/2017).
Né la mancata comunicazione può riverberare effetti sull'applicazione di sanzioni e interessi in caso di mancato adempimento da parte del contribuente.
Il ministero dell'Economia e delle finanze, nella circolare n. 3DF/2012, ha ritenuto che in tale ipotesi si applichi l'articolo 10, comma 2, della legge 212/2000, che esclude l'applicazione di sanzioni e interessi nel caso in cui il contribuente si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere in seguito a fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori dell'amministrazione stessa.
Sennonché, la circolare dell'Agenzia delle Entrate interpretativa di una norma tributaria, anche ove contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un parere, non vincolante per il contribuente (oltre che per gli uffici), per il giudice e per la stessa autorità che l'ha emanata, in quanto priva di efficacia normativa (ex plurimus: Cass. 6699/2014).

settembre 2019

PATRIMONIO - TRIBUTI: Pubblicità su rotatorie.
Domanda
È possibile utilizzare le rotatorie per collocare dei cartelli pubblicitari della ditta che si occupa della manutenzione della stessa; inoltre è possibile posizionare dei manifesti o striscioni al fine di pubblicizzare manifestazioni, eventi di varia natura o sagre paesane?
Risposta
Spesso le amministrazioni comunali optano per la collocazione nelle aiuole all’interno delle rotatorie stradali di supporti di vario genere che pubblicizzano aziende, generalmente florovivaistiche, le quali, in cambio di tale pubblicità, si fanno carico della manutenzione delle aiuole stesse.
Durante il periodo primaverile ed estivo è aperta anche la stagione delle manifestazioni locali.
La rotatoria diventa spazio per pubblicizzare gli eventi, spesso con striscioni o cartelli che, per forma, dimensioni e posizionamento, non garantiscono la sicurezza stradale.
Tecnicamente la rotonda è assimilabile ad un incrocio (intersezioni a raso): ai sensi dell’art. 23, comma 1 e dell’art. 51, commi 3 e 4, del Regolamento di esecuzione e attuazione del Codice della strada, l’installazione di cartelli, insegne d’esercizio e di altri mezzi pubblicitari è vietata, con sanzioni pecuniarie elevate, oltre alla rimozione, in caso di inosservanza.
L’ente proprietario potrà quindi essere chiamato a rispondere nel caso di eventuali sinistri: tali cartelli pubblicitari sono di per sé motivo di distrazione e reale pericolo per la sicurezza stradale.
Si rimanda, per completezza, alla circolare del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti del 18.04.2012, n. 1699.
C’è da segnalare però, in conclusione, che, tra le modifiche al Codice della strada in discussione in queste settimane alla Camera dei Deputati, c’è una norma che consentirebbe la possibilità di derogare a tale divieto assoluto.
Il comma 7-bis dell’art. 23 del Codice della strada, che con ogni probabilità verrà inserito, avrà infatti il seguente tenore: “In deroga al comma 1, ultimo periodo, al centro delle rotatorie nelle quali vi sia un’area verde, la cui manutenzione è affidata a titolo gratuito a società private o ad altri enti, è consentita l’installazione di un’insegna di esercizio dell’impresa o ente affidatario, fissata al suolo. Per l’istallazione dell’insegna di cui al presente comma si applicano in ogni caso le disposizioni di cui al comma 4.” (20.09.2019 - tratto da e link a www.publika.it).

PUBBLICO IMPIEGO - TRIBUTIIncentivi antievasione IMU e TARI solo se il bilancio è approvato entro il 31 dicembre.
Gli incentivi economici a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse al recupero dei tributi erariali (Imu e Tari) possono essere corrisposti solo se l'ente approva tassativamente il bilancio di previsione entro il 31 dicembre dell'anno precedente.

È questa l'importante indicazione contenuta nel parere 18.09.2019 n. 52 della sezione regionale di controllo della Corte dei conti dell'Emilia Romagna.
Il quesito
Il comma 1091, articolo 1, della legge di bilancio 2019 ha previsto la possibilità per i Comuni di destinare una quota delle risorse derivanti dal recupero dell'evasione dell'imposta municipale propria (Imu) e della Tari al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, derogando al limite previsto dall'articolo 23, comma 2, del Dlgs 25.05.2017 n. 75.
Tra le condizioni che la norma pone per la sua applicazione vi è quella secondo la quale l'ente deve aver approvato il bilancio di previsione e il rendiconto «entro i termini stabiliti dal Tuel».
Ciò premesso un ente locale ha chiesto alla Corte dei conti dell'Emilia Romagna se il termine per l'approvazione del bilancio debba intendersi solo con riferimento al 31 dicembre dell'anno di riferimento (così come indicato nell'articolo 163, comma 1, del Tuel) o può essere correttamente riferito al termine differito (come previsto dal successivo comma 3, dell'articolo 163 del Tuel), con specifica legge e/o decreti ministeriali.
La risposta
Per i giudici contabili la risposta al quesito formulato è nel senso che il termine per l'approvazione del bilancio è da intendersi il 31 dicembre dell'anno di riferimento e non anche il termine differito.
D'altronde «nell'ipotesi in cui il bilancio di previsione dell'ente non sia approvato nel termine fisiologicamente indicato, il legislatore, all'articolo 163 limita l'attività gestionale dell'ente a una serie di attività tassativamente indicate e tra esse non può rientrarvi quella della destinazione di incentivi al personale. E ciò in base alla sottesa considerazione concernente la fase di criticità in cui versa quell'ente che non sia in grado di corrispondere al fondamentale obiettivo della tempestiva approvazione del bilancio di previsione, dal che discende, ex lege, una gestione di tipo provvisorio dell'ente e limitata a specifiche attività».
Conclusioni
La posizione assunta dalla magistratura contabile emiliana spiazza molti enti locali che hanno seguito l'indicazione fornita dall'Ifel nella nota di approfondimento al comma 1091 della legge di bilancio 2019 dello scorso 28 febbraio (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 04.03.2019).
L'istituto, infatti, aveva ritenuto soddisfatta la condizione imposta dalla legge anche con l'approvazione del bilancio di previsione entro i termini prorogati dal decreto ministeriale (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 02.10.2019).

PUBBLICO IMPIEGO - TRIBUTIIncentivi Imu solo con bilancio entro il 31 dicembre.
La sezione regionale di controllo della Corte dei conti dell'Emilia Romagna mette in seria crisi l'erogazione dell'incentivo Imu e Tari introdotto dall'ultima legge di bilancio.
Il parere 18.09.2019 n. 52 ha stabilito infatti che solo gli enti che hanno approvato il bilancio di previsione entro il 31 dicembre possono stanziare le somme previste per l'incentivazione del personale.
La norma della legge di bilancio
L'articolo 1, comma 1091, della legge 145/2018, dopo alcuni anni di assenza, aveva reintrodotto la possibilità per i Comuni di prevedere somme incentivanti in favore del personale addetto al raggiungimento degli obiettivi del settore entrate. Subordinando tuttavia questa facoltà ad alcune condizioni. In primo luogo, si tratta di una scelta facoltativa, rimessa alla discrezione degli enti locali interessati.
Inoltre, la destinazione di una somma non superiore al 5 per cento del maggior gettito accertato e riscosso relativo agli accertamenti Imu e Tari dell'esercizio fiscale precedente al potenziamento delle risorse comunali degli uffici entrate e al trattamento accessorio del personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, è subordinata all'approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico degli enti locali.
Il rispetto del termine di approvazione del bilancio
La norma aveva ingenerato dei dubbi sull'individuazione dei suddetti termini. In particolare per il bilancio di previsione, poiché l'articolo 151 del Dlgs 267/2000 stabilisce che il bilancio di previsione deve essere approvato entro il 31 dicembre dell'anno precedente, prevedendo tuttavia che «i termini possono essere differiti con decreto del ministro dell'Interno, d'intesa con il ministro dell'Economia e delle finanze, sentita la conferenza Stato-città e autonomie locali, in presenza di motivate esigenze. L'Ifel, nella nota del 28.02.2019, ritiene che la condizione richiesta dalla norma è comunque soddisfatta laddove l'ente approvi il bilancio entro i termini stabiliti dal decreto ministeriale di proroga.
La Corte dei conti dell'Emilia Romagna, con la deliberazione sopra richiamata, ha invece ritenuto che il termine per l'approvazione del bilancio è da intendersi il 31 dicembre dell'anno di riferimento di cui all'articolo 163, comma 1, del Dlgs 267/2000 e non anche il termine differito di cui al comma 3 del medesimo articolo. Ciò in quanto l'articolo 163 del Tuel limita l'attività gestionale dell'ente a una serie di attività tassativamente indicate e tra esse non può rientrarvi quella della destinazione di incentivi al personale.
La Corte sostiene, infatti, che l'ente, nel caso di mancata approvazione del bilancio nel termine, versa in una fase di criticità in quanto non è in grado di corrispondere al fondamentale obiettivo dell'approvazione del bilancio di previsione, dal che discende ex lege una gestione di tipo provvisorio e limitata a specifiche attività.
La conclusione è tranchant. L'ente che non ha rispettato il termine del 31 dicembre, pur rispettando il termine fissato dal decreto di proroga, non può stanziare per quell'anno (l'esercizio di riferimento) il fondo calcolato sugli accertamenti Imu e Tari. Mettendo fuori gioco la maggior parte dei Comuni italiani.
Considerazioni
Questa conclusione, a modesto parere di chi scrive, non tiene tuttavia conto che laddove il legislatore, per consentire agli enti di beneficiare di eventuali norme agevolative, ha voluto vincolare l'approvazione del bilancio di previsione alla data del 31 dicembre, lo ha fatto espressamente. Si pensi, ad esempio, al comma 905 dell'articolo 1 della medesima legge di bilancio, che ha concesso agli enti che approvano il bilancio entro il 31 dicembre di non applicare alcuni limiti di spesa e di essere dispensati da alcuni adempimenti, oppure all'analoga norma contenuta nell'articolo 21-bis, comma 2, del Dl 50/2017.
L'aver fatto riferimento genericamente al termine previsto dal Tuel è indice della volontà della norma di tenere conto di eventuali differimenti del termine, sovente dovuti peraltro a cause non imputabili agli enti locali.
Inoltre, seppure è vero che l'ente che non approva il bilancio entro il 31 dicembre si trova a operare nei primi mesi dell'anno successivo in esercizio provvisorio, tuttavia non si comprende come questa circostanza possa impedire all'ente di stanziare le somme relative al fondo con l'approvazione del bilancio di previsione (o meglio dopo l'approvazione del rendiconto dell'esercizio precedente), incidendo i vincoli dell'esercizio provvisorio sull'ente solo fino all'approvazione del documento contabile previsionale.
Una siffatta interpretazione appare molto penalizzante, considerando che spesso i Comuni sono costretti ad approvare il bilancio dopo il termine ordinario del 31 dicembre (peraltro sempre storicamente prorogato) a causa delle mancate certezze sulle risorse disponibili, definite solitamente dallo Stato a ridosso della fine dell'anno, con l'approvazione della legge di bilancio (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 27.09.2019).

PUBBLICO IMPIEGO - TRIBUTICon riferimento alla possibilità di istituire l’incentivo economico a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse alla partecipazione del Comune all’accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti e tenuto conto del disposto di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018, il termine per l’approvazione del bilancio deve intendersi il 31/12 dell’anno di riferimento ai sensi dell’art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000.
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Il Sindaco del Comune di Sant’Agata Bolognese (BO) formula seguente richiesta di parere: con riferimento alla possibilità di istituire l’incentivo economico a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse alla partecipazione del Comune all’accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti e tenuto conto del disposto di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018, “se il termine per l’approvazione del bilancio debba intendersi solo con riferimento al 31/12 dell’anno di riferimento ai sensi dell’art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 o può essere correttamente riferito al termine differito, ai sensi dell’art. 163, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000, con apposita legge e/o decreti ministeriali”.
...
2.1. Passando al merito, la risposta al quesito formulato è nel senso che il termine per l’approvazione del bilancio è da intendersi il 31/12 dell’anno di riferimento di cui all’art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 e non anche il termine differito di cui all’art. 163, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000.
2.2. Depone in tal senso la chiara disposizione di cui al citato art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018, secondo la quale “1091. Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, possono, con proprio regolamento, prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017, n. 75. La quota destinata al trattamento economico accessorio, al lordo degli oneri riflessi e dell'IRAP a carico dell'amministrazione, è attribuita, mediante contrattazione integrativa, al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, anche con riferimento alle attività connesse alla partecipazione del comune all'accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti, in applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge 30.09.2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 02.12.2005, n. 248. Il beneficio attribuito non può superare il 15 per cento del trattamento tabellare annuo lordo individuale. La presente disposizione non si applica qualora il servizio di accertamento sia affidato in concessione.”.
Invero, l’inciso di cui alla norma citata consente la facoltà di destinare risorse per incentivi al personale per l’accertamento di imposte municipali alla condizione dell’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”, e cioè nei termini previsti dall’art. 163, comma 1, Tuel1, e dunque solo nel caso in cui il bilancio di previsione sia approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente.
D’altro canto, nell’ipotesi in cui il bilancio di previsione dell’ente non sia approvato nel termine fisiologicamente indicato, il legislatore, all’art. 163 citato, limita l’attività gestionale dell’ente ad una serie di attività tassativamente indicate e tra esse non può rientrarvi quella della destinazione di incentivi al personale.
E ciò in base alla sottesa considerazione concernente la fase di criticità in cui versa quell’ente che non sia in grado di corrispondere al fondamentale obiettivo della tempestiva approvazione del bilancio di previsione, dal che discende, ex lege, una gestione di tipo provvisorio dell’ente e limitata a specifiche attività.
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   11. Se il bilancio di previsione non è approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente, la gestione finanziaria dell'ente si svolge nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l'esercizio provvisorio o la gestione provvisoria. Nel corso dell'esercizio provvisorio o della gestione provvisoria, gli enti gestiscono gli stanziamenti di competenza previsti nell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce la gestione o l'esercizio provvisorio, ed effettuano i pagamenti entro i limiti determinati dalla somma dei residui al 31 dicembre dell'anno precedente e degli stanziamenti di competenza al netto del fondo pluriennale vincolato. 
   2. Nel caso in cui il bilancio di esercizio non sia approvato entro il 31 dicembre e non sia stato autorizzato l'esercizio provvisorio, o il bilancio non sia stato approvato entro i termini previsti ai sensi del comma 3, è consentita esclusivamente una gestione provvisoria nei limiti dei corrispondenti stanziamenti di spesa dell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce la gestione provvisoria. Nel corso della gestione provvisoria l'ente può assumere solo obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi, quelle tassativamente regolate dalla legge e quelle necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all'ente. Nel corso della gestione provvisoria l'ente può disporre pagamenti solo per l'assolvimento delle obbligazioni già assunte, delle obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e di obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge, per le spese di personale, di residui passivi, di rate di mutuo, di canoni, imposte e tasse, ed, in particolare, per le sole operazioni necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all'ente. 
   3. L'esercizio provvisorio è autorizzato con legge o con decreto del Ministro dell'interno che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 151, primo comma, differisce il termine di approvazione del bilancio, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomia locale, in presenza di motivate esigenze. Nel corso dell'esercizio provvisorio non è consentito il ricorso all'indebitamento e gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza. Nel corso dell'esercizio provvisorio è consentito il ricorso all'anticipazione di tesoreria di cui all'art. 222.
   4. All'avvio dell'esercizio provvisorio o della gestione provvisoria l'ente trasmette al tesoriere l'elenco dei residui presunti alla data del 1° gennaio e gli stanziamenti di competenza riguardanti l'anno a cui si riferisce l'esercizio provvisorio o la gestione provvisoria previsti nell'ultimo bilancio di previsione approvato, aggiornati alle variazioni deliberate nel corso dell'esercizio precedente, indicanti -per ciascuna missione, programma e titolo- gli impegni già assunti e l'importo del fondo pluriennale vincolato.
   5. Nel corso dell'esercizio provvisorio, gli enti possono impegnare mensilmente, unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti, per ciascun programma, le spese di cui al comma 3, per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente, ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato, con l'esclusione delle spese: a) tassativamente regolate dalla legge; b) non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi; c) a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti. 
   6. I pagamenti riguardanti spese escluse dal limite dei dodicesimi di cui al comma 5 sono individuati nel mandato attraverso l'indicatore di cui all'art. 185, comma 2, lettera i-bis).
   7. Nel corso dell'esercizio provvisorio, sono consentite le variazioni di bilancio previste dall'art. 187, comma 3-quinquies, quelle riguardanti le variazioni del fondo pluriennale vincolato, quelle necessarie alla reimputazione agli esercizi in cui sono esigibili, di obbligazioni riguardanti entrate vincolate già assunte, e delle spese correlate, nei casi in cui anche la spesa è oggetto di reimputazione l'eventuale aggiornamento delle spese già impegnate. Tali variazioni rilevano solo ai fini della gestione dei dodicesimi
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, parere 18.09.2019 n. 52).

TRIBUTI: Con riferimento alla possibilità di istituire l’incentivo economico a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse alla partecipazione del Comune all’accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali, il termine per l’approvazione del bilancio è da intendersi il 31/12 dell’anno di riferimento di cui all’art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 e non anche il termine differito di cui all’art. 163, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000.
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Il Sindaco del Comune di Sant’Agata Bolognese (BO) formula seguente richiesta di parere: con riferimento alla possibilità di istituire l’incentivo economico a favore dei dipendenti comunali per le attività connesse alla partecipazione del Comune all’accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti e tenuto conto del disposto di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018, “se il termine per l’approvazione del bilancio debba intendersi solo con riferimento al 31/12 dell’anno di riferimento ai sensi dell’art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 o può essere correttamente riferito al termine differito, ai sensi dell’art. 163, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000, con apposita legge e/o decreti ministeriali”.
...
2. Merito
2.1. Passando al merito, la risposta al quesito formulato è nel senso che il termine per l’approvazione del bilancio è da intendersi il 31/12 dell’anno di riferimento di cui all’art. 163, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 e non anche il termine differito di cui all’art. 163, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000.
2.2. Depone in tal senso la chiara disposizione di cui al citato art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018, secondo la quale “1091. Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, i comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, possono, con proprio regolamento, prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell'imposta municipale propria e della TARI, nell'esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all'anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25.05.2017, n. 75. La quota destinata al trattamento economico accessorio, al lordo degli oneri riflessi e dell'IRAP a carico dell'amministrazione, è attribuita, mediante contrattazione integrativa, al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, anche con riferimento alle attività connesse alla partecipazione del comune all'accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti, in applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge 30.09.2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 02.12.2005, n. 248. Il beneficio attribuito non può superare il 15 per cento del trattamento tabellare annuo lordo individuale. La presente disposizione non si applica qualora il servizio di accertamento sia affidato in concessione.”.
Invero, l’inciso di cui alla norma citata consente la facoltà di destinare risorse per incentivi al personale per l’accertamento di imposte municipali alla condizione dell’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto “entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”, e cioè nei termini previsti dall’art. 163, comma 1, Tuel
[1], e dunque solo nel caso in cui il bilancio di previsione sia approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente.
D’altro canto, nell’ipotesi in cui il bilancio di previsione dell’ente non sia approvato nel termine fisiologicamente indicato, il legislatore, all’art. 163 citato, limita l’attività gestionale dell’ente ad una serie di attività tassativamente indicate e tra esse non può rientrarvi quella della destinazione di incentivi al personale.
E ciò in base alla sottesa considerazione concernente la fase di criticità in cui versa quell’ente che non sia in grado di corrispondere al fondamentale obiettivo della tempestiva approvazione del bilancio di previsione, dal che discende, ex lege, una gestione di tipo provvisorio dell’ente e limitata a specifiche attività (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, parere 18.09.2019 n. 52).
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[1] 1. Se il bilancio di previsione non è approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente, la gestione finanziaria dell'ente si svolge nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l'esercizio provvisorio o la gestione provvisoria. Nel corso dell'esercizio provvisorio o della gestione provvisoria, gli enti gestiscono gli stanziamenti di competenza previsti nell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce la gestione o l'esercizio provvisorio, ed effettuano i pagamenti entro i limiti determinati dalla somma dei residui al 31 dicembre dell'anno precedente e degli stanziamenti di competenza al netto del fondo pluriennale vincolato.
2. Nel caso in cui il bilancio di esercizio non sia approvato entro il 31 dicembre e non sia stato autorizzato l'esercizio provvisorio, o il bilancio non sia stato approvato entro i termini previsti ai sensi del comma 3, è consentita esclusivamente una gestione provvisoria nei limiti dei corrispondenti stanziamenti di spesa dell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce la gestione provvisoria. Nel corso della gestione provvisoria l'ente può assumere solo obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi, quelle tassativamente regolate dalla legge e quelle necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all'ente. Nel corso della gestione provvisoria l'ente può disporre pagamenti solo per l'assolvimento delle obbligazioni già assunte, delle obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e di obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge, per le spese di personale, di residui passivi, di rate di mutuo, di canoni, imposte e tasse, ed, in particolare, per le sole operazioni necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all'ente. 
3. L'esercizio provvisorio è autorizzato con legge o con decreto del Ministro dell'interno che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 151, primo comma, differisce il termine di approvazione del bilancio, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomia locale, in presenza di motivate esigenze. Nel corso dell'esercizio provvisorio non è consentito il ricorso all'indebitamento e gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza. Nel corso dell'esercizio provvisorio è consentito il ricorso all'anticipazione di tesoreria di cui all'art. 222.
4. All'avvio dell'esercizio provvisorio o della gestione provvisoria l'ente trasmette al tesoriere l'elenco dei residui presunti alla data del 1° gennaio e gli stanziamenti di competenza riguardanti l'anno a cui si riferisce l'esercizio provvisorio o la gestione provvisoria previsti nell'ultimo bilancio di previsione approvato, aggiornati alle variazioni deliberate nel corso dell'esercizio precedente, indicanti -per ciascuna missione, programma e titolo- gli impegni già assunti e l'importo del fondo pluriennale vincolato.
5. Nel corso dell'esercizio provvisorio, gli enti possono impegnare mensilmente, unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti, per ciascun programma, le spese di cui al comma 3, per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente, ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato, con l'esclusione delle spese: a) tassativamente regolate dalla legge; b) non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi; c) a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti.
6. I pagamenti riguardanti spese escluse dal limite dei dodicesimi di cui al comma 5 sono individuati nel mandato attraverso l'indicatore di cui all'art. 185, comma 2, lettera i-bis).
7. Nel corso dell'esercizio provvisorio, sono consentite le variazioni di bilancio previste dall'art. 187, comma 3-quinquies, quelle riguardanti le variazioni del fondo pluriennale vincolato, quelle necessarie alla reimputazione agli esercizi in cui sono esigibili, di obbligazioni riguardanti entrate vincolate già assunte, e delle spese correlate, nei casi in cui anche la spesa è oggetto di reimputazione l'eventuale aggiornamento delle spese già impegnate. Tali variazioni rilevano solo ai fini della gestione dei dodicesimi.

luglio 2019

TRIBUTII Comuni di questa Unione lamentano che molti titolari di esercizi non sono in regola con i pagamenti di tasse e tributi locali e vorrebbero condizionare l'efficacia delle autorizzazioni alla regolarizzazione, analogamente a quanto effettuato per il DURC in altri settori.
E' possibile e legittima una delibera di questo genere?

Una risposta positiva è stata data a tale quesito, che rappresenta una problematica diffusissima a livello nazionale, con la L. 28.06.2019, n. 58 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30.04.2019, n. 34, recante misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi" (cosiddetto Decreto Crescita).
La norma introdotta dispone "Gli enti locali competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni e dei relativi rinnovi, alla ricezione di segnalazioni certificate di inizio attività, uniche o condizionate, concernenti attività commerciali o produttive possono disporre, con norma regolamentare, che il rilascio o il rinnovo e la permanenza in esercizio siano subordinati alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti".
L'art. 15-ter in questione, inserito durante l'esame presso la Camera dei deputati, consente agli enti locali di subordinare alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti il rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni e dei relativi rinnovi, inerenti attività commerciali o produttive.
Tale previsione, per essere applicabile, deve passare da una approvazione mediante delibera consiliare nella forma del regolamento comunale.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.L. 30.04.2019, n. 34
L. 28.06.2019, n. 58, art. 1
(10.07.2019 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

TRIBUTI: La salvaguardia degli equilibri di bilancio e la modifica delle tariffe ed aliquote dei tributi comunali.
Domanda
In vista dell’ormai prossima salvaguardia degli equilibri di bilancio (art. 193 del TUEL) entro il mese di luglio, è possibile deliberare una riduzione delle aliquote dei tributi comunali?
Risposta
Il quesito del lettore fa riferimento al comma 3 dell’art. 193 del TUEL. Esso prevede che ai fini della salvaguardia degli equilibri di bilancio, fermo restando quanto stabilito dal successivo art. 194, comma 2, in materia di rateizzazione dei debiti fuori bilancio riconosciuti come legittimi, per l’anno in corso e per i due successivi possono essere utilizzate le seguenti risorse:
   a) le possibili economie di spesa;
   b) tutte le entrate, ad eccezione di quelle provenienti dall’assunzione di prestiti e di quelle con specifico vincolo di destinazione;
   c) i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili e da altre entrate in c/capitale con riferimento a squilibri di parte capitale.
Solo in ultima battuta, qualora non vi si possa provvedere con le modalità sopra elencate è possibile impiegare la quota libera del risultato di amministrazione.
Per il ripristino degli equilibri di bilancio e in deroga all’art. 1, comma 169, della legge 27.12.2006, n. 296, l’ente può infine modificare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di propria competenza entro la data ultima del 31 luglio di ogni anno, contestualmente all’adozione del provvedimento consiliare di salvaguardia degli equilibri di bilancio. Il suddetto comma 169 della L. 296/2006 prevede che le tariffe e le aliquote relative ai tributi siano deliberate entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione.
Se approvate successivamente all’inizio dell’esercizio, purché entro il suddetto termine, esse hanno comunque effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro detto termine, si intendono prorogate di anno in anno le tariffe e le aliquote già vigenti. La leva fiscale è pertanto uno degli strumenti che il Legislatore ha messo a disposizione degli enti locali per fronteggiare situazioni di squilibrio del proprio bilancio che dovessero emergere in sede di salvaguardia.
In merito alla possibilità di ridurre le tariffe e le aliquote relative ai propri tributi la risposta al quesito del lettore è negativa. In tale senso si è infatti espresso il Mef con risoluzione n. 1/DF del 29/05/2017, nella quale si afferma che: “(…) la variazione delle aliquote e delle tariffe contemplata da tale ultima disposizione –in quanto costituisce una delle misure preordinate al ripristino del pareggio di bilancio, da esperire laddove “i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un disavanzo”– deve necessariamente consistere in un aumento delle aliquote o tariffe medesime, non potendosi invocare l’esigenza di salvaguardare gli equilibri di bilancio al fine di procedere ad una modifica in diminuzione oltre il termine del bilancio di previsione. (…)”.
Lo stesso orientamento era già stato formulato dalla Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Calabria, nella deliberazione n. 5 del 30.01.2014, nella quale si precisava come, in virtù dell’art. 193, comma 3, del TUEL, “(…) nel solo caso in cui risulti necessario per il ripristino degli equilibri di bilancio, l’ente locale può modificare (evidentemente in aumento) le tariffe e le aliquote relative ai tributi di propria competenza” entro il termine previsto dalla norma stessa.
Quindi, concludendo: un eventuale manovra sulle tariffe e aliquote tributarie può essere, in sede di salvaguardia, solo in aumento. Fino allo scorso anno ciò poteva essere fatto solo per i tributi esclusi dal blocco disposto dall’art. 1, comma 26 della L. 208/2015 (ovvero: TARI e contributo di sbarco).
In tal senso si era espressa la Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con parere n. 133 del 27.04.2016. Da quest’anno l’aumento può invece avvenire su tutti i tributi locali, essendo venuto meno il suddetto blocco a partire dal 01/01/2019 (01.07.2019 - tratto da e link a www.publika.it).

aprile 2019

APPALTI - TRIBUTICompensazione fra debiti per prestazioni rese a favore del comune e crediti tributari.
Domanda
Il mio ufficio ragioneria deve pagare la fattura di una ditta fornitrice per una prestazione resa a favore del comune. La ditta, tuttavia, è destinataria di un avviso di accertamento IMU già notificato dall’ufficio tributi e divenuto definitivo, ad oggi ancora impagato.
E’ possibile procedere alla loro compensazione?
Risposta
Il quesito del lettore propone un caso non certo infrequente per gli enti locali, in cui il comune si trova ad essere contemporaneamente debitore e creditore verso il medesimo soggetto. Come noto gli uffici ragioneria, prima di procedere all’emissione dei mandati di pagamento di importo superiore a cinquemila euro già devono procedere alle verifiche previste dall’art. 48-bis del dPR 602/1973.
Quest’ultimo infatti stabilisce che le amministrazioni pubbliche di cui all’ articolo 1, comma 2, del dlgs. 30.03.2001, n. 165, e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a cinquemila euro, verifichino, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo. In caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo.
Nell’ipotesi prospettata dal lettore, dove il comune stesso è soggetto creditore, si ritiene che debba trovare applicazione, per analogia, l’art. 23 del dlgs. 472/1997. Questo, al comma 1, prevede infatti che “Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. La sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo”. Il successivo comma 2 stabilisce che “In presenza di provvedimento definitivo, l’ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito.”.
Si ritiene che detta procedura (ovvero la compensazione fra il debito del comune con la ditta per la prestazione resa, ed il credito tributario vantato dal comune stesso verso quest’ultima) non sia una semplice facoltà, bensì un vero e proprio obbligo. La tesi è altresì confermata anche dall’art. 8, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, di cui alla L. 212/2000, laddove si stabilisce che “
L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”.
Si ritiene infine opportuno che tale previsione trovi adeguata conferma anche all’interno del regolamento comunale delle entrate tributarie dell’ente stesso, con la previsione di un articolo ad hoc.
Dal punto di vista contabile, infine, la compensazione dovrà essere rispettosa del principio di bilancio dell’integrità, come previsto dall’art. 162, comma 4, del TUEL. Sarà necessario pertanto che l’ufficio ragioneria emetta l’ordinativo di pagamento a valere sul relativo capitolo di spesa e l’ordinativo di incasso sul corrispondente capitolo di entrata. L’operazione non darà luogo ad alcun movimento monetario in caso di compensazione integrale.
Viceversa, in caso di compensazione parziale, ovvero nell’ipotesi in cui l’importo del debito dell’ente sia superiore all’importo del credito tributario vantato, il movimento monetario in uscita riguarderà la sola differenza a debito dell’ente (29.04.2019 - tratto da e link a www.publika.it).

TRIBUTIImpianti elettrici accatastabili. E tassabili. Comuni a caccia di nuove basi imponibili.
La crisi economica oramai decennale, insieme ai sempre minori trasferimenti da parte dello Stato, spinge gli enti locali, al fine di non aggravare il carico impositivo con maggiori aliquote nei confronti dei soggetti già stabilmente accertati quali contribuenti, a verificare la correttezza nei confronti di questi ultimi delle loro basi imponibili ma, soprattutto, a ricercarne di nuove.
Un esempio, al riguardo, è rappresentato dai soggetti proprietari di impianti, costituiti da cabine e reti per la distribuzione dell'energia elettrica i quali avrebbero dovuto includere nella stima di detti impianti gli elementi caratterizzati da una connessione strutturale con l'edificio, tale da realizzare un unico bene complesso, prescindendo dalla transitorietà di detta connessione (per esempio le ciminiere, le pompe, i ventilatori, le caldaie, le turbine).
Tali soggetti, approfittando di un contrasto giurisprudenziale (poi risolto dal dl 44/2005) e di prassi (risolto dalla circolare dell'Agenzia del Territorio n° 6/T del 30/11/2012), hanno spesso ritenuto di non essere tenuti a presentare alcuna dichiarazione di aggiornamento catastale al fine di includere nel classamento già accettato dall'Agenzia del Territorio gli elementi, sui quali non vi era la citata uniformità di prassi e di giudicato.
Già da alcuni anni, però, diversi enti locali hanno cercato di tradurre in base imponibile la rilevanza dell'insistenza su un'area di detti impianti (caratterizzati da una connessione strutturale con l'edificio accatastato) applicando un concetto già presente nel Regio decreto 652 del 1939, secondo il quale si considera unità immobiliare urbana ogni parte dell'immobile che di per sé stessa è utile a produrre un reddito proprio (autonomia funzionale e reddituale).
Questo ha portato alla formulazione di ricorsi contro le pretese impositive degli enti locali: dopo giudizi ondivaghi da parte dei magistrati tributari, un punto fermo sembra sia stato conseguito attraverso la sentenza 11.04.2019 n. 10125 della Corte di Cassazione, Sez. V civile, la quale ha stabilito che «il mancato accatastamento determinerebbe il riconoscimento di una aprioristica (quanto irragionevole) esenzione dall'Ici, in contraddizione con il principio costituzionale che vuole che le imposte siano parametrate alla effettiva capacità contributiva».
Pertanto bene ha fatto il comune, una volta constatata la rilevanza catastale degli impianti, a procedere con l'emissione degli avvisi di accertamento. E' comunque da sottolineare il fatto che i giudici hanno riconosciuto l'incertezza normativa: ciò ha comportato la non applicazione delle sanzioni.
Prima che si formasse tale orientamento da parte della Cassazione, tuttavia, è intervenuto il legislatore a ridurre l'impatto economico sugli operatori con la legge 208/2015 (cosiddetta «svuotaimpianti»), la quale prevede che la rendita degli opifici non debba comprendere gli impianti stabilmente infissi al suolo (cosiddetti «imbullonati»): in tal modo tale rendita viene significativamente ridotta.
Analogo contrasto in giurisprudenza e nella prassi, si ritrova a proposito della classificazione catastale di cave, miniere, saline, laghi, stagni da pesca e tonnare, che l'articolo 18 del Regio decreto 08.10.1931 n. 1572 esclude dalla stima fondiaria e che l'Agenzia del territorio, con nota prot. 75779 del 04.11.2008, ritiene debbano essere iscritte al catasto fabbricati in base a quanto disposto dall'articolo 2 del decreto ministeriale 28/1998: in esso si precisa che l'unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da “un'area”, che, nello stato in cui si trova e secondo l'uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.
Appare pertanto utile che gli enti locali tentino di recuperare attraverso gli accertamenti tributari il gettito sinora non accertato su tutte queste fattispecie
(articolo ItaliaOggi del 29.06.2019).
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MASSIMA
4. Il motivo è privo di pregio.
Occorre premettere che, come emerge dagli scritti difensivi e dalla stessa sentenza impugnata, la società Enel presentò la dichiarazione Docfa con riferimento ai soli edifici che contengono la centrale di produzione idroelettrica e, sulla base della rendita allora proposta, la società ricorrente versò l'imposta comunale per l'anno 2005, omettendo di versare l'imposta comunale per gli impianti e gli immobili serventi la centrale, non denunciati con la menzionata procedura.
In assenza di rendita attribuita sia pure provvisoriamente a detti impianti (sbarramento del Ba., area serbatoio Ba., canale di raccolta e area esterna), il criterio utilizzabile per determinare la base imponibile dell'Ici con riferimento a detti beni era quello fondato sul valore di bilancio alla stregua del disposto dell'art. 5 cit., secondo il quale la base imponibile Ici di immobili ad uso industriale, appartenenti al gruppo D, deve essere determinata attraverso il criterio del valore contabile ossia sull'ammontare al lordo delle quote di ammortamento che risulta dalle scritture contabili.
Sennonché, in mancanza della dedotta produzione da parte dell'Enel della documentazione contabile richiesta dall'amministrazione comunale, quest'ultima ha provveduto alla determinazione della rendita sulla base di una stima redatta da un professionista incaricato da Bim che ha determinato il valore adottando il criterio comparativo con immobili similari agli impianti non dichiarati, come consentito dal quarto comma dell'art. 5 cit., che è stato abrogato solo con la legge finanziaria n. 296/2006.
L'art. 5, comma 4, del d.lgs. 30.12.1992, n. 504, stabilisce che, per i fabbricati non iscritti in catasto (diversi da quelli di cui al precedente comma 3), il valore va determinato "con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti". Per la determinazione del valore degli immobili classificati in cat. D non iscritti e privi di rendita la mancanza della "distinta contabilizzazione in bilancio" non permette, difatti, il calcolo del valore secondo la previsione di cui all'art. 5, terzo comma, del d.lgs. n. 504 del 1992, ma consente solo l'applicazione della regola residuale ivi contenuta nell'art. 5, quarto comma, secondo la quale il valore ai fini I.C.I. deve essere stabilito con riferimento a fabbricati "similari" già iscritti in catasto (Cass. n. 6609/2013; Cass. n. 16916 del 2009).
Ed invero -quando trattasi di immobili classificati in cat. D non iscritti privi di rendita- deve esser riaffermato il principio per cui
deve ritenersi che il legislatore abbia inteso prevedere due criteri tra di loro subordinati. E cioè dapprima viene il cosiddetto criterio contabile ex art. 5, comma 3, d.lgs. n. 504 del 1992 e secondariamente il più generale criterio di cui all'art. 5, comma 4, stesso d.lgs. del calcolo della rendita a mezzo del confronto con immobili "similari" già censiti.
5. Quanto alla dedotta insussistenza del potere impositivo dell'ente comunale, in virtù dei commi 335 e 336 della l. n. 311 del 2004 e della l. n. 662 del 1996, art. 3, comma 58, alla stregua dei quali il comune richiede agli interessati la presentazione di atti di aggiornamento e se i soggetti interessati non ottemperano alla richiesta, gli uffici dell'Agenzia del territorio provvedono alla iscrizione in catasto dell'immobile non accatastato, si osserva quanto segue.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (Cass. nn. 5784, 10489 e 21532 del 2013; n. 11477/2018) dalla quale non vi sono ragioni per discostarsi, il classamento può avvenire alternativamente o in forza della I. n. 662 del 1996, art. 3, comma 58, oppure ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 335 e 336.
L'opposta interpretazione fa leva sulle disposizioni normative introdotte dall'art. 1, commi 337 e 336, della legge 30.12.2014 nr. 311 (finanziaria 2005) che avrebbero «definitivamente sancito la configurazione del sistema dei rapporti tra contribuente ed amministrazioni preposte alla determinazione delle rendite catastali nel senso che la deroga alla efficacia ex nunc degli atti di attribuzione e modificazioni delle rendite decorrente solo dalla loro notificazione, a cura dell'ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita, ai sensi dell'art 74 - è prevista ai fine di sanzionare la renitenza all'obbligo di presentazione della denuncia catastale».
In realtà
le norme citate consentono ai Comuni di avvalersi motu proprio di uno strumento procedurale per promuovere l'adeguamento catastale alla reale situazione del patrimonio immobiliare al fine di garantire maggiore equità fiscale e contrastare fenomeni di evasione fiscale.
Ne consegue che,
come insegna questa Corte (cfr. Cass. 4336/2015), la disciplina di cui all'art. 1, commi 336 e 337, l. 311 del 2004 si applica nel caso in cui sia il Comune a richiedere ai titolari dei diritti reali la presentazione di atti di aggiornamento per immobili non dichiarati in catasto.
Nella fattispecie in esame non si verte nella suesposta ipotesi in quanto l'attribuzione catastale agli immobili di proprietà della società Enel non è avvenuta su richiesta del Comune secondo la procedura disciplinata dall'art. 1, comma 336, legge citata.
Nel caso di specie, come in quello considerato nella sentenza n. 19196 del 2006, il Comune «non si è affatto sostituito all'Ufficio competente nel potere a questi spettante di attribuzione della nuova rendita all'immobile», ma, constatata la rilevanza catastale degli impianti, si è mantenuto nell'esercizio dei suoi poteri di liquidazione e di accertamento dell'imposta, limitandosi a non riconoscere l'esenzione dei beni in questione (cfr. anche Cass. n. 1706/2016).
La disposizione che impone al comune l'obbligo di richiedere all'ufficio competente l'attribuzione della rendita nell'ipotesi di negligenza del contribuente, non esclude il potere del Comune di provvedere alla determinazione della rendita provvisoria ex art. 5 cit. L'omessa dichiarazione di taluni beni e il mancato accatastamento determinerebbe il riconoscimento di una aprioristica (quanto irragionevole) esenzione dall'ICI, in contraddizione con il principio costituzionale che vuole che le imposte siano parametrate alla effettiva capacità contributiva.
Alla luce del doveroso rispetto di siffatto principio,
l'omessa dichiarazione non può (e non poteva nemmeno prima del 2006) costituire un impedimento al riconoscimento della sua imponibilità, in particolare ove tale mancato accatastamento sia stato determinato da un'omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare al Catasto i cespiti (Cass. n. 19196 del 2006).
Nelle ipotesi di debenza dell'ICI a seguito di omessa presentazione della dichiarazione relativamente a immobili non iscritti in catasto, il Comune può procedere ad accertamento senza dover preventivamente chiedere l'atto di classamento all'Agenzia del Territorio (Cass. n. 15534 del 2010): né risulta, o viene dedotto, che vi sia stata una richiesta da parte della società contribuente di un accatastamento diverso da quello (o di una variazione di quello) sulla cui base agisce il Comune ai fini della determinazione della base imponibile. Sotto questo profilo non sussiste un difetto di legittimazione passiva del Comune.
Per tali ragioni anche detto motivo è infondato.
Per quanto attiene alla censura specifica relativa all'assenza di redditualità degli impianti, vale osservare che con l'articolo 1-quinquies del DL n. 44/2005 è stato disposto che "ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, comma 2, della Legge n. 212/2000, l'art. 4 del regio decreto n. 652/1939, convertito con modificazioni dalla Legge 1249/1939,
limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell'art. 10 del citato regio decreto legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell'attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo".
Tanto precisato, i giudici di legittimità hanno affermato che, in virtù di quanto disposto dal sopra menzionato articolo 1-quinquies (norma di natura strettamente interpretativa),
le centrali elettriche non possono escludere gli impianti mobili dal computo della rendita catastale ai fini dell'Ici, in quanto esse costituiscono una parte essenziale dell'impianto fisso, senza le quali verrebbe meno la classificabilità dell'unità immobiliare come centrale elettrica.
In buona sostanza, questa Corte ha ritenuto che
i serbatoi, le ciminiere, le pompe, i ventilatori, le caldaie, i canali sono elementi essenziali costitutivi del bene "centrale elettrica", ovvero impianti necessari al ciclo di produzione dell'energia elettrica, in quanto è "impossibile separare l'uno dall'altro senza la sostanziale alterazione del bene complesso... che non sarebbe più nel caso di specie, una centrale elettrica" (Cass. n. 24060/2006; n. 4030/2012), poiché anch'essi costituiscono una componente strutturale ed essenziale della centrale stessa, sicché questa senza quelle non potrebbe più essere qualificata tale, restando diminuita nella sua funzione complessiva ed unitaria ed incompleta nella sua struttura (v. Cass. n. 3354 del 2015).
Precisando, altresì, che "
In tema di classamento di immobili e con riferimento all'attribuzione della rendita catastale alle centrali idroelettriche, il D.L. 31.03.2005, n. 44, art. 1-quinquies convertito in L. 31.05.2005, n. 88, includendo nella stima gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili caratterizzati da una connessione strutturale con l'edificio, tale da realizzare un unico bene complesso, e prescindendo dalla transitorietà di detta connessione nonché dai mezzi di unione a tal fine utilizzati, impone di tener conto, nel calcolo della rendita, anche del valore delle turbine, le quali si configurano come elementi essenziali della centrale, incorporati alla stessa e non separabili senza una sostanziale alterazione del bene complesso".
Tale disposizione, in quanto volta a dirimere un contrasto ermeneutico insorto relativamente alla situazione specifica delle centrali elettriche, non appare irragionevole né introduce un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altri beni classificabili nel gruppo catastale D, tenuto conto della disomogeneità degl'immobili inclusi in tale categoria, né infine contrasta con il principio della capacità contributiva, la cui violazione non è prospettabile in riferimento alla determinazione della rendita catastale, che non costituisce un'imposta né un presupposto d'imposta (Cass. n. 13319 del 2006).
Questa impostazione ermeneutica è stata sostanzialmente seguita anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 162 del 2008, allorché è stata investita della questione dì legittimità costituzionale del ricordato del D.L. 31.03.2005, n. 44, art. 1-quinquies.
In proposito, il giudice delle leggi ha affermato che "
il legislatore ha inteso risolvere il contrasto interpretativo con riferimento alle centrali elettriche (che si era determinato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione), senza innovare il concetto di immobile per incorporazione, quale emergente dalla normativa esistente ed evidenziato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata. L'unico effetto (del D.L. 31.03.2005, n. 44, art. 1-quinquies) è quello di considerare immobili le centrali elettriche, senza alcuna possibilità per il giudice di fornire una diversa interpretazione, ma non anche quello di escludere dal novero degli immobili per incorporazione le altre costruzioni pure se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Tutte le infrastrutture diverse dai fabbricati delle centrali, come gallerie, pozzi, laghi, dighe, turbine, condotte etc., che non costituivano pertinenze delle stesse, sono beni da sottoporre ad imposizione".
6. Con la seconda censura, si lamenta violazione degli artt. 1 e 25 del R.D. 1775/1933 e dell'art. 18 del R.D. 08.10.1931, ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici territoriali escluso la rilevanza, ai fini impositivi, della gestione in concessione delle opere idrauliche, in quanto le norme citate escludono dalla stima fondiaria i laghi con superficie stabilmente occupata per la relativa industria, ragion per cui le opere idrauliche in questione non sono suscettibili di attribuzione di rendita catastale.
Deduce la ricorrente che le sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal suolo acquistano attitudine ad usi di pubblico interesse e quindi inglobati nelle acque pubbliche, il che consente il ritorno allo stato, al temine della concessione, delle opere di raccolta e di derivazione delle acque, degli adduttori delle acque.
7. Anche detta censura è priva di pregio.
Nel caso di specie,
le aree cd. "scoperte", lo sbarramento e il canale, risultano indispensabili al concessionario del bene demaniale per svolgere la propria attività imprenditoriale; ciò che conta ai fini ICI è che ogni area sia suscettibile di costituire un'autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito.
In particolare, la censura riguarda l'insussistenza dei presupposti per l'imposizione tributaria ai fini ICI ex artt. 1 e 3 della legge 504 del 1992 perché i beni per i quali è stata rilevata l'omessa presentazione della dichiarazione ICI, in particolare gli impianti (sbarramento e area serbatoio Baghetto, canale raccolta e area esterna), attraverso i quali l'ente sfrutta in concessione le risorse idriche, appartengono al demanio dello Stato e non alla società concessionaria che non sarebbe quindi soggetto passivo di imposta.
9. Sennonché,
con la l. 1643/1962 le acque pubbliche sono state affidate ex lege in concessione all'Enel e secondo l'art. 18 legge 23/12/2000 nr. 388 in caso di concessioni su aree demaniali il concessionario di un bene è soggetto passivo ai fini del pagamento dell'imposta comunale sugli immobili, come espressamente prevede la norma. Pertanto appare corretto e dovuto il recupero dell'imposta ICI da parte del Comune sussistendone i presupposti impositivi.
Del resto, la CTR ha accertato, con valutazione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, che la concessione per derivare acqua non ha alcuna attinenza con le opere in questione.

marzo 2019

TRIBUTIIncentivi per il recupero delle entrate comunali. Interessate anche poste non tributarie, precisa Ifel. Le premialità introdotte dall’ultima manovra possono remunerare anche obiettivi afferenti a poste non tributarie. Per la relativa quantificazione, occorre adottare un criterio di cassa, senza necessità di confronti intertemporali.
Incentivi a tutto campo per il recupero delle entrate comunali: le premialità introdotte dall'ultima manovra possono remunerare anche obiettivi afferenti a poste non tributarie. Per la relativa quantificazione, occorre adottare un criterio di cassa, senza necessità di confronti intertemporali.
Sono alcune delle precisazioni contenute nella nota predisposta dall'Ifel per illustrare la disciplina dettata dal comma 1091 della legge 145/2018.
In base a tale disposizione, i comuni che approvano il bilancio e il rendiconto entro i termini previsti dal Tuel possono, con proprio regolamento, stabilire che il maggior gettito accertato e riscosso relativamente all'Imu e alla Tari nell'esercizio fiscale precedente sia destinato, nella misura massima del 5%, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici competenti, nonché al trattamento accessorio del personale ad essi preposto, anche in deroga al tetto imposto dall'art. 23 del dlgs 75/2017.
Secondo Ifel, potranno essere premiate tutte le risorse umane impegnate a stanare gli evasori, non solo, quindi, quelle direttamente adibite all'ufficio tributi, ma anche il personale degli altri uffici che in vario modo concorrono al raggiungimento degli obiettivi del «settore entrate».
Il documento (corredato da uno schema di regolamento e di delibera di approvazione) si sofferma diffusamente anche sui meccanismi di alimentazione del fondo incentivante, precisando che la nozione di «maggior gettito» non può che riferirsi al gettito aggiuntivo rispetto a quello che risulta ordinariamente acquisito sui due tributi menzionati, nelle forme proprie di ciascuno: l'autoliquidazione a scadenze predeterminate dalla legge, nel caso dell'Imu, la richiesta comunale o del diverso soggetto preposto, generalmente mediante avviso bonario, nel caso della Tari.
Pertanto, non c'è alcun confronto intertemporale da effettuare, bensì dovranno essere considerate tutte le riscossioni diverse da quelle ordinarie, generate da attività di verifica e controllo poste in essere dal comune. A monte, però, deve esserci atto di accertamento emesso dall'ente, anche se poi l'incasso è stato operato da terzi. Inoltre, quello che rileva è quanto riscosso in un determinato anno, indipendentemente dal periodo di emissione dell'atto.
Infine, Ifel conferma che la condizione di applicabilità legata alla tempistica di approvazione dei documenti contabili è da intendersi realizzata purché l'ente rispetti i termini di legge, anche se eventualmente prorogati. Il meccanismo è attivabile fin dal corrente anno avendo riguardo alle riscossioni realizzate nel 2018; l'erogazione dell'incentivo avverrà nel 2020, nella misura in cui saranno stati realizzati gli obiettivi di recupero (articolo ItaliaOggi del 02.03.2019).

febbraio 2019

TRIBUTI: Il nuovo strumento di sostegno alle attività di gestione delle entrate comunali. Nota di approfondimento sul comma 1091 della Legge di bilancio per il 2019 (IFEL, 28.02.2019).
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Sommario: 1. Premessa - 2. L’articolazione e la ratio della norma - 3. Alimentazione ed utilizzo del Fondo - 4. Le condizioni di applicabilità.

gennaio 2019

TRIBUTI: TOSAP, tocca alle Sezioni unite sciogliere il rebus sul soggetto passivo.
Riguardo il contrasto sorto su estensione e attribuzione della soggettività passiva della tassa sull'occupazione di suolo pubblico (Tosap), cioè sull'interpretazione dell'articolo 39 del Dlgs 507/1993, con l'ordinanza interlocutoria 24.01.2019 n. 2008 la Sez. V civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al primo presidente della stessa.
La vicenda
La commissione tributaria di prima istanza riteneva corretto l'operato della società di riscossione che per conto del Comune azionava la pretesa impositiva nei confronti del concessionario per la gestione delle reti idriche, applicando l'articolo 39 del Dlgs 507/1993, in forza del contratto di affitto di ramo di azienda della gestione della rete idrica che aveva col proprietario della rete.
Viceversa, il contribuente opponeva alla propria legittimazione passiva tributaria il non essere né il proprietario della rete idrica né il titolare della concessione di occupazione del suolo pubblico, qualità sussistenti in capo alla società proprietaria della rete.
A parere della Cassazione, i giudici tributari hanno indebitamente attribuito qualità soggettiva individuabile in capo alla titolare della concessione di gestione della rete idrica comunale, a seguito di contratto di affitto di ramo di azienda, quando esso, tuttavia, non è idoneo a trasferire anche la diversa concessione o autorizzazione già rilasciata alla proprietaria della rete idrica per l'occupazione del suolo pubblico.
La concessione Tosap è contenuta in un atto amministrativo, emesso da un ente locale a favore di un soggetto ben determinato, il proprietario della rete, il cui trasferimento in capo a un soggetto diverso non presuppone l'espletamento di un'attività negoziale, ma funzione provvedimentale della pubblica amministrazione, esternata previa verifica dei presupposti di legge, individuando altro soggetto titolare della concessione o autorizzazione occupativa.
È da censurare, pertanto, a parere del giudice di legittimità, la conclusione raggiunta dalla commissione tributaria, che identifica proprio nel contratto di fitto di ramo di azienda, la legittimazione passiva al tributo, equiparabile al concessionario dell'occupazione di suolo pubblico di cui all'articolo 39.
Ponendosi, piuttosto, il dubbio se tenuta al pagamento fosse ugualmente la società quale concessionaria della gestione della rete idrica, in qualità di occupante di fatto del suolo pubblico di insistenza della rete idrica. Esistono almeno tre orientamenti, comunque, che non consentono una chiara individuazione del soggetto passivo obbligato al pagamento del tributo.
Primo orientamento...
Deve attribuirsi valore alla sussistenza di concessione o autorizzazione, essendo rilevante l'occupazione di fatto soltanto quando sia constatato che l'occupazione del suolo sia avvenuta in assenza di titolo abilitativo in via di mero fatto e quindi abusivamente.
...secondo...
La Tosap deve essere pagata da chi occupa il suolo pubblico, indipendentemente dell'esistenza della concessione o autorizzazione.
...e terzo
Tenuto al tributo è il soggetto titolare di concessione o autorizzazione occupativa, salvo ammettere l'eventualità di una responsabilità solidale anche in capo all'occupante di fatto. In realtà, la solidarietà passiva non è prevista dall'articolo 39, mentre la regola generale stabilita dall'articolo 1294 del codice civile presuppone una fattispecie co-debitoria originaria.
In conclusione
La risoluzione della questione interpretativa è dirimente anche per le implicazioni di sistema e le interferenze di principio in rapporto alle caratteristiche di necessaria tassatività e determinatezza che la norma impositiva deve necessariamente avere e che non può consentire di colpire soggetti non precisamente ed espressamente individuati.
Per di più, casi come quelli che vedono, da parte di una medesima infrastruttura l'occupazione di suolo o sottosuolo pubblico della società proprietaria della rete, solitamente anche concessionaria, affidata alla simultanea gestione di plurime società erogatrici-occupanti di fatto (come trasporti, telecomunicazioni, energia) non è disciplinata né con riferimento al quantum dovuto da ogni singolo operatore, né in ordine all'imputazione soggettiva della Tosap.
Pertanto, vista la presenza di orientamenti tra loro opposti che coinvolgono la tassatività e determinatezza della norma impositiva, sussistono i presupposti per un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sull'esatta interpretazione dell'articolo 39 Dlgs 507/1993 e, segnatamente, sull'estensione della soggettività passiva Tosap, a seconda che l'occupante di fatto di suolo pubblico possa essere chiamato a rispondere del tributo anche in presenza, ovvero solo in mancanza, di un soggetto titolare di concessione o autorizzazione all'occupazione, chiarendo, poi, se tale responsabilità operi in via esclusiva, assorbente o solidale (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 19.04.2019).

ATTI AMMINISTRATIVINell'ambito della manovra dell'approvazione del bilancio di previsione, nella seduta del consiglio comunale, posto che prima dell'approvazione del bilancio, nella sequenza dell'ordine del giorno, si intende approvare una modifica ad un regolamento tributario, questa delibera di modifica di regolamento che va ad incidere sul bilancio stesso, può essere dichiarata immediatamente eseguibile o le modifiche dei regolamenti non lo possono essere?
Il quesito in esame riguarda la declaratoria di "immediata eseguibilità", relativa alle deliberazioni degli organi collegiali: Giunta e Consiglio. Precisamente, si chiede di sapere se le deliberazioni consiliari di modificazione di regolamenti in materia tributaria possano essere oggetto dell'indicata declaratoria.
In via preliminare, occorre chiarire il concetto di "eseguibilità" e ben distinguerlo da quello di "esecutività". Orbene, per "esecutività", si intende la formale idoneità di un provvedimento a produrre effetti. Viceversa, per "eseguibilità", si intende la concreta idoneità di un provvedimento a produrre effetti. In altri termini, il provvedimento, seppur non esecutivo, può essere attuato (posto in esecuzione) mediante la dichiarazione di eseguibilità, che impone una precisa assunzione di responsabilità. L'eseguibilità costituisce, quindi, un'anticipazione dell'esecuzione, sulla base di una dichiarazione di assunzione di responsabilità.
Chiarito il concetto, procediamo alla lettura dell'art. 134, comma 4, D.Lgs 18.08.2000, n. 267, il quale stabilisce quanto segue: "Nel caso di urgenza le deliberazioni del consiglio o della giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti".
Il tenore letterale della disposizione normativa pone in essere un generico riferimento alle deliberazioni del consiglio o della giunta, senza operare alcuna limitazione. Dunque, in base ad un'interpretazione meramente letterale appare facile desumere che, non sussistendo limitazioni espresse, anche le deliberazioni modificative di regolamenti in materia tributaria possono essere dichiarate immediatamente eseguibili.
Ed, infatti, la giurisprudenza, che si è più volte occupata dell'istituto, non ha mai evidenziato limitazioni di "categorie" di provvedimenti deliberativi o di "materia" eventualmente oggetto di declaratoria. Precisamente, la giurisprudenza ha evidenziato quanto segue:
   - La funzione della dichiarazione di immediata eseguibilità è quella di garantire l'effettività delle decisioni assunte, nelle more della pubblicazione dell'atto deliberativo: "Si tratta di una norma che tende a salvaguardare l'effettività di quanto deciso dall'organo politico nelle more della pubblicazione dell'atto, al fine di evitare uno spazio temporale (dal giorno della deliberazione a quello dell'effettiva pubblicazione), che potrebbe tradire l'obiettivo della delibera medesima in modo deleterio per il pubblico interesse di volta in volta perseguito, così eliminando l'"effetto annuncio" connaturato all'ordinaria regola di cui al terzo comma dell'art. 134 (in base alla quale la delibera diventa ordinariamente esecutiva solo trascorsi dieci giorni dalla sua pubblicazione)" (TAR Piemonte Torino Sez. II, 14.03.2014, n. 460);
   - Conseguentemente, la dichiarazione di immediata eseguibilità accede alla deliberazione principale, ma non si identifica con essa, ed è proprio la necessità di una votazione separata a rivelarne l'autonomia sotto il profilo strutturale e funzionale (in tal senso: TAR Liguria Genova Sez. II, 09.01.2007, n. 2);
   - La dichiarazione di immediata eseguibilità costituendo una scelta discrezionale dell'Amministrazione, deve essere ben motivata: "La clausola di immediata eseguibilità dipende da una scelta discrezionale dell'amministrazione, comunque pur sempre correlata al requisito dell'urgenza, che deve ricevere adeguata motivazione nell'ambito dello stesso atto" (TAR Liguria Genova Sez. II, 09.01.2007, n. 2).
   - Non occorre la previa pubblicazione della deliberazione: "L'immediata eseguibilità di una deliberazione consiliare o giuntale non presuppone la previa pubblicazione dell'atto. In caso contrario il comma 4 dell'art. 134 avrebbe dovuto essere diversamente formulato, non potendosi lasciare nel vago un profilo così rilevante" (TAR Marche Ancona Sez. I, 23.07.2014, n. 713).
Orbene, in base ai riportati indirizzi giurisprudenziali, appare ben chiaro che la dichiarazione di immediata eseguibilità non incontra alcun limite di "categorie" o di "materia" e può anche trovare applicazione in relazione alle deliberazioni consiliari di modifica di regolamenti tributari. Ad ogni modo, occorre prestare la massima attenzione al profilo motivazionale, corredando la dichiarazione di un'adeguata giustificazione, esplicativa delle ragioni di urgenza. Ed, infatti, l'evidente necessità di una congrua motivazione è ribadita anche da un parere reso dal Ministero dell'interno: "La clausola di immediata eseguibilità dipende da una scelta discrezionale dell'amministrazione, comunque pur sempre correlata al requisito dell'urgenza, che deve ricevere adeguata motivazione nell'ambito dello stesso atto" (parere 17.02.2017).
Ovviamente, la concreta ed effettiva produzione di effetti giuridici deve essere coordinata con le vigenti disposizioni in materia di tributi locali, tenendo conto, soprattutto, dell'art. 1, comma 169, L. 27.12.2006, n. 296, il quale stabilisce che: "gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno".
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs 18.08.2000, n. 267, art. 134 - L. 27.12.2006, n. 296, art. 1, comma 169
Riferimenti di giurisprudenza
TAR Liguria Sez. II, 09.01.2007, n. 2 - TAR Piemonte Sez. II, 14.03.2014, n. 460 - TAR Marche Sez. I, 23.07.2014, n. 713
Documenti allegati

Parere 17.02.2017 del Ministero dell'Interno
(10.01.2019 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

dicembre 2018

TRIBUTI: Esonero TOSAP passi carrai.
Domanda
Questo ente applica la tassa per l’occupazione degli spazi ed aree pubbliche (TOSAP) e vorrebbe abolire il tributo sui passi carrabili. E’ possibile?
Risposta
Prima di rispondere al quesito è opportuno premettere che tra le occupazioni permanenti una posizione del tutto specifica è assunta dai passi carrabili, la cui disciplina originaria (art. 44 del d.lgs. 507/1993) è stata in buona parte riscritta con la l. 549/1995 (collegata alla finanziaria 1996).
In particolare, la determinazione della superficie da assoggettare ad imposizione avviene con criteri in parte forfettari, assumendo l’apertura del passo carrabile per la profondità convenzionale di un metro lineare.
L’ammontare della tassa per metro quadrato, applicabile ai passi carrabili, è pari a quella ordinaria, stabilita per le altre occupazioni permanenti, ridotta alla metà. Tale riduzione peraltro non dipende dalla discrezionalità degli enti impositori, ma è dovuta in base alla legge.
I comuni hanno, invece, la facoltà di applicare il COSAP (canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche: art. 63 del d.lgs. 446/1997) in alternativa alla TOSAP, oppure rimanere in TOSAP ma non applicare la tassa sui passi carrabili (esonero, peraltro, estensibile ad altre fattispecie, tra cui le autovetture adibite a trasporto pubblico o privato nelle aree pubbliche e le condutture idriche necessarie per l’attività agricola nei comuni classificati montani).
Invero, per quanto riguarda il quesito sull’esonero dei passi carrabili, non si rinviene nel d.lgs. 507/1993 alcuna previsione specifica ma occorre fare riferimento a norme contenute in altri provvedimenti legislativi e, in particolare, nell’art. 6, comma 63, lett. a), della l. 549/1995, e nell’art. 6-quater, comma 4, della l. 410/1997 (che ha introdotto il comma 63-bis all’art. 6 della l. 549/1995).
In particolare, l’art. 3, comma 63, lett. a), della l. 549/1995 stabilisce che i comuni, anche in deroga agli artt. 44 e seguenti del d.lgs. 507/1993, possono con apposite deliberazioni “stabilire la non applicazione della tassa sui passi carrabili”.
Inoltre, l’art. 6-quater, comma, 3 della l. 410/97 (di conversione del d.l. 29/9/1997 n. 328) consente ai comuni di attribuire alla relativa delibera effetto retroattivo.
I comuni hanno pertanto la facoltà, con propria deliberazione, alla quale può essere attribuita efficacia retroattiva, di esonerare dalla TOSAP le occupazioni realizzate con passi carrabili per gli anni nei quali non sia stata applicata la tassa (art. 3, comma 63, lett. a), della l. 549/1995; art. 6-quater, comma 3, della l. 410/1997; Ministero Finanze risoluzione 10/02/1999 n. 19/E).
Si evidenzia, infine, che il Ministero delle Finanze ha ritenuto legittimo il comportamento dell’ente che abbia disciplinato in sede regolamentare l’applicazione del beneficio dell’esenzione ai soli passi carrabili di uso agricolo (Risoluzione n. 101/E del 04/07/2000), vale a dire i passi carrabili utilizzati da veicoli agricoli o da mezzi comunque impiegati nell’esercizio normale delle attività di cui all’art. 2135 c.c. (17.12.2018 - tratto da e link a www.publika.it).

settembre 2018

TRIBUTINotifiche avvisi accertamento PEC.
Domanda
È possibile effettuare, da parte dell’ufficio tributi, la notifica degli avvisi di accertamento a mezzo posta elettronica certificata (PEC)?
Risposta
Occorre premettere che nel nostro ordinamento giuridico ci sono diverse disposizioni che consentono di effettuare la notifica a mezzo posta elettronica certificata (PEC).
La prima, di carattere generale, è contenuta nel codice di procedura civile. Si tratta dell’art. 149-bis del c.p.c. (disposizione introdotta nel 2010) che consente di effettuare la notifica a mezzo PEC, ma impone l’utilizzo dell’agente notificatore, quindi l’ufficio non può procedere direttamente nei confronti del contribuente.
La seconda, di carattere settoriale, è contenuta nell’art. 26 del Dpr 602/1973 e riguarda la notifica a mezzo PEC o con raccomandata AR della cartella di pagamento (la c.d. cartella esattoriale emessa da Equitalia, ora Agenzia delle Entrate-Riscossione).
Una terza disposizione, anch’essa di carattere settoriale, riguarda la notifica a mezzo PEC dei verbali al codice della strada ed è contenuta nell’art. 20 del d.l. 69/2013 conv. L. 98/2013, la cui attuazione è rimessa ad un decreto ministeriale, adottato solo recentemente (si veda il DM Interno del 20/2/2018).
Per quanto riguarda i tributi locali, il comma 161 della legge n. 296/2006 consente di effettuare la notifica degli avvisi di accertamento “anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento”. E’ quindi possibile notificare gli avvisi di accertamento dei tributi comunali con semplice raccomandata a.r. (busta bianca), in alternativa alla notifica a mezzo posta prevista per gli atti giudiziari (ex legge 20/11/1982 n. 890) effettuata con la busta verde.
Per quanto riguarda la notifica degli avvisi di accertamento a mezzo PEC, inizialmente la giurisprudenza si è mostrata piuttosto oscillante, in parte contraria (cfr. CTP di Milano n. 6087/2014), in parte favorevole (cfr. CTP Matera n. 447/2015, CTP Bergamo n. 16672016).
Poi nel 2016 è stata introdotta una disposizione che consente di effettuare la notifica degli atti tributari a mezzo PEC, a partire dal 01.07.2017. Si tratta dell’art. 7-quater commi da 6 a 8 del D.L. 193/2016 conv. L. 225/2016, norma tuttavia non riferita espressamente ai tributi locali trattandosi di un’integrazione all’art. 60 del DPR 600/1973, riguardante la notifica degli atti di accertamento delle imposte sui redditi. Risulta quindi dubbia la possibilità di effettuare la notifica a mezzo PEC per gli avvisi di accertamento dei tributi locali.
La questione è stata recentemente risolta dal d.lgs. n. 217 del 13/12/2017 (art. 7, comma 1-quater), in vigore dal 27.01.2018, secondo cui “I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, notificano direttamente presso i domicili digitali di cui all’articolo 3-bis i propri atti, compresi i verbali relativi alle sanzioni amministrative, gli atti impositivi di accertamento e di riscossione e le ingiunzioni di cui all’articolo 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, fatte salve le specifiche disposizioni in ambito tributario. La conformità della copia informatica del documento notificato all’originale è attestata dal responsabile del procedimento in conformità a quanto disposto agli articoli 22 e 23-bis”.
La norma consente pertanto di notificare gli atti di accertamento e le ingiunzioni fiscali a mezzo PEC e quindi la risposta al quesito è positiva. In ordine al procedimento da seguire, va evidenziato in particolare che la relata di notifica, creata con word, open office, ecc., deve essere trasformata, senza scansione, direttamente in PDF testo e firmata digitalmente. Un’altra regola da osservare riguarda la questione degli allegati al messaggio.
Per essere valido, l’allegato deve essere firmato digitalmente e avere un’estensione del file p7m. Infine, la notifica via PEC può dirsi perfezionata per il soggetto notificante nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall’articolo 6, comma 1, del D.P.R. 11.02.2005, n. 68, mentre, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 2, del D.P.R. n. 68/2005 (art. 3-bis, comma 3, della L. 53/1994) (24.09.2018 - tratto da e link a www.publika.it).

agosto 2018

TRIBUTI: Canone per interramento di condutture di pubblici servizi
E' illegittimo l’assoggettamento al canone non ricognitorio, previsto dall’art. 27 del codice della strada, nelle ipotesi di utilizzo del sottosuolo della sede stradale che -come nel caso di condutture elettriche- non impediscano o limitino in alcun modo la fruizione pubblica della sede viaria, ferma restando la legittima imposizione del canone per il tratto di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell’infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale.
Il codice della strada ha assoggettato a canone unicamente le occupazioni idonee a sottrarre il bene all’uso pubblico (id est: peso imposto al bene pubblico) ciò che non accade nell’ipotesi di occupazioni che si sostanzino nell’interramento di condutture finalizzate all’esercizio di pubblici servizi
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.08.2018 n. 2030 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
Oggetto della domanda di annullamento proposta con il ricorso in epigrafe sono il regolamento con il quale il Comune di Carnate ha disciplinato l’applicazione del canone non ricognitorio previsto dall’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992 nonché il conseguente atto applicativo.
Parte ricorrente ritiene che detto regolamento contrasti con il parametro normativo di riferimento avendo illegittimamente assoggettato al canone di cui trattasi gli «impianti elettrici insistenti sia sul suolo sia nel sottosuolo di proprietà comunale» in violazione disposizioni di carattere «speciale» (art. 120 r.d. M. 1775/1933, art. 1, c. 6, l. n. 239 del 2004, art. 4 l. n. 1501/1961 e art. 6 d.m. n. 258/1998). Osserva, altresì, che ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992 il canone deve essere, in tesi, determinato sulla base sia del peso imposto al bene pubblico, sia del lucro che il concessionario trae dall’utilizzazione del bene stesso.
Con nota del 28.10.2013, in applicazione di siffatta disciplina, il Comune ha chiesto il pagamento delle relative somme previa trasmissione, da parte della Società, di taluni dati inerenti all’impianto.
...
Va preliminarmente disattesa l’eccezione di difetto di interesse sollevata da parte resistente sul rilievo che la nota del 28.10.2013, pur nella sua configurazione di elemento istruttorio e malgrado non sia stata impugnata, in realtà costituisce atto rilevante che esprime la valutazione dell’Amministrazione di ritenere la particolare fattispecie compresa nella previsione regolamentare come tale assoggettabile al canone patrimoniale (TAR Lombardia, Milano, n. 265 del 2018).
Sul punto deve essere evidenziato che, a differenza del precedente di questo Tribunale dato dalla sentenza n. 1078/2018 riguardante un caso in cui il Comune aveva trasmesso una mera comunicazione di avvenuta adozione del regolamento, nella vicenda per cui è causa l’Amministrazione ha evidenziato i criteri da applicarsi per la quantificazione delle somme ed ha richiesto alla ricorrente la conferma dei dati contenuti nelle cartografie in possesso dello stesso Comune, circostanza, questa, che dà atto della ‘soggettività passiva’ della ricorrente.
Nel merito il ricorso è meritevole di accoglimento.
Come si è detto, parte ricorrente ha evidenziato che in realtà il d. lgs. n. 285 del 1992 ha assoggettato a canone unicamente le occupazioni idonee a sottrarre il bene all’uso pubblico (id est: peso imposto al bene pubblico) ciò che non accade nell’ipotesi di condutture elettriche quali quelle nel caso di specie installate dalla ricorrente.
La questione, in relazione ad analoghe controversie, è stata già solcata dalla giurisprudenza la quale ha, in modo del tutto condivisibile, ritenuto che, in realtà, nessuna norma primaria autorizzi le amministrazioni locali ad applicare il canone non ricognitorio di cui all’art. 27 del Codice della Strada ad occupazioni che si sostanzino nell’interramento di condutture finalizzate all’esercizio di pubblici servizi.
Sul punto ritiene il Collegio di non dovere discostarsi dall’approdo interpretativo del Giudice d’appello secondo cui,
valorizzando una lettura del Codice della Strada «come corpo normativo inteso alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale, e rispetto al quale interesse generale le sue norme sono evidentemente serventi», è stata esclusa la legittima esigibilità del canone non ricognitorio nelle ipotesi di utilizzo del sottosuolo della sede stradale le quali -come nel caso che qui rileva- non impediscano o limitino in alcun modo la fruizione pubblica della sede viaria, ferma restando la legittima imposizione del canone per il tratto di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell’infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale.
Ne discende l’accoglimento della domanda di annullamento del Regolamento impugnato.

giugno 2018

TRIBUTII bassi consumi svelano la prima casa fittizia. Lo scarso uso di elettricità cancella l’esenzione Ici/Imu per l’abitazione principale.
La Corte di Cassazione (Sez. VI civile - ordinanza 07.06.2018 n. 14793) giudica decisivo per il disconoscimento dell'abitazione principale ai fini Ici i bassi consumi elettrici. Decisione importante anche per l’Imu, soprattutto per le case turistiche.
La norma Ici qualificava come abitazione principale quella dove il soggetto passivo avesse la residenza anagrafica. Precisava poi che l’abitazione principale è quella in cui c’è la dimora abituale di contribuente e famiglia. Quindi, in Ici poteva esserci un’abitazione principale anche senza di residenza anagrafica.
Nell'Imu l’abitazione principale è quella in cui proprietario e famiglia «dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente». Non basta la residenza, serve la dimora abituale. Se i famigliari hanno stabilito dimora abituale e residenza in immobili diversi nel Comune, le agevolazioni si applicano per un solo immobile.
Per le Finanze (
circolare 18.05.2012 n. 3/DF), se i componenti del nucleo hanno stabilito residenza e dimora abituale in due abitazioni in due Comuni diversi, è possibile considerale entrambe abitazioni principali.
La Cassazione conferma la sentenza di secondo grado che ha «ritenuto che l'elemento presuntivo dei bassi consumi elettrici nel triennio fosse una sufficiente fonte di convincimento per ritenere superata la presunzione di residenza effettiva nel Comune di Rio dell’Elba, fondata sulle risultanze anagrafiche, in quanto, elemento sintomatico di una presenza nell'abitazione oggetto d'imposizione non abituale».
La sentenza è importante perché individua indici presuntivi sulla sussistenza della dimora abituale, quindi rilevanti anche ai fini Imu, utili per intercettare quei casi di “spacchettamento” tipico delle case turistiche. Oltre ai consumi ridotti e all'assenza del medico curante, rileva il lavoro o la frequenza scolastica dei figli in altro Comune.
Contrariamente a quanto sostenuto nella circolare n. 3/2012, anche la sola circostanza che componenti dello stesso nucleo abbiano la residenza in Comuni diversi è determinante, perché anche la norma Imu qualifica come abitazione principale quella dove il soggetto passivo «e il suo nucleo familiare» dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente (articolo Il Sole 24 Ore del 09.07.2018).
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MASSIMA
Con ricorso in Cassazione affidato a un unico motivo, nei cui confronti il comune di Rio nell'Elba ha resistito con controricorso, i ricorrenti impugnavano la sentenza della CTR della Toscana, sezione di Livorno, relativa ad alcuni avvisi d'accertamento ICI per il 2008-2010, per il mancato riconoscimento dell'agevolazione riferita all'immobile adibito ad abitazione principale.
I ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell'art. 2729 c.c. e dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., in quanto, i giudici d'appello avevano ritenuto bastevole un solo elemento presuntivo, quello relativo alla esiguità dei consumi elettrici, per non riconoscere ai fini ICI il diritto all'agevolazione prevista per l'abitazione principale, pur in presenza di residenza anagrafica presso l'immobile oggetto di controversia.
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.
Il motivo di ricorso è infondato.
È, infatti, insegnamento di questa Corte, quello che "
In tema di ICI, ai fini del riconoscimento dell'agevolazione prevista dall'art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 per l'immobile adibito ad abitazione principale, le risultanze anagrafiche rivestono un valore presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito" (Cass. ordinanza 17.05.2017 n. 12299, ordinanza 24.05.2017 n. 13062).
Nel caso di specie, premesso che il ricorso rispetta i criteri di cui agli artt. 360 e 366 c.p.c.,
i giudici d'appello, con accertamento di fatto sufficientemente motivato, hanno ritenuto, in disparte la scelta del medico curante effettuata dai ricorrenti presso altro comune, che l'elemento presuntivo dei bassi consumi elettrici nel triennio, fosse una sufficiente fonte di convincimento, per ritenere superata la presunzione di residenza effettiva nel comune di Rio dell'Elba, fondata sulle risultanze anagrafiche, in quanto, elemento sintomatico di una presenza nell'abitazione oggetto d'imposizione non abituale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

maggio 2018

TRIBUTIDimore diverse, esenzione Ici ko. Coniugi non separati legalmente.
Dimore diverse, esenzione Ici ko Se marito e moglie dimorano abitualmente in due immobili diversi, e non sono separati legalmente, nessuno dei coniugi ha diritto a fruire dell'esenzione Ici riconosciuta dalla legge per l'abitazione principale.

È quanto ha affermato la Corte di Cassazione, Sez. VI civile, con l'ordinanza 17.05.2018 n. 12050.
Per la Cassazione, un'abitazione può essere ritenuta principale soltanto se nella stessa dimorano sia il contribuente che i suoi familiari, con la conseguenza che «per il sorgere del diritto alla detrazione non è sufficiente che il contribuente dimori abitualmente nell'unità immobiliare se il coniuge, non separato legalmente, dimori altrove». L'articolo 8 decreto legislativo 504/1992, che disciplinava l'esenzione Ici, riconosceva l'esenzione per l'immobile adibito a dimora del contribuente e dei suoi familiari.
Sulla questione si sono espressi in maniera diversa giudici di legittimità e di merito. Per esempio, la Commissione tributaria regionale dell'Abruzzo, IV Sez., con la sentenza 692/2017, ha stabilito che se uno dei coniugi risiede per motivi di lavoro in un comune diverso da quello in cui dimorano i propri familiari, non perde il diritto all'esenzione Ici per l'immobile adibito ad abitazione principale. Gli impegni di lavoro, infatti, giustificano una frattura della convivenza abituale all'interno della stessa casa, ma non fanno venir meno la destinazione ad abitazione principale della famiglia dell'unità immobiliare.
Va posto in rilievo che la nozione di prima casa per l'Imu è un po' diversa rispetto a quella prevista per l'Ici dal citato articolo 8. In base a quanto disposto dall'articolo 13 del dl 201/2011, per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Tuttavia, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano fissato la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile. Per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di una per ciascuna categoria, anche se iscritte in catasto unitamente all'immobile adibito ad abitazione.
In presenza delle condizioni di legge gli immobili adibiti ad abitazione principale sono esenti, tranne quelli iscritti nella categorie catastali A1, A8 e A9, vale a dire immobili di lusso, ville e castelli, per i quali il trattamento agevolato è limitato all'aliquota e alla detrazione
(articolo ItaliaOggi del 04.07.2018).
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MASSIMA
Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria, nei cui confronti il comune di Bologna non ha spiegato difese scritte, i ricorrenti -coniugi separati di fatto- impugnavano la sentenza della CTR dell'Emilia Romagna, relativa a due avvisi d'accertamento ICI 2004 per il mancato riconoscimento dell'agevolazione riferita all'immobile adibito ad abitazione principale.
Con un primo motivo denunciano il vizio di violazione di legge, in particolare, dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992 anche in rapporto al combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost. in quanto, erroneamente, i giudici d'appello avevano negato ai fini ICI il diritto all'agevolazione prevista per l'abitazione principale ai coniugi separati di fatto solo perché non separati giudizialmente.
Con un secondo motivo, i medesimi ricorrenti denunciano il vizio di violazione di legge, in particolare, dell'art. 1, comma 161, della legge 296/2006, in quanto, erroneamente, i giudici d'appello, avevano ritenuto tempestivi gli avvisi d'accertamento ICI riguardanti l'anno d'imposta 2004, notificati il 24.12.2010, benché il termine di decadenza fosse spirato il 31.12.2009.
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
È, infatti, insegnamento di questa Corte, quello che "
In tema d'imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica), dall'art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 (come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b), della l. n. 296 del 2006, con decorrenza dall'01.01.2007), occorre che il contribuente provi che l'abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo (in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la detrazione sulla base dell'accertamento che l'immobile "de quo" costituisse dimora abituale del solo ricorrente e non della di lui moglie)" (Cass. ordinanza 21.06.2017 n. 15444, Cass.
ordinanza 17.05.2017 n. 12299, ordinanza 24.05.2017 n. 13062, ordinanza 12050/2010).
Nel caso di specie, per affermazione degli stessi ricorrenti, le distinte abitazioni oggetto degli atti impositivi non costituivano, nell'anno in contestazione, dimora abituale non solo propria ma neppure del proprio nucleo familiare.
Anche il secondo motivo appare infondato, dal momento che gli avvisi avevano ad oggetto non già la rettifica di dichiarazioni o denunce infedeli, incomplete o inesatte, bensì proprio l'omessa presentazione della dichiarazione ICI; con conseguente applicabilità del termine del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o la denuncia dovevano essere presentate (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2), in quanto, i coniugi erano tenuti a denunciare ai fini ICI fin dal 2004 (con termine per l'adempimento entro il 31.07.2005) la cessazione della situazione di dimora di entrambi nello stesso immobile.
Pertanto, alla data di notifica degli atti impositivi, il 24.12.2010, l'ente impositore non era decaduto dalla potestà impositiva, essendo l'accertamento intervenuto entro il termine del 31 dicembre del quinto anno successivo dalla scadenza dell'obbligo di dichiarazione.
Va, infine, disattesa l'eccezione di giudicato sollevata dai ricorrenti in memoria con riferimento alla sentenza della Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna n. 763/8/16 del 21.03.2016, passata in giudicato, che, per le annualità 2005 e 2006 e previo accertamento della separazione di fatto tra i coniugi Gi.Ge. e Pa.Sa., ha riconosciuto spettare ad entrambi i nominati contribuenti l'agevolazione per l'abitazione principale.
Infatti nel presente giudizio il giudice di appello non ha compiuto nessun accertamento sulla separazione di fatto tra i suddetti coniugi, limitandosi su tale punto a richiamare le deduzioni degli appellanti, ma ha soltanto statuito in diritto,
affermando il principio generale che un'abitazione può essere ritenuta principale soltanto se nella stessa dimorano sia il contribuente che i suoi familiari, con la conseguenza che «per il sorgere del diritto alla detrazione...non è sufficiente che il contribuente dimori abitualmente nell'unità immobiliare se...il coniuge, non separato legalmente, dimori altrove», per giungere alla conclusione «che nessuno dei due immobili, abitati in via esclusiva uno dalla Sa. e l'altro dal Ge., può essere considerato abitazione principale ai sensi della norma in commento».
Pertanto, essendo diversi i presupposti in fatto accertati nella sentenza di appello del presente giudizio (abitazione in due differenti immobili da parte di coniugi non separati legalmente) e quelli oggetto dell'accertamento effettuato nella sentenza n. 763/8/16 (trasferimento della dimora abituale «per la frattura del rapporto di convivenza, cioè di una situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della coesistenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale», con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra "casa coniugale" e "abitazione principale"), deve concludersi che il giudicato formatosi sulla sentenza n. 763/8/16 non ha efficacia vincolante nel presente giudizio.
Infatti, il principio di diritto affermato nella sentenza n. 763/8/16 è riferito ad una fattispecie concreta fondata sull'accertamento della separazione di fatto dei coniugi contribuenti, ossia della frattura del rapporto di convivenza per la inconciliabilità della prosecuzione della coesistenza, mentre i principio di diritto affermato al giudice di appello nel presente giudizio ha riguardato il differente presupposto di fatto dell'abitazione dei due coniugi non separati legalmente in due differenti immobili.
La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell'ente impositore, esonera il Collegio dal provvedere sulle spese Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTI: Il diritto di accesso è riconosciuto come diritto soggettivo ad un’informazione qualificata, a fronte del quale l’amministrazione (o il soggetto comunque tenuto a divulgare gli atti) pone in essere un’attività materiale vincolata.
Le disposizioni normative che assicurano il soddisfacimento della pretesa ostensiva costituiscono diretta espressione del principio di imparzialità e trasparenza ex art. 97 Costituzione e del “Diritto ad una buona amministrazione” ex art. 41, par. 2, lett. b), della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”.
Dal punto di vista soggettivo (lato attivo), l’istanza del richiedente deve essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso.
L’art. 22, comma 1, lett. b), della L. 07/08/1990 n. 241, nel testo novellato dalla L. 11/02/2005 n. 15, stabilisce che debbono considerarsi "interessati", “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”.
Va accolta una nozione ampia di “strumentalità” (nel senso della finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso), non imponendosi che l'accesso al documento sia unicamente e necessariamente funzionale all'esercizio del diritto di difesa in giudizio, ma ammettendo che la richiamata “strumentalità” vada intesa in senso ampio in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante.
La “situazione giuridicamente rilevante” disciplinata dalla L. 241/1990, per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso, è dunque nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnazione, e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o interesse legittimo.
In definitiva, ciò che rileva è la concretezza e l’attualità dell’interesse medesimo, il quale evidenzia che gli atti e i documenti sono suscettibili di interferire con la sfera giuridica del soggetto istante.
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In via generale, le necessità difensive –riconducibili ai principi tutelati dall’art. 24 della Costituzione– sono ritenute prioritarie anche rispetto alle istanze di riservatezza di soggetti terzi.
Deve essere, in buona sostanza, garantito agli interessati l’accesso ai documenti la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici (cfr. art. 24, comma 7, della L. 241/1990), dal momento che il diritto di difesa è garantito a livello costituzionale.
La L. 241/1990 specifica come non siano sufficienti esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad un effettivo bisogno di tutela di situazioni giuridicamente rilevanti che si assumano lese;
L’interesse all’accesso ai documenti deve essere tuttavia valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso, per cui la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante, avendo essa consistenza autonoma.
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Come ha statuito Consiglio di Stato, ferma, in linea di principio, l’esclusione del diritto di accesso nei procedimenti tributari sancita dalla legge [art. 24, co. 1, lett. b), della legge 07.08.1990, n. 241], vale comunque il comma 7, primo periodo, del medesimo art. 24, secondo il quale “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
La pronuncia evocata ha statuito che <<Come ha avuto occasione di rilevare la Sezione, svolgendo considerazioni dalle quali non vi è motivo per discostarsi in questa sede, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 24 conduce alle seguenti conclusioni:
   I) l’inaccessibilità degli atti del procedimento tributario è temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento stesso, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue l’adozione del provvedimento definitivo e dunque nella fase della riscossione (fermo restando che sono inaccessibili i documenti relativi all’attività investigativa, ispettiva e di controllo specie della Guardia di finanza dalla cui diffusione possa derivare pregiudizio alla prevenzione e repressione della criminalità nei settori di competenza di quest’ultima anche sotto il profilo della conoscenza delle tecniche e delle fonti informative ed operative);
   II) il comma 7 costituisce una norma di chiusura che, nei limiti di legge, garantisce l’accesso a quei documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici e pone come unico limite il fatto che i documenti contengano dati sensibili o giudiziari;
   III) il soggetto pubblico richiesto non può andare oltre una valutazione circa il collegamento dell’atto -obiettivo o secondo la prospettazione del richiedente- con la situazione soggettiva da tutelare e quanto all’esistenza di una concreta necessità di tutela, senza poter apprezzare nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell’interessato>>.
Invero, si registra un orientamento giurisprudenziale oramai costante ad avviso del quale “l'art. 24 della legge n. 241/1990, nella parte in cui esclude il diritto di accesso con riferimento ai procedimenti tributari –per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano– va interpretato nel senso che l'inaccessibilità agli atti relativi deve essere ritenuta temporalmente limitata alla fase di mera "pendenza" del procedimento tributario, in quanto non sussistono esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento con l'adozione del provvedimento definitivo di accertamento dell'imposta dovuta, sulla base degli elementi reddituali, che conducono alla quantificazione del tributo”.
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L'interesse che fonda il diritto di accesso, e la sua proiezione processuale di tutela giurisdizionale, deve qualificarsi in funzione di una stretta relazione con la documentazione di cui si chiede l'ostensione, e quindi di un rapporto diretto tra la medesima e la situazione giuridica soggettiva, per cui la pendenza dei ricorsi tributari consente la valutazione dell’astratta inerenza dell'istanza a quei giudizi.
Peraltro, questo TAR ha sostenuto che il diritto di accesso non può essere neppure subordinato all’avvio di una controversia sulla pretesa di merito, al fine di provocare l’ordine del giudice rivolto a un terzo o a una pubblica amministrazione per l’esibizione di documenti ex art. 210-213 cpc.
Non sarebbe infatti ragionevole, né coerente con il principio di proporzionalità, e neppure rispettoso del principio di ragionevole durata ex art. 111 Cost., esigere che il diritto di accesso sia esercitato in prima battuta attraverso la via giurisdizionale e attivando la controversia di merito (in definitiva con uno scopo esplorativo).
La sequenza corretta è invece la seguente: (a) rilascio del documento da parte dell’amministrazione detentrice, una volta esclusa la presenza di dati sensibili; (b) utilizzo del rimedio giurisdizionale diretto e ordinario ex art. 116 cpa; (c) avvio eventuale della causa di merito, con richiesta di emissione di un ordine di esibizione da parte del giudice.
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Rilevato:
   - che l’istanza si caratterizza per la specificità dell’oggetto, costituito da dati ed elementi relativi a ben identificati procedimenti tributari che coinvolgono soggetti individuati in apposito elenco;
   - che non si profila, dunque, un controllo generalizzato sull’attività dell’amministrazione, ma la puntuale indicazione delle pratiche di interesse, per ottenere l’ostensione dei documenti formati con riferimento alle medesime;
   - che la difesa del Comune ha altresì invocato le esigenze di riservatezza dei terzi, e il limite della necessità di conoscere i dati al fine della difesa o dell’azione, nel rispetto dei principi di pertinenza e di non eccedenza nel trattamento;
   - che, a suo avviso, quando l'oggetto della richiesta di accesso riguarda documenti contenenti informazioni relative a persone fisiche (e in quanto tali «dati personali») non necessarie al raggiungimento del predetto scopo, oppure informazioni personali di dettaglio che risultino comunque sproporzionate, eccedenti e non pertinenti, l'Ente destinatario della richiesta, nel dare riscontro alla richiesta di accesso generalizzato, dovrebbe in linea generale, come è avvenuto nel caso concreto, scegliere le modalità meno pregiudizievoli per i diritti dell'interessato;
   - che, anzitutto, dal tema controverso appaiono estranei i dati sensibili e super-sensibili;
   - che il carattere sensibile di un’informazione deve essere infatti ricondotto alle categorie previste espressamente dall’art. 4, comma 1-d, del D.Lgs. 30/06/2003 n. 196, e solo se effettivamente un documento contenesse un’informazione di natura sensibile (e non è questo il caso) sarebbe necessaria la schermatura del singolo dato, salva la possibilità per chi ha chiesto l’accesso di dimostrare di essere titolare di un pari-ordinato interesse a conoscere anche quella specifica informazione;
   - che, sotto diverso profilo, l’accesso ai dati catastali e di proprietà non può essere escluso in via preventiva adducendo ulteriori esigenze di riservatezza consistenti nel segreto professionale, poiché anche in questa fattispecie il diritto di accesso risulta comunque prevalente una volta che si accerti la necessità di disporre della documentazione per la difesa in giudizio;
   - che, su una tematica affine, questa Sezione ha affermato che “I modelli 770 sono in effetti dichiarazioni di soggetti privati, o di amministrazioni che agiscono come datori di lavoro, tuttavia diventano documenti amministrativi nel momento in cui sono acquisiti alla banca dati fiscale. L’acquisizione determina il passaggio di tali documenti dalla sfera privata del rapporto di lavoro alla sfera pubblica del controllo sull’adempimento delle obbligazioni tributarie …. Una volta entrate nella sfera pubblica, le informazioni contenute nelle dichiarazioni inviate all’Agenzia delle Entrate sono trattate per finalità pubblicistiche di natura tributaria, e dunque non sono più nella disponibilità dei soggetti tra cui è intercorso il rapporto di lavoro. Ne consegue che i documenti contenenti i dati fiscali possono essere oggetto di accesso da parte di terzi, quando questi ultimi dimostrino di avere un interesse prevalente rispetto al diritto alla riservatezza delle parti del sottostante rapporto di lavoro. Rispetto a tale forma di accesso l’unico contraddittore è l’amministrazione tributaria, e non sussistono controinteressati da coinvolgere necessariamente nella procedura”;
   - che, in definitiva, in assenza di esigenze di riservatezza che possano precludere la conoscenza dei documenti richiesti deve prevalere il principio di trasparenza dell’azione amministrativa nei confronti di un soggetto che, per le ragioni diffusamente esplicitate, è portatore di un interesse concreto e attuale all’ostensione degli atti.
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Evidenziato:
   - che il diritto di accesso è riconosciuto come diritto soggettivo ad un’informazione qualificata, a fronte del quale l’amministrazione (o il soggetto comunque tenuto a divulgare gli atti) pone in essere un’attività materiale vincolata;
   - che le disposizioni normative che assicurano il soddisfacimento della pretesa ostensiva costituiscono diretta espressione del principio di imparzialità e trasparenza ex art. 97 Costituzione e del “Diritto ad una buona amministrazione” ex art. 41, par. 2, lett. b), della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”;
   - che, dal punto di vista soggettivo (lato attivo), l’istanza del richiedente deve essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso;
   - che l’art. 22, comma 1, lett. b), della L. 07/08/1990 n. 241, nel testo novellato dalla L. 11/02/2005 n. 15, stabilisce che debbono considerarsi "interessati", “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”;
   - che va accolta una nozione ampia di “strumentalità” (nel senso della finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso), non imponendosi che l'accesso al documento sia unicamente e necessariamente funzionale all'esercizio del diritto di difesa in giudizio, ma ammettendo che la richiamata “strumentalità” vada intesa in senso ampio in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 01/08/2017 n. 3831);
   - che la “situazione giuridicamente rilevante” disciplinata dalla L. 241/1990, per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso, è dunque nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnazione, e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o interesse legittimo (Consiglio di Stato, sez. VI – 30/03/2017 n. 1453);
   - che, in definitiva, ciò che rileva è la concretezza e l’attualità dell’interesse medesimo, il quale evidenzia che gli atti e i documenti sono suscettibili di interferire con la sfera giuridica del soggetto istante;
Atteso:
   - che la Società Agricola ricorrente, che svolge attività di allevamento di bovini e produzione di latte negli immobili di proprietà in località “Cascina Valle” riferisce di aver instaurato numerosi contenziosi tributari con il Comune di Caravaggio, sugli avvisi di accertamento relativi alla tassa rifiuti (TARSU – TARES - TARI);
   - che espone di avere da ultimo notificato, in data 04/01/2018 e innanzi alla Commissione Tributaria competente, un ulteriore ricorso avverso l’avviso di accertamento TARI relativo all’annualità 2016;
   - che, con nota del 22/12/2017, la ricorrente ha chiesto al Comune intimato “copia delle denunce/autocertificazioni ai fini TARSU/TARES/TARI, verbali di sopralluogo e verifiche, Docfa, avvisi di pagamento e/o accertamento TARSU/TARES/TARI quanto meno per il periodo 2012/2017 e relativi alle imprese che svolgono nel Comune di Caravaggio attività analoga a quella della mia assistita”;
   - che l’istanza è stata accompagnata dall’indicazione di 37 Società che si troverebbero in condizioni analoghe a quelle in cui versa la Società esponente, la quale ha addotto la necessità di espletare attività difensiva in ambito tributario;
   - che il Comune di Caravaggio, nella risposta del 22/01/2018 (doc. 1) ha accolto solo parzialmente la pretesa ostensiva, mettendo a disposizione i documenti di interesse con cancellazione dei dati identificativi delle Società ossia denominazione, ubicazione, riferimenti catastali (doc. 5);
   - che la difesa comunale ha precisato come, nello specifico, sia stata fornita copia di tutta la documentazione richiesta –ossia importi, denunce e accertamenti TARES/TARI con eccezione dei DOCFA (non detenuti dall’Ente locale)– oscurando i dati relativi alla ragione sociale delle Società agricole interessate dagli avvisi, nonché i dati catastali delle stesse;
   - che ha puntualizzato come la maggior parte delle Società agricole oggetto della richiesta, ritualmente sollecitate dal Comune, abbiano comunicato il proprio dissenso all’accesso;
   - che l’esponente lamenta che la documentazione fornita, non permettendo di risalire all’intestatario degli avvisi e all’ubicazione delle Società agricole indicate nell’istanza, impedirebbe di verificare il corretto operato dell’amministrazione comunale e l’insussistenza di eventuali disparità di trattamento tra operatori attivi nel medesimo settore economico;
   - che non sarebbe possibile il raffronto con la realtà fattuale, per cui verrebbe precluso il sindacato di legittimità dell’azione amministrativa;
   - che l’ulteriore tentativo di interlocuzione non ha avuto esito;
Considerato:
   - che, in via generale, le necessità difensive –riconducibili ai principi tutelati dall’art. 24 della Costituzione– sono ritenute prioritarie anche rispetto alle istanze di riservatezza di soggetti terzi (cfr. Consiglio di Stato, ad. plenaria – 04/02/1997 n. 5);
   - che deve essere, in buona sostanza, garantito agli interessati l’accesso ai documenti la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici (cfr. art. 24, comma 7, della L. 241/1990), dal momento che il diritto di difesa è garantito a livello costituzionale;
   - che la L. 241/1990 specifica come non siano sufficienti esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad un effettivo bisogno di tutela di situazioni giuridicamente rilevanti che si assumano lese;
   - che l’interesse all’accesso ai documenti deve essere tuttavia valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso, per cui la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante, avendo essa consistenza autonoma (Consiglio di Stato, sez. VI – 09/04/2018 n. 2158);
Dato atto:
   - che la difesa del Comune ha affermato che i documenti richiesti sarebbero del tutto irrilevanti per l’avvio dell’azione giudiziaria;
   - che gli stessi non sarebbero direttamente lesivi delle posizioni giuridiche della ricorrente, non sarebbero idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti e non rivestirebbero influenza alcuna nel contenzioso tributario pendente (per l’inconfigurabilità della denunciata disparità di trattamento);
   - che l’istanza si porrebbe altresì in contrasto con il disposto dell'art. 24, comma 3, della L. 241/1990, integrando un controllo generalizzato sull'operato della pubblica amministrazione;
   - che l’amministrazione (o il soggetto ad essa equiparato), in sede di esame di una domanda d’accesso, è tenuta soltanto a valutare l’inerenza del documento richiesto con l’interesse palesato dall’istante, e non anche l’utilità del documento al fine del soddisfacimento della pretesa correlata;
   - che, nella fattispecie, appare chiara la correlazione tra l’aspirazione coltivata e la situazione giuridica soggettiva sottostante, ovvero l’esistenza di un collegamento funzionale tra l'interesse conoscitivo e il contenuto del documento richiesto (cfr. in proposito TAR Campania Napoli, sez. VI – 29/06/2016 n. 3287);
   - che, infatti, la divulgazione degli atti identificativi delle Aziende agricole del territorio soddisfa una concreta aspirazione dell’istante, la quale è chiaramente titolare dell’interesse a prenderne cognizione al fine di raffrontare le situazioni di fatto e orientare le proprie scelte successive, anche in sede giurisdizionale;
Rilevato:
   - che, come ha statuito Consiglio di Stato, sez. IV – 06/11/2017 n. 5128, ferma, in linea di principio, l’esclusione del diritto di accesso nei procedimenti tributari sancita dalla legge [art. 24, co. 1, lett. b), della legge 07.08.1990, n. 241], vale comunque il comma 7, primo periodo, del medesimo art. 24, secondo il quale “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”;
   - che la pronuncia evocata ha statuito che <<Come ha avuto occasione di rilevare la Sezione (11.02.2011, n. 925; 26.09.2013, n. 4821; 13.03.2014, n. 1211), svolgendo considerazioni dalle quali non vi è motivo per discostarsi in questa sede, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 24 conduce alle seguenti conclusioni:
   I) l’inaccessibilità degli atti del procedimento tributario è temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento stesso, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue l’adozione del provvedimento definitivo e dunque nella fase della riscossione (fermo restando che sono inaccessibili i documenti relativi all’attività investigativa, ispettiva e di controllo specie della Guardia di finanza dalla cui diffusione possa derivare pregiudizio alla prevenzione e repressione della criminalità nei settori di competenza di quest’ultima anche sotto il profilo della conoscenza delle tecniche e delle fonti informative ed operative: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2002, n. 1977);
   II) il comma 7 costituisce una norma di chiusura che, nei limiti di legge, garantisce l’accesso a quei documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici e pone come unico limite il fatto che i documenti contengano dati sensibili o giudiziari;
   III) il soggetto pubblico richiesto non può andare oltre una valutazione circa il collegamento dell’atto -obiettivo o secondo la prospettazione del richiedente- con la situazione soggettiva da tutelare e quanto all’esistenza di una concreta necessità di tutela, senza poter apprezzare nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell’interessato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10.01.2007, n. 55; sez. V, sez. IV, 29.01.2014, n. 461; sez. V, 23.03.2015, n. 1545)
>>;
      - che si registra un orientamento giurisprudenziale oramai costante, al quale aderisce TAR Puglia Lecce, sez. II – 22/12/2017 n. 2021, che ha richiamato TAR Lombardia Brescia, sez. II – 02/05/2017 n. 573 ad avviso del quale “l'art. 24 della legge n. 241/1990, nella parte in cui esclude il diritto di accesso con riferimento ai procedimenti tributari –per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano– va interpretato nel senso che l'inaccessibilità agli atti relativi deve essere ritenuta temporalmente limitata alla fase di mera "pendenza" del procedimento tributario, in quanto non sussistono esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento con l'adozione del provvedimento definitivo di accertamento dell'imposta dovuta, sulla base degli elementi reddituali, che conducono alla quantificazione del tributo (TAR Lazio, II-ter, 3260/2017, TAR Catanzaro, sez. II, 08/03/2016, n. 469; TAR Napoli, sez. VI, 14/01/2016, n. 171; Consiglio di Stato, sez. IV, 13/11/2014, n. 5588)” (si veda anche TAR Sicilia Catania, sez. III – 31/07/2017 n. 1983);
Evidenziato:
   - che, nel caso che occupa il Collegio, la ricorrente sostiene che dall’istanza di accesso emerge la prova della consistenza dell’interesse ad utilizzare nel procedimento tributario i documenti richiesti, e che è stato rappresentato l’intento di verificare un’eventuale disparità di trattamento ai fini TARSU, TARI e TASI tra imprese agricole operanti nella stessa zona;
   - che i plurimi ricorsi tributari proposti attestano la sussistenza di un effettivo legame “tra la finalità dichiarata ed il documento richiesto” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 05/02/2014 n. 556);
   - che l'interesse che fonda il diritto di accesso, e la sua proiezione processuale di tutela giurisdizionale, deve qualificarsi in funzione di una stretta relazione con la documentazione di cui si chiede l'ostensione, e quindi di un rapporto diretto tra la medesima e la situazione giuridica soggettiva, per cui la pendenza dei ricorsi tributari consente la valutazione dell’astratta inerenza dell'istanza a quei giudizi;
   - che, peraltro, questo TAR (cfr. sentenza sez. I – 20/05/2014 n. 535) ha sostenuto che il diritto di accesso non può essere neppure subordinato all’avvio di una controversia sulla pretesa di merito, al fine di provocare l’ordine del giudice rivolto a un terzo o a una pubblica amministrazione per l’esibizione di documenti ex art. 210-213 cpc;
   - che non sarebbe infatti ragionevole, né coerente con il principio di proporzionalità, e neppure rispettoso del principio di ragionevole durata ex art. 111 Cost., esigere che il diritto di accesso sia esercitato in prima battuta attraverso la via giurisdizionale e attivando la controversia di merito (in definitiva con uno scopo esplorativo);
   - che la sequenza corretta è invece la seguente: (a) rilascio del documento da parte dell’amministrazione detentrice, una volta esclusa la presenza di dati sensibili; (b) utilizzo del rimedio giurisdizionale diretto e ordinario ex art. 116 cpa; (c) avvio eventuale della causa di merito, con richiesta di emissione di un ordine di esibizione da parte del giudice.
Rilevato:
   - che l’istanza si caratterizza per la specificità dell’oggetto, costituito da dati ed elementi relativi a ben identificati procedimenti tributari che coinvolgono soggetti individuati in apposito elenco;
   - che non si profila, dunque, un controllo generalizzato sull’attività dell’amministrazione, ma la puntuale indicazione delle pratiche di interesse, per ottenere l’ostensione dei documenti formati con riferimento alle medesime;
   - che la difesa del Comune ha altresì invocato le esigenze di riservatezza dei terzi, e il limite della necessità di conoscere i dati al fine della difesa o dell’azione, nel rispetto dei principi di pertinenza e di non eccedenza nel trattamento;
   - che, a suo avviso, quando l'oggetto della richiesta di accesso riguarda documenti contenenti informazioni relative a persone fisiche (e in quanto tali «dati personali») non necessarie al raggiungimento del predetto scopo, oppure informazioni personali di dettaglio che risultino comunque sproporzionate, eccedenti e non pertinenti, l'Ente destinatario della richiesta, nel dare riscontro alla richiesta di accesso generalizzato, dovrebbe in linea generale, come è avvenuto nel caso concreto, scegliere le modalità meno pregiudizievoli per i diritti dell'interessato;
   - che, anzitutto, dal tema controverso appaiono estranei i dati sensibili e super-sensibili;
   - che il carattere sensibile di un’informazione deve essere infatti ricondotto alle categorie previste espressamente dall’art. 4, comma 1-d, del D.Lgs. 30/06/2003 n. 196, e solo se effettivamente un documento contenesse un’informazione di natura sensibile (e non è questo il caso) sarebbe necessaria la schermatura del singolo dato, salva la possibilità per chi ha chiesto l’accesso di dimostrare di essere titolare di un pari-ordinato interesse a conoscere anche quella specifica informazione;
   - che, sotto diverso profilo, l’accesso ai dati catastali e di proprietà non può essere escluso in via preventiva adducendo ulteriori esigenze di riservatezza consistenti nel segreto professionale, poiché anche in questa fattispecie il diritto di accesso risulta comunque prevalente una volta che si accerti la necessità di disporre della documentazione per la difesa in giudizio;
   - che, su una tematica affine, questa Sezione (cfr. sentenza 20/05/2014 n. 535) ha affermato che “I modelli 770 sono in effetti dichiarazioni di soggetti privati, o di amministrazioni che agiscono come datori di lavoro, tuttavia diventano documenti amministrativi nel momento in cui sono acquisiti alla banca dati fiscale. L’acquisizione determina il passaggio di tali documenti dalla sfera privata del rapporto di lavoro alla sfera pubblica del controllo sull’adempimento delle obbligazioni tributarie …. Una volta entrate nella sfera pubblica, le informazioni contenute nelle dichiarazioni inviate all’Agenzia delle Entrate sono trattate per finalità pubblicistiche di natura tributaria, e dunque non sono più nella disponibilità dei soggetti tra cui è intercorso il rapporto di lavoro. Ne consegue che i documenti contenenti i dati fiscali possono essere oggetto di accesso da parte di terzi, quando questi ultimi dimostrino di avere un interesse prevalente rispetto al diritto alla riservatezza delle parti del sottostante rapporto di lavoro. Rispetto a tale forma di accesso l’unico contraddittore è l’amministrazione tributaria, e non sussistono controinteressati da coinvolgere necessariamente nella procedura”;
   - che, in definitiva, in assenza di esigenze di riservatezza che possano precludere la conoscenza dei documenti richiesti deve prevalere il principio di trasparenza dell’azione amministrativa nei confronti di un soggetto che, per le ragioni diffusamente esplicitate, è portatore di un interesse concreto e attuale all’ostensione degli atti (Consiglio di Stato, sez. III – 05/06/2015 n. 2768) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.05.2018 n. 479 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2018

TRIBUTIAree di atterraggio non confermate esenti.
La potenzialità edificatoria di un'area che abbia perso l'edificabilità può essere trasferita su altre aree individuate dall'amministrazione o su altre possedute dallo stesso proprietario (così dette aree di atterraggio); tuttavia, per poter esercitare una pretesa impositiva il diritto di trasferimento della capacità edificatoria dovrà essere contrattualmente concluso tra le parti.

Sono le motivazioni che si leggono nella sentenza 27.04.2018 n. 2745/1/2018 emessa dalla Sez. I della Commissione tributaria regionale del Lazio.
La ricorrente aveva impugnato un accertamento relativo a Ici per l'anno d'imposta 2008; l'accertamento riguardava una maggiore imposta per un'area situata nel comune di Roma e ricadente nel comprensorio di Tor Marancia. La ricorrente aveva riferito che le volumetrie erano state individuate in un comprensorio destinato a parco pubblico e quindi non suscettibile di utilizzo edificatorio; il comune di Roma aveva replicato che l'area riguardante il comprensorio di Tor Marancia, originariamente individuata come edificabile, era stata dichiarata di interesse archeologico, con conseguente cancellazione della stessa dalle zone a destinazione urbanistica.
Tuttavia, era stato avviato un procedimento di perequazione urbanistica con il trasferimento della capacità edificatoria su determinate aree di atterraggio. Si trattava, quindi, di stabilire se a seguito di detta perequazione, nel senso del trasferimento della potenzialità edificatoria su di un'area diversa da quella originariamente individuata (cosiddetta di atterraggio), fosse dovuta l'Ici relativa a questa area, in base alla capacità edificatoria trasferita.
La Ctp di Roma ha accolto il ricorso. La Commissione regionale del Lazio ha confermato la decisione annullando l'accertamento del comune capitolino. I giudici regionali hanno infatti rilevato come, nella fattispecie in esame, non veniva portato a termine il procedimento in base al quale l'area in questione cosiddetta di atterraggio sarebbe dunque risultata effettivamente edificabile e attribuita alla ricorrente.
Il collegio ha rilevato come in mancanza della sottoscrizione di un'apposita convenzione tra il comune e la società ricorrente, potesse configurarsi soltanto un'aspettativa di edificabilità da imputare a un'altra area, detta appunto di «atterraggio». Il collegio regionale ha concluso ritenendo che la particolarità della situazione dedotta ammetteva la compensazione delle spese di lite.
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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
( ) La ricorrente ne aveva eccepita l'illegittimità, sostenendo che le aree di proprietà non erano più edificabili e che le volumetrie erano state individuate nel comprensorio di Tor Marancia che non risulta area edificabile nel Piano regolatore, a seguito del divieto assoluto di edificabilità nel frattempo imposto, per destinazione a parco pubblico.
Con la sentenza impugnata, la Ctp ha accolto il ricorso, rilevando la fondatezza dei motivi di gravame, in quanto ( ) presupposti per l'Ici sono: il possesso di un'area edificabile, l'individualità e l'identificabilità dell'area posseduta, la sua utilizzabilità a scopo edificatorio, il collegamento dell'imposta con un diritto reale; ( ) Eccepisce l'appellante comune l'illegittimità della sentenza impugnata, sostenendo: 1) l'illegittimità della decisione in merito alla ritenuta inedificabilità dell'area (comprensorio Tor Marancia) e della mancata assegnazione del sito di atterraggio. L'appello proposto dal Comune di Roma Capitale è da ritenersi infondato e va quindi respinto per i motivi di seguito esposti. ( )
Pur non essendo del tutto priva di pregio, la prospettazione dell'ente locale non appare condivisibile, perché difetta di concretezza, valorizzando la situazione soprattutto sotto l'aspetto teorico, quanto meno in parte disconnesso dalla realtà effettiva, nella quale i tempi di realizzazione della compensazione urbanistica si sono dilatati in maniera indiscutibile, a causa della lentezza della complessa procedura amministrativa in materia, che se si fosse conclusa in termini più tempestivi, avrebbe probabilmente evitato l'insorgere dell'attuale controversia.
Appare decisiva la circostanza, evidenziata dalla Società ( ) che, ai fini che qui interessano, la procedura di compensazione può dirsi essersi conclusa, tuttalpiù (essendo in pratica ancora incompiuta), al momento dell'adozione della delibera consiliare del comune n. 18 del 12.02.2008 e quindi in epoca successiva all'annualità di imposta contestata. Poiché tale fatto è pacifico in atti, va ritenuto che al momento del pagamento dell'imposta 2007 non sussisteva il presupposto per considerare la società in possesso di un'area edificatoria ( )
In altri termini, il sorgere del diritto del proprietario, da un lato, e la correlata pretesa impositiva dell'ente locale, dall'altro, devono coincidere nello stesso momento. Rebus sic stantibus, invece, la singolare situazione di limbo del diritto di edificazione, in cui si versava ancora nell'annualità di imposta considerata, non giustifica la pretesa impositiva, nei termini in cui è stata contestata, rendendo non corretta la richiesta integrazione.
P.Q.M.
Rigetta l'appello. Spese compensate
(articolo ItaliaOggi Sette del 16.07.2018).

TRIBUTITributi locali, per l'accertamento fa fede il timbro di spedizione.
L'avviso di accertamento Ici è legittimo se notificato entro il termine di decadenza di 5 anni certificato dal timbro postale di spedizione, anche se ricevuto dal destinatario oltre il termine di legge.

È quanto ha affermato la ctr di Roma, III Sez., con la sentenza 24.04.2018 n. 2657/3/2018. La stessa regola vale anche per gli altri tributi locali.
Si tratta di una questione che forma spesso oggetto di contenzioso, nonostante la Corte costituzionale (sentenza 477/2002) abbia già da tempo chiarito che i termini operano in maniera diversa per il notificante e il destinatario. Mentre per il primo conta la data di spedizione dell'atto impositivo, per il contribuente i termini per l'impugnazione decorrono dalla ricezione.
Per il giudice d'appello, infatti, «al fine del perfezionarsi della notifica per il soggetto notificante, ciò che fa fede è il termine entro cui l'avviso di accertamento viene consegnato all'ufficio di posta». In questo senso si è espressa la Consulta, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dell'articolo 149 del codice di procedura civile e dell'articolo 4, comma 3, della legge 890/1982, nella parte in cui prevedevano che la notificazione si perfezionasse per il notificante alla data di ricezione dell'atto da parte del destinatario. Secondo la Commissione regionale, il principio generale affermato dalla Corte costituzionale è «riferibile ad ogni tipo di notificazione ed in particolare a quella eseguita a mezzo del servizio postale».
Va ricordato che la Finanziaria 2007 (legge 296/2006) ha fissato in modo chiaro i termini per l'accertamento dei tributi locali e per il recupero delle somme non versate o versate in ritardo, rispetto a quanto stabilito dalla precedente disciplina. Anche per la riscossione coattiva è stato imposto un termine, a pena di decadenza, per la notifica del titolo esecutivo.
Gli enti locali, in base all'articolo unico, comma 161 della legge 296/2006, possono accertare la mancata presentazione delle dichiarazioni e gli omessi versamenti entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui i relativi obblighi avrebbero dovuto essere assolti dal contribuente. Entro lo stesso termine possono, inoltre, rettificare le dichiarazioni incomplete o infedeli e irrogare le relative sanzioni.
Per la riscossione coattiva, a mezzo cartella o ingiunzione, l'articolo 1, comma 163, della suddetta legge ha previsto che debba essere effettuata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento sia divenuto definitivo
(articolo ItaliaOggi dell'01.06.2018).

marzo 2018

TRIBUTIAncora un «no» agli incentivi IMU.
Dalla Corte dei conti ancora una volta una delibera negativa rispetto alla possibilità di prevedere incentivi per i dipendenti degli uffici tributi dei Comuni per il recupero dell'evasione Imu, non essendo ammissibili sul tema interventi regolamentari da parte degli enti locali.
La pronuncia
Con il parere 29.03.2018 n. 72 la Corte dei conti della Sicilia ha affrontato la questione degli incentivi ai dipendenti degli uffici tributi degli enti locali per il recupero dell’evasione tributaria.
La corte ha escluso la possibilità di prevedere tali incentivi, rammentando che in base al principio dell’onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti pubblici, previsto dall’articolo 2, comma 3, e dall’articolo 24, comma 3, del Dlgs 165/2001, e dall'articolo 45 del medesimo decreto, solo la legge può prevedere qualunque forma di incentivo, insieme al Ccnl. Ciò è quanto è disciplinato ai tempi dell’Ici con l’articolo 3, comma 57, della legge 662/1996 e con l’articolo 59, lettera p), del Dlgs 446/1997.
In particolare, il primo consentiva ai Comuni di destinare una quota del gettito Ici al potenziamento dell’ufficio tributi, mentre la seconda norma ha permesso loro di utilizzare una parte di tale gettito per incentivare gli addetti degli uffici tributi. Il Ccnl del 01.04.1999 aveva previsto l’erogazione ai dipendenti di incentivi stabiliti da specifiche norme di legge (articolo 15, comma 1, lettera k).
La Corte dei conti Sicilia, riprendendo un orientamento già evidenziato dalla Sezione regionale di controllo del Veneto (22/2013), della Lombardia (577/2011) e della Sardegna (127/2011), ribadisce che la deroga al principio di onnicomprensività della retribuzione non è stato previsto dalla legge sull’Imu e non può essere introdotto da una norma regolamentare del Comune.
Le norme
In effetti, l’articolo 13 del Dl 201/2011 non richiama le norme contenute nell’articolo 59 del Dlgs 446/1997, riferite espressamente all’imposta comunale sugli immobili.
Sulla questione lo schema di contratto dei dipendenti degli enti locali prevede all’articolo 18 che ai titolari di posizione organizzativa, in aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato, possono essere erogati anche, tra l’altro, i trattamenti accessori riferiti ai compensi che specifiche disposizioni di legge espressamente stabiliscono a favore del personale, in coerenza con le medesime. Trattamenti tra cui la norma include i compensi incentivanti connessi alle attività di recupero dell’evasione dei tributi locali, in base all’articolo 3, comma 57, della legge 662/1996 e dall’articolo 59, comma 1, lettera p), del Dlgs 446/1997.
La norma contrattuale richiama le disposizioni di legge che consentivano l'erogazione di incentivi per il recupero dell'evasione Ici, ma non può estendere l’applicazione degli stessi a un tributo per i quali non sono previsti.
Anche se certo desta qualche perplessità una tale previsione riferita a un tributo ormai abrogato da oltre 6 anni, per il quale sono anche scaduti i termini di accertamento. Pur se va rammentato che l’Aran, con parere 1949, ha ritenuto che «solo a conclusione dei progetti di recupero presi in considerazione nell'anno di riferimento del contratto integrativo, sarà certa l'entità delle risorse effettivamente riscosse e, quindi, anche l’ammontare delle stesse, che può essere erogato sotto forma di incentivi e secondo le regole fissate in sede di contrattazione integrativa, al personale impegnato nei progetti stessi. Nella determinazione di tali risorse, evidentemente, rientreranno anche quelle che, pure oggetto delle attività di recupero dell’evasione dell’anno di riferimento, saranno effettivamente riscosse solo nell'anno successivo. Infatti, si tratta sempre degli effetti delle attività poste in essere dal personale interessato dai progetti nell'anno di riferimento e, quindi, rappresentano anche la misura del grado di raggiungimento degli obiettivi dei progetti stessi e dell’entità degli incentivi da riconoscere allo stesso».
Tale situazione, come più volte richiesto dall’Anutel anche a livello ufficiale, sta generando un effetto disincentivante nei confronti dei dipendenti degli uffici tributi degli enti locali e sta spingendo sempre di più verso l’esternalizzazione delle attività di accertamento tributario, esternalizzazione che se in alcuni casi può fornire un reale supporto agli enti, comporta comunque un depauperamento di conoscenze e di capacità specifiche all’interno dei Comuni che rischia di essere difficilmente recuperabile in futuro (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 27.04.2018).
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MASSIMA
In conclusione, la Sezione, in riferimento al quesito, ritiene, nel merito, che
in assenza di uno specifico intervento legislativo di deroga al richiamato principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti pubblici, non è legittimo riconoscere un compenso incentivante aggiuntivo in favore del personale impiegato in progetti di recupero dell’evasione ed elusione IMU.

TRIBUTI: Se il fabbricato è accatastato come unità collabente F/2, ai fini ICI/IMU non può essere tassato quale fabbricato e neppure come area edificabile.
Il fabbricato accatastato come unità collabente (categoria F/2), oltre a non essere tassabile come fabbricato, in quanto privo di rendita, non è tassabile neppure come area edificabile, sino a quando l'eventuale demolizione restituisca autonomia all'area fabbricabile, che da allora è soggetta a imposizione come tale, fino al subentro della imposta sul fabbricato ricostruito.
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Considerato:
   - che il motivo di ricorso è fondato;
   - che infatti
un fabbricato "collabente" (cioè in rovina, dall'etimo latino collabi, collapsus, ossia in collasso) come quello di specie è privo di ogni potenzialità funzionale e reddituale;
   - che infatti
mentre un'area libera da cascami edilizi versa in condizione di pronta edificabilità, un'area impegnata da rovine come quella di specie esige interventi di demolizione e bonifica necessari a reintegrare in concreto le potenzialità edificatorie del suolo, non potendosi accostare le due fattispecie, divergenti anche sotto il profilo della capacità contributiva del proprietario;
   - che quindi
il fabbricato accatastato come unità collabente (categoria F/2), oltre a non essere tassabile come fabbricato, in quanto privo di rendita, non è tassabile neppure come area edificabile, sino a quando l'eventuale demolizione restituisca autonomia all'area fabbricabile, che da allora è soggetta a imposizione come tale, fino al subentro della imposta sul fabbricato ricostruito (art. 5, comma 6, d.lgs. n. 504 del 1992: Cass. 19.07.2017, n. 23801);
   - che inoltre
la sottrazione ad imposizione del fabbricato collabente, iscritto nella conforme categoria catastale F/2, in ragione dell'azzeramento della base imponibile, non può essere recuperata prendendo a riferimento la diversa base imponibile prevista per le aree edificabili, costituita dal valore venale del terreno sul quale il fabbricato insiste, atteso che la legge prevede l'imposizione ICI per le aree edificabili, e non per quelle già edificate (Cass. 19.07.2017, n. 17815);
   - che infine l'art. 5, comma 4, del d.lgs. 30.12.1992, n. 504 consente al contribuente, in presenza di variazioni permanenti intervenute sull'unità immobiliare ed aventi rilevanza sull'ammontare della rendita catastale, di determinare l'imponibile sulla base di una rendita presunta, costituita da quella dei fabbricati similari, fino a quando, su richiesta del contribuente medesimo, non sia intervenuto un nuovo accatastamento (Cass. 23.02.2010, n. 4308);
   - che pertanto,
nel caso di un fabbricato divenuto inagibile, l'imponibile, fino al nuovo accatastamento, non può essere determinato sulla base del valore dell'area edificabile, risultante dalla demolizione del rudere medesimo, essendo "area" e "fabbricato" distinte categorie (Cass. 23.02.2010, n. 4308);
   - che pertanto, assorbiti gli altri motivi di ricorso, il ricorso va accolto, entrambe le sentenze impugnate vanno cassate e, non essendo necessarie indagini di fatto, la causa deve essere decisa nel merito, con l'annullamento sia dell'avviso di accertamento relativo all'ICI per il 2005 (r.g.n. 3551/2014) che quello relativo all'ICI per il 2006 (r.g.n. 3548/2014);
   - che
solo in "tempi recenti si è consolidata una specifica giurisprudenza di legittimità sulle unità collabenti, per le quali si è appunto esclusa la tassazione sia del fabbricato perché improduttivo di reddito, sia dell'area d'insistenza perché già edificata" (Cass. 30.10.2017, n. 25774; Cass. 19.07.2017, n. 23801; Cass. 19.07.2017, n. 17815) e che pertanto ciò impone di compensare le spese processuali di ogni fase e grado (Corte di Cassazione, Sez. V civile, ordinanza 28.03.2018 n. 7653).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTI: PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Istanza di rimborso di imposte - Ufficio non competente - Trasmissione dell'istanza all'ufficio competente - Collaborazione tra uffici della pubblica amministrazione e tra questa ed il contribuente - Art. 12 d.lgs. n. 347/1990 - Statuto dei diritti del contribuente - Art. 111 Cost. - Impugnazione del silenzio-rifiuto dell'amministrazione finanziaria - Decadenza del contribuente dal diritto al rimborso - Interruzione.
In tema di rimborso delle imposte sui redditi, disciplinato dall'art. 38, secondo comma, del d.P.R. 29.09.1973, n. 602, la presentazione di un'istanza di rimborso ad un organo diverso da quello territorialmente competente a provvedere costituisce atto idoneo non solo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso, ma anche a determinare la formazione del silenzio-rifiuto impugnabile dinanzi al giudice tributario, sia perché l'ufficio non competente (quando non estraneo all'Amministrazione finanziaria e, nella specie, coincidente con una diversa direzione regionale) è tenuto a trasmettere l'istanza all'ufficio competente, in conformità delle regole di collaborazione tra organi della stessa Amministrazione, sia alla luce dell'esigenza di una sollecita definizione dei diritti delle parti, ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 4773 del 2009; conf. n. 15180/2009, n. 2810/2009, n. 27117/2016) (Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza 06.03.2018 n. 5203 - link a
www.ambientediritto.it).

TRIBUTIAree edificabili, valori sanabili. Possibile rettificare l'importo determinato dal comune.
I comuni hanno il potere di accertare i valori delle aree edificabili in misura superiore a quelli fissati dallo stesso ente, con delibera del consiglio comunale o della giunta, se questi valori risultino inferiori a quelli indicati in atti pubblici o privati di cui l'ufficio tributi sia in possesso o a conoscenza. La ratio della norma di legge che consente ai comuni di fissare dei valori predeterminati ha la finalità di ridurre il contenzioso con i contribuenti, ma non può impedire la rettifica dei valori dichiarati che non sono in linea con i valori di mercato degli immobili.

