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56-DURC
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58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
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66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
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106
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dossier DEROGA P.d.C. (Permesso di Costruire)
anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Sull'istituto del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'art. 14 del dpr 06.06.2001 n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso.
La giurisprudenza consolidata di questo Consiglio configura il permesso di costruire in deroga come un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio ed espressione di un potere ampiamente discrezionale, che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del consiglio comunale. In tale procedimento il consiglio comunale è chiamato, quindi, nell'esercizio di un potere di pianificazione urbanistica, ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica vigente e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo.
La natura eccezionale è stata affermata dalla giurisprudenza di questo Consiglio anche per le norme premiali introdotte dall’art. 5 del d.l. 70 del 2011, in base alla considerazione che, al pari del permesso di costruire in deroga disciplinato dall'art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2001, il permesso di costruire rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti, del D.L. n. 70 del 2011 determinando una deroga alla disciplina ordinaria e alle previsioni degli strumenti urbanistici, costituisce una norma eccezionale, in quanto diretta a regolare in termini diversi e di favore un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie, giustificata dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale; in quanto tale, esso è applicabile esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal legislatore statale, e non è suscettibile di interpretazione in senso estensivo.
Su tali presupposti è stato espressamente affermato che i benefici previsti dall’art. 5 sono ammessi solo se rivolti alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente o a promuovere o agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate e tali condizioni devono sussistere per tutti gli interventi edilizi, di natura sia residenziale, sia non residenziale; il legislatore, infatti, sia pure in vista di un rilancio delle attività economiche inerenti all'edilizia, non ha in sostanza inteso liberalizzare e generalizzare ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici esistenti, collegando l'obiettivo di rilancio dell’attività edilizia a specifiche e ineludibili finalità relative all'interesse, di pari rilievo e preminenza, anche costituzionale, ad un miglioramento del tessuto urbanistico, cui sono chiaramente correlate le due alternative finalità/condizioni di ammissibilità dell'intervento, “razionalizzazione del patrimonio edilizio”, “riqualificazione dell'area urbana degradata”).
Inoltre, in caso d'inerzia regionale nei riguardi del termine d'adempimento in base al comma 14 l’applicabilità diretta delle disposizioni del comma 9, non comporta l’alterazione della disciplina urbanistica vigente ex artt. 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 1968 “che ricomprende anche i limiti delle altezze degli edifici come individuati dal piano regolatore”.
Nel senso della interpretazione restrittiva della disposizione si è espressa anche la Cassazione penale, per cui è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti generali di applicabilità dell’art. 5, comma 9, circa l'esigenza di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e quella di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate.
La natura eccezionale della disciplina di favore non è posta in dubbio neppure dalla disposizione di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 271, della legge 23.12.2014, n. 190, secondo cui, “le previsioni e le agevolazioni previste dall'articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti previste in detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui all'articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 70 del 2011”, limitandosi tale disposizione a precisare, con efficacia retroattiva, che l’ambito della deroga delle misure incentivanti previste dal D.L. n. 70 del 2011, opera anche con riguardo alla pianificazione di riferimento, in relazione alla ratio della disposizione di favorire gli interventi di recupero di edifici dismessi, anche in deroga alla vigente pianificazione urbanistica, ritenuta recessiva rispetto alla preminente esigenza di “favorire la riqualificazione delle aree urbane degradate”.

