dossier DEROGA P.d.C. (Permesso di Costruire) |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sull'istituto
del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi
dell'art. 14 del dpr 06.06.2001 n. 380 anche per il mutamento delle
destinazioni d'uso.
La giurisprudenza consolidata di questo Consiglio
configura il permesso di costruire in deroga come un istituto di carattere
eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio ed espressione di un
potere ampiamente discrezionale, che si concretizza in una decisione di
natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa
delibera del consiglio comunale. In tale procedimento il consiglio comunale
è chiamato, quindi, nell'esercizio di un potere di pianificazione
urbanistica, ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al
rispetto della pianificazione urbanistica vigente e quello del privato ad
attuare l'interesse costruttivo.
La natura eccezionale è stata affermata dalla giurisprudenza di questo
Consiglio anche per le norme premiali introdotte dall’art. 5 del d.l. 70 del
2011, in base alla considerazione che, al pari del permesso di costruire in
deroga disciplinato dall'art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2001, il permesso di
costruire rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti, del D.L. n.
70 del 2011 determinando una deroga alla disciplina ordinaria e alle
previsioni degli strumenti urbanistici, costituisce una norma eccezionale,
in quanto diretta a regolare in termini diversi e di favore un minor numero
di ipotesi rispetto a quelle ordinarie, giustificata dalla necessità di
soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti
dalla disciplina urbanistica generale; in quanto tale, esso è applicabile
esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal legislatore
statale, e non è suscettibile di interpretazione in senso estensivo.
Su tali presupposti è stato espressamente affermato che i benefici previsti
dall’art. 5 sono ammessi solo se rivolti alla razionalizzazione del
patrimonio edilizio esistente o a promuovere o agevolare la riqualificazione
di aree urbane degradate e tali condizioni devono sussistere per tutti gli
interventi edilizi, di natura sia residenziale, sia non residenziale; il
legislatore, infatti, sia pure in vista di un rilancio delle attività
economiche inerenti all'edilizia, non ha in sostanza inteso liberalizzare e
generalizzare ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici
esistenti, collegando l'obiettivo di rilancio dell’attività edilizia a
specifiche e ineludibili finalità relative all'interesse, di pari rilievo e
preminenza, anche costituzionale, ad un miglioramento del tessuto
urbanistico, cui sono chiaramente correlate le due alternative
finalità/condizioni di ammissibilità dell'intervento, “razionalizzazione del
patrimonio edilizio”, “riqualificazione dell'area urbana degradata”).
Inoltre, in caso d'inerzia regionale nei riguardi del termine d'adempimento
in base al comma 14 l’applicabilità diretta delle disposizioni del comma 9,
non comporta l’alterazione della disciplina urbanistica vigente ex artt. 8 e
9 del D.M. n. 1444 del 1968 “che ricomprende anche i limiti delle altezze
degli edifici come individuati dal piano regolatore”.
Nel senso della interpretazione restrittiva della disposizione si è espressa
anche la Cassazione penale, per cui è necessaria la verifica della
sussistenza dei presupposti generali di applicabilità dell’art. 5, comma 9,
circa l'esigenza di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e
quella di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane
degradate.
La natura eccezionale della disciplina di favore non è posta in dubbio
neppure dalla disposizione di interpretazione autentica dell’art. 1, comma
271, della legge 23.12.2014, n. 190, secondo cui, “le previsioni e le
agevolazioni previste dall'articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge
13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n.
106, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti previste in
detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche
relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui
all'articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 70
del 2011”, limitandosi tale disposizione a precisare, con efficacia
retroattiva, che l’ambito della deroga delle misure incentivanti previste
dal D.L. n. 70 del 2011, opera anche con riguardo alla pianificazione di
riferimento, in relazione alla ratio della disposizione di favorire gli
interventi di recupero di edifici dismessi, anche in deroga alla vigente
pianificazione urbanistica, ritenuta recessiva rispetto alla preminente
esigenza di “favorire la riqualificazione delle aree urbane degradate”.
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Ritiene il Collegio di richiamare la giurisprudenza consolidata di
questo Consiglio che configura il permesso di costruire in deroga come un
istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio ed
espressione di un potere ampiamente discrezionale, che si concretizza in una
decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità
di una previa delibera del consiglio comunale. In tale procedimento il
consiglio comunale è chiamato, quindi, nell'esercizio di un potere di
pianificazione urbanistica, ad operare una comparazione tra l'interesse
pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica vigente e quello del
privato ad attuare l'interesse costruttivo (cfr. Cons. Stato, IV, 24.10.2019, n. 7228; id. 23.04.2020, n. 2585; Sez. VI,
03.08.2020, n. 4898).
La natura eccezionale è stata affermata dalla giurisprudenza di questo
Consiglio, a cui il Collegio intende dare continuità, anche per le norme
premiali introdotte dall’art. 5 del d.l. 70 del 2011, in base alla
considerazione che, al pari del permesso di costruire in deroga disciplinato
dall'art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2001, il permesso di costruire rilasciato
ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti, del D.L. n. 70 del 2011
determinando una deroga alla disciplina ordinaria e alle previsioni degli
strumenti urbanistici, costituisce una norma eccezionale, in quanto diretta
a regolare in termini diversi e di favore un minor numero di ipotesi
rispetto a quelle ordinarie, giustificata dalla necessità di soddisfare
esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla
disciplina urbanistica generale; in quanto tale, esso è applicabile
esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal legislatore
statale, e non è suscettibile di interpretazione in senso estensivo.
Su tali presupposti è stato espressamente affermato che i benefici previsti
dall’art. 5 sono ammessi solo se rivolti alla razionalizzazione del
patrimonio edilizio esistente o a promuovere o agevolare la riqualificazione
di aree urbane degradate e tali condizioni devono sussistere per tutti gli
interventi edilizi, di natura sia residenziale, sia non residenziale; il
legislatore, infatti, sia pure in vista di un rilancio delle attività
economiche inerenti all'edilizia, non ha in sostanza inteso liberalizzare e
generalizzare ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici
esistenti, collegando l'obiettivo di rilancio dell’attività edilizia a
specifiche e ineludibili finalità relative all'interesse, di pari rilievo e
preminenza, anche costituzionale, ad un miglioramento del tessuto
urbanistico, cui sono chiaramente correlate le due alternative
finalità/condizioni di ammissibilità dell'intervento, “razionalizzazione del
patrimonio edilizio”, “riqualificazione dell'area urbana degradata”).
(Consiglio di Stato IV, 11.04.2014 n. 1767; id., 01.09.2015 n.
4088).
Inoltre, in caso d'inerzia regionale nei riguardi del termine d'adempimento
in base al comma 14 l’applicabilità diretta delle disposizioni del comma 9,
non comporta l’alterazione della disciplina urbanistica vigente ex artt. 8 e
9 del D.M. n. 1444 del 1968 “che ricomprende anche i limiti delle altezze
degli edifici come individuati dal piano regolatore” (Cons. Stato Sez. IV,
19.04.2017, n. 1828).
Nel senso della interpretazione restrittiva della disposizione si è espressa
anche la Cassazione penale, per cui è necessaria la verifica della
sussistenza dei presupposti generali di applicabilità dell’art. 5, comma 9,
circa l'esigenza di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e
quella di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane
degradate (cfr. Cass. pen. Sez. III, 23.01.2020, n. 2695).
La natura eccezionale della disciplina di favore non è posta in dubbio
neppure dalla disposizione di interpretazione autentica dell’art. 1, comma
271, della legge 23.12.2014, n. 190, secondo cui, “le previsioni e le
agevolazioni previste dall'articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti
previste in detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore
generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i
limiti di cui all'articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato
decreto-legge n. 70 del 2011”, limitandosi tale disposizione a precisare,
con efficacia retroattiva, che l’ambito della deroga delle misure
incentivanti previste dal D.L. n. 70 del 2011, opera anche con riguardo alla
pianificazione di riferimento, in relazione alla ratio della disposizione di
favorire gli interventi di recupero di edifici dismessi, anche in deroga
alla vigente pianificazione urbanistica, ritenuta recessiva rispetto alla
preminente esigenza di “favorire la riqualificazione delle aree urbane
degradate” ( cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.11.2015, n. 5278)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 11.10.2021 n. 6761 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico generale.
a) il permesso di costruire in deroga di
cui all’art. 14 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato “Permesso di costruire
in deroga agli strumenti urbanistici”) è un istituto di carattere
eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio e rappresenta
l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in
una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la
necessità di una previa delibera del Consiglio comunale;
b) in particolare, in tale procedimento il Consiglio comunale è
chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto
della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse
costruttivo;
c) peraltro (per completezza va aggiunto che), come ogni altra
scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della
realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento
urbanistico è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui
l’amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua
sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti
dalla manifesta illogicità e dall’evidente travisamento dei fatti;
d) invero, la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all'art.
14, commi 1-bis, 2 e 3, d.P.R. 380/2001 per il rilascio dei permessi di
costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non
sufficiente, per l’assentibilità dell'intervento, permanendo in capo
all'amministrazione un'ampia discrezionalità circa l’an e il quomodo
dell’eventuale assenso.
Nell'ambito del procedimento per l'adozione del permesso di costruire in
deroga, deve pertanto essere distinta la competenza del Consiglio comunale,
che è soggetto chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico
al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare
l'interesse costruttivo e la competenza degli uffici tecnici, che devono
invece istruire la pratica.
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In conclusione, la valutazione della compatibilità con gli strumenti
urbanistici, ai fini del rilascio del permesso in deroga, rientra nella
competenza dell'ufficio tecnico, il quale, nell'esercizio della propria
verifica in ordine alla fattibilità tecnica dell’opera, laddove riscontri
nel corso (e soprattutto all’esito) dell’istruttoria tecnica, che precede la
trasmissione della documentazione al Consiglio comunale per la valutazione
tecnico-politica sull’assentibilità o meno della istanza di variante in
deroga, che sussistano ostacoli tecnico-edilizi che escludono, già dal punto
di vista edilizio, l’accoglibilità della richiesta, ben può l’ufficio
concludere la verifica di “prefattibilità” con un diniego rivolto alla parte
interessata, senza investire inutilmente il Consiglio comunale che, come si
è sopra chiarito, nel complesso procedimento in questione assume competenze
non sovrapponibili rispetto a quelle dell’ufficio tecnico in ordine alla
“fattibilità” tecnico-giuridica dell’operazione.
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Occorre infatti considerare, sulla scorta di quanto affermato dalla costante
giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 07.09.2018 n.
5277 e 26.07.2017 n. 3680), che:
a) il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 d.P.R.
06.06.2001, n. 380 (rubricato “Permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici”) è un istituto di carattere eccezionale rispetto
all’ordinario titolo edilizio e rappresenta l’espressione di un potere
ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura
urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa
delibera del Consiglio comunale;
b) in particolare, in tale procedimento il Consiglio comunale è
chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto
della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse
costruttivo;
c) peraltro (per completezza va aggiunto che), come ogni altra
scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della
realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento
urbanistico è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui
l’amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua
sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti
dalla manifesta illogicità e dall’evidente travisamento dei fatti;
d) invero, la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all'art.
14, commi 1-bis, 2 e 3, d.P.R. 380/2001 per il rilascio dei permessi di
costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non
sufficiente, per l’assentibilità dell'intervento, permanendo in capo
all'amministrazione un'ampia discrezionalità circa l’an e il
quomodo dell’eventuale assenso.
Nell'ambito del procedimento per l'adozione del permesso di costruire in
deroga, deve pertanto essere distinta la competenza del Consiglio comunale,
che è soggetto chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico
al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare
l'interesse costruttivo e la competenza degli uffici tecnici, che devono
invece istruire la pratica.
In conclusione (con riferimento anche al caso in esame), la valutazione
della compatibilità con gli strumenti urbanistici, ai fini del rilascio del
permesso in deroga, rientra nella competenza dell'ufficio tecnico, il quale,
nell'esercizio della propria verifica in ordine alla fattibilità tecnica
dell’opera, laddove riscontri nel corso (e soprattutto all’esito)
dell’istruttoria tecnica, che precede la trasmissione della documentazione
al Consiglio comunale per la valutazione tecnico-politica sull’assentibilità
o meno della istanza di variante in deroga, che sussistano ostacoli
tecnico-edilizi che escludono, già dal punto di vista edilizio, l’accoglibilità
della richiesta, ben può l’ufficio (come è accaduto nel caso in esame)
concludere la verifica di “prefattibilità” con un diniego rivolto
alla parte interessata, senza investire inutilmente il Consiglio comunale
che, come si è sopra chiarito, nel complesso procedimento in questione
assume competenze non sovrapponibili rispetto a quelle dell’ufficio tecnico
in ordine alla “fattibilità” tecnico-giuridica dell’operazione
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 14.06.2021 n. 4591 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in deroga e
potere/dovere di verifica dei presupposti
per il rilascio del titolo edilizio da parte
degli uffici.
Si osserva che:
a) il permesso di costruire in deroga di cui all’articolo 14 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato “Permesso
di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici”) è “un istituto di
carattere eccezionale rispetto all'ordinario
titolo edilizio e rappresenta l'espressione
di un potere ampiamente discrezionale che si
concretizza in una decisione di natura
urbanistica, da cui trova giustificazione la
necessità di una previa delibera del
Consiglio comunale”;
b) in tale procedimento “il Consiglio comunale è chiamato ad
operare una comparazione tra l'interesse
pubblico al rispetto della pianificazione
urbanistica e quello del privato ad attuare
l'interesse costruttivo”;
c) come ogni altra scelta pianificatoria, “la valutazione di
interesse pubblico della realizzazione di un
intervento in deroga alle previsioni dello
strumento urbanistico è espressione
dell'ampia discrezionalità tecnica di cui
l'Amministrazione dispone in materia e dalla
quale discende la sua sindacabilità in sede
giurisdizionale solo nei ristretti limiti
costituiti dalla manifesta illogicità e
dall'evidente travisamento dei fatti”;
d) la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 14,
commi 1-bis, 2 e 3, D.P.R. n. 380 del 2001
per il rilascio dei permessi di costruire in
deroga costituisce “condizione minima
necessaria, ma non sufficiente, per l’assentibilità
dell'intervento, permanendo in capo
all'Amministrazione un'ampia discrezionalità
circa l'an e il quomodo
dell'eventuale assenso”.
Secondo il Giudice d’Appello il procedimento
si compone di due fasi distinte. La prima di
competenza del Consiglio comunale e volta ad
effettuare “la comparazione tra
l'interesse pubblico al rispetto della
pianificazione urbanistica e quello del
privato ad attuare l'interesse costruttivo”;
la seconda di competenza degli uffici
tecnici a cui spetta l’istruttoria della
pratica e l’assunzione delle determinazioni
finali.
Il Comune resistente rinviene nella
decisione del Consiglio di Stato una
conferma alla tesi di parte della dottrina
secondo cui la previa deliberazione del
Consiglio comunale non priva l’organo
tecnico del potere di adottare il titolo
(previe le apposite valutazioni) ma si
traduce nella mera inserzione di un
ulteriore passaggio procedimentale da
collocarsi nella sottofase predecisionale e
volto alla comparazione tra gli interessi
involti.
Osservando tale condivisibile
ricostruzione dalla specola civilistica (per
come imposto dalla domanda), si osserva come
sia proprio la struttura sostanzialmente
bifasica del procedimento e la direzione
negoziale a cui lo stesso mira a consentire
l’operatività della regola di cui
all’articolo 1337 c.c. nella vicenda in
esame.
Si è, difatti, dinanzi ad un procedimento
che, pur riconoscendo il necessario spazio
di discrezionalità alla Pubblica
Amministrazione, risulta funzionale alla
stipula di una convenzione che, benché con
peculiarità proprie, risulta ascrivibile
all’ampio genus negoziale.
La convenzione è, difatti, il momento
terminale fisiologico del procedimento in
esame e l’atto di regolazione e sintesi
degli interessi coinvolti, ivi compreso
l’interesse pubblico decretato dalla
deliberazione del Consiglio comunale. Al
fine di perseguire il risultato
astrattamente programmato (id est: la
stipula di una convenzione che compendi e
realizzi i reciproci interessi) si impone,
quindi, uno sforzo congiunto delle parti da
misurarsi secondo l’allotropico canone di
correttezza.
Del resto, secondo una moderna
ricostruzione, la ragione che anima la
responsabilità precontrattuale andrebbe
individuata nell’intenzionale prossimità
delle sfere giuridiche dei contraenti
determinata dall'instaurazione di una
relazione in vista della conclusione del
contratto, dalle successive trattative o
dall'eventuale procedimento di conseguimento
del consenso.
E’ quanto accade anche nella
vicenda di specie ove la deliberazione del
Consiglio comunale sancisce una prossimità
delle due posizioni dischiudendo il
successivo procedimento volto alla stipula
della convenzione.
Ed è, quindi, tale prossimità intenzionale a
rappresentare l'elemento di fatto che
giustifica l'imposizione legislativa
dell'obbligo reciproco di comportarsi
secondo buona fede e l’insorgenza di una
posizione soggettiva che, mutuando
l’espressione invalsa –in particolare– negli
ordinamenti di common law, può
definirsi di immunità.
Difatti, nel rapporto precontrattuale, agli obblighi e ai limiti
in funzione protettiva a carico di un
contraente si contrappone, come figura
giuridica correlata, l’immunità dell'altro
contraente rispetto alle possibili
contrazioni o lesioni scorrette della
propria libertà negoziale.
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In un ricorso promosso
in sede giurisdizionale al fine di sentire
accertare la violazione dei doveri di
correttezza e buona fede ex articoli 1337 e
1338 c.c., e per la condanna del Comune al
risarcimento dei danni subiti in conseguenza
della mancata stipula della convenzione di
cui al permesso di costruire in deroga a suo
tempo approvato in sede consiliare, il TAR
Milano -pur rigettando il ricorso per non
avere l'operatore privato positivamente
riscontrato le richieste svolte dagli uffici
in sede istruttoria- sottolinea che la
favorevole deliberazione del Consiglio
comunale impone la stipula della relativa
convenzione e il rilascio del titolo
edilizio pur residuando in capo all’organo
tecnico comunale il necessario potere/dovere
di verifica dei relativi presupposti del
titolo edilizio.
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7. In apicibus occorre esaminare la
prima delle difese articolate dal Comune
resistente secondo cui la pur favorevole
deliberazione del Consiglio comunale n.
4/2014 non imporrebbe la stipula della
relativa convenzione ed il rilascio del
titolo edilizio residuando in capo
all’Organo tecnico comunale il necessario
potere/dovere di verifica dei relativi
presupposti.
Corollario di tale affermazione
è la ritenuta carenza di un affidamento
qualificato di parte ricorrente e la
consequenziale necessità di escludere ex
se la configurabilità di una
responsabilità precontrattuale
dell’Amministrazione.
A tale argomentazione replica la ricorrente
notando come il dato rilevante non risieda
nella delimitazione delle competenze tra
Consiglio comunale ed Ufficio tecnico ma
nella condotta adottata da quest’ultimo
nella gestione della pratica (cfr. fogli 4-6
della memoria di replica depositata in data
28.01.2020).
7.1. Osserva il Collegio come la tesi
comunale non possa condividersi
rinvenendosi, proprio da una disamina
analitica del peculiare sistema del permesso
di costruire in deroga, argomenti idonei a
decretare la necessaria applicazione dei
doveri che informano il comportamento
precontrattuale delle parti secondo gli
stilemi tracciati dalla più recente
elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.
7.2. Prendendo le mosse dalla sentenza del
Consiglio di Stato a fondamento della difesa
comunale si osserva come la decisione, nel
richiamare specifici precedenti
giurisprudenziali (cfr., ex multis,
Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.09.2018, n.
5277; Id., 26.07.2017, n. 3680), rimarchi
che:
a) il permesso di costruire in deroga di cui all’articolo 14 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (rubricato “Permesso
di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici”) è “un istituto di
carattere eccezionale rispetto all'ordinario
titolo edilizio e rappresenta l'espressione
di un potere ampiamente discrezionale che si
concretizza in una decisione di natura
urbanistica, da cui trova giustificazione la
necessità di una previa delibera del
Consiglio comunale”;
b) in tale procedimento “il Consiglio comunale è chiamato ad
operare una comparazione tra l'interesse
pubblico al rispetto della pianificazione
urbanistica e quello del privato ad attuare
l'interesse costruttivo”;
c) come ogni altra scelta pianificatoria, “la valutazione di
interesse pubblico della realizzazione di un
intervento in deroga alle previsioni dello
strumento urbanistico è espressione
dell'ampia discrezionalità tecnica di cui
l'Amministrazione dispone in materia e dalla
quale discende la sua sindacabilità in sede
giurisdizionale solo nei ristretti limiti
costituiti dalla manifesta illogicità e
dall'evidente travisamento dei fatti”;
d) la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 14,
commi 1-bis, 2 e 3, D.P.R. n. 380 del 2001
per il rilascio dei permessi di costruire in
deroga costituisce “condizione minima
necessaria, ma non sufficiente, per l’assentibilità
dell'intervento, permanendo in capo
all'Amministrazione un'ampia discrezionalità
circa l'an e il quomodo
dell'eventuale assenso” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.11.2019, n. 7228).
Secondo il Giudice d’Appello il procedimento
si compone di due fasi distinte. La prima di
competenza del Consiglio comunale e volta ad
effettuare “la comparazione tra
l'interesse pubblico al rispetto della
pianificazione urbanistica e quello del
privato ad attuare l'interesse costruttivo”;
la seconda di competenza degli uffici
tecnici a cui spetta l’istruttoria della
pratica e l’assunzione delle determinazioni
finali.
7.3. Il Comune resistente rinviene nella
decisione del Consiglio di Stato una
conferma alla tesi di parte della dottrina
secondo cui la previa deliberazione del
Consiglio comunale non priva l’organo
tecnico del potere di adottare il titolo
(previe le apposite valutazioni) ma si
traduce nella mera inserzione di un
ulteriore passaggio procedimentale da
collocarsi nella sottofase predecisionale e
volto alla comparazione tra gli interessi
involti.
7.4. Osservando tale condivisibile
ricostruzione dalla specola civilistica (per
come imposto dalla domanda), si osserva come
sia proprio la struttura sostanzialmente
bifasica del procedimento e la direzione
negoziale a cui lo stesso mira a consentire
l’operatività della regola di cui
all’articolo 1337 c.c. nella vicenda in
esame.
Si è, difatti, dinanzi ad un procedimento
che, pur riconoscendo il necessario spazio
di discrezionalità alla Pubblica
Amministrazione, risulta funzionale alla
stipula di una convenzione che, benché con
peculiarità proprie, risulta ascrivibile
all’ampio genus negoziale (per la
natura giuridica delle convenzioni cfr.,
ex aliis, TAR per la Lombardia – sede di
Milano, Sez. II, 20.02.2020, n. 345 ed ivi
ulteriori richiami giurisprudenziali).
La convenzione è, difatti, il momento
terminale fisiologico del procedimento in
esame e l’atto di regolazione e sintesi
degli interessi coinvolti, ivi compreso
l’interesse pubblico decretato dalla
deliberazione del Consiglio comunale. Al
fine di perseguire il risultato
astrattamente programmato (id est: la
stipula di una convenzione che compendi e
realizzi i reciproci interessi) si impone,
quindi, uno sforzo congiunto delle parti da
misurarsi secondo l’allotropico canone di
correttezza.
7.5. Del resto, secondo una moderna
ricostruzione, la ragione che anima la
responsabilità precontrattuale andrebbe
individuata nell’intenzionale prossimità
delle sfere giuridiche dei contraenti
determinata dall'instaurazione di una
relazione in vista della conclusione del
contratto, dalle successive trattative o
dall'eventuale procedimento di conseguimento
del consenso.
E’ quanto accade anche nella
vicenda di specie ove la deliberazione del
Consiglio comunale sancisce una prossimità
delle due posizioni dischiudendo il
successivo procedimento volto alla stipula
della convenzione.
Ed è, quindi, tale prossimità intenzionale a
rappresentare l'elemento di fatto che
giustifica l'imposizione legislativa
dell'obbligo reciproco di comportarsi
secondo buona fede e l’insorgenza di una
posizione soggettiva che, mutuando
l’espressione invalsa –in particolare– negli
ordinamenti di common law, può
definirsi di immunità.
Difatti, nel rapporto precontrattuale, agli obblighi e ai limiti
in funzione protettiva a carico di un
contraente si contrappone, come figura
giuridica correlata, l’immunità dell'altro
contraente rispetto alle possibili
contrazioni o lesioni scorrette della
propria libertà negoziale.
7.6. Ad omologa conclusione si perviene
laddove si ricorra alla teorica del contatto
sociale qualificato pur con le necessarie
precisazioni e delimitazioni che un corretto
inquadramento della figura impone. La
deliberazione del Consiglio comunale
determina l’insorgere di una specifica
obbligazione pur senza obblighi primari di
prestazione (i noti “Schuldverhältnisse
ohne primäre Leistungspflichten” della
dottrina tedesca).
Come spiegato, l’atto schiude, infatti, la
successiva fase procedimentale volta alla
stipula della convenzione tra le parti. In
sostanza, la favorevole determinazione
dell’Organo politico segna l’apertura di una
fase procedimentale diretta alla conclusione
del negozio che regola i rapporti tra l’Ente
e l’operatore privato.
Non si è, quindi, dinanzi ad un generico “social
Kontakt” ma ad una vera e propria “Aufnahme
des geschäftlichen Kontakts”, ad un
contatto negozialmente orientato in quanto
diretto alla stipula di una convenzione
urbanistica. L’esaurimento della fase di
competenza del Consiglio “avvia” (per
usare l’espressione significativamente
contenuta nel § 311, Abs. 2, B.G.B. dopo la
Schuldrechtsmodernisierung) verso una
sequenza procedimentale finalizzata al
negozio giuridico determinando l’insorgenza
degli specifici doveri di informazione e
protezione.
Sono queste, infatti, le apposite
prestazioni a cui risulta tenuta la parte di
un rapporto (comunque) obbligatorio il cui
oggetto, come anticipato, non risiede nel
dovere primario di prestare (a cui osta,
inoltre, il potere-dovere pubblico di
verifica e valutazione della fattispecie) ma
nell’obbligo di adottare un comportamento
leale al fine di poter pervenire alla
conclusione del programma individuato.
Pertanto, è proprio la peculiarità del
procedimento a consentire di affermare
l’insorgenza di un contatto sociale
qualificato di tipo negoziale. Non si
tratta, quindi, di postulare la sussistenza
di un generico contatto sociale qualificato
tra il privato e la Pubblica Amministrazione
ma di riscontrare l’esistenza di una
relazione sociale diretta proprio alla
conclusione di un rapporto negoziale che,
come detto, compendi e realizzi gli
interessi delle parti (cfr., per la
configurazione contrattuale della
responsabilità precontrattuale, Cassazione
civile, Sez. I, 12.07.2016, n. 14188 che
adotta una nozione di contatto sociale
decisamente più ampia di quella qui evocata
dal Collegio; cfr., inoltre, Cassazione
civile, Sez. I, 20.12.2011, n. 27648; cfr.,
inoltre, Consiglio di Stato, Adunanza
plenaria, 04.05.2018, n. 5 che, tuttavia,
omette di prendere espressa posizione su
tale aspetto – v. punto 24 della sentenza;
tra le pronunce che ritengono configurabile
una responsabilità da contatto sociale per
violazione degli obblighi procedimentali,
cfr.: Cassazione civile, Sez. I, 10.01.2003,
n. 157; Id., Sez. lav., 19.09.2013, n.
21454; cfr., inoltre, Consiglio di Stato,
Sez. V, 06.08.2001, n. 4239; Id. Sez. VI,
20.01.2003, n. 204; Id., 02.09.2005, n.
4461; Id., Sez. IV, 12.03.2010, n. 1467; Id.,
Sez. IV, 31.01.2012, nn. 482 e 483).
7.7. Né simile ricostruzione sembra potersi
negarsi valorizzando l’aspetto pubblicistico
del procedimento o, in generale, della
vicenda in esame. Simili obiezioni
restringerebbero la portata della previsione
di cui all’articolo 1337 c.c. traducendosi
nella sostanziale non applicazione del
canone ai rapporti pur autoritativi tra
cittadino e Pubblica Amministrazione
segnando il ritorno ad impostazioni codine
smentite dalle più recenti elaborazioni (cfr.,
ex aliis, Consiglio di Stato,
Adunanza plenaria, 04.05.2018, n. 5).
Deve, infatti, rilevarsi come il modello di
pubblica amministrazione, come si è andato
evolvendo nel diritto vivente, risulta oggi
permeato dai principi di correttezza, buona
amministrazione, lealtà, protezione e tutela
dell’affidamento.
Principi integralmente
desumibili dalla previsione di cui
all’articolo 97 della Costituzione che
costituisce il pilastro su cui si edifica il
nuovo paradigma dei rapporti tra cittadino e
Pubblica Amministrazione (cfr., ex multis,
Consiglio di Stato, sez. VI, 06.03.2018, n.
1457; TAR per la Lombardia – sede di Milano,
Sez. II, 13.06.2019, n. 1347; per la
rilevanza dell’affidamento del diritto
eurounitario, cfr., invece: C.G.U.E,
03.05.1978, in C-12/77, Topfer; Id,
14.03.2013, in C-545/11, Agrargenossenschaft
Neuzelle; Id., 20.12.2017, in C-322/16,
Global Starnet).
Va poi considerato che la lesione
dell’interesse pretensivo e dell’interesse
negoziale si saldano nella specifica
prospettiva della domanda in esame e della
configurazione dogmatica degli istituti in
rilievo escludendo una possibile forza
repulsiva delle regole pubblicistiche dei
principi che governano la culpa in
contrahendo (cfr., per i rapporti tra
interesse pretensivo e danno patrimoniale,
pur nella prospettiva della perdita di
chance, Cassazione civile, Sez. III,
09.03.2018, n. 5641; Id., 11.11.2019, n.
28993).
8. Operate tale notazioni preliminari di
inquadramento della fattispecie e reiezione
della prima difesa comunale occorre
verificare se nella vicenda in esame possa
sussistere una effettiva “Vertrauenshaftung”
o responsabilità per lesione
dell’affidamento alla stipula della
convenzione urbanistica derivante da una
condotta comunale non conforme ai generali
doveri di correttezza che, come detto,
informano il comportamento delle parti.
Doveri che, come correttamente evidenziato
dalla giurisprudenza, trascendono il recesso
dalle trattative o la mancata comunicazione
di cause di invalidità ex articolo 1338 c.c.
(cfr., ex aliis, Consiglio di Stato,
Adunanza plenaria, 04.04.2018, n. 4; TAR per
la Lombardia – sede di Milano, Sez. I,
06.11.2018, n. 2501).
La “vis espansiva” del principio in
esame conduce, infatti, a ricomprendere
anche l’attività autoritativa della Pubblica
Amministrazione, “tenuta a rispettare non
soltanto le norme di diritto pubblico (la
cui violazione implica, di regola,
l’invalidità del provvedimento e l’eventuale
responsabilità da provvedimento per lesione
dell’interesse legittimo), ma anche le norme
generali dell’ordinamento civile che
impongono di agire con lealtà e correttezza,
la violazione delle quali può far nascere
una responsabilità da comportamento
scorretto, che incide non sull’interesse
legittimo, ma sul diritto soggettivo di
autodeterminarsi liberamente nei rapporti
negoziali, cioè sulla libertà di compiere le
proprie scelte negoziali senza subire
ingerenze illegittime frutto dell’altrui
scorrettezza” (Consiglio di Stato,
Adunanza plenaria, 04.04.2018, n. 4; cfr.,
inoltre, Consiglio di Stato, Sez. VI,
06.02.2013, n. 633; Id., Sez. IV,
06.03.2015, n. 1142; Id., Adunanza plenaria,
05.09.2005, n. 6; nella giurisprudenza
civile, cfr.: Cassazione civile, Sezioni
unite, 12.05.2008, n. 11656; Cassazione
civile, Sez. I, 12.05.2015, n. 9636; Id.,
03.07.2014, n. 15250).
8.1. In simili casi, non assume rilievo il
provvedimento amministrativo che, come nel
caso di specie, potrebbe risultare persino
non emesso e, per questo, fondare una
pretesa risarcitoria. La vicenda va,
infatti, osservata esclusivamente dalle
specifiche lenti dei principi del diritto
civile che, come spiegato, non rinvengono
argini nelle diverse regole di matrice
pubblicistica che governano simili diversi
profili della vicenda.
8.2. Nell’aggiungere un ulteriore tassello
al complessivo mosaico in cui si inserisce
la vicenda in esame deve, inoltre,
osservarsi come, secondo un’affermazione
dell’Adunanza plenaria alla quale può
riconoscersi portate generale, affinché si
configuri una responsabilità ex articolo
1337 c.c. della Pubblica Amministrazione è,
comunque, necessario che l’affidamento
incolpevole del privato risulti leso da una
condotta che, valutata nel suo complesso, e
a prescindere dall’indagine sulla
legittimità dei singoli provvedimenti,
risulti oggettivamente contraria ai doveri
di correttezza e di lealtà (Consiglio di
Stato, Adunanza plenaria, 04.04.2018, n. 4).
8.3. Necessario, pertanto, procedere con
peculiare acribia alla disamina della
fattispecie concreta atteso che la clausola
generale termina nella vicenda contenziosa
per concretizzarsi ope iudicis
dovendosi in questa sede verificare quale
delle plurime direttive di azione del
precetto risultino violate. Direttive che,
pur nella varietà dei contenuti, assumono
una funzione unitaria e complessiva da
individuarsi nell’obiettivo di salvaguardia
e rispetto (la c.d. “Rücksicht” a cui
fa riferimento la dottrina tedesca) del
patrimonio e della sfera personale dei
contraenti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.03.2020 n. 416 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla scorta di quanto affermato dalla costante giurisprudenza:
a) il permesso di costruire in deroga di cui all'art. 14 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380 (rubricato "Permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici") è un istituto di carattere eccezionale rispetto
all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere
ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura
urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa
delibera del Consiglio comunale;
b) in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare
una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione
urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo;
c) come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di
interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle
previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia
discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla
quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei
ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente
travisamento dei fatti;
d) la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all'art. 14, commi 1-bis,
2 e 3, D.P.R. n. 380 del 2001 per il rilascio dei permessi di costruire in
deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l'assentibilità
dell'intervento, permanendo in capo all'Amministrazione un'ampia
discrezionalità circa l'an e il quomodo dell'eventuale assenso.