Questo importante principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. V civile, con l'ordinanza 02.03.2018 n. 4969.
Per la Cassazione, la fissazione dei valori delle aree fabbricabili non può avere altro effetto che quello di autolimitare il potere di accertamento Ici, ma la stessa regola vale per Imu e Tasi, poiché il comune si obbliga a ritenere congruo il valore delle aree fabbricabili qualora sia stato dichiarato dal contribuente in misura non inferiore a quella stabilita nel regolamento comunale. I giudici di legittimità hanno posto in evidenza che «il valore minimo delle aree edificabili integra un elemento presuntivo suscettibile di doverosa riconsiderazione nel caso in cui il valore venale del bene così determinato risulti contraddetto da quello, maggiore, indicato in atti pubblici o privati di cui l'ufficio tributi sia in possesso o a conoscenza».
Valori delle aree e presupposti per l'imposizione. Per Ici, Imu e Tasi il valore di un'area edificabile deve essere determinato in base ai criteri fissati dall'articolo 5 del decreto legislativo 504/1992. Quindi, occorre stabilire il valore venale in comune commercio dell'area al 1° gennaio dell'anno di imposizione, vale a dire il suo valore di mercato.
La norma prevede che occorra fare riferimento a zona territoriale di ubicazione dell'area, indice di edificabilità, destinazione d'uso consentita, oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione e, infine, ai prezzi medi rilevati sul mercato di aree aventi le stesse caratteristiche. I valori possono essere deliberati anche dalla giunta comunale, sulla base di una perizia redatta dall'ufficio tecnico, ma non sono vincolanti nella determinazione del quantum.
Possono essere anche determinati con delibera del consiglio comunale, come nel caso in esame, ma secondo la Cassazione non può essere un ostacolo l'indicazione preventiva se il loro valore di mercato, risultante da atti di compravendita di beni aventi analoghe caratteristiche, dovesse risultare di importo più elevato. Del resto la norma sopra citata prevede un parametro ad hoc, che è il valore di mercato delle aree.
Non è cambiato nulla per l'imposizione delle aree edificabili con la disciplina Imu rispetto all'Ici. Così come per la Tasi, che ha la stessa base imponibile dell'Imu. Il legislatore, infatti, richiama espressamente le disposizioni contenute negli articoli 2 e 5 del decreto legislativo 504/1992. Sia per quanto riguarda la qualificazione dell'oggetto d'imposta sia per la determinazione dell'imponibile occorre fare riferimento alla normativa Ici.
Per la qualificazione delle aree è necessario fare riferimento al piano regolatore generale. In base all'articolo 2 del decreto legislativo 504/1992, per area fabbricabile si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici «generali o attuativi» oppure in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti delle indennità di espropriazione per pubblica utilità.
Nelle ipotesi di edificazione di un fabbricato, la base imponibile Ici è data dal valore dell'area (non viene computato il valore del fabbricato in corso d'opera), dalla data di inizio dei lavori di costruzione fino a quella di ultimazione, oppure fino al momento in cui il fabbricato è comunque utilizzato, se questo momento è antecedente a quello di ultimazione del fabbricato. In base alla finzione giuridica prevista nella disciplina dell'imposta (art. 5, comma 6, del decreto legislativo 504/1992) durante il periodo dell'effettiva utilizzazione edificatoria anche per demolizione e per esecuzione di lavori di recupero edilizio, il suolo va considerato area fabbricabile, indipendentemente dal fatto che sia tale o meno in base agli strumenti urbanistici.
Pertanto, un'area è edificabile quando è inserita nel piano regolatore generale ed è soggetta alle imposte locali indipendentemente dalla successiva lottizzazione del suolo. È il comune, su richiesta del contribuente, che attesta se un'area sita nel proprio territorio sia edificabile. Se lo strumento urbanistico è approvato dal consiglio comunale, l'ente può dal momento dell'approvazione richiedere il pagamento del tributo.
Cambi di destinazione. Se il comune non comunica ai contribuenti le variazioni urbanistiche e i cambi di destinazione dei terreni in aree edificabili, l'omissione non rende nulli gli avvisi di accertamento pur essendo un obbligo imposto dalla legge all'amministrazione comunale (Commissione tributaria regionale di Palermo, sezione XXV, sentenza 4071/2016). Pertanto, l'omessa comunicazione prevista dall'articolo 31, comma 20, della legge 289/2002 non comporta alcuna nullità.
I titolari dei terreni divenuti edificabili sono tenuti a pagare le imposte su un'area edificabile anche se il comune non li abbiano informati delle variazioni apportate allo strumento urbanistico e non abbia comunicato il cambio di destinazione del terreno (Cassazione, sentenza 15558/2009).
Tuttavia, nei casi in cui il comune non abbia provveduto a comunicare formalmente il cambio di destinazione, e il contribuente violi l'obbligo di dichiarazione e di versamento, si può ritenere che ricorra una causa di non punibilità
(articolo ItaliaOggi Sette del 26.03.2018).

febbraio 2018

TRIBUTITassa rifiuti, le variazioni non hanno effetto retroattivo.
Le variazioni dichiarate dai contribuenti all'amministrazione comunale non hanno effetto retroattivo. La riduzione della superficie dell'immobile, per pagare un importo minore a titolo di tassa sui rifiuti, deve essere dichiarata tempestivamente. Non è possibile ottenere la riduzione della superficie da assoggettare a tassazione, in caso d'inabitabilità parziale dell'immobile, per il periodo precedente alla presentazione della dichiarazione di variazione. Solo dopo la presentazione della denuncia, infatti, l'amministrazione comunale può accertare e valutare la fondatezza delle richieste avanzate dall'interessato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. V civile, con la sentenza 28.02.2018 n. 4602.
Per i giudici di piazza Cavour, la ratio è quella di «indurre il contribuente alla sollecita presentazione della comunicazione di variazione e, al contempo, di preservare all'ente impositore la concreta possibilità di verificare tempestivamente, e sulla base dell'attualità di stato, il fondamento della variazione comunicata».
Peraltro, il principio comunitario «chi inquina paga» verrebbe meno nell'ipotesi «in cui si consentisse alla dichiarazione di riduzione di esplicare effetto anche con riguardo ad annualità pregresse, in ordine alle quali non sarebbe più possibile alcun controllo di debenza da parte dell'ente impositore», in presenza di un'asserita «pregressa non abitabilità di una porzione di locali». La sentenza fa riferimento alla Tia, alla quale si applicano le disposizioni sulla Tarsu. Ma gli stessi adempimenti sono imposti per la Tari.
Il principio affermato dalla Cassazione non è proprio in linea con quanto sostenuto di recente dalla stessa Corte (sentenza 453/2018), secondo cui il contribuente può rettificare in qualsiasi momento la dichiarazione presentata al comune relativa ai tributi locali, per correggere errori o omissioni, e può contestare la pretesa tributaria dell'amministrazione che non abbia tenuto conto delle variazioni dichiarate.
In effetti, è stata ritenuta emendabile la dichiarazione anche in sede contenziosa, perché non ha valore confessorio né costituisce fonte dell'obbligazione tributaria. Se la modifica ha luogo prima della notifica dell'avviso di accertamento, l'amministrazione locale ne deve tenere conto, altrimenti è obbligata a fornire la prova contraria. Mentre, se la rettifica dell'errore avviene dopo la notifica dell'atto impositivo, spetta al contribuente l'onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta, anche in sede contenziosa.
Nella pronuncia è stata richiamata la regola già applicata alla dichiarazione dei redditi, qualificata «una mera esternazione di scienza o di giudizio» e quindi «emendabile e ritrattabile». La rettifica può intervenire su tutti gli errori commessi dal contribuente, «anche non meramente materiali o di calcolo», considerato che «non ha valore confessorio, né costituisce fonte dell'obbligazione tributaria». Naturalmente queste diverse prese di posizione, a breve distanza di tempo, generano confusione.
Va ricordato che per Imu, Tasi e Tari ormai c'è un termine unico per assolvere all'obbligo di presentazione delle dichiarazioni. Devono essere presentate entro il 30 giugno dell'anno successivo alla data di inizio del possesso o della detenzione di locali e aree. Nel caso di occupazione in comune di un immobile, la dichiarazione Tari può essere presentata solo da uno degli obbligati. Sono esonerati dall'adempimento coloro che hanno già denunciato le superfici per Tarsu, Tia1, Tia2 e Tares
(articolo ItaliaOggi del 10.03.2018).

gennaio 2018

TRIBUTICopertura ponteggio. Resta la pubblicità.
Il comune che autorizza dei pannelli artistici a copertura di un ponteggio avallando anche una implicita autorizzazione alla sostituzione della scenografia con messaggi pubblicitari non può fare marcia indietro ordinando la rimozione degli impianti commerciali senza un preventivo annullamento in autotutela.

Lo ha chiarito il TAR Valle d'Aosta con la sentenza 16.01.2018 n. 4.
Il comune di Courmayeur ha autorizzato sia dal punto di vista edilizio che paesaggistico l'installazione di pannelli a copertura di un ponteggio edilizio.
Al momento della sostituzione dei pannelli scenografici con pannelli pubblicitari l'amministrazione ha ordinato la rimozione degli impianti. Contro questa decisione l'interessato ha proposto con successo ricorso al Tar.
Siccome nella relazione tecnico-illustrativa allegata alla licenza comunale era specificamente prevista la possibilità di sostituire i pannelli artistici con impianti pubblicitari il comune che voleva rivedere questa determinazione doveva esercitare il proprio potere in sede di autotutela. Non ordinare alla ditta di rimuovere impianti pubblicitari in precedenza implicitamente autorizzati
(articolo ItaliaOggi Sette del 19.03.2018).

TRIBUTIAzioni civilistiche escluse per i rimborsi tributari.
Se un comune si rifiuta di restituire l'Ici o altro tributo versato dal contribuente, in seguito alla presentazione di un'istanza di rimborso tardiva, non pone in essere un comportamento illecito e non dà luogo a un ingiustificato arricchimento. In questi casi l'interessato non può proporre un'azione civilistica di risarcimento danni, di indebito oggettivo o di arricchimento senza causa innanzi al giudice ordinario nel più ampio termine di prescrizione decennale. La competenza esclusiva a decidere spetta al giudice tributario, sempre che l'istanza di rimborso venga presentata nei termini di legge.

È quanto ha affermato il TRIBUNALE civile di Bologna, III Sez., con sentenza 12.01.2018.
Per il tribunale, non può essere invocato dal contribuente un comportamento illecito dell'amministrazione comunale, ex articolo 2043 del codice civile, con richiesta di danni, o in alternativa un ingiustificato arricchimento, solo perché ha pagato l'Ici in misura maggiorata, rispetto a quella dovuta, ritenendo illegittimo il rifiuto di restituzione opposto dall'ente. Secondo il giudice civile i comportamenti attribuiti all'ente convenuto «costituiscono tutti legittimo esercizio del diritto/dovere della potestà autoritativa correttamente esercitata». Infatti «non sussiste in radice un comportamento illecito e men che meno un atteggiamento anti-doveroso della volontà».
Quindi, non c'è spazio neppure «per l'esperita subordinata azione d'arricchimento senza causa, disciplinata dall'art. 2041 c.c.». Peraltro, il contribuente ha fatto rientrare «con meri artifici retorici» nell'ambito della giurisdizione ordinaria, ciò che è tutelato da quella tributaria. Il diritto al rimborso dell'Ici o di altro tributo «non può svolgersi secondo il modello dell'indebito di diritto comune». È invece necessario osservare le regole di riparto della giurisdizione e la speciale disciplina prevista dalle singole leggi d'imposta.
In effetti, per richiedere il rimborso di un tributo versato e non dovuto, non è ammessa in via alternativa l'azione di indebito oggettivo esercitatile dal contribuente nel termine decennale previsto dal codice civile. Non esistono rimedi alternativi o concorrenti alla tutela giudiziale azionabile dal contribuente innanzi al giudice tributario, sempre che l'istanza di rimborso sia stata presentata entro il termine di decadenza.
Ciò porta a escludere che, decorso il termine di legge, il contribuente possa esperire un'azione giudiziale davanti al giudice tributario o ordinario per recuperare il maggior tributo versato. L'intervento del giudice ordinario per ottenere il rimborso delle imposte non dovute è ammesso, in base a quanto deciso dalla Cassazione (sezioni unite, ordinanza 10725/2002), solo quando l'amministrazione ha già riconosciuto il relativo diritto, ma non ha provveduto a effettuare il rimborso.
È fondamentale, poi, il rispetto del termine di decadenza per la presentazione dell'istanza, previsto dalle singole leggi d'imposta, per richiedere la tutela giudiziale del diritto al rimborso. Per l'Ici e gli altri tributi comunali il termine di decadenza è cinque anni, decorrenti dall'eseguito versamento. In caso contrario, non si forma il silenzio-rifiuto e si determina l'inammissibilità del ricorso al giudice tributario, per difetto del provvedimento impugnabile. Se l'istanza invece è prodotta nei termini, la tutela del diritto al rimborso può essere chiesta entro il termine di prescrizione decennale.
Va ricordato che l'articolo 21 del decreto legislativo 546/1992, che vale per tutti i tributi per i quali la legge non fissa un apposito termine (ad esempio per l'Iva), prevede che la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (articolo ItaliaOggi del 17.02.2018).

dicembre 2017

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTIAccertamenti anonimi. Bastano il timbro e le iniziali del dirigente. CASSAZIONE/ La firma è valida anche se non risulta leggibile.
È legittimo l'accertamento anche se non riporta la firma del dirigente ma solo sigla e timbro. Ma non solo. L'atto può essere emesso sulla base dei dati raccolti dalla Guardia di finanza nell'indagine penale nonostante siano stati trasmessi alle Entrate senza l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria.

Sono questi, in sintesi, i principi affermati dalla Corte di Cassazione, Sez. V civile, con la sentenza 20.12.2017 n. 30560.
È stato quindi integralmente respinto il ricorso di una società che lamentava l'invalidità dell'accertamento privo della firma leggibile e per esteso del dirigente e motivato sui dai raccolti nell'ambito dell'inchiesta penale.
Con riguardo al primo aspetto gli Ermellini hanno infatti precisato che la nullità di un atto non dipende dalla illeggibilità della firma di chi si qualifichi come titolare di un pubblico ufficio, ma dall'impossibilità oggettiva di individuare l'identità del firmatario dell'atto, con la precisazione che l'autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica degli atti amministrativi.
Sul secondo fronte il Collegio di legittimità ha invece ribadito l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, richiesta dalle norme per la trasmissione, agli Uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell'ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, e non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi (articolo ItaliaOggi del 21.12.2017).
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MASSIMA
2.4. Il motivo, relativamente alla censura supra sub a), non pone una questione motivazionale, ma di interpretazione della norma, in particolare se il timbro del titolare dell'Ufficio, apposto sull'avviso di accertamento, equivalga al requisito della sottoscrizione, richiesto dalla norma stessa.
La censura è infondata, tenuto conto delle caratteristiche formali degli avvisi, che recano tutti non solo il timbro ma anche la sigla (come riscontrato dalla Corte mediante esame dei documenti), ed «
avuto riguardo al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui la nullità di un atto non dipende dalla illeggibilità della firma di chi si qualifichi come titolare di un pubblico ufficio, ma dall'impossibilità oggettiva di individuare l'identità del firmatario dell'atto, con la precisazione che l'autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica degli atti amministrativi, quanto meno quando i dati esplicitati nello stesso contesto documentativo dell'atto consentano di accertare la sicura attribuibilítà dello stesso a chi deve esserne l'autore secondo le norme positive, come è confermato dal D.Lgs. 12.02.1993, n. 39, art. 3 il quale, prevedendo, nel caso di emanazione di atti amministrativi attraverso sistemi informatici e telematici, che la firma autografa sia sostituita dall'indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile, ribadisce sul piano positivo l'inessenzialità ontologica della sottoscrizione autografa ai fini della validità degli atti amministrativi (cfr. Cass. 1^ sez. 07.08.1996 n. 7234; Id. I sez. 24.09.1997 n. 9394; id. 3^ sez. 10.02.2000 n. 1458; id. 1^ sez. 28.12.2000 n. 16204; id. 1^ sez. 22.11.2004 n. 21954, tutte con riferimento ad ordinanza-ingiunzione. Con specifico riferimento alla materia tributaria: Cass. 5^ sez. 27.02.2009 n. 4757, secondo cui la nullità della cartella di pagamento deve essere esclusa anche in mancanza di sottoscrizione del funzionario competente se gli altri elementi formali consentano inequivocabilmente di riferire l'atto all'organo amministrativo titolare del potere di emetterlo; id. 5^ sez. 23.02.2010 n. 4283 secondo cui "l'avviso di mora emesso dal concessionario del servizio di riscossione è valido, pur se privo della sottoscrizione da parte del funzionario competente, in quanto la carenza di tale elemento formale non implica alcuna menomazione né del potere del concessionario, che dipende da rapporto "a monte" con l'ente impositore, né della responsabilità in ordine all'emissione del singolo alto impositivo, sempre riferibile nei confronti dei terzi all'ente che lo emette, a prescindere dall'identità del funzionario che materialmente lo esegue, né, a fortiori, delle prerogative e del diritto di difesa de/soggetto destinatario dell'atto" (Cass. n. 26176/2011)».

TRIBUTIUffici postali, niente imposta sulle insegne.
Le insegne degli uffici pubblici di Poste Italiane non avendo la valenza di messaggio pubblicitario atto a stimolare il pubblico alla consumazione del bene o alla fruizione del servizio in vendita, ma limitandosi a fornire agli interessati le informazioni per l'individuazione del luogo in cui è possibile fruire del servizio, non scontano l'imposta sulla pubblicità se sono al di sotto delle dimensioni che la normativa in materia prescrive per dette installazioni.

Sono queste le precisazioni con cui la Ctp di Pavia, con la sentenza 13.12.2017 n. 353/2/2017, accoglieva il ricorso della società Poste Italiane contro l'avviso di accertamento con cui le veniva contestato l'omesso versamento dell'imposta sulla pubblicità da parte del comune di Mortara. La ricorrente fondava il ricorso proprio sulla non corretta applicazione della disciplina relativa all'imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni introdotta con dlgs 507/1993.
La stessa considera rilevanti ai fini dell'assoggettamento tutti quei messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica che abbiano lo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero che siano finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato. La ricorrente aggiungeva, inoltre, che le insegne, anche per dimensioni, non superavano i limiti fissati dalla legge oltre i quali l'imposta era dovuta.
Pertanto la Ctp di Pavia esaminava la documentazione allegata che illustrava funzione e dimensioni delle suddette insegne pubblicitarie. Le stesse, da intendersi come ogni scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli o da marchi installata nella sede dell'attività, non solo si limitavano a contraddistinguere il luogo in cui i servizi sono resi, ma erano di superficie complessiva inferiore a 5 mq.
Il comma 1-bis dell'art. 17 del dlgs 507/1993 istitutivo del canone sulla pubblicità, introdotto dall'art. 10 della legge 28/12/2001 n. 448, stabilisce infatti che il canone «non è dovuto per le insegne di esercizio delle attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono, per la superficie complessiva sino a cinque metri quadrati».
Nel caso di specie la società delegata all'accertamento e alla riscossione dal comune di Mortara utilizzava un errato sistema di misurazione delle affissioni dell'ufficio pubblico che, comunque, non superavano le soglie metriche fissate dalla legge ai fini dell'assoggettamento all'imposta. La Ctp Pavia, pertanto, accoglieva il ricorso, annullando l'atto di accertamento.
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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
(Omissis) Con l'avviso di accertamento di cui in epigrafe, il Concessionario del servizio I. srl, addetto al servizio accertamento e riscossione dell'imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni del comune di Mortara, accertava a carico della ricorrente
Società Poste italiane spa ( ) ai fini dell'imposta sulla pubblicità per l'anno 2016, la somma complessiva di € 153,00 per imposta dovuta, interessi moratori, sanzioni e spese.
Motivi dell'impugnazione.
La società Poste italiane spa proponeva ricorso contestando l'avviso in epigrafe ed eccependo: in via preliminare e assorbente la violazione e falsa applicazione dell'art. 17, comma 1-bis, dlgs 507/1993 e della risoluzione del ministero dell'economia e delle finanze 24/04/2009, n. 2F. La società contesta infatti di aver omesso il versamento dell'imposta di pubblicità in quanto questo non era dovuto: la I. srl avrebbe infatti effettuato un calcolo errato della superficie delle insegne recanti la scritta Poste italiane e Mortara
( )
Motivi della decisione.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Dalla disamina della documentazione allegata risulta evidente che le insegne non hanno valenza di messaggio pubblicitario atto a stimolare il pubblico alla consumazione del bene o alla fruizione del servizio in vendita, bensì vanno inquadrate nella categoria degli avvisi al pubblico e svolgono la mera funzione di fornire agli interessati le informazioni atte a facilitare e individuare la fruizione dei servizi resi e la loro sede. ( )
A ciò si deve aggiungere che nessuna di esse, oltre che anche complessivamente, supera le superfici minime esenti previste dal legislatore. Il dlgs 507 del 1993, innovato dall'art. 10, comma 1, lett. C legge 28/12/2001 n. 448, stabilisce che l'imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni e di servizi, che contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 mq. ( ) nella fattispecie, non viene superato il limite massimo di esenzione dei 5 mq. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
Le stesse si liquidano a favore di Poste Italiane in complessivi 200,00, oltre accessori di legge dovuti.
P.Q.M. Accoglie il ricorso e condanna il comune di Mortara alla rifusione delle spese del grado liquidate in complessivi 200,00, oltre accessori di legge dovuti
(articolo ItaliaOggi Sette del 03.04.2018).

novembre 2017

TRIBUTILocali agricoli, tassa sui rifiuti assimilati.
I rifiuti prodotti nei fabbricati destinati all'attività agricola non possono essere considerati rifiuti solidi urbani. In mancanza di assimilazione dei rifiuti agricoli ai rifiuti urbani, industriali o artigianali, quindi, la richiesta della tassa è illegittima.

Lo ha stabilito la sezione seconda della Ctp di Pavia, nella sentenza 16.11.2017 n. 307/2/2017.
Nel caso specifico, il comune di Travacò Siccomario (comune della provincia di Pavia posto a 2 chilometri a Sud dal capoluogo, tra il Ticino e il Po) notificava un avviso di accertamento a un coltivatore diretto. L'Ufficio del comune, nell'atto, richiedeva la Tarsu per l'anno 2011 sui locali destinati a residenza ed esercizio dell'attività agricola. L'applicazione della tassa rifiuti alle superfici produttive di rifiuti agricoli e ai fabbricati rurali coincide con quella relativa ai rifiuti speciali delle attività industriali.
Pertanto, il comune potrà applicare la tassa alle superfici ove si producono i rifiuti assimilati, e quindi anche i locali destinati a capannone o a magazzino agricolo, solo se avrà provveduto ad assimilare i rifiuti speciali provenienti dalle attività economiche, e dunque anche quelli provenienti dall'attività agricola; il tutto, sempre che non venga dimostrato che si tratta di locali inidonei a produrre rifiuti, a norma dell'art. 62, comma 2, del dlgs n. 507/1993.
Occorre ricordare che l'art. 66, comma 4, del dlgs n. 507/1993, ha disposto la facoltà per i comuni di prevedere nel regolamento la riduzione della tassa rifiuti in misura non superiore al 30% per gli agricoltori che occupano la parte abitativa della costruzione rurale. In seguito, l'art. 12-bis del dl 20.06.1996, n. 323, convertito dalla legge 28.12.1995, n. 425, ha stabilito che i comuni possono prevedere l'esenzione dalla tassa rifiuti dei fabbricati rurali, utilizzati come abitazione da produttori e lavoratori agricoli, sia in attività che in pensione, e che siano situati in zone agricole. La portata della norma è stata ampiamente chiarita con la risoluzione del Ministero dell'economia e delle finanze n. 272/E del 30/12/1996.
Tuttavia, nel caso specifico, i rifiuti prodotti nell'esercizio di una attività agricola, stante la loro specifica e intrinseca natura (i rifiuti vengono dispersi in campagna e utilizzati come concime) non possono essere considerati rifiuti solidi urbani. Peraltro la loro assimilazione ai rifiuti urbani o a quelli industriali o artigianali non era neanche rinvenibile nel regolamento Tarsu del Comune accertatore.
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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
[omissis] La contribuente ha presentato ricorso avverso l'avviso di accertamento n. 1/2016 emesso per l'anno 2011 dal comune di Travacò Siccomario in materia di Tarsu (tassa smaltimento rifiuti urbani).
Poiché la ricorrente è coltivatrice diretta, conduce un fondo rustico con annessi fabbricati destinati a residenza ed esercizio della propria attività agricola. È da precisare che poiché i rifiuti prodotti nei fabbricati destinati all'esercizio dell'attività agricola sono qualificati (materia fecale e altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nell'attività agricola) vengono smaltiti direttamente dall'opponente mediante dispersione in campagna.
OSSERVA
la Commissione che i rifiuti, prodotti nei fabbricati destinati all'esercizio dell'attività agricola, non possono considerarsi rifiuti solidi urbani, stante la loro specifica e intrinseca natura, la quale appunto per questo fa sì che essi vengano dispersi in campagna.
Peraltro la loro assimilazione ai rifiuti urbani o a quelli industriali o artigianali non è neanche rinvenibile nel Regolamento Tarsu del Comune accertatore.
PQM annulla l'atto impugnato. Spese compensate (articolo ItaliaOggi Sette del 22.01.2018).

TRIBUTI: Tosap - Esenzioni.
Fermo restando che l’articolo 49, d.lgs. 507/1993, contiene un elenco tassativo di ipotesi in cui è prevista l’esenzione dal pagamento della tosap, l’articolo 82 del d.lgs. 117/2017, contenente il Codice del Terzo settore, consente agli enti locali di introdurre, nel proprio regolamento, un’ulteriore ipotesi di esenzione, oltre che di riduzione, dal pagamento della tassa in esame, che si aggiunge a quelle già contemplate dal summenzionato d.lgs. 507/1993.
Tale ipotesi di esenzione dal pagamento della tassa per l’occupazione di suolo pubblico, prevista, prima, con il d.lgs. 460/1997, art. 21, a vantaggio esclusivo delle Onlus, è stata ora estesa a beneficio di tutti gli enti appartenenti al cosiddetto Terzo settore che soddisfino i seguenti requisiti:
   - abbiano la veste giuridica di cui all’art. 4, d.lgs. 117/2017 (associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, associazioni riconosciute o non riconosciute, eccetera);
   - svolgano, in forma prevalente, le attività di interesse pubblico e sociale di cui all’art. 5 e, quindi, non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;
   - siano viepiù iscritti nel Registro unico nazionale degli enti del Terzo settore.

L’Ente domanda se, alla luce dell’attuale normativa, sia legittimo inserire, nel proprio regolamento tosap, l’esenzione dal pagamento della tassa per manifestazioni patrocinate dal Comune stesso e organizzate da associazioni locali di promozione sociale, culturale e ricreativa (ad esempio, Pro Loco).
Si svolgono, in merito al summenzionato quesito, le seguenti osservazioni, sentito il Servizio volontariato e lingue minoritarie della Direzione centrale cultura, sport e solidarietà.
Fino allo scorso mese di luglio, la normativa di riferimento al fine dell’inquadramento dell’odierno quesito era rappresentata principalmente dal decreto legislativo 15.11.1993, n. 507
[1] e in particolare dagli articoli 49 e 45, comma 7 [2].
Nello specifico, l’articolo 49 del decreto legislativo 507/1993 disciplina le ipotesi di esenzione dal tributo in esame, tra le quali non rientra la fattispecie delineata dall’ente instante
[3].
L’articolo 45, comma 7, del medesimo decreto stabilisce, invece, la riduzione della tariffa ordinaria, nella misura dell’80 per cento, per le occupazioni temporanee realizzate in occasioni di manifestazioni culturali oltre che politiche e sportive. Ai sensi della disposizione da ultimo richiamata, per le manifestazioni culturali, sportive o politiche (ma non ricreative), la tariffa è, pertanto, pari al 20 per cento di quella ordinaria, senza alcun potere di modifica da parte degli enti impositori
[4].
Il quadro normativo delineato era poi completato dalla disposizione di cui all’articolo 23 della legge 07.12.2000, n. 383 –Disciplina della associazioni di promozione sociale- che prevedeva la possibilità, per gli enti locali, di deliberare, a favore delle associazioni regolarmente registrate, riduzioni -ma non esenzioni- sui tributi di propria competenza.
In base all’articolo 21, decreto legislativo 04.12.1997, n. 460
[5], gli enti locali potevano, inoltre, prevedere la possibilità di riconoscere agevolazioni ed esenzioni in favore dei soggetti qualificabili come Onlus [6].
Il contesto normativo sopra illustrato è stato parzialmente riscritto in seguito all’emanazione del decreto legislativo 03.07.2017, n. 117, recante il Codice del Terzo settore
[7], che, con l’articolo 102, rispettivamente comma 1, lettera a) e comma 2 lettera a), ha abrogato, tra gli altri, l’articolo 23 della legge 383/2000 e l’articolo 21 del decreto legislativo 460/1997 [8].
L’articolo 82, comma 7, del decreto legislativo 117/2017 stabilisce la possibilità, per i Comuni, di “deliberare nei confronti degli enti del Terzo settore che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale la riduzione o l’esenzione dal pagamento dei tributi di loro competenza e dai connessi adempimenti
[9] [10].
È necessario, ora, richiamare le particolari disposizioni che segnano l’entrata in vigore dell’articolo 82, comma 7.
Poiché la summenzionata disposizione prevede, per gli enti locali, la possibilità di deliberare esenzioni o riduzioni tributarie, la norma stessa potrebbe dare luogo, seppure indirettamente, a delle forme di aiuti di stato. Il legislatore del Codice ha, così, previsto che l’articolo 82 non entri in vigore insieme alla maggior parte delle disposizioni del decreto legislativo, ma ne ha previsto un’applicazione differita: o in via transitoria dal 01.01.2018 (soltanto a beneficio di Onlus, organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale) o, comunque, subordinatamente all’autorizzazione della Commissione europea, chiamata a verificare la compatibilità di alcune delle disposizioni del Codice stesso con il Trattato comunitario ed i principi di quest’ultimo posti a tutela del mercato unico europeo
[11].
Ed invero, ai sensi dell’articolo 104, comma 2, del decreto legislativo 117/2017, salvo quanto previsto dal comma 1, le disposizioni del titolo X, che disciplinano il “Regime fiscale degli enti del terzo settore”, tra cui quella dell’articolo 82, comma 7 “si applicano agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore a decorrere dal periodo di imposta successivo all'autorizzazione della Commissione europea di cui all'articolo 101, comma 10, e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del predetto Registro”.
Ai sensi del medesimo articolo 104, comma 1, tra gli altri, l’articolo 82, comma 7, si applica, sebbene in via transitoria, a decorrere dal 01.01.2018 e fino al periodo di imposta di entrata in vigore delle disposizioni di cui al titolo X, secondo quanto indicato dal già richiamato comma 2, a favore delle Onlus iscritte negli appositi registri, delle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri di cui alla legge 11.08.1991, n. 266, nonché alle associazioni di promozione sociale iscritte nei registi nazionali e regionali di cui alla legge 383/2000
[12].
Si rammenta che, per l’articolo 4 del Codice del Terzo settore, sono, tra gli altri, “enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale … le associazioni, riconosciute o non riconosciute, … gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.
Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del summenzionato decreto legislativo 117/2017: “Gli enti del Terzo settore … esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Si considerano di interesse generale, se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l'esercizio, le attività aventi ad oggetto: … d) … le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa; … f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni; … i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo; … k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso; … t) organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”.
Richiamata la normativa di riferimento per la fattispecie in esame, si espongono le seguenti riflessioni.
Fermo restando che l’articolo 49, decreto legislativo 507/1993, contiene un elenco tassativo di ipotesi in cui è prevista l’esenzione dal pagamento del tributo, a decorrere dal periodo di imposta successivo alla predetta autorizzazione della Commissione europea e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo all’operatività del Registro unico nazionale del terzo settore, ma, in via transitoria, a decorrere dal 01.01.2018, a favore di Onlus, organizzazioni di volontariato ed associazioni di promozione sociale, purché iscritte negli appositi registri, l’articolo 82 del Codice del Terzo settore consente agli enti locali di introdurre, nel proprio regolamento tosap, un’ulteriore ipotesi di esenzione, oltre che di riduzione, dal pagamento della tassa in esame che si aggiunge a quelle già contemplate dal summenzionato decreto legislativo 507/1993.
Tale ipotesi di esenzione dal pagamento della tassa per l’occupazione di suolo pubblico, prevista, prima, con il decreto legislativo 460/1997, articolo 21, a vantaggio esclusivo delle Onlus, è stata ora estesa a beneficio di tutti gli enti appartenenti al cosiddetto Terzo settore che soddisfino i seguenti requisiti:
   - abbiano la veste giuridica di cui all’articolo 4, decreto legislativo 117/2017 (associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, associazioni riconosciute o non riconosciute, eccetera);
   - svolgano, in forma prevalente, le attività di interesse pubblico e sociale di cui all’articolo 5 e, quindi, non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;
   - siano viepiù iscritti nel Registro unico nazionale degli enti del Terzo settore.
In attesa del pronunciamento della Commissione europea su alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo 117/2017, tra le quali, per quanto qui di interesse, l’articolo 82, comma 7, che prevede la possibilità, per tutti gli enti locali, di introdurre, nei propri regolamenti, ipotesi di esenzione dal pagamento dei tributi di propria competenza ed in attesa dell’istituzione ed operatività del Registro unico nazionale per gli enti del Terzo settore, la disposizione di riferimento rimane, comunque, l’articolo 49, decreto legislativo 507/1993; e soltanto per le organizzazioni di promozione sociale, le Onlus, e le organizzazioni di volontariato anche l’articolo 82, comma 7, decreto legislativo 117/2017, che troverà applicazione, in via transitoria, a decorrere dal 01.01.2018 (secondo quanto previsto dall’articolo 104, comma 1, decreto legislativo 117/2017).
Conservano, inoltre, valore tutte le osservazioni che questo Servizio ha già espresso in precedenti pareri in merito alle esenzioni dal pagamento della tosap, al carattere tassativo dei casi di dispensa dal pagamento dei tributi ed in merito all’impossibilità di applicare istituti quali l’interpretazione analogica ed estensiva alle norme di natura eccezionale
[13].
In conclusione, conformemente alle argomentazioni sopra esposte, si evidenzia, quanto all’interrogativo sottoposto all’attenzione dello scrivente, che la fattispecie di esenzione delineata dall’ente locale –esenzione a favore delle associazioni locali di promozione sociale culturale e ricreativa– ferma restando l’applicazione dell’articolo 49, decreto legislativo 507/1993 e dei suoi limiti, potrebbe essere ricondotta nel campo di applicazione dell’articolo 82, comma 7, e degli articoli 4 e 5, decreto legislativo 117/2017, con i vincoli temporali di entrata in vigore della disposizione in materia di tributi locali (articolo 82, decreto legislativo 117/2017), come sanciti dagli articoli 104, commi 1 e 2 e 101, comma 10, medesimo decreto.
L’ipotesi di occupazione, descritta dall’ente instante, non può, quindi, essere esonerata dal pagamento della tassa in esame ai sensi dell'articolo 49 del decreto legislativo 507/1993, in quanto non riconducibile nel suo ambito di applicazione, riferibile alle sole occupazioni espressamente e tassativamente individuate dalla medesima norma. La fattispecie illustrata dal Comune potrebbe, tuttavia, essere dispensata dal pagamento del tributo, a titolo facoltativo e, quindi, per volontà del medesimo ente, con apposito atto deliberativo, in conformità alle previsioni di cui all’articolo 82, comma 7, decreto legislativo 117/2017, secondo quanto previsto dall’articolo 104, comma 1: e cioè, in via transitoria, dal 01.01.2018 fino al periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea ed, in ogni caso, fino al periodo di imposta successivo all’operatività del Registro unico nazionale degli enti del terzo settore, soltanto a beneficio delle organizzazioni di volontariato, delle associazioni di promozione sociale e delle Onlus, purché iscritte negli apposti registri disciplinati dalle rispettive leggi di settore.
Ottenuta l’autorizzazione della Commissione europea ed intervenuta l’operatività del summenzionato Registro, l’ente locale potrà, invece, deliberare l’esenzione dalla tosap a beneficio di enti del terzo settore, diversi da quelli appena richiamati ed in via definitiva anche a beneficio di questi ultimi, purché regolarmente iscritti nel relativo Registro unico nazionale, quando entreranno pienamente in vigore le disposizioni del titolo X, tra cui quella dell’articolo 82, comma 7, nel rispetto dei termini, già ampiamente illustrati, di cui all’articolo 104, comma 2 e 101, comma 10; fermi, in tutti i casi, i requisiti di cui agli articoli 4 e 5 del medesimo decreto.
L’esenzione ipotizzata dall’ente potrà, quindi, essere conforme alle previsioni del legislatore statale (articolo 82, comma 7, decreto legislativo 117/2017), detentore esclusivo, nel nostro ordinamento giuridico, della potestà legislativa primaria in materia di tributi locali
[14] ed essere, conseguentemente, inserita, con apposito atto deliberativo, nel regolamento dell’ente locale in materia di tosap.
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   [1] La legge citata si intitola “Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'art. 4 della legge 23.10.1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale”.
   [2] Si rammenta come la tosap sia regolamentata dalla legge dello Stato solo per ciò che concerne le disposizioni generali (articoli 38-57 del decreto legislativo 507/1993). Per le norme di applicazione è fatto, invece, rinvio ai regolamenti comunali (si legga “Memento Pratico Fiscale anno 2008”, Francis Lefebvre, Ipsoa, pagg. 1154-1155 e “Guida operativa ai tributi locali”, Il Sole 24 Ore, seconda edizione, pag. 141, 147). Nella specifica e puntuale applicazione della tosap, oltre alla legge statale, i Comuni devono, quindi, utilizzare lo strumento regolamentare. L’articolo 40 del decreto legislativo 507/1993 prescrive, invero, agli enti impositori, di approvare il regolamento per l’applicazione della tassa in esame, individuando anche un contenuto minimo che deve essere sempre assicurato all’interno dell’atto deliberativo in discorso. Esiste, quindi, una parte del regolamento che l’ente locale deve necessariamente sviluppare, a fronte di una solamente eventuale. Il contenuto eventuale sarà regolato in base alla particolare realtà ed alle specifiche esigenze del Comune, in accordo con il principio di legalità sancito dall’articolo 23 della Costituzione e con i limiti espressamente contenuti nell’articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446. L’ente locale deve, quindi, obbligatoriamente prevedere, all’interno del proprio regolamento, la disciplina generale delle occupazioni permanenti e temporanee, con la determinazione di eventuali aumenti o riduzioni di tariffa, in corrispondenza delle varie fattispecie individuate dalla legge. L’articolo 52 del decreto legislativo 446/1997 contiene una norma fondamentale per la disciplina della potestà regolamentare generale dei Comuni e ne ha rafforzato l’autonomia già loro attribuita. Con l’emanazione del decreto legislativo 446/1997, sono, invero, intervenute importanti modifiche in materia di gestione del tributo in esame, proprio perché con l’articolo 52 del suddetto decreto, è stata attribuita agli enti locali un’ampia autonomia regolamentare, relativamente alla disciplina delle proprie entrate. In tal senso, si legga “La tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche: i lineamenti generali del tributo” di Luca Bonadonna, in “Tributi locali e regionali”, n. 5/2006, pag. 714. Sul potere regolamentare del Comune in materia di tosap, si legga anche il parere datato 12.11.2014, protocollo n. 29322, emesso dallo scrivente e consultabile nella relativa banca dati.
   [3] L’articolo 3, comma 67, della legge 28.12.1995, n. 549 apporta una deroga all’applicazione del decreto legislativo 507/1993, in materia di tosap, ma tale deroga, non contemplata per le occupazioni in esame, prevede l’esonero dall’obbligo del pagamento della tassa per manifestazioni o iniziative a carattere politico, nelle sole circostanze in cui l’area occupata non sia superiore ai 10 metri quadrati. Sono politiche quelle manifestazioni poste in essere da partiti, gruppi politici riconosciuti o da organizzazioni sindacali dirette al raggiungimento di tale specifica finalità (Ministero delle finanze, circolare del 25.03.1994, n. 13/E). Si legga “Guida operativa ai tributi locali”, cit., pag. 146. Va rilevato, quindi, che, ex articolo 3, comma 67, legge 549/1995, nei soli confronti dei soggetti promotori di iniziative a carattere esclusivamente politico, è disposta l’esenzione dalla tosap, se la superficie occupata non supera i dieci metri quadrati. Si legga, al riguardo, “Manuale dei tributi locali”, Maggioli editore, V edizione, pag. 337.
   [4] Si legga, al riguardo, “Manuale dei tributi locali”, cit., pag. 337.
   [5] Intitolato “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.
   [6] L’articolo 21, del decreto legislativo in discorso stabiliva, infatti, che i Comuni “possono deliberare nei confronti delle Onlus la riduzione o l’esenzione dal pagamento dei tributi di loro pertinenza e dai connessi adempimenti”.
   [7] Il testo normativo ora richiamato è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 02.08.2017 ed è entrato il vigore il giorno successivo.
   [8] Ai sensi dell’articolo 102, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 117/2017, l’articolo 21 della legge 460/1997 è abrogato a decorrere dal termine di cui all’articolo 104, comma 2, medesimo decreto, ovverosia a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’articolo 101, comma 10, su alcune disposizioni contenute nel Codice del Terzo settore, autorizzazione da richiedere a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’abrogazione, comunque, non sarà efficace prima del periodo di imposta successivo all’operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore.
   [9] Tale possibilità è contemplata in relazione a tutti i tributi locali diversi dall’imposta municipale propria e dal tributo per i servizi indivisibili, per i quali l’esenzione dal pagamento è prevista alle condizioni e nei limiti di cui comma 6 del medesimo articolo 82.
   [10] La disposizione ora richiamata riprende, parzialmente, estendendone la previsione non solo alle riduzioni ma anche alle esenzioni, quella contenuta, in relazione alle associazioni di promozione sociale, nell’articolo 23 della legge 383/2000, abrogata dall’articolo 102, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 117/2017 e conferma, per le Onlus, quella contenuta nell’articolo 21 della legge 460/1997, parimenti abrogato dal decreto legislativo 117/2017, nei termini di cui dall’articolo 102, comma 2, lettera a) e 104, comma 2.
   [11] Ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (nella versione consolidata, a fronte dell’entrata in vigore il 01.12.2009 del Trattato di Lisbona, firmato, a Lisbona, il 13.12.2007, dai rappresentanti dei ventisette Stati membri dell’Unione stessa) “alla Commissione sono comunicati in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti”. Se ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno dell’Unione, la Commissione inizia senza indugio una specifica procedura e “lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto ad una decisione finale”.
   [12] Ai sensi dell’articolo 104, comma 1, decreto legislativo 117/2017, le disposizioni di cui all’articolo 82 “si applicano in via transitoria a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 (quindi dal 01.01.2018 n.d.r.) e fino al periodo d'imposta di entrata in vigore delle disposizioni di cui al titolo X secondo quanto indicato al comma 2, alle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all'articolo 10, del decreto legislativo 04.12.1997, n. 460 iscritte negli appositi registri, alle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri di cui alla legge 11.08.1991, n. 266, e alle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionali, regionali e delle provincie autonome di Trento e Bolzano previsti dall'articolo 7 della legge 07.12.2000, n. 383”.
   [13] Si leggano i pareri datati 19.08.2010, protocollo n. 13660, 19.09.2013, protocollo n, 26839, emessi dallo scrivente e consultabili nella relativa banca dati, oltre che il più recente parere datato 14.09.2017, protocollo n. 9264, parimenti consultabile nella relativa banca dati.
   [14] In tal senso, Corte Costituzionale, 22-24.02.2006, n. 75, ove si legge che l’articolo 117, comma 2, lettera e), Cost. riserva, al legislatore nazionale, la competenza esclusiva nella materia del sistema impositivo, essendo i tributi erariali istituiti da legge dello Stato e da questa disciplinati, salvo quanto espressamente rimesso all’autonomia dei Comuni. Si legga “Limiti al potere di introdurre per via regolamentare esenzioni ed agevolazioni nella disciplina dei tributi locali (nota a Corte Cost. n. 75/2006)” di Andrea Giovanardi, in “Rivista di diritto tributario”, n. 7-8/2006, II, pagg. 545 e ss.
(07.11.2017 - link a
www.regione.fvg.it).

ottobre 2017

TRIBUTI: Pagamento IMU e TASI appartamento in costruzione.
Domanda
Come considerare, ai fini IMU e TASI, un appartamento in corso di costruzione (senza rendita) nel caso di fabbricato composto anche da altre unità immobiliari già finite ed accatastate? Inoltre, in caso di pagamento dovuto, occorre sanzionare il contribuente?
Risposta
Le categorie catastali fittizie F3 ed F4 (rispettivamente “in corso di costruzione” e “in corso di definizione”) sono da considerarsi provvisorie, dai 6 ai 12 mesi, con possibilità di ottenere la proroga con la presentazione di un’apposita dichiarazione del proprietario circa la mancata ultimazione dell’immobile (cfr. Agenzia del Territorio, Circolare n. 4/2009).
Si tratta, tuttavia, di una prassi totalmente disattesa, con la conseguenza che dopo anni si ritrovano diversi immobili ancora accatastati in tali categorie, ancorché “provvisorie”.
Ciò posto, l’imponibilità come area fabbricabile dell’unità immobiliare accatastata in F3 è stata recentemente affermata dalla Cassazione con sentenza n. 11694 del 11.05.2017, che ha sancito il seguente principio di diritto: “in tema di imposta comunale sugli immobili, l’accatastamento di un nuovo fabbricato nella categoria fittizia delle unità in corso di costruzione non è presupposto sufficiente per l’assoggettamento ad imposta del fabbricato stesso, salva la tassazione dell’area edificatoria e la verifica sulla pertinenza del classamento”.
Pertanto, nel caso di edificio composto da un’unica unità immobiliare con categoria catastale F3 (in corso di costruzione), si deve prendere come riferimento il valore dell’intera area edificabile, quale base imponibile per il calcolo dell’IMU e della TASI.
Nel caso, invece, di edificio composto da più unità immobiliari di cui solo una in corso di costruzione (fattispecie descritta nel quesito), l’IMU e la TASI devono calcolarsi sul valore dell’area fabbricabile in misura proporzionale alla quota di incidenza dell’unità non ultimata rispetto a tutte le unità che insistono sull’intera area fabbricabile. Ad esempio, se l’edificio è composto da quattro unità immobiliari con caratteristiche simili (da considerarsi a lavori completati), di cui tre finite e una in corso di costruzione, si può prendere come riferimento il 25% del valore dell’area edificabile.
Infine, in ordine alle sanzioni, si ritiene sussistente l’esimente delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata applicativa della norma (ex art. 5, comma 2, del d.lgs. 472/1997 e art. 10, comma 3, della l. 212/2000), trattandosi di un orientamento giurisprudenziale recente ed in presenza di pregresse indicazioni contrastanti di Cassazione e prassi ministeriale (cfr. Cass. n. 10735/2013 e n. 5166/2013, MEF risoluzione n. 8/DF del 22/7/2013) (23.10.2017 - link a www.publika.it).

TRIBUTI: Niente prelievo sul collabente privo di rendita.
I fabbricati collabenti, iscritti in catasto con la categoria F2, senza attribuzione di rendita, non sono soggetti a Ici né come fabbricati né come area fabbricabile. Tanto, finché non si procede alla competa demolizione dell’unità in esame.

La precisazione è contenuta nella sentenza 11.10.2017 n. 23801 della Corte di Cassazione, Sez. V civile, che conferma il precedente in materia della sentenza 17815/2017.
Il comune aveva emesso un accertamento Ici nei riguardi di un immobile risultante in catasto nella categoria F2, privo di rendita. L’accertamento aveva ad oggetto, in realtà, non già il fabbricato bensì l’area di sedime dello stesso, qualificata come area fabbricabile alla luce delle previsioni dello strumento urbanistico.
La Suprema corte ha tuttavia annullato l’avviso di accertamento procedendo a una sintetica ricostruzione degli elementi strutturali dell’Ici, valevole anche per l’Imu, stante la sostanziale identità di disciplina.
Viene in primo luogo evidenziata la diversità concettuale tra fabbricato inagibile e fabbricato collabente. Nel primo caso, si è di fronte ad una unità che ha perso parte delle sue potenzialità funzionali per effetto di eventi sopravvenuti. Ad essa compete pertanto la riduzione a metà della base imponibile. Nella fattispecie di fabbricati collabenti, invece, si è a cospetto di immobili che sono privi di qualunque forma di potenziale utilizzabilità per il possessore, tant’è che gli stessi sono iscritti in catasto senza attribuzione di rendita.
In entrambe le situazioni, tuttavia, è configurabile una unità immobiliare riconducibile alla nozione di fabbricato, circostanza questa che esclude la possibilità di ravvisare sia l’area edificabile che quella di terreno agricolo. D’altra parte la tripartizione nell’applicazione dell’imposta (fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli) è tassativamente tipizzata nella disciplina di riferimento, di tal che non appare ipotizzabile un quartum genus, nella forma dell’«area edificata».
La conclusione della Suprema corte è dunque nel senso che, sino a quando il fabbricato collabente risulterà così identificato in catasto, lo stesso non potrà in alcun modo essere assoggettato a imposizione, né come fabbricato, per totale mancanza di base imponibile, né come area edificabile. Tale situazione tuttavia cessa di esistere quando si provvede alla totale demolizione dei “resti” del fabbricato, poiché in questa eventualità l’area di risulta, ove potenzialmente edificabile, va considerata come suolo fabbricabile.
In proposito, si ricorda peraltro che l’area ove in concreto si svolgono lavori di edificazione è comunque qualificata come fabbricabile, anche in deroga a eventuali difformi previsioni urbanistiche (articolo 5, comma 6, del Dlgs 504/1992, richiamata anche nell’Imu).
Nella precedente sentenza 17815/2017 è stato, inoltre, segnalato che i Comuni possono reagire a eventuali comportamenti elusivi dei contribuenti, contestando l’accatastamento in F2. Ciò accade ad esempio quando l’unità non è individuale o perimetrabile (articolo Il Sole 24 Ore del 12.10.2017).
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MASSIMA
1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 2 e 5 d.lgs. 504/1992, per aver il giudice d'appello ritenuto tassabile come area edificabile l'area d'insistenza di un fabbricato di categoria F/2 (c.d. unità collabenti).
2. Il motivo è fondato.
La Corte ha avuto modo di precisare che
non è tassabile come area edificabile l'area d'insistenza di un fabbricato diroccato e tuttavia non demolito, mentre è tassabile l'area di risulta della demolizione (Cass. 23.02.2010, n. 4308).
Ciò deve essere ribadito, poiché l'insistenza di un fabbricato riconoscibile per tale esclude che venga in autonomo rilievo l'area di sedime, come si evince dall'art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. 504/1992 («... considerandosi parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione ...»).
Il regime tributario del fabbricato inagibile si diversifica poi in rapporto all'incidenza del deterioramento sulle potenzialità funzionali e reddituali del bene, le quali costituiscono indice di capacità contributiva:
   a) il fabbricato semplicemente inagibile ha una potenzialità marginale e pertanto sconta l'imposta con riduzione del 50% (art. 8, comma 1, d.lgs. 504/1992);
   b) il fabbricato collabente (cioè in rovina, dall'etimo latino collabi, collapsus) è privo di ogni potenzialità e va pertanto esente da imposta, sin quando l'eventuale demolizione restituisca autonomia all'area fabbricabile, che da allora va tassata come tale, fino al subentro della tassazione del fabbricato ricostruito (art. 5, comma 6, d.lgs. 504/1992).
3. Vale il seguente principio di diritto: «
in tema di imposta comunale sugli immobili, il fabbricato accatastato come unità collabente (categoria F/2), oltre a non essere tassabile come fabbricato in quanto privo di rendita, non è tassabile neppure come area edificabile, sino a quando l'eventuale demolizione restituisca autonomia all'area fabbricabile, che da allora è tassabile come tale, fino al subentro della tassazione del fabbricato ricostruito».
Discostatasi da questo principio attraverso il richiamo di un precedente non conferente (Cass. 01.03.2013, n. 5166, relativa alla c.d. edificabilità di fatto), la sentenza deve essere cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso.
4. Non essendo necessarie indagini di fatto, la causa deve essere decisa nel merito, con l'annullamento dell'avviso di accertamento; restano assorbiti il secondo e terzo motivo di ricorso, entrambi concernenti il profilo accessorio delle sanzioni.
5.
Solo in tempi recenti si è formata una specifica giurisprudenza di legittimità sulle unità collabenti, per le quali si è appunto esclusa la tassazione sia del fabbricato perché improduttivo di reddito, sia dell'area d'insistenza perché già edificata (Cass. 19.07.2017, n. 17815): ciò impone di compensare le spese processuali di ogni fase e grado.
6. Nella discussione d'udienza, il Pubblico Ministero ha manifestato dissenso rispetto a questo orientamento di legittimità, assumendo che:
   i) l'unità collabente sia catastalmente irrilevante, perciò incapace di negare l'autonoma considerazione fiscale dell'area d'insistenza;
   ii) detta esegesi implichi il paradosso dell'integrale esonero impositivo dell'area edificata con fabbricato collabente, area invece tassata come edificabile se libera da tale fabbricato.
7. Ritiene il Collegio di poter assicurare continuità alla recente giurisprudenza della Corte, osservando che:
  
i) l'unità collabente ha una sua propria rilevanza catastale, seppur a fini meramente identificativi, cioè senza attribuzione di rendita (art. 3, comma 2, lett. b, d.m. 28/1998);
   ii) l'area libera da cascami edilizi versa in condizione di pronta edificabilità, mentre l'area impegnata da rovine esige interventi di demolizione e bonifica necessari a reintegrare in concreto le potenzialità edificatorie del suolo, non potendosi accostare le due fattispecie, divergenti anche sotto il profilo della capacità contributiva del proprietario
(Corte di Cassazione, Sez. V civile, sentenza 11.10.2017 n. 23801).

luglio 2017

TRIBUTI: a. il fabbricato collabente iscritto in conforme categoria catastale F/2 si sottrae ad imposizione Ici; e ciò non per assenza del presupposto dell'imposta (art. 1 d.lgs. 504/1992), ma per azzeramento della base imponibile (art. 5 d.lgs. cit.), stante la mancata attribuzione di rendita e l'incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio;
   b. la mancata imposizione Ici del fabbricato collabente non può essere recuperata dall'amministrazione comunale prendendo a riferimento la base imponibile costituita dal valore venale dell'area sulla quale esso insiste, posto che la legge prevede l'imposizione Ici (oltre che dei fabbricati e dei terreni agricoli) dell'area edificabile, non anche di quella già edificata;
   c. anche ai fini Ici, come in materia di plusvalenze reddituali da cessione di area edificabile, non può essere considerata tale l'area inserita dallo strumento urbanistico in zona di risanamento conservativo per la quale la normativa comunale preveda solo interventi edilizi di recupero e risanamento delle costruzioni già esistenti, senza possibilità di incrementi volumetrici.

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§ 5. Si ravvisa invece la fondatezza delle doglianze concernenti la violazione o falsa applicazione, ex art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ., della normativa Ici di riferimento (quarto e quinto motivo di ricorso).
La tesi della società contribuente -secondo cui (ric. pag.7) "nulla risulta quindi dovuto ai fini Ici: i fabbricati sono collabenti e privi di rendita e quindi non soggetti all'imposta, e le aree sulle quali essi insistono non sono né agricole (stante la presenza su di esse degli ex opifici), né edificabili (stante il dettato dello strumento urbanistico)"- deve trovare accoglimento nei termini che seguono.
In forza dell'articolo 5 d.lgs. 504/1992, nel caso di area edificata la base imponibile Ici è determinata dal valore del fabbricato (1° co.); per í fabbricati iscritti in catasto, tale valore è stabilito applicando un determinato moltiplicatore alla rendita catastale vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione (2° co.); la base imponibile è invece costituita dal valore dell'area, considerata fabbricabile, allorquando nell'anno di imposizione vi sia utilizzazione edificatoria in corso dell'area stessa, demolizione di fabbricato ovvero realizzazione di interventi di recupero ai sensi dell'articolo 31, 1° co., legge 457/1978 lett. c), d) ed e) (6° co.).
L'applicazione di queste prescrizioni al caso di specie induce ad escludere la fondatezza dell'avviso di accertamento e liquidazione opposto; relativo a fabbricati in stato di rovina e, come tali, iscritti fin dal 1999 in categoria catastale F/2. L'attribuzione di questa categoria (prevista dal D.M. Finanze 28/1998) presuppone infatti che il fabbricato si trovi in uno stato di degrado tale da comportarne l'oggettiva incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio; per tale ragione l'iscrizione in catasto avviene senza attribuzione di rendita, ed al fine "della sola descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d'uso" (art. 3, 2° co., D.M. cit.).
In assenza di rendita, viene meno -secondo la su richiamata disciplina istitutiva- la stessa materia determinativa della base imponibile.
Non varrebbe obiettare, con il Comune, che l'iscrizione in categoria catastale F/2 si presterebbe, secondo tale interpretazione, a facile elusione dell'imposta mediante qualificazione catastale come 'collabenti' di fabbricati invece ancora suscettibili di apprezzabile rilievo economico ed appetibilità commerciale.
In tale situazione, certamente possibile, sussisterebbero infatti i presupposti per impugnare tale classificazione, facendone emergere la sua difformità rispetto allo stato di fatto; e ciò tenendo anche presente quanto stabilito dalla nota 29439/2013 della Direzione Centrale Catasto e Cartografia dell'Agenzia delle Entrate, secondo la quale l'attribuzione della categoria in oggetto (tanto alle abitazioni quanto ai fabbricati produttivi) "non è ammissibile quando l'unità immobiliare è censibile in un'altra categoria, o quando l'unità non è individuabile o perimetrabile".
Ora, nel caso di specie non di questo si discute; dal momento che l'effettiva spettanza, agli immobili della ex-acciaieria, della classificazione catastale F/2 di collabenza da essi conseguita (con quanto ne deriva in ordine alla inesistenza di rendita ed alla inidoneità alla produzione di reddito imponibile) non è stata posta in discussione nemmeno dall'amministrazione comunale, così da costituire -quantomeno per l'annualità Ici di riferimento- un dato obiettivo e certo di causa.
Altro è a dire che, esclusa sul fabbricato, l'imposizione Ici dovrebbe colpire l'area di insistenza del fabbricato medesimo.
Si tratta di tesi che la commissione tributaria regionale ha ritenuto di accogliere osservando come, nella specie, vi fossero gli estremi per reputare "edificabile l'area già edificata"; e ciò in forza di un programma di fabbricazione e di un decreto assessoriale "che consentono per gli opifici industriali già esistenti interventi di manutenzione".
Questa soluzione non è giuridicamente corretta.
Va infatti considerato che gli elementi della fattispecie impositiva sono prestabiliti dalla legge secondo criteri di certezza e tassatività, e che -nel caso dell'Ici- la legge sottopone ad imposta (art.1 d.lgs. 504/1992) unicamente (il possesso di) queste tre ben definite tipologie di beni immobili: fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli.
Come sì è detto,
il fabbricato iscritto in categoria catastale F/2 non cessa di essere tale sol perché collabente e privo di rendita; lo stato di collabenza ed improduttività di reddito, in altri termini, non fa venir meno in capo all'immobile -fino all'eventuale sua completa demolizione- la tipologia normativa dì 'fabbricato'. Tanto è vero che la mancata imposizione si giustifica, nella specie, non già per assenza di 'presupposto' ex arti cit., ma per assenza di 'base imponibile' (valore economico pari a zero) ex art. 5 cit..
Sennonché,
esclusa la rilevanza tassabile del fabbricato collabente, l'imposizione Ici non potrebbe essere 'recuperata' dall'amministrazione comunale facendo ricorso ad una base imponibile tutt'affatto diversa: quella attribuibile all'area di insistenza del fabbricato. Ciò perché quest'ultima non rientra in nessuno dei presupposti Ici, trattandosi all'evidenza di area già edificata, e dunque non di area edificabile.
L'inconciliabilità fra queste due ultime nozioni non è solo concettuale, ma anche giuridica; dal momento che, diversamente ragionando, si verrebbe inammissibilmente ad introdurre nell'ordinamento -in via interpretativa- un nuovo ed ulteriore presupposto d'imposta, costituito appunto dall'"area edificata".
In tal senso si è già pronunciata questa corte di cassazione (sent. n. 4308/2010) la quale -investita di una fattispecie analoga alla presente- ha ritenuto che la decisione del giudice di secondo grado, volta a consentire il ricalcolo dell'Ici sulla base del valore attribuito all'area edificabile sulla quale sussisteva un fabbricato fatiscente, non potesse ritenersi corretta; dal momento che "
non sono parificabili, per scelta del legislatore, l'ipotesi dell'area risultante dalla demolizione di un rudere e quella dell'immobile dichiarato inagibile ma non demolito; con la conseguenza che, in tale ultima ipotesi, il giudice di merito non può stabilire una categoria nuova ed ulteriore rispetto a quelle previste dal legislatore".
Osserva il Comune che, come rilevato dal giudice di appello, l'area già sede della ex-acciaieria può essere fatta oggetto di interventi edilizi di recupero e manutenzione straordinaria, sebbene limitati alla conformazione originaria ed alla volumetria esistente; e che, in ragione di ciò, essa mantiene una apprezzabile appetibilità commerciale, tanto da poter essere destinata ad impieghi edilizi speculativi mediante, appunto, ricostituzione dei fabbricati fatiscenti.
Nel caso di specie è in effetti pacifico che i terreni dov'era situato l'opificio dismesso, ancorché ricadenti in un più ampio ambito destinato a verde agricolo ('Zona E'), mantenevano, in base al PRG, la pregressa destinazione urbanistica di impiego produttivo- industriale, sebbene per la sola realizzazione di interventi di manutenzione; e tuttavia l'argomento dedotto dal Comune non può dirsi dirimente.
Va intanto considerato che la presente controversia ha ad oggetto, non già il valore commerciale ipoteticamente attribuibile all'area in questione nella prospettiva dinamica della sua futura valorizzazione edilizia ed urbanistica, ma soltanto i presupposti dell'imposizione Ici relativi ad una determinata annualità (2002).
Sicché non sembra che possa qui prescindersi dal dato oggettivo e pacifico in uso, secondo cui in tale annualità (ferma restando la riconsiderazione della fondatezza della pretesa impositiva del Comune con riguardo ad annualità successive, nel corso delle quali quella valorizzazione abbia, in ipotesi, trovato sbocco concreto), si verteva appunto e soltanto di un fabbricato collabente fatto oggetto di conforme ed incontestata iscrizione catastale; non dedotto in alcun intervento in corso, né in alcuna convenzione o pratica amministrativa pendente di recupero e valorizzazione edilizia (con conseguente esclusione altresì dell'ipotesi di cui al 6° co. dell'art. 5 d.lgs. 504/1992).
Oltre a ciò, deve comunque considerarsi errato lo stesso richiamo alla edificabilità dell'area di insistenza del fabbricato fatiscente.
Soccorre, in proposito, quanto già osservato -con riguardo ad immobili della Acciaieria di Sicilia spa e siti in Campofelíce di Roccella- da Cass. ord. nn. 20160-3/14 (Ici 2003-2006); secondo cui "
non può essere considerata edificabile l'area inserita dallo strumento urbanistico nella zona omogenea A 'residenziale storica di risanamento conservativo' ancorché per tale area la normativa comunale preveda solo interventi edilizi di recupero e risanamento delle costruzioni esistenti, senza possibilità di incrementi volumetrici".
Si tratta di conclusione armonica rispetto all'indirizzo di legittimità formatosi in materia di plusvalenze reddituali realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione stessa [art. 81, comma 1, lett. B), T.U.I.R., ora art. 67]: Cass. nn. 15631/2014; 4150/2014; 15321/2013.
I motivi di ricorso in esame vanno pertanto accolti, mediante affermazione del principio secondo cui:
 
  a. il fabbricato collabente iscritto in conforme categoria catastale F/2 si sottrae ad imposizione Ici; e ciò non per assenza del presupposto dell'imposta (art. 1 d.lgs. 504/1992), ma per azzeramento della base imponibile (art. 5 d.lgs. cit.), stante la mancata attribuzione di rendita e l'incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio;
   b. la mancata imposizione Ici del fabbricato collabente non può essere recuperata dall'amministrazione comunale prendendo a riferimento la base imponibile costituita dal valore venale dell'area sulla quale esso insiste, posto che la legge prevede l'imposizione Ici (oltre che dei fabbricati e dei terreni agricoli) dell'area edificabile, non anche di quella già edificata;
   c. anche ai fini Ici, come in materia di plusvalenze reddituali da cessione di area edificabile, non può essere considerata tale l'area inserita dallo strumento urbanistico in zona di risanamento conservativo per la quale la normativa comunale preveda solo interventi edilizi di recupero e risanamento delle costruzioni già esistenti, senza possibilità di incrementi volumetrici
(Corte di Cassazione, Sez. V civile, sentenza 19.07.2017 n. 17815).

maggio 2017

EDILIZIA PRIVATA: I diritti edificatori.
DOMANDA:
Vorremmo sapere se i cosiddetti diritti edificatori, ossia quelle cubature non legate ad una specifica area edificabile ma che possono essere utilizzate in altre zone del territorio comunale oppure essere acquistate e vendute, siano o meno soggette ad IMU ed eventualmente in che misura.
RISPOSTA:
Il diritto urbanistico statale o regionale prevede diversi istituti giuridici volti a trasferire le capacità edificatorie, che sono suscettibili di incidere sul valore venale dell’area fabbricabile, tra i quali si menzionano i seguenti:
   - Trasferimento di cubatura; in virtù delle prescrizioni dello strumento urbanistico, è possibile cedere una quota di cubatura edificabile per consentire ad un altro soggetto di disporre della minima estensione di terreno richiesta per l’edificazione, oppure di realizzare una volumetria maggiore di quella consentita dalla superficie del suo fondo,
   - Traslazione del diritto ad edificare; il titolare del diritto ad edificare già assentito (tramite permesso di costruire o altro titolo), quando non possa più esercitare tale diritto a causa di un sopravvenuto vincolo non urbanistico (ad esempio, di tipo paesaggistico), ha facoltà di chiedere di esercitarlo su un’altra area del territorio comunale, della quale abbia disponibilità,
   - Diritto di rilocalizzazione, in base al quale il proprietario di un edificio, che dovrà essere demolito, o la cui esistenza è incompatibile con la realizzazione di opere pubbliche, potrà ricostruirlo in un’altra zona di sua proprietà nell’ambito dello stesso comune, anche in deroga alle limitazioni derivanti dal piano regolatore generale. Il diritto, con il consenso del comune, è trasferibile a terzi.
La natura di tali diritti è stata a lungo controversa; a proposito del diritto di rilocalizzazione previsto dalla legge regionale dell’Emilia Romagna, n. 38 del 01.12.1998, l’Agenzia delle Entrate, con R.M. 233/E del 20.08.2009 ha chiarito che esso è strutturalmente assimilabile alla categoria dei diritti reali di godimento. E’ questa la strada seguita recentemente dal legislatore: l’art. 5, co. 3, del d.l. 70/2011 ha stabilito la trascrivibilità nei registri immobiliari dei contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, integrando le previsioni dell’art. 2643 c.c.
In ogni caso, il trasferimento dei diritti edificatori ha effetto sulla determinazione dell'IMU: con tali negozi giuridici, si modifica la valutazione del suolo fabbricabile, la cui base imponibile è determinata anche in funzione delle potenzialità edificatorie; i diritti trasferiti non costituiscono un’area fabbricabile autonoma, ma viene inciso, unicamente, il valore venale dei terreni interessati. In conclusione, i diritti edificatori non hanno una tassazione autonoma ma sono rilevanti nella valutazione dell’area fabbricabile, quando sono ad essa legati (link a
www.ancirisponde.ancitel.it).

aprile 2017

TRIBUTINotifiche a mezzo posta, un pieno di insidie. Dalle notifiche a mezzo posta degli atti tributari un pieno di insidie per i contribuenti.
Secondo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione alle notifiche fiscali si applica infatti la disposizione contenuta nell'articolo 1335 del codice civile secondo la quale «ogni dichiarazione diretta a una determinata persona si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia».
Se questa tesi dei giudici di legittimità (Sez. V civile) contenuta nella sentenza 26.04.2017 n. 10245, dovesse affermarsi, ne deriverebbero gravi conseguenze per i contribuenti.
In quanto si verrebbe ad affermare che la notifica è giunta a buon fine anche quando l'atto venga consegnato ad un soggetto che si trovi in loco del tutto per caso, come un conoscente del figlio del destinatario oppure, al limite, a chi si è introdotto abusivamente nella proprietà altrui. Ponendo sul destinatario l'onere della prova -difficile e quasi diabolica- di essere stato senza colpa nell'impossibilità di avere notizia della circostanza.
In ambito tributario infatti a seguito della notifica scatta un breve termine entro il quale il debitore deve contestare nelle forme di legge la pretesa del Fisco (in genere ricorrendo alla giustizia tributaria); se egli resta inerte la pretesa fiscale si «consolida», cioè si ha per definitivamente accertata.
Di qui l'enorme rilievo che assumono del diritto tributario le norme sulla notifica degli atti impositivi.
Per quanto sopra illustrato molto spesso accade che il contribuente venga a conoscenza della pretesa fiscale solo quando inizia la procedura di riscossione coattiva. E in quel momento affermi di non aver avuto notizia dell'atto di accertamento. Ma questa sua asserita ignoranza è irrilevante se l'atto impositivo è stato notificato, secondo regole e prassi che tendono ad avvantaggiare il Fisco, ad esempio consentendogli di ricorre al servizio postale; né è necessaria la prova che il contribuente abbia ricevuto materialmente l'atto impositivo, ma è sufficiente che esso sia giunto in un'area, come la buca delle lettere, ove il contribuente avrebbe potuto prenderne visione; o a mani di una persona che si può presumere gli consegni la missiva.
Legge e regolamento postale individuano poi i soggetti cui l'atto inviato per posta può essere consegnato; si tratta di un elenco piuttosto ampio, ma ove la consegna avvenga a chi non ha alcun legame con il contribuente e con il luogo della notifica, sarebbe logico ritenere che la notifica non sia andata a buon fine.
Nei rapporti di diritto civile invece il creditore non è collocato in una posizione istituzionale di vantaggio rispetto al debitore, e perciò la notifica informa soltanto il debitore di quanto da lui si pretende; ed impedisce il venir meno del diritto (per prescrizione o decadenza). Ma il debitore non ha, di regola, alcun onere di replicare alla richiesta pervenutagli. E se il creditore vorrà realizzare il suo diritto dovrà rivolgersi al giudice, avanti al quale il debitore potrà difendersi.
Dunque nei rapporti privati la applicazione dell'art. 1335 del codice civile produce effetti limitati Mentre l'applicazione del medesimo principio alla notifica degli atti tributari produce effetti negativi dirompenti per il presunto debitore. E simile applicazione estensiva dell'art. 1335 pare tradisca la funzione della norma, che è, inserita nel libro quarto (delle obbligazioni) nel capo II (dei contratti in generale) del codice civile; e quindi non è stata concepita per regolare un rapporto pubblicistico come quello tributario, che è fondato non sul consenso contrattuale, bensì sul potere impositivo dello Stato (articolo ItaliaOggi Sette del 29.05.2017).

marzo 2017

TRIBUTI: Giurisdizione del giudice tributario per le controversie sulla restituzione di canoni per installazione di mezzi pubblicitari non dovuti.
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Giurisdizione – Pubblicità – Canone installazione di mezzi pubblicitari – Restituzione somma indebitamente versata – Diniego del Comune – Controversia – Art. 19, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 546 del 1992 – Giurisdizione giudice tributario.
Rientra nella giurisdizione del giudice tributario, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g), d.lgs. 31.12.1992, n. 546, la controversia avente ad oggetto il diniego, opposto da un Comune, restituzione del canone, previsto dall'art. 62, d.lgs. 31.12.1997, n. 446, di installazione dei mezzi pubblicitari, asseritamente versato in eccedenza al dovuto nel periodo 2005/2013, costituendo una mera variante dell'imposta comunale sulla pubblicità e conservando, quindi, la qualifica di tributo propria di quest'ultima (1).
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   (1) Ad avviso del Tar sussiste quindi la giurisdizione del giudice tributario ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g, d.lgs. 31.12.1992, n. 546, il quale annovera tra gli atti impugnabili innanzi alla Commissione tributaria “il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti”.
Il Tar ha escluso possa richiamarsi, a sostegno della propria giurisdizione, l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui deve essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di impugnazione di regolamenti o di deliberazioni comunali di determinazione delle tariffe relative agli impianti pubblicitari, in quanto il ricorso in questione si incentra sulla natura indebita del pregresso pagamento del tributo e sull’obbligo di restituzione da parte del Comune, stante la dedotta illegittimità del canone fissato relativamente al periodo 2005/2013 (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.03.2017 n. 438 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTILa violazione di circolari ministeriali non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge; posto che esse non contengono norme di diritto, bensì mere disposizioni di indirizzo uniforme interno all'Amministrazione da cui promanano.
Caratteristiche, queste, che ne evidenziano la natura di meri atti amministrativi non provvedimentali, e che escludono che esse possano fondare posizioni di diritto soggettivo in capo a soggetti esterni all'Amministrazione stessa.
A questa regola non si sottraggono le circolari dell'Amministrazione Finanziaria (del resto priva di poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute, regolata per legge), le quali non vincolano né i contribuenti né i giudici; così da risultare, appunto, anch'esse esenti dal controllo di legittimità

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§ 3. Con il terzo motivo di ricorso ci si duole di violazione o falsa applicazione della circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 6/E del 06.02.2007, e dell'articolo 52 decreto legislativo 446/1997 (potestà regolamentare dei Comuni in materia di tributi locali); per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto legittimo l'avviso di rettifica, nonostante che quest'ultimo -in violazione della circolare- si fosse basato, nella stima non di un fabbricato ma di un'area edificabile non urbanizzata, sui listini OMI, invece che sulle valutazioni rese dai Comuni a fini ICI.
La censura è inammissibile nella parte in cui intende far valere la violazione della circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 6/E del 06.02.2007; è invece infondata nella parte in cui deduce la violazione o falsa applicazione della disciplina legislativa in materia di determinazione del valore venale degli immobili e dei diritti reali immobiliari.
Per quanto concerne il primo aspetto, va qui riaffermato che la violazione di circolari ministeriali non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge; posto che esse non contengono norme di diritto, bensì mere disposizioni di indirizzo uniforme interno all'Amministrazione da cui promanano.
Caratteristiche, queste, che ne evidenziano la natura di meri atti amministrativi non provvedimentali, e che escludono che esse possano fondare posizioni di diritto soggettivo in capo a soggetti esterni all'Amministrazione stessa. A questa regola non si sottraggono le circolari dell'Amministrazione Finanziaria (del resto priva di poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute, regolata per legge), le quali non vincolano né i contribuenti né i giudici; così da risultare, appunto, anch'esse esenti dal controllo di legittimità (Cass. n. 16612/2008; n. 11449/2005).
Né può omettersi di considerare come la stessa circolare qui invocata dai contribuenti comunque dettasse, nell'indicazione dei parametri valutativi di fabbricati e terreni edificabili, prescrizioni puramente indicative e non cogenti nemmeno per gli stessi uffici accertatori destinatari: "per le aree fabbricabili, gli uffici 'potranno' fare riferimento alle determinazioni di valore eventualmente adottate dai Comuni ..." (Corte di Cassazione, Sez. V civile, sentenza 08.03.2017 n. 5937).

febbraio 2017

TRIBUTITari, giudici senza poteri su agevolazioni e sconti.
Il giudice non può sostituirsi all'amministrazione comunale nella scelta di concedere sconti, agevolazioni, riduzioni e esenzioni Tari. Spetta al comune il potere di riconoscere con regolamento eventuali benefici fiscali. La commissione tributaria può solo censurare le norme regolamentari in presenza di macroscopiche violazioni di legge.

E quanto ha affermato la Ctr di Firenze, Sez. X, con la sentenza 09.02.2017 n. 375.
Dunque, per il giudice d'appello non è possibile riconoscere un'agevolazione per la tassa rifiuti se l'amministrazione non l'ha prevista nel regolamento e può censurare il suo comportamento solo se rileva una violazione di legge.
Il regolamento della tassa rifiuti deliberato dal comune di Campo nell'Elba è stato ritenuto in linea con le previsioni di legge dalla commissione regionale «in considerazione del fatto che la normativa consente ai comuni una certa discrezionalità in ordine alla possibilità di prevedere sconti, agevolazioni, riduzioni e esenzioni. Nell'ambito di tale potere discrezionale, il suo esercizio parrebbe quindi essere censurabile solo in presenza di macroscopiche violazioni di legge che nel caso in esame non è dato ravvisare».
In effetti, le amministrazioni comunali hanno ampi poteri sui benefici fiscali per il tributo sui rifiuti. Oltre alle agevolazioni che devono essere assicurate ai contribuenti ex lege, gli enti hanno la facoltà di concedere riduzioni tariffarie e esenzioni tendenzialmente legate alla minore produzione di rifiuti. Possono stabilire con regolamento riduzioni tariffare, senza limiti, e esenzioni anche legate al reddito familiare. Le agevolazioni Tari, infatti, possono essere collegate alla capacità contributiva dei contribuenti, desunta dagli indicatori della situazione economica (Isee). L'articolo 1 della legge di Stabilità 2014 (147/2013) consente di ridurre il carico del prelievo in capo a soggetti in condizioni di difficoltà economico-sociale.
La concessione di agevolazioni facoltative non è limitata alle riduzioni, ma può arrivare fino alle esenzioni. Possono essere deliberate riduzioni tariffarie che, a differenza della Tares, non sono più soggette alla soglia massima del 30%, o esenzioni per particolari situazioni espressamente individuate dalla legge. Le riduzioni della tassa per il servizio di smaltimento possono essere riconosciute in presenza di situazioni in cui si presume che vi sia una minore capacità di produzione di rifiuti (articolo ItaliaOggi del 22.02.2017).

TRIBUTILa classificazione catastale decide l'esenzione. Cassazione sull'ici. rilevanza all'autocertificazione presentata da una coop.
L'esenzione Ici spetta per i fabbricati strumentali all'attività agricola solo se sono inquadrati catastalmente nella categoria D/10.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione - Sez. V civile, che ha però dato rilevanza all'autocertificazione presentata sul possesso dei requisiti da parte di una società cooperativa per i 5 anni precedenti, ancorché l'istanza di variazione catastale in categoria D/10 fosse stata presentata 2 anni dopo (2009) rispetto all'anno d'imposta accertato dal comune (2007).
Infatti con la sentenza 27.01.2017 n. 2115 ha respinto il ricorso della cooperativa e ha sostenuto che per avere diritto all'esenzione Ici non conta che il fabbricato sia strumentale all'attività agricola, ma è necessario che sia classificato nella categoria D/10; mentre con la sentenza 08.02.2017 n. 3350, pur affermando questa regola, ha accolto il ricorso proposto dalla stessa società cooperativa, per la medesima annualità, anche se le controparti erano due comuni diversi, facendo leva sull'autocertificazione. In entrambi i casi decisi gli immobili erano iscritti nella categoria D/8.
I giudici di legittimità hanno ritenuto che l'istanza di variazione catastale nella categoria D/10 presentata nel 2009 potesse avere efficacia nel 2007, nonostante l'immobile fosse inquadrato nella categoria D/8, in presenza di un'autocertificazione attestante il possesso dei requisiti, alla quale è stata riconosciuta un'efficacia retroattiva ai fini del classamento.
Questo vuol dire che la società cooperativa ha autocertificato una data situazione che si pone in palese contrasto con l'istanza di variazione catastale presentata nel 2009 all'Agenzia del territorio e, soprattutto, con la classificazione catastale che il fabbricato aveva nell'anno d'imposta accertato (2007).
Il principio che si ricava dalle due pronunce in commento è che 2 casi analoghi possono essere trattati dallo stesso giudice in maniera diversa. Va posto in rilievo che agli immobili accertati, che hanno formato oggetto delle pronunce della Cassazione, era stata attribuita la stessa categoria catastale (D/8).
Del resto sulla materia de qua la Cassazione, anche di recente, ha cambiato posizione sui requisiti per fruire del trattamento agevolato Ici sui fabbricati rurali e ha rivisto la tesi espressa con alcune pronunce emanate nel 2015. Con la sentenza 16179/2016 ha chiarito che vanno ritenute isolate le pronunce del 2015 con le quali aveva ritenuto esenti dall'imposta comunale i fabbricati rurali, in presenza dei requisiti di legge, a prescindere dal loro inquadramento catastale. Dunque, ha stabilito che non va dato seguito alle sentenze con le quali è stato sostenuto che conta solo la ruralità degli immobili per avere diritto ai benefici fiscali.
I possessori di fabbricati utilizzati per l'esercizio dell'attività agricola possono reclamare l'esenzione Ici solo se hanno ottenuto l'iscrizione catastale di questi immobili nelle categorie A/6 (destinati ad abitazione) o D/10 (destinati alla manipolazione, trasformazione e vendita di prodotti agricoli). Ciò costituisce «un presupposto necessario ed indefettibile» per l'esclusione del fabbricato dall'assoggettamento all'Ici (articolo ItaliaOggi del 16.02.2017).

ottobre 2016

TRIBUTI: Autotutela tributaria su avviso accertamento ICI.
In materia tributaria, il potere dell'amministrazione di provvedere in via di autotutela all'annullamento o alla revoca degli atti illegittimi o infondati è normato dall'art. 2-quater, D.L. n. 564/1994. Nel potere di annullamento o di revoca deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato (commi da 1-bis ad 1-quinquies).
La giurisprudenza precisa che l'esercizio dell'autotutela, nell'ambito del diritto tributario, incontra un limite -oltre che nell'avvenuta formazione del giudicato sull'atto viziato- nel decorso del termine decadenziale fissato per l'accertamento.
La presentazione dell'istanza di sospensione in autotutela non sospende i termini per proporre ricorso al Giudice tributario; parimenti, si ritiene che l'esercizio dell'autotutela sospensiva, ex art. 2-quater, comma 1-quinquies, D.L. n. 564/1994, non possa sospendere i termini per impugnare, attesa l'indisponibilità di detti termini perentori.

Il Comune riferisce di aver notificato (in data 08.08.2016) un avviso di accertamento per omesso versamento ICI 2011, fondato sul processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, verbale sottoposto a giudizio penale, allo stato in grado di appello.
Il legale del contribuente chiede al Comune di sospendere l'avviso di accertamento in autotutela 'ai soli fini della sua sospensione esecutiva', in attesa che sul processo verbale di constatazione si formi il giudicato, necessario, a suo dire, per aversi valido presupposto dell'avviso di accertamento, e al fine di evitare, nel frattempo, ulteriori attività giurisdizionali in sede tributaria. Il Comune chiede, dunque, se la sospensione dell'avviso di accertamento possa rientrare nell'istituto dell'autotutela e se, concedendola, possa incorrere nella decadenza della fase accertativa
[1] (al 31.12.2016, a fronte della probabile udienza penale nel 2017).
Il Comune chiede inoltre se il contribuente non debba comunque proporre ricorso contro l'avviso di accertamento notificato, stante la perentorietà dei termini al riguardo.
In via preliminare, si precisa che l'attività di consulenza giuridico-amministrativa svolta da questo Servizio a favore degli enti locali è finalizzata a fornire un'illustrazione degli istituti giuridici nell'ambito dei quali sono riconducibili le specifiche fattispecie prospettate, fermo restando che compete all'amministrazione procedente determinarsi in ordine alle scelte concrete da adottare caso per caso.
In via meramente collaborativa, si esprimono pertanto alcune considerazioni di carattere generale.
In materia tributaria, il potere dell'amministrazione di provvedere in via di autotutela all'annullamento d'ufficio o alla revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità
[2], degli atti illegittimi o infondati, è espressamente riconosciuto dall'art. 2-quater, D.L. n. 564/1994 (comma 1).
Specificamente, la sospensione in autotutela degli effetti dell'atto è normata dalle previsioni aggiunte all'art. 2-quater dall'art. 27, c. 1, L. 18.02.1999, n. 28, che è utile riportare:
   - comma 1-bis: nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato;
   - comma 1-ter: le regioni, le province e i comuni indicano, secondo i rispettivi ordinamenti, gli organi competenti per l'esercizio dei poteri indicati dai commi 1 e 1-bis relativamente agli atti concernenti i tributi di loro competenza;
   - comma 1-quater: in caso di pendenza del giudizio, la sospensione degli effetti cessa con la pubblicazione della sentenza;
   - comma 1-quinquies: la sospensione degli effetti dell'atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale cessa con la notificazione, da parte dello stesso organo, di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso; il contribuente può impugnare, insieme a quest'ultimo, anche l'atto modificato o confermato.
Ciò premesso, si osserva che l'esercizio dell'autotutela sospensiva ha lo scopo di impedire che l'atto, per il quale esiste il sospetto di illegittimità o di infondatezza, possa produrre i suoi effetti durante il procedimento di riesame, in modo da evitare, da un lato, che si produca un danno presumibilmente ingiusto al contribuente e, dall'altro, che l'atto sia annullato prima del completamento di tutte le necessarie indagini
[3].
Come rilevato dall'Agenzia delle entrate
[4], il potere di sospendere l'efficacia dell'atto è infatti strumentale a quello di annullamento: gli uffici devono pertanto valutare le concrete possibilità che l'atto sia revocato o annullato in via amministrativa o contenziosa ed il pericolo per il contribuente di subire un danno grave ed irreparabile a seguito dell'esecuzione dello stesso.
L'accertamento della sussistenza dei presupposti dell'autotutela tributaria, in cui è compresa quella sospensiva, espressamente prevista qualora l'atto 'appaia illegittimo o infondato'
[5] (comma 1-bis), è rimesso alla valutazione discrezionale dell'Ente [6].
La sospensione dell'efficacia esecutiva dell'atto che appaia illegittimo o infondato incide solo provvisoriamente sugli effetti dell'atto impositivo. Ai sensi del comma 1-quinquies dell'art. 2-quater, la sospensione degli effetti dell'atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale cessa con la notificazione di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso. Tale cessazione si produce anche quando intervenga un atto consistente nella mera eliminazione dell'atto illegittimo o infondato senza l'emissione di un nuovo atto impositivo.
Come affermato dalla giurisprudenza, nell'ambito del diritto tributario l'esercizio del potere di autotutela incontra un limite -oltre che nell'avvenuta formazione del giudicato sull'atto viziato- nel decorso del termine decadenziale fissato per l'accertamento
[7].
In particolare, l'esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicché rimosso con effetto 'ex tunc' l'atto di accertamento illegittimo od infondato, l'Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad esercitare la potestà impositiva, rispetto alla quale incontra i limiti del termine decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento
[8].
Per quanto riguarda la diversa questione del rapporto tra procedimento amministrativo di accertamento tributario e processo penale
[9], si osserva, in via generale, quanto segue.
La Corte di Cassazione
[10] ha affermato l'utilizzabilità in sede tributaria degli elementi raccolti dalla Guardia di Finanza a carico del contribuente, nell'ambito di indagini penali. In particolare, il processo verbale di constatazione ha valore probatorio, in sede tributaria, ai sensi dell'art. 2700 c.c. [11], quanto ai fatti in esso descritti.
E di interesse si rivela il percorso argomentativo della Suprema Corte. Ed invero, in quella sede, ove il punto controverso era il fatto che i militari avessero acquisito gli elementi rilevanti ai fini fiscali senza il necessario rispetto delle garanzie difensive prescritte per il procedimento penale, la Corte di Cassazione ha affermato che l'emersione di indizi di reato, e dunque la rilevanza penale degli accertamenti tributari, non vanifica il valore probatorio del processo verbale di constatazione in sede tributaria, in ragione del principio dell'autonomia del procedimento penale rispetto alle procedure dell'accertamento tributario, già sancito, in linea di principio, nel D.L. n. 429 del 1982, art. 12, e confermato dal D.Lgs. 10.03.2000, n. 74, art. 20
[12], in armonia con le disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p. e 220 disp. att. c.p.p. [13].
Inoltre, muovendo dal principio dell'autonomia normato dall'art. 20, D.Lgs. n. 74/2000, la Corte di Cassazione ha altresì escluso l'automatica rilevanza del giudicato penale nel giudizio tributario. Il Giudice tributario non può estendere automaticamente gli effetti di una sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano quelli stessi che fondano l'accertamento, ma deve verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare
[14].
La pronuncia, seppur riferita al rapporto tra giudicato penale e giudizio tributario, sembrerebbe suscettiva di estendersi, in virtù del richiamo dell'art. 20, D.Lgs. n. 74/2000, anche al rapporto tra procedimento amministrativo tributario e giudicato penale.
Va, altresì, precisato che il D.Lgs. n. 74/2000 reca la 'Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25.06.1999, n. 205'. Peraltro, l'apprezzamento dei Giudici di legittimità del principio dell'autonomia ivi previsto (art. 20) in termini di continuità rispetto a quanto già sancito in linea di principio dal D.L. n. 429/1982
[15], e di coerenza con le disposizioni generali codicistiche [16], sembrerebbe poter far propendere, in un'ottica di interpretazione sistematica, per la sua estensione generale nel contesto dei procedimenti amministrativi di accertamento tributario.
Per quanto concerne, infine, la necessità del rispetto da parte del contribuente dei termini previsti per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, si rileva che la presentazione dell'istanza di sospensione in autotutela non sospende i termini per proporre ricorso al Giudice
[17]. Parimenti, si ritiene che l'esercizio dell'autotutela sospensiva, ex art. 2-quater, comma 1-quinquies, D.L. n. 564/1994, non possa sospendere i termini per impugnare, attesa l'indisponibilità di detti termini perentori [18].
La Suprema Corte -se pur in un caso di silenzio opposto dall'amministrazione sull'istanza di autotutela, e quindi di mancato esercizio dell'autotutela- ha affermato che l'efficacia ed esecutività del provvedimento impositivo è condizionata soltanto al decorso del termine previsto dalla legge per l'impugnazione che, in quanto termine di decadenza, può essere validamente interrotto esclusivamente con il compimento dell'atto (proposizione del ricorso) previsto espressamente dalla legge (art. 2964 c.c.)
[19].
---------------
[1] Ai sensi dell'art. 1, comma 161, L. n. 296/2006, gli enti locali notificano gli avvisi di accertamento, in rettifica e d'ufficio, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati.
[2] L'autotutela tributaria è possibile anche se l'atto è divenuto ormai definitivo per avvenuto decorso dei termini per impugnare (Cfr. Stefano Compagno, I limiti all'autotutela tributaria su atti non impugnabili, in Diritto&Diritti, settembre 2002).
[3] Cfr. Agenzia delle entrate, Direzione Regionale della Calabria, Catanzaro 29.12.2010, n. 24477.
[4] Si veda Agenzia delle entrate, Direzione centrale Normativa e Contenzioso, risoluzione 07.02.2007, n. 21, sia pure con specifico riferimento alla sospensione della riscossione, ai sensi dell'art. 39 DPR 602/1973, in cui si precisa che 'ancor prima di accordare la sospensione della riscossione, che deve essere richiesta nell'ambito della procedura di autotutela, gli Uffici sono tenuti a valutare le concrete possibilità che l'atto che ha dato origine all'iscrizione al ruolo sia revocato o annullato in via amministrativa o contenziosa (valutazione del c.d. fumus boni juris). Inoltre occorre valutare il pericolo per il contribuente di subire un danno grave ed irreparabile a seguito della riscossione coattiva (c.d. periculum in mora).'.
[5] L'illegittimità riguarda gli errori che attengono agli aspetti procedimentali dell'attività istruttoria o alla formale redazione dell'atto, nonché gli errori di diritto (c.d. vizi dell'atto). L'infondatezza, invece, attiene agli errori sui fatti oggetto d'imposizione ed alle questioni estimative inerenti alla qualificazione e/o quantificazione della materia imponibile (c.d. vizi della pretesa). Cfr. Agenzia delle entrate, Direzione Regionale della Calabria, n. 24477/2010, cit..
[6] La natura eminentemente discrezionale dell'autotutela tributaria è rimarcata dalla Corte di cassazione, che precisa che la posizione del contribuente in ordine ad un atto di autotutela non costituisce diritto soggettivo ma interesse legittimo, e può trovare tutela nell'ambito della giurisdizione tributaria, ove il sindacato del giudice dovrà limitarsi alla legittimità dell'operato dell'amministrazione (anche in caso di inerzia) e non al merito, non essendo possibile la sostituzione del Giudice tributario all'Amministrazione nell'adozione di un atto di autotutela. (Cass. civ, sez. trib., 29.12.2010, n. 26313. Conformi: Cass. civ, sez. un., 27.03.2007, n. 7388).
Inoltre -afferma Cass. civ. n. 26814/2014, cit.- tanto l'istanza di autotutela, quanto il silenzio opposto dall'Amministrazione finanziaria, così come la sua impugnazione (ove si voglia propendere per la sua impugnabilità, secondo i ragionamenti giurisprudenziali nella sentenza riassunti) non possono in alcun modo spiegare effetti sul rapporto tributario fondato sull'avviso di accertamento, destinato a divenire definitivo ed incontestabile in difetto della tempestiva impugnazione, nel termine di decadenza previsto dall'art. 21, c. 1, D.Lgs. n. 546/1992 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30.12.1991, n. 413). L'efficacia ed esecutività del provvedimento impositivo -precisa la Suprema Corte- è condizionata soltanto al decorso del termine previsto dalla legge per la impugnazione che, in quanto termine di decadenza può essere validamente interrotto esclusivamente con il compimento dell'atto (proposizione del ricorso) previsto espressamente dalla legge (art. 2964 c.c.).
[7] Cass. civ., sez. trib., 26.03.2010, n. 7335; Cass. civ., sez. trib., 22.02.2002, n. 2531.
[8] Cass. civ., sez. trib., 08.10.2013, n. 22827, che richiama Cass. civ., sez. trib., 20.11.2006, n. 24620. Conforme, Cass. civ., sez. trib., 16.07.2003, n. 11114.
[9] Nel caso in esame, la richiesta di autotutela del contribuente è motivata dalla pendenza di un procedimento penale avente ad oggetto il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, che -secondo quanto asserito- per costituire valido presupposto dell'avviso di accertamento dovrebbe essere accompagnato da una sentenza definitiva, rappresentando mero elemento investigativo di un'indagine condotta in autonomo giudizio.
[10] Cass. civ., sez. trib., 12.11.2010, n. 22984.
[11] Ai sensi dell'art. 2700 c.c. 'l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti'.
[12] Ai sensi dell'art. 20 in argomento, 'Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione'.
[13] Cass. civ., n. 22984/2010, cit., osserva che gli artt. 2 c.p.p. e 654 c.p.p. affermano l'uno l'autonomia del giudice penale nel decidere incidenter tantum le questioni civili o amministrative, l'altro l'autonomia del giudice civile o amministrativo quando sia diverso il regime probatorio (anche Cass. civ., sez. trib., 27 febbraio 2013, n. 4924, rileva che il processo penale e il processo tributario poggiano su un sistema probatorio sostanzialmente diverso). L'art. 220 disp. att. c.p.p. impone l'obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di indagini ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della 'applicazione della legge penale'.
[14] Cass. civ., sez. trib., n. 4924/2013, cit..
[15] Recante 'Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria'.
[16] Artt. 2 e 654 c.p.p. e 220 disp. att. c.p.p. richiamati dalla Suprema Corte.
[17] Cfr. Cass. civ., sez. trib., 18.12.2014, n. 26814, secondo cui l'istanza di autotutela non può spiegare effetti sul rapporto tributario fondato sull'avviso di accertamento, destinato a divenire definitivo ed incontestabile in difetto della tempestiva opposizione nel termine di decadenza previsto dall'art. 21, comma 1, del D.lgs. 546/1992.
[18] Così Baldassarre Gullo, L'autotutela sospensiva, uno strumento poco noto, su Fisco oggi, 14.01.2008; Pasquale Mirto, Manuale operativo per l'applicazione della IUC, Maggioli, 2014, pag. 355, secondo cui il comune può sospendere il pagamento di un atto di accertamento, ma non può sospendere i termini di impugnazione, in quanto essendo questi previsti dalla legge a pena di inammissibilità sono termini indisponibili dalle parti. Si segnala, peraltro, che parte della dottrina ritiene, in senso difforme, che si tratti di un istituto cui consegue in via di eccezione la sospensione dei termini per proporre ricorso giurisdizionale (Massimo Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Giappichelli, 2013, p. 57; Augusto Fantozzi, Diritto tributario, Wolters Kluwer Italia, 2012, p. 1014).
[19] Cassazione civ., sez. trib., n. 26814/2014, cit.
(21.10.2016 -
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settembre 2016

TRIBUTI: Applicazione imposta comunale pubblicità ONLUS.
Il D.Lgs. n. 507/1993 disciplina, all'art. 5, il presupposto dell'imposta sulla pubblicità, nonché, agli artt. 16 e 17, le ipotesi di riduzione ed esenzione di tale tributo con particolare riferimento, tra gli altri, agli organismi che non perseguono finalità di lucro (tali sono le ONLUS).
In particolare, ai sensi dell'art. 5, D.Lgs. n. 507/1993, presupposto di applicazione dell'imposta sulla pubblicità è la diffusione di messaggi pubblicitari (comma 1): ai fini dell'imposizione si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato (comma 2).
Ai sensi dell'art. 21, D.Lgs. n. 460/1997, gli enti locali possono prevedere in generale per le ONLUS l'esenzione dalla suddetta imposta sulla pubblicità.

Il Comune riferisce di aver ricevuto richiesta di esenzione permanente dal pagamento dell'imposta di pubblicità da parte di una associazione locale di donatori di sangue, di cui ha verificato la natura di ONLUS, e chiede se, avuto riguardo alle previsioni del D.Lgs. n. 460/1997 e a quelle del proprio regolamento in materia di pubblicità e pubbliche affissioni
[1], possa essere disposta la riduzione o l'esenzione permanente dal tributo.
Si precisa che l'attività di consulenza di questo Servizio è finalizzata a fornire un supporto giuridico in generale agli enti locali, nella materia posta, che questi possono utilizzare per la soluzione dei casi concreti che si presentano al loro operare, in relazione alle loro specificità. In particolare, l'interpretazione e applicazione di norme regolamentari emanate dai comuni, nell'esercizio della loro potestà normativa, compete unicamente agli enti medesimi. Per cui, solo in via collaborativa, si esprimono le considerazioni che seguono.
L'art. 10, D.Lgs. n. 460/1997, precisa che sono organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, ove ricorrano i presupposti e le condizioni fissati dalla norma medesima.
Ai soggetti che, ai sensi dell'art. 10 richiamato, possono qualificarsi ONLUS, il legislatore ha riconosciuto particolari agevolazioni, soprattutto di carattere fiscale, subordinati alla necessaria iscrizione all'Anagrafe delle ONLUS (art. 11, D.Lgs. n. 460/1997).
Specificamente, in materia di tributi locali, l'art. 21, D.Lgs. n. 460/1997, prevede che i comuni, possono deliberare nei confronti delle ONLUS la riduzione o l'esenzione dal pagamento dei tributi di loro pertinenza e dai connessi adempimenti
[2].
Per quanto concerne specificamente l'applicazione dell'imposta comunale sulla pubblicità ai soggetti ONLUS, il regolamento dell'Ente in materia di imposta di pubblicità e pubbliche affissioni, nello stralcio riportato nel quesito, relativo alla riduzione e all'esenzione dall'imposta, prevede, tra i casi di riduzione, quello 'per la pubblicità effettuata da comitati, associazioni, fondazioni ed ogni altro ente che non abbia finalità di lucro'
[3], quali le ONLUS. Mentre, per quanto concerne l'esenzione, il regolamento comunale, così come riportato nel quesito, non sembra contemplare alcune ipotesi di esenzione per gli enti senza fini di lucro.
Sul piano dell'ordinamento statale, il D.Lgs. n. 507/1993 disciplina, agli artt. 16 e 17, le ipotesi, rispettivamente, di riduzione e di esenzione dell'imposta di pubblicità. La riduzione è prevista, tra l'altro, 'per la pubblicità effettuata da comitati, associazioni, fondazioni ed ogni altro ente che non abbia finalità di lucro' (art. 16). Può trattarsi, invero, della pubblicità mediante insegne, cartelli, locandine, targhe (Pubblicità ordinaria, di cui all'art. 12), oppure della pubblicità a mezzo striscioni (come riferito nel caso in esame), contemplata all'art. 15 (Pubblicità varia), assoggettata alla stessa tariffa prevista dall'art. 12.
Per quanto concerne, invece, le ipotesi di esenzione dall'imposta di cui si tratta, il D.Lgs. n. 507/1993 indica, con riferimento ai soggetti non aventi finalità di lucro, quella specifica per 'le insegne, le targhe e simili apposte per l'individuazione delle sedi di comitati, associazioni, fondazioni ed ogni altro ente che non persegua scopo di lucro' (art. 17, comma 1, lett. h).
In generale, emerge dalle norme richiamate come i soggetti non aventi fine di lucro possono essere destinatari della riduzione o dell'esenzione dall'imposta di pubblicità. La ricorrenza dei presupposti dell'una o dell'altra fattispecie deve essere valutata dagli enti in relazione alle particolarità dei casi concreti.
Con particolare riferimento al caso di specie, l'Ente osserva, peraltro, che sugli striscioni esposti dall'associazione locale (ONLUS) 'non viene pubblicizzata alcuna attività economica né evento di raccolta fondi'. Ne deriva la necessità che l'Ente valuti innanzitutto la ricorrenza del presupposto di applicazione dell'imposta di pubblicità, che, avuto riguardo al dettato normativo come esplicitato dalla giurisprudenza, sembra poggiare sulla natura economica dell'attività pubblicizzata. Ai sensi dell'art. 5, D.Lgs. n. 507/1993, infatti, presupposto dell'imposta sulla pubblicità è 'la diffusione di messaggi pubblicitari' (comma 1), e ai fini dell'imposizione si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato (comma 2)
[4]. La valutazione di un tanto, nel caso specifico, è rimessa all'autonomia dell'Ente.
Rimane ferma, ovviamente, la possibilità per l'Ente di prevedere in generale l'esenzione per le ONLUS espressamente del tributo locale di cui si tratta, in via regolamentare, ai sensi dell'art. 21, D.Lgs. n. 460/1997.
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[1] Ai sensi dell'art. 3, D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani a norma dell'art. 4 della legge 23.10.1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), il comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità e per l'effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni.
[2] La norma è espressione della potestà regolamentare generale degli enti locali di cui all'art. 52 del D.Lgs. n. 446/1997, che riconosce ai Comuni e alle Province il potere di disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e alla definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, la cui determinazione è riservata alla legge. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti.
[3] Analogamente prevede la normativa statale, come specificato subito nel prosieguo.
[4] Precisa la giurisprudenza che presupposto impositivo è la 'pubblicità (economica)' attinente all'attività economica di un soggetto imprenditoriale, distinta dalla legge nelle due specie della 'propaganda (economica)', che consiste nella trasmissione di conoscenza di prodotti e servizi dell'impresa al fine di incrementarne la domanda, e dell''attività di relazioni pubbliche', che consiste nella trasmissione di conoscenza sul soggetto imprenditoriale allo scopo di migliorarne l'immagine presso il pubblico dei consumatori, che domandano i beni e i servizi di quell'impresa. La prima è una pubblicità (economica) diretta (dei beni e dei servizi); la seconda è una pubblicità (economica) indiretta (degli stessi beni e degli stessi servizi). Cfr. Cass. civ., Sez. V, 06.11.2009, n. 23573.
Conformi sul collegamento dei messaggi pubblicitari all'esercizio di un'attività economica: Cass. civ., sez. trib., 11.02.2015, n. 2629; Commissione tributaria provinciale, Ascoli Piceno, sez. V, 21.09.2010, n. 219, che ha escluso la sussistenza del presupposto impositivo nel caso di esposizione di uno striscione senza alcun collegamento con un'attività imprenditoriale.
In ordine al concetto di impresa, la Cassazione civile, sez. trib., 16.07.2010, n. 16722, richiama la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, nell'ambito del diritto alla concorrenza, secondo cui la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un'attività economica (Corte di giustizia UE, sez. VI, 23.04.1991, n. 41 e 11.12.1997, n. 55), e costituisce un'attività economica qualsiasi attività consistente nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte di giustizia UE, sez. V, 18.06.1998, n. 35).
In questo senso, v.: Cass. civ., sez. I, 28.11.1995, n. 12319, secondo cui il messaggio pubblicitario, per essere soggetto all'imposta in esame, deve avere il suo punto di riferimento nella produzione o vendita di merci o nella fornitura di servizi, e ciò anche se si ritiene non essenziale che tale attività sia posta in essere da un soggetto organizzato ad impresa; Cass. civ., sez. V, 27.06.2005, n. 13823, che ha ritenuto che le scritte sulle fiancate delle navi recanti il nome e il logo della compagnia navale non devono essere assoggettate all'imposta sulla pubblicità, in quanto sprovviste dello scopo di promuovere la domanda di beni e di servizi per la società di appartenenza e di pubblicità, ma hanno lo scopo di indirizzare i passeggeri che hanno già acquistato il biglietto verso la nave su cui imbarcarsi
(06.09.2016 -
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agosto 2016

TRIBUTI: Pertinenza dell'abitazione principale.
Ai fini all'imposta municipale propria, la nozione di pertinenza dell'abitazione principale si rinviene nell'art. 817, primo comma, del codice civile («Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa.»).
La giurisprudenza individua i presupposti e delinea i caratteri della pertinenza, precisando che, in materia fiscale, la prova dell'asservimento pertinenziale, che grava sul contribuente, deve essere valutata con maggior rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico, giacché la scelta pertinenziale potrebbe non avere valenza tributaria, se volta unicamente a ridurre il prelievo fiscale, disattendendo il dettame che prescrive la tassazione 'in considerazione dell'effettiva natura del cespite'.

Il Comune richiede un parere in merito alla correttezza, o meno, dell'accettazione -ai fini dell'imposta municipale propria- della dichiarazione di pertinenzialità
[1], rispetto all'abitazione principale, di due fabbricati, effettivamente adibiti a stalla [2], ancorché diversamente accatastati nelle categorie C/2 e C/6, atteso che la Cassazione civile afferma che «Se la scelta pertinenziale non è giustificata da reali esigenze (economiche, estetiche, o di altro tipo), non può avere valenza tributaria, perché avrebbe l'unica funzione di attenuare il prelievo fiscale, eludendo il precetto che impone la tassazione in ragione della reale natura del cespite» [3].
Occorre, anzitutto, chiarire che, in relazione alla problematica rappresentata, questo Ufficio non può che limitarsi a fornire, in via meramente collaborativa, elementi utili ad individuare la nozione ed i caratteri della pertinenza, considerato che la materia oggetto di quesito ricade nell'ambito della competenza dell'Agenzia delle entrate, alla quale il Comune deve rivolgersi direttamente per acquisire il relativo parere
[4].
L'art. 13, comma 2, del decreto-legge 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214, dispone -per quanto qui rileva- che l'imposta municipale propria «non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9» e stabilisce che per pertinenze dell'abitazione principale «si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo».
La disciplina dell'imposta municipale propria (così come era avvenuto per quella riguardante la previgente imposta comunale sugli immobili) non fornisce la nozione di pertinenza, cosicché questa va necessariamente rinvenuta nell'art. 817, primo comma, del codice civile, in base al quale «Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa.». Il secondo comma dello stesso articolo dispone, poi, che «La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima.».
La predetta nozione civilistica consente, dunque, di affermare che le pertinenze sono costituite da un'aggregazione di cose mobili o immobili in cui l'una, secondaria, è subordinata al servizio o all'ornamento dell'altra, principale, in un 'rapporto di complementarità funzionale', che lascia inalterate l'individualità e l'autonomia giuridica dei singoli beni, che vengono uniti dal trattamento giuridico.
[5]
In via generale, la giurisprudenza afferma che:
- l'insorgenza del vincolo pertinenziale richiede la contemporanea presenza di due presupposti, consistenti nel collegamento funzionale tra la cosa accessoria e la cosa principale (elemento oggettivo) e nell'effettiva volontà dell'avente diritto di destinare una cosa a servizio o ad ornamento dell'altra (elemento soggettivo);
[6]
- il vincolo funzionale che lega tra loro la cosa principale e la pertinenza non può avere un contenuto qualsiasi ad libitum del titolare, ma deve realizzare effettivamente un miglior sfruttamento o una maggiore utilizzazione della cosa principale, di cui deve fornire un riscontro effettivo e attuale.
[7]
Con riferimento all'applicazione dell'istituto in ambito tributario, la Cassazione civile sancisce che:
- l'attribuzione della qualità di pertinenza si fonda sul criterio fattuale e cioè sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio od ornamento di un'altra;
[8]
- per l'art. 817 del codice civile 'le cose' si considerano 'pertinenze' di 'un'altra cosa' non semplicemente perché poste a 'servizio o ad ornamento' della stessa ma solo se tale destinazione sia (soggettivamente ed oggettivamente) 'durevole', ovverosia presenti segni concreti esteriori dimostrativi della volontà del titolare di imporre a quelle cose uno degli scopi considerati dalla norma civilistica;
[9]
- in materia fiscale, stante l'indisponibilità del rapporto tributario, la prova dell'asservimento pertinenziale, che grava sul contribuente, deve essere valutata con maggior rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico, giacché la scelta pertinenziale potrebbe non avere valenza tributaria, se volta unicamente a ridurre il prelievo fiscale, disattendendo il dettame che prescrive la tassazione 'in considerazione dell'effettiva natura del cespite';
[10]
- la 'simulazione' di un vincolo di pertinenza, ai sensi dell'art. 817 del codice civile, al fine di ottenere un risparmio fiscale, va inquadrata nella più ampia categoria dell'abuso di diritto.
[11]
Parte delle predette indicazioni sono ribadite, in sede interpretativa, dalla circolare n. 3/DF dd. 18.05.2012
[12] del Ministero dell'economia e delle finanze.
---------------
[1] Dichiarazione prodotta di recente ed in virtù della quale il contribuente richiede il rimborso dell'imposta versata negli anni 2012 e 2013.
[2] L'Ente segnala che il contribuente, persona fisica, non svolge alcuna attività di tipo agricolo-imprenditoriale e che nel 2014 egli ha concesso in locazione ad un'azienda agricola le pertinenze in questione, relativamente alle quali l'Agenzia delle entrate ha riconosciuto il carattere di ruralità.
[3] Sez. trib., 30.11.2009, n. 25127 e 29.10.2010, n. 22128.
[4] In www.agenziaentrate.gov.it sono riportate le istruzioni concernenti il ricorso all'istituto dell'interpello ed è precisata la differenza tra questo e l'attività di consulenza giuridica svolta dall'Agenzia delle entrate.
[5] V. Consiglio di Stato - Sez. V, sent. 17.11.2014, n. 5615.
[6] V. Consiglio di Stato - Sez. V, n. 5615/2014, cit..
[7] V. Consiglio di Stato - Sez. V, n. 5615/2014, cit., il quale soggiunge che il vincolo pertinenziale «non può, quindi, consistere in una semplice dichiarazione di volontà [...], ma deve estrinsecarsi in un comportamento riconoscibile da terzi».
[8] Sez. trib., n. 25127/2009, cit., 10.11.2010, n. 22844 e 30.12.2015, n. 26077; Sez. VI, 17.02.2015, n. 3148.
[9] Sez. trib., n. 22128/2010, cit. e 08.11.2013, n. 25170.
[10] Sez. trib., n. 25127/2009, cit., n. 22128/2010, cit. e n. 25170/2013, cit..
[11] Sez. trib., n. 25127/2009, cit., n. 22128/2010, cit. e n. 25170/2013, cit., che richiamano la pronuncia delle SS.UU. 23.12.2008, n. 30055, nel cui ambito è stato, tra l'altro, affermato che «non può non ritenersi insito nell'ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale».
[12] «Imposta municipale propria (IMU). Anticipazione sperimentale. Art. 13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito dalla legge 22.12.2011, n. 214. Chiarimenti». V. il paragrafo 6
(08.08.2016 -
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luglio 2016

TRIBUTIIci e Imu su aree pertinenziali. Siti tassati se accatastati separatamente dal fabbricato. Il principio nella sentenza n. 1844 della Ctr Bologna che vale anche ai fini della Tasi.
Si restringono sempre di più le maglie per l'intassabilità delle aree edificabili che sono ritenute dai contribuenti pertinenze dei fabbricati. La questione non è di poco conto perché la regola ha implicazioni ad ampio raggio e produce effetti sia per i tributi locali, Ici, Imu e Tasi, sia per i tributi erariali.

La Commissione tributaria regionale di Bologna, Sez. XII, con la sentenza 04.07.2016 n. 1844, infatti, ha affermato che un'area edificabile pertinenziale è soggetta al pagamento dell'Ici, ma il principio vale anche per Imu e Tasi, se accatastata separatamente dal fabbricato.
Dunque, è necessario un accatastamento unitario dei due immobili, con l'attribuzione di un'unica rendita.
Sulla questione de qua ci sono poche certezze poiché la Cassazione ha più volte modificato il proprio orientamento. Ha comunque stabilito che l'accatastamento separato dei due immobili non è d'impedimento all'intassabilità dell'area come pertinenza del fabbricato. Tesi che è in netto contrasto con quanto sostenuto da tempo dall'Agenzia delle entrate.
Per quanto concerne le condizioni richieste per evitare l'assoggettamento a imposizione delle aree pertinenziali non c'è stata nel corso dell'ultimo decennio un'uniformità di vedute né all'interno della Cassazione né tra i giudici di merito.
La Cassazione, anche con la recente sentenza 8367/2016, non ha imposto l'accatastamento unitario tra area e fabbricato, ma ha precisato che tra i due immobili deve sussistere «un vincolo d'asservimento durevole, funzionale o ornamentale delle aree al fabbricato, con il fine di migliorarne le condizioni d'uso, la funzionalità e il valore».
E la prova dell'oggettivo asservimento pertinenziale grava sul contribuente. Del resto, sottolineano i giudici di legittimità, la mera «scelta» pertinenziale avrebbe l'unica funzione di eludere il prelievo, per ottenere un risparmio fiscale. Quindi, darebbe luogo a un abuso del diritto.
Le prese di posizione della Cassazione. Con la sentenza 5755/2005 la Cassazione ha stabilito che quando si tratta di pertinenza di un fabbricato non contano le risultanze catastali, ma la destinazione di fatto.
L'area che costituisce, di fatto, pertinenza di un fabbricato non è soggetta a Ici, come area edificabile, anche se iscritta autonomamente al catasto.
Con questa pronuncia non ha posto alcun vincolo o adempimento a carico del contribuente.
Successivamente ha riconosciuto il beneficio solo nei casi in cui il contribuente dichiari al comune l'utilizzo dell'immobile come pertinenza nella denuncia iniziale o di variazione (sentenza 19638/2009).
Sia in passato che con l'ultima pronuncia (8367/2016) ha sempre ritenuto irrilevante la circostanza che un'area pertinenziale e una costruzione principale siano censite catastalmente in modo distinto, al fine di poter essere assoggettate a tassazione come un unico bene.
Il vincolo pertinenziale, però, deve essere visibile e va rilevato dallo stato dei luoghi, altrimenti i due immobili sono soggetti a imposizione autonomamente.
Sempre la Cassazione, con la sentenza 17035/2004, richiamata nella motivazione della sentenza 19638/2009, aveva chiarito che per le aree pertinenziali non si introduce alcuna particolare e nuova accezione di pertinenza, ma, semplicemente, se ne presuppone il significato, in quanto va fatto riferimento alla definizione fornita, in via generale, dall'articolo 817 del Codice civile.
Questa norma prevede che sono da considerare pertinenze le cose destinate in modo durevole al servizio o all'ornamento di un'altra cosa.
Pertanto, per il vincolo pertinenziale serve sia la durevole destinazione della cosa accessoria a servizio o ornamento di quella principale, sia la volontà dell'avente diritto di creare la destinazione.
Il contrasto tra i giudici di merito. Le divergenze emergono soprattutto tra i giudici di merito sul trattamento fiscale delle aree pertinenziali. Di segno opposto, in effetti, è la pronuncia della Ctr di Milano rispetto a quella emanata dalla Ctr di Bologna. La Ctr di Milano, sezione XIX, con la sentenza 14/2016, ha stabilito che un terreno può essere qualificato pertinenziale anche se non è accorpato catastalmente a un fabbricato.
La «graffatura», vale a dire l'unione dei due beni immobili in catasto, agevola l'attività di controllo dell'ente impositore, ma non può essere considerata decisiva per attribuire al terreno natura pertinenziale.
Per i giudici lombardi, il fatto che un terreno non sia censito al catasto urbano unitamente al fabbricato destinato ad abitazione non può comportare il disconoscimento delle agevolazioni «prima casa», contrariamente a quanto sostenuto dall'Agenzia delle entrate. In realtà, secondo la commissione regionale, «la normativa in materia di imposta di registro non prevede alcuna limitazione tassativa rispetto ai beni che possono assumere natura pertinenziale di un fabbricato, ai fini di potere fruire delle cosiddette agevolazioni «prima casa», ma solo una elencazione esemplificativa» (articolo ItaliaOggi Sette del 25.07.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).

giugno 2016

APPALTI - TRIBUTIBaratto amministrativo senza limiti temporali. Corte dei conti. Il coordinamento con la riforma degli appalti.
Le disposizioni sul baratto amministrativo del Dl 133/2014 devono essere coordinate con le nuove norme introdotte dagli articoli 189 e 190 del Codice dei contratti pubblici, che delineano una più ampia prospettiva di coinvolgimento dei cittadini.
La Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, con il parere 21.06.2016 n. 313 ha rilevato che il quadro normativo è molto articolato e composto da disposizioni accomunate dalla prospettiva di valorizzare il principio di sussidiarietà, che viene assunto nel Dlgs 50/2016 attraverso le attività che possono essere esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali, come canone dell’azione amministrativa nell’ambito della tutela del territorio e della manutenzione di esso, traducendosi per le amministrazioni interessate nella possibilità di adottare forme procedimentali semplificate.
Il parere individua le differenze tra l’articolo 24 del Dl 133/2014 e le nuove disposizioni del Codice dei contratti, evidenziando che queste ultime esprimono la facoltà di attivare contratti di partenariato sociale da parte di tutti gli enti territoriali (mentre l’articolo 24 li riserva ai Comuni) e che la stessa esenzione o riduzione dei tributi non è più prevista necessariamente per un periodo limitato. Inoltre, le agevolazioni contemplano la previsione della possibilità di affidare la valorizzazione delle vie e piazze mediante iniziative culturali di vario genere. In tutti questi casi il riconoscimento specifico del ruolo che i cittadini svolgono nel perseguimento di interessi generali è connotato dal Dlgs 50/2016 in modo molto più ampio.
La Corte dei conti fornisce nella deliberazione una serie di chiarimenti specifici sull’applicazione dell’istituto. In primo luogo, viene precisato che se gli interventi dell’articolo 24 sono realizzati dai cittadini non avendo a presupposto agevolazioni tributarie, ma in forma di volontariato, queste attività dovrebbero essere ricondotte a organismi strutturati, in grado di farsi carico degli oneri assicurativi. Se invece gli interventi dei cittadini sono correlati a riduzioni o agevolazioni tributarie è necessario che sussista un rapporto di stretta inerenza tra queste facilitazioni e le attività di cura e valorizzazione del territorio che i cittadini possono realizzare, dovendo tener conto che i servizi, sostitutivi del pagamento delle imposte locali.
La prestazione offerta dal cittadino deve quindi corrispondere, in valore alla misura delle imposte locali agevolate, ma la delibera assunta dall’ente deve motivare la decisione di avvalersi del baratto sulla base di un’attenta valutazione di tutti gli interessi coinvolti che dimostri la convenienza, anche economica, della scelta.
Gli articoli 189 e 190 del Codice dei contratti ora evolvono il quadro, collegandolo alle riduzioni o esenzioni di tributi; la compensazione tra debiti (o crediti) di cui solo uno esistente, essendo l’altro futuro ed eventuale, può essere applicata solo a seguito dell’integrale e soddisfacente realizzazione dell’opera o del servizio.
In questo rapporto, le prestazioni richieste ai beneficiari di provvidenze comunali stanziate non possono che rivestire forme di collaborazione sociale senza corrispettività con il contributo economico elargito. Pertanto non possono essere qualificati come rapporto di lavoro e nemmeno essere computati nel calcolo delle spese di personale.
Le agevolazioni connesse al baratto amministrativo, secondo la Corte dei conti del Veneto, non possono essere fruite dalle imprese, perché si verificherebbe un’elusione delle regole di evidenza pubblica
(articolo Il Sole 24 Ore del 27.06.2016).

maggio 2016

TRIBUTI: Tributi locali, condono a tempo.
La definizione agevolata delle violazioni tributarie è un evento eccezionale e ha un ambito temporale sempre limitato. I comuni, dunque, non possono istituire con regolamento il condono dei tributi locali a loro scelta per un tempo indefinito. La sanatoria prevista dalla legge 289/2002, infatti, non era proiettata nel futuro, ma riguardava solo le violazioni commesse negli anni antecedenti alla sua entrata in vigore.

Lo ha chiarito la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, con il parere 20.05.2016 n. 143.
Nel caso in esame, il comune di Ottaviano ha chiesto alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti se fosse possibile prevedere con regolamento la definizione agevolata delle violazioni tributarie commesse dai contribuenti fino al 2014, escludendo le sanzioni e gli interessi. Per i giudici contabili, non si possono introdurre fattispecie di condono per un periodo indefinito, ancorché la legge non fissi espressamente l'ambito di operatività della sanatoria.
L'articolo 13 della legge 289/2002 «deve essere oggetto di stretta interpretazione considerato che l'istituzione di meccanismi di «definizione agevolata» relativamente ad obblighi rimasti totalmente o parzialmente inadempiuti da parte di contribuenti ha (o dovrebbe avere) indubbiamente natura di evento eccezionale nell'ambito dell'ordinamento giuridico».
Pertanto, il 31.12.2002 rappresenta «un limite temporale invalicabile» per la regolarizzazione di errori e omissioni. Al riguardo il Tar Sicilia, prima sezione, con la sentenza 1765/2014, ha affermato che è illegittimo per eccesso di potere il regolamento comunale che ha istituito il condono delle violazioni commesse dai contribuenti in materia di tassa rifiuti a distanza di sette anni dall'entrata in vigore della legge che ha dato ai comuni questa facoltà.
Anche per il Tar il condono dei tributi locali poteva essere deliberato solo per gli obblighi «precedentemente non adempiuti» alla data di entrata in vigore della legge stessa, limitatamente ai periodi d'imposta antecedenti il 2003. Del resto l'esercizio di un potere in materia tributaria da parte dell'ente locale, una volta spirato il termine previsto dalla legge statale autorizzativa, «comporta la carenza del potere medesimo».
Con quest'ultimo parere i giudici contabili si sono allineati alla tesi della Cassazione che ha già preso posizione sulla questione, dichiarando illegittima la delibera del comune di Roma che aveva istituito il condono delle liti pendenti instaurate dopo l'entrata in vigore della Finanziaria 2003. La sezione tributaria della Corte di cassazione, con le sentenze 12675 e 12679/2012, ha precisato che la sanatoria era ammessa solo per gli obblighi non adempiuti dal contribuente fino al 2002 e per i procedimenti contenziosi già pendenti.
I comuni, quindi, non hanno il potere di deliberare la sanatoria a distanza di anni da quando il legislatore gli ha riconosciuto questa facoltà. Nonostante l'articolo 13 della legge 289/2002 non ponesse alcun limite temporale e non ne condizionasse l'efficacia alle violazioni commesse e alle controversie instaurate fino all'entrata in vigore della norma.
La Finanziaria 2003 ha attribuito agli enti locali il potere di disciplinare con regolamento la riduzione dell'ammontare delle imposte e tasse loro dovute, escludendo o riducendo gli interessi e le sanzioni a carico del contribuente. L'unico obbligo imposto espressamente ex lege, nel rispetto dello Statuto del contribuente (legge 212/2000), riguardava il termine minimo che doveva intercorrere tra l'entrata in vigore del regolamento e gli adempimenti posti a carico del contribuente.
Era poi lasciata agli enti la scelta di fissare autonomamente il termine entro il quale fosse possibile regolarizzare le violazioni commesse, purché non inferiore a 60 giorni dalla data di pubblicazione dell'atto regolamentare (articolo ItaliaOggi del 09.06.2016).

TRIBUTIGestori di acqua, energia e tlc esenti dal canone concessorio. Servizi a rete. Il Consiglio di Stato ribadisce il recente cambio di giurisprudenza.
Non è dovuto il canone concessorio se l’occupazione dei servizi a rete non impedisce in tutto o in parte la fruizione della strada.
Lo ha deciso il Consiglio di Stato -Sez. V- con la sentenza 12.05.2016 n. 1926, confermando l’annullamento di un regolamento comunale istitutivo del canone concessorio non ricognitorio.
Finisce così l’ampio contenzioso degli ultimi anni tra Comuni e gestori di acqua, gas, energia elettrica e telecomunicazioni. La materia del contendere non riguarda la Tosap (o il Cosap) ma l’applicazione del canone previsto dall’articolo 27 del Codice della strada, che molti Comuni hanno istituito con regolamento, poi impugnato assieme alle richieste di pagamento inviate ai gestori dei servizi a rete.
Per comprendere le dimensioni del fenomeno va considerato che nel 2015 sono state depositate ben 65 sentenze (in particolare dal Tar Milano), in prevalenza negative per gli enti locali, che si sono visti annullare i regolamenti con evidenti ripercussioni sui bilanci. Da qui l’appello al Consiglio di Stato, che si era peraltro già pronunciato a fine 2014, attribuendo al canone in questione la patente di legittimità (sentenza n. 6459/2014).
Ma il vento è cambiato. Una prima avvisaglia si è avuta con l’ordinanza n. 1191 del 7 aprile scorso dello stesso Consiglio di Stato, che dava atto di un orientamento favorevole alla tesi comunale, ma riteneva di pervenire a diverse conclusioni per «prevalenti ragioni testuali e sistematiche». Le stesse parole della sentenza depositata ieri all’esito dell’udienza pubblica tenutasi proprio il 7 aprile insieme a tanti altri appelli sul canone. Si attendono quindi altre sentenze dello stesso tenore, che conferma la decisione del Tar Milano (sentenza n. 1130/2015) sia pure per ragioni in parte diverse.
In particolare i giudici di Palazzo Spada evidenziando che il canone concessorio stradale non può essere richiesto a fronte di qualunque utilizzo della strada, ma solo in caso di utilizzo che impedisca in tutto o in parte la pubblica fruizione. Pertanto la pretesa sarà legittima solo durante la fase di posa in opera dell’infrastruttura a rete, trattandosi di lavori che occupano la sede stradale.
In sostanza, contrariamente a quanto affermato con sentenza n. 6459/2014, il Consiglio di Stato esclude ora la possibilità di esigere il canone non ricognitorio in tutte le ipotesi di utilizzo del sottosuolo stradale che non impediscono o limitano l’uso pubblico della sede viaria, come nel caso delle infrastrutture idriche a rete. Un settore peraltro nel quale vige un principio di tendenziale gratuità della messa a disposizione della rete idrica (articolo 153 Dlgs 152/2006).
Lo stesso dicasi anche per le reti di telecomunicazioni (articolo 93 Dlgs 259/2003), ma in questo caso il nodo interpretativo è stato definitivamente sciolto dal legislatore con l’articolo 12 del Dlgs 33/2016, che vieta l’applicazione di altri oneri. Per tutti gli altri gestori (acqua, gas ed energia elettrica), lo stop al canone è invece arrivato dal Consiglio di Stato
(articolo Il Sole 24 Ore del 13.05.2016).