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Ritiene il Collegio di richiamare la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio che configura il permesso di costruire in deroga come un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio ed espressione di un potere ampiamente discrezionale, che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del consiglio comunale. In tale procedimento il consiglio comunale è chiamato, quindi, nell'esercizio di un potere di pianificazione urbanistica, ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica vigente e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo (cfr. Cons. Stato, IV, 24.10.2019, n. 7228; id. 23.04.2020, n. 2585; Sez. VI, 03.08.2020, n. 4898).
La natura eccezionale è stata affermata dalla giurisprudenza di questo Consiglio, a cui il Collegio intende dare continuità, anche per le norme premiali introdotte dall’art. 5 del d.l. 70 del 2011, in base alla considerazione che, al pari del permesso di costruire in deroga disciplinato dall'art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2001, il permesso di costruire rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti, del D.L. n. 70 del 2011 determinando una deroga alla disciplina ordinaria e alle previsioni degli strumenti urbanistici, costituisce una norma eccezionale, in quanto diretta a regolare in termini diversi e di favore un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie, giustificata dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale; in quanto tale, esso è applicabile esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal legislatore statale, e non è suscettibile di interpretazione in senso estensivo.
Su tali presupposti è stato espressamente affermato che i benefici previsti dall’art. 5 sono ammessi solo se rivolti alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente o a promuovere o agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate e tali condizioni devono sussistere per tutti gli interventi edilizi, di natura sia residenziale, sia non residenziale; il legislatore, infatti, sia pure in vista di un rilancio delle attività economiche inerenti all'edilizia, non ha in sostanza inteso liberalizzare e generalizzare ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici esistenti, collegando l'obiettivo di rilancio dell’attività edilizia a specifiche e ineludibili finalità relative all'interesse, di pari rilievo e preminenza, anche costituzionale, ad un miglioramento del tessuto urbanistico, cui sono chiaramente correlate le due alternative finalità/condizioni di ammissibilità dell'intervento, “razionalizzazione del patrimonio edilizio”, “riqualificazione dell'area urbana degradata”). (Consiglio di Stato IV, 11.04.2014 n. 1767; id., 01.09.2015 n. 4088).
Inoltre, in caso d'inerzia regionale nei riguardi del termine d'adempimento in base al comma 14 l’applicabilità diretta delle disposizioni del comma 9, non comporta l’alterazione della disciplina urbanistica vigente ex artt. 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 1968 “che ricomprende anche i limiti delle altezze degli edifici come individuati dal piano regolatore” (Cons. Stato Sez. IV, 19.04.2017, n. 1828).
Nel senso della interpretazione restrittiva della disposizione si è espressa anche la Cassazione penale, per cui è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti generali di applicabilità dell’art. 5, comma 9, circa l'esigenza di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e quella di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate (cfr. Cass. pen. Sez. III, 23.01.2020, n. 2695).
La natura eccezionale della disciplina di favore non è posta in dubbio neppure dalla disposizione di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 271, della legge 23.12.2014, n. 190, secondo cui, “le previsioni e le agevolazioni previste dall'articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti previste in detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui all'articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 70 del 2011”, limitandosi tale disposizione a precisare, con efficacia retroattiva, che l’ambito della deroga delle misure incentivanti previste dal D.L. n. 70 del 2011, opera anche con riguardo alla pianificazione di riferimento, in relazione alla ratio della disposizione di favorire gli interventi di recupero di edifici dismessi, anche in deroga alla vigente pianificazione urbanistica, ritenuta recessiva rispetto alla preminente esigenza di “favorire la riqualificazione delle aree urbane degradate” ( cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.11.2015, n. 5278) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 11.10.2021 n. 6761 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico generale.
   a) il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici”) è un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio e rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale;
   b) in particolare, in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo;
   c) peraltro (per completezza va aggiunto che), come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui l’amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall’evidente travisamento dei fatti;
   d) invero, la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all'art. 14, commi 1-bis, 2 e 3, d.P.R. 380/2001 per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l’assentibilità dell'intervento, permanendo in capo all'amministrazione un'ampia discrezionalità circa l’an e il quomodo dell’eventuale assenso.
Nell'ambito del procedimento per l'adozione del permesso di costruire in deroga, deve pertanto essere distinta la competenza del Consiglio comunale, che è soggetto chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo e la competenza degli uffici tecnici, che devono invece istruire la pratica.
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In conclusione, la valutazione della compatibilità con gli strumenti urbanistici, ai fini del rilascio del permesso in deroga, rientra nella competenza dell'ufficio tecnico, il quale, nell'esercizio della propria verifica in ordine alla fattibilità tecnica dell’opera, laddove riscontri nel corso (e soprattutto all’esito) dell’istruttoria tecnica, che precede la trasmissione della documentazione al Consiglio comunale per la valutazione tecnico-politica sull’assentibilità o meno della istanza di variante in deroga, che sussistano ostacoli tecnico-edilizi che escludono, già dal punto di vista edilizio, l’accoglibilità della richiesta, ben può l’ufficio concludere la verifica di “prefattibilità” con un diniego rivolto alla parte interessata, senza investire inutilmente il Consiglio comunale che, come si è sopra chiarito, nel complesso procedimento in questione assume competenze non sovrapponibili rispetto a quelle dell’ufficio tecnico in ordine alla “fattibilità” tecnico-giuridica dell’operazione.
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Occorre infatti considerare, sulla scorta di quanto affermato dalla costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 07.09.2018 n. 5277 e 26.07.2017 n. 3680), che:
   a) il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici”) è un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio e rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale;
   b) in particolare, in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo;
   c) peraltro (per completezza va aggiunto che), come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui l’amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall’evidente travisamento dei fatti;
   d) invero, la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all'art. 14, commi 1-bis, 2 e 3, d.P.R. 380/2001 per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l’assentibilità dell'intervento, permanendo in capo all'amministrazione un'ampia discrezionalità circa l’an e il quomodo dell’eventuale assenso.
Nell'ambito del procedimento per l'adozione del permesso di costruire in deroga, deve pertanto essere distinta la competenza del Consiglio comunale, che è soggetto chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo e la competenza degli uffici tecnici, che devono invece istruire la pratica.
In conclusione (con riferimento anche al caso in esame), la valutazione della compatibilità con gli strumenti urbanistici, ai fini del rilascio del permesso in deroga, rientra nella competenza dell'ufficio tecnico, il quale, nell'esercizio della propria verifica in ordine alla fattibilità tecnica dell’opera, laddove riscontri nel corso (e soprattutto all’esito) dell’istruttoria tecnica, che precede la trasmissione della documentazione al Consiglio comunale per la valutazione tecnico-politica sull’assentibilità o meno della istanza di variante in deroga, che sussistano ostacoli tecnico-edilizi che escludono, già dal punto di vista edilizio, l’accoglibilità della richiesta, ben può l’ufficio (come è accaduto nel caso in esame) concludere la verifica di “prefattibilità” con un diniego rivolto alla parte interessata, senza investire inutilmente il Consiglio comunale che, come si è sopra chiarito, nel complesso procedimento in questione assume competenze non sovrapponibili rispetto a quelle dell’ufficio tecnico in ordine alla “fattibilità” tecnico-giuridica dell’operazione (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 14.06.2021 n. 4591 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in deroga e potere/dovere di verifica dei presupposti per il rilascio del titolo edilizio da parte degli uffici.
Si osserva che:
   a) il permesso di costruire in deroga di cui all’articolo 14 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici”) è “un istituto di carattere eccezionale rispetto all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale”;
   b) in tale procedimento “il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo”;
   c) come ogni altra scelta pianificatoria, “la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente travisamento dei fatti”;
   d) la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 14, commi 1-bis, 2 e 3, D.P.R. n. 380 del 2001 per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce “condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l’assentibilità dell'intervento, permanendo in capo all'Amministrazione un'ampia discrezionalità circa l'an e il quomodo dell'eventuale assenso”.
Secondo il Giudice d’Appello il procedimento si compone di due fasi distinte. La prima di competenza del Consiglio comunale e volta ad effettuare “la comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo”; la seconda di competenza degli uffici tecnici a cui spetta l’istruttoria della pratica e l’assunzione delle determinazioni finali.
Il Comune resistente rinviene nella decisione del Consiglio di Stato una conferma alla tesi di parte della dottrina secondo cui la previa deliberazione del Consiglio comunale non priva l’organo tecnico del potere di adottare il titolo (previe le apposite valutazioni) ma si traduce nella mera inserzione di un ulteriore passaggio procedimentale da collocarsi nella sottofase predecisionale e volto alla comparazione tra gli interessi involti.
Osservando tale condivisibile ricostruzione dalla specola civilistica (per come imposto dalla domanda), si osserva come sia proprio la struttura sostanzialmente bifasica del procedimento e la direzione negoziale a cui lo stesso mira a consentire l’operatività della regola di cui all’articolo 1337 c.c. nella vicenda in esame.
Si è, difatti, dinanzi ad un procedimento che, pur riconoscendo il necessario spazio di discrezionalità alla Pubblica Amministrazione, risulta funzionale alla stipula di una convenzione che, benché con peculiarità proprie, risulta ascrivibile all’ampio genus negoziale.
La convenzione è, difatti, il momento terminale fisiologico del procedimento in esame e l’atto di regolazione e sintesi degli interessi coinvolti, ivi compreso l’interesse pubblico decretato dalla deliberazione del Consiglio comunale. Al fine di perseguire il risultato astrattamente programmato (id est: la stipula di una convenzione che compendi e realizzi i reciproci interessi) si impone, quindi, uno sforzo congiunto delle parti da misurarsi secondo l’allotropico canone di correttezza.
Del resto, secondo una moderna ricostruzione, la ragione che anima la responsabilità precontrattuale andrebbe individuata nell’intenzionale prossimità delle sfere giuridiche dei contraenti determinata dall'instaurazione di una relazione in vista della conclusione del contratto, dalle successive trattative o dall'eventuale procedimento di conseguimento del consenso.
E’ quanto accade anche nella vicenda di specie ove la deliberazione del Consiglio comunale sancisce una prossimità delle due posizioni dischiudendo il successivo procedimento volto alla stipula della convenzione.
Ed è, quindi, tale prossimità intenzionale a rappresentare l'elemento di fatto che giustifica l'imposizione legislativa dell'obbligo reciproco di comportarsi secondo buona fede e l’insorgenza di una posizione soggettiva che, mutuando l’espressione invalsa –in particolare– negli ordinamenti di common law, può definirsi di immunità.
Difatti, nel rapporto precontrattuale, agli obblighi e ai limiti in funzione protettiva a carico di un contraente si contrappone, come figura giuridica correlata, l’immunità dell'altro contraente rispetto alle possibili contrazioni o lesioni scorrette della propria libertà negoziale.
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In un ricorso promosso in sede giurisdizionale al fine di sentire accertare la violazione dei doveri di correttezza e buona fede ex articoli 1337 e 1338 c.c., e per la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata stipula della convenzione di cui al permesso di costruire in deroga a suo tempo approvato in sede consiliare, il TAR Milano -pur rigettando il ricorso per non avere l'operatore privato positivamente riscontrato le richieste svolte dagli uffici in sede istruttoria- sottolinea che la favorevole deliberazione del Consiglio comunale impone la stipula della relativa convenzione e il rilascio del titolo edilizio pur residuando in capo all’organo tecnico comunale il necessario potere/dovere di verifica dei relativi presupposti del titolo edilizio
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7. In apicibus occorre esaminare la prima delle difese articolate dal Comune resistente secondo cui la pur favorevole deliberazione del Consiglio comunale n. 4/2014 non imporrebbe la stipula della relativa convenzione ed il rilascio del titolo edilizio residuando in capo all’Organo tecnico comunale il necessario potere/dovere di verifica dei relativi presupposti.
Corollario di tale affermazione è la ritenuta carenza di un affidamento qualificato di parte ricorrente e la consequenziale necessità di escludere ex se la configurabilità di una responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione.
A tale argomentazione replica la ricorrente notando come il dato rilevante non risieda nella delimitazione delle competenze tra Consiglio comunale ed Ufficio tecnico ma nella condotta adottata da quest’ultimo nella gestione della pratica (cfr. fogli 4-6 della memoria di replica depositata in data 28.01.2020).
7.1. Osserva il Collegio come la tesi comunale non possa condividersi rinvenendosi, proprio da una disamina analitica del peculiare sistema del permesso di costruire in deroga, argomenti idonei a decretare la necessaria applicazione dei doveri che informano il comportamento precontrattuale delle parti secondo gli stilemi tracciati dalla più recente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.
7.2. Prendendo le mosse dalla sentenza del Consiglio di Stato a fondamento della difesa comunale si osserva come la decisione, nel richiamare specifici precedenti giurisprudenziali (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.09.2018, n. 5277; Id., 26.07.2017, n. 3680), rimarchi che:
   a) il permesso di costruire in deroga di cui all’articolo 14 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici”) è “un istituto di carattere eccezionale rispetto all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale”;
   b) in tale procedimento “il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo”;
   c) come ogni altra scelta pianificatoria, “la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente travisamento dei fatti”;
   d) la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 14, commi 1-bis, 2 e 3, D.P.R. n. 380 del 2001 per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce “condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l’assentibilità dell'intervento, permanendo in capo all'Amministrazione un'ampia discrezionalità circa l'an e il quomodo dell'eventuale assenso” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.11.2019, n. 7228).
Secondo il Giudice d’Appello il procedimento si compone di due fasi distinte. La prima di competenza del Consiglio comunale e volta ad effettuare “la comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo”; la seconda di competenza degli uffici tecnici a cui spetta l’istruttoria della pratica e l’assunzione delle determinazioni finali.
7.3. Il Comune resistente rinviene nella decisione del Consiglio di Stato una conferma alla tesi di parte della dottrina secondo cui la previa deliberazione del Consiglio comunale non priva l’organo tecnico del potere di adottare il titolo (previe le apposite valutazioni) ma si traduce nella mera inserzione di un ulteriore passaggio procedimentale da collocarsi nella sottofase predecisionale e volto alla comparazione tra gli interessi involti.
7.4. Osservando tale condivisibile ricostruzione dalla specola civilistica (per come imposto dalla domanda), si osserva come sia proprio la struttura sostanzialmente bifasica del procedimento e la direzione negoziale a cui lo stesso mira a consentire l’operatività della regola di cui all’articolo 1337 c.c. nella vicenda in esame.
Si è, difatti, dinanzi ad un procedimento che, pur riconoscendo il necessario spazio di discrezionalità alla Pubblica Amministrazione, risulta funzionale alla stipula di una convenzione che, benché con peculiarità proprie, risulta ascrivibile all’ampio genus negoziale (per la natura giuridica delle convenzioni cfr., ex aliis, TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 20.02.2020, n. 345 ed ivi ulteriori richiami giurisprudenziali).
La convenzione è, difatti, il momento terminale fisiologico del procedimento in esame e l’atto di regolazione e sintesi degli interessi coinvolti, ivi compreso l’interesse pubblico decretato dalla deliberazione del Consiglio comunale. Al fine di perseguire il risultato astrattamente programmato (id est: la stipula di una convenzione che compendi e realizzi i reciproci interessi) si impone, quindi, uno sforzo congiunto delle parti da misurarsi secondo l’allotropico canone di correttezza.
7.5. Del resto, secondo una moderna ricostruzione, la ragione che anima la responsabilità precontrattuale andrebbe individuata nell’intenzionale prossimità delle sfere giuridiche dei contraenti determinata dall'instaurazione di una relazione in vista della conclusione del contratto, dalle successive trattative o dall'eventuale procedimento di conseguimento del consenso.
E’ quanto accade anche nella vicenda di specie ove la deliberazione del Consiglio comunale sancisce una prossimità delle due posizioni dischiudendo il successivo procedimento volto alla stipula della convenzione.
Ed è, quindi, tale prossimità intenzionale a rappresentare l'elemento di fatto che giustifica l'imposizione legislativa dell'obbligo reciproco di comportarsi secondo buona fede e l’insorgenza di una posizione soggettiva che, mutuando l’espressione invalsa –in particolare– negli ordinamenti di common law, può definirsi di immunità.
Difatti, nel rapporto precontrattuale, agli obblighi e ai limiti in funzione protettiva a carico di un contraente si contrappone, come figura giuridica correlata, l’immunità dell'altro contraente rispetto alle possibili contrazioni o lesioni scorrette della propria libertà negoziale.
7.6. Ad omologa conclusione si perviene laddove si ricorra alla teorica del contatto sociale qualificato pur con le necessarie precisazioni e delimitazioni che un corretto inquadramento della figura impone. La deliberazione del Consiglio comunale determina l’insorgere di una specifica obbligazione pur senza obblighi primari di prestazione (i noti “Schuldverhältnisse ohne primäre Leistungspflichten” della dottrina tedesca).
Come spiegato, l’atto schiude, infatti, la successiva fase procedimentale volta alla stipula della convenzione tra le parti. In sostanza, la favorevole determinazione dell’Organo politico segna l’apertura di una fase procedimentale diretta alla conclusione del negozio che regola i rapporti tra l’Ente e l’operatore privato.
Non si è, quindi, dinanzi ad un generico “social Kontakt” ma ad una vera e propria “Aufnahme des geschäftlichen Kontakts”, ad un contatto negozialmente orientato in quanto diretto alla stipula di una convenzione urbanistica. L’esaurimento della fase di competenza del Consiglio “avvia” (per usare l’espressione significativamente contenuta nel § 311, Abs. 2, B.G.B. dopo la Schuldrechtsmodernisierung) verso una sequenza procedimentale finalizzata al negozio giuridico determinando l’insorgenza degli specifici doveri di informazione e protezione.
Sono queste, infatti, le apposite prestazioni a cui risulta tenuta la parte di un rapporto (comunque) obbligatorio il cui oggetto, come anticipato, non risiede nel dovere primario di prestare (a cui osta, inoltre, il potere-dovere pubblico di verifica e valutazione della fattispecie) ma nell’obbligo di adottare un comportamento leale al fine di poter pervenire alla conclusione del programma individuato.
Pertanto, è proprio la peculiarità del procedimento a consentire di affermare l’insorgenza di un contatto sociale qualificato di tipo negoziale. Non si tratta, quindi, di postulare la sussistenza di un generico contatto sociale qualificato tra il privato e la Pubblica Amministrazione ma di riscontrare l’esistenza di una relazione sociale diretta proprio alla conclusione di un rapporto negoziale che, come detto, compendi e realizzi gli interessi delle parti (cfr., per la configurazione contrattuale della responsabilità precontrattuale, Cassazione civile, Sez. I, 12.07.2016, n. 14188 che adotta una nozione di contatto sociale decisamente più ampia di quella qui evocata dal Collegio; cfr., inoltre, Cassazione civile, Sez. I, 20.12.2011, n. 27648; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 04.05.2018, n. 5 che, tuttavia, omette di prendere espressa posizione su tale aspetto – v. punto 24 della sentenza; tra le pronunce che ritengono configurabile una responsabilità da contatto sociale per violazione degli obblighi procedimentali, cfr.: Cassazione civile, Sez. I, 10.01.2003, n. 157; Id., Sez. lav., 19.09.2013, n. 21454; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. V, 06.08.2001, n. 4239; Id. Sez. VI, 20.01.2003, n. 204; Id., 02.09.2005, n. 4461; Id., Sez. IV, 12.03.2010, n. 1467; Id., Sez. IV, 31.01.2012, nn. 482 e 483).
7.7. Né simile ricostruzione sembra potersi negarsi valorizzando l’aspetto pubblicistico del procedimento o, in generale, della vicenda in esame. Simili obiezioni restringerebbero la portata della previsione di cui all’articolo 1337 c.c. traducendosi nella sostanziale non applicazione del canone ai rapporti pur autoritativi tra cittadino e Pubblica Amministrazione segnando il ritorno ad impostazioni codine smentite dalle più recenti elaborazioni (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 04.05.2018, n. 5).
Deve, infatti, rilevarsi come il modello di pubblica amministrazione, come si è andato evolvendo nel diritto vivente, risulta oggi permeato dai principi di correttezza, buona amministrazione, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento.
Principi integralmente desumibili dalla previsione di cui all’articolo 97 della Costituzione che costituisce il pilastro su cui si edifica il nuovo paradigma dei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 06.03.2018, n. 1457; TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 13.06.2019, n. 1347; per la rilevanza dell’affidamento del diritto eurounitario, cfr., invece: C.G.U.E, 03.05.1978, in C-12/77, Topfer; Id, 14.03.2013, in C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle; Id., 20.12.2017, in C-322/16, Global Starnet).
Va poi considerato che la lesione dell’interesse pretensivo e dell’interesse negoziale si saldano nella specifica prospettiva della domanda in esame e della configurazione dogmatica degli istituti in rilievo escludendo una possibile forza repulsiva delle regole pubblicistiche dei principi che governano la culpa in contrahendo (cfr., per i rapporti tra interesse pretensivo e danno patrimoniale, pur nella prospettiva della perdita di chance, Cassazione civile, Sez. III, 09.03.2018, n. 5641; Id., 11.11.2019, n. 28993).
8. Operate tale notazioni preliminari di inquadramento della fattispecie e reiezione della prima difesa comunale occorre verificare se nella vicenda in esame possa sussistere una effettiva “Vertrauenshaftung” o responsabilità per lesione dell’affidamento alla stipula della convenzione urbanistica derivante da una condotta comunale non conforme ai generali doveri di correttezza che, come detto, informano il comportamento delle parti. Doveri che, come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza, trascendono il recesso dalle trattative o la mancata comunicazione di cause di invalidità ex articolo 1338 c.c. (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 04.04.2018, n. 4; TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. I, 06.11.2018, n. 2501).
La “vis espansiva” del principio in esame conduce, infatti, a ricomprendere anche l’attività autoritativa della Pubblica Amministrazione, “tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 04.04.2018, n. 4; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 06.02.2013, n. 633; Id., Sez. IV, 06.03.2015, n. 1142; Id., Adunanza plenaria, 05.09.2005, n. 6; nella giurisprudenza civile, cfr.: Cassazione civile, Sezioni unite, 12.05.2008, n. 11656; Cassazione civile, Sez. I, 12.05.2015, n. 9636; Id., 03.07.2014, n. 15250).
8.1. In simili casi, non assume rilievo il provvedimento amministrativo che, come nel caso di specie, potrebbe risultare persino non emesso e, per questo, fondare una pretesa risarcitoria. La vicenda va, infatti, osservata esclusivamente dalle specifiche lenti dei principi del diritto civile che, come spiegato, non rinvengono argini nelle diverse regole di matrice pubblicistica che governano simili diversi profili della vicenda.
8.2. Nell’aggiungere un ulteriore tassello al complessivo mosaico in cui si inserisce la vicenda in esame deve, inoltre, osservarsi come, secondo un’affermazione dell’Adunanza plenaria alla quale può riconoscersi portate generale, affinché si configuri una responsabilità ex articolo 1337 c.c. della Pubblica Amministrazione è, comunque, necessario che l’affidamento incolpevole del privato risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 04.04.2018, n. 4).
8.3. Necessario, pertanto, procedere con peculiare acribia alla disamina della fattispecie concreta atteso che la clausola generale termina nella vicenda contenziosa per concretizzarsi ope iudicis dovendosi in questa sede verificare quale delle plurime direttive di azione del precetto risultino violate. Direttive che, pur nella varietà dei contenuti, assumono una funzione unitaria e complessiva da individuarsi nell’obiettivo di salvaguardia e rispetto (la c.d. “Rücksicht” a cui fa riferimento la dottrina tedesca) del patrimonio e della sfera personale dei contraenti (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.03.2020 n. 416 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla scorta di quanto affermato dalla costante giurisprudenza:
   a) il permesso di costruire in deroga di cui all'art. 14 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato "Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici") è un istituto di carattere eccezionale rispetto all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale;
   b) in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo;
   c) come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente travisamento dei fatti;
   d) la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all'art. 14, commi 1-bis, 2 e 3, D.P.R. n. 380 del 2001 per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l'assentibilità dell'intervento, permanendo in capo all'Amministrazione un'ampia discrezionalità circa l'an e il quomodo dell'eventuale assenso.
Pur nell’ampia discrezionalità attribuita all’Amministrazione, questa dovrà fornire, anche in tal caso, una giustificazione adeguata, congruente e proporzionata alle peculiarità della fattispecie, in conformità all’art. 3 della l. 241/1990: e, dunque, indicando, oltre alle ragioni giuridiche, anche i presupposti di fatto che hanno determinato la decisione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
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Non colgono nel segno neppure le censure con cui parte ricorrente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento volto al rilascio del titolo edilizio in deroga.
In primo luogo, deve rilevarsi che la struttura in questione ricade in zona “B2-Ricomposizione dell’edilizia” esistente ove, a norma dell’art. 29 NTA, sono assentibili proprio le strutture di assistenza sociale e sanitaria e solo in minima parte l’area oggetto di intervento ricade in zona “S2 – Aree per parchi giochi e sport”, in ragione della presenza del cortile retrostante.
Inoltre, la struttura in questione risultava già precedentemente assentita ed adibita ad Asilo Comunale da parte delle Suore Missionarie.
Tale circostanza da un lato evidenzia la insussistenza di uno stravolgimento dell’impatto urbanistico dell’area tale da giustificare un’ampia partecipazione dei cittadini contermini e, dall’altro, la insussistenza di un sufficiente vulnus agli interessi degli stessi, stante l’affinità delle due destinazioni d’uso.
Peraltro, non risulta neppure chiarita la posizione dei ricorrenti rispetto alla struttura, limitandosi gli stessi a rilevare la prossimità delle loro proprietà.
A ciò aggiungasi, ai sensi dell’art. 21-octies 241/1990, l’irrilevanza di violazione formali quando non risulta dimostrato che il tenore del provvedimento avrebbe potuto avere un diverso contenuto.
Nella specie, al di là del lamentato e neppure dimostrato decremento di valore degli immobili di proprietà, i provvedimenti impugnati resistono alle censure rassegante nel ricorso per i motivi di seguito indicati.
In particolare, non sussiste neppure il lamentato deficit motivazionale.
Sulla scorta di quanto affermato dalla costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 07.09.2018, n. 5277; id., 26.07.2017, n. 3680):
   a) il permesso di costruire in deroga di cui all'art. 14 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato "Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici") è un istituto di carattere eccezionale rispetto all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale;
   b) in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo;
   c) come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente travisamento dei fatti;
   d) la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all'art. 14, commi 1-bis, 2 e 3, D.P.R. n. 380 del 2001 per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l'assentibilità dell'intervento, permanendo in capo all'Amministrazione un'ampia discrezionalità circa l'an e il quomodo dell'eventuale assenso.
Pur nell’ampia discrezionalità attribuita all’Amministrazione, questa dovrà fornire, anche in tal caso, una giustificazione adeguata, congruente e proporzionata alle peculiarità della fattispecie, in conformità all’art. 3 della l. 241/1990: e, dunque, indicando, oltre alle ragioni giuridiche, anche i presupposti di fatto che hanno determinato la decisione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 13.02.2020 n. 192 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decreto sviluppo e modifica destinazione d’uso.
Sulla natura eccezionale del permesso di costruire rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti legge 106/2011, con la quale è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 13.05.2011, n. 70 (decreto sviluppo).
Si osserva, in adesione a quanto evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, che la disposizione, in quanto deroga alla disciplina ordinaria ed alle previsioni degli strumenti urbanistici al fine di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale, ha un ridotto ambito di operatività, confinato entro i limiti tassativamente previsti dal legislatore statale, richiamando l'inderogabilità degli standard urbanistici, la non attuabilità degli interventi di riqualificazione e aumenti di volumetria con riferimento ad edifici abusivi o situati nei centri storici o in area ad in edificabilità assoluta ed escludendo la possibilità del rilascio del titolo abilitativo secondo la procedura ordinaria (massima tratta da https://lexambiente.it).
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1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
2. Con riferimento a quanto dedotto con il primo e secondo motivo di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati, occorre in primo luogo osservare come, nel ricorso, venga preliminarmente dato atto che, nella motivazione del provvedimento di sequestro, il GIP avrebbe ritenuto illegittimo il permesso di costruire n. 39 del 07.03.2014, con il quale si è assentito il cambio di destinazione d'uso di immobili destinati a struttura commerciale in immobili ad uso residenziale perché in contrasto con quanto stabilito dall'art. 4, comma 7, legge regionale Campania n. 19/2009.
In particolare, sarebbe stato ritenuto illegittimo il cambio di destinazione d'uso delle aree interessate dall'intervento ubicate in zona F del PRG, destinata alla realizzazione di attrezzature e servizi, ovvero di manufatti per l'edilizia scolastica, centri medici poliambulatori, sport, spettacolo, scuole e parcheggi in quanto non assentibile ai sensi dell'art. 4 citato, di cui sarebbe stata fatta erronea applicazione, poiché tale disposizione consentirebbe il mutamento di destinazione solo all'interno di categorie omogenee.
Si aggiunge, sempre in premessa, che davanti al giudice del riesame si è dedotto che il mutamento di destinazione d'uso sarebbe stato ammesso non già in forza di SCIA ai sensi della legge regionale 19/2009, bensì di un permesso di costruire (n. 39 del 07.03.2014) rilasciato dall'amministrazione comunale, ai sensi della legge 106/2011, agli originari proprietari dell'area, i quali erano già titolari di un permesso di costruire (n. 69/2006) con il quale era stata autorizzata la realizzazione di 11 negozi di vicinato, seguito poi da un successivo permesso (n. 127 del 01.10.2014) avente ad oggetto un intervento di demolizione e ricostruzione e delocalizzazione di un fabbricato esistente ai sensi dell'art. 5 legge 106/2011, sicché il Tribunale avrebbe dovuto verificare la conformità di tali titoli e della costruzione realizzata alla disciplina richiamata e, dunque, alla legge 106/2011 e non anche alla legge regionale del 2009.
Si afferma, infine, che i permessi sarebbero stati rilasciati in forza di quanto disposto dall’art. 5, commi 11 e 14, della legge 106/2011, in considerazione del fatto che la legge regionale (n. 16/2014) è stata promulgata successivamente al rilascio dei titoli edilizi.
3. Il provvedimento impugnato, pur richiamando sommariamente i termini della provvisoria incolpazione, ha preso in considerazione le osservazioni in base alle quali la difesa ritiene legittimo il titolo abilitativo rilevando la infondatezza della richiesta di riesame, previa sommaria descrizione del contenuto dell’art. 5 legge 106/2011.
Assumono, in particolare, i giudici del riesame che l’opera originariamente assentita aveva destinazione commerciale, mentre quella autorizzata con il permesso di costruire del 2014 ha destinazione residenziale, difettando quindi l’omogeneità ed essendo, inoltre, in contrasto la seconda con la destinazione d’uso stabilita dagli strumenti urbanistici vigenti in quanto zona F2, destinata esclusivamente alla realizzazione di attrezzature e servizi.
4. Ciò posto, pare opportuno richiamare, nella parte che qui interessa (commi 9-14), l’art. 5 legge 106/2011, con la quale è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 13.05.2011, n. 70:
(…) 9. Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano:
   a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale;
   b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse;
   c) l'ammissibilità delle modifiche di destinazione d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
   d) le modifiche della sagoma necessarie per l'armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti.
10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
11. Decorso il termine di cui al comma 9, e sino all'entrata in vigore della normativa regionale, agli interventi di cui al citato comma si applica l'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso. Resta fermo il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42.
12. Le disposizioni dei commi 9, 10 e 11 si applicano anche nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione.
13. Nelle Regioni a statuto ordinario, oltre a quanto previsto nei commi precedenti, decorso il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e sino all'entrata in vigore della normativa regionale, si applicano, altresì, le seguenti disposizioni:
a) è ammesso il rilascio del permesso in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
b) i piani attuativi, come denominati dalla legislazione regionale, conformi allo strumento urbanistico generale vigente, sono approvati dalla giunta comunale.
14. Decorso il termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo quanto previsto al comma 10, e al secondo periodo del comma 11, sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario che non hanno provveduto all'approvazione delle specifiche leggi regionali (...)
”.
5. Le disposizioni appena richiamate sono state più volte prese in considerazione dalla giurisprudenza amministrativa, che ne ha individuato l’ambito di operatività.
Si è così osservato che il riferimento all'esistenza di "funzioni eterogenee" o di "tessuti edilizi disorganici o incompiuti" o di "edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare" non individua presupposti autonomi per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, ulteriori rispetto a quelli costituiti dalla "razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente" e dalla "riqualificazione di aree urbane degradate", ma intende unicamente esemplificare gli specifici contesti urbani "degradati" in cui la norma trova applicazione, con la conseguenza che l'esistenza di "edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare" costituisce un presupposto sufficiente a consentire il rilascio di un permesso di costruire in deroga al vigente strumento urbanistico comunale solo quando detti edifici siano collocati in "aree urbane degradate”, poiché soltanto a tale condizione la legge consente al consiglio comunale di formulare le sue valutazioni circa la possibilità di assentire proposte di edificazione in deroga allo strumento urbanistico riconoscendo anche gli ulteriori benefici previsti, sempre che gli interventi consentano di perseguire l'interesse pubblico prioritario alla "razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente" e alla "riqualificazione di aree urbane degradate" (TAR Piemonte, Sez. 2, n. 1028 del 18/09/2018; Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1767 del 11/04/2014).
Si è altresì espressamente esclusa la volontà del legislatore di procedere ad una generalizzata liberalizzazione, in quanto la disposizione va letta nel senso che sono ammessi gli interventi edilizi rispetto ai quali risulti dimostrato il fine di "razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente" o di "promuovere o agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate" precisando, altresì, che tale condizione deve sussistere per tutti gli interventi edilizi, sia di natura residenziale che non residenziale (Consiglio di Stato Sez. IV, n. 4088 del 01/09/2015).
Evidenziando, inoltre, la natura eccezionale del permesso di costruire rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti, in quanto deroga alla disciplina ordinaria ed alle previsioni degli strumenti urbanistici al fine di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale, se ne è limitato l’ambito di operatività esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal legislatore statale, richiamando l'inderogabilità degli standard urbanistici, la non attuabilità degli interventi di riqualificazione e aumenti di volumetria con riferimento ad edifici abusivi o situati nei centri storici o in area ad in edificabilità assoluta ed escludendo la possibilità del rilascio del titolo abilitativo secondo la procedura ordinaria (TAR Piemonte, Sez. 2, n. 91 del 29/01/2016).
6. Così considerato il contesto entro il quale opera la disposizione in esame anche sulla base delle osservazioni del giudice amministrativo, pienamente condivisibili, occorre osservare che il Tribunale, pur avendo dato atto, come si è detto, del riferimento contenuto nella provvisoria incolpazione, non ha ritenuto di riproporla testualmente (ed altrettanto ha fatto il ricorrente) sicché non è dato comprendere, sulla base del ricorso e del provvedimento impugnato, unici atti ai quali ha accesso questa Corte, se la violazione delle disposizioni penali richiamate sia stata correlata alla legge regionale 19/2009, come assume in premessa il ricorrente, ovvero alle disposizioni della legge 106/2011, sulla quale di diffondono sia l’ordinanza che i motivi di ricorso.
In ogni caso, il provvedimento impugnato è caratterizzato, anche per ciò che concerne la valutazione dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 5, commi 9 e ss. della legge 106/2011, da una certa laconicità, in quanto focalizza l’attenzione esclusivamente sulla compatibilità o complementarietà tra diverse destinazioni d’uso di cui al comma 9, lett. c), richiamando poi l’assenza di omogeneità che il ricorrente critica.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione comunque adeguata e conforme a legge, sebbene prescinda da una più completa analisi dei titoli abilitativi richiamati, che avrebbe dovuto essere comunque effettuata considerando in primo luogo -ovviamente entro l’ambito decisorio assegnato dalla legge al giudice del riesame- la sequenza temporale dei titoli edilizi che in ricorso si assume essere stati rilasciati con riferimento agli interventi per cui è processo, la tipologia degli interventi realizzati e la conformità alla legge della procedura seguita.
Tenuto conto, poi, della natura eccezionale e derogatoria della disciplina generale della disposizione in esame, la quale richiede una lettura non estensiva e limitata al tenore letterale del testo normativo, come dimostrato dai contributi interpretativi offerti dalla giurisprudenza amministrativa in precedenza richiamata, andava ulteriormente verificata la sussistenza dei presupposti generali di applicabilità dell’art. 5 legge 106/2011, considerando quanto stabilito al comma 9 circa l’esigenza di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e quella di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate.
Difettando tali presupposti resterebbe infatti assorbita ogni ulteriore questione, dovendosi escludere la possibilità di applicare la disposizione in esame, che in ricorso viene indicata come utilizzata nel rilasciare i permessi di costruire n. 39/2014 e n. 127/2014.
Nel provvedimento impugnato non viene dato conto della verifica di tale requisito essenziale il quale, tuttavia, deve ritenersi effettuato dai giudici del riesame i quali, altrimenti, non avrebbero avuto alcuna necessità di procedere all’ulteriore verifica oggetto di critica da parte del ricorrente.
Emerge poi dal ricorso, come si è detto, che i permessi di costruire considerati si assumono rilasciati ai sensi del comma 14 dell’art. 5 in esame, non avendo la Regione Campania legiferato nel termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge 106/2011.
Tale evenienza, come è noto, comporta l’immediata applicazione delle disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo, però, quanto previsto al comma 10 (gli interventi non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria) ed al secondo periodo del comma 11, che impone il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia ed, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel d.lgs. 42/2004.
Vengono dunque posti ulteriori limiti all’applicazione della speciale disciplina.
7. Va osservato che, come rilevato, in particolare, nel secondo motivo di ricorso, il Tribunale volge l’attenzione alla prima parte del comma 11 dell’art. 5, ricordando come lo stesso preveda l’applicazione dell’art. 14 d.P.R. 380/2001 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, richiamando il contenuto del comma 3 che limita espressamente l’oggetto della possibile deroga ai limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati.
La difesa critica tale assunto, osservando come, nella fattispecie, sarebbe applicabile il comma 14 dell’art. 5, non avendo la regione Campania provveduto a legiferare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge 106/2011, ritenendo quindi non operante la limitazione di cui al terzo comma dell’art. 14 d.P.R. 380/2001, essendo richiesto il solo limite della compatibilità o complementarietà di cui al comma 9, lett. c).
8. Ciò posto, occorre tuttavia evidenziare che il ricorso sembra sostanzialmente affermare, nel formulare le critiche all’ordinanza impugnata sul punto, che la modifica di destinazione d’uso ai sensi del comma 14 sia sempre consentita, senza limitazioni, in presenza del menzionato requisito di cui alla lett. c) del comma 9, ritenendo tale assunto confermato dal quanto disposto dalla legge regionale n. 16/2014 che recepisce quanto disposto dai commi 9 e 14 della legge 106/2011 ed, in maniera decisiva, da quanto stabilito dall’art. 1, comma 271 legge 190/2014, laddove è stabilito che “le previsioni e le agevolazioni previste dall'articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti previste in detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui all'articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 70 del 2011”.
Tale assunto è tuttavia errato, poiché, condividendosi, ancora una volta, quanto osservato dal giudice amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 1828 del 19.04.2017), tale disposizione pur imponendo di interpretare il contenuto dell'art. 5, commi 9 e 14 nel senso che prevale, tranne i casi di cui al comma 11, secondo periodo, su tutti gli strumenti urbanistici generali, particolareggiati o attuativi, va applicata considerando la natura di norma di favore eccezionale (essendo diretta a regolare in termini diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie) dell’art. 5 e tenendo conto del fatto che essa non è comunque suscettibile di applicazioni oltre gli scopi cui è preordinata, con la conseguenza che essa non può prevalere sulle regole che fissano standard o criteri inderogabili, tra cui il DM 1444/1968, imponendo altresì il rispetto delle altre discipline richiamate.
9. Deve poi rilevarsi che, effettivamente, il provvedimento impugnato, sul punto, appare errato laddove richiama il comma 11 che, avuto riguardo alla data di entrata in vigore della legge 106/2011 e quella di rilascio dei titoli abilitativi, sarebbe non applicabile nella fattispecie, dovendosi fare riferimento al comma 14 come affermato dai ricorrenti.
Tale erroneo richiamo, tuttavia, non appare determinante avuto riguardo alle ulteriori considerazioni svolte dai giudici del riesame.
Il provvedimento impugnato ha, infatti, comunque considerato l’ulteriore requisito della compatibilità o complementarietà tra la destinazione urbanistica originaria e quella che si è inteso attuare.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione che deve riguardare, ovviamente, il manufatto e non anche la destinazione urbanistica o di zona e deve essere effettuata considerando le destinazioni d’uso ammesse dallo strumento urbanistico per la zona interessata dall’intervento.
Orbene, nell’ordinanza impugnata i giudici del riesame affermano l’insussistenza della necessaria compatibilità o complementarietà.
In disparte il fatto che il riferimento al difetto di “omogeneità” tra le diverse destinazioni d’uso appare chiaramente irrilevante perché utilizzato evidentemente come sinonimo, ciò che assume rilievo determinante è l’affermazione del Tribunale secondo cui la zona (F2) ove insiste l’intervento, è destinata esclusivamente alla realizzazione di attrezzature e servizi.
Si tratta, chiaramente, di un accertamento in fatto che il Tribunale ha effettuato e che, dunque, esclude in ogni caso la possibilità di applicare, nella fattispecie, la disciplina eccezionale di cui alla legge 106/2011.
I primi due motivi di ricorso sono pertanto infondati (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.01.2020 n. 2695).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: Presupposti per il permesso in deroga.
Il permesso in deroga di cui all’art. 5, commi 9 e ss., del c.d. Decreto sviluppo (d.l. n. 70 del 2011), è ammesso solo laddove gli “edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare” si collochino in “aree urbane degradate”: la valutazione in ordine alla natura “degradata” dell’area è connotata da ampia discrezionalità tecnica sindacabile solo in presenza di profili di macroscopica illogicità, irragionevolezza o di travisamento del fatto (1).
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   (1) Ha preliminarmente chiarito il Tar che nel rilascio del permesso in deroga previsto dall’art. 5 del c.d. Decreto sviluppo (d.l. n. 70 del 2011), la natura privata e speculativa dell’intervento edilizio non è di per sé ostativa all’individuazione di un interesse pubblico, purché l’intervento realizzi, nel contempo, l’interesse pubblico alla razionalizzazione e riqualificazione delle aree urbane degradate e si tratti di destinazioni d’uso tra loro compatibili e complementari.
Ha aggiunto che l’art. 5, comma 9, del Decreto Sviluppo n. 70 del 2011 si limita a rendere assentitile un permesso in deroga agli strumenti urbanistici, ma non obbliga l’amministrazione a concederlo: in quanto istituto derogatorio del principio per cui lo strumento urbanistico va rispettato finché è in vigore, l’amministrazione è titolare di poteri ampiamente discrezionali di carattere latamente politico implicanti valutazioni di merito che potrebbero persino prescindere da particolari motivazioni di carattere tecnico sindacabili entro i limiti della macroscopica illogicità, irragionevolezza o di travisamento del fatto.
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4.1. L’art. 5, commi 9 e ss., D.L. n. 70 del 2011 (conv. in L. 106/2011) dispone che “Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili (…) è ammesso il rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili e complementari (…)".
4.2. In forza di tale disposizione, il presupposto in presenza del quale “è ammesso” –quindi comunque non “dovuto”- il rilascio di un permesso di costruire in deroga al vigente PRGC è che l’intervento edilizio consenta di perseguire “la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” e “la riqualificazione di aree urbane degradate”, caratterizzate, queste ultime, dalla “presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare”.
4.3. Nel contesto della disposizione, il riferimento all’esistenza di “funzioni eterogenee” o di “tessuti edilizi disorganici o incompiuti” o di “edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare” non individua presupposti autonomi per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, ulteriori rispetto a quelli costituiti dalla “razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” e dalla “riqualificazione di aree urbane degradate”, ma intende unicamente esemplificare gli specifici contesti urbani “degradati” in cui la norma trova applicazione.
In tal senso, Consiglio di Stato, sez. IV, 11.04.2014 n. 1767, secondo cui “
se può convenirsi che i “fini” della norma sono due: “la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate”, sono queste ultime ad essere connotate dalla “presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare”.
Se così è, la norma si applica agli edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare soltanto ove ricadenti in “aree degradate”.
4.4. In altre parole,
l’esistenza di “edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare” costituisce un presupposto sufficiente a consentire il rilascio di un permesso di costruire in deroga al vigente strumento urbanistico comunale, soltanto nel caso in cui tali edifici si collochino in “aree urbane degradate”; solo in tal caso la legge consente al consiglio comunale di valutare l’assentibilità di proposte di edificazione in deroga al vigente PRGC e con il riconoscimento al soggetto proponente di particolari facoltà “premianti” (volumetria aggiuntiva, possibilità di delocalizzare la volumetria in area diversa, ammissibilità di modifiche della destinazione d’uso e delle sagome degli edifici), nella misura in cui gli interventi proposti consentano di perseguire l’interesse pubblico prioritario alla “razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” e alla “riqualificazione di aree urbane degradate”.
4.5.
La valutazione circa la sussistenza di tali presupposti, ed in particolare circa l’esistenza di aree urbane “degradate”, è rimessa per legge al consiglio comunale; si tratta di una valutazione connotata da ampia discrezionalità tecnica, tenuto che conto che essa può comportare deroghe più o meno estese alla vigente strumentazione urbanistica, e che per tale motivo è sindacabile da questo giudice solo in presenza di profili di macroscopica illogicità, irragionevolezza o di travisamento del fatto: profili che, nel caso di specie, il collegio non rileva.
4.6. Le società ricorrenti sostengono che lo stato di degrado dell’area si evincerebbe sia dalla motivazione della delibera consiliare impugnata, sia dalla documentazione versata in atti.
Il collegio non condivide la tesi di parte ricorrente:
   - premesso che
la nozione di “degrado” di un bene non attinge a regole tecniche desunte da scienze esatte e quindi sconta sempre, inevitabilmente, un tasso più o meno elevato di opinabilità, va osservato che nella motivazione della delibera consiliare n. 48/2017 l’area è così descritta: “L’area presenta le seguenti caratteristiche: la proprietà risulta delimitata da una recinzione il cui accesso principale è individuato da un cancello carraio posto sulla via ... al civico 75. Nell’area sono presenti alcune serre, bassi fabbricati e tettorie aperte e chiuse (in cattivo stato di manutenzione e derivanti dall’attività agricola preesistente), ora utilizzate per il parcheggio degli autobus di linea appartenenti alla ditta Ca., proprietaria degli immobili. La restante parte della proprietà risulta inutilizzata, incolta e ricoperta da vegetazione”; il provvedimento, osserva il collegio, non sembra individuare un’area “degradata”, quanto piuttosto un’area su cui insistono manufatti in cattivo stato di manutenzione (ma tuttora utilizzati da una delle società ricorrenti per l’esercizio della propria attività imprenditoriale di autotrasporto), e in parte costituita da terreno incolto e inutilizzato;
   - la stessa documentazione fotografica prodotta in giudizio dalle società ricorrenti (doc. 11) non restituisce l’immagine di un’area “degradata”: si percepisce la presenza di abbondante vegetazione spontanea, con alcuni modesti manufatti agricoli in evidente stato di cattiva manutenzione; sembra anche di percepire che l’area si collochi in un contesto rurale, o comunque scarsamente urbanizzato; tuttavia, dedurre da questi elementi l’esistenza di un’area urbana degradata è una conclusione che il collegio non ritiene di condividere, e che comunque, allo stato degli atti, appare quanto meno opinabile;
   - è noto, a questo riguardo, che
quando l'Amministrazione non applica scienze esatte che conducono ad un risultato certo ed univoco, ma formula un giudizio tecnico connotato da un fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare quest'ultimo non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità, l'evidente insostenibilità, con la conseguenza che, ove non emergano travisamenti, pretestuosità o irrazionalità, ma solo margini di fisiologica opinabilità e non condivisibilità della valutazione tecnico-discrezionale operata dalla Pubblica amministrazione, il giudice amministrativo non può sovrapporre alla valutazione opinabile del competente organo della stessa la propria, giacché diversamente egli sostituirebbe un giudizio opinabile (nella specie, quello del consiglio comunale circa l’insussistenza di una situazione di degrado dell’area interessata dal progetto di edificazione in deroga al PRGC) con uno altrettanto opinabile (nella specie, quello espresso dalla difesa di parte ricorrente), assumendo così un potere che la legge riserva all'Amministrazione;
   - in tale contesto, pertanto, ritiene il collegio che la valutazione del consiglio comunale di Giaveno circa l’insussistenza di un’area degradata da riqualificare, per quanto opinabile, non sia tuttavia manifestamente illogica o irragionevole o frutto di un macroscopico travisamento della situazione di fatto, e in quanto tale si sottragga al sindacato giurisdizionale di questo giudice, alla stregua dei principi sopra esposti.
4.7. A tali considerazioni va poi aggiunto un rilievo di fondo, e cioè che l’art. 5, comma 9, del Decreto Sviluppo n. 70/2011 (convertito in L. 106/2011) si limita ad individuare i presupposti in presenza dei quali l’amministrazione può rilasciare eccezionalmente un permesso di costruire in deroga alla vigente strumentazione urbanistica, senza la necessità di passare attraverso una previa modifica formale dello strumento urbanistico: “può”, non “deve”.
In altre parole,
pur in presenza di “aree degradate…con edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare”, l’amministrazione non è obbligata ad accogliere qualsiasi richiesta di edificazione presentata da privati in deroga al vigente piano regolatore comunale, per il solo fatto che questa consenta di razionalizzare il patrimonio edilizio esistente e di riqualificare aree urbane degradate; l’amministrazione può farlo, ma non è vincolata a farlo; il principio di carattere generale è che lo strumento urbanistico va rispettato finché è in vigore; la possibilità di rilasciare permessi di costruire in deroga al vigente strumento urbanistico costituisce una eccezione a tale principio; eccezione che può essere assentita dall’amministrazione comunale in presenza di taluni presupposti previsti dalla legge, nell’esercizio di poteri ampiamente discrezionali che possono afferire anche agli indirizzi politici di fondo dell’amministrazione in carica in materia di governo del territorio (e che non a caso sono affidati, in prima battuta, al consiglio comunale, ossia all’organo elettivo a cui sono riservate per legge le decisioni più importanti in materia di governo del territorio, quali l’approvazione dei piani territoriali ed urbanistici); per tale motivo, si tratta di valutazioni di merito dell’amministrazione comunale, di carattere latamente politico, che potrebbero persino prescindere da particolari motivazioni di carattere tecnico e che, in ogni caso, sono sindacabili da questo giudice entro i limiti ristrettissimi di cui si è detto; per dirla in breve, è la concessione della deroga che va adeguatamente motivata, rappresentando un’eccezione ai principi generali della materia, non il suo diniego, che al contrario costituisce la mera riaffermazione di tali principi (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 18.09.2018 n. 1028 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA:  Illegittima la mancata notifica ai controinteressati nel caso di permesso di costruire in deroga al PGT..
Per fondare la legittimazione e l’interesse ad agire di un’azione di annullamento rivolta avverso un permesso di costruire è sufficiente l’elemento della vicinitas, intesa come situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato. Ne consegue che, in sua presenza, non è necessario accertare concretamente se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino un effettivo pregiudizio per il ricorrente.
Ritiene il Collegio che questi principi possano essere applicati anche in caso di permesso di costruire in deroga, posto che trattasi pur sempre di atto autorizzatorio riguardante una specifica opera, il cui impatto sul carico urbanistico influisce normalmente sugli interessi dei proprietari dei fondi finitimi.
Ciò premesso si deve osservare che i ricorrenti sono proprietari di immobili residenziali collocati in un complesso condominiale che, contrariamente da quanto sostiene la controinteressata, è posto in prossimità della struttura oggetto dell’atto impugnato: ritiene infatti il Collegio che la distanza di cinquanta metri sia tutt’altro che eccessiva e non faccia dunque perdere il carattere della prossimità necessario per fondare la legittimazione e l’interesse ad agire.
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La disciplina riguardante i permessi di costruire rilasciati in deroga alle previsioni contenute negli strumenti urbanistici è contenuta nell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 e nell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005.
Stabilisce il secondo comma del suindicato art. 14 che dell’avvio del procedimento instaurato per il rilascio di tale tipologia di permessi è dato avviso agli interessati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Disposizione analoga è contenuta nell’art. 40, ultimo comma, della legge regionale n. 12 del 2005.
Queste norme costituiscono deroga al principio generale, secondo il quale, per il rilascio del permesso di costruire, non è di regola necessario l’invio della comunicazione di avviso di avvio del procedimento ai proprietari dei fondi finitimi che potrebbero avere interesse contrario alla realizzazione dell’opera.
La deroga si spiega in quanto, mentre per il rilascio del permesso di costruire ordinario non è necessaria alcuna attività di comparazione degli interessi coinvolti, dovendo l’amministrazione semplicemente valutare la conformità dell’intervento alla normativa urbanistico-edilizia vigente, nei casi di permesso di costruire in deroga l’amministrazione deve invece effettuare una scelta discrezionale che si sostituisce a quella effettuata in sede di pianificazione, per il perfezionarsi della quale è dunque necessario l’apporto collaborativo dei vari soggetti portatori degli interessi coinvolti, così come avviene appunto per le scelte urbanistiche effettuate in sede di redazione del piano di governo del territorio.
E proprio perché il procedimento volto al rilascio di un permesso di costruire in deroga presenta, sul piano funzionale, caratteristiche simili a quello di approvazione di una variante al piano urbanistico, è necessario consentire una ampia partecipazione allo stesso procedimento, così come avviene per i procedimenti finalizzati all’approvazione delle varianti. Ne consegue che, nell’individuare i soggetti interessati ai sensi dell’art. 14, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40, ultimo comma, della legge regionale n. 12 del 2005, non si possono utilizzare criteri restrittivi, dovendosi dare alle due norme ampia applicazione.
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Viene dedotta la violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005 in quanto l’Amministrazione -senza autorizzare espressamente una deroga alle previsioni di piano riguardanti le destinazioni funzionali- permetterebbe la realizzazione di una struttura avente destinazione contrastante con le previsioni dello strumento urbanistico, violando peraltro in tal modo le suddette norme che, a dire dei ricorrenti, non ammetterebbero la possibilità di assentire deroghe alle destinazioni di piano impresse alle aree.
La censura è fondata per le ragioni di seguito esposte.
L’area interessata dal permesso di costruire impugnato ricade in zona asservita a verde pubblico, disciplinata dall’art. PS11 delle NTA del Piano dei Servizi. In base a tale norma, nella suddetta zona sono insediabili “punti di ristoro”.
Invero, in mancanza di esplicita definizione contenuta nella normativa regionale e/o di piano, al concetto di “punto di ristoro” non possano essere ricondotti i veri e propri ristoranti, giacché si deve ritenere che, in un’area destinata a verde pubblico, lo strumento di pianificazione intenda consentire l’insediamento di strutture aventi impatto urbanistico poco significativo che non costituiscano esse stesse polo di attrazione, ma siano esclusivamente funzionali a rendere più godibile la fruizione del parco. Si deve pertanto ritenere che nel concetto di “punto di ristoro” possano rientrare solo le strutture di dimensioni contenute, dove si somministrano bevande e, tutt’al più, cibi di veloce preparazione e consumazione.
A contrario non è utile il richiamo all’art. 30 delle NTA del Piano delle Regole, in quanto neppure tale norma fornisce la definizione specifica di “punto di ristoro”.
Ne consegue che la destinazione dell’opera oggetto degli atti impugnati, destinata ad ospitare un vero e proprio ristorante, non è compatibile con le previsioni di piano anche per il profilo della destinazione funzionale.
Va a questo punto rilevato che la delibera di Consiglio comunale non ha autorizzato la deroga alla destinazione funzionale, ma ha esclusivamente autorizzato la deroga al parametro riguardante il rapporto massimo di copertura.
Si deve pertanto rilevare che -indipendentemente dalla risoluzione delle problematiche astratte circa la possibilità, per i permessi di costruire in deroga, di derogare alle previsioni di piano attinenti alle destinazioni funzionali delle aree (problematica che involge anche questioni di carattere costituzionale stante la non conformità sul punto dell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005 con l’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale per gli aspetti che vengono qui in rilievo sembrerebbe dettare norme di principio)- sul piano concreto, l’opera oggetto del presente giudizio non possa comunque essere realizzata, e ciò proprio in quanto, con la suddetta delibera, il Comune (evidentemente ritenendo erroneamente che l’opera stessa fosse, sotto il profilo funzionale, conforme allo strumento urbanistico) non ha autorizzato alcuna deroga alle destinazioni d’uso.
Coglie pertanto nel segno la doglianza del ricorrente nella parte in cui deduce appunto l’illegittimità degli atti impugnati per aver essi assentito la realizzazione di un’opera non conforme alle previsioni contenute nello strumento urbanistico che disciplinano le destinazioni d’uso delle aree.
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In base all’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed all’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005, il permesso di costruire in deroga agli strumenti di pianificazione può essere rilasciato esclusivamente per la realizzazione di impianti ed edifici pubblici o di interesse pubblico.
La giurisprudenza ha precisato che, siccome le norme fanno riferimento, non solo alle opere pubbliche, ma anche agli interventi di interesse pubblico, il permesso di costruire in deroga può essere rilasciato anche per la realizzazione di edifici privati per i quali sussista appunto un interesse pubblico alla loro realizzazione.
La giurisprudenza afferma inoltre che la deliberazione di consiglio comunale che assente tale tipologia di interventi deve essere specificamente motivata con riguardo al profilo dell’interesse pubblico, dovendo le amministrazioni dare conto, nel corpo motivazionale dell’atto, delle superiori ragioni che le inducono ad introdurre un regime distonico rispetto alle previsioni di piano le quali, per loro natura, dovrebbero aver delineato un quadro armonico degli assetti del territorio, assetti che potrebbero venire invece compromessi dalle disposizioni derogatorie.
Si deve ancora aggiungere che, fra le ragioni che possono sostenere la scelta, vi può anche essere quella di ovviare a situazioni di degrado.
Va però rilevato che, a parere del Collegio, nel caso specifico, il riferimento alla situazione di degrado contenuta nel provvedimento impugnato (nel quale si evidenzia che la struttura precaria attualmente esistente, oltre che non contestualizzata con l’ambiente, arreca disturbo alla quiete pubblica) non fornisce adeguato supporto motivazionale alla scelta operata, giacché non si spiegano le ragioni per le quali, invece di intervenire sul piano sanzionatorio, si è preferito intervenire con un permesso di costruire in deroga, e ciò sebbene la situazione di degrado cui si intende ovviare è stata proprio causata dall’utilizzo inappropriato della terrazza di cui trattasi.
In altre parole, la delibera impugnata avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali, invece di vietare l’utilizzo di una struttura considerata fonte di degrado, si sia ritenuto che solo l’ampliamento del ristorante esistente costituisca elemento di valorizzazione dell’area e della globalità del quartiere, tanto da assurgere al rango di interesse pubblico preminente che giustifica addirittura la deroga al vigente strumento urbanistico.
Questi aspetti non sono stati illustrati nel corpo motivazionale del provvedimento impugnato; si deve pertanto ritenere che la motivazione in esso contenuta sia effettivamente inadeguata.
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1. Con il ricorso introduttivo viene impugnata la deliberazione di Consiglio comunale del Comune di Basiglio n. 24 del 10.06.2016, con la quale è stata accolta la domanda presentata dalla società AD. s.r.l., finalizzata all’ottenimento di una deroga, ai sensi dell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005 e dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la realizzazione di un intervento edilizio non conforme allo strumento urbanistico.
2. L’intervento consiste nella chiusura di una terrazza di pertinenza di un ristorante, mediante la sostituzione delle strutture rimovibili con altra tipologia di strutture di carattere fisso.
...
9. Deve preliminarmente esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti sollevata dalla controinteressata secondo la quale i ricorrenti sarebbero privi di legittimazione ed interesse ad agire.
10. In proposito va osservato che, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ha motivo per discostarsi, per fondare la legittimazione e l’interesse ad agire di un’azione di annullamento rivolta avverso un permesso di costruire è sufficiente l’elemento della vicinitas, intesa come situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato. Ne consegue che, in sua presenza, non è necessario accertare concretamente se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino un effettivo pregiudizio per il ricorrente (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.11.2015, n. 5278; Id., sez. III, 17.11.2015, n. 5257; TAR Piemonte Torino, sez. II, 15.11.2016, n. 1407; TAR Sicilia Catania, sez. I, 18.01.2016, n. 164).
11. Ritiene il Collegio che questi principi possano essere applicati anche in caso di permesso di costruire in deroga, posto che trattasi pur sempre di atto autorizzatorio riguardante una specifica opera, il cui impatto sul carico urbanistico influisce normalmente sugli interessi dei proprietari dei fondi finitimi.
12. Ciò premesso si deve osservare che i ricorrenti sono proprietari di immobili residenziali collocati in un complesso condominiale che, contrariamente da quanto sostiene la controinteressata, è posto in prossimità della struttura oggetto dell’atto impugnato: ritiene infatti il Collegio che la distanza di cinquanta metri sia tutt’altro che eccessiva e non faccia dunque perdere il carattere della prossimità necessario per fondare la legittimazione e l’interesse ad agire.
13. Per questa ragione l’eccezione in esame va respinta.
14. Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto l’Amministrazione ha omesso di inviare ai ricorrenti la comunicazione di avviso di avvio del procedimento.
15. In proposito si osserva quanto segue.
16. La disciplina riguardante i permessi di costruire rilasciati in deroga alle previsioni contenute negli strumenti urbanistici è contenuta nell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 e nell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005.
17. Stabilisce il secondo comma del suindicato art. 14 che dell’avvio del procedimento instaurato per il rilascio di tale tipologia di permessi è dato avviso agli interessati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Disposizione analoga è contenuta nell’art. 40, ultimo comma, della legge regionale n. 12 del 2005.
18. Queste norme costituiscono deroga al principio generale, secondo il quale, per il rilascio del permesso di costruire, non è di regola necessario l’invio della comunicazione di avviso di avvio del procedimento ai proprietari dei fondi finitimi che potrebbero avere interesse contrario alla realizzazione dell’opera (cfr. sul punto TAR Piemonte, sez. II, 14.03.2014, n. 448).
La deroga si spiega in quanto, mentre per il rilascio del permesso di costruire ordinario non è necessaria alcuna attività di comparazione degli interessi coinvolti, dovendo l’amministrazione semplicemente valutare la conformità dell’intervento alla normativa urbanistico-edilizia vigente, nei casi di permesso di costruire in deroga l’amministrazione deve invece effettuare una scelta discrezionale che si sostituisce a quella effettuata in sede di pianificazione, per il perfezionarsi della quale è dunque necessario l’apporto collaborativo dei vari soggetti portatori degli interessi coinvolti, così come avviene appunto per le scelte urbanistiche effettuate in sede di redazione del piano di governo del territorio.
19. E proprio perché il procedimento volto al rilascio di un permesso di costruire in deroga presenta, sul piano funzionale, caratteristiche simili a quello di approvazione di una variante al piano urbanistico, è necessario consentire una ampia partecipazione allo stesso procedimento, così come avviene per i procedimenti finalizzati all’approvazione delle varianti. Ne consegue che, nell’individuare i soggetti interessati ai sensi dell’art. 14, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40, ultimo comma, della legge regionale n. 12 del 2005, non si possono utilizzare criteri restrittivi, dovendosi dare alle due norme ampia applicazione.
20. Ciò premesso si deve osservare che il Comune di Basiglio non ha inviato ai ricorrenti la comunicazione di avviso di avvio del procedimento culminato con l’adozione dell’atto impugnato, e ciò sebbene questi soggetti risiedano in prossimità della struttura interessata dall’intervento.
21. Ritiene il Collegio che questa omissione costituisca una evidente violazione dell’art. 14, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 e che, quindi, la censura in esame sia da condividere.
22. A contrario non vale eccepire, come fa la controinteressata, che fra la struttura oggetto dell’intervento e le abitazioni dei ricorrenti è interposto un parco comunale. In proposito è, infatti, sufficiente rilevare che il parco comunale è di dimensioni contenute, tanto è vero che, come riconosce la stessa controinteressata, le abitazioni più prossime sono collocate a distanza inferiore a cinquanta metri dalla struttura; ad una distanza che permette ai residenti di percepirne appieno l’impatto visivo nonché di percepirne le propagazioni rumorose che da essa promanano.
23. Si deve pertanto ritenere che i ricorrenti rivestano la qualifica di soggetti interessati ai sensi del secondo comma dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001; ne consegue, che, come anticipato, l’Amministrazione avrebbe dovuto inviare loro la comunicazione prevista dalla suddetta norma.
24. Va quindi ribadita la fondatezza della censura.
25. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo ed il primo motivo dei motivi aggiunti (rubricato sub 2), viene dedotta la violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005 in quanto, con l’atto impugnato, l’Amministrazione -senza autorizzare espressamente una deroga alle previsioni di piano riguardanti le destinazioni funzionali- permetterebbe la realizzazione di una struttura avente destinazione contrastante con le previsioni dello strumento urbanistico, violando peraltro in tal modo le suddette norme che, a dire dei ricorrenti, non ammetterebbero la possibilità di assentire deroghe alle destinazioni di piano impresse alle aree.
26. La censura è fondata per le ragioni di seguito esposte.
27. L’area interessata dal permesso di costruire impugnato ricade in zona asservita a verde pubblico, disciplinata dall’art. PS11 delle NTA del Piano dei Servizi.
28. In base a tale norma, nella suddetta zona sono insediabili “punti di ristoro”.
29. Tanto premesso, va osservato che, secondo il Collegio, in mancanza di esplicita definizione contenuta nella normativa regionale e/o di piano, al concetto di “punto di ristoro” non possano essere ricondotti i veri e propri ristoranti, giacché si deve ritenere che, in un’area destinata a verde pubblico, lo strumento di pianificazione intenda consentire l’insediamento di strutture aventi impatto urbanistico poco significativo che non costituiscano esse stesse polo di attrazione, ma siano esclusivamente funzionali a rendere più godibile la fruizione del parco. Si deve pertanto ritenere che nel concetto di “punto di ristoro” possano rientrare solo le strutture di dimensioni contenute, dove si somministrano bevande e, tutt’al più, cibi di veloce preparazione e consumazione (in questo senso si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 06.08.2013, n. 4148).
30. A contrario non è utile il richiamo all’art. 30 delle NTA del Piano delle Regole, in quanto neppure tale norma fornisce la definizione specifica di “punto di ristoro”.
31. Ne consegue che la destinazione dell’opera oggetto degli atti impugnati, destinata ad ospitare un vero e proprio ristorante, non è compatibile con le previsioni di piano anche per il profilo della destinazione funzionale.
32. Va a questo punto rilevato che la delibera di Consiglio comunale n. 24 del 10.06.2016 non ha autorizzato la deroga alla destinazione funzionale, ma ha esclusivamente autorizzato la deroga al parametro riguardante il rapporto massimo di copertura.
33. Si deve pertanto rilevare che -indipendentemente dalla risoluzione delle problematiche astratte circa la possibilità, per i permessi di costruire in deroga, di derogare alle previsioni di piano attinenti alle destinazioni funzionali delle aree (problematica che involge anche questioni di carattere costituzionale stante la non conformità sul punto dell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005 con l’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale per gli aspetti che vengono qui in rilievo sembrerebbe dettare norme di principio)- sul piano concreto, l’opera oggetto del presente giudizio non possa comunque essere realizzata, e ciò proprio in quanto, con la suddetta delibera, il Comune (evidentemente ritenendo erroneamente che l’opera stessa fosse, sotto il profilo funzionale, conforme allo strumento urbanistico) non ha autorizzato alcuna deroga alle destinazioni d’uso.
34. Coglie pertanto nel segno la doglianza del ricorrente nella parte in cui deduce appunto l’illegittimità degli atti impugnati per aver essi assentito la realizzazione di un’opera non conforme alle previsioni contenute nello strumento urbanistico che disciplinano le destinazioni d’uso delle aree.
35. Preme al Collegio precisare che a contrario non è neppure utile invocare l’art. 23-bis, primo comma, lett. a-bis), del d.P.R. n. 380 del 2001 (che esclude la rilevanza urbanistica dei mutamenti di destinazione d’uso che comunque non sottraggono ai fabbricati la destinazione turistico-ricettiva), atteso che il terzo comma di tale norma fa salve le diverse disposizioni contenute negli strumenti urbanistici e che, per le ragioni sopra illustrate, si deve escludere che lo strumento urbanistico del Comune di Basiglio abbia inteso assentire l’insediamento di veri e propri ristoranti nell’area oggetto del presente giudizio.
36. Per tutte queste ragioni deve essere ribadita la fondatezza della censura in esame.
37. Con il terzo motivo del ricorso introduttivo e con il secondo motivo dei motivi aggiunti (rubricato sub 3), viene ancora dedotta la violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005 in quanto, a dire dei ricorrenti, le ragioni di interesse pubblico addotte a fondamento della decisione di concedere la deroga sarebbero del tutto inadeguate.
38. Anche questa censura è fondata per le ragioni di seguito esposte.
39. In base all’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed all’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005, il permesso di costruire in deroga agli strumenti di pianificazione può essere rilasciato esclusivamente per la realizzazione di impianti ed edifici pubblici o di interesse pubblico.
40. La giurisprudenza ha precisato che, siccome le norme fanno riferimento, non solo alle opere pubbliche, ma anche agli interventi di interesse pubblico, il permesso di costruire in deroga può essere rilasciato anche per la realizzazione di edifici privati per i quali sussista appunto un interesse pubblico alla loro realizzazione (cfr., Consiglio di Stato, sez. IV, 12.12.2005 n. 7031; id., sez V, 29.10.2002 n. 5913; TAR Puglia Lecce, sez. I, 23.09.2016, n. 1475; TAR Lombardia Milano, sez. II, 07.02.2014, n. 417).
41. La giurisprudenza afferma inoltre che la deliberazione di consiglio comunale che assente tale tipologia di interventi deve essere specificamente motivata con riguardo al profilo dell’interesse pubblico, dovendo le amministrazioni dare conto, nel corpo motivazionale dell’atto, delle superiori ragioni che le inducono ad introdurre un regime distonico rispetto alle previsioni di piano le quali, per loro natura, dovrebbero aver delineato un quadro armonico degli assetti del territorio, assetti che potrebbero venire invece compromessi dalle disposizioni derogatorie (Consiglio di Stato, sez. V, 05.09.2014, n. 4518; id., 20.12.2013, n. 6136; id., sez. IV, 23.07.1999, n. 4664; id., 03.02.1981, n. 128).
42. Si deve ancora aggiungere che, fra le ragioni che possono sostenere la scelta, vi può anche essere quella di ovviare a situazioni di degrado.
43. Va però rilevato che, a parere del Collegio, nel caso specifico, il riferimento alla situazione di degrado contenuta nel provvedimento impugnato (nel quale si evidenzia che la struttura precaria attualmente esistente, oltre che non contestualizzata con l’ambiente, arreca disturbo alla quiete pubblica) non fornisce adeguato supporto motivazionale alla scelta operata, giacché non si spiegano le ragioni per le quali, invece di intervenire sul piano sanzionatorio, si è preferito intervenire con un permesso di costruire in deroga, e ciò sebbene la situazione di degrado cui si intende ovviare è stata proprio causata dall’utilizzo inappropriato della terrazza di cui trattasi.
44. In altre parole, la delibera impugnata avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali, invece di vietare l’utilizzo di una struttura considerata fonte di degrado, si sia ritenuto che solo l’ampliamento del ristorante esistente costituisca elemento di valorizzazione dell’area e della globalità del quartiere, tanto da assurgere al rango di interesse pubblico preminente che giustifica addirittura la deroga al vigente strumento urbanistico.
45. Questi aspetti non sono stati illustrati nel corpo motivazionale del provvedimento impugnato; si deve pertanto ritenere che la motivazione in esso contenuta sia effettivamente inadeguata.
46. Le censure in esame sono, quindi, fondate (
TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza  09.05.2017 n. 1045 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Deroga al Prg per interesse pubblico. Edifici riconvertiti.
Se è garantita «fruibilità collettiva», il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici può essere rilasciato anche per trasformare un edificio privato storico in centro commerciale.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato -Sez. IV- nella sentenza 05.06.2015 n. 2761, bocciando il ricorso di un’associazione ambientalista contro la riqualificazione di un immobile privato del 1500, già sede di Poste, e sotto vincolo paesaggistico.
Il progetto –con l’«ok» di Consiglio comunale e Soprintendenza- prevedeva l’uso pubblico gratuito di spazi interni per almeno 10 giorni l’anno. Ciò, per la ricorrente, non assicurava l’«interesse pubblico» richiesto dal Testo unico dell’edilizia (articolo 14, Dpr n. 380/2001) che ammette la deroga «esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale» e nel rispetto del Codice dei beni culturali (Dlgs n. 42/2004).
Per il collegio, invece, con beni privati «occorre verificare se vi sia un interesse pubblico che possa concorrere con quello privato al recupero ed allo sfruttamento commerciale» e «non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell'edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effetti benefici per la collettività che dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso, ed esulante da considerazioni meramente finanziarie».
Nel caso di specie, si è accertato che la deroga –con densità e altezza immutate- «ha un peso comparativamente minimo rispetto ai miglioramenti che ne derivano (…) (recupero, accessibilità, fruibilità, incremento occupazionale, eccetera»
(articolo Il Sole 24 Ore del 09.07.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in deroga per gli edifici privati.
L’art. 14 del Dpr 380/2001 stabilisce che il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel D.lgs. 490/1999 (ora D.lgs. 42/2004) e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.
Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la recente sentenza 05.06.2015 n. 2761 ha fornito una interpretazione innovativa ed ampia dell’art. 14,
dichiarando legittima l’applicazione del permesso di costruire in deroga ad un intervento di recupero di un immobile privato riconosciuto di interesse pubblico dall’amministrazione comunale.
Il Consiglio di Stato ha evidenziato che “
non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell’edificio o al suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effetti benefici per la collettività che potenzialmente derivano dalla deroga, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso”.
Nella fattispecie è stata riconosciuta la legittimità di un permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico generale per la realizzazione dell’intervento di riqualificazione di un edificio storico di proprietà privata destinato ad uso commerciale perché rispondente a criteri di interesse pubblico, infatti:
- recuperava uno dei più antichi edifici del centro storico;
- apriva integralmente al pubblico un edificio rimasto chiuso per decenni;
- consentiva la fruizione pubblica gratuita di ampi spazi interni per iniziative culturali e turistiche;
- non comportava alcun onere finanziario al comune ed anzi procurava ad esso notevoli risorse finanziarie straordinarie;
- attivava ingenti investimenti privati con creazione di nuovi posti di lavoro, ecc.
Si ricorda che il D.L. 133/2014 cd. “sblocca cantieri” (convertito dalla Legge 164/2014) ha inserito il comma 1-bis nell’art. 14 del Dpr 380/2001 che permette l’applicazione del permesso di costruire in deroga agli interventi di ristrutturazione edilizia, compresi quelli in aree industriali dismesse, anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesti l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta originaria, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall’art. 31, comma 2, del D.L. 201/2011 (convertito dalla Legge 214/2011) (commento tratto da www.ance.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA

A - In ordine ai presupposti per il rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali:
Secondo l’appellante il progetto di riqualificazione non sarebbe tale da portare alla realizzazione di un’opera di interesse pubblico, meritevole di deroghe rispetto alle previsioni di Piano. Se è vero che la convenzione prevede l’utilizzo della corte interna per eventi culturali almeno 10 giorni all’anno e della sala eventi per iniziative istituzionali del Comune, sarebbe d’altronde innegabile che la fruizione di tali spazi è eventuale, parziale e temporanea, e comunque subordinata ad un previo accordo fra le parti. Il TAR del resto non avrebbe fornito alcun elemento in ordine all’effettivo svolgimento di una comparazione fra tutti gli interessi pubblici in rilievo.
Il motivo è privo di fondamento.
Il Comune ha diffusamente e specificatamente motivato sul punto, ed il TAR ha correttamente statuito in proposito. L’edificio in questione è di proprietà privata, ragion per cui ciò che occorre verificare è se vi sia un interesse pubblico che possa concorrere con quello privato al recupero ed allo sfruttamento commerciale. Non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell’edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effetti benefici per la collettività che dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso, ed esulante da considerazioni meramente finanziarie.
Nel caso di specie, l’amministrazione locale non solo ne ha dedotto l’esistenza, ma lo ha sostanziato e giustificato, evidenziando come “l'intervento di riqualificazione e rifunzionalizzazione del Fontego risponde ai criteri di interesse pubblico in quanto:
- recupera uno dei più antichi ed ampi edifici storici della Città Antica, qualificato come bene culturale, con la riproposizione dell'originaria destinazione commerciale propria del Fondaco, integrata con la destinazione culturale;
- apre al pubblico l'intero edificio del Fondaco, anche per le parti rimaste inaccessibili per decenni durante l’uso dei servizi postali;
- consente la fruizione pubblica gratuita di ampi spazi interni al Fondaco per iniziative culturali e di promozione turistica;
- non comporta alcun onere finanziario al Comune di Venezia, anzi procura allo stesso notevoli risorse finanziarie straordinarie;
- attiva investimenti privati ingenti, con creazione, a regime, di nuovi posti di lavoro stimati in non meno di 400 posti di lavoro diretti oltre quelli dell'indotto;
- consolida i servizi offerti dalla Città storica al mercato internazionale
".
Considerazioni -quelle esposte- del tutto ragionevoli, ove si consideri che gli aspetti edilizi oggetto di deroga, riguardano un edificio già esistente, divenuto di proprietà privata a seguito di dismissione dal patrimonio dello Stato, in attuali precarie condizioni di manutenzione, del quale si chiede il recupero nel rispetto dei vincoli paesaggistici e storico artistici.
Si vuol cioè dire che il “sacrificio” delle previsioni pianificatorie e dell’ordine in esse precostituito -consistente nella modifica della destinazione d’uso ed in un modestissimo incremento dell’altezza con conseguente incremento volumetrico, ferma la salvaguardia dei valori monumentali e paesaggistici– ha un peso comparativamente minimo rispetto ai miglioramenti che ne derivano in relazione ad una serie di concorrenti interessi pubblici pure affidati alla cura dell’autorità amministrativa locale (recupero, accessibilità, fruibilità, incremento occupazionale, etc.)
Non meritano condivisione le ulteriori affermazione dell’appellante che, più che dolersi della nuova destinazione commerciale dell’immobile, stigmatizza il carattere eventuale, parziale e temporaneo della fruizione collettiva, comunque subordinata ad un previo accordo fra le parti.
Dalla lettura della convenzione emerge che il previo accordo annuale fra le parti riguarda le modalità ed i programmi e non certo la sussistenza dell’obbligazione in capo al proprietario, che è prevista con carattere di certezza.
A1 – In ordine alla legittimità dei contenuti della deroga:
Secondo l’appellante, quanto al limite della densità edilizia, il TAR avrebbe sostanzialmente fatto propria la difesa comunale, e con essa, il vizio di fondo che inficia il calcolo dei parametri: in particolare il volume dell’edificio sarebbe stato calcolato, prima e dopo l’intervento di riqualificazione, con criteri diversi e male applicati, con il risultato che, nonostante le oggettive addizioni, il volume esistente risulterebbe maggiore di quello di progetto.
L’errore tecnico dipenderebbe dal calcolo delle altezze che, poiché comprensivo, secondo il nuovo criterio, di volumi prima non computabili, determinerebbe la sovrastima dei volumi esistenti. Per il resto, il TAR non avrebbe spiegato come mai l’aumento di volume debba considerarsi interno e non esterno alla sagoma. La struttura di travi d’acciaio che sorregge il nuovo padiglione vetrato sarebbe alta 3 metri, in guisa da generare un volume esterno di 990 metri cubi.
In ogni caso il concetto di densità edilizia di cui all’art. 7 del DM 1444/1968 sarebbe da riferire al volume dell’intero edificio, senza distinzione alcuna tra interno ed esterno. Il TAR avrebbe errato anche in relazione ai limiti di altezza di cui all’art. 8 del DM 1444/1968: pur riconoscendo che l’esistenza del corpo aggiunto (cd lucernario-lanterna) determina incremento di 1,6 metri dell’altezza, ne avrebbe contraddittoriamente escluso la rilevanza considerandola una superfetazione; inoltre avrebbe erroneamente applicato l’art. 8 cit., qualificando l’intervento come di “nuova costruzione” invece che di “risanamento”.
Ancora, il TAR avrebbe errato nel ritenere consentita la deroga ai caratteri costruttivi del tetto, atteso il tenore dell’art. 14 del dpr 380/2001, che consente deroga esclusivamente ai limiti di densità edilizia e di altezza.
Le censure non sono convincenti.
Quanto al rispetto dei limiti della deroga individuati negli articoli 7, 8 del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444, occorre procedere per punti:
A mente dell’art. 7 “per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni conservative, le densità edilizie di zona e fondiarie non debbono superare quelle preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico”.
L’appellante, asserisce che, poiché il progetto di restauro e risanamento prevede un aumento di volume, ne deriverebbe automaticamente un aumento della densità edilizia.
I due piani però non sono sovrapponibili. Gli indici urbanistici adottati dal Comune di Venezia nell’ambito del regolamento edilizio ed utilizzati per la pianificazione urbanistica non contengono il riferimento alla densità edilizia fondiaria, ma quello all’ indice di utilizzazione fondiaria (Uf), espressa dal rapporto tra superficie lorda di pavimento Sp e superficie fondiaria Sf.
La superficie lorda di pavimento è determinata con riferimento agli edifici esistenti, dividendo il volume dell'edificio per l'altezza virtuale definita dal coefficiente di m. 3. Il risultato individua la potenzialità edificatoria massima teorica dell'edificio in termini di Sp (insuperabile anche ai sensi del D.M. n. 1444/1968). Trattasi di un parametro cioè che, per come è concepito, consente margini ampliativi della superficie, nel rispetto dell’indice.
Una volta individuato il parametro inderogabile nell’indice di utilizzazione fondiaria, è chiaro che il volume reale non per questo diventa un dato urbanistico irrilevante, ma lo stesso diviene suscettibile di deroga, essendo previsto nella strumentazione urbanistica e non trovando specifici limiti nell’art. 7. Del resto, se l’art. 7 avesse voluto fare semplicemente riferimento ad un volume massimo non avrebbe utilizzato il concetto, molto più complesso ed elastico, di “densità”, concetto di relazione indicante il rapporto tra una data grandezza e l’estensione su cui essa si distribuisce.
Quanto all’altezza, anche a voler considerare l’intervento quale semplice risanamento conservativo non implicante trasformazioni, ed a voler considerare inderogabile l’altezza preesistente, deve comunque rilevarsi che, nel caso di specie, l’altezza del corpo di fabbrica è rimasta invariata e si è progettata una modifica morfologica della copertura con montaggio della “lanterna” centrale ad una quota più alta di 1,60 metri, con una soluzione progettuale ed una linea che non tradisce la ratio che ispira l’art. 8 del D. M 1444/1968 e l’art. 14 del TU edilizia, il primo teso ad imporre limiti nella pianificazione del territorio, il secondo finalizzato a consentire ragionevoli e temperate deroghe ai quei limiti ove l’organo rappresentativo della collettività locale ravvisi un interesse pubblico prevalente.
Ancora –secondo l’appellante- il TAR avrebbe errato nel ritenere consentita la deroga ai caratteri costruttivi del tetto, atteso il tenore dell’art. 14 del dpr 380/2001, che consente deroga esclusivamente ai limiti di densità edilizia e di altezza. Anche in questo caso il principio di ragionevolezza vuole che, se sono consentite deroghe a parametri urbanistici rilevanti, come la densità, l’altezza, la distanza, oggetto di specifica normazione e standardizzazione su base nazionale, a fortiori possono essere consentite deroghe alle caratteristiche costruttive di alcuni elementi, ovviamente ove sia previamente acquisita la valutazione della competente Sovrintendenza.

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: La concessione edilizia in deroga, com'è noto, si differenzia radicalmente, sia dal punto di vista procedimentale che da quello sostanziale, rispetto alla ordinaria concessione edilizia, che consente all'Amministrazione di esercitare un potere ampiamente discrezionale per perseguire un interesse pubblico ritenuto preminente, consistente nella disapplicazione di una norma a una fattispecie concreta, che pure presenta tutti gli elementi per essere assoggettata alla disciplina da essa dettata e che, costituendo una vera decisione urbanistica rientra nella competenza esclusiva del Consiglio comunale.
Devono essere innanzitutto respinte le censure sollevate con i motivi aggiunti notificati il 13.12.2014, puntualmente riproposti con l'appello principale, concernenti l'asserita illegittimità della concessione edilizia n. 255 del 18.11.1991 rilasciata alla società Sud Costruzioni s.r.l. e della successiva concessione -per variante in corso d’opera ed intestazione– n. 88 del 29.01.1993, rilasciata alla società Rubino G. & P. s.n.c., per la mancata approvazione del progetto delle realizzande residenze universitarie da parte del Consiglio Comunale di Bari e per la mancata predisposizione e approvazione della convenzione per il corretto utilizzo delle stesse.
Invero, ancorché la concessione edilizia n. 255 del 18.11.1991 (e la successiva n. 88 del 29.01.1993) riguardi la realizzazione di un edificio di interesse pubblico, tali potendo essere qualificate le residenze universitarie, non può tuttavia negarsi che né nella richiesta di rilascio della concessione, né in quest'ultima (e nella successiva variante) si riscontra un sia pur minimo accenno alla circostanza che si tratti di una concessione edilizia in deroga, che, com'è noto, si differenzia radicalmente, sia dal punto di vista procedimentale che da quello sostanziale, rispetto alla ordinaria concessione edilizia, che consente all'Amministrazione di esercitare un potere ampiamente discrezionale per perseguire un interesse pubblico ritenuto preminente, consistente nella disapplicazione di una norma a una fattispecie concreta, che pure presenta tutti gli elementi per essere assoggettata alla disciplina da essa dettata (Cons. St, sez.. IV, 23.07.2009, n. 4664) e che, costituendo una vera decisione urbanistica rientra nella competenza esclusiva del Consiglio comunale
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.10.2014 n. 4933 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo il permesso di costruire in "deroga" agli strumenti urbanistici consentendo la realizzazione di un impianto sportivo in zona classificata come agricola e, dunque, al di là dei limiti autorizzabili di deroga che delinea l'art. 14 dpr 380/2001 per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, ove al terzo comma sono identificati esclusivamente -fermo il rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza- nei limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra fabbricati.
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3. Il ricorso è infondato.
Premesso che la censura sul contenuto effettivo della delibera consiliare si colloca su un piano fattuale, cui non si estende il controllo del giudice di legittimità, deve darsi atto che l'ordinanza impugnata esplica in modo adeguato proprio la valutazione della sussistenza degli
elementi giustificativi della cautela disposta dal gip. Per quanto riguarda, in particolare, la questione del contrasto tra la delibera del consiglio comunale del 10.06.2013 e gli strumenti urbanistici vigenti, il  Tribunale espressamente condivide quanto ritenuto dal gip, e cioè che
il permesso conseguentemente rilasciato è illegittimo -concernendo un'area classificata agricola e dunque non edificabile- in quanto sussiste violazione dell'articolo 14 d.p.r. 380/2001.
Infatti -rileva il Tribunale-
il permesso di costruire pone una illegittima deroga appunto agli strumenti urbanistici laddove consente la realizzazione di un impianto sportivo in zona classificata come agricola, e dunque al di là dei limiti autorizzabili di deroga che delinea il citato articolo 14 per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, al terzo comma li identifica esclusivamente -fermo il rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza- nei limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra fabbricati (cfr. motivazione, pagina 3).
Peraltro, rimarcando che l'imputazione non include il reato edilizio di cui all'articolo 44 d.p.r. 380/2001, circoscrivendosi al delitto di abuso di ufficio, il Tribunale, ai fini dell'integrazione appunto del reato di cui all'articolo 323 c.p., osserva che il contrasto con il citato articolo 14 era già ravvisabile nel regolamento edilizio del Comune approvato con delibera del consiglio comunale n. 35 del 29.11.2011 -regolamento che prevede all'articolo 108 la possibilità di rilasciare permessi di costruire in deroga anche in zona agricola per interventi di tipo turistico-sportivo-, desumendone la carenza del fumus commissi delicti quanto al dolo intenzionale di favorire i ricorrenti nella condotta degli amministratori, ed avendo d'altronde gli attuali proprietari acquistato il terreno solo quando l'iter prodromico al rilascio del permesso era ormai completo.
In conclusione, deve ritenersi che il Tribunale abbia adempiuto il suo obbligo di riesame vagliando -come si è visto, con esito negativo sul piano dell'elemento soggettivo- il presupposto del fumus commissi delicti, tra l'altro non attribuendo alla delibera consiliare che il 03.05.2013 ha approvato a maggioranza la proposta dell'assessore ai lavori pubblici di rilasciare il permesso in deroga di destinazione d'uso un contenuto di "modifica generale del piano regolatore" (come censura il PM), al contrario ravvisando tale generalità contenutistica nella delibera consiliare del 29.11.2011 che aveva approvato il -illegittimo come il permesso di costruire quanto all'articolo 108- regolamento edilizio comunale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.09.2014 n. 46625 - udienza).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che per “edificio di interesse pubblico”, proprio ai fini del rilascio del titolo edilizio in deroga, deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica, potendo in tale categoria ricomprendersi anche una struttura alberghiera ed il suo ampliamento.
D’altra parte, se è vero che la concessione edilizia in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici, quale espressione di un potere di natura eccezionale, necessita di un’adeguata e congrua motivazione, è altrettanto vero che nel caso di specie la lettura della impugnata delibera consiliare (ed in particolare il contenuto degli interventi svolti dai consiglieri comunali sullo specifico argomento all’ordine del giorno) esclude, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza del dedotto vizio di motivazione del predetto provvedimento, emergendo in modo chiaro ed in equivoco l’iter logico–giuridico che determinato la scelta dell’organo consiliare; tanto meno poi sono ictu oculi apprezzabili macroscopiche contraddittorietà della delibera in questione, esse non potendo coincidere con il soggettivo dissenso degli appellanti alla deroga concessa dall’amministrazione.
Neppure, sotto altro concorrente profilo, può condividersi l’assunto secondo cui la deroga non avrebbe riguardato le previsioni urbanistiche generali, bensì quelle contenute nel piano di recupero edilizio di iniziativa privata che disponeva l’obbligo di aderenza tra edifici ad una minore altezza, con sua conseguente illegittimità, manifestamente erronea essendo, sempre secondo gli appellanti, anche l’affermazione circa l’intervenuta scadenza del piano attuativo per decorso del termine decennale, tale scadenza riguardando esclusivamente gli interventi dichiarati di pubblica utilità.
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Va richiamata la giurisprudenza consolidata secondo cui il piano di recupero costituisce uno strumento attuativo delle previsioni urbanistiche contenute nel piano regolatore generale, equivalente ad un piano particolareggiato e di livello gerarchicamente subordinato.
E’ pertanto inconciliabile, dal punto di vista logico–giuridico, ammettere la derogabilità del piano regolatore generale e l’inderogabilità di quello attuativo, per sua natura subordinato al primo, ciò senza contare che nel caso di specie, come correttamente rilevato dai primi giudici, le deroghe (che concernono il distacco dai fabbricati contermini, indicato in ml. 3,80, anziché in aderenza, e l’altezza massima, prevista in ml. 13, come peraltro già disciplinato dalle N.T.A., indipendentemente dalla sagoma dei fabbricati contermini) non attengono affatto al piano di recupero (attuativo), ma alle stesse previsioni del piano regolatore generale ed alla sua concreta e particolare attuazione quanto alla specifica area interessata dalla concessione edilizia in deroga.

E’ innanzitutto destituita di fondamento la tesi degli appellanti circa l’inammissibilità del rilascio della concessione edilizia in deroga per un albergo, in quanto quest’ultimo non potrebbe essere considerato un edificio o impianto pubblico o di interesse pubblico, mancando in tal senso qualsiasi adeguata motivazione.
La giurisprudenza ha invero avuto modo di evidenziare che per “edificio di interesse pubblico”, proprio ai fini del rilascio del titolo edilizio in deroga, deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica (Cons. St., sez. V, 20.12.2013, n. 6136), potendo in tale categoria ricomprendersi anche una struttura alberghiera ed il suo ampliamento (Cons. St., sez. IV, 29.10.2002, n. 5913; 28.10.1999, n. 1641; 15.07.1998, n. 1044).
D’altra parte, se è vero che la concessione edilizia in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici, quale espressione di un potere di natura eccezionale, necessita di un’adeguata e congrua motivazione (Cons. St., sez. V, 20.12.2013, n. 6136; sez. IV, 23.07.1999, n. 4664; 03.02.1981, n. 128), è altrettanto vero che nel caso di specie la lettura della impugnata delibera consiliare (ed in particolare il contenuto degli interventi svolti dai consiglieri comunali sullo specifico argomento all’ordine del giorno) esclude, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza del dedotto vizio di motivazione del predetto provvedimento, emergendo in modo chiaro ed in equivoco l’iter logico–giuridico che determinato la scelta dell’organo consiliare; tanto meno poi sono ictu oculi apprezzabili macroscopiche contraddittorietà della delibera in questione, esse non potendo coincidere con il soggettivo dissenso degli appellanti alla deroga concessa dall’amministrazione.
Neppure, sotto altro concorrente profilo, può condividersi l’assunto secondo cui la deroga non avrebbe riguardato le previsioni urbanistiche generali, bensì quelle contenute nel piano di recupero edilizio di iniziativa privata che disponeva l’obbligo di aderenza tra edifici ad una minore altezza, con sua conseguente illegittimità, manifestamente erronea essendo, sempre secondo gli appellanti, anche l’affermazione circa l’intervenuta scadenza del piano attuativo per decorso del termine decennale, tale scadenza riguardando esclusivamente gli interventi dichiarati di pubblica utilità.
Al riguardo va richiamata la giurisprudenza consolidata secondo cui il piano di recupero costituisce uno strumento attuativo delle previsioni urbanistiche contenute nel piano regolatore generale, equivalente ad un piano particolareggiato e di livello gerarchicamente subordinato (ex multis, sez. IV, 29.12.2010, n. 9537; 29.07.2009, n. 4756; 05.03.2008, n. 922).
E’ pertanto inconciliabile, dal punto di vista logico–giuridico, ammettere la derogabilità del piano regolatore generale e l’inderogabilità di quello attuativo, per sua natura subordinato al primo, ciò senza contare che nel caso di specie, come correttamente rilevato dai primi giudici, le deroghe (che concernono il distacco dai fabbricati contermini, indicato in ml. 3,80, anziché in aderenza, e l’altezza massima, prevista in ml. 13, come peraltro già disciplinato dalle N.T.A., indipendentemente dalla sagoma dei fabbricati contermini) non attengono affatto al piano di recupero (attuativo), ma alle stesse previsioni del piano regolatore generale ed alla sua concreta e particolare attuazione quanto alla specifica area interessata dalla concessione edilizia in deroga
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.09.2014 n. 4518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali (deroga che, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi) è rilasciato esclusivamente per edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale (cfr. art. 14, comma 1, del DPR 06.06.2001, n. 380; in precedenza, l'art. 41-quater della legge urbanistica).
Se la deliberazione preliminare del Consiglio comunale costituisce un elemento necessario del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso, d'altro canto, la giurisprudenza amministrativa, da sempre, reputa che l'atto terminale del procedimento è costituito dal permesso di costruire in deroga, mentre la previa deliberazione del Consiglio comunale (salvo il caso di determinazione negativa) si configura come atto interno del procedimento, non immediatamente lesivo, impugnabile assieme agli atti di uguale natura confluiti nel procedimento stesso, solo congiuntamente all'atto finale, una volta emanato.
Ciò premesso, quello che conta maggiormente sottolineare è che la delibera consiliare è deputata soltanto a dettare gli indirizzi al soddisfacimento dei quali viene subordinato il rilascio della concessione in deroga; per contro, sono demandate agli uffici competenti, le verifiche e gli accertamenti volti a verificare la fattibilità del progetto che l'istante presenta al momento della richiesta del titolo edilizio.
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In ordine alla presentata richiesta di permesso di costruire "in deroga" risulta necessario precisare quanto segue:
  
dall’esame degli atti di causa emerge l'omessa comunicazione, da parte dell’amministrazione, dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza della ricorrente, ai sensi dell’art. 10-bis L. 241/1990.
Al riguardo e come noto, “la comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del provvedimento richiesto, disciplinata dall'art. 10-bis, della legge 07.08.1990 n. 241 ha la funzione, in un rapporto collaborativo con l'Amministrazione, di consentire al soggetto destinatario del provvedimento negativo di presentare delle controdeduzioni avverso i motivi di diniego per evidenziare eventuali profili di illegittimità dell'atto finale in via di formazione (profili che dovranno poi essere valutati dall'amministrazione ed esternati con la motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento), e serve per consentire all'Amministrazione di acquisire ulteriori elementi per l'adozione di una legittima determinazione finale, con gli evidenti effetti deflazionistici sul contenzioso”.
Nella specie l’amministrazione comunale non ha consentito al ricorrente l’instaurazione del contraddittorio sulle ragioni poste a fondamento del diniego e, in particolare, sull’asserita necessità dell’adozione di una variante del P.R.G.;
  
non è ostativa all’accoglimento del ricorso, nella fattispecie, la previsione dell'articolo 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Il procedimento in esame, infatti, non può ritenersi di natura strettamente vincolata in quanto involge, e richiede, da parte dell’Amministrazione, un’istruttoria complessa destinata a fare luce su molteplici aspetti che la norma prende in esame per verificare la possibilità di addivenire alla deroga e, in particolare, da un lato la valutazione dell’interesse pubblico dell’opera, dall’altro la considerazione dei limiti in cui la stessa può essere autorizzata, tenuto conto dei vincoli che possono risultare ostativi alla deroga.
Nel caso di specie, trattandosi di struttura deputata alla fornitura di prestazioni sanitarie, la sussistenza del requisito dell’interesse pubblico non è revocabile in dubbio.
  
tuttavia, l’art. 14 del D.P.R. 380/2001 prevede altresì che la deroga alla disciplina urbanistica:
1) è inammissibile se contrastante con la normativa paesaggistica di cui al D.Lg.vo n. 42/2004, con le "norme igieniche, sanitarie e di sicurezza" e con le "altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia";
2) "può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968", cioè tale deroga può riferirsi soltanto ai parametri edilizi della densità edilizia, dell'altezza e della distanza tra i fabbricati, previsti dagli strumenti urbanistici generali ed esecutivi in misura maggiore e/o superiore a quelli stabiliti dai predetti artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, disciplinato da tale norma, non può quindi essere rilasciato, se contrastante con le norme e prescrizioni urbanistiche, diverse da quelle in tema di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati ("fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968"), come per esempio quelle in materia di destinazioni di zona e/o di uso.
Con riferimento a tali aspetti nessun contraddittorio è stato sollecitato dall’Amministrazione comunale.
Non può quindi ritenersi che l’interlocuzione con la ricorrente da attivare con il "preavviso" non avrebbe variato il contenuto del provvedimento conclusivo, stante la necessità di chiarire, in ogni caso con la partecipazione dell’interessato, quale fosse l’ostacolo della normativa di piano regolatore generale rilevante nella fattispecie.
  
ritiene, inoltre, il Collegio che, nella fattispecie l'onere della motivazione non sia stato né sufficientemente né correttamente assolto, avendo l’Amministrazione comunale fatto riferimento in modo del tutto generico ed apodittico alla necessità della variante, senza in alcun modo specificare quali aspetti del progetto risultassero in contrasto con quali precisi vincoli posti dalla pianificazione.
Tale indicazione risultava tanto più necessaria se si considera che il permesso in deroga era stato già rilasciato una volta ed era decaduto per la mancata ultimazione delle opere nel termine previsto.
Inoltre, considerato che l'ordinamento consente di derogare alla ordinaria disciplina pianificatoria, privilegiando il concorrente interesse pubblico sotteso alla deroga, la previsione di tale specifico potere esclude, tuttavia, per la contraddizione che non consente la diversa conclusione che si possa attribuire rilevanza preclusiva alla valutazione del solo contrasto con la pianificazione urbanistica comunale.