Pur nell’ampia discrezionalità attribuita all’Amministrazione, questa dovrà
fornire, anche in tal caso, una giustificazione adeguata, congruente e
proporzionata alle peculiarità della fattispecie, in conformità all’art. 3
della l. 241/1990: e, dunque, indicando, oltre alle ragioni giuridiche,
anche i presupposti di fatto che hanno determinato la decisione, in
relazione alle risultanze dell'istruttoria.
---------------
Non colgono nel segno neppure le censure con cui parte ricorrente lamenta la
mancata comunicazione di avvio del procedimento volto al rilascio del titolo
edilizio in deroga.
In primo luogo, deve rilevarsi che la struttura in questione ricade in zona
“B2-Ricomposizione dell’edilizia” esistente ove, a norma dell’art. 29 NTA,
sono assentibili proprio le strutture di assistenza sociale e sanitaria e
solo in minima parte l’area oggetto di intervento ricade in zona “S2 – Aree
per parchi giochi e sport”, in ragione della presenza del cortile
retrostante.
Inoltre, la struttura in questione risultava già precedentemente assentita
ed adibita ad Asilo Comunale da parte delle Suore Missionarie.
Tale circostanza da un lato evidenzia la insussistenza di uno stravolgimento
dell’impatto urbanistico dell’area tale da giustificare un’ampia
partecipazione dei cittadini contermini e, dall’altro, la insussistenza di
un sufficiente vulnus agli interessi degli stessi, stante l’affinità delle
due destinazioni d’uso.
Peraltro, non risulta neppure chiarita la posizione dei ricorrenti rispetto
alla struttura, limitandosi gli stessi a rilevare la prossimità delle loro
proprietà.
A ciò aggiungasi, ai sensi dell’art. 21-octies 241/1990, l’irrilevanza di
violazione formali quando non risulta dimostrato che il tenore del
provvedimento avrebbe potuto avere un diverso contenuto.
Nella specie, al di là del lamentato e neppure dimostrato decremento di
valore degli immobili di proprietà, i provvedimenti impugnati resistono alle
censure rassegante nel ricorso per i motivi di seguito indicati.
In particolare, non sussiste neppure il lamentato deficit motivazionale.
Sulla scorta di quanto affermato dalla costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV,
07.09.2018, n. 5277; id., 26.07.2017, n. 3680):
a) il permesso di costruire in deroga di cui all'art. 14 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380 (rubricato "Permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici") è un istituto di carattere eccezionale rispetto
all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere
ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura
urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa
delibera del Consiglio comunale;
b) in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare
una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione
urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo;
c) come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di
interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle
previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia
discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla
quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei
ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente
travisamento dei fatti;
d) la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all'art. 14, commi 1-bis,
2 e 3, D.P.R. n. 380 del 2001 per il rilascio dei permessi di costruire in
deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l'assentibilità
dell'intervento, permanendo in capo all'Amministrazione un'ampia
discrezionalità circa l'an e il quomodo dell'eventuale assenso.
Pur nell’ampia discrezionalità attribuita all’Amministrazione, questa dovrà
fornire, anche in tal caso, una giustificazione adeguata, congruente e
proporzionata alle peculiarità della fattispecie, in conformità all’art. 3
della l. 241/1990: e, dunque, indicando, oltre alle ragioni giuridiche, anche
i presupposti di fatto che hanno determinato la decisione, in relazione alle
risultanze dell'istruttoria
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 13.02.2020 n. 192 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decreto
sviluppo e modifica destinazione d’uso.
Sulla natura eccezionale del permesso di costruire rilasciato ai sensi
dell'art. 5, comma 9 e seguenti legge 106/2011, con la quale è stato
convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 13.05.2011, n. 70
(decreto sviluppo).
Si osserva, in adesione a quanto evidenziato dalla
giurisprudenza amministrativa, che la disposizione, in quanto deroga alla
disciplina ordinaria ed alle previsioni degli strumenti urbanistici al fine
di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari
garantiti dalla disciplina urbanistica generale, ha un ridotto ambito di
operatività, confinato entro i limiti tassativamente previsti dal
legislatore statale, richiamando l'inderogabilità degli standard
urbanistici, la non attuabilità degli interventi di riqualificazione e
aumenti di volumetria con riferimento ad edifici abusivi o situati nei
centri storici o in area ad in edificabilità assoluta ed escludendo la
possibilità del rilascio del titolo abilitativo secondo la procedura
ordinaria (massima tratta da
https://lexambiente.it).
---------------
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
2. Con riferimento a quanto dedotto con il primo e secondo motivo di
ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati, occorre in primo luogo
osservare come, nel ricorso, venga preliminarmente dato atto che, nella
motivazione del provvedimento di sequestro, il GIP avrebbe ritenuto
illegittimo il permesso di costruire n. 39 del 07.03.2014, con il quale si
è assentito il cambio di destinazione d'uso di immobili destinati a
struttura commerciale in immobili ad uso residenziale perché in contrasto
con quanto stabilito dall'art. 4, comma 7, legge regionale Campania n.
19/2009.
In particolare, sarebbe stato ritenuto illegittimo il cambio di destinazione
d'uso delle aree interessate dall'intervento ubicate in zona F del PRG,
destinata alla realizzazione di attrezzature e servizi, ovvero di manufatti
per l'edilizia scolastica, centri medici poliambulatori, sport, spettacolo,
scuole e parcheggi in quanto non assentibile ai sensi dell'art. 4 citato, di
cui sarebbe stata fatta erronea applicazione, poiché tale disposizione
consentirebbe il mutamento di destinazione solo all'interno di categorie
omogenee.
Si aggiunge, sempre in premessa, che davanti al giudice del riesame si è
dedotto che il mutamento di destinazione d'uso sarebbe stato ammesso non già
in forza di SCIA ai sensi della legge regionale 19/2009, bensì di un
permesso di costruire (n. 39 del 07.03.2014) rilasciato
dall'amministrazione comunale, ai sensi della legge 106/2011, agli originari
proprietari dell'area, i quali erano già titolari di un permesso di
costruire (n. 69/2006) con il quale era stata autorizzata la realizzazione
di 11 negozi di vicinato, seguito poi da un successivo permesso (n. 127 del
01.10.2014) avente ad oggetto un intervento di demolizione e
ricostruzione e delocalizzazione di un fabbricato esistente ai sensi
dell'art. 5 legge 106/2011, sicché il Tribunale avrebbe dovuto verificare la
conformità di tali titoli e della costruzione realizzata alla disciplina
richiamata e, dunque, alla legge 106/2011 e non anche alla legge regionale
del 2009.
Si afferma, infine, che i permessi sarebbero stati rilasciati in forza di
quanto disposto dall’art. 5, commi 11 e 14, della legge 106/2011, in
considerazione del fatto che la legge regionale (n. 16/2014) è stata
promulgata successivamente al rilascio dei titoli edilizi.
3. Il provvedimento impugnato, pur richiamando sommariamente i termini della
provvisoria incolpazione, ha preso in considerazione le osservazioni in base
alle quali la difesa ritiene legittimo il titolo abilitativo rilevando la
infondatezza della richiesta di riesame, previa sommaria descrizione del
contenuto dell’art. 5 legge 106/2011.
Assumono, in particolare, i giudici del riesame che l’opera originariamente
assentita aveva destinazione commerciale, mentre quella autorizzata con il
permesso di costruire del 2014 ha destinazione residenziale, difettando
quindi l’omogeneità ed essendo, inoltre, in contrasto la seconda con la
destinazione d’uso stabilita dagli strumenti urbanistici vigenti in quanto
zona F2, destinata esclusivamente alla realizzazione di attrezzature e
servizi.
4. Ciò posto, pare opportuno richiamare, nella parte che qui interessa
(commi 9-14), l’art. 5 legge 106/2011, con la quale è stato convertito in
legge, con modificazioni, il decreto-legge 13.05.2011, n. 70:
“(…) 9. Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio
esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree
urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi
disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche
della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle
fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto specifiche
leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e
ricostruzione che prevedano:
a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella
preesistente come misura premiale;
b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree
diverse;
c) l'ammissibilità delle modifiche di destinazione d'uso, purché si
tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
d) le modifiche della sagoma necessarie per l'armonizzazione
architettonica con gli organismi edilizi esistenti.
10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici
abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con
esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo
abilitativo edilizio in sanatoria.
11. Decorso il termine di cui al comma 9, e sino all'entrata in vigore della
normativa regionale, agli interventi di cui al citato comma si applica
l'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso. Resta fermo il rispetto
degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi
incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e in particolare delle
norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle
relative all'efficienza energetica, di quelle relative alla tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel
codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42.
12. Le disposizioni dei commi 9, 10 e 11 si applicano anche nelle Regioni a
statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano
compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le
relative norme di attuazione.
13. Nelle Regioni a statuto ordinario, oltre a quanto previsto nei commi
precedenti, decorso il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, e sino all'entrata
in vigore della normativa regionale, si applicano, altresì, le seguenti
disposizioni:
a) è ammesso il rilascio del permesso in deroga agli strumenti urbanistici
ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, purché
si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
b) i piani attuativi, come denominati dalla legislazione regionale, conformi
allo strumento urbanistico generale vigente, sono approvati dalla giunta
comunale.
14. Decorso il termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto, le disposizioni contenute nel
comma 9, fatto salvo quanto previsto al comma 10, e al secondo periodo del
comma 11, sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario
che non hanno provveduto all'approvazione delle specifiche leggi regionali
(...)”.
5. Le disposizioni appena richiamate sono state più volte prese in
considerazione dalla giurisprudenza amministrativa, che ne ha individuato
l’ambito di operatività.
Si è così osservato che il riferimento all'esistenza di "funzioni
eterogenee" o di "tessuti edilizi disorganici o incompiuti" o di "edifici a
destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da
rilocalizzare" non individua presupposti autonomi per il rilascio di un
permesso di costruire in deroga, ulteriori rispetto a quelli costituiti
dalla "razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente" e dalla
"riqualificazione di aree urbane degradate", ma intende unicamente
esemplificare gli specifici contesti urbani "degradati" in cui la norma
trova applicazione, con la conseguenza che l'esistenza di "edifici a
destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da
rilocalizzare" costituisce un presupposto sufficiente a consentire il
rilascio di un permesso di costruire in deroga al vigente strumento
urbanistico comunale solo quando detti edifici siano collocati in "aree
urbane degradate”, poiché soltanto a tale condizione la legge consente al
consiglio comunale di formulare le sue valutazioni circa la possibilità di
assentire proposte di edificazione in deroga allo strumento urbanistico
riconoscendo anche gli ulteriori benefici previsti, sempre che gli
interventi consentano di perseguire l'interesse pubblico prioritario alla
"razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente" e alla
"riqualificazione di aree urbane degradate" (TAR Piemonte, Sez. 2, n. 1028
del 18/09/2018; Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1767 del 11/04/2014).
Si è altresì espressamente esclusa la volontà del legislatore di procedere
ad una generalizzata liberalizzazione, in quanto la disposizione va letta
nel senso che sono ammessi gli interventi edilizi rispetto ai quali risulti
dimostrato il fine di "razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente"
o di "promuovere o agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate"
precisando, altresì, che tale condizione deve sussistere per tutti gli
interventi edilizi, sia di natura residenziale che non residenziale
(Consiglio di Stato Sez. IV, n. 4088 del 01/09/2015).
Evidenziando, inoltre, la natura eccezionale del permesso di costruire
rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti, in quanto deroga alla
disciplina ordinaria ed alle previsioni degli strumenti urbanistici al fine
di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari
garantiti dalla disciplina urbanistica generale, se ne è limitato l’ambito
di operatività esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal
legislatore statale, richiamando l'inderogabilità degli standard
urbanistici, la non attuabilità degli interventi di riqualificazione e
aumenti di volumetria con riferimento ad edifici abusivi o situati nei
centri storici o in area ad in edificabilità assoluta ed escludendo la
possibilità del rilascio del titolo abilitativo secondo la procedura
ordinaria (TAR Piemonte, Sez. 2, n. 91 del 29/01/2016).
6. Così considerato il contesto entro il quale opera la disposizione in
esame anche sulla base delle osservazioni del giudice amministrativo,
pienamente condivisibili, occorre osservare che il Tribunale, pur avendo
dato atto, come si è detto, del riferimento contenuto nella provvisoria
incolpazione, non ha ritenuto di riproporla testualmente (ed altrettanto ha
fatto il ricorrente) sicché non è dato comprendere, sulla base del ricorso e
del provvedimento impugnato, unici atti ai quali ha accesso questa Corte, se
la violazione delle disposizioni penali richiamate sia stata correlata alla
legge regionale 19/2009, come assume in premessa il ricorrente, ovvero alle
disposizioni della legge 106/2011, sulla quale di diffondono sia l’ordinanza
che i motivi di ricorso.
In ogni caso, il provvedimento impugnato è caratterizzato, anche per ciò che
concerne la valutazione dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 5,
commi 9 e ss. della legge 106/2011, da una certa laconicità, in quanto
focalizza l’attenzione esclusivamente sulla compatibilità o complementarietà
tra diverse destinazioni d’uso di cui al comma 9, lett. c), richiamando poi
l’assenza di omogeneità che il ricorrente critica.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione comunque adeguata e
conforme a legge, sebbene prescinda da una più completa analisi dei titoli
abilitativi richiamati, che avrebbe dovuto essere comunque effettuata
considerando in primo luogo -ovviamente entro l’ambito decisorio assegnato
dalla legge al giudice del riesame- la sequenza temporale dei titoli
edilizi che in ricorso si assume essere stati rilasciati con riferimento
agli interventi per cui è processo, la tipologia degli interventi realizzati
e la conformità alla legge della procedura seguita.
Tenuto conto, poi, della natura eccezionale e derogatoria della disciplina
generale della disposizione in esame, la quale richiede una lettura non
estensiva e limitata al tenore letterale del testo normativo, come
dimostrato dai contributi interpretativi offerti dalla giurisprudenza
amministrativa in precedenza richiamata, andava ulteriormente verificata la
sussistenza dei presupposti generali di applicabilità dell’art. 5 legge
106/2011, considerando quanto stabilito al comma 9 circa l’esigenza di
razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e quella di promuovere e
agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate.
Difettando tali presupposti resterebbe infatti assorbita ogni ulteriore
questione, dovendosi escludere la possibilità di applicare la disposizione
in esame, che in ricorso viene indicata come utilizzata nel rilasciare i
permessi di costruire n. 39/2014 e n. 127/2014.
Nel provvedimento impugnato non viene dato conto della verifica di tale
requisito essenziale il quale, tuttavia, deve ritenersi effettuato dai
giudici del riesame i quali, altrimenti, non avrebbero avuto alcuna
necessità di procedere all’ulteriore verifica oggetto di critica da parte
del ricorrente.
Emerge poi dal ricorso, come si è detto, che i permessi di costruire
considerati si assumono rilasciati ai sensi del comma 14 dell’art. 5 in
esame, non avendo la Regione Campania legiferato nel termine di 120 giorni
dalla data di entrata in vigore della legge 106/2011.
Tale evenienza, come è noto, comporta l’immediata applicazione delle
disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo, però, quanto previsto al
comma 10 (gli interventi non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei
centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli
edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in
sanatoria) ed al secondo periodo del comma 11, che impone il rispetto degli
standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza
sulla disciplina dell'attività edilizia ed, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle
relative all'efficienza energetica, di quelle relative alla tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel
d.lgs. 42/2004.
Vengono dunque posti ulteriori limiti all’applicazione della speciale
disciplina.
7. Va osservato che, come rilevato, in particolare, nel secondo motivo di
ricorso, il Tribunale volge l’attenzione alla prima parte del comma 11
dell’art. 5, ricordando come lo stesso preveda l’applicazione dell’art. 14
d.P.R. 380/2001 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, richiamando
il contenuto del comma 3 che limita espressamente l’oggetto della possibile
deroga ai limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i
fabbricati.
La difesa critica tale assunto, osservando come, nella fattispecie, sarebbe
applicabile il comma 14 dell’art. 5, non avendo la regione Campania
provveduto a legiferare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge
106/2011, ritenendo quindi non operante la limitazione di cui al terzo comma
dell’art. 14 d.P.R. 380/2001, essendo richiesto il solo limite della
compatibilità o complementarietà di cui al comma 9, lett. c).
8. Ciò posto, occorre tuttavia evidenziare che il ricorso sembra
sostanzialmente affermare, nel formulare le critiche all’ordinanza impugnata
sul punto, che la modifica di destinazione d’uso ai sensi del comma 14 sia
sempre consentita, senza limitazioni, in presenza del menzionato requisito
di cui alla lett. c) del comma 9, ritenendo tale assunto confermato dal
quanto disposto dalla legge regionale n. 16/2014 che recepisce quanto
disposto dai commi 9 e 14 della legge 106/2011 ed, in maniera decisiva, da
quanto stabilito dall’art. 1, comma 271 legge 190/2014, laddove è stabilito
che “le previsioni e le agevolazioni previste dall'articolo 5, commi 9 e 14,
del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12.07.2011, n. 106, si interpretano nel senso che le
agevolazioni incentivanti previste in detta norma prevalgono sulle normative
di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o
attuativi, fermi i limiti di cui all'articolo 5, comma 11, secondo periodo,
del citato decreto-legge n. 70 del 2011”.
Tale assunto è tuttavia errato, poiché, condividendosi, ancora una volta,
quanto osservato dal giudice amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. 4, n.
1828 del 19.04.2017), tale disposizione pur imponendo di interpretare il
contenuto dell'art. 5, commi 9 e 14 nel senso che prevale, tranne i casi di
cui al comma 11, secondo periodo, su tutti gli strumenti urbanistici
generali, particolareggiati o attuativi, va applicata considerando la natura
di norma di favore eccezionale (essendo diretta a regolare in termini
diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie) dell’art. 5
e tenendo conto del fatto che essa non è comunque suscettibile di
applicazioni oltre gli scopi cui è preordinata, con la conseguenza che essa
non può prevalere sulle regole che fissano standard o criteri inderogabili,
tra cui il DM 1444/1968, imponendo altresì il rispetto delle altre
discipline richiamate.
9. Deve poi rilevarsi che, effettivamente, il provvedimento impugnato, sul
punto, appare errato laddove richiama il comma 11 che, avuto riguardo alla
data di entrata in vigore della legge 106/2011 e quella di rilascio dei
titoli abilitativi, sarebbe non applicabile nella fattispecie, dovendosi
fare riferimento al comma 14 come affermato dai ricorrenti.
Tale erroneo richiamo, tuttavia, non appare determinante avuto riguardo alle
ulteriori considerazioni svolte dai giudici del riesame.
Il provvedimento impugnato ha, infatti, comunque considerato l’ulteriore
requisito della compatibilità o complementarietà tra la destinazione
urbanistica originaria e quella che si è inteso attuare.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione che deve riguardare,
ovviamente, il manufatto e non anche la destinazione urbanistica o di zona e
deve essere effettuata considerando le destinazioni d’uso ammesse dallo
strumento urbanistico per la zona interessata dall’intervento.
Orbene, nell’ordinanza impugnata i giudici del riesame affermano
l’insussistenza della necessaria compatibilità o complementarietà.
In disparte il fatto che il riferimento al difetto di “omogeneità” tra le
diverse destinazioni d’uso appare chiaramente irrilevante perché utilizzato
evidentemente come sinonimo, ciò che assume rilievo determinante è
l’affermazione del Tribunale secondo cui la zona (F2) ove insiste
l’intervento, è destinata esclusivamente alla realizzazione di attrezzature
e servizi.
Si tratta, chiaramente, di un accertamento in fatto che il Tribunale ha
effettuato e che, dunque, esclude in ogni caso la possibilità di applicare,
nella fattispecie, la disciplina eccezionale di cui alla legge 106/2011.
I primi due motivi di ricorso sono pertanto infondati (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.01.2020 n. 2695). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Presupposti per il permesso in deroga.
Il permesso in deroga di cui all’art. 5,
commi 9 e ss., del c.d. Decreto sviluppo (d.l. n. 70 del
2011), è ammesso solo laddove gli “edifici a destinazione
non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da
rilocalizzare” si collochino in “aree urbane degradate”: la
valutazione in ordine alla natura “degradata” dell’area è
connotata da ampia discrezionalità tecnica sindacabile solo
in presenza di profili di macroscopica illogicità,
irragionevolezza o di travisamento del fatto (1).
---------------
(1) Ha preliminarmente chiarito il Tar che nel rilascio del
permesso in deroga previsto dall’art. 5 del c.d. Decreto
sviluppo (d.l. n. 70 del 2011), la natura privata e
speculativa dell’intervento edilizio non è di per sé
ostativa all’individuazione di un interesse pubblico, purché
l’intervento realizzi, nel contempo, l’interesse pubblico
alla razionalizzazione e riqualificazione delle aree urbane
degradate e si tratti di destinazioni d’uso tra loro
compatibili e complementari.
Ha aggiunto che l’art. 5, comma 9, del Decreto Sviluppo n.
70 del 2011 si limita a rendere assentitile un permesso in
deroga agli strumenti urbanistici, ma non obbliga
l’amministrazione a concederlo: in quanto istituto
derogatorio del principio per cui lo strumento urbanistico
va rispettato finché è in vigore, l’amministrazione è
titolare di poteri ampiamente discrezionali di carattere
latamente politico implicanti valutazioni di merito che
potrebbero persino prescindere da particolari motivazioni di
carattere tecnico sindacabili entro i limiti della
macroscopica illogicità, irragionevolezza o di travisamento
del fatto.
---------------
4.1. L’art. 5, commi 9 e ss., D.L. n. 70 del 2011 (conv. in L.
106/2011) dispone che “Al fine di incentivare la
razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché
di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane
degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti
edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a
destinazione non residenziale dismessi o in via di
dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche
della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza
energetica e delle fonti rinnovabili (…) è ammesso il
rilascio di un permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 14 del decreto
del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 anche
per il mutamento delle destinazioni d'uso, purché si tratti
di destinazioni tra loro compatibili e complementari (…)".
4.2. In forza di tale disposizione, il presupposto in
presenza del quale “è ammesso” –quindi comunque non
“dovuto”- il rilascio di un permesso di costruire in deroga
al vigente PRGC è che l’intervento edilizio consenta di
perseguire “la razionalizzazione del patrimonio edilizio
esistente” e “la riqualificazione di aree urbane degradate”,
caratterizzate, queste ultime, dalla “presenza di funzioni
eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché
di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via
di dismissione ovvero da rilocalizzare”.
4.3. Nel contesto della disposizione, il riferimento
all’esistenza di “funzioni eterogenee” o di “tessuti edilizi
disorganici o incompiuti” o di “edifici a destinazione non
residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da
rilocalizzare” non individua presupposti autonomi per il
rilascio di un permesso di costruire in deroga, ulteriori
rispetto a quelli costituiti dalla “razionalizzazione del
patrimonio edilizio esistente” e dalla “riqualificazione di
aree urbane degradate”, ma intende unicamente esemplificare
gli specifici contesti urbani “degradati” in cui la norma
trova applicazione.
In tal senso, Consiglio di Stato, sez. IV, 11.04.2014 n. 1767, secondo cui “se può convenirsi
che i “fini” della norma sono due: “la razionalizzazione del
patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e
agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate”,
sono queste ultime ad essere connotate dalla “presenza di
funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o
incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare”.
Se così è, la norma si applica agli edifici a destinazione
non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da
rilocalizzare soltanto ove ricadenti in “aree degradate”.
4.4. In altre parole, l’esistenza di “edifici a destinazione
non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da
rilocalizzare” costituisce un presupposto sufficiente a
consentire il rilascio di un permesso di costruire in deroga
al vigente strumento urbanistico comunale, soltanto nel caso
in cui tali edifici si collochino in “aree urbane
degradate”; solo in tal caso la legge consente al consiglio
comunale di valutare l’assentibilità di proposte di
edificazione in deroga al vigente PRGC e con il
riconoscimento al soggetto proponente di particolari facoltà
“premianti” (volumetria aggiuntiva, possibilità di delocalizzare la volumetria in area diversa, ammissibilità
di modifiche della destinazione d’uso e delle sagome degli
edifici), nella misura in cui gli interventi proposti
consentano di perseguire l’interesse pubblico prioritario
alla “razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” e
alla “riqualificazione di aree urbane degradate”.
4.5. La valutazione circa la sussistenza di tali
presupposti, ed in particolare circa l’esistenza di aree
urbane “degradate”, è rimessa per legge al consiglio
comunale; si tratta di una valutazione connotata da ampia
discrezionalità tecnica, tenuto che conto che essa può
comportare deroghe più o meno estese alla vigente
strumentazione urbanistica, e che per tale motivo è
sindacabile da questo giudice solo in presenza di profili di
macroscopica illogicità, irragionevolezza o di travisamento
del fatto: profili che, nel caso di specie, il collegio non
rileva.
4.6. Le società ricorrenti sostengono che lo stato di
degrado dell’area si evincerebbe sia dalla motivazione della
delibera consiliare impugnata, sia dalla documentazione
versata in atti.
Il collegio non condivide la tesi di parte ricorrente:
- premesso che la nozione di “degrado” di un bene non attinge a
regole tecniche desunte da scienze esatte e quindi sconta
sempre, inevitabilmente, un tasso più o meno elevato di
opinabilità, va osservato che nella motivazione della
delibera consiliare n. 48/2017 l’area è così descritta:
“L’area presenta le seguenti caratteristiche: la proprietà
risulta delimitata da una recinzione il cui accesso
principale è individuato da un cancello carraio posto sulla
via ... al civico 75. Nell’area sono presenti alcune
serre, bassi fabbricati e tettorie aperte e chiuse (in
cattivo stato di manutenzione e derivanti dall’attività
agricola preesistente), ora utilizzate per il parcheggio
degli autobus di linea appartenenti alla ditta Ca.,
proprietaria degli immobili. La restante parte della
proprietà risulta inutilizzata, incolta e ricoperta da
vegetazione”; il provvedimento, osserva il collegio, non
sembra individuare un’area “degradata”, quanto piuttosto
un’area su cui insistono manufatti in cattivo stato di
manutenzione (ma tuttora utilizzati da una delle società
ricorrenti per l’esercizio della propria attività
imprenditoriale di autotrasporto), e in parte costituita da
terreno incolto e inutilizzato;
- la stessa documentazione fotografica prodotta in giudizio dalle
società ricorrenti (doc. 11) non restituisce l’immagine di
un’area “degradata”: si percepisce la presenza di abbondante
vegetazione spontanea, con alcuni modesti manufatti agricoli
in evidente stato di cattiva manutenzione; sembra anche di
percepire che l’area si collochi in un contesto rurale, o
comunque scarsamente urbanizzato; tuttavia, dedurre da
questi elementi l’esistenza di un’area urbana degradata è
una conclusione che il collegio non ritiene di condividere,
e che comunque, allo stato degli atti, appare quanto meno
opinabile;
- è noto, a questo riguardo, che quando l'Amministrazione non
applica scienze esatte che conducono ad un risultato certo
ed univoco, ma formula un giudizio tecnico connotato da un
fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare quest'ultimo
non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità
del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese
inattendibilità, l'evidente insostenibilità, con la
conseguenza che, ove non emergano travisamenti,
pretestuosità o irrazionalità, ma solo margini di
fisiologica opinabilità e non condivisibilità della
valutazione tecnico-discrezionale operata dalla Pubblica
amministrazione, il giudice amministrativo non può
sovrapporre alla valutazione opinabile del competente organo
della stessa la propria, giacché diversamente egli
sostituirebbe un giudizio opinabile (nella specie, quello
del consiglio comunale circa l’insussistenza di una
situazione di degrado dell’area interessata dal progetto di
edificazione in deroga al PRGC) con uno altrettanto
opinabile (nella specie, quello espresso dalla difesa di
parte ricorrente), assumendo così un potere che la legge
riserva all'Amministrazione;
- in tale contesto, pertanto, ritiene il collegio che la
valutazione del consiglio comunale di Giaveno circa
l’insussistenza di un’area degradata da riqualificare, per
quanto opinabile, non sia tuttavia manifestamente illogica o
irragionevole o frutto di un macroscopico travisamento della
situazione di fatto, e in quanto tale si sottragga al
sindacato giurisdizionale di questo giudice, alla stregua
dei principi sopra esposti.
4.7. A tali considerazioni va poi aggiunto un rilievo di
fondo, e cioè che l’art. 5, comma 9, del Decreto Sviluppo n.
70/2011 (convertito in L. 106/2011) si limita ad individuare
i presupposti in presenza dei quali l’amministrazione può
rilasciare eccezionalmente un permesso di costruire in
deroga alla vigente strumentazione urbanistica, senza la
necessità di passare attraverso una previa modifica formale
dello strumento urbanistico: “può”, non “deve”.
In altre
parole, pur in presenza di “aree degradate…con edifici a
destinazione non residenziale dismessi o in via di
dismissione ovvero da rilocalizzare”, l’amministrazione non
è obbligata ad accogliere qualsiasi richiesta di
edificazione presentata da privati in deroga al vigente
piano regolatore comunale, per il solo fatto che questa
consenta di razionalizzare il patrimonio edilizio esistente
e di riqualificare aree urbane degradate; l’amministrazione
può farlo, ma non è vincolata a farlo; il principio di
carattere generale è che lo strumento urbanistico va
rispettato finché è in vigore; la possibilità di rilasciare
permessi di costruire in deroga al vigente strumento
urbanistico costituisce una eccezione a tale principio;
eccezione che può essere assentita dall’amministrazione
comunale in presenza di taluni presupposti previsti dalla
legge, nell’esercizio di poteri ampiamente discrezionali che
possono afferire anche agli indirizzi politici di fondo
dell’amministrazione in carica in materia di governo del
territorio (e che non a caso sono affidati, in prima
battuta, al consiglio comunale, ossia all’organo elettivo a
cui sono riservate per legge le decisioni più importanti in
materia di governo del territorio, quali l’approvazione dei
piani territoriali ed urbanistici); per tale motivo, si
tratta di valutazioni di merito dell’amministrazione
comunale, di carattere latamente politico, che potrebbero
persino prescindere da particolari motivazioni di carattere
tecnico e che, in ogni caso, sono sindacabili da questo
giudice entro i limiti ristrettissimi di cui si è detto; per
dirla in breve, è la concessione della deroga che va
adeguatamente motivata, rappresentando un’eccezione ai
principi generali della materia, non il suo diniego, che al
contrario costituisce la mera riaffermazione di tali
principi (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 18.09.2018 n. 1028 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Illegittima la mancata notifica ai controinteressati nel
caso di permesso di costruire in deroga al PGT..
Per fondare la
legittimazione e l’interesse ad agire di un’azione di
annullamento rivolta avverso un permesso di costruire è
sufficiente l’elemento della vicinitas, intesa come
situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno
oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato. Ne consegue
che, in sua presenza, non è necessario accertare
concretamente se i lavori assentiti dall'atto impugnato
comportino un effettivo pregiudizio per il ricorrente.
Ritiene il Collegio che questi principi possano essere
applicati anche in caso di permesso di costruire in deroga,
posto che trattasi pur sempre di atto autorizzatorio
riguardante una specifica opera, il cui impatto sul carico
urbanistico influisce normalmente sugli interessi dei
proprietari dei fondi finitimi.
Ciò premesso si deve osservare che i ricorrenti sono
proprietari di immobili residenziali collocati in un
complesso condominiale che, contrariamente da quanto
sostiene la controinteressata, è posto in prossimità della
struttura oggetto dell’atto impugnato: ritiene infatti il
Collegio che la distanza di cinquanta metri sia tutt’altro
che eccessiva e non faccia dunque perdere il carattere della
prossimità necessario per fondare la legittimazione e
l’interesse ad agire.
---------------
La disciplina riguardante i permessi di costruire rilasciati
in deroga alle previsioni contenute negli strumenti
urbanistici è contenuta nell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del
2001 e nell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005.
Stabilisce il secondo comma del suindicato art. 14 che
dell’avvio del procedimento instaurato per il rilascio di
tale tipologia di permessi è dato avviso agli interessati ai
sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Disposizione
analoga è contenuta nell’art. 40, ultimo comma, della legge
regionale n. 12 del 2005.
Queste norme costituiscono deroga al principio generale,
secondo il quale, per il rilascio del permesso di costruire,
non è di regola necessario l’invio della comunicazione di
avviso di avvio del procedimento ai proprietari dei fondi
finitimi che potrebbero avere interesse contrario alla
realizzazione dell’opera.
La deroga si spiega in quanto, mentre per il rilascio del
permesso di costruire ordinario non è necessaria alcuna
attività di comparazione degli interessi coinvolti, dovendo
l’amministrazione semplicemente valutare la conformità
dell’intervento alla normativa urbanistico-edilizia vigente,
nei casi di permesso di costruire in deroga
l’amministrazione deve invece effettuare una scelta
discrezionale che si sostituisce a quella effettuata in sede
di pianificazione, per il perfezionarsi della quale è dunque
necessario l’apporto collaborativo dei vari soggetti
portatori degli interessi coinvolti, così come avviene
appunto per le scelte urbanistiche effettuate in sede di
redazione del piano di governo del territorio.
E proprio perché il procedimento volto al rilascio di un
permesso di costruire in deroga presenta, sul piano
funzionale, caratteristiche simili a quello di approvazione
di una variante al piano urbanistico, è necessario
consentire una ampia partecipazione allo stesso
procedimento, così come avviene per i procedimenti
finalizzati all’approvazione delle varianti. Ne consegue
che, nell’individuare i soggetti interessati ai sensi
dell’art. 14, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 e
dell’art. 40, ultimo comma, della legge regionale n. 12 del
2005, non si possono utilizzare criteri restrittivi,
dovendosi dare alle due norme ampia applicazione.
---------------
Viene dedotta la violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 380
del 2001 e dell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005
in quanto l’Amministrazione -senza autorizzare espressamente
una deroga alle previsioni di piano riguardanti le
destinazioni funzionali- permetterebbe la realizzazione di
una struttura avente destinazione contrastante con le
previsioni dello strumento urbanistico, violando peraltro in
tal modo le suddette norme che, a dire dei ricorrenti, non
ammetterebbero la possibilità di assentire deroghe alle
destinazioni di piano impresse alle aree.
La censura è fondata per le ragioni di seguito esposte.
L’area interessata dal permesso di costruire impugnato
ricade in zona asservita a verde pubblico, disciplinata
dall’art. PS11 delle NTA del Piano dei Servizi. In base a
tale norma, nella suddetta zona sono insediabili “punti di
ristoro”.