TRIBUTITassa rifiuti prescritta in 5 anni dalla cartella.
Dopo la notifica della cartella di pagamento relativa alla tassa comunale sui rifiuti, l'agente della riscossione ha a disposizione cinque anni di tempo per riscuotere le somme o per notificare atti interruttivi: altrimenti, la pretesa si estingue ed è possibile formulare l'eccezione in sede di impugnazione dell'intimazione di pagamento.
È quanto si legge nella sentenza 06.05.2016 n. 3940/05/16 della Ctp di Milano, depositata lo scorso 6 maggio.
Un condominio del capoluogo meneghino proponeva ricorso contro l'intimazione di pagamento notificata da Equitalia, basata su sette cartelle di pagamento di pagamento relative alla Tarsu. Tutte le cartelle erano state notificate oltre 5 anni prima rispetto all'intimazione, ed erano divenute definitive per mancata impugnazione; il condominio eccepiva l'intervenuta prescrizione della pretesa.
Si costituiva in giudizio l'Agente della riscossione, sostenendo che la prescrizione, dopo la cartella di pagamento, fosse decennale, a prescindere dalla natura del credito in esazione.
La Ctp di Milano ha accolto il ricorso, osservando in primis che la definitività amministrativa della pretesa, determinata dalla mancata impugnazione della cartella di pagamento, non è mai equiparabile alla definitività di una sentenza che, ai sensi dell'articolo 2953 del codice civile, produce l'effetto di dilatare il termine di prescrizione a 10 anni. Per cui, il termine di prescrizione, dopo la notifica della cartella, rimane quello proprio del tributo a cui la stessa si riferisce.
Nel caso di specie, osserva la Ctp, deve rilevarsi che la tassa comunale sui rifiuti si configura quale prestazione periodica e, come tale, soggetta alla prescrizione quinquennale stabilita dall'articolo 2948, comma 4, del codice civile, secondo cui «si prescrivono in cinque anni ( ) 4) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi».
Il collegio richiama una sentenza della Cassazione (n. 4283/2010) nella quale si afferma che i tributi locali sono elementi strutturali di un rapporto sinallagmatico, caratterizzati da una causa debendi di tipo continuativo, suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo, in relazione alla quale l'utente è tenuto ad una erogazione periodica.
All'accoglimento del ricorso, la Ctp ha fatto seguire la condanna alle spese in capo all'Agente della riscossione.
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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
[omissis] L'applicazione del termine breve di cinque anni (in luogo di quello ordinario di dieci anni) è stata affermata dalla Cassazione con sentenza del 23.02.2010. In particolare la Cassazione sostiene che i tributi locali (a differenza di quelli erariali) sono «prestazioni periodiche» e, come tali, rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 2948, comma 4, del Codice civile, che stabilisce appunto la prescrizione quinquennale.
I tributi locali (tassa per lo smaltimento rifiuti, per l'occupazione di suolo pubblico, per concessione di passo carrabile, contributi di bonifica) -dice la Corte- sono «elementi strutturali di un rapporto sinallagmatico caratterizzati da una ''causa debendi'' di tipo continuativo suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo in relazione alla quale l'utente è tenuto a una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale della prestazione erogata dall'ente impositore, o dal beneficio dallo stesso concesso» (Cassazione, sezione tributaria civile, sentenza 23.02.2010, numero 4283).
Con riferimento all'asserita prescrizione e/o decadenza della pretesa tributaria, il Collegio rileva che il Concessionario della Riscossione, nelle proprie controdeduzioni al ricorso, non ha prodotto documentazione attestante l'intervenuta notifica di eventuali atti interruttivi del termine della prescrizione. Ritiene il Collegio che la pretesa oggetto del presente ricorso, trattandosi di tasse locali, è assoggetta al termine di prescrizione previsto dall'art. 2948 del Codice Civile, ossia il termine di prescrizione breve di cinque anni in quanto trattasi di prestazioni periodiche. Inoltre a parere del Collegio non ha effetto sul termine di prescrizione la sospensione che era stata decretata dall'art. 1 -comma 623- della Legge 27/12/2013 n. 147.
Ne discende quindi che l'eccezione di prescrizione della pretesa tributaria, a parere del Collegio, va accolta. Precisa che per le cartelle esattoriali presupposto dell'atto impugnato vale il termine breve di cinque anni, atteso che la prestazione tributaria non può che essere reputata alla stregua di una prestazione periodica.
Pertanto l'attività dell'Agente della riscossione è soggetta esclusivamente al termine ordinario di prescrizione con la conseguenza che una volta notificata la cartella di pagamento è possibile attivare le procedure di riscossione coattiva entro cinque anni dalla data di notifica della cartella stessa. Circostanza che nel caso non si è verificata. Si ritiene che nessun atto interruttivo del termine di prescrizione risulta peraltro notificato alla data di decadenza della cartella di pagamento [omissis] (articolo ItaliaOggi Sette del 25.07.2016).

TRIBUTISocietà comunali senza sconti. Gli immobili posseduti non beneficiano dell'esenzione Imu. La Cassazione considera tassativo l'elenco dei soggetti che non pagano l'imposta.
Un immobile posseduto da una società costituita da più comuni e utilizzato per lo svolgimento dell'attività di smaltimento rifiuti non ha diritto a fruire dell'esenzione Ici.

Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. V civile, con la sentenza 04.05.2016 n. 8872.
Naturalmente, la stessa regola vale per l'Imu.
Secondo la Cassazione, l'elencazione dei soggetti esenti dall'imposta municipale è tassativa e una società di capitali, ancorché costituita tra enti pubblici territoriali, «non può fruire dell'esenzione, non rientrando tra i soggetti esenti e non essendo possibile una interpretazione analogica della norma agevolativa, siccome norma eccezionale. A prescindere dalla ulteriore questione se gli immobili della società siano destinati a scopi istituzionali».
L'interpretazione dei giudici di legittimità è pienamente condivisibile. L'esenzione Ici, ma lo stesso vale per l'Imu, è prevista per gli immobili posseduti, oltre che dallo stato, da regioni, province, comuni ed è condizionata dalla destinazione effettiva che a questi viene data. L'elencazione è tassativa, poiché tutte le norme che prevedono agevolazioni sono di stretta interpretazione e non è ammesso ricorrere all'analogia.
Per il riconoscimento dell'esenzione non è sufficiente la volontà di utilizzare l'immobile per scopi istituzionali. La destinazione deve essere effettiva e concreta. In base all'articolo 7, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 504/1992 non spetta l'esenzione Ici e Imu se l'ente pubblico non fornisce la prova che l'immobile abbia questa destinazione esclusiva.
Gli immobili, dunque, devono essere diretti a soddisfare compiti dell'ente pubblico (sede o ufficio) che ne è proprietario. È indispensabile che l'utilizzo avvenga in forma immediata e diretta, e cioè da soggetti interni alla struttura organizzativo-amministrativa dell'ente, poiché solo in questo caso l'uso può essere caratterizzato da fini istituzionali.
Per esempio la Commissione tributaria provinciale di Terni, prima sezione, con la sentenza 237/2011 ha stabilito che la provincia è tenuta a pagare l'Ici (e dal 2012 anche l'Imu) se gli immobili non sono destinati al soddisfacimento di compiti dello stesso ente pubblico che ne è proprietario. Non è infatti sufficiente che li metta a disposizione di terzi, anche se la provincia è obbligata a darli in uso allo stato per lo svolgimento di attività didattiche (sede universitaria).
Va ricordato che con l'introduzione dell'Imu è stato ristretto l'ambito delle esenzioni prima riconosciute dalla disciplina Ici. Non possono più fruire dell'agevolazione fiscale gli immobili posseduti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
Non è stata riproposta l'esenzione neppure per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili che vengono recuperati per essere destinati a attività assistenziali. Infine, con la modifica dell'articolo 7, lettera a), sono state ridisegnate le agevolazioni anche per gli immobili posseduti dagli enti pubblici territoriali, poiché l'esonero dal pagamento è limitato solo agli immobili siti sul proprio territorio e non compete più per quelli ubicati sul territorio di altri enti (articolo ItaliaOggi del 13.05.2016).

aprile 2016

TRIBUTI: Pertinenze esenti se strettamente asservite.
Affinché un'area sia qualificabile come pertinenza, esente da tassazione Ici, deve sussistere un vincolo d'asservimento durevole delle aree al fabbricato, con il fine di migliorarne le condizioni d'uso e il valore. In materia fiscale, vista l'indisponibilità del rapporto, la prova dell'oggettivo asservimento pertinenziale, che grava sul contribuente, deve essere del resto valutata con maggior rigore rispetto ai rapporti privatistici.

Così si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. V civile, con la sentenza 27.04.2016 n. 8367.
Nel caso di specie (che ha riflessi anche sull'Imu) il contribuente aveva impugnato sei avvisi di accertamento, attraverso i quali il comune richiedeva il pagamento dell'Ici relativamente a due aree edificabili, contigue a un edificio di cui i ricorrenti erano proprietari.
I contribuenti non le avevano infatti mai dichiarate, in quanto le utilizzavano come giardino pertinenziale dell'abitazione. Sia la Ctp che la Ctr confermavano la correttezza degli avvisi. Il contribuente proponeva quindi ricorso davanti alla Corte, che però lo riteneva infondato, rilevando che le aree erano censite in catasto autonomamente rispetto all'edificio al quale accedevano ed erano inserite in zona territoriale omogenea B a prevalente destinazione residenziale.
Nel caso di specie dunque la scelta pertinenziale avrebbe avuto l'unica funzione di eludere il prelievo, in contrasto con la reale natura del cespite, laddove la simulazione di un vincolo di pertinenza al fine di ottenere un risparmio fiscale può rappresentare abuso del diritto (articolo ItaliaOggi del 21.05.2016).
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MASSIMA
Il motivo non è fondato.
Infatti, oggetto degli avvisi d'accertamento e liquidazione emessi dal Comune di Ravarino e poi opposti, sono due aree, autonomamente distinte nel catasto del predetto comune, quali aree edificabili, in quanto inserite in zona territoriale omogenea B a prevalente destinazione residenziale, giusta estratti dello strumento urbanistico allegati dalla parte resistente al presente ricorso.
Tali aree, come detto, sono censite in catasto autonomamente, rispetto all'edificio al quale accedono e non sono mai state fatte oggetto di dichiarazione e liquidazione ai fini ICI (la parte contribuente, inoltre, avrebbe potuto impugnare l'attuale classamento presso la competente sede giudiziaria, mentre vi ha inizialmente prestato adesione, ritenendo di beneficiare del maggior valore attribuito, mentre, successivamente e nella presente sede, ha ritenuto più rispondente al proprio interesse, attribuire un diverso utilizzo all'area); questa circostanza, secondo l'orientamento di questa Corte, non consente alla parte contribuente di poter contestare l'atto impositivo, deducendo la sussistenza di un asserito vincolo di pertinenzialità; infatti, secondo l'orientamento che si ritiene di condividere, "
Il rapporto d'ICI s'instaura attraverso la denuncia del contribuente, mediante la quale egli dichiara la sua situazione di possesso rilevante per l'ICI e sulla base di essa egli stesso provvede alla liquidazione periodica dell'imposta. L'impostazione iniziale viene variata, oltre che per l'eventuale intervento accertativo del Comune, ogni volta che nella situazione possessoria del contribuente s'introduca una modificazione e il contribuente rinnovi la dichiarazione adeguatrice...".
Nella odierna vicenda, il rapporto ICI è stato gestito come una specie, del genere rapporto giuridico, fissato inizialmente dal contribuente sul solo presupposto del possesso dell'abitazione, con omissione di ogni riferimento al possesso dei due terreni, sia a titolo di area edificabile che di pertinenza, "
...cosicché, se lo stesso contribuente non ha affermato la sua pertinenzialità in via di specialità, vuoi dire che egli ha voluto lasciarlo nella sua condizione di area fabbricabile, corrispondentemente alla regola generale. A questo proposito, sovviene a rafforzare questa conclusione il doveroso riconoscimento della volontà del privato di valutare liberamente la convenienza dell'applicazione di altre norme sulle aree fabbricabile, come quelle, per esempio, che ne regolano l'espropriazione e la relativa indennità...," (Cass. n. 19638/2009).
Pertanto, volendo fare "buon governo" delle superiori considerazioni,
si deve ribadire che affinché un'area sia qualificabile come "pertinenza" e, come tale, vada esente dalla tassazione ICI, deve sussistere un vincolo d'asservimento durevole, funzionale o ornamentale delle aree al fabbricato, con il fine di migliorarne le condizioni d'uso, la funzionalità e il valore; infatti, in materia fiscale, attesa 'indisponibilità' del rapporto tributario, la prova dell'oggettivo asservimento pertinenziale che grava sui contribuente (quando, come nella specie, ne derivi una tassazione attenuta) deve essere valutata con maggior rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico.
Pertanto,
la mera "scelta" pertinenziale non può avere alcuna valenza tributaria, perché avrebbe l'unica funzione di eludere il prelievo fiscale, evitando l'assoggettabilità al precetto che impone la tassazione in ragione della reale natura del cespite. E la possibile simulazione di un vincolo di pertinenza, ai sensi dell'art. 817 c.c., al fine di ottenere un risparmio fiscale, può essere inquadrata nella più ampia categoria dell'abuso del diritto (v. Cass. sez. un. n. 30055 del 2008).
Pertanto, secondo l'insegnamento di questa Corte "
...per qualificare come pertinenza di un fabbricato un'area edificabile, è necessario che intervenga un'oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo "ius edificandi" e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile "ad libitum"..." (Cass. n. 25127 del 2009).

TRIBUTITributi, sulle delibere fuori tempo Tar che vai sentenza che trovi. Il caso.
Nel mese di aprile si registrano due opposte decisioni sullo stesso argomento da parte di due Tar diversi. Tar che vai decisione che trovi.

Stesso ricorrente, stessa materia, stesse norme di riferimento, ma incredibilmente diverse le decisioni a cui sono giunti il TAR Calabria-Reggio Calabria con la sentenza 08.04.2016 n. 392 e il TAR Friuli Venezia Giulia, con la sentenza 22.04.2016 n. 148.
Stesso ricorrente: il ministero dell'economia e delle finanze che ha impugnato «i regolamenti sulle entrate tributarie per vizi di legittimità».
Stessa materia: l'approvazione delle deliberazioni comunali in materia di tributi locali adottate dopo il termine per l'approvazione del bilancio di previsione. Per il comune calabrese si trattava della delibera Tari, per quello friulano della delibera Iuc, Tari e Tasi.
Stesse norme di riferimento: l'art. 1, comma 169, della legge 27.12.2006 n. 296, il quale stabilisce che gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. E che, in caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.
Purtroppo da anni gli enti locali rimangono «incagliati» nelle spire di queste disposizioni e una nutrita giurisprudenza si è ormai consolidata in materia, che ha enucleato una serie di principi divenuti ormai saldi, primo fra tutti la natura perentoria del termine, che, peraltro, «è desumibile dal dato testuale della disposizione» stessa come ha precisato il Consiglio di stato nelle sentenze n. 3808 del 17.07.2014, n. 4409 del 28.08.2014 e n. 1495 del 19.03.2015.
Anche la sentenza del Tar per la Calabria n. 392 del 2016 non si discosta da detta impostazione e anzi evidenzia che la norma in esame «contiene, peraltro, previsioni sanzionatorie, come l'inapplicabilità delle nuove tariffe e aliquote, ove approvate dopo il termine» di approvazione del bilancio di previsione. Da ciò i giudici calabresi arrivano ad annullare la delibera comunale approvata fuori termine.
Il Tar per il Friuli Venezia Giulia, invece, non ha neanche affrontato il merito del ricorso, ma lo ha dichiarato inammissibile, sostenendo, in maniera assolutamente singolare, che «non si vede quale utilità potrebbe ottenere il ministero ricorrente dall'annullamento delle citate delibere, se non un mero ripristino della legalità», come se il ripristino della legalità non fosse un principio oggettivamente degno di tutela.
In altri termini, secondo i giudici friulani, non è sufficiente la denuncia della «difformità dalla legge» delle delibere impugnate, per quanto concerne la tempistica della loro approvazione, ma viene richiesto al Mef di dimostrare un vero e proprio interesse ad agire, come avviene per qualsiasi soggetto che voglia agire in giudizio.
I giudici omettono, però, di considerare quanto stabilito dal Consiglio di stato che nella sentenza 3817 del 17.07.2014 ha messo in chiaro che «tale legittimazione prescinde dall'esistenza di una lesione di una situazione giuridica tutelabile in capo allo stesso dicastero, configurandosi come una legittimazione ex lege, esclusivamente in funzione e a tutela degli interessi pubblici la cui cura è affidata al ministero dalla stessa legge (cfr. Cons. stato, sez. 3, parere del 14.07.1998)».
Ci sono quindi buoni motivi per ipotizzare che la pronuncia del Tar Friuli resti come un'unica voce fuori dal coro.
È, infine, proprio un passo della sentenza del Tar per la Calabria che ci offre un'esplicitazione dell'interesse a ricorrere del Mef, laddove si afferma che l'esigenza di tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini impone di circoscrivere il potere di determinazione delle tariffe e delle aliquote da parte del comune entro un margine di tempo ben definito, costituito dalla data di approvazione del bilancio di previsione, che costituisce un limite invalicabile alla discrezionalità dell'amministrazione (articolo ItaliaOggi del 29.04.2016).

TRIBUTI: Terreno edificabile solo di fatto.
La destinazione d'uso non è sufficiente, da sola, a qualificare come edificabile un terreno. L'edificabilità, infatti, deve essere effettiva; in caso di mancata edificabilità effettiva, il terreno non può mai essere ritenuto edificabile.

È quanto si legge nella sentenza 18.04.2016 n. 103/02/16 emessa dalla sezione seconda della Commissione tributaria provinciale di Lecco.
La vertenza riguarda un avviso di liquidazione con cui le Entrate di Lecco intendevano rettificare i valori dichiarati in sede di una compravendita. Il contribuente nel ricorso presentato alla Commissione tributaria provinciale, di Lecco tra gli altri motivi, eccepiva anche dei vizi di merito. Infatti, relativamente alle aree oggetto di compravendita esiste una inedificabilità sostanziale che ne caratterizza, appunto, il requisito sostanziale dell'edificabilità.
Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito all'evoluzione del principio secondo cui l'edificabilità di un terreno sia strettamente legata con la destinazione urbanistica assegnata allo stesso dagli strumenti urbanistici. Il principio, espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 25506/2006, secondo cui tutti i terreni inseriti nel Piano Regolatore generale di un comune vanno considerati, a tutti gli effetti, edificabili, ha trovato alcune deroghe espresse.
La Corte di cassazione, nella sentenza n. 8609/2011, ha stabilito che i terreni inseriti nel Piano regolatore generale come edificabili ma che siano assoggettati al rispetto delle fasce stradali e ferroviarie vadano equiparati, ai fini fiscali, alle aree agricole in considerazione del fatto che gli stessi non sono, agli effetti pratici, utilizzabili ai fini edificatori.
Lo stesso principio è stato applicato per i terreni in trattazione nella sentenza di cui al commento. Secondo i giudici provinciali di Lecco, infatti, «i terreni compravenduti sono inseriti nelle zone
classificate quali «Rga» distinte dalle zone classificate «Rg» per le quali è consentita l'effettiva edificabilità. Per questi terreni inseriti nelle zone «Rga» (residenziali in genere in zona A) non si applicano gli indici di edificabilità, mentre conservano la destinazione d'uso».
Ne deriva la sostanziale inedificabilità dei terreni compravenduti, circostanza che, di fatto, rende del tutto inattendibile il calcolo effettuato dall'ufficio; né possono ritenersi giustificati i richiami agli altri atti registrati per la comparazione, laddove manchi il requisito sostanziale della edificabilità.
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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
I sigg.ri [omissis], hanno impugnato, con unico ricorso ritualmente notificato e iscritto a ruolo, l'avviso notificato loro dall'Agenzia delle entrate di Lecco, con cui, il citato Ente ha rettificato il valore della compravendita immobiliare dichiarato in sede di atto notarile e ha provveduto alla liquidazione delle imposte di registro, catastali e ipotecarie relative.
I ricorrenti, con l'atto introduttivo del giudizio, lamentano: l'inesistenza dell'avviso di rettifica per inesistenza giuridica della notificazione; nel merito, la nullità dell'atto impugnato per illegittimità e infondatezza dello stesso. I ricorrenti hanno concluso chiedendo l'annullamento dell'atto. L'Ufficio fiscale si è costituito regolarmente in giudizio, contestando gli assunti dei ricorrenti, sostenendola legittimità dell'accertamento e chiedendo, con le conclusioni, il rigetto del ricorso. [omissis]
Nel merito, il ricorso è fondato. Le norme tecniche di attuazione del Prg. vigente, prodotte dai ricorrenti, stabiliscono al punto 21.1.3, alcune prescrizioni tecniche in ordine agli indici urbanistici di edificabilità nella zona in cui ricadono i terreni oggetto del contratto di compravendita sul cui valore vi è contestazione.
Tali indici appaiono riferiti alle zone classificate quali «Rg» distinte dalle zone classificate «Rga» per le quali è, invece stabilito che: «Per le aree individuate con Rga (residenziali in genere in zona A) non si applicano gli indici sopraesposti mentre conservano efficacia le sole destinazioni d'uso».
Alla luce di tale disposizione e della non contestata zonizzazione (Rga) dei mappali 1392 e 1393 la parziale) sussiste, nella fattispecie, la sostanziale inedificabilità dei terreni oggetto del contratto di compravendita. Appare pertanto, del tutto inafferente il calcolo effettuato dall'ufficio, al fine di giungere alla rettifica dei valori indicati nel citato atto; né possono ritenersi giustificati i richiami ad altri atti registrati per effettuare la comparazione, laddove manca il requisito sostanziale della edificabilità.
In conclusione stante: la conformazione dei terreni, si tratta di terreni in pendio; la sussistenza dei vincoli di destinazione, elementi sui quali non vi è contestazione, nonché la non edificabilità degli stessi, il valore dichiarato in compravendita, deve ritenersi congruo.
Il ricorso va pertanto, accolto. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M.
La commissione accoglie il ricorso. Condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di giudizio, in favore dei ricorrenti, che liquida in 2.576,00 oltre Iva, cpa, c.u.e il 15% per spese generali. [omissis] (articolo ItaliaOggi Sette del 25.07.2016).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTINiente compensazione per giusti motivi.
In caso di soccombenza di una delle parti, è illegittima la compensazione delle spese di giudizio «per giusti motivi»: le spese, infatti, possono essere compensate dal giudice per «gravi ed eccezionali ragioni», che devono trovare puntuale riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e, in ogni caso, devono essere indicate specificamente e non con un generico richiamo.

È quanto ribadisce la Corte di Cassazione, Sez. VI civile, nell'ordinanza 13.04.2016 n. 7345.
Il giudizio di legittimità prendeva le mosse dal ricorso proposto da un notaio che impugnava una sentenza della Ctr del Lazio per la parte della decisione relativa alle spese. Nonostante, infatti, il notaio fosse risultato completamente vittorioso nel giudizio instaurato contro un avviso di liquidazione (vicenda in cui veniva coinvolto come responsabile in solido), il giudice regionale capitolino aveva disposto la compensazione integrale delle spese di giudizio, appoggiando la statuizione sulla frase “per giusti motivi”.
Questo, secondo il contribuente, non era conforme ai dettami dell'articolo 92 del cpc («se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti»), norma applicabile al processo tributario e a quello specifico giudizio (instaurato dopo il 04.07.2009). Gli ermellini hanno accolto il ricorso e cassato la sentenza, rinviando ad altra sezione della Ctr del Lazio, chiamata a disporre anche per quanto concerne la liquidazione delle spese del grado di giudizio in Cassazione.
La compensazione delle spese era una possibilità pur prevista dall'allora vigente panorama normativo (art. 92 cpc, richiamato espressamente dall'articolo 15 del dlgs 546/1992); tuttavia, è necessario che il giudice che opti per tale scelta, in presenza di soccombenza di una delle parti, dedichi un congruo spazio alla motivazione specifica sul punto, individuando delle argomentazioni valide a sostenerla. A tal scopo, non può dirsi sufficiente una generica locuzione «per giusti motivi», che non rispetta i parametri fissati dalle norme.
Da precisare che l'attuale versione dell'art. 15 del dlgs 546/1992, comma 2, ha recepito espressamente i precetti di cui al citato art. 92 cpc, disponendo che «le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate».
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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
[omissis] In tema di contenzioso tributario, secondo la testuale previsione dell'art. 15, comma primo, dlgs n. 546 del 1992, la Commissione tributaria può dichiarare compensate le spese processuali in tutto o in parte a norma dell'art. 92, comma secondo, cpc, norma quest'ultima emendata dalla legge 18.06.2009, n. 69, art. 45, comma 11, applicabile alla fattispecie per essere il giudizio di primo grado iniziato dopo il 04/07/2009 (essendo in contestazione il regime di tassazione di un mandato irrevocabile registrato dal professionista in data “18/07/2011” e l'impugnazione del successivo avviso di liquidazione).
Detta norma, com'è noto, prevede che, “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le stese tra le parti".
Sul punto si è consolidato l'orientamento (Cass. 20.04.2012, n. 6279) per il quale le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione e in presenza delle quali -o, in alternativa alle quali, della soccombenza reciproca- il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio, devono trovare puntuale riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass., ord. 15.12.2011, n. 26987) e comunque devono essere appunto indicate specificamente (Cass., ord. 13.07.2011, n. 15413; Cass. 20.10.2010, n. 21521).
Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare che “l'art. 92 cp, comma 2, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche” (Gas s. Sez. un., n. 2572/2012).
Erroneamente, pertanto, la Ctr ha disposto la compensazione integrale delle spese di lite “per giusti motivi”, in violazione della normativa vigente ratione temporis, 3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Ctr del Lazio, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione. [omissis] (articolo ItaliaOggi Sette del 16.05.2016).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTINotifiche a mezzo posta senza relata. Cassazione ricorda che si seguono le regole sul servizio postale ordinario.
In tema di notificazioni a mezzo posta, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull'avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l'atto pervenuto all'indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest'ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c.
Inoltre, ai sensi dell'art. 140 cpc la raccomandata cosiddetta «informativa» deve contenere la semplice notizia del deposito dell'atto stesso presso la casa comunale e, per quanto riguarda la notificazione nei confronti di un destinatario irreperibile, non occorre che dall'avviso di ricevimento della raccomandata informativa del deposito dell'atto presso l'ufficio comunale risultino tutte le annotazioni prescritte in caso di notificazione effettuata a mezzo del servizio postale, dovendo piuttosto da esso risultare il trasferimento, il decesso del destinatario o altro fatto impeditivo della conoscibilità (non della conoscenza effettiva) dell'avviso stesso.

Questi importanti princìpi, in tema di notificazione, sono stati espressi dalla VI Sez. civile della Corte di Cassazione nell'ordinanza 12.04.2016 n. 7184.
I giudici di legittimità hanno richiamato la pronuncia della Cassazione n. 9111/2012 che, in tema di notificazioni a mezzo posta, ha stabilito che la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato l'avviso di liquidazione o di accertamento senza intermediazione dell'ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla L. n. 890 del 1982 attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall'ufficiale giudiziario ex art. 140 cpc.
Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna annotazione specifica sull'avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l'atto pervenuto all'indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest'ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato, senza sua colpa, nell'impossibilità di prenderne cognizione.
Sempre con specifico riferimento alle formalità relative alla notifica ai sensi dell'art. 140 cpc, in materia tributaria, già la recente sentenza della Cassazione n. 26864/2014 ha precisato che la raccomandata cosiddetta informativa, poiché non sostituisce l'atto da notificare, ma contiene solo la notizia del deposito dell'atto stesso nella casa comunale, non è soggetta alle disposizioni di cui alla L. n. 890/1982, sicché per la stessa occorre rispettare solo quanto prescritto dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria.
In particolare, la Suprema Corte ha escluso che la mancata specificazione, sull'avviso di ricevimento, della qualità del consegnatario e della situazione di convivenza o meno con il destinatario determini la nullità della notificazione. Inoltre, nella notificazione nei confronti di destinatario irreperibile, ai sensi dell'art. 140 cpc, non occorre che dall'avviso di ricevimento della raccomandata informativa del deposito dell'atto presso l'ufficio comunale, che va allegato all'atto notificato, risulti precisamente documentata l'effettiva consegna della raccomandata, ovvero l'infruttuoso decorso del termine di giacenza presso l'ufficio postale, né che detto avviso contenga, a pena di nullità dell'intero procedimento notificatorio, tutte le annotazioni prescritte in caso di notificazione effettuata a mezzo del servizio postale, dovendo invece da esso risultare, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, il trasferimento, il decesso del destinatario o altro fatto impeditivo della conoscibilità dell'avviso stesso, come stabilito di recente dalla sentenza della Cassazione n. 2959/2013.
Nel caso di specie, la Ctr del Lazio non si è conformata a tali principi, avendo dichiarato la nullità della notificazione della cartella esattoriale effettuata dal messo notificatore ai sensi dell'art. 140 cpc, condizionando la validità della notificazione alla riferibilità della firma apposta sulla raccomandata di ricevimento al destinatario della stessa, senza invece considerare l'inutilità di siffatta verifica, una volta acclarato il compimento della formalità dell'inoltro al destinatario della raccomandata informativa (articolo ItaliaOggi del 28.04.2016).

TRIBUTI: Ingiunzione Tarsu firmata dal funzionario.
Ingiunzione di pagamento Tarsu illegittima senza la firma del funzionario responsabile. L'ingiunzione emanata dal concessionario della riscossione per conto del comune deve essere sottoscritta, a pena di nullità, dal funzionario responsabile dell'ente, che è tenuto anche ad apporre il visto di esecutività sulla lista di carico. Il concessionario della riscossione non è legittimato a sottoscrivere l'ingiunzione.

È quanto ha stabilito la Ctp di Taranto, I Sez., con la sentenza 07.04.2016 n. 854.
Per la commissione provinciale, l'ingiunzione non è valida senza la «necessaria e specifica sottoscrizione da parte del funzionario responsabile del servizio». In particolare, l'atto impugnato (ingiunzione Tarsu) «non risulta sottoscritto e ne accompagnato dalla provata sottoscrizione da parte del funzionario responsabile comunale di un pur più ampio elenco di contribuenti tenuti al pagamento della pretesa tributaria che solo avrebbe potuto rappresentare il ruolo e sanare le singole situazioni».
Il principio non può essere condiviso ed è destinato a generare solo confusione, tenuto conto che non distingue i casi in cui l'ingiunzione va sottoscritta dal funzionario responsabile dell'ente, perché l'incarico al concessionario è limitato alla predisposizione dell'atto, sotto forma di appalto di servizi, da quelli in cui, invece, l'attività di riscossione è affidata in concessione e l'esattore è legittimato alla sottoscrizione. Fermo restando che il funzionario è tenuto ad apporre il visto di esecutività sulla lista di carico, ma la stessa, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice, non deve essere allegata all'ingiunzione.
Nel caso in esame la Soget, nella qualità di concessionaria del comune di Taranto, era abilitata alla sottoscrizione dell'atto: non a caso era stata chiamata in causa dal contribuente come parte resistente, essendo il soggetto autore dell'atto e, quindi, legittimato a contraddire. Non era stata opposta, infatti, dal ricorrente la carenza di legittimazione passiva nel processo tributario. Solo laddove l'affidamento sia limitato alla predisposizione degli atti, con la formula dell'appalto di servizi, il soggetto incaricato può svolgere un'attività endo-procedimentale, di supporto all'attività dell'ente, non può sottoscrivere gli atti, non può assumersene la paternità giuridica e, per l'effetto, non è abilitato alla difesa innanzi alle commissioni tributarie, perché carente di legittimazione passiva.
L'ingiunzione è uno strumento nato per il recupero delle entrate patrimoniali. L'articolo 52 del decreto legislativo 446/1997 ne ha esteso l'ambito di applicazione a tutte le entrate locali, sia tributarie che extratributarie. È un atto amministrativo recettizio, che esplica i suoi effetti nel momento in cui si perfeziona la notifica, ovvero quando l'intimazione viene portata a conoscenza del destinatario.
È utilizzabile a seguito di una pretesa divenuta definitiva o anche quando l'atto viene contestato innanzi all'autorità giudiziaria. È un atto emanabile dopo la notifica dell'avviso di accertamento, sempre che non venga sospeso dal giudice, o comunque qualora vi sia un titolo esecutivo (articolo ItaliaOggi del 26.04.2016).

marzo 2016
EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTINiente accatastamento per le reti di Tlc. Infrastrutture. Il chiarimento è fornito dal decreto attuativo della direttiva 2014/61.
Il decreto attuativo della direttiva 2014/61 fa chiarezza: le infrastrutture di reti di comunicazione elettronica non vanno accatastate. Le infrastrutture di telecomunicazione non sono unità immobiliari e, come tali, non vanno iscritte in catasto e non soggiacciono alla fiscalità conseguente.
È d’impatto l’intervento del legislatore che, nell’ambito del decreto legislativo 33/2016 attuativo della direttiva 2014/61/Ue sulla riduzione dei costi delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità, ha deciso di dare una svolta all’annosa questione dell’accatastamento delle infrastrutture Tlc. Si tratta dei tralicci, ripetitori, stazioni radio base, antenne -oltre alle opere per l'installazione della rete- ancorati a muri o altri supporti oppure impiantati dentro aree recintate.
In passato sia l’agenzia del Territorio (circolare 4/2006, 6/2012) sia la giurisprudenza si sono occupate del trattamento catastale: la prima per affermarne l’obbligo di accatastamento (in forma autonoma o come variazioni di preesistenti unità immobiliari); la seconda talvolta si è adeguata alla posizione dell’Agenzia, più spesso ha invece accolto i ricorsi che ne sostenevano l’irrilevanza sul piano catastale, specie in virtù dell’assimilazione alle «opere di urbanizzazione primaria» (articolo 86, comma 3, del Codice delle comunicazioni elettroniche).
Con il decreto legge Sblocca Italia del 2014 sembrava che la questione fosse risolta a favore di questa seconda interpretazione, essendo stabilito che le infrastrutture Tlc costituiscono opere di urbanizzazione primaria.
La Corte di Cassazione però con la sentenza 24026/2015 in materia di Ici (si veda «Il Sole 24 Ore» del 26.11.2015) ha di recente sposato la tesi del Fisco. Invero, la Suprema corte non ha minimamente affrontato il punto che il decreto legge Sblocca Italia mirava a risolvere e, con scarna motivazione, ha deciso per l’accatastamento dei ripetitori di telefonia mobile nella categoria D.
L’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 33/2016 rimette ordine: non solo le reti ad alta velocità in fibra ottica, ma tutte le infrastrutture comprese negli articoli 87-88 Cce, da chiunque possedute, sono da considerarsi beni diversi dalle unità immobiliari in base al Dm 28/1998 e per questo esclusi dall’accatastamento e dai tributi che ne conseguono (Imu, Tasi, Ici a suo tempo).
Ciò che rileva, infatti, non è tanto l’autonomia funzionale e reddituale di queste infrastrutture -e neppure la destinazione a interesse collettivo per cui in passato sono state talvolta classificate nella categoria E/3- ma il fatto che il legislatore ne riconosca una «pubblica utilità», analoga per esempio a quella delle fognature o della rete idrica. La norma, peraltro, dovrebbe avere portata interpretativa, visto che, secondo la relazione illustrativa, rappresenta un «chiarimento» volto a esplicitare quanto già previsto dal Cce.
Natura questa confermata dalla sua collocazione sistematica, nell’articolo 12 tra le «disposizioni di coordinamento», dove al comma 1 si ribadisce che in caso di discordanze prevalgono le norme del Cce.
Per effetto, il Fisco e gli enti locali non solo dovranno escludere dall’accatastamento le nuove infrastrutture di telecomunicazione, ma anche rinunciare alle pretese di accatastamento già avanzate
(articolo Il Sole 24 Ore del 29.03.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).

TRIBUTI: Baratto amministrativo limato. No all'applicazione quando si tratta di debiti pregressi. Dai giudici contabili emiliani i paletti sullo scambio tasse-lavori di pubblica utilità.
Le forme di riduzione di imposte e tasse locali in cambio di lavori eseguiti per la collettività, meglio note come «baratto amministrativo», non possono riguardare debiti pregressi che i cittadini hanno maturato nei confronti dell'ente locale.
Inoltre, è necessario che sussista un rapporto di stretta inerenza tra le riduzioni dei tributi che il comune può deliberare e le attività di valorizzazione del territorio e che queste siano concesse per un periodo limitato. Infine, le agevolazioni possono essere indistintamente concesse ad associazioni di cittadini che singoli utenti amministrati.

È quanto ha reso noto l'interessante
parere 23.03.2016 n. 27 emanato dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per l'Emilia Romagna, con il quale, per la prima volta sul panorama consultivo, si interviene a chiarire ambito e portata delle disposizioni innovative contenute all'articolo 24 del decreto legge n. 133/2014, che disciplina le misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione dei territori.
Come noto, con tale disposizione, i comuni possono definire, con apposita regolamentazione, interventi di decoro urbano, pulizia e manutenzione di aree verdi, strade o beni immobili inutilizzati, su progetti presentati da cittadini singoli o associati, al fine di vedersi riconosciuta una esenzione o una riduzione sui tributi inerenti il tipo di attività posta in essere.
In risposta al comune di Bologna, la Corte emiliana ha pertanto precisato che il «baratto amministrativo» può aver luogo solo con un atto deliberativo dell'ente locale che fissi i criteri e le modalità di svolgimento, secondo la «traccia» che il legislatore ha messo nero su bianco nel citato articolo 24 del dl n. 133/2014.
È altresì pacifico, poi, che per la concessione di esenzioni o riduzioni deve sussistere un rapporto di stretta inerenza tra queste e le attività di cura e manutenzione del territorio. Detto in soldoni, un'attività di pulizia e manutenzione di un'area verde andrà ad incidere sull'ammontare della tariffa rifiuti e non certo sul canone di occupazione degli spazi pubblici.
Non è altresì possibile, poi, che la regolamentazione del baratto si protragga «sine die». Come prescrive la legge, infatti, l'esenzione o la riduzione del pagamento dei tributi locali può essere concessa solo per un periodo definito di tempo e per determinate attività, in ragione «dell'esercizio sussidiario della stessa attività». Inoltre, precisa il parere, anche se la norma, nell'indicare i destinatari dei benefici, utilizza l'avverbio «prioritariamente» per le comunità di cittadini, nulla vieta che l'ente locale possa permettere anche a singoli cittadini la concessione del baratto, dietro la presentazione di un progetto valido.
Sulla specificità dell'oggetto del baratto, ovvero la temporanea riduzione o esenzione di imposte locali, la Corte è stata categorica. In dettaglio, il minor gettito è quello che viene già definito negli stanziamenti dei bilanci di previsione degli enti che hanno adottato il baratto amministrativo. In nessun caso è pertanto ammissibile che si possa consentire la riduzione di tasse ed imposte locali afferenti a esercizi finanziari precedenti.
In primo luogo, perché difetterebbe il requisito dell'inerenza tra agevolazione tributaria e tipologia di attività svolta dai cittadini amministrati. Poi, perché una simile prospettiva determinerebbe effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio dell'ente, in considerazione che i debiti tributari dei cittadini vengono iscritti tra i residui attivi dell'ente (articolo ItaliaOggi dell'01.04.2016).

TRIBUTI: Stop al «baratto» senza regolamento. Tasse locali. Corte dei conti dell’Emilia.
Il baratto amministrativo deve essere disciplinato dall'apposito regolamento comunale e non può riguardare i debiti pregressi dei contribuenti.
Lo ha chiarito la Corte dei Conti Emilia Romagna con il parere 23.03.2016 n. 27, definendo i contorni di applicabilità dell'articolo 24 del Dl 133/2014, che consente ai comuni di deliberare riduzioni o esenzioni di tributi a fronte di interventi per la riqualificazione del territorio, da parte di cittadini o associazioni. Si tratta di uno strumento che consente ai cittadini che non riescono a far fronte al pagamento dei tributi comunali di ottenere sconti prestando ore di lavoro in favore della comunità.
Sul nuovo istituto è intervenuto l'IFEL (fondazione dell'Anci) con due note del 16.10.2015 (si veda Il Quotidiano Enti Locali & Pa del 20/10/2015) e del 22.10.2015 (si veda Il Quotidiano Enti Locali & Pa del 27/10/2015), che vengono ora prese in esame dalla Corte dei Conti Emilia Romagna considerando corretta solo la prima versione, la più restrittiva.
I giudici contabili evidenziano in primo luogo che il principio dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria è derogabile solo in forza di una disposizione di legge, che nel caso del baratto amministrativo è l'articolo 24 del Dl 133/2014. L'agevolazione tributaria può essere quindi applicata entro limiti ben circoscritti, attraverso l'adozione di un apposito regolamento comunale ai sensi dell'articolo 52 del Dlgs 446/1997.
Pertanto, non è possibile introdurre il baratto amministrativo con una semplice delibera di Giunta ma occorre seguire la via regolamentare, con l'ulteriore conseguenza che la delibera deve essere approvata entro il termine fissato per l'adozione del bilancio, altrimenti ha efficacia a partire dall'anno successivo.
Inoltre, dal punto di vista del contenuto del regolamento, è necessario che lo stesso individui “criteri” e “condizioni” in base ai quali i cittadini, singoli o associati, possano presentare progetti relativi ad interventi di riqualificazione del territorio. Interventi che possono riguardare solo ed esclusivamente quelli previsti dalla legge, tra cui “la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze, strade, ovvero interventi di decoro urbano” e “la valorizzazione di una limitata zona del territorio”.
Deve poi sussistere un rapporto di stretta inerenza tra le esenzioni e/o le riduzioni di tributi che il comune può deliberare e le attività che i cittadini possono realizzare.
Infine, i giudici contabili precisano che non è possibile utilizzare il baratto amministrativo per i debiti pregressi dei contribuenti, trattandosi di un'ipotesi che: 1) non rientra nell'ambito di applicazione della norma, difettando il requisito dell'inerenza tra l'agevolazione tributaria e l'attività posta in essere dal cittadino; 2) potrebbe determinare effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio, considerato che si tratta di debiti ormai confluiti nella massa dei residui attivi dell'ente.
In definitiva la Corte dei Conti Emilia Romagna delinea un modello di baratto amministrativo disatteso dalla maggior parte dei Comuni, specie da quelli che hanno individuato nelle morosità pregresse (anche incolpevoli) l'oggetto principale del nuovo istituto. Comuni che ora dovrebbero rivedere le proprie scelte, se non vogliono rischiare di essere chiamati a rispondere di danno erariale
(articolo Il Sole 24 Ore del 31.03.2016 - tratto da http://rstampa.pubblica.istruzione.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTI: La prova dell'arrivo della raccomandata fa presumere l'invio e la conoscenza dell'atto, mentre l'onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l'atto spetta non già al mittente bensì al destinatario.
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Merita dunque di essere confermato il principio per cui, in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. 29.09.1973, n. 602, art. 26 (così come, più in generale, in caso di spedizione di plico a mezzo raccomandata), la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione è assolta dal notificante mediante la produzione dell'avviso di ricevimento, poiché, una volta pervenuta all'indirizzo del destinatario, la cartella esattoriale deve ritenersi a lui ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 cod. civ., fondata sulle univoche e concludenti circostanze (integranti i requisiti di cui all'art. 2729 cod. civ.) della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale, e superabile solo ove il destinatario medesimo dimostri di essersi trovato, senza colpa, nell'impossibilità di prenderne cognizione, come nel caso in cui sia fornita la prova che il plico in realtà non conteneva alcun atto al suo interno (ovvero conteneva un atto diverso da quello che si assume spedito).
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MASSIMA
13. Il quinto, il sesto ed il settimo motivo, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono invece fondati.
13.1. In sintesi, con essi si chiede a questa Corte di affermare il principio per cui il soggetto che proceda alla notifica di cartella esattoriale, con la procedura di cui all'art. 26, D.P.R. n. 602/1973, può limitarsi a consegnare il plico chiuso all'agente postale, per la sua spedizione, essendo assistiti da fede privilegiata ex art. 2700 cod. civ. tanto l'accettazione quanto l'avviso di ricevimento della raccomandata, e gravando invece sul destinatario l'onere di superare la presunzione di conoscenza del contenuto della raccomandata, di cui all'art. 1335 cod. civ..
13.2. Sul tema si registra, invero, una certa divaricazione della giurisprudenza di legittimità, rispetto alla quale questo Collegio intende però aderire all'orientamento che risulta prevalente, in base al quale,
ove il Concessionario si avvalga della facoltà, prevista dal D.P.R. 29.09.1913, n. 602, art. 26, di provvedere alla notifica della cartella esattoriale mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai fini del perfezionamento della notificazione è sufficiente -anche alla luce della disciplina dettata dal D.M. 09.04.2001, artt. 32 e 39- che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz'altro adempimento a carico dell'ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull'avviso di ricevimento da restituire al mittente; ciò sarebbe confermato implicitamente anche dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o con l'avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell'amministrazione (Cass. sez. III, sentenza n. 9246 del 07.05.2015; Cass. sez. V, sentenza n. 4567 del 06.03.2015; conf., tra le più recenti, Cass. n. 16949/2014, n. 6395/2014, n. 11708/2011; n. 14327/2009).
13.3. Ai predetti fini
non si ritiene invece necessario che l'agente della riscossione dia la prova anche del contenuto del plico spedito con lettera raccomandata, dal momento che l'atto pervenuto all'indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest'ultimo in forza della presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 cod. civ., superabile solo se lo stesso destinatario dia prova di essersi incolpevolmente trovato nell'impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 15315/2014, n. 9111/2012, n. 20027/2011).
In altri termini,
la prova dell'arrivo della raccomandata fa presumere l'invio e la conoscenza dell'atto, mentre l'onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l'atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. ord. n. 9533/2015, sent. n. 2625/2015, n. 18252/2013, n. 24031/2006, n. 3562/2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti già citati, Cass. sez. I, 22.05.2015, n. 10630; conf. Cass. n. 24322/2014, n. 15315/2014, n. 23920/2013, n. 16155/2010, n. 17417/2007, n. 20144/2005, n. 15802/2005, n. 22133/2004, n. 771/2004, n. 11528/2003, n. 12135/2003, n. 12078/2003, n. 10536/2003, n. 4878/1992, 4083/1978; cfr. Cass. ord. n. 20786/2014, per la quale tale presunzione non opererebbe -con inversione dell'onere della prova- ove il mittente affermasse di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contestasse tale circostanza).
13.4. In effetti,
l'orientamento prevalente risulta più rispettoso del principio generale di c.d. vicinanza della prova, poiché la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato), in ipotesi anche avvalendosi di testimoni, che al momento dell'apertura il plico era in realtà privo di contenuto.
13.5. Merita dunque di essere confermato il principio per cui,
in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. 29.09.1973, n. 602, art. 26 (così come, più in generale, in caso di spedizione di plico a mezzo raccomandata), la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione è assolta dal notificante mediante la produzione dell'avviso di ricevimento, poiché, una volta pervenuta all'indirizzo del destinatario, la cartella esattoriale deve ritenersi a lui ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 cod. civ., fondata sulle univoche e concludenti circostanze (integranti i requisiti di cui all'art. 2729 cod. civ.) della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale, e superabile solo ove il destinatario medesimo dimostri di essersi trovato, senza colpa, nell'impossibilità di prenderne cognizione, come nel caso in cui sia fornita la prova che il plico in realtà non conteneva alcun atto al suo interno (ovvero conteneva un atto diverso da quello che si assume spedito) (Corte di Cassazione, Sez. V civile, sentenza 18.03.2016 n. 5397).
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Si legga, al riguardo, un commento: Raccomandata: come si prova il contenuto della lettera? (25.04.2016 - link a www.laleggepertutti.it).

febbraio 2016

TRIBUTI: Tributi locali, blocco assoluto. Congelati il contributo di sbarco e l'imposta di soggiorno. I paletti della Corte conti Abruzzo: vietato anche ridurre le agevolazioni ai contribuenti.
Nessuno spiraglio per superare il blocco dei tributi locali.
Ai dubbi e alle incertezze sollevati dalle amministrazioni locali sui limiti che la legge di stabilità 2016 ha fissato agli aumenti di aliquote e tariffe, ha dato una risposta chiara la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per l'Abruzzo, con il parere 09.02.2016 n. 35, il quale ha affermato che non esistono margini di manovra per effettuare delle scelte di politica fiscale che possano comportare un aumento della tassazione.
Al di là della formulazione letterale della norma che si limita a imporre la sospensione degli aumenti, per i giudici contabili la ratio legis è quella di porre un freno all'innalzamento della pressione fiscale a livello locale. Non rientra nel blocco solo ciò che è espressamente escluso, come la Tari. Soni esonerati dal vincolo anche gli enti locali che si trovano in uno stato di dissesto o predissesto.
In queste settimane sono stati manifestati dei dubbi da funzionari e dirigenti degli enti locali sui limiti del blocco. In particolare, se è impedito istituire nuovi tributi (imposta di soggiorno, imposta di scopo), se è impossibile rimodulare le aliquote deliberate per l'addizionale Irpef rapportate ai vari scaglioni di reddito o fissare tariffe più elevate rispetto al 2015 per il nuovo contributo di sbarco, sostitutivo dell'imposta di sbarco, tenuto conto che è stato previsto proprio da una disposizione di legge a partire dal 2016.
Secondo i giudici contabili, che richiamano precedenti pareri espressi in passato, unico obbiettivo dello stop all'aumento di imposte e tasse negli enti locali è quello di contenere il livello della pressione fiscale. Il blocco per il 2016 non è però limitato solo al contenimento di aliquote e tariffe, ma impedisce anche l'istituzione di nuovi tributi. Non va dato rilievo alla differenza terminologica tra «aumento» e «istituzione», poiché ciò che conta è che rimanga invariato il carico fiscale sui contribuenti, siano essi residenti o meno nel territorio comunale.
Ecco perché non è consentito istituire neppure l'imposta di soggiorno, ancorché siano soggetti al prelievo solo i non residenti. Allo stesso modo non è possibile ridurre le agevolazioni già concesse ai contribuenti. Sono escluse dal blocco la Tari, il cui gettito serve a coprire integralmente il costo del servizio di smaltimento rifiuti, e tutte le entrate che hanno natura patrimoniale, come il canone occupazione spazi e aree pubbliche, il canone idrico e via dicendo. Non sono soggetti al vincolo gli enti che hanno deliberato il predissesto o il dissesto.
L'articolo 1, comma 26, della legge di stabilità 2016 (208/2015), dunque, non consente di introdurre nuovi tributi o aumenti di aliquote e tariffe, anche se le relative delibere sono state adottate prima dell'entrata in vigore della norma (1° gennaio). Peraltro, non solo è impossibile ritoccare in aumento aliquote o tariffe, ma è anche impedito che possano essere aboliti benefici già deliberati dagli enti (aliquote agevolate, riduzioni, detrazioni), che comunque inciderebbero sul carico fiscale e darebbero luogo a un innalzamento della tassazione.
Tuttavia, questi vincoli non producono effetti per le entrate che hanno natura patrimoniale o extratributaria. Al riguardo, vi sono delle incertezze sulle entrate che devono sottostare al divieto imposto dalla legge e questo dipende anche dalla loro controversa natura. Va ricordato che il canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (Cosap) ha natura patrimoniale. Sono entrate patrimoniali anche il canone idrico e il canone depurazione.
Non è ammesso l'aumento delle tariffe, invece, per il canone installazione mezzi pubblicitari (Cimp) che, nonostante la trasformazione da imposta a canone eventualmente operata dall'amministrazione comunale, mantiene la sua natura tributaria. Soggiace al blocco anche il diritto sulle pubbliche affissioni, ancorché non sia mai stata del tutto pacifica la sua natura giuridica (articolo ItaliaOggi del 26.02.2016).

gennaio 2016

TRIBUTI: Sezioni Unite. Ici. Competenza verificata solo dopo la giurisdizione.
Spetta al giudice tributario decidere sull’opposizione del contribuente in materia di Ici e la Cassazione può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione ignorato dal giudice ordinario che si era (peraltro) dichiarato incompetente.

Con una motivazione lunga e articolata, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione (sentenza 05.01.2016 n. 29) hanno deciso una controversia nata in provincia di Mantova su un recupero coattivo di Ici per circa 200mila euro e portata dalla contribuente davanti al Tribunale ordinario di Brescia, sezione staccata di Breno.
Qui il giudice aveva deciso per la propria giurisdizione, rilevando però l’incompetenza territoriale, trasferita al Tribunale di Mantova. Impugnato dalla contribuente in Cassazione con istanza di regolamento di competenza, l’intricato fascicolo è approdato alle Sezioni Unite dopo che la Sesta civile aveva ravvisato un indirizzo non proprio univoco sul versante della pregiudizialità -tutta civilistica- tra regolamento di giurisdizione e quello di competenza.
Le SU, richiamandosi tra l’altro al giudice naturale evocato dalla Costituzione, hanno stabilito che sulla decisione del Tribunale di Brescia non si era ancora formato il giudicato, e che pertanto la Corte può d’ufficio rilevare il difetto di giurisdizione che è sempre “pregiudiziale” rispetto alla determinazione della competenza.
Quanto poi alla “titolarità” giurisdizionale del caso specifico, le Sezioni Unite, dopo aver assimilato l’ingiunzione fiscale emessa dal Comune in pendenza di giudizio tributario a un normale «ruolo», hanno conseguentemente affermato la “titolarità” esclusiva del giudice tributario
(articolo Il Sole 24 Ore del 06.01.2016).

TRIBUTI: Pertinenziali anche i terreni non «graffati» al catasto. Un terreno posto a servizio di un edificio è pertinenza anche se non è “graffato” al catasto.
Agevolazioni. La Ctr Lombardia ribadisce: contano destinazione del terreno e volontà del titolare.
Lo stabilito la Ctr Lombardia-Milano con la sentenza 05.01.2016 n. 14/19/2016 (presidente Craveia, relatore Monfredi).
Un notaio aveva rogato un atto di vendita di un terreno dagli acquirenti qualificato come pertinenza di un edificio che avevano in precedenza acquistato e per il quale avevano ottenuto le agevolazioni fiscali “prima casa”. In base a tale dichiarazione avevano versato l’imposta di registro al 3% e le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa.
L’ufficio aveva però ritenuto che l’acquisto del terreno non potesse beneficiare di quelle agevolazioni, perché esso non era censito al catasto urbano unitamente al bene principale: non era cioè “graffato” al fabbricato abitativo, ma censito autonomamente. Per questo era stato emesso avviso di liquidazione, per il recupero delle maggiori imposte dovute.
Il notaio rogante aveva allora proposto ricorso e la Ctp aveva annullato l’atto.
Ma l’ufficio aveva proposto appello chiedendo alla Ctr Lombardia di ritenere legittimo l’avviso di liquidazione che si basava sul dato oggettivo e documentale della mancata “graffatura” dell’immobile qualificato pertinenza.
Secondo l’Agenzia, contrariamente a quanto vale per i beni classificati C/2, C/6 e C/7, con riferimento ai terreni, le circolari dell’amministrazione finanziaria (del 12.08.2005 e del 29.05.2013) prevedono che il proprietario deve formalizzare catastalmente la sua scelta di destinare funzionalmente e durevolmente il bene a servizio di altro principale. Se non lo fa dimostra la sua volontà di non destinare il terreno a servizio del fabbricato.
Anche i giudici di secondo grado hanno tuttavia disatteso le tesi dell’ufficio, affermando che le circolari non possono derogare alla legge.
Secondo la Ctr, infatti, la normativa in materia di imposta di registro non prevede alcuna limitazione tassativa rispetto ai beni che possono assumere natura pertinenziale di un fabbricato ai fini fiscali. Contiene invece solo un’elencazione esemplificativa e indica due requisiti necessari, uno oggettivo e uno soggettivo: la destinazione durevole al servizio o ad ornamento del bene principale; e la volontà del titolare del diritto reale sulla cosa principale di effettuare tale destinazione.
La “graffatura” rappresenta di certo manifestazione non equivoca di questa volontà. Ma non può al contrario sostenersi che la mancata “graffatura” escluda automaticamente e insuperabilmente tale volontà, perché una tale interpretazione non sarebbe conforme alla normativa primaria e non è previsto dal codice civile alcun obbligo di formalizzare la scelta in sede catastale.
Nel caso al loro esame, inoltre, i giudici rilevavano che le caratteristiche dimensionali del terreno erano in tutto compatibili ed in linea con i limiti fissati dall’articolo 5 del Dm 02.08.1962 perché un’area scoperta potesse considerarsi pertinenza di un’abitazione non di lusso. L’annullamento dell’avviso di liquidazione è stato dunque confermato con condanna dell’Agenzia al pagamento delle spese
(articolo Il Sole 24 Ore del 04.04.2016).

dicembre 2015

TRIBUTI: Regolamento ai sensi dell'art. 24 del D.L. 133/2014.
L'art. 24, D.L. n. 133/2014, nell'ottica di favorire la partecipazione della comunità locale alla valorizzazione e tutela del territorio, consente ai comuni di affidare a cittadini singoli o associati determinati interventi aventi ad oggetto la cura di aree e di edifici pubblici.
In relazione ai predetti interventi, l'art. 24 in commento dà facoltà ai comuni di deliberare riduzioni o esenzioni, specificamente, di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere.
Per quanto concerne, invece, le entrate patrimoniali non aventi natura tributaria, ad avviso dell'IFEL e come specificato dall'ANCI, istituti analoghi possono essere attivati dall'ente, nell'ambito della disciplina regolamentare generale delle entrate (art. 52, D.Lgs. n. 446/1997) e avvalendosi della facoltà riconosciuta dall'art. 1197 c.c., secondo cui 'il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta'.

Il Comune intende approvare il Regolamento ai sensi dell'art. 24, D.L. n. 133/2014, e chiede se sia legittimo estendere l'agevolazione ivi prevista anche alle entrate non tributarie, quali ad esempio le tariffe (rette per mense scolastiche, tariffe scuolabus) ed i canoni di locazione di immobili comunali.
Sentito il Servizio finanza locale di questa Direzione centrale, si esprime quanto segue.
In via preliminare, si sottolinea la natura statale della norma in oggetto da cui consegue la competenza degli organi statali a fornire i chiarimenti in ordine all'ambito applicativo della stessa. Le considerazioni che seguono vengono, pertanto, espresse in via meramente collaborativa.
Ai sensi dell'art. 24, rubricato 'Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio', D.L. n. 133/2014
[1], 'i comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L'esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell'esercizio sussidiario dell'attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute'.
La disposizione in esame riconosce la partecipazione dei cittadini attivi per la tutela e la valorizzazione del territorio, con ciò ricollegandosi all'art. 118, comma 4, della Costituzione, ove si prevede che gli enti locali favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale
[2].
Specificamente, l'art. 24, D.L. n. 133/2014, consente ai comuni di affidare a cittadini singoli o associati determinati interventi aventi ad oggetto la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano
[3].
In ordine alle modalità applicative dell'agevolazione (specificamente tributaria) prevista dall'art. 24 in commento, il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
[4], ha espresso l'avviso secondo cui «l'impressione è che la norma non autorizzi affatto gli enti locali, in modo indiscriminato, a disporre la riduzione o l'esonero. Ma esiga, piuttosto, un preciso rapporto di connessione 'fra attività posta in essere' e tributo interessato».
Per quanto concerne la questione posta dall'Ente, relativa alla possibilità di estendere l'agevolazione tributaria prevista dall'art. 24, D.L. n. 133/2014, oltre ai tributi anche alle tariffe e ad altre entrate extra tributarie, si formulano alcune riflessioni -si ribadisce- in via collaborativa, stante la competenza degli organi statali al riguardo.
Il tenore letterale dell'art. 24 in argomento prevede un'agevolazione (esenzione o riduzione) esplicitamente riferita ai tributi, la cui essenza consiste nell'essere prestazioni patrimoniali imposte dall'ente pubblico, caratterizzate dall'attitudine (idoneità) a determinare il concorso alla pubblica spesa dell'ente impositore, e gravanti su tutti i cittadini aventi una retribuzione o un reddito imponibile a fini fiscali
[5].
Specificamente, deve essere riconosciuta natura tributaria a tutte quelle prestazioni che non trovino giustificazione o in una finalità punitiva perseguita dal soggetto pubblico, o in un rapporto sinallagmatico tra la prestazione stessa ed il beneficio che il singolo riceve
[6].
Per quanto concerne, invece, le entrate patrimoniali non aventi natura tributaria
[7], l'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), fondazione istituita dall'Anci, nel constatare che l'ambito di applicazione dell'art. 24, D.L. n. 133/2014, si riferisce, appunto, esplicitamente al campo dei tributi comunali, per cui non sembrano potersi ricondurre al suo ambito applicativo anche le entrate patrimoniali non tributarie, ha osservato, però, che istituti analoghi possono comunque essere attivati per tali entrate non tributarie, in relazione alle quali l'ente locale può ancora più flessibilmente disporre modalità alternative di adempimento anche sotto il profilo dei pagamenti.
Un tanto l'ente potrà disporre nell'ambito della disciplina regolamentare generale delle proprie entrate (art. 52, D.Lgs. n. 446/1997
[8]), e avvalendosi della facoltà riconosciutagli dall'art. 1197 cod. civ., secondo cui 'il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta' [9].
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[1] D.L. 12.09.2014, n. 133, recante: 'Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive', convertito, con modificazioni, dalla L. n. 164/2014.
[2] Il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha chiarito che l'individuazione delle attività 'in ragione dell'esercizio sussidiario', è da intendersi, secondo ragionevolezza, nel senso fatto palese dall'art. 118, Cost., laddove ci si riferisce solo ad attività di interesse generale (deliberazione n. 5, del 23.02.2015).
[3] L'IFEL (Istituto per la finanza e l'economia locale, fondazione istituita dall'ANCI), ha precisato che l'attività cui collegare le agevolazioni non può essere individuata liberamente dal comune, ma deve essere riconducibile alle tipologie di attività elencate dalla norma, nel rispetto del principio della riserva di legge, ex art. 23 della Costituzione (nota del 16.10.2015).
[4] Deliberazione n. 5/2015, cit..
[5] C. Cost., 12.01.1995, n. 2, con specifico riferimento alla natura tributaria del contributo per il Servizio sanitario nazionale, specificamente finalizzato al finanziamento della spesa pubblica sanitaria. La pronuncia è richiamata da Cass. civ., sez. un., Ordinanza 09.01.2007, n. 123. Conformi: Corte Costituzionale 10.02.1982, n. 26, Corte Costituzionale, 14.03.2008, n. 64; Corte Costituzionale, 11.02.2005, n. 73, tutte nel senso di qualificare il tributo come una prestazione patrimoniale imposta e collegata alla spesa pubblica.
[6] Cass. civ., Ordinanza 11.02.2008, n. 3171, che afferma la natura tributaria del contributo per il Servizio sanitario nazionale, in quanto trova applicazione a prescindere dall'an e dal quantum dei servizi (e della natura degli stessi) richiesti; e non ha un rapporto sinallagmatico con l'utilizzazione del Servizio.
[7] In particolare, per le entrate cui il Comune vorrebbe estendere l'applicazione dell'art. 24, D.L. n. 133/2014 (retta mensa, tariffa scuolabus), si osserva che sussiste un nesso di sinallagmaticità (che, alla luce delle elaborazioni giurisprudenziali riportate, non appartiene ai tributi) tra la retta per la mensa e la fruizione del relativo servizio, come emerge dalle considerazioni della Suprema Corte che, relativamente al servizio di mensa nella scuola materna, ha escluso una contribuzione, se pur ridotta, per gli utenti che avevano dichiarato di non voler mai usufruire della mensa, per il solo fatto di frequentare la scuola, che invece non deve comportare alcun onere economico a loro carico (Cass. civ., Sez. un., 04.12.1991, n. 13030). Lo stesso, appare configurarsi un nesso sinallagmatico tra la prestazione economica della tariffa scuolabus e l'utilizzazione del relativo servizio di trasporto scolastico.
[8] L'art. 52, D.Lgs. n. 446/1997 (Potestà regolamentare generale delle province e dei comuni), riconosce ai Comuni e alle Province il potere di disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie.
Su questo punto, cfr. Anci, nota del 15.09.2015. L'Associazione, nel rispondere ad un quesito sulla portata applicativa dell'art. 24, D.L. n. 133/2014, in particolare sulla possibilità di prevedere, con regolamento comunale, anche riduzioni o esenzioni di canoni e di tariffe comunali, ha affermato la possibilità per il comune, nell'esercizio della potestà regolamentare prevista dall'art. 52, D.Lgs. n. 446/1997, di disporre ulteriori esenzioni ed agevolazioni, in materia di entrate e tributi.
[9] Cfr. nota Anci del 26.10.2015
(03.12.2015 -
link a www.regione.fvg.it).

novembre 2015

TRIBUTI: Le tipologie di interpello.
DOMANDA:
Il D.Lgs. n. 156/2015, modificando l'art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, individua cinque tipologie di interpello: ordinario, qualificatorio, probatorio, anti abuso e disapplicativo disponendo che gli enti locali devono provvedere entro il 01.07.2016 ad adeguare i propri regolamenti.
Si chiede cortesemente di sapere: a) se le tipologie di interpello probatorio, anti abuso e disapplicativo riguardano anche i tributi comunali o solo i tributi erariali; b) se il termine per l'adeguamento del regolamento comunale per la disciplina delle entrate (contenente anche la disciplina dell'interpello) è effettivamente il 01.07.2016 oppure se si deve provvedere entro il termine di approvazione del bilancio comunale (termine, quest'ultimo, da rispettare per l'adeguamento dei regolamenti tributari).
RISPOSTA:
Il nuovo articolo 11 dello Statuto del contribuente razionalizza le tipologie di interpello esistenti, sistematizzandole e raggruppandole in diverse categorie, di cui sono definiti esplicitamente i presupposti applicativi:
• interpello “ordinario” e “qualificatorio” (articolo 11, comma 1, lettera a)
• interpello “probatorio” (articolo 11, comma 1, lettera b)
• interpello “anti abuso” (articolo 11, comma 1, lettera c),
• interpello “disapplicativo” (articolo 11, comma 2).
L’interpello ordinario ricalca quello già disciplinato dal vecchio testo dell’articolo 11, trattandosi di una richiesta volta a ottenere un parere quando sussistano obiettive condizioni di incertezza sull’interpretazione delle disposizioni tributarie, in relazione alla loro applicazione a casi concreti e personali. A questo modello generale, il legislatore delegato, sempre nel punto a), ha affiancato l’interpello “qualificatorio” in cui l’istanza del contribuente riguarda la corretta qualificazione della fattispecie quando, comunque, sussistono obiettive condizioni di incertezza alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime.
La seconda tipologia menzionata dal nuovo comma 1 dell’articolo 11 è definita dallo stesso legislatore interpello probatorio e si sostanzia in una richiesta tesa a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell’accesso a un determinato regime fiscale, azionabile, tuttavia, solo nei casi espressamente previsti (quelli, appunto, contenenti l’esplicito richiamo all’interpello di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 11).
In verità, non si tratta di una forma di interpello nuova, ma di una categoria ampia che ricomprende e abbraccia, sotto il cappello della formula utilizzata, tante figure già previste dal sistema, che vengono, in questo modo, ricondotte a unità. In questa categoria sono ricomprese ipotesi molto eterogenee, tra cui alcune a oggi classificate tra gli interpelli obbligatori, degradati perciò solo a facoltativi. Un’altra categoria di interpelli facoltativi è l’interpello anti-abuso -destinato ad assorbire le principali fattispecie ricomprese nel capo di applicazione dell’interpello antielusivo di cui all’articolo 21 della legge 413/1991- che costituisce il nuovo strumento attraverso il quale il contribuente può chiedere all’amministrazione se le operazioni che intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto, ai sensi del nuovo articolo 10-bis dello Statuto.
Il comma 2 dell’art. 11 prevede, altresì, l’interpello “disapplicativo”: mutuato dall’art. 37-bis, co. 8, del DPR n. 600/1973, consente al contribuente di richiedere un parere all’Amministrazione in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo.
In questo caso, laddove l’Agenzia fornisca una risposta negativa all’istanza, il contribuente può fornire la dimostrazione della spettanza della disapplicazione delle norme anche nelle successive fasi dell’accertamento e del contenzioso. In conclusione, ad un primo esame, sembrano applicabili ai tributi locali esclusivamente gli interpelli ordinari e qualificatori; le altre tipologie sembrano applicabili soltanto ai tributi erariali.
In merito, si attende comunque una circolare dell’Agenzia delle Entrate. L’adeguamento dei regolamenti comunali relativamente agli interpelli potrà essere effettuato entro il 01.07.2016; la data di approvazione del bilancio, infatti, riguarda soltanto quelle modifiche suscettibili di incidere sul bilancio stesso e, pertanto, tale limitazione non si applica al caso in esame (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

TRIBUTI: La pubblicità abusiva.
DOMANDA:
E' vero che se rileviamo un cartello o un'insegna abusiva (in assenza di autorizzazione, ovvero scaduta) e spesso anche non in regola con il tributo, non dovremmo emettere avvisi di accertamento, in quanto sono i vigili ad elevare contravvenzione ai sensi del Codice della Strada?
La motivazione sarebbe che una volta pagato il tributo, se si dovesse andare davanti al Giudice, si perderebbe la causa. La domanda è: ma allora non può mai esistere una avviso di accertamento per mancata dichiarazione di inizio pubblicità?
E tutto il tempo, magari anni, di esposizione abusiva viene risolto solo con la contravvenzione dei vigili?
RISPOSTA:
Quanto riportato nel quesito, senza alcun riferimento normativo o giurisprudenziale è incomprensibile. L’applicazione della normativa tributaria è completamente autonoma nei confronti dell’applicazione delle norme di legge e di regolamento riguardo la mancanza di autorizzazione all’installazione dell’impianto pubblicitario (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTIGestori tlc tassati. Imu/Ici sui ripetitori di telefonia. La Cassazione sulla classificazione degli immobili.
I ripetitori di telefonia mobile di cui sono titolari i vari gestori telefonici (Vodafone, Telecom) sono soggetti al pagamento dell'Ici, e anche dell'Imu, in quanto infissi al suolo in maniera stabile e, quindi, sono da considerare a tutti gli effetti dei fabbricati. Vanno, infatti, inquadrati catastalmente nella categoria «D» e non nella categoria «E», come immobili esenti.

Lo ha affermato la
Corte di Cassazione -Sez. V civile- con la sentenza 25.11.2015 n. 24026.
Secondo la Cassazione, i ripetitori di telefonia mobile devono essere classificati nella categoria «D», «in quanto trattasi di struttura stabilmente infissa al suolo, recintata, all'interno della quale è stato installato, su platea di calcestruzzo, un traliccio cui sono state fissate le antenne».
Questi immobili devono essere accatastati come previsto dall'articolo 4 del rdl 652/1939. Tra l'altro, precisano i giudici, la classificazione catastale nella categoria «D» è prevista dalla circolare dell'Agenzia del territorio n. 4/2006, che non fa riferimento solo alle centrali eoliche, ma vale anche per i «ripetitori e impianti similari».
Nello specifico, la circolare pone in rilievo che: «Rilevante importanza hanno assunto nel tempo anche le costruzioni tese a ospitare impianti industriali mirati alla trasmissione o all'amplificazione dei segnali destinati alla trasmissione (via cavo o etere)... la categoria da attribuire agli immobili che le ospitano è da individuare nel gruppo D... Tra le diverse tipologie dei manufatti in esame ha registrato negli ultimi anni una significativa diffusione sul territorio quella destinata a ospitare gli impianti per la diffusione della telefonia mobile...».
La classificazione catastale. L'articolo 4 del rdl 652/39, richiamato nella pronuncia in esame, definisce immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costruiti, stabilmente assicurati al suolo. I ripetitori di telefonia mobile, come gli impianti eolici, sono degli opifici e devono essere iscritti in catasto nella categoria D/1.
L'Agenzia del territorio ha precisato la categoria catastale che deve essere attribuita a questi impianti e ha fornito i chiarimenti necessari sulla disciplina che deve essere osservata dagli uffici provinciali per determinare la rendita. La qualificazione della tipologia di immobili e la relativa rendita assumono rilevanza ai fini fiscali.
Il provvedimento catastale costituisce il parametro di riferimento per la determinazione dell'Ici e dell'Imu. Per quanto concerne gli impianti eolici, l'Agenzia ha affermato che rilevano le finalità cui sono destinati questi immobili e il fatto che Stato, Regioni e Unione europea ne incentivino la costruzione. Il classamento è indipendente «da ogni vincolo amministrativo o legislativo non dettante disposizioni in materia di catasto».
Al riguardo, vanno invece richiamate le norme (rdl 652/1939, dpr 1142/1949, dm 28/1998) che forniscono la nozione di unità immobiliare urbana e di rendita catastale. Sono considerate unità immobiliari le costruzioni ancorate o fisse al suolo, di qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purché risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali. La stessa natura hanno i manufatti prefabbricati, anche se solo appoggiati al suolo, qualora gli stessi siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale.
L'obbligo di accatastamento è stato ribadito dall'art. 1-quinquies del decreto legge 44/2005, convertito nella legge 88/2005, di interpretazione autentica del citato articolo 4, il quale ha stabilito che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Strutture e impianti, che sono tra di loro connessi e unificati da un nesso funzionale in vista della destinazione a una determinata utilizzazione produttiva, rientrano nel novero degli «opifici» e devono essere classificati catastalmente nella categoria D.
Nella stessa categoria catastale rientrano anche le centrali elettriche. Non a caso l'Agenzia del territorio, con la risoluzione 3/2008, ha chiarito che «le centrali elettriche a pannelli fotovoltaici devono essere accertate nella categoria «D/1 - opifici» e che nella determinazione della relativa rendita catastale devono essere inclusi i pannelli fotovoltaici, in analogia con la prassi, ormai consolidata, adottata in merito alle turbine delle centrali elettriche».
Anche la giurisprudenza ha sostenuto che questi impianti siano soggetti a imposizione (Corte di cassazione, sentenze 13319/2006 e 4030/2012; commissione tributaria regionale del Lazio, sezione XX, sentenza 48/2004; Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione XXVII, sentenza 214/2008).
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Gruppo D, conti fino ad accatastamento.
Nella disciplina Ici e Imu è previsto che per i fabbricati iscritti in catasto il valore dell'immobile si ottiene facendo riferimento all'ammontare delle rendite, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione.
Per i fabbricati interamente posseduti da imprese, classificabili nel gruppo catastale D, distintamente contabilizzati, qualora gli stessi siano sforniti di rendita catastale, la base imponibile Ici è costituita dai costi di acquisizione e incrementativi contabilizzati, ai quali vanno applicati dei coefficienti stabiliti annualmente con decreto del Ministro delle finanze.
Il valore dell'immobile, così determinato, può essere utilizzato fino alla fine dell'anno d'imposta nel corso del quale viene attribuita la rendita catastale oppure viene annotata al catasto la rendita proposta, con l'osservanza della procedura prevista nel decreto del ministro delle Finanze 701/1994.
Il valore, ai fini dell'applicazione dell'Ici e dell'Imu, è determinato sulla base delle scritture contabili fino a quando viene presentata istanza di accatastamento. Solo dall'anno successivo alla presentazione della suddetta istanza, il valore del fabbricato deve essere determinato non più con riguardo ai costi contabilizzati bensì in base al valore catastale. Pertanto l'imprenditore, proprietario del fabbricato di categoria D, è tenuto ad applicare il regime del valore contabile fino alla richiesta di accatastamento.
Naturalmente, il Comune ha il potere-dovere di accertare l'impresa titolare dei fabbricati iscritti nella categoria «D», per i quali non è stato pagato il tributo, determinando il quantum dovuto in base alle regole sopra citate, previste dall'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 504/1992 (articolo ItaliaOggi Sette del 14.12.2015).

TRIBUTI: D.Lgs. 30.12.1992, n. 504, art. 9. Spettanza di agevolazioni ICI a coadiuvanti agricoli.
Come rilevato dalla giurisprudenza, in tema di imposta comunale sugli immobili, la riduzione per i terreni agricoli disposta dall'art. 9 del D.Lgs. 504/1992 è condizionata dalla ricorrenza dei requisiti della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale (così come definiti dall'art. 58, comma 2, del D.Lgs. 446/1997) e della conduzione diretta dei terreni.
Ne consegue che, mentre l'iscrizione all'INPS (gestione ex SCAU) è idonea a provare, al contempo, la sussistenza dei primi due requisiti, il terzo requisito, relativo alla conduzione diretta dei terreni, va provato in via autonoma.

Il Comune chiede un parere con riferimento al riconoscimento delle agevolazioni ICI di cui all'art. 9 del decreto legislativo 30.12.1992, n. 504
[1], anche a coadiuvanti agricoli. Specifica l'Ente che il soggetto interessato è iscritto all'INPS in capo al nucleo del coltivatore diretto, che lo stesso non conduce direttamente i terreni (che sono condotti dal coltivatore) e che non dichiara redditi agrari ma solo dominicali.
Atteso che non rientra nella competenza di questo Servizio l'interpretazione di normativa statale in materia tributaria, si suggerisce all'Ente di rivolgersi direttamente all'Agenzia delle entrate competente per territorio al fine di acquisire i necessari chiarimenti.
Peraltro, in via meramente collaborativa, si formulano alcune osservazioni con riferimento alla fattispecie prospettata.
L'art. 9 del D.Lgs. 504/1992 stabilisce una riduzione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) per i terreni agricoli condotti direttamente, e a tal fine individua sia la franchigia che le percentuali di riduzione in base al valore dei terreni. Tale riduzione è riconosciuta a condizione che i terreni siano posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale.
La norma è stata integrata dall'art. 58, comma 2, del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446
[2], il quale ha chiarito che, ai fini della riduzione in argomento, 'si considerano coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dall'articolo 11 della legge 09.01.1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell'assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia (...).'
Pertanto, come rilevato dalla giurisprudenza
[3], in tema di imposta comunale sugli immobili, la riduzione per i terreni agricoli disposta dall'art. 9 del D.Lgs. 504/1992 è condizionata dalla ricorrenza dei requisiti della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale (così come definiti dall'art. 58, comma 2, del D.Lgs. 446/1997) e dalla conduzione diretta dei terreni.
Ne consegue che, mentre l'iscrizione agli elenchi comunali di cui alla L. 9/1963
[4] è idonea a provare, al contempo, la sussistenza dei primi due requisiti (atteso che chi viene iscritto in quell'elenco svolge normalmente a titolo principale quell'attività legata all'agricoltura), il terzo requisito, relativo alla conduzione diretta dei terreni, va provato in via autonoma 'potendo ben accadere che un soggetto iscritto nel detto elenco poi non conduca direttamente il fondo per il quale chiede l'agevolazione, la quale, pertanto, non compete'. [5]
Stando alle informazioni fornite dall'Ente instante, il coadiuvante agricolo de quo non conduce direttamente i terreni.
Parrebbe quindi potersi ritenere che allo stesso, carente del presupposto essenziale della conduzione diretta, non spetti la riduzione ex art. 9, anche a prescindere dalla verifica della sussistenza degli altri requisiti stabiliti dalla norma.
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[1] 'Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23.10.1992, n. 421.'
[2] 'Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali.'
[3] Cassazione civile, sez. trib., Sentenze n. 15551 del 30.06.2010, n. 9143 del 16.04.2010, n. 214 del 07.01.2005.
[4] La compilazione degli elenchi comunali avveniva, fino al 30.06.1995, ad opera del Servizio per i contributi agricoli unificati (SCAU). A far data dal 01.07.1995 il Servizio SCAU è stato soppresso e le sue funzioni trasferite all'INPS, per effetto dell'art. 19 della legge 23.12.1994, n. 724.
Inoltre, si osserva che l'iscrizione alla assicurazione generale obbligatoria da parte del coltivatore diretto può essere estesa da questi al proprio nucleo familiare, comprendendo parenti e affini fino al 4° grado, sulla base di requisiti oggettivi e soggettivi determinati dalla normativa vigente.
[5] Cassazione civile, Sent. 1551/2015 cit.
(17.11.2015 -
link a www.regione.fvg.it).

ottobre 2015

TRIBUTI: Online il nuovo portale della giustizia tributaria.
Dal calcolo del contributo unificato dovuto sul ricorso alla prenotazione degli appuntamenti con la commissione tributaria, dalla modulistica per richiedere copia delle sentenze o il certificato di pendenza all'elenco dei soggetti autorizzati alla difesa del contribuente presso Ctp e Ctr.

È online il nuovo portale della giustizia tributaria, realizzato dal Dipartimento delle finanze del Mef. Il sito, i cui contenuti e l'erogazione dei servizi sono curati dalla Direzione giustizia tributaria, svolgerà anche la funzione di punto unico di accesso al processo tributario telematico, in partenza dal prossimo 1° dicembre in via sperimentale nelle commissioni della Toscana e dell'Umbria.
Attraverso l'indirizzo web http://giustiziatributaria.gov.it contribuenti ed enti impositori potranno effettuare online il deposito dei ricorsi e degli atti processuali, come pure accedere al fascicolo informatico del processo e consultare tutti gli atti e i provvedimenti emanati dal giudice. Strumenti necessari per poter fruire dei servizi del processo tributario telematico sono il possesso di una casella di posta elettronica certificata e di una firma digitale valida.
Il sito contiene anche una sezione specifica dedicata alla rassegna di giurisprudenza tributaria. Ed è proprio su questo tema che, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, a poche ore dal «lancio» del portale alcuni giudici hanno sollevato qualche perplessità, relativa ai criteri di selezione delle sentenze da parte del Mef.
Come spiegato dalla Direzione giustizia tributaria sul sito, tuttavia, la panoramica sulle massime «si propone di offrire risalto ad alcune delle più interessanti pronunce segnalate dalle commissioni tributarie», senza quindi privilegiare né quelle pro-fisco né quelle pro-contribuente e in maniera più tempestiva che in passato (l'aggiornamento avverrà ogni 15 giorni).
Il portale sarà utilizzabile anche dai magistrati tributari, che potranno fruire di diversi servizi personalizzati accessibili dalla «scrivania del giudice», tra cui la ricerca delle sentenze delle commissioni tributarie e la consultazione del fascicolo processuale telematico (articolo ItaliaOggi del 29.10.2015).

TRIBUTI: Baratto amministrativo soltanto con l'inerenza.
Deliberazioni di riduzione o di esenzione di tributi «inerenti il tipo di attività posta in essere». In cambio di lavori fatti in tali ambiti di attività.

Con nota di approfondimento del 16.10.2015 (si veda ItaliaOggi del 20 ottobre scorso), l'Ifel fornisce chiarimenti per il corretto inquadramento del baratto amministrativo e per la sua applicazione ai tributi locali. Beneficiari del baratto amministrativo potranno essere individuati in cittadini singoli o associati. Si privilegeranno le «Comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute».
L'Istituto per la finanza e l'economia locale ritiene che la riduzione o l'esenzione potrà essere concessa con riguardo alle obbligazioni tributarie di cui è soggetto passivo l'associazione stessa. Altro aspetto delicato afferisce il perimetro d'intervento.
A parere dell'Ifel, l'intervento dei cittadini dovrà riguardare un territorio da qualificare ed essere alternativo e sostitutivo rispetto a quello del comune. A fronte dell'intervento dei cittadini, il comune potrà disporre deliberazioni di riduzione o esenzione di tributi «inerenti al tipo di attività posta in essere».
La ratio sottesa alla norma consente di collegare la delibera di agevolazione al tributo di riferimento anche se in apparenza non direttamente ricollegabile al tipo di attività posta in essere. Il concetto di «inerenza» del tributo per cui si prevede l'agevolazione all'attività svolta dai cittadini (singoli o associati), dovrà essere valutato in sede di predisposizione della delibera di agevolazione ed ispirato a criteri di ragionevolezza e corrispondenza tra beneficio reso ed agevolazione concessa.
L'Ifel ritiene opportuno basare la quantificazione economica dell'agevolazione secondo politiche ispirate a responsabilità e ragionevolezza del trattamento agevolativo, specificando che il riconoscimento dell'agevolazione non deve essere solo «legittimo» ma anche «controllabile».
Da ultimo, l'Istituto tiene a precisare che non appare coerente con la ratio della norma la possibilità di prevedere riduzioni o esenzioni anche con riferimento ad eventuali debiti tributari del contribuente. La ragione è da ritrovare nei principi di indisponibilità ed irrinunciabilità al credito tributario cui soggiacciono tutte le entrate tributarie comunali (articolo ItaliaOggi Sette del 26.10.2015).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: In materia di cartelloni pubblicitari posti sul muro di recinzione del campo sportivo comunale.
Ogni qualvolta venga in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo della pubblica amministrazione, avente per oggetto un bene pubblico (demaniale o patrimoniale indisponibile) e contestato dal privato, la controversia è devoluta senza dubbio al giudice amministrativo.
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La realizzazione o l’installazione di qualsiasi manufatto sul suolo pubblico è consentita solo se è preventivamente rilasciato un atto concessorio.
Infatti,
da un lato occorre il consenso dell’Amministrazione titolare del bene, perché vi sia una tale realizzazione o installazione, dall’altro vi è una costante e plurisecolare tradizione giuridica (corroborata da un costante quadro normativo e giurisprudenziale), per il quale qualsiasi atto dell’Amministrazione –di gestione di un proprio bene pubblico, demaniale o patrimoniale indisponibile– ha natura pubblicistica e provvedimentale.
Sul punto, il Collegio osserva che:
- per una indiscussa giurisprudenza,
il «campo sportivo» di cui è titolare il Comune –comunque sia denominato e qualsiasi consistenza abbia- ha natura di bene patrimoniale indisponibile (mirando al soddisfacimento di interessi della collettività locale);
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la regola della necessità del rilascio di una concessione –perché vi sia un qualsiasi manufatto incidente sullo stato dei luoghi– si applica pure quando si tratti della collocazione di cartelli pubblicitari (la cui disciplina non è regolata soltanto alle disposizioni del codice della strada, ma anche dagli artt. 3 e 12, del d.lgs. n. 507 del 1993), per effettuare la quale non è sufficiente la presentazione della relativa domanda, dovendosi, al riguardo, pienamente esplicare da parte dell'Amministrazione un'attività valutativa e discrezionale, che si manifesta con atti incidenti su posizioni di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo;
- specularmente,
anche l'esercizio del potere di ritiro dell’atto di natura concessoria –e che dispone la rimozione di cartelloni pubblicitari- attiene a posizioni di interesse legittimo.
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Il Comune ha comunicato alla società appellata che intendeva ritornare in possesso degli spazi occupati dai cartelli pubblicitari e dai pannelli luminosi, la cui installazione era stata autorizzata con precedenti provvedimenti, ed ha richiesto, ai sensi degli artt. 1809 e 1810 del c.c., alla società «la restituzione dell'area con la contestuale rimozione degli impianti», entro un fissato termine, perché non risultava alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree.
Non è fondata, sotto tale aspetto, la tesi difensiva della società, per la quale a suo tempo vi era stato un contratto di «comodato»:
un tale contratto non può essere giuridicamente posto in essere quando si tratti di un bene pubblico, rispetto al quale –al più– può esservi il rilascio di una concessione a titolo gratuito (la quale, peraltro, a sua volta è configurabile solo quando la concessione sia espressamente rilasciata a tale titolo e purché –beninteso– un tale rilascio sia consentito da una norma giuridica e sussistano i relativi presupposti, dovendosi comunque applicare altrimenti il principio per cui l’Amministrazione deve poter ottenere un corrispettivo per l’utilizzo di un proprio bene).
Nella specie,
la richiesta di restituzione dell’area occupata dagli impianti dei quali è stata ordinata la rimozione con atto di natura autoritativa è da considerarsi la dovuta conseguenza dell’emanazione dell’ordine di rimozione e, in quanto con esso inscindibilmente connessa, risulta essa stessa espressione del potere autoritativo del Comune, sicché va rilevata la sussistenza della giurisdizione amministrativa (per di più esclusiva, ai sensi dell’art. 133 del c.p.a.), circa il provvedimento inerente alla gestione del bene pubblico.
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Parallelamente al canone dovuto ex art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997 per l'installazione di cartelloni e di insegne pubblicitarie, l'art. 7 del d.lgs. n. 507 del 1993 ha previsto la debenza di una imposta, determinata in base alla superficie della minima figura piana geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario, per la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile, al cui pagamento, ai sensi del precedente art. 6, è tenuto il soggetto che dispone a qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso.

L’avvenuto pagamento dell’imposta sulla pubblicità da parte della società appellata non può quindi rilevare come titolo per l’occupazione del muro di cinta dello stadio su cui erano situati gli impianti pubblicitari, che ha reso la società adempiente dei soli obblighi previsti dal d.lgs. n. 507 del 1993 per l’esposizione dei cartelli pubblicitari, ma ha fatto salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ed il pagamento di canoni di locazione o di concessione.
In caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in detenzione, l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude infatti quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell'art. 9, comma 7, del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto l'imposta comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge dal confronto fra gli art. 5 e 38 del d.lgs. citato, che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell'area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e, quindi, all'uso generalizzato.
Deve consequenzialmente rilevarsi l’infondatezza della tesi posta a base dell’impugnata sentenza, secondo cui le autorizzazioni alla affissione degli impianti in questione potessero interpretarsi come titoli abilitanti anche all’uso anche del muro di cinta.
E comunque
il fatto che il Comune non abbia richiesto preventivamente alcun corrispettivo per l’uso del muro suddetto non dimostra che esso abbia interpretato le anzidette autorizzazioni come comprensive della fruizione del muro stesso (né il Comune avrebbe potuto dare una tale interpretazione, non potendo l’Amministrazione rinunciare a percepire quanto spettante).
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Spettano alla giurisdizione del giudice ordinario non solo le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) ma anche quelle relative a qualsivoglia altra tipologia di canone che l'Ente locale potrebbe pretendere per la concessione di spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari
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In particolare è stato ritenuto dalla giurisprudenza formatasi in materia in tema di giurisdizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie aventi ad oggetto la debenza del canone previsto per l'installazione di mezzi pubblicitari, dall'art. 62 d.lgs. n. 446 del 1997, che costituisce una mera variante dell'imposta comunale sulla pubblicità di cui al d.lgs. n. 507 del 1993 e conserva, quindi, la qualifica di tributo propria di quest'ultima, mentre spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative al canone per la concessione di spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari.
Posto quindi che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo al riguardo solo in materia di impugnazione di delibere comunali di determinazione delle tariffe relative agli impianti pubblicitari,
va ritenuto che sulla domanda riconvenzionale dedotta in giudizio, volta ad ottenere la condanna della società di cui trattasi ad indennizzare il Comune della diminuzione patrimoniale subita, consistente nel mancato introito del canone per l’uso degli spazi in questione, deve dichiarasi il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo competente riguardo alla pretesa in esame il giudice ordinario.

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1.- Il Responsabile dell'Ufficio Economico Finanziario del Comune di Ponte San Pietro, con nota prot. 8970 del 10.04.2002, ha comunicato alla s.p.a. IGPDECAUX Affissioni che intendeva ritornare in possesso degli spazi occupati da tre cartelli pubblicitari e da tre pannelli luminosi siti nel Comune, alla via Trento e Trieste, la cui installazione era stata autorizzata con atti prot. 5597 del 13.07.1982, prot. 6942 del 04.12.1987 e prot. 3033 del 19.04.1991, ed ha richiesto, ai sensi degli artt. 1809 e 1810 del c.c., alla società «la restituzione dell'area con la contestuale rimozione degli impianti» (concedendo per l’incombente un termine di tre mesi), dal momento che non risultava alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree, assegnate in comodato (come sarebbe stato comprovato dalla circostanza che non risultavano pagamenti a favore del Comune per l’utilizzo dello spazio in questione).
2.- La società ha proposto il ricorso di primo grado, chiedendo l’annullamento di tale provvedimento e per il risarcimento del danno al TAR Lombardia, sezione di Brescia, che, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del Comune ed ha accolto il ricorso, ritenendo che il Comune, non avendo chiesto alcun corrispettivo per l’uso del bene nel periodo dall’anno 1982 all’anno 2002, aveva dimostrato di avere costantemente interpretato le autorizzazioni all’affissione dei cartelli pubblicitari come comprensive della fruizione del muro di cinta del campo sportivo comunale.
Il TAR ha inoltre respinto la domanda riconvenzionale, proposta dal Comune.
3.- Con il ricorso in appello in esame, il Comune di Ponte San Pietro ha chiesto la riforma della sentenza del TAR, deducendo i seguenti motivi: ...
...
9.1.- Osserva la Sezione che, al fine di accertare se con il provvedimento impugnato il Comune abbia inteso esercitare prerogative di natura privata o pubblica, va innanzi tutto rilevato che l'art. 133, comma 1, lett. b), del c.p.a., nell'elencare le materie oggetto giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sottrae alla sua cognizione esclusivamente le controversie concernenti «indennità, canoni ed altri corrispettivi» e quelle attribuite ai Tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche; di conseguenza (posto che appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie di natura meramente patrimoniale),
ogni qualvolta venga in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo della pubblica amministrazione, avente per oggetto un bene pubblico (demaniale o patrimoniale indisponibile) e contestato dal privato, la controversia è devoluta senza dubbio al giudice amministrativo.
Ciò posto, va osservato che
la realizzazione o l’installazione di qualsiasi manufatto sul suolo pubblico è consentita solo se è preventivamente rilasciato un atto concessorio.
Infatti,
da un lato occorre il consenso dell’Amministrazione titolare del bene, perché vi sia una tale realizzazione o installazione, dall’altro vi è una costante e plurisecolare tradizione giuridica (corroborata da un costante quadro normativo e giurisprudenziale), per il quale qualsiasi atto dell’Amministrazione –di gestione di un proprio bene pubblico, demaniale o patrimoniale indisponibile– ha natura pubblicistica e provvedimentale.
Sul punto, il Collegio osserva che:
- per una indiscussa giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 04.11.1994, n. 1257),
il «campo sportivo» di cui è titolare il Comune –comunque sia denominato e qualsiasi consistenza abbia- ha natura di bene patrimoniale indisponibile (mirando al soddisfacimento di interessi della collettività locale);
-
la regola della necessità del rilascio di una concessione –perché vi sia un qualsiasi manufatto incidente sullo stato dei luoghi– si applica pure quando si tratti della collocazione di cartelli pubblicitari (la cui disciplina non è regolata soltanto alle disposizioni del codice della strada, ma anche dagli artt. 3 e 12, del d.lgs. n. 507 del 1993), per effettuare la quale non è sufficiente la presentazione della relativa domanda, dovendosi, al riguardo, pienamente esplicare da parte dell'Amministrazione un'attività valutativa e discrezionale, che si manifesta con atti incidenti su posizioni di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo;
- specularmente,
anche l'esercizio del potere di ritiro dell’atto di natura concessoria –e che dispone la rimozione di cartelloni pubblicitari- attiene a posizioni di interesse legittimo (Cons. Stato, sez. V, 17.06.2015, n. 3066).
Non rileva invece esaminare quale sia l’ambito di applicazione dell’art. 23, comma 11, del codice della strada, che riguarda lo specifico caso di opposizione alla sanzione amministrativa e alla conseguente misura della rimozione di un impianto abusivo (e che non è suscettibile di applicazione analogica, risultando una norma eccezionale, di deroga al principio attualmente sancito dall’art. 7 del codice del processo amministrativo, per il quale i provvedimenti espressione di un potere pubblicistico sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo).
Nel caso di specie con l’atto impugnato il Comune ha comunicato alla società appellata che intendeva ritornare in possesso degli spazi occupati dai cartelli pubblicitari e dai pannelli luminosi, la cui installazione era stata autorizzata con precedenti provvedimenti, ed ha richiesto, ai sensi degli artt. 1809 e 1810 del c.c., alla società «la restituzione dell'area con la contestuale rimozione degli impianti», entro un fissato termine, perché non risultava alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree.
Non è fondata, sotto tale aspetto, la tesi difensiva della società, per la quale a suo tempo vi era stato un contratto di «comodato»:
un tale contratto non può essere giuridicamente posto in essere quando si tratti di un bene pubblico, rispetto al quale –al più– può esservi il rilascio di una concessione a titolo gratuito (la quale, peraltro, a sua volta è configurabile solo quando la concessione sia espressamente rilasciata a tale titolo e purché –beninteso– un tale rilascio sia consentito da una norma giuridica e sussistano i relativi presupposti, dovendosi comunque applicare altrimenti il principio per cui l’Amministrazione deve poter ottenere un corrispettivo per l’utilizzo di un proprio bene).
Nella specie,
la richiesta di restituzione dell’area occupata dagli impianti dei quali è stata ordinata la rimozione con atto di natura autoritativa è da considerarsi la dovuta conseguenza dell’emanazione dell’ordine di rimozione e, in quanto con esso inscindibilmente connessa, risulta essa stessa espressione del potere autoritativo del Comune, sicché va rilevata la sussistenza della giurisdizione amministrativa (per di più esclusiva, ai sensi dell’art. 133 del c.p.a.), circa il provvedimento inerente alla gestione del bene pubblico.
Va respinto dunque il primo motivo d’appello.
10.- Con il secondo motivo di gravame, il Comune ha lamentato l’erroneità della sentenza appellata, nella parte in cui essa ha argomentato nel senso che le autorizzazioni a suo tempo rilasciate erano titoli idonei ad escludere la natura abusiva delle affissioni, come risulterebbe anche dal fatto che non è stato chiesto alcun corrispettivo per l’uso del muro di cinta del campo sportivo, per il periodo dall’anno 1982 all’anno 2002.
Ad avviso dell’appellante, il TAR avrebbe sovrapposto due piani da tenere invece distinti (cioè il profilo delle autorizzazioni amministrativa all’esposizione e alla diffusione di messaggi pubblicitari e quello della fruizione di aree e di immobili di proprietà pubblica, ma non destinati all’utilizzazione pubblica generalizzata) e non avrebbe tenuto conto dei principi riguardanti la necessità della forma scritta ad substantiam, quando si tratti di contratti con le pubbliche amministrazioni.
Inoltre, è dedotto che:
- l’area in questione, in quanto appartenente al patrimonio disponibile e quindi fruttifero, non sarebbe stata soggetta a concessione di suolo pubblico, dovendosi invece ritenere necessaria la stipula di un contratto, la cui mancanza evidenzierebbe la natura abusiva delle installazioni effettuate;
- contrariamente a quanto affermato dal TAR, il Comune non ha mai ‘autorizzato’ per facta concludentia la installazione;
- l’avvenuto pagamento della imposta sulla pubblicità (ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993) non rileva quale titolo per l’occupazione degli spazi in questione, risultando anche dovuta la tassa per l’occupazione di spazi e di aree pubbliche ovvero dei canoni di locazione o di concessione (ex art. 13, u.c., del medesimo d.lgs.), come previsto anche dall’art. 18 del Regolamento comunale per la pubblicità;
- il Comune fondatamente ha preteso il pagamento del corrispettivo per l’uso di fatto del bene.
10.1.- Ritiene la Sezione che il motivo è fondato, per la parte in cui ha dedotto l’infondatezza delle censure formulate in primo grado, avverso il provvedimento di autotutela.
Vanno previamente respinte le deduzioni con cui il Comune ha dedotto che per l’utilizzo del bene in questione sarebbe stata necessaria la stipula di un contratto: come si è sopra rilevato in sede di reiezione della deduzione per cui non sussisterebbe la giurisdizione amministrativa,
il provvedimento a suo tempo emesso va qualificato come concessione (di utilizzo) di un bene pubblico.
Quanto alla deduzione sulla spettanza di un corrispettivo per l’uso del bene, il collegio ritiene che, alle considerazioni sopra riportate, vadano aggiunte quelle dopo esposte in occasione dell’esame della domanda riconvenzionale, formulata dal Comune innanzi al TAR.
Risulta invece fondata la deduzione del Comune, secondo cui l’avvenuto pagamento della imposta sulla pubblicità dovrebbe far considerare insussistente il presupposto (l’occupazione senza titolo) che ha condotto all’emanazione dell’atto impugnato in primo grado.
L'art. 3, comma 149, lettera g), della legge n. 662 del 1996 ha attribuito ai Comuni la «facoltà, con regolamento, di escludere l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità», di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, e «di individuare le iniziative pubblicitarie che incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente prevedendo per le stesse un regime autorizzatorio e l'assoggettamento al pagamento di una tariffa», nonché la «possibilità di prevedere, con lo stesso regolamento, divieti, limitazioni e agevolazioni e di determinare la tariffa secondo criteri di ragionevolezza e di gradualità, tenendo conto della popolazione residente, della rilevanza dei flussi turistici presenti nel comune e delle caratteristiche urbanistiche delle diverse zone del territorio comunale».
L'art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997 disciplina l'attività regolamentare dei Comuni in materia di entrate proprie; il seguente art. 54 abilita il Comune a fissare le tariffe e i prezzi pubblici ai fini dell'approvazione del bilancio di previsione e il successivo art. 62 (riproducendo in sostanza la disposizione della l. n. 662 del 1996 sopra richiamata) affida ai Comuni il compito di disciplinare con proprio regolamento il nuovo regime autorizzatorio in materia di pubblicità con il pagamento di un canone in base a tariffa, facendo riferimento -per quel che riguarda la «individuazione della tipologia dei mezzi di effettuazione della pubblicità esterna che incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente»- alle disposizioni del codice della strada n. 285 del 1992 e del suo regolamento di attuazione (d.P.R. n. 495 del 1992); nella stessa disposizione è previsto che il regolamento debba disciplinare le «procedure per il rilascio e per il rinnovo dell'autorizzazione», indicare le «modalità di impiego dei mezzi pubblicitari», determinare la tariffa con criteri di ragionevolezza e gradualità in relazione agli indicati parametri, nonché che possa fissare «con carattere di generalità divieti, limitazioni e agevolazioni» (al comma 3); prevede infine (al comma 4) che il Comune procede alla rimozione dei mezzi pubblicitari privi di autorizzazione o installati in difformità da essa.
Parallelamente al canone dovuto ex art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997 per l'installazione di cartelloni e di insegne pubblicitarie, l'art. 7 del d.lgs. n. 507 del 1993 ha previsto la debenza di una imposta, determinata in base alla superficie della minima figura piana geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario, per la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile, al cui pagamento, ai sensi del precedente art. 6, è tenuto il soggetto che dispone a qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso.
L’avvenuto pagamento dell’imposta sulla pubblicità da parte della società appellata non può quindi rilevare come titolo per l’occupazione del muro di cinta dello stadio su cui erano situati gli impianti pubblicitari, che ha reso la società adempiente dei soli obblighi previsti dal d.lgs. n. 507 del 1993 per l’esposizione dei cartelli pubblicitari, ma ha fatto salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ed il pagamento di canoni di locazione o di concessione.
In caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in detenzione, l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude infatti quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell'art. 9, comma 7, del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto l'imposta comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge dal confronto fra gli art. 5 e 38 del d.lgs. citato, che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell'area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e, quindi, all'uso generalizzato (Cassazione civile, sez. trib., 27.07.2012, n. 13476).
Deve consequenzialmente rilevarsi l’infondatezza della tesi posta a base dell’impugnata sentenza, secondo cui le autorizzazioni alla affissione degli impianti in questione potessero interpretarsi come titoli abilitanti anche all’uso anche del muro di cinta.
E comunque
il fatto che il Comune non abbia richiesto preventivamente alcun corrispettivo per l’uso del muro suddetto non dimostra che esso abbia interpretato le anzidette autorizzazioni come comprensive della fruizione del muro stesso (né il Comune avrebbe potuto dare una tale interpretazione, non potendo l’Amministrazione rinunciare a percepire quanto spettante).
Deve in conclusione ritenersi la legittimità dell’ordine di restituzione dell'area con contestuale rimozione degli impianti.
10.2. Né, comunque, un titolo concessorio si sarebbe potuto ritenere sussistente anche nel caso di effettivo pagamento delle somme di cui il Comune lamenta la mancata corresponsione, poiché il pagamento di tali importi non sarebbe stato comunque equipollente al rilascio del necessario provvedimento espresso, abilitativo dell’uso dell’impianto.
10.3. Considerato che non sono state ritualmente riproposti nel giudizio di appello, entro il termine per la costituzione in giudizio, da parte della IGPDECAUX Affissioni s.p.a., i motivi di ricorso di primo grado dichiarati assorbiti dal primo giudice, nei limiti sopra esposti l’appello va accolto e va conseguentemente respinto il ricorso di primo grado introduttivo del giudizio, perché infondato.
11.- Con il terzo motivo d’appello, il Comune ha riproposto la domanda riconvenzionale respinta dal TAR, chiedendo, ai sensi dell’art. 2041 del codice civile, la condanna della società ad indennizzare il Comune della diminuzione patrimoniale subita, consistente nel mancato introito del canone per l’affitto degli spazi in questione ed ammontante, come risulta da una certificazione del responsabile del Settore finanziario del Comune del 03.04.2003, a circa € 1.277 per l’occupazione dello spazio con un cartello pubblicitario di dimensioni pari a mt. 6x3.
Tenuto conto che l’area in questione è stata occupata con sei cartelli pubblicitari di tali dimensioni, ad avviso del Comune il canone annuo da corrispondere all’Amministrazione ammonterebbe ad € 7.662, da moltiplicare per il numero di anni di occupazione abusiva, “allo stato” pari a 20, per una somma complessiva di € 153.240,00, oltre i relativi accessori.
Con una memoria depositata il 28.05.2015, il Comune ha quantificato l’importo dovuto dalla società in € 229.860,00, oltre a rivalutazione ed interessi a decorrere da ogni annualità.
11.1.- Al riguardo la società appellata ha eccepito l’inammissibilità della domanda formulata in primo grado, tra l’altro, per difetto di giurisdizione, poiché le controversie relative al pagamento dei canoni di concessione di beni pubblici, come quelle inerenti alle pretese creditorie dell’Amministrazione per occupazioni, anche senza titolo, di beni pubblici, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario; ciò a nulla valendo la valenza riconvenzionale della richiesta, sia perché, ex art. 36 del c.p.c., essa non comporterebbe deroga alla giurisdizione del giudice adito e sia perché sarebbe precluso dal criterio di riparto l’ottenimento in via riconvenzionale di una pronuncia del giudice amministrativo preclusa in caso di azione principale (a nulla valendo la pretesa del Comune di qualificare il dedotto mancato pagamento in termini di indebito arricchimento).
11.2.- Osserva in proposito il collegio che, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. c), del c.p.a., sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti «indennità, canoni ed altri corrispettivi» (sull’ambito di applicazione della medesima lettera c), cfr. Cons. di Stato, sez. V, 22.01.2015, n. 247).
In generale le controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario sono quelle con concernenti pretese di carattere meramente patrimoniale, che derivano dall'attuazione del rapporto instauratosi tra il privato e la pubblica amministrazione e rispetto alle quali non è stato esercitato un potere autoritativo a tutela di interessi generali; va, invece, riconosciuta la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo quando la controversia coinvolga l'esercizio di poteri discrezionali previsti da una norma giuridica e inerenti alla determinazione del canone, dell'indennità o di altro corrispettivo, ovvero investa l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone che incidono sull'economia dell'intero rapporto concessorio, e non semplicemente la verificazione dei presupposti fattuali dello stesso e la quantificazione delle somme.
Con particolare riguardo ai canoni comunali sulla pubblicità, la Corte Costituzionale, con sentenza 21.01.2010 n. 18, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b), del d.l. n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, nella l. n. 248 del 2005 (censurato, in riferimento all'art. 102, comma 2, ed alla VI disposizione transitoria della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie attinenti il canone comunale sulla pubblicità).
In tema di riparto di giurisdizione (a seguito della sentenza n. 64 del 2008, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità, per contrasto con gli art. 103 Cost. e VI disp. att. Cost., dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b, d.l. n. 203 del 2005, convertito nella l. n. 248 del 2005)
spettano alla giurisdizione del giudice ordinario non solo le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) ma anche quelle relative a qualsivoglia altra tipologia di canone che l'Ente locale potrebbe pretendere per la concessione di spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari (Cassazione civile sez. un. 16.04.2009 n. 8994).
In particolare è stato ritenuto dalla giurisprudenza formatasi in materia in tema di giurisdizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie aventi ad oggetto la debenza del canone previsto per l'installazione di mezzi pubblicitari, dall'art. 62 d.lgs. n. 446 del 1997, che -come ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 141 del 2009- costituisce una mera variante dell'imposta comunale sulla pubblicità di cui al d.lgs. n. 507 del 1993 e conserva, quindi, la qualifica di tributo propria di quest'ultima, mentre spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative al canone per la concessione di spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari (Cassazione civile, sez. un., 07.05.2010, n. 11090).
Posto quindi che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo al riguardo solo in materia di impugnazione di delibere comunali di determinazione delle tariffe relative agli impianti pubblicitari,
va ritenuto che sulla domanda riconvenzionale dedotta in giudizio, volta ad ottenere la condanna della società di cui trattasi ad indennizzare il Comune della diminuzione patrimoniale subita, consistente nel mancato introito del canone per l’uso degli spazi in questione, deve dichiarasi il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo competente riguardo alla pretesa in esame il giudice ordinario.
Resta conseguentemente assorbita l’eccezione formulata dalla costituita società di irricevibilità della domanda in questione.
12.- L’appello deve essere conclusivamente accolto in parte e per l’effetto, in riforma della decisione sentenza del TAR, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio.
La domanda riconvenzionale riproposta in questa sede dal Comune appellante deve essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.10.2015 n. 4857 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

TRIBUTI: Niente Ici sul terreno edificabile coltivato.
Qualora un terreno edificabile sia posseduto da una società agricola e condotto e coltivato dai soci, lo stesso non deve essere assoggettato a Ici. Di più, qualora il terreno sia di più comproprietari, non tutti aventi la qualifica di agricoltore, il beneficio Ici si estende anche nei confronti del non agricoltore, giacché la proprietà immobiliare è comune e indivisa, nonché coltivata direttamente dagli altri soggetti in possesso dei requisiti richiesti dalla norma. Da ultimo, neppure il fatto che gli stessi proprietari abbiano presentato al comune un progetto di lottizzazione può pregiudicare l'agevolazione.

È quanto afferma la Ctr di Brescia nella sentenza 07.10.2015 n. 4358/67/15.
Il caso ha a oggetto una richiesta Ici per dei terreni posseduti da una società agricola, costituita solo in parte da agricoltori, comproprietari per i due terzi, i quali risultano edificabili poiché classificati nella zona C1,residenziale di espansione del Piano generale regolatore. Il primo grado di giudizio si concludeva con la conferma dell'accertamento.
L'adita Ctr di Brescia ha invece ribaltato l'esito del primo giudizio, osservando che «in ogni caso non sono considerati fabbricati i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell'articolo 9 del Dlgs n. 504 del 1992»; e vanno considerati terreni agricoli con il beneficio di esenzione dall'Ici anche nei confronti di quei proprietari che non abbiano alcuna qualifica agricola perché, essendo la proprietà immobiliare comune e indivisa e nell'esclusivo possesso delle persone munite della qualifica di coltivatore diretto, sussiste il requisito oggettivo per il riconoscimento del trattamento Ici più favorevole anche nei confronti degli altri comproprietari.
Il terreno di cui si discuteva, infatti, era condotto e coltivato dalla società semplice i cui soci, per due terzi, sono i medesimi proprietari dei terreni e, sugli stessi, la società svolgeva attività di allevamento di bovini, coltivazione di fondi agricoli.
Due soci, aggiunge, la Ctr, sono coltivatori diretti iscritti nell'apposita gestione Inps, per cui, ai sensi dell'art. 9 del Dlgs n. 228 del 18.05.2001 alla stessa continuano a essere riconosciuti e si applicano i diritti e le agevolazioni tributarie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso delle predette qualifiche.
Oltre all'accoglimento dell'appello, la Ctr ha anche condannato il Comune al pagamento di significative spese di giudizio.
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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
L'appello dei ricorrenti è fondato e va accolto.
Nel caso prospettato in cui i terreni posseduti da una società agricola costituita solo in parte da agricoltori comproprietari per i due terzi, risultano edificabili poiché classificati nella zona C1, residenziale di espansione del Piano generale regolatore vigente, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 15566 del 14/05/2010 depositata il 30/06/2010 ha stabilito che in ogni caso non sono considerati «fabbricati» i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell'articolo 9 del Dlgs n. 504 del 1992 e vanno considerati terreni agricoli con il beneficio di esenzione dall'Ici anche nei confronti di quei proprietari senza alcuna qualifica agricola perché, essendo la proprietà immobiliare comune e indivisa e nell'esclusivo possesso delle persone munite della qualifica di coltivatore diretto, sussiste il requisito oggettivo per il riconoscimento del trattamento Ici più favorevole anche nei confronti degli altri comproprietari.
Poiché nella fattispecie il terreno oggetto di imposizione è condotto e coltivato dalla società semplice i cui soci, per due terzi, sono i medesimi proprietari dei terreni e la società vi svolge l'attività di allevamento di bovini da latte, coltivazione di fondi agricoli e due soci sono coltivatori diretti iscritti nell'apposita gestione Inps, tutti fatti non contestati dal Comune, ai sensi dell'art. 9 del Dlgs n. 228 del 18.05.2001 alla stessa continuano a essere riconosciuti e si applicano i diritti e le agevolazioni tributarie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso i delle predette qualifiche, da cui discende l'illegittimità degli atti emessi dal Comune.
D'altra parte il Comune si è limitato a chiedere l'imposta sulla sola presunzione della suscettibilità edificatoria dei terreni sui quali gli stessi proprietari hanno presentato un piano di lottizzazione, ma non ha provato il mancato utilizzo ai fini agricoli di tali aree.
Per le motivazioni suesposte e ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, l'appello deve essere accolto e, alla soccombenza, deve seguire la condanna al pagamento delle spese di giustizia che vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale di Milano, sezione staccata di Brescia, sezione 67,definitivamente pronunciando, così decide:
- in accoglimento dell'appello riforma la sentenza di primo grado e annulla l'atto impugnato; le spese di giudizio quantificate in euro 1.500,00 (millecinquento/00) seguono la soccombenza (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.01.2016).

PATRIMONIO - TRIBUTI: Regolamento per la partecipazione della comunità locale in attività per la tutela e valorizzazione del territorio per l'applicazione dell'art. 24 del D.L. 133/2014.
L'art. 24, D.L. n. 133/2014, nell'ottica di favorire la partecipazione della comunità locale nella valorizzazione e tutela del territorio, consente ai comuni di affidare a cittadini singoli o associati determinati interventi aventi ad oggetto la cura di aree e di edifici pubblici.
In relazione ai predetti interventi, l'art. 24 in commento dà facoltà ai comuni di deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere, prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute.
In caso di riconoscimento degli incentivi fiscali alle associazioni, la riduzione fiscale sembra poter essere sostituita da contributi monetari qualora questi siano corrispondenti all'importo delle riduzioni spettanti agli associati partecipanti all'intervento, per il tributo specifico individuato, in relazione alla tipologia delle attività svolte.

L'Amministratore locale chiede un parere in ordine alla legittimità di una norma contenuta nel Regolamento comunale concernente la partecipazione della comunità locale in attività per la tutela e valorizzazione del territorio (cosiddetto servizio di volontariato civico), per l'applicazione dell'art. 24, D.L. n. 133/2014. Nello specifico, il quesito posto riguarda la legittimità o meno della previsione nel Regolamento di un contributo economico alle Associazioni di volontariato in una misura percentuale dei tributi comunali pagati dagli associati che partecipano al servizio.
In via preliminare, si precisa che non compete a questo Servizio la valutazione di legittimità dei contenuti degli atti normativi emanati dai Comuni, in base alla loro autonomia costituzionalmente riconosciuta. Il fine della consulenza è di fornire un supporto giuridico agli enti locali sulle questioni prospettate, affinché gli stessi possano assumere le determinazioni più opportune nei casi concreti, in relazione alle peculiarità che presentano.
Ai sensi dell'art. 24, rubricato 'Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio', D.L. n. 133/2014
[1], 'i comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L'esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell'esercizio sussidiario dell'attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute'.
La disposizione in esame riconosce la partecipazione dei cittadini attivi per la tutela e la valorizzazione del territorio, con ciò ricollegandosi all'art. 118, comma 4, della Costituzione, ove si prevede che gli enti locali favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale.
Specificamente, l'art. 24, D.L. n. 133/2014, consente ai comuni di affidare a cittadini singoli o associati determinati interventi aventi ad oggetto la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano.
In relazione ai predetti interventi, l'art. 24 in commento consente ai Comuni di deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere, prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute.
Al fine di chiarire le modalità applicative dell'art. 24, si ritiene utile riportare quanto affermato dal Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, secondo cui «l'impressione è che la norma non autorizzi affatto gli enti locali, in modo indiscriminato, a disporre la riduzione o l'esonero. Ma esiga, piuttosto, un preciso rapporto di connessione 'fra attività posta in essere' e tributo interessato»
[2].
Ciò comporta che, in caso di riconoscimento degli incentivi fiscali alle associazioni (come nel caso di specie), la riduzione fiscale sembra poter essere sostituita da contributi monetari qualora questi siano corrispondenti all'importo delle riduzioni spettanti agli associati partecipanti all'intervento, per il tributo specifico individuato, in relazione alla tipologia delle attività. In tal modo, infatti, appare realizzata l'agevolazione fiscale prevista dall'art. 24 in commento, come riduzione (o esenzione) di tributi 'inerenti al tipo di attività posta in essere'.
Si ritiene pertanto che il riconoscimento di contributi alle Associazioni in misura percentuale dell'importo di un determinato tributo versato complessivamente dai partecipanti al progetto, richieda, ai sensi dell'art. 24, D.L. n. 133/2014, una connessione tra detto tributo e la tipologia di attività svolta dall'Associazione
[3].
---------------
[1] D.L. 12.09.2014, n. 133, recante: 'Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive', convertito, con modificazioni, dalla L. n. 164/2014.
[2] Cfr. Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, Deliberazione n. 5 del 23.02.2015.
[3] Specificamente, in via esemplificativa, sembra potersi ravvisare una connessione tra la TARI e gli interventi di pulizia e manutenzione di aree ed edifici pubblici
(01.10.2015 -
link a www.regione.fvg.it).

settembre 2015

TRIBUTI: Baratto amministrativo ristretto. Vietato per pagare tasse locali, non per multe e sanzioni. La Corte conti lombarda con un parere sulle prestazioni a beneficio della collettività.
No al baratto amministrativo come strumento per pagare le tasse locali o come forma alternativa agli istituti civilistici della datio in solutum o della transazione. Discorso diverso per le entrate extratributarie (rette, tariffe per servizi a domanda individuale, multe, sanzioni) per le quali i comuni potranno prevedere la possibilità di estinguere le obbligazioni pecuniarie con una prestazione personale che comunque dovrà essere determinata chiaramente in anticipo e tipizzata e dovrà essere svolta a beneficio della collettività.
A mettere nuovamente i paletti all'istituto del baratto amministrativo (introdotto dall'art. 24 del dl 133/2014 e poi ripreso anche dal Codice appalti che ne ha completato la regolamentazione attraendolo nella materia dei contratti pubblici di partenariato sociale) è stata la Corte conti Lombardia, sezione regionale di controllo, nel parere 06.09.2016 n. 225 reso al comune di Casalpusterlengo (Lo).
I giudici hanno ribadito che il baratto amministrativo necessita di una “previa regolamentazione a carattere generale, riveste natura temporanea, può essere applicato in ambiti territoriali limitati e non può riguardare debiti tributari pregressi”. E' proprio questa l'esclusione più significativa perché, fin dal suo debutto, il baratto è stato percepito dalle amministrazioni comunali come strumento per sgravare dal carico fiscale contribuenti in difficoltà offrendo loro la possibilità di estinguere il debito svolgendo attività sostitutive a beneficio della cittadinanza.
Ebbene, secondo, la Corte conti, ciò non è possibile perché “la riduzione delle imposte non si può applicare su debiti pregressi confluiti nella massa dei residui attivi accertati dall'ente locale”.
Il baratto amministrativo, inoltre, non può essere lasciato alla libera iniziativa del cittadino insolvente, ancorché incolpevole. Costui non potrà scegliere in modo autonomo la prestazione da eseguire, ma sarà l'ente a doverlo fare preliminarmente, disciplinando i casi concreti di attuazione e la tipologia di crediti a cui applicare il baratto, nonché individuando la natura dei lavori e dei servizi e i soggetti che possono avvalersi dell'istituto.
In pratica, chiariscono i giudici lombardi, “deve escludersi che il singolo cittadino, anche se insolvente incolpevole, possa proporre interventi che non rientrino nella programmazione dell'ente, potendosi invece effettuare unicamente le attività già previste e finanziate in bilancio” (articolo ItaliaOggi del 09.09.2016).

luglio 2015

TRIBUTIScuole paritarie, per l’esenzione servono regole su misura.
Con due sentenze (sentenza 08.07.2015 n. 14225 e la successiva sentenza 08.07.2015 n. 14226) la Corte di Cassazione -Sez. V civile- ha accolto il ricorso con cui il comune di Livorno aveva chiesto il pagamento dell’Ici (anni 2004-2009) a due scuole gestite da istituti religiosi privi dei requisiti richiesti per l’esenzione.
La Cassazione conferma il principio per cui l’esenzione Ici prevista dalla legge 504/1992 «è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo» (lo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività meritorie tra le quali l’insegnamento), «e di un requisito soggettivo, costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali». Sul requisito oggettivo, la Corte non ha ritenuto sufficientemente dimostrato che l’attività didattica dell’istituto religioso si svolgesse con modalità non commerciali.
Le sentenze –che dispongono la ripetizione del giudizio di merito e non determinano direttamente un nuovo e definitivo esito– possono riflettersi sull’applicazione delle agevolazioni Imu. Il regolamento ministeriale 200/2012, infatti, per le scuole prevede che la non commercialità dell’attività sia verificata tramite alcuni criteri ordinamentali e uno di tipo economico: che sia svolta «a titolo gratuito, o dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio».
Le argomentazioni delle sentenze non prendono in considerazione gli aspetti ordinamentali, mentre riguardo al criterio economico ritengono il corrispettivo pagato dagli utenti «fatto rivelatore dell’esercizio dell’attività svolta con modalità commerciali», indipendentemente dalla sua entità.
La commercialità dell’attività sottoposta a valutazione, insomma, va sempre riconosciuta quando c’è l’attitudine alla remunerazione dei fattori produttivi, essendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro. Se questa impostazione è definitiva, non c’è dubbio che quasi tutte le attività scolastiche private, tanto più se svolte in regime “paritario” rispetto al sistema dell’istruzione pubblica, rientrino nei criteri di “commercialità”, che precludono l’esenzione Ici e Imu.
Il mantenimento del regime di favore per paritarie dovrà percorrere la strada della normativa speciale di settore, che forse dovrebbe comprendere tutte le scuole private e non solo quelle condotte da enti non commerciali, superando così il regime “interpretativo” adottato con il regolamento 200/2012. Potrebbe essere di supporto la legge 62/2001, che riconosce alle scuole paritarie “senza fini di lucro” le agevolazioni fiscali previste nel decreto 460/1997 sulle Onlus.
Diverse esenzioni e riduzioni, che però non menzionano la fiscalità immobiliare locale, lasciando ai Comuni la facoltà di intervenire. La dichiarata volontà politica di assicurare un trattamento fiscale di favore al settore scolastico privato, però, non può minare la certezza delle basi imponibili su cui i Comuni devono poter contare stabilmente, magari attraverso compensazioni
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.08.2015).

TRIBUTIScuole paritarie soggette all'Ici. Lo dice la Corte di Cassazione.
Le scuole paritarie gestite da un ente ecclesiastico sono soggette al pagamento dell'Ici se gli utenti pagano un corrispettivo, nonostante le rette richieste siano modeste e la gestione operi in perdita. L'attività didattica non si può ritenere svolta in forma non commerciale, ancorché si tratti di un ente religioso, poiché non è a titolo gratuito. Per integrare il fine di lucro è sufficiente che con i ricavi si tenda a perseguire il pareggio di bilancio.

È l'importante principio affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 08.07.2015 n. 14225 e la successiva sentenza 08.07.2015 n. 14226, con le quali ha anche respinto l'istanza di annullamento delle sanzioni tributarie irrogate dal comune di Livorno.
Per i giudici di piazza Cavour, l'attività didattica esercitata dall'ente religioso rientra tra quelle esenti, ma non è svolta in forma non commerciale. In realtà, per la scuola paritaria gli utenti «pagano un corrispettivo, che erroneamente il giudice di merito ritiene irrilevante ai fini Ici». «Altrettanto erroneamente il giudicante attribuisce rilevanza al fatto che la gestione operi in perdita». È da escludere, per la Cassazione, «che l'esenzione spetti sempre laddove l'ente si proponga finalità diverse dalla produzione di reddito». Manca il «carattere imprenditoriale dell'attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito». Mentre, «per integrare il fine di lucro è sufficiente l'idoneità, almeno tendenziale, dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio».
La Cassazione, con le pronunce in esame, ha inoltre respinto al mittente l'istanza di disapplicazione delle sanzioni, poiché ha ritenuto che non ci sia alcuna incertezza oggettiva sulla materia e che le nuove regole introdotte per l'Imu sull'esenzione per gli enti non commerciali hanno carattere innovativo e non interpretativo. Non a caso, con la sentenza n. 4342/2015 ha già chiarito che le disposizioni sull'Imu non sono applicabili anche all'Ici per l'esenzione degli immobili posseduti dagli enti non commerciali.
L'evoluzione della norma che riconosce i benefici fiscali per una parte dell'immobile, per esempio, non può avere effetti retroattivi. L'esenzione Ici prevista dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 504/1992 era limitata all'ipotesi in cui gli immobili fossero destinati totalmente allo svolgimento di una delle attività elencate dalla norma (sanitarie, didattiche, ricettive, ricreative, sportive e così via) in forma non commerciale.
Le esenzioni per Imu e Tasi, invece, spettano se sugli immobili vengono svolte le suddette attività con modalità non commerciali, anche qualora l'unità immobiliare abbia un'utilizzazione mista. L'agevolazione, però, è limitata alla parte nella quale si svolge l'attività non commerciale, sempre che sia identificabile.
La porzione dell'immobile dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente deve essere iscritta in catasto, con attribuzione della relativa rendita. Se non è possibile accatastarla autonomamente, l'esenzione spetta in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile che deve risultare da apposita dichiarazione dell'ente interessato (articolo ItaliaOggi del 25.07.2015).

TRIBUTIParitarie, rischio stangata La retta fa scattare l'Imu. La cassazione: l'attività è commerciale.
Torna sulle scuole paritarie lo spettro dell'Ici. Nodo della questione: l'attività didattica considerata attività commerciale. Secondo la Corte di Cassazione l'immobile posseduto da un ente religioso e destinato all'esercizio di una scuola paritaria è potenzialmente soggetto all'Ici, perché la gestione di un istituto paritario si configura come un'attività commerciale. Ago della bilancia, secondo i giudici, la retta che le famiglie versano alla scuola paritaria.