Il presente ricorso verte essenzialmente sul diniego di rilascio del secondo permesso di costruire in deroga, scaduto il primo, per l’ampliamento della struttura adibita dalla società ricorrente a casa di cura deputata a fornire prestazioni specialistiche in varie branche sanitarie.
Giova premettere che il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali (deroga che, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi) è rilasciato esclusivamente per edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale (cfr. art. 14, comma 1, del DPR 06.06.2001, n. 380; in precedenza, l'art. 41-quater della legge urbanistica). Se la deliberazione preliminare del Consiglio comunale costituisce un elemento necessario del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso, d'altro canto, la giurisprudenza amministrativa, da sempre (quantomeno a partire da Consiglio Stato, sez. V, 06.06.1984, n. 433), reputa che l'atto terminale del procedimento è costituito dal permesso di costruire in deroga, mentre la previa deliberazione del Consiglio comunale (salvo il caso di determinazione negativa) si configura come atto interno del procedimento, non immediatamente lesivo, impugnabile assieme agli atti di uguale natura confluiti nel procedimento stesso, solo congiuntamente all'atto finale, una volta emanato (così TAR Milano, Sez. II, 09.04.1998, n. 728; più recentemente, TAR Sardegna sez. II, 04.06.2012, n. 556). Ciò premesso, quello che conta maggiormente sottolineare è che la delibera consiliare è deputata soltanto a dettare gli indirizzi al soddisfacimento dei quali viene subordinato il rilascio della concessione in deroga; per contro, sono demandate agli uffici competenti, le verifiche e gli accertamenti volti a verificare la fattibilità del progetto che l'istante presenta al momento della richiesta del titolo edilizio.
Nel caso di specie il permesso è stato negato avendo il Comune addotto che le opere progettate avrebbero richiesto una variante al Piano regolatore generale, senza alcuna ulteriore specificazione.
Dall’esame degli atti di causa emerge, in primo luogo, la fondatezza del primo motivo del ricorso principale, con il quale è stata contestata la omessa comunicazione, da parte dell’amministrazione, dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza della ricorrente, ai sensi dell’art. 10-bis L. 241/1990.
Nella fattispecie risulta pacifico che alla società ricorrente non è stata inviata la comunicazione prevista dall’art. 10-bis L. 241/1990.
Come noto, “la comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del provvedimento richiesto, disciplinata dall'art. 10-bis, della legge 07.08.1990 n. 241 ha la funzione, in un rapporto collaborativo con l'Amministrazione, di consentire al soggetto destinatario del provvedimento negativo di presentare delle controdeduzioni avverso i motivi di diniego per evidenziare eventuali profili di illegittimità dell'atto finale in via di formazione (profili che dovranno poi essere valutati dall'amministrazione ed esternati con la motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento), e serve per consentire all'Amministrazione di acquisire ulteriori elementi per l'adozione di una legittima determinazione finale, con gli evidenti effetti deflazionistici sul contenzioso” (cfr., da ultimo, TAR Napoli, sez. VIII, sent. n. 958/2014).
Nella specie l’amministrazione comunale non ha consentito al ricorrente l’instaurazione del contraddittorio sulle ragioni poste a fondamento del diniego e, in particolare, sull’asserita necessità dell’adozione di una variante del P.R.G. del Comune di Caserta.
Non è ostativa all’accoglimento del ricorso, nella fattispecie, la previsione dell'articolo 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; il procedimento in esame, infatti, non può ritenersi di natura strettamente vincolata in quanto involge, e richiede, da parte dell’Amministrazione, un’istruttoria complessa destinata a fare luce su molteplici aspetti che la norma prende in esame per verificare la possibilità di addivenire alla deroga e, in particolare, da un lato la valutazione dell’interesse pubblico dell’opera, dall’altro la considerazione dei limiti in cui la stessa può essere autorizzata, tenuto conto dei vincoli che possono risultare ostativi alla deroga.
Nel caso di specie, trattandosi di struttura deputata alla fornitura di prestazioni sanitarie, la sussistenza del requisito dell’interesse pubblico non è revocabile in dubbio.
Tuttavia, l’art. 14 del D.P.R. 380/2001 prevede altresì che la deroga alla disciplina urbanistica:
1) è inammissibile se contrastante con la normativa paesaggistica di cui al D.Lg.vo n. 42/2004, con le "norme igieniche, sanitarie e di sicurezza" e con le "altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia";
2) "può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968", cioè tale deroga può riferirsi soltanto ai parametri edilizi della densità edilizia, dell'altezza e della distanza tra i fabbricati, previsti dagli strumenti urbanistici generali ed esecutivi in misura maggiore e/o superiore a quelli stabiliti dai predetti artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, disciplinato da tale norma, non può quindi essere rilasciato, se contrastante con le norme e prescrizioni urbanistiche, diverse da quelle in tema di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati ("fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968"), come per esempio quelle in materia di destinazioni di zona e/o di uso.
Con riferimento a tali aspetti nessun contraddittorio è stato sollecitato dall’Amministrazione comunale.
Non può quindi ritenersi che l’interlocuzione con la ricorrente da attivare con il "preavviso" non avrebbe variato il contenuto del provvedimento conclusivo, stante la necessità di chiarire, in ogni caso con la partecipazione dell’interessato, quale fosse l’ostacolo della normativa di piano regolatore generale rilevante nella fattispecie.
Ritiene, inoltre, il Collegio che, nella fattispecie, come contestato con il secondo motivo del ricorso principale, l'onere della motivazione non sia stato né sufficientemente né correttamente assolto, avendo l’Amministrazione comunale fatto riferimento in modo del tutto generico ed apodittico alla necessità della variante, senza in alcun modo specificare quali aspetti del progetto risultassero in contrasto con quali precisi vincoli posti dalla pianificazione.
Tale indicazione risultava tanto più necessaria se si considera che il permesso in deroga era stato già rilasciato una volta ed era decaduto per la mancata ultimazione delle opere nel termine previsto.
Inoltre, considerato che l'ordinamento consente di derogare alla ordinaria disciplina pianificatoria, privilegiando il concorrente interesse pubblico sotteso alla deroga (cfr., ibidem: Cons. St., V, 11.01.2006, n. 46), la previsione di tale specifico potere esclude, tuttavia, per la contraddizione che non consente la diversa conclusione che si possa attribuire rilevanza preclusiva alla valutazione del solo contrasto con la pianificazione urbanistica comunale.
La circostanza che le opere oggetto dell’istanza divergessero da quelle oggetto del primo permesso e comportassero la violazione degli standard, peraltro, è stata dedotta dalla difesa del Comune di Caserta nella memoria conclusiva ma non ha formato oggetto di contraddittorio né è stata addotta dal Comune quale motivazione a sostegno del provvedimento di diniego, concretizzando così una inammissibile integrazione postuma della motivazione dello stesso (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 23.07.2014 n. 4110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il criterio interpretativo valevole nei casi di permessi di costruire (come già per le concessioni edilizie) in deroga è quello di carattere restrittivo.
Ciò in considerazione del fatto che le deroghe agli strumenti urbanistici si pongono come elementi dissonanti rispetto all’armonia ricercata nel concetto stesso di pianificazione, per cui queste non sono in grado di travolgere le esigenze di ordine urbanistico evidenziate nel piano e restano legittime fin quando non incidono su destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici.
In tal senso si muove la normativa vigente, sia nazionale (l’art. 14 “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici” del Testo unico dell’edilizia limita la deroga, “nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza”, unicamente ai “limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444”) sia regionale, qui applicabile (l’art. 15 “Permesso di costruire in deroga” della legge regionale Emilia-Romagna 25.11.2002, n. 31, applicabile ratione temporis, prevedeva che “la deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza e dei limiti inderogabili stabiliti dalle disposizioni statali e regionali, può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dalle norme di attuazione del POC e del PUA ovvero previste dal PRG e dai relativi strumenti attuativi”).

La censura, sotto tutte le sue articolazioni, non può essere condivisa.
Ponendo in disparte l’argomentazione centrale della difesa di controparte (che evidenzia, peraltro in modo condivisibile, come tutto l’impianto defensionale dell’appellante si fondi sulla sola ritenuta eccezionalità del caso in esame), rileva la Sezione come, nel dettaglio dei singoli profili, la ricostruzione data alla vicenda dal giudice di prime cure si presenti del tutto lineare e centrata sui valori che animano le ragioni pianificatorie nell’ambito dell’edilizia.
Per chiarire l’ordine concettuale di disamina delle questioni sottoposte, va evidenziato come effettivamente, seguendo lo stesso iter motivazionale già fatto proprio dal primo giudice, il criterio interpretativo valevole nei casi di permessi di costruire (come già per le concessioni edilizie) in deroga è quello di carattere restrittivo (oltre alla giurisprudenza indicata nella sentenza di prime cure, v. di recente Consiglio di Stato, sez. IV, 13.07.2011 n. 4234). Ciò in considerazione del fatto che le deroghe agli strumenti urbanistici si pongono come elementi dissonanti rispetto all’armonia ricercata nel concetto stesso di pianificazione, per cui queste non sono in grado di travolgere le esigenze di ordine urbanistico evidenziate nel piano e restano legittime fin quando non incidono su destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici.
In tal senso si muove la normativa vigente, sia nazionale (l’art. 14 “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici” del Testo unico dell’edilizia limita la deroga, “nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza”, unicamente ai “limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444”) sia regionale, qui applicabile (l’art. 15 “Permesso di costruire in deroga” della legge regionale Emilia-Romagna 25.11.2002, n. 31, applicabile ratione temporis, prevedeva che “la deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza e dei limiti inderogabili stabiliti dalle disposizioni statali e regionali, può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dalle norme di attuazione del POC e del PUA ovvero previste dal PRG e dai relativi strumenti attuativi”).
Conclusivamente, anche nel contesto della legislazione regionale appena riportata, deve ritenersi che la deroga abbia una sua ragione solo all’interno delle diversificate destinazioni d'uso, ammesse dagli strumenti urbanistici all'interno delle singole destinazioni di zona urbanistiche previste dalla legge, dovendosi mantenere un collegamento tra le destinazioni d’uso dei singoli immobili con quelle di zona
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.04.2014 n. 1902 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul rilascio di una permesso di costruire in deroga.
L’art. 14, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 impone alle Amministrazioni che intendono instaurare un procedimento volto al rilascio di un permesso di costruire in deroga l’obbligo di comunicare agli eventuali controinteressati l’avvio del procedimento stesso, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Una volta avvenuta la comunicazione, le parti interessate possono partecipare attivamente, ed hanno diritto, ai sensi dell’art. 10, lett. a), della stessa legge n. 241 del 1990, di prendere visione degli atti prodromici all’emanazione del provvedimento finale.
Il diritto di partecipazione presuppone, peraltro, che gli interessati si facciano parte attiva, richiedendo all’amministrazione il rilascio della documentazione ritenuta di interesse.
In mancanza di esplicite richieste in tal senso non si può rimproverare all’ente di aver impedito la partecipazione procedimentale: l’amministrazione, come visto, assolve ai suoi doveri inviando la comunicazione di avvio del procedimento, mentre non è tenuta, in assenza di specifiche istanze, alla consegna della documentazione procedimentale.
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L’art. 14, primo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che i permessi di costruire in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici generali possono essere rilasciati, fra l’altro, per la realizzazione di impianti di interesse pubblico.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che anche impianti ed edifici privati possono costituire oggetto di permesso di costruire in deroga; e che gli alberghi possono essere annoverati fra i fabbricati che soddisfano esigenze di interesse pubblico per questa ragione assentibili con il titolo in argomento.

L’art. 14, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 impone alle Amministrazioni che intendono instaurare un procedimento volto al rilascio di un permesso di costruire in deroga l’obbligo di comunicare agli eventuali controinteressati l’avvio del procedimento stesso, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Una volta avvenuta la comunicazione, le parti interessate possono partecipare attivamente, ed hanno diritto, ai sensi dell’art. 10, lett. a), della stessa legge n. 241 del 1990, di prendere visione degli atti prodromici all’emanazione del provvedimento finale.
Il diritto di partecipazione presuppone, peraltro, che gli interessati si facciano parte attiva, richiedendo all’amministrazione il rilascio della documentazione ritenuta di interesse.
In mancanza di esplicite richieste in tal senso non si può rimproverare all’ente di aver impedito la partecipazione procedimentale: l’amministrazione, come visto, assolve ai suoi doveri inviando la comunicazione di avvio del procedimento, mentre non è tenuta, in assenza di specifiche istanze, alla consegna della documentazione procedimentale.
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L’art. 14, primo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che i permessi di costruire in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici generali possono essere rilasciati, fra l’altro, per la realizzazione di impianti di interesse pubblico.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che anche impianti ed edifici privati possono costituire oggetto di permesso di costruire in deroga; e che gli alberghi possono essere annoverati fra i fabbricati che soddisfano esigenze di interesse pubblico per questa ragione assentibili con il titolo in argomento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12.12.2005 n. 7031; id., sez V, 29.10.2002 n. 5913).
Il Comune di Lezzeno, invero, nella succitata deliberazione di Consiglio Comunale n. 17 del 2013 ha rilevato il recente incremento dell’afflusso turistico sul proprio territorio; aggiungendo che, per tale ragione, la realizzazione di nuove strutture recettive potrebbe costituire fonte di promozione e di sviluppo economico e sociale con conseguenti ricadute economiche favorevoli per l’intera cittadinanza. Tale realizzazione è stata dunque ritenuta di interesse pubblico.
Nella stessa deliberazione, si è altresì chiarito che la deroga ai limiti di densità ed altezza previsti dal vigente PRG è giustificata dalla necessità di assicurare alla nuova struttura dimensioni minime (perlomeno dieci camere) tali da renderla idonea ad ospitare un numero sufficiente di turisti, onde assicurare un adeguato ritorno economico all’operatore privato.
Il provvedimento rimanda poi ad una relazione del Responsabile di Servizio, il quale ha chiarito che con l’erigenda struttura non viene superato il limite di volumetria assentito con il PII di cui si è in precedenza fatto cenno, riguardante una zona attigua a quella di cui è causa e rimasto, in parte, inattuato (la volumetria ivi prevista non è stata quindi esaurita, e la costruzione oggetto del provvedimento impugnato introduce una volumetria inferiore a quella residua).
Si è chiarito in questo modo che, seppur collocato in area non ricompresa nel precedente atto di pianificazione di dettaglio, la costruzione oggetto del permesso di costruire in deroga introduce un carico urbanistico che può essere tranquillamente tollerato.
Ritiene quindi il Collegio che tutte queste argomentazioni siano idonee a far comprendere il ragionamento sviluppato dall’Amministrazione e che dimostrino come la stessa abbia congruamente assoggettato a comparazione i vari interessi in conflitto prima di assentire l’intervento impugnato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.02.2014 n. 417 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Illegittimità concessione edilizia in deroga per realizzazione di ambulatorio medico privato.
Se è pur vero che il titolo è stato richiesto per la realizzazione di un manufatto destinato ad accogliere l’attività di medico di base del Servizio Sanitario Nazionale (in relazione al quale potrebbe essere non implausibile la sussistenza di un interesse pubblico all’assistenza nei confronti dei pazienti), è d’altra parte indubitabile che il vulnus alla disciplina urbanistico–edilizia inflitto con la concessione in deroga non risulta giustificato dalla duratura destinazione (a servizio sanitario) dell’immobile: quest’ultimo, infatti, non solo è (e resta privato) e nella esclusiva disponibilità dell’interessato anche quanto all’uso, non essendo stato apposto alcun vincolo ragionevole durata o di destinazione (di interesse pubblico), ma altresì nulla impedisce che, anche prima della naturale conclusione dell’attività professionale del proprietario, l’immobile possa essere ceduto a terzi e/o concretamente utilizzato per un’attività ovvero per una finalità esclusivamente privata.
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Al riguardo si rammenta la distinzione tra l’ambulatorio, che identifica una struttura aziendale, aperta, spersonalizzata ed organizzata imprenditorialmente in vista dell’affluenza di un pubblico indeterminato, in cui prevale l’aspetto organizzativo su quello professionale, e lo studio medico, connotato dal prevalente apporto professionale mediante esercizio professionale dell’attività sanitaria: solo nei confronti del primo (ambulatorio) è astrattamente ipotizzabile la ricorrenza del presupposto dell’interesse pubblico preminente idoneo a giustificare il rilascio della concessione edilizia in deroga.
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Nel merito l’appello è infondato, il che consente di prescindete dall’esame delle ulteriori eccezioni preliminari, sollevate in primo grado e non esaminate per assorbimento, ma espressamente riproposte in appello.
Come emerge dalla documentazione in atti, non è contestato che il dott. -OMISSIS- presentò in data 23.09.1980 una richiesta di concessione edilizia in deroga per l’ampliamento del fabbricato sito in Asolo, via S. Caterina (in catasto, sez. B, foglio n. IV, mapp. n. 654) ad uso ambulatorio medico.
Con delibera n. 89 del 02.10.1980 il Consiglio comunale di Asolo espresse al riguardo parere favorevole, in ragione della particolare rilevanza sociale e di pubblica utilità dell’iniziativa, incaricando contestualmente il sindaco di richiedere alla Regione Veneto il prescritto nulla–osta ai sensi dell’art. 3 della legge 21.12.1955, n. 1357; in data 14.01.1984 veniva poi effettivamente rilasciato il richiesto titolo edilizio in deroga n. 93/1980 per la realizzazione di un ambulatorio medico, essendo intervenuto in data 08.11.1983 (prot. 1150) anche il nulla–osta dei Beni Ambientali di Treviso.
E’ altresì pacifico, mancando sul punto qualsiasi contestazione tra le parti, che l’immobile, il cui ampliamento ad uso ambulatorio medico è stato consentito con il contestato titolo edilizio, ricadeva nella zona A del Comune di Asolo, all’interno della quale, ai sensi dell’allora vigente piano regolatore (art. 13), gli interventi edilizi erano subordinati all’approvazione di piani particolareggiati, potendo, in difetto degli stessi, essere consentiti, sempre previo apposito titolo concessorio, solo la manutenzione ordinaria e straordinaria; gli interventi sui parametri esterni, purché non interessino spostamenti di aperture e modifiche dei materiali di facciata; risanamenti interni di carattere igienico o distributivo, purché non comportino sostanziali modifiche strutturali e tipologiche; restauri conservativi e demolizioni di corpi di fabbrica interni privi di valore architettonico.
Il successivo art. 27 (ex 29) del piano regolatore prevedeva la possibilità di derogare alle relative previsioni, ove ricorressero “particolari motivi di pubblico interesse, di decoro cittadino e di igiene”.
Per completezza deve aggiungersi che l’art. 80 (rubricato “Deroghe”) dell’allora vigente legge regionale 02.05.1980, n. 40 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”) stabiliva che “Il piano regolatore può dettare disposizioni che consentano al Sindaco di rilasciare concessioni in deroga alle norme e alle previsioni urbanistiche generali quando riguardino edifici e/o impianti pubblici o di interesse pubblico, purché non abbiano per oggetto la modificazione delle destinazioni di zona. In tali casi il rilascio della concessione deve essere preceduto da deliberazione favorevole del consiglio comunale”.
Benché la predetta legge sia stata sostituita dalla successiva legge regionale 27.06.1985, n. 61 (anch’essa disciplinante l’assetto e l’uso del territorio), l’art. 80 di quest’ultima, pur esso rubricato “Deroghe”, riporta ai primi due commi delle disposizioni del tutto identiche a quelle della precedente legge n. 40 del 1980.
Ciò precisato, la Sezione ritiene che la sentenza impugnata sfugga alle critiche che le sono state appuntate.
Il rilascio della concessione in deroga, sia nelle previsioni del piano regolatore generale che secondo le ricordate disposizioni della legislazione regionale, costituisce una facoltà eccezionale riconosciuta all’amministrazione comunale per il perseguimento di un interesse pubblico preminente, a prescindere dalla circostanza che si tratti di un’attività di edificazione di carattere privato: il solo predetto interesse pubblico consente infatti di disapplicare una norma con riferimento ad una fattispecie concreta che pure presenta tutti gli elementi per essere assoggettata alla disciplina di carattere generale (C.d.S., sez. V, 23.07.2009, n. 4664; 02.04.2006, n. 439).
In ragione della natura eccezionale (del rilascio) della concessione edilizia in deroga i relativi presupposti (in particolare proprio la ricorrenza di un interesse pubblico preminente) devono essere accertati in modo puntuale e rigoroso, così come le norme che la ammettono devono essere interpretate in senso restrittivo (pena lo stravolgimento della sua stessa ratio), come del resto ha sottolineato la giurisprudenza (C.d.S., sez. V, 11.01.2006, n. 46), evidenziando che la concessione in deroga costituisce un provvedimento eccezionale ed a contenuto singolare, assunto cioè per soddisfare specifici interessi pubblici sulla base di valutazioni contingenti e dotate di eccezionalità che giustificano nella situazione concreta l’inosservanza delle disposizioni contenute negli atti di programmazione.
E’ stato anche precisato che per edificio di interesse pubblico, ai fini del rilascio della concessione in droga (nel caso di specie ex art. 16 della legge 06.08.1967, n. 765) deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale a soddisfare interessi di rilevanza pubblica (C.d.S., sez. IV, 23.05.1988, n. 434).
Applicando tali condivisibili e consolidati principi al caso in esame, non sussistevano i presupposti per il rilascio del titolo edilizio in deroga per la realizzazione dell’immobile in questione, non essendo del resto stata fornita dall’amministrazione una adeguata e convincente valutazione (dell’esistenza) dell’interesse pubblico preminente.
Se è pur vero, infatti, che il titolo è stato richiesto per la realizzazione di un manufatto destinato ad accogliere lo studio del ricorrente, esercente l’attività di medico di base del Servizio Sanitario Nazionale (in relazione al quale potrebbe essere non implausibile la sussistenza di un interesse pubblico all’assistenza nei confronti dei pazienti), è d’altra parte indubitabile che il vulnus alla disciplina urbanistico–edilizia inflitto con la concessione in deroga non risulta giustificato dalla duratura destinazione (a servizio sanitario) dell’immobile: quest’ultimo, infatti, non solo è (e resta privato) e nella esclusiva disponibilità dell’interessato anche quanto all’uso, non essendo stato apposto alcun vincolo ragionevole durata o di destinazione (di interesse pubblico), ma altresì nulla impedisce che, anche prima della naturale conclusione dell’attività professionale del proprietario, l’immobile possa essere ceduto a terzi e/o concretamente utilizzato per un’attività ovvero per una finalità esclusivamente privata.
Al riguardo si rammenta la distinzione (Cass. Civ., sez. II, 19.03.2010, n. 6719) tra l’ambulatorio, che identifica una struttura aziendale, aperta, spersonalizzata ed organizzata imprenditorialmente in vista dell’affluenza di un pubblico indeterminato, in cui prevale l’aspetto organizzativo su quello professionale, e lo studio medico, connotato dal prevalente apporto professionale mediante esercizio professionale dell’attività sanitaria: solo nei confronti del primo (ambulatorio) è astrattamente ipotizzabile la ricorrenza del presupposto dell’interesse pubblico preminente idoneo a giustificare il rilascio della concessione edilizia in deroga
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.12.2013 n. 6136 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Si ampliano le prospettive di applicazione del Permesso di Costruire in deroga allo strumento urbanistico: nuove opportunità per l’edilizia privata?
Il Permesso di Costruire in deroga va rilasciato anche al privato se sono soddisfatte certe condizioni.

E’ quanto precisato dal
TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 28.11.2013 n. 1287, chiarendo alcuni aspetti relativi al rilascio del Permesso di Costruire in deroga per gli edifici privati, istituto introdotto dal Decreto Sviluppo (D.L. 70/2011, convertito in Legge 106/2011).
Infatti, al fine di rilanciare l’attività edilizia e riqualificare le aree urbane degradate, il Decreto Sviluppo ha stabilito anche per gli edifici privati uno speciale procedimento in deroga alle vigenti norme urbanistiche, anche relativamente alla modifica delle destinazioni d’uso, da attuarsi secondo le previsioni dell’art. 14 del D.P.R. 380/2001.
Il Tribunale amministrativo chiarisce che può essere rilasciato un Permesso di Costruire in deroga per edifici privati quando esista un bilanciamento tra interessi pubblici e la convenienza del privato a riqualificare.
In particolare, si è pronunciato sul ricorso contro una delibera comunale, con cui era stato rilasciato il Permesso di Costruire, in deroga alle disposizioni urbanistiche, per la razionalizzazione di un fabbricato a uso terziario di quattordici piani rimasto incompiuto e abbandonato.
L’autorizzazione prevedeva anche il cambio di destinazione d’uso da terziario a residenziale, a condizione che parte dell’edificio fosse destinato all’edilizia convenzionata.
I Giudici hanno confermato la legittimità del Permesso di Costruire in deroga in quanto compatibile con il rilancio dell’edilizia in modo e con gli obiettivi di razionalizzazione e riqualificazione delle aree degradate.
Alla luce di questa Sentenza (e altre richiamate anche nella stessa), si potrebbero aprire nuove prospettive per il rilancio per l’edilizia privata, con l’opportunità di proporre alle Amministrazioni comunali nuove costruzioni o variazioni di destinazioni d’uso per edifici già esistenti in deroga agli strumenti urbanistici, garantendo l’interesse pubblico, come ad esempio alloggi in edilizia convenzionata, impianti sportivi o più in generale interessi urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali (TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, n. 375 del 2011) (commento tratto da www.acca.it).
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Sullo speciale procedimento in deroga alle vigenti norme urbanistiche, anche in punto di modifica delle destinazioni d’uso, da attuarsi secondo le previsioni dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, di cui all’art. 5, commi 9 ss., del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011.
Si deve nel merito correttamente inquadrare la disposizione di legge in base alla quale è stata approvata la “deroga” in favore dell’immobile de quo.
Si tratta, come detto, dell’art. 5, commi 9 ss., del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011, mediante il quale il legislatore d’urgenza, al fine di rilanciare l’attività edilizia in modo compatibile con gli obiettivi di razionalizzazione del patrimonio edilizio già esistente e di riqualificazione delle aree urbane degradate, ha stabilito uno speciale procedimento in deroga alle vigenti norme urbanistiche, anche in punto di modifica delle destinazioni d’uso, da attuarsi secondo le previsioni dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Come è noto, quest’ultima disposizione, al comma 1, così stabilisce: “Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia”. Essa è richiamata, in particolare, dall’art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011.
Il richiamo all’art. 14 del testo unico sull’edilizia veicola, anche per questo speciale procedimento introdotto nel 2011, le caratteristiche generali dell’istituto del “permesso di costruire in deroga”, quali già ricostruite dalla giurisprudenza, che siano compatibili con la nuova disciplina.
Si deve trattare, pertanto, di un intervento edilizio circoscritto e predeterminato, che lasci inalterato l’assetto urbanistico del resto della zona in cui lo stesso è ricompreso ed avente natura discrezionale, in quanto emanato all’esito di una comparazione dell’interesse alla realizzazione (o al mantenimento dell’opera) con ulteriori interessi pubblici, come quelli urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali.
La rilevanza dell’interesse pubblico nella complessiva operazione è, pertanto, un elemento essenziale dell’istituto coniato nel 2011, il quale qualifica la deroga pur consentita alle disposizioni urbanistiche vigenti sulla base di una scelta politica di opportunità (nonché di compatibilità con l’esistente) che è dalla legge rimessa al Consiglio comunale.
E’ evidente, peraltro, che tale interesse pubblico deve risultare comunque bilanciato con quello privato alla realizzazione o al mantenimento dell’opera, trattandosi pur sempre di un intervento che –a differenza dell’istituto di cui all’art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001– va ad interessare un edificio privato (e non pubblico o di pubblico interesse, come richiesto dalla norma richiamata).
In ciò sta pertanto la differenza tra il nuovo procedimento in deroga introdotto dal legislatore d’urgenza del 2011 e quello già conosciuto ex art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001: la natura privata, e non pubblica, dell’edificio oggetto dell’intervento, tale pertanto da richiedere una conformazione, in termini di proporzionalità, del sacrificio imposto al privato proprietario a fronte della concessione della “deroga”.
... per l'annullamento della Deliberazione del Consiglio Comunale n. 1 del 17.01.2013 avente per oggetto: "PRATICA EDILIZIA N. 278/2012 DEL 22.05.2012 PROT. N. 21607/2012. PERMESSO DI COSTRUIRE IN DEROGA AI SENSI DELL'ART. 14 D.P.R. N. 380/2001 E S.M.I. E LEGGE N. 106/2011 E S.M.I. PER CAMBIO DESTINAZIONE D'USO DI FABBRICATO TERZIARIO A RESIDENZA E TERZIARIO SITO IN VIA ANTONELLI N. 12 - PROPRIETA' SOCIETA' METROPOLIS S.R.L. - APPROVAZIONE DEROGA";
...
Il Consiglio comunale di Collegno (TO), nell’adunanza del 17.01.2013, ha approvato una delibera (la n. 1/2013) con la quale è stata approvata una “deroga” –rispetto alle vigenti disposizioni urbanistiche di cui al Piano Regolatore Comunale– in favore di un esistente fabbricato, composto da 14 piani fuori terra ed autorimesse interrate, ubicato in via Antonelli n. 12, di proprietà della società Metropolis s.r.l..
Si tratta di un edificio già autorizzato a destinazione terziaria, la cui costruzione fu iniziata nel quadro di un Piano Esecutivo Convenzionato del 1993, ma poi rimasto incompiuto ed abbandonato. La delibera comunale è stata adottata ai sensi dell’art. 5, commi 9 ss., del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011, ossia al fine di recuperare l’edificio per ragioni di “razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” e per consentire il successivo “rilascio del permesso di costruire in deroga ai sensi dell’art. 14 D.P.R. 380/2001”, con cambio di destinazione d’uso da terziario in terziario-residenziale.
Al contempo è stata però stabilita la condizione che la proprietà destini ad edilizia convenzionata una quota del 50% degli alloggi da realizzare.
Siffatto provvedimento è impugnato dinnanzi a questo TAR dalla società Centro Servizi Sistemi d’Impresa s.r.l. che ne domanda l’annullamento previa sospensione cautelare. La ricorrente riferisce di essere proprietaria di un immobile “contiguo”, ragion per la quale essa sarebbe “legittimata a proporre il presente ricorso”. In diritto il gravame è affidato ad una pluralità di censure, riconducibili ora alla violazione di legge (in particolare, dell’art. 5, commi 9 ss., del citato decreto-legge n. 70 del 2011, e delle norme tecniche di attuazione del PRG comunale), ora all’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
...
Il ricorso non è fondato.
Prescindendosi dall’esame della preliminare eccezione di difetto di interesse –rispetto alla quale, peraltro, va osservato che la ricorrente, pur qualificandosi proprietaria di un immobile “contiguo”, non ha però indicato il pregiudizio concretamente subito per effetto dell’impugnata delibera, così lasciando nell’ombra il pregiudiziale profilo della propria legittimazione ad agir– si deve nel merito correttamente inquadrare la disposizione di legge in base alla quale è stata approvata la “deroga” in favore dell’immobile de quo.
Si tratta, come detto, dell’art. 5, commi 9 ss., del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011, mediante il quale il legislatore d’urgenza, al fine di rilanciare l’attività edilizia in modo compatibile con gli obiettivi di razionalizzazione del patrimonio edilizio già esistente e di riqualificazione delle aree urbane degradate, ha stabilito uno speciale procedimento in deroga alle vigenti norme urbanistiche, anche in punto di modifica delle destinazioni d’uso, da attuarsi secondo le previsioni dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Come è noto, quest’ultima disposizione, al comma 1, così stabilisce: “Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia”. Essa è richiamata, in particolare, dall’art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011.
Il richiamo all’art. 14 del testo unico sull’edilizia veicola, anche per questo speciale procedimento introdotto nel 2011, le caratteristiche generali dell’istituto del “permesso di costruire in deroga”, quali già ricostruite dalla giurisprudenza, che siano compatibili con la nuova disciplina.
Si deve trattare, pertanto, di un intervento edilizio circoscritto e predeterminato, che lasci inalterato l’assetto urbanistico del resto della zona in cui lo stesso è ricompreso (così, con riferimento all’istituto ex art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001, TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 1803 del 2011) ed avente natura discrezionale, in quanto emanato all’esito di una comparazione dell’interesse alla realizzazione (o al mantenimento dell’opera) con ulteriori interessi pubblici, come quelli urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali (così, sempre sul permesso di costruire in deroga, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, n. 375 del 2011).
La rilevanza dell’interesse pubblico nella complessiva operazione è, pertanto, un elemento essenziale dell’istituto coniato nel 2011, il quale qualifica la deroga pur consentita alle disposizioni urbanistiche vigenti sulla base di una scelta politica di opportunità (nonché di compatibilità con l’esistente) che è dalla legge rimessa al Consiglio comunale.
E’ evidente, peraltro, che tale interesse pubblico deve risultare comunque bilanciato con quello privato alla realizzazione o al mantenimento dell’opera, trattandosi pur sempre di un intervento che –a differenza dell’istituto di cui all’art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001– va ad interessare un edificio privato (e non pubblico o di pubblico interesse, come richiesto dalla norma richiamata).
In ciò sta pertanto la differenza tra il nuovo procedimento in deroga introdotto dal legislatore d’urgenza del 2011 e quello già conosciuto ex art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001: la natura privata, e non pubblica, dell’edificio oggetto dell’intervento, tale pertanto da richiedere una conformazione, in termini di proporzionalità, del sacrificio imposto al privato proprietario a fronte della concessione della “deroga” (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 28.11.2013 n. 1287 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi.
Esso è rilasciato esclusivamente per edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale (cfr. art. 14, comma 1, del DPR 06.06.2001, n. 380; in precedenza, l’art. 41-quater della legge urbanistica).
Se la deliberazione preliminare del Consiglio comunale costituisce un elemento necessario del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso, d’altro canto, la giurisprudenza amministrativa, da sempre (quantomeno a partire dal 1984), reputa che l’atto terminale del procedimento è costituito dal permesso di costruire in deroga, mentre la previa deliberazione del Consiglio comunale (salvo il caso di determinazione negativa) si configura come atto interno del procedimento, non immediatamente lesivo, impugnabile assieme agli atti di uguale natura confluiti nel procedimento stesso, solo congiuntamente all’atto finale, una volta emanato.
Ciò premesso, quello che conta maggiormente sottolineare è che la delibera consiliare è deputata soltanto a dettare gli indirizzi al soddisfacimento dei quali viene subordinato il rilascio della concessione in deroga; per contro, sono demandate agli uffici competenti, le verifiche e gli accertamenti volti a verificare la fattibilità del progetto che l’istante presenta al momento della richiesta del titolo edilizio.

In punto di diritto, il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali (deroga che, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi) è rilasciato esclusivamente per edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale (cfr. art. 14, comma 1, del DPR 06.06.2001, n. 380; in precedenza, l’art. 41-quater della legge urbanistica).
Se la deliberazione preliminare del Consiglio comunale costituisce un elemento necessario del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso, d’altro canto, la giurisprudenza amministrativa, da sempre (quantomeno a partire da Consiglio Stato, sez. V, 06.06.1984, n. 433), reputa che l’atto terminale del procedimento è costituito dal permesso di costruire in deroga, mentre la previa deliberazione del Consiglio comunale (salvo il caso di determinazione negativa) si configura come atto interno del procedimento, non immediatamente lesivo, impugnabile assieme agli atti di uguale natura confluiti nel procedimento stesso, solo congiuntamente all’atto finale, una volta emanato (così TAR Milano, Sez. II, 09.04.1998, n. 728; più recentemente, TAR Sardegna sez. II, 04.06.2012, n. 556).
Ciò premesso, quello che conta maggiormente sottolineare è che la delibera consiliare è deputata soltanto a dettare gli indirizzi al soddisfacimento dei quali viene subordinato il rilascio della concessione in deroga; per contro, sono demandate agli uffici competenti, le verifiche e gli accertamenti volti a verificare la fattibilità del progetto che l’istante presenta al momento della richiesta del titolo edilizio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 15.10.2013 n. 2305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Comune di Monleale (AL) - Richiesta di parere in merito all'applicazione della Legge 12.07.2011 n. 106 "Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto-Legge 13.05.2011 n. 70 Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia" - Articolo 5, commi 9-14. INTEGRAZIONI (Regione Piemonte, parere 04.06.2013 n. 16257 di prot.).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: Le strutture alberghiere in generale devono essere annoverate tra gli "edifici ed impianti … di interesse pubblico" e, quindi, essere ricomprese nell'ambito di applicazione dell'art. 14 del DPR 06.06.2001 n. 380 (permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali) "trattandosi di un servizio offerto alla collettività, caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore".
Nel caso in cui il territorio interessato possieda una spiccata vocazione turistica, la riconduzione all'interesse pubblico dell'edificio alberghiero non concerne affatto un'interpretazione estensiva perché le strutture alberghiere offrono un servizio alla collettività che è caratterizzato da una pubblica fruibilità e che soddisfa un'importante e rilevante esigenza della collettività.