Invero, in mancanza di esplicita definizione contenuta nella
normativa regionale e/o di piano, al concetto di “punto di
ristoro” non possano essere ricondotti i veri e propri
ristoranti, giacché si deve ritenere che, in un’area
destinata a verde pubblico, lo strumento di pianificazione
intenda consentire l’insediamento di strutture aventi
impatto urbanistico poco significativo che non costituiscano
esse stesse polo di attrazione, ma siano esclusivamente
funzionali a rendere più godibile la fruizione del parco. Si
deve pertanto ritenere che nel concetto di “punto di
ristoro” possano rientrare solo le strutture di dimensioni
contenute, dove si somministrano bevande e, tutt’al più,
cibi di veloce preparazione e consumazione.
A contrario non è utile il richiamo all’art. 30 delle NTA
del Piano delle Regole, in quanto neppure tale norma
fornisce la definizione specifica di “punto di ristoro”.
Ne consegue che la destinazione dell’opera oggetto degli
atti impugnati, destinata ad ospitare un vero e proprio
ristorante, non è compatibile con le previsioni di piano
anche per il profilo della destinazione funzionale.
Va a questo punto rilevato che la delibera di Consiglio
comunale non ha autorizzato la deroga alla destinazione
funzionale, ma ha esclusivamente autorizzato la deroga al
parametro riguardante il rapporto massimo di copertura.
Si deve pertanto rilevare che -indipendentemente dalla
risoluzione delle problematiche astratte circa la
possibilità, per i permessi di costruire in deroga, di
derogare alle previsioni di piano attinenti alle
destinazioni funzionali delle aree (problematica che involge
anche questioni di carattere costituzionale stante la non
conformità sul punto dell’art. 40 della legge regionale n.
12 del 2005 con l’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, il
quale per gli aspetti che vengono qui in rilievo sembrerebbe
dettare norme di principio)- sul piano concreto, l’opera
oggetto del presente giudizio non possa comunque essere
realizzata, e ciò proprio in quanto, con la suddetta
delibera, il Comune (evidentemente ritenendo erroneamente
che l’opera stessa fosse, sotto il profilo funzionale,
conforme allo strumento urbanistico) non ha autorizzato
alcuna deroga alle destinazioni d’uso.
Coglie pertanto nel segno la doglianza del ricorrente nella
parte in cui deduce appunto l’illegittimità degli atti
impugnati per aver essi assentito la realizzazione di
un’opera non conforme alle previsioni contenute nello
strumento urbanistico che disciplinano le destinazioni d’uso
delle aree.
---------------
In base all’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed all’art.
40 della legge regionale n. 12 del 2005, il permesso di
costruire in deroga agli strumenti di pianificazione può
essere rilasciato esclusivamente per la realizzazione di
impianti ed edifici pubblici o di interesse pubblico.
La giurisprudenza ha precisato che, siccome le norme fanno
riferimento, non solo alle opere pubbliche, ma anche agli
interventi di interesse pubblico, il permesso di costruire
in deroga può essere rilasciato anche per la realizzazione
di edifici privati per i quali sussista appunto un interesse
pubblico alla loro realizzazione.
La giurisprudenza afferma inoltre che la deliberazione di
consiglio comunale che assente tale tipologia di interventi
deve essere specificamente motivata con riguardo al profilo
dell’interesse pubblico, dovendo le amministrazioni dare
conto, nel corpo motivazionale dell’atto, delle superiori
ragioni che le inducono ad introdurre un regime distonico
rispetto alle previsioni di piano le quali, per loro natura,
dovrebbero aver delineato un quadro armonico degli assetti
del territorio, assetti che potrebbero venire invece
compromessi dalle disposizioni derogatorie.
Si deve ancora aggiungere che, fra le ragioni che possono
sostenere la scelta, vi può anche essere quella di ovviare a
situazioni di degrado.
Va però rilevato che, a parere del Collegio, nel caso
specifico, il riferimento alla situazione di degrado
contenuta nel provvedimento impugnato (nel quale si
evidenzia che la struttura precaria attualmente esistente,
oltre che non contestualizzata con l’ambiente, arreca
disturbo alla quiete pubblica) non fornisce adeguato
supporto motivazionale alla scelta operata, giacché non si
spiegano le ragioni per le quali, invece di intervenire sul
piano sanzionatorio, si è preferito intervenire con un
permesso di costruire in deroga, e ciò sebbene la situazione
di degrado cui si intende ovviare è stata proprio causata
dall’utilizzo inappropriato della terrazza di cui trattasi.
In altre parole, la delibera impugnata avrebbe dovuto
spiegare le ragioni per le quali, invece di vietare
l’utilizzo di una struttura considerata fonte di degrado, si
sia ritenuto che solo l’ampliamento del ristorante esistente
costituisca elemento di valorizzazione dell’area e della
globalità del quartiere, tanto da assurgere al rango di
interesse pubblico preminente che giustifica addirittura la
deroga al vigente strumento urbanistico.
Questi aspetti non sono stati illustrati nel corpo
motivazionale del provvedimento impugnato; si deve pertanto
ritenere che la motivazione in esso contenuta sia
effettivamente inadeguata.
---------------
1. Con il ricorso introduttivo viene impugnata la
deliberazione di Consiglio comunale del Comune di Basiglio
n. 24 del 10.06.2016, con la quale è stata accolta la
domanda presentata dalla società AD. s.r.l., finalizzata
all’ottenimento di una deroga, ai sensi dell’art. 40 della
legge regionale n. 12 del 2005 e dell’art. 14 del d.P.R. n.
380 del 2001, per la realizzazione di un intervento edilizio
non conforme allo strumento urbanistico.
2. L’intervento consiste nella chiusura di una terrazza di
pertinenza di un ristorante, mediante la sostituzione delle
strutture rimovibili con altra tipologia di strutture di
carattere fisso.
...
9. Deve preliminarmente esaminarsi l’eccezione di
inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti sollevata
dalla controinteressata secondo la quale i ricorrenti
sarebbero privi di legittimazione ed interesse ad agire.
10. In proposito va osservato che, secondo un pacifico
orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ha
motivo per discostarsi, per fondare la legittimazione e
l’interesse ad agire di un’azione di annullamento rivolta
avverso un permesso di costruire è sufficiente l’elemento
della vicinitas, intesa come situazione di stabile
collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato. Ne consegue che, in
sua presenza, non è necessario accertare concretamente se i
lavori assentiti dall'atto impugnato comportino un effettivo
pregiudizio per il ricorrente (cfr. Consiglio di Stato, sez.
IV, 19.11.2015, n. 5278; Id., sez. III, 17.11.2015, n. 5257;
TAR Piemonte Torino, sez. II, 15.11.2016, n. 1407; TAR
Sicilia Catania, sez. I, 18.01.2016, n. 164).
11. Ritiene il Collegio che questi principi possano essere
applicati anche in caso di permesso di costruire in deroga,
posto che trattasi pur sempre di atto autorizzatorio
riguardante una specifica opera, il cui impatto sul carico
urbanistico influisce normalmente sugli interessi dei
proprietari dei fondi finitimi.
12. Ciò premesso si deve osservare che i ricorrenti sono
proprietari di immobili residenziali collocati in un
complesso condominiale che, contrariamente da quanto
sostiene la controinteressata, è posto in prossimità della
struttura oggetto dell’atto impugnato: ritiene infatti il
Collegio che la distanza di cinquanta metri sia tutt’altro
che eccessiva e non faccia dunque perdere il carattere della
prossimità necessario per fondare la legittimazione e
l’interesse ad agire.
13. Per questa ragione l’eccezione in esame va respinta.
14. Con il primo motivo viene dedotta la violazione
dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto
l’Amministrazione ha omesso di inviare ai ricorrenti la
comunicazione di avviso di avvio del procedimento.
15. In proposito si osserva quanto segue.
16. La disciplina riguardante i permessi di costruire
rilasciati in deroga alle previsioni contenute negli
strumenti urbanistici è contenuta nell’art. 14 del d.P.R. n.
380 del 2001 e nell’art. 40 della legge regionale n. 12 del
2005.
17. Stabilisce il secondo comma del suindicato art. 14 che
dell’avvio del procedimento instaurato per il rilascio di
tale tipologia di permessi è dato avviso agli interessati ai
sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Disposizione
analoga è contenuta nell’art. 40, ultimo comma, della legge
regionale n. 12 del 2005.
18. Queste norme costituiscono deroga al principio generale,
secondo il quale, per il rilascio del permesso di costruire,
non è di regola necessario l’invio della comunicazione di
avviso di avvio del procedimento ai proprietari dei fondi
finitimi che potrebbero avere interesse contrario alla
realizzazione dell’opera (cfr. sul punto TAR Piemonte, sez.
II, 14.03.2014, n. 448).
La deroga si spiega in quanto, mentre per il rilascio del
permesso di costruire ordinario non è necessaria alcuna
attività di comparazione degli interessi coinvolti, dovendo
l’amministrazione semplicemente valutare la conformità
dell’intervento alla normativa urbanistico-edilizia vigente,
nei casi di permesso di costruire in deroga
l’amministrazione deve invece effettuare una scelta
discrezionale che si sostituisce a quella effettuata in sede
di pianificazione, per il perfezionarsi della quale è dunque
necessario l’apporto collaborativo dei vari soggetti
portatori degli interessi coinvolti, così come avviene
appunto per le scelte urbanistiche effettuate in sede di
redazione del piano di governo del territorio.
19. E proprio perché il procedimento volto al rilascio di un
permesso di costruire in deroga presenta, sul piano
funzionale, caratteristiche simili a quello di approvazione
di una variante al piano urbanistico, è necessario
consentire una ampia partecipazione allo stesso
procedimento, così come avviene per i procedimenti
finalizzati all’approvazione delle varianti. Ne consegue
che, nell’individuare i soggetti interessati ai sensi
dell’art. 14, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 e
dell’art. 40, ultimo comma, della legge regionale n. 12 del
2005, non si possono utilizzare criteri restrittivi,
dovendosi dare alle due norme ampia applicazione.
20. Ciò premesso si deve osservare che il Comune di Basiglio
non ha inviato ai ricorrenti la comunicazione di avviso di
avvio del procedimento culminato con l’adozione dell’atto
impugnato, e ciò sebbene questi soggetti risiedano in
prossimità della struttura interessata dall’intervento.
21. Ritiene il Collegio che questa omissione costituisca una
evidente violazione dell’art. 14, secondo comma, del d.P.R.
n. 380 del 2001 e che, quindi, la censura in esame sia da
condividere.
22. A contrario non vale eccepire, come fa la
controinteressata, che fra la struttura oggetto
dell’intervento e le abitazioni dei ricorrenti è interposto
un parco comunale. In proposito è, infatti, sufficiente
rilevare che il parco comunale è di dimensioni contenute,
tanto è vero che, come riconosce la stessa controinteressata,
le abitazioni più prossime sono collocate a distanza
inferiore a cinquanta metri dalla struttura; ad una distanza
che permette ai residenti di percepirne appieno l’impatto
visivo nonché di percepirne le propagazioni rumorose che da
essa promanano.
23. Si deve pertanto ritenere che i ricorrenti rivestano la
qualifica di soggetti interessati ai sensi del secondo comma
dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001; ne consegue, che,
come anticipato, l’Amministrazione avrebbe dovuto inviare
loro la comunicazione prevista dalla suddetta norma.
24. Va quindi ribadita la fondatezza della censura.
25. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo ed
il primo motivo dei motivi aggiunti (rubricato sub 2), viene
dedotta la violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del
2001 e dell’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005 in
quanto, con l’atto impugnato, l’Amministrazione -senza
autorizzare espressamente una deroga alle previsioni di
piano riguardanti le destinazioni funzionali- permetterebbe
la realizzazione di una struttura avente destinazione
contrastante con le previsioni dello strumento urbanistico,
violando peraltro in tal modo le suddette norme che, a dire
dei ricorrenti, non ammetterebbero la possibilità di
assentire deroghe alle destinazioni di piano impresse alle
aree.
26. La censura è fondata per le ragioni di seguito esposte.
27. L’area interessata dal permesso di costruire impugnato
ricade in zona asservita a verde pubblico, disciplinata
dall’art. PS11 delle NTA del Piano dei Servizi.
28. In base a tale norma, nella suddetta zona sono
insediabili “punti di ristoro”.
29. Tanto premesso, va osservato che, secondo il Collegio,
in mancanza di esplicita definizione contenuta nella
normativa regionale e/o di piano, al concetto di “punto
di ristoro” non possano essere ricondotti i veri e
propri ristoranti, giacché si deve ritenere che, in un’area
destinata a verde pubblico, lo strumento di pianificazione
intenda consentire l’insediamento di strutture aventi
impatto urbanistico poco significativo che non costituiscano
esse stesse polo di attrazione, ma siano esclusivamente
funzionali a rendere più godibile la fruizione del parco. Si
deve pertanto ritenere che nel concetto di “punto di
ristoro” possano rientrare solo le strutture di
dimensioni contenute, dove si somministrano bevande e,
tutt’al più, cibi di veloce preparazione e consumazione (in
questo senso si veda Consiglio di Stato, sez. IV,
06.08.2013, n. 4148).
30. A contrario non è utile il richiamo all’art. 30 delle
NTA del Piano delle Regole, in quanto neppure tale norma
fornisce la definizione specifica di “punto di ristoro”.
31. Ne consegue che la destinazione dell’opera oggetto degli
atti impugnati, destinata ad ospitare un vero e proprio
ristorante, non è compatibile con le previsioni di piano
anche per il profilo della destinazione funzionale.
32. Va a questo punto rilevato che la delibera di Consiglio
comunale n. 24 del 10.06.2016 non ha autorizzato la deroga
alla destinazione funzionale, ma ha esclusivamente
autorizzato la deroga al parametro riguardante il rapporto
massimo di copertura.
33. Si deve pertanto rilevare che -indipendentemente dalla
risoluzione delle problematiche astratte circa la
possibilità, per i permessi di costruire in deroga, di
derogare alle previsioni di piano attinenti alle
destinazioni funzionali delle aree (problematica che involge
anche questioni di carattere costituzionale stante la non
conformità sul punto dell’art. 40 della legge regionale n.
12 del 2005 con l’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, il
quale per gli aspetti che vengono qui in rilievo sembrerebbe
dettare norme di principio)- sul piano concreto, l’opera
oggetto del presente giudizio non possa comunque essere
realizzata, e ciò proprio in quanto, con la suddetta
delibera, il Comune (evidentemente ritenendo erroneamente
che l’opera stessa fosse, sotto il profilo funzionale,
conforme allo strumento urbanistico) non ha autorizzato
alcuna deroga alle destinazioni d’uso.
34. Coglie pertanto nel segno la doglianza del ricorrente
nella parte in cui deduce appunto l’illegittimità degli atti
impugnati per aver essi assentito la realizzazione di
un’opera non conforme alle previsioni contenute nello
strumento urbanistico che disciplinano le destinazioni d’uso
delle aree.
35. Preme al Collegio precisare che a contrario non è
neppure utile invocare l’art. 23-bis, primo comma, lett.
a-bis), del d.P.R. n. 380 del 2001 (che esclude la rilevanza
urbanistica dei mutamenti di destinazione d’uso che comunque
non sottraggono ai fabbricati la destinazione
turistico-ricettiva), atteso che il terzo comma di tale
norma fa salve le diverse disposizioni contenute negli
strumenti urbanistici e che, per le ragioni sopra
illustrate, si deve escludere che lo strumento urbanistico
del Comune di Basiglio abbia inteso assentire l’insediamento
di veri e propri ristoranti nell’area oggetto del presente
giudizio.
36. Per tutte queste ragioni deve essere ribadita la
fondatezza della censura in esame.
37. Con il terzo motivo del ricorso introduttivo e
con il secondo motivo dei motivi aggiunti (rubricato sub 3),
viene ancora dedotta la violazione dell’art. 14 del d.P.R.
n. 380 del 2001 e dell’art. 40 della legge regionale n. 12
del 2005 in quanto, a dire dei ricorrenti, le ragioni di
interesse pubblico addotte a fondamento della decisione di
concedere la deroga sarebbero del tutto inadeguate.
38. Anche questa censura è fondata per le ragioni di seguito
esposte.
39. In base all’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed
all’art. 40 della legge regionale n. 12 del 2005, il
permesso di costruire in deroga agli strumenti di
pianificazione può essere rilasciato esclusivamente per la
realizzazione di impianti ed edifici pubblici o di interesse
pubblico.
40. La giurisprudenza ha precisato che, siccome le norme
fanno riferimento, non solo alle opere pubbliche, ma anche
agli interventi di interesse pubblico, il permesso di
costruire in deroga può essere rilasciato anche per la
realizzazione di edifici privati per i quali sussista
appunto un interesse pubblico alla loro realizzazione (cfr.,
Consiglio di Stato, sez. IV, 12.12.2005 n. 7031; id., sez V,
29.10.2002 n. 5913; TAR Puglia Lecce, sez. I, 23.09.2016, n.
1475; TAR Lombardia Milano, sez. II, 07.02.2014, n. 417).
41. La giurisprudenza afferma inoltre che la deliberazione
di consiglio comunale che assente tale tipologia di
interventi deve essere specificamente motivata con riguardo
al profilo dell’interesse pubblico, dovendo le
amministrazioni dare conto, nel corpo motivazionale
dell’atto, delle superiori ragioni che le inducono ad
introdurre un regime distonico rispetto alle previsioni di
piano le quali, per loro natura, dovrebbero aver delineato
un quadro armonico degli assetti del territorio, assetti che
potrebbero venire invece compromessi dalle disposizioni
derogatorie (Consiglio di Stato, sez. V, 05.09.2014, n.
4518; id., 20.12.2013, n. 6136; id., sez. IV, 23.07.1999, n.
4664; id., 03.02.1981, n. 128).
42. Si deve ancora aggiungere che, fra le ragioni che
possono sostenere la scelta, vi può anche essere quella di
ovviare a situazioni di degrado.
43. Va però rilevato che, a parere del Collegio, nel caso
specifico, il riferimento alla situazione di degrado
contenuta nel provvedimento impugnato (nel quale si
evidenzia che la struttura precaria attualmente esistente,
oltre che non contestualizzata con l’ambiente, arreca
disturbo alla quiete pubblica) non fornisce adeguato
supporto motivazionale alla scelta operata, giacché non si
spiegano le ragioni per le quali, invece di intervenire sul
piano sanzionatorio, si è preferito intervenire con un
permesso di costruire in deroga, e ciò sebbene la situazione
di degrado cui si intende ovviare è stata proprio causata
dall’utilizzo inappropriato della terrazza di cui trattasi.
44. In altre parole, la delibera impugnata avrebbe dovuto
spiegare le ragioni per le quali, invece di vietare
l’utilizzo di una struttura considerata fonte di degrado, si
sia ritenuto che solo l’ampliamento del ristorante esistente
costituisca elemento di valorizzazione dell’area e della
globalità del quartiere, tanto da assurgere al rango di
interesse pubblico preminente che giustifica addirittura la
deroga al vigente strumento urbanistico.
45. Questi aspetti non sono stati illustrati nel corpo
motivazionale del provvedimento impugnato; si deve pertanto
ritenere che la motivazione in esso contenuta sia
effettivamente inadeguata.
46. Le censure in esame sono, quindi, fondate (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 09.05.2017 n. 1045 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Deroga al Prg per interesse pubblico. Edifici
riconvertiti.
Se è garantita «fruibilità
collettiva», il permesso di costruire in
deroga agli strumenti urbanistici può essere
rilasciato anche per trasformare un edificio
privato storico in centro commerciale.
Lo ha stabilito il
Consiglio di Stato -Sez. IV- nella
sentenza 05.06.2015 n. 2761,
bocciando il ricorso di un’associazione
ambientalista contro la riqualificazione di
un immobile privato del 1500, già sede di
Poste, e sotto vincolo paesaggistico.
Il progetto –con l’«ok» di Consiglio
comunale e Soprintendenza- prevedeva l’uso
pubblico gratuito di spazi interni per
almeno 10 giorni l’anno. Ciò, per la
ricorrente, non assicurava l’«interesse
pubblico» richiesto dal Testo unico
dell’edilizia (articolo 14, Dpr n. 380/2001)
che ammette la deroga «esclusivamente per
edifici ed impianti pubblici o di interesse
pubblico, previa deliberazione del consiglio
comunale» e nel rispetto del Codice dei
beni culturali (Dlgs n. 42/2004).
Per il collegio, invece, con beni privati «occorre
verificare se vi sia un interesse pubblico
che possa concorrere con quello privato al
recupero ed allo sfruttamento commerciale»
e «non è necessario che l’interesse
pubblico attenga al carattere pubblico
dell'edificio o del suo utilizzo, ma è
sufficiente che coincida con gli effetti
benefici per la collettività che dalla
deroga potenzialmente derivano, in una
logica di ponderazione e contemperamento
calibrata sulle specificità del caso, ed
esulante da considerazioni meramente
finanziarie».
Nel caso di specie, si è accertato che la
deroga –con densità e altezza immutate- «ha
un peso comparativamente minimo rispetto ai
miglioramenti che ne derivano (…) (recupero,
accessibilità, fruibilità, incremento
occupazionale, eccetera»
(articolo
Il Sole 24 Ore del 09.07.2015 -
tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in deroga per gli edifici
privati.
L’art. 14 del Dpr 380/2001 stabilisce che il permesso di
costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è
rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o
di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio
comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute
nel D.lgs. 490/1999 (ora D.lgs. 42/2004) e delle altre
normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell’attività edilizia.
Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la recente
sentenza 05.06.2015 n. 2761 ha fornito una
interpretazione innovativa ed ampia dell’art. 14,
dichiarando legittima l’applicazione del permesso di
costruire in deroga ad un intervento di recupero di un
immobile privato riconosciuto di interesse pubblico
dall’amministrazione comunale.
Il Consiglio di Stato ha evidenziato che “non
è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere
pubblico dell’edificio o al suo utilizzo, ma è sufficiente
che coincida con gli effetti benefici per la collettività
che potenzialmente derivano dalla deroga, in una logica di
ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità
del caso”.
Nella fattispecie è stata riconosciuta la legittimità di un
permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico
generale per la realizzazione dell’intervento di
riqualificazione di un edificio storico di proprietà privata
destinato ad uso commerciale perché rispondente a criteri di
interesse pubblico, infatti:
- recuperava uno dei più antichi edifici del centro storico;
- apriva integralmente al pubblico un edificio rimasto
chiuso per decenni;
- consentiva la fruizione pubblica gratuita di ampi spazi
interni per iniziative culturali e turistiche;
- non comportava alcun onere finanziario al comune ed anzi
procurava ad esso notevoli risorse finanziarie
straordinarie;
- attivava ingenti investimenti privati con creazione di
nuovi posti di lavoro, ecc.
Si ricorda che il D.L. 133/2014 cd. “sblocca cantieri”
(convertito dalla Legge 164/2014) ha inserito il comma 1-bis
nell’art. 14 del Dpr 380/2001 che permette l’applicazione
del permesso di costruire in deroga agli interventi di
ristrutturazione edilizia, compresi quelli in aree
industriali dismesse, anche in deroga alle destinazioni
d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne
attesti l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento
di destinazione d'uso non comporti un aumento della
superficie coperta originaria, fermo restando, nel caso di
insediamenti commerciali, quanto disposto dall’art. 31,
comma 2, del D.L. 201/2011 (convertito dalla Legge 214/2011)
(commento tratto da www.ance.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
A - In ordine ai presupposti per il rilascio di un
permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici
generali:
Secondo l’appellante il progetto di riqualificazione non
sarebbe tale da portare alla realizzazione di un’opera di
interesse pubblico, meritevole di deroghe rispetto alle
previsioni di Piano. Se è vero che la convenzione prevede
l’utilizzo della corte interna per eventi culturali almeno
10 giorni all’anno e della sala eventi per iniziative
istituzionali del Comune, sarebbe d’altronde innegabile che
la fruizione di tali spazi è eventuale, parziale e
temporanea, e comunque subordinata ad un previo accordo fra
le parti. Il TAR del resto non avrebbe fornito alcun
elemento in ordine all’effettivo svolgimento di una
comparazione fra tutti gli interessi pubblici in rilievo.
Il motivo è privo di fondamento.
Il Comune ha diffusamente e specificatamente motivato sul
punto, ed il TAR ha correttamente statuito in proposito.
L’edificio in questione è di proprietà privata, ragion per
cui ciò che occorre verificare è se vi sia un interesse
pubblico che possa concorrere con quello privato al recupero
ed allo sfruttamento commerciale. Non è necessario che
l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico
dell’edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che
coincida con gli effetti benefici per la collettività che
dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di
ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità
del caso, ed esulante da considerazioni meramente
finanziarie.
Nel caso di specie, l’amministrazione locale non solo ne ha
dedotto l’esistenza, ma lo ha sostanziato e giustificato,
evidenziando come “l'intervento di riqualificazione e rifunzionalizzazione del Fontego risponde ai criteri di
interesse pubblico in quanto:
- recupera uno dei più antichi ed ampi edifici storici della
Città Antica, qualificato come bene culturale, con la
riproposizione dell'originaria destinazione commerciale
propria del Fondaco, integrata con la destinazione
culturale;
- apre al pubblico l'intero edificio del Fondaco, anche per
le parti rimaste inaccessibili per decenni durante l’uso dei
servizi postali;
- consente la fruizione pubblica gratuita di ampi spazi
interni al Fondaco per iniziative culturali e di promozione
turistica;
- non comporta alcun onere finanziario al Comune di Venezia,
anzi procura allo stesso notevoli risorse finanziarie
straordinarie;
- attiva investimenti privati ingenti, con creazione, a
regime, di nuovi posti di lavoro stimati in non meno di 400
posti di lavoro diretti oltre quelli dell'indotto;
- consolida i servizi offerti dalla Città storica al mercato
internazionale".
Considerazioni -quelle esposte- del tutto ragionevoli, ove
si consideri che gli aspetti edilizi oggetto di deroga,
riguardano un edificio già esistente, divenuto di proprietà
privata a seguito di dismissione dal patrimonio dello Stato,
in attuali precarie condizioni di manutenzione, del quale si
chiede il recupero nel rispetto dei vincoli paesaggistici e
storico artistici.
Si vuol cioè dire che il “sacrificio”
delle previsioni pianificatorie e dell’ordine in esse
precostituito -consistente nella modifica della
destinazione d’uso ed in un modestissimo incremento
dell’altezza con conseguente incremento volumetrico, ferma
la salvaguardia dei valori monumentali e paesaggistici– ha
un peso comparativamente minimo rispetto ai miglioramenti
che ne derivano in relazione ad una serie di concorrenti
interessi pubblici pure affidati alla cura dell’autorità
amministrativa locale (recupero, accessibilità, fruibilità,
incremento occupazionale, etc.)
Non meritano condivisione le ulteriori affermazione
dell’appellante che, più che dolersi della nuova
destinazione commerciale dell’immobile, stigmatizza il
carattere eventuale, parziale e temporaneo della fruizione
collettiva, comunque subordinata ad un previo accordo fra le
parti.
Dalla lettura della convenzione emerge che il previo accordo
annuale fra le parti riguarda le modalità ed i programmi e
non certo la sussistenza dell’obbligazione in capo al
proprietario, che è prevista con carattere di certezza.
A1 – In ordine alla legittimità dei contenuti della deroga:
Secondo l’appellante, quanto al limite della densità
edilizia, il TAR avrebbe sostanzialmente fatto propria la
difesa comunale, e con essa, il vizio di fondo che inficia
il calcolo dei parametri: in particolare il volume
dell’edificio sarebbe stato calcolato, prima e dopo
l’intervento di riqualificazione, con criteri diversi e male
applicati, con il risultato che, nonostante le oggettive
addizioni, il volume esistente risulterebbe maggiore di
quello di progetto.
L’errore tecnico dipenderebbe dal
calcolo delle altezze che, poiché comprensivo, secondo il
nuovo criterio, di volumi prima non computabili,
determinerebbe la sovrastima dei volumi esistenti. Per il
resto, il TAR non avrebbe spiegato come mai l’aumento di
volume debba considerarsi interno e non esterno alla sagoma.
La struttura di travi d’acciaio che sorregge il nuovo
padiglione vetrato sarebbe alta 3 metri, in guisa da
generare un volume esterno di 990 metri cubi.
In ogni caso
il concetto di densità edilizia di cui all’art. 7 del DM
1444/1968 sarebbe da riferire al volume dell’intero edificio,
senza distinzione alcuna tra interno ed esterno. Il TAR
avrebbe errato anche in relazione ai limiti di altezza di
cui all’art. 8 del DM 1444/1968: pur riconoscendo che
l’esistenza del corpo aggiunto (cd lucernario-lanterna)
determina incremento di 1,6 metri dell’altezza, ne avrebbe
contraddittoriamente escluso la rilevanza considerandola una
superfetazione; inoltre avrebbe erroneamente applicato
l’art. 8 cit., qualificando l’intervento come di “nuova
costruzione” invece che di “risanamento”.
Ancora, il TAR avrebbe errato nel ritenere consentita la
deroga ai caratteri costruttivi del tetto, atteso il tenore
dell’art. 14 del dpr 380/2001, che consente deroga
esclusivamente ai limiti di densità edilizia e di altezza.
Le censure non sono convincenti.
Quanto al rispetto dei limiti della deroga individuati negli
articoli 7, 8 del decreto ministeriale 02.04.1968, n.
1444, occorre procedere per punti:
A mente dell’art. 7 “per le operazioni di risanamento
conservativo ed altre trasformazioni conservative, le
densità edilizie di zona e fondiarie non debbono superare
quelle preesistenti, computate senza tener conto delle
soprastrutture di epoca recente prive di valore
storico-artistico”.
L’appellante, asserisce che, poiché il progetto di restauro
e risanamento prevede un aumento di volume, ne deriverebbe
automaticamente un aumento della densità edilizia.
I due piani però non sono sovrapponibili. Gli indici
urbanistici adottati dal Comune di Venezia nell’ambito del
regolamento edilizio ed utilizzati per la pianificazione
urbanistica non contengono il riferimento alla densità
edilizia fondiaria, ma quello all’ indice di utilizzazione
fondiaria (Uf), espressa dal rapporto tra superficie lorda
di pavimento Sp e superficie fondiaria Sf.
La superficie lorda di pavimento è determinata con
riferimento agli edifici esistenti, dividendo il volume
dell'edificio per l'altezza virtuale definita dal
coefficiente di m. 3. Il risultato individua la potenzialità
edificatoria massima teorica dell'edificio in termini di Sp
(insuperabile anche ai sensi del D.M. n. 1444/1968). Trattasi
di un parametro cioè che, per come è concepito, consente
margini ampliativi della superficie, nel rispetto
dell’indice.
Una volta individuato il parametro inderogabile nell’indice
di utilizzazione fondiaria, è chiaro che il volume reale non
per questo diventa un dato urbanistico irrilevante, ma lo
stesso diviene suscettibile di deroga, essendo previsto
nella strumentazione urbanistica e non trovando specifici
limiti nell’art. 7. Del resto, se l’art. 7 avesse voluto
fare semplicemente riferimento ad un volume massimo non
avrebbe utilizzato il concetto, molto più complesso ed
elastico, di “densità”, concetto di relazione indicante il
rapporto tra una data grandezza e l’estensione su cui essa
si distribuisce.
Quanto all’altezza, anche a voler considerare l’intervento
quale semplice risanamento conservativo non implicante
trasformazioni, ed a voler considerare inderogabile
l’altezza preesistente, deve comunque rilevarsi che, nel
caso di specie, l’altezza del corpo di fabbrica è rimasta
invariata e si è progettata una modifica morfologica della
copertura con montaggio della “lanterna” centrale ad una
quota più alta di 1,60 metri, con una soluzione progettuale
ed una linea che non tradisce la ratio che ispira l’art. 8
del D. M 1444/1968 e l’art. 14 del TU edilizia, il primo teso
ad imporre limiti nella pianificazione del territorio, il
secondo finalizzato a consentire ragionevoli e temperate
deroghe ai quei limiti ove l’organo rappresentativo della
collettività locale ravvisi un interesse pubblico
prevalente.
Ancora –secondo l’appellante- il TAR avrebbe errato nel
ritenere consentita la deroga ai caratteri costruttivi del
tetto, atteso il tenore dell’art. 14 del dpr 380/2001, che
consente deroga esclusivamente ai limiti di densità edilizia
e di altezza. Anche in questo caso il principio di
ragionevolezza vuole che, se sono consentite deroghe a
parametri urbanistici rilevanti, come la densità, l’altezza,
la distanza, oggetto di specifica normazione e
standardizzazione su base nazionale, a fortiori possono
essere consentite deroghe alle caratteristiche costruttive
di alcuni elementi, ovviamente ove sia previamente acquisita
la valutazione della competente Sovrintendenza. |
anno 2014 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
La concessione edilizia
in deroga, com'è noto, si differenzia radicalmente, sia dal
punto di vista procedimentale che da quello sostanziale,
rispetto alla ordinaria concessione edilizia, che consente
all'Amministrazione di esercitare un potere ampiamente
discrezionale per perseguire un interesse pubblico ritenuto
preminente, consistente nella disapplicazione di una norma a
una fattispecie concreta, che pure presenta tutti gli
elementi per essere assoggettata alla disciplina da essa
dettata e che, costituendo una vera decisione urbanistica
rientra nella competenza esclusiva del Consiglio comunale.
Devono essere
innanzitutto respinte le censure sollevate con i motivi
aggiunti notificati il 13.12.2014, puntualmente
riproposti con l'appello principale, concernenti l'asserita
illegittimità della concessione edilizia n. 255 del 18.11.1991 rilasciata alla società Sud Costruzioni s.r.l.
e della successiva concessione -per variante in corso
d’opera ed intestazione– n. 88 del 29.01.1993,
rilasciata alla società Rubino G. & P. s.n.c., per la
mancata approvazione del progetto delle realizzande
residenze universitarie da parte del Consiglio Comunale di
Bari e per la mancata predisposizione e approvazione della
convenzione per il corretto utilizzo delle stesse.
Invero, ancorché la concessione edilizia n. 255 del 18.11.1991 (e la successiva n. 88 del 29.01.1993)
riguardi la realizzazione di un edificio di interesse
pubblico, tali potendo essere qualificate le residenze
universitarie, non può tuttavia negarsi che né nella
richiesta di rilascio della concessione, né in quest'ultima
(e nella successiva variante) si riscontra un sia pur minimo
accenno alla circostanza che si tratti di una concessione
edilizia in deroga, che, com'è noto, si differenzia
radicalmente, sia dal punto di vista procedimentale che da
quello sostanziale, rispetto alla ordinaria concessione
edilizia, che consente all'Amministrazione di esercitare un
potere ampiamente discrezionale per perseguire un interesse
pubblico ritenuto preminente, consistente nella
disapplicazione di una norma a una fattispecie concreta, che
pure presenta tutti gli elementi per essere assoggettata
alla disciplina da essa dettata (Cons. St, sez.. IV, 23.07.2009, n. 4664) e che, costituendo una vera decisione
urbanistica rientra nella competenza esclusiva del Consiglio
comunale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.10.2014 n. 4933 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo il permesso
di costruire in "deroga" agli
strumenti urbanistici consentendo la realizzazione di
un impianto sportivo in zona classificata come agricola e,
dunque, al di là dei limiti autorizzabili di deroga che
delinea l'art. 14 dpr 380/2001 per edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico, ove al terzo comma sono
identificati esclusivamente -fermo il rispetto delle
norme igieniche, sanitarie e di sicurezza- nei limiti di
densità edilizia, di altezza e di distanza tra fabbricati.