La Corte di Cassazione -Sez. V civile- con la sentenza 08.07.2015 n. 14225 e la successiva sentenza 08.07.2015 n. 14226 interviene sul caso di un ente religioso proprietario dell'immobile adibito a scuola paritaria che aveva impugnato gli avvisi di accertamento del comune per il pagamento dell'Ici, chiedendo l'applicazione dell'esenzione prevista dal decreto legislativo 504 del 1992 (art. 7).
Esaminando l'evoluzione legislativa sul tema, da una parte l'ente sottolinea che l'art. 39 del decreto legge 223 del 2006 stabilisce l'esenzione dell'Ici per gli immobili debiti ad attività che non hanno esclusiva natura commerciale, dall'altra i giudici dichiarano che quell'articolo non è conforme alla disciplina comunitaria sul divieto di aiuti di Stato alle imprese. Sul caso concreto, poi, la Suprema Corte osserva la potenziale sussistenza di un'attività commerciale poiché gli utenti della paritaria pagano una retta per frequentarla. E respinge le obiezioni dell'ente riguardo la perdita nella gestione, perché «è irrilevante dal punto di vista giuridico lo scopo di lucro».
L'ente quindi dovrà pagare l'Ici ma, sentenziano i giudici, senza sanzioni vista l'obiettiva incertezza sull'applicazione delle legge. La sentenza è importante anche per le interpretazioni delle disposizioni sull'Imu. Secondo le istruzioni del Miur sulla compilazione del modello Imu Enc il carattere non commerciale dell'attività didattica si verifica nel momento in cui le rette degli utenti coprono solo una parte di tutto il costo del servizio.
Le stesse istruzioni però utilizzano come parametro di riferimento il costo medio per studente sostenuto dallo Stato per un alunno nelle proprie scuole, fissato dal ministero dell'economia: 5.739,17 euro per uno studente di scuole dell'infanzia, 6.634,12 nella primaria, 6.835,85 alle medie, 6.914,31 alla superiori.
Se il corrispettivo della paritaria non supera questo costo medio per alunno, l'immobile è esente dall'Imu per la parte della struttura destinata all'attività didattica. Questo però è in contrasto con la Cassazione (articolo ItaliaOggi del 21.07.2015).

TRIBUTI: Istituti scolastici religiosi, dovuta l'Ici. La Cassazione dà ragione al Comune.
La suprema Corte ha accolto il ricorso di Livorno: primo pronunciamento di questo tipo in Italia.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto la legittimità della richiesta dell’Ici avanzata nel 2010 dal Comune di Livorno agli istituti scolastici del territorio gestiti da enti religiosi.
Con la sentenza 08.07.2015 n. 14225 e la successiva sentenza 08.07.2015 n. 14226, la suprema Corte, Sez. V civile, ha di fatto ribaltato quanto stabilito nei primi due gradi di giudizio, sentenziando che, poiché gli utenti della scuola paritaria pagano un corrispettivo per la frequenza, tale attività è di carattere commerciale, “senza che a ciò osti la gestione in perdita”.
In proposito il giudice di legittimità ha precisato che, ai fini in esame, è giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, risultando sufficiente l’idoneità tendenziale dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio.
E cioè, il conseguimento di ricavi è di per sé indice sufficiente del carattere commerciale dell’attività svolta.
Si ricorda che il contenzioso che vede contrapposti il Comune ed alcuni istituti scolastici paritari, è sorto nel 2010 a seguito della notifica da parte dell’ufficio Tributi di avvisi di accertamento per omessa dichiarazione e omesso pagamento dell’Ici, per gli anni dal 2004 al 2009.
In particolare gli importi relativi alle scuole “Santo Spirito” ed “Immacolata” sono pari a € 422.178,00.
Si ricorda che anche la Commissione Provinciale Tributaria di Livorno aveva stabilito che l'ICI fosse dovuta, respingendo i ricorsi degli istituti.
A questo punto, a seguito delle sentenze, si provvederà a notificare anche gli importi dovuti per le annualità 2010 e 2011, imponibili a fine Ici.
Come spiega l’ufficio Tributi, è da sottolineare che questo genere di pronunciamento da parte della Corte di Cassazione è il primo in Italia sul tema specifico.
Queste sentenze assumono, tra l’altro, rilievo ai fini dell’interpretazione delle disposizioni in materia di Imu, relativamente all’imposizione fiscale dall’anno 2012.
Grande soddisfazione perché si tratta del riconoscimento dell’ottimo lavoro svolto dagli uffici comunali i quali, con l’obiettivo di reperire risorse e lavorare per l’equità fiscale, da anni hanno avviato una linea tesa al recupero dell’elusione e dell’evasione fiscale.
La vicesindaco Stella Sorgente in proposito dichiara: “Abbiamo fatto degli incontri con le scuole interessate e l’ufficio tributi, nei quali era stata proposta un’ipotesi di conciliazione fra Comune e Istituti che sarebbe stata vantaggiosa per le scuole stesse, rispetto ad un’eventuale sentenza favorevole per il Comune da parte della Cassazione. Successivamente ci è stato comunicato dalle scuole stesse che avrebbero invece preferito attendere l'esito del giudizio in Cassazione.
L’Amministrazione comunale è stata ringraziata per il sincero atteggiamento di apertura e dialogo dimostrato, ma non è stata accettata la proposta fatta. Pertanto, adesso che la Cassazione si è espressa con le due sentenze, le scuole sono costrette a pagare l’intero importo, comprensivo delle relative sanzioni.
Ci fa piacere che questa sia la prima sentenza a livello nazionale che riguarda immobili di questa tipologia, destinati ad uso scolastico, affinché sia fatta definitivamente chiarezza sulla legittimità di tali pagamenti tributari da parte degli enti religiosi
” (commento tratto da www.comune.livorno.it).

giugno 2015

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Cartelli di esercizi commerciali e di vendita immobiliare. Imposta di pubblicità.
Ai fini dell'applicazione delle esenzioni dall'imposta di pubblicità previste dall'art. 17, D.Lgs. n. 507/1993, in particolare di quella di cui al comma 1-bis, riferita all'insegna di esercizio, il Ministero dell'economia e delle finanze ha richiamato la definizione di 'insegna di esercizio' formulata dal legislatore con il comma 6 dell'art. 2-bis del D.L. n. 13/2002, secondo cui l'insegna è la scritta di cui all'art. 47, D.P.R. n. 495/1992, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività economica.
Al riguardo, il Ministero ha precisato che l'insegna, oltre all'indicazione del nome del soggetto o della denominazione dell'impresa che svolge l'attività, può evidenziare anche la tipologia e la descrizione dell'attività esercitata, nonché i marchi dei prodotti commercializzati o dei servizi offerti.

Il Comune illustra le caratteristiche di cartelli di esercizi commerciali, in relazione ai quali chiede se sia dovuta l'imposta di pubblicità, o se si versi, invece, nelle ipotesi di esenzione, in particolare per le insegne di esercizio, previste dalla normativa vigente in materia, di cui al D.Lgs. n. 507/1993
[1]. Il Comune, con riferimento ai cartelli di vendita immobiliare, pone altresì la questione dell'esenzione o meno dall'imposta, in relazione alle loro misure e al luogo di posizionamento.
Risulta opportuno precisare, in via preliminare, che l'attività di questo Servizio consiste nella rappresentazione in generale del quadro giuridico, normativo e giurisprudenziale, inerente alle tematiche poste, tenuto altresì conto delle indicazioni contenute nelle circolari degli organi amministrativi competenti, in modo da fornire agli enti locali un supporto per la soluzione dei singoli casi concreti.
L'art. 17 del D.Lgs. n. 507/1993 elenca le fattispecie pubblicitarie che godono dell'esenzione dal tributo, in particolare, al comma 1-bis -inserito dall'art. 10, comma 1, lett. c), L. n. 448/2001
[2]- prevede che l'imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati.
Il Ministero dell'economia e delle finanze è più volte intervenuto a fornire chiarimenti in ordine alle modalità di applicazione dell'imposta di pubblicità. E così, nelle circolari esplicative ha sottolineato che l'esenzione di cui al comma 1-bis è applicabile ai soli mezzi pubblicitari che possono definirsi 'insegne di esercizio'
[3] ed ha richiamato, al riguardo, la definizione formulata dallo stesso legislatore con il comma 6 dell'art. 2-bis del D.L. n. 13/2002, secondo cui l'insegna è la scritta di cui all'art. 47 del D.P.R. n. 495/1992, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività economica, vale a dire 'la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può essere luminosa sia per luce propria che per luce indiretta' [4].
In base a tale definizione, l'insegna, oltre all'indicazione del nome del soggetto o della denominazione dell'impresa che svolge l'attività, può evidenziare anche la tipologia e la descrizione dell'attività esercitata, nonché i marchi dei prodotti commercializzati o dei servizi offerti
[5].
Non possono, invece, essere definite 'insegne di esercizio' le scritte relative al marchio del prodotto venduto nel caso in cui siano contenute in un distinto mezzo pubblicitario, che viene, cioè, esposto in aggiunta ad un'insegna di esercizio, poiché questa circostanza manifesta chiaramente l'esclusivo intento di pubblicizzare i prodotti in vendita. In quest'ultimo caso, risultano esenti dal pagamento del tributo le insegne di esercizio la cui superficie complessiva non superi il limite dimensionale di 5 metri quadrati, mentre vanno assoggettati a tassazione i distinti mezzi pubblicitari che espongono esclusivamente il marchio
[6].
Il Ministero ha altresì fornito delle esemplificazioni delle scritte apprezzabili come insegne di esercizio, tra le altre:
- la generica indicazione della tipologia dell'esercizio commerciale (ad esempio, con la semplice scritta "Bar" o "Alimentari");
- la precisa individuazione dell'esercizio commerciale (ad esempio: "Bar Bianchi" o "Alimentari Azzurri");
- la generica individuazione dell'esercizio commerciale realizzata con l'indicazione del nominativo del titolare (ad esempio, la semplice scritta 'da Giovanni');
- l'indicazione, precisa o generica, della tipologia dell'esercizio commerciale accompagnata nel contesto dello stesso mezzo pubblicitario, da simboli o marchi relativi a prodotti in vendita (ad esempio: "Bar Alfa-Caffè Beta").
Le fattispecie esemplificative del Ministero sono espressamente dettate per andare incontro alle numerose richieste dei comuni su casi specifici, e dovrebbero dunque già di per sé fornire agli enti locali gli strumenti per applicare in modo corretto l'imposta di pubblicità nelle diverse situazioni concrete in relazione alle loro particolarità.
In via collaborativa si possono, comunque, formulare delle considerazioni muovendo dagli esempi indicati dal Ministero. E così sembra potersi osservare che nelle scritte qualificabili come insegne sono contenuti il nome dell'operatore economico, la mera tipologia dell'attività esercitata (bar, alimentari), il marchio commercializzato
[7], mentre non compaiono in alcuna delle fattispecie tipizzate riferimenti a qualità dei prodotti [8]. Peraltro, appaiono consentite anche descrizioni dell'attività esercitata [9].
Una tale lettura appare del resto coerente con il tenore letterale del comma 1-bis dell'art. 17 del D.Lgs. n. 507/1993, che parla di insegne di esercizio che 'contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono', per cui ben rientrano nella definizione quegli elementi, quali il nome, la tipologia e la descrizione dell'attività esercitata, nonché i marchi dei prodotti commercializzati o dei servizi offerti
[10], idonee ad indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività commerciale o di produzione di beni o servizi [11].
Per quanto concerne l'assoggettamento all'imposta di pubblicità dei cartelli di compravendita immobiliare, ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. 507/1993, comma 1, lett. b), sono esenti dall'imposta, tra gli altri, gli avvisi al pubblico riguardanti la locazione o la compravendita degli immobili sui quali sono affissi, di superficie non superiore ad un quarto di metro quadrato.
Al riguardo, il Comune chiede se il limite dimensionale indicato dalla norma (un quarto di metro quadrato) sia da intendersi riferito alla superficie complessiva dei cartelli di compravendita (o locazione) apposti, nel senso di ritenersi superato dalla somma degli stessi, e se detti cartelli possano essere affissi anche sulle pertinenze dell'immobile o nelle parti comuni del condominio.
Per quanto concerne le dimensioni dei cartelli di compravendita/locazione immobiliare da rispettare per beneficiare dell'esenzione dall'imposta di pubblicità, si osserva che la formulazione testuale della previsione normativa in commento, per questa specifica tipologia di cartelli, non precisa 'superficie complessiva'. Ed invero, laddove il legislatore ha voluto esprimersi in tal senso, lo ha esplicitamente fatto al comma 1-bis dell'art. 17, D.Lgs. n. 507/1993, relativamente alle insegne di attività commerciali e di produzione di beni o di servizi, esenti dall'imposta se volte a contraddistinguere la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono e se, appunto, di 'superficie complessiva fino a 5 metri quadrati'.
Il Comune osserva che con riferimento agli avvisi al pubblico di cui all'art. 17, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 507/1993, richiamato, esposti nelle vetrine o nelle porte di ingresso dei locali, il Ministero dell'economia e delle finanze
[12] ha riferito il relativo limite dimensionale inferiore a mezzo metro quadrato alla superficie complessiva di detti avvisi e chiede se sia possibile estendere queste considerazioni, per analogia, a tutte le fattispecie della lett. b), ivi inclusi i cartelli immobiliari.
Al riguardo, posto che per giurisprudenza costante
[13] 'le norme che concedono esenzioni fiscali, avendo carattere eccezionale, sono insuscettibili di interpretazione analogica', si segnala che la Corte di Cassazione [14] ha invece affermato che per gli avvisi al pubblico di cui all'art. 17, comma 1, lett. b), richiamato, l'esenzione opera purché essi non superino, ciascuno individualmente, la superficie di mezzo metro quadrato.
Pertanto, stante il tenore letterale della disciplina normativa dell'esenzione dei cartelli di compravendita/locazione immobiliare, che parimenti non specifica il limite dimensionale come riferito alla superficie complessiva, e tenuto conto di quanto affermato di recente dalla Corte di Cassazione in ordine al rispetto di detto limite per ciascun cartello singolarmente, si ritiene opportuno suggerire all'Ente di chiedere un chiarimento ai competenti organi statali specificamente per i cartelli di compravendita/locazione immobiliare.
Allo stesso modo, si ritiene che l'interpretazione dell'indicazione normativa dell'affissione dei cartelli di compravendita/locazione immobiliare 'sull'immobile', in particolare se la stessa vada intesa come comprensiva anche delle pertinenze, debba provenire dai competenti organi statali. Infatti, posta la giurisprudenza restrittiva richiamata in ordine all'interpretazione analogica delle norme di esenzione fiscale, si osserva che un'espressa indicazione anche delle pertinenze è prevista dal legislatore unicamente con specifico riferimento all'esenzione per le insegne di esercizio (art. 1, comma 1-bis, D.Lgs. n. 507/1993), quali installate nella sede dell'attività a cui si riferiscono o nelle pertinenze accessorie alla stessa (art. 47, D.P.R. n. 445/1992, richiamato)
[15].
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[1] D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, recante: 'Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani a norma dell'art. 4 della legge 23.10.1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale'.
[2] L. 28.12.2001, n. 448 (Legge Finanziaria 2002).
[3] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare 08.02.2002, n. 1.
[4] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare 03.05.2002 n. 3; circolare 19.03.2007, n. 11159.
[5] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare 19.03.2007, n. 11159; nello stesso senso, Ministero dell'economia e delle finanze, circolare 03.05.2002 n. 3.
[6] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n. 11159/2007, cit.. Nello stesso senso, Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n. 3/2002, ove si precisa, peraltro, che la presenza, nell'ambito dello stesso mezzo pubblicitario, delle indicazioni relative al marchio del prodotto venduto, non fa in alcun modo venire meno la natura di insegna di esercizio; ciò del resto trova espressa legittimazione nella stessa nozione contenuta nel citato art. 47 del DPR n. 495 del 1992, che stabilisce, appunto, che la scritta distintiva della sede di svolgimento dell'attività economica può essere 'completata eventualmente da simboli o da marchi'.
[7] Fermo restando, come chiarito sopra, che l'aggiunta di uno o più cartelli distinti raffiguranti esclusivamente il marchio comporta, invece, l'applicazione dell'imposta di pubblicità su detti cartelli.
[8] E così sembrano non poter beneficiare dell'esenzione quei cartelli ove si esaltano le qualità e i benefici dei prodotti venduti al fine di migliorarne l'immagine con indicazioni ulteriori rispetto a quelle identificative dell'attività economica esercitata.
[9] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n. 11159/2007, cit..
[10] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n. 11159/2007, cit..
[11] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n. 3/2002, cit..
[12] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n. 11159/2007, cit..
[13] Cass. civ., sez. un., 25.05.2009, n. 11986; Cass. civ., sez. I, 09.08.1990, n. 8111.
[14] Cass. civ., sez. VI, 16.10.2014, n. 21966.
[15] Cfr. Cass. civ., sez. V, 30.10.2009, n. 23021; Cass. civ., sez. V, 06.12.2011, n. 26174
(25.06.2015 -
link a www.regione.fvg.it).

aprile 2015

TRIBUTINiente rimborsi Tia con la Tari. I minori incassi con la Tariffa diventano perdite definitive. La Corte conti Toscana sancisce l'autonomia della Tassa rifiuti rispetto al precedente sistema.
La Tassa sui rifiuti (Tari) non può essere usata per rimborsare i crediti Tia non riscossi dalle precedenti gestioni. I minori incassi derivanti dalla mancata riscossione dei crediti maturati sotto il previgente regime si traducono in perdite definitive a carico del soggetto gestore.

Questa la posizione della Corte dei conti Toscana, Sez. controllo, espressa nel recente parere 28.04.2015 n. 73 a seguito di richiesta specifica da parte di un ente locale.
La Corte, pur affermando un principio del tutto condivisibile (quello dell'autonomia del regime Tari rispetto al previgente regime Tia), sembra tuttavia giungere a conclusioni non pienamente convincenti e che rischiano in realtà di mettere in crisi il fondamentale principio del recupero totale dei costi del servizio (full cost recovery), che peraltro la stessa Corte riconosce e afferma nel medesimo parere. Vediamo meglio.
La vicenda specifica
La questione nasce da una richiesta di un comune della provincia di Pistoia di poter considerare quali «costi comuni diversi», nel piano finanziario Tari, ai fini della determinazione della relativa tariffa, tra l'atro, i «costi per crediti Tia-1 inesigibili», di cui sia stata accertata la perdita, per la parte non coperta da fondo rischi o garanzia assicurativa, temporalmente collocati nel periodo compreso tra il 2002 e il 2012.
La richiesta si fonda in particolare sul presupposto implicito che la tariffa debba assicurare il recupero totale dei costi del servizio. Tale principio, noto come «full cost recovery» costituisce dichiarata attuazione della direttiva comunitaria 91/156/Cee, ed è stato introdotto dall'art. 49, 4° comma, dlgs 05.02.1997, n. 22, con riferimento alla Tia-1, ed è oggi ribadito, con riferimento alla Tari, dall'art. 1, comma 654, legge 27.12.2013, n. 147.
Lo stesso principio è recepito dal metodo normalizzato per definire le componenti di costo da coprire con il gettito della tariffa e i criteri di determinazione della tariffa di riferimento relativa alla gestione dei rifiuti urbani (dpr 27.04.1999, n. 158), che correttamente include tra le componenti di costo sia gli accantonamenti a fondo rischi che le svalutazioni dei crediti non più esigibili.
La posizione della Corte
Nell'esaminare la questione posta alla sua attenzione la Corte non nega il principio del full cost recovery. Al contrario fa proprio tale principio, limitandosi esclusivamente a precisare che esso deve essere applicato nell'ambito di ciascun regime, senza possibilità di sovrapposizione alcuna.
In altre parole, secondo la Corte ciascuna tariffa, «deve essere costruita in modo da bastare a sé stessa, e non nascere già gravata da oneri pregressi (relativi a crediti non incassati, originati da tributi risalenti e ormai soppressi), che avrebbero dovuto trovare idonea copertura nel quadro dei rispettivi regimi normativi, attraverso adeguati accantonamenti o maggiori previsioni di entrata».
È per questo motivo che nella costruzione del piano tariffario relativo alla Tari, secondo la Corte non possono essere inseriti elementi di costo relativi al previgente regime di Tia. In effetti, consentire ora per allora al Comune di considerare, ai fini della quantificazione della tariffa, i mancati ricavi relativi ad altro tributo, non incassati dal precedente gestore, comporterebbe il trasferimento sull'utenza attuale di perdite, che avrebbero dovuto gravare su una platea almeno in parte diversa di soggetti.
Fin qui il ragionamento operato dalla Corte appare assolutamente condivisibile, soprattutto alla luce della diversa natura giuridica della Tari, rispetto alla Tia che incide naturalmente anche sulla definizione dei presupposti impositivi.
Se dunque alla luce delle ragioni sopra indicate è condivisibile separare le vicende della Tia da quelle della Tari, lascia invece perplessi la conclusione che sembra raggiungere la Corte secondo la quale, nel caso in cui tali modalità di copertura siano risultate insufficienti (e dunque per la parte dei mancati ricavi non coperta da fondi rischi o da maggiori entrate), «i minori incassi derivanti dalla mancata riscossione dei crediti maturati sotto il previgente regime si traducono in perdite definitive a carico del soggetto gestore (e cioè, nel caso di specie, la società in house affidataria del servizio)».
L'affermazione di tale principio, se non adeguatamente specificato, rischia di apparire in evidente contraddizione con il riconosciuto principio del full cost recovery. In tal caso infatti, la società di gestione si troverebbe a vedere non coperti una parte anche significativa dei costi di gestione, non certo per propria responsabilità, ma solo per la non corretta costruzione del sistema tariffario previgente. Più propriamente, l'impossibilità di coprire i mancati incassi dei crediti attraverso il sistema Tari dovrebbe essere posta a carico dei soggetti regolatori (enti locali e/o autorità) che hanno omesso di applicare il principio del full cost recovery nella determinazione della tariffa di riferimento.
Si può tuttavia ritenere che tale ambiguità nella posizione della Corte sia dovuta al fatto che la società di gestione in oggetto era una società in house e perciò non facilmente distinguibile dal soggetto regolatore. Per cui, nel caso di specie non vi era concretamente un interesse di un soggetto realmente terzo rispetto al titolare della potestà regolatoria.
Conseguentemente, ci si può ragionevolmente attendere che in una diversa fattispecie e di fronte a una concessione di servizi, possa essere affermato il principio che pare certamente più adeguato secondo il quale i mancati ricavi relativi ad altro tributo, non incassati dal precedente gestore, vanno coperti a carico del bilancio generale del soggetto che ha concretamente omesso di applicare il corretto principio del recupero integrale dei costi del servizio (articolo ItaliaOggi dell'08.05.2015).

gennaio 2015

TRIBUTI: Tares sul garage anche se non lo si usa.
Il contribuente paga la Tares sul garage anche se non lo utilizza. Il prelievo fiscale scatta per il solo fatto che il comune mette a disposizione il servizio.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con sentenza 07.01.2015 n. 33, ha accolto il ricorso del comune di Catania. Insomma, per la VI Sez. civile - T la difesa del contribuente che puntava sul mancato utilizzo del garage non ha come conseguenza una riduzione o addirittura l'esenzione dall'imposta.
Gli Ermellini hanno spiegato che in virtù degli artt. 62 e 64 del dlgs 507/1993, la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio, salva l'autorizzazione dell'ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purché il servizio sia istituito, e sussista la possibilità della utilizzazione, ma ciò non significa che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato dall'ente impositore in modo regolare, così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente.
Infatti, il presupposto impositivo è costituito dal solo fatto oggettivo dell'occupazione o della destinazione del locale, a qualsiasi uso adibiti, e prescinde, quindi, del tutto dal titolo in base al quale gli immobili sono occupati o detenuti (articolo ItaliaOggi dell'08.01.2015).

dicembre 2014

TRIBUTI: Tassa rifiuti per il garage.
Domanda
La tassa rifiuti per un garage, anche se non produce rifiuti, è sempre e comunque dovuta?
Risposta
No, tuttavia è onere del contribuente indicare nella denuncia relativa al tributo (quella originaria o quella di variazione) e fornire la prova (in base ad elementi obiettivamente rilevabili dall'ente impositore o con altra idonea documentazione) che il garage in questione non può produrre rifiuti (e, quindi, non può essere assoggettato alla tassa) per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato o perché si trova in condizioni di obiettiva inutilizzabilità.
Solo in tal modo può essere vinta la presunzione legale relativa di produzione di rifiuti da parte dei locali posseduti o detenuti. In questo senso si è espressa la recente ordinanza 23505/14 della Cassazione, che ha anche sottolineato come tale dimostrazione non sia suscettibile di essere «ritenuta in modo presunto dal giudice», bensì dimostrata da parte del contribuente.
Tale ordinanza fa seguito ad altre analoghe recenti pronunce della Cassazione, tra le quali l'ordinanza 8245/2014 e le sentenze 11351/2012 e 17703/2004 (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.12.2014).

novembre 2014

TRIBUTI: Tasi sui fabbricati demoliti.
Domanda
I fabbricati che sono stati demoliti o che sono oggetto di restauro e risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia o ancora di ristrutturazione urbanistica come devono essere considerati ai fini del Tributo sui servizi indivisibili (Tasi)?
Risposta
Come è noto, la legge del 27.12.2013, numero 147, detta legge di stabilità per l'anno 2014, composta di un solo articolo, al comma 639, ha introdotto, a partire dall'anno 2014, una nuova imposta, detta imposta unica comunale (Iuc).
Il tributo, pur definito come «imposta unica», contiene al suo interno la componente patrimoniale, data dall'Imposta municipale propria (Imu), e la componente relativa ai servizi.
La componente relativa ai servizi, a sua volta, si articola:
- nella Tasi, che è un tributo dovuto per i servizi indivisibili resi dai comuni;
- nella Tari, che è un tributo dovuto per finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Ora, ai fini della Tasi, i fabbricati, individuati dalla legge numero 457 del 1978, che sono stati demoliti o che sono oggetto di restauro e risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia o ancora di ristrutturazione urbanistica devono essere considerati come area edificabile. E, al riguardo, si ricorda che, ai sensi dell'articolo 36, comma 2, del decreto legge numero 223, del 2006, convertito con la legge numero 248, del 2006, «un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo» (articolo ItaliaOggi Sette del 24.11.2014).

TRIBUTI: Tasi, la quota del proprietario.
Domanda
Quale proprietario del bene, sono tenuto al pagamento della quota del Tributo sui servizi indivisibili (Tasi) non versato dall'occupante un appartamento di mia proprietà?
Risposta
La Tasi (tassa sui servizi indivisibili) è un tributo istituito per coprire le spese sostenute dai comuni nell'espletamento di servizi necessari per la collettività, quali: servizi di illuminazione pubblica, servizi per la manutenzione delle strade, servizi per la cura del verde pubblico, servizi per la pubblica sicurezza e la vigilanza, nonché servizi per la protezione civile, servizi per le aree cimiteriali ecc.
Essa è dovuta, come già si è avuto modo di dire, anche dall'occupante del bene in una misura determinata dal comune con proprio regolamento.
Pertanto, la Tasi, per lo stesso immobile, se posseduto da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale, è dovuta da due soggetti distinti, ciascuno dei quali ha un'autonoma obbligazione tributaria. Ne consegue che, se l'utilizzatore dell'immobile non provvede al versamento della quota di sua spettanza, il proprietario del bene non ha alcuna responsabilità e il comune non potrà chiedergli il versamento del tributo, omesso dal detentore del bene.
Se i detentori del bene sono più di uno, allora la responsabilità per il pagamento della Tasi è solidale tra i detentori, per cui il comune, in caso di inadempienza, si può rivolgersi all'uno o all'altro dei coobbligati per la riscossione del dovuto (articolo ItaliaOggi Sette del 24.11.2014).

TRIBUTI: Esenzione Imu collinare.
Domanda
Proprietario di un terreno non edificabile, vorrei conferma che anche ai fini Imu continua a valere, come mi è stato detto, l'esenzione prevista per i terreni collinari e montani.
Risposta
La risposta è affermativa, almeno in linea di principio. Infatti, l'art. 7, lett. h), del dlgs n. 504/1992 (che stabiliva l'esenzione ai fini Ici) è richiamato dalla disciplina Imu (duplice richiamo nell'articolo 9, 8° c. del dlgs n. 23/2011 e nell'articolo 13, 13° c. del dl «Salva Italia» n. 201/2011), ma alla condizione, peraltro già prevista in vigenza dell'Ici, che i terreni in questione siano «agricoli» nel senso stabilito dall'art. 2, lett. c) del dlgs n. 504/92: ciò significa che i terreni in questione devono essere «adibiti all'esercizio delle attività indicate nell'art. 2135 del codice civile» e pertanto alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all'allevamento di animali e attività connesse.
Il semplice possesso di terreni in comuni (o parti di comuni) ricadenti nell'ambito dell'art. 7 del dlgs n.504/92 non è quindi sufficiente a legittimare l'esenzione da Imu. Ricordiamo che un elenco dei predetti comuni (o zone di essi) «ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della L. n. 984/1977» è allegato alla circolare del ministero delle finanze n. 9/1993.
Segnaliamo anche che l'art. 4, c. 5-bis del dl n. 16/2012, introdotto nella recente conversione in legge (L. n. 44/2012), ha stabilito che «Con decreto di natura non regolamentare del ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, possono essere individuati comuni nei quali si applica l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del dlgs n. 504/1992, sulla base della altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (Istat), nonché, eventualmente, anche sulla base della redditività dei terreni». Riservandosi tale facoltà, il ministro dell'economia può pertanto emanare, in qualsiasi momento (non è previsto alcun termine), un decreto che modifica radicalmente l'elenco dei comuni (attualmente sono moltissimi) nei quali l'esenzione opera.
Ricordiamo infine, per necessaria completezza, che, sempre nella conversione in legge del dl n. 16/2012, nell'art. 4 sono state tra l'altro, da un lato, inserite norme agevolative per la determinazione dell'Imu relativa ai terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali e per i fabbricati rurali strumentali ubicati in comuni montani o parzialmente montani, dall'altro ulteriormente elevato a 135 il moltiplicatore generale da applicare al reddito dominicale (da rivalutare del 25%, come già si faceva per l'Ici) dei terreni agricoli e di quelli non coltivati; resta invece confermato a 110 il moltiplicatore previsto «per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola» (articolo ItaliaOggi Sette del 24.11.2014).

TRIBUTI: Imu e invenduto.
Domanda
Impresa di costruzioni edili con un magazzino di immobili invenduti a causa della crisi economica: è vero che spetta una specifica agevolazione Imu? Quale e in quali termini?
Risposta
L'art. 13, c. 9-bis del dl «Salva Italia» n. 201/2011 prevede: «I comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,38% per i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall'ultimazione dei lavori».
Questi i termini e le condizioni dell'agevolazione che, tuttavia, per poter in concreto operare, deve essere espressamente deliberata dal Comune. In mancanza, resta applicabile a tali immobili l'aliquota ordinaria. In ogni caso, ai fini dell'acconto da versare entro il 18 giugno prossimo occorrerà applicare l'aliquota ordinaria di legge (0,76%) e verificare poi se il Comune avrà deliberato (lo può fare entro il 30 settembre) di introdurre la predetta agevolazione e/o di modificare le aliquote rispetto a quelle di legge.
In sede di acconto (dovuto entro il 17 dicembre) dovrà essere versata l'imposta a conguaglio per l'intero anno, determinata con le aliquote definitive applicabili in ogni singolo comune e, in mancanza, con quelle di legge, scomputando l'importo già versato a titolo di acconto.
Si segnala che anche il governo si è riservato la facoltà di modificare le aliquote e le detrazioni con uno o più Provvedimenti da emanare entro il termine del 10.12.2012 (articolo ItaliaOggi Sette del 24.11.2014).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Impianti fotovoltaici.
Domanda
Lessi tempo addietro un qualcosa su come calcolare l'aumento della rendita di un immobile a seguito dell'installazione di un impianto fotovoltaico. Potete darmene gentilmente nozione, dal momento che non ricordo più dove la lessi?
Risposta
Verosimilmente il cortese lettore si riferisce a un «question time» in commissione finanze della Camera del 30/04/2014. In quella sede il sottosegretario all'economia Zanetti ebbe a precisare che, per quel che concerne gli incrementi delle rendite degli immobili, la variazione della rendita deve avvenire soltanto quando l'impianto fotovoltaico «integrato» incrementa il valore capitale (o la redditività ordinaria) del 15%, con ulteriori salvaguardie (potenza nominale inferiore a 3 kwt per ogni unità, potenza nominale complessiva non superiore a tre volte il numero delle unità immobiliari e volume dell'impianto inferiore a 150 mc per le installazioni a terra) in presenza delle quali non risulta obbligatoria la dichiarazione di variazione in catasto (articolo ItaliaOggi Sette del 17.11.2014).

ottobre 2014

TRIBUTI: Sottotetti.
Domanda
La mia abitazione principale, oltre ad avere la cantina e il sottotetto, ha un altro locale di deposito, di natura pertinenziale. Per detto locale posso godere dell'esenzione Imu, prima casa?
Risposta
Come si è avuto modo di scrivere, la legge numero 147, del 2013 (legge di Stabilità per l'anno 2014), puntualizzando meglio la normativa che regolamenta l'Imposta municipale propria (Imu), portata dall'articolo 13 del decreto legge numero 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 214, del 2011, ha affermato che la suddetta imposta non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze.
Ha aggiunto, poi, che per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6, C/7 (C/2..Magazzini e locali di deposito; C/6...Stalle, scuderie, rimesse, autorimesse; C/7..Tettoie chiuse o aperte), nella misura massima di una unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo.
Pertanto, la presenza di un locale indicato nella planimetria catastale dell'abitazione principale come cantina o sottotetto viene ad eliminare la possibilità che un'unità immobiliare autonoma, iscritta in categoria C/2, possa assurgere al ruolo di pertinenza dell'abitazione principale anche quando sussistono tutti gli elementi per l'uso funzionale all'abitazione.
Peraltro, lo stesso ministero dell'economia e delle finanze, con la circolare numero 3/DF del 18.05.2012, emanata dopo l'entrata in vigore dell'imposta municipale propria (Imu), ebbe ad affrontare l'ipotesi di «due pertinenze, di solito la soffitta e la cantina, accatastate unitamente all'unità ad uso abitativo. In tale caso, in base alle norme catastali, la rendita attribuita all'abitazione principale ricomprende la redditività di tali porzioni immobiliari non connesse. Pertanto, poiché dette pertinenze, se fossero accatastate separatamente, sarebbero entrambe classificate in categoria C/2, per rendere operante la disposizione in esame, si ritiene che il contribuente possa usufruire delle agevolazioni per l'abitazione principale solo per un'altra pertinenza classificata in categoria C/6 o C/7».
Interpretazione questa che, anche se esplicitata prima dell'entrata in vigore della citata legge numero 147, del 2013 (legge di Stabilità per l'anno 2014), ha valenza (si ritiene) anche dopo l'entrata in vigore di quest'ultima legge.
È naturale che per detti spazi (soffitta, cantina), integrati nell'abitazione principale, deve sussistere la possibilità di una loro potenziale iscrivibilità catastale autonoma (articolo ItaliaOggi Sette del 27.10.2014).

TRIBUTI: Tassa smaltimento rifiuti urbani.
Domanda
Sono proprietario di un garage auto che per la vetustà dell'edificio è inutilizzabile. Sono tenuto al pagamento, per esso, della tassa sui rifiuti solidi urbani, dato che in esso non viene prodotto alcun rifiuto?
Risposta
Il presupposto impositivo della tassa sui rifiuti solidi urbani, ai sensi dell'articolo 62, comma primo, del decreto legislativo numero 507, del 1993, (analogamente è disposto in ordine alla Tares e alla Tari), è il possesso o la detenzione di locali suscettibili di produrre rifiuti solidi urbani. Il successivo comma due prevede alcuni casi per i quali la tassa non è dovuta.
Essi sono individuati nel caso in cui i locali non possono produrre rifiuti per la loro natura o per il particolare uso a cui essi sono destinati stabilmente e nel caso in cui sono i predetti locali sono in condizione di obiettiva inutilizzabilità. Questo dato deve essere indicato esplicitamente nella denuncia originaria o di variazione presentata al Comune.
La Corte di cassazione, all'uopo interessata, con l'ordinanza numero 12443, del 03.06.2014, ha affermato che la predetta normativa pone una presunzione legale in ordine alla produzione dei rifiuti a carico del contribuente. Infatti, per i Supremi giudici, su di esso grava l'onere di provare l'esistenza dei presupposti per potere usufruire dell'esenzione, come per legge.
Pertanto, nel caso, se nella denuncia originaria o in quella di variazione, presentata al Comune competente, non sono state evidenziate le obiettive condizioni di inutilizzabilità del garage, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è dovuta (articolo ItaliaOggi Sette del 13.10.2014).

TRIBUTI: Pertinenze Imu.
Domanda
Ai fini dell'Imposta municipale propria (Imu), esiste un criterio certo per individuare le pertinenze dell'abitazione?
Risposta
La legge numero 147, del 2013 (legge di stabilità per l'anno 2014), puntualizzando meglio la normativa che regolamenta l'Imposta municipale propria (Imu), portata dall'articolo 13 del decreto legge numero 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 214, del 2011, ha affermato che la suddetta imposta non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze.
Ha aggiunto, poi, che per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6, C/7, nella misura massima di una unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo. La Corte di cassazione, con la sentenza del 30.11.2009, numero 25127, ebbe ad affermare che, ai sensi dell'articolo 817, del codice civile, son pertinenze le cose destinate in modo durevole al servizio o all'ornamento di un'altra cosa. Quindi, ai fini dell'attribuzione della qualità di pertinenza occorre basarsi, per i Supremi giudici, «sul criterio fattuale e cioè sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio od ornamento di un'altra, secondo la relativa definizione contenuta nell'articolo 817 del codice civile».
In materia fiscale, aggiungono i predetti giudici, «attesa la indisponibilità del rapporto tributario, la prova dell'asservimento pertinenziale, che grava sul contribuente (quando, come nella specie, ne derivi una tassazione attenuata) deve essere valutato con maggiore rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico.
Se la scelta pertinenziale non è giustificata da reali esigenze (economiche, estetiche o di altro tipo), non può avere valenza tributaria, perché avrebbe l'unica funzione di attenuare il prelievo fiscale, eludendo il precetto che impone la tassazione in ragione della reale natura del cespite
» (articolo ItaliaOggi Sette del 13.10.2014.

TRIBUTI: Appartamento da sopraelevazione.
Domanda
Si chiede se, nel caso, di appartamento risultante da sopraelevazione, il comune poteva assoggettare a imposizione Ici l'area su cui si sviluppava la cubatura, in relazione alla quale era stata conseguita la concessione edilizia per l'appartamento al primo piano dato che non vi è altra area fabbricabile se non quella su cui insiste l'appartamento a suo tempo realizzato al piano terreno.
Risposta
La Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza dell'08.05.2013, numero 10735, alla luce anche della precedente sentenza della stessa Corte del 23.10.2006, numero 22808, ha affermato che, ai fini dell'Imposta comunale sugli immobili (Ici), la nozione di fabbricato, di cui all'articolo 2, del decreto legislativo 30.12.1992, numero 504, rispetto all'area su cui esso insiste, è unitaria nel senso che, una volta che l'area edificabile sia comunque utilizzata, il valore della base imponibile, ai fini dell'imposta, si trasferisce dall'area stessa all'intera costruzione realizzata. Infatti, per i giudici, la norma, per l'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili, sul fabbricato di nuova costruzione, individua due soli criteri alternativi: la data di ultimazione dei lavori, ovvero, se antecedente, quella di utilizzazione, senza alcun riferimento alla divisione del fabbricato, in piani o porzioni.
Pertanto, secondo la Suprema corte, richiamata la sua precedente sentenza del 15.12.2004, numero 23347, per la determinazione della base imponibile di un appartamento in costruzione al primo piano dell'edificio, non trova applicazione la normativa portata dall'articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 30.12.1992, numero 504, che disciplina l'utilizzazione edificatoria dell'area, individuando come base imponibile il valore dell'area stessa, ma l'articolo 2, comma 1, lettera a), che, per l'assoggettabilità a imposta del fabbricato di nuova costruzione individua due criteri alternativi. Il primo criterio è la data di ultimazione dei lavori di costruzione, l'altro, se antecedente, quello di utilizzazione.
Ora, nel caso, di appartamento risultante da sopraelevazione, non essendosi, per Giudici, realizzato alcuno dei due presupposti, il comune non avrebbe dovuto assoggettare a imposizione Ici l'area su cui si sviluppava la cubatura, in relazione alla quale era stata conseguita la concessione edilizia per l'appartamento al primo piano, non essendovi altra area fabbricabile che quella su cui insisteva l'appartamento a suo tempo realizzato al piano terreno (articolo ItaliaOggi Sette del 06.10.2014).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Variazione della rendita catastale.
Domanda
Per i provvedimenti di variazione della rendita catastale di unità immobiliare, emessi dall'Ufficio del territorio, su richiesta del Comune, ai sensi dell'articolo 3, comma 58, della legge 23.12.1996, numero 662, sussiste un rigoroso obbligo di motivazione?
Risposta
La Corte di cassazione, sezione tributaria, con l'ordinanza del 03.02.2014, numero 2357, ha affermato, anche alla luce di quanto deciso dalla stessa Corte con la sentenza numero 9629, del 13.06.2012 e a modifica di precedente orientamento della stessa Corte di cassazione, che, l'Agenzia delle entrate, Ufficio del territorio, quando procede all'attribuzione d'ufficio di un nuovo classamento a una unità immobiliare a destinazione ordinaria, deve specificare se tale mutato classamento sia dovuto a trasformazioni specifiche subite dall'unità immobiliare in questione oppure a una risistemazione dei parametri relativi alla microzona, in cui si colloca l'unità immobiliare.
Nel primo caso, l'Agenzia delle entrate deve indicare le trasformazioni edilizie intervenute. Nel secondo caso, il predetto Ufficio deve indicare l'atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano, rendendo così possibile la conoscenza dei presupposti del riclassamento da parte del contribuente.
La Suprema corte, quindi, con la citata sentenza ha riconfermato il proprio recente indirizzo circa la idonea motivazione degli atti impugnati; motivazione non integrabile dall'Ufficio, convenuto in giudizio, nel corso del giudizio medesimo. Per i giudici, pertanto, non è più da condividere la tesi, secondo la quale gli atti dell'Ufficio, impugnati, debbano avere soltanto il requisito della provocatio ad apponendum, necessaria per far conoscere al contribuente gli elementi essenziali della pretesa impositiva (articolo ItaliaOggi Sette del 06.10.2014).

TRIBUTI: Chi paga Imu e Tasi.
Domanda
Vorrei sapere chi è tenuto al pagamento dell'Imu e della Tasi in presenza della seguente fattispecie: firma di un preliminare di vendita con immissione anticipata del promissario acquirente nel possesso dell'immobile.
Risposta
Il pagamento dell'Imu sarà a totale carico del proprietario, promittente venditore, dell'immobile. Per quel che concerne la Tasi invece, la stessa sarà in parte a carico del proprietario dell'immobile (promittente venditore) e in parte dell'occupante lo stesso (promittente acquirente), secondo le percentuali al riguardo fissate dall'apposita delibera del Comune competente (articolo ItaliaOggi Sette del 06.10.2014).

settembre 2014

TRIBUTI: Riclassamento con motivazione.
Domanda
Come deve essere corredato l'atto di rilassamento catastale di un immobile affinché possa ritenersi legittimo?
Risposta
La giurisprudenza della Corte di cassazione in questi ultimi anni ha chiarito in molte pronunce che anche gli atti relativi al riclassamento catastale devono essere compiutamente motivati al fine di delimitare l'ambito della dialettica processuale e di porre il contribuente nella condizione di potersi difendere. L'Amministrazione finanziaria (in ciò sbagliando gravemente) molto spesso, invece, non ottempera a tale basilare precetto.
Merita di essere citata, tra le più recenti, la sentenza n. 16476 del 18.07.2014 nella quale la Suprema corte, confermando le decisioni della Ctp di Napoli e della Ctr della Campania, ha negato che l'onere della motivazione dell'atto di variazione di classamento possa esaurirsi nell'enunciare i soli dati della consistenza, categoria e classe acclarati dall'Ufficio.
Questo il principio di diritto enunciato: «In tema di revisione del classamento catastale di immobili urbani, la motivazione non può, in conformità alla legge n. 662/1996 (art. 3, c. 58), limitarsi a contenere l'indicazione della consistenza, categoria e classe attribuite dall'Agenzia, ma deve specificare, ai sensi dello Statuto del contribuente (legge 212/2000, art. 7, c. 1), a pena di nullità, a quale presupposto (il non aggiornamento del classamento o la palese incongruità rispetto a fabbricati similari) la modifica debba essere associata e laddove si tratti della constatata manifesta incongruenza tra il precedente classamento dell'unità immobiliare e il classamento di fabbricati similari aventi caratteristiche analoghe, l'atto impositivo dovrà recare la specifica individuazione di tali fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li renderebbero similari all'unità immobiliare oggetto di riclassamento, così rispondendo alla funzione di delimitare l'ambito delle ragioni deducibili dall'ufficio nella successiva fase contenziosa, nella quale il contribuente, nell'esercizio del proprio diritto di difesa, può chiedere la verifica dell'effettiva correttezza della riclassificazione».
La sentenza ha anche precisato che «il divieto dei motivi aggiunti, fuori dei ristretti casi stabiliti dall'art. 24 del Dlgs n. 546/1992, è ragionevole solo nel presupposto che all'Ufficio sia in corrispondenza proibito di allegare i ridetti fatti in corso di processo. Pertanto, l'avviso di classamento è nullo per difetto di motivazione non solo quando manchi d'indicare gli immobili serviti da comparazione, ma altresì quando non siano indicate quali siano le caratteristiche analoghe degli immobili comparati, ciò che è all'evidenza indispensabile a mettere il contribuente in grado di contraddire il fatto allegato a mezzo di specifico motivo (Cass. sez. trib. n. 21532 del 2013; Cass. sez. 6 n. 10489 del 2013)» (articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014).

TRIBUTI: Pertinenzialità da dimostrare.
Domanda
Vorremmo sapere se ai fini Imu/Ici è fondato l'assunto di pertinenzialità, e quindi di non autonoma tassabilità, di un'area urbanisticamente edificabile limitrofa a un fabbricato in quanto utilizzata stabilmente come terreno per il deposito di materiale. Il Comune pretende invece di tassarla in modo autonomo come terreno edificabile.
Risposta
Del tema si è occupata di recente la Ctr di Firenze (sent. n. 1067/13/14), che, nel richiamare l'orientamento giurisprudenziale della Cassazione, ha posto la prova della pertinenzialità a carico del contribuente. Più in particolare, la sentenza ha evidenziato la rilevanza della destinazione urbanistica (ossia, la qualificazione del terreno come edificabile in base agli strumenti urbanistici generali adottati) e la prevalenza di tale criterio rispetto al concetto di pertinenzialità di cui all'art. 817, 1° c., cod. civ. («Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima»), essendo irrilevante l'uso concreto che il proprietario fa dell'area e quindi l'eventuale funzione pertinenziale svolta di fatto. La sentenza ha così richiesto al contribuente di fornire la prova di un effettivo e durevole asservimento pertinenziale, non riconducibile a un mero collegamento occasionale, basato su concreti elementi di fatto, prova rispetto alla quale possono risultare d'ausilio anche le risultanze catastali.
Nello specifico, non è stato ritenuto sufficiente il parziale e temporaneo utilizzo quale deposito di materiale, reputato quale mera esigenza occasionale ovviabile facendo ricorso a una diversa organizzazione gestionale dell'attività produttiva, aprendosi diversamente l'accesso, in modo strumentale, a comportamenti fiscali elusivi (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.09.2014).

agosto 2014

TRIBUTI: Tassa rifiuti e box auto.
Domanda
Posso pretendere di non pagare la tassa per la raccolta dei rifiuti su un box auto chiuso in autorimessa condominiale in quanto non produttivo di rifiuti?
Risposta
Di recente, chiamata a decidere circa l'applicabilità o meno della tassa sulla raccolta dei rifiuti (Tarsu) a un box auto, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso del Comune (che nei primi due gradi di giudizio aveva avuto però torto da parte delle Commissioni tributarie provinciale di Catania e regionale della Sicilia) affermando che, a termini di legge, il presupposto della Tarsu è l'occupazione o la detenzione di locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti e che non sono soggetti alla tassa i soli locali e aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in condizioni di obiettiva inutilizzabilità, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o in una denuncia presentata successivamente e debitamente riscontrate in base a elementi obiettivi direttamente rilevabili o idoneamente documentati (Cassazione, sentenze n. 11351/2012 e 17703/2004).
La Cassazione ha così concluso che la legge presume che locali e aree, in linea generale, producano rifiuti (di regola e per loro natura) e che se ciò non accade la prova deve essere fornita dal contribuente, ma non può essere presunta dal giudice (articolo ItaliaOggi Sette del 25.08.2014).

maggio 2014

TRIBUTISe c'è un'autorità d'ambito i comuni non possono approvare le tariffe Tari.
I comuni non possono approvare da soli i piani finanziari e le tariffe della tassa rifiuti (Tari) quando a tal fine è stata costituita un'apposita autorità d'ambito o un'agenzia a livello regionale. In caso di inerzia di quest'ultima, l'unico modo per uscire dall'impasse è attivare il potere sostitutivo nelle forme di legge.

Il chiarimento arriva dal parere 08.05.2014 n. 125 della Sez. regionale di controllo per l'Emilia Romagna della Corte dei conti.
La questione riguarda l'art. 1, comma 683, dell'ultima legge di stabilità (legge 147/2013): in base a tale disposizione, il consiglio comunale deve approvare le tariffe della Tari in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso e approvato dal consiglio comunale o da altra autorità competente a norma delle leggi vigenti in materia.
In Emilia Romagna, a esempio, la legge regionale 23/2011 ha istituito un'apposita agenzia territoriale per sovrintendere ai servizi idrici e rifiuti. In casi come questo, la competenza ad approvare il piano finanziario e le tariffe si radica nell'ente sovracomunale e il consiglio comunale non può sostituirsi a esso neppure quanto lo stesso rimane inerte.
Per ovviare, precisano i magistrati contabili, è necessario richiedere l'esercizio dei poteri sostitutivi nelle modalità previste dalla normativa in materia di mancato esercizio di funzioni da parte degli enti locali, ai quali le predette agenzie sono riconducibili in quanto consorzi obbligatori di enti locali. Nel caso di specie, ad esempio, il potere sostitutivo è in capo alla regione, ai sensi dell'art. 30 della citata legge regionale 23. Solo laddove le autorità d'ambito non sono state (ancora) istituite, i comuni potranno fare da sé.
Il parere si sofferma che sul contenuto dei piani finanziari: nel caso in cui siano redatti da una autorità o agenzia d'ambito, essi devono necessariamente considerare anche i costi amministrativi dell'accertamento e riscossione (i cosiddetti Carc), anche se questi siano sostenuti dal comune. I piani, inoltre, devono comprendere anche i costi di funzionamento del soggetto sovracomunale (articolo ItaliaOggi del 30.05.2014).

marzo 2014

TRIBUTI: M. Villani e I. Pansardi, Nuovo orientamento della Cassazione sulla motivazione del classamento (catastale) (04.03.2014 - link a www.diritto.it).

febbraio 2014

TRIBUTILegge stabilità. Rifiuti speciali, niente Tari.
Non sono soggette al pagamento della Tari le superfici in cui vengono prodotti rifiuti speciali. Nella determinazione della superficie tassabile, però, non si calcola quella parte dove si formano questi rifiuti in modo continuativo e prevalente, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori.

È quanto prevede l'articolo 1, comma 649, della legge di Stabilità (147/2013). La formulazione di questa norma è tutt'altro che un esempio di chiarezza, in quanto fa già discutere e può generare contenzioso nella parte in cui richiede la produzione di rifiuti speciali «in via continuativa e prevalente» al fine di ottenere l'esonero dal prelievo.
Il dubbio che si pone è se qualora sussista il requisito della continuità e prevalenza non possono essere tassate integralmente le superfici in cui si producono anche rifiuti speciali oppure se il beneficio rimane sempre circoscritto alla parte della superficie interessata e l'esonero è solo parziale. Nonostante l'infelice formulazione della disposizione di legge, si ritiene che l'agevolazione fiscale sia sempre limitata alla parte dell'immobile interessata dalla formazione di questi rifiuti e non si estende all'intera superficie, vale a dire a quella in cui si producono rifiuti ordinari. La novità rispetto al passato, infatti, è che una «parte di essa» può essere esclusa dalla tassazione solo a condizione che la produzione di rifiuti speciali risulti continuativa e prevalente.
Nel caso in cui sussista questa condizione allo smaltimento dei rifiuti sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori. Ma l'esclusione dell'obbligo di conferirli al servizio pubblico si ha solo nei casi in cui sia fornita dimostrazione del loro avvio al recupero, con attestazione di ricevuta da parte dell'impresa incaricata del trattamento. Inoltre, spetta al contribuente provare quale parte dell'immobile non sia soggetta alla tassa. Peraltro il comma 682, lettera a), numero 5), della legge di Stabilità attribuisce al comune la facoltà di concedere con regolamento una riduzione tariffaria in caso di autosmaltimento.
In particolare, l'amministrazione comunale può individuare categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare riduzioni rispetto all'intera superficie su cui l'attività viene svolta (articolo ItaliaOggi del 28.02.2014).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTIFotovoltaico, obbligo di Catasto. Al bivio fra iscrizione e revisione della rendita: in ogni caso imposte più elevate. Fisco e immobili. La circolare 36/E delle Entrate chiarisce che occorre procedere all'operazione per le strutture più grandi.
L'accatastamento degli impianti fotovoltaici ha trovato forse la soluzione definitiva con la circolare 19.12.2013 n. 36/E delle Entrate.
In particolare, per gli impianti fotovoltaici a terra, considerati beni immobili, è previsto l'accatastamento nella categoria D/1 "opifici". Se invece di impianti a sé stanti, come nel primo caso, si tratta di strutture poste su edifici, lastrici solari o su aree di pertinenza di altri immobili, non si dovrà effettuare un autonomo accatastamento, ma procedere alla rideterminazione della rendita dell'immobile a cui i pannelli sono connessi. Se questa aumenta di più del 15% rispetto al valore originario, il proprietario è tenuto a comunicare la variazione all'agenzia del Territorio (si veda l'altro articolo in pagina).
Se l'impianto è costruito in forza di diritto di superficie, va accatastato autonomamente e quindi dovrebbe assumere la categoria di opificio; infatti nella fattispecie il proprietario dell'impianto è diverso da quello dell'immobile sottostante. In ultimo la circolare considera in ogni caso come beni mobili, e dunque non meritevoli di accatastamento, gli impianti di "modesta entità".
La circolare considera anche il caso di impianti fotovoltaici "rurali", prevedendo il loro accatastamento nella categoria D/10, a condizione che siano asserviti ad una azienda agricola «esistente» con un terreno di estensione non inferiore ai 10mila metri quadri e che la potenza dell'impianto non risulti superiore ai 200 Kw. In questi casi, l'impianto potrà essere censito come D/10 anziché D/1, purché alla dichiarazione di accatastamento si alleghi l'autocertificazione dei requisiti di ruralità su modello conforme.
Ai fini delle imposte ricomprese nella Imposta unica comunale (Iuc), ovvero Imu, Tasi e Tari, il diverso accatastamento ha notevoli ripercussioni.
Nel caso di immobili censiti autonomamente in categoria D/1, si dovrà procedere al calcolo dell'Imu e delle altre imposte gravanti sugli immobili in base al valore catastale derivante dalla dichiarazione di accatastamento. Per Imu e Tasi (tariffa sui servizi non divisibili), partendo dal valore catastale dell'immobile, si dovrà procedere al calcolo delle imposte, ricordando che la somma delle due aliquote non dovrebbe poter superare il 10,6 per mille e comunque l'aliquota Tasi dovrà essere compresa tra l'1 e il 2,5 per mille, ma si è in attesa di decreto. Per la Tari (tariffa rifiuti) la base imponibile sarà ancora data dalla superficie calpestabile e varranno specifiche aliquote determinate dai Comuni in modo da garantire l'integrale copertura dei costi sostenuti per la raccolta rifiuti; pertanto non dovrebbe colpire gli impianti fotovoltaici.
Nel caso, invece, di immobile già censito per cui si renda necessaria la variazione del valore catastale, si dovrà procedere al ricalcolo dell'Imu rispetto a quello dell'anno precedente. La variazione catastale determinerà, infatti, un aumento proporzionale della base imponibile ai fini Imu e Tasi.
Gli impianti fotovoltaici "rurali" censiti nella categoria D/10 sono esenti da Imu come previsto dal comma 708 della legge 147/2013 per gli immobili rurali strumentali, mentre ai fini Tasi potranno essere soggetti al massimo all'aliquota dell'1 per mille, con possibilità per i Comuni di prevedere anche ulteriori riduzioni. Ovviamente la ruralità è garantita qualora vengano rispettate le condizioni stabilite dalla circolare dell'Agenzia 32/2009 e in particolare che il fatturato della attività agricola sia superiore a quello della produzione di energia elettrica, tariffa incentivante esclusa, ovvero che il terreno coltivato anche in comuni non confinanti sia pari ad almeno 10 ettari per 100 kw
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.02.2014 - tratto da www.centrostudi.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rischio contenzioso per i produttori di rifiuti speciali assimilati.
Rischio contenzioso sulla Tari per i produttori di rifiuti speciali assimilati. Secondo il ministero dell'ambiente, a tali soggetti spettano solo gli sconti sulla parte variabile della tariffa eventualmente decisi dai comuni, in base all'art. 1, comma 649, della legge 147/2013. Ma il successivo comma 661 consente loro di pretendere l'esenzione totale. Si tratta di due norme fra di loro chiaramente contrastanti.
In base alla prima, «per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della Tari, il comune, con proprio regolamento, può prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero». La seconda disposizione, invece, dispone che la Tari non è dovuta «in relazione alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero».

Con la
circolare 13.02.2014 n. 1/2014 il ministero dell'ambiente ha affermato la prevalenza del comma 649 rispetto al successivo comma 661, lasciando, in pratica, il pallino degli sconti nelle mani dei comuni.
Ciò sulla scorta di una duplice argomentazione: sul piano formale, si evidenzia come sia la seconda disposizione (già contenuta nell'originario ddl di Stabilità) a non essere coordinata con la prima (inserita durante l'iter parlamentare); sul piano sostanziale, si afferma la necessità di conservare in capo agli enti locali la flessibilità necessaria a conciliare la sostenibilità finanziaria del ciclo integrato dei rifiuti con le politiche di incentivo e stimolo per le buone pratiche in tema di recupero.
Tuttavia, gli ordinari canoni interpretativi dovrebbero suggerire di far prevalere la tesi più favorevole ai contribuenti interessati, che certamente possono invocare l'esenzione totale in base al comma 661. Di ciò pare essere consapevole lo stesso estensore della circolare, allorché evidenzia la necessità di un «chiarimento normativo», anche al fine di «prevenire un prevedibile contenzioso, di durata non determinabile, a scapito di operatori e aziende», oltre che (si deve aggiungere) degli stessi comuni. Non a caso, lo schema di decreto sulla casa predisposto dall'ex governo Letta (e destinato a contenere anche i correttivi sulla Tasi e sul fondo di solidarietà) sposava la tesi opposta a quella fatta propria dal dicastero da ultimo guidato da Andrea Orlando.
Una soluzione, quest'ultima, anch'essa problematica, che scaricherebbe forti aumenti sulle utenze domestiche. Anche il riferimento alla «parte variabile» della tariffa come base di riferimento degli sconti decisi dai sindaci è impreciso, dal momento che, da quest'anno, in alternativa al metodo normalizzato, è possibile optare per quello «semplificato», che non presuppone la distinzione fra costi fissi e costi variabili. Peraltro, non si tratta dell'unico problema posto dalla disciplina della Tari.
Un altro dubbio interpretativo riguarda questa volta i produttori di rifiuti speciali non assimilati agli urbani. Qui il dubbio nasce dall'inciso «in via continuativa e prevalente» che potrebbe giustificare la richiesta di detassazione anche con riferimento ad aree con produzione mista (articolo ItaliaOggi del 18.02.2014).

TRIBUTI: Oggetto: regime tariffario per rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, circolare 13.02.2014 n. 1/2014).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTILa villa è «di lusso» se lo dice il Prg. Conta la destinazione urbanistica dell'area come definita prima della costruzione. Giustizia. La Corte di cassazione interviene sui requisiti per l'ottenimento dei benefici fiscali sulla compravendita.
La prima casa "di lusso" non può diventarlo dopo la costruzione. Se lo strumento urbanistico, all'atto della costruzione dell'edificio, non prevedeva che l'area fosse destinata a "villa", l'edificio non può essere considerata di lusso.
Questo, in sostanza, il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la ordinanza 11.02.2014 n. 3080.
La questione è arrivata in Cassazione dopo che l'agenzia delle Entrate aveva perso in appello con il contribuente sulla liquidazione delle maggiori imposte di registro, chieste dopo aver accertato che l'abitazione, comprata nel 2005 con le agevolazioni fiscali per la prima casa, si trovava in una zona che il piano regolatore aveva destinato a villa o parco privato. Il contenzioso era iniziato nel 2008, con una sentenza 80/1/2008 della Commissione tributaria provinciale di Livorno che aveva dato ragione al contribuente ed era proseguito con la sentenza 59/10/11, depositata il 21.04.2011, della Commissione tributaria regionale della Toscana, che a sua volta aveva bocciato le richieste dell'agenzia delle Entrate.
Ricordiamo che la differenza a carico del contribuente non è di poco conto: si tratta di versare la differenza tra un importo pagato, pari al 4% del valore fiscale dell'immobile come imposta di registro più (all'epoca) 336 euro complessive e fisse per le imposte ipotecaria e catastale, e le imposte piene, pari al 10% complessivo del valore fiscale. Inoltre, scatta una sanzione del 30% dell'imposte complessivamente dovuta.
Premesso quindi che l'articolo 1 del Dm dell'08.08.1969 (quello cui si fa riferimento per individuare le abitazioni "di lusso" escluse dai benefici prima casa) stabilisce che le costruzioni considerate "di lusso" nelle aree destinate a villa o parco privato dagli strumenti urbanistici sono tali proprio per la destinazione dell'area e non per le loro caratteristiche intrinseche, in questo caso si era trattato di una modifica al Prg intervenuta nel 1999, ben dopo l'ultimazione della costruzione nel 1990: «È tuttavia evidente -ha affermato la Suprema Corte- come l'adozione o l'approvazione di uno strumento urbanistico che destini l'area a villa o parco privato debba precedere la costruzione dell'immobile; e ciò in quanto si presuppone che la costruzione realizzata in area destinata a villa o a parco privato corrisponda tipologicamente al tipo di abitazione che su quell'area può essere realizzato - villa o parco privato. Diviene pertanto irrilevante per la qualificazione dell'abitazione come "di lusso" l'adozione di uno strumento urbanistico che destini l'area a "villa" o "parco privato" successivamente alla realizzazione della costruzione stessa».
Quindi, per la Cassazione, anche se l'acquisto oggetto di revoca dei benefici era intervenuto dopo la variazione (nel 2005), è proprio la data di costruzione che fa fede. E ha respinto il ricorso dell'agenzia, confermando i benefici al contribuente acquirente
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.02.2014).

TRIBUTI: Oggetto: Tasi – Nota operativa e schema regolamento (ANCI Emilia Romagna, nota 11.02.2014 n. 36 di prot.).

gennaio 2014

PATRIMONIO - TRIBUTI: G.U. 29.01.2014 n. 23, suppl. ord n. 9/L, "Testo del decreto-legge 30.11.2013, n. 133, coordinato con la legge di conversione 29.01.2014, n. 5, recante: «Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia»".

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Oggetto: Legge di stabilità 2014 – n. 147 del 27.12.2013. Principali misure di natura fiscale di interesse per il settore edile (ANCE Bergamo, circolare 17.01.2014 n. 23).

TRIBUTIImposte, il catasto non fa testo.
Le risultanze catastali non forniscono piena prova della proprietà o del possesso di un immobile, mentre l'unico strumento di pubblicità per i beni immobili e i relativi atti di disposizione è rappresentato dai registri immobiliari presso l'ufficio della conservatoria. Pertanto, quando un contribuente accertato ai fini Ici contesti la proprietà del bene, è onere dell'amministrazione comunale fornire adeguata prova dell'esistenza del presupposto d'imposta, ossia la proprietà o altro diritto reale sullo stesso che si evinca dai registri immobiliari.

È quanto si legge nella sentenza 14.01.2014 n. 57/01/14 della Ctr di Roma, Sez. I.
In una controversia riguardante avvisi di accertamenti per Ici, emessi dal comune di Roma relativamente a due immobili del territorio capitolino, il contribuente contestava la pretesa fiscale alla fonte, ovvero lamentando di non essere affatto proprietario dell'uno e solo parzialmente dell'altro bene. Resisteva il comune, basando la propria pretesa sulle risultanze catastali: proprio tale circostanza ha rappresentato l'anello debole del costrutto impositivo. «Va rilevato», si legge in sentenza, «che in via normale l'Ici è dovuta sulla base delle risultanze catastali, ma davanti alle contestazioni delle stesse va dimostrata da parte dell'ente impositore la proprietà dell'immobile ovvero la titolarità di altro diritto».
Le risultanze catastali non danno piena prova della proprietà, costituendo «un sistema secondario per stabilire la proprietà di un bene immobile». L'unico strumento idoneo, a tal scopo, «è rappresentato dalla trascrizione immobiliare di cui all'art. 2643 del codice civile presso l'ufficio della conservatoria dei registri immobiliari» (articolo ItaliaOggi Sette del 24.02.2014).

dicembre 2013

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO - TRIBUTI: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) - Selezione norme di interesse dei Comuni (ANCI, dicembre 2013).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: OGGETTO: Impianti fotovoltaici – Profili catastali e aspetti fiscali (Agenzia delle Entrate, circolare 19.12.2013 n. 36/E).
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Pannelli solari: ecco la circolare che mette accordo tra fisco e catasto.
Tra la vasta casistica affrontata dal documento di prassi, specifica attenzione è rivolta al trattamento tributario delle tariffe incentivanti previste dal V Conto Energia.
L’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 36/E del 19 dicembre, fa il punto sugli impianti per la produzione di energia fotovoltaica, focalizzandosi, in particolare, sulle conseguenze che derivano in materia catastale e tributaria a seconda della qualificazione degli stessi come beni mobili o immobili.
In via preliminare, per quanto riguarda i profili catastali, l’odierno documento di prassi evidenzia come, ai fini del censimento in catasto, non assume rilievo esclusivo la facile amovibilità delle componenti degli impianti fotovoltaici, né la circostanza che possano essere posizionate in altro luogo mantenendo inalterata la loro originale funzionalità e senza antieconomici interventi di adattamento (circolare n. 4/T del 2006).
Dal punto di vista fiscale, invece, il requisito dell’amovibilità ai fini della qualificazione degli impianti fotovoltaici come beni mobili è essenziale (circolari n. 46/E del 2007 e n. 38/E del 2008).
Tale diversa impostazione ha pertanto reso opportuno un intervento per dirimere le incertezze degli operatori. (... continua) (link a www.fiscooggi.it).

TRIBUTIImprese edili, Imu più leggera. Esenzione anche per i fabbricati sottoposti a recupero. Risoluzione delle Finanze sull'agevolazione riconosciuta al cosiddetto magazzino.
L'esenzione dall'Imu per il c.d. «magazzino» delle imprese edili, in vigore dal 01.01.2014, si applica anche per i l fabbricati acquistati dall'impresa costruttrice sul quale la stessa procede a interventi di incisivo recupero.

A stabilirlo è la risoluzione 11.12.2013 n. 11/DF della Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze che interviene per la prima volta sulla nuova fattispecie di esenzione dall'imposta municipale propria introdotta l'art. 2, comma 2, del dl 31.08.2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28.10.2013, n. 124.
Questa norma ha disposto infatti l'esenzione dal tributo comunale a decorrere dal 01.01.2014 per «i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita». Detta esenzione vale fintanto che permanga tale destinazione e purché non siano in ogni caso locati.
La questione sottoposta all'esame dei tecnici del ministero è se nel concetto «fabbricati costruiti» possa farsi rientrare anche il fabbricato acquistato dall'impresa costruttrice sul quale la stessa procede a interventi di incisivo recupero, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del dpr 6 giugno 2001, n. 380. Non si tratta, dunque, di semplici opere di manutenzione ordinaria degli edifici, in quanto detto articolo del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, nell'elencare le varie tipologie di interventi edilizi, individua in via generale:
• alla lettera c) gli «interventi di restauro e di risanamento conservativo», gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili;
• alla lettera d) gli «interventi di ristrutturazione edilizia», rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente;
• alla lettera f) gli «interventi di ristrutturazione urbanistica», rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
La risposta positiva prende le mosse dalla considerazione che, ai fini Imu, l'art. 5, comma 6, del dlgs 30.12.1992, n. 504, stabilisce che, in caso di utilizzazione edificatoria dell'area, di demolizione del fabbricato, di interventi di recupero a norma dell'art. 3, comma 1, lett. c), d) e f), del dpr n. 380 del 2001, la base imponibile è costituita dal valore dell'area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito nell'art. 2 del dlgs n. 504 del 1992, senza computare il valore del fabbricato in corso d'opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato.
Da quanto esposto si può dedurre che il legislatore ha effettuato una sorta di equiparazione tra i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero e i fabbricati in corso di costruzione, che sono stati entrambi considerati, ai fini della determinazione della base imponibile Imu, come area fabbricabile fino all'ultimazione dei lavori. Naturalmente, precisa la risoluzione, i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero rientrano nel campo di applicazione dell'esenzione introdotta dal citato art. 2 del dl n. 102 del 2013, solo a partire dalla data di ultimazione dei lavori di ristrutturazione.
Si deve, infine, annotare che il comma 1 dell'art. 2, comma 2, del dl n. 102 del 2013 ha stabilito che per l'anno 2013 non è dovuta la seconda rata dell'Imu relativa ai fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, mentre l'Imu resta dovuta fino al 30 giugno (articolo ItaliaOggi del 12.12.2013).

TRIBUTI: OGGETTO: Esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) per il cd “magazzino” delle imprese edili. Quesito (Ministero dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze, Direzione Legislazione Tributaria e Federalismo Fiscale, risoluzione 11.12.2013 n. 11/DF).

novembre 2013

PATRIMONIO - TRIBUTI: G.U. 30.11.2013 n. 281 "Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia" (D.L. 30.11.2013 n. 133).

TRIBUTIBilanci. Caos a dieci giorni dall'adozione dei bilanci, ma la legge 102/2013 prevede espressamente il ritorno ai vecchi tributi.
Impossibile lo stop alla Tarsu. Nonostante la frenata del Governo, i Comuni possono scegliere fra sei prelievi.
Nel 2013 i Comuni possono applicare sei diverse forme di prelievo sui rifiuti.

È questo il quadro che emerge dopo l'approvazione della legge 124/2013. Ma a 10 giorni dall'adozione dei bilanci sono ancora molti gli enti che non hanno deciso cosa fare, in attesa di chiarimenti ufficiali che forse non arriveranno mai. Come la risoluzione ministeriale che avrebbe dovuto stoppare i Comuni con i bilanci già approvati, cioè quelli più efficienti ma penalizzati dall'impossibilità di tornare indietro. Oppure come l'intervento urgente del Governo, chiesto da più parti anche alla luce degli ulteriori dubbi alimentati dalla recente risposta del sottosegretario alle Finanze (si veda Il Sole 24 Ore del 14 novembre), che mette in discussione la possibilità di riapplicare i vecchi prelievi (Tarsu, Tia1, Tia2). Salvo poi affermare, in altra risposta, che i Comuni passati alla Tarsu possono utilizzare gli stessi codici tributo della Tares.
Il comma 4-quater dell'articolo 5 è confuso, ma traspare chiaramente l'intenzione del legislatore di rendere applicabili i vecchi prelievi. Altrimenti non avrebbe alcun senso la deroga all'articolo 14, comma 46, del Dl 201/2011 e l'espresso riferimento al «caso in cui il Comune continui ad applicare per l'anno 2013 la Tarsu». In sostanza quest'anno ci sono sei alternative: Tares ordinaria, Tares derogata, Tares semplificata, Tarsu, Tia1, Tia2.
La prima riguarda i Comuni che applicano integralmente l'articolo 14 del Dl 201/2011 con i criteri del Dpr 158/1999. Ma per gli enti a Tarsu il passaggio alla Tares si è rivelato traumatico, specie per alcune categorie di contribuenti che si sono viste moltiplicare le tariffe, tanto da causare sommosse in diversi centri. Da qui l'esigenza di introdurre alcune deroghe all'impianto originario. Si passa così alla seconda opzione, quella cioè offerta dal comma 1 dell'articolo 5 del Dl 102/2013, che consente di commisurare le tariffe sulla base delle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti, oppure applicando appositi coefficienti.
Peccato però che il Dipartimento delle Finanze non ha chiarito che si trattava di criteri alternativi al Dpr 158/1999 e non cumulativi, circostanza che invece viene precisata nella disciplina del nuovo Trise. Con la conseguenza di rendere difficilmente applicabile tale opzione, di fatto superata dalla Tares semplificata contenuta nella parte centrale del comma 4-quater.
La norma consente di applicare i costi e le tariffe sulla base dei criteri previsti nel 2012 (Tarsu, Tia1, Tia2), mantenendo tuttavia la veste giuridica di Tares. Con l'unico limite di garantire la copertura integrale dei costi, pur senza considerare le voci del Dpr 158/1999. Si tratta dell'opzione al momento più gettonata insieme al ritorno ai vecchi prelievi. Scelta, quest'ultima, che alletta molto i comuni a Tarsu, che continuerebbero così ad applicare le stesse tariffe dell'anno scorso senza la necessità di coprire integralmente i costi del servizio.
Anche il ritorno alla Tia è possibile in virtù della deroga al comma 46, senza che possa costituire ostacolo il riferimento alla sola Tarsu, riguardante però il ricorso alla fiscalità generale dell'ente per coprire i costi eventualmente non coperti dal gettito della tassa. Indicazione superflua nel caso della Tia, che agisce nella logica del pareggio costi-ricavi e deve ovviamente coprire i costi del servizio in conformità al piano finanziario (articolo Il Sole 24 Ore del 18.11.2013).

TRIBUTIIntoppo sul ritorno alla Tarsu. La chance solo per chi non ha approvato il bilancio. Il Mef spiegherà nei prossimi giorni alle amministrazioni come abbandonare la Tares.
Solo i comuni che non hanno ancora approvato il bilancio 2013 potranno continuare ad applicare la Tarsu in vigore lo scorso anno. Tutti gli altri dovranno restare con la Tares, eventualmente modificando le tariffe già deliberate.
Il chiarimento è contenuto in una risoluzione che il Mef diffonderà nei prossimi giorni per fugare i numerosi dubbi interpretativi posti dall'art. 5 del dl 102/2013, così come modificato in sede di conversione. In particolare, verrà precisata la portata della seconda parte del comma 4-quater, che consente ai comuni di continuare ad applicare anche per quest'anno «la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), in vigore nell'anno 2012».
Tale possibilità verrà concessa solo ai comuni che (avvalendosi della proroga al 30 novembre del relativo termine) non hanno ancora licenziato il preventivo. Tale condizione dovrebbe essere verificata assumendo a riferimento la data di entrata in vigore della legge 124/2013 (che ha convertito il dl 102), ovvero il 29 ottobre.
Al contrario, gli enti che, a tale data, hanno già approvato il bilancio potranno soltanto modificare i criteri di commisurazione delle tariffe, ma pur sempre all'interno del regime Tares. Ad essi, però, sarà consentito utilizzare tutta le altre forme di flessibilità consentite dall'art. 5. Come chiarito dall'Anci Emilia-Romagna (si veda ItaliaOggi di ieri), tale norma consente, nella sostanza, di applicare la Tares nello stesso modo in cui si applicava la Tarsu, senza la necessità di fare riferimento al piano finanziario o ai criteri di articolazione delle categorie e delle tariffe previste nel dpr 158/1999.
Inoltre, non vi è né l'obbligo di considerare le componenti di costo del piano finanziario, come il Carc, né quello di articolare le tariffe delle utenze domestiche per numero dei componenti della famiglia. L'unico vincolo riguarda la necessità di dare copertura integrale dei costi, che invece non sussiste per i comuni che potranno mantenere, anche formalmente, il regime Tarsu: in tali casi, anzi, per espressa previsione del comma 4-quater, «la copertura della percentuale dei costi eventualmente non coperti dal gettito del tributo deve assicurata attraverso il ricorso a risorse diverse dai proventi della tassa, derivanti dalla fiscalità generale del comune».
La circolare in via di definizione a via XX Settembre chiarirà anche un altro aspetto importante: per chi ha già dato il via libera al preventivo 2013, la revisione della disciplina dei tributi potrà essere disposta mediante una semplice variazione del documento contabile già approvato, così come chiarito dalla precedente risoluzione dello stesso Mef 1/2011. Non sarà, quindi, necessario procedere (come richiesto da alcune sezioni regionali della Corte dei conti) alla riadozione del bilancio, per la quale non ci sarebbero i tempi tecnici prima della dead-line del 30 novembre.
Infine, da segnalare che da ieri, sul sito del Ministero dell'interno, è consultabile il testo del Dpcm di riparto del fondo di solidarietà comunale, il cui procedimento è in corso di perfezionamento (articolo ItaliaOggi del 07.11.2013).

TRIBUTIImu, comodato senza tetto Isee. L'Anci Emilia-Romagna sul dl 102.
I comuni non sono obbligati a subordinare a un valore massimo di Isee la fruizione dei benefici «prima casa» a favore degli immobili concessi in comodato ai parenti.

Lo afferma l'Anci Emilia-Romagna, che nella dettagliata nota 29.10.2013 n. 182 di prot. interpretativa ha analizzato le principali novità introdotte in sede di conversione del decreto Imu (dl 102/2013).
Fra queste, il documento si sofferma anche sull'art. 2-bis, che consente ai comuni di equiparare all'abitazione principale, ai fini dell'Imu, le unità immobiliari (escluse quelle classificate in A/1, A/ 8 e A/9) e relative pertinenze concesse in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado (ovvero da padri e figli e viceversa) che le utilizzano come abitazione principale. L'assimilazione è subordinata a una delibera comunale, da adottare entro il prossimo 30 novembre.
Ogni ente è chiamato a definire i criteri e le modalità per l'applicazione dell'agevolazione, «ivi compreso il limite dell'indicatore della situazione economica equivalente (Isee) al quale subordinare la fruizione del beneficio». Tale inciso, nella sua formulazione letterale, ha posto il dubbio se la definizione di un livello massimo di Isee sia o meno obbligatoria. La circolare Anci ammette che il testo si presta a diverse interpretazioni, ma ritiene che «non via sia l'obbligo per i comuni di subordinare il beneficio a un determinato livello di situazione economica».
Tale scelta, insomma, rientra nella piena discrezionalità dei sindaci, che possono valutare se, in regime di ristrettezze economiche, sia o meno opportuno concentrare gli aiuti sui soggetti più in difficoltà. Come gli altri contribuenti, quindi, anche quelli interessati dalla misura in commento dovranno attendere il 9 dicembre, data ultima entro la quale i provvedimenti assunti in materia di Imu dovranno essere pubblicati sul sito istituzionale di ciascun comune.
In ogni caso, l'assimilazione a prima casa, se e nei limiti in cui i comuni decideranno di introdurla, varrà solo ai fini del saldo di dicembre, che non sarà dovuto se sarà confermata l'esclusione anche della seconda rata per le abitazioni principali. Le somme versate in acconto, quindi, non sono in nessun caso rimborsabili (articolo ItaliaOggi del 06.11.2013).

TRIBUTIRifiuti, tornano i vecchi tributi. Per il 2013 resuscita non solo la Tarsu, ma anche la Tia. L'opzione è consentita a tutti i comuni. Per decidere c'è tempo fino al 30 novembre.
Resuscitano i vecchi regimi di prelievo sul servizio di smaltimento rifiuti. Con una mossa azzardata effettuata quasi alla fine dell'anno in corso il legislatore, in deroga alla disciplina Tares, fa rivivere in modo confuso i tributi sui rifiuti che erano stati abrogati. Le amministrazioni locali, infatti, possono applicare Tarsu, Tia1 e Tia2 anche per il 2013 e determinare i costi del servizio e le tariffe in base ai criteri previsti e utilizzati nel 2012, fermo restando che va versata la maggiorazione allo stato.
Possono anche derogare per la Tarsu all'obbligo di copertura integrale dei costi del servizio, che invece è già imposto per Tia1 e Tia2. Lo prevede l'articolo 5, comma 4-quater, del dl 102/2013 convertito nella legge 124/2013.
Questa scelta legislativa ha colto di sorpresa anche chi durante l'anno ha sempre auspicato una proroga al 2014 della Tares, per le difficoltà tecniche legate alla sua applicazione e, soprattutto, per la complessità dei criteri di determinazione delle tariffe. Quindi, può essere data una risposta positiva ai comuni che in questi ultimi giorni si sono posti il problema se il ritorno ai vecchi balzelli è consentito a tutti o solo a quelli che nel 2012 sono stati in regime di Tarsu. L'incertezza della formulazione letterale della norma di legge ha creato dei dubbi interpretativi.
Tarsu, Tia1 e Tia2. In realtà, i comuni hanno facoltà di applicare non solo la Tarsu per l'anno in corso, come si evince in maniera più chiara dal testo dell'articolo 5, ma anche Tia1 e Tia2. Entro il termine per l'approvazione del bilancio di previsione (30 novembre) è consentito fare questa scelta. Fermo restando, però, che i contribuenti sono tenuti a pagare la maggiorazione allo stato. Com'è noto, l'articolo 10 del dl 35/2013 ha stabilito che la maggiorazione va pagata contestualmente all'ultima rata del tributo, nella misura fissa di 30 centesimi al metro quadrato, e viene incassata dallo stato. A prescindere dalle opzioni di cui si può avvalere l'amministrazione comunale, oltre al tributo sui rifiuti i contribuenti sono tenuti a sborsare un'ulteriore somma a titolo di maggiorazione per i servizi indivisibili, rapportata alle dimensioni dell'immobile posseduto o occupato.
L'articolo 5 recita che in deroga a quanto stabilito dall'articolo 14, comma 46, del dl 201/2011, convertito nella legge 214/2011, il comune può determinare i costi del servizio e le relative tariffe sulla base dei criteri previsti e applicati nel 2012. È evidente che la norma fa ritornare in vita le vecchie discipline abrogate, derogando per il 2013 a quanto previsto dall'articolo 14 del dl «salva Italia», che ha istituito la Tares. In effetti, quest'ultima disposizione aveva abrogato tutti i tributi sui rifiuti vigenti, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza (ex Eca). Non ha invece subìto modifiche il tributo per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente, dovuto nella percentuale deliberata dalla provincia sull'importo della tassa, esclusa la maggiorazione.
Peraltro, che sia possibile il ritorno alla gestione di Tarsu e Tia trova conferma nell'ulteriore previsione contenuta nell'ultimo periodo del comma 4-quater, nella parte in cui viene specificato che qualora il comune scelga di applicare la Tarsu, è consentito raggiungere lo stesso livello di copertura dei costi del servizio dell'anno precedente (per evitare eccessivi aumenti delle tariffe in un momento di difficoltà economiche), facendo ricadere il peso delle mancate entrate sull'intera platea dei contribuenti.
Pertanto, qualora il gettito non copra tutte le spese, gli enti possono fare ricorso a risorse diverse dai proventi della Tarsu, derivanti dalla fiscalità generale. Questa regola, però, vale solo per la Tarsu. Per la tariffa «Ronchi» e per quella «puntuale», la quale ha per espressa previsione di legge natura corrispettiva, disciplinate rispettivamente dai decreti legislativi 22/1997 e 152/2006, l'obbligo della copertura integrale dei costi non può essere aggirato (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2013).

ottobre 2013

APPALTI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - TRIBUTI: G.U. 29.10.2013 n. 254 "Testo del decreto-legge 31.08.2013, n. 102, coordinato con la legge di conversione 28.10.2013, n. 124, recante: “Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici”.
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Di particolare interesse:
Art. 8. - Differimento del termine per la deliberazione del bilancio di previsione ed altre disposizioni in materia di adempimenti degli enti locali
Art. 13. - Disposizioni in materia di pagamenti dei debiti degli enti locali
Art. 14. - Definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile

TRIBUTI: Oggetto: Conversione in legge del Dl n. 102/2013 – Nota di lettura (ANCI Emilia Romagna, nota 29.10.2013 n. 182 di prot.).

ENTI LOCALI - TRIBUTIComuni, per Imu e Tares è corsa contro il tempo. Con la revisione delle aliquote va riadottato il bilancio. Finanza locale. Senza modifiche legislative non basta una delibera di variazione.
Insieme alla proroga al 30 novembre del termine per approvare il bilancio di previsione 2013, il Dl 102/2013 differisce anche il termine per approvare o variare i regolamenti tributari, le aliquote e le tariffe.

Questa situazione, per usare le parole scritte dalla Corte dei conti, sezione Autonomie, nella delibera 14.10.2013 n. 23, «si connota di particolari tratti al limite della irragionevolezza».
A questo si aggiunge anche un serio problema di tempistica, conseguente al dubbio se le aliquote e regolamenti possono essere variati dopo l'approvazione del bilancio comunale, ma comunque entro la data ultima fissata dalle norme statali.
Questo problema sembrava essere stato risolto dal Mef, che con la risoluzione n. 1/DF del 02.05.2011 aveva ammesso, anche per gli enti con bilancio già approvato, la possibilità di variare le delibere apportando le conseguenti variazioni di bilancio.
Questa lettura è però stata successivamente stravolta dalla delibera n. 431 del 2012 della Corte dei Conti, sezione Lombardia, nella quale si sostiene che non è sufficiente una delibera di variazione del bilancio approvato essendo necessaria, invece, una completa riadozione del bilancio di previsione, secondo i termini scanditi nel regolamento di contabilità di ogni Comune, termini mediamente superiori al mese è quindi per il 2013 quasi esauriti.
Unica possibilità è che venga finalmente accolto un emendamento –tra l'altro già più volte proposto da Anci– che acclari con legge la sufficienza di una delibera di variazione.
I dati mancanti
La necessità di risolvere in fretta il problema è amplificata dal fatto che ad oggi i Comuni non hanno ancora tutte le informazioni necessarie a (ri)adottore il bilancio. Basti considerare che a fine ottobre ai Comuni non è stato ancora comunicato quanto devono versare e ricevere dal Fondo di solidarietà comunale, visto che manca l'emanazione di un Dpcm, sebbene nella Conferenza Stato-città e autonomie locali l'accordo sia stato raggiunto il 25 settembre e l'ammontare del Fondo sia stato fissato in 6,977 miliardi, di cui circa 4,7 sono dati dal gettito Imu di competenza comunale che dovrà essere riversato allo Stato. E qui c'è un altro nodo irrisolto, perché non si sa come i Comuni dovranno riversare tali somme allo Stato: se queste saranno direttamente trattenute dagli incassi da F24 Imu oppure se riceveranno una quota di Fondo al netto della loro quota di alimentazione.
Non va meglio per la Tares in quanto le modifiche apportate dalla Camera al disegno di legge di conversione del Dl 102/2013 fanno prefigurare uno scenario in cui ogni Comune può fare quello che vuole. Solo la conversione definitiva del decreto –avvenuta giovedì scorso– consente adesso agli enti di decidere che regime utilizzare per il 2013.
Infine il capitolo Imu: a oggi non si conoscono le sorti della seconda rata Imu delle abitazioni, o meglio si sa che sarà abolita come la prima, ma non si sa se il "contributo" compensativo ai Comuni sarà calcolato come per l'acconto e quindi sulla base del gettito 2012 o sulla base delle aliquote deliberate dal Comune nel 2013, o come molti auspicano, sulla leva fiscale teorica. E anche in questo caso diventerà difficile non mettere mano alle aliquote.
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Gli ostacoli
01|PROCEDURE
Secondo la Corte dei conti dopo una delibera che varia le aliquote o i regolamenti tributari non basta una variazione al bilancio preventivo, serve rimettere in moto il meccanismo di approvazione del bilancio di previsione fino alla riadozione
02|FONDO SOLIDARIETÀ
Nonostante l'intesa in Conferenza unificata sull'ammontare del Fondo solidarietà (6,7 miliardi), manca un decreto che indichi ai Comuni quanto versare e quanto ricevere dal Fondo e che stabilisca la procedura per riversare
03|IMU
Non è ancora stabilito come i Comuni saranno compensati anche per l'abolizione della seconda rata Imu sulle prime case. Le ipotesi sono due: o sulla base del gettito 2012 oppure con le aliquote deliberate dal Comune nel 2013 (articolo Il Sole 24 Ore del 28.10.2013).

TRIBUTIL'assimilazione vale per la seconda rata. Abitazione principale. Obbligo di residenza e dimora.
LA FACOLTÀ/ Gli enti locali possono decidere un trattamento di favore per l'alloggio dato in comodato ai figli (compresa la pertinenza).

Con la conversione in legge del Dl 102/2013 il Parlamento ha introdotto, con l'articolo 2-bis, la possibilità per i Comuni di assimilare all'abitazione principale le abitazioni concesse in comodato a parenti, tuttavia con alcuni paletti.
Innanzitutto, per espressa previsione normativa l'assimilazione è limitata alla seconda rata; pertanto, quanto pagato in acconto non è rimborsabile.
Va anche precisato che, con l'assimilazione, l'abitazione in comodato riceve lo stesso trattamento delle altre abitazioni principali e quindi il saldo non sarà dovuto se sarà confermata l'esclusione anche della seconda rata Imu delle abitazioni principali.
L'abitazione in comodato deve essere utilizzata come abitazione principale, quindi con residenza anagrafica e dimora, da un parente in linea retta entro il primo grado, ovvero il comodato deve essere tra padre e figlio.
L'abitazione non deve essere classificata in quelle di lusso (A/1, A/8 e A/9) e nel caso in cui il contribuente abbia dato in comodato più abitazioni, l'assimilazione opera per una sola unità immobiliare. Naturalmente il trattamento di favore riservato all'abitazione si estende anche alle eventuali pertinenze, pur nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali C/6, C/2 e C/7.
L'agevolazione è subordinata a una delibera comunale, che dovrà essere adottata entro il 30.11.2013, ovvero entro il termine previsto per l'approvazione del bilancio di previsione 2013.
La delibera comunale dovrà essere pubblicata entro il 09.12.2013 sul sito istituzionale di ciascun comune; in caso di mancata pubblicazione entro tale data, si applicano le aliquote e i regolamenti dell'anno precedente.
I contribuenti potrebbero avere quindi una sola settimana di tempo per capire se devono o non devono pagare il saldo Imu in scadenza il 16 dicembre.
Occorrerà poi verificare le ulteriori condizioni disciplinate dai Comuni. La normativa prevede che ciascun Comune definisca i criteri e le modalità per l'applicazione dell'agevolazione «ivi compreso il limite dell'indicatore della situazione economica equivalente (Isee) al quale subordinare la fruizione del beneficio». Ciò vuol dire che occorrerà verificare con attenzione gli ulteriori paletti eventualmente presenti nelle delibere Comunali, come l'obbligo di presentare una comunicazione entro un determinato termine, normalmente a pena di decadenza.
Per quanto riguarda l'Isee si ritiene che non vi sia l'obbligo per i Comuni di subordinare il beneficio ad un determinato livello di situazione economica, anche se tale strumento, in regime di ristrettezze economiche permette di indirizzare le poche risorse disponibili verso chi ne ha bisogno.
Peraltro, occorre considerare che la possibilità di assimilare all'abitazione principale quella data in comodato a parenti è prevista anche dal disegno di legge di stabilità 2014, ma in modo diverso.
È infatti stabilito (per ora) che il Comune possa disporre l'assimilazione prevedendo che l'agevolazione operi o limitatamente alla quota di rendita risultante in catasto non eccedente il valore di euro 500 oppure nel solo caso in cui il comodatario appartenga ad un nucleo familiare con Isee non superiore a 15mila euro annui.
Per la copertura del minor gettito Imu derivante dalle assimilazioni deliberate per il 2013 lo Stato ha assicurato un contributo massimo di 18,5 milioni di euro, che dovranno essere ripartiti tra i Comuni secondo modalità che saranno stabilite con decreto del ministero dell'Interno.
Per il 2014, invece, non è stato per ora previsto alcun contributo statale (articolo Il Sole 24 Ore del 26.10.2013).

TRIBUTIFisco e contribuenti. Il decreto legge approvato giovedì consente ai Comuni di modificare regole e aliquote fino al 30 novembre.
Saldo Imu, tempi stretti per i conti. Delibere pubblicate sui siti istituzionali fino al 9 dicembre - Pagamento entro il 16.
SUL FILO DI LANA/ Cittadini, Caf e professionisti dovranno concentrare i calcoli e i versamenti in sette giorni.

Sette giorni di tempo. Dal 10 al 16 dicembre i contribuenti dovranno consultare i regolamenti, individuare l'aliquota Imu e quindi calcolare e versare, se dovuto, il saldo.
È questa una delle conseguenze prodotte dall'articolo 8, comma 2, del Dl 102/2013, approvato due giorni fa dal Senato in via definitiva e in attesa di pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale». L'articolo 8 consente ai Comuni di adottare le delibere Imu fino al 30 novembre e di pubblicarle nei loro siti entro il 9 dicembre. Se la pubblicazione non avverrà entro tale data si applicheranno gli atti adottati per il 2012.
Ai contribuenti non sarà pertanto sufficiente reperire dai siti comunali l'aliquota applicabile agli immobili ancora tenuti al pagamento dell'Imu: i municipi, con proprio regolamento e fino al 30 novembre, potrebbero infatti intervenire sulle assimilazioni all'abitazione principale (introducendole oppure eliminandole).
Al riguardo la versione definitiva del Dl 102/2013, consente ai sindaci di assimilare all'abitazione principale anche il fabbricato concesso in comodato a parenti di primo grafo (cioè figli o genitori). Il beneficio, obbligatoriamente collegato all'Isee, comporterebbe, se deliberato dai Comuni entro il 30 novembre, lo stesso trattamento previsto per l'abitazione principale, ancorché con effetti limitati alla sola seconda rata 2013.
Dall'anno prossimo, infatti, si dovrebbero applicare le nuove regole in tema di assimilazione previste dalla legge di stabilità 2014 appena varata dal Governo.
Ma procediamo con ordine. L'articolo 13, comma 13-bis, Dl 201/2011 dispone che le delibere concernenti aliquote, detrazioni e regolamenti Imu debbano essere pubblicate sul sito del ministero dell'Economia entro il 28 ottobre di ciascun anno (con invio telematico da parte dei comuni almeno sette giorni prima) pena l'applicazione degli atti adottati per l'anno precedente.
Posto che il termine per l'approvazione di aliquote e regolamenti Imu coincide con quello previsto per l'approvazione del bilancio del comune, il differimento di quest'ultimo termine al 30 novembre, operato dall'articolo 8 del Dl 102/2013, ha di fatto reso inoperante la scadenza del 21 ottobre. Dato ciò, lo stesso articolo 8 ha stabilito che, per l'anno 2013, gli atti deliberativi Imu acquistano efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione nel sito web del comune; tale pubblicazione deve avvenire entro il 9 dicembre e qualora ciò non si verificasse trovano applicazione gli atti adottati per il 2012. Resta invece ferma la scadenza per il pagamento del saldo fissata al 16 dicembre.
Contribuenti, Caf, professionisti avranno così appena una settimana per predisporre con dati certi l'F24 a saldo. Peraltro il Dl 102/2013 approvato dal Senato contiene un'ulteriore novità che potrebbe impattare sul calcolo dell'Imu dovuta a dicembre. Viene infatti previsto (articolo 2-bis) che per l'anno 2013, e limitatamente alla seconda rata, i comuni possono equiparare all'abitazione principale una sola abitazione e relative pertinenze concesse in comodato a parenti in linea retta (entro il primo grado) che le utilizzano come abitazione principale. La novità, che esclude dalla possibile assimilazione i fabbricati di lusso (accatastati nelle categorie A/1, A/8 e A/9), demanda ai comuni la definizione dei criteri e delle modalità per l'applicazione dell'agevolazione, ivi compreso il limite dell'Isee al quale il beneficio deve essere subordinato.
Si tratta, quindi, di un'assimilazione che si aggiunge a quelle già consentite ai comuni riguardanti anziani, disabili e cittadini italiani residenti all'estero.
Anche per queste fattispecie i consigli comunali potrebbero intervenire fino al 30 novembre con evidenti ripercussioni sul pagamento di dicembre. A decorrere dal 2014, la legge di stabilità licenziata dal Governo prevede che le assimilazioni consentite ai comuni (anziani, disabili, cittadini Aire, comodati a parenti) operino o limitatamente ai fabbricati con rendita catastale non superiore a 500 euro oppure nel solo caso in cui il comodatario appartenga a un nucleo familiare con Isee non superiore a 15mila euro annui (articolo Il Sole 24 Ore del 26.10.2013).

TRIBUTIOgni comune censirà i servizi indivisibili
Dal prossimo anno, ogni comune dovrà censire i servizi indivisibili erogati ai cittadini indicando analiticamente per ciascuno di essi i relativi costi.

Lo prevede la disciplina dettata dal disegno di legge di stabilità 2014 in relazione alla Tasi, che insieme alla quasi omonima Tari dovrebbe costituire il nuovo tributo comunale Trise. Si tratterà di un'operazione tutt'altro che agevole, che richiederà una complessa riclassificazione dei dati di bilancio.
Come noto, il Trise si articolerà in due componenti: la prima, denominata Tari, andrà a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati. La seconda componente, il Tasi, sostituirà, invece, l'attuale maggiorazione Tares (quest'anno eccezionalmente incamerata dallo Stato) per far fronte della copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Il presupposto impositivo della Tasi sarà il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati, di aree scoperte nonché di quelle edificabili, a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali imponibili non operative e delle aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. Il tributo sarà dovuto, oltre che dai titolari di diritti reali, anche dagli eventuali occupanti (ad esempio locatori) in una misura stabilita dal comune fra il 10 e il 30% dell'ammontare complessivo, calcolato applicando l'aliquota fissata dallo stesso comune entro i limiti di legge.
Sempre i comuni, con proprio regolamento da approvare ai sensi dell'art. 52 del dlgs 446/1997, dovranno disciplinare le riduzioni, che tengano conto altresì della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l'applicazione dell'Isee, e procedere all'individuazione dei servizi indivisibili ed all'indicazione analitica, per ciascuno di tali servizi, dei relativi costi alla cui copertura la Tasi è diretta. Quest'ultimo adempimento, del tutto inedito, è destinato a rivelarsi di notevole complessità attuativa. La categoria «servizi indivisibili», infatti, include tutti quelli che non vengono offerti «a domanda individuale», come ad esempio l'illuminazione pubblica, la sicurezza, l'anagrafe o la manutenzione delle strade.
Si tratta di una gamma potenzialmente amplissima di attività, per le quali, per di più, manca una «mappatura» ufficiale. Per rispettare il dettato normativo, quindi, sarà necessaria una tutt'altro che agevole operazione di censimento delle diverse tipologie di servizi e di riclassificazione dei dati di bilancio analoga a quella che è stata compiuta per fornire alla Sose i dati necessari per il calcolo dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali, ai sensi del dlgs 85/2010.
Se la previsione contenuta nel testo del disegno di legge di stabilità verrà confermata, quindi, i comuni dovranno attrezzarsi per tempo (articolo ItaliaOggi del 25.10.2013).

TRIBUTIDal Comune esenzione per la casa ai figli. Possibilità per i sindaci di estendere le agevolazioni e aiuti per la «morosità incolpevole».
BENI MERCE/ Rientrano nella categoria del premio anche gli immobili costruiti da imprese edili e rimasti invenduti e non affittati.
L'esenzione Imu per i fabbricati merce delle imprese di costruzione non copre l'imposta dovuta sino al 30 giugno. L'assimilazione all'abitazione principale degli immobili delle cooperative edilizia a proprietà indivisa come pure quella relativa ai fabbricati degli appartenenti alle forze armate opera dal 1° luglio scorso. Ai fini del pagamento della seconda rata, inoltre, i comuni possono assimilare all'abitazione principale il fabbricato concesso un uso gratuito a parenti entro il primo grado.

È ricco il menu delle novità in materia di Imu apportate in sede di conversione del Dl 102. Non manca, infine, l'ennesima disposizione interpretativa in materia di fabbricati rurali.
Nel decreto legge si era disposto che per i fabbricati merce delle imprese costruttrici la seconda rata non era dovuta. Ora si precisa che l'imposta resta dovuta fino al 30.06.2013. La conseguenza è che in sede di saldo si dovrebbero versare i conguagli tra quanto pagato a giugno, con l'aliquota dell'anno precedente, e quanto da liquidare con l'aliquota dell'anno in corso. Tanto, limitatamente al periodo di possesso fino al 30.06.2013.
Sempre con il decreto 102 si era disposta l'assimilazione all'abitazione principale degli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa. Viene ora stabilito che tale assimilazione opera dal 1° luglio scorso. Questo dovrebbe servire ad applicare in via automatica le agevolazioni per l'abitazione principale che sono in via di approvazione con riferimento alla seconda rata di dicembre. Lo stesso ragionamento vale per le modifiche apportate a proposito del fabbricato degli appartenenti alle forze armate, che si considera abitazione principale anche se non vi è né residenza anagrafica né dimora abituale. Si precisa, in proposito, che l'equiparazione all'abitazione principale non vale per gli immobili di lusso, cioè di categoria A/1, A/8 e A/9.
Un'altra novità consiste nella previsione dell'obbligo di presentare una denuncia con la richiesta di applicazione delle nuove agevolazioni disposte nel Dl 102, a pena di decadenza, entro il 30 giugno 2014, termine ordinario di presentazione della dichiarazione Imu.
Ritorna inoltre l'assimilazione all'abitazione principale delle case concesse in comodato a parenti in linea retta, entro il primo grado (genitori e figli), purché non "di lusso". L'assimilazione dipende da una delibera comunale e vale solo per la seconda rata. I comuni possono condizionare il beneficio al possesso di determinati requisiti reddituali, legati anche all'Isee. L'assimilazione può riguardare una sola unità immobiliare.
Compare un'ulteriore disposizione interpretativa (la terza) in materia di fabbricati rurali. Questa volta si tratta dell'efficacia delle domande di variazione catastale presentate ai sensi dell'articolo 13, comma 14-bis, Dl 201/2011. In via interpretativa, le Finanze avevano sostenuto che queste producevano effetti dal quinto anno precedente. I comuni hanno contestato questa interpretazione, rilevando che, in mancanza di una norma espressa, le variazioni catastali operano solo per il futuro. Oggi si recepisce l'orientamento delle Finanze e si dispone per l'appunto che gli effetti delle variazioni decorrano dal quinto anno precedente.
Si conferma infine che il termine per l'approvazione dei bilanci di previsione 2013 è il 30 novembre prossimo ma si stabilisce, altresì, che le delibere Imu devono essere pubblicate sul sito del comune entro il 09.12.2013. In mancanza di pubblicazione, si applicano le aliquote dell'anno precedente.
In materia di sfratti, invece, viene disposta l'emanazione di un decreto delle finanze che dovrà fissare i criteri per l'accesso ai fondi da parte degli inquilini morosi incolpevoli. Nelle more della adozione di tali criteri, le prefetture prenderanno misure per graduare gli interventi della forza pubblica nelle procedure di sfratto (articolo Il Sole 24 Ore del 25.10.2013).

TRIBUTITorna la Tarsu con maggiorazione. Rifiuti. Cancellata l'abrogazione.
Orologi indietro sul prelievo sui rifiuti: dopo nove mesi di abrogazione, torna in vita la Tarsu e probabilmente anche la Tia1 e la Tia2.

È il risultato dell'ennesimo colpo di scena messo in atto con la legge di conversione del Dl 102/2013.
La disciplina della Tares aveva provato a mettere ordine nelle varie entrate esistenti, abrogando Tarsu e Tia, con decorrenza dal 01.01.2013. Le modifiche in corso di pubblicazione abrogano la norma abrogatrice e consentono di ripristinare le tariffe relative al regime di prelievo esistente nel 2012, quale esso fosse. A questo punto, è evidente che perde totalmente di interesse la comprensione del nuovo sistema tariffario alternativo al metodo normalizzato, previsto nella versione iniziale del Dl 102.
In linea teorica, si segnala che dall'anno prossimo, con la Tari, si dovrebbero comunque innovare tutti i sistemi tariffari. Si prevede, inoltre, che se si mantiene in vita la Tarsu resta possibile provvedere alla copertura integrale dei costi del servizio anche con altre risorse del bilancio. Resta, in ogni caso, dovuta la maggiorazione di 0,30 euro al metro quadrato in favore dello Stato.
Le altre novità in materia riguardano il finanziamento delle agevolazioni. Si dispone che il mancato gettito possa essere alternativamente recuperato dagli stessi contribuenti Tares/Tarsu/Tia ovvero con altre risorse del bilancio, purché nei limiti del 7% del costo del servizio. Sembra pertanto che se le agevolazioni si spalmano sugli utenti del servizio non esiste nessun limite quantitativo, in chiara violazione dei principi comunitari. Sempre in tema di agevolazioni, si prevede la possibilità di introdurre nel regolamento comunale riduzioni e esenzioni legate all'Isee nonché al compostaggio dei rifiuti.
Viene altresì stabilito che in caso di insufficiente pagamento del tributo, i contribuenti non sono sanzionabili se il comune non ha inviato loro i bollettini di versamento. Si tratta di una novità che impatta, formalmente, solo nei limitati casi in cui il comune ha previsto il versamento in auto liquidazione. Nella generalità dei casi, è invece vigente il pagamento su liquidazione d'ufficio, che presuppone sempre l'invio di una comunicazione, in assenza della quale il pagamento non può avvenire e dunque l'omissione non è sanzionabile (articolo Il Sole 24 Ore del 25.10.2013).

TRIBUTI: Tributi News (tratto dalla newsletter gratuita di www.publika.it, 22.10.2013 n. 20).

TRIBUTI:  LEGGE DI STABILITA' 2014/ La Trise la paga anche l'inquilino. Per la Tasi l'importo dovuto dall'affittuario va dal 10 al 30%. Vita breve per la Tari.
Dal prossimo anno i contribuenti saranno tenuti a pagare il tributo sui servizi comunali (Trise). Il nuovo balzello contiene al suo interno due tributi diversi: il primo, denominato Tari, serve a coprire i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa comunale; mentre il secondo, denominato Tasi, è diretto a recuperare i costi che l'amministrazione comunale sostiene per garantire i servizi indivisibili (trasporto, illuminazione pubblica e così via).

Sono queste le previsioni contenute nella bozza della legge di stabilità approvata nei giorni scorsi dal consiglio dei ministri.
Tari. Dunque la Tares va in soffitta e lascia il posto al nuovo regime di prelievo, che dovrà coprire integralmente i costi del servizio. Questa tassa dovrebbe avere vita breve, per lasciare poi il posto alla Tarip, basata su sistemi puntuali di misurazione dei rifiuti prodotti. Dovrebbe infatti prossimamente essere emanato un regolamento attuativo del ministro dell'ambiente che dovrà prevedere dei criteri di misurazione puntuale dei rifiuti prodotti, nel rispetto del principio comunitario «chi inquina paga», per collegare il pagamento al servizio reso all'utente.
La tassa è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a prescindere dall'uso a cui sono adibiti. Non sono soggette al prelievo le aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni o di locali tassabili, nonché le aree comuni condominiali a meno che non siano occupate in via esclusiva. Quindi, viene confermata l'esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di locali tassabili, cioè delle cosiddette aree non operative. Sono obbligati in solido al pagamento anche i componenti del nucleo familiare e coloro che usano in comune locali e aree. Come per la Tares viene confermato il criterio della prevalenza, vale a dire il tributo va pagato al comune nel cui territorio insiste, interamente o prevalentemente, la superficie degli immobili.
I soggetti tenuti al pagamento della tassa devono denunciare la superficie calpestabile e non la superficie catastale. Considerato che per la maggior parte degli immobili non esiste ancora la superficie catastale, viene consentito ai comuni di fare ricorso alle superfici già denunciate per Tarsu e Tia, calcolando la tassa sulla superficie calpestabile anche per gli immobili a destinazione ordinaria (classificati nelle categorie A, B e C). Si passerà alla commisurazione del tributo sulla superficie catastale solo quando verranno allineati i dati degli immobili a destinazione ordinaria e quelli riguardanti la toponomastica e la numerazione civica, interna e esterna, di ciascun comune.
Per le occupazioni temporanee il tributo è a carico dei titolari degli immobili. Si considerano temporanee le occupazioni di durata non superiore a sei mesi nel corso dello stesso anno solare. Come per la Tares, l'obbiettivo è far pagare il proprietario o il titolare di altro diritto reale sull'immobile anche quando viene utilizzato da inquilini o comodatari. Mentre, le regole contenute nella disciplina Tarsu e Tia non imponevano questo trattamento per gli usi temporanei.
Tasi. La Tasi serve a coprire i costi per i servizi indivisibili sostenuti dai comuni. Anche i titolari di immobili adibiti ad abitazione principale, esonerati dall'Imu, dovranno versare l'imposta con un'aliquota massima del 2,5 per mille, calcolata sullo stesso valore dell'immobile derivante dalla rendita catastale rivalutata. Il tributo è infatti dovuto da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo fabbricati, aree scoperte e edificabili. Qualora vi siano più possessori o detentori, tutti sono tenuti in solido all'adempimento dell'obbligazione tributaria.
In caso di detenzione temporanea di durata non superiore a sei mesi nel corso dello stesso anno solare, il balzello è dovuto dal titolare dell'immobile. A differenza dell'Imu, però, la tassa sui servizi la paga anche l'inquilino nella misura che varia dal 10 al 30%. La scelta della percentuale di tassazione è demandata ai comuni e deve essere stabilita con regolamento. Il tributo dovrà essere calcolato sul valore dell'immobile preso a base per la determinazione dell'Imu. Pertanto, occorre fare riferimento alla rendita catastale rivalutata per i fabbricati e al valore di mercato per le aree edificabili.
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Limiti rigidi per la tassa sui servizi comunali.
I titolari di immobili adibiti ad abitazione principale il prossimo anno dovranno versare la tassa sui servizi comunali (Tasi) con un'aliquota massima del 2,5 per mille. Le amministrazioni locali, infatti, possono variare l'aliquota dall'1 al 2,5 per mille, fermo restando che hanno anche il potere di azzerarla. Anche per le prime case di pregio, classificate nelle categorie catastali A1, A8 e A9 (immobili di lusso, ville e castelli), non esonerate dal pagamento dell'Imu, il legislatore si è premurato di fissare un tetto massimo all'aliquota.
I titolari di questi immobili non dovranno pagare complessivamente per i due tributi (Imu e Tasi) più di quanto dovuto per l'imposta municipale con l'aliquota massima del 6 per mille. La stessa regola vale per le altre tipologie di immobili e seconde case, per le quali viene imposto come limite l'attuale aliquota massima del 10,6 per mille.
Abitazioni principali. Spetterà ai sindaci decidere se gli immobili adibiti a abitazione principale dovranno essere tassati e in che misura. I fabbricati che per il 2013 hanno fruito dell'abolizione del pagamento dell'acconto Imu saranno tenuti a pagare la Tasi nella misura deliberata dall'ente che va dall'1 al 2,5 per mille.
Immobili di lusso e secondo case. Viene confermata l'imposizione sugli immobili di lusso anche se destinati ad abitazione principale. Viene imposta l'aliquota massima del 6 per mille, vale a dire quella attualmente prevista per l'imposta municipale. Pertanto, la somma dovuta per i due tributi non può superare quanto dovuto oggi dal contribuente calcolando l'imposta con l'aliquota massima (articolo ItaliaOggi Sette del 21.10.2013).

TRIBUTI: Tassa rifiuti, resuscita la Tarsu. Decisione entro il 30/11. Resta la maggiorazione Tares. Il colpo di scena inserito nel decreto Imu pone però più di un problema applicativo.
I comuni potranno decidere di abbandonare la Tares e di continuare ad applicare anche per quest'anno il medesimo tributo o la medesima tariffa relativi alla gestione dei rifiuti urbani utilizzati nel 2012.

L'ennesimo colpo di scena nella grottesca vicenda del tributo su rifiuti e servizi introdotto dal governo Monti arriva con un emendamento alla legge di conversione del decreto Imu (dl 102/2013), approvato alla camera. In pratica, i sindaci potranno decidere di pensionare anticipatamente la Tares. Dal prossimo anno, infatti, entrerà in vigore un nuovo prelievo (il Trise), la cui disciplina sarà definita dalla legge di stabilità in discussione in questi giorni.
L'emendamento approvato a Montecitorio consente di mantenere il regime (tributario o tariffario) già applicato nel 2012. A tal fine, occorre un «provvedimento» da adottarsi entro il termine fissato per l'approvazione del bilancio di previsione, ovvero entro il 30 novembre. Tale scadenza sembra riguardare anche gli enti che hanno già licenziato il preventivo, mentre la competenza sembra essere pacificamente da attribuire ai consigli comunali. Gli unici paletti validi per tutti i comuni riguardano la maggiorazione per i servizi indivisibili, che non potrà in nessun caso essere toccata, e la predisposizione e l'invio ai contribuenti del relativo modello di pagamento (su cui, peraltro, regna l'incertezza più assoluta dopo il dissidio interpretativo fra Mef e Ifel).
Solo per chi intenda continuare ad applicare la Tarsu, è previsto un ulteriore vincolo: in tal caso, si legge nell'emendamento, «la copertura della percentuale dei costi eventualmente non coperti dal gettito del tributo deve assicurata attraverso il ricorso a risorse diverse dai proventi della tassa, derivanti dalla fiscalità generale del comune». Tale novella si inserisce in modo assai problematico nel già caotico quadro normativo della Tares, frutto di continue modifiche e stratificazioni successive.
Accanto alla disciplina generale contenuta nel dl 201/2011, infatti, il testo vigente del dl 102 ha già introdotto una modalità alternativa che dovrebbe consentire ai comuni di staccarsi da quanto previsto dal dpr 158/1999 e rispolverare i criteri delle tariffe Tarsu, ovvero prevedere un regime misto, come già sperimentato da molti comuni che in regime di Tarsu applicavano in parte i criteri della Tia. Anche nella Tares «semplificata», peraltro, vige l'obbligo di copertura integrale dei costi (art. 5, comma 3, del dl 102).
Ora, l'emendamento introduce una terza strada, ovvero la «continuità di regime» fra l'anno in corso e il 2012: in tal caso, quindi, l'obbligo di copertura integrale dei costi dovrebbe saltare. Per questi ultimi, peraltro, si pone una questione in più: è possibile modificare la tariffe applicate lo scorso anno? La formulazione dell'emendamento sembrerebbe escluderlo, imponendo di ricorrere al gettito di altri tributi/tariffe. In senso contrario, depone, però, l'avverbio «eventualmente» (articolo ItaliaOgggi del 18.10.2013).

TRIBUTIPer i rifiuti rispunta la Tarsu. Possibile applicare anche nel 2013 tasse e tariffe dell'anno scorso. Ambiente. Via libera da un emendamento al decreto «Imu-2» - Resta in campo la maggiorazione statale.
PER LA TARES/ Confermato l'obbligo di inviare il modello precompilato ai contribuenti e di utilizzare per i pagamenti il bollettino postale o l'F24.
Indietro tutta sulla Tares, che dopo mesi di contorcimenti normativi rischia di sparire ancora prima di essere applicata. Con l'emendamento al decreto «Imu-2» (Dl 102/2013) approvato alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera (primo firmatario Luca Pastorino) che riesuma le vecchie Tarsu e Tia si apre un'autostrada per i Comuni che intendono buttare a mare tutti i problemi del nuovo tributo e tornare al prelievo utilizzato fino all'anno scorso, nell'attesa che esca dalle nebbie la service tax prevista nel 2014.
Nei 6.700 enti che applicavano la Tarsu, questo significa rinunciare anche alla copertura integrale dei costi del servizio, imposti dalla Tares, per tornare alle vecchie forme di finanziamento. Con un unico vincolo: la Tarsu o la Tia riesumate dall'emendamento dovranno essere accompagnate dalla maggiorazione da 30 centesimi al metro quadrato, perché vale un miliardo, va allo Stato e da questo punto di vista la condizione del bilancio centrale non ammette ripensamenti.
Per artigiani, ristoratori e in genere per le attività commerciali più colpite dagli aumenti imposti dal nuovo tributo è un'ottima notizia, naturalmente. Per le amministrazioni locali si tratta invece di rifare per l'ennesima volta i calcoli, su un tributo che sta contendendo con successo all'Imu il record delle modifiche in corso d'opera. «Siamo esterrefatti e ammutoliti, ci arrendiamo», spiegano le aziende pubbliche del settore riunite in Federambiente in una nota che la butta sull'ironia (amara).
Proprio la confusione costante che circonda il tributo spingerà moltissimi Comuni a tornare sulla vecchia strada di Tarsu o Tia. Un altro emendamento al decreto «Imu-2», che nella sua versione originaria impone agli enti di spedire ai contribuenti modelli (F24 o bollettino postale) precompilati con l'importo da pagare, ha appena stabilito che in caso di mancato invio del modello non si applicano le sanzioni per «insufficiente versamento». Una regola di favore per venire incontro ai contribuenti disorientati, che però rischia di "sanare" ex ante tutti i versamenti insufficienti e aprire buchi nei conti di Comuni e aziende.
Le amministrazioni infatti hanno parecchi problemi già con la prima rata, assai meno complicata rispetto al saldo, come mostrano i casi di città che non sono ancora riuscite ad avvertire tutti i contribuenti sull'importo da pagare: è accaduto per esempio a Milano, dove il Comune ha avvertito che in questi casi non ci saranno sanzioni per i versamenti in ritardo (la scadenza era al 30 settembre), senza ovviamente parlare di quelli insufficienti.
I tanti correttivi piovuti sulla Tares, inoltre, non si sono occupati di altri problemi ancora aperti sul tributo. È il caso, per esempio, delle forme di pagamento: l'ultima rata rimane ancora vincolata a F24 e bollettino postale, e quindi non permette di utilizzare Mav, Rid e le altre modalità automatiche impiegate finora. Restano tutti da chiarire anche i criteri di calcolo "alternativi" al metodo normalizzato introdotti dallo stesso decreto «Imu-2». Tra nodi applicativi irrisolti e rischi di aumenti a grappolo, saranno quindi moltissimi i Comuni che torneranno alla Tarsu, anche se la sua mancata armonizzazione con i principi Ue (prima di tutto quello del «chi inquina paga») ne richiedono l'abolizione dal lontano 1997 (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.10.2013).

TRIBUTI: A differenza della tassa di occupazione (costituente espressione della potestà impositiva dell’ente pubblico in relazione ad un fatto cui la legge attribuisce il valore di indice di capacità contributiva), il canone in questione (ndr: canone patrimoniale per la concessione di spazi e aree pubbliche previsto dall’art. 27 del d.lgs. 285 del 1992) ha natura di corrispettivo dovuto all’ente locale in relazione al monopolio (relativo) accordato in favore del privato su di un bene comune.
Ciò giustifica perché (mentre nel primo caso la discrezionalità dei comuni risulta fortemente limitata dalla suddivisione degli stessi in cinque classi per numero di abitanti e dalla fissazione di un minimo e un massimo), i principi relativi al canone di concessione dettati dall’art. 27, comma 8, del D.lgs. n. 285 del 1992 (codice della strada) assegnano all’ente concedente un’ampia area di discrezionalità.
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Reputa il Collegio che il criterio adottato dal Comune di fare riferimento, in metri lineari, alla proiezione ortogonale sul suolo del lato maggiore della struttura, sia del tutto aderente alla norma attributiva del potere, nella parte in cui essa indirizza l’amministrazione ad incorporare nel corrispettivo il “valore economico risultante dal provvedimento di concessione” nonché il “vantaggio che l’utente ne ricava”.
Difatti, al fine di computare il valore economico in questione, appare adeguato e ragionevole un criterio di commisurazione fondato, non sulla mera superficie occupata (la quale non è indice affidabile della potenzialità di ricavo), bensì sulle caratteristiche dimensionali dell’impianto, elemento oggettivo che contempera non arbitrariamente l’interesse particolare del concessionario con le molteplici esigenze connesse all’uso pubblico.

Il primo motivo si appunta sulla previsione di regolamento comunale che, nel disciplinare l’applicazione del canone patrimoniale per la concessione di spazi e aree pubbliche previsto dall’art. 27 del d.lgs. 285 del 1992, individua quale criterio per la determinazione delle tariffe, sia per i cartelloni pubblicitari che per le pensiline: “la proiezione ortogonale sul suolo del lato maggiore della porzione di struttura predisposta per l’installazione dei messaggi pubblicitari al metro lineare”.
All’uopo, si lamenta che il nuovo metodo di calcolo sarebbe in contrasto con i parametri fissati dall’art. 27 citato, dal momento che esso non potrebbe certo considerarsi riferito all’effettiva insistenza sul suolo, considerato che, se un’area può occupare dello spazio e incidere sul suolo, lo stesso non potrebbe dirsi di una linea (ovvero, della base dell’impianto, espressa in metri lineari). Né potrebbe rilevare, in senso contrario, la presunta remuneratività di un impianto di maggior superficie espositiva, posto che la ratio dell’imposizione sull’occupazione di suolo pubblico non sarebbe la pubblica partecipazione al reddito degli impianti, bensì il corrispettivo per l’utilizzo di una porzione di suolo pubblico.
Per contro, il criterio previsto dal regolamento del 2003, che fissava il canone in considerazione dei metri quadrati risultanti dall’area ottenuta con la proiezione ortogonale sul suolo del mezzo istallato, sarebbe stato effettivamente parametrato sull’insistenza sul suolo, poiché, considerando sia la lunghezza della base che lo spessore dell’impianto, veniva identificata una specifica porzione di spazio sottratta dal cartello all’uso pubblico del suolo.
Per gli stessi motivi (ovvero, per violazione del parametro dell’effettiva soggezione sul suolo posto dall’art. 27 del d.lgs. 285/1992), sarebbe, altresì, illegittima anche l’introduzione della differenziazione tariffaria per l’ipotesi della pubblicità mono e bifacciale (sia sulle pensiline che sui poster): la doppia esposizione, infatti, non implicherebbe occupazione di una porzione di strada maggiore rispetto a quella singola.
Il motivo non può essere accolto.
Occorre premettere che, a differenza della tassa di occupazione (costituente espressione della potestà impositiva dell’ente pubblico in relazione ad un fatto cui la legge attribuisce il valore di indice di capacità contributiva), il canone in questione ha natura di corrispettivo dovuto all’ente locale in relazione al monopolio (relativo) accordato in favore del privato su di un bene comune. Ciò giustifica perché (mentre nel primo caso la discrezionalità dei comuni risulta fortemente limitata dalla suddivisione degli stessi in cinque classi per numero di abitanti e dalla fissazione di un minimo e un massimo), i principi relativi al canone di concessione dettati dall’art. 27, comma 8, del D.lgs. n. 285 del 1992 (codice della strada) assegnano all’ente concedente un’ampia area di discrezionalità.
La norma da ultimo citata, nel dettaglio, statuisce che: “Nel determinare la misura della somma si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava". Orbene, richiamata la natura del canone in questione, reputa il Collegio che il criterio adottato dal Comune di fare riferimento, in metri lineari, alla proiezione ortogonale sul suolo del lato maggiore della struttura, sia del tutto aderente alla norma attributiva del potere, nella parte in cui essa indirizza l’amministrazione ad incorporare nel corrispettivo il “valore economico risultante dal provvedimento di concessione” nonché il “vantaggio che l’utente ne ricava”.
Difatti, al fine di computare il valore economico in questione, appare adeguato e ragionevole un criterio di commisurazione fondato, non sulla mera superficie occupata (la quale non è indice affidabile della potenzialità di ricavo), bensì sulle caratteristiche dimensionali dell’impianto, elemento oggettivo che contempera non arbitrariamente l’interesse particolare del concessionario con le molteplici esigenze connesse all’uso pubblico.
Parimenti deve dirsi quanto al rilievo accordato dal regolamento all’utilizzo mono -facciale o bifacciale della struttura, poiché è finanche intuitivo che tale doppia proiezione porta seco un maggiore valore di realizzo economico (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 10.10.2013 n. 2277 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

TRIBUTI: G.U. 04.10.2013 n. 233 "Ripartizione del contributo ai comuni per il ristoro del minor gettito IMU 2013" (Ministero dell'Interno, decreto 27.09.2013).

TRIBUTISconti senza paletti. Niente condizioni sui bonus Ici. Ctr: agevolazioni svincolate da obblighi dichiarativi.
Un comune non può subordinare un'agevolazione Ici a un obbligo dichiarativo non previsto dalla legge statale. In ogni caso, non può dichiararsi la decadenza dal beneficio del soggetto che non abbia adempiuto a tale onere supplementare. Gli avvisi di accertamento emessi dall'ente locale sulla base di tale disposizione regolamentare risultano quindi viziati da eccesso di potere.
È quanto ha stabilito la Ctp di Campobasso con la sentenza 01.10.2013 n. 144/1/13.
Il caso in questione vedeva due fratelli ricorrere contro una serie di rettifiche operate dall'ufficio tributi comunale in materia di Ici.
I ricorrenti avevano adibito gratuitamente un immobile ad abitazione principale dei propri genitori. Tuttavia, il comune aveva proceduto alla contestazione fiscale, in quanto il regolamento Ici adottato dall'amministrazione prevedeva l'obbligo della presentazione di apposita preventiva dichiarazione ai fini dell'applicazione dell'esenzione sulla prima casa concessa in uso gratuito a parenti e/o affini entro il 1° grado.
Una tesi che non trova però concorde i giudici molisani. Il dl n. 223/2006, in un'ottica di semplificazione degli adempimenti, aveva infatti soppresso l'obbligo di presentare la dichiarazione Ici. «La pretesa del comune di Campobasso di sottoporre il riconoscimento dell'agevolazione prima casa per parenti e affini alla presentazione di una dichiarazione preventiva», spiega la sentenza, «risulta assai poco coerente con il complesso sistema impositivo dell'Ici». Anche la Cassazione, con la pronuncia n. 13151 del 28.05.2010, si era espressa in tal senso.
Peraltro, secondo la Ctp, il comune ha anche violato il principio di collaborazione tra cittadini ed ente impositore previsto dall'articolo 10 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente). «Il rispetto di tale principio e della regola del preventivo contraddittorio», osservano i magistrati tributari, «avrebbe consentito una rapida chiarificazione della posizione dei due contribuenti ed evitato i costi (in termini di lavoro, tempo e denaro) connessi agli accertamenti e ai procedimenti giudiziari in corso». Da qui l'annullamento degli avvisi impugnati e la condanna dell'ente alle spese di lite (articolo ItaliaOggi del 04.10.2013).

settembre 2013

TRIBUTI: La tassa sui rifiuti è sempre dovuta.
In tema di Tarsu-Tia, lo smaltimento dei rifiuti ordinari in maniera autonoma, a proprie spese, insieme a quelli speciali, non esonera l'azienda dal pagamento della tassa comunale. L'obbligo di versamento scatta comunque, al di là del fatto che si utilizzi il servizio pubblico o meno.