In linea generale si deve ricordare che l'art. 14 del DPR 06.06.2001 n. 380 prevede testualmente che "Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia".
Al riguardo la Sezione ha da tempo affrontato, e risolto, la più generale questione dell'applicazione della predetta deroga, affermando in particolare che le strutture alberghiere in generale devono essere annoverate tra gli "edifici ed impianti … di interesse pubblico" e quindi essere ricomprese nell'ambito di applicazione dell'anzidetta previsione "trattandosi di un servizio offerto alla collettività, caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore" (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 29.10.2002 n. 5913; Consiglio Stato, sez. IV, 28.10.1999, n. 1641).
Nel caso in cui il territorio interessato possieda una spiccata vocazione turistica, la riconduzione all'interesse pubblico dell'edificio alberghiero non concerne affatto un'interpretazione estensiva perché le strutture alberghiere offrono un servizio alla collettività che è caratterizzato da una pubblica fruibilità e che soddisfa un'importante e rilevante esigenza della collettività.
In definitiva del tutto legittimamente l’Amministrazione Comunale ha ritenuto possibile inserire le strutture alberghiere, tra gli edifici ed impianti pubblici di interesse pubblico che danno titolo alla possibilità di rilasciare il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali ex art. 14 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.11.2012 n. 5904 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo l’art. 14, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, dell’avvio del procedimento finalizzato al rilascio del permesso di costruire in deroga “viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell’articolo 7 della legge 07.08.1990, n. 241” e che, secondo l’art. 7, comma 1, secondo periodo, della legge n. 241/1990, “qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento”.
Invero, il proprietario di immobile confinante con quello oggetto della richiesta di permesso di costruire non può essere considerato soggetto direttamente interessato al provvedimento, con la conseguenza che non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di dargli comunicazione dell’avvio del procedimento preordinato al rilascio del permesso di costruire, fermo restando che ciò non comporta alcuna lesione delle sue facoltà procedimentali, comunque salvaguardate dalla possibilità di intervento volontario nel procedimento di rilascio del titolo edilizio ai sensi dell’art. 9, della legge n. 241/1990.
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La giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente interpretato l’espressione “edifici ed impianti di interesse pubblico” di cui all’art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (che recepisce la disposizione dell’art. 41-quater della legge n. 1150/1942) in senso restrittivo, facendovi rientrare soltanto quelli corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica Amministrazione.
Tuttavia attualmente la prevalente giurisprudenza ritiene applicabile la predetta disposizione anche agli edifici ed impianti nei quali sia comunque offerto un servizio alla collettività.
Pertanto anche un impianto sportivo come quello di cui trattasi rientra tra le opera di interesse pubblico per cui può essere rilasciato il permesso di costruire in deroga.
Innanzitutto i ricorrenti deducono la violazione del secondo comma dell’art. 14 del d.P.R. n. 380/2001, nonché dell’art. 1 del Regolamento comunale n. 57 del 02.03.2006, lamentando che l’Amministrazione non ha comunicato l’avvio del procedimento finalizzato al rilascio del permesso di costruire in deroga, sicché i residenti del quartiere non hanno potuto esprimere nelle sedi competenti le proprie osservazioni in merito alla realizzazione dell’intervento.
A tal riguardo si deve rammentare che, secondo l’art. 14, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, dell’avvio del procedimento finalizzato al rilascio del permesso di costruire in deroga “viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell’articolo 7 della legge 07.08.1990, n. 241” e che, secondo l’art. 7, comma 1, secondo periodo, della legge n. 241/1990, “qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento”.
Ciò posto, nessuno dei ricorrenti ha motivo di lamentarsi dell’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento perché nessuno di essi era destinatario diretto del provvedimento, né risultava preventivamente individuato o, quantomeno, facilmente individuabile come soggetto portatore di un interesse contrario al rilascio del permesso di costruire.
Del resto, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 06.06.2012, n. 3343), il proprietario di immobile confinante con quello oggetto della richiesta di permesso di costruire non può essere considerato soggetto direttamente interessato al provvedimento, con la conseguenza che non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di dargli comunicazione dell’avvio del procedimento preordinato al rilascio del permesso di costruire, fermo restando che ciò non comporta alcuna lesione delle sue facoltà procedimentali, comunque salvaguardate dalla possibilità di intervento volontario nel procedimento di rilascio del titolo edilizio ai sensi dell’art. 9, della legge n. 241/1990.
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Da ultimo i ricorrenti contestano che l’impianto sportivo in questione possa essere qualificato come un’opera pubblica o come un’opera di interesse pubblico e, quindi possa beneficiare delle deroghe previste dall’art. 14 del d.P.R. n. 380/2001.
A tal riguardo il Collegio osserva che, la giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente interpretato l’espressione “edifici ed impianti di interesse pubblico” di cui all’art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (che recepisce la disposizione dell’art. 41-quater della legge n. 1150/1942) in senso restrittivo, facendovi rientrare soltanto quelli corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica Amministrazione.
Tuttavia attualmente la prevalente giurisprudenza (TAR Trentino Alto Adige-Trento, Sez. I, 18.06.2009, n. 194; TAR Sardegna Cagliari, Sez. II, 22.07.2009, n. 1375) ritiene applicabile la predetta disposizione anche agli edifici ed impianti nei quali sia comunque offerto un servizio alla collettività.
Pertanto anche un impianto sportivo come quello di cui trattasi rientra tra le opera di interesse pubblico per cui può essere rilasciato il permesso di costruire in deroga (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 05.11.2012 n. 9023 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl rilascio di concessione edilizia in deroga ex art. 41 della legge n. 1150/1942 può giustificarsi soltanto in vista della soddisfazione di esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari tutelati dalla disciplina urbanistica generale.
In alcune, risalenti, decisioni della giurisprudenza si è delineato un improprio allargamento del campo di applicazione di siffatta disciplina, estesa fino al punto di comprendere i tralicci per gli impianti televisivi o, ancora, gli edifici destinati all’ampliamento di una sede consolare di uno Stato estero e, perfino, un impianto per il tiro a volo.
Nel caso controverso, la realizzazione di uno dei tanti impianti di telefonia, nell’ambito della diffusa rete distribuita sul territorio, non può rivestire importanza tale da giustificare l’eccezionalità della valutazione prevista dalla disposizione censurata.

Legittimo è il denegato rilascio di concessione in deroga ex art. 41 della legge n. 1150/1942, atteso che l’esercizio del relativo potere può giustificarsi soltanto in vista della soddisfazione di esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari tutelati dalla disciplina urbanistica generale.
Il Collegio, sul punto, rileva che in alcune, risalenti, decisioni della giurisprudenza si è delineato un improprio allargamento del campo di applicazione di siffatta disciplina, estesa fino al punto di comprendere i tralicci per gli impianti televisivi (cfr., TAR Puglia–Bari, 09.02.1996, n. 29) o, ancora, gli edifici destinati all’ampliamento di una sede consolare di uno Stato estero (cfr., Cons. St., sez. IV, 23.05.1988, n. 434) e, perfino, un impianto per il tiro a volo (cfr., TAR Calabria–Catanzaro, 10.01.1995, n. 3).
Nel caso controverso, la realizzazione di uno dei tanti impianti di telefonia, nell’ambito della diffusa rete distribuita sul territorio, non può rivestire importanza tale da giustificare l’eccezionalità della valutazione prevista dalla disposizione censurata
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.06.2012 n. 1660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAPer variante allo strumento urbanistico deve intendersi la modifica generale ed astratta della destinazione urbanistica ovvero delle prescrizioni, dei parametri o degli standard, relativa ad un’intera zona territoriale;
Per deroga allo strumento urbanistico deve invece intendersi un mutamento limitato ad un intervento edilizio circoscritto e predeterminato, che lasci inalterato l’assetto urbanistico del resto della zona in cui lo stesso è ricompreso, da realizzare nel più ristretto alveo delle possibilità concesse dall’art. 14 D.P.R. 06.06.2001 n. 380.

I due sostantivi (variante e deroga), che non a caso il legislazione regionale utilizza in forma alternativa nei vari commi di cui si compone l’art. 7, non sono assimilabili tra loro: per variante allo strumento urbanistico deve infatti intendersi la modifica generale ed astratta della destinazione urbanistica ovvero delle prescrizioni, dei parametri o degli standard, relativa ad un’intera zona territoriale; per deroga allo strumento urbanistico deve invece intendersi un mutamento limitato ad un intervento edilizio circoscritto e predeterminato, che lasci inalterato l’assetto urbanistico del resto della zona in cui lo stesso è ricompreso, da realizzare nel più ristretto alveo delle possibilità concesse dall’art. 14 D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (TAR Campania-Salerno, Sez. II, Sez. II, sentenza 09.11.2011 n. 1803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Sempre necessario il passaggio in consiglio.
Secondo il calendario fissato dal Dl sviluppo, dopo il 12 luglio –cioè 60 giorni dopo l'entrata in vigore del Dl 70/2011– e in attesa delle discipline regionali, il permesso di costruire in deroga è lo strumento per riqualificare le aree dismesse.
È bene anzitutto ricordare che l'articolo 14 del Dpr 380/2001 (permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici) è rilasciato esclusivamente per edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale. Inoltre, la deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare solo i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati dettati dalle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del Dm 1444/1968, in tema di standard minimi per servizi, densità edilizie massime e distanze inderogabili.
Molto opportunamente, dunque, il decreto sviluppo ritiene da un lato che la riqualificazione delle aree urbane costituisca una finalità di interesse pubblico (diversamente l'istituto della deroga non sarebbe utilizzabile), mentre, dall'altro, estende il campo d'azione della deroga anche al mutamento di destinazione d'uso. Sotto quest'ultimo profilo, il principale ostacolo al recupero delle aree dismesse è proprio rappresentato dalla perdurante destinazione produttiva ad esse sovente riconosciuta dal piano regolatore, che inibisce l'insediamento di altre funzioni urbane (come il commercio, la residenza e gli uffici) aventi valore sufficiente a sostenere i costi di bonifica e di trasformazione.
Purtroppo però il procedimento della deroga edilizia non è particolarmente spedito, richiedendo pur sempre una apposita delibera del consiglio comunale.
Non è quindi sufficiente la firma del dirigente sul permesso di costruire né, tanto meno, la presentazione di una Superdia (nei casi residuali in cui il titolo esiste ancora) o di una Scia.
Neppure è possibile che il permesso di costruire possa formarsi per silenzio-assenso secondo le previsioni del Dl 70/2011, valide solo per i progetti conformi (dunque non in deroga) alla disciplina urbanistica ed edilizia applicabile.
Il procedimento in deroga resta comunque assai più veloce di quello della variante urbanistica, che impone due delibere consiliari e, in molte Regioni, la ratifica della provincia o della giunta regionale.
Un'ultima notazione. Il decreto precisa che il cambio d'uso possa avvenire solo verso destinazioni «compatibili o complementari». La norma parrebbe intendere semplicemente che le nuove destinazioni debbano essere coerenti con il contesto urbano in cui si dovranno inserire, secondo una valutazione discrezionale delegata al consiglio comunale (ovviamente sulla scorta delle indicazioni progettuali e dell'istruttoria degli uffici) (articolo Il Sole 24 Ore del 13.06.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dall’articolo 14 D.P.R. 380/2001 e mediante la specifica procedura.
Tale sua particolare natura porta ad escludere che possa essere rilasciato “in sanatoria” dopo l’esecuzione delle opere
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Il ricorso è fondato.
Non può farsi a meno di osservare, preliminarmente, come tanto il contenuto del provvedimento impugnato quanto quello del ricorso siano connotati da lacune e contraddizioni che rendono particolarmente ardua una adeguata ricostruzione della vicenda processuale. Da quanto emerge dagli atti e per quello che rileva in questa sede di legittimità, gli elementi di fatto essenziali possono essere così sintetizzati e riassunti:
- l'intervento edilizio riguarda la realizzazione di un "Centro Museale delle Comunicazioni" con annesso laboratorio multimediale e "centro di spiritualità francescana", fabbricato adibito a foresteria, "club house", strade interne di collegamento, vasche per la raccolta dell'acqua ed un ulteriore edificio di forma irregolare;
- la destinazione urbanistica dell'area è agricola ("Zona E");
- le opere sono state autorizzate con permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, (n. 6/2004 rilasciato in data 22 novembre 2004 e decaduto a far data dal terzo anno dall'inizio dei lavori - 3 dicembre 2004 - che non risultavano ultimati alla data dell'accertamento);
- le opere realizzate sono state realizzate in totale difformità dal permesso rilasciato;
- con permesso di costruire n. 1/2010, rilasciato dall'amministrazione comunale competente, le opere sono state sanate. Non è dato comprendere, invece, se l'area interessata dai lavori sia o meno soggetta a vincolo paesaggistico.
La contestazione riguarda, infatti, il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), ed il riferimento a tale ipotesi, unitamente alla mancanza di riferimenti al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, induce a ritenere che l'area non sia interessata da vincoli paesaggistici. Il Tribunale afferma tuttavia, in premessa, che le opere sarebbero state realizzate "senza la prescritta autorizzazione dell'autorità competente D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 146", ma richiama poi, a pagina 2, un'attestazione dell'amministrazione comunale circa la "mancanza di vincoli ambientali, paesistici, archeologici e di servitù militari".
Ciò posto, occorre ricordare che l'art. 325 c.p.p., consente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell'art. 322-bis c.p.p., solamente per violazione di legge.
Sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali, richiamando la giurisprudenza costante, hanno ricordato che "...il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dall'organo investito del procedimento" (SS. UU. n. 25932, 26.06.2008. Conf. Sez. 5^ n. 43068, 11.09.2009).
Date tali premesse, occorre rilevare che il provvedimento impugnato, pur con le lacune in precedenza evidenziate, non presenta comunque vizi così radicali quali quelli indicati dalla decisione in precedenza richiamata. Esso si fonda, tuttavia, su una errata lettura delle disposizioni applicate e, segnatamente, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, che disciplina il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali già previsto, peraltro, dalla precedente normativa.
Si tratta di un istituto di natura eccezionale, in quanto la disciplina generale (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 1) stabilisce che il permesso di costruire sia rilasciato "in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente" e l'esercizio della deroga viene quindi ad incidere sull'uniforme applicazione della disciplina urbanistica nella zona dove si prevede l'intervento.
La particolarità dell'istituto, la sua natura sostanzialmente discrezionale e le possibili conseguenze che il suo utilizzo può determinare sul programmato assetto del territorio hanno indotto il legislatore a prevederne l'applicazione solo in casi eccezionali, delimitandone in modo puntuale l'ambito di operatività allo scopo evidente di evitare che un uso poco accorto dell'istituto (in realtà spesso verificatosi) si risolvesse, nella pratica, in un surrettizio aggiramento della pianificazione.
I presupposti ed i limiti fissati dalla norma attualmente in vigore sono i seguenti:
- il rilascio è previsto esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico;
- il permesso in deroga non può essere rilasciato in violazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004) che devono essere comunque rispettate;
- il permesso in deroga deve comunque rispettare le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia (ad esempio, la disciplina antisismica);
- la deroga può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi ma devono essere rispettate le norme igieniche, sanitarie e di sicurezza restando comunque fermo, in ogni caso, il rispetto delle disposizioni di cui al D.I. 02.04.1968, n. 1444, artt. 7, 8 e 9, che fissano, rispettivamente, i limiti inderogabili di densità edilizia, le altezze massime degli edifici e le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee;
- il procedimento applicativo prevede una specifica e preventiva deliberazione del consiglio comunale e la comunicazione ai soggetti interessati ai sensi della L. 07.08.1990, n. 241, art. 7. L'indicazione dei limiti posti alla deroga è stata oggetto di attenta analisi anche da parte della dottrina che è giunta a condivisibili conclusioni.

In particolare,
si è osservato che l'utilizzo dell'espressione "in ogni caso" implica che le richiamate disposizioni del D.I. n. 1444 del 1968, vanno osservate indipendentemente dal loro recepimento da parte degli strumenti urbanistici.
Si è poi rilevato che
la deroga non può incidere sulle scelte di tipo urbanistico, potendo operare solo nel caso in cui l'area sia edificabile secondo le previsioni di piano, con la conseguenza che non può ritenersi ammissibile il rilascio di permessi in deroga, ad esempio, per aree a destinazione agricola o a verde pubblico o privato mancando in tal caso il presupposto dell'edificabilità dell'area necessario non per il rilascio in deroga del permesso i costruire ma per il permesso stesso.
Analogamente,
si è escluso che la deroga possa riguardare aumenti di volumetria rispetto a quelli oggetto di pianificazione potendo consentire soltanto, a parità di volume edificabile, che l'intervento si concretizzi, ad esempio, con altezza, superficie coperta, destinazione diverse da quelle previste dal PRG. Anche la giurisprudenza amministrativa pare orientata nel senso di ritenere limitata l'operatività della deroga entro i limiti precedentemente delineati (Cons. Stato Sez. 5^ n. 46, 11.01.2006; Sez. 6^ n. 4568, 07.08.2003).
Ne consegue che,
al di fuori dei limiti indicati dalla disposizione in esame, viene a configurarsi un'ipotesi di variante urbanistica la cui approvazione è soggetta alla specifica disciplina. Resta da osservare come l'istituto del permesso di costruire in deroga appaia incompatibile con la disciplina prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, per l'accertamento di conformità delle opere edilizie realizzate in assenza di titolo abilitativo, che la giurisprudenza di questa Corte indica come strumento ordinario di recupero e sanatoria delle opere abusive, caratterizzato da una verifica di conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia e da sbarramenti amministrativi e temporali (v., ad es., Sez. 3^ n. 6331, 08.02.2008).
In primo luogo,
sembra ostarvi il tenore letterale dell'art. 14 che disciplina il procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del permesso in deroga prevedendo la previa deliberazione del consiglio comunale e specifiche garanzie partecipative per i soggetti interessati. Tale deliberazione consiliare deve dunque precedere il rilascio del titolo e l'esecuzione dell'intervento ed è finalizzata alla verifica dei presupposti per l'esercizio del potere di deroga e la considerazione dei contrapposti interessi dei soggetti che potrebbero subire pregiudizio dal rilascio del titolo e un simile iter procedimentale appare del tutto incompatibile con una valutazione postuma di tali dati.
Il rilascio del titolo sanante ai sensi dell'art. 36, è poi sottoposto ad uno specifico e diverso procedimento e risulta, inoltre, assai arduo immaginare come possa rinvenirsi il requisito della "doppia conformità" delle opere sia al momento della realizzazione dell'intervento senza titolo, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria "alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente" (quest'ultima intesa, come è noto in senso ampio, nel senso che in essa rientrano, ad esempio, i regolamenti edilizi, il programma pluriennale in corso di attuazione al momento del rilascio, le prescrizioni fissate dall'art. 9 del TU per l'attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica) con un titolo abilitativo che ha come presupposto la deroga agli strumenti urbanistici generali.
Deve quindi affermarsi il principio secondo il quale
il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primati garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, e mediante la specifica procedura. Tale sua particolare natura porta ad escludere che possa essere rilasciato "in sanatoria" dopo l'esecuzione delle opere.
Date tali premesse deve rilevarsi che, nel caso di specie, l'intervento edilizio risultava eseguito, per quel che è dato ricavare dal contenuto del provvedimento impugnato e del ricorso, sulla base di un permesso di costruire in deroga rilasciato al di fuori dei casi previsti dalla legge.
La deroga riguardava, come osservato in ricorso, interventi da eseguirsi in zona a destinazione agricola nella quale mancava quindi il presupposto essenziale dell'edificabilità ed erano comunque superati i limiti inderogabili di densità edilizia di cui al D.L. n. 1444 del 1968, art. 7.
La mancanza di autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo, se effettivamente sussistente, stante le indicate incongruenze rilevate nel testo del ricorso e dell'ordinanza impugnata, avrebbe rappresentato, inoltre, un ulteriore violazione dell'art. 14 più volte menzionato.
La violazione della disciplina antisismica e sul cemento armato configura, inoltre, una violazione delle "altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia" indicate dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14.
Le opere, realizzate con permesso decaduto ed in totale difformità dal titolo abilitativo per le ragioni in precedenza esposte, non erano poi suscettibili di sanatoria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, la quale, al contrario, risulta rilasciata con una procedura che in ricorso si ritiene anche inficiata dalla falsità dell'attestazione di conformità delle opere (la sanatoria non avrebbe peraltro spiegato i suoi effetti verso il reato paesaggistico, se sussistente, e quelli previsti dalla disciplina antisismica e sulle opere in cemento armato).
Prescindendo quindi dai richiami alla ultimazione delle opere (effettuati peraltro con riferimenti a giurisprudenza di questa Corte riferita al diverso istituto del "condono edilizio") la valutazione della efficacia del permesso in sanatoria, alla luce degli elementi fattuali acquisiti, doveva essere effettuata dal Tribunale tenendo in diversa considerazione la disciplina dettata dal D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 14 e 36 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16591 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici - Rilascio al di fuori dei casi previsti dalla legge - Violazione - Normativa antisimica e vincoli paesaggistici - Fattispecie - Artt. 14 e 44, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 - Art. 146 D.L.vo n. 42/2004 - Art. 7 D.M. n. 1444/1968.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dall'articolo 14 D.P.R. 380/2001 e mediante la specifica procedura.
Tale sua particolare natura porta ad escludere che possa essere rilasciato "in sanatoria" dopo l'esecuzione delle opere.
Nella specie, l'intervento edilizio risultava eseguito sulla base di un permesso di costruire in deroga rilasciato al di fuori dei casi previsti dalla legge, mancanza di autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo paesaggistico e violazione della disciplina antisismica e sul cemento armato.
PRG - Permesso di costruire - Rilascio di permessi in deroga - Limiti - Variante urbanistica - Specifica disciplina - Art. 14 D.P.R. n. 380/2001.
La deroga al permesso di costruire non può incidere sulle scelte di tipo urbanistico, potendo operare solo nel caso in cui l'area sia edificabile secondo le previsioni di piano, con la conseguenza che non può ritenersi ammissibile il rilascio di permessi in deroga, ad esempio, per aree a destinazione agricola o a verde pubblico o privato mancando in tal caso il presupposto dell'edificabilità dell'area necessario non per il rilascio in deroga del permesso di costruire ma per il permesso stesso.
Analogamente, si è escluso che la deroga possa riguardare aumenti di volumetria rispetto a quelli oggetto di pianificazione potendo consentire soltanto, a parità di volume edificabile, che l'intervento si concretizzi, ad esempio, con altezza, superficie coperta, destinazione diverse da quelle previste dal PRG. (Cons. Stato Sez. V n. 46, 11.01.2006; Sez. VI n. 4568, 07.08.2003).
Ne consegue che, al di fuori dei limiti indicati dalla disposizione contenuta nell’art. 14 D.P.R. n. 380/2001, viene a configurarsi un'ipotesi di variante urbanistica la cui approvazione è soggetta alla specifica disciplina.
Difetto di motivazione - Configurabilità.
Il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dall'organo investito del procedimento (Cass. SS. UU. n. 25932, 26/06/2008, Conf. Cass. Sez. V n. 43068, 11/09/2009) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16591 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli immobili di interesse pubblico possono anche essere di proprietà privata, purché la loro destinazione assolva finalità di interesse pubblico (tra l'altro, è stato affermato che anche le strutture alberghiere rientrano fra gli impianti di interesse pubblico).
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Il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del d.p.r. n. 380/2001 non è un atto dovuto a fronte della realizzazione di opere di interesse pubblico, ma costituisce un provvedimento discrezionale, emanato all’esito di una comparazione dell’interesse alla realizzazione (o al mantenimento dell’opera) con ulteriori interessi, come quelli urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali.

Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, gli immobili di interesse pubblico possono anche essere di proprietà privata, purché la loro destinazione assolva finalità di interesse pubblico (cfr. Cons. St., IV, n. 7031/2005, in cui si chiarisce che anche le strutture alberghiere rientrano fra gli impianti di interesse pubblico).
Il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del d.p.r. n. 380/2001 non è un atto dovuto a fronte della realizzazione di opere di interesse pubblico, ma costituisce un provvedimento discrezionale, emanato all’esito di una comparazione dell’interesse alla realizzazione (o al mantenimento dell’opera) con ulteriori interessi, come quelli urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali (cfr. Cons. St., n. 4568/2003) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 11.03.2011 n. 375 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Regione Emilia Romagna - Permesso di costruire in deroga - Limiti - Art. 15 l.r. Emilia Romagna n. 31/2002.
Il legislatore regionale, con l’art. 15 della l.r. Emilia Romagna 25.11.2002 n. 31, ha introdotto limiti espressi alla possibilità del rilascio di un permesso di costruire in deroga.
Emerge in particolare come le deroghe al piano regolatore comunale non possano essere di tale entità da elidere le esigenze di ordine urbanistico sottese al piano e, in particolare, non possano legittimare eccezioni alle destinazioni di zona, sulle quali si fonda la struttura concettuale stessa del piano regolatore generale nelle scelte fondanti sull’uso del territorio. Appare quindi corretto affermare che anche i permessi in deroga debbano osservare tali principi e sono quindi legittimi nella misura in cui si allineano alle destinazioni d’uso ammesse dal piano regolatore all’interno delle singole zone (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 684 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAMentre l’art. 36 dpr 380/2001 delinea un procedimento dal vincolato esito accertativo (o meno) della cd. doppia conformità, il rilascio del permesso di costruire in deroga esprime un procedimento contrassegnato da una lata discrezionalità di cui è indice significativo l’esigenza che intervenga anche l’organo “politico” dell'ente locale, al fine di coinvolgere non solo il livello burocratico, ma anche quello elettivo nella (impegnativa e gravosa) determinazione di contraddire quanto stabilito in sede pianificatoria.
La sottolineatura della ampia discrezionalità della amministrazione, unitamente al carattere derogatorio del rilascio del permesso che “spezza” l’uniformità giuridica delle norme di pianificazione normativamente applicate, dequota, quindi, sensibilmente l’onere motivazionale della p.a., atteso che la affermazione della non derogabilità costituisce la regola, mentre l’onere motivazionale, per converso, si accentua ove l’amministrazione comunale (nel suo complesso) voglia deliberatamente contraddire le norme vigenti.
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Proprio perché la deroga “esorbita dall’ordinario regime dei titoli costruttivi poiché spezza l’uniformità giuridica delle regole normalmente applicate”, richiede un procedimento ad hoc che il legislatore vuole partecipato da tutti gli “interessati” (cfr. art. 14, c. 2, DPR 380 cit.), in assenza del quale, l’opera è senz’altro abusiva e sottoposta, da subito, ai rigori demolitori, tranne il limitato ambito della richiesta verifica ex art. 36 DPR cit. in ordine alla cd. “doppia conformità”: verifica vincolata a fronte della lata discrezionalità –secondo quanto sopra enunciato– caratterizzante la deroga invocata.

Riservandosi in prosieguo di soffermarsi sulla incompatibilità giuridica fra i due istituti, è certo che mentre l’art. 36 dpr 380/2001 delinea un procedimento dal vincolato esito accertativo (o meno) della cd. doppia conformità, il rilascio del permesso di costruire in deroga esprime un procedimento contrassegnato da una lata discrezionalità di cui è indice significativo l’esigenza che intervenga anche l’organo “politico” dell'ente locale, al fine di coinvolgere non solo il livello burocratico, ma anche quello elettivo nella (impegnativa e gravosa) determinazione di contraddire quanto stabilito in sede pianificatoria.
La sottolineatura della ampia discrezionalità della amministrazione, unitamente al carattere derogatorio del rilascio del permesso che “spezza” l’uniformità giuridica delle norme di pianificazione normativamente applicate, dequota, quindi, sensibilmente l’onere motivazionale della p.a., atteso che la affermazione della non derogabilità costituisce la regola, mentre l’onere motivazionale, per converso, si accentua ove l’amministrazione comunale (nel suo complesso) voglia deliberatamente contraddire le norme vigenti.
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Vi è, infatti, una prima ragione di ordine sistematico costituita dal fatto che l’attuale art. 14 DPR 380/2001 è stato inscritto nel corpus generale del T.U. in materia edilizia ove è da relazionare all’art. 36 dello stesso, in cui si disciplina la possibilità di ottenere, tramite l’accertamento di conformità, un titolo sanante l’abuso realizzato.
Le due norme sono distinte, ma fra esse relazionate, nel senso che, dall’intero complesso normativo, si desume che il titolo edilizio è previamente rilasciato o con la legittima procedura di richiesta o in deroga, ovvero ancora ex post per il tramite della cd sanatoria ex art. 36.
La circostanza che le due norme –nello stesso ambito testuale– non si richiamino, lascia quindi chiaramente intendere che dispongono di ambiti diversi che non possono dunque cumularsi. D’altra parte, come per tutte le norme derogatorie vale il primario criterio interpretativo letterale, sicché ove il legislatore non ha inteso riferisi alla sanatoria (che, ripetesi, ha ben tenuto presente nello stesso corpo normativo) deve concludersi che non abbia inteso estendere la possibilità derogatoria anche ad un abuso già perpetrato.
Sono poi univoche e chiare le ragioni sostanziali che militano per la non applicabilità del procedimento sanante all’art. 14 T.U. citato.
Proprio perché la deroga “esorbita dall’ordinario regime dei titoli costruttivi poiché –come sopra accennato– spezza l’uniformità giuridica delle regole normalmente applicate”, richiede un procedimento ad hoc che il legislatore vuole partecipato da tutti gli “interessati” (cfr. art. 14, c. 2, DPR 380 cit.), in assenza del quale, l’opera è senz’altro abusiva e sottoposta, da subito, ai rigori demolitori, tranne il limitato ambito della richiesta verifica ex art. 36 DPR cit. in ordine alla cd. “doppia conformità”: verifica vincolata a fronte della lata discrezionalità –secondo quanto sopra enunciato– caratterizzante la deroga invocata
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 21.01.2011 n. 404 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATAIn merito all'ammissibilità del rilascio di concessioni o permessi di costruire in deroga, la giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente interpretato l'espressione «impianti di interesse pubblico», di cui all'art. 41-quater della l. 17.08.1942 n. 1150 (trasfuso nell'attuale art. 14, T.U. sull'edilizia, approvato con d.P.R. 06.06.2001 n. 380), facendovi rientrare solo gli interventi corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica Amministrazione. Attualmente, peraltro, si ritiene applicabile la stessa norma anche alle (ipotesi) in cui sia offerto un servizio alla collettività, caratterizzato da una pubblica fruibilità.
È stato considerato, infatti, che l'art. 16, l. 06.08.1967 n. 765 prevede la possibilità di esercizio di un potere di deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici per manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti pubblici) che di interesse pubblico (ossia gestiti da soggetti indifferentemente pubblici o privati, aventi peraltro l'identica missione di soddisfare esigenze della collettività di tipo economico, bancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico, religioso o turistico-alberghiero).
In questo nuovo indirizzo vanno ricomprese … anche le strutture gestite da privati in regime di impresa, se rivestono un interesse lato sensu pubblico, quali gli edifici e le opere destinati ad attività economiche di interesse generale, tra cui i «complessi artigianali con processo lavorativo di tipo industriale ed un consistente numero di dipendenti o comunque aventi rilevanza per la realtà economica locale», le quali dunque possono usufruire della deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici generali.

In merito all'ammissibilità del rilascio di concessioni o permessi di costruire in deroga, la giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente interpretato l'espressione «impianti di interesse pubblico», di cui all'art. 41-quater della l. 17.08.1942 n. 1150 (trasfuso nell'attuale art. 14, T.U. sull'edilizia, approvato con d.P.R. 06.06.2001 n. 380), facendovi rientrare solo gli interventi corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica Amministrazione. Attualmente, peraltro, si ritiene applicabile la stessa norma anche alle (ipotesi) in cui sia offerto un servizio alla collettività, caratterizzato da una pubblica fruibilità.
È stato considerato, infatti, che l'art. 16, l. 06.08.1967 n. 765 prevede la possibilità di esercizio di un potere di deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici per manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti pubblici) che di interesse pubblico (ossia gestiti da soggetti indifferentemente pubblici o privati, aventi peraltro l'identica missione di soddisfare esigenze della collettività di tipo economico, bancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico, religioso o turistico-alberghiero).
In questo nuovo indirizzo vanno ricomprese … anche le strutture gestite da privati in regime di impresa, se rivestono un interesse lato sensu pubblico, quali gli edifici e le opere destinati ad attività economiche di interesse generale, tra cui i «complessi artigianali con processo lavorativo di tipo industriale ed un consistente numero di dipendenti o comunque aventi rilevanza per la realtà economica locale», le quali dunque possono usufruire della deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici generali
” (TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 18.06.2009, n. 194) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 22.07.2010 n. 1821 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Regolamento locale di igiene - Delibera consiliare recante deroga - Lesività - Non sussiste prima del rilascio del titolo edilizio in deroga - Impugnazione - È ammissibile solo al momento del rilascio del titolo edilizio.
2. Piano di lottizzazione - Permesso di costruire rilasciato al proprietario confinante - Interesse all'azione - Sussiste in capo al proprietario di aree incluse nel P.L. se lamenta lesione dei valori urbanistici garantiti dalle previsioni urbanistiche della zona.

1. La delibera consiliare recante deroga ad un regolamento locale di igiene, che è atto presupposto del permesso di costruire in deroga, non può ritenersi lesiva fino all'effettivo rilascio del titolo edilizio e va impugnata congiuntamente a quest'ultimo.
2. Il proprietario di aree incluse in un P.L. vanta un interesse personale, diretto e attuale all'annullamento di un permesso di costruire rilasciato al proprietario confinante con le aree incluse nel P.L., anche se appartenenti ad altri lottizzanti, quando lamenta una lesione dei valori urbanistici, intesi in senso ampio, garantiti dalle previsioni urbanistiche relative alla zona (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 1104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Legittimità alla deroga alle prescrizioni del P.R.G. vigente che impongono il rispetto delle distanze di confine.
E’ chiesto parere in merito alla legittimità della previsione e della realizzazione di un’opera pubblica in deroga alle prescrizioni del P.R.G.C. che impongono il rispetto della distanza di mt. 5 dal confine (Regione Piemonte, parere n. 125/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le norme che disciplinano la possibilità di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai piani regolatori ed alle norme di regolamento edilizio non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano, con la conseguenza che non possono essere oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono all’impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici.
Invero, anzitutto gli artt. 41-quater L. n. 1150/1942 e 3 L. n. 1357/1957, che disciplinano la possibilità di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai piani regolatori ed alle norme di regolamento edilizio, vanno interpretati restrittivamente, nel senso che tali deroghe non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano, con la conseguenza che non possono essere oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono all’impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici (cfr. Cons. Stato, IV Sez. 02.04.1996 n. 439; 01.10.1007 n. 1057) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.11.2009 n. 5847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diniego di permesso di costruire in deroga - Nulla osta Vigili del Fuoco - L.R. 11.03.2005 n. 12 - Illegittimità.
Qualora una domanda di permesso di costruire in deroga contenga un nulla osta dei Vigili del Fuoco inidoneo, il responsabile del procedimento è onerato, ai sensi dell'art. 38 L.R. 10.03.2005 n. 12, che, riproduce, in un'ottica di semplificazione, l'art. 20, c. 3, D.P.R. n. 380/2001, di richiedere d'ufficio i pareri sanitari e sulla normativa antincendio, risultando conseguentemente illegittimo il diniego di permesso di costruire motivato dalla mancata acquisizione di tali provvedimenti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.10.2009 n. 4881).