---------------
3. Il ricorso è infondato.
Premesso che la censura sul contenuto effettivo della
delibera consiliare si colloca su un piano fattuale, cui non
si estende il controllo del giudice di legittimità, deve
darsi atto che l'ordinanza impugnata esplica in modo
adeguato proprio la valutazione della sussistenza degli
elementi giustificativi della cautela disposta dal gip. Per
quanto riguarda, in particolare, la questione del contrasto
tra la delibera del consiglio comunale del 10.06.2013 e gli
strumenti urbanistici vigenti, il Tribunale
espressamente condivide quanto ritenuto dal gip, e cioè che
il permesso conseguentemente rilasciato è
illegittimo -concernendo un'area classificata agricola e
dunque non edificabile- in quanto sussiste violazione
dell'articolo 14 d.p.r. 380/2001.
Infatti -rileva il Tribunale- il permesso
di costruire pone una illegittima deroga appunto agli
strumenti urbanistici laddove consente la realizzazione di
un impianto sportivo in zona classificata come agricola, e
dunque al di là dei limiti autorizzabili di deroga che
delinea il citato articolo 14 per edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico, al terzo comma li
identifica esclusivamente -fermo il rispetto delle
norme igieniche, sanitarie e di sicurezza- nei limiti di
densità edilizia, di altezza e di distanza tra fabbricati
(cfr. motivazione, pagina 3).
Peraltro, rimarcando che l'imputazione non include il reato
edilizio di cui all'articolo 44 d.p.r. 380/2001,
circoscrivendosi al delitto di abuso di ufficio, il
Tribunale, ai fini dell'integrazione appunto del reato di
cui all'articolo 323 c.p., osserva che il contrasto con il
citato articolo 14 era già ravvisabile nel regolamento
edilizio del Comune approvato con delibera del consiglio
comunale n. 35 del 29.11.2011 -regolamento che prevede
all'articolo 108 la possibilità di rilasciare permessi di
costruire in deroga anche in zona agricola per interventi di
tipo turistico-sportivo-, desumendone la carenza del
fumus commissi delicti quanto al dolo intenzionale di
favorire i ricorrenti nella condotta degli amministratori,
ed avendo d'altronde gli attuali proprietari acquistato il
terreno solo quando l'iter prodromico al rilascio del
permesso era ormai completo.
In conclusione, deve ritenersi che il Tribunale abbia
adempiuto il suo obbligo di riesame vagliando -come si è
visto, con esito negativo sul piano dell'elemento
soggettivo- il presupposto del fumus commissi delicti,
tra l'altro non attribuendo alla delibera consiliare che il
03.05.2013 ha approvato a maggioranza la proposta
dell'assessore ai lavori pubblici di rilasciare il permesso
in deroga di destinazione d'uso un contenuto di "modifica
generale del piano regolatore" (come censura il PM), al
contrario ravvisando tale generalità contenutistica nella
delibera consiliare del 29.11.2011 che aveva approvato il
-illegittimo come il permesso di costruire quanto
all'articolo 108- regolamento edilizio comunale
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
24.09.2014 n. 46625 - udienza). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
La giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare
che per “edificio di interesse pubblico”, proprio ai fini
del rilascio del titolo edilizio in deroga, deve intendersi
ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche
intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare
interessi di rilevanza pubblica, potendo in tale categoria
ricomprendersi anche una struttura alberghiera ed il suo
ampliamento.
D’altra parte, se è vero che la concessione edilizia in
deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici, quale
espressione di un potere di natura eccezionale, necessita di
un’adeguata e congrua motivazione, è altrettanto vero che
nel caso di specie la lettura della impugnata delibera
consiliare (ed in particolare il contenuto degli interventi
svolti dai consiglieri comunali sullo specifico argomento
all’ordine del giorno) esclude, al di là di ogni ragionevole
dubbio, la sussistenza del dedotto vizio di motivazione del
predetto provvedimento, emergendo in modo chiaro ed in
equivoco l’iter logico–giuridico che determinato la scelta
dell’organo consiliare; tanto meno poi sono ictu oculi
apprezzabili macroscopiche contraddittorietà della delibera
in questione, esse non potendo coincidere con il soggettivo
dissenso degli appellanti alla deroga concessa
dall’amministrazione.
Neppure, sotto altro concorrente profilo, può condividersi
l’assunto secondo cui la deroga non avrebbe riguardato le
previsioni urbanistiche generali, bensì quelle contenute nel
piano di recupero edilizio di iniziativa privata che
disponeva l’obbligo di aderenza tra edifici ad una minore
altezza, con sua conseguente illegittimità, manifestamente
erronea essendo, sempre secondo gli appellanti, anche
l’affermazione circa l’intervenuta scadenza del piano
attuativo per decorso del termine decennale, tale scadenza
riguardando esclusivamente gli interventi dichiarati di
pubblica utilità.
---------------
Va richiamata la giurisprudenza consolidata secondo cui il
piano di recupero costituisce uno strumento attuativo delle
previsioni urbanistiche contenute nel piano regolatore
generale, equivalente ad un piano particolareggiato e di
livello gerarchicamente subordinato.
E’ pertanto inconciliabile, dal punto di vista
logico–giuridico, ammettere la derogabilità del piano
regolatore generale e l’inderogabilità di quello attuativo,
per sua natura subordinato al primo, ciò senza contare che
nel caso di specie, come correttamente rilevato dai primi
giudici, le deroghe (che concernono il distacco dai
fabbricati contermini, indicato in ml. 3,80, anziché in
aderenza, e l’altezza massima, prevista in ml. 13, come
peraltro già disciplinato dalle N.T.A., indipendentemente
dalla sagoma dei fabbricati contermini) non attengono
affatto al piano di recupero (attuativo), ma alle stesse
previsioni del piano regolatore generale ed alla sua
concreta e particolare attuazione quanto alla specifica area
interessata dalla concessione edilizia in deroga.
E’ innanzitutto destituita di
fondamento la tesi degli appellanti circa l’inammissibilità
del rilascio della concessione edilizia in deroga per un
albergo, in quanto quest’ultimo non potrebbe essere
considerato un edificio o impianto pubblico o di interesse
pubblico, mancando in tal senso qualsiasi adeguata
motivazione.
La giurisprudenza ha invero avuto modo di evidenziare che
per “edificio di interesse pubblico”, proprio ai fini del
rilascio del titolo edilizio in deroga, deve intendersi ogni
manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o
per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di
rilevanza pubblica (Cons. St., sez. V, 20.12.2013, n.
6136), potendo in tale categoria ricomprendersi anche una
struttura alberghiera ed il suo ampliamento (Cons. St., sez. IV, 29.10.2002, n. 5913; 28.10.1999, n. 1641; 15.07.1998, n. 1044).
D’altra parte, se è vero che la concessione edilizia in
deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici, quale
espressione di un potere di natura eccezionale, necessita di
un’adeguata e congrua motivazione (Cons. St., sez. V, 20.12.2013, n. 6136; sez. IV, 23.07.1999, n. 4664;
03.02.1981, n. 128), è altrettanto vero che nel caso di
specie la lettura della impugnata delibera consiliare (ed in
particolare il contenuto degli interventi svolti dai
consiglieri comunali sullo specifico argomento all’ordine
del giorno) esclude, al di là di ogni ragionevole dubbio, la
sussistenza del dedotto vizio di motivazione del predetto
provvedimento, emergendo in modo chiaro ed in equivoco
l’iter logico–giuridico che determinato la scelta
dell’organo consiliare; tanto meno poi sono ictu oculi
apprezzabili macroscopiche contraddittorietà della delibera
in questione, esse non potendo coincidere con il soggettivo
dissenso degli appellanti alla deroga concessa
dall’amministrazione.
Neppure, sotto altro concorrente profilo, può condividersi
l’assunto secondo cui la deroga non avrebbe riguardato le
previsioni urbanistiche generali, bensì quelle contenute nel
piano di recupero edilizio di iniziativa privata che
disponeva l’obbligo di aderenza tra edifici ad una minore
altezza, con sua conseguente illegittimità, manifestamente
erronea essendo, sempre secondo gli appellanti, anche
l’affermazione circa l’intervenuta scadenza del piano
attuativo per decorso del termine decennale, tale scadenza
riguardando esclusivamente gli interventi dichiarati di
pubblica utilità.
Al riguardo va richiamata la giurisprudenza consolidata
secondo cui il piano di recupero costituisce uno strumento
attuativo delle previsioni urbanistiche contenute nel piano
regolatore generale, equivalente ad un piano
particolareggiato e di livello gerarchicamente subordinato
(ex multis, sez. IV, 29.12.2010, n. 9537; 29.07.2009, n. 4756;
05.03.2008, n. 922).
E’ pertanto inconciliabile, dal punto di vista logico–giuridico, ammettere la derogabilità del piano regolatore
generale e l’inderogabilità di quello attuativo, per sua
natura subordinato al primo, ciò senza contare che nel caso
di specie, come correttamente rilevato dai primi giudici, le
deroghe (che concernono il distacco dai fabbricati
contermini, indicato in ml. 3,80, anziché in aderenza, e
l’altezza massima, prevista in ml. 13, come peraltro già
disciplinato dalle N.T.A., indipendentemente dalla sagoma
dei fabbricati contermini) non attengono affatto al piano di
recupero (attuativo), ma alle stesse previsioni del piano
regolatore generale ed alla sua concreta e particolare
attuazione quanto alla specifica area interessata dalla
concessione edilizia in deroga
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 05.09.2014 n. 4518 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici generali (deroga che, nel rispetto delle norme
igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare
esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di
distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione
degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi) è
rilasciato esclusivamente per edifici e impianti pubblici o
di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio
comunale (cfr. art. 14, comma 1, del DPR 06.06.2001, n. 380;
in precedenza, l'art. 41-quater della legge urbanistica).
Se la deliberazione preliminare del Consiglio comunale
costituisce un elemento necessario del procedimento
amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego
della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua
assenza vizia il procedimento stesso, d'altro canto, la
giurisprudenza amministrativa, da sempre, reputa che l'atto
terminale del procedimento è costituito dal permesso di
costruire in deroga, mentre la previa deliberazione del
Consiglio comunale (salvo il caso di determinazione
negativa) si configura come atto interno del procedimento,
non immediatamente lesivo, impugnabile assieme agli atti di
uguale natura confluiti nel procedimento stesso, solo
congiuntamente all'atto finale, una volta emanato.
Ciò premesso, quello che conta maggiormente sottolineare è
che la delibera consiliare è deputata soltanto a dettare gli
indirizzi al soddisfacimento dei quali viene subordinato il
rilascio della concessione in deroga; per contro, sono
demandate agli uffici competenti, le verifiche e gli
accertamenti volti a verificare la fattibilità del progetto
che l'istante presenta al momento della richiesta del titolo
edilizio.
----------------
In ordine alla presentata richiesta di permesso di costruire
"in deroga" risulta necessario precisare quanto segue:
►
dall’esame degli atti di causa emerge l'omessa
comunicazione, da parte dell’amministrazione, dei motivi
ostativi all’accoglimento dell’istanza della ricorrente, ai
sensi dell’art. 10-bis L. 241/1990.
Al riguardo e come noto, “la comunicazione dei motivi
ostativi al rilascio del provvedimento richiesto,
disciplinata dall'art. 10-bis, della legge 07.08.1990 n. 241
ha la funzione, in un rapporto collaborativo con
l'Amministrazione, di consentire al soggetto destinatario
del provvedimento negativo di presentare delle
controdeduzioni avverso i motivi di diniego per evidenziare
eventuali profili di illegittimità dell'atto finale in via
di formazione (profili che dovranno poi essere valutati
dall'amministrazione ed esternati con la motivazione del
provvedimento conclusivo del procedimento), e serve per
consentire all'Amministrazione di acquisire ulteriori
elementi per l'adozione di una legittima determinazione
finale, con gli evidenti effetti deflazionistici sul
contenzioso”.
Nella specie l’amministrazione comunale non ha consentito al
ricorrente l’instaurazione del contraddittorio sulle ragioni
poste a fondamento del diniego e, in particolare,
sull’asserita necessità dell’adozione di una variante del
P.R.G.;
►
non è ostativa all’accoglimento del ricorso, nella
fattispecie, la previsione dell'articolo 21-octies, comma 2,
della legge n. 241 del 1990, secondo cui non è annullabile
il provvedimento adottato in violazione di norme sul
procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato.
Il procedimento in esame, infatti, non può ritenersi di
natura strettamente vincolata in quanto involge, e richiede,
da parte dell’Amministrazione, un’istruttoria complessa
destinata a fare luce su molteplici aspetti che la norma
prende in esame per verificare la possibilità di addivenire
alla deroga e, in particolare, da un lato la valutazione
dell’interesse pubblico dell’opera, dall’altro la
considerazione dei limiti in cui la stessa può essere
autorizzata, tenuto conto dei vincoli che possono risultare
ostativi alla deroga.
Nel caso di specie, trattandosi di struttura deputata alla
fornitura di prestazioni sanitarie, la sussistenza del
requisito dell’interesse pubblico non è revocabile in
dubbio.
►
tuttavia, l’art. 14 del D.P.R.
380/2001 prevede altresì che la deroga alla disciplina
urbanistica:
1) è inammissibile se contrastante con la normativa
paesaggistica di cui al D.Lg.vo n. 42/2004, con le "norme
igieniche, sanitarie e di sicurezza" e con le "altre
normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia";
2) "può riguardare esclusivamente i limiti di densità
edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui
alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici
generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il
rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del
D.M. n. 1444 del 02.04.1968", cioè tale deroga può riferirsi
soltanto ai parametri edilizi della densità edilizia,
dell'altezza e della distanza tra i fabbricati, previsti
dagli strumenti urbanistici generali ed esecutivi in misura
maggiore e/o superiore a quelli stabiliti dai predetti artt.
7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici generali ed esecutivi, disciplinato da tale
norma, non può quindi essere rilasciato, se contrastante con
le norme e prescrizioni urbanistiche, diverse da quelle in
tema di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i
fabbricati ("fermo restando in ogni caso il rispetto delle
disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del
02.04.1968"), come per esempio quelle in materia di
destinazioni di zona e/o di uso.
Con riferimento a tali aspetti nessun contraddittorio è
stato sollecitato dall’Amministrazione comunale.
Non può quindi ritenersi che l’interlocuzione con la
ricorrente da attivare con il "preavviso" non avrebbe
variato il contenuto del provvedimento conclusivo, stante la
necessità di chiarire, in ogni caso con la partecipazione
dell’interessato, quale fosse l’ostacolo della normativa di
piano regolatore generale rilevante nella fattispecie.
►
ritiene, inoltre, il Collegio
che, nella fattispecie l'onere della motivazione non sia
stato né sufficientemente né correttamente assolto, avendo
l’Amministrazione comunale fatto riferimento in modo del
tutto generico ed apodittico alla necessità della variante,
senza in alcun modo specificare quali aspetti del progetto
risultassero in contrasto con quali precisi vincoli posti
dalla pianificazione.
Tale indicazione risultava tanto più necessaria se si
considera che il permesso in deroga era stato già rilasciato
una volta ed era decaduto per la mancata ultimazione delle
opere nel termine previsto.
Inoltre, considerato che l'ordinamento consente di derogare
alla ordinaria disciplina pianificatoria, privilegiando il
concorrente interesse pubblico sotteso alla deroga, la
previsione di tale specifico potere esclude, tuttavia, per
la contraddizione che non consente la diversa conclusione
che si possa attribuire rilevanza preclusiva alla
valutazione del solo contrasto con la pianificazione
urbanistica comunale.
Il presente ricorso verte essenzialmente sul diniego di
rilascio del secondo permesso di costruire in deroga,
scaduto il primo, per l’ampliamento della struttura adibita
dalla società ricorrente a casa di cura deputata a fornire
prestazioni specialistiche in varie branche sanitarie.
Giova premettere che il permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici generali (deroga che, nel rispetto
delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può
riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di
altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di
attuazione degli strumenti urbanistici generali ed
esecutivi) è rilasciato esclusivamente per edifici e
impianti pubblici o di interesse pubblico, previa
deliberazione del Consiglio comunale (cfr. art. 14, comma 1,
del DPR 06.06.2001, n. 380; in precedenza, l'art. 41-quater
della legge urbanistica). Se la deliberazione preliminare
del Consiglio comunale costituisce un elemento necessario
del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel
rilascio o diniego della concessione in deroga, con la
conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso,
d'altro canto, la giurisprudenza amministrativa, da sempre
(quantomeno a partire da Consiglio Stato, sez. V,
06.06.1984, n. 433), reputa che l'atto terminale del
procedimento è costituito dal permesso di costruire in
deroga, mentre la previa deliberazione del Consiglio
comunale (salvo il caso di determinazione negativa) si
configura come atto interno del procedimento, non
immediatamente lesivo, impugnabile assieme agli atti di
uguale natura confluiti nel procedimento stesso, solo
congiuntamente all'atto finale, una volta emanato (così TAR
Milano, Sez. II, 09.04.1998, n. 728; più recentemente, TAR
Sardegna sez. II, 04.06.2012, n. 556). Ciò premesso, quello
che conta maggiormente sottolineare è che la delibera
consiliare è deputata soltanto a dettare gli indirizzi al
soddisfacimento dei quali viene subordinato il rilascio
della concessione in deroga; per contro, sono demandate agli
uffici competenti, le verifiche e gli accertamenti volti a
verificare la fattibilità del progetto che l'istante
presenta al momento della richiesta del titolo edilizio.
Nel caso di specie il permesso è stato negato avendo il
Comune addotto che le opere progettate avrebbero richiesto
una variante al Piano regolatore generale, senza alcuna
ulteriore specificazione.
Dall’esame degli atti di causa emerge, in primo luogo, la
fondatezza del primo motivo del ricorso principale, con il
quale è stata contestata la omessa comunicazione, da parte
dell’amministrazione, dei motivi ostativi all’accoglimento
dell’istanza della ricorrente, ai sensi dell’art. 10-bis L.
241/1990.
Nella fattispecie risulta pacifico che alla società
ricorrente non è stata inviata la comunicazione prevista
dall’art. 10-bis L. 241/1990.
Come noto, “la comunicazione dei motivi ostativi al
rilascio del provvedimento richiesto, disciplinata dall'art.
10-bis, della legge 07.08.1990 n. 241 ha la funzione, in un
rapporto collaborativo con l'Amministrazione, di consentire
al soggetto destinatario del provvedimento negativo di
presentare delle controdeduzioni avverso i motivi di diniego
per evidenziare eventuali profili di illegittimità dell'atto
finale in via di formazione (profili che dovranno poi essere
valutati dall'amministrazione ed esternati con la
motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento),
e serve per consentire all'Amministrazione di acquisire
ulteriori elementi per l'adozione di una legittima
determinazione finale, con gli evidenti effetti
deflazionistici sul contenzioso” (cfr., da ultimo, TAR
Napoli, sez. VIII, sent. n. 958/2014).
Nella specie l’amministrazione comunale non ha consentito al
ricorrente l’instaurazione del contraddittorio sulle ragioni
poste a fondamento del diniego e, in particolare,
sull’asserita necessità dell’adozione di una variante del
P.R.G. del Comune di Caserta.
Non è ostativa all’accoglimento del ricorso, nella
fattispecie, la previsione dell'articolo 21-octies, comma 2,
della legge n. 241 del 1990, secondo cui non è annullabile
il provvedimento adottato in violazione di norme sul
procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato; il procedimento in esame, infatti, non
può ritenersi di natura strettamente vincolata in quanto
involge, e richiede, da parte dell’Amministrazione,
un’istruttoria complessa destinata a fare luce su molteplici
aspetti che la norma prende in esame per verificare la
possibilità di addivenire alla deroga e, in particolare, da
un lato la valutazione dell’interesse pubblico dell’opera,
dall’altro la considerazione dei limiti in cui la stessa può
essere autorizzata, tenuto conto dei vincoli che possono
risultare ostativi alla deroga.
Nel caso di specie, trattandosi di struttura deputata alla
fornitura di prestazioni sanitarie, la sussistenza del
requisito dell’interesse pubblico non è revocabile in
dubbio.
Tuttavia, l’art. 14 del D.P.R. 380/2001 prevede altresì che
la deroga alla disciplina urbanistica:
1) è inammissibile se contrastante con la normativa
paesaggistica di cui al D.Lg.vo n. 42/2004, con le "norme
igieniche, sanitarie e di sicurezza" e con le "altre
normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia";
2) "può riguardare esclusivamente i limiti di densità
edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui
alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici
generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il
rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del
D.M. n. 1444 del 02.04.1968", cioè tale deroga può
riferirsi soltanto ai parametri edilizi della densità
edilizia, dell'altezza e della distanza tra i fabbricati,
previsti dagli strumenti urbanistici generali ed esecutivi
in misura maggiore e/o superiore a quelli stabiliti dai
predetti artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici generali ed esecutivi, disciplinato da tale
norma, non può quindi essere rilasciato, se contrastante con
le norme e prescrizioni urbanistiche, diverse da quelle in
tema di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i
fabbricati ("fermo restando in ogni caso il rispetto
delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del D.M. n.
1444 del 02.04.1968"), come per esempio quelle in
materia di destinazioni di zona e/o di uso.
Con riferimento a tali aspetti nessun contraddittorio è
stato sollecitato dall’Amministrazione comunale.
Non può quindi ritenersi che l’interlocuzione con la
ricorrente da attivare con il "preavviso" non avrebbe
variato il contenuto del provvedimento conclusivo, stante la
necessità di chiarire, in ogni caso con la partecipazione
dell’interessato, quale fosse l’ostacolo della normativa di
piano regolatore generale rilevante nella fattispecie.
Ritiene, inoltre, il Collegio che, nella fattispecie, come
contestato con il secondo motivo del ricorso principale,
l'onere della motivazione non sia stato né sufficientemente
né correttamente assolto, avendo l’Amministrazione comunale
fatto riferimento in modo del tutto generico ed apodittico
alla necessità della variante, senza in alcun modo
specificare quali aspetti del progetto risultassero in
contrasto con quali precisi vincoli posti dalla
pianificazione.
Tale indicazione risultava tanto più necessaria se si
considera che il permesso in deroga era stato già rilasciato
una volta ed era decaduto per la mancata ultimazione delle
opere nel termine previsto.
Inoltre, considerato che l'ordinamento consente di derogare
alla ordinaria disciplina pianificatoria, privilegiando il
concorrente interesse pubblico sotteso alla deroga (cfr.,
ibidem: Cons. St., V, 11.01.2006, n. 46), la previsione
di tale specifico potere esclude, tuttavia, per la
contraddizione che non consente la diversa conclusione che
si possa attribuire rilevanza preclusiva alla valutazione
del solo contrasto con la pianificazione urbanistica
comunale.
La circostanza che le opere oggetto dell’istanza
divergessero da quelle oggetto del primo permesso e
comportassero la violazione degli standard, peraltro, è
stata dedotta dalla difesa del Comune di Caserta nella
memoria conclusiva ma non ha formato oggetto di
contraddittorio né è stata addotta dal Comune quale
motivazione a sostegno del provvedimento di diniego,
concretizzando così una inammissibile integrazione postuma
della motivazione dello stesso (TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 23.07.2014 n. 4110 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il criterio
interpretativo valevole nei casi di permessi di costruire
(come già per le concessioni edilizie) in deroga è quello di
carattere restrittivo.
Ciò in considerazione del fatto che le deroghe agli
strumenti urbanistici si pongono come elementi dissonanti
rispetto all’armonia ricercata nel concetto stesso di
pianificazione, per cui queste non sono in grado di
travolgere le esigenze di ordine urbanistico evidenziate nel
piano e restano legittime fin quando non incidono su
destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa
del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme
direttrici.
In tal senso si muove la normativa vigente, sia nazionale
(l’art. 14 “Permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici” del Testo unico dell’edilizia limita la deroga,
“nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di
sicurezza”, unicamente ai “limiti di densità edilizia, di
altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di
attuazione degli strumenti urbanistici generali ed
esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle
disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto
ministeriale 02.04.1968, n. 1444”) sia regionale, qui
applicabile (l’art. 15 “Permesso di costruire in deroga”
della legge regionale Emilia-Romagna 25.11.2002, n. 31,
applicabile ratione temporis, prevedeva che “la deroga, nel
rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza e
dei limiti inderogabili stabiliti dalle disposizioni statali
e regionali, può riguardare esclusivamente le destinazioni
d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la
distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dalle
norme di attuazione del POC e del PUA ovvero previste dal
PRG e dai relativi strumenti attuativi”).
La censura, sotto tutte le sue
articolazioni, non può essere condivisa.
Ponendo in disparte l’argomentazione centrale della difesa
di controparte (che evidenzia, peraltro in modo
condivisibile, come tutto l’impianto defensionale
dell’appellante si fondi sulla sola ritenuta eccezionalità
del caso in esame), rileva la Sezione come, nel dettaglio
dei singoli profili, la ricostruzione data alla vicenda dal
giudice di prime cure si presenti del tutto lineare e
centrata sui valori che animano le ragioni pianificatorie
nell’ambito dell’edilizia.
Per chiarire l’ordine concettuale di disamina delle
questioni sottoposte, va evidenziato come effettivamente,
seguendo lo stesso iter motivazionale già fatto proprio dal
primo giudice, il criterio interpretativo valevole nei casi
di permessi di costruire (come già per le concessioni
edilizie) in deroga è quello di carattere restrittivo (oltre
alla giurisprudenza indicata nella sentenza di prime cure,
v. di recente Consiglio di Stato, sez. IV, 13.07.2011 n.
4234). Ciò in considerazione del fatto che le deroghe agli
strumenti urbanistici si pongono come elementi dissonanti
rispetto all’armonia ricercata nel concetto stesso di
pianificazione, per cui queste non sono in grado di
travolgere le esigenze di ordine urbanistico evidenziate nel
piano e restano legittime fin quando non incidono su
destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa
del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme
direttrici.
In tal senso si muove la normativa vigente, sia nazionale
(l’art. 14 “Permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici” del Testo unico dell’edilizia
limita la deroga, “nel rispetto delle norme igieniche,
sanitarie e di sicurezza”, unicamente ai “limiti di
densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati
di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici
generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il
rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9
del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444”) sia
regionale, qui applicabile (l’art. 15 “Permesso di
costruire in deroga” della legge regionale
Emilia-Romagna 25.11.2002, n. 31, applicabile ratione
temporis, prevedeva che “la deroga, nel rispetto
delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza e dei limiti
inderogabili stabiliti dalle disposizioni statali e
regionali, può riguardare esclusivamente le destinazioni
d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la
distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dalle
norme di attuazione del POC e del PUA ovvero previste dal
PRG e dai relativi strumenti attuativi”).
Conclusivamente, anche nel contesto della legislazione
regionale appena riportata, deve ritenersi che la deroga
abbia una sua ragione solo all’interno delle diversificate
destinazioni d'uso, ammesse dagli strumenti urbanistici
all'interno delle singole destinazioni di zona urbanistiche
previste dalla legge, dovendosi mantenere un collegamento
tra le destinazioni d’uso dei singoli immobili con quelle di
zona
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.04.2014 n. 1902 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul rilascio di una permesso di costruire in deroga.
L’art. 14, secondo comma, del d.P.R. n.
380 del 2001 impone alle Amministrazioni che intendono
instaurare un procedimento volto al rilascio di un permesso
di costruire in deroga l’obbligo di comunicare agli
eventuali controinteressati l’avvio del procedimento stesso,
ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Una volta avvenuta la comunicazione, le parti interessate
possono partecipare attivamente, ed hanno diritto, ai sensi
dell’art. 10, lett. a), della stessa legge n. 241 del 1990,
di prendere visione degli atti prodromici all’emanazione del
provvedimento finale.
Il diritto di partecipazione presuppone, peraltro, che gli
interessati si facciano parte attiva, richiedendo
all’amministrazione il rilascio della documentazione
ritenuta di interesse.
In mancanza di esplicite richieste in tal senso non si può
rimproverare all’ente di aver impedito la partecipazione
procedimentale: l’amministrazione, come visto, assolve ai
suoi doveri inviando la comunicazione di avvio del
procedimento, mentre non è tenuta, in assenza di specifiche
istanze, alla consegna della documentazione procedimentale.
---------------
L’art. 14, primo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001
stabilisce che i permessi di costruire in deroga alle
previsioni degli strumenti urbanistici generali possono
essere rilasciati, fra l’altro, per la realizzazione di
impianti di interesse pubblico.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che anche impianti ed
edifici privati possono costituire oggetto di permesso di
costruire in deroga; e che gli alberghi possono essere
annoverati fra i fabbricati che soddisfano esigenze di
interesse pubblico per questa ragione assentibili con il
titolo in argomento.
L’art. 14,
secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 impone alle
Amministrazioni che intendono instaurare un procedimento
volto al rilascio di un permesso di costruire in deroga
l’obbligo di comunicare agli eventuali controinteressati
l’avvio del procedimento stesso, ai sensi dell’art. 7 della
legge n. 241 del 1990.
Una volta avvenuta la comunicazione, le parti
interessate possono partecipare attivamente, ed hanno
diritto, ai sensi dell’art. 10, lett. a), della stessa legge
n. 241 del 1990, di prendere visione degli atti prodromici
all’emanazione del provvedimento finale.
Il diritto di partecipazione presuppone, peraltro, che
gli interessati si facciano parte attiva, richiedendo all’amministrazione il rilascio della documentazione
ritenuta di interesse.
In mancanza di esplicite richieste in tal senso non si può
rimproverare all’ente di aver impedito la partecipazione
procedimentale: l’amministrazione, come visto, assolve ai
suoi doveri inviando la comunicazione di avvio del
procedimento, mentre non è tenuta, in assenza di specifiche
istanze, alla consegna della documentazione procedimentale.
---------------
L’art. 14,
primo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che i
permessi di costruire in deroga alle previsioni degli
strumenti urbanistici generali possono essere rilasciati,
fra l’altro, per la realizzazione di impianti di interesse
pubblico.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che anche
impianti ed edifici privati possono costituire oggetto di
permesso di costruire in deroga; e che gli alberghi possono
essere annoverati fra i fabbricati che soddisfano esigenze
di interesse pubblico per questa ragione assentibili con il
titolo in argomento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12.12.2005 n. 7031; id., sez V, 29.10.2002 n. 5913).
Il Comune di Lezzeno, invero, nella succitata
deliberazione di Consiglio Comunale n. 17 del 2013 ha
rilevato il recente incremento dell’afflusso turistico sul
proprio territorio; aggiungendo che, per tale ragione, la
realizzazione di nuove strutture recettive potrebbe
costituire fonte di promozione e di sviluppo economico e
sociale con conseguenti ricadute economiche favorevoli per
l’intera cittadinanza. Tale realizzazione è stata dunque
ritenuta di interesse pubblico.
Nella stessa deliberazione, si è altresì chiarito che la
deroga ai limiti di densità ed altezza previsti dal vigente PRG è giustificata dalla necessità di assicurare alla nuova
struttura dimensioni minime (perlomeno dieci camere) tali da
renderla idonea ad ospitare un numero sufficiente di
turisti, onde assicurare un adeguato ritorno economico
all’operatore privato.
Il provvedimento rimanda poi ad una relazione del
Responsabile di Servizio, il quale ha chiarito che con
l’erigenda struttura non viene superato il limite di
volumetria assentito con il PII di cui si è in precedenza
fatto cenno, riguardante una zona attigua a quella di cui è
causa e rimasto, in parte, inattuato (la volumetria ivi
prevista non è stata quindi esaurita, e la costruzione
oggetto del provvedimento impugnato introduce una volumetria
inferiore a quella residua).
Si è chiarito in questo modo che, seppur collocato in
area non ricompresa nel precedente atto di pianificazione di
dettaglio, la costruzione oggetto del permesso di costruire
in deroga introduce un carico urbanistico che può essere
tranquillamente tollerato.
Ritiene quindi il Collegio che tutte queste
argomentazioni siano idonee a far comprendere il
ragionamento sviluppato dall’Amministrazione e che
dimostrino come la stessa abbia congruamente assoggettato a
comparazione i vari interessi in conflitto prima di
assentire l’intervento impugnato (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.02.2014 n. 417 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Illegittimità concessione edilizia in deroga per
realizzazione di ambulatorio medico privato.
Se è pur vero che il titolo è stato
richiesto per la realizzazione di un manufatto destinato ad
accogliere l’attività di medico di base del Servizio
Sanitario Nazionale (in relazione al quale potrebbe essere
non implausibile la sussistenza di un interesse pubblico
all’assistenza nei confronti dei pazienti), è d’altra parte
indubitabile che il vulnus alla disciplina
urbanistico–edilizia inflitto con la concessione in deroga
non risulta giustificato dalla duratura destinazione (a
servizio sanitario) dell’immobile: quest’ultimo, infatti,
non solo è (e resta privato) e nella esclusiva disponibilità
dell’interessato anche quanto all’uso, non essendo stato
apposto alcun vincolo ragionevole durata o di destinazione
(di interesse pubblico), ma altresì nulla impedisce che,
anche prima della naturale conclusione dell’attività
professionale del proprietario, l’immobile possa essere
ceduto a terzi e/o concretamente utilizzato per un’attività
ovvero per una finalità esclusivamente privata.
--------------
Al riguardo si rammenta la distinzione
tra l’ambulatorio, che identifica una struttura
aziendale, aperta, spersonalizzata ed organizzata
imprenditorialmente in vista dell’affluenza di un pubblico
indeterminato, in cui prevale l’aspetto organizzativo su
quello professionale, e lo studio medico, connotato
dal prevalente apporto professionale mediante esercizio
professionale dell’attività sanitaria: solo nei confronti
del primo (ambulatorio) è astrattamente ipotizzabile la
ricorrenza del presupposto dell’interesse pubblico
preminente idoneo a giustificare il rilascio della
concessione edilizia in deroga.
---------------
Nel merito
l’appello è infondato, il che consente di prescindete
dall’esame delle ulteriori eccezioni preliminari, sollevate
in primo grado e non esaminate per assorbimento, ma
espressamente riproposte in appello.