Sono le conclusioni che si leggono nella sentenza 27.09.2013 n. 89/22/13 emessa dalla Sez. XXII della Ctr Lombardia.
Nella sentenza menzionata, il collegio regionale lombardo capovolge la decisione dei colleghi di prima istanza della Ctp di Milano, che avevano annullato la pretesa del comune di Varedo, e stabilisce che la tassa sui rifiuti è comunque dovuta, indipendentemente dall'utilizzo del servizio pubblico.
«In tema di autosmaltimento», osservano i giudici meneghini, «il costo relativo alla gestione dei rifiuti solidi urbani e di quelli assimilabili grava sui cittadini indipendentemente dal fatto che si utilizzi il servizio medesimo».
Infatti, la Commissione precisa che il tributo è rapportato unicamente alla superficie occupata a qualsiasi uso destinata; solo per i rifiuti speciali, tossici, pericolosi o nocivi, il produttore è obbligato allo smaltimento in proprio, con l'esonero dal tributo, ferma restando la tassazione sui rifiuti ordinari.
La legittimità della richiesta è suffragata dal fatto che il comune si sia attenuto alle superfici dichiarate dalla società, sulla base della denuncia dalla stessa prodotta.
Nel caso specifico, anche gli imballaggi sono stati ricondotti dal comune alla categoria dei rifiuti speciali non pericolosi e pertanto assimilabili agli urbani (articolo ItaliaOggi Sette del 24.02.2014).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTIRito tributario, atti pubblici. A processo finito sempre possibile conoscere i documenti. La sentenza del Consiglio di stato sul diritto di accesso a conclusione dei procedimenti.
Deve ritenersi sussistente il diritto di accedere agli atti di un procedimento tributario ormai concluso.
Lo ha stabilito la IV Sez. del Consiglio di Stato con sentenza 26.09.2013 n. 4821.
I giudici amministrativi hanno osservato che sebbene l'art. 24, della legge 241/1990 vada a escludere il diritto d'accesso nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano, «è da ritenere che la norma debba essere intesa, secondo una lettura della disposizione costituzionalmente orientata, nel senso che la inaccessibilità agli atti di cui trattasi sia temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento con l'adozione del procedimento definitivo di accertamento dell'imposta dovuta sulla base degli elementi reddituali che conducono alla quantificazione del tributo. In ragione di ciò deve riconoscersi il diritto di accesso qualora l'amministrazione abbia concluso il procedimento, con l'emanazione del provvedimento finale».
È stato poi osservato che si profilano precisi obblighi in capo al concessionario alla riscossione, infatti ai sensi dell'art. 26 del dpr 29.09.1973, n. 602, recante disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, «il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso del ricevimento e ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell'amministrazione».
Pertanto i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato come la cartella esattoriale costituisca presupposto di procedure esecutive e, quindi, risulta strumentale alla tutela dei diritti del contribuente la richiesta di accesso alla cartella, in tutte le forme consentite dall'ordinamento giuridico considerate più rispondenti ed opportune e quindi essa deve essere rilasciata, in copia, dalla società concessionaria al contribuente che abbia proposto, o voglia proporre ricorso, avverso atti esecutivi iniziati nei suoi confronti.
Una tesi diversa andrebbe a determinare una vera e propria limitazione all'esercizio della difesa in giudizio del contribuente, o, comunque, rendere estremamente difficoltosa la tutela giurisdizionale del contribuente che dovrebbe impegnarsi in una defatigante ricerca delle copie delle cartelle. E una tale limitazione finirebbe col collidere con i principi costituzionali posti a garanzia della tutela giurisdizionale, oltre che con il principio, di rango costituzionale, di razionalità (articolo ItaliaOggi del 02.11.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTIEquitalia di vetro. Accesso alle cartelle esattoriali. A contenzioso concluso.
Equitalia non può negare l'accesso alle cartelle esattoriali se la richiesta riguarda atti di un procedimento tributario concluso.

Lo ha sancito il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 26.09.2013 n. 4821.
La controversia verte sulla richiesta di accesso proposta da un contribuente nei confronti del concessionario della riscossione, avente ad oggetto l'integrale produzione di ciascuna cartella esattoriale per consentire all'interessato di conoscere il complessivo ammontare e le relative causali delle pretese fiscali o tributarie a suo nome.
L'istanza era stata rigettata dal momento che si trattava di procedimenti tributari e che la richiesta del contribuente riguardava ben 55 cartelle di pagamento.
Il Consiglio di stato ritiene il diniego illegittimo.
Infatti, sebbene l'art. 24, legge n. 241 del 1990 escluda il diritto d'accesso, tra l'altro, nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano, è da ritenere che questa norma debba essere intesa, secondo una lettura della disposizione costituzionalmente orientata, nel senso che «l'inaccessibilità agli atti di cui trattasi sia temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento con l'adozione del procedimento definitivo di accertamento dell'imposta dovuta sulla base degli elementi reddituali che conducono alla quantificazione del tributo».
Deve, quindi, riconoscersi il diritto di accesso qualora l'Amministrazione abbia concluso il procedimento con l'emanazione del provvedimento finale e quindi, in via generale, deve ritenersi sussistente il diritto di accedere agli atti di un procedimento tributario ormai concluso.
Secondo il Collegio, dal momento che la cartella esattoriale costituisce presupposto di procedure esecutive, la richiesta di accesso è strumentale alla tutela dei diritti del contribuente in tutte le forme consentite dall'ordinamento giuridico ritenute più rispondenti e opportune. Ritenere diversamente implicherebbe, sostanzialmente, introdurre una limitazione all'esercizio della difesa in giudizio del contribuente, o, in ogni caso, rendere estremamente difficoltosa la tutela giurisdizionale del contribuente che dovrebbe impegnarsi in una faticosa ricerca delle copie delle cartelle. Questa limitazione colliderebbe con i principi costituzionale che garantiscono la tutela giurisdizionale, e con il principio, di rango costituzionale, di razionalità (articolo ItaliaOggi Sette del 14.10.2013).

TRIBUTITia, rifiuti speciali esonerati anche dalla quota fissa
È illegittimo il regolamento comunale sulla Tia che prevede l'applicazione della quota fissa della tariffa per le attività le cui superfici sono produttive di rifiuti speciali. Queste superfici sono totalmente escluse dalla tassazione.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, V Sez., con la sentenza 26.09.2013 n. 4756.
La regola vale anche per la Tarsu, la Tares e il nuovo tributo sui rifiuti (Tari) che entrerà in vigore il prossimo anno. Per i giudici di palazzo Spada, il comune non ha alcun potere regolamentare di disciplinare il trattamento fiscale dei rifiuti speciali né di deliberare «la tariffa seppure limitata alla componente fissa». In effetti, il tributo sui rifiuti non può essere applicato sulle superfici o sulle aree nelle quali, per specifiche caratteristiche strutturali o per destinazione, si producono rifiuti speciali. Tuttavia le superfici in cui vengono prodotti anche rifiuti speciali non sono né escluse dal tributo né esenti.
Nella determinazione della superficie non si tiene conto solo di quella parte di essa dove si formano questi rifiuti, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Quindi, non si conteggia la parte di superficie che ha questa destinazione nell'ambito di un immobile. E l'esclusione dell'obbligo di conferire i rifiuti al servizio pubblico si ha solo nei casi in cui sia fornita dimostrazione del loro avvio al recupero, con attestazione di ricevuta da parte dell'impresa incaricata del trattamento.
Qualora il produttore abbia fornito la prova di aver avviato effettivamente al recupero i rifiuti, per la relativa superficie non è prevista la detassazione ma una riduzione della misura della tassa che il comune ha facoltà di stabilire con un'apposita norma regolamentare rapportata proporzionalmente «all'entità del recupero rispetto alla produzione complessiva dei rifiuti» (circolare del ministero delle finanze n. 111/1999).
La riduzione della tassa può quindi essere calcolata in base a un coefficiente di proporzionalità rispetto ai rifiuti destinati al recupero. Fermo restando che, anche nelle ipotesi di recupero totale dei rifiuti, idoneamente documentato, non si ottiene l'esonero totale dall'assoggettamento al prelievo tributario, in quanto lo stesso è finalizzato a coprire i costi comuni e collettivi del servizio. Spetta al contribuente provare quale parte dell'immobile debba essere esclusa dalla tassazione (articolo ItaliaOggi del 16.11.2013).

TRIBUTI: Rifiuti. Tariffa rifiuti aree produttive.
Con l’art. 195, comma 2, lett. e), del d. lgs. n. 152 del 2006 si è dettata una normativa chiara e coerente con i principi comunitari, essendosi stabilito che “non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali di servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico”.
In quanto non assimilabili, i rifiuti che si formano nelle aree produttive, salve le eccezioni sopra elencate, sfuggono al regime transitorio e si pongono al di fuori della privativa comunale. Il che comporta che questi rifiuti non possono essere conferiti al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, ma come stabilisce l’art. 188, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 152 del 2006 e la remunerazione del servizio deve essere assicurata attraverso apposita convenzione e, quindi, attraverso un canone o tariffa rapportata prevalentemente ai volumi e pesi conferiti
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.09.2013 n. 4756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

TRIBUTIImpossibile il passaggio dalla Tarsu alla Tia-1. Decisione a forte rischio di contenzioso per i Comuni. Consiglio di Stato. Ammessi in via transitoria gli atti deliberativi già assunti.
Dopo l'entrata in vigore del codice ambientale è possibile effettuare il passaggio solamente alla Tia2, non più alla Tia1.
È quanto affermato dal Consiglio di Stato -Sez. V- con la sentenza 26.09.2013 n. 4756, che ha dichiarato l'illegittimità di un regolamento comunale istitutivo della Tia1, approvato a giugno 2011.
All'origine della controversia una norma regolamentare che imponeva di applicare la quota fissa della Tia anche alle superfici produttive di rifiuti speciali (non smaltiti dal Comune), che invece avrebbero dovuto essere totalmente escluse dalla tassazione. Disposizione ritenuta in contrasto con il principio comunitario "chi inquina paga", di immediata e diretta applicazione nella legislazione nazionale.
Ma i giudici di Palazzo Spada vanno oltre, affermando che dal 29.04.2006 –data di entrata in vigore del Dlgs 152/2006– non è più ammissibile il passaggio alla tariffa Ronchi, in quanto soppressa. In via transitoria è invece tollerata la vigenza degli atti deliberativi già assunti, mentre è possibile istituire solamente la Tia2, di cui all'articolo 238 del Dlgs 152/2006. Niente passaggio, quindi, dalla Tarsu alla Tia1.
Il blocco
La conclusione, tuttavia, non tiene conto del blocco di regime durato quattro anni (dal 2007 al 2010), periodo durante il quale non era comunque possibile cambiare prelievo, ad eccezione dei Comuni della provincia di Trento, in quanto a legislazione speciale. Quindi il principio affermato dal Consiglio di Stato riguarderebbe un breve periodo del 2006 (dal 29 aprile al 31 maggio) e le ultime due annualità di vigenza della Tarsu, cioè il 2011 e il 2012. Il Dl 208/08 consentiva infatti di effettuare il passaggio alla "tariffa integrata ambientale (Tia)" solo in caso di mancata approvazione, entro il 30.06.2010, dell'apposito regolamento statale previsto dal Dlgs 152/2006.
Inoltre, nella sentenza 4756/2013 non c'è alcun riferimento al Dlgs 23/2011, che consente ai Comuni di continuare ad applicare i regolamenti comunali approvati in base alla normativa concernente la Tarsu e la Tia, ferma restando la possibilità di adottare la "tariffa integrata ambientale". Stessa definizione utilizzata nel 2008, che non trova tuttavia riscontro nell'articolo 238 del Dlgs 152/2006 (Tia2), riferito alla "tariffa per la gestione dei rifiuti".
Insomma, la lettura offerta dal Consiglio di Stato non è del tutto scontata, anche perché il passaggio obbligato alla Tia2 avrebbe imposto l'istituzione di un prelievo di natura extratributaria (così definita dal Dl 78/2010), con rilevanti problemi di natura applicativa per mancanza di sanzioni, di poteri di accertamento eccetera.
Lo scenario
Si apre, peraltro, uno scenario a forte rischio di contenzioso per i Comuni, pur escludendo la possibilità di impugnativa davanti ai Tar per scadenza dei termini. I contribuenti potrebbero comunque contestare le richieste di pagamento, chiedendo alle commissioni tributarie la disapplicazione dei regolamenti istitutivi della Tia1, ancorché con una efficacia limitata al singolo caso.
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Sotto la lente
01 | Il principio
Secondo il Consiglio di Stato, dopo l'entrata in vigore del Codice ambientale, Dlgs 152/2006, avvenuta il 29.04.2006, si poteva effettuare soltanto il passaggio dalla Tarsu alla Tia2
02 | Il problema
La conclusione non tiene conto del fatto che per quattro anni (dal 2007 al 2010) c'è stato un blocco di regime, ragion per cui il principio riguarderebbe solo un mese del 2006 e gli ultimi due anni di vigenza della Tarsu (2011 e 2012).
Considerando anche che il passaggio obbligato alla Tia2 avrebbe imposto l'istituzione di un prelievo di natura extratributaria, si prefigura la possibilità che i contribuenti contestino le richieste di pagamento e chiedano di disapplicare i regolamenti istitutivi della Tia1
(articolo Il Sole 24 Ore del 07.10.2013).

TRIBUTI: Il pareggio di bilancio giustifica l'aumento dell'aliquota Imu.
I comuni possono aumentare l'aliquota di base Imu anche per gli immobili posseduti dai soggetti per i quali la legge gli concede la facoltà di riconoscere un trattamento agevolato. E non è imposto all'ente di giustificare l'aumento del prelievo con una motivazione ad hoc. L'aumento dell'aliquota può essere finalizzato all'obbiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio. Il fatto che il legislatore attribuisca all'amministrazione locale il potere di ridurre per determinati immobili in misura percentuale l'aliquota di base (0,76%), non le impedisce però di poterla aumentare e di riservare lo stesso trattamento delle altre unità immobiliari.

Per esempio, i giudici amministrativi hanno respinto i ricorsi proposti dai titolari di immobili di edilizia residenziale pubblica (Ater, Iacp) per il 2012, nei casi in cui i comuni non solo non hanno assicurato il trattamento agevolato previsto dalla legge per l'abitazione principale, ma addirittura hanno aumentato l'aliquota di base fissata per le seconde case. In effetti, per queste unità immobiliari l'articolo 13 del dl Monti (201/2011) aveva limitato il beneficio solo alla detrazione d'imposta. Solo da quest'anno il dl sulla finanza locale (102/2013) li equipara a tutti gli effetti all'abitazione principale.
Di recente il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, seconda sezione, con la sentenza 1088 del 19.07.2013, ha ritenuto legittima la delibera del comune che ha aumentato l'aliquota di base per gli immobili posseduti dalle imprese, nonostante il decreto Monti (articolo 13, comma 9) abbia disposto la facoltà degli enti di ridurre l'aliquota fino allo 0,4% per i soggetti Ires, vale a dire i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società.
Per il giudice amministrativo, il dl 201/2011 «ha determinato i margini di manovra a disposizione dei comuni per realizzare una «personalizzazione» delle aliquote a livello di singolo ente». Con deliberazione consiliare possono modificare l'aliquota di base, in aumento o in diminuzione, fino a 0,3 punti percentuali. Dunque, gli immobili dell'impresa possono fruire dell'aliquota ridotta solo qualora i comuni abbiano ritenuto di deliberare una misura di favore. Anche queste unità immobiliari sono soggette all'aliquota di base, «eventualmente modificabile in aumento entro il limite di 0,3 punti percentuali».
Peraltro l'aumento non richiede una specifica motivazione, trattandosi di un atto generale. L'aumento dell'aliquota può essere giustificato dalla necessità di garantire il pareggio di bilancio. Tuttavia, mentre comunemente si ritiene che non sia necessario motivare gli atti generali, delibere Imu comprese, non c'è uniformità di vedute in giurisprudenza sull'obbligo di indicare le ragioni in fatto e in diritto degli aumenti delle tariffe della tassa per lo svolgimento del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti.
Il Consiglio di stato (sentenza 5616/2010) ha sostenuto che il comune deve motivare la delibera che aumenta le tariffe Tarsu per coprire i costi del servizio. E non si può invocare la necessità di assicurare la copertura totale della spesa, senza avere dati certi sullo scostamento tra entrate e costi del servizio (articolo ItaliaOggi del 25.09.2013).

ENTI LOCALI - TRIBUTI: Oggetto: Decreto legge 31.08.2013, n. 102 – Nota di lettura (ANCI Emilia Romagna, nota 19.09.2013 n. 147 di prot.).
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... in materia di IMU, TARES, differimento termine approvazione bilancio preventivo.
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Chi ha approvato i bilanci può rivedere le aliquote.
Anche i comuni che hanno già approvato il bilancio possono rimettere mano ai propri tributi fino al 30 novembre.

Lo afferma una nota interpretativa del decreto Imu diffusa dall'Anci Emilia-Romagna. Ma tale interpretazione necessita di una conferma ufficiale da parte del Mef.
Come noto, l'art. 8 del dl 102/2013 ha differito alla predetta data il termine per l'approvazione del preventivo per l'anno in corso. Il legislatore non si è premurato di precisare gli effetti della proroga nei confronti degli enti che già avevano tagliato il traguardo dell'approvazione. In tal modo, per questi ultimi, si ripropone la querelle sulla possibilità di modificare le proprie aliquote o i propri regolamenti tributari anche dopo il varo del bilancio, purché ovviamente entro la dead-line fissata per gli altri enti.
L'Anci propende per la tesi affermativa, ritenendo sufficiente a tal fine una semplice «variazione» del documento contabile già perfezionato, secondo quanto chiarito dalla risoluzione del Dipartimento delle politiche fiscali n. 1/2011. Per la verità, la questione non pare del tutto pacifica, in presenza di pronunce difformi della Corte dei conti (si veda, ad esempio, il parere n. 205/2011 della Sezione regionale di controllo per la Lombardia), che hanno sostenuto, invece, la necessità di procedere alla «riapprovazione» del bilancio.
Del resto, la stessa risoluzione del Mef ribadiva l'inderogabilità del principio della variazione della disciplina dei tributi comunali entro il termine stabilito dalla legge per l'approvazione del bilancio, sottolineando il carattere propedeutico al bilancio stesso delle deliberazioni riguardanti le entrate, e ne ammetteva una parziale deroga solo considerazione della «particolare tempistica» delle novità all'epoca introdotte dal dlgs 23/2011 in materia di addizionale Irpef.
Sarebbe quindi opportuno che dal Mef arrivasse un nuovo chiarimento ufficiale. Se, viceversa, dovesse prevalere una linea interpretativa più rigida, i numerosi comuni che hanno già approvato il bilancio 2013 aumentando l'aliquota dell'Imu sull'abitazione principale avrebbero enormi difficoltà ad apportare le necessarie correzioni, con forti rischi per gli equilibri contabili se lo Stato non dovesse riconoscere loro il rimborso integrale del mancato gettito (articolo ItaliaOggi del 27.09.2013).

TRIBUTI: Aree verdi, no Ici. Niente imposta se c'è il vincolo. La Ctr Milano: lo spazio pubblico non è edificabile.
Se un terreno è sottoposto a vincoli non può essere assoggettato all'Ici e all'Imu. Quindi, se un'area è compresa in una zona destinata dal piano regolatore generale a verde pubblico attrezzato il contribuente non è tenuto a versare l'imposta municipale.

Secondo la Commissione tributaria regionale di Milano (sentenza n. 71/2013) il vincolo di destinazione non consente di dichiarare l'area edificabile, poiché al contribuente viene impedito di operare qualsiasi trasformazione del bene. In effetti, si discute da tempo sulla legittimità dell'assoggettamento a Ici delle aree vincolate. Del resto, la giurisprudenza sia di merito che di legittimità non ha assunto una posizione univoca.
Per la commissione regionale, se lo strumento urbanistico vigente destina l'area a spazio pubblico per parco, giochi e sport, rende «palese e percepibile il vincolo di utilizzo meramente pubblicistico con la conseguente inedificabilità». Nella sentenza viene richiamata una pronuncia della Cassazione che ha fissato questo principio, che però non è assolutamente pacifico.
I precedenti della Cassazione. Con sentenza 25672/2008 i giudici di legittimità hanno stabilito che se il piano regolatore generale del comune stabilisce che un'area sia destinata a verde pubblico attrezzato, questa prescrizione urbanistica impedisce al privato di poter edificare. Dunque, l'area non è soggetta al pagamento dell'Ici anche se l'edificabilità è prevista dallo strumento urbanistico. La natura edificabile delle aree comprese in zona destinata a verde pubblico attrezzato impedisce ai privati la trasformazione del suolo riconducibile alla nozione tecnica di edificazione. In questi casi, la finalità è quella di assicurare la fruizione pubblica degli spazi.
Mentre, con la sentenza 19131/2007 aveva sostenuto il contrario e cioè che l'Ici fosse dovuta su un'area edificabile anche se sottoposta a vincolo urbanistico e destinata a essere espropriata: quello che conta è il valore di mercato dell'immobile nel momento in cui è soggetto a imposizione. Con questa decisione, tra l'altro, i giudici avevano precisato che l'Ici non «ricollega il presupposto dell'imposta all'idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine a incrementare il proprio valore o il reddito prodotto». Il valore dell'immobile assume rilievo solo per determinare la misura dell'imposta. L'area doveva essere considerata edificabile anche se qualificata «standard» e vincolata a esproprio.
Quindi, le aree edificabili sono soggette all'imposta anche se vincolate per essere espropriate. La destinazione edificatoria permane anche dopo la decadenza dei vincoli. Naturalmente, i limiti incidono sul valore venale del bene. Con l'ordinanza 16562/2011 la Suprema corte ha ribadito che la qualifica di area fabbricabile non può ritenersi esclusa se esistono particolari limiti che condizionano le possibilità di edificazione del suolo. Anzi, i limiti imposti a un terreno presuppongono la sua vocazione edificatoria.
Con questa decisione i giudici hanno ritenuto che i limiti imposti dal piano regolatore «incidendo sulle facoltà dominicali connesse alle possibilità di trasformazione urbanistico-edilizia del suolo medesimo, ne presuppongono la vocazione edificatoria». Peraltro, la destinazione dell'area «permane anche dopo la decadenza dei vincoli preordinati all'espropriazione» per finalità pubbliche. Tuttavia, i vincoli incidono «sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, della base imponibile». È evidente che il contribuente che si trovi in questa situazione paga un'imposta minore, che deve essere rapportata al ridotto valore del terreno.
La definizione di area in base al diritto comunitario. È stato precisato dalla Cassazione (sentenza 20097/2009) che rientra nella competenza degli stati membri della Comunità europea la qualificazione delle aree edificabili. Ed è in linea col sistema comunitario la scelta dello stato italiano di fissare al momento dell'adozione dello strumento urbanistico generale la qualificazione dell'area, anche nel caso in cui non siano state adottate misure che consentano l'effettiva edificazione.
L'ordinamento italiano non contiene una definizione generale di terreno edificabile. C'è piuttosto nel sistema fiscale una tendenza a ricomprendere in questa categoria, per determinare la base imponibile di alcuni tributi, e per quanto è di nostro interesse per l'Ici e l'Imu, tutte le aree la cui destinazione edificatoria sia prevista dallo strumento urbanistico generale deliberato dal comune, anche in mancanza dei previsti atti di controllo (approvazione regionale) e degli strumenti attuativi.
In realtà non interessa, ai fini fiscali, che il suolo sia immediatamente edificabile: quello che conta, secondo i giudici di legittimità, è che «sia stata conclusa una fase rilevante del procedimento per attribuire all'area la natura edificatoria o per modificare le precedenti previsioni che escludevano tale destinazione» (articolo ItaliaOggi Sette del 16.09.2013).

TRIBUTI: Classamento con motivazione.
Domanda
Ho ricevuto un atto con cui il Catasto ha modificato il classamento della mia abitazione senza alcuna precisazione circa le sue motivazioni. Posso ricorrere?
Risposta
La risposta è affermativa. La giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidata nel ritenere illegittimi i riclassamenti catastali privi di motivazione o dotati di motivazione meramente apparente.
La recente sentenza n. 18156/2013, fra altre emesse in questi ultimi anni e in parte in essa richiamate, ribadisce che il provvedimento di riclassamento deve esplicitare se esso sia stato adottato in ragione di trasformazioni edilizie subite dall'unità (in tal caso recando l'analitica indicazione di esse) o nell'ambito di una revisione dei parametri della microzona di ubicazione dell'immobile giustificata dal significativo scostamento del rapporto tra valore di mercato e valore catastale rispetto ad altre microzone comunali (in tal caso recando la specifica menzione dei rapporti e dello scostamento rilevato), oppure ancora in relazione alla incongruenza tra il precedente classamento dell'unità rispetto a fabbricati similari (in tal caso recando la specifica individuazione di tali fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li renderebbero similari all'unità interessata dal rilassamento).
È, del resto, evidente che in mancanza di tali motivazioni il contribuente non potrebbe controdedurre in modo appropriato e sarebbe pertanto inibito rispetto al proprio diritto di difendersi dalle pretese dell'Amministrazione (articolo ItaliaOggi Sette del 16.09.2013).

TRIBUTI: Immobili in comodato d'uso esclusi da esenzioni Imu. Per i titolari di beni messi a disposizione niente benefici dall'abolizione della prima tranche. La facoltà di assimilazione non è riconosciuta agli enti locali.
I titolari degli immobili dati in comodato d'uso gratuito a parenti, destinati ad abitazione principale, sono tenuti a pagare l'Imu. Questi soggetti non hanno fruito della sospensione del pagamento dell'acconto e, quindi, non possono beneficiare dell'abolizione della prima rata dell'imposta. E il decreto 102/2013 sull'abolizione dell'Imu nulla innova in proposito.
I fabbricati dati in comodato non possono più essere assimilati ex lege all'abitazione principale.
L'articolo 13 del dl Monti (201/2011), infatti, ha parzialmente abrogato a partire dal 2012 l'articolo 59, comma 1, del decreto legislativo 446/1997, vale a dire la norma attributiva del potere regolamentare in materia di imposta comunale sugli immobili, nella parte in cui consentiva la comune di considerare abitazioni principali, con conseguente applicazione dell'aliquota ridotta o della detrazione, i fabbricati concessi in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterale, stabilendo il grado di parentela.
Per l'Imu alcune tipologie di assimilazioni sono previste dalla legge e i benefici spettano a prescindere dalla scelte del comune. Per esempio, rientrano in questa casistica gli immobili di edilizia residenziale pubblica posseduti da Iacp o Ater, utilizzati come prima casa dai soci assegnatari oppure gli alloggi sociali. Mentre, è demandato all'ente il potere di assimilare alla prima casa quelli posseduti da anziani, disabili e residenti all'estero. I proprietari di questi immobili non pagano la prima rata Imu se i comuni li hanno già assimilati nel 2012 all'abitazione principale (e non hanno revocato il beneficio) o intendono farlo per il 2013, in quanto è proprio la norma di legge che prevede che il trattamento agevolato possa essere concesso per le unità immobiliari possedute, a titolo di proprietà o usufrutto, da anziani o disabili che spostano la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, nonché per quelle possedute, a titolo di proprietà o usufrutto, in Italia dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello stato, a condizione che non risultino locate.
La facoltà di assimilazione, invece, non è stata riconosciuta ai comuni per gli immobili dati in comodato d'uso. Naturalmente nulla impedisce che il comune possa garantire, a proprie spese, qualche beneficio fiscale (per esempio, l'aliquota agevolata), ma non si può parlare di assimilazione all'abitazione principale e di rimborso del minor gettito da parte dello stato.
Va ricordato che sono rigidi i requisiti per fruire del trattamento agevolato sugli immobili destinati ad abitazione principale. L'articolo 13 ha fornito una nuova qualificazione giuridica della nozione di abitazione principale, prevedendo che si intende come tale l'unità immobiliare nella quale il contribuente e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni si applicano per un solo immobile (articolo ItaliaOggi dell'11.09.2013).

ENTI LOCALI - TRIBUTIIl bilancio «di previsione» non sarà modificabile. Impossibile la manovra di salvaguardia al 30 settembre. Dl Imu. I termini per il preventivo scadono insieme a quelli per l'assestamento.
Gli enti locali avranno tempo fino al 30 novembre, un mese prima della fine dell'anno, per approvare il bilancio di previsione 2013.

La nuova proroga è stata inserita nel Dl 102 del 31.08.2013, che abroga la rata di giugno dell'IMU sulle abitazioni principali e sulle categorie per le quali, con il Dl 54/2013, ne era stata disposta la sospensione. Il Dl prevede altre disposizioni sull'IMU, rivede la Tares, spostando al 30 novembre i termini per l'approvazione del Regolamento e delle relative tariffe.
Sono inoltre rinviati ad ulteriori provvedimenti sia l'eliminazione della rata Imu di dicembre, sia l'introduzione, dal 2014, della nuova service tax.
Questi i "titoli" del nuovo scenario di breve periodo della finanza locale. Il metodo, però, va in netta contraddizione con i principi della sana programmazione. Le conseguenze non sono rassicuranti, almeno sul piano tecnico e contabile.
Gli enti che non hanno ancora approvato il bilancio hanno operato finora in dodicesimi, sulla base dell'assestato 2012, i cui valori sono generalmente più alti del relativo consuntivo. Continuare con la gestione provvisoria fino al 30 novembre significa mettere a rischio gli equilibri di bilancio, soprattutto sulla parte corrente. Che lo Stato si faccia carico dell'Imu abrogata è il minimo che ci si potesse aspettare, ma si dovranno attendere ancora settimane per l'esatta quantificazione; è, infatti, previsto un ulteriore decreto del Ministero dell'interno, di concerto con l'Economia.
Per i Comuni si riduce l'autonomia di agire sulla principale leva fiscale; e per gli enti che avevano già provveduto ad innalzare le aliquote per il 2013, tutti i programmi sono da riesaminare. Approvare il previsionale al 30 novembre significa, di fatto, approvare il pre-consuntivo, inglobando, in uno, i provvedimenti della salvaguardia e dell'assestamento. Dopo il 30 novembre, si ricorda, non sono più possibili variazioni di bilancio. Si può ancora chiamare bilancio di previsione un documento non più modificabile ?
E quali sono le conseguenze di questo decreto per gli enti che hanno già approvato il loro bilancio? Di certo dovranno adottare le necessarie variazioni di bilancio. Stando alla tempistica dettata dal decreto, non ci sarebbero i tempi tecnici per la manovra di salvaguardia da approvare entro il 30 settembre. Alla luce delle modifiche intervenute, che riguardano anche la Tares, e dei rinvii a nuove disposizioni sulla seconda rata dell'Imu, si ritiene che, come già accaduto nel 2012, la salvaguardia dovrà essere approvata contestualmente all'assestamento.
Guardando alle casse comunali, l'unica notizia lieta è l'erogazione del 5 settembre del secondo acconto del Fondo di solidarietà Comunale, la cui quantificazione complessiva resta ancora un rebus.
In definitiva, i Comuni programmano le proprie politiche di spesa sulla base di Imu, Tares, Fondo di solidarietà comunale e addizionali comunali. La caratteristica che oggi li accomuna è la totale incertezza sulla loro entità. Il federalismo tanto auspicato avrebbe dovuto concedere agli amministratori locali le leve sufficienti a manovrare le politiche fiscali in funzione del proprio mandato. Così non è. Le aspettative sulla service tax aumentano, ma nel frattempo resta il problema degli equilibri di bilancio per il 2013.
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Gli strumenti
01|SALVAGUARDIA
La legge prevede la possibilità che gli enti approvino la salvaguardia entro il 30 settembre, con la possibilità di modificare anche aliquote e tariffe. In una situazione ordinaria, questo permette di modificare eventuali errori di quantificazione nel preventivo o di finanziare uscite impreviste
02|ASSESTAMENTO
Entro il 30 novembre i Comuni devono procedere all'assestamento di bilancio, dopo il quale non è più possibile modificare le poste dei conti che a quel punto assumono un valore definitivo, da verificare e certificare nel rendiconto
03|PREVENTIVO
Lo slittamento al 30 novembre previsto per il 2013 dal Dl Imu-2 rappresenta un record nella storia dei rinvii di termini per la chiusura dei preventivi, e di fatto rende inutilizzabili i due precedenti strumenti per gli enti che attendono il nuovo termine (articolo Il Sole 24 Ore del 09.09.2013).

TRIBUTI - VARI: Oggetto: Decreto per la casa – Novità IMU e altre misure di sostegno al settore immobiliare (ANCE Bergamo, circolare 06.09.2013 n. 199).

TRIBUTIAnziani e disabili, il comune decide sulla prima rata Imu. Stop al versamento se gli enti non hanno revocato il trattamento agevolato del 2012.
Abolita la prima rata Imu anche per anziani, disabili e residenti all'estero se i comuni non hanno revocato per l'anno in corso il trattamento agevolato riconosciuto nel 2012 per gli immobili da loro destinati ad abitazione principale o intendono concederlo per il 2103.
Il nuovo dl sull'imposizione immobiliare e la finanza locale, infatti, prevedono l'abolizione della prima rata Imu per tutti gli immobili per i quali a giugno era stata disposta la sospensione del pagamento dell'acconto. Quindi, la cancellazione del pagamento si estende agli immobili assimilati all'abitazione principale.
Tuttavia, è escluso che il beneficio possa essere applicato a due o più immobili, anche se utilizzati di fatto come abitazione principale, se non accorpati catastalmente. Così come non è consentito che, quantomeno nello stesso comune, uno dei coniugi trasferisca la propria residenza o dimora abituale per non pagare l'imposta. Le agevolazioni sono rivolte al nucleo familiare.
Anziani, disabili e residenti all'estero. Chi fruisce del trattamento agevolato, anche se a seguito dell'assimilazione degli immobili all'abitazione principale operata dai comuni, non è tenuto a pagare l'Imu. E gli immobili posseduti da anziani, disabili e residenti all'estero possono essere assimilati. Per il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia (circolare 2/2013), considerata la finalità del legislatore di assicurare un regime di favore per l'abitazione principale e relative pertinenze, sia nel caso che l'assimilazione venga disposta per il 2013 «sia in quello in cui la stessa è stata effettuata nel 2012 e non è stata modificata nel 2013, l'assimilazione in questione determina l'applicazione delle agevolazioni». Compresa l'abolizione del pagamento della prima rata Imu.
I comuni, in effetti, possono estendere o ampliare i benefici per la prima casa. Non scontano l'Imu come seconda casa gli immobili posseduti da anziani o disabili e residenti all'estero se il comune li ha assimilati o li assimila all'abitazione principale. L'articolo 13 del dl 201/2011 prevede che il trattamento agevolato possa essere concesso per le unità immobiliari possedute, a titolo di proprietà o usufrutto, da anziani o disabili che spostano la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, nonché per quelle possedute, a titolo di proprietà o usufrutto, in Italia dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello stato, a condizione che non risultino locate. Va posto in rilievo che, come per l'Ici, il nudo proprietario non è tenuto a pagare l'Imu. Soggetti passivi sono sempre l'usufruttuario, i titolari dei diritti di uso, abitazione e così via.
Esenzione solo per un immobile. Secondo il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia (circolare 3/2012) l'abolizione del pagamento vale solo per un immobile, in quanto per abitazione principale s'intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Il contribuente può fruire delle agevolazioni «prima casa» per un solo immobile, anche se utilizzi di fatto più unità immobiliari distintamente iscritte in catasto, a meno che non abbia provveduto al loro accatastamento unitario. I singoli fabbricati vanno assoggettati separatamente a imposizione, ciascuno per la propria rendita. È il contribuente a scegliere quale destinare a abitazione principale.
Si ritiene non corretta la tesi ministeriale, poiché anche per l'Imu, come per l'Ici, il contribuente dovrebbe avere diritto al trattamento agevolato qualora utilizzi contemporaneamente diversi fabbricati come abitazione principale, visto che l'articolo 13 richiede che si tratti di un'unica unità immobiliare iscritta o «iscrivibile» come tale in catasto. Dovrebbero essere sufficienti due requisiti: uno soggettivo e l'altro oggettivo. Nello specifico, le diverse unità immobiliari devono essere possedute da un unico titolare e devono essere contigue. Del resto, la Cassazione più volte ha affermato che ciò che conta è l'effettiva utilizzazione come abitazione principale dell'immobile complessivamente considerato, a prescindere dal numero delle unità catastali.
Peraltro, per i giudici di legittimità, gli immobili distintamente iscritti in catasto non importa che siano di proprietà di un solo coniuge o di ciascuno dei due in regime di separazione dei beni. A patto che il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono. Secondo la Cassazione, una interpretazione contraria non sarebbe rispettosa della finalità legislativa di ridurre il carico fiscale sugli immobili adibiti a «prima casa». La tesi della Cassazione, però, si pone in contrasto con quanto affermato anche in passato dal ministero delle finanze (risoluzione 6/2002) sui presupposti richiesti per usufruire del trattamento agevolato Ici.
Il ministero ha infatti precisato che due o più unità immobiliari vanno singolarmente e separatamente soggette a imposizione, «ciascuna per la propria rendita». Solo una dovrebbe essere considerata anche per l'Imu come abitazione principale. Il contribuente, per usufruire dell'agevolazione, dovrebbe richiedere l'accatastamento unitario degli immobili, per i quali è attribuita in catasto una distinta rendita, presentando all'ente una denuncia di variazione.
Agevolazioni per il nucleo familiare. L'esenzione Ici per l'abitazione principale spettava per l'immobile adibito a dimora abituale del contribuente e dei suoi familiari. Non a caso la Corte di cassazione, con la sentenza 14389 del 15.06.2010, aveva affermato che nel caso in cui un coniuge avesse trasferito la propria residenza in un altro immobile non avrebbe avuto più diritto all'agevolazione fiscale, a meno che non avesse dimostrato di essersi separato legalmente.
In realtà, anche se la questione del comportamento elusivo eventualmente posto in essere da uno dei coniugi ha formato oggetto di contrastanti pronunce giurisprudenziali, l'articolo 8 del decreto legislativo 504/1992 limitava il beneficio fiscale alla dimora abituale della famiglia. Secondo la Cassazione, infatti, l'ubicazione della casa coniugale «individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famiglia», «salvo che» (si aggiunge opportunamente) «tale presunzione sia superata dalla prova» che lo «dello spostamento... della propria dimora abituale» sia stata causata dal «verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza».
Lo stesso concetto di «nucleo familiare» viene riproposto per l'Imu, anche se le modifiche apportate alla norma istitutiva dell'imposta suscitano dei dubbi sugli effetti antielusivi che la Cassazione aveva riconosciuto alla disciplina Ici. L'articolo 13 del dl Monti (201/2011) stabilisce che per abitazione principale si intende l'immobile «nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente». Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano fissato la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nello stesso territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale, e relative pertinenze, si applicano per un solo immobile. La formulazione un po' contorta di questa disposizione lascia aperta la porta a possibili comportamenti elusivi, in quanto esclude che due coniugi possano fruire di una doppia esenzione solo se gli immobili sono ubicati nello stesso comune.
Quindi, se il trasferimento formale della residenza da parte di uno dei coniugi avviene in una seconda casa, ubicata in una località di mare o di montagna diversa da quella di residenza dell'altro coniuge, non vi sarebbe alcun impedimento a fruire due volte dello stesso beneficio fiscale: entrambi non pagherebbero la prima rata Imu. In questo caso i comuni potrebbero contestare la sussistenza di uno dei requisiti richiesti dalla legge, qualora possano dimostrare che la seconda casa non viene utilizzata di fatto come dimora abituale (articolo ItaliaOggi Sette del 02.09.2013).

TRIBUTIMacchine self service. Fototessere, niente imposta sulle affissioni.
Le affissioni presenti sulle macchine per fototessere self service che riportano informazioni sul costo del servizio e sulle modalità di fruizione non scontano l'imposta sulla pubblicità. Tali manifesti non possono considerarsi alla stregua di un mezzo pubblicitario qualunque, poiché informano il pubblico circa le caratteristiche del servizio, peraltro non acquistabile altrove, bensì fruibile adoperando la stessa macchina sul quale sono apposti.

In base a tali considerazioni, la sentenza n. 65/01/13 della Ctp di Lodi ha concluso per l'esenzione della fattispecie dall'imposta pubblicitaria vantata dall'amministrazione comunale.
Il caso riguarda le macchinette automatiche per fare le fototessere che si trovano solitamente nei pressi di luoghi pubblici, quali stazioni, municipi o aeroporti. Sulla struttura stessa dell'apparecchio elettronico, vengono di norma apposte delle illustrazioni, contenenti slogan e informazioni circa il costo del servizio, i tempi di erogazione e quant'altro. Su tali affissioni, alcuni comuni ritengono dovuta l'imposta per la pubblicità.
La Ctp di Lodi si è pronunciata in senso contrario. «Anche se di grande formato», si legge in motivazione, «queste illustrazioni hanno lo scopo prevalente di informare il pubblico delle caratteristiche dell'offerta, più che di pubblicizzare il servizio, che peraltro non è acquistabile altrove, essendo fornito dalla stessa macchina sulla quale sono apposte».
Per cui, non essendo prevalente lo scopo pubblicitario, che costituisce il presupposto dell'imposta, la Ctp ha accolto il ricorso del contribuente e concluso per l'esenzione (articolo ItaliaOggi Sette del 02.09.2013).

agosto 2013

ENTI LOCALI - TRIBUTI: G.U. 31.08.2013 n. 204, suppl. ord. n. 66/L, "Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici" (D.L. 31.08.2013 n. 102).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTII ruderi in catasto. Vanno iscritti, ma senza rendita. Le Entrate: la denuncia solo per mera identificazione.
Nessuna attribuzione di rendita catastale se il degrado dei ruderi è tale da non produrre reddito e non ci sono collegamenti a gas, luce e acqua. I ruderi possono essere iscritti al catasto solo per l'identificazione, con l'indicazione dei caratteri specifici e della destinazione d'uso, ma non viene loro attribuita nessuna rendita. Alla denuncia al catasto di unità collabente o rudere deve essere allegata apposita autocertificazione attestante l'assenza di allacciamento alle reti dei servizi pubblici dell'energia elettrica, dell'acqua potabile e del gas. Per questi immobili sussiste la possibilità e non l'obbligo dell'aggiornamento dei dati catastali.
Questa è la precisazione contenuta nella nota 30.07.2013 n. 29440 di prot. emanata dalla direzione centrale catasto e cartografia dell'Agenzia delle entrate.
I tecnici di prassi sottolineano innanzitutto che i ruderi, classificati come unità collabenti nella categoria F/2, sono tali se privi della copertura e della struttura portante, ma anche se delimitati da muri che non abbiano almeno l'altezza di un metro. Le condizioni di degrado devono inoltre essere tali da renderli incapaci di produrre reddito. Secondo i tecnici del fisco questi immobili possono essere iscritti al catasto solo per l'identificazione, con l'indicazione dei caratteri specifici e della destinazione d'uso, ma non viene loro attribuita nessuna rendita.
Ai fini delle dichiarazioni di unità collabenti è pertanto necessario che il professionista che predispone la dichiarazione su incarico della committenza: rediga una specifica relazione, datata e firmata, riportante lo stato dei luoghi, con particolare riferimento alle strutture e alla conservazione del manufatto, che deve essere debitamente rappresentato mediante documentazione fotografica e alleghi l'autocertificazione, resa dall'intestatario dichiarante, ai sensi degli articoli 47 e 76 del dpr 28.12.2000 n. 445, attestante l'assenza di allacciamento delle unità alle reti dei servizi pubblici, dell'energia elettrica e del gas.
I tecnici ribadiscono inoltre che l'iscrizione nella categoria F/2 prevede la presenza di un fabbricato che abbia perso del tutto la sua capacità reddituale. Ne consegue che la stessa categoria non è ammissibile, ad esempio, quando l'unità immobiliare che si vuole censire, risulta ascrivibile in altra categoria catastale, ovvero, non è individuabile e/o perimetrabile.
Le Entrate infine ricordano che l'attribuzione della categoria F/2 a tali ruderi è regolamentata dall'articolo 3, 2 comma, del decreto del ministero delle finanze del 02.01.1998 n. 28. I ruderi per essere tali devono essere caratterizzati da un notevole degrado che ne determina una notevole perdita della capacità reddituale (articolo ItaliaOggi del 29.08.2013).

TRIBUTIIci dovuta se c'è stata demolizione. Sull'area.
Il contribuente è tenuto a pagare l'Ici sull'area edificabile e non sul fabbricato utilizzato come abitazione principale solo se gli interventi edilizi hanno comportato la demolizione o la sostituzione di parti strutturali dell'immobile che ne hanno impedito l'uso. È escluso il pagamento del tributo sull'area se la famiglia dimostra di aver continuato ad abitare nell'immobile durante il periodo dei lavori.

È quanto ha affermato la commissione tributaria provinciale di Brescia, sezione VIII, con la sentenza 27.08.2013 n. 129.
Per i giudici tributari, dall'esame della documentazione presentata è emerso che i lavori eseguiti sull'immobile non hanno comportato demolizioni, né sostituzione di parti strutturali, né interventi che possano averne impedito l'uso. Del resto, le fatture prodotte relative alle utenze per energia elettrica, gas e acqua hanno dimostrato che «la funzione abitativa non è venuta meno e che la famiglia dei ricorrenti, anche durante il periodo dell'intervento edilizio, ha continuato ad abitare nello stesso stabile».
Secondo l'articolo 2 del decreto legislativo 504/1992, richiamato per l'Imu dall'articolo 13 del decreto Monti (201/2011), per fabbricato si intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza. Il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all'imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori o, se antecedente, dalla data in cui è comunque effettivamente utilizzato.
Infatti, nelle ipotesi di edificazione di un fabbricato, la base imponibile Ici (o Imu) è data dal valore dell'area dalla data di inizio dei lavori di costruzione fino a quella di ultimazione, oppure fino a quando il fabbricato è comunque utilizzato, se questo momento è antecedente. Inoltre, in base alla finzione giuridica prevista nella disciplina dell'imposta, il suolo va considerato area fabbricabile, indipendentemente dal fatto che sia tale o meno in base agli strumenti urbanistici, anche durante il periodo dell'effettiva utilizzazione edificatoria (articolo ItaliaOggi del 12.09.2013).

TRIBUTI: Pertinenze esenti. Senza autonomia niente Ici-Imu. Per Ctr Roma non rileva la mancata dichiarazione.
Le aree edificabili non sono autonomamente soggette al pagamento dell'Ici e dell'Imu se sono pertinenze dei fabbricati, anche se il contribuente non ha indicato questa destinazione degli immobili nella dichiarazione.
La Commissione tributaria regionale di Roma (sentenza n. 163/2013) va oltre quanto sostenuto dalla Cassazione, perché riconosce l'intassabilità del bene anche nel caso in cui il contribuente non abbia esposto nella dichiarazione la natura pertinenziale dell'area.
Tuttavia, il titolare dell'immobile non è tenuto a pagare l'imposta comunale su un'area edificabile che sia pertinenza di un fabbricato, anche se non lo ha indicato nella dichiarazione, purché invii una comunicazione all'ente con lettera raccomandata con la quale lo informi della destinazione del bene, prima che venga emanato l'atto di accertamento.
Naturalmente, è richiesto che il rapporto pertinenziale emerga dallo stato dei luoghi.
Per esempio, l'esistenza di un pozzo artesiano sul terreno dal quale è possibile attingere l'acqua dal fabbricato oppure un marciapiede o un cornicione ubicati oltre la linea di confine del manufatto.
La sezione tributaria della Corte di cassazione (sentenza 19638/2009), invece, ha riconosciuto il beneficio solo nei casi in cui il contribuente dichiari al comune l'utilizzo dell'immobile come pertinenza nella denuncia iniziale o di variazione. I giudici di legittimità, infatti, per eliminare il contenzioso che dura da anni sull'assoggettamento a Ici delle aree o giardini pertinenziali, hanno modellato l'articolo 2 del decreto legislativo 504/1992 che dà la definizione di pertinenza. Mentre questa norma si limita a stabilire che è parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza, la Cassazione va oltre e, dando una chiave di lettura «di conio giurisprudenziale», ha aggiunto che per non essere assoggettata a imposizione occorre un'apposita denuncia del contribuente sull'uso dell'area nel momento in cui avviene la destinazione.
Dal punto di vista fiscale, poi, è irrilevante la circostanza che un'area pertinenziale e una costruzione principale siano censite catastalmente in modo distinto, al fine di poter essere assoggettate a tassazione come un unico bene o di usufruire delle agevolazioni. Come precisato dalla commissione regionale, però, il vincolo pertinenziale deve essere visibile e va rilevato dallo stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che in catasto l'area e il fabbricato non risultino accorpati. In caso contrario, i due immobili sono soggetti a imposizione autonomamente.
Le stesse regole valgono per l'Imu. Infatti, nulla cambia per l'imposizione delle aree edificabili con la disciplina della nuova imposta locale rispetto all'Ici. Anche per l'Imu vengono richiamate le disposizioni contenute negli articoli 2 e 5 del decreto legislativo 504/1992. Sia per quanto riguarda la qualificazione dell'oggetto d'imposta sia per la determinazione dell'imponibile occorre fare riferimento alla normativa Ici.
Per definire gli aspetti controversi della nozione di area edificabile, il legislatore è intervenuto due volte con norme di interpretazione autentica. L'imposta è dovuta se l'area è inserita in un piano regolatore generale adottato dal consiglio comunale, ma non approvato dalla regione. L'articolo 36, comma 2, del decreto-legge legge 223/2006 ha stabilito che un'area sia da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale deliberato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi.
La tesi della Cassazione. Secondo la Cassazione (sentenza 5755/2005) per la pertinenza di un fabbricato non contano le risultanze catastali, ma la destinazione di fatto.
Il terreno che costituisce pertinenza di un fabbricato non è soggetto a Ici e Imu come area edificabile, anche se iscritto autonomamente al catasto. Sempre la Cassazione, con la sentenza 17035/2004, ha chiarito che per le aree edificabili non si introduce alcuna particolare e nuova accezione di pertinenza ai fini Ici ma, semplicemente, se ne presuppone il significato, in quanto va fatto riferimento alla definizione fornita, in via generale, dall'articolo 817 c.c. Questa norma prevede che sono da considerare pertinenze le cose destinate in modo durevole al servizio o all'ornamento di un'altra cosa. Pertanto, per il vincolo pertinenziale serve sia la durevole destinazione della cosa accessoria a servizio o ornamento di quella principale, sia la volontà dell'avente diritto di creare la destinazione. Accertare la sussistenza di questo vincolo comporta un apprezzamento di fatto.
Il tributo comunale non può essere richiesto per l'assenza di accorpamento (cosiddetta «graffatura») dell'area al contiguo fabbricato, ancorché costituenti unità catastali separate. L'autonomo accatastamento non rende irrilevante l'uso di fatto del terreno come pertinenza. Tanto meno rileva la presenza o meno di segni grafici, che sono inconsistenti sul piano probatorio. Tuttavia, nonostante vengano ribaditi questi principi e la rilevanza della destinazione «di fatto» di un bene come pertinenza, non ci si può sottrarre all'obbligo di denuncia ogni volta che nella situazione possessoria del contribuente s'introduca una modificazione. Se l'interessato non ha affermato la sua pertinenzialità in via di specialità, vuol dire che ha voluto lasciare il bene nella sua condizione di area fabbricabile.
Pertanto, qualora voglia fruire dell'intassabilità dell'area, è tenuto a comunicare all'ente che è destinata a pertinenza del fabbricato sia nella denuncia originaria sia, qualora abbia omesso questa indicazione, in una successiva dichiarazione di variazione, che può essere presentata in qualsiasi momento (articolo ItaliaOggi Sette del 26.08.2013).

TRIBUTILa Tares va pagata entro fine 2013. L'Economia boccia le rateazioni.
Tares 2013 va pagata dai contribuenti entro fine anno senza alcuna possibilità per i Comuni di differire il versamento nei primi mesi del 2014.

Lo ha chiarito il ministero dell'Economia e delle finanze con una nota del 9 agosto scorso emessa in sede di esame di una delibera comunale che fissava il termine per il pagamento delle ultime due rate nel 2014 (31 gennaio e 28 febbraio).
Il Mef evidenzia che i Comuni, nel disciplinare il numero e la scadenza delle rate Tares 2013, incontrano il vincolo costituito dalla riserva allo Stato della maggiorazione sui servizi indivisibili (0,30 euro al metro quadro), il cui gettito deve essere in ogni caso assicurato all'Erario entro l'anno in corso. Ciò anche al fine di pervenire a un'esatta determinazione del fondo di solidarietà comunale, del fondo perequativo e dei trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna.
A decorrere dal 2014, infatti, la possibilità di quantificare con precisione l'entità della maggiorazione standard è pregiudicata dal riconoscimento della facoltà per i Comuni sia di elevare la misura della maggiorazione sino a 0,40 euro, sia di riscuotere la Tares anche mediante «le altre modalità di pagamento offerte dai servizi elettronici di incasso e di pagamento interbancari», uscendo così dall'unico canale (F24 o bollettino postale centralizzato) che consente di individuare i flussi relativi alla maggiorazione in questione.
La chiusura del Mef è quindi dettata da esigenze di tracciabilità della maggiorazione Tares, anche per consentire allo Stato di introitare entro l'anno l'importo previsto di un miliardo di euro, cifra destinata a ridursi se i Comuni decidessero di differire il pagamento nel 2014.
Per ovviare a tale problema l'Ifel –con nota del 10.05.2013– ha ritenuto possibile stabilire l'ultima scadenza anche nel 2014, purché il versamento della maggiorazione avvenga in ogni caso entro la fine del 2013. Soluzione in realtà non del tutto conforme alla normativa, che collega il versamento della maggiorazione all'ultima rata del tributo, ma dettata dal buon senso di dilazionare maggiormente il pagamento della Tares, vista la partenza travagliata del nuovo tributo e considerato che molti comuni stanno ancora riscuotendo la Tarsu del 2012.
Tuttavia il Mef sembra escludere anche tale opzione in quanto contrasterebbe con le regole sulla contabilità ed in particolare con l'articolo 179 del Tuel: in tal senso si sarebbe peraltro espresso il Viminale.
Diversi Comuni dovranno quindi mettersi in regola e rivedere le scelte già effettuate. Senza considerare che nel frattempo il Governo potrebbe sostituire la maggiorazione Tares con la service tax, eliminando così il principale impedimento a riscuotere una parte del tributo di quest'anno nel 2014 (articolo Il Sole 24 Ore del 26.08.2013).

TRIBUTIScadenze Tares entro il 2013. Il gettito della maggiorazione va assicurato entro l'anno. Lo ha chiarito il ministero dell'economia e delle finanze in una nota inviata a un comune.
Il comune nel disciplinare il numero e la scadenza delle rate della Tares per l'anno 2013 incontra il vincolo costituito dalla riserva allo stato della maggiorazione standard.
È questa la conclusione a cui è giunto il ministero dell'economia e delle finanze in una recente nota inviata a un comune.
L'art. 10, c. 2, del dl 35/2013 ha previsto che, per l'anno 2013 e in deroga alle previsioni contenute nella disciplina della Tares a regime (art. 14, c. 35, dl 201/2011), la scadenza e il numero delle rate di versamento del tributo sono stabilite con deliberazione, adottata dal Consiglio comunale (circolare Mef n. 1/Df/2013), anche nelle more della regolamentazione comunale del tributo.
A tale proposito, mentre a regime il citato comma 35 stabilisce che la scadenza delle rate della Tares è fissata nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre di ogni anno, salvo diversa regolamentazione comunale, per l'anno 2013 i comuni erano liberi di determinare le tempistiche di pagamento del tributo, anche anticipando la prima scadenza fissata dalla legge nel mese di luglio. Gli enti potevano, per il 2013, derogare le norme di legge sia per quanto concerne la scadenza delle rate che per la loro quantificazione.
Era sorta, invece, più di qualche perplessità sulla possibilità di stabilire termini di pagamento del tributo riferito all'anno 2013 scadenti dopo il 31 dicembre del medesimo anno. Ciò per effetto della disposizione contenuta nel c. 2 dell'art. 10 del dl 35/2013 in virtù della quale, sempre per il 2013, la maggiorazione alla Tares, disciplinata dall'art. 14, c.13, del dl 201/2011 e pari ad 0,30 a metro quadrato, viene riservata allo stato e versata in unica soluzione unitamente all'ultima rata del tributo, a mezzo del modello F24 o dell'apposito bollettino di conto corrente postale approvato con il dm 14/05/2013 (e non anche mediante le nuove modalità di pagamento tramite servizi elettronici di incasso e di pagamento interbancari, introdotte in aggiunta agli altri strumenti appena ricordati dal citato dl 35/2013).
Come già precisato dalla circolare del ministero dell'economia n. 1/Df del 29/04/2013, il versamento della maggiorazione da effettuarsi in favore dello stato è rinviato all'ultima rata del tributo, scadente nel mese di ottobre o alla data stabilita dal comune con la deliberazione prevista dal c. 2 dell'art. 10 del dl 35/2013. La legge e la circolare appena citata nulla dicono però su quali limiti temporali incontri la fissazione della scadenza dell'ultima rata del pagamento da parte del comune, spingendo taluni enti a stabilire scadenze cadenti anche nel 2014 (specie quelli che ordinariamente ponevano in riscossione la Tarsu nell'anno successivo a quello di competenza, nel rispetto del termine annuale di decadenza stabilito dall'art. 72 del dlgs 507/93).
Tuttavia, come precisato dalla recente nota del ministero, la presenza della riserva della maggiorazione allo stato pone dei limiti ben precisi alla potestà regolamentare comunale che, come noto, non può estendersi oltre i tributi di propria competenza. L'esigenza di assicurare all'erario il gettito della maggiorazione entro il 2013 impone che il versamento della stessa scada entro la fine del predetto anno. Ciò, in base alla nota ministeriale, anche per la necessità di quantificare il gettito della maggiorazione standard (operazione che sarebbe pregiudicata negli anni successivi dalla facoltà attribuita ai comuni di incrementare la maggiorazione fino a 0,40 a mq e dalla possibilità di adottare canali di pagamento diversi dal F24 e dal bollettino postale unico nazionale).
Tuttavia, da un'attenta lettura, la nota non pare precludere del tutto la possibilità di riscuotere una o più rate Tares nel 2014, premurandosi solo di precisare che in ogni caso il comune deve porre in essere le attività necessarie ad assicurare che la maggiorazione sia corrisposta nel 2013. In tale modo viene lasciato spazio all'interpretazione per la quale i comuni potrebbero fissare scadenze di versamento della Tares anche oltre il 31/12/2013, purché la maggiorazione sia versata, con le modalità previste dalla legge, con l'ultima rata scadente nel 2013 (vedasi nota Ifel 10/05/2013).
Tuttavia una tale soluzione appare in contrasto con il dettato normativo che impone il versamento della maggiorazione in unica soluzione unitamente all'ultima rata del tributo (art. 10, c. 2, lett. c, dl 35/2013). Per il ministero la fissazione di scadenze oltre il 2013 desta perplessità dal punto di vista contabile, con riferimento all'accertamento della corrispondente entrata (articolo ItaliaOggi del 23.08.2013
).

TRIBUTI: Imu, niente agevolazioni prima casa per Ater e Iacp.
Gli immobili posseduti dalle cooperative di edilizia residenziale pubblica (Ater, Iacp) non hanno diritto al trattamento agevolato che la legge ha riservato per l'Imu a quelli adibiti a abitazione principale.

Lo ha affermato il TAR Abruzzo-Pescara, con la sentenza 13.08.2013 n. 434.
Per il Tar il legislatore ha «inteso favorire in via indiretta la fissazione da parte dei comuni, compatibilmente con le esigenze di bilancio, di un'aliquota meno onerosa nei confronti di tali alloggi». Solo nel caso in cui la situazione finanziaria lo consenta, per i fabbricati posseduti da Ater e Iacp, l'amministrazione comunale può fissare un'aliquota inferiore a quella di base (0,76%). Deciso, quindi, in senso favorevole ai comuni il contenzioso con le aziende di edilizia residenziale pubblica, che si trascina già dai tempi di applicazione dell'Ici, sul trattamento fiscale degli immobili assegnati ai soci, utilizzati come prima casa.
In varie parti d'Italia, infatti, sono ancora pendenti le cause sulla legittimità delle delibere comunali che non hanno riconosciuto per gli immobili posseduti da questi enti l'aliquota agevolata. In effetti, come posto in rilievo dal Tar, ex lege i benefici fiscali sono limitati solo alla detrazione d'imposta prevista dall'art. 13 del dl 201/2011 (Salva Italia).
Con l'introduzione dell'Imu è stata prevista, per le abitazioni possedute da Ater e Iacp, l'aliquota base ordinaria dello 0,76% per le seconde case, con facoltà di aumentarla o diminuirla del 3%, anziché quella agevolata dello 0,40%, contemperando il più gravoso regime fiscale con la previsione della detrazione di 200 euro prevista per le abitazioni principali. L'art. 13 ha lasciato, poi, ai comuni la facoltà, come già stabilito per l'Ici fino al 2007, di fissare l'aliquota.
Del resto, solo nel momento in cui è stata eliminata l'imposizione sulla prima casa, Iacp e Ater sono state esentati dal pagamento del tributo, nel periodo che va dal 2008 al 2011. A parte questo arco temporale in cui hanno fruito dell'esenzione, sin dal 1992, anno di istituzione dell'imposta comunale, alle cooperative edilizie è stata riconosciuta solo la detrazione d'imposta e non l'aliquota agevolata (articolo ItaliaOggi del 22.08.2013
).

TRIBUTI: Ici e Imu con il diritto reale.
Domanda
Si ha un condominio in cui una parte del giardino (avente una propria particella catastale) è stata data in uso esclusivo permanente ad un condomino (proprietario del negozio al piano terra) con i primi atti di vendita. Tale diritto reale di uso esclusivo permanente risulta dagli atti notarili di chi acquistò dalla ditta costruttrice però tale diritto non era stato trascritto. Successivamente, senza avvertire gli altri comproprietari (condomini), il possessore di tale diritto ha costruito un fabbricato commerciale e ne ha chiesto il condono edilizio. Ora, dalla visura catastale di detta particella, risulta un fabbricato categoria C/1. Da chi sono dovute l'Ici e l'Imu? Dalla normativa risulterebbe che le imposte sono dovute da chi gode del diritto reale.
Risposta
La risposta è affermativa. Ai fini Imu (così come, in precedenza, ai fini Ici) rileva la proprietà o la titolarità di un diritto reale di godimento sull'immobile. Ciò sia per il pagamento dell'imposta che per gli obblighi di denuncia.
Il riferimento normativo è dato dall'art. 13 del dl n. 201/2011 (L. n. 214/2011) e dall'art. 9, c. 1 del dlgs n. 23/2011): «Soggetti passivi dell'imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio e' diretta l'attività dell'impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi. Nel caso di concessione di aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto». Analoghe considerazioni valgono anche ai fini delle imposte sui redditi (tratto da ItaliaOggi Sette del 12.08.2013).

TRIBUTISentenza del Tar puglia. Vecchi affidamenti non validi per Imu e Tares.
Imu e Tares sono due tributi diversi dall'Ici e dalla Tarsu. Quindi, sono privi di effetti i contratti di affidamento delle attività di accertamento e riscossione Ici e Tarsu in seguito alla loro abolizione. Il concessionario non può pretendere di mantenere in vita il rapporto con il comune per gestire i nuovi tributi che li hanno sostituiti. Le norme sopravvenute, che hanno istituito Imu e Tares, hanno abolito l'oggetto delle precedenti concessioni.
Lo ha stabilito il TAR Puglia-Lecce, Sez. III, con la sentenza 05.08.2013 n. 1771.
In effetti, gli articolo 13 e 14 del dl Monti (201/2011) hanno istituito l'Imu e la Tares in sostituzione di Ici, Tarsu e Tia. Per il giudice amministrativo, le norme sopravvenute hanno «abolito» e non meramente «modificato» l'oggetto delle precedenti concessioni. Quindi, l'affidamento in concessione del servizio «deve intendersi decaduto “ipso iure” in ragione dei nuovi provvedimenti legislativi statali» che hanno abolito l'Ici e la Tarsu. Per i nuovi affidamenti è necessaria la gara a evidenza pubblica.
Le attività di accertamento e riscossione delle entrate locali, infatti, possono essere affidate solo con gara. Peraltro è stata cancellata la norma della Finanziaria 2002 che consentiva ai concessionari dell'imposta sulla pubblicità di aggirare le regole sulle gare, rinegoziando i contratti in corso con gli enti locali. L'articolo 10 della legge europea n. 97 del 06.08.2013 ha abrogato l'articolo 10 della legge 448/2001, che dava ai comuni la facoltà di prorogare i contratti in corso al 01.01.2002. La norma europea dispone la cessazione di tutti gli incarichi conferiti in base alla norma abrogata l'ultimo giorno del terzo mese successivo alla data della sua entrata in vigore (4 settembre), a meno che non siano già scaduti prima.
Solo per i rapporti pendenti al 01.10.2006, in seguito alla riforma della riscossione, è ancora oggi prevista la proroga dei contratti in corso dei comuni con Equitalia e gli altri concessionari iscritti nell'albo ministeriale. Alla società pubblica, che ex lege avrebbe dovuto chiudere i rapporti con i comuni il 30 giugno scorso, per le attività di accertamento e riscossione delle entrate di questi enti, è stata concesso un ulteriore differimento in sede di conversione del decreto legge 35/2013 (legge 64/2013).
L'articolo 10 del citato decreto stabilisce che le convenzioni in corso tra comuni e Equitalia, nonché con le società da questa partecipate, sono prorogate fino alla fine del 2013. Il differimento fino alla fine dell'anno è stato fissato anche per le altre società concessionarie (articolo ItaliaOggi del 06.09.2013).

TRIBUTITributi locali, vietato allargarsi. I comuni non possono ampliare l'oggetto dei contratti. La legge europea 2013 cancella la norma di favore per i gestori dell'imposta sulla pubblicità.
I comuni non potranno più ampliare l'oggetto dei contratti di affidamento del servizio di accertamento e riscossione dell'imposta sulla pubblicità, assegnando ai concessionari anche la riscossione di altre entrate comunali senza indire nuove gare.
Lo vieta la legge europea 2013 approvata mercoledì dall'aula della camera.
Il ddl di 34 articoli pone rimedio ai numerosi casi di non corretto recepimento della normativa Ue nell'ordinamento italiano che hanno portato all'avvio di 10 procedure di pre-infrazione e 19 procedure di infrazione nei confronti del nostro paese.
E tra i rilievi mossi alla legislazione italiana, Bruxelles ha posto sotto la lente anche l'attività di riscossione locale, un campo su cui da tempo l'Europa chiede una maggiore apertura al mercato e alla concorrenza.
La soppressione della norma (art. 10, comma 2, legge n. 448/2001) si è resa necessaria a seguito di una specifica richiesta di informazioni da parte della Commissione europea, nell'ambito del caso Eu Pilot 3452/12/Markt. Secondo la Commissione infatti tale fattispecie di affidamento diretto, non rispettando il principio di libera concorrenza, avrebbe potuto generare violazioni della normativa europea sui contratti pubblici.
In verità, fin dalla sua introduzione all'interno della Finanziaria 2002 (legge 448/2001), l'art. 10, comma 2 (a sua volta precisato e integrato dalla legge 75/2002) ha rappresentato una norma molto controversa. A originarla fu il tentativo dell'allora governo Berlusconi di compensare i concessionari della pubblicità comunale della perdita di introiti derivanti dall'abbattimento della soglia minima di imposizione. In pratica, visto che cartelloni e insegne al di sotto dei cinque metri quadri non erano più soggetti al pagamento dell'Icp, i concessionari chiesero al governo di poter estendere il proprio giro d'affari ad altre attività, fino a mettere le mani su larghe fette della riscossione locale, senza alcuna gara ad evidenza pubblica. E questo è accaduto non solo nei piccoli comuni, ma anche in quelli medio-grandi. Paradigmatico il caso di Brindisi dove Tributi Italia, partendo dall'affidamento dell'accertamento e riscossione dell'Icp, arrivò a gestire tutti i tributi dell'ente.
Per rimediare a queste storture, da più parti gli operatori del settore chiesero una revisione della norma che limitasse la quota di ulteriori tributi affidabile senza gara al solo mancato guadagno sofferto dai concessionari per l'esenzione delle insegne sotto i cinque metri quadri. Tra i più fermi oppositori della norma si è distinta l'Anutel (l'Associazione che raggruppa gli uffici tributi degli enti locali) che oggi applaude alla decisione del governo Letta di abrogarla all'interno della legge europea 2013.
Nel provvedimento ha inoltre trovato posto un articolo che consente ai familiari di cittadini dell'Unione europea, ai soggiornanti di lungo periodo, ai rifugiati e ai titolari dello status di protezione sussidiaria di poter accedere ai ruoli della pubblica amministrazione. Anche in questo caso le modifiche sono state originate da rilievi critici mossi dalla Commissione europea (nell'ambito dei casi Eu Pilot 1769/11/Just e 2368/11/Home) (articolo ItaliaOggi del 02.08.2013).

luglio 2013

TRIBUTI: L. Leombruni, La TARES e il riordino dei prelievi sui servizi di smaltimento dei rifiuti (tratto da www.ipsoa.it - Immobili & proprietà n. 7/2013).

TRIBUTI: OGGETTO: Conegliano (Treviso) - Immobili dichiarati di interesse culturale ai sensi della legge 20.06.1909 n. 364 - Richieste di rimborso ICI ovvero IMU - Quesito (MIBAC, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto, nota 31.07.2013 n. 13764 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Oggetto: Dichiarazioni in catasto di Unità Collabenti (categoria F/2) (Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Catasto e Cartografia, nota 30.07.2013 n. 29440 di prot.).

TRIBUTIDenuncia Tarsu, sanzione unica.
La sanzione per l'omessa denuncia Tarsu deve essere applicata una sola volta. Di più. Se l'obbligo di dichiarazione era scattato oltre cinque anni prima della contestazione, non è dovuto alcunché.

Questi i principi che si leggono nella sentenza 26.07.2013 n. 123/02/13 della Ctp di Lecco.
Un contribuente agiva contro il comune di Calco (Lc) per degli avvisi di accertamento relativi ad un locale per il quale non mai stata presentata la denuncia ai fini della Tarsu.
Interessante la parte della decisione che riguarda la sanzione: «La sanzione per l'omessa denuncia deve essere applicata una sola volta in relazione all'anno rispetto al quale non è stata presentata la dichiarazione agli effetti Tarsu, atteso che tale dichiarazione non deve essere ripetuta tutti gli anni, trattandosi di una violazione tributaria omissiva di carattere istantaneo e non già permanente».
Dunque, poiché l'omissione che si va a sanzionare è punibile una sola volta, nel momento in cui è consumata, ne deriva che, qualora l'obbligo di dichiarazione sia insorto più di cinque anni prima della constatazione, la sanzione non può più essere irrogata. «Infatti», afferma la Ctp, «ai sensi dell'articolo 20 del dlgs 472 del 1997, l'atto di contestazione della violazione deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione».
Ciò che rileva, dunque, è valutare quando il contribuente sia entrato in possesso del bene: da tale momento scatta l'obbligo di denuncia e, di conseguenza, il termine quinquennale per irrogare la sanzione relativa all'eventuale omissione (articolo ItaliaOggi Sette del 21.10.2013).

TRIBUTILa Tares si paga anche se l'immobile è inutilizzato.
È legittima la pretesa del comune di Bologna di applicare la Tarsu a un appartamento inutilizzato. Infatti, il cambio di residenza del contribuente, la denuncia di cessazione dell'occupazione dell'immobile e il mancato consumo di energia elettrica non lo esonerano dal pagamento della tassa rifiuti. Il tributo si paga anche in caso di mancato utilizzo del servizio di smaltimento svolto dall'amministrazione comunale.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con l'ordinanza 24.07.2013 n. 18022.
Per i giudici di piazza Cavour, «dando rilevanza all'avvenuto trasferimento della residenza anagrafica (ed alla concreta idoneità del bene a produrre rifiuti, siccome desumibile per presunzione dal mancato consumo delle erogazioni di energia) il giudice del merito ha chiaramente violato le norme che disciplinano il presupposto dell'imposta».
In effetti, sulla questione della tassabilità degli immobili inutilizzati si registrano prese di posizione diverse tra Cassazione, giudici tributari e ministero dell'economia e delle finanze. Anche le amministrazioni comunali non hanno quasi mai applicato la regola fissata dalla Suprema corte, la quale ha sempre posto dei limiti rigidi per l'esonero dal pagamento del tributo sui rifiuti, che è dovuto a prescindere dal fatto che il contribuente utilizzi l'immobile. Ex lege, vanno esclusi dalla tassazione solo gli immobili non utilizzabili (inagibili, inabitabili, diroccati). Non ha alcuna rilevanza la scelta soggettiva del titolare di non utilizzare l'immobile.
Anche il mancato arredo non costituisce prova dell'inutilizzabilità dell'immobile e della inettitudine alla produzione di rifiuti. Un alloggio che il proprietario lasci inabitato e non arredato si rivela inutilizzato, ma non oggettivamente inutilizzabile. Per la prima volta il principio è stato affermato con la sentenza 16785 del 30.11.2002. Regola ribadita con le sentenze 9920/2003, 22770/2009, 1850/2010 e altre.
Da ultimo, sempre la Cassazione (ordinanza 1332 del 21.01.2013) ha stabilito che l'esonero dal pagamento del tributo non spetta neppure quando il contribuente fornisca la prova dell'avvenuta cessazione di un'attività industriale. Il Mef invece, nelle linee guida che ha fornito ai comuni sulla corretta applicazione della Tares, ha precisato che non sono soggetti al pagamento le unità immobiliari privi di mobili e di allacci alle reti idriche e elettriche, che di fatto non vengono utilizzate (tratto da ItaliaOggi del 17.08.2013).

TRIBUTI: Fabbricati rurali, Ici nel caos. Per la Cassazione l'agevolazione dipende dal catasto. La tesi dei giudici di legittimità si scontra con le previsioni di Mineconomia e Territorio.
I fabbricati rurali sono esenti da Ici solo se inquadrati catastalmente nelle categorie A/6, se destinati ad abitazione, o D/10, se utilizzati per l'esercizio dell'attività agricola.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con l'ordinanza 19.07.2013 n. 17765.
Non cambia la posizione della Cassazione sui requisiti che devono possedere i fabbricati rurali per fruire delle agevolazioni Ici.
La tesi dei giudici di legittimità, però, contrasta con le previsioni di legge, con il decreto ministeriale attuativo e con l'interpretazione sia del ministero dell'economia e delle finanze sia della dell'Agenzia del territorio, secondo cui non conta l'inquadramento catastale ma l'annotazione di ruralità sugli immobili. Dunque, nonostante gli ultimi interventi legislativi non abbiano riconosciuto alcuna valenza alle categorie catastali degli immobili, dal 2009 la Cassazione (sentenza, sezioni unite, n. 18565) non ha mai cambiato idea e continua a ribadire che i benefici fiscali per i fabbricati rurali sono condizionati dall'inquadramento catastale.
L'Agenzia del territorio, con la circolare 2/2012, ha chiarito che non conta più la classificazione catastale per avere diritto al trattamento agevolato Ici per i fabbricati rurali. Possono infatti mantenere le loro categorie originarie. È sufficiente l'annotazione catastale, tranne per i fabbricati strumentali che siano per loro natura censibili nella categoria D/10.
La circolare ha fornito delle indicazioni sulla corretta interpretazione delle disposizioni contenute nel decreto ministeriale emanato il 26.07.2012, che ha stabilito, in dettaglio, quali adempimenti devono porre in essere i titolari dei fabbricati interessati a ottenere l'annotazione negli atti catastali della ruralità, al fine di fruire anche per l'Imu delle agevolazioni tributarie, così come disposto dall'articolo 13 del dl «salva Italia» (201/2011).
Domande e autocertificazioni necessarie per il riconoscimento del requisito di ruralità, redatte in conformità ai modelli allegati al decreto ministeriale, avrebbero dovuto essere presentate all'ufficio provinciale competente per territorio entro il 01.10.2012, al fine di ottenere l'esenzione anche per gli anni pregressi. L'eventuale di diniego di ruralità è impugnabile innanzi alle commissioni tributarie. Infatti, nel caso di esito negativo del controllo sulle domande e autocertificazioni prodotte dagli interessati, l'Agenzia è tenuta a notificare un provvedimento motivato con il quale disconosce il requisito della ruralità. Dagli atti catastali devono risultare anche le annotazioni negative sugli immobili, che impediscono ai contribuenti di poter fruire dei vantaggi fiscali. Anche secondo il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia (circolare 3/2012) la classificazione catastale non è più decisiva.
Bisogna ricordare che dal 2012, con l'introduzione dell'Imu, sono cambiate le regole sulle agevolazioni. In effetti, gli immobili adibiti ad abitazione di tipo rurale sono soggetti al pagamento della nuova imposta municipale con applicazione dell'aliquota ordinaria, a meno che non siano destinati a prima casa. Mentre per quelli strumentali, vale a dire quelli utilizzati per la manipolazione, trasformazione e vendita dei prodotti agricoli è stata concessa la sospensione del pagamento dell'acconto di giugno (dl 54/2013) e, successivamente, è stata disposta l'abolizione della prima rata dall'articolo 1 del dl sull'imposizione immobiliare e la finanza locale (102/2013).
A tutt'oggi viene confermata l'esenzione solo per i fabbricati strumentali ubicati in comuni montani o parzialmente montani indicati in un elenco predisposto dall'Istat.
Va inoltre precisato che i possessori di fabbricati rurali strumentali non sono tenuti a presentare la dichiarazione Imu, neppure per gli immobili che sono iscritti al catasto terreni e che entro il 30.11.2012 avrebbero dovuto transitare a quello edilizio urbano. È una delle indicazioni contenute nelle istruzioni al modello di dichiarazione approvato con decreto ministeriale.
Secondo il ministero dell'economia e delle finanze, rientra nell'ottica della semplificazione amministrativa esonerare i titolari di questi immobili dall'obbligo di presentazione della dichiarazione, considerato che l'Agenzia del territorio rende disponibile sul portale dei comuni le domande presentate per il riconoscimento del requisito di ruralità (articolo ItaliaOggi Sette del 09.09.2013).

TRIBUTI: G.U. 19.07.2013 n. 168 "Testo del decreto-legge 21.05.2013, n. 54, coordinato con la legge di conversione 18.07.2013, n. 85, recante: «Interventi urgenti in tema di sospensione dell’imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo»".

TRIBUTI: Il casone rurale non è di lusso. Metri quadri insufficienti a definirlo tale.
In un'abitazione di tipo agricolo, la sola superficie maggiore di 240 metri quadrati non è sufficiente a renderla «abitazione di lusso»; il solo riferimento alla superficie della casa, infatti, non può far rientrare un immobile agricolo tra quelli di lusso.

Sono le conclusioni raggiunte dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona, che si leggono nella sentenza 19.07.2013 n. 62/2/13.
Gli immobili adibiti ad abitazione principale di un nucleo familiare godono di diversi benefici fiscali, sia per quello che riguarda il loro acquisto sia per l'imposizione fiscale relativa ai tributi locali e sui redditi. Tra questi immobili, che costituiscono abitazione principale, sono escluse, tuttavia, le abitazioni che, presentando determinate caratteristiche, possano essere ritenute di lusso e non rientrano tra le categorie agevolate. Sono, quindi, ritenute tali (di lusso) quelle abitazioni che abbiano almeno quattro caratteristiche tra quelle indicate nella tabella allegata al decreto ministeriale 02.08.1969.
Sono, inoltre, ritenute sempre di lusso, tra le altre, le singole unità abitative di superficie superiore a 240 metri quadrati, computate con l'esclusione di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina. Nel caso trattato dai giudici lombardi, le Entrate di Cremona, dopo aver rilevato che l'immobile indicato dai contribuenti in successione aveva una superficie di 270 mq, con la liquidazione impugnata revocavano le agevolazioni fiscali per la prima casa.
In sede di ricorso avverso la stessa liquidazione erariale, i ricorrenti palesavano che, sia pure di superficie superiore ai 240 metri quadri, l'immobile non aveva le caratteristiche di lusso che potevano giustificare la pretesa fiscale; dai documenti allegati al ricorso si poteva agevolmente rilevare che si trattava di una abitazione rurale. Gli stessi giudici, dopo aver verificato la consistenza dell'immobile, di tipo agricolo, hanno annullato la liquidazione e stabilito «che il solo riferimento alla metratura della casa (mq 270) non possa far rientrare la stessa nelle abitazioni di lusso» (articolo ItaliaOggi del 05.10.2013).

TRIBUTI: Rifiuti, tassato anche il parcheggio a pagamento. Cassazione. Stesso principio per la Tares.
LE AREE DI PERTINENZA/ Sono esclusi dal tributo solo gli spazi sosta che sono al servizio di altre strutture private quali i supermercati.

È soggetta alla Tarsu l'area pubblica adibita a parcheggio a pagamento.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 17.07.2013 n. 17434 (e altre tre analoghe depositate in pari data), rigettando il ricorso della società che gestiva il parcheggio in convenzione con il Comune.
Viene così confermato l'esito del giudizio di appello, concluso con la tassazione dei parcheggi trattandosi di aree frequentate da persone e quindi produttive di rifiuti in via presuntiva, anche in considerazione del naturale flusso giornaliero di autovetture, dato ovvio e non bisognevole di specifica dimostrazione.
Sulla questione la Cassazione in passato si era già espressa in senso conforme, distinguendo i parcheggi pertinenziali -come quelli gratuiti dei supermercati- dai parcheggi a pagamento quali aree operative, cioè oggetto di un'attività economica.
Solo nel secondo caso scatta il presupposto della Tarsu, costituito dall'occupazione o detenzione di aree produttive di rifiuti, a prescindere dall'esistenza di un contratto tra il gestore del parcheggio e l'ente pubblico (Cassazione decisioni 14770/2000, 1179/2004, 3852/2005, 13241/2005).
L'orientamento è stato confermato anche per i parcheggi non recintati e contrassegnati da strisce blu, trattandosi di aree sottratte all'uso collettivo proprio del suolo pubblico, attesa la funzione esclusiva oggetto della concessione (Cassazione 15851/2011 e 13100/2012).
Si tratta di principi applicabili anche alla Tares, il nuovo tributo sui rifiuti e sui servizi che da quest'anno sostituisce gli attuali prelievi Tarsu, Tia1, Tia2.
Tuttavia la disciplina originaria contenuta nel Dl 201/2011 escludeva dalla Tares solo le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali non occupate in via esclusiva. Ciò costituiva un elemento di novità rispetto al passato, perché diventavano imponibili tutte le aree scoperte degli operatori economici, senza più distinzione tra aree operative e aree pertinenziali, come i parcheggi dei supermercati o le aree di manovra degli stabilimenti industriali.
Restavano invece escluse dal tributo solo le aree pertinenziali delle unità abitative (balconi, terrazze, posti macchina scoperti eccetera).
È poi intervenuto il Dl 35/2013 che ha reintrodotto la stessa disciplina della Tarsu escludendo dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili diversi dalle abitazioni.
Si evita così di ampliare la base imponibile per le imprese ma allo stesso tempo si ripropone la querelle –spesso foriera di contenzioso– sulla distinzione delle aree pertinenziali (non tassabili) da quelle operative (tassabili), questione peraltro che il Dl 201/11 aveva intenzionalmente eliminato.
Non solo. La norma di esclusione è riferita solamente ai «locali», quindi a rigore sarebbero tassabili tutte le aree accessorie adibite ad "aree" scoperte operative, come la viabilità interna di un campeggio o le aree di collegamento tra depositi scoperti di un'attività economica in genere (tratto da Il Sole 24 Ore del 19.08.2013).

TRIBUTITarsu dovuta per i gestori di parcheggi pubblici.
I gestori di parcheggi pubblici sono tenuti a pagare la tassa rifiuti anche se l'attività viene svolta sulle aree che hanno questa destinazione, in seguito alla stipula di una convenzione con l'amministrazione comunale. I parcheggi, infatti, sono produttivi di rifiuti perché frequentati da persone e soggetti a un naturale flusso giornaliero di autovetture.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, con la sentenza 17.07.2013 n. 17434.
Secondo la Cassazione, la tassa è dovuta dal soggetto che occupi o detenga un'area scoperta per la gestione di un parcheggio affidatagli in concessione. È del tutto irrilevante l'affidamento in concessione della gestione del parcheggio e il rapporto contrattuale con il comune. Nella pronuncia viene, infatti, precisato che il presupposto impositivo della Tarsu è costituito dal mero fatto oggettivo dell'occupazione del locale o dell'area scoperta a qualsiasi uso adibita.
E non è esonerato dal pagamento il soggetto che utilizzi un'area per la gestione di un parcheggio, a prescindere dal titolo giuridico in base al quale è effettuata l'occupazione. Del resto, la gestione dei parcheggi attribuisce al titolare il diritto a fruire in proprio del bene e gli consente di realizzare dei ricavi che costituiscono il prezzo dello svolgimento dell'attività. Nonostante l'uso del parcheggio sia collettivo, viene comunque pagato un corrispettivo.
Sono esclusi dalla tassazione, oltre alle aree pertinenziali (cosiddette non operative), solo gli immobili non utilizzabili (inagibili, inabitabili, diroccati) o quelli improduttivi di rifiuti.
Non sono esentate neppure le aree a verde. L'articolo 62 del decreto legislativo 507/1993 dispone che non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell'anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia.
La Cassazione ha più volte precisato che per l'esclusione dal pagamento del tributo la condizione di impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti e non dalla contingente e soggettiva modalità di utilizzazione delle aree (tratto da ItaliaOggi del 14.08.2013).

TRIBUTI: Regolamento COSAP sui passi carrabili, quando è facoltativo il pagamento?
Domanda
Il regolamento COSAP sui passi carrabili distingue i passi carrabili con opere (quali tagli nei marciapiedi, scivoli, rampe, copertura di fossi o modifiche per facilitare l'accesso alla proprietà privata) per i quali è previsto il pagamento del COSAP e i passi carrabili a raso per i quali il pagamento del COSAP è facoltativo (Cass. civ. Sez. V, 27.07.2007, n. 16733).
Un cittadino dice che il suo passo carrabile, davanti al quale vi è un marciapiede ab origine "basso" non modificato con rampa di accesso, scivolo o altro e che non ha subito tagli, è a raso.
Il Comune ritiene che il cittadino debba pagare il COSAP siccome il marciapiede ai sensi del C.d.S. [art. 3, comma 1 p. 33)] è parte della strada, esterna alla carreggiata, destinata ai pedoni sul quale è vietata la sosta e la circolazione dei veicoli ed è un'opera visibile che rende certa la superficie sottratta all'uso pedonale quando viene attraversato con l'auto anche se non ha subito modifiche o tagli davanti l'accesso.
L'interpretazione del Comune è corretta?
Risposta
La tesi del Comune non è condivisibile in quanto la questione non è legata all'esistenza o meno del marciapiede, secondo la definizione dell'art. 3, comma 1, del D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, ma alla circostanza che sussista un manufatto che, di fatto, occupi il suolo pubblico a vantaggio di un privato. In altre parole è la modifica (la c.d. "opera visibile") del marciapiede stesso a creare il presupposto oggettivo della "tassabilità", non l'accessibilità del privato che dispone del varco.
Si tenga conto del fatto che è lo stesso Comune ad aver disciplinato nel proprio Regolamento la definizione di passo carraio a raso [art. 38, comma 2, lett. b)] e ad aver previsto (art. 45) la tassabilità solo in presenza di richiesta di apposizione del cartello.
Peraltro chi scrive ritiene che la disciplina del COSAP, diversamente da quella della TOSAP, non consenta, in punto diritto, la tassazione dei passi carrai a raso in quanto sic et simpliciter segnalati da cartello. Ciò perché l'art. 63 del D.Lgs. 15.12.1997, n. 446 non prevede nulla a riguardo, diversamente da quanto stabilito al comma 8 dell'art. 44 del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 che ne legittima l'imposizione ma che nel contempo è norma che risulta evidentemente una deroga al principio di tassabilità soltanto nei casi di effettive occupazioni di suolo pubblico.
Lo strumento corretto per pretendere una prestazione patrimoniale nei casi di passi a raso con cartello nei Comuni che hanno abbandonato la tassa dovrebbe essere, ad avviso di chi scrive, il canone ex art. 27 del D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, in quanto il presupposto non è soltanto l'occupazione (che qui non c'è), ma anche l'uso (comma 7 dell'art. 27 e art. 22) (17.07.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

TRIBUTIBocciatura per il riclassamento degli estimi. L'assenza di parametri non apre la porta all'arbitrio della pubblica amministrazione. La decisione del Tar Lecce, che ha accolto le istanze delle associazioni dei consumatori.
Estimi, il Tar di Lecce accoglie il ricorso delle associazioni dei consumatori contro il Comune e l'Agenzia del territorio e stoppa il riclassamento.

La I Sez. del TAR Puglia-Lecce, con sentenza 11.07.2013 n. 1621, ha affermato che «proprio la molteplicità delle possibili causali che, alla stregua della complessa stratificazione normativa, possono in concreto esser poste alla base di un atto di riclassamento impone che la motivazione di un tale atto dia conto della causale concreta per la quale quello specifico atto è stato adottato, cosicché il contribuente sia messo in grado di comprenderla e di valutare le sue opportunità di difesa».
I giudici amministrativi demoliscono l'intera operazione costata alle casse dello Stato 600 mila euro soltanto per le notifiche ai cittadini e a quest'ultimi 660 mila euro di ricorsi alla Commissione tributaria, per un aumento delle rendite catastali disposto dall'Agenzia del territorio sul 95% del patrimonio immobiliare del territorio comunale di Lecce.
L'Agenzia, infatti ha notificato alla maggioranza della popolazione leccese gli avvisi di accertamento con i quali ha proceduto alla rideterminazione del classamento e alla conseguente attribuzione della nuova rendita catastale delle unità immobiliari, basando la motivazione su presunti interventi di riqualificazione della viabilità interna e di arredo urbano nel centro storico.
L'illegittimità di tali avvisi in relazione agli atti di suddivisione del territorio del comune di Lecce in microzone catastali ai sensi dell'articolo 2 del decreto del presidente della repubblica 138/1998 , all'atto con il quale la giunta comunale di Lecce ha attivato la procedura ex art. 1 della legge 311/2004 e la conclusione della stessa, è stata invocata dai contribuenti sulla base del difetto istruttorio e motivazionale in cui sono incorse sia l'amministrazione comunale nel richiedere il riclassamento sia l'Agenzia del territorio con riferimento alla istruttoria compiuta e alla conclusione del procedimento, a partire dalla individuazione delle microzone.
Giova ricordare a tal proposito che l'articolo 1, comma 335, della legge 311/2004 prevede l'attivazione, su richiesta dei comuni interessati, di processi di revisione parziale del classamento delle unità immobiliari urbane ubicate in microzone comunali, definite ai sensi del decreto del presidente della repubblica 138/1998, che presentano carattere di anomalia in termini di rapporti tra il valore medio immobiliare, rilevato dal mercato, e il valore medio catastale, rispetto l'analogo rapporto medio calcolato su tutte le microzone comunali per cui la conditio sine qua non della procedura di revisione del classamento delle unità immobiliari site in una determinata microzona, è costituita dal significativo scostamento tra i due predetti valori.
La norma non individua alcun parametro in base al quale possa essere oggettivamente ancorata la «significatività» dello scostamento; tuttavia, il collegio ritiene che l'assenza di alcun parametro non determini l'arbitrio dell'amministrazione ma la conseguente valutazione di natura tecnica che deve pur sempre essere ancorata ai principi di buon andamento, proporzionalità e efficacia dell'azione amministrativa.
Di tali principi i giudici amministrativi hanno fatto uso nella sentenza in commento, laddove ravvisando il deficit istruttorio nella inadeguatezza dei dati assunti a base del procedimento, tenuto conto della natura e finalità dello stesso, hanno annullato tutti gli atti relativi al procedimento, a partire dalle due delibere del 2010 con le quali l'amministrazione comunale ha dato incarico all'Agenzia di procedere al riclassamento (articolo ItaliaOggi del 23.08.2013
).

TRIBUTI: Ruralità acclarata, stop al recupero Ici.
Se dalle visure catastali risulta chiaramente l'annotazione della dichiarata sussistenza di ruralità, i comuni non possono recuperare l'imposta comunale sugli immobili pregressa.

Così i giudici aditi della Commissione tributaria regionale di Firenze che, con la sentenza 10.06.2013 n. 58/25/13, pronunciata il 04/04/2013, sono intervenuti sull'eterna diatriba del riconoscimento della ruralità dei fabbricati, di cui ai commi 3 e 3-bis, dell'art. 9, dl n. 557/1993.
La sentenza accoglie totalmente l'appello della ricorrente che era stata raggiunta da un avviso di accertamento ai fini Ici, notificato dall'ente comunale ove erano collocati gli immobili, per gli anni dal 2004 al 2008. I giudici di prime cure (Ctp di Pistoia, sent. 5/10/2010 n. 211/02/2010) avevano respinto il ricorso principale affermando che erano da esentare dal tributo locale soltanto gli immobili che in catasto erano censiti nelle specifiche categorie (A/6 per gli abitativi e D/10 per gli strumentali), in linea con quanto affermato dalla Suprema corte (Cassazione s.u., sent. 21/08/2009 n. 18565), procedendo nella tassazione per tutti gli altri diversamente censiti.
I giudici della commissione tributaria regionale di Firenze, pur tenendo in considerazione la sentenza appena citata, hanno preso atto delle modifiche introdotte dal legislatore, con particolare riferimento a quelle inserite nel dm 26/7/2012 che ha «chiaramente disposto che la presentazione delle domande e l'inserimento negli atti catastali dell'annotazione producono gli effetti previsti per il riconoscimento della ruralità», a decorrere dal quinto anno antecedente quello di presentazione della domanda. Peraltro, i giudici aditi hanno affermato che la giurisprudenza di merito sostiene da tempo che debba riconoscersi il carattere di ruralità agli immobili strumentali necessari allo svolgimento dell'attività agricola, ribadendo con forza il solo rispetto del requisito «oggettivo» dell'immobile.
Pertanto, detta giurisprudenza di merito sta consolidando il principio, codificato dal recente decreto del 26/7/2012, di attuazione del comma 14-bis, dell'art. 13, dl 201/2011 (ItaliaOggi 5/2/2013), che il requisito di ruralità, posto il rispetto delle condizioni indicate dal comma 3 (abitativi) e 3-bis (strumentali), dell'art. 9, dl n. 557/1993, non si acquisisce con l'iscrizione in una categoria specifica dell'immobile, ma soltanto con l'annotazione in catasto della dichiarata sussistenza dei detti requisiti.
D'altra parte, il comma 2, dell'art. 7, dm 26/7/2012 ha disposto che «la presentazione delle domande e l'inserimento negli atti catastali dell'annotazione producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità» e che, di conseguenza, non si rende necessario il cambio di categoria catastale (Agenzia territorio, circolare 2/T/2012) potendo l'immobile mantenere la categoria originaria e rispondente alla legge catastale.
Infine, la sentenza in commento, con l'accoglimento totale dell'appello del contribuente, sostiene la «retroattività» (quinquennio) della ruralità ai fini Ici con la sola annotazione, chiudendo a qualsiasi e ulteriore interpretazione delle recenti disposizioni, e conferma che la ruralità deve essere riconosciuta, naturalmente ai fini del tributo comunale (Ici), oggi sostituito dall'imposta municipale (Imu), solo in presenza dei requisiti di natura soggettiva e oggettiva, con l'annotazione in calce alla visura catastale e con il mantenimento nella categoria ordinaria dell'immobile (articolo ItaliaOggi del 05.07.2013).

TRIBUTI: Tarsu, le stanze d'albergo come quelle di casa.
Ai fini della Tarsu le stanze di albergo contano come quelle delle civili abitazioni. È irragionevole, infatti, ritenere che un nucleo familiare in vacanza produca maggiori rifiuti di quelli generati ordinariamente nelle proprie case.

È quanto ha affermato la Ctp Lecce con la sentenza 09.07.2013 n. 227/02/13.
Il caso vedeva una società immobiliare ricorrere contro un comune per una rettifica Tarsu in relazione a una struttura alberghiera di sua proprietà. Secondo la ricorrente il municipio aveva erroneamente applicato una tariffa più elevata rispetto a quanto avviene, a parità di superficie, per le abitazioni. L'articolo 68 del dlgs n. 507/1993 stabilisce che i comuni, per l'applicazione della tassa rifiuti, devono dotarsi di un apposito regolamento. Quest'ultimo deve contenere la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie dei locali: ognuna sconta la sua misura impositiva.
La disposizione, al comma 2, fornisce «in via di massima» un primo elenco esemplificativo delle classi. Ma l'ente locale chiamato in giudizio si era discostato dalle previsioni del dlgs, che accorpa in un unico gruppo sia i «locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze» sia gli «esercizi alberghieri». Ciò, secondo i giudici salentini, provoca un pregiudizio a danno del contribuente, ossia il titolare dell'hotel. A parità di occupanti e di metri quadrati utilizzati, non c'è ragione per ritenere che i villeggianti producano maggiori rifiuti (giustificando così un prelievo più elevato) di quanto non facciano a casa propria. «Tale discorso non vale per le altre superfici aperte al pubblico», prosegue la Ctp leccese, «alle quali hanno accesso numerose persone e quindi hanno una potenzialità di creare maggiori rifiuti».
Respinta, invece, la doglianza del ricorrente finalizzata a ottenere un'ulteriore riduzione legata alla natura stagionale dell'attività. Come prescritto dall'articolo 66 del dlgs n. 507/1993, per ottenere lo sconto di un terzo della tariffa la discontinuità temporale deve risultare esplicitamente dalla licenza o autorizzazione rilasciata dagli organi competenti. Nella fattispecie in esame, però, la licenza aveva validità annuale. L'accertamento viene quindi annullato solo in parte: spetterà ora al comune rideterminare la Tarsu dovuta (articolo ItaliaOggi del 31.08.2013).

TRIBUTIValida solo la notifica alla casa comunale. In caso di irreperibilità opera la procedura prevista dall'articolo 140 Cpc.. Decisione della commissione tributaria regionale di Roma.
Se il destinatario della notifica è «irreperibile» la stessa si perfeziona solo con il deposito presso la casa comunale secondo la procedura prevista dall'art. 140 del codice di procedura civile (Cpc).

La Commissione tributaria regionale di Roma, con la sentenza 04.07.2013 n. 239/06/13, ha affermato che in caso di irreperibilità del contribuente, la notifica si perfeziona se sono assolte tutte le formalità previste dall'art. 140 Cpc (deposito dell'atto al comune; affissione del relativo avviso di deposito all'abitazione e notifica dello stesso per raccomandata con avviso di ricevimento).
La procedura di notifica degli atti tributari è disciplinata dagli artt. 137 e ss. del Cpc, così come stabilisce l'art. 16, comma 2, del dlgs n. 546/1992. Tale ultima disposizione richiama l'art. 60, comma 1, lett. a), del dpr n. 600 del 1973, prevedendo che le notifiche possono eseguirsi, oltre che a mezzo dell'ufficiale giudiziario, anche a mezzo di messo comunale o messo speciale autorizzato dalla stessa amministrazione, che pone in essere le medesime forme attuate dall'ufficiale giudiziario.
Alternativamente alla procedura di notifica cosiddetta «brevi manu» (se non eseguita a mani proprie la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario), è possibile effettuare la notifica mediante il servizio postale con spedizione dell'atto in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento.
L'art. 140 Cpc stabilisce, inoltre, che nel caso di «irreperibilità», incapacità o rifiuto a ricevere da parte del destinatario dell'atto, l'ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa comunale dove sarà eseguita la notifica, dandone notizia per raccomandata con avviso di ricevimento.
Nel caso in esame il contribuente eccepiva l'illegittimità dell'avvenuta notifica della cartella di pagamento atteso che l'agente notificatore aveva provveduto al deposito dell'atto alla casa comunale nonostante la sua residenza risultasse comprovata dagli atti anagrafici. La Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso dichiarando priva di efficacia la cartella di pagamento.
I giudici tributari di appello hanno ritenuto che nel caso di specie non è risultato perfezionato il procedimento notificatorio, atteso che il citato art. 140 prevede una serie di adempimenti, tra cui l'avvenuta affissione dell'avviso del deposito in busta chiusa sigillata alla porta dell'abitazione del destinatario nonché l'invio dell'avviso di ricevimento dell'avvenuta affissione Tali documenti sono stati prodotti solo in sede di appello per cui si è determinato un error in procedendo che, riverberandosi su tutti gli atti successivi, ha inficiato l'intero giudizio
Tale principio trova conferma nella giurisprudenza della Cassazione che ha ritenuto applicabile la procedura di cui all'art. 140 Cpc quando siano conosciuti la residenza e l'indirizzo del destinatario, ma non si è potuto eseguire la consegna dell'atto perché il soggetto non è stato rinvenuto in detto indirizzo da dove non risulta trasferito, mentre è applicabile l'art. 60 del decreto del presidente della repubblica 600/1973 allorché l'agente notificatore non trovi il contribuente in quanto, da notizie acquisite, risulta trasferito in luogo sconosciuto (Cassazione 16050/2011).
Deve distinguersi, quindi, tra assenza temporanea dalla propria residenza e assenza definitiva o irreperibilità del destinatario, per cui il regime di notifica degli atti in caso di irreperibilità temporanea è diverso da quello per i casi di irreperibilità definitiva: solo in quest'ultimo caso è prevista l'obbligatorietà dell'affissione nell'albo comunale (Cassazione 6114/2013) (tratto da ItaliaOggi del 17.08.2013).

TRIBUTITares a luglio se il comune tace. Prima rata entro fine mese in assenza di delibere diverse. Le scadenze per la nuova tassa sui rifiuti modificabili in attesa di regolamento.
La prima rata della Tares va pagata entro la fine di luglio, a meno che i comuni non abbiano fissato una scadenza diversa da quella prevista dalla legge. Nel caso in cui l'ente non indichi le scadenze delle rate, infatti, il tributo deve essere versato a luglio e ottobre. A partire dal prossimo anno, invece, i pagamenti rateali vanno effettuati a gennaio, aprile, luglio e ottobre. Queste scadenze possono essere modificate con regolamento comunale. La nuova tassa sui rifiuti e i servizi a saldo deve essere pagata con F24, con bollettino di conto corrente postale o tramite servizi elettronici di incasso e di pagamenti interbancari. Solo per il 2013, per il pagamento degli acconti i comuni possono inviare ai contribuenti i modelli di pagamento precompilati già predisposti per il pagamento di Tarsu, Tia1 o Tia2 o indicare altre modalità di versamento giù utilizzate in passato.
Scadenze e scelte dei comuni. La nuova tassa sui rifiuti e la maggiorazione sui servizi possono essere pagate con l'ultima rata, a conguaglio delle somme versate in acconto che sono determinate in base a quanto già versato dai contribuenti nell'anno precedente per Tarsu, Tia1 e Tia2. Inoltre la maggiorazione, fissata nella misura di 0,30 euro per metro quadrato, non può essere aumentata dai comuni e il gettito è riservato allo stato. Gli enti locali, con propria deliberazione, sono tenuti a indicare scadenze e numero delle rate di versamento del tributo. Altrimenti, le scadenze sono quelle previste dalla legge: luglio e ottobre.
I cittadini devono comunque essere informati, anche con la pubblicazione sul sito internet del comune, almeno 30 giorni prima della data del versamento. Per il 2013, infatti, scadenze e numero delle rate di versamento sono stabiliti dal comune con deliberazione adottata, «anche nelle more della regolamentazione comunale del nuovo tributo». La prima rata, dunque, non deve essere necessariamente versata a luglio, come previsto in un primo momento dal dl rifiuti (1/2013), ma può essere anticipata o posticipata, anche nel caso in cui il comune non abbia adottato il regolamento, il cui termine di scadenza è attualmente fissato al prossimo 30 settembre. Per le prime due rate le amministrazioni locali possono inviare i modelli già predisposti per il pagamento di Tarsu, Tia1 o Tia2. Gli acconti verranno scomputati dal quantum dovuto, a titolo di Tares, per l'anno 2013. L'articolo 10 del dl 35/2013 ha infatti differito l'applicazione delle regole di determinazione della Tares al momento del saldo, con la richiesta di conguaglio di quanto dovuto dal contribuente in sede di pagamento dell'ultima rata.
Modalità di pagamento. L'Agenzia delle entrate con un comunicato pubblicato sul proprio sito ha reso noto che dal 27 maggio scorso è possibile pagare la Tares presso gli sportelli di banche, poste e agenti della riscossione utilizzando il modello F24. Inoltre, i pagamenti possono essere effettuati tramite i servizi di home-banking e remote-banking messi a disposizione dall'Agenzia delle entrate oppure online, con Entratel e Fisconline, collegandosi al sito della stessa Agenzia.
Va ricordato che con la risoluzione 37E/2013 sono stati istituiti i codici per il versamento con l'F24 del nuovo tributo sui rifiuti, della tariffa corrispettiva e della maggiorazione. I contribuenti, in alternativa all'F24, dal 1° luglio hanno facoltà di versare la Tares anche con il nuovo bollettino di conto corrente postale. Questo bollettino, approvato con decreto ministeriale, riporta un unico numero di conto corrente che è valido per tutti i comuni del territorio nazionale. Il modello intestato a «pagamento Tares», infatti, riporta obbligatoriamente il numero di conto 1011136627. Il dm ha fissato anche le modalità di riversamento ai comuni delle somme riscosse con il bollettino. La tempistica e le modalità sono analoghe a quelle previste per i versamenti unitari (F24) dal decreto legislativo 241/1997.
Soggetti obbligati al pagamento. La Tares è dovuta da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a prescindere dall'uso a cui sono adibiti. Sono obbligati in solido al pagamento anche i componenti del nucleo familiare e coloro che usano in comune locali e aree. Rispetto al regime previgente, la nuova normativa introduce il criterio della prevalenza, vale a dire che il tributo va pagato al comune nel cui territorio insiste, interamente o prevalentemente, la superficie degli immobili.
I soggetti tenuti al pagamento della tassa devono denunciare la superficie calpestabile e non più la superficie catastale, in seguito alle modifiche apportate all'articolo 14 dalla legge di stabilità (228/2012). È stata infatti rinviata sine die l'applicazione della superficie catastale per gli immobili a destinazione ordinaria come parametro per la determinazione del tributo. Considerato che per la maggior parte degli immobili non esiste ancora la superficie catastale, all'Agenzia era demandato il compito non semplice di stabilire medio tempore una superficie convenzionale in base ai dati in suo possesso.
Tenuto conto delle difficoltà di utilizzare la superficie catastale, viene consentito ai comuni di fare ricorso alle superfici già denunciate per Tarsu e Tia, calcolando la tassa sulla superficie calpestabile anche per gli immobili a destinazione ordinaria (classificati nelle categorie A, B e C). Si passerà alla commisurazione del tributo sulla superficie catastale solo quando verranno allineati i dati degli immobili a destinazione ordinaria e quelli riguardanti la toponomastica e la numerazione civica, interna e esterna, di ciascun comune (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.07.2013).

TRIBUTI: P. Aglietta, IMU e imposte sui redditi: le ultime novità e i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate (tratto da www.ipsoa.it - Immobili & proprietà n. 7/2013).

giugno 2013

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: FABBRICATI RURALI/ Accatastamento tardivo. Sanzioni, ma non per tutti. Colpiti gli edifici con ruralità al 30/11.
Le sanzioni per il tardivo accatastamento dei fabbricati rurali valgono solo per gli edifici che, al momento della scadenza del termine del 30.11.2012, erano ancora in possesso dei requisiti di ruralità ed erano ancora iscritti nel catasto terreni.
Il chiarimento è arrivato con la nota 18.06.2013 n. 7092 di prot. del Consiglio Nazionale Geometri che riporta il chiarimento della direzione centrale Catasto e cartografie dell'Agenzia del territorio su richiesta del Consiglio nazionale dei geometri.
Ricordiamo che se il proprietario non ha accatasto i fabbricati rurali il 30.11.2012 può richiedere il pagamento della sanzione ridotta per ravvedimento operoso (dal 1 marzo al 31.11.2013 ) ed è tenuto a versare 129,00 euro per ogni unità immobiliare. Al contrario se il proprietario non richiede il pagamento della sanzione ridotta per «ravvedimento operoso», l'Agenzia provvede a emettere «verbale per irrogazione della sanzione per mancato rispetto del termine», e l'importo minimo da pagare ammonta ad euro 344,00 per unità immobiliare.
La sanzione ridotta va richiesta dal professionista e pagata contestualmente alla presentazione del Docfa. I tecnici del Territorio ricordano che in base all'articolo 13, comma 14-ter, e successive modifiche, del decreto legge 06.12.2011 (manovra salva-Italia) il termine per accatastare i fabbricati rurali al catasto edilizio urbano è scaduto il 30.11.2012.
Le pratiche di accatastamento presentate in data successiva devono quindi essere sanzionate. Il comma 14-ter dell'art. 13 del dl n. 201 del 2011, stabilisce infatti che «i fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni, devono essere dichiarati al catasto edilizio urbano entro il 30.11.2012, con le modalità stabilite dal decreto del ministro delle finanze 19.04.1994, n. 701». Dato che alcuni uffici territoriali catastali hanno applicato le stesse sanzioni anche per gli accatastamenti tardivi dei fabbricati ex rurali o che avevano perso il requisito di ruralità prima del 30.11.2012, il Consiglio nazionale dei geometri ha richiesto un chiarimento ufficiale.
La Direzione centrale Catasto e cartografia ha puntualizzato e chiarito che la scadenza e le conseguenti sanzioni il ritardo della dichiarazione al catasto edilizio urbano, applicate ai fabbricati rurali che al 30.11.2012 risultavano ancora in possesso dei loro requisiti ed iscritti al catasto terreni. Al contrario, spiega la Direzione centrale catasto e cartografia, le sanzioni non valgono per gli edifici ex rurali o che hanno perso i requisiti di ruralità prima del 30.11.2012.
Concludendo, l'agenzia del Territorio ha quindi ribadito che i fabbricati rurali in possesso del requisito di ruralità dovevano essere accatastati entro il 30.11.2012. Al contrario, i fabbricati ex rurali sono sempre accatastabili entro trenta giorni o dopo cinque anni dal momento in cui perdono i requisiti di ruralità (articolo ItaliaOggi del 29.06.2013).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Oggetto: Sanzioni per ritardata presentazione degli accatastamenti fabbricati rurali (Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, nota 18.06.2013 n. 7092 di prot.).

TRIBUTI: La Ctr Lombardia sull'imposta sulla prima casa. Ici soft per i single. Benefici pure con famiglia divisa.
In materia di Ici, i benefici legati all'abitazione principale spettano anche se l'immobile è dimora del solo proprietario, mentre la famiglia risiede altrove. La qualifica di «abitazione principale» deve essere riconosciuta anche nel caso in cui vi sia una scissione del nucleo familiare, tale che il proprietario dell'immobile risieda nella prima casa e la famiglia dimori invece in una diversa abitazione.

Sono le conclusioni che si leggono nella sentenza 05.02.2013 n. 13/63/13 della Ctr Lombardia con le quali il collegio tributario ha accolto l'appello presentato da un contribuente, ribaltando la decisione di prime cure favorevole all'amministrazione.
La rettifica prendeva le mosse da un accertamento Ici emesso da un comune della Lombardia, il quale contestava l'indebito godimento dei benefici connessi all'abitazione principale (prima casa), forte dell'interpretazione fornita dalla Cassazione. Per ritenersi «abitazione principale», infatti, l'immobile deve essere adibito a «residenza di famiglia», ossia, secondo la Suprema corte, «luogo di abitazione della casa coniugale».
Nel caso di specie, il proprietario dell'immobile risiedeva nell'abitazione adibita a prima casa, mentre la sua famiglia aveva la residenza in un altro comune. L'amministrazione riteneva, pertanto, che, stante la disgiunzione della famiglia, non si potesse attribuire all'immobile la qualifica di abitazione principale; in primo grado, la commissione provinciale confermava la bontà della verifica. Di diverso tenore la decisione di secondo grado, in commento, che ha esteso il beneficio anche in caso di assenza del nucleo familiare.
«Del resto», si legge nella sentenza, «diversamente argomentando, si arriverebbe alla aberrante conclusione che tizio, proprietario di due immobili, in uno dei quali risiede personalmente ma senza la famiglia, e nell'altro la sua famiglia, non potrebbe fruire del beneficio per nessuno dei due immobili, perché il primo non sarebbe la così detta residenza familiare e nel secondo non vi sarebbe la sua residenza abituale».
Pertanto, indipendentemente dalla nozione di abitazione principale fornita dalla Cassazione, i benefici spettano anche nel caso in cui l'immobile sia dimora del solo proprietario e non della sua famiglia.
«La presenza o meno di una famiglia», prosegue la Ctr, «lungi dal costituire un motivo di esclusione del beneficio, ne dovrebbe semmai rappresentare la condizione per l'estensione». Una diversa interpretazione della fattispecie, secondo cui il beneficio spetterebbe solo in presenza di un nucleo familiare, darebbe adito, secondo il collegio lombardo, a forti dubbi di costituzionalità delle norme in questione.
Il concetto affermato dalla Ctr, reso nella specie in ambito di Ici, è parimenti estendibile all'Imu (articolo ItaliaOggi Sette del 17.06.2013).

TRIBUTIIl verde edificabile. Aree e parcheggi, si può costruire. Una sentenza della Ctr Lazio va contro la Cassazione.
In tema di edificabilità dei terreni, il terreno inserito in una zona destinata a verde pubblico e parcheggi può essere ritenuto edificabile; infatti la capacità edificatoria della superficie può essere trasferita su altre aree contigue nella medesima sottozona, ivi utilizzandone, a potenziali fini edificatori complessivi, la pur limitata volumetria.
Queste motivazioni si leggono nella sentenza 04.04.2013 n. 147/38/13 emessa dalla Sez. XXXVIII della Commissione tributaria regionale del Lazio.
L'Agenzia delle entrate di Roma 5, aveva emesso un avviso di liquidazione e rettifica relativamente alla compravendita di un terreno avente una destinazione urbanistica inserita in zona F sottozona F/5 «spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico e a parcheggi». A parere delle Entrate, quindi, essendo il terreno edificabile, la base imponibile ai fini dell'imposta di registro, doveva essere quantificata in base al valore di mercato. I contribuenti ricorrevano contro questo atto sostenendo che al terreno non poteva essere attribuito alcun maggior valore; il terreno, infatti, non era edificabile e per di più era di soli mq 915 precludendo ogni possibile attività edificatoria.
La Commissione provinciale rigettava il ricorso.
La decisione è stata confermata dai colleghi di seconda istanza, che condannando i ricorrenti alle spese, hanno stabilito che, secondo un consolidato orientamento giurisdizionale, in ordine alla definizione di area edificabile, è sufficiente l'inserimento in uno strumento urbanistico generale anche soltanto adottato e non ancora approvato; «si deve osservare» osservano i giudici romani d'appello, «che la zona in cui è ubicato il terreno oggetto della compravendita risulta inserita nel piano regolatore generale adottato dal comune ed approvato dalla regione già al momento del negozio traslativo». Da considerare che la possibilità di trasferire la capacità edificatoria sopra un area contigua, è stato determinante ai fini della decisione.
Di diverso parere la Corte di cassazione. I giudici di piazza Cavour nella Sentenza n. 25522/2011 hanno invece stabilito che, «ai fini fiscali, la destinazione di un terreno ad attrezzature sportive prevista dal piano regolatore comunale con l'attribuzione di un indice di edificabilità minimo funzionale alla realizzazione di strutture collegate a tale destinazione, impedisce la qualificazione dell'area come «suscettibile di utilizzazione edificatoria», e comporta la definizione della base imponibile con il criterio tabellare ai sensi della previsione di cui all'articolo 52, comma 4, del dpr n. 131/1986» (articolo ItaliaOggi del 14.06.2013 - tratto da www.fiscooggi.it).

TRIBUTI: Terreni, legata al luogo la natura pertinenziale. Sentenza della Commissione tributaria regionale di Roma.
La natura pertinenziale di un terreno deve rilevarsi attraverso l'analisi della conformazione dello stato dei luoghi per cui l'iscrizione autonoma in catasto della pertinenza e del fabbricato non può escludere la natura di pertinenza del terreno.
Il principio è contenuto nella sentenza 07.06.2013 n. 163/35, della Ctr di Roma da cui emerge che la diversa iscrizione in Catasto della pertinenza non è di ostacolo alla considerazione unitaria di essa con l'abitazione principale, non escludendo l'applicazione dell'art. 2 del dlgs 504/1992.
L'Ici, sostituita ora dall'Imu, è un'imposta reale sul patrimonio immobiliare che colpisce il valore oggettivo dei beni immobili e che, per quanto attiene i fabbricati censiti, il valore è dato dalla rendita catastale mentre per le aeree fabbricabili in base al valore venale in commercio. In particolare, il citato art. 2, il quale prevede che le aeree pertinenze dei fabbricati devono considerarsi ai fini Ici come parte integrante dei fabbricati stessi, esclude l'autonoma tassabilità delle aeree pertinenziali.
Tale norma fonda l'attribuzione della qualità di pertinenza su un criterio «fattuale», ovvero sull'effettiva destinazione di una cosa al servizio di un'altra e la prova di ciò ricade sul contribuente il quale deve dimostrare la sussistenza di elementi dell'effettiva destinazione in modo durevole dell'area a pertinenza del cespite. Nel caso in esame due coniugi in comunione dei beni hanno impugnato alcuni avvisi di accertamento emessi dal comune il quale contestava, tra l'altro, l'assenza del vincolo di pertinenzialità di un terreno di loro proprietà con l'annesso fabbricato. La Ctp in primo grado ha accolto parzialmente il ricorso ritenendo legittimo il motivo relativo al rapporto di pertinenzialità del terreno.
I giudici della Ctr hanno ritenuto che la natura pertinenziale di un terreno deve essere rilevata attraverso «l'analisi della conformazione dello stato dei luoghi, che permette di verificare se una cosa sia concretamente destinata a servizio od ornamento di altra secondo l'art. 817 c.c.».
Ai fini dell'esclusione della tassabilità di un'area iscritta in catasto e distinta da quella del fabbricato, non rileva l'intervenuto frazionamento catastale dell'area e la mera iscrizione in catasto della pertinenza e del fabbricato non può escludere la qualifica di pertinenza di un'area posta a servizio esclusivo di un fabbricato. Da qui la diversa iscrizione in catasto della pertinenza non fa venire meno la considerazione unitaria di questa con l'abitazione principale e non impedisce l'applicazione dell'art. 2 dlgs n. 504/1992.
Affinché un'area fabbricabile perda la sua natura di edificabilità è necessario che vi sia una «modificazione oggettiva e funzionale dei luoghi» tale da far venir meno lo ius edificandi sull'area stessa; quindi devono concorrere due elementi, un elemento oggettivo (collegamento funzionale tra pertinenza e cosa principale) e un elemento soggettivo (volontà del soggetto di destinare in modo durevole la pertinenza alla cosa principale). In difetto di uno solo di tali elementi viene a mancare quel vincolo di subordinazione-strumentalità-complementarietà perché una cosa sia a servizio od ornamento di altro bene.
Sulla base di quanto precede la Ctr ha accolto il ricorso dei contribuenti, non irrogando le sanzioni in quanto, non essendo stata notificata l'attribuzione della nuova rendita, il comune può riscuotere solo l'imposta senza interessi e sanzioni, non vertendosi in materia di omessa o infedele dichiarazione (art. 74 legge n. 342/2000) (articolo ItaliaOggi del 12.07.2013).

TRIBUTIPubblicità sui rimorchi, la tariffa è ordinaria. Sentenza della corte di cassazione: imposta assimilata a quella degli impianti fissi.
I rimorchi con messaggi pubblicitari devono pagare l'imposta sulla pubblicità con la tariffa della pubblicità ordinaria e non la tariffa relativa alla pubblicità effettuata con i veicoli.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione che, con la sentenza 05.06.2013 n. 14143, ha assimilato tali rimorchi agli impianti pubblicitari fissi.
Il problema non è certo indifferente poiché a seconda di come tale fattispecie viene inquadrata, la regolamentazione fiscale è assai diversa, in quanto:
• se si considera come una forma di pubblicità effettuata con veicoli trova applicazione l'art. 13 del dlgs 15.11.1993, n. 507 e l'imposta è dovuta nel comune ove ha sede l'impresa proprietaria dei veicoli stessi;
• se, invece, si ritiene che detti mezzi non siano dei veicoli, trova applicazione la tariffa per pubblicità ordinaria stabilita dall'art. 12 del dlgs n. 507 del 1993, che si applica in via generale anche in tutti i casi in cui la legge non abbia previsto una tariffa specifica, e, deve essere pagata nel comune dove viene effettuata la pubblicità.
La Corte, ripercorrendo l'iter argomentativo svolto nella precedente sentenza n. 5858 del 2012, occupandosi dei camion-vela, ha optato la seconda soluzione, stabilendo che «ai veicoli costruiti o strutturalmente trasformati per l'esclusivo o prevalente esercizio dell'attività pubblicitaria, e concretamente utilizzati a tal fine, è applicabile la disciplina di cui al dlgs 15.11.1993, n. 507, art. 12, relativa alla pubblicità ordinaria, e non quella di cui all'art. 13, del medesimo decreto legislativo, riguardante la pubblicità effettuata con veicoli, poiché questa, a differenza dell'altra, costituisce una modalità eccezionale, insuscettibile di interpretazione estensiva, e che, per il suo tenore letterale, si riferisce ad attività svolta mediante veicoli che mantengano le caratteristiche strutturali e la destinazione d'uso loro propria».
Oggetto della controversia sono stati, infatti, alcuni rimorchi, immatricolati come «veicolo uso speciale auto pubblicitario», di notevoli dimensioni, tali da non poter essere trasportati come comuni rimorchi, che erano stati rinvenuti privi di autoveicolo di traino, ancorati al suolo mediante paletti.
Tali condizioni hanno indotto i giudici ad affermare che non possono «essere considerati per la loro motilità veicoli intesi come mezzo di trasporto idonei alla circolazione»; e a ritenere che per le loro caratteristiche strutturali da un lato, e dall'altro, per il fine a cui venivano in concreto impiegati, e cioè all'esclusivo esercizio dell'attività pubblicitaria, non possono che assumere, ai fini dell'applicazione dell'imposta, la natura di «impianto fisso».
La soluzione cui è addivenuta la Corte potrebbe sembrare un po' forzata, visto che, anche ai sensi delle disposizioni del Codice della strada e del relativo regolamento di esecuzione, i mezzi in questione sarebbero comunque definibili come veicoli, seppure adibiti a uso pubblicitario.
Forse ciò che è prevalso è che il ricorso a tali strumenti diventa sempre più frequente e dà luogo, di fatto, a un'elusione delle disposizioni sia di carattere fiscale sia amministrativo da parte di coloro che, anziché ricorrere a un'impiantistica fissa che deve rispettare tutte le prescrizioni del regolamento comunale e le disposizioni stabilite dal codice della strada, preferiscono pubblicizzare i propri prodotti attraverso veicoli che però, sostando a lungo in determinate zone del comune, finiscono per trasformarsi nel tempo in impianti fissi.
C'è da dire che l'ente locale potrebbe intervenire vietando ogni forma pubblicitaria effettuata con veicoli in sosta, magari anche prevedendo la rimozione o la copertura degli impianti pubblicitari, per coloro che non osservano una simile disposizione regolamentare adottata ai sensi dell'art. 3, comma 2, del dlgs n. 507 del 1993.
Invece la Corte ha rotto ogni indugio e ha degradato (o nobilitato) tali veicoli in veri e propri impianti pubblicitari (articolo ItaliaOggi del 12.07.2013).

TRIBUTI: OGGETTO: Imposta municipale propria (IMU) di cui all’art. 13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Modifiche recate dall’art. 10, comma 4, lett. b), del D.L. 08.04.2013, n. 35. Quesiti in materia di pagamento dell’imposta relativa all’anno 2013 per gli enti di cui alla lett. i), comma 1, art. 7, del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504 (Ministero dell'Economia e delle Finanze, risoluzione 05.06.2013 n. 7/DF).

TRIBUTI: Imu in slalom tra le eccezioni. Le variazioni relative all'immobile incidono sull'importo. Scade il 17 giugno il termine per il versamento dell'acconto 2013: guida ai calcoli.
Scade lunedì 17 giugno il termine per il versamento dell'acconto relativo all'Imu 2013 e per molti contribuenti (cittadini e imprese) le modalità di calcolo sono ancora un rebus. La regola generale, stabilita nella legge di conversione del dl 35/2013, è che l'importo della prima rata è pari alla metà dell'imposta dovuta per l'anno precedente, ma è una regola che conosce non poche eccezioni.
La prima riguarda coloro che avessero già adempiuto all'obbligo applicando le aliquote stabilite dal comune e pubblicate sul sito del Mef entro il 16 maggio (secondo la disciplina dettata dalla versione originaria del dl 35): in tali casi, il pagamento già effettuato rimane valido.
Tale modalità di calcolo, tuttavia, non sarà più ammessa dopo che il dl 35 (il cosiddetto decreto sblocca debiti delle p.a.) sarà stato convertito.
Dal pagamento dell'acconto sono ovviamente esclusi i titolari degli immobili che beneficiano della sospensione disposta dal dl 54/2013, ovvero abitazioni principali (ad eccezione di quelle accatastate in A1, A8 e A9), case popolari appartenenti a Iacp e cooperative edilizie a proprietà indivisa, terreni agricoli e fabbricati rurali strumentali. Anche in tali casi, tuttavia, possono insorgere complicazioni, laddove la situazione immobiliare sia variata nel corso di quest'anno. Per esempio, per l'immobile già posseduto lo scorso anno e divenuto prima casa solo a fine aprile 2013, occorrerà comunque versare un'Imu pari ai 4/12 (e quindi un acconto pari a 2/12) di quella versata nel 2012.
Ciò in quanto, come chiarito dalla circolare del dipartimento delle finanze n. 2/2013, il riferimento all'anno precedente vale solo per le aliquote e le detrazioni, ma non anche per gli altri elementi relativi al tributo, quali il presupposto impositivo e la base imponibile, per i quali, invece, si dive fare riferimento esclusivamente al 2013.
La stessa circolare propone alcuni esempi pratici. Il primo caso è analogo a quello già richiamato: se un immobile dal 01.01.2013 è divenuto prima casa, il versamento della prima rata dell'Imu è sospeso. Viceversa, nel caso opposto di un immobile che quest'anno (a differenza del 2012) non è più adibito ad abitazione principale, l'acconto dovrà essere calcolato applicando l'aliquota prevista lo scorso anno per le seconde case.
Analogamente, nel caso in cui il contribuente possiede un'area fabbricabile che, nel 2013, è divenuta terreno agricolo, il versamento di giugno è sospeso. Se invece un terreno agricolo è divenuto da quest'anno area edificabile, esso sarà soggetto a imposizione e, conseguentemente, la prima rata dovrà essere calcolata applicando l'aliquota prevista per il 2012.
Lo stesso ragionamento si applica ai fabbricati inagibili/inabitabili, per i quali la normativa Imu prevede il dimezzamento della base imponibile limitatamente ai mesi dell'anno in cui tale condizione si protrae: ciò che conta è lo stato attuale dell'immobile, per cui il venire meno dell'inagibilità/inabitabilità eventualmente sussistente nel 2012 determina l'insorgenza dell'obbligo di pagare l'aliquota prevista dell'anno scorso sull'intero valore.
La sospensione dell'acconto riguarda anche le pertinenze delle abitazioni principali richiamate dal dl 54, ma limitatamente a quelle che beneficiano dello stesso regime agevolato previsto per la prima casa.
Quest'ultimo, come noto, può estendersi a un massimo di tre unità, di cui non più di una accatastata in C2 (soffitte, cantine e magazzini), una in C6 (autorimesse) e una in C7 (tettoie e posti auto). Sulle altre eventuali pertinenze l'Imu va pagata applicando le aliquote 2012 e i relativi titolari devono presentarsi alla cassa già a giugno.
La prima rata è congelata anche per gli immobili assimilati dai comuni alle abitazioni principali, ovvero ai fabbricati degli anziani ricoverati in case di riposo e dei residenti all'estero. Ciò sia nel caso in cui l'assimilazione sia avvenuta nel 2013, sia in quello in cui la stessa sia stata disposta nel 2012 e non sia stata modificata.
Della sospensione può beneficiare anche il coniuge separato non assegnatario dell'ex casa coniugale relativamente all'immobile eventualmente adibito ad abitazione principale. Anche in tal caso, l'acconto di giugno non è dovuto.
Ovviamente, come già detto, occorre prestare attenzione ai cambiamenti intervenuti in corso d'anno, rapportando il calcolo ai mesi e alla tipologia di possesso. Anche al riguardo, la circolare offre alcune esemplificazioni. Un contribuente che abbia venduto il proprio immobile (non destinato ad abitazione principale) il 28.03.2013, dovrà versare l'Imu (e quindi il relativo acconto) commisurandolo ai 3/12 dell'importo calcolato sulla base dell'aliquota dei dodici mesi dell'anno precedente. Al contrario, chi ha acquistato una seconda casa il 1° ottobre scorso dovrà calcolare l'Imu dovuta per l'anno 2013 (a partire dalla prima rata) sulla base dell'aliquota 2012, indipendentemente dalla circostanza che in tale anno abbia avuto il possesso per soli tre mesi (articolo ItaliaOggi Sette del 03.06.2013).