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di concessione edilizia in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, essendo espressione di un potere di natura eccezionale, necessita di una congrua e adeguata motivazione.
Ai sensi della vigente normativa in materia urbanistica della provincia di Trento il rilascio della concessione edilizia in deroga è comunque limitato ai casi eccezionali di edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico previsti dall’art. 16 legge 06.08.1967 n. 765, fermo restando ovviamente l’onere di una congrua e specifica motivazione sulla sussistenza e la prevalenza di tale interesse.
Il rilascio di una concessione edilizia in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico costituisce per sua stessa natura un provvedimento eccezionale e di contenuto singolare, cioè assunto per soddisfare specifici interessi pubblici sulla base di valutazioni contingenti e dotate di un carattere di eccezionalità, che giustificano, solo nella situazione concreta, la inosservanza consentita delle prescrizioni dettate dagli atti di programmazione.
In linea di principio quindi il potere derogatorio non è utilizzabile per soddisfare esigenze strutturali miranti a nuovi assetti urbanistici, che male si prestano a interventi episodici e saltuari e che giustificherebbero invece la adozione di specifiche varianti allo strumento urbanistico, le sole rispondenti alla definizione di strumenti di governo del territorio e che assicurano grazie al loro carattere di generalità tipico degli atti pianificatori, la razionalità e la imparzialità delle scelte rispetto all’insieme degli interessi, pubblici e privati, coinvolti in un tale disegno innovativo.
La concessione edilizia in deroga può essere legittimamente emanata se sussiste un concreto e specifico interesse pubblico, di natura e qualità prevalenti rispetto agli interessi che hanno trovato considerazione e riconoscimento negli atti di pianificazione territoriale, ossia conducendo una adeguata valutazione comparativa fra le eccezionali ragioni che impongono la deroga e la situazione di fatto e di diritto sulla quale il relativo provvedimento verrebbe a incidere, anche a tutela del legittimo affidamento riposto dai privati sull’assetto urbanistico derivante dalle prescrizioni cui essi stessi hanno prestato osservanza e che nel caso concreto verrebbero invece disapplicate.
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Con riguardo alla delimitazione della concessione in deroga tale potere eccezionale sussiste con riguardo alle strutture alberghiere, da ritenersi di interesse pubblico per la sua destinazione all’interesse tipico perseguito dalla pubblica amministrazione, perché si tratta di impianti posti al servizio della collettività o comunque di opere che, soprattutto se poste in località di spiccata vocazione turistica, risultano di pubblica utilità.
Gli interessi coinvolti nella gestione del servizio alberghiero in genere, sebbene sia esercitata da soggetti privati, hanno carattere pubblicistico in ragione della generalizzata fruibilità collettiva e della connessione di detto servizio con gli interessi della sicurezza e della salute pubblica, nonché dello sviluppo turistico; pertanto è legittimo il nulla osta al rilascio di concessione edilizia in deroga al piano regolatore per l’ampliamento di una struttura alberghiera.
A convincere della legittimità della concessione in deroga e del suo utilizzo legittimo in concreto vale anche la considerazione della natura peculiare di tale strumento.
Alla concessione in deroga, che condivide con la normale concessione edilizia la funzione di controllo e di mera attuazione a mezzo di verifica di conformità, non è estranea anche una funzione di tipo conformativo, tipica degli strumenti di pianificazione.
La concessione in deroga, infatti, si differenzia radicalmente, sia dal punto di vista procedimentale che da quello sostanziale, rispetto alla normale concessione edilizia, in quanto con essa si consente alla amministrazione di esercitare un potere ampiamente discrezionale al fine di perseguire un interesse pubblico ritenuto preminente, potere che si concretizza nella disapplicazione di una norma a una fattispecie concreta, che pure presenta tutti gli elementi per essere assoggettata alla disciplina da essa dettata e che si concreta in una vera decisione urbanistica.
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Il rilascio della deroga non avviene solo a mezzo di atto del sindaco o delle strutture comunali (ché si limiterebbe a una verifica di conformità), ma richiede, diversamente dalle altre concessioni, la deliberazione del Consiglio comunale (cioè la medesima autorità o organo competente alla adozione del p.r.g.) e della Regione (nella specie Provincia Autonoma) che valuta la compatibilità dell’intervento edilizio con l’area circostante e gli interessi con riguardo ad essa emersi in sede di pianificazione (similmente quindi ad un procedimento di piano), conferendo una potenzialità edificatoria, sia pure non definitiva ma solo provvisoria.
La concessione in deroga si caratterizza quindi come una vera decisione (di micro-pianificazione) relativa a una specifica area, di solito non particolarmente estesa e che, diversamente dalle varianti speciali, non ha carattere definitivo. Proprio perché in deroga, ossia disposizione di carattere speciale rispetto alla normativa generale, venuta meno l’opera per la quale è stata rilasciata la concessione (similmente alla proprietà separata superficiaria, che si estingue al venire meno dell’opera mentre ciò non avviene in caso di diritto di superficie), riemerge la norma generale e con essa le originarie prescrizioni previste dal prg, salva eventuale altra concessione in deroga.
La concessione in deroga è quindi istituto che, unitamente alle varianti ma in senso parzialmente diverso da esse, consente di adottare decisioni urbanistiche, superando la eccessiva staticità del sistema pianificatorio che si porrebbe quasi in modo atemporale, suscettibile di attuazioni e integrazioni, ma non di modifiche se non in casi eccezionali.
Certo, la derogabilità è possibile rispetto a quel gruppo di norme e previsioni degli strumenti urbanistici che attengono alla disciplina urbanistica indifferenziata, concernenti ad esempio gli indici di fabbricabilità, le altezze, la tipologia edilizia; altre norme, come quelle relative alle ubicazioni specifiche di edifici, impianti e servizi pubblici, allineamenti stradali, di destinazione, di vincoli a verde pubblico e privato, dovrebbero essere derogate soltanto a mezzo di apposite varianti al piano regolatore generale.

Questo Consesso, con precedenti riferiti proprio a vicende relative al medesimo comune di Pinzolo, ha precisato come il provvedimento di concessione edilizia in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, essendo espressione di un potere di natura eccezionale, necessiti di una congrua e adeguata motivazione (C. Stato, IV, 03.02.1981, n. 128).
Ai sensi della vigente normativa in materia urbanistica della provincia di Trento il rilascio della concessione edilizia in deroga è comunque limitato ai casi eccezionali di edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico previsti dall’art. 16 legge 06.08.1967 n. 765, fermo restando ovviamente l’onere di una congrua e specifica motivazione sulla sussistenza e la prevalenza di tale interesse (in tal senso anche Cons. Stato, IV, 06.10.1983, n. 700).
Proprio in considerazione della eccezionalità dell’esercizio del potere di deroga la prima sentenza di primo grado aveva ritenuto insufficiente la motivazione della eccezionalità, in quanto il rilascio di una concessione edilizia in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico costituisce per sua stessa natura un provvedimento eccezionale e di contenuto singolare, cioè assunto per soddisfare specifici interessi pubblici sulla base di valutazioni contingenti e dotate di un carattere di eccezionalità, che giustificano, solo nella situazione concreta, la inosservanza consentita delle prescrizioni dettate dagli atti di programmazione.
In linea di principio quindi il potere derogatorio non è utilizzabile per soddisfare esigenze strutturali miranti a nuovi assetti urbanistici, che male si prestano a interventi episodici e saltuari e che giustificherebbero invece la adozione di specifiche varianti allo strumento urbanistico, le sole rispondenti alla definizione di strumenti di governo del territorio e che assicurano grazie al loro carattere di generalità tipico degli atti pianificatori, la razionalità e la imparzialità delle scelte rispetto all’insieme degli interessi, pubblici e privati, coinvolti in un tale disegno innovativo (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 03.02.1997, n. 132, sempre con riferimento a vicenda riguardante il comune di Pinzolo).
Nella specie, come rilevato anche dal primo giudice nella sentenza n. 148 del 2004, l’amministrazione ha successivamente meglio dato conto delle sue esigenze, con dati di fatto più puntuali, calati nella realtà territoriale, specificando anche la impossibilità a dare corso alla concreta deroga in regime ordinario a mezzo di varianti pianificatorie.
Resta pertanto pienamente rispettato il principio secondo il quale la concessione edilizia in deroga può essere legittimamente emanata se sussiste un concreto e specifico interesse pubblico, di natura e qualità prevalenti rispetto agli interessi che hanno trovato considerazione e riconoscimento negli atti di pianificazione territoriale, ossia conducendo una adeguata valutazione comparativa fra le eccezionali ragioni che impongono la deroga e la situazione di fatto e di diritto sulla quale il relativo provvedimento verrebbe a incidere, anche a tutela del legittimo affidamento riposto dai privati sull’assetto urbanistico derivante dalle prescrizioni cui essi stessi hanno prestato osservanza e che nel caso concreto verrebbero invece disapplicate.
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Con riguardo alla delimitazione della concessione in deroga tale potere eccezionale sussiste con riguardo alle strutture alberghiere, da ritenersi di interesse pubblico per la sua destinazione all’interesse tipico perseguito dalla pubblica amministrazione, perché si tratta di impianti posti al servizio della collettività o comunque di opere che, soprattutto se poste in località di spiccata vocazione turistica, risultano di pubblica utilità.
Gli interessi coinvolti nella gestione del servizio alberghiero in genere, sebbene sia esercitata da soggetti privati, hanno carattere pubblicistico in ragione della generalizzata fruibilità collettiva e della connessione di detto servizio con gli interessi della sicurezza e della salute pubblica, nonché dello sviluppo turistico; pertanto è legittimo il nulla osta al rilascio di concessione edilizia in deroga al piano regolatore per l’ampliamento di una struttura alberghiera (in tal senso Cons. Stato, IV, 29.10.2002, n. 5913).
A convincere della legittimità della concessione in deroga e del suo utilizzo legittimo in concreto vale anche la considerazione della natura peculiare di tale strumento.
Alla concessione in deroga, che condivide con la normale concessione edilizia la funzione di controllo e di mera attuazione a mezzo di verifica di conformità, non è estranea anche una funzione di tipo conformativo, tipica degli strumenti di pianificazione.
La concessione in deroga, infatti, si differenzia radicalmente, sia dal punto di vista procedimentale che da quello sostanziale, rispetto alla normale concessione edilizia, in quanto con essa si consente alla amministrazione di esercitare un potere ampiamente discrezionale al fine di perseguire un interesse pubblico ritenuto preminente, potere che si concretizza nella disapplicazione di una norma a una fattispecie concreta, che pure presenta tutti gli elementi per essere assoggettata alla disciplina da essa dettata e che si concreta in una vera decisione urbanistica.
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Il rilascio della deroga non avviene solo a mezzo di atto del sindaco o delle strutture comunali (ché si limiterebbe a una verifica di conformità), ma richiede, diversamente dalle altre concessioni, la deliberazione del Consiglio comunale (cioè la medesima autorità o organo competente alla adozione del p.r.g.) e della Regione (nella specie Provincia Autonoma) che valuta la compatibilità dell’intervento edilizio con l’area circostante e gli interessi con riguardo ad essa emersi in sede di pianificazione (similmente quindi ad un procedimento di piano), conferendo una potenzialità edificatoria, sia pure non definitiva ma solo provvisoria.
La concessione in deroga si caratterizza quindi come una vera decisione (di micro-pianificazione) relativa a una specifica area, di solito non particolarmente estesa e che, diversamente dalle varianti speciali, non ha carattere definitivo. Proprio perché in deroga, ossia disposizione di carattere speciale rispetto alla normativa generale, venuta meno l’opera per la quale è stata rilasciata la concessione (similmente alla proprietà separata superficiaria, che si estingue al venire meno dell’opera mentre ciò non avviene in caso di diritto di superficie), riemerge la norma generale e con essa le originarie prescrizioni previste dal prg, salva eventuale altra concessione in deroga.
La concessione in deroga è quindi istituto che, unitamente alle varianti ma in senso parzialmente diverso da esse, consente di adottare decisioni urbanistiche, superando la eccessiva staticità del sistema pianificatorio che si porrebbe quasi in modo atemporale, suscettibile di attuazioni e integrazioni, ma non di modifiche se non in casi eccezionali.
Certo, la derogabilità è possibile rispetto a quel gruppo di norme e previsioni degli strumenti urbanistici che attengono alla disciplina urbanistica indifferenziata, concernenti ad esempio gli indici di fabbricabilità, le altezze, la tipologia edilizia; altre norme, come quelle relative alle ubicazioni specifiche di edifici, impianti e servizi pubblici, allineamenti stradali, di destinazione, di vincoli a verde pubblico e privato, dovrebbero essere derogate soltanto a mezzo di apposite varianti al piano regolatore generale
(Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 23.07.2009 n. 4664 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 14 del DPR 06.06.2001 n. 380 stabilisce testualmente che “Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia”.
Ai fini dell’applicazione della predetta deroga, la questione della riconducibilità delle strutture alberghiere tra gli “edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico” è stata già affrontata e risolta dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di ritenerle comprese nell’ambito di applicazione dell’anzidetta previsione “trattandosi di un servizio offerto alla collettività e caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore”.
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Laddove il territorio interessato possieda una vocazione turistica prevalente, la riconduzione all'interesse pubblico dell'edificio alberghiero non richiede affatto un'interpretazione estensiva ed è anzi compatibile con una lettura restrittiva rispetto a diverse attività economiche che non presentino le medesime caratteristiche di rilevanza urbanistica e culturale, ma che solo possano accampare il loro peso economico.

Sostengono ancora i ricorrenti che nel caso di specie l’amministrazione intimata avrebbe fatto illegittimo uso dell’istituto della concessione edilizia in deroga, non sussistendo, nella specie, i presupposti di interesse pubblico che avrebbero potuto legittimare il rilascio di un titolo edilizio in contrasto con la normativa urbanistica comunale.
L’art. 14 del DPR 06.06.2001 n. 380, che i ricorrenti assumono violato, stabilisce testualmente che “Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia”.
Osserva il Collegio che ai fini dell’applicazione della predetta deroga, la questione della riconducibilità delle strutture alberghiere tra gli “edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico” è stata già affrontata e risolta dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di ritenerle comprese nell’ambito di applicazione dell’anzidetta previsione “trattandosi di un servizio offerto alla collettività e caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore” (Cons. Stato, Sez. IV, 29.10.2002 n. 5913).
Inoltre, nel caso di specie, con la delibera n. 31 del 19.07.2004, di approvazione della concessione della deroga recante l’elevazione dell’indice di edificabilità da 0,4 mc/mq a 0,95 mc/mq, il Consiglio comunale ha espressamente evidenziato, in termini affatto irragionevoli, ulteriori profili di interesse pubblico dell’opera, rilevando che la struttura alberghiera in questione è funzionale allo sviluppo economico del Comune di Sant’Anna Arresi con particolare riferimento all’incremento del settore turistico ed alle ricadute occupazionali dell’indotto; nonché con riguardo alla sviluppo ed alla valorizzazione dell’intera area.
In proposito la giurisprudenza ha altresì precisato che “laddove il territorio interessato possieda una vocazione turistica prevalente, la riconduzione all'interesse pubblico dell'edificio alberghiero non richiede affatto un'interpretazione estensiva ed è anzi compatibile con una lettura restrittiva rispetto a diverse attività economiche che non presentino le medesime caratteristiche di rilevanza urbanistica e culturale, ma che solo possano accampare il loro peso economico” (Consiglio Stato, sez. IV, 28.10.1999, n. 1641)
(TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 22.07.2009 n. 1375 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Definizione di centro abitato e natura del permesso di costruire in deroga.
Premesso che la definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci nel quadro normativo, soccorrono, allo scopo, l’esistenza di criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto. In particolare, si è recentemente affermato che il centro abitato va identificato nella situazione di fatto determinata dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, con interposte strade, piazze e simili, o comunque brevi soluzioni di continuità.
Ai fini dell’applicazione della deroga di cui all’art. 14 del d.P.R. n. 380/2001, la questione della riconducibilità delle strutture alberghiere tra gli "edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico” è stata già affrontata e risolta dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di ritenerle comprese nell’ambito di applicazione dell’anzidetta previsione, trattandosi di un servizio offerto alla collettività e caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore.
Laddove il territorio interessato possieda una vocazione turistica prevalente, la riconduzione all'interesse pubblico dell'edificio alberghiero non richiede affatto un'interpretazione estensiva ed è anzi compatibile con una lettura restrittiva rispetto a diverse attività economiche che non presentino le medesime caratteristiche di rilevanza urbanistica e culturale, ma che solo possano accampare il loro peso economico (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 22.07.2009 n. 1375 - link a
www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALa disposizione comunale che riserva al Sindaco la “facoltà di rilasciare concessioni per costruzioni difformi dalla presente norma quando si presentino motivi di utilità pubblica, di interesse pubblico o di salvaguardia paesaggistica” sostanzia che il pianificatore comunale ha attribuito alla concessione edilizia in deroga una latitudine di significato più ampia rispetto a quanto imposto dalla normativa sovraordinata .
Il riferimento ai motivi di interesse pubblico, di pubblica utilità, di salvaguardia paesaggistica amplia, almeno potenzialmente, la gamma dei possibili interventi edilizi in deroga rispetto alla opzione effettuata dal legislatore ordinario e da quello regionale.
La legislazione primaria, coerentemente alla natura eccezionale della deroga ha, invece, previsto una tipizzazione oggettiva delle costruzioni da assentire in deroga.
Ciò significa che l’area di operatività della concessione edilizia in deroga, così come ricostruita alla stregua delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico in discorso, amplia eccessivamente lo spazio di manovra dell’autorità urbanistica.

L’art 41-quater della Legge Urbanistica stabilisce che “i poteri di deroga previsti da norme di piano regolatore e di regolamento edilizio possono essere esercitati limitatamente ai casi di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico e sempre con l’osservanza dell’art. 3 della legge 21.12.1955, n. 1537”.
A sua volta, l’art. 30 della legge regionale Puglia 31.05.1980, n. 56 replica pedissequamente il contenuto della disposizione statale sopra citata legittimando il ricorso alla deroga nei soli casi di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico.
L’art. 16 delle norme tecniche di attuazione del piano di fabbricazione vigente in Castrignano del Capo elencato gli interventi edilizi ordinari consentiti nella zona B3 prescelta per la localizzazione del complesso edilizio di cui si discute.
La stessa disposizione riserva al Sindaco la “facoltà di rilasciare concessioni per costruzioni difformi dalla presente norma quando si presentino motivi di utilità pubblica, di interesse pubblico o di salvaguardia paesaggistica”.
Il Collegio osserva che, alla luce di questo assetto normativo, il pianificatore comunale ha attribuito alla concessione edilizia in deroga una latitudine di significato più ampia rispetto a quanto imposto dalla normativa sovraordinata .
Il riferimento ai motivi di interesse pubblico, di pubblica utilità, di salvaguardia paesaggistica amplia, almeno potenzialmente, la gamma dei possibili interventi edilizi in deroga rispetto alla opzione effettuata dal legislatore ordinario e da quello regionale.
La legislazione primaria, coerentemente alla natura eccezionale della deroga ha, invece, previsto una tipizzazione oggettiva delle costruzioni da assentire in deroga.
Ciò significa che l’area di operatività della concessione edilizia in deroga, così come ricostruita alla stregua delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico in discorso, amplia eccessivamente lo spazio di manovra dell’autorità urbanistica.
Né può condividersi la tesi proposta dalla difesa della amministrazione civica resistente secondo la quale la deroga di cui si parla ha una sua autonoma valenza nel sistema e non ha punti di contatto con la normativa sovraordinata.
La tesi collide con il chiaro dettato della normativa primaria citata, e segnatamente con la lettera dell’art. 41-quater Legge 1150/1942 che delimita proprio lo spazio applicativo dei “poteri di deroga previsti da norme di piano regolatore”.
Da tanto deriva l’esigenza di ricostruire sistematicamente la deroga utilizzando una esegesi restrittiva della casistica di interventi costruttivi suscettibili di approvazione.
Invero, la sostanziale modifica dell’assetto urbanistico che deriva dalla approvazione di un intervento edilizio difforme da quanto si ritiene assentibile di norma nella zona esige la piena riconducibilità del progetto da approvare all’area applicativa della deroga, in considerazione del carattere eccezionale dell’istituto.
Nel caso sottoposto all’esame del Collegio, la concessione ad edificare richiama, sotto il profilo descrittivo, il progetto edilizio presentato dalla controinteressata, precedentemente approvato dal Consiglio Comunale al dichiarato fine di realizzare la “riqualificazione di Piazza Savoia a suffragio del conseguimento di un pubblico interesse quale contropartita per l’ammissione della deroga” .
Il Collegio esprime, a tal riguardo, l’avviso che l’obiettivo della riqualificazione della piazza cittadina, (ritenuta tradizionale polo commerciale della Marina di Leuca) perseguito attraverso la realizzazione di cinque locali commerciali per porre rimedio al degrado urbanistico di edifici esistenti possa essere raggiunto, non già attraverso il rilascio di una concessione in deroga , quanto in regime di recupero dell’esistente, ai sensi dello stesso art. 16 nta.
Quest’ultima disposizione stabilisce, infatti, che in zona B3 sono consentite, tra l’altro, “eventuali demolizioni e ricostruzioni di edifici esistenti attraverso la redazione di un progetto plano volumetrico di zona che indichi i modi e i tempi dell’intervento di ristrutturazione”.
La riqualificazione urbanistica di un sito costituisce, del resto, obiettivo ordinario di governo del territorio comunale che non giustifica l’uso di uno strumento derogatorio quale quello evocato dalla difesa comunale e della contro interessata.
A tanto deve aggiungersi che il complesso edilizio approvato con la delibera consiliare impugnata include anche la realizzazione di civili abitazioni al primo piano .
Un programma edificatorio di questa natura, che appare connotato dal perseguimento di un preponderante interesse di marca privatistica insito nella realizzazione di immobili ad uso privato risulta incompatibile con la finalità pubblicistica da soddisfare, secondo la normativa tecnica esaminata, per il rilascio di una concessione in deroga .
Ne è prova la anomala compensazione che si è ritenuto di poter effettuare, in sede di rilascio dell’assenso edilizio, tra l’importo degli oneri concessori e quello delle “opere pubbliche“ che il privato si è impegnato ad eseguire, in violazione del principio di onerosità del titolo concessorio, consacrato dall’art. 3 della legge Bucalossi 10/1977.
La concessione edilizia impugnata risente, pertanto, delle violazioni che inficiano la presupposta delibera di Consiglio Comunale e va annullata anche per vizio proprio, per quanto su ricordato (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 09.07.2009 n. 1806 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa decisione di ridurre l’altezza massima degli edifici, a fronte di un consistete aumento della cubatura realizzabile, costituisce espressione della discrezionalità che deve senza dubbio riconoscersi al Consiglio comunale, in sede di approvazione delle concessioni edilizie per la realizzazione di opere di interesse pubblico, in deroga allo strumento urbanistico, rispetto alla quale non può invocarsi l’estensione del sindacato giurisdizionale oltre i limiti della manifesta irragionevolezza o contraddittorietà, che nella specie non sussiste.
La decisione di ridurre l’altezza massima degli edifici, a fronte di un consistete aumento della cubatura realizzabile, è stata infatti congruamente motivata nel corso della discussione (cfr. l’intervento del Sindaco, riportato a pag. 21 del verbale della seduta del 10.11.1999) e costituisce espressione della discrezionalità che deve senza dubbio riconoscersi al Consiglio comunale, in sede di approvazione delle concessioni edilizie per la realizzazione di opere di interesse pubblico, in deroga allo strumento urbanistico, rispetto alla quale non può invocarsi l’estensione del sindacato giurisdizionale oltre i limiti della manifesta irragionevolezza o contraddittorietà, che nella specie non sussiste (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 08.07.2009 n. 1792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Circa l’ammissibilità del rilascio di concessioni o permessi di costruire in deroga, la giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente interpretato l’espressione “impianti di interesse pubblico”, di cui all’art. 41-quater della L. 17.08.1942, n. 1150 (trasfuso nell’attuale art. 14 del T.U. sull’edilizia, approvato con D.P.R. 06.06.2001, n. 380), ad essi riconducendo solo interventi corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica amministrazione.
Successivamente si è, peraltro, registrata un’evoluzione, poi consolidatasi nel diritto vivente, nel senso di ritenere applicabile la stessa norma anche a strutture dove venga offerto un servizio alla collettività, caratterizzate da una pubblica fruibilità. E’ stato considerato, infatti, che l'art. 16 della legge 06.08.1967, n. 765 preveda la possibilità di esercizio di un potere di deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici per manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti pubblici) che di interesse pubblico (ossia gestiti da soggetti indifferentemente pubblici o privati, aventi peraltro l’identica missione di soddisfare esigenze della collettività di tipo economico, bancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico, religioso o turistico-alberghiero).
In particolare, questa nuovo indirizzo della giurisprudenza ha riguardato le strutture alberghiere, ritenute a pieno titolo ricomprese tra gli impianti di interesse pubblico, per i quali è consentito il rilascio di concessione edilizia in deroga. Questo peculiare interesse pubblico, in particolare, ha trovato base e ragione nello sviluppo del turismo e della cultura.

... per l'annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Besenello n. 39 del 29.11.2005, avente ad oggetto la “richiesta di concessione edilizia in deroga e in parziale sanatoria" ...
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Passando alle considerazioni del Collegio, va premesso che, circa l’ammissibilità del rilascio di concessioni o permessi di costruire in deroga, la giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente interpretato l’espressione “impianti di interesse pubblico”, di cui all’art. 41-quater della L. 17.08.1942, n. 1150 (trasfuso nell’attuale art. 14 del T.U. sull’edilizia, approvato con D.P.R. 06.06.2001, n. 380), ad essi riconducendo solo interventi corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica amministrazione (vd., ad es.: Cons. St., V, 11.12.1992, n. 1428; IV, 25.11.1988, n. 774).
Successivamente si è, peraltro, registrata un’evoluzione, poi consolidatasi nel diritto vivente, nel senso di ritenere applicabile la stessa norma anche a strutture dove venga offerto un servizio alla collettività, caratterizzate da una pubblica fruibilità. E’ stato considerato, infatti, che l'art. 16 della legge 06.08.1967, n. 765 preveda la possibilità di esercizio di un potere di deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici per manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti pubblici) che di interesse pubblico (ossia gestiti da soggetti indifferentemente pubblici o privati, aventi peraltro l’identica missione di soddisfare esigenze della collettività di tipo economico, bancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico, religioso o turistico-alberghiero).
In particolare, questa nuovo indirizzo della giurisprudenza ha riguardato le strutture alberghiere, ritenute a pieno titolo ricomprese tra gli impianti di interesse pubblico, per i quali è consentito il rilascio di concessione edilizia in deroga (vd.: Cons. St., V, 11.01.2006, n. 46; IV, 12.01.2005, n. 7031; IV, 29.10.2002, n. 5913; IV, 28.10.1999, n. 1641; V, 15.07.1998, n. 1044). Questo peculiare interesse pubblico, in particolare, ha trovato base e ragione nello sviluppo del turismo e della cultura.
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Ritiene, tuttavia, il Collegio che, nella fattispecie, l’onere della motivazione non sia stato né sufficientemente né correttamente assolto, essendo stato fatto riferimento ad esigenze di natura esclusivamente urbanistica, riferite all’asserita compromissione della pianificazione comunale di zona.
La prodotta domanda di deroga edilizia presupponeva, peraltro, che fosse prioritariamente individuato lo specifico interesse pubblico ad essa sotteso (nella specie, di tipo economico ed occupazionale), al fine di porlo a raffronto con quello perseguito dalla pianificazione urbanistica e statuendo successivamente sulla prevalenza dell’uno rispetto all’altro..
L'intervento in deroga, infatti, in tanto può ritenersi ammissibile in quanto le opere abusivamente realizzate risultino destinate a finalità di interesse pubblico: in tal caso, infatti, l'ordinamento consente di derogare alla ordinaria disciplina pianificatoria, privilegiando il concorrente interesse pubblico sotteso alla deroga (cfr., ibidem: Cons. St., V, 11.01.2006, n. 46).
La previsione di tale specifico potere esclude, tuttavia, per la contraddizione che non consente la diversa conclusione che si possa attribuire rilevanza preclusiva alla valutazione del solo contrasto con la pianificazione urbanistica comunale di zona
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, Sez. I, sentenza 18.06.2009 n. 194 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’iter previsto dall’art. 41-quater della l. n. 1150/1942 (ora art. 14 DPR 380/2001) prevede, come atto terminale del procedimento azionato dall’istante, la concessione edilizia (ora permesso di costruire) in deroga, che è accordata o negata previa deliberazione del Consiglio Comunale. Quest’ultima si configura, quindi, come atto interno del procedimento, non immediatamente lesivo ed impugnabile solo congiuntamente all’atto finale, una volta che questo sia stato emanato.
Tale deliberazione preliminare costituisce, quindi, un elemento necessario del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso .
La necessità della pronuncia del Consiglio Comunale, sostenuta dalla giurisprudenza, pone in rilievo il dato che la determinazione negativa del Consiglio sulla deroga precluda il prosieguo del procedimento di concessione edilizia in ordine alla deroga stessa, specificando che, a norma dell’art. 41-quater cit., è illegittimo il rilascio di una concessione edilizia in deroga quando la deroga non consegua a deliberazione del Consiglio Comunale.
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A differenza degli altri titoli edilizi, l’assenso in deroga presenta profili marcatamente discrezionali in ordine all’opportunità del rilascio, talché l’esatta individuazione della specifica finalità avuta di mira con la deroga è un elemento aggiuntivo, ma decisamente essenziale, del relativo provvedimento, tanto da risultare talora finanche consacrato in atti convenzionali ad hoc, accessivi al provvedimento autorizzativo, conclusi tra il richiedente e l’Amministrazione procedente.
Il permesso di costruire in deroga consiste, invero, al pari dell’omologa “vecchia” concessione edilizia, in una disciplina dell’uso del territorio che, sebbene puntuale (ossia limitata al singolo intervento), esorbita dall’ordinario regime dei titoli costruttivi poiché spezza l’uniformità giuridica delle regole normalmente applicate nella zona urbanistica di riferimento. L’esercizio del relativo potere può quindi giustificarsi soltanto in vista della soddisfazione di esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari tutelati dalla disciplina urbanistica generale. Si comprende allora perché l’esatta perimetrazione dell’ambito della deroga rappresenti, ancor oggi come in passato, l’aspetto di maggiore problematicità.
Al riguardo il Ministero dei lavori pubblici ha offerto ai comuni, in più occasioni ed in tempi diversi, alcuni criteri interpretativi ai fini del corretto esercizio del potere in questione, al duplice scopo di dare lumi alle Amministrazioni locali e di impedirne le prevedibili distonie applicative.
E’ stata dapprima emanata la circolare dell'01.03.1963, n. 518, recante «Istruzioni per l’applicazione dell’art. 3 delle legge 21.12.1955 n. 1357. Esercizio dei poteri comunali di deroga alle norme di regolamento edilizio e di attuazione dei piani regolatori», che, al punto 2, dopo aver sottolineato, nell’impossibilità di esporre una precisa casistica, l’esigenza di verificare, caso per caso, l’esistenza delle condizioni di fatto per l’assenso alla deroga, puntualizzava che gli edifici di interesse pubblico fossero tutti quelli che, pur non costruiti da enti pubblici, presentassero comunque un «chiaro e diretto interesse pubblico».
Venne in seguito diramata la circolare Min. LL.PP., Direzione Generale dell’Urbanistica del 28.10.1967, n. 3210, contenente le istruzioni per l’applicazione della legge-ponte che, al capo 12, dilatò il concetto di “interesse pubblico”. Nell’opinione ministeriale dovevano intendersi come edifici ed impianti pubblici, quelli per i quali ricorressero le due condizioni dell’appartenenza ad enti pubblici (requisito soggettivo) e della destinazione a finalità di carattere pubblico (requisito oggettivo); mentre erano considerati edifici ed impianti di interesse pubblico, quelli oggettivamente destinati a finalità di carattere generale (di natura economica, culturale, industriale, igienica, religiosa, ecc.), a nulla rilevando il profilo soggettivo della relativa titolarità giuridica e, quindi, «indipendentemente dalla qualità dei soggetti che li realizzano».
Alla stregua di siffatta distinzione vennero esemplificativamente classificate come pubbliche le sedi degli uffici pubblici, le scuole, le caserme; e di interesse pubblico molti altri beni immobili, di proprietà pubblica o privata, quali i conventi, i poliambulatori, gli alberghi, gli impianti turistici, le biblioteche, i teatri ed i silos portuali.
Infine merita menzione la successiva circolare 25.02.1970, n. 25/M che, al punto 3, rifacendosi espressamente ad un parere reso dal Consiglio di Stato, ebbe a valorizzare ampiamente il concetto di interesse pubblico, evidenziando che l’individuazione di esso «…non può essere effettuata in base a criteri generali ed astratti né è suscettibile di essere precisata in ipotesi tassative, ma può emergere esclusivamente dall’esame concreto delle singole fattispecie … (L’interesse pubblico) … va inteso nella sua accezione tecnico-giuridica di interesse tipico, il cui soddisfacimento e la cui tutela sono assunti dalla P.A.; quindi non nel senso lato di interesse collettivo o generale, bensì in quello specifico di interesse qualificato dalla sua rispondenza a fini perseguiti dall’Amministrazione stessa».
Si è così affermato, in numerose decisioni, che per l’individuazione dei fabbricati suscettibili di derogare alle disposizioni edilizie non fosse tanto rilevante la qualità pubblica o privata dei soggetti esecutori, ma che occorresse valutare, sotto il profilo obiettivo, l’effettiva ricorrenza di un nesso tra la destinazione dell’edificio ed un interesse tipico perseguito dalla Pubblica Amministrazione, con specifico riferimento alla situazione del singolo immobile.
Si è prodotto così l’effetto di un ampliamento del campo di applicazione, esteso fino al punto di comprendere i tralicci per gli impianti televisivi «… in ragione del carattere di preminente interesse generale della diffusione di programmi radiofonici o televisivi … riconosciuto dall’art. 1 della legge n. 223 del 1990…» o, ancora, gli edifici destinati all’ampliamento di una sede consolare di uno Stato estero e, perfino, un impianto per il tiro a volo,o le grandi strutture commerciali di vendita.
Il nuovo testo della norma, come recepito nell’art. 14 DPR 380/2001, non richiede più che i poteri di deroga siano espressamente «previsti da norme di piano regolatore e di regolamento edilizio».
L’eliminazione di tale presupposto comporta un’apprezzabile attenuazione della tassatività dei casi in cui è consentito ricorrere all’istituto. Per il resto la norma, al pari della disciplina abrogata, limita la possibilità di rilasciare titoli edilizi in deroga per la sola realizzazione di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico.
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Un’altra questione controversa concerne l’esatta portata dell’istituto circa l’individuazione delle norme suscettibili di deroga.
Con riguardo alla normativa statale, si sono manifestati due differenti orientamenti: da un lato, vi era chi riteneva derogabile qualunque previsione di piano, ivi comprese le destinazioni urbanistiche di zona; dall’altro, la giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente negava siffatta possibilità ed, anzi, tendeva ad escludere che attraverso la concessione in deroga si potesse consentire la realizzazione di volumi maggiori di quelli autorizzabili o l’inosservanza degli standard di altezza, distanza e densità edilizia fissati dal d.m. 02.04.1968, n. 444; questi ultimi, in particolare, in quanto ritenuti funzionali alla superiore salvaguardia di esigenze di carattere igienico sanitarie collegate al diritto alla buona qualità della vita di tutti i cittadini, erano considerati come un limite inderogabile anche per l’autonomia regolamentare degli enti locali.
Si opinava inoltre che l’insuperabilità delle norme fissate dal d.m. cit. discendesse dal principio dell’inderogabilità delle norme primarie: muovendo dal presupposto che il d.m. n. 1444/1968 era stato emanato in attuazione dell’art. 41-quinquies l. urb., si pensava che una deroga al primo si concretasse anche in un’inammissibile deroga al secondo.
In tal senso, del resto, si era espresso in epoca risalente il medesimo Ministero dei lavori pubblici che, con la circolare del 28.02.1956, n. 847, aveva suggerito ai Comuni (capo III, punto 2), per evitare che l’esercizio dei poteri derogatori aggravasse la densità fabbricativa di una zona o ingenerasse inconvenienti di natura igienica o di traffico, l’adozione del criterio del c.d. “compenso dei volumi” nel caso di licenza rilasciata in deroga alle altezze o ai distacchi o a qualsiasi altra misura prevista dalla locale normativa urbanistico- edilizia. In altre parole, per evitare lo sviluppo di un volume edilizio complessivamente maggiore di quello astrattamente risultante dalla corrente applicazione delle norme edilizie della zona di insistenza, le Amministrazioni avrebbero dovuto far luogo a congrue e contemporanee riduzioni di altri elementi costruttivi quali la superficie occupata o i ritiri di fronte.
La giurisprudenza ha sempre sostenuto, coerentemente con un’esegesi restrittiva dell’art. 41-quater l.urb., che le deroghe previste nelle singole concessioni non potessero mai travolgere le direttive di ordine urbanistico stabilite nel P.R.G., non potendo configurare una variante puntuale alla pianificazione, e che, pertanto, non fossero derogabili le destinazioni di zona ivi previste.
Con il nuovo testo dell’art. 14 DPR 380/2001, commi 1 e 3, si sono fissati dei “paletti” invalicabili al possibile oggetto della deroga. In particolare, il permesso di costruire non può essere rilasciato in violazione:
- delle disposizioni contenute nel d.lg. 29.10.1999, n. 490, recante il testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali; (ora d.lg. 22.01.2004, n. 41);
- delle altre «normative di settore» aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia;
- delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, se non limitatamente agli standard di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi;
- delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444.
Dall’insieme delle esclusioni alla deroga emerge il quadro di un complessivo ridimensionamento rispetto al passato della “eccezionalità” dell’istituto.
Il Legislatore si è premurato di indicare, in particolare, quali siano le norme degli strumenti urbanistici (ivi compresi quelli esecutivi) derogabili: a questo novero non appartengono quelle che abbiano natura igienica, sanitaria o di sicurezza, ma esclusivamente le norme di attuazione che fissino limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza fra i fabbricati. Tuttavia il successivo capoverso chiarisce che la deroga non può comunque riguardare gli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444/1968.
Pertanto, ancorché l’aspetto de quo non investa l’esame del Tribunale che nella specie deve scrutinare la legittimità della revoca alla stregua delle motivazioni per le quali la stessa è stata disposta, non appare superfluo rilevare che in sede di emissione del titolo in deroga, dovrà compiersi da parte dell’amministrazione una attenta valutazione della compatibilità della deroga richiesta con le esclusioni indicate nella disposizione normativa.
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Infine, e per quanto qui interessa, si è posto anche il problema della ammissibilità di una deroga in sanatoria, risolvendolo positivamente. L’emersione del principio si ebbe in occasione delle note vicende del «Palatrussardi» di Milano. La realizzazione dell’edificio, destinata a sopperire all’inagibilità del Palazzo dello Sport di Milano danneggiato dagli agenti atmosferici, fu originariamente assentita con due autorizzazioni provvisorie per strutture mobili. Tali autorizzazioni vennero però successivamente annullate dal TAR Lombardia in considerazione della loro ritenuta inadeguatezza giuridica, trattandosi di una tensostruttura di dimensioni notevoli, costruita in metallo e cemento armato.
Per legittimare l’esistente fu così concessa una deroga “in sanatoria”, previo nulla osta regionale. In relazione al rilascio di quest’ultimo atto il contenzioso è stato definito dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 01.10.1997, n. 1057; con tale pronuncia si è stabilito che la costruzione in oggetto si inseriva nell’esercizio delle funzioni amministrative comunali di promozione di attività ricreative e sportive ex art. 60, lett. a), D.P.R. n. 616/1977 e che, pertanto, rientrava nel novero degli edifici per i quali poteva considerasi ammesso il rilascio di concessioni in deroga.
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La valutazione del Consiglio Comunale in ordine alla possibilità di derogare ai parametri dello strumento urbanistico, ha carattere di valutazione discrezionale, e l’amministrazione, nel porla in essere, ha l’obbligo di dare puntuale motivazione della scelta compiuta.