Come emerge dalla documentazione in atti, non è
contestato che il dott. -OMISSIS- presentò in data 23.09.1980 una richiesta di concessione edilizia in
deroga per l’ampliamento del fabbricato sito in Asolo, via
S. Caterina (in catasto, sez. B, foglio n. IV, mapp. n. 654)
ad uso ambulatorio medico.
Con delibera n. 89 del 02.10.1980 il Consiglio comunale
di Asolo espresse al riguardo parere favorevole, in ragione
della particolare rilevanza sociale e di pubblica utilità
dell’iniziativa, incaricando contestualmente il sindaco di
richiedere alla Regione Veneto il prescritto nulla–osta ai
sensi dell’art. 3 della legge 21.12.1955, n. 1357; in
data 14.01.1984 veniva poi effettivamente rilasciato il
richiesto titolo edilizio in deroga n. 93/1980 per la
realizzazione di un ambulatorio medico, essendo intervenuto
in data 08.11.1983 (prot. 1150) anche il nulla–osta
dei Beni Ambientali di Treviso.
E’ altresì pacifico, mancando sul punto qualsiasi
contestazione tra le parti, che l’immobile, il cui
ampliamento ad uso ambulatorio medico è stato consentito con
il contestato titolo edilizio, ricadeva nella zona A del
Comune di Asolo, all’interno della quale, ai sensi
dell’allora vigente piano regolatore (art. 13), gli
interventi edilizi erano subordinati all’approvazione di
piani particolareggiati, potendo, in difetto degli stessi,
essere consentiti, sempre previo apposito titolo concessorio,
solo la manutenzione ordinaria e straordinaria; gli
interventi sui parametri esterni, purché non interessino
spostamenti di aperture e modifiche dei materiali di
facciata; risanamenti interni di carattere igienico o
distributivo, purché non comportino sostanziali modifiche
strutturali e tipologiche; restauri conservativi e
demolizioni di corpi di fabbrica interni privi di valore
architettonico.
Il successivo art. 27 (ex 29) del piano regolatore prevedeva
la possibilità di derogare alle relative previsioni, ove
ricorressero “particolari motivi di pubblico interesse, di
decoro cittadino e di igiene”.
Per completezza deve aggiungersi che l’art. 80 (rubricato
“Deroghe”) dell’allora vigente legge regionale 02.05.1980, n. 40 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”)
stabiliva che “Il piano regolatore può dettare disposizioni
che consentano al Sindaco di rilasciare concessioni in
deroga alle norme e alle previsioni urbanistiche generali
quando riguardino edifici e/o impianti pubblici o di
interesse pubblico, purché non abbiano per oggetto la
modificazione delle destinazioni di zona. In tali casi il
rilascio della concessione deve essere preceduto da
deliberazione favorevole del consiglio comunale”.
Benché la predetta legge sia stata sostituita dalla
successiva legge regionale 27.06.1985, n. 61 (anch’essa
disciplinante l’assetto e l’uso del territorio), l’art. 80
di quest’ultima, pur esso rubricato “Deroghe”, riporta ai
primi due commi delle disposizioni del tutto identiche a
quelle della precedente legge n. 40 del 1980.
Ciò precisato, la Sezione ritiene che la sentenza
impugnata sfugga alle critiche che le sono state appuntate.
Il rilascio della concessione in deroga, sia nelle
previsioni del piano regolatore generale che secondo le
ricordate disposizioni della legislazione regionale,
costituisce una facoltà eccezionale riconosciuta
all’amministrazione comunale per il perseguimento di un
interesse pubblico preminente, a prescindere dalla
circostanza che si tratti di un’attività di edificazione di
carattere privato: il solo predetto interesse pubblico
consente infatti di disapplicare una norma con riferimento
ad una fattispecie concreta che pure presenta tutti gli
elementi per essere assoggettata alla disciplina di
carattere generale (C.d.S., sez. V, 23.07.2009, n. 4664;
02.04.2006, n. 439).
In ragione della natura eccezionale (del rilascio) della
concessione edilizia in deroga i relativi presupposti (in
particolare proprio la ricorrenza di un interesse pubblico
preminente) devono essere accertati in modo puntuale e
rigoroso, così come le norme che la ammettono devono essere
interpretate in senso restrittivo (pena lo stravolgimento
della sua stessa ratio), come del resto ha sottolineato la
giurisprudenza (C.d.S., sez. V, 11.01.2006, n. 46),
evidenziando che la concessione in deroga costituisce un
provvedimento eccezionale ed a contenuto singolare, assunto
cioè per soddisfare specifici interessi pubblici sulla base
di valutazioni contingenti e dotate di eccezionalità che
giustificano nella situazione concreta l’inosservanza delle
disposizioni contenute negli atti di programmazione.
E’ stato anche precisato che per edificio di interesse
pubblico, ai fini del rilascio della concessione in droga
(nel caso di specie ex art. 16 della legge 06.08.1967, n.
765) deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo per
caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale a
soddisfare interessi di rilevanza pubblica (C.d.S., sez. IV,
23.05.1988, n. 434).
Applicando tali condivisibili e consolidati principi
al caso in esame, non sussistevano i presupposti per il
rilascio del titolo edilizio in deroga per la realizzazione
dell’immobile in questione, non essendo del resto stata
fornita dall’amministrazione una adeguata e convincente
valutazione (dell’esistenza) dell’interesse pubblico
preminente.
Se è pur vero, infatti, che il titolo è stato richiesto per
la realizzazione di un manufatto destinato ad accogliere lo
studio del ricorrente, esercente l’attività di medico di
base del Servizio Sanitario Nazionale (in relazione al quale
potrebbe essere non implausibile la sussistenza di un
interesse pubblico all’assistenza nei confronti dei
pazienti), è d’altra parte indubitabile che il vulnus alla
disciplina urbanistico–edilizia inflitto con la
concessione in deroga non risulta giustificato dalla
duratura destinazione (a servizio sanitario) dell’immobile:
quest’ultimo, infatti, non solo è (e resta privato) e nella
esclusiva disponibilità dell’interessato anche quanto
all’uso, non essendo stato apposto alcun vincolo ragionevole
durata o di destinazione (di interesse pubblico), ma altresì
nulla impedisce che, anche prima della naturale conclusione
dell’attività professionale del proprietario, l’immobile
possa essere ceduto a terzi e/o concretamente utilizzato per
un’attività ovvero per una finalità esclusivamente privata.
Al riguardo si rammenta la distinzione (Cass. Civ., sez. II,
19.03.2010, n. 6719) tra l’ambulatorio, che identifica
una struttura aziendale, aperta, spersonalizzata ed
organizzata imprenditorialmente in vista dell’affluenza di
un pubblico indeterminato, in cui prevale l’aspetto
organizzativo su quello professionale, e lo studio medico,
connotato dal prevalente apporto professionale mediante
esercizio professionale dell’attività sanitaria: solo nei
confronti del primo (ambulatorio) è astrattamente
ipotizzabile la ricorrenza del presupposto dell’interesse
pubblico preminente idoneo a giustificare il rilascio della
concessione edilizia in deroga
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.12.2013 n. 6136
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Si ampliano le prospettive di applicazione del
Permesso di Costruire in deroga allo strumento urbanistico:
nuove opportunità per l’edilizia privata?
Il Permesso di Costruire in deroga va rilasciato anche al
privato se sono soddisfatte certe condizioni.
E’ quanto precisato dal
TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 28.11.2013 n. 1287, chiarendo alcuni aspetti relativi al rilascio del
Permesso di Costruire in deroga per gli edifici privati,
istituto introdotto dal Decreto Sviluppo (D.L. 70/2011,
convertito in Legge 106/2011).
Infatti, al fine di rilanciare l’attività edilizia e
riqualificare le aree urbane degradate, il Decreto Sviluppo
ha stabilito anche per gli edifici privati uno speciale
procedimento in deroga alle vigenti norme urbanistiche,
anche relativamente alla modifica delle destinazioni d’uso,
da attuarsi secondo le previsioni dell’art. 14 del D.P.R.
380/2001.
Il Tribunale amministrativo chiarisce che può essere
rilasciato un Permesso di Costruire in deroga per edifici
privati quando esista un bilanciamento tra interessi
pubblici e la convenienza del privato a riqualificare.
In particolare, si è pronunciato sul ricorso contro una
delibera comunale, con cui era stato rilasciato il Permesso
di Costruire, in deroga alle disposizioni urbanistiche, per
la razionalizzazione di un fabbricato a uso terziario di
quattordici piani rimasto incompiuto e abbandonato.
L’autorizzazione prevedeva anche il cambio di destinazione
d’uso da terziario a residenziale, a condizione che parte
dell’edificio fosse destinato all’edilizia convenzionata.
I Giudici hanno confermato la legittimità del Permesso di
Costruire in deroga in quanto compatibile con il rilancio
dell’edilizia in modo e con gli obiettivi di
razionalizzazione e riqualificazione delle aree degradate.
Alla luce di questa Sentenza (e altre richiamate anche nella
stessa), si potrebbero aprire nuove prospettive per il
rilancio per l’edilizia privata, con l’opportunità di
proporre alle Amministrazioni comunali nuove costruzioni o
variazioni di destinazioni d’uso per edifici già esistenti
in deroga agli strumenti urbanistici, garantendo l’interesse
pubblico, come ad esempio alloggi in edilizia convenzionata,
impianti sportivi o più in generale interessi urbanistici,
edilizi, paesistici e ambientali (TAR Calabria, Catanzaro,
sez. II, n. 375 del 2011) (commento tratto da www.acca.it).
---------------
Sullo speciale procedimento in deroga
alle vigenti norme urbanistiche, anche in
punto di modifica delle destinazioni d’uso,
da attuarsi secondo le previsioni dell’art.
14 del d.P.R. n. 380 del 2001, di cui
all’art. 5, commi 9 ss., del decreto-legge
n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106
del 2011.
Si deve nel merito
correttamente inquadrare la disposizione di
legge in base alla quale è stata approvata
la “deroga” in favore dell’immobile de quo.
Si tratta, come detto, dell’art. 5, commi 9
ss., del decreto-legge n. 70 del 2011,
convertito in legge n. 106 del 2011,
mediante il quale il legislatore d’urgenza,
al fine di rilanciare l’attività edilizia in
modo compatibile con gli obiettivi di
razionalizzazione del patrimonio edilizio
già esistente e di riqualificazione delle
aree urbane degradate, ha stabilito uno
speciale procedimento in deroga alle vigenti
norme urbanistiche, anche in punto di
modifica delle destinazioni d’uso, da
attuarsi secondo le previsioni dell’art. 14
del d.P.R. n. 380 del 2001.
Come è noto, quest’ultima disposizione, al
comma 1, così stabilisce: “Il permesso di
costruire in deroga agli strumenti
urbanistici generali è rilasciato
esclusivamente per edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico, previa
deliberazione del consiglio comunale, nel
rispetto comunque delle disposizioni
contenute nel decreto legislativo
29.10.1999, n. 490, e delle altre normative
di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia”. Essa è richiamata,
in particolare, dall’art. 5, comma 11, del
decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in
legge n. 106 del 2011.
Il richiamo all’art. 14 del testo unico
sull’edilizia veicola, anche per questo
speciale procedimento introdotto nel 2011,
le caratteristiche generali dell’istituto
del “permesso di costruire in deroga”, quali
già ricostruite dalla giurisprudenza, che
siano compatibili con la nuova disciplina.
Si deve trattare, pertanto, di un intervento
edilizio circoscritto e predeterminato, che
lasci inalterato l’assetto urbanistico del
resto della zona in cui lo stesso è
ricompreso ed avente natura discrezionale,
in quanto emanato all’esito di una
comparazione dell’interesse alla
realizzazione (o al mantenimento dell’opera)
con ulteriori interessi pubblici, come
quelli urbanistici, edilizi, paesistici e
ambientali.
La rilevanza dell’interesse pubblico nella
complessiva operazione è, pertanto, un
elemento essenziale dell’istituto coniato
nel 2011, il quale qualifica la deroga pur
consentita alle disposizioni urbanistiche
vigenti sulla base di una scelta politica di
opportunità (nonché di compatibilità con
l’esistente) che è dalla legge rimessa al
Consiglio comunale.
E’ evidente, peraltro, che tale interesse
pubblico deve risultare comunque bilanciato
con quello privato alla realizzazione o al
mantenimento dell’opera, trattandosi pur
sempre di un intervento che –a differenza
dell’istituto di cui all’art. 14 d.P.R. n.
380 del 2001– va ad interessare un edificio
privato (e non pubblico o di pubblico
interesse, come richiesto dalla norma
richiamata).
In ciò sta pertanto la differenza tra il
nuovo procedimento in deroga introdotto dal
legislatore d’urgenza del 2011 e quello già
conosciuto ex art. 14 d.P.R. n. 380 del
2001: la natura privata, e non pubblica,
dell’edificio oggetto dell’intervento, tale
pertanto da richiedere una conformazione, in
termini di proporzionalità, del sacrificio
imposto al privato proprietario a fronte
della concessione della “deroga”.
... per l'annullamento della Deliberazione del Consiglio
Comunale n. 1 del 17.01.2013 avente per oggetto:
"PRATICA EDILIZIA N. 278/2012 DEL 22.05.2012 PROT. N.
21607/2012. PERMESSO DI COSTRUIRE IN DEROGA AI SENSI
DELL'ART. 14 D.P.R. N. 380/2001 E S.M.I. E LEGGE N. 106/2011
E S.M.I. PER CAMBIO DESTINAZIONE D'USO DI FABBRICATO
TERZIARIO A RESIDENZA E TERZIARIO SITO IN VIA ANTONELLI N.
12 - PROPRIETA' SOCIETA' METROPOLIS S.R.L. - APPROVAZIONE
DEROGA";
...
Il Consiglio comunale di Collegno (TO), nell’adunanza del 17.01.2013, ha approvato una delibera (la n. 1/2013) con la quale
è stata approvata una “deroga” –rispetto alle vigenti
disposizioni urbanistiche di cui al Piano Regolatore
Comunale– in favore di un esistente fabbricato, composto da
14 piani fuori terra ed autorimesse interrate, ubicato in
via Antonelli n. 12, di proprietà della società Metropolis
s.r.l..
Si tratta di un edificio già autorizzato a
destinazione terziaria, la cui costruzione fu iniziata nel
quadro di un Piano Esecutivo Convenzionato del 1993, ma poi
rimasto incompiuto ed abbandonato. La delibera comunale è
stata adottata ai sensi dell’art. 5, commi 9 ss., del
decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del
2011, ossia al fine di recuperare l’edificio per ragioni di
“razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” e per
consentire il successivo “rilascio del permesso di costruire
in deroga ai sensi dell’art. 14 D.P.R. 380/2001”, con cambio
di destinazione d’uso da terziario in terziario-residenziale.
Al contempo è stata però stabilita la condizione che la
proprietà destini ad edilizia convenzionata una quota del
50% degli alloggi da realizzare.
Siffatto provvedimento è impugnato dinnanzi a questo TAR
dalla società Centro Servizi Sistemi d’Impresa s.r.l. che ne
domanda l’annullamento previa sospensione cautelare. La
ricorrente riferisce di essere proprietaria di un immobile
“contiguo”, ragion per la quale essa sarebbe “legittimata a
proporre il presente ricorso”. In diritto il gravame è
affidato ad una pluralità di censure, riconducibili ora alla
violazione di legge (in particolare, dell’art. 5, commi 9
ss., del citato decreto-legge n. 70 del 2011, e delle norme
tecniche di attuazione del PRG comunale), ora all’eccesso di
potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
...
Il ricorso non è fondato.
Prescindendosi dall’esame della preliminare eccezione di
difetto di interesse –rispetto alla quale, peraltro, va
osservato che la ricorrente, pur qualificandosi proprietaria
di un immobile “contiguo”, non ha però indicato il
pregiudizio concretamente subito per effetto dell’impugnata
delibera, così lasciando nell’ombra il pregiudiziale profilo
della propria legittimazione ad agir– si deve nel merito
correttamente inquadrare la disposizione di legge in base
alla quale è stata approvata la “deroga” in favore
dell’immobile de quo.
Si tratta, come detto, dell’art. 5, commi 9 ss., del
decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del
2011, mediante il quale il legislatore d’urgenza, al fine di
rilanciare l’attività edilizia in modo compatibile con gli
obiettivi di razionalizzazione del patrimonio edilizio già
esistente e di riqualificazione delle aree urbane degradate,
ha stabilito uno speciale procedimento in deroga alle
vigenti norme urbanistiche, anche in punto di modifica delle
destinazioni d’uso, da attuarsi secondo le previsioni
dell’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Come è noto,
quest’ultima disposizione, al comma 1, così stabilisce: “Il
permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici
generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del
consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni
contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, e
delle altre normative di settore aventi incidenza sulla
disciplina dell'attività edilizia”. Essa è richiamata, in
particolare, dall’art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70
del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011.
Il richiamo
all’art. 14 del testo unico sull’edilizia veicola, anche per
questo speciale procedimento introdotto nel 2011, le
caratteristiche generali dell’istituto del “permesso di
costruire in deroga”, quali già ricostruite dalla
giurisprudenza, che siano compatibili con la nuova
disciplina.
Si deve trattare, pertanto, di un intervento
edilizio circoscritto e predeterminato, che lasci inalterato
l’assetto urbanistico del resto della zona in cui lo stesso
è ricompreso (così, con riferimento all’istituto ex art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001, TAR Campania, Salerno, sez. II, n.
1803 del 2011) ed avente natura discrezionale, in quanto
emanato all’esito di una comparazione dell’interesse alla
realizzazione (o al mantenimento dell’opera) con ulteriori
interessi pubblici, come quelli urbanistici, edilizi,
paesistici e ambientali (così, sempre sul permesso di
costruire in deroga, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, n.
375 del 2011).
La rilevanza dell’interesse pubblico nella
complessiva operazione è, pertanto, un elemento essenziale
dell’istituto coniato nel 2011, il quale qualifica la deroga
pur consentita alle disposizioni urbanistiche vigenti sulla
base di una scelta politica di opportunità (nonché di
compatibilità con l’esistente) che è dalla legge rimessa al
Consiglio comunale.
E’ evidente, peraltro, che tale
interesse pubblico deve risultare comunque bilanciato con
quello privato alla realizzazione o al mantenimento
dell’opera, trattandosi pur sempre di un intervento che –a
differenza dell’istituto di cui all’art. 14 d.P.R. n. 380
del 2001– va ad interessare un edificio privato (e non
pubblico o di pubblico interesse, come richiesto dalla norma
richiamata).
In ciò sta pertanto la differenza tra il nuovo
procedimento in deroga introdotto dal legislatore d’urgenza
del 2011 e quello già conosciuto ex art. 14 d.P.R. n. 380
del 2001: la natura privata, e non pubblica, dell’edificio
oggetto dell’intervento, tale pertanto da richiedere una
conformazione, in termini di proporzionalità, del sacrificio
imposto al privato proprietario a fronte della concessione
della “deroga” (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 28.11.2013 n. 1287 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici generali, nel rispetto delle norme igieniche,
sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i
limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i
fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti
urbanistici generali ed esecutivi.
Esso è rilasciato esclusivamente per edifici e impianti
pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del
Consiglio comunale (cfr. art. 14, comma 1, del DPR
06.06.2001, n. 380; in precedenza, l’art. 41-quater della
legge urbanistica).
Se la deliberazione preliminare del Consiglio comunale
costituisce un elemento necessario del procedimento
amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego
della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua
assenza vizia il procedimento stesso, d’altro canto, la
giurisprudenza amministrativa, da sempre (quantomeno a
partire dal 1984), reputa che l’atto terminale del
procedimento è costituito dal permesso di costruire in
deroga, mentre la previa deliberazione del Consiglio
comunale (salvo il caso di determinazione negativa) si
configura come atto interno del procedimento, non
immediatamente lesivo, impugnabile assieme agli atti di
uguale natura confluiti nel procedimento stesso, solo
congiuntamente all’atto finale, una volta emanato.
Ciò premesso, quello che conta maggiormente sottolineare è
che la delibera consiliare è deputata soltanto a dettare gli
indirizzi al soddisfacimento dei quali viene subordinato il
rilascio della concessione in deroga; per contro, sono
demandate agli uffici competenti, le verifiche e gli
accertamenti volti a verificare la fattibilità del progetto
che l’istante presenta al momento della richiesta del titolo
edilizio.
In punto di diritto, il permesso di
costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali
(deroga che, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e
di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di
densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati
di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici
generali ed esecutivi) è rilasciato esclusivamente per
edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico, previa
deliberazione del Consiglio comunale (cfr. art. 14, comma 1,
del DPR 06.06.2001, n. 380; in precedenza, l’art. 41-quater
della legge urbanistica).
Se la deliberazione preliminare
del Consiglio comunale costituisce un elemento necessario
del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel
rilascio o diniego della concessione in deroga, con la
conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso,
d’altro canto, la giurisprudenza amministrativa, da sempre
(quantomeno a partire da Consiglio Stato, sez. V, 06.06.1984, n. 433), reputa che l’atto terminale del procedimento
è costituito dal permesso di costruire in deroga, mentre la
previa deliberazione del Consiglio comunale (salvo il caso
di determinazione negativa) si configura come atto interno
del procedimento, non immediatamente lesivo, impugnabile
assieme agli atti di uguale natura confluiti nel
procedimento stesso, solo congiuntamente all’atto finale,
una volta emanato (così TAR Milano, Sez. II, 09.04.1998, n. 728; più recentemente, TAR Sardegna sez. II,
04.06.2012, n. 556).
Ciò premesso, quello che conta maggiormente sottolineare è
che la delibera consiliare è deputata soltanto a dettare gli
indirizzi al soddisfacimento dei quali viene subordinato il
rilascio della concessione in deroga; per contro, sono
demandate agli uffici competenti, le verifiche e gli
accertamenti volti a verificare la fattibilità del progetto
che l’istante presenta al momento della richiesta del titolo
edilizio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
15.10.2013 n. 2305 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Oggetto: Comune di Monleale (AL) - Richiesta di parere in
merito all'applicazione della Legge 12.07.2011 n. 106
"Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto-Legge
13.05.2011 n. 70 Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l'economia" - Articolo 5, commi 9-14.
INTEGRAZIONI (Regione Piemonte,
parere 04.06.2013 n. 16257 di prot.). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Le strutture alberghiere
in generale devono essere annoverate tra gli "edifici ed
impianti … di interesse pubblico" e, quindi, essere
ricomprese nell'ambito di applicazione dell'art. 14 del DPR
06.06.2001 n. 380 (permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici generali) "trattandosi di un servizio
offerto alla collettività, caratterizzato da una pubblica
fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in
deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in
vigore".
Nel caso in cui il territorio interessato possieda una
spiccata vocazione turistica, la riconduzione all'interesse
pubblico dell'edificio alberghiero non concerne affatto
un'interpretazione estensiva perché le strutture alberghiere
offrono un servizio alla collettività che è caratterizzato
da una pubblica fruibilità e che soddisfa un'importante e
rilevante esigenza della collettività.
In linea generale si deve ricordare che l'art. 14 del DPR 06.06.2001
n. 380 prevede testualmente che "Il permesso di costruire in
deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato
esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di
interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio
comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute
nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, e delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia".
Al riguardo la Sezione ha da tempo affrontato, e risolto, la
più generale questione dell'applicazione della predetta
deroga, affermando in particolare che le strutture
alberghiere in generale devono essere annoverate tra gli
"edifici ed impianti … di interesse pubblico" e quindi
essere ricomprese nell'ambito di applicazione dell'anzidetta
previsione "trattandosi di un servizio offerto alla
collettività, caratterizzato da una pubblica fruibilità, con
la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore" (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 29.10.2002 n. 5913; Consiglio
Stato, sez. IV, 28.10.1999, n. 1641).
Nel caso in cui il territorio interessato possieda una
spiccata vocazione turistica, la riconduzione all'interesse
pubblico dell'edificio alberghiero non concerne affatto
un'interpretazione estensiva perché le strutture alberghiere
offrono un servizio alla collettività che è caratterizzato
da una pubblica fruibilità e che soddisfa un'importante e
rilevante esigenza della collettività.
In definitiva del tutto legittimamente l’Amministrazione
Comunale ha ritenuto possibile inserire le strutture
alberghiere, tra gli edifici ed impianti pubblici di
interesse pubblico che danno titolo alla possibilità di
rilasciare il permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici generali ex art. 14 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.11.2012 n. 5904 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Secondo
l’art. 14, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, dell’avvio del
procedimento finalizzato al rilascio del permesso di
costruire in deroga “viene data comunicazione agli
interessati ai sensi dell’articolo 7 della legge 07.08.1990,
n. 241” e che, secondo l’art. 7, comma 1, secondo periodo,
della legge n. 241/1990, “qualora da un provvedimento possa
derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente
individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari,
l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse
modalità, notizia dell'inizio del procedimento”.
Invero, il proprietario di immobile confinante con quello
oggetto della richiesta di permesso di costruire non può
essere considerato soggetto direttamente interessato al
provvedimento, con la conseguenza che non sussiste alcun
obbligo per l’Amministrazione di dargli comunicazione
dell’avvio del procedimento preordinato al rilascio del
permesso di costruire, fermo restando che ciò non comporta
alcuna lesione delle sue facoltà procedimentali, comunque
salvaguardate dalla possibilità di intervento volontario nel
procedimento di rilascio del titolo edilizio ai sensi
dell’art. 9, della legge n. 241/1990.
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La giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente
interpretato l’espressione “edifici ed impianti di interesse
pubblico” di cui all’art. 14, comma 1, del d.P.R. n.
380/2001 (che recepisce la disposizione dell’art. 41-quater
della legge n. 1150/1942) in senso restrittivo, facendovi
rientrare soltanto quelli corrispondenti a compiti assunti
direttamente dalla pubblica Amministrazione.
Tuttavia attualmente la prevalente giurisprudenza ritiene
applicabile la predetta disposizione anche agli edifici ed
impianti nei quali sia comunque offerto un servizio alla
collettività.
Pertanto anche un impianto sportivo come quello di cui
trattasi rientra tra le opera di interesse pubblico per cui
può essere rilasciato il permesso di costruire in deroga.
Innanzitutto i
ricorrenti deducono la violazione del secondo comma
dell’art. 14 del d.P.R. n. 380/2001, nonché dell’art. 1 del
Regolamento comunale n. 57 del 02.03.2006, lamentando che
l’Amministrazione non ha comunicato l’avvio del procedimento
finalizzato al rilascio del permesso di costruire in deroga,
sicché i residenti del quartiere non hanno potuto esprimere
nelle sedi competenti le proprie osservazioni in merito alla
realizzazione dell’intervento.
A tal riguardo si deve rammentare che, secondo l’art. 14,
comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, dell’avvio del procedimento
finalizzato al rilascio del permesso di costruire in deroga
“viene data comunicazione agli interessati ai sensi
dell’articolo 7 della legge 07.08.1990, n. 241” e che,
secondo l’art. 7, comma 1, secondo periodo, della legge n.
241/1990, “qualora da un provvedimento possa derivare un
pregiudizio a soggetti individuati o facilmente
individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari,
l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse
modalità, notizia dell'inizio del procedimento”.
Ciò posto, nessuno dei ricorrenti ha motivo di lamentarsi
dell’omissione della comunicazione dell’avvio del
procedimento perché nessuno di essi era destinatario diretto
del provvedimento, né risultava preventivamente individuato
o, quantomeno, facilmente individuabile come soggetto
portatore di un interesse contrario al rilascio del permesso
di costruire.
Del resto, secondo una consolidata
giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 06.06.2012, n. 3343), il proprietario di immobile confinante con
quello oggetto della richiesta di permesso di costruire non
può essere considerato soggetto direttamente interessato al
provvedimento, con la conseguenza che non sussiste alcun
obbligo per l’Amministrazione di dargli comunicazione
dell’avvio del procedimento preordinato al rilascio del
permesso di costruire, fermo restando che ciò non comporta
alcuna lesione delle sue facoltà procedimentali, comunque
salvaguardate dalla possibilità di intervento volontario nel
procedimento di rilascio del titolo edilizio ai sensi
dell’art. 9, della legge n. 241/1990.
---------------
Da ultimo i ricorrenti contestano che l’impianto
sportivo in questione possa essere qualificato come un’opera
pubblica o come un’opera di interesse pubblico e, quindi
possa beneficiare delle deroghe previste dall’art. 14 del d.P.R. n. 380/2001.
A tal riguardo il Collegio osserva che, la giurisprudenza
amministrativa aveva inizialmente interpretato l’espressione
“edifici ed impianti di interesse pubblico” di cui all’art.
14, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (che recepisce la
disposizione dell’art. 41-quater della legge n. 1150/1942)
in senso restrittivo, facendovi rientrare soltanto quelli
corrispondenti a compiti assunti direttamente dalla pubblica
Amministrazione.
Tuttavia attualmente la prevalente
giurisprudenza (TAR Trentino Alto Adige-Trento, Sez. I,
18.06.2009, n. 194; TAR Sardegna Cagliari, Sez. II,
22.07.2009, n. 1375) ritiene applicabile la predetta
disposizione anche agli edifici ed impianti nei quali sia
comunque offerto un servizio alla collettività.
Pertanto
anche un impianto sportivo come quello di cui trattasi
rientra tra le opera di interesse pubblico per cui può
essere rilasciato il permesso di costruire in deroga
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 05.11.2012 n. 9023 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio di concessione edilizia in deroga
ex art. 41 della legge n. 1150/1942 può
giustificarsi soltanto in vista della
soddisfazione di esigenze straordinarie
rispetto agli interessi primari tutelati
dalla disciplina urbanistica generale.
In alcune, risalenti, decisioni della
giurisprudenza si è delineato un improprio
allargamento del campo di applicazione di
siffatta disciplina, estesa fino al punto di
comprendere i tralicci per gli impianti
televisivi o, ancora, gli edifici destinati
all’ampliamento di una sede consolare di uno
Stato estero e, perfino, un impianto per il
tiro a volo.
Nel caso controverso, la realizzazione di
uno dei tanti impianti di telefonia,
nell’ambito della diffusa rete distribuita
sul territorio, non può rivestire importanza
tale da giustificare l’eccezionalità della
valutazione prevista dalla disposizione
censurata.
Legittimo
è il denegato rilascio di concessione in
deroga ex art. 41 della legge n. 1150/1942,
atteso che l’esercizio del relativo potere
può giustificarsi soltanto in vista della
soddisfazione di esigenze straordinarie
rispetto agli interessi primari tutelati
dalla disciplina urbanistica generale.
Il Collegio, sul punto, rileva che in
alcune, risalenti, decisioni della
giurisprudenza si è delineato un improprio
allargamento del campo di applicazione di
siffatta disciplina, estesa fino al punto di
comprendere i tralicci per gli impianti
televisivi (cfr., TAR Puglia–Bari,
09.02.1996, n. 29) o, ancora, gli edifici
destinati all’ampliamento di una sede
consolare di uno Stato estero (cfr., Cons.
St., sez. IV, 23.05.1988, n. 434) e, perfino,
un impianto per il tiro a volo (cfr., TAR
Calabria–Catanzaro, 10.01.1995, n. 3).
Nel caso controverso, la realizzazione di
uno dei tanti impianti di telefonia,
nell’ambito della diffusa rete distribuita
sul territorio, non può rivestire importanza
tale da giustificare l’eccezionalità della
valutazione prevista dalla disposizione
censurata
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.06.2012 n. 1660 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA: Per
variante allo strumento urbanistico
deve intendersi la modifica generale ed
astratta della destinazione urbanistica
ovvero delle prescrizioni, dei parametri o
degli standard, relativa ad un’intera zona
territoriale;
Per deroga allo strumento urbanistico
deve invece intendersi un mutamento limitato
ad un intervento edilizio circoscritto e
predeterminato, che lasci inalterato
l’assetto urbanistico del resto della zona
in cui lo stesso è ricompreso, da realizzare
nel più ristretto alveo delle possibilità
concesse dall’art. 14 D.P.R. 06.06.2001 n.
380.
I due sostantivi (variante e
deroga), che non a caso il legislazione
regionale utilizza in forma alternativa nei
vari commi di cui si compone l’art. 7, non
sono assimilabili tra loro: per variante
allo strumento urbanistico deve infatti
intendersi la modifica generale ed astratta
della destinazione urbanistica ovvero delle
prescrizioni, dei parametri o degli
standard, relativa ad un’intera zona
territoriale; per deroga allo
strumento urbanistico deve invece intendersi
un mutamento limitato ad un intervento
edilizio circoscritto e predeterminato, che
lasci inalterato l’assetto urbanistico del
resto della zona in cui lo stesso è
ricompreso, da realizzare nel più ristretto
alveo delle possibilità concesse dall’art.
14 D.P.R. 06.06.2001 n. 380
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, Sez. II,
sentenza 09.11.2011 n. 1803 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
Sempre necessario il passaggio in
consiglio.
Secondo il calendario fissato dal Dl sviluppo, dopo il 12
luglio –cioè 60 giorni dopo l'entrata in vigore del Dl
70/2011– e in attesa delle discipline regionali, il permesso
di costruire in deroga è lo strumento per riqualificare le
aree dismesse.
È bene anzitutto ricordare che l'articolo 14 del Dpr
380/2001 (permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici) è rilasciato esclusivamente per edifici e
impianti pubblici o di interesse pubblico, previa
deliberazione del consiglio comunale. Inoltre, la deroga,
nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di
sicurezza, può riguardare solo i limiti di densità edilizia,
di altezza e di distanza tra i fabbricati dettati dalle
norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed
esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle
disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del Dm 1444/1968,
in tema di standard minimi per servizi, densità edilizie
massime e distanze inderogabili.
Molto opportunamente, dunque, il decreto sviluppo ritiene da
un lato che la riqualificazione delle aree urbane
costituisca una finalità di interesse pubblico (diversamente
l'istituto della deroga non sarebbe utilizzabile), mentre,
dall'altro, estende il campo d'azione della deroga anche al
mutamento di destinazione d'uso. Sotto quest'ultimo profilo,
il principale ostacolo al recupero delle aree dismesse è
proprio rappresentato dalla perdurante destinazione
produttiva ad esse sovente riconosciuta dal piano
regolatore, che inibisce l'insediamento di altre funzioni
urbane (come il commercio, la residenza e gli uffici) aventi
valore sufficiente a sostenere i costi di bonifica e di
trasformazione.
Purtroppo però il procedimento della deroga edilizia non è
particolarmente spedito, richiedendo pur sempre una apposita
delibera del consiglio comunale.
Non è quindi sufficiente la firma del dirigente sul permesso
di costruire né, tanto meno, la presentazione di una
Superdia (nei casi residuali in cui il titolo esiste ancora)
o di una Scia.