TRIBUTI: Area edificabile o fabbricato?
Domanda
Come deve essere trattato ai fini Imu un fabbricato per il quale non sono stati ancora ultimati i lavori nel senso che solo il piano terreno è accatastato e utilizzato, mentre i piani superiori non sono stati ancora completati? Come fabbricato, come area edificabile o in parte l'uno e in parte l'altro?
Risposta
L'interessante questione è stata approfondito in vigenza dell'Ici dalla Corte di cassazione con la sent. n. 23347/2004.
Le considerazioni svolte restano valide anche per l'Imu. Nell'occasione il comune aveva preteso di tassare non solo l'appartamento al piano terra, già accatastato e utilizzato, ma anche di scorporare –per tassarla come area edificabile- la quota dell'area dalla quale si sviluppava la cubatura relativa al secondo appartamento, al 1° piano, non ancora ultimato, né utilizzato, e dichiarato al catasto come fabbricato ancora in corso di costruzione, quindi senza rendita.
La Cassazione, così come la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, hanno riconosciuto le ragioni del contribuente nel senso che il solo appartamento ultimato deve essere assoggettato a imposizione. Non è infatti possibile individuare astrattamente un'area edificabile ancora tassabile oltre a quella su cui insiste la costruzione, ossia il sedime, mentre il piccolo lembo di terreno residuo circostante alla costruzione è stato censito al Catasto come pertinenza dell'appartamento al piano terra.
Tale conclusione trae origine dalla norma espressa dall'art. 2, 1° c., lettera a) del dlgs n. 504/1992, come già detto applicabile anche all'Imu, ai sensi della quale «Ai fini dell'imposta: a) per fabbricato si intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza; il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all'imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato».
Ultimato o comunque utilizzata l'unità al piano terra non si ha più area edificabile tassabile e viene meno la regola di cui all'art. 5, 6° c. del medesimo dlgs n. 504/1992 secondo la quale «in caso di utilizzazione edificatoria dell'area, di demolizione di fabbricato, di interventi di recupero a norma dell'articolo 31, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge 05.08.1978, n. 457, la base imponibile è costituita dal valore dell'area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito nell'art. 2, senza computare il valore del fabbricato in corso d'opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato» (articolo ItaliaOggi Sette del 03.06.2013).

TRIBUTIAcconto. La legge di stabilità ha cancellato l'esenzione. Il Comune paga allo Stato per la palestra.
LE CONSEGUENZE/ Gli enti locali devono versare la quota erariale per gli immobili di categoria D, come stadi, teatri e campi sportivi.

L'incertezza delle norme crea problemi di versamenti dell'acconto Imu anche per i Comuni. Succede per gli immobili di categoria D (produttivi) e, in particolare, per l'aliquota del 7,6 per mille che su tali edifici spetta allo Stato.
L'aliquota dovrebbe essere pagata anche dai Comuni per stadi, teatri, arene e campi sportivi di loro proprietà che appunto rientrano nella predetta categoria D.
Il problema si pone per la seconda volta, poiché già per il 2012, quando l'aliquota per lo Stato era del 3,8 per mille, i Comuni hanno rischiato di dover pagare all'Erario l'Imu per i propri fabbricati di categoria D.
Il panico, all'epoca, è durato pochi mesi perché al momento di istituire, nel 2011, la quota Imu di competenza statale, non era stata prevista alcuna esenzione per gli immobili di proprietà comunale: l'esenzione è sopravvenuta con l'articolo 4, comma 5, del decreto legge 16/2012, che riguarda gli immobili posseduti dai Comuni nel loro territorio. Il Dl 16/2012 ha modificato a posteriori il decreto legge 201/2011 all'articolo 13, comma 11.
La questione si ripropone oggi perché l'articolo 1, comma 380 lettera h) della legge 228/2012 istituisce l'aliquota statale del 7,6 per mille, abrogando tutto ciò che era stato prima previsto per assicurare allo Stato un gettito e cioè abrogando sia l'aliquota per l'Erario (del 2011) che l'esenzione per le proprietà comunali (del 2012).
L'articolo 1. comma 380, lettera h), prevede oggi un'aliquota del 7,6 per mille a favore dello Stato, senza esenzioni per i Comuni.
Se non sopravverrà una modifica normativa che introduca un'esenzione simile a quella prevista dall'articolo 13, comma 11 del decreto legge 201/2011, i Comuni saranno obbligati a pagare il 7,6 per mille per stadi, teatri, arene e campi sportivi di loro proprietà: ogni ente locale dovrebbe prevedere in questi giorni un capitolo di uscita, conteggiando l'imposta da versare entro il 17.06.2013 come acconto.
Se non si paga e non sopravviene una norma che reintroduca il beneficio di esenzione per i manufatti D del Comune, gli enti locali dovranno prepararsi a un ravvedimento operoso per l'imposta che spetta allo Stato.
Lo scenario è paradossale, in quanto lo Stato ha calcolato proprie entrate sulla base del 7,6 per mille sugli immobili di categoria catastale D a sua conoscenza, ma se dovesse effettuare accertamenti o recuperi non riuscirebbe a distinguere, tra tutti i fabbricati "D", quelli di proprietà dei Comuni. Lo Stato, infatti, non possiede elenchi o banche dati specifiche, ma dovrebbe rivolgersi, per accertare evasioni, ai Comuni stessi (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.06.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI:  Le risposte ai temi dei lettori. Il caso di un fabbricato oggetto di conversione e riaccatastamento
Imu legata alla nuova rendita. L'obbligo dalla data di presentazione della denuncia Docfa.
L'ECCEZIONE/ Con le modifiche a destinazione o consistenza viene meno il principio del valore risultante al Catasto il 1° gennaio.
Gli immobili d'impresa che subiscono una trasformazione strutturale e vengono conseguentemente riaccatastati devono pagare l'Imu considerando la nuova rendita a partire dalla data di presentazione del Docfa.

Questa è la risposta al quesito posto da Gianandrea Todesco, riguardante un immobile industriale di categoria D1, originariamente composto da fabbricati e piazzali asserviti, poi riconvertito per usi logistici attraverso la demolizione di alcuni impianti presenti nei fabbricati. Viene conseguentemente avviata la procedura di riaccatastamento presentando a dicembre 2012 il nuovo "tipo mappale" e a febbraio 2013 il Docfa con la proposta di rendita.
Sorge tuttavia il dubbio sulla base imponibile da utilizzare per il calcolo dell'Imu 2013, in particolare riguardo alla possibilità di pagare considerando solo la rendita proposta e ritenendo che l'avvio della pratica di riaccatastamento (richiesta tipo mappale) comporti la "perdita" della vecchia rendita catastale.
Sul punto va preliminarmente evidenziato il principio contenuto nell'articolo 5, comma 2, del Dlgs 504/1992, in forza del quale devono assumersi le rendite risultanti in catasto al 1° gennaio dell'anno di imposizione. Con la conseguenza che le risultanze catastali definitive sono efficaci a decorrere dall'anno d'imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali (cosiddetta "messa in atti").
Si tratta tuttavia di una regola generale che ammette alcune eccezioni, tra cui l'ipotesi in cui la nuova rendita sia conseguente a modificazioni della consistenza o della destinazione dell'immobile dichiarate dallo stesso contribuente, dovendo in questi casi trovare applicazione dalla data della denuncia. In tal senso si è espressa la Cassazione con alcune pronunce, tra cui la 17863/2010, la 18023/2004 e la 20854/2004. Stesso orientamento si è affermato anche in ordine al passaggio dal criterio del valore contabile alla rendita catastale per i fabbricati D, che attribuisce rilevanza alla presentazione della richiesta (Cassazione 3160/2011).
Nel caso in questione la nuova rendita proposta con il Docfa dovrebbe quindi avere efficacia solo a partire dalla domanda, presentata a febbraio 2013, trattandosi di sopravvenuto mutamento dello stato o della destinazione del fabbricato.
Non si ritiene invece possibile aderire integralmente alla soluzione proposta dal lettore, considerando cioè il momento di avvio della pratica di riaccatastamento, in quanto il "tipo mappale" ha la funzione di inserire sulla cartografia catastale i nuovi fabbricati edificati sul territorio o i fabbricati esistenti che abbiano subito modifiche di sagoma. Ma il "tipo mappale" non agisce sulla base imponibile dei fabbricati, che viene determinata solo in sede di presentazione della denuncia, avvenuta nel caso in questione con il Docfa. Peraltro la Cassazione ha chiarito che in questi casi il fatto che la situazione materiale risalga a data anteriore non ne giustifica un'applicazione retroattiva rispetto alla denuncia.
Conseguentemente l'Imu 2013 andrebbe calcolata considerando la vecchia rendita per i primi due mesi dell'anno (se il Docfa è stato presentato nella seconda metà di febbraio), mentre si dovrà utilizzare la nuova rendita per il periodo residuo dell'anno, salvo conguaglio da effettuare all'esito delle verifiche. Va infatti ricordato che l'eventuale rettifica della rendita da parte dell'agenzia del Territorio ha efficacia retroattiva, quindi il nuovo valore sarebbe applicabile sin dalla presentazione del Docfa e imporrebbe di rifare i calcoli (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.06.2013).

maggio 2013

TRIBUTIPer l'Imu versamento unificato. Non necessario separare quota statale e comunale tranne che per i capannoni. Le risposte ai temi dei lettori. Come pagare l'imposta municipale nel caso in cui non si possa usufruire del rinvio
IL CALCOLO/ Sulla base del decreto legge sulla Pa l'acconto può essere determinato sulla base di quanto versato l'anno scorso.

Rispetto al 2012 sono molti meno i codici tributo da indicare nel modello F24 per pagare l'Imu del 2013: non va più calcolata la quota per lo Stato (tranne per i fabbricati produttivi). Inoltre si può versare la prima rata 2013 calcolando l'imposta con le aliquote e le detrazioni del 2012 (non la base imponibile), quindi indipendentemente dalla pubblicazione o meno delle delibere comunali nel sito delle Finanze.
Il ritardo nella consegna della versione definitiva del programma per gli studi di settore (Gerico 2013), però, ha ritardato la predisposizione delle dichiarazioni dei redditi e il calcolo di eventuali crediti compensabili col pagamento della prima rata Imu, in scadenza il 17 giugno. L'eventuale proroga all'08.07.2013 solo dei versamenti di Unico 2013 e non dell'Imu, quindi, renderà impossibile utilizzare in compensazione coi debiti Imu eventuali crediti generati dalla dichiarazione dei redditi.
La legge di stabilità 2013 (la 228/2012) ha previsto che, per gli anni 2013 e 2014, non spetti allo Stato la metà dell'Imu, calcolata con l'aliquota standard dello 0,76% (articolo 1, comma 380, lettera h): è stata temporaneamente soppressa la disposizione che per tutti gli immobili (tranne l'abitazione principale, le sue pertinenze e i fabbricati rurali a uso strumentale), riservava allo Stato parte dell'imposta. Da quest'anno, quindi, in F24 non occorre più suddividere l'importo da pagare tra il codice tributo destinato al Comune e quello destinato allo Stato.
Un'unica eccezione è costituita dall'Imu dovuta per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D. La legge di stabilità 2013, infatti, sempre per gli anni 2013 e 2014 (ed erroneamente «al fine di assicurare la spettanza ai Comuni del gettito» dell'Imu), ha previsto che spetti allo Stato l'Imu, calcolata con l'aliquota standard dello 0,76%, sugli immobili di categoria D. Va usato il codice tributo 3925 per la quota statale e 3930 per l'eventuale maggiorazione comunale.
Dopo la semplificazione dell'unico codice tributo per gli immobili non produttivi, sta per arrivare anche la possibilità di pagare la prima rata Imu, applicando le aliquote e le detrazioni in vigore lo scorso anno, senza dover controllare le delibere comunali pubblicate nel sito delle Finanze al 16.05.2013. Entro il 07.06.2013, infatti, al Senato dovrà essere convertito il decreto legge 35/2013 e «il versamento della prima rata» dell'Imu sarà «eseguito sulla base dell'aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell'anno precedente», indipendentemente, quindi, dalla pubblicazione o meno delle delibere nel sito delle Finanze (articolo 9, comma 3 del Dlgs 23/2011).
Secondo il dipartimento delle Finanze (circolare 23 maggio 2013, n. 2/DF), comunque, anche «prima della citata conversione» è possibile pagare la prima rata Imu considerando queste novità. Infatti, in caso di accertamento da parte del Comune potrà essere applicato l'articolo 10, comma 3 della legge 212/2000, che prevede la disapplicazione delle sanzioni «quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria» (articolo Il Sole 24 Ore del 31.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - TRIBUTIDoppia proroga per i comuni. Bilanci in autunno, l'addio di Equitalia slitta a fine anno. L'ok all'incontro dell'Anci con Saccomanni. Cattaneo: spending review insostenibile per il 2013.
Riforma dell'Imu già entro giugno e slittamento di almeno sei mesi dell'addio di Equitalia ai comuni (la proroga è stata inserita nel decreto sui debiti della p.a. all'esame del senato, si veda altro pezzo in pagina). Il governo è intenzionato a fare presto e a non arrivare con l'acqua alla gola alla dead line per la riforma della fiscalità locale fissata per fine agosto.
Lo chiedono i sindaci, che hanno bisogno di certezze per chiudere i bilanci (e a questo punto pare certo l'ulteriore proroga del termine per l'approvazione dei preventivi che potrebbe essere spostato al 30 settembre). E lo vuole lo stesso esecutivo guidato da Enrico Letta, intenzionato a gestire il capitolo Imu assieme a quello della Tares, in una prospettiva unitaria che potrebbe portare alla nascita di un nuovo tributo legato all'insediamento residenziale e ai servizi resi, come richiesto dall'Anci.
Una timida apertura verso la service tax? È ancora troppo presto per dirlo. Perché nell'incontro di ieri tra i rappresentanti dell'associazione dei comuni e il ministro dell'economia Fabrizio Saccomanni si è parlato sì di futuro, ma soprattutto di passato. I comuni hanno infatti molti contenziosi ancora in essere col Mef e l'obiettivo dell'Anci è chiuderli il prima possibile in modo da facilitare l'approvazione dei bilanci.
Il primo riguarda i tagli della spending review lasciata in eredità da Mario Monti che per il 2013 chiede ai municipi un sacrificio di 2 miliardi e 250 milioni calcolati sui consumi intermedi e non sui fabbisogni standard come vorrebbero i sindaci. L'anno scorso l'Anci riuscì a spuntare in extremis una sterilizzazione dei tagli, convincendo il governo Monti a dirottare una cifra equivalente sulla riduzione dell'indebitamento. Ma quest'anno il problema si ripropone in tutta la sua gravità. «Calcolare i tagli sui consumi intermedi significa penalizzare le amministrazioni più virtuose perché si tratta di un criterio che non distingue tra spesa buona e spesa cattiva», ha osservato il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi, presente all'incontro.
Saccomanni ha assicurato l'impegno del governo a risolvere il capitolo spending assieme alle altre criticità in materia di fiscalità locale che per i comuni valgono circa 900 milioni di euro. Il riferimento è ai disallineamenti tra le stime comunali e quelle governative sull'Imu 2012, ma anche al capitolo ancora aperto dell'Ici 2010, per non parlare del nodo dell'Imu sugli immobili comunali che i sindaci sono costretti a pagare. «Il governo ha ammesso che il problema esiste e si è impegnato a risolverlo in tempo utile per l'approvazione dei bilanci», ha commentato il presidente dell'Anci e sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo. «Per il momento l'80% dei comuni non è in grado di chiudere i preventivi», ha proseguito, «e questo rende necessaria una proroga che non avremmo mai voluto chiedere, perché varare i bilanci 2013 quasi con un anno di ritardo è una sconfitta per tutti, ma purtroppo è il governo ad averci messo in questa condizione».
Nell'incontro di ieri con Saccomanni l'Anci ha anche incassato il nullaosta politico alla proroga di sei mesi dell'uscita di scena di Equitalia dalla riscossione locale, prevista a partire dal 1° luglio. E subito dopo l'ok di via XX Settembre, lo slittamento è stato messo nero su bianco in un emendamento al decreto sui pagamenti della p.a. (dl 35/2013) presentato dai relatori, Giorgio Santini (Pd) e Antonio D'Alì (Pdl) e approvato in commissione bilancio del senato. Tutto a rimandato a fine 2013, dunque, in attesa che giunga a compimento la riforma della riscossione locale. Una riforma attesa invano da oltre due anni (articolo ItaliaOggi del 31.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTIAumenti Tarsu da non motivare. Tar Puglia: causa è la copertura costi.
Il comune non è tenuto a motivare l'aumento delle tariffe Tarsu. L'aumento può essere giustificato dalla necessità di coprire i costi del servizio.
Lo ha affermato il TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 30.05.2013 n. 1238.
Secondo i giudici amministrativi, per coprire i costi del servizio, l'amministrazione comunale ha disposto «un incremento percentuale nei confronti di tutte le categorie di utenti/contribuenti, senza operare alcuna discriminazione/differenziazione tra di essi, rendendo meno stringente l'obbligo di una più puntuale motivazione». Sulla necessità di motivare gli aumenti tariffari per lo svolgimento del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti non c'è un'uniformità di vedute nella giurisprudenza amministrativa.
Il Consiglio di stato (sentenza 5616/2010), infatti, ha sostenuto che il comune deve motivare la delibera che prevede un aumento delle tariffe Tarsu per coprire i costi del servizio. E non si può invocare genericamente la necessità di assicurare la tendenziale copertura totale della spesa, senza avere dati certi sullo scostamento tra entrate e costo del servizio.
Per i giudici di palazzo Spada il comune non è esonerato da uno specifico obbligo di motivare l'incremento delle tariffe, nonostante la Cassazione (sentenza 22804/2006) abbia escluso questo adempimento per gli atti generali, come previsto dall'articolo 3 della legge 241/1990. In effetti l'articolo 69 del decreto legislativo 507/1993, ai fini del controllo di legittimità, dispone che la deliberazione debba indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe, i dati consuntivi e previsionali relativi ai costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica, nonché le circostanze che abbiano determinato l'aumento per la copertura minima obbligatoria del costo.
Gli enti sono poi tenuti ad adottare un regolamento che deve contenere non solo la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie, ma anche la graduazione delle tariffe ridotte per particolari condizioni d'uso. Nell'ambito del potere regolamentare possono essere individuate anche le fattispecie agevolative, con le relative condizioni, le modalità di richiesta e le eventuali cause di decadenza (articolo ItaliaOggi del 02.08.2013).

TRIBUTIStop ai pagamenti anche se il conduttore non è rurale. E anche l'impianto solare schiva l'onere.
I campi senza Imu. Prima rata sospesa su tutti i terreni.

Non sono soggetti al pagamento dell'acconto Imu, la cui scadenza è fissata per il prossimo 17 giugno, i terreni agricoli anche se non condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali.
Questa interpretazione si ricava dalla formulazione letterale dell'articolo 1 del dl 54/2013 che concede la sospensione del pagamento richiamando l'articolo 13, comma 5 del dl «salva Italia» (201/2011), in base al quale il valore dei terreni agricoli su cui calcolare l'imposta è ottenuto moltiplicando il reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25%, per 135.
Per i coltivatori diretti e gli imprenditori professionali iscritti nella previdenza agricola, invece, il moltiplicatore è ridotto a 110. La norma, quindi, ricomprende nella nozione di terreno agricolo anche quello che non viene condotto direttamente da un coltivatore o imprenditore agricolo professionale. L'articolo 1 si limita però a concedere la sospensione dal pagamento dell'imposta solo per i terreni agricoli, mentre sono tenuti a passare alla cassa i titolari di terreni incolti, a meno che non siano posseduti e condotti da un agricoltore. Dal 2012, infatti, sono soggetti al pagamento dell'Imu anche i terreni incolti che prima erano esclusi dal campo di applicazione dell'Ici.
Va ricordato che i benefici fiscali sui terreni agricoli non sono più limitati alle persone fisiche, ma si estendono anche alle società agricole. Per la qualificazione di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale occorre fare riferimento all'articolo 1 del decreto legislativo 99/2004 e non più, come avveniva per l'Ici, all'articolo 58 del decreto legislativo 446/1997.
Quest'ultima disposizione qualificava coltivatori diretti e imprenditori agricoli solo le persone fisiche iscritte negli elenchi comunali e soggette alla contribuzione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e malattia. Dunque, escludeva le aziende agricole (società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile). Tra l'altro, con le modifiche apportate alla disciplina Imu dall'articolo 4 del dl 16/2012, il trattamento agevolato per i terreni non è più circoscritto alla finzione giuridica di non edificabilità del suolo, ma abbraccia anche le riduzioni d'imposta.
In particolare, i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli sono soggetti all'Imu limitatamente alla parte di valore eccedente 6 mila euro e con le seguenti riduzioni: a) del 70% dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i 6 mila euro e fino a 15. 500; b) del 50% di quella gravante sulla parte di valore eccedente 15.500 euro e fino a 25.500; c) del 25% sulla parte di valore eccedente 25.500 euro e fino a 32 mila (articolo ItaliaOggi del 30.05.201).

TRIBUTICosì il fotovoltaico dribbla l'imposta.
Imu sospesa anche per i fabbricati rurali in cui sono installati impianti fotovoltaici. La sospensione, prevista dal dl n. 54/2013 entrato in vigore il 22.05.2013, infatti riguarda anche agli impianti fotovoltaici connessi all'attività agricola.

Con nota dell'agenzia del territorio del 06.06.2012 n. 3189, infatti, viene previsto che «agli immobili ospitanti le installazioni fotovoltaiche, censiti autonomamente e per i quali sussistono i requisiti per il riconoscimento del carattere di ruralità, nel caso in cui ricorra l'obbligo di dichiarazione in catasto (...) è attribuita la categoria D/10 - fabbricati per funzioni produttive connesse ad attività agricole».
Dalla nota del Territorio pertanto possiamo dedurre che gli impianti fotovoltaici connessi ad attività agricole, accatastati nella categoria D/10 (immobili strumentali per le attività agricole), rientrino tra le categorie di immobili ammessi alla sospensione della rata Imu di giugno.
Ricordiamo che il decreto legge 21.05.2013, n. 54 (articolo 1, comma 1, lettera c), ha stabilito che la sospensione della prima rata di giugno vale anche per i «terreni agricoli e fabbricati rurali di cui all'articolo 13, commi 4, 5 e 8, del decreto-legge 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214, e successive modificazioni». In seguito il ministero dell'economia e delle finanze ha diramato la circolare del 23.05.2013 n. 2/DF al fine chiarire i numerosi dubbi sorti in capo ai contribuenti in merito al versamento della prima rata Imu 2013.
Tra i dubbi chiariti vi è quello riguardante la sospensione dell'acconto 2013 dell'Imu relativa ai terreni agricoli e i fabbricati rurali. Pertanto dal combinato esame della nota del territorio e della circolare delle finanze possiamo ritenere valida la sospensione della prima rata Imu per gli impianti fotovoltaici connessi alle attività agricole. Nell'ottica dell'incentivazione della produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili, il legislatore ha introdotto, negli ultimi anni, disposizioni di carattere fiscale volte a promuovere l'esercizio di tali attività da parte degli imprenditori agricoli.
Infatti la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e dì prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell'articolo 2135, terzo comma, del codice civile (articolo 1, comma 423, della legge 23.12.2005, n. 266) (articolo ItaliaOggi del 30.05.2013).

TRIBUTIImu, decide il comune. Niente acconto se il bonus non è stato revocato. Spiragli per anziani e disabili ricoverati e per i residenti all'estero.
Anziani, disabili e residenti all'estero non devono pagare l'acconto Imu entro il prossimo 17 giugno se i comuni non hanno revocato per l'anno in corso il trattamento agevolato riconosciuto nel 2012 per gli immobili da loro destinati a abitazione principale.
Lo ha chiarito il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia, con la
circolare 23.05.2013 n. 2/DF.
Dunque chi fruisce del trattamento agevolato, anche se a seguito dell'assimilazione degli immobili all'abitazione principale operata dai comuni, non è tenuto a pagare l'acconto Imu.
Per il dipartimento, considerata la finalità del legislatore di assicurare un regime di favore per l'abitazione principale e relative pertinenze, sia nel caso che l'assimilazione venga disposta per il 2013 «sia in quello in cui la stessa è stata effettuata nel 2012 e non è stata modificata nel 2013, l'assimilazione in questione determina l'applicazione delle agevolazioni». Compresa la sospensione del pagamento della prima rata Imu. I comuni, infatti, possono estendere o ampliare i benefici per la prima casa. Non scontano l'Imu come seconda casa gli immobili posseduti da anziani o disabili e residenti all'estero se il comune li ha assimilati o li assimila all'abitazione principale.
L'articolo 13 del dl 201/2011 prevede che il trattamento agevolato possa essere concesso per le unità immobiliari possedute, a titolo di proprietà o usufrutto, da anziani o disabili che spostano la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, nonché per quelle possedute, a titolo di proprietà o usufrutto, in Italia dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello stato, a condizione che non risultino locate. Peraltro, nel 2012 la scelta di concedere il beneficio fiscale era opportuna perché l'intero gettito degli immobili utilizzati come «prima casa» era riservato ai comuni. Allo stato non spettava la quota del 50%. E questa regola valeva anche per gli immobili assimilati.
L'articolo 1 del dl 54/2013 ha sospeso il pagamento dell'acconto Imu per gli immobili adibiti a abitazione principale e relative pertinenze. Sono però esclusi dal beneficio i fabbricati classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. La sospensione si estende anche alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite a prima casa dei soci assegnatari, nonché a quelli assegnati da Iacp, Ater o da altri enti di edilizia residenziale pubblica. Sono esonerati dal pagamento dell'acconto anche i titolari di fabbricati rurali e terreni agricoli. La sospensione sembra finalizzata a un successivo riconoscimento dell'esenzione.
Per abitazione principale s'intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Sono da considerare pertinenze dell'abitazione principale esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle suddette categorie catastali, anche se iscritte in catasto unitamente all'immobile adibito ad abitazione. Attualmente la legge prevede per questi fabbricati l'applicazione di una aliquota ridotta del 4 per mille, che i comuni possono aumentare o diminuire di 2 punti percentuali, e una detrazione di 200 euro, che può essere maggiorata di 50 euro per ogni figlio che risieda anagraficamente e dimori abitualmente nell'immobile, fino a un massimo di 400 euro, al netto della detrazione ordinaria.
Il contribuente, però, può fruire delle agevolazioni «prima casa» per un solo immobile, anche se utilizzi di fatto più unità immobiliari distintamente iscritte in catasto. I singoli fabbricati vanno assoggettati separatamente a imposizione, ciascuno per la propria rendita. È il contribuente a scegliere quale destinare a abitazione principale (circolare 3/2012) (articolo ItaliaOggi del 28.05.2013 - tratto da link a www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Valore venale.
Domanda
Un comune del Lecchese vuole applicare l'Imu su un'area fabbricabile di recente acquisto in base al prezzo di compravendita, più alto del valore di mercato per ragioni di specifico interesse dell'acquirente e anche dei valori parametrici indicati dallo stesso comune per ridurre il rischio di contenzioso con i propri contribuenti. Vorrei sapere se la pretesa del comune è legittima.
Risposta
Per le aree fabbricabili taluni comuni hanno inserito nel proprio regolamento la regola secondo la quale se è rilevabile da un atto ufficiale un dato prezzo esso deve essere assunto come base imponibile Imu. Ciò anche nel caso in cui il comune abbia approvato i valori parametrici per le aree fabbricabili ubicate nelle varie zone del territorio comunale ed essi risultino più bassi di quelli desumibili dai predetti atti.
In realtà, tale pretesa incontra un limite nella normativa in quanto l'art. 5, c. 5, del dlgs n. 504/92), applicabile anche all'Imu, precisa che l'imponibile è dato dal valore «venale in comune commercio al 1° gennaio dell'anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche».
Inoltre, qualora il comune abbia approvato con delibera consiliare i valori minimi rispettando i quali i contribuenti non soggiacciono al rischio di accertamento, appare contraddittorio e ben poco rispettoso del dovere di imparzialità, derogare a tale regola per i soli possessori di terreni per i quali siano intervenuti trasferimenti a prezzi più elevati: lo stesso terreno, infatti, in un caso sarebbe soggetto ad accertamento, nell'altro no, senza ragione alcuna.
Peraltro, i contribuenti non hanno alcun obbligo di attenersi ai valori parametrici comunali o all'indicazione di dover dichiarare il prezzo di acquisizione dell'area fabbricabile, dal momento che l'imponibile di tale tipologia di immobile è dato dal suo valore venale. Valore venale che può risultare inferiore al prezzo per varie ragioni, tutte legittime, in quanto potrebbe essere stato pagato più del suo valore in dipendenza proprio di specifici interessi del contribuente, come segnalato nel quesito: per esempio, completare una serie di lotti già posseduti con un ulteriore appezzamento, evitare il rischio che l'appezzamento finisca in mani altrui e possa essere edificato pregiudicando il proprio interesse, per ragioni affettive; oppure perché si può avere fatto un cattivo affare e si è pagato un'area più del suo valore commerciale.
Il comune non dovrebbe quindi mai procedere meccanicamente all'accertamento, ma esaminare con la dovuta attenzione quale sia il reale valore venale in comune commercio del bene, a prescindere dal prezzo a cui è avvenuta la transazione, se del caso avviando anche un confronto con il contribuente (articolo ItaliaOggi Sette del 27.05.2013).

TRIBUTI: Oggetto: Novità attinenti il versamento della prima rata IMU ed alle relative modalità di calcolo (ANCE di Bergamo, circolare 24.05.2013 n. 125).

TRIBUTI: La riforma Imu punti all'equità. Niente esenzione prima casa in presenza di altri immobili.  I comuni dovrebbero avere libertà di manovra sulle aliquote per i grandi patrimoni.
La volontà politica del nuovo governo di procedere con la riforma complessiva del fisco immobiliare locale è una scelta condivisibile, a condizione di non generare aspettative frutto di demagogia o di banalizzazione, con agevolazioni o esenzioni prive di copertura finanziaria, mettendo a rischio le entrate degli enti locali.
Il decreto legge 54 del 21.05.2013, ha sospeso il pagamento dell'Imu per le abitazioni principali e relative pertinenze, esclusi i fabbricati di categoria A/1, A/8 e A/9, per le unità immobiliari delle cooperative a proprietà indivisa e degli istituti autonomi case popolari e enti similari, per i terreni agricoli e per i fabbricati rurali.
La sospensione è una scelta transitoria e impone l'obbligo di assumere decisioni definitive entro il 31.08.2013, ma in primo luogo è necessario arrivare a una riforma complessiva, indicando con chiarezza tempi realistici e fonti di finanziamento.
Una riforma seria dell'Imu dovrebbe porsi pochi obiettivi raggiungibili, comprensibili e applicabili con semplicità, evitando di porsi obiettivi troppo ambiziosi che renderebbero impossibili le fasi attuative, in tempi così brevi.
L'ipotesi di eliminazione dell'Imu e della Tares, con la nascita, peraltro in corso d'anno, di una nuova «Service Tax», è un progetto troppo ambizioso e pieno di ostacoli tecnici e operativi, con il rischio di una profonda confusione sull'individuazione del soggetto passivo, sulla base imponibile, sul concetto di utilizzo, sulla inconciliabilità tra un'imposta patrimoniale e il principio europeo sui rifiuti «paghi in base a quanto inquini».
La scelta della «Service Tax» è già stata abbandonata negli anni passati e la sua replica, lascia trasparire un eccesso di sottovalutazione delle problematiche tecniche ed operative da parte di coloro che ne alimentano l'introduzione, senza alcuna reale consapevolezza delle difficoltà applicative.
In questo quadro i comuni italiani come possono deliberare aliquote Imu e tariffe Tares, senza conoscere se i loro tributi saranno confermati o eliminati, come si pensa che i contribuenti interpretino questa ondivaga volontà del governo rispetto alla prossima scadenza di giugno, quali gettiti saranno credibilmente incassati in assenza di regole certe sulla Tares, quali sicurezze vi sono sulla conferma dell'attività di riscossione coattiva per i comuni da parte di Equitalia.
Prima di approfondire le possibili scelte della riforma, è necessario, a tutela dei circa 6 mila comuni che riscuotono con Equitalia e a tutela dei livelli occupazionali della stessa società di riscossione pubblica, intervenire con una proroga immediata dell'attività in scadenza il 30.06.2013, per dare continuità all'invio dei ruoli per la riscossione coattiva, evitando l'isolamento dei piccoli comuni e il disperdersi di potenziali gettiti comunali.
In questo quadro di profonda incertezza della fiscalità locale, la riforma rischia di disattendere aspettative politiche eccessive, prive di coperture, e di produrre difficoltà nei flussi finanziari dei comuni, è quindi necessario riformulare l'attuale struttura dell'Imu e della Tares limitandosi ad apportare correttivi qualitativi e credibili, riducendo le disuguaglianze sociali.
In assenza di risorse, non è equo decidere se l'Imu sulla prima casa non di lusso, debba essere pagata o esentata a tutti i contribuenti, a prescindere dal reddito e dalla ricchezza posseduta.
Il concetto di abitazione principale, ha necessità di essere distinto tra l'unica casa e la prima casa. Il legislatore tende a uniformare le due fattispecie, ma in quella distinzione vi sono spesso storie personali e familiari molto diverse e con capacità patrimoniali e finanziarie non allineate.
Esiste quindi la necessità di andare oltre il concetto di tassazione Imu della prima casa, non di lusso, separando la casistica in due fattispecie fiscali diverse:
1. unica casa non di lusso,
2. prima casa di altre.
Trattasi di fabbricati che, al momento, sono sottoposti allo stesso livello di tassazione con identica aliquota, seppure la differenziazione patrimoniale delle due casistiche non sfugge certamente al lettore.
Il nuovo decreto legge 54/2013 si è limitato a mantenere la tassazione sulle prime case di lusso, esentando tutte le altre abitazioni principali, ma il minore gettito di circa 4 miliardi di euro che ne deriva, è insostenibile per le casse dei comuni, per questo motivo Legautonomie propone di passare dal concetto di prima casa, al concetto di unica casa non di lusso.
Applicare l'esenzione Imu sull'unica casa non di lusso, è una scelta di equità che garantirebbe un risparmio fiscale alle fasce sociali più deboli e maggiormente aggredite dalla crisi economica generale, con un minore gettito che potrebbe essere assorbito utilizzando il principio di progressività sui grandi patrimoni immobiliari, così come richiestoci dall'Unione europea.
In carenza di risorse, l'esenzione non può eticamente essere attribuita ai proprietari di una prima casa e di molti altri immobili, l'appiattimento del beneficio rischia di accentuare le disuguaglianze sociali, ponendosi in palese contrasto con il principio dell'art. 53 della Costituzione che recita: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
Una parte significativa della popolazione è proprietaria della propria abitazione:
- 17 milioni di famiglie circa sul totale di 23 milioni di famiglie italiane possiedono la prima casa;
- 18 milioni di famiglie sono proprietarie di seconda casa, immobili per usi non abitativi propri, immobili in affitto per abitazione e altri usi.
Ben diversa appare invece la situazione quando si esamina l'aspetto strettamente legato alla distribuzione del patrimonio immobiliare e della ricchezza, che risulta, al contrario, caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie ne detengono livelli modesti o nulli; all'opposto, poche famiglie dispongono di patrimoni elevati: il 10% delle famiglie italiane detiene circa il 46% della ricchezza complessiva.
La riforma dell'Imu deve quindi tendere all'eliminazione dell'imposta per i soli proprietari di un'unica casa non di lusso, ampliando gli spazi di manovra dei comuni sulle aliquote per i grandi patrimoni, per valore o per numero, chiedendo un contributo fiscale più elevato ai più ricchi, a favore della necessaria copertura finanziaria del minore gettito derivante dall'applicazione della suddetta esenzione sull'unica casa posseduta.
È inoltre necessario procedere con una semplificazione della tassazione immobiliare, eliminando le molteplici imposte statali che colpiscono fabbricati e terreni (imposta di registro, imposta catastale e ipotecaria, imposta su successioni e donazioni, cedolare secca) accorpandole nell'Imu, al fine di avere un tributo comunale unico sugli immobili.
Equità, progressività e semplificazione sono obiettivi credibili, raggiungibili e capaci di ridurre le disuguaglianze, a parità di gettito, evitando il ricorso a improbabili riforme complessive che risultano prive di logica in un contesto temporale così breve.
Una riforma complessiva e più ambiziosa della fiscalità immobiliare, non deve infatti partire dalla rimodulazione dell'Imu, ma dalla emanazione di un Testo unico sui tributi locali, che raccolga tutte le norme di riferimento e dalla profonda e efficace revisione del catasto affinché le rendite catastali diventino credibili ed esprimano il concreto valore dei patrimoni immobiliari, evitando medie e appiattimenti che penalizzano i più deboli.
Per capire quanto le rendite catastali siano distanti dalla realtà, è infatti sufficiente visionare i dati dell'osservatorio del mercato immobiliare, forniti da altro ufficio della stessa Agenzia del territorio.
L'Imu è anche un metodo di redistribuzione finanziaria delle risorse, attraverso un parziale e modesto trasferimento monetario di riequilibrio sociale.
Tutto questo è doveroso ed equo, soltanto se la progressività per le grandi ricchezze e l'esenzione per l'unica abitazione non di lusso, divengono obiettivi di una politica fiscale seria e condivisa, garantendo agli enti locali il diritto di esercitare la propria autonomia fiscale con principi di equità e di semplificazione (articolo ItaliaOggi del 24.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTINon sono obbligatorie le scadenze Tares fissate dal Mef. I chiarimenti in una nota Ifel che sollecita la pubblicazione dei codici tributo.
Le scadenze per il pagamento della Tares indicate nel decreto ministeriale con il quale è stato approvato il bollettino di conto corrente postale non sono obbligatorie perché non previste dalla norma di legge. Il ministero dell'economia e delle finanze, nel fissare le scadenze delle rate, si è spinto oltre quanto stabilito dalla norma che disciplina il tributo. Il nuovo bollettino potrà essere utilizzato solo a partire dal prossimo 1° luglio e riporta un unico numero di conto corrente che è valido per tutti i comuni del territorio nazionale. La maggiorazione va pagata con l'ultima rata Tares.
Sono alcune precisazioni contenute nella nota 21.05.2013 dell'Ifel che, tra l'altro, sollecita la pubblicazione dei codici tributo Tares da inserire nel modello F24. Inoltre, con una nota del 22 maggio sono stati segnalati i nuovi codici tributo, istituiti con la risoluzione n. 33/E dell'Agenzia delle entrate, per il pagamento dell'Imu, tramite «F24» e «F24 EP», relativamente agli immobili di categoria D, il cui gettito va allo stato con aliquota standard del 7,6 per mille.
Pagamento Tares. Correttamente la fondazione Anci ha chiarito che il decreto ministeriale «si spinge ad indicare periodi di pagamento non previsti dalla normativa primaria (dal 1° giorno ed entro il 16° giorno di ciascun mese di scadenza delle rate)». Quindi, non possono essere considerate obbligatorie.
L'Ifel pone in evidenza che il modello di bollettino di conto corrente postale, intestato a «Pagamento Tares», riporta obbligatoriamente il numero di conto 1011136627, che è valido per tutti i comuni del territorio nazionale. In base alle ultime modifiche normative introdotte con l'articolo 10 del dl 35/2013, la maggiorazione va pagata contestualmente all'ultima rata del tributo, nella misura fissa di 30 centesimi al metro quadrato, e verrà incassata dallo stato.
In deroga alla disciplina ordinaria del tributo, infatti, i comuni non possono aumentarla fino a 40 centesimi. La nota interviene anche sulle modalità di riversamento ai comuni delle somme riscosse e ricorda che la tempistica e le modalità sono analoghe a quelle previste per i versamenti unitari (F24) dal decreto legislativo 241/1997. In effetti, il decreto ministeriale dispone che la società Poste italiane è tenuta a riversare sulla contabilità speciale n. 1777 «Agenzia delle entrate - Fondi della riscossione», aperta presso la Banca d'Italia, le somme pagate dai contribuenti tramite i bollettini di conto corrente.
Deve poi trasmettere alla struttura di gestione i dati analitici indicati nei bollettini. In seguito alla rendicontazione da parte delle Poste, la struttura di gestione accredita le somme agli enti. Tributo e maggiorazione sono accreditati ai comuni, mentre la tariffa deve essere accreditata al gestore del servizio. Solo per il 2013, se deliberato dal comune, il gestore può riscuotere anche il tributo.
Il comune o l'affidatario del servizio possono inviare ai contribuenti i bollettini precompilati nei quali vanno riportati il codice catastale dell'ente e gli importi dovuti. Infine è urgente, per l'Ifel, la pubblicazione dei codici tributo Tares da inserire nel modello F24.
Imu. Con la nota del 22 maggio viene invece dato risalto alla risoluzione n. 33 con la quale l'Agenzia delle entrate ha diffuso i codici tributo per il versamento, tramite modello «F24» e «F24 EP», dell'imposta municipale relativa agli immobili a uso produttivo classificati nel gruppo catastale D. Da quest'anno, infatti, l'Imu torna a essere a tutti gli effetti un'imposta comunale.
Tuttavia, allo stato va la quota del gettito derivante dagli immobili classificati nel gruppo catastale D, calcolato con l'aliquota standard del 7,6 per mille. Per questi fabbricati i comuni hanno la facoltà di aumentare l'aliquota base di 3 punti percentuali e di incassare le maggiori somme (articolo ItaliaOggi del 24.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: OGGETTO: Imposta municipale propria (IMU) di cui all’art. 13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Modifiche recate dall’art. 10, comma 4, lett. b), del D.L. 08.04.2013, n. 35, in corso di conversione. Quesiti in materia di pagamento della prima rata dell’imposta relativa all’anno 2013 (Ministero dell'Economia e delle Finanze, circolare 23.05.2013 n. 2/DF).

TRIBUTI: Decreto Ministero dell’Economia e delle Finanze del 14.05.2013 di approvazione del modello di bollettino di conto corrente postale concernente il versamento del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES) (IFEL, nota 21.05.2013).

TRIBUTI: G.U. 21.05.2013 n. 117 "Interventi urgenti in tema di sospensione dell’imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo" (D.L. 21.05.2013 n. 54).

TRIBUTI: Congelato l'acconto dell'Imu. Sospensione per la prima casa. Immobili di pregio esclusi. Il provvedimento del consiglio dei ministri, in attesa di una riforma del sistema.
Sospeso il pagamento dell'acconto Imu, fissato per il prossimo 17 giugno, per gli immobili adibiti ad abitazione principale e relative pertinenze. Sono però esclusi dal beneficio i fabbricati classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. La sospensione si estende anche alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite a prima casa dei soci assegnatari, nonché a quelli assegnati da Iacp, Ater o da altri enti di edilizia residenziale pubblica. Sono esonerati dal pagamento dell'acconto anche i titolari di fabbricati rurali e terreni agricoli, in attesa di una complessiva riforma dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare che dovrebbe essere varata nei prossimi mesi.
È quanto prevede l'articolo 1 del decreto legge approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri.
La sospensione del pagamento dell'acconto Imu, la cui scadenza è prevista per il 17 giugno, nelle more della riforma del sistema di tassazione degli immobili, sia a livello statale sia locale, sembra finalizzata a un successivo riconoscimento dell'esenzione dal pagamento, soprattutto per gli immobili destinati a abitazione principale. Va ricordato che dal 2008 al 2011 sono stati esonerati dal pagamento dell'Ici i titolari di questi immobili. Così come sono state escluse dal beneficio le unità immobiliari iscritte nelle categorie catastali A1, A8 e A9 (immobili di lusso, ville e castelli).
La qualificazione giuridica di abitazione principale. Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Sono da considerare pertinenze dell'abitazione principale esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle suddette categorie catastali, anche se iscritte in catasto unitamente all'immobile adibito ad abitazione. Attualmente la legge prevede per queste unità immobiliari l'applicazione di una aliquota ridotta del 4 per mille, che i comuni possono aumentare o diminuire di 2 punti percentuali, e una detrazione di 200 euro, che può essere maggiorata di 50 euro per ogni figlio che risiede anagraficamente e dimora abitualmente nell'immobile, fino a un massimo di 400 euro, al netto della detrazione ordinaria.
Il contribuente, però, può fruire delle agevolazioni «prima casa» per un solo immobile, anche se utilizzi di fatto più unità immobiliari distintamente iscritte in catasto, a meno che non abbia provveduto al loro accatastamento unitario. Lo ha chiarito il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia con la circolare 3/2012. Rispetto a quanto previsto per l'Ici, la definizione di abitazione principale presenta dei profili di novità. L'articolo 13, comma 2, del dl 201/2011 prevede che per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Dalla lettura della norma, per il dipartimento, «emerge, innanzitutto, che l'abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare». Quindi, le singole unità vanno assoggettate separatamente a imposizione, ciascuna per la propria rendita. È il contribuente a scegliere quale destinare a abitazione principale.
L'interpretazione ministeriale, però, non può essere condivisa, in quanto richiama nella circolare il principio affermato per la prima volta dalla Cassazione (sentenza 25902/2008) per l'Ici, poi ribadito con altre pronunce, ma lo ritiene superato dalla nuova disposizione, secondo la quale il beneficio fiscale è limitato a una sola unità immobiliare, mentre le altre, ancorché utilizzate di fatto come abitazione principale, non possono fruire del trattamento agevolato. Invece, anche per l'Imu il contribuente dovrebbe fruire dei benefici fiscali, qualora utilizzi contemporaneamente diversi fabbricati come abitazione principale, visto che l'articolo 13 richiede che si tratti di un'unica unità immobiliare «iscritta o iscrivibile» come tale in catasto. Occorre dare un senso alla formulazione letterale della norma che fa riferimento ai diversi immobili che sono potenzialmente «iscrivibili» come un'unica unità immobiliare. In questi casi, dunque, è sufficiente che sussistano due requisiti: uno soggettivo e l'altro oggettivo. In particolare, le diverse unità immobiliari devono essere possedute dallo stesso titolare (o dagli stessi titolari) e devono essere contigue. E l'Agenzia del territorio dovrebbe certificare l'iscrivibilità come unica unità immobiliare.
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Esonero esteso ai fabbricati rurali e ai terreni agricoli.
Sono esonerati dal pagamento dell'acconto Imu anche i titolari di fabbricati rurali e terreni agricoli.
Fabbricati rurali. Per gli immobili rurali dal 2012 sono cambiate le regole sulle agevolazioni. Quelli adibiti ad abitazione di tipo rurale sono stati assoggettati al pagamento dell'Imu con applicazione dell'aliquota ordinaria, a meno che non siano destinati a prima casa. Mentre per quelli strumentali, vale a dire quelli utilizzati per la manipolazione, trasformazione e vendita dei prodotti agricoli, non è più prevista l'esenzione, ma un trattamento agevolato con applicazione dell'aliquota del 2 per mille che i comuni possono ridurre all'1 per mille. Mentre è stata confermata l'esenzione solo per i fabbricati strumentali ubicati in comuni montani o parzialmente montani indicati in un elenco predisposto dall'Istat.
Bisogna inoltre ricordare che per i fabbricati rurali strumentali non conta più la classificazione catastale per avere diritto alle agevolazioni fiscali. Possono infatti mantenere le loro categorie originarie. È sufficiente l'annotazione catastale, tranne per i fabbricati strumentali che siano per loro natura censibili nella categoria D/10. Con la circolare 2/2012 l'Agenzia ha anche fornito dei chiarimenti, relativamente a quanto disposto dal decreto ministeriale emanato il 26.07.2012, sugli adempimenti che devono porre in essere i titolari dei fabbricati interessati a ottenere l'annotazione negli atti catastali della ruralità, al fine di fruire anche per l'Imu del trattamento agevolato.
Terreni agricoli e incolti. L'articolo 1 del dl si limita a concedere la sospensione dal pagamento dell'imposta solo per i terreni agricoli, mentre sono tenuti a passare alla cassa i titolari di terreni incolti. Dal 2012, infatti, sono soggetti al pagamento dell'Imu anche i terreni incolti che prima erano esclusi dal campo di applicazione dell'Ici. Oltre ai terreni agricoli la nuova imposta colpisce i terreni diversi da quelli fabbricabili e da quelli utilizzati per l'esercizio delle attività agricole.
Terreni agricoli, secondo la definizione contenuta nell'articolo 2135 del Codice civile, sono quelli utilizzati per l'esercizio dell'attività agricola, ovvero la coltivazione del fondo, la silvicoltura, l'allevamento animali e le attività connesse. In base all'articolo 13 del dl salva-Italia (201/2011), il valore dei terreni agricoli su cui calcolare l'imposta è ottenuto moltiplicando il reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25%, per 135. La norma, invece, prevede un trattamento agevolato per i coltivatori diretti e gli imprenditori professionali iscritti nella previdenza agricola, per i quali il moltiplicatore di riferimento è ridotto a 110, anche se i terreni non vengono coltivati (articolo ItaliaOggi Sette del 20.05.2013).

TRIBUTI: G.U. 20.05.2013 n. 116 "Approvazione del modello di bollettino di conto corrente postale concernente il versamento del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES)" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, decreto 14.05.2013).

TRIBUTICONSIGLIO DEI MINISTRI/ Varato il dl. Per le imprese deducibilità dall'Ires, ma non subito.
Imu sospesa in attesa di riforma. Senza nuove regole entro agosto, versamenti al 16/09.
Imu prima casa sospesa in attesa di riforma. Mentre le imprese incassano per il momento solo una promessa: quando metterà mano all'intera materia della fiscalità immobiliare (Tares compresa), il governo introdurrà forme di deducibilità dai redditi d'impresa (Ires) dell'Imu pagata sugli immobili strumentali.

È questo il compromesso raggiunto nel consiglio dei ministri di ieri che ha approvato il decreto legge di sospensione dell'imposta municipale sugli immobili in attesa di una complessiva riforma dell'imposizione immobiliare che avrà come deadline il 31 agosto.
Nel frattempo l'appuntamento del 17 giugno per l'acconto Imu slitterà per 15 milioni di proprietari di abitazione principale (e relative pertinenze) ad accezione solo degli immobili di lusso, iscritti nelle categorie catastali A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (ville) e A/9 (castelli e palazzi di pregio storico-artistico). Niente acconto a giugno anche per gli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibiti ad abitazione principale (e relative pertinenze), nonché per gli alloggi assegnati dagli Istituti autonomi case popolari (Iacp) e per gli enti di edilizia residenziale pubblica. E anche per terreni agricoli e fabbricati rurali l'appuntamento con l'acconto è rimandato a settembre (si veda altro pezzo in pagina).
Il testo del provvedimento, che stanzia anche 990 milioni per il finanziamento della Cassa integrazione in deroga e proroga al 31 dicembre i contratti dei precari della pubblica amministrazione, non è stato tuttavia ancora licenziato in via definitiva dal governo (lo sarà lunedì) in attesa di completare l'allegato con le quantificazioni della quota Imu di competenza di ciascun comune.
Nel periodo di sospensione dell'acconto il governo dovrà riformare la fiscalità immobiliare locale nel rispetto degli obiettivi indicati nel Documento di economia e finanza 2013 (dove però l'Imu, senza distinzione tra prima e seconda casa, viene descritta come un'imposta permanente e strutturale, il che ne escluderebbe qualsiasi ipotesi di definitiva cancellazione) e in coerenza con gli impegni assunti in sede europea. Se la riforma non arriverà entro fine agosto, l'attuale disciplina dell'Imu prima casa rivivrà e i contribuenti saranno chiamati al versamento entro il 16 settembre.
La sospensione dell'imposta non produrrà problemi di liquidità nei comuni. Infatti, i buchi di bilancio che si apriranno nei conti per effetto del mancato incasso dell'acconto saranno compensati attraverso il meccanismo delle anticipazioni di tesoreria. Come anticipato su ItaliaOggi dell'08/05/2013, i comuni potranno chiedere sino al 30 settembre anticipazioni pari al 50% del gettito Imu prima casa 2012 di propria pertinenza calcolato ad aliquota base (là dove i sindaci hanno deciso di limitare il prelievo al 4 per mille) o ad aliquota maggiorata (nei municipi che l'anno scorso hanno deliberato una tassazione extra anche sulla prima casa). Gli importi che gli enti potranno chiedere terranno conto anche del gettito Imu proveniente dagli immobili di cooperative e Iacp.
Gli oneri per interessi sulle somme anticipate ai sindaci saranno a carico dello stato, nel senso che sarà il ministero dell'interno a rimborsarli ai comuni con modalità da definire entro 20 giorni dall'entrata in vigore del decreto. Si dovrebbe trattare in totale di 18,2 milioni per il 2013, che saranno attinti in questo modo: 12,5 milioni, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, 5,1 milioni mediante riduzione di alcuni fondi speciali nello stato di previsione del Mef e infine 600 mila euro dal risparmio ottenuto dal divieto di cumulo tra gli stipendi da ministro, viceministro e sottosegretario con l'indennità parlamentare. Una misura, questa, annunciata da Enrico Letta nel discorso con cui ha chiesto la fiducia delle camere e trasposta nel decreto legge approvato ieri.
Secondo la Cgia di Mestre, la deducibilità dell'Imu dalle imposte dirette produrrebbe un vantaggio fiscale medio sui capannoni a uso industriale di oltre 3.300 euro. La simulazione è stata realizzata sul risparmio Imu che potrebbe godere una srl metalmeccanica avente un reddito di 90.000 euro e un capannone da 5.000 mq con una rendita catastale di oltre 9.500 euro.
Tuttavia secondo gli artigiani di Mestre «è indispensabile che questa opportunità sia concessa non solo ai proprietari degli immobili a uso produttivo, ma anche alle micro imprese (laboratori artigianali e negozi) che si trovano in perenne crisi di liquidità». «Vigileremo perché non si facciano differenza tra grandi e piccole imprese», ha assicurato Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia. Soddisfazione per la sospensione dell'acconto è stata anche espressa da Confedilizia, il cui presidente, Corrado Sforza Fogliani, ha però puntato il dito contro la «superficialità» con cui si sono individuati gli immobili di lusso per i quali la sospensione non si applicherà. Mentre il presidente dell'Anci, Alessandro Cattaneo, ha rimarcato la situazione di incertezza in cui con la sospensione dell'Imu si troveranno i comuni nella predisposizione dei bilanci. «Incertezze alle quali pare difficile poter dare risposta» (articolo ItaliaOggi del 18.05.2013).

TRIBUTILa Tares a conguaglio va versata al comune. I gestori possono incassare soltanto gli acconti, dice l'Ifel.
L'ultima rata Tares, a conguaglio di quanto pagato dai contribuenti in acconto, deve essere versata ai comuni. I gestori del servizio rifiuti possono incassare solo i pagamenti in acconto.
È quanto affermato dall'Ifel (fondazione Anci) con la nota 10.05.2013, con la quale ha fornito dei chiarimenti ai comuni sulla corretta applicazione delle nuove disposizioni contenute nell'articolo 10 del dl 35/2013. Questa interpretazione si pone però in contrasto con quanto sostenuto dal ministero dell'economia con la circolare 1/2013.
Dunque, l'Ifel prende una posizione diversa dal ministero anche sulla riscossione della Tares, oltre che sull'Imu. Ha infatti precisato nella nota che i gestori del servizio possono incassare solo gli acconti. Il saldo va versato direttamente ai comuni. Mentre per il ministero possono incassare anche il saldo. Secondo la fondazione Anci la circolare ministeriale «propone una lettura estensiva» dell'articolo 10 del dl «pagamenti p.a.», poiché attribuisce «direttamente alle aziende di gestione del servizio rifiuti l'intero gettito annuale del tributo, previa delibera comunale in tal senso», nonostante la norma non deroghi espressamente
«alla diretta destinazione al comune delle somme incassate a titolo di Tares, come prescritto ordinariamente dallo stesso comma 35, terzo periodo».
La nota pone in rilievo che «una lettura più prudente delle norme straordinarie recate dal dl 35» porta a escludere che il gestore incassi l'ultima rata 2013, in quanto «dall'attivazione del pagamento via F24 il comune dovrebbe invece essere il diretto destinatario delle somme riscosse». Fermo restando che bisogna accelerare l'iter per i pagamenti delle somme dovute al gestore per l'attività svolta.
In effetti l'articolo 10, che deroga alla disciplina ordinaria del tributo, dispone che la nuova tassa sui rifiuti e la maggiorazione sui servizi si pagheranno con l'ultima rata, a conguaglio delle somme versate in acconto. Le rate possono essere determinate in base a quanto già versato dai contribuenti nell'anno 2012 per Tarsu, Tia1 e Tia2. Inoltre la maggiorazione, fissata nella misura di 0,30 euro per metro quadrato, non può essere aumentata dai comuni e il gettito è riservato allo stato.
Gli enti locali, con propria deliberazione, possono stabilire il numero delle rate di versamento del tributo. Ma i cittadini devono essere informati, anche con la pubblicazione sul sito internet del comune, almeno 30 giorni prima della data di scadenza dei pagamenti. Per le prime due rate le amministrazioni locali possono inviare i modelli già predisposti per il pagamento di Tarsu, Tia1 o Tia2. Gli acconti verranno scomputati dal quantum dovuto, a titolo di Tares, per l'anno 2013.
La prima rata fissata ex lege per il mese di luglio, come previsto dal dl rifiuti (1/2013), può essere anticipata anche nel caso in cui il comune non abbia adottato il regolamento, che deve essere emanato entro il prossimo 30 giugno. Concessionari e gestori del servizio possono continuare a riscuotere il tributo, con l'unico dubbio che possano incassarlo per tutto il 2013, anche a saldo, o solo in acconto. Si ritiene più aderente al dettato normativo la circolare ministeriale, che opta per la prima soluzione (articolo ItaliaOggi del 17.05.2013).

TRIBUTITarsu sui campeggi, strutture fisse come le civili abitazioni. Sentenza della ctp Lecce.
Tarsu campeggi: equiparata la superficie delle strutture fisse abitative a quella delle civili abitazioni.

Con la sentenza n. 177/02/13, la Ctp di Lecce ha stabilito che le strutture fisse abitative dei campeggi (per esempio bungalow, piazzole) devono essere tassate con l'aliquota unica delle civili abitazioni.
La vicenda ha a oggetto l'impugnazione da parte di una società, proprietaria di un campeggio, di una cartella di pagamento relativa a Tarsu anno 2008. In particolar modo, la ricorrente eccepiva la nullità della cartella per illegittimità della tariffa per contrasto con l'art. 68 del dlgs n. 507/1993 nonché la nullità della cartella per illegittimità del regolamento e della relativa delibera comunale, con conseguente disapplicazione degli stessi; in subordine, chiedeva che venisse disposta la riliquidazione della tassa dovuta in applicazione della tariffa prevista per le abitazioni private ai sensi dell'art. 68 citato.
I giudici di merito nell'accogliere parzialmente il ricorso della società ricorrente hanno ricordato come l'art. 68 del dlgs 507/1993 stabilisce che i comuni, per l'applicazione della tassa, sono tenuti ad adottare apposito regolamento che deve contenere, tra l'altro, la classificazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie di locali e aree con omogenea potenzialità di rifiuti da tassare con la medesima misura tariffaria. Con il comma 2 del suddetto articolo il legislatore suggerisce l'articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie da compiersi «ai fini della determinazione comparativa delle tariffe» tenendo conto, in via di massima, di alcuni gruppi di attività o di utilizzazione.
La lettera c) del citato comma 2 accorpa nel medesimo gruppo i locali e aree a uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri; tale elencazione, peraltro, deve considerarsi meramente esemplificativa. Alla luce di tanto, è dato leggersi in sentenza, «appare irragionevole ritenere che un nucleo familiare in vacanza produca maggiori rifiuti di quelli prodotti ordinariamente nella propria abitazione» e, pertanto, il comune deve provvedere alla riliquidazione della Tarsu.
Con tale pronuncia, in sostanza, è stato ribadito quanto già stabilito per gli alberghi che sono stati parimenti assimilati, dalla giurisprudenza di merito, a civili abitazioni (articolo ItaliaOggi del 15.05.2013).

TRIBUTISul verde pubblico non si paga l'Ici. Ctr Milano: nei parchi l'inedificabilità è palese.
Un'area compresa in una zona destinata dal piano regolatore generale a verde pubblico attrezzato non è soggetta al pagamento dell'Ici. Il vincolo di destinazione, infatti, non consente di dichiarare l'area edificabile poiché al contribuente viene impedito di operare qualsiasi trasformazione del bene.

È quanto ha affermato la Commissione Tributaria regionale di Milano, sezione XXXV, con la sentenza 13.05.2013 n. 71.
Per il giudice d'appello, lo strumento urbanistico vigente destina l'area a spazio pubblico per parco, giochi e sport «rendendo palese e percepibile il vincolo di utilizzo meramente pubblicistico con la conseguente inedificabilità».
Nella sentenza vengono richiamate alcune pronunce della Cassazione che hanno fissato questo principio, che però non è assolutamente pacifico. In particolare, la Cassazione (sentenza 25672/2008) ha stabilito che se il piano regolatore generale del comune stabilisce che un'area sia destinata a verde pubblico attrezzato, questa prescrizione urbanistica impedisce al privato di poter edificare. Dunque, l'area non è soggetta al pagamento dell'Ici anche se l'edificabilità è prevista dallo strumento urbanistico.
La natura edificabile delle aree comprese in zona destinata a verde pubblico attrezzato impedisce ai privati la trasformazione del suolo riconducibile alla nozione tecnica di edificazione. In questi casi, la finalità è quella di assicurare la fruizione pubblica degli spazi. Mentre, con la sentenza 19131/2007 aveva sostenuto che l'Ici fosse dovuta su un'area edificabile anche se sottoposta a vincolo urbanistico e destinata a essere espropriata: quello che conta è il valore di mercato dell'immobile nel momento in cui è soggetto a imposizione.
Con questa decisione, tra l'altro, i giudici avevano precisato che l'Ici non «ricollega il presupposto dell'imposta all'idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine a incrementare il proprio valore o il reddito prodotto».
Il valore dell'immobile assume rilievo solo per determinare la misura dell'imposta. L'area doveva essere considerata edificabile anche se qualificata «standard» e, quindi, vincolata a esproprio (articolo ItaliaOggi del 02.08.2013).

TRIBUTI: Nullità Tarsu.
Domanda
Per la tassa sui rifiuti solidi urbani mi è stata notificata una cartella esattoriale non preceduta dalla notifica dell'avviso bonario o dell'avviso di accertamento da parte del comune. Chiedo se nel caso prospettato la cartella di pagamento possa essere inficiata di nullità.
Risposta
La Commissione tributaria provinciale di Bolzano, Sezione prima, con la sentenza del 07.06.2012, numero 66, ha sentenziato che la cartella di pagamento, in materia di tassa sui rifiuti solidi urbani, è nulla se non è stata preceduta dalla notifica dell'avviso bonario o dell'avviso di accertamento da parte dell'ente creditore. I giudici di Bolzano fondano il loro ragionamento su quanto deciso dalla Corte di cassazione civile, sezione quinta, con la sentenza numero 6104, del 16.03.2011,.
In materia, infatti, i Supremi giudici della Corte di cassazione hanno stabilito che «in tema di Tarsu, essendo a tale tributo in larga parte applicabile la disciplina prevista per la riscossione delle imposte sui redditi, in virtù dell'articolo 72, commi 4 e 5, del decreto legislativo 15.11.1993, numero 507, deve ritenersi che la mancata previa notifica della cartella esattoriale di pagamento, o, a maggior ragione, dell'avviso di accertamento, comporti la nullità dell'avviso di mora, deducibile in quanto vizio proprio dell'atto, anche nei confronti del concessionario che lo abbia emesso».
Anche se il richiamo alla sentenza della Corte di cassazione è un richiamo lato, la sentenza dei giudici di Bolzano, nel merito, è condivisibile (articolo ItaliaOggi Sette del 13.05.2013).

TRIBUTI: Termine Imu.
Domanda
Gli enti non commerciali entro quale data devono presentare la dichiarazione Imu?
Risposta
Il ministero dell'economia e delle finanze, con la Risoluzione dell'11.01.2013, numero 1/DF, ha chiarito che per quanto riguarda gli adempimenti relativi agli obblighi dichiarativi Imu degli enti non commerciali, si deve fare riferimento all'articolo 91-bis del decreto legge 24.01.2012, numero 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, numero 27, integrato dal comma 6 dell'articolo 9 del decreto legge 10.10.2012, numero 174, convertito con modificazioni dalla legge 07.12.2012, numero 213, il quale prevede che, a partire dal 01.01.2013, l'esenzione di cui alla lettera i), comma 1, dell'articolo 7 del decreto legislativo 30.12.1992, numero 504, si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile, quale risulta da apposita dichiarazione e che, con successivo decreto del ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità e le procedure relative alla predetta dichiarazione, gli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale nonché i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lettera i) del comma dell'articolo 7 del decreto legislativo 30.12.1992, numero 504, come svolte con modalità non commerciali.
Il decreto ministeriale 19.11.2012, numero 200, di attuazione del citato comma 3, dell'articolo 91-bis, all'articolo 6 stabilisce che gli enti non commerciali presentano la dichiarazione di cui all'articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14.03.2011, numero 23, indicando distintamente gli immobili per i quali è dovuta l'Imu, anche a seguito dell'applicazione del comma 2 dell'articolo 91-bis, del decreto legge numero 1 del 2012, nonché gli immobili per i quali l'esenzione Imu si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale degli stessi. La dichiarazione non è presentata negli anni in cui non vi sono variazioni.
«
Pertanto», puntualizza la suddetta risoluzione, «gli enti interessati non devono presentare la dichiarazione Imu entro il 04.02.2012, ma devono attendere la successiva emanazione del decreto di approvazione dell'apposito modello di dichiarazione, in cui verrà indicato anche il termine di presentazione della stessa» (articolo ItaliaOggi Sette del 13.05.2013).

TRIBUTI: Nota di approfondimento sulle innovazioni normative in materia di IMU e Tares anche con riferimento agli orientamenti espressi dal Mef (Risoluzione n. 5/DF del 28.03.2013 e Circolare n. 1/DF del 29.04.2013) (IFEL, nota 10.05.2013).

TRIBUTIBilanci. Termine al 30 giugno. Fino al 30 settembre spazio a rincari su tutto il fisco locale.
Nel caos che domina i conti locali, privi di qualsiasi certezza sulle entrate fiscali ma anche sulla distribuzione dai tagli disposti nel 2012 dalla spending review ancora da attuare, molti Comuni non hanno assunto nuove decisioni sulle aliquote di Imu e addizionale Irpef entro la scadenza di ieri. All'atto pratico, però, cambia poco: il 9 maggio è solo un primo termine e per ritoccare i conti c'è ancora molto tempo.
La prima scadenza generale è fissata (per ora) al 30 giugno, data entro la quale i Consigli comunali dovranno dare il via libera ai bilanci di previsione 2013. Per scrivere i preventivi, naturalmente, occorre aver deciso le aliquote e calcolato le entrate che ne derivano. Perciò le scadenze per conti e fiscalità locale coincidono. Non è escluso, però, che il termine del 30 giugno slitti: molte amministrazioni sono nell'impossibilità materiale di scrivere bilanci in grado di rispettare i criteri di correttezza e veridicità.
L'ultima legge di stabilità comunque, viste le tante incognite sui conti comunali, ha offerto i tempi supplementari: se c'è l'esigenza di salvaguardare gli equilibri ed evitare che i conti vadano fuori controllo, le amministrazioni potranno alzare addizionali o Imu anche dopo aver chiuso i bilanci preventivi, purché lo facciano entro il 30 settembre.
Il termine indicato dall'ultimo decreto sui pagamenti e scaduto ieri, insomma, serve solo a far incidere le nuove scelte già sul saldo Imu del 17 giugno (il 16 è domenica). L'unica conseguenza, quindi, è che gli aumenti decisi dopo si scaricheranno integralmente sul saldo di dicembre, mentre sulla prima rata i calcoli seguiranno le aliquote decise l'anno scorso (anche per i fabbricati di imprese, alberghi e centri commerciali, con tutte le complicazioni nei calcoli per il cambio di distribuzione del gettito fra Stato e Comuni; si veda l'articolo sotto).
Ma quanto è diffusa la possibilità di incappare in nuovi aumenti, dopo la corsa delle aliquote vista l'anno scorso soprattutto nell'Imu? Per l'imposta sul mattone, il rischio si concentra in particolare nei Comuni che nonostante tutto hanno mantenuto finora inalterati i parametri standard fissati dal decreto Salva-Italia del 2011. Si tratta del 49,5% dei municipi italiani, che quest'anno potrebbero essere costretti a ritoccare in alto le aliquote per far quadrare i conti. Lo stesso potrebbe accadere in un altro 20% abbondante di enti che hanno già rivisto le aliquote senza però toccarne i massimi.
Per le addizionali Irpef, invece, l'intensità del rischio è in una certa misura proporzionale al reddito dichiarato, perché cresce la tendenza a differenziare le richieste fiscali in base ai guadagni dei contribuenti: una tendenza corretta, ma solo se le dichiarazioni fossero sempre fedeli ai redditi reali dei contribuenti.
A moltiplicare il rischio, anche quest'anno è comunque il "costo fiscale" dell'incertezza che connota sempre di più le regole di finanza pubblica. Sembra un concetto astratto, ma diventa concretissimo se ci si mette nei panni di un sindaco (o, peggio, di un responsabile dei servizi finanziari). Oggi i Comuni ignorano l'entità delle entrate da Imu, la somma del fondo di solidarietà (gli ex-trasferimenti, oggi alimentati sempre dall'Imu) e, sulle uscite, la quota di tagli che dovranno subire quest'anno. È ovvio che, per evitare sorprese, la via d'uscita fiscale possa diventare trafficata (articolo Il Sole 24 Ore del 10.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: OGGETTO: Risposte a quesiti riguardanti detrazioni, cedolare secca, redditi di lavoro dipendente e fondiari, IMU e IVIE (Agenzia delle Entrate, circolare 09.05.2013 n. 13/E).

TRIBUTIImu, comuni scontenti. A rischiare di più saranno le seconde case. Le considerazioni del Cnai sull'annuncio di sospensione dell'imposta.
La scadenza dell'Imu viaggia sul filo dell'incertezza.
Siamo in attesa del decreto di sospensione dell'Imu, come dichiarato dal premier Enrico Letta, per la rata di giugno.
Il decreto di prossima emanazione dovrebbe riguardare la sospensione del pagamento Imu solo sulla prima casa, portando benefici alla maggior parte dei cittadini, in quanto proprietari di un unico immobile, appunto l'abitazione principale.
Malumori invece dai comuni che vedono sfumare milioni di euro già riportati in bilancio, senza stanziamento di risorse alternative.
Il Cnai è convinto della necessità di sospendere l'Imu fino ad arrivare all'abrogazione dell'imposta stessa, tuttavia non si può prescindere da alcuni ragionamenti. A causa della riduzione del gettito dovuta dalle prime case, i comuni potrebbero decidere di aumentare le aliquote sulle seconde case; chiaramente le ripercussioni non mancherebbero, per esempio un ulteriore crollo del mercato immobiliare e rischi di speculazioni finanziarie a scapito dei meno facoltosi. Alcuni comuni stanno anche lavorando per aumentare l'aliquota sulla prima casa, se venisse sospeso il pagamento di giugno e a questa prima iniziativa non si aggiungessero ulteriori interventi, il pagamento per intero ricadrebbe sulla rata di dicembre, con l'aggravio di una maggiore percentuale dell'imposta, così i comuni andrebbero a recuperare anche la perdita subita a giugno, e con l'aliquota maggiorata vedrebbero equiparato ampiamente il valore del denaro incassato a dicembre. Altri stanno pensando di non riconfermare le ulteriori quote di esenzione previste per le fasce di cittadini svantaggiati e più poveri, quindi anche in questo caso, il mancato incasso della rata di giugno peserebbe addirittura sulle persone più bisognose.
Altra perplessità riguarda sempre le seconde case, quelle in locazione. L'aumento dell'Imu porterebbe sicuramente un relativo aumento dei canoni di affitto, ma di conseguenza vi sarebbe una ripercussione sull'imposta di registro, un aumento tirerebbe l'altro; facilmente più di qualcuno penserà a incassare la maggiorazione del canone, o addirittura l'intero affitto in nero. Ovviamente anche in questa ipotesi i danni erariali sarebbe elevati.
Inoltre non dimentichiamo i tempi, Caf professionisti e consulenti, in questo periodo sono alle prese con infinite scadenze fiscali, hanno diritto a organizzare nella maniera più opportuna il loro lavoro, ma come fanno se a oggi non si sa se pagare oppure no; la scadenza Imu è prevista per il 17 giugno prossimo, al Caf Cnai e al Cnai, portavoce dei professionisti e delle aziende rappresentate, lamentiamo le lungaggini della burocrazia e la lentezza operativa, che non consente di agire con correttezza portando tutti ad attivarsi all'ultimo minuto, senza dimenticare la farraginosità del calcolo.
Senza parlare del principio di incostituzionalità su cui si fonda l'Imu. Gli italiani pagano e rischiano di pagare un'imposta ingiusta sulle abitazioni che nel nostro paese rappresentano la forma più comune di investimento. Queste le parole del presidente del Cnai, Orazio Di Renzo, che sintetizza dichiarando: «Chi riesce con sacrifici e impegno a pagare una casa e a possederla, per lo stato e le banche rappresenta sicuramente una forma di garanzia e di stabilità, anziché premiarlo al contrario viene pluripenalizzato, da quando decide di contrarre il mutuo per l'acquisto. Riprendendo un nostro concetto, è proprio vero che tutti i comportamenti messi in essere dalla nostra politica sembrano preferire una società liquida, dove tutto è incerto e senza struttura, senza garanzie né progetti. Se non fosse per i cittadini che oggi possiedono un'immobile, tutto l'apparato pubblico potrebbe lavorare sul nulla, perché nessuno avrebbe niente da rischiare; se molti sono ligi nei pagamenti e attenti a come agiscono è soprattutto per non perdere quello che hanno, appunto la casa, tutto il resto gira intorno al concetto di improvvisazione» (articolo ItaliaOggi del 09.05.2013).

TRIBUTI: La Ctr di Firenze sui valori Ici/Imu. Accertamenti standard ko.
La determinazione dei valori delle aree edificabili richiede anche il buon senso. L'accertamento Ici (e Imu) fondato sul valore di mercato deve essere fatto area per area e non per zone omogenee, applicando i valori indicati in una tabella. La definizione dei valori delle aree con regolamento, infatti, viola i limiti fissati dalla legge all'esercizio del potere regolamentare, in quanto i comuni non possono individuare e definire le fattispecie imponibili.

Lo ha affermato la commissione tributaria regionale di Firenze, Sez. XXIV, con la sentenza 15.02.2013 n. 8.
Per i giudici il comune così come non può stabilire un valore imponibile per i fabbricati diverso da quello calcolato sulla base della rendita catastale, «non può neanche -per le aree edificabili- mutare il criterio di calcolo basato -per legge- sul valore venale in comune commercio».
Secondo la Ctr, l'articolo 52 del dlgs 446/1997 pone dei limiti alla potestà regolamentare dei comuni sull'individuazione e la definizione delle fattispecie imponibili. Un'area edificabile è soggetta a Ici sulla base del suo valore di mercato e, si legge nella pronuncia, «tale valore, proprio perché individuale e, quindi, unico, difficilmente potrà essere riconducibile a una qualche tabella di valori fissata dall'ente, sia pur per zone omogenee».
Dunque, l'accertamento va fatto area per area «tenendo conto di una serie di elementi, in parte dettati dalla norma, in parte dal buon senso». In realtà, i criteri per determinare il valore di un'area edificabile sono fissati dall'articolo 5 del decreto legislativo 504/1992. Questa norma si applica sia all'Ici sia all'Imu. Occorre fare riferimento a zona territoriale di ubicazione dell'area, indice di edificabilità, destinazione d'uso consentita, oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione e, infine, ai prezzi medi rilevati sul mercato di aree aventi le stesse caratteristiche.
I valori possono essere deliberati dal consiglio comunale o dalla giunta. La differenza tra i due atti generali è data dal fatto che i valori medi fissati dal consiglio con regolamento sono vincolanti, mentre sono solo delle direttive interne se deliberati dalla giunta (articolo ItaliaOggi del 07.05.2013).

TRIBUTIIl dl 35/13 ha rimesso in termini i contribuenti che non hanno ancora provveduto.
Imu, dichiarazioni senza fretta. Tempo fino al 30 giugno per acquisti effettuati nel 2012.

Si allungano i termini per la presentazione della dichiarazione Imu. Slitta al 30 giugno dell'anno successivo all'acquisto del possesso dell'immobile il termine per denunciarne la titolarità o per dichiararne le variazioni.
Lo prevede l'articolo 10 del dl «pagamenti p.a.» (35/2013) che, oltre a modificare il termine per la dichiarazione a regime, il cui obbligo prima dell'intervento normativo era soggetto al termine breve di 90 giorni, ha anche rimesso in termini i contribuenti che non hanno ancora provveduto all'adempimento per acquisti effettuati a partire dalla data di istituzione dell'imposta municipale (01.01.2012).
Tutti i soggetti interessati hanno la possibilità di assolvere all'obbligo entro il prossimo 30 giugno. Pertanto, anche chi non ha presentato la dichiarazione nei termini non è sanzionabile, purché provveda a regolarizzare la propria posizione.
La scadenza. Sul nuovo termine per le dichiarazioni Imu è intervenuto il ministero dell'economia e delle finanze, con la circolare 1/2013, che ha fornito dei chiarimenti sia ai comuni che ai contribuenti. Secondo il ministero, l'ampliamento del termine per la presentazione della dichiarazione «ha lo scopo di evitare un'eccessiva frammentazione dell'obbligo dichiarativo derivante dal precedente termine mobile dei 90 giorni e risolve i problemi sorti in ordine alla possibilità, da parte dei contribuenti, di ricorrere all'istituto del ravvedimento, disciplinato dall'articolo 13 del decreto legislativo 472/1997, che altrimenti non avrebbero trovato soluzione».
L'articolo 10, infatti, come indicato nella relazione di accompagnamento al decreto 35/2013, prevede due diversi termini «collegati alla natura periodica o non periodica della dichiarazione».
La circolare ministeriale pone in rilievo che la norma oltre a stabilire a regime il nuovo termine di presentazione delle dichiarazioni, «produce effetti anche su quelle dovute per l'anno 2012 che potranno, quindi, essere presentate entro il 30.06.2013». Pertanto, i contribuenti per i quali l'obbligo è sorto dal 01.01.2012, devono presentare la dichiarazione entro il prossimo 30 giugno e non più, come previsto prima della modifica normativa, entro il 04.02.2013.
Naturalmente, la nuova scadenza è fissata per tutti coloro che hanno acquistato nel corso del 2012 la proprietà di immobili o di altri diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, superficie e così via). La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi, a meno che non intervengano variazioni dei dati dai quali possa conseguire un diverso ammontare dell'imposta dovuta.
Soggetti obbligati. I contribuenti che hanno ceduto o acquistato immobili o la titolarità di altri diritti reali nel 2012 devono inoltrare la dichiarazione al comune, a meno che gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta non siano acquisibili attraverso la consultazione della banca dati catastale o gli enti non siano già in possesso delle informazioni necessarie per verificare il corretto adempimento dell'obbligazione tributaria.
La dichiarazione deve essere presentata da coloro che vantino il diritto a fruire di riduzioni d'imposta. Quindi, sono tenuti all'adempimento coloro che possiedono immobili di interesse storico o artistico.
Inoltre, vanno denunciati tutti i casi in cui l'amministrazione comunale non possiede le notizie utili per verificare l'operato dei contribuenti.
Nello specifico, tra i casi più significativi, l'adempimento è richiesto quando: l'immobile ha formato oggetto di locazione finanziaria o di un atto di concessione amministrativa su aree demaniali; l'immobile viene concesso in locazione finanziaria, un terreno agricolo diventa area edificabile o, viceversa, l'area diviene edificabile in seguito alla demolizione di un fabbricato. Va dichiarato qualsiasi atto costitutivo, modificativo o traslativo del diritto che abbia avuto a oggetto un'area fabbricabile.
Il valore dell'area, che è quello di mercato, deve sempre essere dichiarato dal contribuente, poiché questa informazione non è presente nella banca dati catastale. Ecco perché l'obbligo non sussiste quando viene alienata un'area fabbricabile, se non ha subito modifiche il suo valore di mercato rispetto a quello dichiarato in precedenza. L'obbligo non è abolito neppure per gli immobili posseduti dalle imprese e distintamente contabilizzati, classificabili nel gruppo catastale D, che sono tenute a dichiarare il valore venale del bene sulla base delle scritture contabili, sia in aumento che in diminuzione, fino all'anno di attribuzione della rendita catastale. La dichiarazione, poi, deve essere presentata per gli immobili relativamente ai quali siano intervenute delle modifiche rilevanti ai fini della determinazione dell'imposta dovuta e del soggetto obbligato al pagamento.
Sono tenuti all'adempimento i titolari di fabbricati inagibili o inabitabili solo se si perde il diritto al beneficio fiscale, poiché il comune non dispone delle informazioni necessarie per verificare il venir meno delle condizioni richieste dalla legge. Va ricordato che le istruzioni per adempiere all'obbligo dichiarativo sono contenute in un allegato al modello di dichiarazione approvato con decreto ministeriale del 30.10.2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
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Esonero per le prime case.
Esonerati dall'obbligo di presentare la dichiarazione Imu coloro hanno già assolto all'obbligo per l'Ici. Non sono tenuti neppure i possessori di immobili adibiti ad abitazione principale, con relative pertinenze. Nelle istruzioni ministeriali allegate al nuovo modello viene precisato che la conoscenza da parte del comune delle risultanze anagrafiche fa venire meno la necessità di presentazione della dichiarazione. L'esclusione si estende anche all'indicazione dei figli di età non superiore a 26 anni per i quali è possibile fruire della maggiorazione di 50 euro.
Tuttavia, anche per i titolari di immobili adibiti a prima casa le istruzioni prevedono un'eccezione all'esonero generalizzato dall'obbligo dichiarativo, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare possiedano più di un immobile nello stesso comune. La legge esclude il doppio beneficio per i coniugi non legalmente separati. L'agevolazione, infatti, è limitata a un solo immobile nel quale risiede e dimora uno dei coniugi, il quale è tenuto a presentare la dichiarazione. In questo caso il ministero ritiene che, al fine di evitare comportamenti elusivi in ordine all'applicazione delle agevolazioni, riemerge l'esigenza di porre l'obbligo dichiarativo a carico di uno dei due coniugi.
Altra eccezione è rappresentata dal coniuge assegnatario: lo stesso è obbligato a presentare la dichiarazione Imu solo se il comune in cui si trova l'ex casa coniugale non coincide né con il comune di in cui è stato celebrato il matrimonio, né con il comune di nascita. In seguito a separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'art. 4, comma 12-quinquies del dl 16/2012, convertito dalla legge 44/2012, ha stabilito che l'assegnazione della casa coniugale al coniuge si intende effettuata a titolo di diritto di abitazione.
In questo caso, però, il provvedimento del giudice viene comunicato solo al comune di celebrazione del matrimonio, che è tenuto a informare il comune d nascita degli ex coniugi dell'avvenuta modificazione dello stato civile. Ecco perché la dichiarazione va presentata solo se il comune nel cui territorio è ubicato l'immobile assegnato non coincide né con il comune dove è stato celebrato il matrimonio né con quello di nascita (articolo ItaliaOggi Sette del 06.05.2013).

TRIBUTI: Fisco locale. Abrogata la possibilità di alzare l'imposta e i diritti sulle affissioni.
Aumenti vietati per la pubblicità
LO STOP/ L'ultimo decreto Sviluppo ha cancellato la chance di elevare le tariffe e colpisce anche i ritocchi già decisi in passato.

A rischio il gettito derivante dall'imposta di pubblicità e dai diritti sulle pubbliche affissioni.
In un contesto particolarmente difficile per la finanza locale, le entrate provenienti dalle tariffe definite al Capo I del Dlgs 507/1993 non possono più essere aumentate rispetto alla misura standard.
L'articolo 11, comma 10, della legge 449/1997, integrato dall'articolo 30, comma 17, della Finanziaria 2000, elevava al 50% l'aumento massimo consentito per superfici superiori al metro quadrato, a decorrere dal 01.01.2000. Il punto 30 dell'Allegato 1 al Dl 83/2012 abroga questa norma, con decorrenza 26.06.2012. Nonostante lo sblocco della potestà tributaria e tariffaria degli enti locali, le tariffe dell'imposta di pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni non possono quindi superare le misure standard previste dal Dlgs 507/1993.
L'unica eccezione è rappresentata dalla possibilità di aumento, limitatamente alle affissioni di carattere commerciale, prevista per i Comuni delle prime tre classi, che possono suddividere le località del proprio territorio in due categorie in relazione alla loro importanza, applicando alla categoria speciale una maggiorazione fino al 150% della tariffa normale.
Il regolamento comunale deve comunque specificare le località comprese nella categoria speciale, la cui superficie complessiva non può superare il 35% di quella del centro abitato; in ogni caso, la superficie degli impianti per pubbliche affissioni installati in categoria speciale non potrà essere superiore alla metà di quella complessiva. In ossequio al principio generale secondo cui l'impianto tributario e tariffario deve essere definito in rifermento alle norme vigenti, è da ritenersi che eventuali aumenti deliberati in passato non possano essere confermati nel 2013.
Il nodo da sciogliere non è tuttavia di poco conto se si considera che la legge 296/2006 (articolo 1, comma 169) dispone che gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione e che, se l'ente non delibera alcuna variazione di aliquote e tariffe, le stesse si intendono prorogate di anno in anno.
La variazione delle tariffe determinerebbe inoltre l'obbligo di rimborso delle somme eventualmente corrisposte per l'anno in corso.
A poco tempo dalla scadenza per l'approvazione dei bilanci, molte sono ancora le incertezze in tema di entrate degli enti locali. Manca infatti la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio 2012 (che avrebbe dovuto avvenire entro lo scorso 28 febbraio in funzione del gettito Imu definitivamente accertato a favore di Comuni) e, conseguentemente, la quota di gettito da versare allo Stato al fine di costituire il Fondo di Solidarietà, nonché le relative modalità di riparto.
Alle questioni sopra accennate si sommano inoltre le incertezze sul quadro ordinamentale della Tares e dell'Imu, che solo parzialmente hanno trovato definizione con il recente DL 35/2013.
È auspicabile che si arrivi quanto prima alla definizione di un quadro normativo certo, in riferimento al quale poter pianificare correttamente le risorse e le strategie per il raggiungimento degli obiettivi programmati (articolo Il Sole 24 Ore del 06.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTIMaggiorazioni Tares, le agevolazioni restano.
Il gettito Tares relativo alla maggiorazione standard, nella misura di 0,30 euro al metro quadrato, spetta allo stato. I comuni, inoltre, non hanno più il potere di aumentarla. Tuttavia le agevolazioni stabilite dalla legge o deliberate dalle amministrazioni locali si applicano anche alla maggiorazione.

Lo ha precisato il ministero dell'economia con la circolare 29.04.2013 n. 1/DF.
L'articolo 10 del dl «pagamenti p.a.» (35/2013), infatti, ha stabilito che il gettito della maggiorazione standard è riservato allo stato. Questa addizionale alla tassa rifiuti è dovuta in misura pari a 0,30 euro per metro quadrato e non è più consentito ai comuni di aumentarla fino a 0,10 euro, come previsto prima dell'intervento normativo. Secondo il ministero, però, l'articolo 10 dispone la deroga rispetto alla disciplina Tares, contenuta nell'articolo 14 del dl 201/2011, solo per quanto concerne «la destinazione del gettito della maggiorazione allo stato».
Invece, continuano ad applicarsi «alla suddetta maggiorazione le agevolazioni di cui ai commi da 15 a 20 dello stesso art. 14» (per esempio, per mancata raccolta, mancato svolgimento del servizio, rifiuti assimilati). In effetti i comuni hanno il potere di concedere, con regolamento, riduzioni tariffarie per particolari situazioni espressamente individuate dalla legge.
Anche i benefici fiscali concessi dal comune si applicano non solo alla tassa, ma anche alla maggiorazione standard. L'articolo 14 riconosce al comune la facoltà di stabilire riduzioni del tributo dovuto in presenza di determinate situazioni in cui si presume che vi sia una minore capacità di produzione di rifiuti. A queste riduzioni viene fissato dalla norma un tetto massimo.
La riduzione della tariffa non può superare il limite del 30%. In particolare, questo beneficio può essere concesso per: abitazioni con unico occupante; abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; locali e aree scoperte adibiti a uso stagionale; abitazioni occupate da soggetti che risiedono o hanno la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero.
Le riduzioni tariffarie, anche per le utenze domestiche, si applicano sia sulla parte fissa che sulla parte variabile della tariffa. Per le utenze non domestiche la natura stagionale dell'attività deve essere comprovata dalla licenza (articolo ItaliaOggi del 04.05.2013).

TRIBUTINON PROFIT/ La Suprema corte sull'ambito delle agevolazioni. Ici e Imu, pochi esclusi. Solo l'uso diretto del bene assicura esenzioni.
L'esenzione Ici (e Imu) spetta agli enti non commerciali solo se gli immobili vengono utilizzati direttamente per le attività di assistenza. L'agevolazione, dunque, non spetta nel caso di uso dell'immobile da parte di un altro ente, anche se l'attività svolta è assistita da finalità di pubblico interesse.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con l'ordinanza 15.02.2013 n. 3843.
Per i giudici di Piazza Cavour, lo svolgimento di attività assistenziali «esige la duplice condizione dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore, e dell'esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Pertanto l'esenzione non spetta nel caso di utilizzazione indiretta, come nella specie, ancorché eventualmente assistita da finalità di pubblico interesse».
Questa pronuncia è interessante perché, correttamente, la Cassazione smentisce la tesi sostenuta di recente dal ministero delle finanze (risoluzione 4/2013), secondo il quale il beneficio fiscale deve essere riconosciuto anche nel caso in cui l'immobile venga dato in uso a un altro ente non commerciale. La presa di posizione ministeriale non è neppure in linea con le pronunce della Corte costituzionale.
La Consulta ha affermato che per fruire dell'esenzione Ici (ma la stessa regola vale per l'Imu) l'ente non commerciale deve non solo possedere, ma anche utilizzare direttamente l'immobile. Per il ministero, invece, un ente non commerciale che concede in comodato un immobile a un altro ente non profit, che vi svolga un'attività con modalità non commerciali, ha diritto all'esenzione Imu anche se non lo utilizza direttamente.
Nella risoluzione 4/2013, infatti, viene data una lettura a dir poco elastica delle tesi giurisprudenziali, in quanto viene ritenuto fruibile il beneficio fiscale anche nei casi in cui l'immobile posseduto da un ente non commerciale venga concesso in comodato a un altro ente, che svolga le attività elencate dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 504/1992 (ricreative, culturali, didattiche, sportive, assistenziali, sanitarie e così via). A maggior ragione, si legge nella risoluzione, se l'immobile venga dato in comodato a un altro ente appartenente alla stessa struttura del concedente, purché l'utilizzatore fornisca all'ente non profit «tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento degli obblighi tributari sia di carattere formale sia sostanziale».
Va ricordato che la disciplina Imu ha confermato l'esenzione per gli immobili posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali, fissando però regole diverse rispetto all'Ici. L'articolo 7, comma 1), lettera i) riconosce l'esenzione alle attività elencate dalla norma purché non abbiano natura commerciale. In effetti, l'articolo 91-bis del dl liberalizzazioni (1/2012), in sede di conversione in legge (27/2012), ha ribadito che gli enti ecclesiastici e non profit pagano l'Imu se sugli immobili posseduti vengono svolte attività commerciali. Tuttavia, ha apportato delle modifiche alla disciplina delle agevolazioni riconoscendo, in presenza di determinate condizioni, un'esenzione parziale (articolo ItaliaOggi del 03.05.2013).

TRIBUTIRegolamenti da inviare alle Finanze solo online. La circolare n. 1/df chiarisce che l'efficacia decorre dalla data di pubblicazione.
Dal 2013 non solo le deliberazioni di approvazione delle aliquote e della detrazione, ma anche i regolamenti dell'Imu devono essere inviati esclusivamente per via telematica per la pubblicazione nel sito informatico www.finanze.it. Dalla data di pubblicazione decorre la loro efficacia.
La circolare 29.04.2013 n. 1/DF delle Finanze precisa che detti provvedimenti devono essere inviati esclusivamente per via telematica, mediante inserimento del loro testo nell'apposita sezione del Portale del federalismo fiscale. Questo comporta che non potranno essere prese in considerazione le deliberazioni inviate con modalità diverse (posta elettronica, pec, fax o spedizione dell'atto in forma cartacea).
Tutto ciò non impatta in alcun modo sui termini di adozione di tali atti che devono essere, comunque, approvati entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione, come stabilisce il comma 169 dell'art. 1 della legge 27.12.2006, n. 296, per le aliquote e l'art. 53, comma 16, della legge 23.12.2000, n. 388 per i regolamenti. La circolare ricorda anche che il comma 3 dell'art. 193 del Tuel -modificato dall'art. 1, comma 444 della legge n. 228 del 2012- stabilisce che «per il ripristino degli equilibri di bilancio e in deroga all'articolo 1, comma 169, della legge 27.12.2006, n. 296, l'ente può modificare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di propria competenza entro la data di cui al comma 2» e cioè entro il 30 settembre di ciascun anno. È bene rimarcare che detta norma non opera per tutti gli enti, ma solo per i comuni che devono ripristinare gli equilibri di bilancio.
Il nuovo comma 13-bis dell'art. 13 del dl n. 201 del 2011, introduce, poi, nel sistema una tempistica dei versamenti precisando che:
• la prima rata dell'Imu va versata in base agli atti pubblicati alla data del 16 maggio di ciascun anno di imposta. Pertanto l'invio degli atti da parte dei comuni deve avvenire entro il 9 maggio;
• la seconda rata va pagata in base agli atti pubblicati data del 16 novembre, che devono essere inviati dai comuni entro il 9 novembre.
Cosa accade se i comuni non osservano le date stabilite? La risposta è offerta dalla legge che stabilisce, riguardo al pagamento:
• della prima rata, che i soggetti passivi calcolano l'imposta nella misura pari al 50% di quella dovuta sulla base dell'aliquota e della detrazione dei dodici mesi dell'anno precedente;
• del saldo, che se non risultano pubblicate nuove delibere alla data del 16 novembre, i contribuenti devono prendere in considerazione gli atti pubblicati entro il 16 maggio dell'anno di riferimento oppure, in mancanza, quelli adottati per l'anno precedente.
Nella circolare si richiama, infatti, quanto precisato nella risoluzione n. 5/Df del 28.03.2013, e cioè che, se alla data del 16.05.2013 non risulti pubblicata alcuna deliberazione per il 2013, il contribuente dovrà verificare se è stata pubblicata la deliberazione relativa al 2012. Se manca anche questa applicherà le aliquote fissate dalla legge.
Se poi il comune intende confermare per il 2013 le aliquote dell'anno 2012 -poiché non è necessario adottare un'apposita deliberazione- deve accertarsi che la deliberazione relativa all'anno 2012 sia stata pubblicata sul sito e, in caso contrario, inviarla in via telematica per il suo inserimento nella parte relativa all'anno 2012.
Riguardo poi all'adempimento posto a carico dei comuni di compilare una griglia riassuntiva delle aliquote e dei regimi agevolativi determinati con le delibere, la circolare precisa che esso non incide sull'efficacia costitutiva dei regolamenti e delle deliberazioni Imu che è determinata unicamente dalla pubblicazione nel sito informatico del ministero dell'economia e delle finanze. Si ricorda che nella relazione alla norma è precisato che detta griglia è necessaria per disporre, nel momento in cui occorre effettuare le necessarie elaborazioni che affiancano le proposte normative, di un quadro definito e di immediata percezione delle manovre adottate dai comuni. Il tutto è però rimandato a data da destinarsi (articolo ItaliaOggi del 03.05.2013).

TRIBUTISu rate e scadenze della Tares decide il Consiglio comunale.
La delibera che fissa per il 2013 il numero delle rate e le scadenze di pagamento della Tares va adottata dal Consiglio comunale.

Lo chiarisce il ministero dell'Economia con la circolare 29.04.2013 n. 1/DF (si veda anche Il Sole 24 Ore del 1° maggio), illustrando le novità introdotte dal Dl 35/2013 sul nuovo tributo comunale su rifiuti e servizi.
La posizione ministeriale è condivisibile e in linea con il dettato normativo, considerato che l'articolo 14, comma 22 del Dl 201/2011 attribuisce alla potestà regolamentare la disciplina sui termini di versamento del tributo: quindi è chiara la competenza del consiglio comunale. Viene così smentita la tesi a sostegno della giunta comunale, che si ricaverebbe dalla formulazione letterale dell'articolo 10 del Dl 35/2013 nella parte in cui consente ai comuni di deliberare «anche nelle more della regolamentazione comunale del nuovo tributo».
In realtà, l'inciso non introduce alcuna deroga al regime delle competenze ma è finalizzato a legittimare la riscossione della Tares in assenza degli atti fondamentali del tributo (regolamento, piano finanziario e tariffe). Senza un regolamento applicativo e senza le tariffe il prelievo non troverebbe attuazione, non essendovi una disciplina di legge di supplenza. La precisazione contenuta nel Dl 35/2013 consente quindi ai comuni di riscuotere la Tares, ancorché in acconto, pur in assenza del titolo che legittima la pretesa di una somma per il finanziamento del servizio rifiuti.
Occorre, quindi, portare quanto prima in consiglio comunale la proposta di delibera, visto l'obbligo di pubblicare il provvedimento almeno 30 giorni prima della data di versamento: ad esempio, in caso di delibera adottata e resa esecutiva il 10 maggio la prima rata non può avere una scadenza anteriore al 10 giugno.
Il Mef precisa che se il comune non interviene con propria delibera a modificare la scadenza delle rate della Tares, il termine per il versamento resta fissato a luglio e a ottobre 2013. Il Dl 35/2013 consente, inoltre, ai comuni di far pagare un acconto del nuovo tributo secondo gli importi stabiliti nel 2012 ai fini Tarsu, Tia1 e Tia2, ma l'ultima rata dovrà essere determinata sulla base dei nuovi criteri Tares e versata contestualmente alla maggiorazione standard. Dal pagamento in acconto va esclusa anche l'Iva, non compatibile con la natura tributaria della Tares, ma sul punto il ministero tace.
In ordine alla riscossione delle prime rate i comuni possono utilizzare le modalità di versamento già in uso nel corso del 2012 (per esempio Mav, Rid e bollettini di conto corrente) ma il Mef avverte che non è possibile aprire un apposito conto corrente postale intestato alla Tares oppure modificare l'intestazione di quelli già esistenti (articolo Il Sole 24 Ore del 03.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Imu seconde case, acconto facile. A giugno si paga il 50% del totale dell'imposta 2012. Nota Mef. In attesa di sapere la sorte del tributo sull'abitazione principale, ecco come pagare.
I versamenti in acconto e saldo dell'Imu devono essere effettuati in base alle aliquote e detrazioni dell'anno precedente se delibere e regolamenti non vengono pubblicate sul sito del ministero delle finanze, rispettivamente, entro il 16 maggio o il 16 novembre. Nel caso in cui venga pagato l'acconto in base alle aliquote e detrazioni del 2012, il saldo dell'imposta dovuta per l'intero anno dovrà essere versato a conguaglio della prima rata, in base agli atti pubblicati sul sito informatico entro il 16 novembre. Termini più ampi, poi, sono previsti per la presentazione della dichiarazione Imu. Slitta infatti al 30 giugno dell'anno successivo all'acquisto del possesso dell'immobile il termine per denunciarne la titolarità o per dichiararne le variazioni. Vengono inoltre rimessi in termini i contribuenti che non hanno ancora provveduto all'adempimento per acquisti effettuati a partire dalla data di istituzione dell'imposta municipale (01.01.2012).
Sono alcuni chiarimenti che il ministero delle finanze ha fornito a comuni e contribuenti, con la circolare 29.04.2013 n. 1/Df diffusa ieri, sulle nuove disposizioni contenute nell'articolo 10 del dl «pagamenti p.a.» (35/2013), che ha modificato i termini per dichiarazioni e delibere Imu, le quali hanno incidenza anche sul calcolo dell'imposta in acconto e saldo.
Delibere comunali e versamenti. Nella circolare ministeriale viene precisato che dal 2013 ha effetto costitutivo la pubblicazione sul sito del ministero dell'economia e delle finanze delle delibere di approvazione di aliquote e detrazioni d'imposta, nonché dei regolamenti comunali. Questi atti devono essere inviati solo per via telematica e vanno inseriti nell'apposito Portale del federalismo fiscale. Delibere e regolamenti condizionano anche i versamenti del tributo.
Il quantum dovuto per l'imposta è legato all'avvenuta pubblicazione sul sito ministeriale dei provvedimenti comunali. Al riguardo il ministero ha chiarito che, qualora i comuni non inviino questi atti generali entro le scadenze fissate dalla legge, scatta «un meccanismo di salvaguardia per consentire, comunque, i versamenti dell'imposta nei termini dovuti». Se la pubblicazione non viene fatta entro il 16 maggio, i contribuenti sono legittimati a calcolare l'acconto, nella misura del 50%, sulla base delle aliquote e detrazioni dei 12 mesi dell'anno precedente.
Qualora dovesse essere confermata la sospensione della rata di giugno dell'Imu prima casa (promessa dal premier Enrico Letta), la procedura di cui sopra dovrà essere tenuta bene in mente dai contribuenti alle prese con il pagamento dell'Imu sulle seconde case. Per esempio, se un contribuente ha pagato 600 euro di Imu nel 2012 per una seconda casa, con aliquota del 7,6 per mille in acconto (dovuto 250 euro) e del 9 per mille a saldo, con conguaglio sulla prima rata (dovuto 350 euro), per l'acconto 2013 sarà tenuto a versare 300 euro, vale a dire la metà dell'importo pagato per l'intero anno.
Se gli atti generali non vengono pubblicati entro il 16 maggio, il versamento della seconda rata, a saldo dell'imposta dovuta per l'intero anno, con eventuale conguaglio sulla prima rata, deve essere eseguito tenendo conto degli atti pubblicati sul sito ministeriale entro il 16 novembre. Altrimenti, i contribuenti possono calcolare l'imposta facendo riferimento a aliquote e detrazioni deliberate per l'anno precedente. Se la deliberazione non risulti pubblicata neanche per il 2012, il contribuente dovrà applicare le aliquote stabilite dalla legge.
Dichiarazioni. Secondo il ministero, l'ampliamento del termine per la presentazione della dichiarazione ha lo scopo di evitare un'eccessiva frammentazione dell'obbligo derivante dal precedente «termine mobile dei 90 giorni» e risolve i problemi sorti in ordine alla possibilità di ricorrere all'istituto del ravvedimento operoso «che altrimenti non avrebbero trovato soluzione» (articolo ItaliaOggi dell'01.05.2013).

TRIBUTITares, i comuni decidono numero e scadenze rate.
I comuni, con delibera del consiglio, possono scegliere per il 2013 il numero e la scadenza delle rate della Tares. Se il comune non lo fa, le rate restano fissate a luglio e a ottobre. Per il pagamento delle prime due rate i comuni possono consentire ai contribuenti di utilizzare i modelli di pagamento dello scorso anno relativi alla Tarsu, alla Tia 1 o alla Tia 2. L'ultima rata va pagata solo con il modello F24 o il bollettino di conto corrente postale. La maggiorazione di a 0,30 euro per metro quadrato è riservata allo Stato. Non può essere aumentata fino a 0,10 e va versata in unica soluzione con l'ultima rata. I comuni possono continuare ad avvalersi per la riscossione del tributo dei soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti urbani.

Sono questi i punti di maggiore interesse della circolare 29.04.2013 n. 1/Df della direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del Mef, sulle novità in materia di Tares contenute nell'art. 10, comma 2, del dl 35/2013, che operano limitatamente all'anno 2013, anche in deroga all'art. 14 del dl Salva Italia (dl n. 201/2011).
La norma Tares prevede che il versamento sia effettuato in 4 rate (gennaio, aprile, luglio e ottobre); per il 2013 la prima rata era addirittura slittata a luglio. La norma del dl n. 35 del 2013 rimette le cose a posto riconoscendo ai comuni, per il solo anno 2013, di stabilire con deliberazione consiliare sia il numero che la scadenza delle rate, ma occorre che detta delibera, ai fini della conoscibilità dei contribuenti, sia pubblicata anche sul sito web dell'ente locale almeno 30giorni prima della data di versamento. Se il comune rimane inerte il termine per il versamento della prima rata resta fissato a luglio e mentre l'ultima rata a ottobre 2013, come prescrive il comma 35 dell'art. 14 del dl n. 201 del 2011.
La circolare precisa che per il pagamento delle prime due rate gli enti locali possono inviare ai contribuenti i modelli di pagamento già predisposti e precompilati per il versamento dei precedenti prelievi e cioè per la Tarsu, per la Tia 1 e per la Tia 2. Gli stessi enti possono, inoltre, utilizzare le altre modalità di pagamento dei predetti tributi, già in uso durante l'anno 2012. Gli importi in tal modo versati dovranno essere tenuti in conto per determinare l'ultima rata a saldo che dovrà essere quantificata sulla base dei nuovi importi stabiliti per la Tares. Naturalmente se il comune ha già disciplinato il nuovo tributo, può utilizzare gli strumenti di pagamento precompilati con gli importi determinati sulla base delle tariffe approvate.
Per la seconda deve essere necessariamente utilizzato il modello F24 o il bollettino di conto corrente postale che è in via di predisposizione.
La maggiorazione Tares deve essere versata contestualmente all'ultima rata. La novità consiste nel fatto che il gettito è riservato allo stato. La circolare precisa che il suo importo è pari a 0,30 euro per metro quadrato, e che i comuni non possono aumentarla fino a 0,10 euro, ma continuano ad applicarsi ad essa le agevolazioni di cui ai commi da 15 a 20 dell'art. 14 del dl n. 201, come ad esempio quelle previste per le abitazioni con unico occupante o tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo.
I comuni per il 2013 possono continuare ad avvalersi per la riscossione del tributo dei soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Il dl 35 deroga, quindi, alla disciplina generale di cui al comma 35, dell'art. 14 del dl 201, in base alla quale la Tares è versata esclusivamente al comune. È ovvio, però che il gettito derivante dalla maggiorazione è comunque riservato allo stato. L'ultima precisazione della circolare attiene alle modifiche apportate al comma 4, dell'art. 14 che nulla prevedeva in relazione alle aree scoperte pertinenziali e accessorie di locali diversi da quelli delle civili abitazioni, a differenza di quanto stabilito in vigenza della stessa Tarsu.
Con la nuova formulazione ci si riallinea alle previgenti disposizioni Tarsu, per cui sono escluse dalla tassazione, a eccezione delle aree scoperte operative, le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili e le aree comuni condominiali di cui all'art. 1117 c.c. che non siano detenute o occupate in via esclusiva (articolo ItaliaOggi dell'01.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

aprile 2013

TRIBUTI: OGGETTO: Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES) - Imposta municipale propria (IMU) – Chiarimenti in ordine alle modifiche recate dall’art. 10 del D.L. 08.04.2013, n. 35 (Ministero dell'Economia e delle Finanze, circolare 29.04.2013 n. 1/DF).

TRIBUTI: Ai comuni il gettito Imu dei fabbricati rurali strumentali
Spetta ai comuni il gettito Imu dei fabbricati rurali strumentali. Va allo stato solo il gettito dei fabbricati di categoria D ad aliquota standard del 7,6 per mille.

È questa l'interpretazione che si ricava dalla lettura dell'articolo 1, comma 380, della legge di stabilità (228/2012), nonostante la presa di posizione in senso contrario espressa dal dipartimento delle finanze con la risoluzione 5/2013.
Secondo il dipartimento, l'effetto prodotto dalla norma introdotta dalla legge 228/2012 per i fabbricati rurali ad uso strumentale all'attività agricola, classificati nel gruppo catastale D, è «quello di riservare allo stato il gettito derivante dai citati immobili all'aliquota dello 0,2%». La tesi ministeriale, però, non è condivisibile, poiché l'articolo 1, comma 380, lettera f) della legge di stabilità riserva espressamente allo stato il gettito dell'imposta «derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard». E nell'ambito del gettito riservato allo stato, con aliquota di base del 7,6 per mille, non rientrano gli immobili rurali strumentali anche se inquadrati nella stessa categoria.
Del resto, per questi fabbricati è previsto un trattamento agevolato con applicazione dell'aliquota del 2 per mille che i comuni possono ridurre all'1 per mille, ma che non possono aumentare. È evidente la diversità di trattamento tra fabbricati rurali e altre tipologie di immobili. Tra l'altro, il comma 380 stabilisce che i comuni possono aumentare sino a 3 punti percentuali l'aliquota standard, prevista dall'articolo 13, comma 6, primo periodo del decreto «salva Italia» (201/2011) per gli immobili a uso produttivo classificati nel gruppo catastale D. Dunque, in questa previsione non possono rientrare i fabbricati strumentali, la cui disciplina è contenuta nel comma 8 della stessa disposizione, che impone regole del tutto diverse.
Dal 2013, infatti, la norma elimina la riserva della quota statale del 50% sull'Imu, ma impone la riserva di una quota del tributo dovuto per i fabbricati di categoria D ad aliquota standard (7,6 per mille). Per questi immobili ai comuni viene lasciata la facoltà di aumentare l'aliquota di 3 punti percentuali e di incassare le maggiori somme. Si tratta dei fabbricati destinati a attività industriali o commerciali. In particolare, opifici, alberghi, pensioni e residences, istituti di credito, cambio e assicurazione, teatri, cinematografi e via dicendo.
Va posto in rilievo che per i fabbricati rurali strumentali non conta più la classificazione catastale per avere diritto ai benefici fiscali. Possono infatti mantenere le loro categorie originarie. È sufficiente l'annotazione catastale, tranne per i fabbricati strumentali che siano per loro natura censibili nella categoria D/10. Con la circolare 2/2012 l'Agenzia ha fornito dei chiarimenti, relativamente a quanto disposto dal decreto ministeriale emanato il 26.07.2012, sugli adempimenti che devono porre in essere i titolari dei fabbricati interessati a ottenere l'annotazione negli atti catastali della ruralità, al fine di fruire anche per l'Imu degli sconti.
Domande e autocertificazioni necessarie per il riconoscimento del requisito di ruralità, redatte in conformità ai modelli allegati al decreto ministeriale, avrebbero dovuto essere presentate all'ufficio provinciale competente per territorio entro il 01.10.2012, al fine di ottenere l'esenzione anche per gli anni pregressi. L'eventuale di diniego di ruralità è impugnabile innanzi alle commissioni tributarie. Infatti, nel caso di esito negativo del controllo sulle domande e autocertificazioni prodotte dagli interessati, l'Agenzia è tenuta a notificare un provvedimento motivato con il quale disconosce il requisito della ruralità. Dagli atti catastali risultano anche le annotazioni negative sugli immobili, che impediscono ai contribuenti di poter fruire delle agevolazioni (articolo ItaliaOggi del 26.04.2013).

TRIBUTI: Scadenze a incastro per l'Imu. Le date da monitorare: il 16 maggio e il 16 novembre. Guida per i contribuenti per districarsi con la tempistica senza incappare in sanzioni.
Il calendario è cambiato ma (per ora) gli aumenti rimangono. Imu e Tares continuano a turbare i sonni dei contribuenti, malgrado l'ennesimo restyling normativo operato dal decreto varato dal governo per sbloccare i debiti della p.a. (dl 35/2013). Molte sono, tuttavia, le novità, che riguardano soprattutto la tempistica dei pagamenti.
Per l'Imu, la regola rimane quella (già applicata per l'Ici) del pagamento in due rate, con un primo acconto in scadenza al 17 giugno (il 16 è domenica) e il saldo da versare entro lunedì 16 dicembre. È anche possibile (lo prevede l'art. 9, comma 3, del dlgs 23/2011) provvedere al versamento dell'imposta complessivamente dovuta in un'unica soluzione annuale, da corrispondere entro il termine per il versamento dell'acconto, ma si tratta anche quest'anno di una scelta poco consigliabile. Il rischio, infatti, è quello di doversi comunque presentare alla cassa anche a fine anno, per far fronte agli aumenti decisi medio tempore dai comuni.
Dopo le modifiche introdotte dall'art. 10 del dl 35, infatti, il meccanismo somiglia a una storia a bivi dei fumetti. Il primo bivio è previsto per il 16 di maggio, data che rappresenta la dead line entro la quale le deliberazioni dei comuni che fissano le aliquote dell'imposta (oltre che i regolamenti che ne disciplinano l'applicazione) devono essere pubblicate sul sito del Dipartimento delle finanze per essere efficaci già in sede di versamento dell'acconto. A tal fine, i comuni sono tenuti a inviare i predetti provvedimenti al Mef (esclusivamente per via telematica) entro il 9 maggio. Se questo timing sarà rispettato, già a giugno occorrerà tenere conto di quanto deciso dai sindaci. In caso contrario, il versamento della prima rata dovrà essere pari al 50% dell'imposta dovuta calcolata sulla base dell'aliquota e della detrazione valide per l'anno passato. Attenzione, però a considerare quanto pagato complessivamente nel 2012 e non solo all'ammontare dell'acconto versato lo scorso mese di giugno, che nella stragrande maggioranza dei casi era stato calcolato applicando le aliquote e la detrazione nella misura standard fissata dallo stato.
Il secondo bivio arriverà in autunno. Da quest'anno, infatti, i comuni, per garantire il ripristino dei propri equilibri di bilancio, possono ritoccare le aliquote relative ai tributi di propria competenza (oltre che le tariffe per i servizi) anche dopo l'approvazione del bilancio di previsione, fino al 30 settembre. I provvedimenti sull'Imu, per incidere sulla misura del saldo, dovranno essere trasmessi alle Finanze entro il 9 novembre e pubblicati sul sito del Mef entro il 16 novembre. Altrimenti, per il versamento della seconda rata si applicheranno gli atti pubblicati entro il 16 maggio oppure, in mancanza, quelli adottati per il 2012.
Come evidente, si tratta di un labirinto all'interno del quale ciascun contribuente, per non incappare nelle sanzioni, dovrà districarsi monitorando con attenzione le decisioni assunte dal proprio comune con un occhio al calendario e l'altro alla tempistica di pubblicazione dei provvedimenti sul sito delle Finanze. Al riguardo, occorre precisare che, almeno in teoria, lo stesso comune potrebbe intervenire più volte sulle aliquote: per esempio, una prima volta con efficacia ai fini dell'acconto e una seconda per incidere sul saldo. In tal caso, in occasione del secondo versamento, occorrerà procedere al conguaglio sulla prima rata versata. Ma analoghe difficoltà riguardano anche i professionisti e i Caf, che infatti hanno già lanciato l'allarme, sottolineando come il lasso di tempo di 30 giorni fra la pubblicazione degli atti e le scadenze dei pagamenti (16 maggio-17 giugno e 15 novembre-16 dicembre) sia troppo breve per consentire l'adeguamento delle loro basi dati (articolo ItaliaOggi Sette del 22.04.2013).

TRIBUTI: Dichiarazione Imu.
Domanda
La dichiarazione Imu entro quando va presentata?
Risposta
La dichiarazione relativa all'Imposta municipale propria (Imu), per l'anno 2012 deve essere presentata entro il 04.02.2013. Infatti, la norma stabilisce che detta dichiarazione deve essere presentata entro novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto che ha approvato il relativo modello. Detta pubblicazione è avvenuta il cinque novembre 2012, per cui i novanta giorni scadono il 04/02/2013.
Sono interessati alla suddetta dichiarazione soltanto gli immobili che nel 2012 hanno subito variazioni e cioè:
quando gli immobili, in proprietà o in diritto reale del dichiarante, hanno cambiato le loro caratteristiche (esempio abitazione trasformata in ufficio, terreno agricolo diventato edificabile, abitazione principale non più tale o viceversa abitazione secondaria diventata principale ecc.);
quando il bene è stato acquistato o ricevuto in donazione, o su di esso sono stati costituiti diritti reali;
quando l'immobile ha perso il diritto all'esenzione o all'esclusione.
La dichiarazione deve essere effettuata utilizzando l'apposito modello ministeriale e deve essere inviata al comune nel cui territorio si trova l'immobile. Essa va spedita con raccomandata senza ricevuta di ritorno (articolo ItaliaOggi Sette del 22.04.2013).

TRIBUTI: Marchio di fabbrica sulle gru.
Domanda
L'Imposta comunale sulla pubblicità in che modo è dovuta sul marchio di fabbrica apposto sulle gru mobili, sulle gru a torre adoperate nei cantieri edili e sulle macchine da cantiere?
Risposta
Il decreto ministeriale del 26.07.2012, numero 185, dispone, all'articolo 3, che per l'Imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni (I.P.), relativamente al marchio di fabbrica apposto sulle gru mobili, sulle gru a torre adoperate nei cantieri edili e sulle macchine da cantiere, di vecchia fabbricazione (cioè fabbricate prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del suddetto decreto ministeriale: 09.08.2012) le imprese devono adeguare il suddetto marchio come disposto dall'articolo 1 del summenzionato decreto ministeriale. Pertanto, come dispone il predetto articolo 1, la suddetta imposta non è dovuta per l'indicazione del marchio apposto con dimensioni proporzionali alla dimensione delle gru mobili, delle gru a torre adoperate nei cantieri edili e delle macchine da cantiere la cui superficie complessiva non eccede i seguenti limiti:
fino a due metri quadrati per le gru mobili, le gru a torre adoperate nei cantieri edili e le macchine da cantiere con sviluppo potenziale in altezza fino a dieci metri lineari;
fino a quattro metri quadrati per le gru mobili, le gru a torre adoperate nei cantieri edili e le macchine da cantiere con sviluppo potenziale in altezza oltre i dieci metri e fino a quaranta metri lineari;
fino a sei metri quadrati per le gru mobili, le gru a torre adoperate nei cantieri edili e le macchine da cantiere con sviluppo potenziale in altezza oltre i quaranta metri lineari.
Per i marchi, la cui superficie complessiva supera quella su indicata, l'imposta suddetta è dovuta in base alla superficie complessiva dei marchi installati su ciascuno bene mobile, come su individuato (gru mobili, gru a torre adoperate nei cantieri edili e macchine da cantiere), per anno solare al comune ove ha sede l'impresa produttrice dei beni o qualsiasi altra sua dipendenza, nella misura e con le modalità previste dall'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993 (articolo ItaliaOggi Sette del 22.04.2013).

TRIBUTIDECRETO PAGAMENTI/ Derogata la disciplina a regime (che demanda al consiglio).
Tares, parla anche la giunta. Competenza sulla scadenza e sul numero delle rate.
Scadenze e numero delle rate di versamento in acconto della Tares possono essere deliberate anche dalla giunta comunale. Per l'anno in corso, infatti, l'articolo 10 del dl 35/2013 deroga a quanto disposto dall'articolo 14 del dl 201/2011, che a regime demanda al consiglio comunale il compito di modificare le scadenze stabilite dalla legge.
Questa interpretazione si ricava dalla formulazione letterale dell'articolo 10 che, per il 2013, ha apportato delle modifiche alle regole contenute nell'articolo 14 del dl «salva Italia», che ha istituito la Tares. La nuova disposizione per accelerare l'iter per la riscossione del tributo in acconto e far fronte all'esigenza di comuni e gestori di anticipare la data di pagamento e l'incasso delle somme dovute dai contribuenti, al fine di garantire lo svolgimento del servizio di smaltimento dei rifiuti, ha introdotto delle deroghe alla disciplina della tassa. Scadenze e numero delle rate di versamento sono stabilite dal comune con deliberazione adottata, «anche nelle more della regolamentazione comunale del nuovo tributo», e pubblicata sul proprio sito web almeno 30 giorni prima della data indicata per il pagamento.
La prima rata, dunque, non dovrà più essere versata a luglio, come previsto dal dl rifiuti (1/2013), ma potrà essere anticipata, anche nel caso in cui il comune non abbia adottato il regolamento, il cui termine per la deliberazione è attualmente fissato al prossimo 30 giugno. Pertanto, anche in assenza di un'espressa previsione, si può ritenere che la giunta comunale abbia il potere di stabilire le scadenze e il numero delle rate. In caso contrario, non avrebbe senso la norma nella parte in cui consente la deliberazione nelle more del regolamento. Atto che è invece di competenza del consiglio comunale. Del resto, se così non fosse il legislatore avrebbe confermato ciò che è già previsto dall'articolo 14, vale a dire che le scadenze stabilite dalla norma a regime (gennaio, aprile, luglio, ottobre) possono essere modificate solo con regolamento. Come già evidenziato, la facoltà di deliberare le scadenze anche prima dell'approvazione del regolamento è dettata dall'urgenza che hanno comuni e gestori di incassare una quota parte del tributo per assicurare il servizio. E la delibera di giunta consente di raggiungere questo risultato in tempi brevi.
È poi espressamente disposto che per le prime due rate i comuni possono inviare ai contribuenti i modelli di pagamento precompilati già predisposti per il pagamento di Tarsu, Tia1 o Tia2 o indicare altre modalità di versamento giù utilizzate in passato. Considerato che la nuova disposizione prevede inoltre che i comuni hanno anche la facoltà di fare ricorso alle altre modalità di pagamento «già in uso per gli stessi prelievi», è sostenibile la tesi che concessionari e gestori possano incassare i versamenti in acconto. Le somme pagate verranno poi scomputate da quella dovuta, a titolo di Tares, per l'anno 2013, che verrà richiesta con l'ultima rata e che dovrà essere versata solo nelle casse comunali. Anche la maggiorazione sui servizi si pagherà con l'ultima rata, ma il gettito è riservato allo stato (articolo ItaliaOggi del 16.04.2013).

TRIBUTI: La condizione di inagibilità.
Domanda
Possiedo un fabbricato che può essere considerato inagibile. Quali sono gli adempimenti che devo osservare?
Risposta
Se l'immobile può essere riconosciuto inagibile o inabitabile e non è utilizzato, il lettore è obbligato a presentare la dichiarazione ai fini dell'Imu. Il beneficio è riconosciuto relativamente al periodo durante l'anno nel quale permane tale situazione. L'accertamento dello stato di degrado è devoluto al comune, con perizia a carico del proprietario, il quale deve allegare l'apposita documentazione alla dichiarazione.
In alternativa, l'interessato può presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del dpr n. 445/2000 con la quale dichiara di essere in possesso della perizia, redatta da un tecnico abilitato (articolo ItaliaOggi Sette del 15.04.2013).

TRIBUTIFisco-comuni. Scambio dati per la Tares.
Operative le regole tecniche per determinare la superficie catastale su cui i contribuenti dovranno pagare la Tares. Sono state infatti definite le modalità per lo scambio dei dati fra Agenzia delle entrate e comuni per acquisire le informazioni relative alle superfici degli immobili a destinazione ordinaria per calcolare il nuovo tributo sui rifiuti e i servizi.

Lo rende noto un comunicato stampa dell'Agenzia diffuso ieri.
Nel comunicato viene precisato che in un documento pubblicato sul sito internet (www.agenziaterritorio.it) sono indicati i formati utilizzati dalle Entrate per fornire ai comuni le superfici calcolate in base alle regole contenute nel dpr 138/1998. Nel comunicato viene inoltre specificato che le procedure di interscambio tra comuni e Agenzia sono state definite con il provvedimento del direttore delle Entrate del 29.03.2013. L'attività di collaborazione tra i due enti serve a determinare la superficie catastale degli immobili, che i contribuenti in futuro dovranno dichiarare per il pagamento della nuova tassa sui rifiuti e i servizi. Quando saranno ultimate le operazioni di interscambio, la superficie catastale dovrà essere utilizzata da tutti i comuni per l'accertamento tributario.
Come previsto dall'articolo 14 del dl 201/2011, richiamato nel comunicato, in seguito alle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 387, della legge di stabilità (228/2012), sono state fissate le modalità per lo scambio tra Agenzia delle entrate e comuni delle informazioni relativi alla superficie degli immobili a destinazione ordinaria, iscritti in catasto e corredate di planimetria. Questi dati sono determinati scorporando dalla superficie catastale, per le sole destinazioni abitative, quella relativa a balconi, terrazzi e aree scoperte pertinenziali e accessorie, comunicanti o non comunicanti.
Il tracciato per la comunicazione delle superfici per la Tares è stato predisposto sulla base di quello già in uso per l'applicazione della Tarsu. Per ciascuna unità immobiliare devono essere trasmessi identificativo catastale, intestatari catastali e indirizzo presente nella banca dati. I comuni sono tenuti a segnalare all'Agenzia eventuali scostamenti significativi di dati della superficie degli immobili a destinazione ordinaria (articolo ItaliaOggi del 13.04.2013).