... per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, della delibera n. 39 del 24.07.1998 di C.C. con cui è stata revocata la delibera consiliare n. 30 del 30.06.1998 che aveva espresso parere favorevole al rilascio di concessione edilizia in deroga.
...
Va premesso che la procedura per la concessione edilizia in deroga è disciplinata dall’art. 14 TU 380/2001, intitolato “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici" (legge 17.08.1942, n. 1150, art. 41-quater, introdotto dall'art. 16 della legge 06.08.1967, n. 765; decreto legislativo n. 267 del 2000, art. 42, comma 2, lettera b); legge 21.12.1955, n. 1357, art. 3), il quale dispone: "1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490 e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.
2. Dell'avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell'articolo 7 della legge 07.08.1990, n. 241.
3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444
.".
Sotto un profilo strettamente procedimentale, rilevante ai fini dell’esame della ammissibilità del presente ricorso, va premesso che l’iter previsto dall’art. 41-quater della l. n. 1150/1942 (ora art. 14 DPR 380/2001) prevede, come atto terminale del procedimento azionato dall’istante, la concessione edilizia (ora permesso di costruire) in deroga, che è accordata o negata previa deliberazione del Consiglio Comunale. Quest’ultima si configura, quindi, come atto interno del procedimento, non immediatamente lesivo ed impugnabile solo congiuntamente all’atto finale, una volta che questo sia stato emanato (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 09.04.1998, n. 728).
Tale deliberazione preliminare costituisce, quindi, un elemento necessario del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso .
La necessità della pronuncia del Consiglio Comunale, sostenuta dalla giurisprudenza, pone in rilievo il dato che la determinazione negativa del Consiglio sulla deroga precluda il prosieguo del procedimento di concessione edilizia in ordine alla deroga stessa (C.d.S., Sez. V, 01.03.1993, n. 302), specificando che, a norma dell’art. 41-quater cit., è illegittimo il rilascio di una concessione edilizia in deroga quando la deroga non consegua a deliberazione del Consiglio Comunale (C.d.S., Sez. V, 28.06.2004, n. 4759).
L’atto di revoca del nulla osta positivo nella specie determina quindi un arresto procedimentale lesivo ed immediatamente impugnabile.
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Tanto premesso in punto di fatto, va osservato quanto segue in punto di diritto.
Come sopra premesso, la revoca del nulla osta positivo è motivata sulla scorta dell’accertata effettuazione della modifica di destinazione di uso prima della emissione del provvedimento positivo, e quindi sulla scorta della falsità dei presupposti per far luogo alla deroga ritenendosi incompatibili deroga e sanatoria. Ben vero, nel corso della discussione consiliare, è emerso anche un ulteriore aspetto, ossia la incompatibilità del mutamento di uso con la destinazione di zona, sì che la deroga investirebbe lo strumento urbanistico e non singoli parametri di legge. Tuttavia la determinazione messa ai voti investe la impossibilità di sanare una attività già in essere, sì che il provvedimento di secondo grado si è formato con riferimento alla suindicata motivazione.
Pur investendo quindi l’esame del Collegio tale stretto profilo di diritto, stante i limiti del giudizio impugnatorio, si ritiene di premettere una breve ricostruzione normativa ed interpretativa dell’istituto del permesso di costruire in deroga, ai fini di un miglior inquadramento della fattispecie, e dell’effetto conformativo-prescrittivo della presente sentenza, sulla successiva attività della P.A., al di là del mero effetto tipico caducatorio del giudizio su atti.
A differenza degli altri titoli edilizi, l’assenso in deroga presenta profili marcatamente discrezionali in ordine all’opportunità del rilascio, talché l’esatta individuazione della specifica finalità avuta di mira con la deroga è un elemento aggiuntivo, ma decisamente essenziale, del relativo provvedimento, tanto da risultare talora finanche consacrato in atti convenzionali ad hoc, accessivi al provvedimento autorizzativo, conclusi tra il richiedente e l’Amministrazione procedente.
Il permesso di costruire in deroga consiste, invero, al pari dell’omologa “vecchia” concessione edilizia, in una disciplina dell’uso del territorio che, sebbene puntuale (ossia limitata al singolo intervento), esorbita dall’ordinario regime dei titoli costruttivi poiché spezza l’uniformità giuridica delle regole normalmente applicate nella zona urbanistica di riferimento. L’esercizio del relativo potere può quindi giustificarsi soltanto in vista della soddisfazione di esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari tutelati dalla disciplina urbanistica generale. Si comprende allora perché l’esatta perimetrazione dell’ambito della deroga rappresenti, ancor oggi come in passato, l’aspetto di maggiore problematicità.
Al riguardo il Ministero dei lavori pubblici ha offerto ai comuni, in più occasioni ed in tempi diversi, alcuni criteri interpretativi ai fini del corretto esercizio del potere in questione, al duplice scopo di dare lumi alle Amministrazioni locali e di impedirne le prevedibili distonie applicative.
E’ stata dapprima emanata la circolare dell'01.03.1963, n. 518, recante «Istruzioni per l’applicazione dell’art. 3 delle legge 21.12.1955 n. 1357. Esercizio dei poteri comunali di deroga alle norme di regolamento edilizio e di attuazione dei piani regolatori», che, al punto 2, dopo aver sottolineato, nell’impossibilità di esporre una precisa casistica, l’esigenza di verificare, caso per caso, l’esistenza delle condizioni di fatto per l’assenso alla deroga, puntualizzava che gli edifici di interesse pubblico fossero tutti quelli che, pur non costruiti da enti pubblici, presentassero comunque un «chiaro e diretto interesse pubblico».
Venne in seguito diramata la circolare Min. LL.PP., Direzione Generale dell’Urbanistica del 28.10.1967, n. 3210, contenente le istruzioni per l’applicazione della legge-ponte che, al capo 12, dilatò il concetto di “interesse pubblico”. Nell’opinione ministeriale dovevano intendersi come edifici ed impianti pubblici, quelli per i quali ricorressero le due condizioni dell’appartenenza ad enti pubblici (requisito soggettivo) e della destinazione a finalità di carattere pubblico (requisito oggettivo); mentre erano considerati edifici ed impianti di interesse pubblico, quelli oggettivamente destinati a finalità di carattere generale (di natura economica, culturale, industriale, igienica, religiosa, ecc.), a nulla rilevando il profilo soggettivo della relativa titolarità giuridica e, quindi, «indipendentemente dalla qualità dei soggetti che li realizzano».
Alla stregua di siffatta distinzione vennero esemplificativamente classificate come pubbliche le sedi degli uffici pubblici, le scuole, le caserme; e di interesse pubblico molti altri beni immobili, di proprietà pubblica o privata, quali i conventi, i poliambulatori, gli alberghi, gli impianti turistici, le biblioteche, i teatri ed i silos portuali.
Infine merita menzione la successiva circolare 25.02.1970, n. 25/M che, al punto 3, rifacendosi espressamente ad un parere reso dal Consiglio di Stato, ebbe a valorizzare ampiamente il concetto di interesse pubblico, evidenziando che l’individuazione di esso «…non può essere effettuata in base a criteri generali ed astratti né è suscettibile di essere precisata in ipotesi tassative, ma può emergere esclusivamente dall’esame concreto delle singole fattispecie … (L’interesse pubblico) … va inteso nella sua accezione tecnico-giuridica di interesse tipico, il cui soddisfacimento e la cui tutela sono assunti dalla P.A.; quindi non nel senso lato di interesse collettivo o generale, bensì in quello specifico di interesse qualificato dalla sua rispondenza a fini perseguiti dall’Amministrazione stessa».
Si è così affermato, in numerose decisioni, che per l’individuazione dei fabbricati suscettibili di derogare alle disposizioni edilizie non fosse tanto rilevante la qualità pubblica o privata dei soggetti esecutori, ma che occorresse valutare, sotto il profilo obiettivo, l’effettiva ricorrenza di un nesso tra la destinazione dell’edificio ed un interesse tipico perseguito dalla Pubblica Amministrazione, con specifico riferimento alla situazione del singolo immobile.
Si è prodotto così l’effetto di un ampliamento del campo di applicazione, esteso fino al punto di comprendere i tralicci per gli impianti televisivi «… in ragione del carattere di preminente interesse generale della diffusione di programmi radiofonici o televisivi … riconosciuto dall’art. 1 della legge n. 223 del 1990…» o, ancora, gli edifici destinati all’ampliamento di una sede consolare di uno Stato estero e, perfino, un impianto per il tiro a volo,o le grandi strutture commerciali di vendita.
Il nuovo testo della norma, come recepito nell’art. 14 DPR 380/2001, non richiede più che i poteri di deroga siano espressamente «previsti da norme di piano regolatore e di regolamento edilizio».
L’eliminazione di tale presupposto comporta un’apprezzabile attenuazione della tassatività dei casi in cui è consentito ricorrere all’istituto. Per il resto la norma, al pari della disciplina abrogata, limita la possibilità di rilasciare titoli edilizi in deroga per la sola realizzazione di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico.
Un’altra questione controversa concerne l’esatta portata dell’istituto circa l’individuazione delle norme suscettibili di deroga.
Con riguardo alla normativa statale, si sono manifestati due differenti orientamenti: da un lato, vi era chi riteneva derogabile qualunque previsione di piano, ivi comprese le destinazioni urbanistiche di zona; dall’altro, la giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente negava siffatta possibilità ed, anzi, tendeva ad escludere che attraverso la concessione in deroga si potesse consentire la realizzazione di volumi maggiori di quelli autorizzabili o l’inosservanza degli standard di altezza, distanza e densità edilizia fissati dal d.m. 02.04.1968, n. 444; questi ultimi, in particolare, in quanto ritenuti funzionali alla superiore salvaguardia di esigenze di carattere igienico sanitarie collegate al diritto alla buona qualità della vita di tutti i cittadini, erano considerati come un limite inderogabile anche per l’autonomia regolamentare degli enti locali.
Si opinava inoltre che l’insuperabilità delle norme fissate dal d.m. cit. discendesse dal principio dell’inderogabilità delle norme primarie: muovendo dal presupposto che il d.m. n. 1444/1968 era stato emanato in attuazione dell’art. 41-quinquies l. urb., si pensava che una deroga al primo si concretasse anche in un’inammissibile deroga al secondo.
In tal senso, del resto, si era espresso in epoca risalente il medesimo Ministero dei lavori pubblici che, con la circolare del 28.02.1956, n. 847, aveva suggerito ai Comuni (capo III, punto 2), per evitare che l’esercizio dei poteri derogatori aggravasse la densità fabbricativa di una zona o ingenerasse inconvenienti di natura igienica o di traffico, l’adozione del criterio del c.d. “compenso dei volumi” nel caso di licenza rilasciata in deroga alle altezze o ai distacchi o a qualsiasi altra misura prevista dalla locale normativa urbanistico- edilizia. In altre parole, per evitare lo sviluppo di un volume edilizio complessivamente maggiore di quello astrattamente risultante dalla corrente applicazione delle norme edilizie della zona di insistenza, le Amministrazioni avrebbero dovuto far luogo a congrue e contemporanee riduzioni di altri elementi costruttivi quali la superficie occupata o i ritiri di fronte.
La giurisprudenza ha sempre sostenuto, coerentemente con un’esegesi restrittiva dell’art. 41-quater l.urb., che le deroghe previste nelle singole concessioni non potessero mai travolgere le direttive di ordine urbanistico stabilite nel P.R.G., non potendo configurare una variante puntuale alla pianificazione, e che, pertanto, non fossero derogabili le destinazioni di zona ivi previste (cfr. TRGA-Trento 10.04.2008 n. 913, CdS sez. V 05.11.1999, n. 1841).
Con il nuovo testo dell’art. 14 DPR 380/2001, commi 1 e 3, si sono fissati dei “paletti” invalicabili al possibile oggetto della deroga. In particolare, il permesso di costruire non può essere rilasciato in violazione:
- delle disposizioni contenute nel d.lgs. 29.10.1999, n. 490, recante il testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali; (ora d.lgs. 22.01.2004, n. 41);
- delle altre «normative di settore» aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia;
- delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, se non limitatamente agli standard di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi;
- delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444.
Dall’insieme delle esclusioni alla deroga emerge il quadro di un complessivo ridimensionamento rispetto al passato della “eccezionalità” dell’istituto.
Il Legislatore si è premurato di indicare, in particolare, quali siano le norme degli strumenti urbanistici (ivi compresi quelli esecutivi) derogabili: a questo novero non appartengono quelle che abbiano natura igienica, sanitaria o di sicurezza, ma esclusivamente le norme di attuazione che fissino limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza fra i fabbricati. Tuttavia il successivo capoverso chiarisce che la deroga non può comunque riguardare gli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444/1968 (cfr. anche CdS sez. V, sentenza n. 46 dell'11.01.2006 secondo cui il rilascio del permesso di costruire in deroga è possibile solo qualora lo stesso non pregiudichi in termini significativi gli standard urbanistici dell'area interessata).
Pertanto, ancorché l’aspetto de quo non investa l’esame del Tribunale che nella specie deve scrutinare la legittimità della revoca alla stregua delle motivazioni per le quali la stessa è stata disposta, non appare superfluo rilevare che in sede di emissione del titolo in deroga, dovrà compiersi da parte dell’amministrazione una attenta valutazione della compatibilità della deroga richiesta con le esclusioni indicate nella disposizione normativa.
Infine, e per quanto qui interessa, si è posto anche il problema della ammissibilità di una deroga in sanatoria, risolvendolo positivamente. L’emersione del principio si ebbe in occasione delle note vicende del «Palatrussardi» di Milano. La realizzazione dell’edificio, destinata a sopperire all’inagibilità del Palazzo dello Sport di Milano danneggiato dagli agenti atmosferici, fu originariamente assentita con due autorizzazioni provvisorie per strutture mobili. Tali autorizzazioni vennero però successivamente annullate dal TAR Lombardia in considerazione della loro ritenuta inadeguatezza giuridica, trattandosi di una tensostruttura di dimensioni notevoli, costruita in metallo e cemento armato.
Per legittimare l’esistente fu così concessa una deroga “in sanatoria”, previo nulla osta regionale. In relazione al rilascio di quest’ultimo atto il contenzioso è stato definito dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 01.10.1997, n. 1057; con tale pronuncia si è stabilito che la costruzione in oggetto si inseriva nell’esercizio delle funzioni amministrative comunali di promozione di attività ricreative e sportive ex art. 60, lett. a), D.P.R. n. 616/1977 e che, pertanto, rientrava nel novero degli edifici per i quali poteva considerasi ammesso il rilascio di concessioni in deroga.
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Giusta quanto sopra più diffusamente esposto, la valutazione del Consiglio Comunale in ordine alla possibilità di derogare ai parametri dello strumento urbanistico, ha carattere di valutazione discrezionale, e l’amministrazione, nel porla in essere, ha l’obbligo di dare puntuale motivazione della scelta compiuta (C.d.S., Sez. V, n. 4759/2004 cit.).
Per contro, anche il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato (cfr. ex multis, Tar Sicilia, Catania, sez. I, 03.10.2005, n. 1529; Tar Basilicata, 10.05.2005, n. 299; Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.04.2006, n. 422; Tar Trentino Alto Adige, Trento, 02.01.2007, n. 4; Cons. Stato, sez. V, 01.03.2003, n. 1150; idem, sez. V, 12.10.2004, n. 6554).
Detto orientamento ha trovato, tra l’altro, conferma nelle recenti disposizioni della Legge n. 15 del 2005, che ha introdotto l’art. 21-nonies alla Legge n. 241 del 1990, sotto la rubrica annullamento di ufficio: ogni procedimento deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, di cui si deve dare atto nel proprio corredo motivazionale (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. II, 12.02.2007, n. 1003; Tar Marche, sez. I, 14.02.2007, n. 34; Cons. Stato, sez. IV, 31.10.2006, n. 6465)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 13.02.2009 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Circa l’ammissibilità del rilascio di licenze, concessioni o permessi di costruire in deroga, inizialmente la giurisprudenza amministrativa interpretava l’espressione “impianti di interesse pubblico”, di cui all’art. 41-quater della L. 17.8.1942, n. 1150 (trasfuso nell’attuale art. 14 del t.u. sull’edilizia, approvato con d.p.r. 06.06.2001, n. 380), facendovi rientrare solo interventi corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica amministrazione ed escludendo così gli alberghi.
Successivamente, però, il diritto vivente è andato evolvendosi, offrendo un’interpretazione della norma nel senso che anche le strutture alberghiere rientrino fra gli impianti di interesse pubblico, per i quali è consentito il rilascio di concessione edilizia in deroga. Questo interesse pubblico, in particolare, è stato individuato nello sviluppo del turismo e della cultura.
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La concessione edilizia in deroga allo strumento urbanistico generale è legittima a condizione che essa contravvenga soltanto alle norme del regolamento edilizio o alle norme d'attuazione del piano regolatore, e non ad altre disposizioni.

Nell’ordinamento statale, circa l’ammissibilità del rilascio di licenze, concessioni o permessi di costruire in deroga, inizialmente la giurisprudenza amministrativa interpretava l’espressione “impianti di interesse pubblico”, di cui all’art. 41-quater della L. 17.08.1942, n. 1150 (trasfuso nell’attuale art. 14 del t.u. sull’edilizia, approvato con d.p.r. 06.06.2001, n. 380), facendovi rientrare solo interventi corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica amministrazione ed escludendo così gli alberghi (cfr. Cons. Stato, V, 11.12.1992, n. 1428; IV, 25.11.1988, n. 774).
Successivamente, però, il diritto vivente è andato evolvendosi, offrendo un’interpretazione della norma nel senso che anche le strutture alberghiere rientrino fra gli impianti di interesse pubblico, per i quali è consentito il rilascio di concessione edilizia in deroga (cfr. Cons. St., V, 11.01.2006, n. 46; IV, 12.01.2005, n. 7031; IV, 29.10.2002, n. 5913; IV, 28.10.1999, n. 1641; V, 15.07.1998, n. 1044). Questo interesse pubblico, in particolare, è stato individuato nello sviluppo del turismo e della cultura.
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La concessione edilizia in deroga allo strumento urbanistico generale è legittima a condizione che essa contravvenga soltanto alle norme del regolamento edilizio o alle norme d'attuazione del piano regolatore, e non ad altre disposizioni (cfr.: Cons. Stato, V, 05.11.1999, n. 1841) (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 10.04.2008 n. 91 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione in deroga - Atto dovuto a fronte di opere di interesse pubblico - Non sussiste - Atto frutto di poteri discrezionali - Sussiste.
2. Rilascio concessione in deroga per intervento di rilevante consistenza - Ammissibilità nei limiti in cui non vengano pregiudicati in termini significativi gli standard urbanistici.

1. La concessione in deroga non costituisce atto dovuto a fronte di opere di interesse pubblico, ma è oggetto di poteri discrezionali che devono comparare l'interesse alla realizzazione dell'opera con altri interessi.
2. Il rilascio della concessione in deroga è possibile se e nei limiti in cui non pregiudichi in termini significativi gli standard urbanistici, specie quando, l'intervento in progetto, per come prospettato dallo stesso richiedente nella relazione che accompagna la richiesta di concessione, appaia non certo minimale, ma di rilevante consistenza (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.03.2008 n. 540 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’istituto della concessione edilizia ovvero del permesso di costruire in deroga alle previsioni di piano può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, ma non può essere utilizzato per travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite, nel senso che non possono costituire oggetto di deroga "le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici".
Non può in alcun modo ritenersi che il rilascio dei permessi in deroga, in assenza dell’approvazione di una specifica variante al P.R.G., comporti l’automatica trasformazione del regime edificatorio delle aree interessate.

Come ha sottolineato la giurisprudenza, l’istituto della concessione edilizia ovvero del permesso di costruire in deroga alle previsioni di piano –ai sensi dell’art. 41-quater della legge 17.08.1942 n.1150, introdotto dall’art. 16 della legge 06.08.1965 n. 765, poi confluito nell’art. 14 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380– può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, ma non può essere utilizzato per travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite, nel senso che non possono costituire oggetto di deroga "le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici" (TAR Lombardia Milano, sez. II, 20.12.2004, n. 6486).
A maggior ragione, nel caso di specie, non può in alcun modo fondatamente ritenersi che il rilascio dei permessi in deroga, in assenza dell’approvazione di una specifica variante al P.R.G., abbia comportato l’automatica trasformazione del regime edificatorio delle aree interessate dal complesso ricettivo in questione. Al riguardo, è comunque dirimente il rilievo per cui il fondo interessato dall’intervento oggetto della presente controversia (particella n. 2385) non è neppure compreso tra quelli ove insistono le opere sanate con i due menzionati permessi in deroga
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire ex art. 15, comma 4 del D.P.R. n. 380/2001 rilasciato in deroga agli strumenti urbanistici sulla base di una normativa che lo legittimava - Sopravvenuta normativa che non ammette deroghe prima dell'inizio lavori - Decadenza.
2. Sopravvenienza di legge regionale che sancisce la deroga agli strumenti urbanistici nel recupero dei sottotetti a fini abitativi - Carenza di interesse del ricorrente all'impugnazione di un titolo abilitativo di recupero sottotetto in deroga agli strumenti urbanistici rilasciato in vigenza di normativa che non prevede tale deroga - Non sussiste - Verifica della rispondenza ai requisiti di legge, anche sopravvenuti, del titolo abilitativi da parte della PA - Necessità.
3. Posa di un ponteggio su terrazzo e/o apertura praticata sul tetto - Inizio lavori - Non sussiste.
1.
Ai sensi dell'art. 15, comma 4 del D.P.R. 380/2001 il permesso di costruire rilasciato in deroga a previsioni urbanistiche, sulla base di una normativa che lo legittimava, decade qualora, prima che siano iniziati i lavori, sopravvenga una nuova normativa che non ammette le deroghe consentite in precedenza.
2. La sopravvenienza di una ulteriore legge regionale (L.R. n. 20/2005) che modifica il regime giuridico del recupero dei sottotetti, ripristinando la possibilità di deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale, non determina la sopravvenuta carenza di interesse di chi abbia impugnato il permesso di costruire rilasciato a terzi per il recupero di sottotetti a fini abitativi in deroga agli strumenti urbanistici in vigenza della L.R. n. 12/2005 che, prima delle modifiche apportate alla stessa dalla L.R. n. 20/2005, non prevedeva espressamente tale deroga, e ciò in quanto è in ogni caso il titolare della potestà amministrativa che deve verificare che il permesso di costruire, rispetti tutti i requisiti di cui alla L.R. n. 12/2005, come modificata dalla L.R. n. 20/2005.
3. La posa di un ponteggio su un terrazzo o l'apertura praticata sul tetto non possono considerarsi fatti da cui desumere l'inizio lavori (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.11.2007 n. 6207 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Richiesta di permesso di costruire in deroga ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Il Comune fa presente che gli “Istituti Riuniti di beneficenza” del Comune “hanno inoltrato una richiesta riguardo la possibilità dì deroga prevista dall’art. 14 dei D.P.R. 380/2001 e s.m.i. in ordine al limite di densità edilizia e di altezza, per la realizzazione dell’ampliamento della Casa di Riposo e della residenza protetta in adeguamento alla L.R. 20/2002 e s.m.i.” e che a tal proposito hanno precisato di essere “una Istituzione pubblica di Assistenza e Beneficenza (IPAB) e quindi Ente pubblico a tutti gli effetti come da statuto approvato da Giunta Regionale Marche con Decreto Presidenziale n. 196 del 22.12.1999 Prot. n. 29/196/SAG”.
Il Comune ritiene che “la tipologia dell’intervento e la natura giudica dei soggetto richiedente determinano la possibilità di deroga prevista dall’art. 14 del D.P.R. 380/2001 e s.m.i.” e chiede se tale valutazione sia corretta (Regione Marche, parere 05.07.2007 n. 58/2007).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATASussiste la praticabilità, sotto il profilo edilizio, di una deroga ex art. 14 del DPR 380/2001 circa la realizzazione di una barriera antirumore a distanza non regolamentare dal confine.
Pur essendo stata abbandonata l’originaria qualificazione della barriera antirumore come recinzione, sostituita da quella più appropriata di nuova edificazione, non è stato correttamente impostato il problema dei presupposti per la deroga ex art. 14 del DPR 380/2001, in relazione non più all’altezza ma alla distanza dal confine.
La tesi della ricorrente secondo cui su questo punto avrebbe dovuto pronunciarsi il consiglio comunale è condivisibile, in quanto la predetta norma collega la deroga all’esame dello stesso organo avente competenza sul PRG, introducendo un’ipotesi di variante singolare. A questo aspetto formale si aggiunge quello più importante di diritto sostanziale che riguarda la possibilità di definire la barriera antirumore come opera di interesse pubblico.
Per inciso si osserva che se la prospettazione della ricorrente fosse palesemente infondata il Comune avrebbe potuto evitare di sottoporre la questione della deroga al consiglio comunale, in quanto gli uffici preposti alla materia edilizia possono fare da filtro nei confronti delle istanze che non hanno alcuna possibilità di essere accolte.
Nel caso in esame, tuttavia, l’opera per cui è chiesta la deroga svolge una funzione del tutto coerente con l’interesse pubblico al rispetto dei limiti di rumorosità vigenti nella zona. Si tratta di un obiettivo fissato direttamente dalla legge che il Comune ha ribadito attraverso due ordinanze rimettendo la soluzione tecnica alla stessa ricorrente senza individuare in astratto una specifica modalità di abbattimento delle immissioni sonore.
In sostanza, la posizione del Comune può essere divisa in due parti. Nelle premesse il Comune (come si è visto sopra al punto 9) effettua un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti, in quanto non utilizza il problema dell’inquinamento acustico per espellere un’attività produttiva da una zona dove la stessa è insediata da molto tempo. Passando alle conclusioni, tuttavia, il Comune ritiene che la presenza di un interesse privato escluda quello pubblico, e in questo modo incorre in un vizio logico perché abbandona la proporzione tra il fine (abbattimento della rumorosità) e il mezzo (limiti all’attività dei privati).
È quindi necessario cancellare la decisione negativa del Comune e affermare coerentemente con le premesse la praticabilità sotto il profilo edilizio di una deroga ex art. 14 del DPR 380/2001
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 26.06.2007 n. 578 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Deve smentirsi l’affermazione circa la presunta inderogabilità assoluta della distanza minima di 10 m. tra fabbricati di nuova costruzione, prevista per le Zone omogenee diverse da quella A.
Come noto, l’ordinamento statale consente deroghe alle distanze minime con normative locali, purché siffatte deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio.
Tali principi si ricavano dall’art. 873 c.c. e dall’ultimo comma dell’art. 9, d.m. n. 1444 del 1968 emesso ai sensi dell’art. 41-quinquies della l. n. 1150 del 1941, avente efficacia precettiva ed inderogabile, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale.

In primo luogo deve smentirsi l’affermazione circa la presunta inderogabilità assoluta della distanza minima di 10 m. tra fabbricati di nuova costruzione, prevista per le Zone omogenee diverse da quella A.
Come noto, l’ordinamento statale consente deroghe alle distanze minime con normative locali, purché siffatte deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio.
Tali principi si ricavano dall’art. 873 c.c. e dall’ultimo comma dell’art. 9, d.m. n. 1444 del 1968 emesso ai sensi dell’art. 41-quinquies della l. n. 1150 del 1941, avente efficacia precettiva ed inderogabile, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr. Corte cost., 16.06.2005, n. 232; Cass., sez. un., 22.11.1994, n. 9871) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2007 n. 1206 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATA: Le norme in materia di concessioni edilizie in deroga devono essere interpretate restrittivamente, e cioè nel senso:
• che le deroghe al p.r.g. non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano;
• e che non possono costituire oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici, cosicché rientrano tra le prescrizioni derogabili solo le norme di dettaglio, che non involgono i criteri di impostazione e le linee direttrici dello strumento urbanistico.
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L'adozione di un provvedimento concessorio "in deroga" presuppone una congrua valutazione comparativa tra le "eccezionali" ragioni che potrebbero giustificare la deroga e la situazione di diritto e di fatto sulla quale il provvedimento verrebbe ad incidere. Di tale valutazione deve adeguatamente darsi atto nella motivazione del provvedimento.
Nel caso di specie tale congrua motivazione difetta palesemente, essendosi il Consiglio Comunale limitato ad osservare che <la domanda di concessione edilizia ha per oggetto … la realizzazione di una pista di Kart fuoristrada, struttura idonea a favorire la promozione di attività sportivo-ricreative e pertanto di un’opera “di interesse qualificato dalla sua rispondenza ai fini perseguiti dall’Amministrazione Pubblica>, laddove, era, viceversa richiesta una specifica giustificazione in ordine all’effettiva finalità pubblicistica non già di un consueto impianto sportivo, bensì di una così particolare struttura ricreativo-sportiva.

Invero, come ancora correttamente rilevato dalla citata memoria conclusiva, le norme in materia di concessioni edilizie in deroga devono essere interpretate restrittivamente, e cioè nel senso:
• che le deroghe al p.r.g. non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano;
• e che (diversamente da quanto opinato nelle premesse della deliberazione consiliare n. 23/2002, sulla scorta del richiamo a risalenti pronunce giurisprudenziali) non possono costituire oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici (cfr. da ultimo: TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20.12.2004, n. 6486), cosicché rientrano tra le prescrizioni derogabili solo le norme di dettaglio, che non involgono i criteri di impostazione e le linee direttrici dello strumento urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. V, 05.11.1999, n. 1841; Sez. IV, 01.07.1997, n. 1057).
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Costituisce, infatti, principio pacifico in giurisprudenza che l'adozione di un provvedimento concessorio "in deroga" presuppone una congrua valutazione comparativa tra le "eccezionali" ragioni che potrebbero giustificare la deroga e la situazione di diritto e di fatto sulla quale il provvedimento verrebbe ad incidere; e che di tale valutazione deve adeguatamente darsi atto nella motivazione del provvedimento (Consiglio Stato, sez. V, 03.02.1997, n. 132, richiamata anche da parte ricorrente): principio recentemente ribadito dallo stesso Consiglio di Stato (Sez. V, 28.06.2004, n. 4759), con riferimento al rilascio di una concessione in deroga al regime delle distanze come disciplinato dal p.r.g..
Orbene, nel caso di specie tale congrua motivazione difetta palesemente, essendosi il Consiglio Comunale limitato ad osservare che <la domanda di concessione edilizia ha per oggetto … la realizzazione di una pista di Kart fuoristrada, struttura idonea a favorire la promozione di attività sportivo-ricreative e pertanto di un’opera “di interesse qualificato dalla sua rispondenza ai fini perseguiti dall’Amministrazione Pubblica>, laddove, era, viceversa richiesta una specifica giustificazione in ordine all’effettiva finalità pubblicistica non già di un consueto impianto sportivo, bensì di una così particolare struttura ricreativo-sportiva
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 21.06.2006 n. 875 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La possibilità di rilasciare permessi di costruire in deroga anche ai limiti di densità edilizia, quando l’intervento corrisponda ad un interesse pubblico, è stata espressamente confermata dall’art. 14 del t.u. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, senza, però, la limitazione alle sole ipotesi espressamente previste dal piano regolatore e dal regolamento edilizio, come a suo tempo stabilito dall’abrogato art. 41-quater della legge urbanistica n. 1150/1942, e questa nuova previsione del testo unico prevale, ai sensi del relativo l’art. 2, III comma, anche sulle norme regionali sino a quando non saranno ad esso adeguate.
Orbene, proprio perché il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici vigenti è subordinata ad un discrezionale apprezzamento dell’interesse pubblico che ne giustifica il rilascio, è evidente che la sua valutazione attiene al merito amministrativo.
E’ noto, però, che il merito amministrativo non è sindacabile dal Giudice amministrativo, se non per manifesta erroneità o illogicità, che, ad avviso del Collegio, non sono affatto ravvisabili nel caso in esame: infatti, non è affatto di per sé illogico o manifestamente erroneo ravvisare un effettivo interesse generale della collettività a che siano incrementati i servizi svolti anche da soggetti privati nell’ambito di una zona portuale di notoria rilevanza nazionale e internazionale.
Sussistono, inoltre, ad avviso del Collegio, anche i presupposti indicati nell’art. 11, I comma, della legge n. 241/1990, per l’adozione di un accordo sostitutivo del formale provvedimento altrimenti necessario, cioè la sua discrezionalità e la contemporanea presenza, appunto, di un interesse pubblico.