Neppure è possibile che il permesso di costruire possa
formarsi per silenzio-assenso secondo le previsioni del Dl
70/2011, valide solo per i progetti conformi (dunque non in
deroga) alla disciplina urbanistica ed edilizia applicabile.
Il procedimento in deroga resta comunque assai più veloce di
quello della variante urbanistica, che impone due delibere
consiliari e, in molte Regioni, la ratifica della provincia
o della giunta regionale.
Un'ultima notazione. Il decreto precisa che il cambio d'uso
possa avvenire solo verso destinazioni «compatibili o
complementari». La norma parrebbe intendere
semplicemente che le nuove destinazioni debbano essere
coerenti con il contesto urbano in cui si dovranno inserire,
secondo una valutazione discrezionale delegata al consiglio
comunale (ovviamente sulla scorta delle indicazioni
progettuali e dell'istruttoria degli uffici) (articolo Il
Sole 24 Ore del 13.06.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in deroga
agli strumenti urbanistici.
Il permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici è istituto di
carattere eccezionale giustificato dalla
necessità di soddisfare esigenze
straordinarie rispetto agli interessi
primari garantiti dalla disciplina
urbanistica generale e, in quanto tale,
applicabile esclusivamente entro i limiti
tassativamente previsti dall’articolo 14
D.P.R. 380/2001 e mediante la specifica
procedura.
Tale sua particolare natura porta ad
escludere che possa essere rilasciato “in
sanatoria” dopo l’esecuzione delle opere.
---------------
Il ricorso è fondato.
Non può farsi a meno di osservare, preliminarmente, come
tanto il contenuto del provvedimento impugnato quanto quello
del ricorso siano connotati da lacune e contraddizioni che
rendono particolarmente ardua una adeguata ricostruzione
della vicenda processuale. Da quanto emerge dagli atti e per
quello che rileva in questa sede di legittimità, gli
elementi di fatto essenziali possono essere così
sintetizzati e riassunti:
- l'intervento edilizio riguarda la realizzazione di un "Centro
Museale delle Comunicazioni" con annesso laboratorio
multimediale e "centro di spiritualità francescana",
fabbricato adibito a foresteria, "club house", strade
interne di collegamento, vasche per la raccolta dell'acqua
ed un ulteriore edificio di forma irregolare;
- la destinazione urbanistica dell'area è agricola ("Zona
E");
- le opere sono state autorizzate con permesso di costruire
in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi del D.P.R. n.
380 del 2001, art. 14, (n. 6/2004 rilasciato in data 22
novembre 2004 e decaduto a far data dal terzo anno
dall'inizio dei lavori - 3 dicembre 2004 - che non
risultavano ultimati alla data dell'accertamento);
- le opere realizzate sono state realizzate in totale
difformità dal permesso rilasciato;
- con permesso di costruire n. 1/2010, rilasciato
dall'amministrazione comunale competente, le opere sono
state sanate. Non è dato comprendere, invece, se l'area
interessata dai lavori sia o meno soggetta a vincolo
paesaggistico.
La contestazione riguarda, infatti, il D.P.R. n. 380 del
2001, art. 44, lett. b), ed il riferimento a tale ipotesi,
unitamente alla mancanza di riferimenti al D.Lgs. n. 42 del
2004, art. 181, induce a ritenere che l'area non sia
interessata da vincoli paesaggistici. Il Tribunale afferma
tuttavia, in premessa, che le opere sarebbero state
realizzate "senza la prescritta autorizzazione
dell'autorità competente D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 146",
ma richiama poi, a pagina 2, un'attestazione
dell'amministrazione comunale circa la "mancanza di
vincoli ambientali, paesistici, archeologici e di servitù
militari".
Ciò posto, occorre ricordare che l'art. 325 c.p.p., consente
il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a
norma dell'art. 322-bis c.p.p., solamente per violazione di
legge.
Sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa
Corte le quali, richiamando la giurisprudenza costante,
hanno ricordato che "...il difetto di motivazione integra
gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato
argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o
manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di
coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da
apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile
l'itinerario logico seguito dall'organo investito del
procedimento" (SS. UU. n. 25932, 26.06.2008. Conf. Sez.
5^ n. 43068, 11.09.2009).
Date tali premesse, occorre rilevare che il provvedimento
impugnato, pur con le lacune in precedenza evidenziate, non
presenta comunque vizi così radicali quali quelli indicati
dalla decisione in precedenza richiamata. Esso si fonda,
tuttavia, su una errata lettura delle disposizioni applicate
e, segnatamente, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, che
disciplina il rilascio del permesso di costruire in deroga
agli strumenti urbanistici generali già previsto, peraltro,
dalla precedente normativa.
Si tratta di un istituto di natura
eccezionale, in quanto la disciplina generale (D.P.R. n. 380
del 2001, art. 12, comma 1) stabilisce che il permesso di
costruire sia rilasciato "in conformità alle previsioni
degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente" e l'esercizio
della deroga viene quindi ad incidere sull'uniforme
applicazione della disciplina urbanistica nella zona dove si
prevede l'intervento.
La particolarità dell'istituto, la sua natura
sostanzialmente discrezionale e le possibili conseguenze che
il suo utilizzo può determinare sul programmato assetto del
territorio hanno indotto il legislatore a prevederne
l'applicazione solo in casi eccezionali, delimitandone in
modo puntuale l'ambito di operatività allo scopo evidente di
evitare che un uso poco accorto dell'istituto (in realtà
spesso verificatosi) si risolvesse, nella pratica, in un
surrettizio aggiramento della pianificazione.
I presupposti ed i limiti fissati dalla norma attualmente in
vigore sono i seguenti:
- il rilascio è previsto esclusivamente per edifici ed
impianti pubblici o di interesse pubblico;
- il permesso in deroga non può essere rilasciato in
violazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs.
29.10.1999, n. 490 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004) che devono
essere comunque rispettate;
- il permesso in deroga deve comunque rispettare le altre
normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia (ad esempio, la disciplina
antisismica);
- la deroga può riguardare esclusivamente i limiti di
densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati
di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici
generali ed esecutivi ma devono essere rispettate le norme
igieniche, sanitarie e di sicurezza restando comunque fermo,
in ogni caso, il rispetto delle disposizioni di cui al D.I.
02.04.1968, n. 1444, artt. 7, 8 e 9, che fissano,
rispettivamente, i limiti inderogabili di densità edilizia,
le altezze massime degli edifici e le distanze minime tra
fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee;
- il procedimento applicativo prevede una specifica e
preventiva deliberazione del consiglio comunale e la
comunicazione ai soggetti interessati ai sensi della L.
07.08.1990, n. 241, art. 7. L'indicazione dei limiti posti
alla deroga è stata oggetto di attenta analisi anche da
parte della dottrina che è giunta a condivisibili
conclusioni.
In particolare, si è osservato che
l'utilizzo dell'espressione "in ogni caso" implica
che le richiamate disposizioni del D.I. n. 1444 del 1968,
vanno osservate indipendentemente dal loro recepimento da
parte degli strumenti urbanistici.
Si è poi rilevato che la deroga non può
incidere sulle scelte di tipo urbanistico, potendo operare
solo nel caso in cui l'area sia edificabile secondo le
previsioni di piano, con la conseguenza che non può
ritenersi ammissibile il rilascio di permessi in deroga, ad
esempio, per aree a destinazione agricola o a verde pubblico
o privato mancando in tal caso il presupposto
dell'edificabilità dell'area necessario non per il rilascio
in deroga del permesso i costruire ma per il permesso
stesso.
Analogamente, si è escluso che la deroga
possa riguardare aumenti di volumetria rispetto a quelli
oggetto di pianificazione potendo consentire soltanto, a
parità di volume edificabile, che l'intervento si
concretizzi, ad esempio, con altezza, superficie coperta,
destinazione diverse da quelle previste dal PRG. Anche la
giurisprudenza amministrativa pare orientata nel senso di
ritenere limitata l'operatività della deroga entro i limiti
precedentemente delineati
(Cons. Stato Sez. 5^ n. 46, 11.01.2006; Sez. 6^ n. 4568,
07.08.2003).
Ne consegue che, al di fuori dei limiti
indicati dalla disposizione in esame, viene a configurarsi
un'ipotesi di variante urbanistica la cui approvazione è
soggetta alla specifica disciplina. Resta da osservare come
l'istituto del permesso di costruire in deroga appaia
incompatibile con la disciplina prevista dal D.P.R. n. 380
del 2001, art. 36, per l'accertamento di conformità delle
opere edilizie realizzate in assenza di titolo abilitativo,
che la giurisprudenza di questa Corte indica come strumento
ordinario di recupero e sanatoria delle opere abusive,
caratterizzato da una verifica di conformità dell'intervento
alla disciplina urbanistica ed edilizia e da sbarramenti
amministrativi e temporali
(v., ad es., Sez. 3^ n. 6331, 08.02.2008).
In primo luogo, sembra ostarvi il tenore
letterale dell'art. 14 che disciplina il procedimento
amministrativo finalizzato al rilascio del permesso in
deroga prevedendo la previa deliberazione del consiglio
comunale e specifiche garanzie partecipative per i soggetti
interessati. Tale deliberazione consiliare deve dunque
precedere il rilascio del titolo e l'esecuzione
dell'intervento ed è finalizzata alla verifica dei
presupposti per l'esercizio del potere di deroga e la
considerazione dei contrapposti interessi dei soggetti che
potrebbero subire pregiudizio dal rilascio del titolo e un
simile iter procedimentale appare del tutto incompatibile
con una valutazione postuma di tali dati.
Il rilascio del titolo sanante ai sensi
dell'art. 36, è poi sottoposto ad uno specifico e diverso
procedimento e risulta, inoltre, assai arduo immaginare come
possa rinvenirsi il requisito della "doppia conformità"
delle opere sia al momento della realizzazione
dell'intervento senza titolo, sia al momento della
presentazione della domanda di sanatoria "alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente" (quest'ultima intesa,
come è noto in senso ampio, nel senso che in essa rientrano,
ad esempio, i regolamenti edilizi, il programma pluriennale
in corso di attuazione al momento del rilascio, le
prescrizioni fissate dall'art. 9 del TU per l'attività
edilizia in assenza di pianificazione urbanistica) con un
titolo abilitativo che ha come presupposto la deroga agli
strumenti urbanistici generali.
Deve quindi affermarsi il principio secondo il quale
il permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato
dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie
rispetto agli interessi primati garantiti dalla disciplina
urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile
esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dal
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, e mediante la specifica
procedura. Tale sua particolare natura porta ad escludere
che possa essere rilasciato "in sanatoria" dopo
l'esecuzione delle opere.
Date tali premesse deve rilevarsi che, nel caso di specie,
l'intervento edilizio risultava eseguito, per quel che è
dato ricavare dal contenuto del provvedimento impugnato e
del ricorso, sulla base di un permesso di costruire in
deroga rilasciato al di fuori dei casi previsti dalla legge.
La deroga riguardava, come osservato in ricorso, interventi
da eseguirsi in zona a destinazione agricola nella quale
mancava quindi il presupposto essenziale dell'edificabilità
ed erano comunque superati i limiti inderogabili di densità
edilizia di cui al D.L. n. 1444 del 1968, art. 7.
La mancanza di autorizzazione dell'ente preposto alla tutela
del vincolo, se effettivamente sussistente, stante le
indicate incongruenze rilevate nel testo del ricorso e
dell'ordinanza impugnata, avrebbe rappresentato, inoltre, un
ulteriore violazione dell'art. 14 più volte menzionato.
La violazione della disciplina antisismica e sul cemento
armato configura, inoltre, una violazione delle "altre
normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia" indicate dal D.P.R. n. 380 del
2001, art. 14.
Le opere, realizzate con permesso decaduto ed in totale
difformità dal titolo abilitativo per le ragioni in
precedenza esposte, non erano poi suscettibili di sanatoria
ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, la quale, al
contrario, risulta rilasciata con una procedura che in
ricorso si ritiene anche inficiata dalla falsità
dell'attestazione di conformità delle opere (la sanatoria
non avrebbe peraltro spiegato i suoi effetti verso il reato
paesaggistico, se sussistente, e quelli previsti dalla
disciplina antisismica e sulle opere in cemento armato).
Prescindendo quindi dai richiami alla ultimazione delle
opere (effettuati peraltro con riferimenti a giurisprudenza
di questa Corte riferita al diverso istituto del "condono
edilizio") la valutazione della efficacia del permesso
in sanatoria, alla luce degli elementi fattuali acquisiti,
doveva essere effettuata dal Tribunale tenendo in diversa
considerazione la disciplina dettata dal D.P.R. n. 380 del
2001, artt. 14 e 36
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16591 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici - Rilascio al di fuori dei casi previsti dalla
legge - Violazione - Normativa antisimica e vincoli
paesaggistici - Fattispecie - Artt. 14 e 44, lett. b),
D.P.R. n. 380/2001 - Art. 146 D.L.vo n. 42/2004 - Art. 7
D.M. n. 1444/1968.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato
dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie
rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina
urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile
esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti
dall'articolo 14 D.P.R. 380/2001 e mediante la specifica
procedura.
Tale sua particolare natura porta ad escludere che possa
essere rilasciato "in sanatoria" dopo l'esecuzione
delle opere.
Nella specie, l'intervento edilizio risultava eseguito sulla
base di un permesso di costruire in deroga rilasciato al di
fuori dei casi previsti dalla legge, mancanza di
autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo
paesaggistico e violazione della disciplina antisismica e
sul cemento armato.
PRG - Permesso di costruire - Rilascio
di permessi in deroga - Limiti - Variante urbanistica -
Specifica disciplina - Art. 14 D.P.R. n. 380/2001.
La deroga al permesso di costruire non può incidere sulle
scelte di tipo urbanistico, potendo operare solo nel caso in
cui l'area sia edificabile secondo le previsioni di piano,
con la conseguenza che non può ritenersi ammissibile il
rilascio di permessi in deroga, ad esempio, per aree a
destinazione agricola o a verde pubblico o privato mancando
in tal caso il presupposto dell'edificabilità dell'area
necessario non per il rilascio in deroga del permesso di
costruire ma per il permesso stesso.
Analogamente, si è escluso che la deroga possa riguardare
aumenti di volumetria rispetto a quelli oggetto di
pianificazione potendo consentire soltanto, a parità di
volume edificabile, che l'intervento si concretizzi, ad
esempio, con altezza, superficie coperta, destinazione
diverse da quelle previste dal PRG. (Cons. Stato Sez. V n.
46, 11.01.2006; Sez. VI n. 4568, 07.08.2003).
Ne consegue che, al di fuori dei limiti indicati dalla
disposizione contenuta nell’art. 14 D.P.R. n. 380/2001,
viene a configurarsi un'ipotesi di variante urbanistica la
cui approvazione è soggetta alla specifica disciplina.
Difetto di motivazione -
Configurabilità.
Il difetto di motivazione integra gli estremi della
violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che
dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o
risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di
completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire
assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario
logico seguito dall'organo investito del procedimento (Cass.
SS. UU. n. 25932, 26/06/2008, Conf. Cass. Sez. V n. 43068,
11/09/2009) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16591 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Gli immobili di interesse pubblico possono anche
essere di proprietà privata, purché la loro destinazione
assolva finalità di interesse pubblico (tra l'altro, è stato
affermato che anche le strutture alberghiere rientrano fra
gli impianti di interesse pubblico).
---------------
Il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del
d.p.r. n. 380/2001 non è un atto dovuto a fronte della
realizzazione di opere di interesse pubblico, ma costituisce
un provvedimento discrezionale, emanato all’esito di una
comparazione dell’interesse alla realizzazione (o al
mantenimento dell’opera) con ulteriori interessi, come
quelli urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali.
Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, gli immobili di
interesse pubblico possono anche essere di proprietà
privata, purché la loro destinazione assolva finalità di
interesse pubblico (cfr. Cons. St., IV, n. 7031/2005, in cui
si chiarisce che anche le strutture alberghiere rientrano
fra gli impianti di interesse pubblico).
Il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del
d.p.r. n. 380/2001 non è un atto dovuto a fronte della
realizzazione di opere di interesse pubblico, ma costituisce
un provvedimento discrezionale, emanato all’esito di una
comparazione dell’interesse alla realizzazione (o al
mantenimento dell’opera) con ulteriori interessi, come
quelli urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali (cfr.
Cons. St., n. 4568/2003) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 11.03.2011 n. 375 -
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EDILIZIA
PRIVATA:
Regione Emilia Romagna - Permesso di
costruire in deroga - Limiti - Art. 15 l.r. Emilia Romagna
n. 31/2002.
Il legislatore regionale, con l’art. 15 della l.r. Emilia
Romagna 25.11.2002 n. 31, ha introdotto limiti espressi alla
possibilità del rilascio di un permesso di costruire in
deroga.
Emerge in particolare come le deroghe al piano regolatore
comunale non possano essere di tale entità da elidere le
esigenze di ordine urbanistico sottese al piano e, in
particolare, non possano legittimare eccezioni alle
destinazioni di zona, sulle quali si fonda la struttura
concettuale stessa del piano regolatore generale nelle
scelte fondanti sull’uso del territorio. Appare quindi
corretto affermare che anche i permessi in deroga debbano
osservare tali principi e sono quindi legittimi nella misura
in cui si allineano alle destinazioni d’uso ammesse dal
piano regolatore all’interno delle singole zone (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 684 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Mentre
l’art. 36 dpr 380/2001 delinea un
procedimento dal vincolato esito accertativo
(o meno) della cd. doppia conformità, il
rilascio del permesso di costruire in deroga
esprime un procedimento contrassegnato da
una lata discrezionalità di cui è indice
significativo l’esigenza che intervenga
anche l’organo “politico” dell'ente locale,
al fine di coinvolgere non solo il livello
burocratico, ma anche quello elettivo nella
(impegnativa e gravosa) determinazione di
contraddire quanto stabilito in sede
pianificatoria.
La sottolineatura della ampia
discrezionalità della amministrazione,
unitamente al carattere derogatorio del
rilascio del permesso che “spezza”
l’uniformità giuridica delle norme di
pianificazione normativamente applicate,
dequota, quindi, sensibilmente l’onere
motivazionale della p.a., atteso che la
affermazione della non derogabilità
costituisce la regola, mentre l’onere
motivazionale, per converso, si accentua ove
l’amministrazione comunale (nel suo
complesso) voglia deliberatamente
contraddire le norme vigenti.
---------------
Proprio perché la deroga “esorbita
dall’ordinario regime dei titoli costruttivi
poiché spezza l’uniformità giuridica delle
regole normalmente applicate”, richiede un
procedimento ad hoc che il legislatore vuole
partecipato da tutti gli “interessati” (cfr.
art. 14, c. 2, DPR 380 cit.), in assenza del
quale, l’opera è senz’altro abusiva e
sottoposta, da subito, ai rigori demolitori,
tranne il limitato ambito della richiesta
verifica ex art. 36 DPR cit. in ordine alla
cd. “doppia conformità”: verifica vincolata
a fronte della lata discrezionalità –secondo
quanto sopra enunciato– caratterizzante la
deroga invocata.
Riservandosi in prosieguo di soffermarsi
sulla incompatibilità giuridica fra i due
istituti, è certo che mentre l’art. 36 dpr
380/2001 delinea un procedimento dal
vincolato esito accertativo (o meno) della
cd. doppia conformità, il rilascio del
permesso di costruire in deroga esprime un
procedimento contrassegnato da una lata
discrezionalità di cui è indice
significativo l’esigenza che intervenga
anche l’organo “politico” dell'ente
locale, al fine di coinvolgere non solo il
livello burocratico, ma anche quello
elettivo nella (impegnativa e gravosa)
determinazione di contraddire quanto
stabilito in sede pianificatoria.
La sottolineatura della ampia
discrezionalità della amministrazione,
unitamente al carattere derogatorio del
rilascio del permesso che “spezza”
l’uniformità giuridica delle norme di
pianificazione normativamente applicate,
dequota, quindi, sensibilmente l’onere
motivazionale della p.a., atteso che la
affermazione della non derogabilità
costituisce la regola, mentre l’onere
motivazionale, per converso, si accentua ove
l’amministrazione comunale (nel suo
complesso) voglia deliberatamente
contraddire le norme vigenti.
---------------
Vi è, infatti,
una prima ragione di ordine sistematico
costituita dal fatto che l’attuale art. 14
DPR 380/2001 è stato inscritto nel corpus
generale del T.U. in materia edilizia ove è
da relazionare all’art. 36 dello stesso, in
cui si disciplina la possibilità di
ottenere, tramite l’accertamento di
conformità, un titolo sanante l’abuso
realizzato.
Le due norme sono distinte, ma fra esse
relazionate, nel senso che, dall’intero
complesso normativo, si desume che il titolo
edilizio è previamente rilasciato o con la
legittima procedura di richiesta o in
deroga, ovvero ancora ex post per il
tramite della cd sanatoria ex art. 36.
La circostanza che le due norme –nello
stesso ambito testuale– non si richiamino,
lascia quindi chiaramente intendere che
dispongono di ambiti diversi che non possono
dunque cumularsi. D’altra parte, come per
tutte le norme derogatorie vale il primario
criterio interpretativo letterale, sicché
ove il legislatore non ha inteso riferisi
alla sanatoria (che, ripetesi, ha ben tenuto
presente nello stesso corpo normativo) deve
concludersi che non abbia inteso estendere
la possibilità derogatoria anche ad un abuso
già perpetrato.
Sono poi univoche e chiare le ragioni
sostanziali che militano per la non
applicabilità del procedimento sanante
all’art. 14 T.U. citato.
Proprio perché la deroga “esorbita
dall’ordinario regime dei titoli costruttivi
poiché –come sopra accennato– spezza
l’uniformità giuridica delle regole
normalmente applicate”, richiede un
procedimento ad hoc che il
legislatore vuole partecipato da tutti gli “interessati”
(cfr. art. 14, c. 2, DPR 380 cit.), in
assenza del quale, l’opera è senz’altro
abusiva e sottoposta, da subito, ai rigori
demolitori, tranne il limitato ambito della
richiesta verifica ex art. 36 DPR cit. in
ordine alla cd. “doppia conformità”:
verifica vincolata a fronte della lata
discrezionalità –secondo quanto sopra
enunciato– caratterizzante la deroga
invocata (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
21.01.2011 n. 404 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA: In
merito all'ammissibilità del rilascio di
concessioni o permessi di costruire in
deroga, la giurisprudenza amministrativa
aveva inizialmente interpretato
l'espressione «impianti di interesse
pubblico», di cui all'art. 41-quater della
l. 17.08.1942 n. 1150 (trasfuso nell'attuale
art. 14, T.U. sull'edilizia, approvato con
d.P.R. 06.06.2001 n. 380), facendovi
rientrare solo gli interventi corrispondenti
a compiti assunti direttamente dalla
pubblica Amministrazione. Attualmente,
peraltro, si ritiene applicabile la stessa
norma anche alle (ipotesi) in cui sia
offerto un servizio alla collettività,
caratterizzato da una pubblica fruibilità.
È stato considerato, infatti, che l'art. 16,
l. 06.08.1967 n. 765 prevede la possibilità
di esercizio di un potere di deroga alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici per
manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti
pubblici) che di interesse pubblico (ossia
gestiti da soggetti indifferentemente
pubblici o privati, aventi peraltro
l'identica missione di soddisfare esigenze
della collettività di tipo economico,
bancario-assicurativo, culturale,
industriale, igienico, religioso o
turistico-alberghiero).
In questo nuovo indirizzo vanno ricomprese …
anche le strutture gestite da privati in
regime di impresa, se rivestono un interesse
lato sensu pubblico, quali gli edifici e le
opere destinati ad attività economiche di
interesse generale, tra cui i «complessi
artigianali con processo lavorativo di tipo
industriale ed un consistente numero di
dipendenti o comunque aventi rilevanza per
la realtà economica locale», le quali dunque
possono usufruire della deroga alle
previsioni degli strumenti urbanistici
generali.
“In merito all'ammissibilità del rilascio
di concessioni o permessi di costruire in
deroga, la giurisprudenza amministrativa
aveva inizialmente interpretato
l'espressione «impianti di interesse
pubblico», di cui all'art. 41-quater della
l. 17.08.1942 n. 1150 (trasfuso nell'attuale
art. 14, T.U. sull'edilizia, approvato con
d.P.R. 06.06.2001 n. 380), facendovi
rientrare solo gli interventi corrispondenti
a compiti assunti direttamente dalla
pubblica Amministrazione. Attualmente,
peraltro, si ritiene applicabile la stessa
norma anche alle (ipotesi) in cui sia
offerto un servizio alla collettività,
caratterizzato da una pubblica fruibilità.
È stato considerato, infatti, che l'art. 16,
l. 06.08.1967 n. 765 prevede la possibilità
di esercizio di un potere di deroga alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici per
manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti
pubblici) che di interesse pubblico (ossia
gestiti da soggetti indifferentemente
pubblici o privati, aventi peraltro
l'identica missione di soddisfare esigenze
della collettività di tipo economico,
bancario-assicurativo, culturale,
industriale, igienico, religioso o
turistico-alberghiero).
In questo nuovo indirizzo vanno ricomprese …
anche le strutture gestite da privati in
regime di impresa, se rivestono un interesse
lato sensu pubblico, quali gli edifici e le
opere destinati ad attività economiche di
interesse generale, tra cui i «complessi
artigianali con processo lavorativo di tipo
industriale ed un consistente numero di
dipendenti o comunque aventi rilevanza per
la realtà economica locale», le quali dunque
possono usufruire della deroga alle
previsioni degli strumenti urbanistici
generali” (TAR Trentino Alto Adige
Trento, sez. I, 18.06.2009, n. 194)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza
22.07.2010 n. 1821 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Regolamento locale di igiene -
Delibera consiliare recante deroga - Lesività - Non sussiste
prima del rilascio del titolo edilizio in deroga -
Impugnazione - È ammissibile solo al momento del rilascio
del titolo edilizio.
2. Piano di lottizzazione - Permesso di costruire rilasciato
al proprietario confinante - Interesse all'azione - Sussiste
in capo al proprietario di aree incluse nel P.L. se lamenta
lesione dei valori urbanistici garantiti dalle previsioni
urbanistiche della zona.
1.
La delibera consiliare recante deroga ad un regolamento
locale di igiene, che è atto presupposto del permesso di
costruire in deroga, non può ritenersi lesiva fino
all'effettivo rilascio del titolo edilizio e va impugnata
congiuntamente a quest'ultimo.
2.
Il proprietario di aree incluse in un P.L. vanta un
interesse personale, diretto e attuale all'annullamento di
un permesso di costruire rilasciato al proprietario
confinante con le aree incluse nel P.L., anche se
appartenenti ad altri lottizzanti, quando lamenta una
lesione dei valori urbanistici, intesi in senso ampio,
garantiti dalle previsioni urbanistiche relative alla zona
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.04.2010 n. 1104 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Legittimità alla deroga alle
prescrizioni del P.R.G. vigente che impongono il rispetto
delle distanze di confine.
E’ chiesto
parere in merito alla legittimità della previsione e della
realizzazione di un’opera pubblica in deroga alle
prescrizioni del P.R.G.C. che impongono il rispetto della
distanza di mt. 5 dal confine (Regione Piemonte,
parere n. 125/2009 -
tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le norme che disciplinano la
possibilità di rilasciare concessioni
edilizie in deroga ai piani regolatori ed
alle norme di regolamento edilizio non
possono travolgere le esigenze di ordine
urbanistico a suo tempo recepite nel piano,
con la conseguenza che non possono essere
oggetto di deroga le destinazioni di zona
che attengono all’impostazione stessa del
piano regolatore generale e ne costituiscono
le norme direttrici.
Invero, anzitutto gli artt. 41-quater L. n.
1150/1942 e 3 L. n. 1357/1957, che
disciplinano la possibilità di rilasciare
concessioni edilizie in deroga ai piani
regolatori ed alle norme di regolamento
edilizio, vanno interpretati
restrittivamente, nel senso che tali deroghe
non possono travolgere le esigenze di ordine
urbanistico a suo tempo recepite nel piano,
con la conseguenza che non possono essere
oggetto di deroga le destinazioni di zona
che attengono all’impostazione stessa del
piano regolatore generale e ne costituiscono
le norme direttrici (cfr. Cons. Stato, IV
Sez. 02.04.1996 n. 439; 01.10.1007 n.
1057) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.11.2009 n. 5847 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Diniego di permesso di costruire in
deroga - Nulla osta Vigili del Fuoco - L.R. 11.03.2005 n. 12
- Illegittimità.
Qualora una domanda di permesso di costruire in deroga
contenga un nulla osta dei Vigili del Fuoco inidoneo, il
responsabile del procedimento è onerato, ai sensi dell'art.
38 L.R. 10.03.2005 n. 12, che, riproduce, in un'ottica di
semplificazione, l'art. 20, c. 3, D.P.R. n. 380/2001, di
richiedere d'ufficio i pareri sanitari e sulla normativa
antincendio, risultando conseguentemente illegittimo il
diniego di permesso di costruire motivato dalla mancata
acquisizione di tali provvedimenti (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
22.10.2009 n. 4881). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il provvedimento di concessione
edilizia in deroga alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici, essendo espressione
di un potere di natura eccezionale,
necessita di una congrua e adeguata
motivazione.
Ai sensi della vigente normativa in materia
urbanistica della provincia di Trento il
rilascio della concessione edilizia in
deroga è comunque limitato ai casi
eccezionali di edifici e impianti pubblici o
di interesse pubblico previsti dall’art. 16
legge 06.08.1967 n. 765, fermo restando
ovviamente l’onere di una congrua e
specifica motivazione sulla sussistenza e la
prevalenza di tale interesse.
Il rilascio di una concessione edilizia in
deroga alle previsioni dello strumento
urbanistico costituisce per sua stessa
natura un provvedimento eccezionale e di
contenuto singolare, cioè assunto per
soddisfare specifici interessi pubblici
sulla base di valutazioni contingenti e
dotate di un carattere di eccezionalità, che
giustificano, solo nella situazione
concreta, la inosservanza consentita delle
prescrizioni dettate dagli atti di
programmazione.
In linea di principio quindi il potere
derogatorio non è utilizzabile per
soddisfare esigenze strutturali miranti a
nuovi assetti urbanistici, che male si
prestano a interventi episodici e saltuari e
che giustificherebbero invece la adozione di
specifiche varianti allo strumento
urbanistico, le sole rispondenti alla
definizione di strumenti di governo del
territorio e che assicurano grazie al loro
carattere di generalità tipico degli atti
pianificatori, la razionalità e la
imparzialità delle scelte rispetto
all’insieme degli interessi, pubblici e
privati, coinvolti in un tale disegno
innovativo.
La concessione edilizia in deroga può essere
legittimamente emanata se sussiste un
concreto e specifico interesse pubblico, di
natura e qualità prevalenti rispetto agli
interessi che hanno trovato considerazione e
riconoscimento negli atti di pianificazione
territoriale, ossia conducendo una adeguata
valutazione comparativa fra le eccezionali
ragioni che impongono la deroga e la
situazione di fatto e di diritto sulla quale
il relativo provvedimento verrebbe a
incidere, anche a tutela del legittimo
affidamento riposto dai privati sull’assetto
urbanistico derivante dalle prescrizioni cui
essi stessi hanno prestato osservanza e che
nel caso concreto verrebbero invece
disapplicate.
--------------
Con riguardo alla delimitazione della
concessione in deroga tale potere
eccezionale sussiste con riguardo alle
strutture alberghiere, da ritenersi di
interesse pubblico per la sua destinazione
all’interesse tipico perseguito dalla
pubblica amministrazione, perché si tratta
di impianti posti al servizio della
collettività o comunque di opere che,
soprattutto se poste in località di spiccata
vocazione turistica, risultano di pubblica
utilità.
Gli interessi coinvolti nella gestione del
servizio alberghiero in genere, sebbene sia
esercitata da soggetti privati, hanno
carattere pubblicistico in ragione della
generalizzata fruibilità collettiva e della
connessione di detto servizio con gli
interessi della sicurezza e della salute
pubblica, nonché dello sviluppo turistico;
pertanto è legittimo il nulla osta al
rilascio di concessione edilizia in deroga
al piano regolatore per l’ampliamento di una
struttura alberghiera.
A convincere della legittimità della
concessione in deroga e del suo utilizzo
legittimo in concreto vale anche la
considerazione della natura peculiare di
tale strumento.
Alla concessione in deroga, che condivide
con la normale concessione edilizia la
funzione di controllo e di mera attuazione a
mezzo di verifica di conformità, non è
estranea anche una funzione di tipo
conformativo, tipica degli strumenti di
pianificazione.
La concessione in deroga, infatti, si
differenzia radicalmente, sia dal punto di
vista procedimentale che da quello
sostanziale, rispetto alla normale
concessione edilizia, in quanto con essa si
consente alla amministrazione di esercitare
un potere ampiamente discrezionale al fine
di perseguire un interesse pubblico ritenuto
preminente, potere che si concretizza nella
disapplicazione di una norma a una
fattispecie concreta, che pure presenta
tutti gli elementi per essere assoggettata
alla disciplina da essa dettata e che si
concreta in una vera decisione urbanistica.
---------------
Il rilascio della deroga non avviene solo a
mezzo di atto del sindaco o delle strutture
comunali (ché si limiterebbe a una verifica
di conformità), ma richiede, diversamente
dalle altre concessioni, la deliberazione
del Consiglio comunale (cioè la medesima
autorità o organo competente alla adozione
del p.r.g.) e della Regione (nella specie
Provincia Autonoma) che valuta la
compatibilità dell’intervento edilizio con
l’area circostante e gli interessi con
riguardo ad essa emersi in sede di
pianificazione (similmente quindi ad un
procedimento di piano), conferendo una
potenzialità edificatoria, sia pure non
definitiva ma solo provvisoria.
La concessione in deroga si caratterizza
quindi come una vera decisione (di
micro-pianificazione) relativa a una
specifica area, di solito non
particolarmente estesa e che, diversamente
dalle varianti speciali, non ha carattere
definitivo. Proprio perché in deroga, ossia
disposizione di carattere speciale rispetto
alla normativa generale, venuta meno l’opera
per la quale è stata rilasciata la
concessione (similmente alla proprietà
separata superficiaria, che si estingue al
venire meno dell’opera mentre ciò non
avviene in caso di diritto di superficie),
riemerge la norma generale e con essa le
originarie prescrizioni previste dal prg,
salva eventuale altra concessione in deroga.
La concessione in deroga è quindi istituto
che, unitamente alle varianti ma in senso
parzialmente diverso da esse, consente di
adottare decisioni urbanistiche, superando
la eccessiva staticità del sistema
pianificatorio che si porrebbe quasi in modo
atemporale, suscettibile di attuazioni e
integrazioni, ma non di modifiche se non in
casi eccezionali.