TRIBUTIIl non uso salva dalla Tares. Esenti unità senza servizi, sia private sia industriali. Le linee guida del Mef. Che però confliggono con la relazione al decreto 201/2011.
Gli immobili inutilizzati destinati ad abitazioni private o ad attività commerciali e industriali non sono soggette al pagamento della Tares. Il ministero dell'economia e delle finanze, nelle linee guida che ha fornito ai comuni sulla corretta applicazione della nuova tassa sui rifiuti e i servizi, ha preso una posizione netta precisando che non sono soggette al pagamento le unità immobiliari prive di mobili e di allacci alle reti idriche ed elettriche, che di fatto non vengono utilizzate.
Questa tesi, però, non è in linea con quanto sostenuto nella relazione ministeriale di accompagnamento alla norma che disciplina il tributo (articolo 14 del dl 201/2011). Nella relazione viene richiamato il consolidato orientamento della Cassazione che ha chiarito quali sono i locali e le aree non suscettibili di produrre rifiuti. Per i giudici di legittimità sono esclusi dal prelievo solo quelli oggettivamente inutilizzabili, vale a dire gli immobili inagibili, inabitabili, diroccati, interclusi, in stato di abbandono.
Dall'interpretazione contenuta nelle linee guida, dunque, emerge che il ministero non è d'accordo con se stesso. Nelle istruzioni allegate al prototipo di regolamento Tares, infatti, viene indicato che non sono soggetti al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o che non comportano, «secondo la comune esperienza, la produzione di rifiuti in misura apprezzabile per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati». E tra le unità immobiliari escluse dal prelievo rientrano quelle «adibite a civile abitazione prive di mobili e suppellettili e sprovviste di contratti attivi di fornitura dei servizi pubblici a rete».
Nella relazione sull'articolo 14 del dl «salva-Italia», che ha istituito il nuovo balzello, viene invece posto in rilievo che il legislatore, laddove assoggetta al tributo gli immobili «suscettibili di produrre rifiuti», ha inteso recepire «il consolidato orientamento della Corte di cassazione, riconducendo l'applicazione del tributo alla mera idoneità dei locali e delle aree a produrre rifiuti, prescindendo dall'effettiva produzione degli stessi».
In realtà, la Suprema Corte ha sempre posto dei limiti rigidi per l'esonero dal pagamento del tributo sui rifiuti, che è dovuto a prescindere dal fatto che il contribuente utilizzi l'immobile. Ex lege, vanno esclusi dalla tassazione solo gli immobili non utilizzabili (inagibili, inabitabili, diroccati). Non ha alcuna rilevanza la scelta soggettiva del titolare di non utilizzare l'immobile. Anche il mancato arredo non costituisce prova dell'inutilizzabilità dell'immobile e della inettitudine alla produzione di rifiuti. Un alloggio che il proprietario lasci inabitato e non arredato si rivela inutilizzato, ma non oggettivamente inutilizzabile.
Per la prima volta il principio è stato affermato con la sentenza 16785 del 30.11.2002. Regola ribadita con le sentenze 9920/2003, 22770/2009, 1850/2010 e altre. Da ultimo, sempre la Cassazione (ordinanza 1332 del 21.01.2013) ha stabilito che l'esonero dal pagamento del tributo non spetta neppure quando il contribuente fornisca la prova «dell'avvenuta cessazione di una attività industriale (nella specie: un oleificio)».
Anche il presupposto Tares, come la Tarsu, è l'occupazione, detenzione o conduzione di locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti. Non sono soggetti solo gli immobili che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell'anno. Pertanto insuscettibili di produrre rifiuti, come quelli situati in luoghi impraticabili, interclusi o in stato di abbandono. Il contribuente può fare ricorso solo a prove vincolate per dimostrare che l'immobile sia inidoneo a produrre rifiuti e quindi non soggetto al pagamento.
È evidente che se i comuni si allineano alla tesi della Cassazione, richiamata nella relazione governativa alla norma di legge, ai contribuenti viene imposto di pagare la Tares anche nel caso in cui non producano rifiuti. Ma queste regole, con molta probabilità, daranno luogo a rilievi comunitari e a procedure d'infrazione per il mancato rispetto del principio «chi inquina paga» (articolo ItaliaOggi del 12.04.2013).

TRIBUTI: Imu, un po' di respiro. Dichiarazioni da fare entro il 30 giugno. Il dl 35 spazza via il termine dei 90 giorni dall'evento da denunciare.
Più tempo per la dichiarazione Imu. Che potrà essere presentata entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui si è verificato l'evento da dichiarare.
Lo prevede l'art. 10, c. 4, lett. a), del dl 35/2013 sui pagamenti dei debiti della p.a. che, spazzando via l'angusto termine di 90 giorni originariamente previsto dall'art. 13, c. 12-ter, del dl 201/2011, non solo rimuove le difficoltà rilevate dai contribuenti nell'assolvimento dell'obbligo dichiarativo, ma risolve anche i problemi sorti in ordine all'applicazione del ravvedimento dei versamenti di acconti e saldi.
Resta solo da capire se entro il 30/6/2013, come è ragionevole ritenere, sarà possibile presentare, senza incorrere in sanzioni, dichiarazioni eventualmente omesse per eventi accaduti prima dell'entrata in vigore del dl 35/2013 (09/04/2013).
La norma. L'art. 13, c. 12-ter del dl 201/2011 prevedeva, fino alla recente modifica, che la dichiarazione Imu dovesse essere presentata entro 90 giorni dalla data in cui si era verificato uno dei casi indicati nelle istruzioni ministeriali allegate al modello approvato con dm 30/10/2012. Il che poneva due ordini di problemi. Il primo riguardava il rischio che i contribuenti venissero a conoscenza dell'adempimento in ritardo, e quindi, in molti casi, oltre il termine utile per ricorrere al ravvedimento. Il secondo, come riportato nella relazione governativa al dl 35/2013, era connesso agli «insolubili problemi» sorti nell'applicazione del cd. ravvedimento lungo, non essendosi più in presenza di una “dichiarazione periodica”.
La sostituzione, ad opera dell'art. 10, c. 4, del dl 35/2013, della locuzione “entro 90 giorni” con quella “entro il 30 giugno dell'anno successivo”, fa sì che entro la fine di giugno il contribuente possa dichiarare tutte le variazioni rilevanti intervenute l'anno precedente. Proprio come accadeva per l'Ici, con l'unica differenza che adesso il termine non è più legato a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi ma è a data fissa per tutti i contribuenti: entro il 30 di giugno dell'anno successivo.
Il ravvedimento. Essendo fuori discussione che la dichiarazione Imu non riguarda più un singolo evento bensì l'intera annualità d'imposta, con effetto anche per gli anni successivi, non dovrebbero più esservi più dubbi sul fatto che il termine lungo (art. 13, c. 1, lett. b, dlgs 446/1997), utile a sanare omessi, insufficienti o tardivi versamenti di acconti e saldi, vada individuato nel 30 giugno dall'anno successivo; con applicazione della sanzione ridotta del 3,75%. L'omissione dichiarativa potrà invece essere sanata entro il 28 di settembre con una sanzione pari al 10% dell'imposta dovuta (con un importo minimo di 5 euro).
Il raggio d'azione. Rimossi così gli ostacoli posti dal termine “mobile” dei 90 giorni, resta ora da capire se la modifica in esame potrà operare retroattivamente o se, invece, riguarderà le sole variazioni intervenute dal 9/4/2013 in poi. A favore di un'applicazione della novella anche nei casi di variazioni significative accadute dall'1/1/2012, militerebbe la circostanza che l'Imu è entrata in vigore l'anno scorso, e quindi si potrebbe ragionevolmente parlare di una “riapertura dei termini”, fino al 30/06/2013, per la presentazione di dichiarazioni riguardanti le variazioni intervenute nel 2012.
Sennonché l'assenza di una disposizione derogatoria rispetto alla data di entrata in vigore del dl 35/2013, oltre al fatto che non è stato contestualmente abrogato l'ultimo periodo del comma 12-ter dell'art. 13 del dl 201/2012, che ha fissato al 04/02/2013 il termine per la presentazione della dichiarazione relativa alle variazioni 01/01-06/11/2012, non rende certa l'applicabilità della nuova scadenza a tutte le situazioni accadute dall'01/01/2012. Esigenze di semplificazione dovrebbero tuttavia portare il legislatore, in sede di conversione del decreto, o il ministero, in sede interpretativa, ad un superamento di tale ostacolo (articolo ItaliaOggi dell'11.04.2013).

TRIBUTIDECRETO PAGAMENTI/ Una importante novità sulle superfici pertinenziali. Aree scoperte senza la Tares. Si alleggerisce il carico tributario sulle imprese.
Il tributo sui rifiuti e i servizi alleggerisce il carico fiscale sulle imprese. Non sono più soggette alla Tares le aree scoperte non operative, che possono essere considerate pertinenziali o accessorie a locali tassabili.

Lo prevede l'articolo 10 del dl sui debiti della p.a. (35/2013), che ha apportato delle modifiche alla disciplina della Tares.
Prima dell'intervento normativo, infatti, le aree scoperte pertinenziali erano soggette a tassazione, mentre fino al 2012 erano escluse dal pagamento sia della Tarsu che della Tia.
L'articolo 14 del del dl «salva Italia»(201/2011), che dal 2013 ha istituito il nuovo regime di prelievo sui rifiuti, esonerava dal pagamento solo le aree scoperte pertinenziali di civili abitazioni e quelle condominiali. Con un aumento notevole della tassazione per i soggetti che svolgono attività commerciali e industriali, qualora i comuni avessero applicato a superfici di ampie dimensioni la tariffa relativa alla specifica attività esercitata dall'impresa. Non a caso più volte dalle pagine di questo giornale era stata sollecitata una modifica normativa, per escludere dal pagamento della tassa le aree pertinenziali o accessorie, cosiddette non operative (per esempio, il parcheggio di un supermercato o l'area di manovra di uno stabilimento industriale).
L'articolo 10, inoltre, ribadisce l'esonero dal nuovo balzello delle aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e quelle condominiali, a meno che non siano detenute o occupate in via esclusiva. Si intende per area accessoria o pertinenziale quella che viene destinata in modo permanente e continuativo al servizio del bene principale o che abbia con lo stesso un rapporto oggettivamente funzionale. Per esempio, un cortile o un giardino condominiale, un'area di accesso ai fabbricati civili e così via.
In effetti, presupposto del tributo è il possesso, l'occupazione o detenzione di locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Quello che conta è la mera idoneità dei locali e delle aree a produrre rifiuti, a prescindere dall'effettiva produzione degli stessi. Rimangono infatti soggette integralmente al pagamento della Tares tutte le aree scoperte utilizzate nell'ambito di attività economiche e produttive, che non abbiano natura pertinenziale. Del resto, per le aree scoperte cosiddette operative esiste una presunzione di produzione di rifiuti.
L'orientamento giurisprudenziale è univoco nell'affermare che tutte le aree, a parte le ipotesi di esclusioni contemplate dalla legge, sono potenzialmente produttive di rifiuti. Anche gli specchi acquei sono aree scoperte soggette al prelievo. In materia di Tarsu, il cui presupposto impositivo è analogo alla Tares, la Cassazione ha più volte sostenuto non solo che l'amministrazione comunale si possa avvalere della presunzione di produzione dei rifiuti, ma, addirittura, che il contribuente non possa fornire qualunque prova per superare la presunzione di tassabilità di tutti gli immobili (articolo ItaliaOggi del 10.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTIIl terreno edificabile usato a fini agricoli non paga Ici. Sentenza della Ctr Lazio. L'esonero solo se è attività prevalente.
Un terreno edificabile utilizzato ai fini agricoli da un imprenditore agricolo non paga l'Ici, a condizione, tuttavia, che il proprietario del fondo sia iscritto negli appositi elenchi comunali e che il reddito conseguito dall'agricoltore, sia pure coadiuvato dalla famiglia, sia pari almeno al sessanta per cento del reddito complessivo.
Sono le conclusioni che si leggono nella sentenza 09.04.2013 n. 92/21/13 emessa dalla Sez. XXI della Ctr Lazio.
Il Comune di Marino aveva notificato al contribuente, imprenditore agricolo, accertamenti Ici relativi a un terreno edificabile di cui era stata omessa la denuncia, per oltre 150 mila euro. Il contribuente ricorreva contro questi atti assumendo la sua natura di imprenditore agricolo e precisando che oltre il 60% dei suoi redditi scaturiva dall'attività agricola.
La Commissione provinciale di Roma accoglieva solo parzialmente il ricorso; i giudici di prima istanza ritenevano che il contribuente non avesse dimostrato la prevalenza dei redditi e, comunque, riducevano gli importi accertati rilevando come, di fatto, il terreno avesse una edificabilità relativa, tale da ridurre la pretesa solo del cinquanta per cento. Il contribuente aveva quindi replicato a quanto deciso dai giudici provinciali assumendo come, ai fini delle imposte dirette, i redditi agrari vadano indicati sulla base del reddito dominicale degli stessi terreni, mentre la realtà reddituale si poteva evincere dalla dichiarazione ai fini Irap (da cui si ricava che i redditi agrari sono di misura di gran lunga superiore al 60% dei redditi totali). I giudici regionali capitolini, destinatari delle doglianze dell'imprenditore agricolo, hanno annullato gli accertamenti Ici.
«Deve considerarsi», si legge nella sentenza, «adeguato elemento di prova la dichiarazione presentata ai fini Irap dal contribuente, da cui si desume che i proventi agricoli sono ampiamente superiori al 60% del reddito complessivo». Il collegio osserva che tale interpretazione risponde sia alla volontà del legislatore, sia all'interpretazione fornita dalla giurisprudenza (cassazione n. 15566/2010).
Infatti, un terreno destinato ad attività agricole, sia pure edificabile, non è soggetto a Ici quando l'utilizzatore tragga il suo maggior sostentamento dall'attività agricola e quando ricorrano le ulteriori condizioni: a) che il terreno sia posseduto da un coltivatore diretto o imprenditore agricolo, b) che sia direttamente condotto da questi (e dai suoi familiari), c) nella persistenza dell'utilizzazione agro-silvo-pastorale, mediante attività dirette alla coltivazione. Condizioni queste che, nel caso specifico, risultano rispettate (articolo ItaliaOggi del 23.04.2013).

TRIBUTIDECRETO PAGAMENTI/ Gli enti devono indicare scadenze e numero di versamenti
Tares, un debutto a conguaglio. Nuova tassa e maggiorazione si pagano all'ultima rata.

La nuova tassa sui rifiuti e la maggiorazione sui servizi si pagheranno con l'ultima rata, a conguaglio delle somme versate in acconto che sono determinate in base a quanto già versato dai contribuenti nell'anno precedente per Tarsu, Tia1 e Tia2. Inoltre la maggiorazione, fissata nella misura di 0,30 euro per metro quadrato, non può essere aumentata dai comuni e il gettito è riservato allo stato. Gli enti locali, con propria deliberazione, sono tenuti a indicare scadenze e numero delle rate di versamento del tributo. I cittadini dovranno essere informati, anche con la pubblicazione sul sito internet del comune, almeno 30 giorni prima della data del versamento. Per le prime due rate le amministrazioni locali possono inviare i modelli già predisposti per il pagamento di Tarsu, Tia1 o Tia2. Gli acconti verranno scomputati dal quantum dovuto, a titolo di Tares, per l'anno 2013. Concessionari e gestori del servizio potranno continuare a riscuotere il tributo.
Sono queste le novità sulla tassa sui rifiuti e i servizi contenute nell'articolo 10 del dl «pagamenti p.a.» (35/2013).
Con questa disposizione il legislatore anziché rinviare al prossimo anno l'istituzione del tributo, come richiesto a gran voce da più parti, considerato che il nuovo balzello comporterà un aumento della tassazione, si limita a differire l'applicazione delle regole di determinazione della Tares al momento del saldo, con la richiesta di conguaglio di quanto dovuto dal contribuente in sede di pagamento dell'ultima rata.
Per l'anno in corso, infatti, scadenze e numero delle rate di versamento sono stabilite dal comune con deliberazione adottata, «anche nelle more della regolamentazione comunale del nuovo tributo», e pubblicata sul proprio sito web almeno 30 giorni prima della data fissata per il pagamento. La prima rata, dunque, non dovrà più essere versata a luglio, come previsto dal dl rifiuti (1/2013), ma potrà essere anticipata, anche nel caso in cui il comune non abbia adottato il regolamento, il cui termine di scadenza è attualmente fissato al prossimo 30 giugno. È espressamente stabilito che per le prime due rate i comuni possono inviare ai contribuenti i modelli di pagamento precompilati già predisposti per il pagamento di Tarsu, Tia1 o Tia2 o indicare altre modalità di versamento giù utilizzate in passato. Non si capisce però quale sia l'alternativa all'invio dei bollettini di pagamento precompilati, visto che il tributo non può essere pagato in autoliquidazione, ma deve essere determinato dal comune. I versamenti in acconto verranno scomputati dalla somma dovuta, a titolo di Tares, per l'anno 2013, che verrà richiesta con l'ultima rata.
Una delle novità di rilievo del decreto è rappresentata dalla maggiorazione per i servizi indivisibili, che da quest'anno va pagata unitamente alla tassa sui rifiuti. La misura della maggiorazione è solo quella standard, pari a 0,30 euro per metro quadrato. Viene sottratta ai comuni la facoltà di aumentarla fino a 0,40 euro e di differenziarla per zone di ubicazione e tipologie di immobili. L'articolo 10 del dl, infatti, riserva questa entrata allo stato. Anche il versamento della maggiorazione va fatto in unica soluzione unitamente all'ultima rata del tributo, con il modello F24 oppure utilizzando apposito bollettino di conto corrente postale.
La norma, infine, consente alle amministrazioni locali di continuare ad avvalersi per la riscossione del tributo dei soggetti affidatari del servizio di gestione rifiuti. Pertanto, l'attività potrebbe essere affidata sia ai gestori del servizio di smaltimento rifiuti sia ai concessionari iscritti all'albo ministeriale, considerato che questa possibilità è già prevista dall'articolo 14 del dl «salva Italia» (201/2011) in seguito alle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 387, della legge di stabilità (228/2012). Del resto nella nozione di «gestione» rientrano tutte le attività dell'ente, che vanno dall'accertamento alla riscossione.
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Più tempo per denunce e delibere Imu.
Si allungano i termini per la presentazione della dichiarazione Imu. Slitta al 30 giugno dell'anno successivo all'acquisto del possesso dell'immobile il termine per denunciarne la titolarità o per dichiararne le variazioni. I versamenti in acconto e saldo dell'imposta, inoltre, devono essere effettuati in base alle aliquote e detrazioni dell'anno precedente se delibere e regolamenti non vengono pubblicate sul sito del ministero delle finanze, rispettivamente, entro il 16 maggio o il 16 novembre. Nel caso in cui venga pagato l'acconto in base alle vecchie aliquote e detrazioni, il saldo dell'imposta dovuta per l'intero anno dovrà essere versato a conguaglio della prima rata, in base agli atti pubblicati sul sito informatico entro il 16 novembre di ciascun anno d'imposta. È quanto prevede l'art. 10 del dl «pagamenti p.a.».
Dichiarazioni. Viene dunque ampliato il termine per presentare la dichiarazione della nuova imposta locale. Il termine breve di 90 giorni, oltre a rendere più difficoltosi gli adempimenti dei contribuenti, si legge nella relazione ministeriale, ha «ripercussioni negative sull'applicabilità delle norme in materia di ravvedimento». Del resto l'articolo 13 del decreto legislativo 472/1997, che disciplina il ravvedimento operoso, come indicato nella relazione di accompagnamento al decreto, prevede due diversi termini «collegati alla natura periodica o non periodica della dichiarazione».
Delibere comunali e versamenti. Dal 2013 ha effetto costitutivo la pubblicazione sul sito del Mef delle delibere di approvazione di aliquote e detrazioni d'imposta, nonché dei regolamenti comunali. Questi atti devono essere inviati solo per via telematica e vanno inseriti nell'apposito Portale del federalismo fiscale. Delibere e regolamenti, tra l'altro, condizionano anche i versamenti del tributo. Il quantum dovuto per l'imposta è infatti legato all'avvenuta pubblicazione sul sito ministeriale degli atti generali comunali. Se la pubblicazione non viene fatta entro il 16 maggio, i contribuenti sono legittimati a calcolare l'acconto, nella misura del 50%, sulla base delle aliquote e detrazioni dei 12 mesi dell'anno precedente.
Per rispettare la data del 16 maggio è però imposto ai comuni di inviare delibere e regolamenti entro il 9 maggio dell'anno di riferimento. Qualora non vengano pubblicati entro il 16 maggio, il versamento della seconda rata, a saldo dell'imposta dovuta per l'intero anno, con eventuale conguaglio sulla prima rata, deve essere eseguito tenendo conto degli atti pubblicati sul sito ministeriale entro il 16 novembre. In tal caso i comuni devono trasmettere le loro determinazioni entro il 9 novembre. Altrimenti, imposta calcolata con riferimento a aliquote e detrazioni dell'anno precedente (articolo ItaliaOggi del 09.04.2013).

TRIBUTI: Verifiche, l'anticipo costa caro. È nullo l'accertamento emesso prima dei 60 giorni. Rassegna giurisprudenziale: il termine va sempre concesso (o quasi). Ecco le eccezioni.
Alla fine di ogni attività di verifica fiscale al contribuente deve essere concesso il termine di 60 giorni per le opportune memorie e repliche. La violazione di tale principio di civiltà giuridica, previsto nell'articolo 12, comma 7, dello statuto del contribuente, comporta la nullità dell'avviso di accertamento.
Il suddetto termine e le garanzie a esso connesse possono, invece, non essere concesse quando l'attività di verifica si estrinsechi nell'esame di una dichiarazione fiscale presentata dallo stesso contribuente; oppure quando l'accertamento sia scattato per effetto di segnalazioni, rapporti o comunicazioni pervenute presso gli uffici accertatori anche da altri organi dell'amministrazione; oppure a seguito di semplici richieste di esibizioni documentali, questionari, inviti e quant'altro.
L'esame delle ultimissime sentenze, sia di legittimità sia di merito, sull'annosa questione relativa alla concessione del termine di 60 giorni prima dell'emanazione dell'atto di accertamento evidenzia come il quadro di riferimento si stia facendo sempre più chiaro.
In linea generale si può affermare che tale diritto deve sempre essere concesso quando la verifica fiscale preveda accessi presso la sede del contribuente e/o acquisizione di documenti contabili, libri, registri ecc., fatti ovviamente salvi i particolari e motivati casi di urgenza previsti dalla stessa disposizione normativa.
Al contrario, in presenza di mere attività di controllo e liquidazione delle dichiarazioni fiscali o di verifiche che traggono spunto da altri indizi e segnalazioni quali, per esempio i controlli incrociati, tale termine non dovrà essere concesso e l'ufficio potrà procedere direttamente all'emissione dell'avviso di accertamento senza concedere alcun termine per repliche o memorie al contribuente.
La questione è di assoluto rilievo. L'omessa concessione del termine dei sessanta giorni comporta, infatti, la nullità dell'avviso di accertamento travolgendo a priori l'intera attività di verifica posta in essere dagli uffici.
In attesa che sullo specifico tema si pronuncino le sezioni unite della Cassazione appositamente investite, è utile esaminare, almeno in sintesi, il contenuto delle più recenti pronunce della giurisprudenza tributaria sulla questione (si veda tabella in pagina).
Cassazione, sentenza 16999/2012. Nel caso di specie i giudici di legittimità hanno accolto le istanze del contribuente, ribaltando il giudicato della regionale, dichiarando nullo l'accertamento e la decisione del giudice dell'appello per «non aver rilevato l'illegittimità dell'avviso impugnato, ancorché notificato prima dello scadere del termine di sessanta giorni dalla data di consegna del processo verbale di constatazione».
La circostanza che il contribuente, prima dello spirare dei 60 giorni dalla consegna del pvc e prima della notifica dell'accertamento avesse prodotto delle memorie di parte non rileva in alcun modo né si può pensare che con un tale atto si sia potuto interrompere o derogare, al termine di cui all'articolo 12, comma 7, dello statuto del contribuente.
Deve peraltro considerarsi, si legge in sentenza, che la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 244/2009 e la stessa Corte di cassazione con la sentenza n. 22320/2010, hanno puntualizzato che la mancata osservanza della disposizione contenuta nel comma 7 dell'articolo 12 dello statuto del contribuente «implica la sanzione della nullità dell'avviso di accertamento emesso in violazione del termine dilatorio e in assenza di motivazione sull'urgenza che ne ha determinato l'adozione». Sanzione della nullità che scatta in applicazione delle seguenti disposizioni normative: l'articolo 7, comma 1, dello statuto del contribuente; articoli 3 e 21-septies della legge n. 241/1990 (cosiddetta trasparenza amministrativa); articolo 42, commi 2 e 3, del dpr 600/1973 per le imposte dirette e articolo 56, comma 5, del dpr 633/1972 per l'imposta sul valore aggiunto.
Ctr Toscana, sentenza 19/2013. Del tutto simile alle conclusioni della sentenza dei giudici di legittimità ora esaminata anche il dispositivo dei giudici della regionale toscana contenuto nella sentenza n. 19 del 18 gennaio scorso. Il caso riguardava un accertamento da studi di settore sulla base del quale l'ufficio aveva eseguito un'attività di controllo preceduta dalla richiesta di documentazione contabile relativa all'anno d'imposta 2003, alla quale era seguito un vero e proprio accesso presso i locali della società contribuente al preciso fine di reperire ulteriori documenti contabili.
L'avviso di accertamento veniva emesso dall'ufficio prima della scadenza del termine di 60 giorni decorrente dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica, senza peraltro dare menzione nello stesso della particolare e motivata urgenza alla base di tale mancato rispetto.
Preso atto di tutto ciò la regionale, considerando tale eccezione come preliminare e prevalente anche sul merito del ricorso stesso, ha deciso che «nell'avviso di accertamento in oggetto manca l'obbligatoria motivazione da parte dell'ufficio della particolare urgenza di anticipare l'emissione dell'avviso di accertamento con la conseguente invalidità dello stesso».
Ctr Campania, sentenza 243/2012. Se esistano validi motivi per derogare al termine dei 60 giorni, quali il fondato pericolo per la riscossione del credito erariale, questi devono comunque essere esplicitati nella motivazione dell'atto di accertamento altrimenti lo stesso non potrà che essere dichiarato nullo.
È quanto deciso dai giudici della regionale della Campania, nonostante l'accertamento fosse stato emesso nei confronti di una società che non aveva presentato la dichiarazione dei redditi e per la quale la guardia di finanza aveva accertato un reddito d'impresa di oltre 200 mila euro.
Inutile la difesa dell'ufficio che aveva controdedotto «evidenziando che esistevano i motivi di urgenza previsti dal comma 7 dell'articolo 12 della legge 212/2000, in quanto sussistevano fondate ragioni di pericolo per la riscossione del credito ritenuto che la società, in liquidazione dal 2006, poteva in qualsiasi momento procedere alla cessazione dell'attività».
La carenza motivazionale e il mancato rispetto della disposizione contenuta nello statuto del contribuente ha prevalso anche sulle postume argomentazioni dell'ufficio circa l'esistenza di validi motivi per derogare il termine.
Ctr Liguria, sentenza 97/2012. Qualunque atto e non soltanto il pvc di chiusura delle operazioni di verifica, deve essere assoggettato al termine dei 60 giorni previsto dallo statuto del contribuente.
Quando l'ufficio opera in contraddittorio con il contribuente, deve redigere un verbale di chiusura e concedere il termine per le memorie e repliche al contribuente prima di procedere con l'emissione dell'accertamento.
Vana la linea difensiva dell'amministrazione finanziaria che sosteneva di aver eseguito soltanto un accesso per acquisire documentazione e per rilevare la correttezza dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTILa giurisprudenza. Interpretazioni diverse sulla domanda di variazione. Per i fabbricati rurali rebus della retroattività.
LE ULTIME PRONUNCE/ A Mantova agevolazioni riconosciute dopo la semplice richiesta, a Modena serve la classificazione catastale.

Le domande di variazione catastale per ottenere la ruralità del fabbricato, presentate in base al Dl 70/2011 e al Dm 26.07.2012, hanno effetto retroattivo.
È questa la conclusione a cui è pervenuta la Ctp di Mantova con la sentenza del 10 gennaio scorso, annullando gli avvisi di accertamento Ici relativi alle annualità 2006 e 2007.
La controversia riguardava alcuni fabbricati in categoria C/2, C/6 e D/8, che per il contribuente non potevano essere assoggettati all'imposta in quanto da considerarsi rurali ai sensi dell'articolo 9 del Dl 557/1993, a prescindere dal loro inquadramento catastale. Nel 2011 era stata peraltro presentata domanda per il riconoscimento di ruralità.
Il Comune chiedeva il rigetto del ricorso in virtù del costante insegnamento della Cassazione sulla ruralità dei fabbricati vincolata alle risultanze catastali (categorie A/6 e D/10). Tuttavia la commissione tributaria ha ritenuto che la presentazione della domanda e l'inserimento negli atti catastali dell'annotazione consentono di riconoscere la ruralità a decorrere dal quinto anno antecedente alla domanda, come previsto dal Dm del 2012.
La decisione della Ctp di Mantova ripropone la querelle relativa alla valenza retroattiva delle domande per il riconoscimento della ruralità, tema sul quale la giurisprudenza si mostra oscillante.
A favore della retroattività si è tra l'altro schierata la Ctr di Bologna con la sentenza 65/2012, mentre sul fronte opposto si segnala la Ctr di Milano con la sentenza 77/2012. Più recentemente si è espressa la Ctp di Modena con la sentenza 75/2013 (si veda Il Sole 24 Ore del 31 marzo) che è andata al cuore del problema sottolineando che il Dl 70/2011 –con il quale veniva recepito l'orientamento della Cassazione sull'accatastamento in D/10 per i fabbricati strumentali– è stato abrogato dal Dl 201/2011 ed è rimasto in vigore fino al 31.12.2011: di conseguenza l'esenzione Ici spetta solo ai fabbricati che risultano classati in categoria rurale.
Dopo la sentenza 10/2013 della Ctp di Mantova, che fa leva sul Dm del 2012, la questione assume contorni sempre più confusi e resta il rebus retroattività. Sul punto si ritiene che il Dm 26.07.2012 abbia travalicato la fonte legislativa primaria (Dl 201/2011) che non prevede in alcun modo il riconoscimento retroattivo della ruralità, né lo prevedeva il Dl 70/2011.
La questione è risolvibile soltanto con un'espressa previsione normativa primaria che attribuisca effetto retroattivo alla variazione catastale. In assenza, è applicabile il principio contenuto nell'articolo 11 delle Preleggi secondo cui la legge non può avere effetto retroattivo (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI La nuova super-Tares colpirà alla fine dell'anno. L'ipotesi del Governo conferma la stangata di dicembre.
IL PROBLEMA/ I comuni dovranno fissare le date di versamento almeno 30 giorni prima della scadenza Doppie modalità di pagamento.

Un riavvio quasi immediato per i pagamenti del servizio rifiuti, sotto forma di Tia o Tarsu a seconda delle regole applicate nel Comune l'anno scorso; senza però far scomparire la Tares, che va comunque pagata a conguaglio entro l'anno e si porta dietro la «maggiorazione» da 30 centesimi al metro quadrato trasformata in sovrattassa statale.
Le bozze del capitolo Tares circolate ieri, che potrebbero trovare spazio nel decreto sui pagamenti in programma questa mattina al Consiglio dei ministri o imboccare la via di un provvedimento autonomo, confermano le attese della vigilia. E ne confermano anche i problemi applicativi, a partire dal maxiconguaglio di fine anno che contribuirà a spingere la pressione fiscale nell'ultimo trimestre 2013 assai più in alto dei livelli record appena registrati dall'Istat per gli ultimi quattro mesi del 2012 (si veda la pagina a fianco).
Il provvedimento, almeno nelle bozze, prova a sposare le due esigenze che si contrappongono sul ring della Tares. Le aziende di igiene urbana e i Comuni non possono attendere fino all'estate-autunno i primi incassi e con il calendario Tares rischiano quindi di piombare in una crisi di liquidità che mette a rischio pagamenti ai fornitori e stipendi; lo Stato non intende rinunciare alla «copertura integrale» del costo del servizio rifiuti attraverso il tributo e al miliardo aggiuntivo della maggiorazione.
Per rispondere alla prima esigenza, si rimettono in campo i Comuni, che secondo la nuova norma potrebbero decidere in modo autonomo il calendario dei versamenti, avendo cura solo di pubblicare la delibera 30 giorni prima della scadenza della rata. Le prime rate, su cui l'autonomia degli enti locali sembra piena, potranno essere pagate con gli stessi strumenti utilizzati l'anno scorso, dai bollettini precompilati ai Mav.
Tanta libertà si esaurirà però all'ultima rata, «dovuta a titolo di Tares» come precisa la bozza, che avrà le caratteristiche previste per il nuovo tributo fin dal decreto «Salva-Italia» (Dl 201/2011, articolo 14) che l'ha istituito: si potrà pagare solo con F24 o bollettino postale ad hoc, e si dovrà garantire la «copertura integrale» dei costi del servizio in base ai piani finanziari che saranno predisposti nel corso dell'anno. Da "buona" Tares, sarà accompagnata dalla maggiorazione da 30 centesimi al metro quadrato da versare direttamente allo Stato: contestualmente, l'Erario "restituisce" ai Comuni il miliardo di euro che era stato tagliato in vista dell'attribuzione ai sindaci di questa sovrattassa.
Come si vede, il tentativo di compromesso fra due esigenze contrapposte rischia di creare più di un problema, soprattutto ai 40 milioni di italiani che abitano nei Comuni dove nel 2012 si applicava la Tarsu. Solo la tariffa Tia, applicata finora da 1.300 sindaci, già prevedeva la copertura integrale dei costi attraverso l'applicazione del «metodo normalizzato» per la determinazione del conto. L'impatto effettivo dipenderà dalla struttura delle aliquote di ogni Comune, ma in generale nel caso delle famiglie il rischio aumenti sarà collegato al tasso effettivo di copertura dei costi già raggiunto con i rincari della Tarsu negli ultimi anni.
Per negozi e piccole imprese commerciali, invece, parte l'applicazione del «metodo normalizzato» che misura il conto sulla base della quantità di rifiuti prodotti: rielaborando le stime diffuse nei giorni scorsi da Confcommercio, nel caso di pagamenti in tre scaglioni si può calcolare un'ultima rata pari a 10-20 volte le prime due a seconda della tipologia di esercizio commerciale.
Nei Comuni che sono già passati alla tariffa, invece, qualche problema potrebbe arrivare sul fronte procedurale, perché le bozze citano per ora solo «i Comuni» come autori degli invii delle bollette, mentre in molti casi l'invio viene fatto dalle aziende, soprattutto nei casi frequentissimi in cui il servizio è gestito dalla stessa impresa per molti enti (articolo Il Sole 24 Ore del 06.04.2013).

TRIBUTIBilanci e Imu separati in casa. Aliquote e preventivi, la tempistica non è coordinata. I comuni dovranno fissare sostanzialmente al buio le misure dell'imposta sugli immobili.
La tempistica per la fissazione delle aliquote dell'Imu non è coordinata con quella del bilancio comunale.
L'art. 13, comma 13-bis, del dl 201/2011, infatti, prevede, che, a decorrere dall'anno di imposta 2013, le deliberazioni con cui i comuni approvano le aliquote e la detrazione Imu acquistano efficacia dalla data di pubblicazione nel sito informatico del Dipartimento delle finanze e che i relativi effetti retroagiscono al 1° gennaio dell'anno di pubblicazione, a condizione che quest'ultima avvenga entro il 30 aprile.
A tale scopo, le deliberazioni devono essere inviate al predetto Dipartimento, esclusivamente in via telematica, entro il 23 aprile. Nei comuni che non rispettano questo timing, si intendono prorogate le aliquote e la detrazione relative all'anno precedente.
L'anticipazione di tali scadenze ha il fine di far conoscere per tempo ai contribuenti le misure adottate dai singoli comuni, in modo che entro il termine per il versamento dell'acconto Imu (ossia il 16 giugno) ciascuno possa calcolare compiutamente la propria imposta.
Essa, tuttavia, contrasta con la previsione di cui all'art. 1, comma 381, della legge 228/2012, che ha prorogato al 30 giugno il termine entro cui i comuni devono approvare il preventivo 2013. Quest'ultimo, come noto, è anche, in base alla disciplina generale, il termine entro cui i comuni devono fissare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza.
Per completare il quadro, va richiamato anche l'art. 1, comma 444, della stessa legge 228/2012, il quale stabilisce che, per ripristinare gli equilibri di bilancio, gli enti locali possono modificare le aliquote e le tariffe entro il 30 settembre. Anche tale disposizione (come la precedente) non si applica evidentemente all'Imu, considerata la vigenza, per quest'ultima, della disciplina speciale sopra richiamata.
In mancanza di modifiche legislative (che appaiono secondo gli osservatori specializzati quanto mai opportune), pertanto, i comuni dovranno fissare le aliquote Imu sostanzialmente «al buio», prima di approvare il bilancio di previsione o comunque in presenza di un documento contabile ampiamente approssimativo, considerata l'impossibilità di conoscere alcuni dati essenziali ai fini della sua quadratura, primo fra tutti il riparto del nuovo fondo di solidarietà comunale, che difficilmente sarà noto prima del mese di maggio. Tutti gli aumenti decisi dopo il 23 aprile o non pubblicati entro il 30 aprile saranno efficaci solo a partire dal prossimo anno (articolo ItaliaOggi del 05.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTISentenza della corte di cassazione. Le unità collabenti scontano l'Ici e l'Imu.
Le unità collabenti, in particolari condizioni, sono tassate ai fini Ici e Imu in base al valore dell'area fabbricabile che sottintende l'immobile su cui insistono.

Una indiretta conferma di tale assunto potrebbe rinvenirsi nella giurisprudenza attuale della Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza 01.03.2013 n. 5166.
Vale la pena di riassumere la questione su cui dibattiamo, che riguarda in sintesi l'inquadramento ai fini dell'Imposta comunale sugli immobili (cosiddetta Ici), dei fabbricati iscritti, ai fini delle risultanze catastali, come categoria F/2, cioè le cosiddette unità collabenti.
I profili che riguardano l'Imu (imposta municipale propria), che come è noto, è succeduta all'Imposta comunale sugli immobili, sono essenzialmente sovrapponibili, nel caso in esame, all'abrogata imposta.
Analogo problema si pone per le unità in corso di definizione (categoria F/4) che posso essere accomunate a quelle collabenti, per la stretta analogia (stesso inquadramento, assenza di rendita catastale ecc.) che presentano queste tipologie di immobili.
Ricordiamo che tali fabbricati, essendo descritti come «Unità collabenti (diroccate, in disuso, ruderi, non utilizzate), sono prive di rendita catastale.
A tal riguardo tali immobili, per godere di eventuali agevolazioni fiscali, devono essere effettivamente corrispondenti a ciò che il contribuente dichiara nella documentazione che è necessaria per richiedere tale accatastamento come unità collabenti.
Essendo prive di rendita catastale, non è sufficiente sostenere che esse per il solo fatto di non presentare la rendita, non siano soggette all'Ici (o all'Imu) in quanto il presupposto dell'imposta è quello dell'art. 2 del dlgs 504/1992, legge istitutiva dell'imposta Ici, la quale prescrive che è soggetta all'imposta «l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano».
Ricordiamo che soggiace a tassazione ai fini dell'Ici l'area fabbricabile (art. 1, comma 2, dlgs 504/1992), intendendosi per questa, l'area utilizzabile in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione (art. 2, comma 1, lett b, del dlgs 504/1992).
In tal casi, la possibilità edificatoria è dimostrata dal fatto che insistono su tale area immobili precedentemente edificati, a prescindere dalle loro condizioni di manutenzione o dello stato di conservazione: ciò vale quindi anche gli immobili fatiscenti o per i ruderi.
Nelle fattispecie in esame, dato l'inserimento dei fabbricati e delle aree in categoria «F», che è transitoria, è obbligo del contribuente richiedere in capo a pochi mesi un nuovo accatastamento più consono, tenuto conto anche delle caratteristiche dei beni, e del fatto che la categoria «F» concerne immobili su cui si sta effettuando interventi di recupero o di manutenzione straordinaria.
Se invece su tali immobili di categoria «F» non sono in atto questi interventi di recupero, la permanenza di tale accatastamento nella categoria cennata non è permessa e quindi è di fatto illegittima.
Si ricorda sommessamente, che l'Agenzia del Territorio, in numerose sue circolari, anche recenti, ha ricordato che l'assegnazione della categoria catastale «F» definite «fittizie», ha natura transitoria, e non deve essere utilizzata dai contribuenti per lungo tempo, per consentire indebiti risparmi di imposta, data l'assenza di rendita catastale per tali immobili.
In particolare la circolare dell'Agenzia del territorio n. 4 del 29/10/2009, ma ve ne sono altre meno recenti, come quella del 21/02/2002 prot. n. 15232, ricordano come le categorie «F» in argomento «dovessero rappresentare solo una temporanea iscrizione negli atti catastali in attesa della definitiva destinazione conferita al bene».
Una delle poche sentenze disponibili in materia (la n. 164 dell'08/11/2001) della Comm. trib. prov. di Arezzo, respingeva il ricorso del ricorrente sulla base dello stesso principio, qui massimato: «Ai fini Ici, un edificio in rovina, dichiarato collabente dall'Ufficio tecnico erariale non può essere qualificato come fabbricato inagibile, ma bensì come area fabbricabile».
Una siffatta tesi sembra trovare conferma nella citata sentenza della Corte di cassazione n. 5166/2013, nella quale, occupandosi peraltro della tassazione ai fini delle imposte dirette della plusvalenza da cessione, la circostanza che il terreno, prima dell'atto di compravendita, avesse già ottenuto la concessione edilizia per il recupero di fabbricati ex rurali collabenti con opera di demolizione nuova costruzione, fa si che la potenzialità edificatoria la rendesse tassabile come area fabbricabile, ai fini dell'imposta comunale sugli immobili.
In tali casi il Comune, è bene precisarlo, dovrebbe valutare l'area fabbricabile avendo riguardo soprattutto anche della prospettiva di un recupero e quantificandone le relative attività e passività, cosicché la valutazione complessiva sia aderente alla realtà e all'attualità del bene, anche tenendo conto del riferimento al prezzo di mercato.
Va rilevato per completezza che la peculiarità del caso in esame, riferito a tali unità collabenti, fa sì che il problema sia marginalmente conosciuto soltanto agli enti locali impositori e ai contribuenti che siano in possesso di tali immobili (articolo ItaliaOggi del 05.04.2013).

marzo 2013

TRIBUTI: G. Napolitano, LA PARTECIPAZIONE DEI COMUNI ALL’ATTIVITÀ DI CONTRASTO ALL’EVASIONE FISCALE E CONTRIBUTIVA: SINTESI DELLA NORMATIVA - Il presente lavoro ricostruisce il quadro normativo in materia di partecipazione dei Comuni all’attività di contrasto all’evasione fiscale e contributiva (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013).

TRIBUTIImu allo 0,2%, gettito allo stato. I comuni non potranno più ridurre l'aliquota allo 0,1%. I chiarimenti del dipartimento delle finanze sui fabbricati rurali ad uso strumentale
Il gettito dell'Imu relativo ai fabbricati rurali ad uso strumentale classificati nel gruppo catastale D è riservato allo stato ad aliquota 0,2%, che i comuni non possono più ridurre allo 0,1%. Per gli altri immobili ad uso produttivo, il gettito Imu è riservato allo stato ad aliquota standard dello 0,76%, che i comuni possono solo aumentare fino a 0,3 punti percentuali, ma non ridurre. I comuni devono modificare le disposizioni regolamentari che stabiliscono per detti immobili un'aliquota inferiore a quella standard.

Questi sono i principi che si ricavano dalla
risoluzione 28.03.2013 n. 6/DF
della direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del dipartimento delle finanze del Mineconomia (si veda ItaliaOggi del 29.03.2013).
La questione è connessa al fatto che il comma 380 dell'art. 1 della legge n. 228/12 stabilisce che il gettito dell'Imu, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, è calcolato ad aliquota standard dello 0,76%, prevista dal comma 6, primo periodo, dell'art. 13 del dl n. 201/2011. Detta norma non fa alcuna menzione del gettito relativo ai fabbricati rurali ad uso strumentale classificati nel gruppo catastale D.
È stato chiarito che il gettito Imu che deriva da detti immobili deve comunque essere attribuito allo stato sia pure con l'aliquota dello 0,2%, prevista dall'art. 13, comma 8, del dl n. 201. La soluzione offerta trova una sua motivazione nella circostanza che per questi immobili il legislatore dell'Imu ha creato un particolare regime agevolato prevedendo espressamente l'aliquota ridotta allo 0,2%. Ciò comporta che le disposizioni del comma 380, dell'art. 1 della legge n. 228/2012, non possono avere il significato di calpestare tale sistema per così dire «speciale» e legittimare l'applicazione per i fabbricati rurali ad uso strumentale dell'aliquota standard dello 0,76%. Anche dal punto di vista logico tale argomentazione non sembra avere alcun supporto, in quanto l'aliquota Imu per tali immobili potrebbe paradossalmente passare dallo 0,1% al 1,06%, per effetto del possibile aumento di tre punti percentuali.
Secondo i tecnici del ministero, l'unico effetto della norma della legge di stabilità per il 2013 per i fabbricati rurali ad uso strumentale all'attività agricola, classificati nel gruppo catastale D, è quello di riservare allo stato il gettito con l'aliquota dello 0,2%, che peraltro i comuni non possono certo ridurre dello 0,1%, come consentiva loro il comma 8 dell'art. 13 del dl n. 201/2011.
Le modifiche della legge di stabilità sono destinate a condizionare la manovrabilità delle aliquote da parte dei comuni che, per effetto della riserva allo stato del gettito dell'Imu derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo D, ad aliquota dello 0,76%, potranno intervenire solo aumentando detta aliquota sino a 0,3 punti percentuali, assicurandosi tale maggior gettito, ma non potranno, invece, ridurla. Ciò determina l'incompatibilità delle nuove norme con le disposizioni dell'art. 13 del dl n. 201/2011 che:
• al comma 9, stabilisce che i comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4% nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario ai sensi dell'art. 43 Tuir, di immobili posseduti dai soggetti passivi dell'Ires, o di immobili locati;
• al comma 9-bis accorda ai comuni la possibilità di ridurre l'aliquota di base fino allo 0,38% per i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall'ultimazione dei lavori.
Tali innovazioni influenzano le disposizioni regolamentari adottate dai comuni per il 2012, giacché le disposizioni che stabiliscono un'aliquota inferiore a quella dello 0,76% con riferimento agli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo D non sono più applicabili per il 2013, per cui i comuni devono approntare le necessarie modificazioni (articolo ItaliaOggi del 30.03.2013).

TRIBUTIChiamata Imu per le imprese. Capannoni, la dichiarazione 2012 entro il 2 aprile. Una risoluzione delle Finanze sui beni su cui sono stati computati costi aggiuntivi.
Il termine di presentazione della dichiarazione Imu relativa ai fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, ovvero iscritti, ma senza attribuzione di rendita, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati per i quali sono stati computati costi aggiuntivi a quelli di acquisizione, decorre dai 90 giorni dalla data della chiusura del periodo di imposta relativo alle imposte sui redditi.
Il periodo d'imposta è quello in cui il contribuente è in possesso di tutti gli elementi necessari per la determinazione della base imponibile. La dichiarazione relativa all'Imu 2012 deve essere presentata entro il prossimo 02.04.2013, sulla base dei coefficienti fissati nel dm 05.04.2012. Quella relativa all'Imu per l'anno 2013 dovrà essere presentata entro 90 giorni dal 31.12.2013, e cioè entro il 31.03.2014.

Sono questi, in sintesi, i concetti che si deducono dalla
risoluzione 28.03.2013 n. 6/DF della Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, questa volta alle prese con la disciplina dei fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, ovvero iscritti, ma senza attribuzione di rendita, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati.
Per detti immobili l'art. 5, comma 3, del dlgs n. 504 del 1992 stabilisce che fino all'anno nel quale i fabbricati sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione ed è costituito dall'ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili, applicando per ciascun anno di formazione dello stesso, i coefficienti aggiornati ogni anno con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sulla base dei dati risultanti all'Istat sull'andamento del costo di costruzione di un capannone.
Tale valore ai fini Imu è, pertanto, formato dal costo originario di acquisto/costruzione compreso il costo del terreno, dalle spese incrementative, dalle rivalutazioni economico/fiscali, eventualmente effettuate, dagli interessi passivi capitalizzati e dai disavanzi di fusione, come risultante dalle scritture contabili al 1° gennaio dell'anno in riferimento al quale è dovuta l'Imu.
Il problema prospettato ai tecnici del Mef è l'esatto termine che l'art. 13, comma 12-ter, del dl 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214, stabilisce quale data «in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell'imposta» dal quale far decorrere i 90 giorni per presentare la dichiarazione Imu.
Già nelle istruzioni allegate al modello di dichiarazione Imu, approvato con dm 30.10.2012, al paragrafo «1.5 - Quando deve essere presentata la dichiarazione» è stato precisato che per tale tipologia di immobili «per i quali sono stati computati costi aggiuntivi a quelli di acquisizione, la data da considerare, ai fini della decorrenza dei 90 giorni è quella della chiusura del periodo di imposta relativo alle imposte sui redditi».
Ora però ci si chiede se la chiusura del periodo di imposta, a partire dal quale deve essere computato il termine di 90 giorni per la presentazione della dichiarazione, debba identificarsi con:
• quello nel quale sono stati contabilizzati i costi aggiuntivi che generano l'obbligo dichiarativo e, quindi, se la dichiarazione deve essere presentata entro 90 giorni dalla chiusura del periodo d'imposta nel quale sono stati sostenuti i costi incrementativi;
• quello in cui l'incremento del valore dovuto ai costi aggiuntivi ha efficacia ai fini del versamento dell'Imu, ossia il periodo d'imposta di riferimento per la determinazione del valore che costituisce la base imponibile per il versamento della relativa imposta annuale.
Nella risoluzione viene chiarito che il periodo d'imposta dalla chiusura del quale decorrono i 90 giorni non può che essere quello in cui il contribuente è in possesso di tutti gli elementi necessari per la determinazione della base imponibile.
Nel primo caso, infatti, potrebbero mancare i coefficienti per la determinazione del valore contabile dei fabbricati, considerato che il decreto di aggiornamento di detti coefficienti viene normalmente emanato successivamente alla scadenza dei 90 giorni dalla chiusura del periodo d'imposta nel quale sono stati sostenuti i costi incrementativi.
E così, ad esempio, se i costi incrementativi del valore degli immobili sono stati sostenuti nel corso del 2012, l'incremento del valore dell'immobile deve essere preso in considerazione per il versamento dell'Imu relativo all'anno 2013, poiché è in questo anno che il contribuente viene a conoscenza dei coefficienti di aggiornamento del valore degli immobili. Ciò comporta che:
- la dichiarazione dell'Imu per l'anno 2013 dovrà essere presentata entro 90 giorni dal 31.12.2013, ossia entro il 31.03.2014;
- la dichiarazione relativa all'Imu 2012 deve essere presentata entro il prossimo 02.04.2013, sulla base dei coefficienti fissati nel dm 05/05/ 2012.
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Le detrazioni e le aliquote valide solo se su internet.
Dal 2013 l'efficacia delle deliberazioni di approvazione delle aliquote e della detrazione dell'Imu, decorre dalla data di pubblicazione nel sito informatico www.finanze.it a condizione che la pubblicazione avvenga entro il 30 aprile dell'anno a cui la delibera si riferisce. Il diritto di abitazione che attribuisce la soggettività passiva Imu all'ex coniuge prevale in tutte le ipotesi in cui l'assegnazione della casa coniugale sia disposta con provvedimento giudiziale, ma non nel caso in cui è oggetto di un contratto di locazione.
Sono due chiarimenti offerti dalla
risoluzione 28.03.2013 n. 5/DF
delle Finanze.
Essa ribadisce che in caso di mancata pubblicazione sul sito delle Finanze entro il termine del 30 aprile, le aliquote e la detrazione si intendono prorogate di anno in anno. Per far sì che tale meccanismo funzioni perfettamente è necessario che dette aliquote siano inviate dal comune al Dipartimento entro il 23.04.2013. Pertanto il contribuente, chiamato a versare la prima rata dell'Imu entro il 17 giugno (visto che il 16 è domenica) deve calcolarlo tenendo conto delle aliquote pubblicate, entro il 30.04.2013, sul sito www.finanze.it.
Se il comune intende modificare per il 2013 le aliquote approvate per l'anno 2012, deve inviare le nuove deliberazioni esclusivamente inserendole nell'apposita sezione del Portale del federalismo fiscale, entro il 23.04.2013. Se vuole confermare le aliquote 2012 deve solo accertarsi che la deliberazione 2012 sia stata pubblicata sul sito. In assenza, il contribuente applicherà le aliquote di legge.
L'ulteriore caso che può verificarsi è che al 30.04.2013 non ci sia sul sito nessuna deliberazione del comune relativa al 2013; se ciò accadrà il contribuente dovrà verificare se risulta pubblicata la deliberazione relativa al 2012 che, risulta valida anche per il 2013. Nell'ipotesi in cui non risulti pubblicata sul sito neanche la deliberazione per l'anno 2012, il contribuente non potrà far altro che applicare le aliquote fissate dalla legge (si veda ItaliaOggi del 20/03/2013).
Casa coniugale
Per quanto riguarda l'applicazione dell'Imu alla ex casa coniugale, per legge «l'assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione». Questo, «in ogni caso», fa propendere per l'interpretazione in base alla quale il diritto di abitazione deve prevalere in tutte le ipotesi in cui l'assegnazione della casa coniugale al coniuge sia disposta con provvedimento giudiziale.
Fa eccezione il caso in cui il legislatore ha disciplinato espressamente la fattispecie, come è avvenuto con l'art. 6 della legge 27.07.1978, n. 392, il quale prevede che «in caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l'altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest'ultimo».
I tecnici del Ministero hanno precisato che in questa ipotesi il legislatore ha previsto direttamente la successione nel contratto di locazione da parte del coniuge assegnatario, che, pertanto, utilizza l'immobile sulla base di un titolo giuridico diverso da quello del diritto reale di abitazione previsto, dall'art. 4, comma 12-quinquies del dl n. 16 del 2012.
Tali valutazioni portano alla conclusione che quest'ultima norma opera solo se l'immobile assegnato sia di proprietà, interamente o pro-quota, del coniuge non assegnatario e in quello in cui lo stesso immobile sia stato concesso in comodato, ma non se esso sia oggetto di un contratto di locazione (articolo ItaliaOggi del 29.03.2013).

TRIBUTI: OGGETTO: Imposta municipale propria (IMU) di cui all’art. 13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Termine di presentazione della dichiarazione IMU concernente i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, ovvero iscritti, ma senza attribuzione di rendita, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati. Quesito (Ministero dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze, risoluzione 28.03.2013 n. 6/DF).

TRIBUTI: OGGETTO: Imposta municipale propria (IMU) di cui all’art. 13 del D. L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Modifiche recate dall’art. 1, comma 380, della legge 24.12.2012, n. 228. Quesiti in materia di pubblicazione delle deliberazioni concernenti le aliquote, di pagamento della prima rata dell’imposta e di assegnazione della casa coniugale (Ministero dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze, risoluzione 28.03.2013 n. 5/DF).

TRIBUTI: La moschea è sempre esente dall'Ici
Per il riconoscimento delle agevolazioni fiscali agli immobili adibiti al culto prevale la sostanza sulla forma. Dunque, un immobile destinato a moschea non paga l'Ici anche se è iscritto in catasto come opificio. Nonostante questa destinazione sia solo parziale.

Lo ha stabilito la commissione tributaria regionale di Milano, sezione XIII, con la sentenza 28.12.2012 n. 176.
Per i giudici d'appello, prevale l'uso effettivo dei locali sia sull'accatastamento sia sulla formale indicazione degli scopi statutari di chi utilizza l'immobile. Infatti, l'immobile in questione ancorché catastalmente classificato come «D/1» (opificio) e non come «E/7» (fabbricato per l'esercizio di culto), di fatto era utilizzato come luogo di culto, in determinate fasce orarie della giornata, e luogo di ritrovo degli iscritti a un'associazione.
Secondo la commissione, queste attività «rappresentano una ulteriore manifestazione dell'esercizio del culto della religione islamica che detta precise regole di accoglienza e di assistenza dei propri fedeli». Peraltro viene richiamata nella sentenza una pronuncia del tribunale di Lecco, che aveva riconosciuto l'edificio come luogo di culto utilizzato dalla comunità di religione musulmana.
In effetti l'articolo 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 504/1992 riconosce l'esenzione ai fabbricati, e loro pertinenze, destinati esclusivamente all'esercizio del culto, purché compatibile con i principi contenuti negli articoli 8 e 19 della Costituzione. Esercitare in privato il culto è un diritto costituzionalmente garantito a tutti.
Del resto la Cassazione (sentenza 6316/2005), a proposito di un fabbricato utilizzato dal vescovo, ha affermato che è esente dall'Ici, anche se non si tratti di immobile avente finalità dirette di culto, a condizione che venga destinato allo svolgimento delle funzioni pastorali. Per i giudici di legittimità, il primo scopo di un ordine religioso è la formazione di comunità in cui si esercita la vita associativa quale presupposto per la catechesi, l'elevazione spirituale dei membri e la preghiera in comune.
Pertanto, la classificazione catastale di un fabbricato non può condizionare il riconoscimento di un'agevolazione fiscale. L'esenzione spetta agli enti non commerciali anche se l'inquadramento catastale dell'immobile non sia coerente con la loro attività istituzionale. La situazione di fatto prevale rispetto all'accatastamento del bene, considerato che per la normativa Ici quello che conta è la destinazione concreta dell'immobile, a prescindere dal dato formale (articolo ItaliaOggi del 27.03.2013).

TRIBUTINiente Tarsu su garage, cantine e pertinenze. La corte conti Abruzzo sconfessa un consolidato orientamento giurisprudenziale.
La tassa smaltimento rifiuti solidi urbani (Tarsu) non è dovuta sui locali destinati a garage, cantine, solai e altri locali accessori o pertinenziali di abitazioni.

Questa è la conclusione a cui è recentemente giunta la sezione regionale di controllo dell'Abruzzo della Corte dei conti, con il parere 25.03.2013 n. 24.
Un comune abruzzese aveva investito la sezione regionale competente di alcune questioni riguardanti l'applicazione della Tarsu, chiedendo se fosse possibile non applicare sanzioni ed interessi in relazione al recupero del tributo calcolato sulle superfici di locali accessori o pertinenziali di case di civile abitazione, non dichiarate a seguito di indicazioni verbali all'epoca fornite dall'ufficio competente e di provvedere contemporaneamente al rimborso delle somme già pagate a tale titolo da taluni contribuenti destinatari di avvisi di accertamento definiti con adesione.
A parere dei magistrati contabili abruzzesi la richiesta dell'ente merita accoglimento, poiché non è possibile irrogare sanzioni e richiedere interessi su di un tributo non dovuto, in quanto i locali accessori di abitazioni non sono soggetti alla Tarsu. Per giungere a tale conclusione vengono invocate alcune sentenze della Ctr Sicilia per le quali la tassa sui rifiuti non è dovuta per i locali accessori di abitazioni (es. sentenza, sez. di Catania, n. 483/34/11).
La decisione si basa sul contenuto della circolare del min. Finanze n. 95/E/1994, secondo la quale «devono considerarsi esclusi dal calcolo della superficie rilevante per l'applicazione della tassa sui rifiuti urbani quei locali il cui uso è del tutto saltuario ed occasionale e nei quali comunque la presenza dell'uomo è limitata temporalmente a sporadiche occasioni e a utilizzi marginal». Da qui i giudici siciliani hanno concluso che il garage privato è luogo adibito al ricovero di uno o più veicoli e quand'anche la persona vi si trattenga per tempi non brevi, non è plausibile ipotizzare che ne derivino rifiuti.
I magistrati della Sezione regionale di controllo dell'Abruzzo sembrano però non condividere l'ormai consolidato orientamento contrario sia della prassi che della giurisprudenza. L'art. 62, comma 1, del dlgs 507/93 stabilisce che sono soggetti al tributo tutti i locali e le aree scoperte occupati o detenuti, a qualsiasi uso adibiti, a esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nel territorio comunale. Il successivo comma 2 esonera dall'applicazione della tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti per la loro natura, per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell'anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e siano debitamente riscontrate in base ad elementi oggettivi direttamente rilevabili o da idonea documentazione.
La questione è stata affrontata dalla Corte di cassazione la quale, tuttavia, è giunta a conclusioni opposte a quelle della Sezione regionale di controllo abruzzese. La sentenza n. 2202/2011 ritiene infatti tassabili i garage e le autorimesse proprio sulla scorta del principio per il quale vi è una presunzione legale di produttività di rifiuti derivante dall'occupazione o dalla detenzione di locali ed aree, considerando che l'impossibilità di produrre rifiuti negli stessi non può essere presunta dal giudice tributario, ma è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità.
Ad analoga decisione perviene, sulla scorta dei medesimi principi, la sentenza della Suprema corte, n. 11351 del 06/07/2012, proprio cassando la sentenza n. 483/34/11 della Ctr Sicilia invocata dai magistrati abruzzesi a fondamento del loro convincimento. Anche la prassi ministeriale conferma da tempo tale orientamento. La stessa circolare n. 95/1994, a base della decisione della Corte abruzzese, non intendeva includere tra i locali non tassabili «con sporadica presenza dell'uomo» i garage, come dimostra quando evidenzia che «non è previsto alcun abbattimento per i locali a più bassa potenzialità di produzione di rifiuti rispetto alle restanti parti del complesso (es. cantina o garage a servizio di abitazioni)».
Anche le successive rm n. 149/1998 e n. 45/E/1999 ribadiscono l'applicazione del tributo sui locali accessori. In particolare la seconda evidenzia come il riferimento all'esclusione dal tributo dei locali con sporadica presenza dell'uomo, contenuto nella circ. n. 95/1994, deve intendersi riguardante le superfici caratterizzate da usi meramente occasionali e nettamente distanziati nel tempo diversi da quelli domestici e come la tariffa relativa alle abitazioni è già una tariffa media, che tiene conto della minore potenziale produzione di rifiuti dei locali accessori. Le medesime conclusioni valgono oggi per la Tares, data la sostanziale coincidenza del presupposto impositivo (articolo ItaliaOggi del 19.07.2013).

TRIBUTITributi locali. Basta che lo preveda il Prg - Non servono i documenti attuativi.
Per l'Imu l'area è edificabile anche se non si può costruire.

La qualifica di area edificabile ai fini dell'Imu prescinde dalle concrete possibilità di sfruttamento edificatorio del suolo e deriva esclusivamente dall'inclusione del bene nell'ambito dello strumento urbanistico generale.
La nozione di area edificabile nell'ordinamento tributario è sancita nell'articolo 36, comma 2, Dl n. 223/2006. A mente di tale disposizione, sono edificabili tutte le aree così qualificate dallo strumento urbanistico generale, anche solo adottato dal comune, a prescindere dall'esistenza dello strumento attuativo. Ciò significa che ai fini fiscali la qualificazione in esame discende da criteri meramente formali (l'inclusione nel piano regolatore), più che sostanziali. Potrebbe quindi accadere, come nel caso proposto dal lettore, che sia considerata edificabile anche un'area sulla quale non è possibile al momento costruire assolutamente nulla.
Alla luce di questi principi di diritto, dunque, il terreno in possesso del lettore deve essere trattato come edificatorio per l'Imu. La circostanza che l'indice di edificabilità sia basso, inoltre, non comporta che una quota del bene possa essere trattata come terreno agricolo, ma che il valore unitario dell'intera area edificabile sia determinato in ragione delle effettive condizioni urbanistiche.
In altri termini, posto che l'imponibile Imu è pari al valore di mercato al primo gennaio di ciascun anno, ne discende che tale valore dovrà essere influenzato sia dall'effettivo indice di edificabilità sia dalle prospettive temporali di costruzione. È infatti evidente che se il tempo per la monetizzazione dell'investimento è piuttosto lungo il valore del bene non potrà essere elevato. Lo stesso dicasi se le possibilità di costruzione non consentono uno sfruttamento intensivo del bene.
Vale da ultimo segnalare che il comune ha solo il potere di indicare valori di orientamento per i contribuenti ma non di determinare la base imponibile dell'imposta. La determinazione dell'imponibile, infatti, è riservata al legislatore statale. Questo significa che se il contribuente ritiene eccessivo l'importo deliberato dal comune egli potrà discostarsene. In caso di successivo contenzioso con l'ente, si potranno far valere le ragioni di parte, meglio se supportate da una perizia di un esperto.
Si evidenzia peraltro che, in presenza di una dichiarazione infedele, il comune irroga la sanzione dal 50% al 100% dell'imposta dovuta. Il termine per la notifica degli avvisi di accertamento è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata commessa la violazione (articolo Il Sole 24 Ore del 22.03.2013).

TRIBUTI: Acconto Imu 2013, vietato deliberare in ritardo
Per l'acconto Imu 2013 fa da spartiacque la data del 23.04.2013. Termine ultimo utile per i comuni con i conti in ordine per deliberare le nuove aliquote per l'appuntamento di giugno 2013. Se la delibera arriva in ritardo è possibile che a giugno si dovranno usare le aliquote in vigore nel 2012 e rimandare il tutto al 2014 anche per il saldo 2013 di dicembre.

È questo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi l'orientamento che potrebbe prevalere nella stesura di un nuovo intervento di prassi del dipartimento delle finanze sulla campagna Imu 2013.
Accantonate, dunque, tutte le promesse elettorali, rimaste sulla carta, la macchina organizzativa si è già messa in moto iniziando a verificare i tempi di approvazione delle delibere con i tempi di approvazione concessi ai comuni non in regola con i conti e quelli invece in equilibrio.
È previsto infatti un doppio binario per i comuni che presentano conti in squilibrio e per i comuni con i conti in ordine in relazione al calendario di approvazione delle delibere Imu.
Nel primo caso i comuni hanno tempo fino al 30.09.2013 per deliberare sui propri conti e in merito anche all'Imu. Mentre i comuni con i conti in ordine devono fare riferimento al termine del 23 aprile per approvare le eventuali correzioni alle aliquote. L'orientamento che potrebbe essere recepito nella circolare del dipartimento, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, in riferimento ai comuni con i conti in squilibrio, che deliberano tra il primo maggio e il 30 settembre, è quello di andare a far pagare a giugno con le aliquote Imu in vigore nel 2012 e a dicembre applicare una sorta di conguaglio 2013.
Discorso diverso e con i tempi più stretti per i comuni con i conti in ordine. Per questi ultimi infatti arrivare con una delibera successiva al 23 aprile sforando il termine del primo maggio significherebbe precludersi la possibilità di applicare variazioni di aliquota per l'Imu 2013. Se ne riparlerebbe infatti nel 2014.
È questa una linea interpretativa che troverebbe il consenso della consulta dei Caf (centri di assistenza fiscale) che per esigenze organizzative e rispetto ai tempi normativi prendono come riferimento la decorrenza del 1° maggio per avviare la propria campagna di analisi delle delibere e preparazione dei bollettini di versamento e assistenza ai contribuenti. Ma i nodi da sciogliere sulla campagna Imu 2013 non finiscono qui. Intanto nel puzzle degli adempimenti sulla dichiarazione Imu manca all'appello il codice tributo per chi è arrivato oltre il termine del 4 febbraio e vuole ravvedersi.
Nella pratica dunque non è ancora possibile applicare il ravvedimento operoso per la dichiarazione Imu. Resta poi sul tappeto un'altra questione non da poco: alla consulta dei Caf sono arrivate segnalazione di comuni che vorrebbero far pagare l'Imu seconda casa limitatamente alla stanza che il privato, nella propria abitazione dove ha la residenza, ha affittato. Non considerando che ai fini Imu il requisito è quello della residenza e non quello reddituale (articolo ItaliaOggi del 20.03.2013).

TRIBUTIIl terreno incolto non paga Imu. Va invece versata l'Irpef sulla base del reddito dominicale. Le risposte ai temi dei lettori. La tassa locale non è dovuta nelle zone montane e collinari.
DOPPIO VANTAGGIO/ I fabbricati rurali a uso strumentale non scontano il tributo locale ma neppure quello sui redditi.

I terreni incolti di collina e di montagna, essendo esenti dall'imposta municipale, scontano l'Irpef; la precisazione è contenuta nella
circolare 11.03.2013 n. 5/E
dell'agenzia delle Entrate.
Il quadro normativo è quello dell'articolo 8 del Dlgs 23/2011, in base al quale gli immobili soggetti all'imposta municipale, se non locati, non devono assolvere l'Irpef sulla rendita fondiaria. Si ricorda che tale agevolazione si applica ai titolari di redditi fondiari e quindi soltanto alle persone fisiche e alle società semplici; questa agevolazione si concretizza per la prima volta nella prossima dichiarazione dei redditi Unico 2013.
Qualora invece questi immobili usufruiscano di qualche esenzione dall'imposta municipale ricadono nell'assoggettamento a Irpef. È proprio il caso dei terreni agricoli situati in zone di collina e di montagna (circolare n. 9 del 14.06.1993) i quali, ai sensi dell'articolo 7 del Dlgs 504/1992, sono esclusi dall'imposta municipale. Quindi per questi terreni i proprietari devono assolvere l'Irpef sul reddito dominicale rivalutato dell'80 per cento.
La stessa regola vale per i terreni incolti, per i quali la circolare n. 3/DF/2012 ha previsto in generale l'assoggettamento all'imposta municipale. Tuttavia, se tali terreni sono collocati in collina o in montagna scatta l'esclusione dall'Imu in quanto non costituiscono una categoria autonoma di immobili ma appartengono alla categoria dei terreni agricoli (non essendo né aree edificabili né fabbricati).
Sul tema è illuminante la circolare 5/E/2013 che, citando la risposta fornita dal governo a un'interrogazione parlamentare, ha ribadito l'esclusione da Imu per i terreni incolti collocati in collina o in montagna.
In particolare in questa circostanza il ministero delle Finanze ha precisato che, ancorché letteralmente l'articolo 7 del Dlgs 504/1992 preveda l'esenzione per i soli terreni agricoli, l'interpretazione corretta è quella basata su una lettura sistematica della norma.
Ciò porta a far rientrare nell'ambito di applicazione dell'esenzione dall'imposta municipale, disposta per i terreni ricadenti in aree montane o in zone collinari, anche i terreni non coltivati. A parere del Ministero questo orientamento risulta altresì confermato dalle istruzione alla compilazione alla dichiarazione Imu (paragrafo 3.2) ove viene decretata l'esenzione per i tutti i terreni ricadenti in territori montani o collinari senza più far riferimento ai soli terreni agricoli.
Ne deriva che l'intento del legislatore non può che essere quello di escludere dall'assoggettamento all'imposta anche i terreni incolti.
Quindi i terreni non coltivati situati in collina e in montagna per effetto della esclusione da Imu devono assolvere l'Irpef. Si ricorda tuttavia che ai sensi dell'articolo 31 del Tuir, in presenza di mancata coltivazione per un'intera annata agraria e per cause non dipendenti dalla tecnica agraria, il reddito dominicale si assume nella misura del 30% mentre il reddito agrario non concorre a formare il reddito complessivo.
Doppia esenzione, invece, per i fabbricati rurali a uso strumentale di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del Dl 557/1993 situati in comuni classificati montani o parzialmente montani, di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istat. In questo caso le costruzioni rurali che sono esenti da Imu non assolvono nemmeno l'Irpef, alla luce dell'esclusione a regime da imposizione diretta contenuta nell'articolo 42 del Tuir (articolo Il Sole 24 Ore del 19.03.2013).

TRIBUTI: L'Imu distingue coniugi e non. Imposta a carico dell'assegnatario ma non del convivente. Diversi i trattamenti di tributo e bonus per separati-divorziati rispetto a famiglie di fatto.
L'Imu distingue le coppie sposate da quelle di fatto. Diverso è, infatti, il trattamento per i coniugi separati o divorziati ai fini del pagamento dell'Imu rispetto alle famiglie di fatto. Normalmente è il possesso di diritto di un immobile che obbliga al pagamento dell'imposta municipale.
L'unica eccezione è rappresentata dal coniuge assegnatario dell'immobile che, in base a quanto disposto dall'articolo 13 del dl «salva-Italia» (201/2011), è obbligato al pagamento dell'Imu anche nei casi in cui non sia né proprietario né titolare di altro diritto reale di godimento sul bene.

Il legislatore, in sede di conversione del dl 16/2012, ha posto a carico del coniuge assegnatario dell'immobile l'obbligo di pagare il tributo. L'articolo 4, comma 12-quinquies, del dl sulle semplificazioni fiscali prevede espressamente che, solo per l'Imu, l'assegnazione della casa coniugale a favore di uno dei coniugi, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, «si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione».
Ma molti contribuenti interessati alla questione si pongono questa domanda: chi è debitore dell'Imu nel caso in cui il giudice ordinario assegni l'immobile a uno dei conviventi, che non sia il proprietario della casa familiare adibita a propria residenza e dimora? Per famiglia di fatto si intende l'unione tra due persone che, pur non avendo contratto matrimonio tra loro, convivono more uxorio. Nonostante la giurisprudenza ordinaria tenda a riconoscere alle coppie di fatto gli stessi diritti assicurati dalla legge a quelle sposate, anche volendo forzare il dato normativo non è possibile ritenere che la disciplina Imu rivolta espressamente al coniuge assegnatario, per quanto concerne il soggetto obbligato al pagamento del tributo, possa essere applicata al convivente assegnatario dell'immobile con provvedimento giudiziale. La soggettività passiva, infatti, deve essere stabilita solo ex lege e non può essere attribuita attraverso interpretazioni estensive.
Pertanto, laddove la norma individua come soggetto obbligato al pagamento dell'Imu il coniuge assegnatario, non può ritenersi che lo stesso trattamento giuridico possa valere anche per il convivente assegnatario della casa familiare. Del resto, per «coniuge» si intende ognuna delle due persone che sono unite in matrimonio. Pertanto, il convivente titolare dell'immobile è tenuto a pagare la nuova imposta locale. Tra l'altro, non può neppure fruire del trattamento agevolato per l'abitazione principale, considerato che essendo l'immobile assegnato all'ex convivente non può adibirlo a propria residenza e dimora abituale, come richiesto dall'articolo 13. Così come non ha diritto alla detrazione d'imposta per i figli affidati dal giudice al convivente.
Soggetti passivi. L'Imu è dovuta dai contribuenti per anni solari, proporzionalmente alla quota di possesso dell'immobile e in relazione ai mesi dell'anno per i quali il bene è stato posseduto. Se il possesso si è protratto per almeno 15 giorni, il mese deve essere computato per intero. Va precisato che la prova della proprietà o della titolarità dell'immobile non è data dalle iscrizioni catastali, ma dalle risultanze dei registri immobiliari. In caso di difformità è tenuto al pagamento dell'Imu il soggetto che risulta titolare da questi registri (Commissione tributaria regionale del Lazio, prima sezione, sentenza 90/2006). Quindi, per l'assoggettamento agli obblighi tributari non è probante quello che risulti iscritto in catasto.
Oltre al proprietario e all'usufruttuario, sono soggetti passivi anche il superficiario, l'enfiteuta, il locatario finanziario, i titolari dei diritti di uso e abitazione, nonché il concessionario di aree demaniali. Rientra tra i diritti reali, poi, il diritto di abitazione che spetta al coniuge superstite, in base all'articolo 540 del codice civile. Non è soggetto al prelievo fiscale, invece, il nudo proprietario dell'immobile. Allo stesso modo, non sono obbligati al pagamento dell'imposta il locatario, l'affittuario e il comodatario, in quanto non sono titolari di un diritto reale di godimento sull'immobile, ma lo utilizzano sulla base di uno specifico contratto. Che il semplice possesso non obblighi al pagamento lo ha chiarito la Cassazione (sentenza 18476/2005), per l'Ici, a proposito del coniuge assegnatario dell'immobile, in caso di separazione.
Secondo la Cassazione, se il giudice assegnava in passato a un coniuge l'abitazione dell'ex casa coniugale, il soggetto assegnatario non era tenuto al pagamento dell'Ici. Il giudice non ha, infatti, il potere di costituire diritti reali di godimento sull'immobile, quali quelli di uso e abitazione, ma può decidere solo in ordine all'attribuzione di un diritto personale sulla casa familiare a favore di un coniuge. In base alla vecchia normativa Ici, l'assegnatario aveva solo un diritto di godimento del bene di natura personale e non reale. Solo per l'Imu è stato posto a carico dell'assegnatario dell'immobile l'obbligo di pagare il tributo.
Bisogna inoltre ricordare che l'utilizzo di un immobile o il possesso di fatto non possono essere inquadrati giuridicamente come diritto d'uso.
In base all'articolo 1021 del codice civile, chi è titolare di questo diritto può servirsi della cosa che ne forma oggetto e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per quello che è necessario ai bisogni personali.
L'uso, dunque, è un diritto reale di godimento che attribuisce al titolare la facoltà di usare e godere della cosa, in modo diretto, per il soddisfacimento di un bisogno attuale e personale. Questo diritto viene costituito per contratto, testamento o usucapione (articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2013).

TRIBUTIIl rudere paga l'Imu quando è recuperabile. Cassazione. Imponibili anche i fabbricati collabenti.
IL PRINCIPIO/ La Corte ha equiparato a un'area fabbricabile un terreno agricolo occupato da resti di immobili da demolire.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 5166/2013 ha ritenuto che la cessione unitaria di un terreno agricolo con sovrastanti fabbricati ex rurali collabenti, destinati alla demolizione e alla ricostruzione come fabbricati civili, va considerata come cessione di area fabbricabile.
I giudici di Piazza Cavour prendono le mosse proprie dalla normativa Ici, ricordando che l'area edificabile costituisce un genere articolato nelle due specie dell'area edificabile di diritto, così qualificata in un piano urbanistico, e dell'area edificabile di fatto, vale a dire del terreno che, pur non essendo urbanisticamente qualificato, può nondimeno avere una vocazione edificatoria di fatto, in quanto sia potenzialmente edificatorio anche al di fuori di una previsione programmatica.
Nel caso analizzato dai giudici di legittimità la natura di area edificabile è stata riconosciuta sulla base di una suscettibilità edificatoria unitaria del terreno a prescindere dal fatto che l'area fosse inserita, dallo strumento urbanistico generale, in zona agricola.
Il principio di diritto enunciato risolve il problema applicativo relativo ai fabbricati collabenti, normalmente accatastati in categoria catastale F2. Si tratta di fabbricati con un alto livello di degrado, pericolanti o diroccati, non utilizzabili e per questo accatastati senza rendita catastale. A seguito dell'emersione dei fabbricati ex rurali, iniziata con il Dl 262/2006, molti di questi fabbricati sono stati accatastati proprio in categoria F2.
Questi fabbricati, in realtà, sono da assoggettare come area fabbricabile in quanto lo strumento urbanistico comunale normalmente ne prevede il recupero edilizio, anche se nei limiti della cubatura esistente. Si tratta quindi di aree fabbricabili previste direttamente dallo strumento urbanistico, ai sensi dell'articolo 2 del Dlgs 504/1992, e non di fabbricati che possono essere attratti ad imposizione solo in caso di ristrutturazione, ai sensi dell'articolo 5 della normativa Ici.
Naturalmente, il fabbricato collabente situato in una zona del territorio comunale dove è comunque precluso il recupero edilizio, come nelle fasce di rispetto di un fiume, sarà escluso dall'Ici ed anche dall'Imu, non essendo né un terreno, né un fabbricato con rendita, né un'area fabbricabile.
La Cassazione, con la sentenza citata, completa dopo vent'anni di applicazione dell'Ici, il quadro di riferimento per le aree fabbricabili, costituito da una stratificazione di sentenze della Corte di Cassazione (sezioni unite 30.11.2006, n. 25506) e della Corte Costituzione (27.02.2008, n. 41) e da un susseguirsi di norme, terminate con l'articolo 36 del Dl 223/2006 che considera area fabbricabile, ai fini di tutte le imposte, comunali ed erariali, l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo. Ovviamente l'articolato quadro giurisprudenziale e normativo è integralmente applicabile anche per l'Imu (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTIQuali sono le aree escluse dalla Tares? (18.03.2013 - link a www.ambientelegale.it).

TRIBUTIImmobili fantasma all'appello. Scade il 2 aprile il termine per la regolarizzazione. Entro lo stesso termine il ricorso in Commissione contro i provvedimenti catastali.
Scade il 2 aprile il termine per la presentazione da parte dei contribuenti degli atti di aggiornamento dei fabbricati non dichiarati in catasto ai quali l'Agenzia del territorio ha attribuito la rendita presunta. Gli interessati possono regolarizzare la loro posizione presentando gli atti di aggiornamento catastale entro 120 giorni dalla pubblicazione del comunicato dell'Agenzia nella Gazzetta Ufficiale, al quale è allegato l'elenco dei comuni interessati dall'attività di attribuzione della rendita presunta.
Considerato che il comunicato è stato pubblicato il 30.11.2012, il termine per la regolarizzazione scade il prossimo 2 aprile. In caso contrario i contribuenti sono soggetti al pagamento delle sanzioni amministrative. Entro lo stesso termine è possibile presentare ricorso contro i provvedimenti catastali innanzi alla commissione tributaria provinciale competente per territorio.
Al comunicato dell'Agenzia del territorio del 30 novembre scorso è allegato l'elenco dei comuni interessati dalla seconda fase dell'attività di attribuzione della rendita presunta ai fabbricati cosiddetti fantasma. Sul sito internet dell'Agenzia è ancora disponibile per la consultazione l'elenco delle particelle del catasto terreni e le corrispondenti unità immobiliari del catasto edilizio urbano alle quali è stata attribuita la rendita presunta. Gli atti di aggiornamento devono essere presentati entro 120 giorni dalla pubblicazione del comunicato nella Gazzetta Ufficiale. Mentre i termini per la proposizione del ricorso (60 giorni) iniziano a decorrere trascorsi 60 giorni dalla data di pubblicazione del comunicato. Quindi, sia per gli aggiornamenti che per l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'Agenzia il termine di scadenza è fissato al 2 aprile, poiché il 30 marzo è sabato e i due giorni successivi sono festivi.
In effetti, dal 2011 l'Agenzia del territorio può attribuire, provvisoriamente, la rendita presunta (in attesa della rendita definitiva) agli immobili non dichiarati in catasto. Le modalità e i criteri per l'attribuzione della rendita presunta sono indicate in un provvedimento del direttore del Territorio del 19.04.2011, pubblicato sul sito dell'Agenzia. L'articolo 19, comma 8, del decreto legge 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010, ha imposto l'obbligo ai titolari di diritti reali sugli immobili non dichiarati di presentare la dichiarazione di aggiornamento catastale. L'Agenzia del territorio sulla base di nuove informazioni connesse a verifiche tecnico-amministrative, effettuate con telerilevamento e con sopralluogo sul terreno, infatti, monitora costantemente il territorio, individuando, in collaborazione con i comuni, i fabbricati fantasma. Decorso il termine di legge (7 mesi) senza che il titolare dell'immobile abbia provveduto all'accatastamento, l'Agenzia è legittimata ad adottare il provvedimento attribuivo della rendita presunta.
Se per gli immobili ai quali è stata attribuita la rendita presunta i soggetti obbligati non presentano gli atti di aggiornamento, scattano le sanzioni amministrative che sono state quadruplicate. Il 75% dell'importo delle sanzioni è devoluto ai comuni in cui sono ubicati gli immobili accertati (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Imu, riduzione discrezionale. Variabile l'effetto sostitutivo per gli immobili merce. La circolare 5 riconosce l'imposta per gli stabili non produttivi di redditi fondiari.
Nessun effetto sostitutivo per gli immobili merce. Se però sono destinati alla rivendita e non locati, è possibile una riduzione discrezionale e a tempo, dell'aliquota applicabile.
Con la circolare 11.03.2013 n. 5/E (si veda ItaliaOggi del 12/03/2013) sono stati esaminati i rapporti tra l'imposta municipale sperimentale (Imu) e le imposte sui redditi, come l'Ires, l'Irpef e le addizionali, il tutto in relazione a quanto prescritto dal comma 1, dell'articolo 8 del dlgs 23/2011, inerente al federalismo fiscale.
Se dal un lato sono numerose le fattispecie per cui quando l'immobile è assoggettato a imposta municipale fuoriesce dalla tassazione diretta, vi sono altrettanti casi dove l'effetto sostitutivo appena indicato, non esplica i propri effetti. Emblematico è infatti il caso dei terreni destinati all'esercizio delle attività agricole, di cui all'art. 2135 del codice civile, soggetti a tassazione fondiaria, ai sensi dell'articolo 32 del dpr n. 917/1986.
Per l'allevamento di animali, infatti, se si sviluppa con mangimi ottenibili per almeno il 25% dal terreno, l'affittuario dichiara il reddito agrario e il proprietario, persona fisica, oltre a versare il tributo municipale, deve anche pagare l'Irpef e le relative addizionali. In questo caso, pur non rendendosi applicabile l'effetto sostitutivo, non riduce, in quanto esente, l'imposizione diretta sull'immobile strumentale agricolo collocato in aree montane. Il tutto solo se rispettoso dei requisiti oggettivi di ruralità, di cui al comma 3-bis, dell'articolo 9 del dl n. 557/1993. Si tratta infatti, tra gli altri, dell'ufficio dell'impresa agricola, dell'abitazione concessa in affitto ai dipendenti e degli immobili destinati alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, al ricovero degli animali e all'agriturismo.
Posto il principio generale per cui tutti gli immobili esenti dall'Imu scontano le imposte sui redditi, pagano pegno anche i terreni collocati in zone collinari o montane, come delimitati dall'articolo 15 del dlgs n. 984/1977, e quelli destinati ad attività diverse da quelle agricole, come le cave e i parcheggi. Si conferma quindi l'assoggettamento all'imposizione diretta per gli immobili non produttivi di redditi fondiari, di cui all'articolo 43 del Tuir, con l'eccezione di quelli non locati utilizzati in modo promiscuo dal professionista.
Pertanto, in tutti quei casi in cui non opera l'effetto sostitutivo, si determina un notevole aggravio del prelievo fiscale. Tra questi, il caso degli immobili locati, degli immobili di soggetti Ires e degli immobili-merce appartenenti alle imprese. Si verifica quindi l'assenza di un regime sostitutivo per gli immobili delle imprese, per i quali l'Imu è sempre dovuta, ai sensi del comma 1, dell'articolo 9 del dlgs n. 23/2011 e sui quali l'imprenditore paga anche le imposte dirette, poiché componente del reddito d'impresa come rimanenza.
Per detti ultimi beni quindi, l'unico possibile vantaggio è quello inerente alla riduzione dell'aliquota da parte del comune fino allo 0,38%. Per un periodo superiore a tre anni rispetto all'ultimazione dei lavori, l'aliquota ridotta si rende applicabile però, solo fino a che permane la destinazione alla vendita del fabbricato e a condizione che l'immobile non sia locato (articolo ItaliaOggi del 14.03.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTIEquitalia, procedure di vetro. Accesso agli atti con i nomi dei funzionari in chiaro. Tar Lazio accoglie il ricorso di un contribuente che aveva chiesto i dati sulle proprie cartelle.
Accesso agli atti, e ai nomi dei responsabili dei procedimenti di Equitalia a tutto campo. Equitalia deve indicare i nomi dei responsabili dei procedimenti relativi alle cartelle esattoriali quando, in sede penale, il funzionario responsabile invoca la presenza di direttive superiori e non fornisce le informazioni.
E non solo. Al contribuente devono essere forniti tutti gli atti e i provvedimenti anche con estremi ignoti, gli atti e i documenti dell'istruttoria relativi alle cartelle in capo al contribuenti, nonché tutti i documenti di prassi amministrativa relativa alla richiesta del contribuente Che devono essere mostrati, o per usare il linguaggio tecnico, messi in ostensione di fronte alla richiesta del contribuente.

Insomma un diritto di accesso amministrativo a tutto campo, quello riconosciuto dal TAR Lazio-Roma, Sez. III, nella sentenza 13.03.2013 n. 2660, con cui ha condannato Equitalia dichiarando illegittimo il suo silenzio. Di più, il Tar ha concesso 30 giorni di tempo alla società per la riscossione per preparare la documentazione richiesta e consegnarla al ricorrente. Una vera e propria operazione trasparenza sulle cartelle esattoriali.
Il Tar ha dunque accolto le richieste di un avvocato che ha presentato ricorso contro il silenzio rifiuto di Equitalia (in particolare Equitalia Sud per la provincia di Roma) sull'istanza di accesso con cui chiedeva di prendere visione e estrarre copia di tutta la serie di documenti sottesi a una iscrizione ipotecaria per cartelle dal valore inferiore agli 8 mila euro. La richiesta era legata alla preparazione della strategia difensiva del contribuente in contenzioso penale proprio a seguito di una lite tributaria con Equitalia per le cartelle in questione.
I giudici amministrativi innanzitutto rilevano che l'accesso ai documenti è un diritto soggettivo di cui il giudice amministrativo conosce in giurisdizione esclusiva e il cui giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza del diritto in questione piuttosto che la verifica della sussistenza dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo. «Tanto che», dice la sentenza, «il giudice può direttamente ordinare l'esibizione dei documenti richiesti, sostituendosi all'amministrazione». Per il Tar, nella vicenda, esiste un interesse concreto, diretto e attuale del ricorrente all'ostensione richiesta per «esigenze di difesa in giudizi che lo vedono direttamente coinvolto, sia nei confronti del responsabile dell'iscrizione ipotecaria contestata sia in relazione a querela che ha ricevuto in relazione ai medesimi fatti».
Per i giudici la richiesta del contribuente non contrasta con gli orientamenti del diritto amministrativo nel senso che la «giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che, ai sensi dell'art. 22 l. n. 241/1990, il soggetto che detiene la documentazione oggetto di istanza di ostensione non deve delibare la fondatezza della pretesa sostanziale per la quale occorrano tali atti o sindacare sulla utilità effettiva di questi, in quanto il diritto d'accesso è conformato dalla legge per offrire al titolare, più che utilità finali (caratteristica, questa, ormai riconoscibile non solo ai diritti soggettivi, ma anche agli interessi legittimi), poteri autonomi di natura procedimentale volti ad implementare la tutela d'un interesse (o bisogno) giuridicamente rilevante, per cui il limite di valutazione della pubblica amministrazione sulla sussistenza d'un interesse concreto, attuale e differenziato all'accesso ai documenti, che è correlativamente pure il requisito di ammissibilità della relativa azione, si sostanzia solo nel giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo bisogno differenziato di conoscenza in capo a chi richiede i documenti»,
I giudici dunque bocciano la linea di difesa di Equitalia sud in ordine alla carenza di legittimazione attiva del ricorrente. Per il Tar infatti il ricorrente ha sufficientemente chiarito nell'atto introduttivo di avere necessità della documentazione richiesta non nel giudizio tributario ma in un giudizio in sede penale nei confronti del funzionario responsabile che invocava la presenza di direttive superiori per procedere (articolo ItaliaOggi del 20.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTITosap. Autotutela blocca riscossione.
Niente riscossione coattiva della Tosap se pende un ricorso in autotutela del contribuente. E se quest'ultimo ha già incassato una sentenza favorevole in appello sulla medesima questione (per un'annualità diversa), i giudici tributari di primo grado devono conformarsi al verdetto.

È quanto ha deciso la Ctp di Brindisi con la sentenza 11.03.2013 n. 108/2/13.
Un contribuente, difeso dall'avv. Maurizio Villani di Lecce, ricorreva contro una cartella emessa dal concessionario della riscossione per il mancato pagamento della tassa di occupazione temporanea di spazi e aree pubbliche, risalente al 1994. Il giudizio era stato riassunto: in primo grado, infatti, la Ctp si era dichiarata incompetente, ma la Ctr Puglia aveva riconosciuto la giurisdizione tributaria, rimandando quindi le carte alla Ctp.
Secondo il contribuente l'esattoria non poteva iscrivere a ruolo il tributo in quanto l'avviso di accertamento da cui era derivata l'iscrizione era stato impugnato in sede amministrativa: prima davanti alla Dre Puglia e poi, a seguito del diniego, presso le finanze, che non si era mai espresso. Ai sensi degli artt. 67 e 68 del dpr 43/1988, il mancato versamento Tosap può dare luogo alla riscossione coattiva in pendenza di un ricorso tributario.
Tali disposizioni, per la Ctp, non trovano però applicazione nel caso dell'azione di autotutela amministrativa, in quanto «secondo quanto risultante dagli atti processuali, il ricorso non è ancora deciso in via definitiva» e quindi l'accertamento non ha carattere di esecutività. Peraltro, sul medesimo argomento il contribuente aveva già ottenuto il verdetto favorevole della Ctr Puglia, sez. Lecce, con sentenza 115/23/10, passata in giudicato.
«Poiché la questione di diritto oggetto del contendere è analoga», conclude la Ctp Brindisi, «per non dire identica a quella che ha formato oggetto del ricorso in appello deciso dalla Ctr con sentenza passata in giudicato, questa commissione ha comunque il dovere di uniformarsi ex art. 2909 c.c. e ciò anche ove (e non è questo il caso in questione) ritenesse di non condividere il principio affermato» (articolo ItaliaOggi del 22.03.2013).

TRIBUTICase inagibili esenti dall'Irpef. Sugli immobili già si applica l'Imu. Anche se ridotta. La circolare dell'Agenzia delle entrate ha richiamato un precedente datato 2012.
I contribuenti non sono tenuti a pagare l'Irpef sui fabbricati inagibili, poiché questi immobili non sono esenti dall'Imu. I titolari di fabbricati inagibili o inabitabili, infatti, pagano l'imposta in misura ridotta. Quindi, non sono soggetti al pagamento delle imposte sui redditi.
Lo ha chiarito l'Agenzia delle entrate con la circolare 11.03.2013 n. 5/E (si veda ItaliaOggi di ieri).
Secondo l'Agenzia, per gli immobili inagibili per i quali siano rispettate tutte le prescrizioni contenute nell'articolo 13, comma 3, lett. b), del decreto «salva Italia» (201/2011), è dovuta solamente l'Imu. Per questi fabbricati l'Imu è dovuta in misura ridotta, in quanto la base imponibile è pari al 50 per cento. Dunque, non possono essere considerati esenti e, per l'effetto, «opera l'effetto di sostituzione dell'Irpef».
In effetti, l'articolo 8 del decreto sul Federalismo municipale (23/2011) dispone in via di principio che la nuova imposta locale sostituisce, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute per i redditi fondiari relativi ai beni non locati. Inoltre, l'articolo 9 dello stesso decreto stabilisce che sono comunque assoggettati alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, «ove dovute», gli immobili esenti dall'Imu.
La circolare delle Entrate richiama una precedente circolare ministeriale 3DF/2012, con la quale è stato già precisato che la locuzione «ove dovute» «è finalizzata a ribadire che, nel momento in cui si verifica un'esenzione ai fini Imu, devono comunque continuare ad applicarsi le regole ordinarie proprie che disciplinano l'Irpef e le relative addizionali». Pertanto, sono assoggettati alle imposte sui redditi solo gli immobili esenti dall'imposta comunale.
Per i fabbricati inagibili o inabitabili il legislatore non aveva, nel momento in cui è stata istituita la nuova imposta locale, previsto alcun trattamento agevolato. Solo con l'articolo 4 del dl 16/2012, che ha integrato l'articolo 13, è stata disposta la riduzione al 50% della base imponibile. Della stessa riduzione possono fruire i fabbricati di interesse storico o artistico. È previsto che lo stato d'inagibilità debba essere accertato dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che è tenuto ad allegare idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa, il contribuente ha facoltà di presentare una dichiarazione sostitutiva.
Per l'Ici, ma il principio è applicabile anche all'Imu, la giurisprudenza ha sostenuto che spetti il trattamento agevolato anche nei casi in cui l'interessato non abbia presentato la dichiarazione d'inagibilità, purché sia noto all'amministrazione comunale lo stato dell'immobile. In queste situazioni la base imponibile deve essere ridotta al 50%, a condizione che il fabbricato non venga di fatto utilizzato. La riduzione è però limitata al periodo dell'anno durante il quale sussiste l'inagibilità.
È evidente che le condizioni dell'immobile vanno accertate dall'ente impositore, sia se il contribuente alleghi idonea documentazione alla richiesta di riduzione dell'imposta, sia se presenti dichiarazione sostitutiva e autocertifichi questa situazione. Per avere diritto al beneficio previsto dalla legge, però, l'istanza deve essere inoltrata nel momento in cui il fabbricato è inagibile, al fine di consentire all'ente di verificare la dichiarazione del soggetto interessato.
Infine, bisogna ricordare che in base all'articolo 59, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 446/1997, il comune aveva la facoltà di introdurre nel regolamento che la riduzione dell'imposta spettasse solo quando il degrado del fabbricato non fosse superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Con l'introduzione dell'Imu questa disposizione è stata espressamente abrogata (articolo ItaliaOggi del 13.03.2013 - tratto da www.escostampa.it).

TRIBUTITarsu alberghi come le case. Se manca l'attività di ristorazione.
Per gli alberghi che all'interno della struttura non hanno un'attività di ristorazione non sono giustificate tariffe Tarsu più elevate rispetto alle civili abitazioni.

Lo ha stabilito il TAR Puglia-Lecce (Sez. II), con la sentenza 12.03.2013 n. 570.
Il Tar ha ritenuto illegittima la delibera del comune di Brindisi che aveva fissato tariffe Tarsu maggiorate rispetto alle abitazioni. Quindi, ha accolto il ricorso presentato dall'associazione albergatori della provincia di Brindisi, poiché l'amministrazione comunale non aveva operato la dovuta distinzione tra le varie strutture ricettive.
Secondo il giudice amministrativo, «può considerarsi giustificato un regime di tassazione più elevato per gli alberghi con servizio di ristorazione, in considerazione del fatto che l'esercizio di un'attività di questo tipo (che, di regola, non è limitata ai soli clienti dell'albergo) può determinare una produzione quantitativamente e qualitativamente significativa di rifiuti». Invece, un albergo che non eroga servizi di ristorazione «manifesta una capacità di produrre rifiuti pari o, addirittura, inferiore a quella delle abitazioni private».
Questa pronuncia, però, non è in linea con il principio più volte affermato dalla Cassazione (sentenze 8278/2008, 302/2010 e ordinanza 12859/2012), secondo cui i comuni sono legittimati a fissare tariffe più alte per le attività alberghiere perché potenzialmente producono più rifiuti delle abitazioni. Sulla questione emerge da tempo un evidente contrasto tra giudici di legittimità e di merito.
Alcune commissioni tributarie hanno escluso che le amministrazioni comunali possano stabilire tariffe più elevate rispetto alle civili abitazioni, poiché l'articolo 68 del decreto legislativo 507/1993, con una formulazione piuttosto infelice, prevede che «in via di massima» dovrebbero essere inquadrate nella stessa categoria degli alberghi.
In realtà, ex lege, l'articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie deve essere fatta, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto dei gruppi di attività e dell'utilizzazione degli immobili (articolo ItaliaOggi del 29.03.2013).

TRIBUTITares, sconti a carico dell'ente. Bonus extra coperti da risorse diverse
Il comune può concedere riduzioni tariffarie e agevolazioni «atipiche», anche se non previste dalla legge, purché non comportino un aumento della tassazione per i contribuenti soggetti al pagamento della Tares. Quindi, coloro che sono soggetti al prelievo non devono pagare di più. La copertura, infatti, deve essere assicurata da risorse diverse dai proventi del tributo di competenza dell'esercizio. Mentre, per i benefici fiscali concessi dalla norma di legge il minor gettito è giustificato dalla minore produzione di rifiuti.

Lo ha precisato il ministero dell'economia e delle finanze nelle nuove linee guida per la redazione del piano finanziario e l'elaborazione delle tariffe.
Secondo il ministero, le agevolazioni atipiche possono essere iscritte nel piano economico-finanziario, purché siano «controbilanciate da un eguale contributo a carico del comune». Invece, per quelle contemplate dall'articolo 14 del dl Monti (201/2011), considerata la loro «minor attitudine a fruire del servizio pubblico», il minor gettito, suddiviso in quote fisse e variabili, «deve essere inserito tra i costi del Pef».
In effetti, al di là dei benefici elencati dalla norma, il comune può deliberare ulteriori agevolazioni. A patto, però, che il mancato gettito venga coperto da risorse diverse dai proventi del tributo. Il consiglio comunale può deliberare altre riduzioni ed esenzioni, che vanno iscritte in bilancio come autorizzazioni di spesa. La relativa copertura deve essere assicurata da risorse diverse dai proventi del tributo di competenza dell'esercizio al quale si riferisce l'iscrizione. Altrimenti, visto che devono essere coperti i costi del servizio, le somme riscosse avrebbero un'incidenza negativa sul quantum dovuto dai contribuenti soggetti al prelievo.
L'articolo 14, poi, disciplina espressamente alcune agevolazioni tariffarie, riconoscendo al comune la facoltà di stabilire, con regolamento, riduzioni del tributo dovuto in presenza di determinate situazioni, in cui si presume che vi sia una minore capacità di produzione di rifiuti. A questi benefici viene però fissato un tetto massimo. La riduzione della tariffa non può superare il limite del 30%.
Il trattamento agevolato può essere concesso per: abitazioni con unico occupante; abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; locali e aree scoperte adibiti a uso stagionale; abitazioni occupate da soggetti che risiedono o hanno la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero; fabbricati rurali a uso abitativo. Oltre a queste riduzioni tariffarie, meramente facoltative, sono previste agevolazioni che spettano ai contribuenti ex lege.
Per esempio, le riduzioni per locali e aree situati nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, per le quali il tributo è dovuto nella misura del 40% della tariffa. Questa misura massima deve essere graduata tenendo conto della distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita. Percentuale che scende al 20% in caso di mancato o irregolare svolgimento del servizio. Le agevolazioni si applicano anche alla maggiorazione, destinata alla copertura dei servizi indivisibili prestati dall'amministrazione comunale (articolo ItaliaOggi del 12.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: OGGETTO: Rapporti tra l’IMU e le imposte sui redditi - Chiarimenti (Agenzia delle Entrate, circolare 11.03.2013 n. 5/E).

TRIBUTICosa è il prototipo di regolamento Tares? (11.03.2013 - link a www.ambientelegale.it).

TRIBUTI: Onlus, esenzione Imu elastica. Agevolazione salva per i beni concessi ad altri non profit. I chiarimenti del ministero: c'è più tempo per adeguare lo statuto al regolamento.
Un ente non commerciale che concede in comodato un immobile a un altro ente non profit che svolga un'attività con modalità non commerciali ha diritto all'esenzione Imu, anche se non lo utilizza direttamente. Questi enti, inoltre, hanno ancora tempo per adeguare atti costitutivi e statuti, perché il termine del 31.12.2012 fissato dal regolamento ministeriale non è perentorio.

Questi chiarimenti sono stati forniti dal dipartimento delle finanze del ministero dell'economia, con le risoluzioni 3 e 4 del 04.03.2013.
La presa di posizione del ministero non è però in linea con le pronunce sia della Corte costituzionale sia della Cassazione, secondo cui per fruire dell'esenzione Ici (ma la stessa regola dovrebbe valere per l'Imu) l'ente non commerciale avrebbe dovuto non solo possedere, ma anche utilizzare direttamente l'immobile.
Nella risoluzione 4/2013, invece, viene data una lettura a dir poco elastica delle tesi giurisprudenziali, in quanto viene ritenuto fruibile il beneficio fiscale anche nei casi in cui l'immobile posseduto da un ente non commerciale venga concesso in comodato a un altro ente, che svolga le attività elencate dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 504/1992 (ricreative, culturali, didattiche, sportive, assistenziali, sanitarie e così via).
A maggior ragione, secondo il ministero, se l'immobile venga dato «in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell'ente concedente», purché l'utilizzatore fornisca all'ente non profit «tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento degli obblighi tributari sia di carattere formale sia sostanziale». A proposito di adempimenti, viene poi chiarito che la data del 31.12.2012 imposta dal regolamento ministeriale (dm 19.11.2012 n. 200) per adeguare atti costitutivi e statuti «non deve considerarsi perentoria».
Va ricordato che la disciplina Imu ha confermato l'esenzione per gli immobili posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali, fissando però regole diverse rispetto all'Ici.
L'articolo 7, comma 1), lettera i), riconosce l'esenzione alle attività elencate dalla norma svolte dagli enti purché non abbiano natura esclusivamente commerciale. In effetti, l'articolo 91-bis del dl liberalizzazioni (1/2012), in sede di conversione in legge (27/2012), ha previsto che gli enti ecclesiastici e non profit pagano l'Imu se sugli immobili posseduti vengono svolte attività didattiche, ricreative, sportive, assistenziali, culturali e via dicendo con modalità commerciali.
Tuttavia, sono state apportate delle modifiche alla disciplina delle agevolazioni Ici riconoscendo, in presenza di determinate condizioni, un'esenzione parziale.
Infatti, qualora l'unità immobiliare abbia un'utilizzazione mista, l'esenzione si applica solo sulla parte nella quale si svolge l'attività non commerciale, sempre che sia identificabile. La parte dell'immobile dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente, però, deve essere iscritta in catasto e la rendita produce effetti a partire dal 01.01.2013.
Nel caso in cui non sia possibile accatastarla autonomamente, l'agevolazione spetta in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile che deve risultare da apposita dichiarazione dell'ente interessato.
Non a caso il comma 3 dell'articolo 91-bis prevede l'emanazione di un regolamento che contenga norme di dettaglio nei casi in cui gli immobili abbiano un'utilizzazione mista e per le quali non sia possibile accatastare separatamente una parte dell'unità immobiliare nella quale si svolge l'attività commerciale. Provvedimento attuativo che è stato già adottato.
Sono invece soggetti all'Imu gli immobili posseduti dalle fondazioni bancarie, anche se hanno la natura di enti non commerciali. Non possono, infatti, fruire dell'esenzione dal pagamento dell'imposta municipale, a prescindere dalle attività esercitate. Lo ha precisato il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia con la risoluzione 1/2013.
Il dipartimento, oltre ad aver chiarito che gli enti non commerciali non erano tenuti a presentare la dichiarazione Imu entro il 04.02.2103, per il cui adempimento bisogna attendere l'approvazione del relativo modello, in cui verrà indicato il termine di presentazione, ha anche ricordato che l'articolo 9, comma 6-quinquies, del dl «salva enti» (174/2012) dispone che, in ogni caso, l'esenzione Imu per gli enti non commerciali non si applica alle fondazioni bancarie.
Nonostante questi enti siano persone giuridiche private senza fini di lucro, dotate di autonomia statutaria e gestionale, che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

TRIBUTI: Fabbricati strumentali in «D». Immobili agricoli, aliquota Imu decisa dalla nota catastale.
IMPOSTA MOLTIPLICATA/ Senza l'annotazione in visura scattano la richiesta piena al 7,6 per mille di competenza statale e l'eventuale aumento locale.

Il problema dell'aliquota Imu applicabile dal 2013 ai fabbricati strumentali all'attività agricola rappresenta l'ennesima incognita per i Comuni, alle prese con la predisposizione dei bilanci preventivi.
La nuova scansione dell'imposta dettata dall'articolo 1, comma 380, lettera h), della legge 228/2012 prevede infatti che il gettito derivante dagli immobili produttivi classificati nel gruppo D sarà riservato allo Stato, ad aliquota standard dello 0,76%, maggiorabile dai Comuni fino all'1,06%.
Anche i fabbricati rurali strumentali accatastati in categoria D10 costituiscono indubbiamente immobili produttivi, in relazione ai quali l'articolo 13, comma 8 del Dl 201/2011 (non abrogato) continua tuttavia a prevedere, come nello scorso anno, l'applicazione di una aliquota dello 0,2%, riducibile allo 0,1% da parte del Comune.
Non essendo stato previsto che i possessori di questi immobili possano versare l'imposta sulla base dell'aliquota agevolata a favore dello Stato, il gettito dei fabbricati rurali rimarrà di competenza dell'ente locale; tanto più che i rurali strumentali non sono necessariamente accatastati in D10, ma possono rientrare in categoria ordinaria (C6 o C2 destinato al ricovero di mezzi o attrezzature agricole, ma anche D1 o D7 destinati allo svolgimento di attività di trasformazione di prodotti agricoli), dal momento che -ai sensi del Dm Finanze del 26.07.2012 e della Circolare 2/2012 dell'agenzia del Territorio- il riconoscimento dei requisiti di ruralità è legato non più all'attribuzione della categoria A6 e D10, ma all'inserimento di apposita annotazione in visura, a prescindere dalla categoria catastale. Siccome questi immobili devono essere assoggettati a un trattamento fiscale unitario, è evidente che non tutti i fabbricati produttivi di categoria D potranno essere chiamati a versare l'imposta allo Stato, in quanto, in presenza di un fabbricato iscritto in D1, D7 o D8, ma strumentale all'attività agricola, con annotazione riportata in visura, il gettito rimarrà di competenza del Comune e l'aliquota non potrà che rimanere quella ridotta.
Al contrario, rimarrà di competenza esclusiva dello Stato il gettito di un immobile di categoria D che, pur essendo strumentale all'attività agricola, sia privo della relativa annotazione catastale; che viene quindi ad assumere valore costitutivo non soltanto per la determinazione dell'aliquota applicabile (dallo 0,1% all'1,06%, con un aumento di oltre dieci volte) ma anche per l'individuazione del soggetto a cui l'imposta dovrà essere versata. Il tutto tenendo ferma la possibilità per lo Stato di variare (articolo 1, comma 380, lettera i) della legge 228/2012) non solo l'aliquota applicabile, ma anche la stessa individuazione dei fabbricati di categoria D che dovranno versare l'imposta allo Stato, per garantire l'esatta compensazione tra la nuova riserva statale e la quota erariale 2012 ora devoluta ai Comuni.
Poiché il differenziale di gettito che lo Stato si dovrà assicurare dall'imposta del 2013 resta ancora da definire in modo preciso, il legislatore ha infatti previsto che tali dati potranno essere modificati a seguito della verifica del gettito 2012 entro il 31.03.2013.
Solo una volta accertati questi dati sarà possibile individuare il gettito 2013 dei singoli Comuni e la quota di imposta che ogni Ente dovrà destinare a finanziare il nuovo Fondo di solidarietà comunale, all'interno di un quadro normativo che evidenzia una situazione assolutamente in divenire, in cui, allo stato attuale, appare impossibile stabilire in modo preciso quali saranno gli esatti confini della quota di imposta che lo Stato si riserverà nel 2013 in relazione ai fabbricati di categoria D produttivi, coinvolgendo in questa incertezza anche le modalità applicative dell'imposta ai fabbricati strumentali (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

TRIBUTI: Imu per agricoltori.
Domanda
I coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli devono presentare la dichiarazione Imu? Sempre, cioè in qualsiasi caso?
Risposta
Come precisato dal Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze-Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale, con la risoluzione n. 2/DF del 18.01.2013: «Se i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali avevano già dichiarato tale condizione soggettiva ai fini Ici, e nell'ipotesi in cui questa continua a persistere anche in vigenza dell'Imu, detti soggetti non sono, ovviamente, tenuti a presentare nuovamente la dichiarazione Imu, dal momento che il comune è già in possesso delle informazioni necessarie per il riconoscimento delle agevolazioni previste dalla legge, vale a dire il moltiplicatore di cui al c. 5 dell'art. 13 del dl n. 201/2011 e la cosiddetta franchigia di cui successivo comma 8-bis» (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

TRIBUTITares, smaltire i rifiuti costerà. Tassa più salata per i comuni che investono in green. Il ministero dell'economia ha pubblicato le linee guida sull'applicazione della tariffa.
Pagheranno una Tares più salata i cittadini di quei comuni che hanno deciso di investire somme rilevanti in beni e servizi necessari per lo smaltimento dei rifiuti (macchinari, impianti eccetera): tali costi, infatti, dovranno essere caricati sulla tariffa.
Il Ministero dell'economia e della finanze indica ai comuni il percorso da seguire per la gestione della nuova tassa sui rifiuti e i servizi istituita a partire da quest'anno.
Sul sito ministeriale, infatti, sono state pubblicate ieri le linee guida per la redazione del piano economico-finanziario e la determinazione delle tariffe.
Alle amministrazioni locali spetta il compito di predisporre il piano economico e finanziario e di determinare le tariffe per le utenze domestiche e non domestiche. L'obiettivo primario è quello di garantire la copertura integrale dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Secondo il Ministero, il metodo da seguire «è costituito da un complesso di regole, metodologie e prescrizioni per determinare, da un lato, i costi del servizio di gestione e, dall'altro, l'intera struttura tariffaria applicabile alle varie categorie di utenza». La tariffa deve essere commisurata - almeno nella versione «tributaria», alle quantità e qualità di rifiuti prodotti per unità di superficie, rapportate agli usi e alla tipologia di attività svolte. La Tares è un'entrata tributaria, ma va ricordato che i comuni che sono in grado di misurare i rifiuti effettivamente conferiti, possono optare per la gestione del servizio attraverso una tariffa puntuale, avente natura corrispettiva.
Il piano finanziario deve contenere il programma degli interventi richiesti dalla normativa ambientale, gli acquisti di beni o servizi e la realizzazione di impianti. Deve inoltre essere specificato se il servizio è affidato a terzi. Al piano va allegata una relazione sul modello gestionale e organizzativo prescelto e sulla qualità dei servizi. Nella elaborazione del piano una importanza particolare rivestono i profili economico-finanziari. Annualmente occorre porre in rilievo i flussi di spesa e i fabbisogni occorrenti a fronteggiarli, indicando anche gli aspetti patrimoniali ed economici della gestione. In effetti, è dal piano che bisogna partire per determinare le tariffe e per adeguarle di anno in anno. Del resto, come recita l'articolo 14, comma 23, del dl 201/2011, è il consiglio comunale che deve approvare le tariffe Tares entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione, «in conformità al piano finanziario» del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Competente alla redazione del piano è il soggetto che svolge il servizio.
La tariffa Tares deve essere composta da una quota determinata in relazione ai costi del servizio di gestione dei rifiuti (investimenti per le opere e relativi ammortamenti), e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione, compresi quelli di smaltimento. Sotto quest'aspetto la norma del dl Monti (articolo 14 del dl 201/2011), che ha istituito il nuovo regime di prelievo, si uniforma alla previsioni che il legislatore aveva già stabilito per la Tia1 e la Tia2. Le stesse regole valgono anche per i rifiuti assimilati agli urbani. I comuni possono applicare un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero.
Nelle linee guida viene illustrato il percorso che gli enti devono osservare per determinare la tariffa. In particolare, la metodologia tariffaria si articola nelle seguenti fasi: individuazione e classificazione dei costi del servizio; suddivisione dei costi tra fissi e variabili; ripartizione dei costi fissi e variabili in quote imputabili alle utenze domestiche e alle utenze non domestiche; calcolo delle voci tariffarie, fisse e variabili, da attribuire alle singole categorie di utenza. L'articolo 14 impone l'integrale copertura dei costi del servizio. Quindi, sia quelli di investimento che di esercizio. Tuttavia, le voci di costo (spazzamento, raccolta, trasporto e via dicendo) sono solo quelle elencate dal regolamento sul metodo normalizzato (dpr 158/1999). Regolamento che si applicherà a regime, in quanto la legge di Stabilità (228/2012) ha abrogato la norma che prevedeva l'emanazione di un nuovo provvedimento attuativo (articolo ItaliaOggi del 09.03.2013 - link a www.ecostampa.it).

TRIBUTITariffe della Tares determinate dal Consiglio.
LA PREVISIONE/ L'aggiornamento alle linee guida delle Finanze affrontano il tema della competenza.

Le tariffe della Tares dovranno essere approvate dal consiglio comunale, con una doppia deroga: al Testo unico degli enti locali (articolo 42, comma 2, lettera f, del decreto legislativo 267/2000), che assegna le delibere tariffarie alla competenza generale della Giunta, e al decreto Sviluppo-bis (articolo 34, comma 23, del Dl 179/2012) che invece ha trasferito la competenza tariffaria sui servizi a rete agli ambiti territoriali ottimali (Ato).
La normativa Tares scritta nel decreto salva-Italia (articolo 14, comma 23, del Dl 201/2011) costituisce infatti una disciplina speciale, che vince quindi sulle regole generali previste dalle norme appena citate.
La spiegazione è del dipartimento Finanze, che diffondendo ieri una versione aggiornata e rivista delle Linee guida e del modello di regolamento per la Tares ha risolto in questo modo una possibile empasse sulle competenze a deliberare le tariffe.
Il problema nasce in particolare dal decreto Sviluppo-bis, che nel tentativo di rilanciare il ruolo degli ambiti ottimali previsti dalla manovra-bis del 2011 (articolo 3-bis del Dl 138/2011) ma mai decollati in molte Regioni, aveva trasferito a loro «le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza». Gli ambiti territoriali ottimali, però, in molte parti d'Italia non ci sono ancora, o sono solo ai nastri di partenza, e ciò avrebbe contribuito a elevare il già consistente tasso di confusione che regna intorno al nuovo tributo sui rifiuti nato in sostituzione di Tia e Tarsu.
In una prima versione delle Linee guida (si veda Il Sole 24 Ore del 18 febbraio) le indicazioni ministeriali sembravano aver ignorato il problema, che nelle nuove istruzioni diffuse ieri trova invece una spiegazione tecnica. La competenza è del consiglio comunale in base alla gerarchia delle norme, secondo il principio che la disciplina "speciale", tagliata su misura, vince sempre su quelle generali.
Il chiarimento è importante, anche se da solo ovviamente non basta a dissipare la nebbia che ancora avvolge le amministrazioni locali alle prese con il debutto del nuovo tributo. A parte i problemi di liquidità prodotti dal rinvio "elettorale" della prima rata a luglio, che impone alle aziende di lavorare "gratis" per oltre metà dell'anno, la stessa definizione delle tariffe è un compito non semplice.
Ogni Comune è infatti inserito in un ambito, e solo i piani d'ambito redatti dai gestori e approvati dagli Ato (o dai consigli dove l'Ato non c'è) possono offrire la base per determinare una tariffa che copra integralmente i costi.
Anche per questa ragione, si ritiene che i Comuni possano deliberare i bilanci preventivi anche senza le tariffe Tares, rimandando a un secondo momento (entro il termine generale del 30 giugno) le scelte su questo versante (articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2013).

TRIBUTIImu non profit, enti in rivolta. Fa discutere l'esenzione per i beni dati in comodato. Gli uffici tributi dei comuni contestano la tesi sostenuta dalle Finanze nella circolare n. 4.
La risoluzione ministeriale 04.03.2013 n. 4/DF, sostiene che nella particolare ipotesi in cui l'immobile posseduto da un ente non commerciale venga concesso in comodato a un altro ente non commerciale per lo svolgimento di una delle attività meritevoli di cui al c. 1, lett. i), dell'art. 7 del dlgs n. 504/1992, possa trovare applicazione l'agevolazione in oggetto, sì da esentare dall'Imu come dall'Ici il possessore sebbene non utilizzatore del detto immobile.
Secondo il Mef poiché a seguito del comodato d'uso gratuito, l'ente concedente non ritrae alcun reddito non si realizza una manifestazione di ricchezza e di capacità economica, che avrebbe al contrario giustificato un apporto contributivo alla spesa pubblica e quindi l'imposizione. Tale ottica di valutazione pare trascurare che l'art. 7 lett. i) del dlgs n. 504/1992, trova la sua ratio non già nell'evitare la tassazione di una ricchezza non realizzata ovvero una capacità contributiva inespressa, bensì è una disposizione di indubbio contenuto e funzione premiale per specifiche attività di particolare rilevanza sociale svolte dagli enti non commerciali in quegli specifici immobili. È quindi una norma di incentivazione ma rimane pur sempre un'agevolazione tributaria e come tale di natura eccezionale e quindi di stretta interpretazione (S.U. n. 28160/2008).
Come è noto, il diritto vivente, in interpretazione costituzionalmente orientata anche in considerazione delle ordinanze della Corte cost. n. 429/2006 e n. 19/2007, impropriamente richiamate dalla stessa risoluzione n. 4/Df, ha elaborato la condizione soggettiva dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore, escludendo che il beneficio possa spettare in caso di utilizzazione indiretta, pur se assistita da finalità di pubblico interesse (cass. ord. n. 3843/2013, cass. sent. n. 7385/2012).
La necessaria coincidenza tra ente rientrante nella categoria dell'art. 73 c. 1 del Tuir nella sua veste di proprietario (o titolare di altro diritto reale sul bene e come tale soggetto passivo Ici/Imu) ed ente che utilizza l'immobile stesso è requisito pacifico e non più disputabile (cass. sent. n. 2821/2012 e n. 4502/2012). Sulla scorta della interpretazione consolidata del giudice di legittimità non appare per nulla convincente l'argomentare del Mef che con eccessiva disinvoltura sterilizza la conditio sine qua non della necessaria coincidenza soggettiva tra utilizzatore dell'immobile e soggetto passivo Ici/Imu. Né pare condivisibile la omologazione soggettiva tra concedente a titolo gratuito ed effettivo utilizzatore svolgente attività meritoria, atteso che il trasferimento della detenzione non può certo ritenersi per il concedente come una forma di esercizio diretto dell'attività meritoria istituzionale, anzi la concessione si manifesta in via oggettiva come una forma di non utilizzo.
Tra l'altro, la Corte di cassazione ha già da tempo affrontato la questione della concessione in uso gratuito escludendo categoricamente la esenzione per i beni immobili non direttamente utilizzati per lo scopo istituzionale e ciò indipendentemente dalla natura gratuita o onerosa con la quale ne risultasse ceduto ad altri l'utilizzo (cass. nn. 21329-21330/2008, cass. nn. 22201-22202-22203). Conclusivamente, la risoluzione ministeriale non offre alcun nuovo elemento di interpretazione di spessore tale da poter prevedere un'inversione di rotta della Cassazione quanto meno nelle ipotesi di concessione gratuita a diverso ente.
Merita, invece, approfondimento la fattispecie della concessione ad altro ente commerciale appartenente alla stessa struttura dell'ente concedente per lo svolgimento di attività meritoria. Anche in questo caso la gratuità della concessione non rileva ma ciò che deve essere verificato è l'immedesimazione tra concedente e utilizzatore. Se la struttura organizzativa di detti enti, seppur giuridicamente distinti è la medesima ben può ritenersi sussistente la utilizzazione diretta del concedente. Come già indicato dalla Cassazione (n. 2821/2012) al fine di ravvisare l'utilizzazione diretta necessita dare rilevanza diretta e specifica al fatto concreto e alle reali connotazioni economiche, piuttosto che al limite della distinta alla forma giuridica.
Quindi nell'ipotesi in cui si verifichi in fatto e in diritto che l'ente utilizzatore sia una articolazione organizzativa dell'ente concedente, tale peculiarità del rapporto di legame, sostiene la raffigurazione della utilizzazione diretta seppure per via di altro soggetto, dell'ente concedente e quindi, il diritto di godere della esenzione ex art. 7, lett. i), del dlgs n. 504/1992. Solo per quest'ultima ristretta fattispecie, la risoluzione n. 4 Df si manifesta in linea con l'interpretazione consolidata e pacifica dell'ambito applicativo della esenzione per gli enti non profit, mentre l'allargamento del documento di prassi ai soggetti non legati appare clamorosamente disallineato rispetto al diritto vivente e non convincente oltre che non nuovo nelle argomentazioni spese (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013).

TRIBUTIRisoluzione ministeriale amplia la portata dell'agevolazione per il non profit. Esenzione Imu a maglie larghe. Vale anche se il bene è dato in comodato ad altro ente.
L'esenzione dall'imposta municipale propria (Imu) opera anche se l'immobile posseduto da un ente non commerciale è concesso in comodato a un altro ente non commerciale per lo svolgimento di una delle attività meritevoli stabilite dalla legge. Si allargano, quindi, le maglie dell'esenzione Imu.

È questo l'innovativo principio stabilito dalla risoluzione 04.03.2013 n. 4/DF del dipartimento Finanze del Mef, che offre una rilettura della giurisprudenza che si era consolidata in materia di Ici sulle norme di esenzione inserite nell'art. 7, comma 1, lettera i), del dlgs 30 dicembre 1992, n. 504, che viene espressamente richiamato ai fini Imu dall'art. 9, comma 8, del dlgs 14.03.2011, n. 23.
Questa norma, che è stata «ritoccata» dall'art. 91-bis del dl 24.01.2012, n. 1, prevede l'esenzione dall'Imu per gli immobili «utilizzati» dagli enti non commerciali «destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20.05.1985, n. 222».
Sia la Corte costituzionale che la Cassazione hanno sempre sostenuto che l'esenzione può essere riconosciuta solo se l'immobile è «posseduto» dall'ente non commerciale ed «utilizzato» direttamente dallo stesso.
Più volte la Corte di cassazione ha affermato a chiare lettere che l'art. 7, comma 1, lettera i), del dlgs n. 504 del 1992 esige la duplice condizione dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e dell'esclusività della loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Logica conclusione è stata che l'esenzione non poteva essere riconosciuta nel caso di utilizzazione indiretta, ancorché assistita da finalità di pubblico interesse.
È stata proprio la Corte costituzionale con le ordinanze n. 429 del 19.12.2006 n. 19 del 26.01.2007 a ribadire tale concetto, pur pronunciandosi sull'art. 59, comma 1, lett. c), del dlgs 15.12.1997, n. 446, che non trova applicazione per l'Imu, giacché non è più espressamente richiamato dall'art. 14, comma 6, del dlgs n. 23 del 2011.
Bisogna tuttavia tener conto del fatto che la fattispecie oggetto di contenzioso costituzionale era ben diversa, poiché si riferiva ad un immobile che il soggetto passivo dava in locazione (e non in comodato) a un ente non commerciale che vi esercitava una delle attività agevolate. Detto soggetto, quindi, ritraeva un reddito dall'immobile, e questa circostanza, di fatto sintomatica di capacità contributiva, non è stata ritenuta idonea a giustificare l'attribuzione del beneficio fiscale.
Da tale assunto i tecnici del ministero arrivano ad affermare che nell'ipotesi in cui l'ente non commerciale concede l'immobile in comodato -che è essenzialmente gratuito- ad altro ente non commerciale, non ritraendo da tale concessione alcun reddito, può beneficiare dell'esenzione dall'Imu.
L'ente non commerciale concedente, in sostanza, si troverebbe nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se avesse utilizzato direttamente l'immobile per lo svolgimento di una delle attività meritevoli, beneficiando, quindi, dell'esenzione.
Come si legge nella risoluzione ministeriale «questa considerazione appare coerente con i principi ricavabili dalle citate pronunce sia della Corte costituzionale sia della Corte di cassazione proprio perché la concessione in comodato, che è un contratto essenzialmente gratuito, non costituisce, chiaramente, una manifestazione di ricchezza e di capacità economica che avrebbe, al contrario, giustificato un concreto apporto contributivo alla spesa pubblica e, quindi, l'imposizione ai fini Imu».
L'esenzione dall'Imu deve essere riconosciuta anche nell'ipotesi in cui l'immobile è concesso in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell'ente concedente, per lo svolgimento di una delle attività agevolate.
Con la nuova interpretazione che esplora un campo mai affrontato dalla giurisprudenza di legittimità si allargano sicuramente le maglie dell'esenzione Imu, anche se il campo di azione deve esser tuttavia limitato al solo svolgimento di attività meritevoli individuate dalla norma agevolativa.
Resta fermo, però, che l'ente non commerciale che utilizza l'immobile è escluso dal campo di applicazione dell'Imu poiché non è il soggetto passivo del tributo. Come adempimento a suo carico nella risoluzione viene individuato quello di fornire all'ente non commerciale che gli ha concesso l'immobile in comodato tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento degli obblighi tributari (articolo ItaliaOggi del 05.03.2013).