Dall’esame della deliberazione 27.10.2004 n. 132 del Consiglio comunale di Ancona e dell’allegato schema di convenzione, deduce il Collegio che, in sostanza, il Comune di Ancona ha inteso rilasciare –tramite, appunto, accodo sostitutivo del formale provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241/1990- un permesso di costruire “temporaneo” ed in “deroga” -anche se questa ultima espressione non è espressamente menzionata negli atti sopra indicati– ritenendo ciò possibile per due distinti motivi, cioè l’interesse pubblico insito nella realizzazione del progetto, in quanto diretto ad incrementare i servizi svolti nell’ambito dell’area portuale, e la sua conformità alle previsioni del piano particolareggiato esecutivo del Porto, allo stato solo adottato.
La possibilità di rilasciare permessi di costruire in deroga anche ai limiti di densità edilizia, quando l’intervento corrisponda ad un interesse pubblico, è stata, infatti, espressamente confermata dall’art. 14 del t.u. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, senza, però, la limitazione alle sole ipotesi espressamente previste dal piano regolatore e dal regolamento edilizio, come a suo tempo stabilito dall’abrogato art. 41-quater della legge urbanistica n. 1150/1942, e questa nuova previsione del testo unico prevale, ai sensi del relativo l’art. 2, III comma, anche sulle norme regionali sino a quando non saranno ad esso adeguate.
Orbene, proprio perché il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici vigenti è subordinata ad un discrezionale apprezzamento dell’interesse pubblico che ne giustifica il rilascio, è evidente che la sua valutazione attiene al merito amministrativo.
E’ noto, però, che il merito amministrativo non è sindacabile dal Giudice amministrativo, se non per manifesta erroneità o illogicità, che, ad avviso del Collegio, non sono affatto ravvisabili nel caso in esame: infatti, non è affatto di per sé illogico o manifestamente erroneo ravvisare un effettivo interesse generale della collettività a che siano incrementati i servizi svolti anche da soggetti privati nell’ambito di una zona portuale di notoria rilevanza nazionale e internazionale.
Sussistono, inoltre, ad avviso del Collegio, anche i presupposti indicati nell’art. 11, I comma, della legge n. 241/1990, per l’adozione di un accordo sostitutivo del formale provvedimento altrimenti necessario, cioè la sua discrezionalità e la contemporanea presenza, appunto, di un interesse pubblico.
Per altro verso, neppure sussiste l’impedimento del pregiudizio ai diritti dei terzi, in quanto questi diritti –proprio perché si tratta di accordo sostitutivo di uno specifico provvedimento amministrativo- sono quelli strettamente connessi alla natura ed alle finalità del permesso di costruire, cioè quelli derivanti dalla piena disponibilità dell’area da parte del richiedente e, di contro, dall’assenza di eventuali limitazioni a favore di terzi e sulla stessa gravanti.
Del resto, ipotizzare che ogni pregiudizio, anche indiretto, possa impedire l’utilizzo dell’accordo sostitutivo di un provvedimento amministrativo, comporta, di fatto, la sua inutilità pratica, dal momento che ogni atto amministrativo arreca, in linea di principio, dei vantaggi per alcuni soggetti e dei pregiudizi per altri soggetti (TAR Marche, sentenza 14.06.2006 n. 441 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia in deroga solo per opere di interesse generale.
L’intervento in deroga può ritenersi ammissibile solo se ed in quanto le opere autorizzate sono risultate per certo destinate a finalità di interesse pubblico (nella specie, all’uso alberghiero e, più precisamente, a casa albergo); solo in tal caso, infatti, l’ordinamento consente –in presenza della previsione di tale specifico potere in seno allo strumento di pianificazione comunale– di derogare alla ordinaria disciplina pianificatoria.
Poiché spettava, nella specie, alla Regione l’individuazione del carattere di interesse pubblico presentato dall’edificio per il quale era richiesto il nulla osta al rilascio della concessione in deroga, ne consegue che la regione stessa ben poteva e doveva sindacare se effettivamente sussistessero i presupposti giuridico-fattuali attestanti, al di là di ogni ragionevole dubbio, che effettivamente le opere da realizzare fossero finalizzate alla soddisfazione di un siffatto interesse pubblico.

Confermando la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (cfr. sentenza 12.11.1999, n. 478), la Sezione V del Consiglio di Stato ha acclarato la legittimità di un diniego di concessione edilizia, richiesta in deroga agli strumenti urbanistici locali: nella fattispecie, si trattava di un’istanza di privati volta ad ottenere una concessione facendo eccezione alle previsioni urbanistiche ed edilizie locali per l’aumento di volumetria di un immobile sito nel centro storico cittadino (come ricorda il Collegio, si trattava dell’elevazione, per tre piani, di un edificio, comportante un aumento di volumetria di quasi 5.600 mc., destinati alla realizzazione di diciassette unità abitative).
A ciò si aggiunga che la realizzazione di questa “casa albergo” presentava non poche anomalie (mancanza di locali adibiti a lavanderia, di servizio bar etc. gestiti dalla stessa società alberghiera; assenza della previsione che gli acquirenti delle singole unità abitative destinassero le stesse alla società alberghiera), per cui la Regione ha ben ritenuto che tale sistemazione non avrebbe assicurato, di fatto, «l’effettiva utilizzazione ricettiva analoga a quella alberghiera che, in ipotesi, avrebbe potuto giustificare l’intervento in questione in quanto intervento di interesse pubblico; inoltre, la trasformazione edilizia avrebbe comportato il mancato rispetto degli standards urbanistici per ciò che atteneva alla dotazione minima dei parcheggi», da ultimo determinando il diniego di nulla-osta per l’evidente e concreta mancanza di interesse pubblico e di ogni pubblica utilità (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2006 n. 46 - link a www.altalex.com).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATASotto il profilo formale, il rilasciato titolo edilizio "in deroga" difetta di idonea motivazione.
Trattandosi, invero, di determinazione in deroga rispetto al regime ordinario di PRG, la stessa avrebbe dovuto essere adeguatamente motivata; non si verte più, infatti, al contrario di quanto dedotto dagli appellati, in tema di atto vincolato, ma, al contrario, di provvedimento caratterizzato proprio dalla più ampia discrezionalità (come osservato dal Comune nelle proprie difese, esso poggerebbe, in effetti, su valutazioni discrezionali e di opportunità; salvo, poi, nelle stesse difese affermarsi che, trattandosi di atto vincolato, lo stesso non avrebbe richiesto motivazione alcuna; ma, se si tratta di atto in deroga basato su scelte discrezionali, non può, poi, logicamente parlarsi di vincolatezza dell’atto medesimo).
Per ciò stesso, tale provvedimento -anche in quanto manifestamente in grado di incidere sugli interessi di altri consociati che, nelle norme sulle distanze, vedono legittimi strumenti di tutela sia sotto il profilo di un dignitoso assetto urbanistico, sia sotto quello della tutela dell’incolumità in zona sismica, sia sotto quello, pure sotteso alla disciplina pianificatoria urbanistica, della tutela igienico-sanitaria- avrebbe richiesto una specifica e puntuale motivazione circa le ragioni giustificatrici della deroga e della prevalenza, in particolare, delle considerazioni relative alla coerenza del tessuto urbano sulle altre ora dette.
Ragioni che, si ripete, avrebbero dovuto estendersi anche a considerare l’interesse di quei soggetti, protetti e tutelati dalla disciplina sulle distanze, che il provvedimento stesso era in grado di sacrificare; soggetti che, anche tenuto conto dei principi enucleabili dalla legge n. 241/1990, avrebbero dovuto, quanto meno, poter conoscere, attraverso idonea motivazione dell’atto discrezionale impugnato, le ragioni specifiche poste a supporto di una deroga siffatta e tali da consentire il legittimo sacrificio dell’interesse tutelato ora detto.
Il provvedimento impugnato, per contro, si limita ad esprimere “parere favorevole in quanto la proposta progettuale rispecchia la caratteristica edilizia ed urbanistica della zona”, laddove, dagli atti istruttori allegati alla pratica edilizia, emergeva chiaramente –e la questione era espressamente rimessa alle valutazioni della Commissione edilizia– la problematica relativa al mancato rispetto delle distanze dalle strade comunali; per converso, non affronta assolutamente la tematica relativa alle posizioni tutelate di altri soggetti e, in particolare, all’eventuale presenza in loco di luci o vedute che, data la notevole ristrettezza del vico comunale, sarebbero state, se direttamente prospicienti, sicuramente sacrificate.
Nel difetto di ogni valida motivazione sul punto in questione, il provvedimento appare, per ciò stesso, illegittimo, non potendo, comunque, la motivazione medesima essere integrata in sede defensionale, né, tanto meno, dal giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia insorta in proposito.
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Sotto il profilo sostanziale, vi è da rilevare che le concessioni in deroga possono essere accordate in casi eccezionali ai sensi del disposto di cui all’art. 41-quater della L.U. n. 1150/1942, secondo cui: “i poteri di deroga previsti da norme di piano regolatore e di regolamento edilizio possono essere esercitati limitatamente ai casi di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico e sempre con l'osservanza dell'art. 3 della legge 21.12.1955, n. 1357. L’autorizzazione è accordata dal sindaco previa deliberazione del Consiglio comunale”.
Ebbene, nella specie non solo i poteri di deroga non sono contemplati dalla norma di PRG, ma la deroga non consegue neppure a delibera consiliare.
Ritenere, poi, che la deroga sia ammissibile in quanto si tratterebbe, nella specie, di intervento edilizio del tutto residuale in un ambito edilizio già completamente asservito all’edificazione, appare conclusione non corretta, sia perché non sorretta da alcun argomento normativo testuale, sia perché si rivela contraria ad elementari principi della logica e del diritto urbanistico, posto che in tal modo il Comune verrebbe a consentire il libero svolgimento di un’attività edificatoria svincolata da qualunque limite o indice che non sia quello di ordine estetico dell’allineamento dei fabbricati, con intuibili effetti devastanti sul corretto assetto dell’insediamento abitativo.
E ciò non senza considerare, inoltre, che l'articolo 3, primo comma, della legge 21.12.1955, n. 1357, prevede che: "il rilascio di licenza edilizia in applicazione di disposizioni le quali consentono ai Comuni di derogare alle norme di regolamento edilizio e di attuazione dei piani regolatori è subordinato al preventivo nulla osta della Sezione urbanistica regionale….”; e che nella specie non vi è stata alcuna richiesta in tal senso.
Ma vi è anche da notare che l’art. 19 delle NTA del PRG non prevede la possibilità di derogare alle altre disposizioni ivi contenute, se è vero che esso stesso disciplina le distanze dai fabbricati, senza alcun riferimento, per queste, a possibili deroghe; e che, laddove prevede che, in margine allo spazio pubblico, la costruzione di edifici di tipo a cortina (che non rientrano nelle ordinarie caratteristiche di zona, che è caratterizzata da edifici isolati) può essere consentita, ciò fa recando deroga solo per quanto attiene alla distanza dalla strada pubblica o dai confini di proprietà, ma non da altri edifici, ancorché da quella separati; e, inoltre, lo fa solo ai fini del “completamento del contorno di un isolato prevalentemente costruito in tal modo, per evitare l’esposizione di muri nudi di frontespizio”, laddove, nel caso in esame, l’isolato di cui si tratta si estendeva per una lunghezza di circa mt. 32, ma era occupato per una lunghezza di soli mt. 14 e, quindi, non poteva logicamente parlarsi di completamento di un isolato già prevalentemente costruito a cortina, dal momento che l’isolato stesso era, in prevalenza almeno, inedificato.
La norma, in conclusione, vale a consentire, essenzialmente, di derogare alla tipologia edilizia di zona, individuata espressamente nell’edilizia a tipo aperto ad edifici isolati, risolti architettonicamente su tutte le fronti, consentendo, così, di realizzare il completamento di edifici a cortina anche in margine allo spazio pubblico; e se, quindi, consente di derogare alla disciplina relativa alle distanze dal ciglio stradale e dai confini di proprietà, non altrettanto fa, invece, con riguardo alla disciplina sulle distanze rispetto ad altri fabbricati che, nel caso di completamento edilizio, è di mt. 12, mentre in caso di ristrutturazione è di mt. 14.
Né, in contrario, può essere utilmente invocato l’art. 31 del locale regolamento edilizio, che consente l’allineamento con riguardo alle nuove costruzioni previste in aderenza con il suolo pubblico; si tratta, infatti, di una disposizione di carattere generale in grado di operare fino a che non si scontri con altre disposizioni con essa incompatibili, quali quelle di cui si discute; la norma, del resto, appare conforme alla disciplina di PRG sugli edifici a cortina, il cui completamento può avvenire anche lungo la strada pubblica e in deroga, dallo stesso PRG ammessa, alla disciplina sulle distanze dalla strada e dai confini, ma non, come si ripete, alla disciplina sulle distanze da altri fabbricati.

Con la sentenza appellata il TAR ha respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante per l’annullamento della concessione edilizia 26.01.1995, n. 16, rilasciata al controinteressato, sig. M.B., dal Comune di Reggio Calabria, per la realizzazione di un edificio di civile abitazione in località Gallico.
Per l’appellante la sentenza sarebbe erronea in quanto il titolo edificatorio sarebbe stato rilasciato in dispregio della disciplina urbanistica di zona e di disposizioni normative che non avrebbero ammesso, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, il rilascio di concessione in deroga; inoltre, il titolo in questione, pur derogatorio, non sarebbe stato accompagnato da alcuna valida motivazione.
...
4) - Nel merito, deduce, anzitutto, l’appellante che non sarebbero affatto sussistiti i requisiti per accordare la concessione in regime derogatorio e che, comunque, l’Amministrazione non avrebbe offerto alcuna valida motivazione in merito alle ragioni che supportavano la deroga stessa.
Tali censure appaiono fondate.
Lo stesso TAR, con capo di decisione che non è stato fatto oggetto di gravame incidentale da parte del Comune e del controinteressato, ha riconosciuto che, effettivamente, nella specie si sia derogato al regime delle distanze, così come disciplinato dal PRG con riguardo alla zona in questione (pag. 11 della sentenza appellata: “deve, inoltre, evidenziarsi come la questione sottoposta al Collegio –stante la difformità della costruzione assentita dalle prescrizioni di cui all’art. 19 delle NTA relative alle distanze da osservarsi sia con riguardo agli interventi di completamento edilizio, sia di ristrutturazione– coinvolge l’esame della problematica relativa alla possibilità di rilascio di concessioni edilizie in deroga a dette prescrizioni in relazione alle caratteristiche urbanistiche ed edilizie già impresse alla zona sulla quale va ad incidere l’erigenda costruzione”).
Per tale ragione, essendo mancato ogni motivo d’appello incidentale volto a sindacare il riconoscimento, da parte dei primi giudici (in adesione a quanto dedotto dalla ricorrente con il primo motivo dell’originario ricorso), della violazione del disposto sulle distanze di cui all’art. 19 del PRG, ne discende che sulla violazione di tale norma da parte del Comune, in sede di rilascio del titolo concessorio, non è più possibile discutere.
5) - Il discorso si sposta, allora, sulla legittimità della deroga posta a fondamento del provvedimento impugnato.
Ad avviso del Collegio, il rilascio della concessione in deroga appare viziato sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale.
5.1) - Sotto il profilo formale, il titolo in questione difetta di idonea motivazione.
Trattandosi, invero, di determinazione in deroga rispetto al regime ordinario di PRG, la stessa avrebbe dovuto essere adeguatamente motivata; non si verte più, infatti, al contrario di quanto dedotto dagli appellati, in tema di atto vincolato, ma, al contrario, di provvedimento caratterizzato proprio dalla più ampia discrezionalità (come osservato dal Comune nelle proprie difese, esso poggerebbe, in effetti, su valutazioni discrezionali e di opportunità; salvo, poi, nelle stesse difese affermarsi che, trattandosi di atto vincolato, lo stesso non avrebbe richiesto motivazione alcuna; ma, se si tratta di atto in deroga basato su scelte discrezionali, non può, poi, logicamente parlarsi di vincolatezza dell’atto medesimo).
Per ciò stesso, tale provvedimento -anche in quanto manifestamente in grado di incidere sugli interessi di altri consociati che, nelle norme sulle distanze, vedono legittimi strumenti di tutela sia sotto il profilo di un dignitoso assetto urbanistico, sia sotto quello della tutela dell’incolumità in zona sismica, sia sotto quello, pure sotteso alla disciplina pianificatoria urbanistica, della tutela igienico-sanitaria- avrebbe richiesto una specifica e puntuale motivazione circa le ragioni giustificatrici della deroga e della prevalenza, in particolare, delle considerazioni relative alla coerenza del tessuto urbano sulle altre ora dette.
Ragioni che, si ripete, avrebbero dovuto estendersi anche a considerare l’interesse di quei soggetti, protetti e tutelati dalla disciplina sulle distanze, che il provvedimento stesso era in grado di sacrificare; soggetti che, anche tenuto conto dei principi enucleabili dalla legge n. 241/1990, avrebbero dovuto, quanto meno, poter conoscere, attraverso idonea motivazione dell’atto discrezionale impugnato, le ragioni specifiche poste a supporto di una deroga siffatta e tali da consentire il legittimo sacrificio dell’interesse tutelato ora detto.
Il provvedimento impugnato, per contro, si limita ad esprimere “parere favorevole in quanto la proposta progettuale rispecchia la caratteristica edilizia ed urbanistica della zona”, laddove, dagli atti istruttori allegati alla pratica edilizia, emergeva chiaramente –e la questione era espressamente rimessa alle valutazioni della Commissione edilizia– la problematica relativa al mancato rispetto delle distanze dalle strade comunali; per converso, non affronta assolutamente la tematica relativa alle posizioni tutelate di altri soggetti e, in particolare, all’eventuale presenza in loco di luci o vedute che, data la notevole ristrettezza del vico comunale, sarebbero state, se direttamente prospicienti, sicuramente sacrificate.
Nel difetto di ogni valida motivazione sul punto in questione, il provvedimento appare, per ciò stesso, illegittimo, non potendo, comunque, la motivazione medesima essere integrata in sede defensionale, né, tanto meno, dal giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia insorta in proposito.
5.2) – Sotto il profilo sostanziale, vi è da rilevare che le concessioni in deroga possono essere accordate in casi eccezionali ai sensi del disposto di cui all’art. 41-quater della L.U. n. 1150/1942, secondo cui: “i poteri di deroga previsti da norme di piano regolatore e di regolamento edilizio possono essere esercitati limitatamente ai casi di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico e sempre con l'osservanza dell'art. 3 della legge 21.12.1955, n. 1357. L’autorizzazione è accordata dal sindaco previa deliberazione del Consiglio comunale”.
Ebbene, nella specie non solo i poteri di deroga non sono contemplati dalla norma di PRG, ma la deroga non consegue neppure a delibera consiliare.
Ritenere, poi, come fa il TAR, che la deroga sia ammissibile in quanto si tratterebbe, nella specie, di intervento edilizio del tutto residuale in un ambito edilizio già completamente asservito all’edificazione, appare conclusione non corretta, sia perché non sorretta da alcun argomento normativo testuale, sia perché si rivela contraria ad elementari principi della logica e del diritto urbanistico, posto che in tal modo il Comune verrebbe a consentire il libero svolgimento di un’attività edificatoria svincolata da qualunque limite o indice che non sia quello di ordine estetico dell’allineamento dei fabbricati, con intuibili effetti devastanti sul corretto assetto dell’insediamento abitativo (cfr. la decisione della Sezione 30.09.2002 n. 5059).
E ciò non senza considerare, inoltre, che l'articolo 3, primo comma, della legge 21.12.1955, n. 1357, prevede che: "il rilascio di licenza edilizia in applicazione di disposizioni le quali consentono ai Comuni di derogare alle norme di regolamento edilizio e di attuazione dei piani regolatori è subordinato al preventivo nulla osta della Sezione urbanistica regionale….”; e che nella specie non vi è stata alcuna richiesta in tal senso (in punto di illegittimità della deroga in carenza di acquisizione del detto N.O., cfr. la decisione della Sezione 20.06.2001, n. 3254).
Ma vi è anche da notare che l’art. 19 delle NTA del PRG non prevede la possibilità di derogare alle altre disposizioni ivi contenute, se è vero che esso stesso disciplina le distanze dai fabbricati, senza alcun riferimento, per queste, a possibili deroghe; e che, laddove prevede che, in margine allo spazio pubblico, la costruzione di edifici di tipo a cortina (che non rientrano nelle ordinarie caratteristiche di zona, che è caratterizzata da edifici isolati) può essere consentita, ciò fa recando deroga solo per quanto attiene alla distanza dalla strada pubblica o dai confini di proprietà, ma non da altri edifici, ancorché da quella separati; e, inoltre, lo fa solo ai fini del “completamento del contorno di un isolato prevalentemente costruito in tal modo, per evitare l’esposizione di muri nudi di frontespizio”, laddove, nel caso in esame, l’isolato di cui si tratta si estendeva per una lunghezza di circa mt. 32, ma era occupato per una lunghezza di soli mt. 14 e, quindi, non poteva logicamente parlarsi di completamento di un isolato già prevalentemente costruito a cortina, dal momento che l’isolato stesso era, in prevalenza almeno, inedificato.
La norma, in conclusione, vale a consentire, essenzialmente, di derogare alla tipologia edilizia di zona, individuata espressamente nell’edilizia a tipo aperto ad edifici isolati, risolti architettonicamente su tutte le fronti, consentendo, così, di realizzare il completamento di edifici a cortina anche in margine allo spazio pubblico; e se, quindi, consente di derogare alla disciplina relativa alle distanze dal ciglio stradale e dai confini di proprietà, non altrettanto fa, invece, con riguardo alla disciplina sulle distanze rispetto ad altri fabbricati che, nel caso di completamento edilizio, è di mt. 12, mentre in caso di ristrutturazione è di mt. 14.
Né, in contrario, può essere utilmente invocato l’art. 31 del locale regolamento edilizio, che consente l’allineamento con riguardo alle nuove costruzioni previste in aderenza con il suolo pubblico; si tratta, infatti, di una disposizione di carattere generale in grado di operare fino a che non si scontri con altre disposizioni con essa incompatibili, quali quelle di cui si discute; la norma, del resto, appare conforme alla disciplina di PRG sugli edifici a cortina, il cui completamento può avvenire anche lungo la strada pubblica e in deroga, dallo stesso PRG ammessa, alla disciplina sulle distanze dalla strada e dai confini, ma non, come si ripete, alla disciplina sulle distanze da altri fabbricati.
6) – Come deduce l’appellante, la concessione edilizia in esame è illegittima anche per violazione del disposto di cui all’art. 9 del D.M. 02.04.1968, secondo cui: “le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:…….2) - nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti……..Le distanze minime tra fabbricati -tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli-.…….debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di: ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7…….”.
Ebbene, è vero, come rilevato dal TAR, che si tratta di disciplina che si applica ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate; non di meno, una volta recepita, come nella specie, nello strumento pianificatorio, essa viene a far parte integrante dello stesso e, come tale, non può essere derogata.
È anche vero, come osservato dal controinteressato nelle proprie difese, che, ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 9, “sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”; ma tale facoltà derogatoria, proprio per il carattere di eccezionalità e, quindi, di stretta interpretazione della norma, può essere esercitata solo in tali limitate fattispecie (e proprio in stretta relazione al fatto che la pianificazione di dettaglio può, eccezionalmente, consentire, sulla base di un supporto logico-giuridico adeguato, soluzioni differenti), mentre non può esserne estesa l’operatività anche ad altre e differenti ipotesi che, di fatto, verrebbero a sfuggire illogicamente ad ogni forma pianificatoria.
Può anche convenirsi, con il controinteressato, nel ritenere che, in presenza di interventi edilizi ricadenti in zone già ampiamente urbanizzate può, entro certi limiti e a determinate condizioni, eccezionalmente conseguirsi il rilascio del singolo titolo concessorio anche nell’ipotesi in cui, per la zona stessa, sarebbe richiesta l’approvazione del previo strumento attuativo; ciò, però, non significa affatto che quelle zone debbano, per ciò stesso, ritenersi in tutto e per tutto parificate a quelle dotate di strumento attuativo, così da ammettere la deroga al regime delle distanze perché, al contrario, la disciplina eccezionale di cui si discute postula proprio la presenza concreta dello strumento attuativo.
E, del resto, sarebbe del tutto illogica e incongruente la possibilità di cumulare il regime che ammette la deroga alla disciplina sulle distanze -in quanto intimamente correlata, questa, alla presenza dello strumento attuativo che, in determinati contesti può, per ragioni connesse alle caratteristiche dei luoghi, prevedere distanze minori rispetto a quelle indicate dal citato D.M. del 1968– con l’ulteriore regime derogatorio che consente, nelle zone per le quali è espressamente prevista, dal PRG, la redazione dello strumento attuativo, l’eccezionale realizzazione di edifici anche in presenza di concessione singola, al di fuori dello strumento pianificatorio di dettaglio; in tal caso, infatti, la zona in questione verrebbe, in realtà, ad essere privata di ogni supporto normativo posto a tutela di un ordinato assetto urbanistico con specifico riferimento, almeno per quanto qui interessa, al regime sulle distanze.
8) - Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata e in accoglimento del ricorso di primo grado, deve essere annullata la concessione edilizia in quella sede impugnata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.06.2004 n. 4759 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Carlotti, Il permesso di costruire in deroga e la ristrutturazione edilizia nel d.p.r. n. 380/2001 (12.03.2004 - link a www.diritto.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATA: Sulla questione se gli alberghi siano o meno qualificabili come opere di interesse pubblico risulta ad oggi risolta in maniera oscillante e non univoca dalla giurisprudenza soprattutto a proposito dell’ammissibilità della concessione edilizia in deroga (ammessa per gli impianti e edifici pubblici o di interesse pubblico).
Anche a voler qualificare gli alberghi, in via di mera ipotesi, come opere di interesse pubblico, tale qualificazione non crea alcun obbligo, per l’amministrazione, né di rilasciare la concessione edilizia in deroga, né di adottare una variante dello strumento urbanistico.
Invero, sia la concessione in deroga, sia la variante dello strumento urbanistico, non sono atti dovuti a fronte di opere di interesse pubblico, ma sono oggetto di poteri discrezionali, che devono comparare l’interesse alla realizzazione dell’opera di interesse pubblico con molteplici altri interessi, quali quello urbanistico, edilizio, paesistico, ambientale.
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L'art. 41-quater della legge 17.08.1942 n. 1150 e l'art. 3 della legge 21.12.1957 n. 1357, che disciplinano la possibilità di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai piani regolatori ed alle norme di regolamento edilizio, vanno interpretati restrittivamente, nel senso che tali deroghe non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano.
Ne consegue che non possono costituire oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici.
Ora, si veda espressamente, l’art. 14, t.u. edilizia secondo cui il permesso di costruire in deroga è ammissibile solo se la deroga riguardi i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati.

Si può prescindere dalla questione se gli alberghi siano o meno qualificabili come opere di interesse pubblico, risolta sinora in maniera oscillante e non univoca dalla giurisprudenza soprattutto a proposito dell’ammissibilità della concessione edilizia in deroga (ammessa per gli impianti e edifici pubblici o di interesse pubblico) in senso negativo, v.:
Cass., VI, 26.03.1999: <<La ristrutturazione di un albergo non rientra fra le opere pubbliche o di interesse pubblico per le quali, ai sensi dell’art. 1, 1º comma, lett. l), d.l. 04.11.1988 n. 465, conv. con modif. in l. 30.12.1988 n. 556, la dichiarazione di compatibilità con i vincoli ambientali e con gli strumenti urbanistici, ai fini dell’ottenimento del contributo finanziario dello Stato, può essere sostituita da una deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi dell’art. 1, 4º comma, l. 03.01.1978 n. 1>>.
C. Stato, sez. V, 11.12.1992, n.1428: <<Ai sensi dell’art. 30 l.reg. Puglia 31.05.1980 n. 56, la concessione edilizia in deroga può essere rilasciata «limitatamente ai casi di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico», tra i quali non può includersi un albergo, atteso che l’espressione impianti «di interesse pubblico», deve essere interpretata in senso restrittivo, facendovi rientrare solo quegli interventi che, seppure eseguiti da privati, corrispondono a compiti assunti direttamente dalla p.a. (quali, per esempio, la realizzazione di una strada o di un acquedotto)>>.
C. Stato, sez. V, 25.11.1988, n.774: <<In forza dell’art.41-quarter, l. 17.08.1942, n. 1150, introdotto con l’art. 16, l. 06.08.1967, n. 765, la deroga alle norme del piano regolatore generale o del regolamento edilizio, può essere esercitata «limitatamente ai casi di edifici ed impianti pubblici o d’interesse pubblico» e non anche per l’ampliamento di un edificio privato con destinazione alberghiera pur se situato in una zona turistica (nella specie, si è ritenuto che l’interesse turistico ad una maggiore ricettività alberghiera non potesse essere preminente rispetto a quello configurato dalle norme del regolamento edilizio>>.
In senso affermativo v.:
C. Stato, sez. IV, 28.10.1999, n. 1641 e C. Stato, sez. V, 15.07.1998, n. 1044: <<L’ampliamento di una struttura alberghiera rientra fra gli impianti di interesse pubblico per i quali è consentito il rilascio di concessione edilizia in deroga ai sensi dell’art. 41-quater l. 17.08.1942 n. 1150>>.
C. Stato, sez. V, 10.11.1992, n. 1257: <<La costruzione da adibire ad esercizio di affittacamere, è annoverabile nell’ambito degli edifici di interesse pubblico, avuto riguardo alla sua natura alberghiera, per cui ben può godere del beneficio previsto dall’art. 80 l.reg. Veneto 27.06.1985 n. 61 (concessione in deroga alle norme e previsioni nello stesso indicate)>>.
C. Stato, sez. IV, 06.10.1983, n. 700: <<Ai sensi dell’art. 16 l. 06.08.1967, n.765, per la qualificazione di edifici ed impianti di interesse pubblico, occorre avere riguardo all’interesse pubblico, inteso nella sua accezione tecnico-giuridica come tipico, qualificato per la sua corrispondenza agli scopi perseguiti dall’amministrazione, a prescindere dalla qualità pubblica o privata dei soggetti che realizzano la costruzione: rientra pertanto nella previsione dell’art. 16 l’edificio alberghiero che, per le sue strutture, realizzi funzionalmente l’interesse turistico, cui la rilevanza pubblica è strettamente connessa>>).
Invero, anche a voler qualificare gli alberghi, in via di mera ipotesi, come opere di interesse pubblico, tale qualificazione non crea alcun obbligo, per l’amministrazione, né di rilasciare la concessione edilizia in deroga, né di adottare una variante dello strumento urbanistico.
Invero, sia la concessione in deroga, sia la variante dello strumento urbanistico, non sono atti dovuti a fronte di opere di interesse pubblico, ma sono oggetto di poteri discrezionali, che devono comparare l’interesse alla realizzazione dell’opera di interesse pubblico con molteplici altri interessi, quali quello urbanistico, edilizio, paesistico, ambientale.
Sin da ora si può osservare, anche al fine dell’esame dei motivi di ricorso relativi al difetto di motivazione degli atti impugnati, quanto segue.
Il progetto di ampliamento e ristrutturazione dell’albergo, nel caso di specie, era in contrasto con la destinazione di zona dell’area secondo il vigente strumento urbanistico del Comune di Peschici.
Sicché, non era ammissibile la concessione edilizia in deroga, consentita dall’art. 41-quater, l. 17.08.1942, n. 1150, per gli edifici e impianti pubblici e di interesse pubblico, purché la deroga non riguardi le destinazioni di zona (in tal senso C. Stato, sez. IV, 01.07.1997, n. 1057: <<L'art. 41-quater della legge 17.08.1942 n. 1150 e l'art. 3 della legge 21.12.1957 n. 1357, che disciplinano la possibilità di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai piani regolatori ed alle norme di regolamento edilizio, vanno interpretati restrittivamente, nel senso che tali deroghe non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano; ne consegue che non possono costituire oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici>>, e, ora, espressamente, l’art. 14, t.u. edilizia, non ancora in vigore, ma che qui si richiama per il suo valore esegetico, secondo cui il permesso di costruire in deroga è ammissibile solo se la deroga riguardi i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati) (Consiglio di Stato Sez. VI, sentenza 07.08.2003 n. 4568 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATACon più recenti pronunce, questo Consiglio ha ritenuto ammissibili le deroghe al vigente PRG, qualificando le strutture alberghiere come entità di interesse pubblico, trattandosi di un servizio offerto alla collettività e caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore.
D’altra parte, l’art. 16 della legge n. 765/1967, prevede un potere di deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici per manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti pubblici) che di interesse pubblico (ossia gestiti da titolari indifferentemente pubblici o privati, ma destinati a soddisfare comunque esigenze della collettività di tipo economico, bancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico, religioso o turistico-alberghiero).
Ed in tal senso depongono la circ. min. n. 3210/1967, l’art. 8 della legge n. 217/1983, e l’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 39/1988, mentre la più consolidata giurisprudenza ha costantemente riconosciuto il carattere pubblicistico degli interessi coinvolti nella gestione del servizio alberghiero in genere, benché gestito da soggetti privati, in ragione appunto della sua generalizzata fruibilità collettiva.
Infatti, da lungo tempo l’ordinamento ha disciplinato le attività alberghiere, considerandole strettamente collegate, in particolare, agli interessi della sicurezza e della salute pubblica, nonché dello sviluppo turistico: cfr. R.D.L. 02.01.1936, n. 276 (conv., con modif., nella legge 24.07.1936, n. 1692), relativo al c.d. vincolo alberghiero, e R.D.L. 21.10.1937, n. 2180 (conv., con modif., nella legge 25.03.1950, n. 228), concernente la dichiarazione di pubblica utilità della costruzione di nuovi alberghi e dell’ampliamento o trasformazione di quelli già esistenti in Comuni di spiccata rilevanza turistica.

In passato, questo Consiglio si era orientato negativamente (cfr. Sez. IV, 25.11.1988, n. 774), ma con più recenti pronunce (cfr. Sez. V, 15.07.1998, n. 1044) ha ritenuto ammissibili le deroghe in questione, qualificando le strutture alberghiere come entità di interesse pubblico, trattandosi di un servizio offerto alla collettività e caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore.
D’altra parte, l’art. 16 della legge n. 765/1967, prevede un potere di deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici per manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti pubblici) che di interesse pubblico (ossia gestiti da titolari indifferentemente pubblici o privati, ma destinati a soddisfare comunque esigenze della collettività di tipo economico, bancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico, religioso o turistico-alberghiero).
Ed in tal senso depongono la circ. min. n. 3210/1967, l’art. 8 della legge n. 217/1983, e l’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 39/1988, mentre la più consolidata giurisprudenza ha costantemente riconosciuto (come si è detto) il carattere pubblicistico degli interessi coinvolti nella gestione del servizio alberghiero in genere, benché gestito da soggetti privati, in ragione appunto della sua generalizzata fruibilità collettiva.
Infatti, da lungo tempo l’ordinamento ha disciplinato le attività alberghiere, considerandole strettamente collegate, in particolare, agli interessi della sicurezza e della salute pubblica, nonché dello sviluppo turistico: cfr. R.D.L. 02.01.1936, n. 276 (conv., con modif., nella legge 24.07.1936, n. 1692), relativo al c.d. vincolo alberghiero, e R.D.L. 21.10.1937, n. 2180 (conv., con modif., nella legge 25.03.1950, n. 228), concernente la dichiarazione di pubblica utilità della costruzione di nuovi alberghi e dell’ampliamento o trasformazione di quelli già esistenti in Comuni di spiccata rilevanza turistica (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.10.2002 n. 5913 - link a www.giustizia-amministrativa.it).