Certo, la derogabilità è possibile rispetto
a quel gruppo di norme e previsioni degli
strumenti urbanistici che attengono alla
disciplina urbanistica indifferenziata,
concernenti ad esempio gli indici di
fabbricabilità, le altezze, la tipologia
edilizia; altre norme, come quelle relative
alle ubicazioni specifiche di edifici,
impianti e servizi pubblici, allineamenti
stradali, di destinazione, di vincoli a
verde pubblico e privato, dovrebbero essere
derogate soltanto a mezzo di apposite
varianti al piano regolatore generale.
Questo Consesso, con precedenti riferiti
proprio a vicende relative al medesimo
comune di Pinzolo, ha precisato come il
provvedimento di concessione edilizia in
deroga alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici, essendo espressione di un
potere di natura eccezionale, necessiti di
una congrua e adeguata motivazione (C.
Stato, IV, 03.02.1981, n. 128).
Ai sensi della vigente normativa in materia
urbanistica della provincia di Trento il
rilascio della concessione edilizia in
deroga è comunque limitato ai casi
eccezionali di edifici e impianti pubblici o
di interesse pubblico previsti dall’art. 16
legge 06.08.1967 n. 765, fermo restando
ovviamente l’onere di una congrua e
specifica motivazione sulla sussistenza e la
prevalenza di tale interesse (in tal senso
anche Cons. Stato, IV, 06.10.1983, n. 700).
Proprio in considerazione della
eccezionalità dell’esercizio del potere di
deroga la prima sentenza di primo grado
aveva ritenuto insufficiente la motivazione
della eccezionalità, in quanto il rilascio
di una concessione edilizia in deroga alle
previsioni dello strumento urbanistico
costituisce per sua stessa natura un
provvedimento eccezionale e di contenuto
singolare, cioè assunto per soddisfare
specifici interessi pubblici sulla base di
valutazioni contingenti e dotate di un
carattere di eccezionalità, che
giustificano, solo nella situazione
concreta, la inosservanza consentita delle
prescrizioni dettate dagli atti di
programmazione.
In linea di principio quindi il potere
derogatorio non è utilizzabile per
soddisfare esigenze strutturali miranti a
nuovi assetti urbanistici, che male si
prestano a interventi episodici e saltuari e
che giustificherebbero invece la adozione di
specifiche varianti allo strumento
urbanistico, le sole rispondenti alla
definizione di strumenti di governo del
territorio e che assicurano grazie al loro
carattere di generalità tipico degli atti
pianificatori, la razionalità e la
imparzialità delle scelte rispetto
all’insieme degli interessi, pubblici e
privati, coinvolti in un tale disegno
innovativo (in tal senso, Consiglio di
Stato, V, 03.02.1997, n. 132, sempre con
riferimento a vicenda riguardante il comune
di Pinzolo).
Nella specie, come rilevato anche dal primo
giudice nella sentenza n. 148 del 2004,
l’amministrazione ha successivamente meglio
dato conto delle sue esigenze, con dati di
fatto più puntuali, calati nella realtà
territoriale, specificando anche la
impossibilità a dare corso alla concreta
deroga in regime ordinario a mezzo di
varianti pianificatorie.
Resta pertanto pienamente rispettato il
principio secondo il quale la concessione
edilizia in deroga può essere legittimamente
emanata se sussiste un concreto e specifico
interesse pubblico, di natura e qualità
prevalenti rispetto agli interessi che hanno
trovato considerazione e riconoscimento
negli atti di pianificazione territoriale,
ossia conducendo una adeguata valutazione
comparativa fra le eccezionali ragioni che
impongono la deroga e la situazione di fatto
e di diritto sulla quale il relativo
provvedimento verrebbe a incidere, anche a
tutela del legittimo affidamento riposto dai
privati sull’assetto urbanistico derivante
dalle prescrizioni cui essi stessi hanno
prestato osservanza e che nel caso concreto
verrebbero invece disapplicate.
---------------
Con riguardo
alla delimitazione della concessione in
deroga tale potere eccezionale sussiste con
riguardo alle strutture alberghiere, da
ritenersi di interesse pubblico per la sua
destinazione all’interesse tipico perseguito
dalla pubblica amministrazione, perché si
tratta di impianti posti al servizio della
collettività o comunque di opere che,
soprattutto se poste in località di spiccata
vocazione turistica, risultano di pubblica
utilità.
Gli interessi coinvolti nella gestione del
servizio alberghiero in genere, sebbene sia
esercitata da soggetti privati, hanno
carattere pubblicistico in ragione della
generalizzata fruibilità collettiva e della
connessione di detto servizio con gli
interessi della sicurezza e della salute
pubblica, nonché dello sviluppo turistico;
pertanto è legittimo il nulla osta al
rilascio di concessione edilizia in deroga
al piano regolatore per l’ampliamento di una
struttura alberghiera (in tal senso Cons.
Stato, IV, 29.10.2002, n. 5913).
A convincere della legittimità della
concessione in deroga e del suo utilizzo
legittimo in concreto vale anche la
considerazione della natura peculiare di
tale strumento.
Alla concessione in deroga, che condivide
con la normale concessione edilizia la
funzione di controllo e di mera attuazione a
mezzo di verifica di conformità, non è
estranea anche una funzione di tipo
conformativo, tipica degli strumenti di
pianificazione.
La concessione in deroga, infatti, si
differenzia radicalmente, sia dal punto di
vista procedimentale che da quello
sostanziale, rispetto alla normale
concessione edilizia, in quanto con essa si
consente alla amministrazione di esercitare
un potere ampiamente discrezionale al fine
di perseguire un interesse pubblico ritenuto
preminente, potere che si concretizza nella
disapplicazione di una norma a una
fattispecie concreta, che pure presenta
tutti gli elementi per essere assoggettata
alla disciplina da essa dettata e che si
concreta in una vera decisione urbanistica.
---------------
Il rilascio della deroga non avviene solo a
mezzo di atto del sindaco o delle strutture
comunali (ché si limiterebbe a una verifica
di conformità), ma richiede, diversamente
dalle altre concessioni, la deliberazione
del Consiglio comunale (cioè la medesima
autorità o organo competente alla adozione
del p.r.g.) e della Regione (nella specie
Provincia Autonoma) che valuta la
compatibilità dell’intervento edilizio con
l’area circostante e gli interessi con
riguardo ad essa emersi in sede di
pianificazione (similmente quindi ad un
procedimento di piano), conferendo una
potenzialità edificatoria, sia pure non
definitiva ma solo provvisoria.
La concessione in deroga si caratterizza
quindi come una vera decisione (di
micro-pianificazione) relativa a una
specifica area, di solito non
particolarmente estesa e che, diversamente
dalle varianti speciali, non ha carattere
definitivo. Proprio perché in deroga, ossia
disposizione di carattere speciale rispetto
alla normativa generale, venuta meno l’opera
per la quale è stata rilasciata la
concessione (similmente alla proprietà
separata superficiaria, che si estingue al
venire meno dell’opera mentre ciò non
avviene in caso di diritto di superficie),
riemerge la norma generale e con essa le
originarie prescrizioni previste dal prg,
salva eventuale altra concessione in deroga.
La concessione in deroga è quindi istituto
che, unitamente alle varianti ma in senso
parzialmente diverso da esse, consente di
adottare decisioni urbanistiche, superando
la eccessiva staticità del sistema
pianificatorio che si porrebbe quasi in modo
atemporale, suscettibile di attuazioni e
integrazioni, ma non di modifiche se non in
casi eccezionali.
Certo, la derogabilità è possibile rispetto
a quel gruppo di norme e previsioni degli
strumenti urbanistici che attengono alla
disciplina urbanistica indifferenziata,
concernenti ad esempio gli indici di
fabbricabilità, le altezze, la tipologia
edilizia; altre norme, come quelle relative
alle ubicazioni specifiche di edifici,
impianti e servizi pubblici, allineamenti
stradali, di destinazione, di vincoli a
verde pubblico e privato, dovrebbero essere
derogate soltanto a mezzo di apposite
varianti al piano regolatore generale
(Consiglio di Stato, Sezione IV,
sentenza 23.07.2009 n. 4664 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’art. 14 del DPR 06.06.2001 n. 380 stabilisce
testualmente che “Il permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente
per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico,
previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto
comunque delle disposizioni contenute nel decreto
legislativo 29.10.1999, n. 490, e delle altre normative di
settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività
edilizia”.
Ai fini dell’applicazione della predetta deroga, la
questione della riconducibilità delle strutture alberghiere
tra gli “edifici ed impianti pubblici o di interesse
pubblico” è stata già affrontata e risolta dalla
giurisprudenza amministrativa nel senso di ritenerle
comprese nell’ambito di applicazione dell’anzidetta
previsione “trattandosi di un servizio offerto alla
collettività e caratterizzato da una pubblica fruibilità,
con la correlativa possibilità di concessioni in deroga alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore”.
---------------
Laddove il territorio interessato possieda una vocazione
turistica prevalente, la riconduzione all'interesse pubblico
dell'edificio alberghiero non richiede affatto
un'interpretazione estensiva ed è anzi compatibile con una
lettura restrittiva rispetto a diverse attività economiche
che non presentino le medesime caratteristiche di rilevanza
urbanistica e culturale, ma che solo possano accampare il
loro peso economico.
Sostengono ancora i ricorrenti
che nel caso di specie l’amministrazione intimata avrebbe
fatto illegittimo uso dell’istituto della concessione
edilizia in deroga, non sussistendo, nella specie, i
presupposti di interesse pubblico che avrebbero potuto
legittimare il rilascio di un titolo edilizio in contrasto
con la normativa urbanistica comunale.
L’art. 14 del DPR 06.06.2001 n. 380, che i ricorrenti
assumono violato, stabilisce testualmente che “Il
permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici
generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del
consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni
contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, e
delle altre normative di settore aventi incidenza sulla
disciplina dell'attività edilizia”.
Osserva il Collegio che ai fini dell’applicazione della
predetta deroga, la questione della riconducibilità delle
strutture alberghiere tra gli “edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico” è stata già affrontata
e risolta dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di
ritenerle comprese nell’ambito di applicazione
dell’anzidetta previsione “trattandosi di un servizio
offerto alla collettività e caratterizzato da una pubblica
fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in
deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in
vigore” (Cons. Stato, Sez. IV, 29.10.2002 n. 5913).
Inoltre, nel caso di specie, con la delibera n. 31 del
19.07.2004, di approvazione della concessione della deroga
recante l’elevazione dell’indice di edificabilità da 0,4 mc/mq
a 0,95 mc/mq, il Consiglio comunale ha espressamente
evidenziato, in termini affatto irragionevoli, ulteriori
profili di interesse pubblico dell’opera, rilevando che la
struttura alberghiera in questione è funzionale allo
sviluppo economico del Comune di Sant’Anna Arresi con
particolare riferimento all’incremento del settore turistico
ed alle ricadute occupazionali dell’indotto; nonché con
riguardo alla sviluppo ed alla valorizzazione dell’intera
area.
In proposito la giurisprudenza ha altresì precisato che “laddove
il territorio interessato possieda una vocazione turistica
prevalente, la riconduzione all'interesse pubblico
dell'edificio alberghiero non richiede affatto
un'interpretazione estensiva ed è anzi compatibile con una
lettura restrittiva rispetto a diverse attività economiche
che non presentino le medesime caratteristiche di rilevanza
urbanistica e culturale, ma che solo possano accampare il
loro peso economico” (Consiglio Stato, sez. IV,
28.10.1999, n. 1641)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 22.07.2009 n. 1375 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Definizione di centro abitato e natura
del permesso di costruire in deroga.
Premesso che la definizione di centro abitato non è
rinvenibile in termini univoci nel quadro normativo,
soccorrono, allo scopo, l’esistenza di criteri empirici
elaborati dalla giurisprudenza amministrativa formatasi sul
punto. In particolare, si è recentemente affermato che il
centro abitato va identificato nella situazione di fatto
determinata dalla presenza di un aggregato di case continue
e vicine, con interposte strade, piazze e simili, o comunque
brevi soluzioni di continuità.
Ai fini dell’applicazione della deroga di cui all’art. 14
del d.P.R. n. 380/2001, la questione della riconducibilità
delle strutture alberghiere tra gli "edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico” è stata già affrontata
e risolta dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di
ritenerle comprese nell’ambito di applicazione
dell’anzidetta previsione, trattandosi di un servizio
offerto alla collettività e caratterizzato da una pubblica
fruibilità, con la correlativa possibilità di concessioni in
deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici in
vigore.
Laddove il territorio interessato possieda una vocazione
turistica prevalente, la riconduzione all'interesse pubblico
dell'edificio alberghiero non richiede affatto
un'interpretazione estensiva ed è anzi compatibile con una
lettura restrittiva rispetto a diverse attività economiche
che non presentino le medesime caratteristiche di rilevanza
urbanistica e culturale, ma che solo possano accampare il
loro peso economico (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 22.07.2009 n. 1375 - link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disposizione comunale che riserva al Sindaco
la “facoltà di rilasciare concessioni per
costruzioni difformi dalla presente norma
quando si presentino motivi di utilità
pubblica, di interesse pubblico o di
salvaguardia paesaggistica” sostanzia che il
pianificatore comunale ha attribuito alla
concessione edilizia in deroga una
latitudine di significato più ampia rispetto
a quanto imposto dalla normativa
sovraordinata .
Il riferimento ai motivi di interesse
pubblico, di pubblica utilità, di
salvaguardia paesaggistica amplia, almeno
potenzialmente, la gamma dei possibili
interventi edilizi in deroga rispetto alla
opzione effettuata dal legislatore ordinario
e da quello regionale.
La legislazione primaria, coerentemente alla
natura eccezionale della deroga ha, invece,
previsto una tipizzazione oggettiva delle
costruzioni da assentire in deroga.
Ciò significa che l’area di operatività
della concessione edilizia in deroga, così
come ricostruita alla stregua delle norme
tecniche di attuazione dello strumento
urbanistico in discorso, amplia
eccessivamente lo spazio di manovra
dell’autorità urbanistica.
L’art 41-quater della Legge Urbanistica
stabilisce che “i poteri di deroga
previsti da norme di piano regolatore e di
regolamento edilizio possono essere
esercitati limitatamente ai casi di edifici
ed impianti pubblici o di interesse pubblico
e sempre con l’osservanza dell’art. 3 della
legge 21.12.1955, n. 1537”.
A sua volta, l’art. 30 della legge regionale
Puglia 31.05.1980, n. 56 replica
pedissequamente il contenuto della
disposizione statale sopra citata
legittimando il ricorso alla deroga nei soli
casi di edifici ed impianti pubblici o di
interesse pubblico.
L’art. 16 delle norme tecniche di attuazione
del piano di fabbricazione vigente in
Castrignano del Capo elencato gli interventi
edilizi ordinari consentiti nella zona B3
prescelta per la localizzazione del
complesso edilizio di cui si discute.
La stessa disposizione riserva al Sindaco la
“facoltà di rilasciare concessioni per
costruzioni difformi dalla presente norma
quando si presentino motivi di utilità
pubblica, di interesse pubblico o di
salvaguardia paesaggistica”.
Il Collegio osserva che, alla luce di questo
assetto normativo, il pianificatore comunale
ha attribuito alla concessione edilizia in
deroga una latitudine di significato più
ampia rispetto a quanto imposto dalla
normativa sovraordinata .
Il riferimento ai motivi di interesse
pubblico, di pubblica utilità, di
salvaguardia paesaggistica amplia, almeno
potenzialmente, la gamma dei possibili
interventi edilizi in deroga rispetto alla
opzione effettuata dal legislatore ordinario
e da quello regionale.
La legislazione primaria, coerentemente alla
natura eccezionale della deroga ha, invece,
previsto una tipizzazione oggettiva delle
costruzioni da assentire in deroga.
Ciò significa che l’area di operatività
della concessione edilizia in deroga, così
come ricostruita alla stregua delle norme
tecniche di attuazione dello strumento
urbanistico in discorso, amplia
eccessivamente lo spazio di manovra
dell’autorità urbanistica.
Né può condividersi la tesi proposta dalla
difesa della amministrazione civica
resistente secondo la quale la deroga di cui
si parla ha una sua autonoma valenza nel
sistema e non ha punti di contatto con la
normativa sovraordinata.
La tesi collide con il chiaro dettato della
normativa primaria citata, e segnatamente
con la lettera dell’art. 41-quater Legge
1150/1942 che delimita proprio lo spazio
applicativo dei “poteri di deroga
previsti da norme di piano regolatore”.
Da tanto deriva l’esigenza di ricostruire
sistematicamente la deroga utilizzando una
esegesi restrittiva della casistica di
interventi costruttivi suscettibili di
approvazione.
Invero, la sostanziale modifica dell’assetto
urbanistico che deriva dalla approvazione di
un intervento edilizio difforme da quanto si
ritiene assentibile di norma nella zona
esige la piena riconducibilità del progetto
da approvare all’area applicativa della
deroga, in considerazione del carattere
eccezionale dell’istituto.
Nel caso sottoposto all’esame del Collegio,
la concessione ad edificare richiama, sotto
il profilo descrittivo, il progetto edilizio
presentato dalla controinteressata,
precedentemente approvato dal Consiglio
Comunale al dichiarato fine di realizzare la
“riqualificazione di Piazza Savoia a
suffragio del conseguimento di un pubblico
interesse quale contropartita per
l’ammissione della deroga” .
Il Collegio esprime, a tal riguardo,
l’avviso che l’obiettivo della
riqualificazione della piazza cittadina,
(ritenuta tradizionale polo commerciale
della Marina di Leuca) perseguito attraverso
la realizzazione di cinque locali
commerciali per porre rimedio al degrado
urbanistico di edifici esistenti possa
essere raggiunto, non già attraverso il
rilascio di una concessione in deroga ,
quanto in regime di recupero dell’esistente,
ai sensi dello stesso art. 16 nta.
Quest’ultima disposizione stabilisce,
infatti, che in zona B3 sono consentite, tra
l’altro, “eventuali demolizioni e
ricostruzioni di edifici esistenti
attraverso la redazione di un progetto plano
volumetrico di zona che indichi i modi e i
tempi dell’intervento di ristrutturazione”.
La riqualificazione urbanistica di un sito
costituisce, del resto, obiettivo ordinario
di governo del territorio comunale che non
giustifica l’uso di uno strumento
derogatorio quale quello evocato dalla
difesa comunale e della contro interessata.
A tanto deve aggiungersi che il complesso
edilizio approvato con la delibera
consiliare impugnata include anche la
realizzazione di civili abitazioni al primo
piano .
Un programma edificatorio di questa natura,
che appare connotato dal perseguimento di un
preponderante interesse di marca
privatistica insito nella realizzazione di
immobili ad uso privato risulta
incompatibile con la finalità pubblicistica
da soddisfare, secondo la normativa tecnica
esaminata, per il rilascio di una
concessione in deroga .
Ne è prova la anomala compensazione che si è
ritenuto di poter effettuare, in sede di
rilascio dell’assenso edilizio, tra
l’importo degli oneri concessori e quello
delle “opere pubbliche“ che il
privato si è impegnato ad eseguire, in
violazione del principio di onerosità del
titolo concessorio, consacrato dall’art. 3
della legge Bucalossi 10/1977.
La concessione edilizia impugnata risente,
pertanto, delle violazioni che inficiano la
presupposta delibera di Consiglio Comunale e
va annullata anche per vizio proprio, per
quanto su ricordato
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza
09.07.2009 n. 1806 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
decisione di ridurre l’altezza massima degli
edifici, a fronte di un consistete aumento
della cubatura realizzabile, costituisce
espressione della discrezionalità che deve
senza dubbio riconoscersi al Consiglio
comunale, in sede di approvazione delle
concessioni edilizie per la realizzazione di
opere di interesse pubblico, in deroga allo
strumento urbanistico, rispetto alla quale
non può invocarsi l’estensione del sindacato
giurisdizionale oltre i limiti della
manifesta irragionevolezza o
contraddittorietà, che nella specie non
sussiste.
La decisione di
ridurre l’altezza massima degli edifici, a
fronte di un consistete aumento della
cubatura realizzabile, è stata infatti
congruamente motivata nel corso della
discussione (cfr. l’intervento del Sindaco,
riportato a pag. 21 del verbale della seduta
del 10.11.1999) e costituisce espressione
della discrezionalità che deve senza dubbio
riconoscersi al Consiglio comunale, in sede
di approvazione delle concessioni edilizie
per la realizzazione di opere di interesse
pubblico, in deroga allo strumento
urbanistico, rispetto alla quale non può
invocarsi l’estensione del sindacato
giurisdizionale oltre i limiti della
manifesta irragionevolezza o
contraddittorietà, che nella specie non
sussiste (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza
08.07.2009 n. 1792 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Circa l’ammissibilità del
rilascio di concessioni o permessi di costruire in deroga,
la giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente
interpretato l’espressione “impianti di interesse pubblico”,
di cui all’art. 41-quater della L. 17.08.1942, n. 1150
(trasfuso nell’attuale art. 14 del T.U. sull’edilizia,
approvato con D.P.R. 06.06.2001, n. 380), ad essi
riconducendo solo interventi corrispondenti a compiti
assunti direttamente dalla pubblica amministrazione.
Successivamente si è, peraltro, registrata un’evoluzione,
poi consolidatasi nel diritto vivente, nel senso di ritenere
applicabile la stessa norma anche a strutture dove venga
offerto un servizio alla collettività, caratterizzate da una
pubblica fruibilità. E’ stato considerato, infatti, che
l'art. 16 della legge 06.08.1967, n. 765 preveda la
possibilità di esercizio di un potere di deroga alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici per manufatti sia
pubblici (cioè gestiti da enti pubblici) che di interesse
pubblico (ossia gestiti da soggetti indifferentemente
pubblici o privati, aventi peraltro l’identica missione di
soddisfare esigenze della collettività di tipo economico,
bancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico,
religioso o turistico-alberghiero).
In particolare, questa nuovo indirizzo della giurisprudenza
ha riguardato le strutture alberghiere, ritenute a pieno
titolo ricomprese tra gli impianti di interesse pubblico,
per i quali è consentito il rilascio di concessione edilizia
in deroga. Questo peculiare interesse pubblico, in
particolare, ha trovato base e ragione nello sviluppo del
turismo e della cultura.
... per l'annullamento della deliberazione del Consiglio
comunale di Besenello n. 39 del 29.11.2005, avente ad
oggetto la “richiesta di concessione edilizia in deroga e
in parziale sanatoria" ...
...
Passando alle considerazioni del Collegio, va premesso che,
circa l’ammissibilità del rilascio di concessioni o permessi
di costruire in deroga, la giurisprudenza amministrativa
aveva inizialmente interpretato l’espressione “impianti
di interesse pubblico”, di cui all’art. 41-quater della
L. 17.08.1942, n. 1150 (trasfuso nell’attuale art. 14 del
T.U. sull’edilizia, approvato con D.P.R. 06.06.2001, n.
380), ad essi riconducendo solo interventi corrispondenti a
compiti assunti direttamente dalla pubblica amministrazione
(vd., ad es.: Cons. St., V, 11.12.1992, n. 1428; IV,
25.11.1988, n. 774).
Successivamente si è, peraltro, registrata un’evoluzione,
poi consolidatasi nel diritto vivente, nel senso di ritenere
applicabile la stessa norma anche a strutture dove venga
offerto un servizio alla collettività, caratterizzate da una
pubblica fruibilità. E’ stato considerato, infatti, che
l'art. 16 della legge 06.08.1967, n. 765 preveda la
possibilità di esercizio di un potere di deroga alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici per manufatti sia
pubblici (cioè gestiti da enti pubblici) che di interesse
pubblico (ossia gestiti da soggetti indifferentemente
pubblici o privati, aventi peraltro l’identica missione di
soddisfare esigenze della collettività di tipo economico,
bancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico,
religioso o turistico-alberghiero).
In particolare, questa nuovo indirizzo della giurisprudenza
ha riguardato le strutture alberghiere, ritenute a pieno
titolo ricomprese tra gli impianti di interesse pubblico,
per i quali è consentito il rilascio di concessione edilizia
in deroga (vd.: Cons. St., V, 11.01.2006, n. 46; IV,
12.01.2005, n. 7031; IV, 29.10.2002, n. 5913; IV,
28.10.1999, n. 1641; V, 15.07.1998, n. 1044). Questo
peculiare interesse pubblico, in particolare, ha trovato
base e ragione nello sviluppo del turismo e della cultura.
---------------
Ritiene, tuttavia, il Collegio
che, nella fattispecie, l’onere della motivazione non sia
stato né sufficientemente né correttamente assolto, essendo
stato fatto riferimento ad esigenze di natura esclusivamente
urbanistica, riferite all’asserita compromissione della
pianificazione comunale di zona.
La prodotta domanda di deroga edilizia presupponeva,
peraltro, che fosse prioritariamente individuato lo
specifico interesse pubblico ad essa sotteso (nella specie,
di tipo economico ed occupazionale), al fine di porlo a
raffronto con quello perseguito dalla pianificazione
urbanistica e statuendo successivamente sulla prevalenza
dell’uno rispetto all’altro..
L'intervento in deroga, infatti, in tanto può ritenersi
ammissibile in quanto le opere abusivamente realizzate
risultino destinate a finalità di interesse pubblico: in tal
caso, infatti, l'ordinamento consente di derogare alla
ordinaria disciplina pianificatoria, privilegiando il
concorrente interesse pubblico sotteso alla deroga (cfr.,
ibidem: Cons. St., V, 11.01.2006, n. 46).
La previsione di tale specifico potere esclude, tuttavia,
per la contraddizione che non consente la diversa
conclusione che si possa attribuire rilevanza preclusiva
alla valutazione del solo contrasto con la pianificazione
urbanistica comunale di zona
(TRGA Trentino
Alto Adige-Trento, Sez. I,
sentenza 18.06.2009 n. 194 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’iter previsto dall’art.
41-quater della l. n. 1150/1942 (ora art.
14 DPR 380/2001) prevede, come atto
terminale del procedimento azionato
dall’istante, la concessione edilizia (ora
permesso di costruire) in deroga, che è
accordata o negata previa deliberazione del
Consiglio Comunale. Quest’ultima si
configura, quindi, come atto interno del
procedimento, non immediatamente lesivo ed
impugnabile solo congiuntamente all’atto
finale, una volta che questo sia stato
emanato.
Tale deliberazione preliminare costituisce,
quindi, un elemento necessario del
procedimento amministrativo destinato a
sfociare nel rilascio o diniego della
concessione in deroga, con la conseguenza
che la sua assenza vizia il procedimento
stesso .
La necessità della pronuncia del Consiglio
Comunale, sostenuta dalla giurisprudenza,
pone in rilievo il dato che la
determinazione negativa del Consiglio sulla
deroga precluda il prosieguo del
procedimento di concessione edilizia in
ordine alla deroga stessa, specificando che,
a norma dell’art. 41-quater cit., è
illegittimo il rilascio di una concessione
edilizia in deroga quando la deroga non
consegua a deliberazione del Consiglio
Comunale.
---------------
A differenza degli altri titoli edilizi,
l’assenso in deroga presenta profili
marcatamente discrezionali in ordine
all’opportunità del rilascio, talché
l’esatta individuazione della specifica
finalità avuta di mira con la deroga è un
elemento aggiuntivo, ma decisamente
essenziale, del relativo provvedimento,
tanto da risultare talora finanche
consacrato in atti convenzionali ad hoc,
accessivi al provvedimento autorizzativo,
conclusi tra il richiedente e
l’Amministrazione procedente.
Il permesso di costruire in deroga consiste,
invero, al pari dell’omologa “vecchia”
concessione edilizia, in una disciplina
dell’uso del territorio che, sebbene
puntuale (ossia limitata al singolo
intervento), esorbita dall’ordinario regime
dei titoli costruttivi poiché spezza
l’uniformità giuridica delle regole
normalmente applicate nella zona urbanistica
di riferimento. L’esercizio del relativo
potere può quindi giustificarsi soltanto in
vista della soddisfazione di esigenze
straordinarie rispetto agli interessi
primari tutelati dalla disciplina
urbanistica generale. Si comprende allora
perché l’esatta perimetrazione dell’ambito
della deroga rappresenti, ancor oggi come in
passato, l’aspetto di maggiore
problematicità.
Al riguardo il Ministero dei lavori pubblici
ha offerto ai comuni, in più occasioni ed in
tempi diversi, alcuni criteri interpretativi
ai fini del corretto esercizio del potere in
questione, al duplice scopo di dare lumi
alle Amministrazioni locali e di impedirne
le prevedibili distonie applicative.
E’ stata dapprima emanata la circolare
dell'01.03.1963, n. 518, recante «Istruzioni
per l’applicazione dell’art. 3 delle legge
21.12.1955 n. 1357. Esercizio dei poteri
comunali di deroga alle norme di regolamento
edilizio e di attuazione dei piani
regolatori», che, al punto 2, dopo aver
sottolineato, nell’impossibilità di esporre
una precisa casistica, l’esigenza di
verificare, caso per caso, l’esistenza delle
condizioni di fatto per l’assenso alla
deroga, puntualizzava che gli edifici di
interesse pubblico fossero tutti quelli che,
pur non costruiti da enti pubblici,
presentassero comunque un «chiaro e diretto
interesse pubblico».
Venne in seguito diramata la circolare Min.
LL.PP., Direzione Generale dell’Urbanistica
del 28.10.1967, n. 3210, contenente le
istruzioni per l’applicazione della
legge-ponte che, al capo 12, dilatò il
concetto di “interesse pubblico”.
Nell’opinione ministeriale dovevano
intendersi come edifici ed impianti
pubblici, quelli per i quali ricorressero le
due condizioni dell’appartenenza ad enti
pubblici (requisito soggettivo) e della
destinazione a finalità di carattere
pubblico (requisito oggettivo); mentre erano
considerati edifici ed impianti di interesse
pubblico, quelli oggettivamente destinati a
finalità di carattere generale (di natura
economica, culturale, industriale, igienica,
religiosa, ecc.), a nulla rilevando il
profilo soggettivo della relativa titolarità
giuridica e, quindi, «indipendentemente
dalla qualità dei soggetti che li
realizzano».
Alla stregua di siffatta distinzione vennero
esemplificativamente classificate come
pubbliche le sedi degli uffici pubblici, le
scuole, le caserme; e di interesse pubblico
molti altri beni immobili, di proprietà
pubblica o privata, quali i conventi, i
poliambulatori, gli alberghi, gli impianti
turistici, le biblioteche, i teatri ed i
silos portuali.
Infine merita menzione la successiva
circolare 25.02.1970, n. 25/M che, al punto
3, rifacendosi espressamente ad un parere
reso dal Consiglio di Stato, ebbe a
valorizzare ampiamente il concetto di
interesse pubblico, evidenziando che
l’individuazione di esso «…non può essere
effettuata in base a criteri generali ed
astratti né è suscettibile di essere
precisata in ipotesi tassative, ma può
emergere esclusivamente dall’esame concreto
delle singole fattispecie … (L’interesse
pubblico) … va inteso nella sua accezione
tecnico-giuridica di interesse tipico, il
cui soddisfacimento e la cui tutela sono
assunti dalla P.A.; quindi non nel senso
lato di interesse collettivo o generale,
bensì in quello specifico di interesse
qualificato dalla sua rispondenza a fini
perseguiti dall’Amministrazione stessa».
Si è così affermato, in numerose decisioni,
che per l’individuazione dei fabbricati
suscettibili di derogare alle disposizioni
edilizie non fosse tanto rilevante la
qualità pubblica o privata dei soggetti
esecutori, ma che occorresse valutare, sotto
il profilo obiettivo, l’effettiva ricorrenza
di un nesso tra la destinazione
dell’edificio ed un interesse tipico
perseguito dalla Pubblica Amministrazione,
con specifico riferimento alla situazione
del singolo immobile.
Si è prodotto così l’effetto di un
ampliamento del campo di applicazione,
esteso fino al punto di comprendere i
tralicci per gli impianti televisivi «… in
ragione del carattere di preminente
interesse generale della diffusione di
programmi radiofonici o televisivi …
riconosciuto dall’art. 1 della legge n. 223
del 1990…» o, ancora, gli edifici destinati
all’ampliamento di una sede consolare di uno
Stato estero e, perfino, un impianto per il
tiro a volo,o le grandi strutture
commerciali di vendita.
Il nuovo testo della norma, come recepito
nell’art. 14 DPR 380/2001, non richiede più
che i poteri di deroga siano espressamente
«previsti da norme di piano regolatore e di
regolamento edilizio».
L’eliminazione di tale presupposto comporta
un’apprezzabile attenuazione della
tassatività dei casi in cui è consentito
ricorrere all’istituto. Per il resto la
norma, al pari della disciplina abrogata,
limita la possibilità di rilasciare titoli
edilizi in deroga per la sola realizzazione
di edifici ed impianti pubblici o di
interesse pubblico.
---------------
Un’altra questione controversa concerne
l’esatta portata dell’istituto circa
l’individuazione delle norme suscettibili di
deroga.
Con riguardo alla normativa statale, si sono
manifestati due differenti orientamenti:
da un lato, vi era chi riteneva
derogabile qualunque previsione di piano,
ivi comprese le destinazioni urbanistiche di
zona; dall’altro, la giurisprudenza
amministrativa assolutamente prevalente
negava siffatta possibilità ed, anzi,
tendeva ad escludere che attraverso la
concessione in deroga si potesse consentire
la realizzazione di volumi maggiori di
quelli autorizzabili o l’inosservanza degli
standard di altezza, distanza e densità
edilizia fissati dal d.m. 02.04.1968, n.
444; questi ultimi, in particolare, in
quanto ritenuti funzionali alla superiore
salvaguardia di esigenze di carattere
igienico sanitarie collegate al diritto alla
buona qualità della vita di tutti i
cittadini, erano considerati come un limite
inderogabile anche per l’autonomia
regolamentare degli enti locali.
Si opinava inoltre che l’insuperabilità
delle norme fissate dal d.m. cit.
discendesse dal principio
dell’inderogabilità delle norme primarie:
muovendo dal presupposto che il d.m. n.
1444/1968 era stato emanato in attuazione
dell’art. 41-quinquies l. urb., si pensava
che una deroga al primo si concretasse anche
in un’inammissibile deroga al secondo.
In tal senso, del resto, si era espresso in
epoca risalente il medesimo Ministero dei
lavori pubblici che, con la circolare del
28.02.1956, n. 847, aveva suggerito ai
Comuni (capo III, punto 2), per evitare che
l’esercizio dei poteri derogatori aggravasse
la densità fabbricativa di una zona o
ingenerasse inconvenienti di natura igienica
o di traffico, l’adozione del criterio del
c.d. “compenso dei volumi” nel caso di
licenza rilasciata in deroga alle altezze o
ai distacchi o a qualsiasi altra misura
prevista dalla locale normativa urbanistico-
edilizia. In altre parole, per evitare lo
sviluppo di un volume edilizio
complessivamente maggiore di quello
astrattamente risultante dalla corrente
applicazione delle norme edilizie della zona
di insistenza, le Amministrazioni avrebbero
dovuto far luogo a congrue e contemporanee
riduzioni di altri elementi costruttivi
quali la superficie occupata o i ritiri di
fronte.