TRIBUTI: Oggetto: Imposta municipale propria (IMU) di cui all'art. 13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Esenzione per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali. Art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504. Immobili concessi in comodato Ministero dell'Economia e delle Finanze, risoluzione 04.03.2013 n. 4/DF).

TRIBUTI: Oggetto: Imposta municipale propria (IMU) di cui all'art. 13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Esenzione per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali. Art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504. Art. 7 del Regolamento 19.11.2012, n. 200. Adeguamento dello statuto e dell'atto costitutivo (Ministero dell'Economia e delle Finanze, risoluzione 04.03.2013 n. 3/DF).

TRIBUTI: Tares.
Domanda
Gradirei avere qualche notizia sulla Tares.
Risposta
La Tares è la nuova tassa sui rifiuti che è in vigore dal primo gennaio 2013. È un tributo, previsto, da più di un anno, dal decreto Salva-Italia, e viene a sostituire la Tassa smaltimento rifiuti solidi urbani (Tarsu) o, per i comuni in cui essa è applicata, la Tassa di igiene ambientale (Tia). Sua peculiare caratteristica, oltre quelle proprie della Tarsu o della Tia, è quella di finanziare anche i cosiddetti Servizi indivisibili, forniti dagli enti locali, cioè i servizi comunali di cui beneficia l'intera collettività. Per detti servizi, infatti, non è possibile effettuare una suddivisione in base all'effettiva percentuale di utilizzo da parte di ogni singolo cittadino.
Detti servizi vanno individuati, a titolo di esempio, nella manutenzione delle strade, nell'illuminazione pubblica ecc. Pertanto, la Tares, oltre che coprire i costi per la Tarsu o la Tia, deve garantire la totale copertura dell'onere sostenuto per gli annessi servizi indivisibili; deve pure assicurare un introito aggiuntivo di trenta centesimi o di quaranta centesimi (se la percentuale viene innalzata dal comune) al metro quadrato per finanziare i suddetti, annessi servizi indivisibili.
I soggetti tenuti al pagamento della Tares sono tutti coloro che, a qualsiasi titolo, utilizzano un bene immobile, e, quindi, non soltanto i proprietari di case. I termini di versamento erano, all'origine, gennaio, aprile, giugno, dicembre 2013. Il termine di gennaio è stato spostato, con un recente provvedimento del governo, a luglio prossimo.
La Tares ha costi maggiori per il cittadino, rispetto alla precedente tassazione in materia. Vi è un aumento, come su detto, di trenta o quaranta centesimi per metro quadrato, che si traduce in maggiori oneri sia per le famiglie, sia per le imprese. Si spera che i comuni adottino, in materia, regolamenti «virtuosi», che tengano conte delle specifiche esigenze della famiglia e degli operatori economici (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

TRIBUTI: Cosiddetti camion-vela.
Domanda
I cosiddetti camion-vela sono soggetti all'imposta sulla pubblicità agevolata o a titolo normale?
Risposta
Dal quadro normativo di riferimento contenuto nel decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, si desume che, in materia di imposta sulla pubblicità, ricade nella previsione degli articoli 5, 6 e 12, comma 1, del decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, citato, che disciplina la pubblicità ordinaria, l'esercizio dell'attività pubblicitaria visiva effettuata con mezzi e strumentazione installati su veicoli costruiti o strutturalmente trasformati per l'esclusivo e/o prevalente esercizio di tale attività pubblicitaria.
Pertanto, la disposizione del successivo articolo 13 del predetto decreto legislativo numero 507, viene disciplinare il diverso caso in cui l'attività pubblicitaria venga espletata, installando i mezzi pubblicitari, per periodi di tempo anche limitati, su veicoli di uso pubblico o privato, i quali continuano a mantenere le caratteristiche strutturali e la destinazione d'uso propria.
Nel caso dei cosiddetti camion-vela, la particolare peculiarità del mezzo, all'uopo realizzato o trasformato e concretamente utilizzato per l'esclusivo esercizio dell'attività pubblicitaria, porta ad affermare che, nella fattispecie, si verte in tema di pubblicità ordinaria. Quindi, come affermato dalla Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza del 13.04.2012, numero 5858, «spetta al contribuente, che intenda sostenere l'utilizzazione esclusiva e/o prevalente del veicolo per uso pubblico o privato, fornire la prova di tali circostanze».
Una diversa interpretazione porterebbe a sostenere un accorgimento (trasformazione del mezzo in camion-vela) sostanzialmente elusivo (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

TRIBUTI: Veicoli in genere.
Domanda
Per una pubblicità dall'interno della mia autovettura sono tenuto al pagamento dell'imposta comunale sulla pubblicità?
Risposta
In tema di imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni (Ip) è principio consolidato e condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Corte di cassazione sentenze numero 15654 del 12.08.2004; numero 17852 del 03.09.2004) secondo il quale qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico che risulti, indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione, obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti e utenti il nome e il prodotto di un'azienda, è soggetto a imposta sulla pubblicità ai sensi degli articoli 5 e 6 del decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, restando irrilevante che detto mezzo di comunicazione assolva pure a una funzione reclamistica o propagandistica.
Ora, in tema di pubblicità visiva effettuata per conto proprio o altrui all'interno e all'esterno di veicoli in genere, di vetture autofilotranviarie, battelli, barche e simili, di uso pubblico o privato trova applicazione il disposto dell'articolo 13 del predetto decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, che costituisce una previsione eccezionale rispetto alla generale previsione dell'articolo 12 del medesimo decreto legislativo.
Ne consegue che, alla luce della normativa vigente, la pubblicità sui predetti mezzi di trasporto è soggetta al pagamento della relativa imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni, con costi inferiori anche connessi alle differenze di imposta in base alle classi di appartenenza fra diversi comuni.
Al riguardo si rimanda pure alla sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria, del 13.04.2012, numero 5858 (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

TRIBUTI: Il marchio di fabbrica paga l'imposta sulla pubblicità.
Il marchio di fabbrica in cima alle gru fa scattare l'imposta di pubblicità. Non è, invece, soggetto al prelievo il pannello recante la scritta Postamat situato sugli sportelli automatici del circuito postale.

È quanto ha affermato la 3° sezione della Ctp Reggio Emilia con le sentenze 03.03.2013 nn. 122 e 141.
Le gru. Nel primo caso una società contestava l'imposta di pubblicità applicata dalla locale concessionaria incaricata dal comune. Per il ricorrente, attivo nella commercializzazione di gru, mancavano i presupposti soggettivi per l'applicazione del tributo. I segnali distintivi del produttore, infatti, vengono apposti sugli impianti senza conoscere le località nelle quali saranno poi installati, né potendo sapere in anticipo se sarà poi apposta altra pubblicità dei terzi utilizzatori.
La tesi però, non ha convinto i giudici reggiani. Secondo la Ctp «si rilevano segni grafici di notevoli dimensioni», che sì rappresentano il logo distintivo dell'impresa costruttrice delle stesse attrezzature, «ma anche, senza dubbio, un chiaro e autonomo messaggio pubblicitario verso il pubblico, idoneo a rendere nota alla massa indeterminata di eventuali possibili acquirenti il nome e il prodotto dell'azienda». Da qui il rigetto del ricorso.
Postamat. La seconda vicenda vedeva, invece, protagoniste le Poste italiane. La concessionaria per la riscossione dell'imposta pubblicitaria aveva notificato la pretesa di 132 euro in relazione al pannello recante la scritta Postamat installato su uno sportello presente nel territorio comunale. Per dirimere la questione i giudici hanno richiamato l'art. 17, comma 1, lett. b), del dlgs 507/1993, che esenta dal prelievo gli avvisi al pubblico con superfici inferiori a mezzo metro quadrato.
«Al di là del presupposto oggettivo», ha sottolineato il collegio, «gli strumenti in esame non possono essere certamente classificati come portatori di messaggi pubblicitari, ma devono più correttamente essere classificati come strumento di informazione per facilitare la fruizione di un determinato servizio». Ricorso accolto e accertamento annullato (articolo ItaliaOggi del 29.08.2013).

TRIBUTIDenunce Tares senza doppioni. Vale la dichiarazione Tarsu-Tia.
I contribuenti non sono tenuti a presentare la dichiarazione Tares se hanno già denunciato l'occupazione degli immobili per Tarsu e Tia. Il silenzio equivale a conferma dei dati comunicati. La dichiarazione deve essere presentata direttamente agli uffici comunali oppure a mezzo del servizio postale o in via telematica. In quest'ultimo caso può essere trasmessa dal comune già compilata. L'interessato deve solo sottoscriverla. È però provvisoriamente valida anche la dichiarazione non sottoscritta.
Sono queste le previsioni ministeriali contenute nel prototipo del regolamento Tares. Dunque, il ministero dell'economia e della finanze conferma la tesi che l'obbligo di presentare la dichiarazione non deve essere assolto se l'immobile è stato già denunciato per la Tarsu o la Tia, a meno che non intervengano variazioni.
È demandato ai comuni il compito di fissare un termine per la denuncia delle occupazioni effettuate a partire dal 2013 e di approvare il nuovo modello. La dichiarazione va sottoscritta dal soggetto che occupa l'immobile. Se non sottoscritta è però provvisoriamente valida, ma non sono sospese le richieste di pagamento. Deve essere presentata direttamente agli uffici comunali oppure può essere spedita per posta tramite raccomandata con avviso di ricevimento o inviata in via telematica con posta certificata. Qualora sia attivato un sistema di presentazione telematica il comune provvede «a far pervenire al contribuente il modello di dichiarazione compilato, da restituire sottoscritto».
Naturalmente, questo presuppone che gli uffici comunali siano già in possesso dei dati del contribuente, comunicati nel momento in cui fanno richieste di residenza, rilascio di licenze, autorizzazioni o concessioni. Del resto, già in presenza di queste istanze i comuni devono invitare i contribuenti a presentare la dichiarazione nel termine previsto. Nello schema di regolamento Tares viene specificato quale deve essere il contenuto della dichiarazione. Viene infatti posto in rilievo che la disciplina di legge non è esaustiva.
Tuttavia, secondo il ministero, «è agevolmente desumibile dalla funzione dell'atto, diretto a comunicare al comune gli eventi rilevanti per l'applicazione del tributo al caso concreto». In particolare vanno dichiarati: le generalità del contribuente, i dati dell'utenza (ubicazione, superficie, utilizzo), la data di inizio dell'occupazione, la composizione del nucleo familiare, ma solo per le utenze domestiche dei non residenti, nonché eventuali cause che danno diritto ad agevolazioni fiscali, riduzioni tariffarie o esclusioni.
Nelle dichiarazioni degli immobili a destinazione ordinaria (classificati nelle categorie catastali A, B e C), inoltre, devono essere indicati obbligatoriamente: dati catastali, numero civico di ubicazione degli immobili e numero interno, se esistente. Lo prevede l'articolo 1, comma 387, della legge di stabilità (228/2012) che ha apportato delle modifiche al nuovo regime di prelievo sui rifiuti. In seguito a queste modifiche, anche per l'anno in corso la tassa va calcolata sulla superficie calpestabile e non più su quella catastale.
Questo parametro, quindi, deve essere preso a base per tutti gli immobili a prescindere dalla loro destinazione, ordinaria o speciale. Si passerà alla commisurazione del tributo sulla superficie catastale solo quando verranno allineati i dati degli immobili a destinazione ordinaria e quelli riguardanti la toponomastica e la numerazione civica, interna e esterna, di ciascun comune (articolo ItaliaOggi del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTITassati i ruderi recuperabili. La potenzialità edificatoria rende l'area soggetta a Imu. La Cassazione sull'edificabilità di terreni con fabbricati rurali destinati alla demolizione.
Sono edificabili, e di conseguenza tassabili, i terreni sui quali insistono fabbricati rurali destinati alla demolizione, in relazione ai quali è consentito il recupero a uso civile.
È quanto stabilito nella sentenza 01.03.2013 n. 5166 resa dalla V Sez. della Corte di Cassazione.
La fattispecie. Il processo scaturisce da un ricorso proposto dal ricorrente avverso la sentenza resa da una Commissione tributaria regionale che, in accoglimento della tesi dell'amministrazione finanziaria, aveva qualificato come edificabile un terreno pervenuto in successione e successivamente ceduto. Tale terreno costituiva un corpo unico sul quale a suo tempo erano stati eretti fabbricati rurali destinati però a essere demoliti per poi erigere nuovi fabbricati, ma a uso di civile abitazione.
Peraltro, solo su una parte del terreno potevano essere costruiti i nuovi fabbricati; il che ha indotto il contribuente a prospettare due distinti e graduati motivi di ricorso, il primo attinente alla tassabilità della fattispecie, il secondo volto a eventualmente ridimensionare la quota di plusvalenza tassabile in proporzione alla quota-parte di terreno sul quale, appunto, venivano eretti i detti fabbricati civili.
La sentenza. La sentenza, confermando la pronuncia di secondo grado, ritiene che il terreno oggetto di compravendita sia da qualificare come edificabile, da qui la ritenuta tassabilità dello stesso. Ma precisa che nemmeno la domanda subordinata può essere accolta, in quanto il giudice, avendo qualificato la complessiva operazione come «unitaria», ha individuato un criterio che, a monte, non consente di frazionare la vendita in due operazioni autonome (cessione di terreno agricolo; cessione di terreno edificabile).
La Corte in motivazione fa riferimento a precedenti pronunce che, seppur relative al medesimo tema, affrontavano la questione con un diverso angolo visuale. Vediamo perché.
Si legge nella sentenza che ai fini della determinazione della base imponibile, evidentemente agli effetti delle imposte dirette, e dunque, per quanto qui interessa, con riguardo all'art. 67 Tuir, che disciplina i redditi diversi, la nozione di area edificabile racchiude le due sub-specie di:
- Area edificabile di diritto.
- Area edificabile di fatto.
La prima è evidentemente quella così qualificata in un piano urbanistico, mentre la seconda è quella edificabile nel senso che, pur non essendo urbanisticamente qualificata come edificabile, lo è di fatto in quanto potenzialmente tale anche al di fuori di una previsione programmatica. Sul punto la sentenza parla espressamente di edificabilità non programmata, o fatturale, o potenziale.
Ma in concreto? La sentenza individua alcuni elementi che sono sintomatici di tale edificabilità «fattuale»:
- vicinanza al centro abitato;
- sviluppo edilizio raggiunto dalle zone adiacenti;
- esistenza di servizi pubblici essenziali;
- presenza di opere di urbanizzazione primaria;
- collegamento con i centri urbani già organizzati;
- in via residuale, esistenza di «qualsiasi altro elemento, obiettivo di incidenza sulla destinazione urbanistica».
La sentenza poi prosegue richiamando la nozione di edificabilità racchiusa nella disciplina dell'Ici e dell'indennità di espropriazione: anche tali provvedimenti richiamano una nozione di edificabilità di fatto: elemento che finisce per divenire situazione giuridica oggettiva nella quale può venirsi a trovare un bene immobile e che influisce sul suo valore (articolo ItaliaOggi Sette del 13.05.2013).

TRIBUTI: Il perimetro normativo dell'area edificabile.
La sentenza 01.03.2013 n. 5166 della Corte di Cassazione riporta in auge il concetto di edificabilità «di fatto».
Il concetto era già stato definito, tra l'altro, dalla sentenza 9131/2006 della Suprema corte, secondo la quale si ha edificabilità «di fatto» quando il terreno –pur non essendo urbanisticamente pianificato– può avere una vocazione edificatoria, che «si identifica attraverso una serie di fatti indici quali, tra l'altro, la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio assunto dalle zone adiacenti, l'esistenza di servizi pubblici essenziali, la presenza di opere di urbanizzazione primaria, il collegamento con centri urbani già organizzati».
La sentenza 5166/2013 ora aggiunge come altro indice «l'esistenza di qualsiasi altro elemento obbiettivo di incidenza sulla destinazione urbanistica, quale, ad esempio» in un'area agricola, l'ottenimento di «una concessione edilizia per il recupero di fabbricati civili con opera di demolizione nuova costruzione». In precedenza, alle stesse conclusioni era giunta la sentenza 7950/2003 e la pronuncia a Sezioni unite 172 del 23.04.2001.
Sul piano legislativo, l'articolo 37, comma 3, del Dpr 327/2001 (il Testo unico dell'espropriazione per pubblica utilità) aveva stabilito che ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio «si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione». Mentre l'articolo 2 del Dlgs 504/1992 (la legge istitutiva dell'Ici) aveva definito l'area edificabile come quella «utilizzabile a scopo edificatorio...in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità».
Per dirimere i contrasti interpretativi verificatisi a ogni livello, l'articolo 36, comma 2, del Dl 223/2006 ha definitivamente sancito che «un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo».
Insomma, poiché è stato finalmente definito cosa si intende per «area edificabile», ogni rilevanza dell'edificabilità «di fatto» dovrebbe essere sopita.
Almeno due dati contrastano, però, con questa conclusione: non solo la sentenza 5166/2013 della Cassazione, ma anche il fatto che la normativa introduttiva dell'Imu «propria» e dell'Imu «sperimentale» (l'articolo 13, commi 1 e 2, del Dl 201/2011) ha fatto testuale rimando, tra l'altro, all'articolo 2 del Dlgs 504/1992 in tema di Ici (e quindi anche al concetto di edificabilità «di fatto»), per definire il perimetro degli immobili cui appunto va applicata l'Imu.
Nonostante questo, si può fondatamente ritenere che, al di là del campo dell'indennità di espropriazione (dove non può non aver rilievo lo specifico stato di un dato immobile), e quindi nel campo tributario, dell'edificabilità «di fatto» ci si possa dimenticare, al cospetto della definizione di edificabilità sopravvenuta con il Dl 223/2006: quanto all'Ici/Imu, la norma del 2006 senz'altro abroga quella precedente; mentre la sentenza della Cassazione interviene nel 2013 ma con riferimento a una fattispecie di plusvalenza maturata nel 1999 e giudicata in primo grado nel 2005.
Anche perché, se il concetto di edificabilità «di fatto» fosse vigente, su questo spinoso tema regnerebbe l'incertezza invece della chiarezza portata dal legislatore del 2006: non si saprebbe se la vendita di queste aree sia soggetta a Iva o a imposta di registro, se la vendita generi plusvalenza tassabile in capo al venditore, e se –in sede di donazione e si successione– si possano utilizzare o meno i coefficienti di valutazione catastale (articolo Il Sole 24 Ore del 29.04.2013).

febbraio 2013

APPALTI SERVIZI - TRIBUTIPubblicità stradale con gara. È obbligatoria per affidare spazi in concessione. L'adunanza plenaria del Consiglio di stato: necessario garantire la concorrenza.
È obbligatoria la gara per l'affidamento in concessione di spazi pubblicitari stradali; si tratta di gare con offerte in aumento («al rialzo») motivate dal fatto che gli spazi pubblicitari sono contingentati in ogni comune e che occorre garantire la libera concorrenza.
È il Consiglio di Stato, adunanza plenaria sentenza 25.02.2013 n. 5, a chiarire definitivamente la questione posta dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia con ordinanza n. 653 del 2012.
La materia è trattata in più sedi: nella normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati (art. 23, comma 4, del codice della strada dlgs n. 285 del 1992), in quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici [articoli 49 e 153 del codice dei beni culturali e del paesaggio (dlgs n. 42 del 2004)], se gli impianti incidano su tali profili, e nella normativa tributaria, posta in particolare dal dlgs n. 507 del 1993 (e poi dal dlgs n. 446 del 1997).
Sul tema dell'assegnazione degli spazi pubblici disponibili per gli impianti pubblicitari ad affissione diretta, in giurisprudenza erano emersi due indirizzi. Il primo, sposato dal giudice che ha rimesso la questione all'Adunanza plenaria e risalente a una pronuncia del Consiglio di stato del 2007, poggia la sua tesi sul fatto che le imprese, titolari di un diritto alla libera attività di affissione diretta (ai sensi della pronuncia della Corte costituzionale n. 355 del 2002), sarebbero sottoposte soltanto ad autorizzazione onerosa, ai sensi degli articoli 23 del codice della strada e 53 del relativo regolamento attuativo, con un «prezzo» (tariffa) pagato dall'autorizzato anche per compensare l'occupazione del suolo pubblico. Il secondo indirizzo del Consiglio di stato del 2009, prevalente anche a livello di Tar, parte dalla considerazione che il «mercato dell'uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, contingentato, a motivo della limitatezza degli spazi disponibili», con conseguente obbligo per i comuni di determinare «la quantità degli impianti pubblicitari».
Pertanto in questa ottica lo strumento idoneo a garantire la libera iniziativa economica non può che essere quello della concessione degli spazi tramite gara. Diversamente, infatti, sarebbe del tutto inibito a nuovi operatori l'accesso ad un mercato che resterebbe riservato a quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all'uso degli spazi più remunerativi.
L'adunanza plenaria sposa questo secondo indirizzo partendo dalla conferma della considerazione generale per cui la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili all'interno del territorio comunale e ulteriormente ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità, sia di tutela dei beni culturali, gravanti sul territorio. Di fatto, quindi, tale assetto configura un vero e proprio «mercato contingentato» determinato da una scarsa risorsa pubblica, cioè il suolo pubblico. La sentenza delinea quindi, in questo ambito, un rapporto tra l'ente locale e privato che non può che essere di natura concessoria, sotto forma di concessione di area pubblica.
Per l'adunanza plenaria è quindi «corretto allocare l'uso degli spazi pubblici contingentati con gara, dovendosi altrimenti ricorrere all'unico criterio alternativo dell'ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili, che è di certo meno idoneo ad assicurare l'interesse pubblico all'uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei privati al confronto concorrenziale».
Per assicurare il perseguimento del principio di tutela della concorrenza nell'esercizio dell'attività economica privata incidente sull'uso di risorse pubbliche occorre quindi riferirsi all'istituto della concessione tramite gara dell'uso di beni pubblici per l'esercizio di attività economiche private, che risulta del tutto coerente anche con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza.
In particolare la concessione di un'area pubblica fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie e quindi la gara si impone come strumento a presidio e tutela del principio, fondamentale, della piena concorrenza. Si tratterà, ovviamente, di una gara con offerte in aumento, «al rialzo», per l'assegnazione di una concessione con durata temporale prefissata (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTITares, deroghe ad ampio raggio. Niente imposta per i locali che non producono rifiuti. I chiarimenti nello schema tipo di regolamento predisposto dal dipartimento finanze.
Non sono soggetti alla Tares i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o che non comportano, secondo la comune esperienza, la produzione di rifiuti in misura apprezzabile per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati.
A chiarirlo è lo schema-tipo di regolamento predisposto dal Dipartimento delle Finanze per agevolare il compito dei comuni, chiamati a disciplinare il nuovo tributo che, dallo scorso 1° gennaio, ha sostituito Tarsu e Tia.
Il presupposto della Tares, ai sensi dell’art. 14, comma 3, del dl 201/2011 è dato alternativamente dal possesso, dall’occupazione o dalla detenzione di locali o aree scoperte, indipendentemente dal loro uso, purché potenzialmente in grado di produrre rifiuti. Quest’ultimo aspetto, ovvero la suscettibilità delle diverse tipologie di immobili a produrre rifiuti, aveva generato, nella vigenza della Tarsu, un ampio contenzioso.
L’art. 62 del dlgs 507/1993, infatti, contemplava, al comma 1, una presunzione legale di produttività di rifiuti collegata alla detenzione e all’occupazione (non era contemplato il possesso), mentre il successivo comma 2 escludeva «gli immobili che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno».
La disciplina relativa alla Tares, invece, sembra ricollegare il presupposto non al fatto in sé del possesso/occupazione/ detenzione dell’immobile, bensì alla idoneità oggettiva dello stesso a produrre rifiuti. L’ambito delle esclusioni, pertanto sembra essere più ampio di quello rilevante ai fini della Tarsu, come confermato dall’art. 8 della bozza di regolamento predisposta dalle Finanze, che esonera dal tributo, oltre agli immobili che non possono produrre rifiuti, anche quelli che non comportano una produzione «in misura apprezzabile», secondo la comune esperienza. Tale previsione, che certamente include gli immobili inutilizzati (espressamente richiamati dalla disciplina Tarsu), lascia notevoli margini di flessibilità ai comuni, che possono individuare le ipotesi di esclusione adattandole alla specifica situazione locale.
Le linee-guida individuano a titolo esemplificativo le fattispecie più diffuse, fra cui: le unità immobiliari adibite a civile abitazione prive di mobili e suppellettili e sprovviste di contratti attivi di fornitura dei servizi pubblici a rete; le superfici destinate al solo esercizio di attività sportiva (ma non quelle con usi diversi, quali spogliatoi, servizi igienici, uffici, biglietterie, punti di ristoro, gradinate); i locali stabilmente riservati a impianti tecnologici (vani ascensore, centrali termiche, cabine elettriche, celle frigorifere, locali di essicazione e stagionatura senza lavorazione, silos); le unità immobiliari per le quali sono stati rilasciati, anche in forma tacita, atti abilitativi per restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia (limitatamente al periodo dalla data di inizio dei lavori fino alla data di inizio dell’occupazione); le aree impraticabili o intercluse da stabile recinzione; le aree adibite in via esclusiva al transito o alla sosta gratuita dei veicoli.
Tale elenco potrà essere modificato e integrato dai singoli comuni, anche mediante l’individuazione di altre fattispecie: ad esempio, lo schema di regolamento approvato dalla Regione autonoma Valle d’Aosta include anche soffitte, ripostigli, stenditoi, lavanderie, legnaie e simili limitatamente alla parte del locale con altezza inferiore a metri 1,60.
Anche per la Tares (come per la Tarsu), l’esclusione è subordinata alla duplice condizione dell’indicazione di tali circostanze nella denuncia (originaria o di variazione) ed alla sussistenza di elementi di riscontro obiettivi direttamente rilevabili o comprovati da idonea documentazione. Qualche dubbio rimane in merito alla ripartizione dell’onere della prova in caso di contestazioni. A parere di chi scrive rimane fermo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità rispetto alla Tarsu, secondo cui la prova contraria atta a dimostrare la inidoneità del bene a produrre rifiuti è ad esclusivo carico del contribuente, dovendo il soggetto attivo (ovvero il comune) dimostrare solo il fatto oggettivo dell’occupazione/ detenzione (si veda Cass. n. 14770 del 15.11.2000).
Peraltro, lo scheda di regolamento predisposto dal ministero prevede (art. 8, comma 3) che «nel caso in cui sia comprovato il conferimento di rifiuti al pubblico servizio da parte di utenze totalmente escluse da tributo verrà applicato il tributo per l’intero anno solare in cui si è verificato il conferimento, oltre agli interessi di mora e alle sanzioni per infedele dichiarazione».
Tale formulazione pare riferirsi ai soli casi di conferimento abusivo di rifiuti da parte di utenze che siano state interamente escluse dalla Tares, ma potrebbe fornire appigli ai contribuenti per invocare un’inversione dell’onere della prova. È quindi opportuno che i comuni ne circoscrivano la portata ai predetti casi (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

TRIBUTILa Tares comunale dimentica i rifiuti speciali. La maggiorazione segue le regole della quota ambiente.
Dal 1° gennaio è entrato in vigore il nuovo tributo a copertura dei servizi indivisibili dei Comuni, anche se di "comunale" c'è ben poco, visto che la misura base, pari a 0,30 euro al mq di superficie imponibile, e che secondo le stime del Governo vale un miliardo di euro, andrà tutta allo Stato. Ai Comuni rimane comunque la possibilità di incrementare il tributo di altri 0,10 euro, riservandosene il gettito.
Peraltro, sul fronte del "riversamento" allo Stato le regole sono ancora da definire, anche alla luce delle varie modifiche succedutesi nel corso del 2012. L'articolo 14, comma 13-bis, Dl 201/2011, prevede una riduzione del soppresso fondo sperimentale di riequilibrio, ora sostituito dal fondo di solidarietà comunale, in «misura corrispondente» al gettito derivante dalla maggiorazione standard; si prevede inoltre che in caso di incapienza ciascun Comune deve versare allo Stato le somme residue.
La normativa nulla dispone in merito al criterio di quantificazione degli importi dovuti allo Stato, se in base a una stima una tantum, o a poco attendibili superfici catastali o, infine, a una rendicontazione puntuale degli incassi registrati da ogni singolo Comune. Considerato che, rispetto al testo originario, è oggi previsto il pagamento esclusivamente con F24 o con bollettino postale centralizzato - i cui modelli ancora non sono stati approvati - sarebbe auspicabile che fossero individuati due codici tributo, uno per il tributo sui servizi indivisibili di competenza statale e uno per quello di competenza comunale, in modo tale che ci sia un riversamento diretto nelle casse dello Stato, come già avviene per l'Imu. Ciò eviterebbe inutili e dispendiose rendicontazioni.
Lo stesso sistema peraltro potrebbe essere usato anche per il tributo provinciale di tutela dell'ambiente.
Nel prototipo di regolamento Tares predisposto dall'Economia si ricorda che la maggiorazione per i servizi indivisibili ha natura di imposta addizionale rispetto al tributo sui rifiuti (che ha invece natura di tassa), di cui assume il medesimo presupposto.
Questo porta ad applicare alla maggiorazione sui servizi le stesse esclusioni, riduzioni, agevolazioni ed esenzioni applicabili al tributo sui servizi. Così le aree e i locali sui cui si producono rifiuti speciali non assimilati sono esclusi sia dal tributo sui rifiuti che da quello sui servizi. O ancora, le percentuali di riduzione da applicare alle superfici in cui vi è contestuale produzione di rifiuti urbani e speciali, saranno applicabili anche al tributo sui servizi.
Oltre ad agevolazioni che si traducono in riduzione di superficie vi sono agevolazioni che si applicano sotto forma di riduzione della tariffa, come quelle assicurate a chi effettua la raccolta differenziata, alle abitazioni occupate dai residenti esteri e altre ancora previste dalla normativa o che possono essere decise autonomamente dai Comuni con il regolamento Tares.
L'articolo 14, comma 21, Dl 201/2011, prevede che tutte queste agevolazioni, riduzioni ed esenzioni si applicano anche al tributo sui servizi indivisibili, sia di competenza statale che comunale (articolo Il Sole 24 Ore del 25.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Fabbricati inabitabili.
Domanda
Ai fini dell'Imposta municipale propria (Imu), i fabbricati inabitabili godono delle agevolazioni?
Risposta
Il legislatore, con l'introduzione dell'Imposta municipale propria (Imu), ha tracciato il quadro normativo di riferimento applicabile alla detta imposta. Esso è stato delineato e circoscritto in maniera espressa dalle disposizioni recate dall'articolo 13 del decreto legge 06.12.2011, numero 201, convertito dalla legge 22.12.2011, numero 214, dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo numero 23 del 14.03.2011, dall'articolo 91-bis del decreto legge 24.01.2011, numero 1, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 16 del 2012.
Ciò comporta che le agevolazioni stabilite, in materia di Imposta comunale sugli immobili (Ici), non sono più applicabili in materia di Imposta municipale propria (Imu). Al riguardo la Corte di cassazione, con la sentenza del 12.01.2012, numero 288, ha puntualizzato che le agevolazioni in materia tributaria non possono implicare un'interpretazione analogica o estensiva onde farvi comprendere ipotesi non espressamente previste.
Pertanto, le agevolazioni stabilite in materia di Imposta comunale sugli immobili (Ici) non sono applicabili all'Imposta municipale propria (Imu), a meno che non siano espressamente richiamate dalle disposizioni dalla nuova normativa. E la nuova normativa Imu, in tema di agevolazioni stabilisce, con il disposto dell'articolo 13, comma 3, del decreto legge 06.12.2011, numero 201, convertito dalla legge 22.12.2011, numero 214, che la base imponibile è ridotta del 50%:
- per i fabbricati di interesse storico o artistico di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 06.07.2002, numero 137»;
- per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell'anno durante il quale sussistono dette condizioni (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

TRIBUTI: Pubbliche affissioni.
Domanda
Quali cartelli sono soggetti all'imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni?
Risposta
L'articolo 5 del decreto legislativo numero 507, del 1993, dispone, in ordine alla funzione pubblicitaria dei cartelli esposti, che la diffusione dei messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all'imposta sulla pubblicità prevista da detto decreto.
I messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o di servizi, ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato si considerano rilevanti ai fini dell'imposizione summenzionata. La Corte di cassazione, con la sentenza del 22.07.1993, ebbe ad affermare che è soggetto all'imposta sulla pubblicità qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico, il quale risulti, indipendentemente dalla ragione e finalità della sua esposizione, oggettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti e utenti il nome o il prodotto dell'azienda.
La stessa Corte di cassazione, con la sentenza del 03.09.2004, numero 17852, ha puntualizzato che è soggetto all'imposta sulla pubblicità qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico che, indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione, risulti obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti ed utenti il nome, l'attività ed il prodotto dell'azienda (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

TRIBUTILe linee guida delle Finanze. Tares, sconti solo sulla parte fissa
Le agevolazioni Tares si applicano sulla parte fissa e su quella variabile della tariffa. Questa regola vale per le utenze domestiche e non domestiche. Le riduzioni tariffarie possono essere riconosciute anche alle occupazioni stagionali, purché la loro durata non superi i 183 giorni nel corso dello stesso anno solare. Per le attività commerciali e industriali è invece richiesto che l'uso stagionale degli immobili risulti da licenza rilasciata dall'autorità competente o da dichiarazione dell'interessato.

Lo ha chiarito il ministero delle finanze nelle linee guida al prototipo di regolamento Tares che possono adottare i comuni.
Secondo il ministero, contrariamente a quello che ritiene la dottrina, le riduzioni tariffarie, anche per le utenze domestiche, si applicano sia sulla parte fissa che sulla parte variabile della tariffa. Nelle linee guida, inoltre, viene precisato che per attività stagionale si intende quella di durata non superiore a 183 giorni nel corso dello stesso anno solare. Mentre, per le utenze non domestiche la natura stagionale dell'attività deve essere comprovata dalla licenza rilasciata dagli organi competenti o deve risultare «da dichiarazione rilasciata dal titolare a pubbliche autorità».
Le riduzioni tariffarie, per il ministero, vanno riconosciute «dalla data di effettiva sussistenza delle condizioni di fruizione se debitamente dichiarate e documentate nei termini di presentazione della dichiarazione iniziale o di variazione». Tuttavia, per i residenti nel comune, la riduzione deliberata per l'occupante unico dell'immobile spetta anche in mancanza di specifica dichiarazione.
In effetti, i comuni hanno il potere di concedere, con regolamento, riduzioni tariffarie per particolari situazioni espressamente individuate dalla legge. Il consiglio comunale, tra l'altro, può deliberare agevolazioni Tares, oltre quelle già previste, purché l'ente abbia le risorse economiche per finanziarle. I benefici fiscali concessi dal comune si applicano non solo alla tassa, ma anche alla maggiorazione dovuta dai contribuenti sui servizi indivisibili. L'articolo 14 del dl 201/2011 disciplina le agevolazioni tariffarie, riconoscendo al comune la facoltà di stabilire riduzioni del tributo dovuto in presenza di determinate situazioni in cui si presume che vi sia una minore capacità di produzione di rifiuti.
A queste riduzioni viene però fissato un tetto massimo. La riduzione della tariffa non può superare il limite del 30%. In particolare, questo beneficio può essere concesso per: abitazioni con unico occupante; abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; locali e aree scoperte adibiti a uso stagionale; abitazioni occupate da soggetti che risiedono o hanno la dimora, per più di 6 mesi all'anno, all'estero; fabbricati rurali a uso abitativo.
Tutte le agevolazioni, dunque, si applicano anche alla maggiorazione, destinata alla copertura dei servizi indivisibili prestati dall'amministrazione comunale. Questa previsione, però, non ha senso perché tra i due tributi che convivono all'interno della Tares non c'è alcun legame e i presupposti sono del tutto diversi. L'estensione alla maggiorazione può costituire un freno per i comuni nella scelta di deliberare eventuali agevolazioni. Considerato che il gettito della maggiorazione standard (0,30 euro al metro quadrato) comporta una corrispondente riduzione dei trasferimenti erariali. Quindi, minori risorse per gli enti (articolo ItaliaOggi del 19.02.2013).

TRIBUTITariffe Tarsu-Tia non retroattive. Vale lo Statuto del contribuente.
Le regole contenute nello Statuto dei diritti del contribuente valgono anche per delibere e regolamenti comunali. Questi atti, infatti, non possono avere efficacia retroattiva, se non nei limiti stabiliti da norme di legge. Pertanto, le tariffe deliberate per Tarsu o Tia oltre il termine stabilito dalla legge possono essere applicate solo dall'anno successivo alla loro approvazione.

Lo ha affermato il TAR Sicilia-Catania, Sez. II, con la sentenza 18.02.2013 n. 547.
Per il Tar Sicilia, le delibere con le quali i comuni fissano le tariffe per la Tarsu o la Tia, se risultano tardive, non possono «essere retroattivamente applicate». In questi casi, quindi, devono «intendersi prorogati i precedenti piani tariffari o i precedenti regimi». L'applicazione retroattiva, in effetti, si pone in contrasto con i principi contenuti nello Statuto dei diritti del contribuente. Del resto, l'articolo 3 della legge 212/2000 stabilisce che le disposizioni tributarie non possono avere effetto retroattivo e che, relativamente ai tributi periodici, le modifiche si applicano solo dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle norme che le prevedono. Naturalmente, la regola vale anche per delibere e regolamenti comunali.
Una parziale deroga al principio dello Statuto è rappresentata dall'articolo 1, comma 169, della Finanziaria 2007 (legge 296/2006), richiamato nella motivazione della sentenza, che impone agli enti locali di deliberare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Queste deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'anno d'imposta, purché entro il termine per il bilancio preventivo, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento. Tuttavia, in caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.
Va ricordato che l'amministrazione comunale deve motivare la delibera che prevede un aumento delle tariffe per coprire i costi del servizio di smaltimento dei rifiuti. Non si può invocare genericamente la necessità di assicurare la copertura totale della spesa, senza fornire dati certi sullo scostamento tra entrate e costo del servizio (Consiglio di stato, sentenza 5616/2010). Per stabilire in una determinata entità l'importo dell'aumento, occorre indicare spese ed entrate (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013).

TRIBUTI: Raccolta rifiuti, rischio paralisi in tutta Italia. Le aziende incasseranno dopo luglio la prima rata della Tares: in molti casi non è esclusa l'interruzione del servizio.
EFFETTI COLLATERALI/ Le nuove regole fanno anche saltare milioni di Rid e addebiti automatici finora utilizzati dagli utenti delle multiutility.

Mentre le nuove regole sui pagamenti imporrebbero ai privati di onorare i propri debiti in 30 giorni e ai soggetti pubblici di pagare le fatture in 60, la disciplina Tares impone alle aziende che raccolgono e smaltiscono i rifiuti di effettuare gratis un servizio essenziale per almeno 8-9 mesi. Anche se in ritardo, gli obblighi di pagamento complicheranno la vita di milioni di utenti, che in questi anni hanno attivato i Rid automatici o pagato in un'unica bolletta i servizi diversi (per esempio rifiuti ed energia) offerti loro dalle multiutility. Le nuove regole prevedono infatti solo l'F24 o il bollettino postale, con incasso diretto al Comune, per cui milioni di versamenti automatici o multipli sono destinati a saltare.
Se la complicazione per gli utenti emergerà solo con l'estate, il corto-circuito degli incassi sta già determinando in queste settimane la paralisi amministrativa nella gestione ambientale delle città italiane, e nelle prossime settimane rischia di moltiplicare i casi dell'emergenza rifiuti.
L'origine è nella sequela di rinvii elettorali della prima rata Tares, il nuovo tributo che da quest'anno deve sostituire le tasse e tariffe sui rifiuti andate in pensione a fine 2012. Il decreto salva-Italia ha infatti abrogato le vecchie discipline a partire dallo scorso 1° gennaio, ma la Tares che dovrebbe intervenire al loro posto è stata rinviata prima ad aprile e poi a luglio da un Parlamento in scadenza desideroso di spostare le richieste tributarie ai cittadini lontano dalle elezioni politiche di febbraio e dalle amministrative di maggio. Per i bilanci degli utenti in realtà cambia poco. La cifra da pagare nel 2013 sarà in ogni caso superiore a quella versata nel 2012 per due ragioni: i costi di raccolta e smaltimento vanno coperti integralmente con il tributo -secondo un criterio che fino a ieri era stato raggiunto in modo universale nei soli Comuni a tariffa Tia, 1.300 su 8.100- e a questo si aggiunge una maggiorazione comunale (30 centesimi a metro quadro, elevabili a 40) per finanziare i «servizi indivisibili» come la manutenzione delle strade e l'illuminazione pubblica. Proprio la maggiorazione, che ha permesso allo Stato di tagliare preventivamente un miliardo di euro ai fondi dei Comuni scaricandone i costi sui cittadini, ha impedito di prorogare nel 2013 la tassa e la tariffa ambientale rimaste in vigore fino a dicembre.
La pioggia dei rinvii, quindi, non ha effetti pratici sui portafogli dei cittadini, ma tira una bordata praticamente mortale ai conti delle imprese, che in queste settimane stanno cominciando ad affrontare una crisi di liquidità difficilmente gestibile. I mezzi e gli impianti vanno fatti girare tutti i giorni, gli stipendi devono essere pagati tutti i mesi, ma l'intera macchina dovrebbe viaggiare "gratis" fino alla fine di luglio, o meglio fino a settembre-ottobre quando le prime bollette si tradurranno in incassi effettivi. Con il classico effetto a catena: l'assenza di liquidità si scaricherà sui fornitori, cioè le aziende in genere private che ai gestori dell'igiene urbana vendono i mezzi e le attrezzature. A questo anello della catena scattano gli interessi di mora dell'8,75% a carico dei debitori che non pagano entro i 30-60 giorni previsti dalla normativa (il Dlgs 192/2012) che ha tradotto in italiano la direttiva europea.
L'ultima proroga è stata approvata dal Parlamento contro il parere del Governo Monti, e nelle scorse settimane il sottosegretario all'Ambiente Tullio Fanelli ha ipotizzato il varo di un nuovo decreto governativo che anticipi la prima rata della Tares, ma solo il nuovo Parlamento uscito dalle urne potrebbe convertirlo. «In questi giorni –spiega Daniele Fortini, il presidente di Federambiente (l'Associazione italiana servizi pubblici ambientali)– abbiamo inviato una lettera al presidente del Consiglio e ai ministri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, e dai contatti avuti con i vertici ministeriali ci aspettiamo un incontro a breve. I tempi però sono strettissimi e l'urgenza dei problemi non ammette timidezze».
Ma come accennato i problemi della Tares non sono solo di calendario: la nuova disciplina che prevede solo pagamenti con F24 o bollettino postale costringerà a rivedere i meccanismi di versamento attuati in particolare da parecchie multiutility come per esempio Hera, perché farà saltare i versamenti automatici con Rid e quelli elettronici con i Mav. Una complicazione in più, che farà "apprezzare" anche agli utenti, oltre che alle aziende, tutta la tortuosità del nuovo tributo ambientale (articolo Il Sole 24 Ore del 18.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTIRifiuti. Nelle istruzioni dell'Economia la disciplina speciale prevale sulle regole del Dl Sviluppo-bis.
Il Comune decide la tariffa. Le linee guida sulla Tares «ignorano» la competenza degli Ato.

Dal 1° gennaio è entrata in vigore la Tares, ma sono ancora pochi i Comuni che hanno approvato il regolamento, e ancor di meno quelli che hanno approvato le tariffe, complici anche la proroga a giugno del termine di approvazione del bilancio di previsione e la scadenza a luglio della prima bolletta.
Un valido supporto per la predisposizione delle delibere comunali sono le «Linee guida» per l'applicazione della Tares diffuse dal ministero dell'Economia (si veda anche Il Sole 24 Ore dell'8 febbraio), nelle quali si analizzano anche due punti molto controversi: il soggetto competente ad approvare le tariffe e la definizione di «misurazione puntuale», nel caso di applicazione della tariffa corrispettivo.
Sul soggetto legittimato ad approvare le tariffe Tares si erano create alcune incertezze a causa dell'articolo 34 del Dl 179/2012, il quale prevede che anche nel settore dei rifiuti urbani, la «determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza» spetti unicamente agli enti di governo degli Ato.
Questa disposizione è però completamente ignorata dal ministero dell'Economia che valorizza invece esclusivamente la disciplina speciale contenuta nell'articolo 14 del Dl 201/2011, dove si individua come soggetto attivo d'imposta il Comune e si attribuisce al consiglio comunale la competenza ad approvare tariffe e regolamento per l'applicazione del tributo. D'altro canto, sarebbe stato difficile ipotizzare una scissione tra soggetto che approva le tariffe e soggetto che approva il regolamento, visto che le scelte regolamentari, come le riduzioni e le esenzioni, inevitabilmente si riflettono sulle tariffe.
Sulla tempistica, il ministero ribadisce che la delibera di approvazione delle tariffe costituisce un atto autonomo e precedente rispetto all'approvazione del bilancio, non risultando configurabile un'approvazione implicita delle tariffe con il varo del bilancio. Le affermazioni, condivisibili in punto di diritto, non considerano però che le tariffe devono essere approvate sulla base di un piano finanziario redatto dal gestore e approvato dall'Ato; se i due soggetti, in assenza di un termine fissato per legge, non redigono e non approvano il piano, il Comune è impossibilitato ad approvare le tariffe.
In questa situazione, dando atto dell'impossibilità di approvare le tariffe per assenza del piano finanziario, sarebbe legittimo approvare il bilancio preventivando un'entrata pari al costo presunto del servizio, rinviando a un secondo momento l'approvazione delle tariffe, fermo restando che queste dovranno comunque essere approvate entro il 30.06.2013. È evidente poi che in sede di approvazione delle tariffe, eventuali scostamenti tra entrate o costi inizialmente iscritti in bilancio andranno corretti con una delibera di variazione di bilancio.
Altra importante precisazione contenuta nelle linee guida riguarda la tariffa corrispettivo. Il Comune, se ha realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, può prevedere l'applicazione di una tariffa corrispettivo. Il ministero ha condivisibilmente ritenuto che l'aggettivo «puntuale» comporti il riferimento ai rifiuti «effettivamente prodotti -o meglio conferiti- dalla singola utenza». Eventuali altri criteri di misurazione medi o presuntivi non legittimano la tariffa corrispettivo (articolo Il Sole 24 Ore del 18.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: L'Imu dei rurali spetta ai sindaci
L'«INFORTUNIO»/ La riserva statale sostenuta dalle Finanze nelle risposte di Telefisco non trova giustificazioni nella normativa.

La riserva d'imposta statale dell'Imu, pari allo 0,2% sui fabbricati rurali di categoria D, non è prevista da nessuna norma di legge e pertanto non può essere applicata. Né allo scopo è sufficiente una risposta delle Finanze a un quesito di Telefisco (si veda Il Sole 24 Ore del 1° febbraio). Il dipartimento, per quanto autorevole, non è legibus solutus.
Il problema nasce dal comma 380 dell'articolo unico della legge di stabilità 2013 (legge 228/2012). In forza di tale norma, l'Imu è interamente attribuita ai Comuni, con la sola eccezione di una quota di imposta in favore dello Stato, calcolata in misura pari allo 0,76% sui soli fabbricati di categoria D. Per evitare di creare eccessivi cali di gettito nei Comuni ad alta intensità industriale o ricettiva, è inoltre previsto che le amministrazioni possano elevare dello 0,3% l'aliquota base, introitando l'intera eccedenza deliberata.
Si è posto il quesito se la riserva in esame fosse applicabile anche ai fabbricati rurali strumentali, classificati nella categoria D10, atteso che per questi la legge impone l'aliquota massima dello 0,2%. Stante la chiarezza della disposizione di legge, è tuttavia evidente che le soluzioni al quesito possono essere solo due: o la quota statale dello 0,76% si applica oppure non si applica. Non pare proprio che possa neppure prospettarsi una terza via, che individui una quota diversa da quella di legge.
Si è dell'avviso che la risposta corretta è quella di escludere i rurali strumentali dalla riserva statale, per una pluralità di ragioni. In primo luogo, l'aliquota massima di legge è in questo caso dello 0,2%, ed è evidente che una compartecipazione statale al gettito del tributo comunale non può mai risolversi in una surrettizia elevazione dell'aliquota legale.
La legge di stabilità individua la misura della riserva statale richiamando il comma 6 dell'articolo 13, D.L. n. 201/2011, mentre i rurali strumentali sono nel comma 8.
La risposta data dalle Finanze ai quesiti di Telefisco appare pertanto spiazzante e priva di supporto normativo. Secondo il Dipartimento delle politiche fiscali, infatti, per i fabbricati rurali di categoria D la riserva statale sussiste ma opera nei limiti dello 0,2%. La risposta sembra per di più adombrare la possibilità che il comune intervenga sull'aliquota, riducendola allo 0,1%. È però evidente che una delibera comunale non può mai avere effetto su di una quota statale.
Ne deriva che sugli immobili D rurali l'intero gettito deve essere attribuito ai comuni.
Quanto ai controlli sui fabbricati D, premesso che potrebbe dubitarsi dell'estensione della quota erariale anche al gettito da accertamento, è ovvio che essi spettino agli enti locali. L'interesse del Comune potrebbe consistere nell'acquisizione del gettito afferente alle sanzioni, posto che la riserva dello Stato riguarda unicamente l'imposta (articolo Il Sole 24 Ore del 18.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTILa Tares non si autoliquida. Necessari avvisi di pagamento da parte del comune.  Chiarezza dalle linee guida delle Finanze sul prototipo di regolamento. L'Anci: rinviare.
La Tares non va versata dai contribuenti in autoliquidazione. Deve invece essere pagata solo in seguito alla spedizione degli avvisi di pagamento da parte dei comuni, che devono specificare in dettaglio per ogni utenza le somme dovute per tributo, maggiorazione e tributo provinciale.
Questo importante chiarimento è contenuto nelle linee guida ministeriali sul prototipo di regolamento Tares.
Il tutto mentre ieri l'Anci ha chiesto di spostare la partenza della tares al prossimo anno. «La previsione di luglio della Tares è insostenibile», pertanto «sia cambiata o sia posticipata al 2014, altrimenti avremo un ulteriore aggravio per le casse dei comuni», ha detto il presidente dell'Anci, Graziano Delrio, durante la conferenza stampa sui dati del gettito effettivo dell'Imu (si veda altro articolo in pagina).
Tornando alle linee guida, vengono dunque confermate le vecchie modalità di pagamento, che per tanti anni sono state utilizzate per la riscossione sia della Tarsu che della Tia. Nelle linee guida viene precisato che, pur essendo «scomparso il sistema di riscossione ordinario tramite ruoli che caratterizzava la Tarsu», è stato ritenuto opportuno, «per ragioni di continuità», mantenere la prassi che prevede l'invio ai contribuenti di «inviti di pagamento», che devono indicare le somme da versare e le relative modalità e termini. Pertanto, il comune riscuote il tributo comunale sui rifiuti e i servizi inviando ai contribuenti, «anche per posta semplice», inviti di pagamento che specificano per ogni utenza le somme dovute per tributo, maggiorazione e tributo provinciale, suddividendo l'ammontare complessivo nel numero di rate previste dalla legge o deliberate dall'ente stesso.
Per il 2013 la prima rata si verserà a luglio, in seguito alle modifiche apportate all'articolo 14 del decreto «salva Italia» (201/2011) dall'articolo 1, comma 387, della legge 228/2012. Non è escluso un ulteriore intervento normativo che anticipi la scadenza ad aprile. I comuni, però, possono posticipare ulteriormente la scadenza. Hanno inoltre il potere di variare sia i termini che il numero delle rate di versamento. La legge di stabilità, infatti, ha introdotto modifiche alla disciplina della Tares sul fronte della riscossione.
Fino al 31.12.2013 la gestione del tributo o della tariffa puntuale possono essere affidati ai soggetti che hanno gestito lo smaltimento rifiuti e le attività di accertamento e riscossione di Tarsu, Tia1 e Tia2. Tributo e maggiorazione possono essere pagati con l'F24 o con bollettino di conto corrente postale. Le somme vanno versate direttamente al comune, in quattro rate trimestrali scadenti nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre. Fino alla determinazione delle nuove tariffe le somme dovute vanno pagate in acconto, commisurato all'importo versato nel 2012. Per le nuove occupazioni effettuate a partire dal 2013, invece, la tassa va calcolata tenendo conto delle tariffe deliberate nell'anno precedente. Il conguaglio dovrà essere effettuato con la rata da pagare dopo la determinazione delle tariffe.
Anche la maggiorazione va pagata nella misura standard, fissata in 0,30 euro al metro quadrato, senza applicazione di sanzioni e interessi, contestualmente al tributo o alla tariffa, alla scadenza delle prime tre rate. Con l'ultima rata potrà essere operato il conguaglio, qualora il comune dovesse decidere di aumentarla fino a 0,40 euro. È consentito il pagamento in unica soluzione entro il mese di giugno di ciascun anno. In caso di omesso o insufficiente versamento, come per le altre entrate tributarie, si applica la sanzione del 30% prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo 471/1997.
Naturalmente il versamento con l'F24, alternativo al pagamento del tributo con il bollettino di conto corrente postale, consente di operare le compensazioni con altri debiti fiscali del contribuente. Nella relazione ministeriale viene posto in rilievo che l'obbligo di riscossione spontanea da parte del comune è in linea con le recenti modifiche in materia di riscossione delle entrate degli enti locali. Mentre per la riscossione coattiva l'articolo 14 fa salva la scelta regolamentare dell'ente di affidare l'incarico a Equitalia o ad altro concessionario iscritto all'albo ministeriale (articolo ItaliaOggi del 15.02.2013 - link a www.ecostampa.it).

TRIBUTIImmobili senza utenze esclusi dalla Tares.
Non sono soggette al pagamento della Tares le unità immobiliari destinate a civili abitazioni prive di mobili e di allacci alle reti idriche e elettriche.

Sono queste le indicazioni contenute nelle linee guida ministeriali per l'applicazione del nuovo tributo sui rifiuti e i servizi.
Nel prototipo di regolamento Tares, infatti, viene precisato che non sono soggetti al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o che non comportano, «secondo la comune esperienza, la produzione di rifiuti in misura apprezzabile per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati». E tra le unità immobiliari escluse dal prelievo rientrano quelle «adibite a civile abitazione prive di mobili e suppellettili e sprovviste di contratti attivi di fornitura dei servizi pubblici a rete».
La tesi ministeriale, però, si pone in contrasto con quanto sostenuto dalla Cassazione e dai giudici di merito. Tra l'altro, anche la relazione governativa sull'articolo 14 del dl 201/2011, che ha istituito il nuovo balzello, chiarisce che il legislatore, laddove assoggetta al tributo gli immobili «suscettibili di produrre rifiuti», ha inteso recepire «il consolidato orientamento della Corte di cassazione, riconducendo l'applicazione del tributo alla mera idoneità dei locali e delle aree a produrre rifiuti, prescindendo dall'effettiva produzione degli stessi».
In realtà, la Cassazione ha sempre posto dei limiti rigidi per l'esonero dal pagamento della tassa, che è dovuta a prescindere dal fatto che il contribuente utilizzi l'immobile. Vanno esclusi solo gli immobili non utilizzabili (inagibili, inabitabili, diroccati) o improduttivi di rifiuti.
Anche il presupposto Tares è l'occupazione, detenzione o conduzione di locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti. Non sono soggetti solo gli immobili che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell'anno. Pertanto insuscettibili di produrre rifiuti, come quelli situati in luoghi impraticabili, interclusi o in stato di abbandono. Il contribuente può fare ricorso solo a queste prove vincolate per dimostrare che l'immobile sia inidoneo a produrre rifiuti e quindi non soggetto al pagamento.
Mentre nella normativa Tarsu si faceva riferimento agli immobili «oggettivamente utilizzabili», nel decreto Monti si usa l'espressione «suscettibili di produrre rifiuti». Il risultato però è lo stesso. Tant'è che viene richiamata nella relazione ministeriale la giurisprudenza della Cassazione, che da più di 10 anni ha affermato in maniera inequivoca che il tributo è dovuto dal contribuente se l'immobile sia oggettivamente utilizzabile, ancorché soggettivamente inutilizzato per scelta del titolare.
Per la prima volta il principio è stato affermato con la sentenza 16785 del 30.11.2002. Successivamente, con le sentenze 9920/2003, 22770/2009, 1850/2010 e altre. Questo orientamento è stato seguito anche dai giudici di merito. La commissione tributaria regionale di Palermo (sentenza 121/2012) ha infatti sostenuto che l'attivazione delle utenze non è decisiva ai fini del pagamento della tassa rifiuti. Magazzini e locali di deposito sono soggetti al prelievo anche se non hanno allacci alle reti idriche e elettriche.
Infine la Suprema Corte, con la recente ordinanza 1331 del 21.01.2013, ha ribadito che la prova fornita dal contribuente di aver cessato un'attività commerciale o industriale non lo esonera dal pagamento della tassa rifiuti. Non rileva, dunque, la scelta del titolare di non utilizzare l'immobile (articolo ItaliaOggi del 12.02.2013).

TRIBUTITares, pagheranno le imprese. A carico delle aziende gli sconti concessi dai sindaci. Le indicazioni nello schema tipo di regolamento e nelle linee guida diffuse giovedì.
Le imprese pagheranno gli sconti Tares concessi dai sindaci alle abitazioni civili per incentivare la raccolta differenziata.

La conferma arriva dallo schema-tipo di regolamento comunale relativo al nuovo tributo su rifiuti e servizi diffuso dal dipartimento delle Finanze, insieme a dettagliate «Linee guida», la scorsa settimana (si veda ItaliaOggi dell'8 febbraio).
La Tares (istituita dall'art. 14 del dl 201/2011 per razionalizzare il sistema di imposizione sui rifiuti) deve garantire, infatti, la copertura integrale dei costi dei servizi di raccolta e smaltimento.
Una delle conseguenze di questo vincolo è che le riduzioni per la raccolta differenziata riferibili alle utenze domestiche deve essere addebitata a quelle non domestiche (quali attività commerciali, industriali, artigianali, professionali e produttive in genere).
Il peso in termini finanziari di questa sorta di «partita di giro», precisano le linee guida ministeriali, è rimesso alla scelta discrezionale di ciascun ente locale «senza obbligo di specifica motivazione sul punto». È ovvio, però, che si tratta di una scelta che andrà attentamente calibrata, specialmente nei comuni che finora hanno applicato la Tarsu, al fine di non appesantire ulteriormente il carico fiscale sui soggetti produttivi, che quasi certamente dovranno anche scontare un aggravio dell'Imu.
Le Finanze chiariscono anche alcuni altri aspetti dubbi della disciplina relativa alla Tares.
Il primo riguarda l'evidente contrasto esistente fra l'art. 14, c. 23, del dl 201, che rimette ai comuni la determinazione delle tariffe, e l'art. 34, c. 23, del dl 179/2012, che invece assegna tale competenza agli enti regionali di governo degli ambiti e dei bacini territoriali ottimali.
Quest'ultima disposizione viene completamente ignorata, riaffermando indirettamente la piena competenza dei consigli comunali, ferma restando la necessità che le tariffe siano conformi al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti approvato dall'Autorità dell'ambito territoriale ottimale o dai diversi soggetti individuati a livello regionale.
Lo schema di regolamento, inoltre, elenca dettagliatamente i locali e le aree escluse dalla tassazione per inidoneità a produrre rifiuti: fra queste rientrano anche le aree adibite in via esclusiva alla sosta gratuita dei veicoli (ad esempio, il parcheggio di un supermercato), che secondo alcuni interpreti avrebbero dovuto essere soggette.
Arriva poi la conferma che la tariffa corrispettiva alternativa ai tributi può essere istituita solo dai comuni che dispongono di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti dalla singola utenza, oggi presenti in poche realtà.
Sempre riguardo alla tariffa corrispettiva, un'ulteriore precisazione concerne le modalità di determinazione del costo del servizio, dopo che la l 228/2012 ha abrogato la previsione (art. 14, c. 12, del dl 201) che la rimandava ad un apposito regolamento statale. Anche in tal caso, come per il tributo, si applicano le disposizioni del dpr 158/1999.
Tuttavia, secondo i chiarimenti del ministero, i comuni non sono vincolati al rispetto puntuale dei coefficienti stabiliti dal c.d. «metodo normalizzato», ma sono liberi di muoversi liberamente all'interno della forchetta compresa fra il minimo e il massimo.
Infine, rimangono ancora alcune incertezze riguardo alla riscossione.
La legge 228 ha stabilito che essa, oltre che gestita direttamente dai comuni, possa anche essere affidata agli attuali gestori, fermo restando, però, l'obbligo di versamento diretto al comune.
Per i piccoli comuni, però, tale obbligo mal si concilia con quello di gestire in forma associata (insieme alle altre funzioni fondamentali), anche quelle relative ai rifiuti, che per espressa previsione di legge includono la riscossione dei relativi tributi.
Al riguardo, si ritiene che il gettito della Tares possa essere attribuito direttamente alle unioni, salvo i casi in cui i sindaci optino per il modello alternativo della convezione.
Del resto, in base all'art. 32, c. 7, del Tuel, alle unioni (e non ai singoli comuni associati) competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.02.2013).

TRIBUTILa legge di stabilità ha abrogato il comma con la riserva per l'Erario. Imu statale sulle imprese con «buco» normativo. Il divieto di agevolazioni privo di base nelle regole.
La risposta del ministero dell'Economia in merito al gettito Imu 2013 dei fabbricati rurali, data alla manifestazione Telefisco 2013 (si veda Il Sole 24 Ore del 01.02.2013), complica ancor di più l'incerto quadro normativo dell'imposta, aprendo la strada a possibilità interpretative ed applicative che sarebbero pericolose per le entrate dello Stato.
La legge di stabilità ha modificato per il 2013 le regole di riparto tra Stato e Comuni del gettito Imu. L'articolo 13, comma 11, del Dl 201/2011, che attribuiva allo Stato la riserva di una quota dell'imposta pari alla metà dell'importo dovuto ad aliquota di base di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle pertinenze, oltre che dei fabbricati rurali ad uso strumentale, è stato soppresso.
Il gettito Imu verrà incassato tutto dai Comuni, fatta eccezione per i fabbricati di categoria D, per i quali è prevista la riserva allo Stato del gettito calcolato applicando l'aliquota standard dello 0,76 per cento. È lasciata comunque la possibilità ai Comuni di aumentare sino a 0,3 punti percentuali l'aliquota, riservandosene il gettito.
Nel ridisegnare il nuovo riparto tra Stato e Comuni il legislatore non è però intervenuto con il bisturi ma con la mannaia, eliminando integralmente il comma 11 dell'articolo 13, che prevedeva che il gettito dell'Imu dovuta per i fabbricati rurali strumentali fosse interamente riservato ai Comuni. Con l'abrogazione della norma, il gettito relativo ai fabbricati strumentali classificati in categoria D/10, essendo questi «fabbricati produttivi di categoria D», dovrebbe essere riservato, secondo il Ministero dell'Economia, allo Stato. La tesi ministeriale, sebbene aderente al dato letterale della norma, apre a parecchie incertezze.
Un primo profilo è rappresentato dalla circostanza che non tutti i fabbricati rurali strumentali sono accatastati in categoria D, potendosi accatastare, in base al decreto del ministero dell'Economia del 26.07.2012, anche in altra categoria, ad esempio C/2, ma con l'annotazione che si tratta di fabbricati rurali. Quindi, si avrebbero fabbricati strumentali, quelli con categoria D, il cui gettito sarebbe riservato allo Stato, e fabbricati strumentali, quelli iscritti nelle altre categorie catastali con l'annotazione di ruralità, il cui gettito sarebbe riservato ai Comuni. È difficile intravedere una razionalità fiscale in questa distinzione, mentre è facile vedere un'inutile complicazione per gli agricoltori.
Inoltre, nell'Imu 2013 è prevista la riserva allo Stato del gettito dei fabbricati D con applicazione dell'aliquota standard dello 0,76 per cento, ma la normativa (articolo 13, comma 8) prevede ancora oggi per i fabbricati rurali strumentali l'applicazione della aliquota base dello 0,2 per cento, peraltro non aumentabile ma solo riducibile sino allo 0,1 per cento. Secondo il ministero dell'Economia, si continuerebbe ad applicare l'aliquota dello 0,2 per cento, facendo salva anche la possibilità per i Comuni di disporre l'eventuale riduzione.
A ben vedere, la tesi ministeriale, che autorizza il Comune a intervenire sulla quota statale, troverebbe un suo fondamento nella soppressione dello stesso comma 11, che conteneva anche il divieto per i Comuni di deliberare riduzioni che potessero incidere sulla quota statale. Ma se si aderisce a tale tesi, si dovrà anche ammettere che come il Comune può ridurre l'aliquota base dei fabbricati rurali così potrà ridurre anche l'aliquota base dei fabbricati di categoria D.
È evidentemente impossibile lasciare ai Comuni la discrezionalità di abbassare l'aliquota standard, come confermato dal dipartimento Finanze che impone di rivedere le aliquote ai Comuni che prevedevano agevolazioni per questi immobili (si veda Il Sole 24 Ore del 6 febbraio). Per chiudere il cerchio, però, occorre che il legislatore intervenga nuovamente, ripristinando il comma 11 soppresso.
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Stessa categoria, trattamenti diversi
Secondo l'amministrazione finanziaria anche nel 2013 i fabbricati strumentali all'attività agricola godono dell'aliquota agevolata anche se sono accatastati nella categoria D, per la quale in genere la legge di stabilità prevede la riserva statale del gettito ad aliquota standard dello 0,76%.
Proprio la riserva statale, secondo le Finanze, impedisce ai Comuni di prevedere sconti sui capannoni delle imprese: questa riserva era però contenuta nell'articolo 13, comma 11, del Dl 201/2011, abrogato dalla legge di stabilità (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTILa diatriba sul riconoscimento retroattivo della ruralità. Sul recupero dell'Ici pregressa per i comuni è game-over.
Per il recupero dell'imposta comunale degli immobili (Ici) pregressa sui fabbricati rurali, per i Comuni è «game over».

Recentemente la giurisprudenza di merito (C.T. Regionale di Bologna, sentenza 65/12/12) e, soprattutto, le disposizioni contenute nell'art. 7, dm 26/07/2012 (Gazzetta Ufficiale n. 185 del 09/08/2012) hanno sancito la definitiva chiusura della «diatriba» in corso, sul riconoscimento «retroattivo» della ruralità ai fini del citato tributo locale.
I comuni hanno, recentemente, intensificato l'emissione di avvisi di accertamento e liquidazione dell'Ici relativa al quinquennio 2007/2011, molto spesso con carenza di motivazione, asserendo che non esiste una norma specifica di esenzione, ma soprattutto che senza la categoria specifica (A/6 per le unità abitative e D/10 per i fabbricati strumentali), la ruralità non può essere riconosciuta per i periodi pregressi.
Molti di questi enti, nei dinieghi alle numerose istanze di autotutela, hanno precisato che, pur tentando di riconoscere l'esenzione dal tributo a detti immobili, la variazione catastale richiesta dalla recente giurisprudenza di legittimità (su tutte, Cassazione Ss.Uu. 21/08/2009 n. 18565 e 18570) è condizione necessaria per l'ottenimento della qualifica e, di conseguenza, dell'esenzione.
Detto principio, peraltro, è stato codificato dal comma 2-bis, dell'art. 7, dl n. 70/2011 che ha anche previsto un termine per la presentazione delle domande di variazione, tese all'ottenimento della citata specifica categoria; termine fissato definitivamente al 30 settembre scorso, a cura del comma 19, dell'art. 3, dl n. 95/2012. A molti comuni, però, è sfuggito il passaggio del dl n. 201/2011 (lettera d-bis, comma 14 e comma 14-bis, dell'articolo 13) che ha, di fatto, riportano all'indietro la situazione, attraverso la quale si dispone che la ruralità è un requisito di natura esclusivamente «oggettiva» e che prescinde dalla categoria catastale (sul tema, ministero delle finanze, circ. 3/DF/2012), nonostante la conferma della Suprema Corte (Cassazione, sentenza n. 11081/2012) della necessità di ottenere la categoria specifica.
Infatti, recentemente è stato pubblicato il dm 26/07/2012, di attuazione del comma 14-bis, dell'art. 13, dl n. 201/2011 appena richiamato, con il quale sono state definite le modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza dei requisiti di ruralità degli immobili oggetto della domanda di variazione di categoria, con il quale sono stati fissati due principi sacrosanti, riguardanti rispettivamente la portata (effetti) dell'annotazione della ruralità e la sanatoria degli anni pregressi. Sul punto, è chiaro il comma 2, dell'art. 7, dm 26/07/2012 con il quale il legislatore ha testualmente dichiarato che «la presentazione delle domande e l'inserimento negli atti catastali dell'annotazione producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità (?) a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda».
Di fatto, la richiesta di variazione catastale eseguita entro lo scorso 30 settembre, autocertificata dal proprietario o dal titolare del diritto reale sull'immobile, comporta una mera indicazione (annotazione) in Catasto e non il cambio di categoria, per qualsiasi genere di fabbricato (abitativo o strumentale); di fatto, il locale, destinato, per esempio, a deposito attrezzi che non possiede caratteristiche da D/10 (dimensioni ridotte) resta iscritto nella categoria specifica (per esempio, C/2) con annotazione di «fabbricato rurale», se in possesso dei requisiti (Agenzia del territorio, circolare n. 2/T/2012).
In secondo luogo, la presentazione delle domande e l'inserimento dell'annotazione di possesso dei requisiti di ruralità producono effetti «retroattivi» a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione, ai sensi del citato art. 7, dm 26/07/2012; ciò sta a significare che, a prescindere dalla tipologia dell'immobile (abitativo o rurale), l'annotazione eseguita equivale a categoria speciale assegnata (A/6 o D/10), ancorché la categoria del compendio rimanga quella originaria, ancorché diversa da quella speciale.
A prescindere da tali disposizioni, che risultano trancianti e definitive, anche la giurisprudenza di merito sta consolidando tale orientamento, giacché per taluni giudici aditi (la più recente, Ctr Bologna, sentenza n. 65/12/12) il riconoscimento della ruralità è stato sancito da tempo dai commi 3 e 3-bis, dell'art. 9, del dl n. 557/1993, dopo l'intervento innovatore del dl 159/2007 (art. 42-bis), per effetto della portata «interpretativa» delle disposizioni (articolo ItaliaOggi del 05.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTILe Finanze hanno messo a punto per i comuni un prototipo di regolamento del tributo. La Tares con l'invito a pagare. L'ente può mantenere la prassi delle richieste bonarie.
Tares con invito al pagamento. Consentito ai comuni di tenere in vita la prassi che prevede l'invio ai contribuenti, senza formalità di notifica, di inviti di pagamento che indicano le somme da versare e le relative modalità e termini entro i quali eseguire detti adempimenti.
Agli enti accordata anche la possibilità di modificare sia il numero che la scadenza delle rate di versamento, che deve comunque avvenire tramite conto corrente postale o modello F-24.

È quanto si legge nel prototipo di regolamento relativo alla tassa rifiuti e servizi pubblicato sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze (unitamente alle linee guida per la predisposizione delle delibere e dei regolamenti concernenti le entrate tributarie locali e strumenti prototipali), sul quale gli operatori del settore possono inviare consigli e rilievi anche critici validi per eventuali future edizioni del prototipo di regolamento.
La disciplina statale è contenuta nell'art. 14 del dl 06.12.2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22.12.2011, n. 214, che è stato oggetto di notevoli cambiamenti da parte dell'art. 1, comma 387, della legge 24.12.2012, n. 228, e cioè della legge di stabilità per l'anno 2013. Il prototipo di regolamento Tares (che da quest'anno ha preso il posto di Tarsu, Tia1 e Tia2) recepisce tutte le novità apportate al nuovo tributo, le razionalizza e propone uno strumento che ogni ente locale può adeguare alle proprie esigenze finanziarie ed organizzative. Ma non è vincolante per i comuni.
Il primo chiarimento presente nel regolamento è il suo ambito di applicazione, che è limitato a disciplinare il solo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, vale a dire un'entrata di natura tributaria, mentre non riguarda in alcun modo la tariffa con natura corrispettiva prevista ai commi da 29-32 dell'art. 14 del dl n. 201 del 2011, che i comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono prevedere, con regolamento, in luogo del tributo. Uno dei punti di maggiore incertezza è stato sempre rappresentato dai criteri per l'individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa. Sul punto si ricorderà che l'originaria formulazione dell'art. 14 del dl 201 del 2012 prevedeva l'emanazione di un regolamento entro il 31.10.2012 e solo in via transitoria, l'applicazione delle disposizioni del dpr 27.04.1999, n. 158, e cioè il cosiddetto «metodo normalizzato» per definire la Tia1.
La nuova norma ribalta la situazione in quanto rende definitiva l'applicazione del decreto in questione, circostanza che se da un lato rassicura i comuni che avevano adottato la Tia, dall'altro mette in crisi gli enti rimasti nel regime Tarsu e pertanto non avvezzi all'utilizzo di tali regole. L'art. 13 del regolamento precisa che la tariffa Tares è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte.
Precisa, inoltre, che la tariffa è determinata sulla base del piano finanziario con deliberazione del consiglio comunale, da adottare entro la data di approvazione del bilancio di previsione relativo alla stessa annualità. Un altro aspetto affrontato nell'art. 11 del regolamento riguarda la determinazione della superficie tassabile, che in base alle novità introdotte dalla legge di stabilità, equivale a quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati. E ciò almeno fino al definitivo allineamento tra i dati catastali relativi alle unità immobiliari a destinazione ordinaria ed i dati riguardanti la toponomastica e la numerazione civica interna ed esterna di ciascun comune che dovrebbe permettere di addivenire alla determinazione della superficie assoggettabile al tributo pari all'80% di quella catastale, e cioè della superficie che l'originaria formulazione del comma 9 dell'art. 14, era considerata tassabile. Ai fini dell'applicazione del tributo si considerano, quindi, le superfici dichiarate o accertate ai fini della Tarsu, della Tia1 e della Tia2.
Il tributo provinciale per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente. Dovuto dai soggetti passivi del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, detto tributo provinciale, commisurato alla superficie dei locali e delle aree assoggettabili al tributo comunale, è applicato nella misura percentuale -non inferiore all'1% né superiore al 5%- deliberata dalla provincia sul solo importo del tributo comunale.
La maggiorazione per i servizi indivisibili. Gli artt. 29 e 30 sono, invece, dedicati alla maggiorazione applicata alla tariffa Tares a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Detta maggiorazione, si legge nelle note all'articolo «ha natura di imposta addizionale rispetto al tributo sui rifiuti (che ha invece natura di tassa), di cui assume il medesimo presupposto». La maggiorazione è dovuta dalle utenze domestiche e non domestiche, in misura pari al prodotto tra l'aliquota vigente stabilita e la superficie soggetta alla Tares.
L'aliquota base della maggiorazione è pari, per ogni tipologia di utenza, a 0,30 euro per ogni metro quadrato di superficie imponibile; il consiglio comunale può modificare solo in aumento detta misura elevandola fino a 0,40 euro per metro quadrato, anche graduandola in ragione della tipologia dell'immobile e della zona ove lo stesso è ubicato.
La riscossione. Il pagamento del tributo, della tariffa corrispettivo e della maggiorazione deve avvenire di norma in quattro rate trimestrali a gennaio, aprile, luglio e ottobre, con facoltà di effettuare il pagamento in unica soluzione entro giugno. È stata poi, come detto, prevista nel testo l'alternativa accordata dalla legge ai comuni, che possono modificare sia il numero che la scadenza delle rate di versamento.
Lo strumento che i contribuenti devono utilizzare è il bollettino di conto corrente postale, o il modello di pagamento unificato F-24. Nel regolamento si è ritenuto opportuno, per ragioni di continuità, mantenere la prassi invalsa presso i comuni che prevede l'invio ai contribuenti, senza formalità di notifica di «inviti di pagamento» che indicano le somme da versare e le relative modalità e termini entro i quali eseguire detti adempimenti (articolo ItaliaOggi dell'08.02.2013).

TRIBUTITia senza presunzioni
La Tia non ammette presunzioni. Il contribuente è tenuto a pagare per i rifiuti effettivamente conferiti. Non può essere conteggiato il quantitativo prodotto in base al numero degli svuotamenti dei contenitori.

Lo ha affermato la Commissione tributaria di primo grado di Trento, I Sez., con la sentenza 13.09.2012 n. 94.
Il regolamento comunale, che la Commissione tributaria ha ritenuto illegittimo, stabilisce che per il calcolo della parte variabile della tariffa si considerano validi tutti gli svuotamenti, effettuati nella fase di raccolta, necessari a garantire la pulizia del contenitore assegnato alla singola utenza. Mentre le disposizioni di legge impongono che il quantum dovuto dall'utente sia rapportato alla quantità dei rifiuti conferiti.
Per i giudici tributari, dunque, non può ritenersi rispondente alle regole stabilite dalla norma nazionale il criterio adottato per comodità, di conteggiare il quantitativo di rifiuti conferiti in base al numero degli svuotamenti secondo il principio del cosiddetto «vuoto per pieno».
La possibilità concessa all'amministrazione dalla delibera provinciale di conteggiare il rifiuto conferito utilizzando il criterio del volume o del peso, non può porsi in contrasto con i principi ispiratori della Tia che impongono all'ente «di calcolare l'effettiva quantità di rifiuti prodotta dal contribuente». In realtà, però, il dlgs 22/1997 e il dpr 158/1999, richiamati nella pronuncia, consentono alle amministrazioni che non siano in grado di misurare i rifiuti conferiti di fare ricorso a presunzioni.
Di recente il Consiglio di stato, sez. VI, con sentenza 6208/2012, ha affermato che il regolamento statale sul metodo normalizzato con il quale viene determinata la tariffa rifiuti, da quest'anno applicato alla Tares, non viola la normativa comunitaria, anche se consente ai comuni l'uso di criteri presuntivi non rapportati all'effettiva produzione di rifiuti (articolo ItaliaOggi del 05.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

gennaio 2013

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTIPagamenti illegittimi per la Corte dei conti. Catasto, per le città planimetrie gratis.
CODICE DELLA PA DIGITALE/ Il Territorio può chiedere compensi solo per «costi eccezionali» connessi a servizi finalizzati a particolari esigenze.

La Corte dei Conti dell'Emilia Romagna (parere 31.01.2013 n. 37) ribadisce l'obbligo per le amministrazioni di rendere accessibili i dati ogni volta che siano necessari per lo svolgimento di compiti istituzionali di un'altra amministrazione, senza oneri a carico di quest'ultima.
Alla Corte dei Conti si sono rivolti alcuni Comuni per avere conferma della legittimità dei pagamenti pretesi dall'agenzia del Territorio per la fornitura in formato digitale delle planimetrie catastali e degli elaborati planimetrici delle unità immobiliari urbane.
La richiesta delle planimetrie catastali era motivata con la necessità di implementare i sistemi informativi comunali, anche per i controlli urbanistici oltre che per i tributi locali e per la partecipazione all'accertamento dei tributi erariali.
La Corte ricorda che l'articolo 50 del Dlgs 82/2005 prevede che qualunque dato trattato da una Pa, nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali, è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni, e che l'articolo 59 precisa che nell'ambito dei dati territoriali di interesse nazionale rientra la banca dati catastale gestita dal Territorio (incorporata dal 01.12.2012 nell'agenzia delle Entrate). Le regole per l'utilizzo dei dati catastali sono state definite con il decreto del direttore del Territorio del 13.11.2007, nel quale si precisa che sono a carico della Pa richiedente solo «eventuali costi eccezionali» sostenuti dall'Agenzia per realizzare ed erogare servizi specifici connessi a particolari esigenze.
Il Territorio, per fornire ai Comuni le planimetrie catastali, chiede la fornitura di un supporto magnetico e circa 0,20 euro a planimetria. Questa pretesa è stata ritenuta illegittima dalla Corte in quanto i costi eccezionali non sono giustificati se connessi alle modalità di erogazione dei dati e non alla peculiare natura del servizio richiesto.
Il tema della fruibilità e della gratuità dei dati è stato affrontato molteplici volte dal legislatore, e da ultimo anche in fatto di Tares, laddove l'articolo 14 del Dl 201/2011 prevede al comma 37 che i Comuni possano richiedere dati e notizie a uffici pubblici oppure a enti di gestione di servizi pubblici in esenzione da spese e diritti.
Sarebbe però necessario affrontare in modo organico una volta per tutte questo problema, e non solo con riferimento alle banche dati gestite dalle Pubbliche amministrazioni ma anche alle banche dati pubbliche gestite in modo privatistico, quali il registro nazionale delle imprese, gestito da Infocamere, e soprattutto l'archivio della motorizzazione, gestito da Aci e Motorizzazione, il cui accesso è pagato dai Comuni a caro prezzo (articolo Il Sole 24 Ore del 25.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTIIl catasto è gratis. Banca dati aperta per i comuni. Corte conti Emilia: da pagare solo i servizi extra.
L'accesso dei Comuni alla banca dati catastale deve essere totalmente gratuito. All'amministrazione richiedente deve restare a carico solo l'eventuale costo collegato alla richiesta di servizi specifici e prestazioni straordinarie.
È quanto ribadisce la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per l'Emilia Romagna, nel testo del parere 31.01.2013 n. 37.
Nei fatti, il Comune di Anzola dell'Emilia comunicava che, per necessità di implementare il proprio sistema informativo territoriale, per l'esecuzione di controlli in materia di tributi comunali e per attuare le disposizioni in materia di partecipazione dei comuni alle attività di accertamento fiscale, richiedeva all'ufficio provinciale dell'Agenzia del territorio l'accesso alla banca dati catastali, ricevendo il nulla osta subordinato alla richiesta di un corrispettivo. Pertanto, il primo cittadino del comune istante ha sollevato dubbi sulla legittimità dei corrispettivi pretesi in tal senso dall'ufficio del Territorio.
La Corte rispondeva rilevando che, sul punto, soccorrono numerose disposizioni legislative. In primo luogo, l'articolo 50, comma 2, del dlgs n. 82/2005, ove si prevede che qualunque dato trattato dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle norme sulla privacy, è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni, qualora l'utilizzazione del dato sia necessaria per lo svolgimento di compiti istituzionali delle amministrazioni richiedenti.
In più, ha rimarcato la Corte nella sua attenta disamina, nel testo del decreto legge n. 78/2010 (artt. 18 e 19), che disciplina la collaborazione dei comuni all'accertamento tributario e contributivo, è espressamente sancito che ai comuni viene garantito l'acceso gratuito all'Anagrafe Immobiliare, così da permettere alle stesse amministrazioni comunali la «piena accessibilità e interoperabilità» con le banche dati dell'Agenzia del territorio.
Pertanto, da questo corollario normativo, si legge nel parere della Corte, emerge inequivocabilmente un generale principio di gratuità per l'accesso dei comuni alla banca dati catastale.
A carico del comune richiedente può ricadere soltanto il costo legato all'effettuazione di servizi connessi a particolari e straordinarie esigenze (articolo ItaliaOggi del 16.02.2013 - link a www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Tasse locali, aliquote modificabili fino al 30/9. Ma si rischia il caos.
I comuni e le province che devono ripristinare gli equilibri finanziari possono modificare le aliquote e le tariffe di tributi locali fino al 30 settembre di ogni anno. Sono così a rischio la certezza delle aliquote, in particolare quelle dell'Imu.

Questa preoccupante novità è contenuta il comma 444 dell'art. 1 della legge 24.12.2012, n. 228 che, nell'intervenire sull'art. 193, comma 3, del Tuel, accorda ai comuni e alle province che sono tenuti a ripristinare gli equilibri finanziari, la possibilità di modificare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di propria competenza entro la data indicata al comma 2, dello stesso art. 193, vale a dire il 30 settembre di ciascun anno.
Tutto ciò «in deroga all'articolo 1, comma 169, della legge 27.12.2006, n. 296», che costituisce una delle norme basilari del sistema dei tributi locali e che è destinato a vacillare di fronte a una disposizione così stramba. Infatti fino a oggi in base a detta norma vi erano alcune fondamentali certezze, e cioè che:
- il termine di deliberazione delle tariffe e delle aliquote dei tributi di competenza degli enti locali è stabilito nella data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione;
- le suddette deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio, purché entro il termine stabilito per la deliberazione del bilancio di previsione, hanno effetto dal 1º gennaio dell'anno di riferimento;
- le deliberazioni relative alle aliquote e alle tariffe per i tributi locali sono automaticamente confermate nel caso in cui l'ente non deliberi, modificandole, entro i termini di approvazione del bilancio di previsione.
L'unico elemento di incertezza era ogni anno l'individuazione dell'esatto termine stabilito per la deliberazione del bilancio di previsione, che veniva spesso fatto slittare ora con legge ora con un decreto ministeriale, a seconda delle necessità manifestate dagli enti locali.
Ebbene, se da un lato l'art. 1, della legge n. 228 del 2012, offre al comma 381, un elemento di certezza fissando al 30.06.2013 il termine per l'approvazione del bilancio di previsione per l'anno 2013, dall'altra il comma 444 consente ai comuni e alle province di modificare le aliquote ben oltre detta data.
Il termine del 30 settembre si ricava dal rinvio effettuato dalla norma in esame al comma 2, dello stesso art. 193 che delinea la procedura in base alla quale l'organo consiliare dell'ente locale provvede al controllo degli equilibri generali di bilancio apportando, in caso di squilibrio, i necessari provvedimenti. La norma non consente, però, in alcun modo ai comuni ed alle province di modificare le aliquote o le tariffe dei tributi locali.
Ciò sarà, invece, possibile, a partire dal 2013, proprio grazie alle modifiche apportate al comma 3 del citato art. 193 del Tuel dal comma 444 della legge di stabilità, che con la sua dirompente portata finisce in concreto per minare il sistema tributario locale, determinando l'estrema incertezza dei contribuenti in ordine alla misura del tributo, che potrà variare fino al 30 settembre di ogni anno.
Non va sottovalutato, inoltre, l'effetto deleterio che tale norma provoca soprattutto in materia di Imu. Infatti per tale tributo a decorrere dall'anno di imposta 2013, l'art. 13, comma 13-bis, del dl 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214, ha introdotto una forma di pubblicità costitutiva della misura del tributo.
Detta norma prevede infatti, che le deliberazioni di approvazione delle aliquote e della detrazione dell'Imu devono essere inviate esclusivamente per via telematica per la pubblicazione nello stesso sito informatico di cui all'art. 1, comma 3, del dlgs 28.09.1998, n. 360, vale a dire il sito previsto per la pubblicazione delle deliberazioni in materia di addizionale comunale all'Irpef, www.finanze.it. La norma precisa, inoltre, che l'efficacia delle deliberazioni decorre dalla data di pubblicazione nel sito informatico in questione e gli effetti delle deliberazioni stesse retroagiscono al 1º gennaio dell'anno di pubblicazione nel sito informatico, a condizione che detta pubblicazione avvenga entro il 30 aprile dell'anno a cui la delibera si riferisce. Detto invio deve avvenire entro il termine del 23 aprile; in caso di mancata pubblicazione entro il termine del 30 aprile, le aliquote e la detrazione si intendono prorogate di anno in anno.
È indispensabile, quindi, un urgente «aggiustamento» del un sistema che, ancor prima di decollare, è già destinato a rimanere a terra.
Con la norma in questione si è creato, infatti, un gran pasticcio che se da un lato può avvantaggiare i comuni che possono rifare i conti tranquillamente fino a settembre, crea un gran caos ai contribuenti che si vedono cambiare le carte in tavola all'ultimo momento (articolo ItaliaOggi del 25.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Tares prorogata a luglio. Sì definitivo della Camera anche alla gestione rifiuti in Campania.
Enti locali. Slitta il termine per pagare la prima rata del prelievo che costerà un miliardo in più.
La Tares slitta a luglio. Con l'approvazione definitiva della conversione in legge del Dl 1/2013, ieri alla Camera, l'articolo 1-bis, introdotto dal Senato, posticipa, per il solo anno 2013, al mese di luglio il termine di versamento della prima rata del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, disciplinato all'articolo 14, comma 35, del Dl 211 del 2011, precedentemente fissato in gennaio e poi spostato al mese di aprile dalla legge di stabilità 2013. Sempre ferma restando la facoltà, per i Comune, di posticipare ulteriormente tale termine.
Gli altri provvedimenti contenuti nel Dl 1/2013 prevedono una serie di modifiche all'attuale disciplina dei rifiuti. L'articolo 1 proroga il regime speciale vigente in Campania, che attribuisce alle province la gestione delle attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e differisce l'entrata in vigore del divieto di smaltire in discarica i rifiuti che non possono essere ulteriormente valorizzati attraverso il riciclaggio.
Viene anche messa a regime la disciplina dei Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche). L'articolo 2 proroga fino al 31.12.2013 gli incarichi dei Commissari per le emergenze ambientali (tra cui la nave Concordia). L'articolo 2-bis interviene sui contributi in favore dei soggetti residenti nelle regioni colpite dal sisma in Emilia del maggio 2012, in modo da coprire integralmente le spese per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili.
Tra gli altri, il Governo ha accolto l'ordine del giorno presentato da Simonetta Rubinato (Pd), il cui gruppo ha peraltro votato a favore della proroga, con cui si impegna ad assumere le iniziative necessarie a rimediare all'introduzione della Tares: «Il rinvio del pagamento della prima rata a luglio 2013, approvato la scorsa settimana dal Senato –spiega Simonetta Rubinato– non risolve i problemi. Anzi, li complica ulteriormente, perché le famiglie si troveranno a pagare un vero e proprio salasso, aggiuntivo all'Imu».
Il rinvio del pagamento della Tares è strettamente legato all'appuntamento elettorale, anche se ufficialmente è legato alla possibilità per il nuovo Governo di rivederne l'impianto; alla commissione Ambiente del Senato era stato chiesto con un emendamento del presidente D'Alì anche per «restituirle la sua natura di tariffa contro un servizio corrisposto». Federambiente, però, aveva sottolineato i rischi del mancato afflusso di liquidità agli operatori.
Il nodo è quello economico, infatti: la Tares prevede una componente legata alla raccolta e smaltimento rifiuti, che deve coprire il costo del servizio, ma anche una «maggiorazione» da 30 centesimi al metro quadrato (elevabile a 40 dal Comune) per pagare i «servizi indivisibili». Quindi, sicuramente almeno un miliardo in più per i contribuenti: oneri che sotto elezioni non era il caso di chiedere.
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Le novità approvate
01 | LA PROROGA
Viene posticipato per il solo anno 2013, al mese di luglio il termine di versamento della prima rata Tares, precedentemente fissato al mese di aprile dalla legge di stabilità 2013. In ogni caso i Comuni possono posticipare ulteriormente il termine
02 | IN CAMPANIA
Prorogato anche il regime speciale vigente in Campania, che attribuisce alle province la gestione delle attività di raccolta e di smaltimento dei rifiuti urbani e differisce l'entrata in vigore del divieto di smaltire in discarica i rifiuti non riciclabili
03 | RAEE
Viene anche messa a regime la disciplina dei Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), in precedenza provvisoria
04 | COMMISSARI
Proroga al 31.12.2013 degli incarichi dei Commissari per le emergenze ambientali a Giugliano (Na) e Castelvolturno (Ce), allo stabilimento Stoppani del comune di Cogoleto (Ge), alle isole Eolie e al naufragio della nave Concordia all'Isola del Giglio
05 | SISMA IN EMILIA
I contributi in favore dei soggetti residenti nelle regioni colpite dal sisma in Emilia del maggio 2012, dovranno coprire integralmente le spese per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili (articolo Il Sole 24 Ore del 23.01.2013 - link a www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Le violazioni Tarsu si ripetono tutti gli anni.
L'obbligo di presentare la dichiarazione Tarsu si rinnova di anno in anno. Quindi, se viene omessa o è infedele la sanzione deve essere applicata anche per gli anni successivi al primo.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, con l'ordinanza 21.01.2013 n. 1334.
Per i giudici di piazza Cavour, nonostante la norma di legge consente al contribuente di limitarsi a denunciare le sole variazioni intervenute dopo la presentazione della dichiarazione originaria, senza dover assolvere all'obbligo tutti gli anni, «qualora la denunzia sia stata incompleta, infedele oppure omessa, l'obbligo di formularla si rinnova di anno in anno». Dunque, l'inottemperanza a questo obbligo deve essere sanzionata «anche per gli anni successivi al primo».
Questa regola è applicabile anche al nuovo tributo sui rifiuti e i servizi (Tares), istituito dal 2013, considerato che l'articolo 14 del dl 201/2011 dispone che a ogni annualità corrisponde un'obbligazione tributaria autonoma. Le sanzioni sono analoghe a quelle previste per la Tarsu anche nel quantum. La sanzione per omissione della dichiarazione è fissata in un minimo del 100% fino a un massimo del 200% del tributo evaso, mentre quella per infedeltà è stabilita entro le percentuali del 50% (minima) e del 100% (massima), sempre commisurata all'entità del tributo dovuto. In presenza di una violazione relativa alla dichiarazione (infedeltà o omissione), la sanzione deve essere irrogata per ciascuna annualità per la quale il contribuente l'ha commessa.
La Cassazione giudica infondata la tesi sostenuta dai giudici di merito, secondo cui la sanzione debba essere irrogata solo per il primo periodo d'imposta, mentre per quelli successivi, non sussistendo l'obbligo della dichiarazione, l'unica sanzione applicabile sarebbe quella del 30%, prescritta per i versamenti irregolari. Il fatto che sia previsto un unico obbligo dichiarativo non vuol dire che sia contestabile solo una volta la violazione. L'obbligo è unico nel momento in cui viene assolto.
Pertanto, fino a che non viene posto in essere l'adempimento richiesto dalla legge, sussiste sempre la violazione che si ripete nel corso dei vari anni d'imposta. Il fatto che il contribuente abbia il dovere giuridico di porre rimedio all'infedeltà o all'omissione determina una ripetizione dell'originaria violazione (articolo ItaliaOggi del 02.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: G. Debenedetto, Tares - nuovo tributo sui rifiuti e sui servizi - NOVITÀ della L. 228/2012 (link a www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

TRIBUTICondono con limiti temporali. Delibera della corte conti Campania sui tributi locali.
Sono illegittimi i condoni dei tributi locali adottati dai comuni per le annualità successive al 2002.
Lo ha affermato la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, con il parere 17.01.2013 n. 10.
Per i giudici contabili, sono illegittimi i condoni «a catena» che i comuni hanno deliberato per gli anni successivi al 2002.
La norma che ha previsto la sanatoria, infatti, «deve essere oggetto di stretta interpretazione», in quanto ha «natura di evento eccezionale nell'ambito dell'ordinamento giuridico» e «non consente alcuna interpretazione estensiva». Non è possibile, secondo la Corte, fare ricorso al condono per «un arco temporale indefinito». Dunque, deve essere limitato ai periodi di imposta antecedenti al 01.01.2003, data di entrata in vigore dell'articolo 13 della legge 289/2002 che lo ha istituito.
Questa interpretazione, però, si pone in contrasto con quanto sostenuto dal ministero dell'economia e delle finanze, il quale più volte ha sostenuto che la facoltà dei comuni di istituire, con regolamento, la definizione agevolata delle violazioni tributarie non fosse soggetta a limiti temporali. Peraltro, anche la Cassazione non si è espressa in maniera univoca sulla questione. Sebbene con la sentenza 12679/2012 ha giudicato illegittima la delibera del comune di Roma che aveva istituito il condono delle liti pendenti instaurate dopo l'entrata in vigore della Finanziaria 2003 e ha ritenuto l'amministrazione comunale priva del potere di deliberare la sanatoria a distanza di anni da quando il legislatore gli ha riconosciuto questa facoltà.
Si legge nella motivazione della sentenza che la possibilità per il contribuente di conseguire la sospensione del giudizio in corso, in seguito alla presentazione dell'istanza di condono, è ancorata dall'articolo 13 alla presenza di due presupposti: che si tratti di obblighi tributari sorti prima della sua entrata in vigore, vale a dire fino al 31.12.2002, e che, alla stessa data, la procedura di accertamento o i procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale fossero già stati instaurati. Mancando questi requisiti il condono è illegittimo, in quanto il potere non è esercitabile sine die.
In realtà, molti comuni hanno adottato la sanatoria anche per gli anni successivi al 2002, considerato che l'articolo 13 è tuttora vigente e non pone dei limiti temporali. La Finanziaria 2003 ha attribuito agli enti locali la facoltà di prevedere eventuali forme di condono sui tributi di loro competenza. Quindi, il potere di disciplinare con regolamento la riduzione dell'ammontare delle imposte e tasse loro dovute, escludendo o riducendo gli interessi e le sanzioni a carico del contribuente.
L'unico obbligo imposto ex lege, nel rispetto dello Statuto del contribuente (legge 212/2000), riguarda il termine minimo che deve intercorrere tra l'entrata in vigore del regolamento e la scadenza degli adempimenti a carico degli interessati. E' stata infatti lasciata agli enti la facoltà di fissare autonomamente il termine per regolarizzare le violazioni commesse, purché non inferiore a 60 giorni dalla data di pubblicazione dell'atto regolamentare (articolo ItaliaOggi del 15.02.2013 - link a www.corteconti.it).

TRIBUTI: Corte dei conti. Il bonus non trova spazio nei regolamenti. Imu, niente incentivi contro l'evasione.
IL CONFRONTO CON L'ICI/ Non è stato riprodotto il meccanismo della vecchia imposta con i premi per chi recupera somme non versate.

In mancanza di una legge che disciplini la materia come accadeva per l'Ici, non è possibile per i regolamenti comunali riconoscere gli incentivi al personale per la lotta all'evasione Imu.
A dirlo è la Corte dei Conti del Veneto, Sez. controllo, nel parere 16.01.2013 n. 22.
A vietarlo, secondo la Corte, è prima di tutto il principio di onnicomprensività, che trova fondamento nel l'articolo 2, commi 3 e 24, del Dlgs 165/2001 per i dirigenti e nell'articolo 45 per i dipendenti.
In virtù di questo principio, nulla è dovuto, oltre al trattamento economico fondamentale e accessorio stabilito dai contratti collettivi, al dipendente che ha svolto una prestazione che rientra nei suoi doveri d'ufficio.
Solo la legge può derogare all'omnicomprensività, prevedendo ulteriori specifici compensi o addirittura la possibilità di una diversa strutturazione del trattamento economico, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo.
La Corte inoltre, facendo il parallelo con la ben diversa disciplina in materia di Ici, evidenzia che in assenza di una specifica disposizione di legge, il Comune non è autorizzato a prevedere compensi incentivanti per gli accertamenti Imu in favore del personale dipendente. Per l'Ici, infatti, la previsione era contenuta nell'articolo 58 del Dlgs 446/1997.
Tale facoltà era poi stata confermata nel d.l. 201/2011. Tuttavia con la legge 44/2012, di conversione del decreto legge n. 16/2012, è stata eliminata l'estensione della disciplina (e il riferimento legislativo) contenuta originariamente nel Dlgs 23/2011, stralciando il richiamo all'articolo 59 citato: di conseguenza la previsione derogatoria –afferente quindi i soli compensi Ici- deve essere considerata di stretta interpretazione, come affermato dalla giurisprudenza della stessa Corte, che ha escluso l'utilizzo dello strumento regolamentare per erogare compensi incentivanti per le entrate locali diverse dall'Ici (Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 577/2011 del 10.11.2011), o, per l'attività di recupero dei tributi erariali (Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Sardegna, deliberazione 127/2011 del 21.12.2011).
Argomenti favorevoli non possono essere tratti dall'articolo 52 del Dlgs 446/1997 e della potestà regolamentare generale per introdurre nel regolamento Imu una disposizione sugli incentivi al personale.
In conclusione nessun incentivo Imu per il personale addetto alla riscossione che cosi perde un beneficio presente nella disciplina Ici anche se a ben vedere la finalità ossia incentivare il personale al recupero dell'evasione nell'interesse dell'ente rimane comune alle due imposte (articolo Il Sole 24 Ore del 04.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

TRIBUTI: Dichiarazione Imu non per tutti. Gli enti non profit non dovranno presentarla entro il 4/2. Risoluzione delle Finanze rinvia l'adempimento all'approvazione di un apposito modello.
Gli enti non commerciali devono presentare la dichiarazione Imu solo quando sarà approvato l'apposito modello di dichiarazione previsto dalla legge e non entro il prossimo 04.02.2013. La dichiarazione relativa agli immobili degli enti non commerciali deve essere unica e riepilogativa di tutti gli elementi rilevanti ai fini Imu.

A chiarirlo è la risoluzione 11.01.2013 n. 1/Df della Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del Dipartimento delle finanze del Mef.
Un ulteriore elemento di chiarezza che si aggiunge tempestivamente alla farraginosa serie di norme che si sono accavallate in materia di Imu.
In sintesi, il quesito proposto ai tecnici del ministero riguarda l'individuazione dell'esatto termine di presentazione della dichiarazione Imu per gli enti non commerciali. La domanda non è certo peregrina, in quanto:
da un lato il comma 12-ter prevede che per gli immobili per i quali l'obbligo dichiarativo è sorto dal 01.01.2012, i soggetti passivi devono presentare la dichiarazione entro 90 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del dm 30.10.2012 con cui è stato approvato il relativo modello; pertanto poiché detta pubblicazione è avvenuta il 05.11.2012, la scadenza del termine di presentazione della dichiarazione è fissata al 04.02.2013;
dall'altro il regolamento 19.11.2012, n. 200 di attuazione del comma 3 dell'art. 91-bis, del dl 24.01.2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27, che ha dettato le nuove regole per l'esenzione degli immobili degli enti non commerciali, all'art. 6 stabilisce che «gli enti non commerciali presentano la dichiarazione di cui all'art. 9, comma 6, del dlgs 14.03.2011, n. 23, indicando distintamente gli immobili per i quali è dovuta l'Imu, anche a seguito dell'applicazione del comma 2 dell'art. 91-bis, del dl n. 1 del 2012, nonché gli immobili per i quali l'esenzione dall'Imu si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale degli stessi, secondo le disposizioni del presente regolamento. La dichiarazione non è presentata negli anni in cui non vi sono variazioni».
A questo punto era legittimo chiedersi quale fosse il comportamento più corretto da tenere di fronte all'ormai prossima scadenza dichiarativa.
La risposta offerta dal Dipartimento delle finanze si ricava proprio dalla lettura delle norme coinvolte, nonché dalle istruzioni allegate al dm 30 ottobre 2012, di approvazione del modello di dichiarazione Imu; in queste, infatti:
● nel paragrafo 1.2 è stato espressamente previsto il rinvio all'approvazione di un apposito modello di dichiarazione per gli enti non commerciali;
● al paragrafo 1.3, dedicato ai casi per i quali sussiste l'obbligo dichiarativo è stato chiarito che per gli enti in questione l'obbligo dichiarativo sussiste anche per gli immobili esenti, ai sensi della lett. i), comma 1, dell'art. 7 del dlgs 30.12.1992, n. 504.
Ciò comporta, dunque, che la dichiarazione Imu relativa agli immobili degli enti non commerciali debba essere unica e riepilogativa di tutti gli elementi relativi alle diverse fattispecie che possono verificarsi. Questa deve essere, perciò, presentata su un apposito modello che, in realtà, deve ancora essere approvato con decreto ministeriale, nel quale verrà precisato anche il termine entro il quale la dichiarazione in questione dovrà essere presentata.
Detta soluzione, oltre a tranquillizzare al momento gli enti non commerciali, che con molta probabilità sono ancora alle prese con i calcoli proporzionali delle superfici eventualmente utilizzate a fini commerciali, appare in linea sia con le esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti e sia con la necessità di razionalizzare degli strumenti a disposizione degli impositori in sede di verifica dell'esatto adempimento dell'obbligazione tributaria.
La risoluzione si conclude ricordando una novità che si è aggiunta alle norme in materia di esenzione, vale a dire il comma 6-quinquies che è stato aggiunto all'art. 9 del dl 10.10.2012, n. 174 dalla legge di conversione 07.12.2012, n. 213, il quale dispone che «in ogni caso, l'esenzione dall'imposta sugli immobili disposta dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30.12.1992, n. 504, non si applica alle fondazioni bancarie di cui al decreto legislativo 17.05.1999, n. 153».
La nuova norma che esclude dal campo di applicazione delle esenzioni Imu le fondazioni bancarie comporta, dunque, che queste siano assoggettate al normale trattamento riservato ai soggetti passivi del tributo comunale e che ove siano in possesso di immobili per i quali l'obbligo dichiarativo è sorto dal 01.01.2012 devono rispettare l'ordinario termine di presentazione della dichiarazione Imu fissato al prossimo 4 febbraio (articolo ItaliaOggi del 12.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Tares, tributo in autoliquidazione da pagare com l'F24.
La legge di stabilità 228/2012 conferma la nascita della Tares. Con il 01.01.2013 scompariranno tutte le vigenti forme di prelievo sui rifiuti (Tarsu, Tia1, Tia2) per lasciare spazio a un tributo a struttura binomia articolato in tassa sui rifiuti e imposta sui servizi indivisibili.
Gli interventi dell'ultima ora accolgono in parte le richieste dei comuni senza rinunciare al nuovo tributo. Il comma 9 dell'articolo 14 del dl 201/2011 viene completamente riscritto individuando nel dpr 158/1999, recante il metodo normalizzato della Tia Ronchi, l'unica fonte normativa da utilizzare per la determinazione delle nuove tariffe.
Per le unità immobiliari a destinazione ordinaria, transitoriamente, si utilizzerà la superficie calpestabile considerando valide le superfici dichiarate o accertate ai fini Tarsu, Tia 1 e Tia 2, almeno fino a quando non si procederà alle operazioni di allineamento della banca dati catastale per l'applicazione del criterio dell'80% della superficie catastale, che rimane quello preferito dal legislatore. A tal fine, viene previsto l'obbligo di inserire nella dichiarazione i dati catastali e l'ubicazione delle unità immobiliari a destinazione ordinaria. Il comma 35 del citato articolo 14, di regolazione della fase di riscossione, viene completamente riscritto confermando la struttura di un tributo in autoliquidazione.
In primo luogo, solamente per l'anno 2013, è ammesso l'affidamento della gestione del tributo, o della tariffa di cui al comma 29, ai soggetti che, alla data del 31.12.2012 svolgono, anche disgiuntamente, il servizio di gestione dei rifiuti, accertamento e riscossione, della Tarsu, Tia1, Tia2. Si tratta di una facoltà di affidamento diretto scritto in deroga all'articolo 52 del dlgs 446/97, fondato invece sul criterio della selezione pubblica. Il carattere eccezionale della norma è insito nella stessa durata, circoscritta all'anno 2013. La formulazione flessibile, scritta per un affidamento in concessione, consente di ricorrere al gestore attuale dei rifiuti, anche dove non gestiva il prelievo, o alle società iscritte all'albo già affidatarie del servizio di accertamento e riscossione.
Di rilievo la modalità di riscossione che rimette al centro dell'attenzione, come accade per l'Imu, lo strumento della delega di pagamento F24, accompagnato dal bollettino postale, al quale si applicano le disposizioni dello stesso articolo 17 in quanto compatibili. Si tratta della stessa formulazione adottata per il bollettino Imu incassato sul conto dello stato. La sorte definitiva del canale di versamento sarà concretizzata da apposito decreto ministeriale che dovrà favorire la possibilità di modelli di pagamento precompilati. Trova conferma la scadenza temporale delle quattro rate di versamento fissate per gennaio, aprile, luglio, ottobre con la possibilità per i comuni di agire con potestà per variare le scadenze.
Per l'anno 2013, la prima rata è comunque posticipata ad aprile, con la possibilità di slittare ulteriormente il termine; l'importo in acconto è commisurato al versamento eseguito nell'anno 2012 a titolo di Tarsu o Tia, rinviando la definizione dell'importo al conguaglio, da applicare con le nuove tariffe calcolate col metodo del dpr 158/99 senza fasi transitorie per la copertura totale dei costi.
Confermato che il tributo e la maggiorazione sono versati esclusivamente al comune, inciso che, contestualizzato nel canale F24, sembra indicare la destinazione delle somme trasferite dalla struttura di gestione, come già visto per l'Imu sperimentale. Il restyling della norma mantiene di fondo l'impostazione originaria della Tares limitandosi a dei correttivi necessari per garantire il finanziamento del servizio nel 2013.
L'operazione applicativa sarà di grande impatto soprattutto per i comuni che non avevano introdotto correttivi sulla base del dpr 158/1999. Resta la possibilità di introdurre la tariffa corrispettiva prevista dal comma 29 ancora condizionata alla misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, restando così disattese le richieste avanzate dalle società di gestione dei rifiuti per facilitare l'introduzione del corrispettivo.
La nuova norma rende evidente il tentativo di trasformare un tipico tributo in liquidazione dell'ente, che si era caratterizzato per le difficili dinamiche di riscossione nella fase bonaria di riscossione diretta, in una modalità in autoliquidazione da parte del cittadino, alla pari dell'Imu, pur restando la facoltà di trasmettere modelli precompilati per facilitare gli adempimenti (articolo ItaliaOggi del 12.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: I comuni possono stabilire agevolazioni Tares a 360°.
Spetta ai comuni il potere di concedere, con regolamento, riduzioni tariffarie e esenzioni per il nuovo tributo sui rifiuti e i servizi. Il consiglio comunale, infatti, può deliberare agevolazioni Tares, oltre quelle già previste dalla legge, purché l'ente abbia le risorse economiche per finanziarle. I benefici fiscali concessi dal comune si applicano non solo alla tassa, ma anche alla maggiorazione dovuta dai contribuenti sui servizi indivisibili.
L'articolo 14 del dl 201/2011 disciplina le agevolazioni tariffarie, riconoscendo al comune la facoltà di stabilire, con regolamento, riduzioni del tributo dovuto in presenza di determinate situazioni, in cui si presume che vi sia una minore capacità di produzione di rifiuti. A queste riduzioni viene però fissato un tetto massimo. La riduzione della tariffa non può superare il limite del 30%. Nello specifico, questo beneficio può essere concesso per: abitazioni con unico occupante; abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; locali e aree scoperte adibiti a uso stagionale; abitazioni occupate da soggetti che risiedono o hanno la dimora, per più di 6 mesi all'anno, all'estero; fabbricati rurali a uso abitativo.
Oltre a queste agevolazioni tariffarie, meramente facoltative, sono contemplate riduzioni che spettano ai contribuenti ex lege. Per esempio, le riduzioni per locali e aree situati nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, per le quali il tributo è dovuto nella misura del 40% della tariffa. Questa misura massima deve essere graduata tenendo conto della distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita. La percentuale scende al 20% in caso di mancato o irregolare svolgimento del servizio. La stessa misura si applica nel caso di interruzione del servizio, dal quale possa derivare un danno o un pericolo di danno alle persone o all'ambiente.
La riduzione obbligatoria della tariffa è inoltre disposta per le utenze domestiche ed è finalizzata a incentivare la raccolta differenziata. Per le utenze non domestiche, invece, va applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero. Tuttavia, al di là dei benefici elencati espressamente dalla norma, il comune può deliberare ulteriori agevolazioni, come indicato nella relazione governativa, «per ragioni meritevoli di considerazione, anche non collegate alla capacità di produzione dei rifiuti». A patto, però, che il mancato gettito venga coperto da risorse diverse dai proventi del tributo.
L'articolo 14, comma 19, stabilisce che il consiglio comunale può deliberare «ulteriori riduzioni ed esenzioni». Ma queste agevolazioni vanno iscritte in bilancio come autorizzazioni di spesa e la relativa copertura deve essere assicurata da risorse diverse dai proventi del tributo di competenza dell'esercizio al quale si riferisce l'iscrizione. Altrimenti, visto che le somme riscosse devono coprire integralmente i costi del servizio, gli ulteriori benefici fiscali avrebbero un'incidenza negativa sul quantum dovuto dai contribuenti soggetti al prelievo (articolo ItaliaOggi dell'11.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: I terreni incolti pagano l'Imu. Esenti solo aree destinate a coltivazioni e allevamento. Una nota dell'Ifel che produce effetti anche sulla determinazione dell'Irpef.
I terreni montani «incolti» devono pagare l'Imu. Ad affermarlo è stata l'Ifel (il braccio destro in campo fiscale dell'Associazione dei comuni) la quale, con la nota 03.01.2013, ha ritenuto che l'esenzione dall'imposta spetta solo ai terreni «agricoli», cioè quelli adibiti ad una delle attività di cui all'art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse).
Si tratta di una questione che coinvolge anche l'Irpef, atteso che il reddito dominicale dei terreni non affittati deve essere assoggettato all'imposta sui redditi solo in caso di esenzione dall'Imu.
Imu. L'Ifel, dopo aver premesso che, ai fini dell'Imu, non esistendo una definizione di terreno «incolto» occorre fare riferimento a quella più generale di «terreno» (intendendosi per tale l'insieme delle particelle che non sono qualificabili né come «aree edificabili», né come «terreni agricoli»), sottolinea due aspetti. Il primo è che ai terreni «incolti», contrariamente a quanto potrebbe trasparire dalla circolare 3/DF/2012 e dalle istruzioni alla dichiarazione Imu che sul punto si prestano a qualche «ambiguità interpretativa», non si può applicare lo stesso regime previsto per quelli «agricoli» (tranne il caso, disciplinato dall'art. 13, comma 5, del dl 201/2011, in cui il possessore sia un agricoltore iscritto nell'apposita previdenza).
Il secondo, e più importante, è che tutti i benefici riconosciuti dalla legge ai terreni, compresa l'esenzione di cui all'art. 7, lett. h), del dlgs 504/1992 (richiamata dal combinato disposto degli art. 9 del dlgs 23/2011 e 13, comma 13, del dl 201/2011), si riferiscono, in modo espresso ed inequivoco, ai «terreni agricoli» come definiti dall'art. 2, lett. c), del dlgs 504/1992. Dal che ne conseguirebbe, sempre secondo la fondazione dell'Anci, che i terreni situati nei comuni ricadenti in aree montane o di collina (ed elencati nella circolare 9/1993) sono esenti da Imu solo se adibiti all'esercizio delle attività indicate nell'art. 2135 c.c.
Ne risulta, per converso, che i terreni «incolti» sono assoggettati all'imposta ovunque essi si trovino. E poco conta, sempre a parere dell'Ifel, che le istruzioni ministeriali alla dichiarazione Imu, nel richiamare la norma riguardante l'esenzione in questione, non riportino dopo la parola «terreni» la qualificazione «agricoli»: non può essere, infatti, che un «provvedimento amministrativo» vada a modificare un'impostazione normativa che disciplinando (per di più) un'esenzione non può neppure essere oggetto di un'interpretazione analogica.
La condivisibile opinione espressa dall'Ifel non pare trovare ostacolo neppure nella circostanza che le istruzioni ministeriali assumono forza di decreto (ex art. 1 dm 31/10/2012), essendo inconfutabile l'illegittimità di una norma regolamentare che si ponesse in contrasto con la legge.
Irpef. Ancorché non sia stato oggetto di analisi da parte dell'Ifel, va evidenziato come l'inquadramento ai fini dell'Imu dei terreni montani «incolti» riverberi effetti anche sull'Irpef. Infatti, dall'anno d'imposta 2012 (dichiarazioni dei redditi 2013) se i terreni non sono affittati, l'esenzione dall'Imu determina la debenza dell'Irpef sia sul reddito dominicale che su quello agrario. Al contrario, l'assoggettamento all'Imu produce l'esclusione dall'Irpef del (solo) reddito dominicale.
Seguendo l'interpretazione fornita dall'Ifel, si arriva pertanto alla conclusione che tutti i terreni diversi da quelli adibiti ad una delle attività agricole di cui all'art. 2135 c.c., anche se posti in comuni montani, sono assoggettati all'Imu ma non all'Irpef (limitatamente al reddito dominicale) (articolo ItaliaOggi dell'08.01.2013).

TRIBUTI: Rifiuti. Sovrapposizione Ato-Comune.
Sulle tariffe Tares caos competenze. Le tariffe della Tares devono essere approvate dagli enti regionali costituiti e disciplinati dalle normative di settore.
Ai sensi dell'articolo 34, comma 23, della legge 221/2012, (conversione del secondo decreto sviluppo), sono infatti unicamente gli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali a esercitare le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (rifiuti compresi), di scelta della forma di gestione e affidamento, di determinazione delle tariffe e di controllo.
La norma si pone in evidente contrasto con la disciplina istitutiva della Tares (articolo 14, Dl 201/11), secondo la quale il Consiglio comunale deve approvare le tariffe del tributo entro il termine fissato per l'approvazione del bilancio di previsione, in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso e approvato dal l'autorità competente.
Poiché soggetto attivo del tributo è il Comune, deve essere il Consiglio comunale a deliberare eventuali riduzioni ed esenzioni, la cui copertura finanziaria deve essere assicurata con risorse della fiscalità generale.
La disciplina integrativa recata dalla legge di stabilità 2013 (legge 228/2012) non chiarisce la competenza in materia di approvazione delle tariffe, esponendo al rischio di impugnazione gli atti eventualmente adottati in violazione di legge per incompetenza assoluta dell'organo deliberante.
Il comma 387 dell'articolo unico consente ai Comuni, in deroga all'articolo 52 del Dlgs 446/1997, di affidare, fino al 31.12.2013, la gestione del tributo o della tariffa ai soggetti che, al 31.12.2012, svolgono, anche disgiuntamente, il servizio di gestione dei rifiuti e di accertamento e riscossione della Tarsu, della Tia 1 o della Tia 2.
Il versamento del tributo o della tariffa nonché della maggiorazione di 0,30 euro a metro quadrato (elevabile fino a 0,40 dal Consiglio comunale) deve essere effettuato con F24 o con conto corrente postale intestato esclusivamente al Comune.
Per quest'anno, il termine di versamento della prima rata è posticipato ad aprile, ferma restando la facoltà del Comune di deliberare una scadenza successiva.
Sino alla determinazione delle tariffe l'importo delle rate è calcolato in acconto, commisurandolo a quanto versato nell'anno precedente a titolo di Tarsu, Tia 1 o Tia 2 e tenendo conto della maggiorazione di 0,30 euro a metro quadrato. L'eventuale conguaglio per maggiorazioni fino a 0,40 euro è invece effettuato con l'ultima rata.
I tempi di pagamento del servizio di igiene urbana da parte dei Comuni non coincidono, per l'anno 2013, con i tempi di riscossione del tributo o della tariffa. Lo squilibrio finanziario potrebbe compromettere seriamente la gestione della liquidità degli enti e comportare il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, i cui costi produrrebbero necessariamente incrementi tariffari a carico dei contribuenti (articolo Il Sole 24 Ore del 07.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

anno 2012

TRIBUTI: Tia, legittime le presunzioni. Il dpr attuativo del decreto Ronchi non viola le norme Ue. Palazzo Spada ammette l'utilizzo del metodo normalizzato per calcolare la tariffa rifiuti.
Il regolamento statale sul metodo normalizzato con il quale viene determinata la tariffa rifiuti, e che da quest'anno deve essere applicato alla Tares, non viola la normativa comunitaria, anche se consente ai comuni l'utilizzo di criteri presuntivi non rapportati all'effettiva produzione di rifiuti. Del resto, le regole europee non impongono agli stati membri un metodo preciso per finanziare il costo di smaltimento dei rifiuti urbani.
Quindi, il comune di Prato ha legittimamente deliberato il coefficiente massimo di produzione per gli alberghi con ristorazione, perché è un dato di comune esperienza che questa attività sia potenzialmente produttiva di rifiuti in misura maggiore rispetto ad altre utenze.

Lo ha affermato il Consiglio di Stato, VI Sez., con la sentenza 04.12.2012 n. 6208.
Per i giudici di palazzo Spada, «il diritto comunitario non impone agli stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, anche perché è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore».
In effetti l'articolo 6 del dpr 158/1999, vale a dire il regolamento attuativo del decreto Ronchi (22/1997) che disciplina il metodo normalizzato della Tia, ai fini del calcolo della tariffa relativo alle utenze non domestiche consente di applicare un sistema presuntivo per determinare la quota variabile, rapportato alla superficie dell'utenza e al coefficiente di produzione. Secondo i giudici amministrativi, il coefficiente di produzione è il «coefficiente potenziale in kg/mq anno che tiene conto della quantità di rifiuto minima e massima connessa alla tipologia di attività».
Pertanto è corretto l'operato dell'amministrazione, che ha distinto le superfici delle utenze domestiche e di quelle non domestiche, determinando la tariffa in base ai coefficienti indicati nella tabella allegata al regolamento statale, «poiché non è irragionevole ritenere che un albergo con ristorante possa produrre rifiuti in quantità cinque volte superiore rispetto a quelli prodotti dalle utenze domestiche».
Anche secondo la Cassazione (ordinanza 12859/2012) i comuni sono legittimati a fissare tariffe maggiorate per le attività alberghiere, perché potenzialmente producono più rifiuti delle abitazioni. La maggiore capacità produttiva di rifiuti di un esercizio alberghiero rispetto a una civile abitazione è un fatto incontestabile e un dato di comune esperienza. Tra l'altro, non assume alcun rilievo neppure il carattere stagionale dell'attività, il quale può eventualmente dar luogo a speciali riduzioni d'imposta, rimesse alla discrezionalità dell'ente impositore.
Sono dunque ammissibili le presunzioni previste dal dpr 158/1999 per determinare la tassa sui rifiuti prodotti. Dal 2013 queste regole si applicano anche al nuovo tributo sui rifiuti e i servizi (Tares), che sostituisce i vecchi regimi di prelievo Tarsu e Tia1. L'articolo 14 del dl salva-Italia (201/2011), in seguito alle modifiche apportate dalla legge di stabilità (228/2012), prevede che le disposizioni contenute nel dpr 158/1999 devono essere applicate a regime anche per la Tares e non più in via transitoria, come stabilito in un primo momento, fino all'emanazione di un nuovo regolamento che avrebbe dovuto definire i criteri per l'individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la quantificazione della tariffa.
Tuttavia, l'uso delle presunzioni non deve creare discriminazioni tra i contribuenti. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, seconda sezione, con la sentenza 551/2012, ha infatti dichiarato illegittimo il regolamento comunale che prevede per la determinazione della Tia dovuta dai soggetti non residenti criteri e coefficienti di calcolo basati sul numero dei componenti del nucleo familiare desunto dalla superficie degli immobili. Né può essere ritenuta valida la giustificazione di avere fatto ricorso alla presunzione solo perché il dato reale è difficile accertarlo attraverso le risultanze anagrafiche. Questo meccanismo presuntivo è stato ritenuto del tutto inattendibile, in quanto un immobile di notevole ampiezza può essere utilizzato da un numero ristretto di occupanti (articolo ItaliaOggi del 04.01.2013 - tratto da www.corteconti.it).

TRIBUTI: I terreni agricoli non rincarano. Se a fianco c'è un terreno edificabile.
La rettifica del valore di un terreno agricolo non può essere giustificata dalla sua «edificabilità di fatto»; per cui, né le adiacenze del terreno a un altro terreno edificabile, né la circostanza che l'acquirente disponga di una potenziale volumetria (proveniente da un'altra area) a questo asservibile, legittimano la rettifica.

Sono le interessanti conclusioni che si leggono nella sentenza 25.10.2012 n. 144/65/2012 emessa dalla sede staccata di Brescia della Commissione Tributaria Regionale di Milano.
La sentenza in commento fissa dei precisi paletti al potere di accertamento dei terreni agricoli e, in definitiva, stabilisce che il valore di un terreno debba essere strettamente legato alla destinazione urbanistica, che ne determina il valore oggettivo; «Di conseguenza», precisa il Collegio regionale, «nessuna valenza può assumere il richiamo dell'Agenzia delle entrate al principio della «edificabilità di fatto», non contemplato da alcuna disposizione normativa per le aree censite in catasto». La Commissione prosegue l'esame delle norme e rileva come le norme legislative vigenti dispongano espressamente che il riferimento debba essere alle risultanze ufficiali vigenti, a livello urbanistico, al momento della cessione.
Per quanto concerne le norme di riferimento esse sono: ai fini Ici, l'articolo 2, comma primo, lettera b), del dlgs n.504/1992 nella formulazione introdotta dall'articolo 11-quaterdecies comma sedicesimo dl n. 203/2005, che dispone che un'area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo.
Analogamente, ai fini delle imposte dirette, l'articolo 67, comma primo, lettera b), del dpr n. 917/1986 (Nuovo Tuir) fa riferimento alla «utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione». La Commissione rileva come l'accertamento erariale sia basato su un valore non corrispondente alle caratteristiche oggettiva dell'area compravenduta, bensì è stato determinato con la comparazione con una compravendita riguardante un terreno contiguo avente natura edificabile, e dunque, diversa e più pregiata (articolo ItaliaOggi del 18.01.2013).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Imposta sui cartelli edili.
I cartelli edili informativi, obbligatori ai sensi dell'art. 9 dpr 447/1991 e circolare 1729/UL del 1990, scontano l'imposta di pubblicità quando eccedono il mezzo metro quadrato.

Il concetto è stato ribadito con sentenza 24.02.2009 n. 59/1/09 dalla ctp di Reggio Emilia.
Il ricorso riguardava una società edile di persone, che si opponeva all'avviso di accertamento per imposta comunale della pubblicità. Tale avviso era stato emesso per un cartello esposto presso un cantiere, obbligatorio, ai sensi del citato art. 9 dpr 447/1991 e della circolare 1729/UL del 1990. La normativa vigente impone l'obbligo di esporre, presso ogni cantiere apposito cartello con l'indicazione dei soggetti che prendono parte alle opere ivi eseguite.
La parte ricorrente eccepiva che l'esposizione del cartello doveva essere interpretata nel senso di adeguamento a tale obbligo previsto dalla normativa, non costituendo tale esposizione, quindi, alcuna forma di pubblicità, ovvero da ricomprendersi fra le attività previste in esenzione ai sensi dell'art. 17, comma 1, dlgs 507/1993.
Con proprie controdeduzioni, la società concessionaria, parte resistente, insisteva sulla regolarità dell'accertamento, argomentando, nel merito, che il cartello esposto all'esterno del cantiere, da parte della società edile, conteneva un chiaro messaggio pubblicitario ed era di dimensioni maggiori al mezzo metro quadrato. Tale argomentazioni erano suffragate, dalla parte resistente, tramite apposita documentazione fotografica allegata alle controdeduzioni depositate.
La commissione tributaria di Reggio Emilia, udite le parti in pubblica udienza, ribadisce che le insegne appartenenti alla società ricorrente, assolvono un obbligo regolamentare, cosi come stabilito dal dpr 447/1991, contemporaneamente, però, è fuor di dubbio che rappresentano anche un messaggio pubblicitario.
Dall'avviso di accertamento della società concessionaria, continua la commissione, nonché dalla documentazione fotografica allegata, si evince che il cartello esposto ha dimensioni superiori al mezzo metro quadrato. Dimensioni che eccedono quelle stabilite per fruire dell'esenzione (articolo ItaliaOggi del 26.03.2009, pag. 30).