La giurisprudenza ha sempre sostenuto,
coerentemente con un’esegesi restrittiva
dell’art. 41-quater l.urb., che le deroghe
previste nelle singole concessioni non
potessero mai travolgere le direttive di
ordine urbanistico stabilite nel P.R.G., non
potendo configurare una variante puntuale
alla pianificazione, e che, pertanto, non
fossero derogabili le destinazioni di zona
ivi previste.
Con il nuovo testo dell’art. 14 DPR
380/2001, commi 1 e 3, si sono fissati dei
“paletti” invalicabili al possibile oggetto
della deroga. In particolare, il permesso di
costruire non può essere rilasciato in
violazione:
- delle disposizioni contenute nel d.lg.
29.10.1999, n. 490, recante il testo unico
delle disposizioni in materia di beni
culturali ed ambientali; (ora d.lg.
22.01.2004, n. 41);
- delle altre «normative di settore» aventi
incidenza sulla disciplina dell’attività
edilizia;
- delle norme igieniche, sanitarie e di
sicurezza, se non limitatamente agli
standard di densità edilizia, di altezza e
di distanza tra i fabbricati di cui alle
norme di attuazione degli strumenti
urbanistici generali ed esecutivi;
- delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8
e 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444.
Dall’insieme delle esclusioni alla deroga
emerge il quadro di un complessivo
ridimensionamento rispetto al passato della
“eccezionalità” dell’istituto.
Il Legislatore si è premurato di indicare,
in particolare, quali siano le norme degli
strumenti urbanistici (ivi compresi quelli
esecutivi) derogabili: a questo novero non
appartengono quelle che abbiano natura
igienica, sanitaria o di sicurezza, ma
esclusivamente le norme di attuazione che
fissino limiti di densità edilizia, di
altezza e di distanza fra i fabbricati.
Tuttavia il successivo capoverso chiarisce
che la deroga non può comunque riguardare
gli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444/1968.
Pertanto, ancorché l’aspetto de quo non
investa l’esame del Tribunale che nella
specie deve scrutinare la legittimità della
revoca alla stregua delle motivazioni per le
quali la stessa è stata disposta, non appare
superfluo rilevare che in sede di emissione
del titolo in deroga, dovrà compiersi da
parte dell’amministrazione una attenta
valutazione della compatibilità della deroga
richiesta con le esclusioni indicate nella
disposizione normativa.
---------------
Infine, e per quanto qui interessa, si è
posto anche il problema della ammissibilità
di una deroga in sanatoria, risolvendolo
positivamente. L’emersione del principio si
ebbe in occasione delle note vicende del
«Palatrussardi» di Milano. La realizzazione
dell’edificio, destinata a sopperire
all’inagibilità del Palazzo dello Sport di
Milano danneggiato dagli agenti atmosferici,
fu originariamente assentita con due
autorizzazioni provvisorie per strutture
mobili. Tali autorizzazioni vennero però
successivamente annullate dal TAR Lombardia
in considerazione della loro ritenuta
inadeguatezza giuridica, trattandosi di una
tensostruttura di dimensioni notevoli,
costruita in metallo e cemento armato.
Per legittimare l’esistente fu così concessa
una deroga “in sanatoria”, previo nulla osta
regionale. In relazione al rilascio di
quest’ultimo atto il contenzioso è stato
definito dalla decisione del Consiglio di
Stato, sez. IV, 01.10.1997, n. 1057; con
tale pronuncia si è stabilito che la
costruzione in oggetto si inseriva
nell’esercizio delle funzioni amministrative
comunali di promozione di attività
ricreative e sportive ex art. 60, lett. a),
D.P.R. n. 616/1977 e che, pertanto,
rientrava nel novero degli edifici per i
quali poteva considerasi ammesso il rilascio
di concessioni in deroga.
---------------
La valutazione del Consiglio Comunale in
ordine alla possibilità di derogare ai
parametri dello strumento urbanistico, ha
carattere di valutazione discrezionale, e
l’amministrazione, nel porla in essere, ha
l’obbligo di dare puntuale motivazione della
scelta compiuta.
... per l'annullamento previa sospensione
dell'efficacia, della delibera n. 39 del
24.07.1998 di C.C. con cui è stata revocata
la delibera consiliare n. 30 del 30.06.1998
che aveva espresso parere favorevole al
rilascio di concessione edilizia in deroga.
...
Va premesso che la procedura per la
concessione edilizia in deroga è
disciplinata dall’art. 14 TU 380/2001,
intitolato “Permesso di costruire in deroga
agli strumenti urbanistici" (legge 17.08.1942, n. 1150, art. 41-quater, introdotto
dall'art. 16 della legge 06.08.1967, n.
765; decreto legislativo n. 267 del
2000, art. 42, comma 2, lettera b); legge 21.12.1955, n. 1357, art. 3), il quale
dispone: "1. Il permesso di costruire in deroga agli
strumenti urbanistici generali è rilasciato
esclusivamente per edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico, previa
deliberazione del consiglio comunale, nel
rispetto comunque delle disposizioni
contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490 e delle altre normative di
settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia.
2. Dell'avvio del procedimento viene data
comunicazione agli interessati ai sensi
dell'articolo 7 della legge 07.08.1990,
n. 241.
3. La deroga, nel rispetto delle norme
igieniche, sanitarie e di sicurezza, può
riguardare esclusivamente i limiti di
densità edilizia, di altezza e di distanza
tra i fabbricati di cui alle norme di
attuazione degli strumenti urbanistici
generali ed esecutivi, fermo restando in
ogni caso il rispetto delle disposizioni di
cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto
ministeriale 02.04.1968, n. 1444.".
Sotto un profilo strettamente
procedimentale, rilevante ai fini dell’esame
della ammissibilità del presente ricorso, va
premesso che l’iter previsto dall’art.
41-quater della l. n. 1150/1942 (ora art.
14 DPR 380/2001) prevede, come atto
terminale del procedimento azionato
dall’istante, la concessione edilizia (ora
permesso di costruire) in deroga, che è
accordata o negata previa deliberazione del
Consiglio Comunale. Quest’ultima si
configura, quindi, come atto interno del
procedimento, non immediatamente lesivo ed
impugnabile solo congiuntamente all’atto
finale, una volta che questo sia stato
emanato (TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
09.04.1998, n. 728).
Tale deliberazione preliminare costituisce,
quindi, un elemento necessario del
procedimento amministrativo destinato a
sfociare nel rilascio o diniego della
concessione in deroga, con la conseguenza
che la sua assenza vizia il procedimento
stesso .
La necessità della pronuncia del Consiglio
Comunale, sostenuta dalla giurisprudenza,
pone in rilievo il dato che la
determinazione negativa del Consiglio sulla
deroga precluda il prosieguo del
procedimento di concessione edilizia in
ordine alla deroga stessa (C.d.S., Sez. V, 01.03.1993, n. 302), specificando che, a
norma dell’art. 41-quater cit., è
illegittimo il rilascio di una concessione
edilizia in deroga quando la deroga non
consegua a deliberazione del Consiglio
Comunale (C.d.S., Sez. V, 28.06.2004, n.
4759).
L’atto di revoca del nulla osta positivo
nella specie determina quindi un arresto
procedimentale lesivo ed immediatamente
impugnabile.
---------------
Tanto
premesso in punto di fatto, va osservato
quanto segue in punto di diritto.
Come sopra
premesso, la revoca del nulla osta positivo
è motivata sulla scorta dell’accertata
effettuazione della modifica di destinazione
di uso prima della emissione del
provvedimento positivo, e quindi sulla
scorta della falsità dei presupposti per far
luogo alla deroga ritenendosi incompatibili
deroga e sanatoria. Ben vero, nel corso della
discussione consiliare, è emerso anche un
ulteriore aspetto, ossia la incompatibilità
del mutamento di uso con la destinazione di
zona, sì che la deroga investirebbe lo
strumento urbanistico e non singoli
parametri di legge. Tuttavia la
determinazione messa ai voti investe la
impossibilità di sanare una attività già in
essere, sì che il provvedimento di secondo
grado si è formato con riferimento alla
suindicata motivazione.
Pur investendo quindi l’esame del Collegio
tale stretto profilo di diritto, stante i
limiti del giudizio impugnatorio, si ritiene
di premettere una breve ricostruzione
normativa ed interpretativa dell’istituto
del permesso di costruire in deroga, ai fini
di un miglior inquadramento della
fattispecie, e dell’effetto conformativo-prescrittivo della presente sentenza, sulla
successiva attività della P.A., al di là del
mero effetto tipico caducatorio del giudizio
su atti.
A differenza degli altri titoli edilizi,
l’assenso in deroga presenta profili
marcatamente discrezionali in ordine
all’opportunità del rilascio, talché
l’esatta individuazione della specifica
finalità avuta di mira con la deroga è un
elemento aggiuntivo, ma decisamente
essenziale, del relativo provvedimento,
tanto da risultare talora finanche
consacrato in atti convenzionali ad hoc,
accessivi al provvedimento autorizzativo,
conclusi tra il richiedente e
l’Amministrazione procedente.
Il permesso di costruire in deroga consiste,
invero, al pari dell’omologa “vecchia”
concessione edilizia, in una disciplina
dell’uso del territorio che, sebbene
puntuale (ossia limitata al singolo
intervento), esorbita dall’ordinario regime
dei titoli costruttivi poiché spezza
l’uniformità giuridica delle regole
normalmente applicate nella zona urbanistica
di riferimento. L’esercizio del relativo
potere può quindi giustificarsi soltanto in
vista della soddisfazione di esigenze
straordinarie rispetto agli interessi
primari tutelati dalla disciplina
urbanistica generale. Si comprende allora
perché l’esatta perimetrazione dell’ambito
della deroga rappresenti, ancor oggi come in
passato, l’aspetto di maggiore
problematicità.
Al riguardo il Ministero dei lavori pubblici
ha offerto ai comuni, in più occasioni ed in
tempi diversi, alcuni criteri interpretativi
ai fini del corretto esercizio del potere in
questione, al duplice scopo di dare lumi
alle Amministrazioni locali e di impedirne
le prevedibili distonie applicative.
E’ stata dapprima emanata la circolare dell'01.03.1963, n. 518, recante «Istruzioni
per l’applicazione dell’art. 3 delle legge
21.12.1955 n. 1357. Esercizio dei
poteri comunali di deroga alle norme di
regolamento edilizio e di attuazione dei
piani regolatori», che, al punto 2, dopo
aver sottolineato, nell’impossibilità di
esporre una precisa casistica, l’esigenza di
verificare, caso per caso, l’esistenza delle
condizioni di fatto per l’assenso alla
deroga, puntualizzava che gli edifici di
interesse pubblico fossero tutti quelli che,
pur non costruiti da enti pubblici,
presentassero comunque un «chiaro e diretto
interesse pubblico».
Venne in seguito diramata la circolare Min.
LL.PP., Direzione Generale dell’Urbanistica
del 28.10.1967, n. 3210, contenente le
istruzioni per l’applicazione della
legge-ponte che, al capo 12, dilatò il
concetto di “interesse pubblico”.
Nell’opinione ministeriale dovevano
intendersi come edifici ed impianti
pubblici, quelli per i quali ricorressero le
due condizioni dell’appartenenza ad enti
pubblici (requisito soggettivo) e della
destinazione a finalità di carattere
pubblico (requisito oggettivo); mentre erano
considerati edifici ed impianti di interesse
pubblico, quelli oggettivamente destinati a
finalità di carattere generale (di natura
economica, culturale, industriale, igienica,
religiosa, ecc.), a nulla rilevando il
profilo soggettivo della relativa titolarità
giuridica e, quindi, «indipendentemente
dalla qualità dei soggetti che li
realizzano».
Alla stregua di siffatta distinzione vennero
esemplificativamente classificate come
pubbliche le sedi degli uffici pubblici, le
scuole, le caserme; e di interesse pubblico
molti altri beni immobili, di proprietà
pubblica o privata, quali i conventi, i
poliambulatori, gli alberghi, gli impianti
turistici, le biblioteche, i teatri ed i
silos portuali.
Infine merita menzione la successiva
circolare 25.02.1970, n. 25/M che, al
punto 3, rifacendosi espressamente ad un
parere reso dal Consiglio di Stato, ebbe a
valorizzare ampiamente il concetto di
interesse pubblico, evidenziando che
l’individuazione di esso «…non può essere
effettuata in base a criteri generali ed
astratti né è suscettibile di essere
precisata in ipotesi tassative, ma può
emergere esclusivamente dall’esame concreto
delle singole fattispecie … (L’interesse
pubblico) … va inteso nella sua accezione
tecnico-giuridica di interesse tipico, il
cui soddisfacimento e la cui tutela sono
assunti dalla P.A.; quindi non nel senso
lato di interesse collettivo o generale,
bensì in quello specifico di interesse
qualificato dalla sua rispondenza a fini
perseguiti dall’Amministrazione stessa».
Si è così affermato, in numerose decisioni,
che per l’individuazione dei fabbricati
suscettibili di derogare alle disposizioni
edilizie non fosse tanto rilevante la
qualità pubblica o privata dei soggetti
esecutori, ma che occorresse valutare, sotto
il profilo obiettivo, l’effettiva ricorrenza
di un nesso tra la destinazione
dell’edificio ed un interesse tipico
perseguito dalla Pubblica Amministrazione,
con specifico riferimento alla situazione
del singolo immobile.
Si è prodotto così l’effetto di un
ampliamento del campo di applicazione,
esteso fino al punto di comprendere i
tralicci per gli impianti televisivi «… in
ragione del carattere di preminente
interesse generale della diffusione di
programmi radiofonici o televisivi …
riconosciuto dall’art. 1 della legge n. 223
del 1990…» o, ancora, gli edifici destinati
all’ampliamento di una sede consolare di uno
Stato estero e, perfino, un impianto per il
tiro a volo,o le grandi strutture
commerciali di vendita.
Il nuovo testo della norma, come recepito
nell’art. 14 DPR 380/2001, non richiede più
che i poteri di deroga siano espressamente
«previsti da norme di piano regolatore e di
regolamento edilizio».
L’eliminazione di tale presupposto comporta
un’apprezzabile attenuazione della
tassatività dei casi in cui è consentito
ricorrere all’istituto. Per il resto la
norma, al pari della disciplina abrogata,
limita la possibilità di rilasciare titoli
edilizi in deroga per la sola realizzazione
di edifici ed impianti pubblici o di
interesse pubblico.
Un’altra questione controversa concerne
l’esatta portata dell’istituto circa
l’individuazione delle norme suscettibili di
deroga.
Con riguardo alla normativa statale, si sono
manifestati due differenti orientamenti: da
un lato, vi era chi riteneva derogabile
qualunque previsione di piano, ivi comprese
le destinazioni urbanistiche di zona;
dall’altro, la giurisprudenza amministrativa
assolutamente prevalente negava siffatta
possibilità ed, anzi, tendeva ad escludere
che attraverso la concessione in deroga si
potesse consentire la realizzazione di
volumi maggiori di quelli autorizzabili o
l’inosservanza degli standard di altezza,
distanza e densità edilizia fissati dal d.m.
02.04.1968, n. 444; questi ultimi, in
particolare, in quanto ritenuti funzionali
alla superiore salvaguardia di esigenze di
carattere igienico sanitarie collegate al
diritto alla buona qualità della vita di
tutti i cittadini, erano considerati come un
limite inderogabile anche per l’autonomia
regolamentare degli enti locali.
Si opinava inoltre che l’insuperabilità
delle norme fissate dal d.m. cit.
discendesse dal principio
dell’inderogabilità delle norme primarie:
muovendo dal presupposto che il d.m. n.
1444/1968 era stato emanato in attuazione
dell’art. 41-quinquies l. urb., si pensava
che una deroga al primo si concretasse anche
in un’inammissibile deroga al secondo.
In tal senso, del resto, si era espresso in
epoca risalente il medesimo Ministero dei
lavori pubblici che, con la circolare del 28.02.1956, n. 847, aveva suggerito ai
Comuni (capo III, punto 2), per evitare che
l’esercizio dei poteri derogatori aggravasse
la densità fabbricativa di una zona o
ingenerasse inconvenienti di natura igienica
o di traffico, l’adozione del criterio del
c.d. “compenso dei volumi” nel caso di
licenza rilasciata in deroga alle altezze o
ai distacchi o a qualsiasi altra misura
prevista dalla locale normativa urbanistico-
edilizia. In altre parole, per evitare lo
sviluppo di un volume edilizio
complessivamente maggiore di quello
astrattamente risultante dalla corrente
applicazione delle norme edilizie della zona
di insistenza, le Amministrazioni avrebbero
dovuto far luogo a congrue e contemporanee
riduzioni di altri elementi costruttivi
quali la superficie occupata o i ritiri di
fronte.
La giurisprudenza ha sempre sostenuto,
coerentemente con un’esegesi restrittiva
dell’art. 41-quater l.urb., che le deroghe
previste nelle singole concessioni non
potessero mai travolgere le direttive di
ordine urbanistico stabilite nel P.R.G., non
potendo configurare una variante puntuale
alla pianificazione, e che, pertanto, non
fossero derogabili le destinazioni di zona
ivi previste (cfr. TRGA-Trento 10.04.2008 n. 913, CdS sez. V
05.11.1999, n. 1841).
Con il nuovo testo dell’art. 14 DPR 380/2001,
commi 1 e 3, si sono fissati dei “paletti”
invalicabili al possibile oggetto della
deroga. In particolare, il permesso di
costruire non può essere rilasciato in
violazione:
- delle disposizioni contenute nel d.lgs. 29.10.1999, n. 490, recante il testo unico
delle disposizioni in materia di beni
culturali ed ambientali; (ora d.lgs. 22.01.2004, n. 41);
- delle altre «normative di settore» aventi
incidenza sulla disciplina dell’attività
edilizia;
- delle norme igieniche, sanitarie e di
sicurezza, se non limitatamente agli
standard di densità edilizia, di altezza e
di distanza tra i fabbricati di cui alle
norme di attuazione degli strumenti
urbanistici generali ed esecutivi;
- delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e
9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444.
Dall’insieme delle esclusioni alla deroga
emerge il quadro di un complessivo
ridimensionamento rispetto al passato della
“eccezionalità” dell’istituto.
Il Legislatore si è premurato di indicare,
in particolare, quali siano le norme degli
strumenti urbanistici (ivi compresi quelli
esecutivi) derogabili: a questo novero non
appartengono quelle che abbiano natura
igienica, sanitaria o di sicurezza, ma
esclusivamente le norme di attuazione che
fissino limiti di densità edilizia, di
altezza e di distanza fra i fabbricati.
Tuttavia il successivo capoverso chiarisce
che la deroga non può comunque riguardare
gli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444/1968 (cfr.
anche CdS sez. V, sentenza n. 46 dell'11.01.2006 secondo cui il rilascio del
permesso di costruire in deroga è possibile
solo qualora lo stesso non pregiudichi in
termini significativi gli standard
urbanistici dell'area interessata).
Pertanto, ancorché l’aspetto de quo
non investa l’esame del Tribunale che nella
specie deve scrutinare la legittimità della
revoca alla stregua delle motivazioni per le
quali la stessa è stata disposta, non appare
superfluo rilevare che in sede di emissione
del titolo in deroga, dovrà compiersi da
parte dell’amministrazione una attenta
valutazione della compatibilità della deroga
richiesta con le esclusioni indicate nella
disposizione normativa.
Infine, e per quanto qui interessa, si è
posto anche il problema della ammissibilità
di una deroga in sanatoria, risolvendolo
positivamente. L’emersione del principio si
ebbe in occasione delle note vicende del
«Palatrussardi» di Milano. La realizzazione
dell’edificio, destinata a sopperire
all’inagibilità del Palazzo dello Sport di
Milano danneggiato dagli agenti atmosferici,
fu originariamente assentita con due
autorizzazioni provvisorie per strutture
mobili. Tali autorizzazioni vennero però
successivamente annullate dal TAR Lombardia
in considerazione della loro ritenuta
inadeguatezza giuridica, trattandosi di una
tensostruttura di dimensioni notevoli,
costruita in metallo e cemento armato.
Per legittimare l’esistente fu così concessa
una deroga “in sanatoria”, previo nulla osta
regionale. In relazione al rilascio di
quest’ultimo atto il contenzioso è stato
definito dalla decisione del Consiglio di
Stato, sez. IV, 01.10.1997, n. 1057; con
tale pronuncia si è stabilito che la
costruzione in oggetto si inseriva
nell’esercizio delle funzioni amministrative
comunali di promozione di attività
ricreative e sportive ex art. 60, lett. a),
D.P.R. n. 616/1977 e che, pertanto,
rientrava nel novero degli edifici per i
quali poteva considerasi ammesso il rilascio
di concessioni in deroga.
---------------
Giusta
quanto sopra più diffusamente esposto, la
valutazione del Consiglio Comunale in ordine
alla possibilità di derogare ai parametri
dello strumento urbanistico, ha carattere di
valutazione discrezionale, e
l’amministrazione, nel porla in essere, ha
l’obbligo di dare puntuale motivazione della
scelta compiuta (C.d.S., Sez. V, n.
4759/2004 cit.).
Per contro, anche il provvedimento di
annullamento di ufficio di una concessione
edilizia deve essere adeguatamente motivato
in ordine all’esistenza dell’interesse
pubblico, specifico e concreto, che
giustifica il ricorso all’autotutela anche
in ordine alla prevalenza del predetto
interesse pubblico su quello antagonista del
privato (cfr. ex multis, Tar Sicilia,
Catania, sez. I, 03.10.2005, n. 1529; Tar
Basilicata, 10.05.2005, n. 299; Tar
Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.04.2006, n. 422; Tar Trentino Alto Adige,
Trento, 02.01.2007, n. 4; Cons. Stato,
sez. V, 01.03.2003, n. 1150; idem, sez. V,
12.10.2004, n. 6554).
Detto orientamento
ha trovato, tra l’altro, conferma nelle
recenti disposizioni della Legge n. 15 del
2005, che ha introdotto l’art. 21-nonies alla
Legge n. 241 del 1990, sotto la rubrica
annullamento di ufficio: ogni procedimento
deve essere espressione di una congrua
valutazione comparativa degli interessi in
conflitto, di cui si deve dare atto nel
proprio corredo motivazionale (cfr. Tar
Campania, Napoli, sez. II, 12.02.2007,
n. 1003; Tar Marche, sez. I, 14.02.2007, n. 34; Cons. Stato, sez. IV,
31.10.2006, n. 6465) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 13.02.2009 n. 799 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Circa l’ammissibilità del
rilascio di licenze, concessioni o permessi
di costruire in deroga, inizialmente la
giurisprudenza amministrativa interpretava
l’espressione “impianti di interesse
pubblico”, di cui all’art. 41-quater della
L. 17.8.1942, n. 1150 (trasfuso nell’attuale
art. 14 del t.u. sull’edilizia, approvato
con d.p.r. 06.06.2001, n. 380), facendovi
rientrare solo interventi corrispondenti a
compiti assunti direttamente dalla pubblica
amministrazione ed escludendo così gli
alberghi.
Successivamente, però, il diritto vivente è
andato evolvendosi, offrendo
un’interpretazione della norma nel senso che
anche le strutture alberghiere rientrino fra
gli impianti di interesse pubblico, per i
quali è consentito il rilascio di
concessione edilizia in deroga. Questo
interesse pubblico, in particolare, è stato
individuato nello sviluppo del turismo e
della cultura.
---------------
La concessione edilizia in deroga allo
strumento urbanistico generale è legittima a
condizione che essa contravvenga soltanto
alle norme del regolamento edilizio o alle
norme d'attuazione del piano regolatore, e
non ad altre disposizioni.
Nell’ordinamento statale, circa
l’ammissibilità del rilascio di licenze,
concessioni o permessi di costruire in
deroga, inizialmente la giurisprudenza
amministrativa interpretava l’espressione “impianti
di interesse pubblico”, di cui all’art.
41-quater della L. 17.08.1942, n. 1150
(trasfuso nell’attuale art. 14 del t.u.
sull’edilizia, approvato con d.p.r.
06.06.2001, n. 380), facendovi rientrare
solo interventi corrispondenti a compiti
assunti direttamente dalla pubblica
amministrazione ed escludendo così gli
alberghi (cfr. Cons. Stato, V, 11.12.1992,
n. 1428; IV, 25.11.1988, n. 774).
Successivamente, però, il diritto vivente è
andato evolvendosi, offrendo
un’interpretazione della norma nel senso che
anche le strutture alberghiere rientrino fra
gli impianti di interesse pubblico, per i
quali è consentito il rilascio di
concessione edilizia in deroga (cfr. Cons.
St., V, 11.01.2006, n. 46; IV, 12.01.2005, n.
7031; IV, 29.10.2002, n. 5913; IV,
28.10.1999, n. 1641; V, 15.07.1998, n. 1044).
Questo interesse pubblico, in particolare, è
stato individuato nello sviluppo del turismo
e della cultura.
---------------
La concessione edilizia in deroga allo
strumento urbanistico generale è legittima a
condizione che essa contravvenga soltanto
alle norme del regolamento edilizio o alle
norme d'attuazione del piano regolatore, e
non ad altre disposizioni (cfr.: Cons.
Stato, V, 05.11.1999, n. 1841) (TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza
10.04.2008 n. 91 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Concessione in deroga - Atto dovuto a fronte di
opere di interesse pubblico - Non sussiste - Atto frutto di
poteri discrezionali - Sussiste.
2. Rilascio concessione in deroga per intervento di
rilevante consistenza - Ammissibilità nei limiti in cui non
vengano pregiudicati in termini significativi gli standard
urbanistici.
1. La concessione in deroga non costituisce atto
dovuto a fronte di opere di interesse pubblico, ma è oggetto
di poteri discrezionali che devono comparare l'interesse
alla realizzazione dell'opera con altri interessi.
2. Il rilascio della concessione in deroga è
possibile se e nei limiti in cui non pregiudichi in termini
significativi gli standard urbanistici, specie quando,
l'intervento in progetto, per come prospettato dallo stesso
richiedente nella relazione che accompagna la richiesta di
concessione, appaia non certo minimale, ma di rilevante
consistenza (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.03.2008 n. 540
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’istituto della concessione edilizia
ovvero del permesso di costruire in deroga alle previsioni
di piano può riguardare esclusivamente i limiti di densità
edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, ma non
può essere utilizzato per travolgere le esigenze di ordine
urbanistico a suo tempo recepite, nel senso che non possono
costituire oggetto di deroga "le destinazioni di zona che
attengono all'impostazione stessa del piano regolatore
generale e ne costituiscono le norme direttrici".
Non può in alcun modo ritenersi che il rilascio dei permessi
in deroga, in assenza dell’approvazione di una specifica
variante al P.R.G., comporti l’automatica trasformazione del
regime edificatorio delle aree interessate.
Come
ha sottolineato la giurisprudenza, l’istituto della
concessione edilizia ovvero del permesso di costruire in
deroga alle previsioni di piano –ai sensi dell’art.
41-quater della legge 17.08.1942 n.1150, introdotto
dall’art. 16 della legge 06.08.1965 n. 765, poi confluito
nell’art. 14 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380– può riguardare
esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di
distanza tra i fabbricati, ma non può essere utilizzato per
travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo
recepite, nel senso che non possono costituire oggetto di
deroga "le destinazioni di zona che attengono
all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne
costituiscono le norme direttrici" (TAR Lombardia
Milano, sez. II, 20.12.2004, n. 6486).
A maggior ragione, nel caso di specie, non può in alcun modo
fondatamente ritenersi che il rilascio dei permessi in
deroga, in assenza dell’approvazione di una specifica
variante al P.R.G., abbia comportato l’automatica
trasformazione del regime edificatorio delle aree
interessate dal complesso ricettivo in questione. Al
riguardo, è comunque dirimente il rilievo per cui il fondo
interessato dall’intervento oggetto della presente
controversia (particella n. 2385) non è neppure compreso tra
quelli ove insistono le opere sanate con i due menzionati
permessi in deroga
(TAR Campania-Napoli, Sez.
II,
sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
1. Permesso di costruire ex art. 15, comma 4 del
D.P.R. n. 380/2001 rilasciato in deroga agli strumenti
urbanistici sulla base di una normativa che lo legittimava -
Sopravvenuta normativa che non ammette deroghe prima
dell'inizio lavori - Decadenza.
2. Sopravvenienza di legge regionale che sancisce la deroga
agli strumenti urbanistici nel recupero dei sottotetti a
fini abitativi - Carenza di interesse del ricorrente
all'impugnazione di un titolo abilitativo di recupero
sottotetto in deroga agli strumenti urbanistici rilasciato
in vigenza di normativa che non prevede tale deroga - Non
sussiste - Verifica della rispondenza ai requisiti di legge,
anche sopravvenuti, del titolo abilitativi da parte della PA
- Necessità.
3. Posa di un ponteggio su terrazzo e/o apertura praticata
sul tetto - Inizio lavori - Non sussiste.
1. Ai sensi dell'art. 15, comma 4 del D.P.R.
380/2001 il permesso di costruire rilasciato in deroga a
previsioni urbanistiche, sulla base di una normativa che lo
legittimava, decade qualora, prima che siano iniziati i
lavori, sopravvenga una nuova normativa che non ammette le
deroghe consentite in precedenza.
2. La sopravvenienza di una ulteriore legge regionale
(L.R. n. 20/2005) che modifica il regime giuridico del
recupero dei sottotetti, ripristinando la possibilità di
deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di
pianificazione comunale, non determina la sopravvenuta
carenza di interesse di chi abbia impugnato il permesso di
costruire rilasciato a terzi per il recupero di sottotetti a
fini abitativi in deroga agli strumenti urbanistici in
vigenza della L.R. n. 12/2005 che, prima delle modifiche
apportate alla stessa dalla L.R. n. 20/2005, non prevedeva
espressamente tale deroga, e ciò in quanto è in ogni caso il
titolare della potestà amministrativa che deve verificare
che il permesso di costruire, rispetti tutti i requisiti di
cui alla L.R. n. 12/2005, come modificata dalla L.R. n.
20/2005.
3. La posa di un ponteggio su un terrazzo o
l'apertura praticata sul tetto non possono considerarsi
fatti da cui desumere l'inizio lavori (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 08.11.2007 n. 6207
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Richiesta di permesso di costruire in deroga ai
sensi dell’art. 14 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Il Comune fa presente che gli “Istituti Riuniti di
beneficenza” del Comune “hanno inoltrato una
richiesta riguardo la possibilità dì deroga prevista
dall’art. 14 dei D.P.R. 380/2001 e s.m.i. in ordine al
limite di densità edilizia e di altezza, per la
realizzazione dell’ampliamento della Casa di Riposo e della
residenza protetta in adeguamento alla L.R. 20/2002 e s.m.i.”
e che a tal proposito hanno precisato di essere “una
Istituzione pubblica di Assistenza e Beneficenza (IPAB) e
quindi Ente pubblico a tutti gli effetti come da statuto
approvato da Giunta Regionale Marche con Decreto
Presidenziale n. 196 del 22.12.1999 Prot. n. 29/196/SAG”.
Il Comune ritiene che “la tipologia dell’intervento e la
natura giudica dei soggetto richiedente determinano la
possibilità di deroga prevista dall’art. 14 del D.P.R.
380/2001 e s.m.i.” e chiede se tale valutazione sia
corretta (Regione Marche,
parere 05.07.2007 n. 58/2007). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Sussiste
la praticabilità, sotto il profilo edilizio, di una deroga
ex art. 14 del DPR 380/2001 circa la realizzazione di una
barriera antirumore a distanza non regolamentare dal
confine.
Pur essendo stata
abbandonata l’originaria qualificazione della barriera
antirumore come recinzione, sostituita da quella più
appropriata di nuova edificazione, non è stato correttamente
impostato il problema dei presupposti per la deroga ex art.
14 del DPR 380/2001, in relazione non più all’altezza ma
alla distanza dal confine.
La tesi della ricorrente secondo
cui su questo punto avrebbe dovuto pronunciarsi il consiglio
comunale è condivisibile, in quanto la predetta norma
collega la deroga all’esame dello stesso organo avente
competenza sul PRG, introducendo un’ipotesi di variante
singolare. A questo aspetto formale si aggiunge quello più
importante di diritto sostanziale che riguarda la
possibilità di definire la barriera antirumore come opera di
interesse pubblico.
Per inciso si osserva che se la prospettazione della ricorrente fosse palesemente infondata
il Comune avrebbe potuto evitare di sottoporre la questione
della deroga al consiglio comunale, in quanto gli uffici
preposti alla materia edilizia possono fare da filtro nei
confronti delle istanze che non hanno alcuna possibilità di
essere accolte.
Nel caso in esame, tuttavia, l’opera per cui è
chiesta la deroga svolge una funzione del tutto coerente con
l’interesse pubblico al rispetto dei limiti di rumorosità
vigenti nella zona. Si tratta di un obiettivo fissato
direttamente dalla legge che il Comune ha ribadito
attraverso due ordinanze rimettendo la soluzione tecnica
alla stessa ricorrente senza individuare in astratto una
specifica modalità di abbattimento delle immissioni sonore.
In sostanza, la posizione del Comune può essere divisa in
due parti. Nelle premesse il Comune (come si è visto sopra
al punto 9) effettua un corretto bilanciamento degli
interessi coinvolti, in quanto non utilizza il problema
dell’inquinamento acustico per espellere un’attività
produttiva da una zona dove la stessa è insediata da molto
tempo. Passando alle conclusioni, tuttavia, il Comune ritiene
che la presenza di un interesse privato escluda quello
pubblico, e in questo modo incorre in un vizio logico perché
abbandona la proporzione tra il fine (abbattimento della
rumorosità) e il mezzo (limiti all’attività dei privati).
È quindi necessario cancellare la decisione negativa del
Comune e affermare coerentemente con le premesse la
praticabilità sotto il profilo edilizio di una deroga ex
art. 14 del DPR 380/2001 (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 26.06.2007 n. 578 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Deve smentirsi
l’affermazione circa la presunta inderogabilità assoluta
della distanza minima di 10 m. tra fabbricati di nuova
costruzione, prevista per le Zone omogenee diverse da quella
A.
Come noto, l’ordinamento statale consente deroghe alle
distanze minime con normative locali, purché siffatte
deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali
ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone
del territorio.
Tali principi si ricavano dall’art. 873 c.c. e dall’ultimo
comma dell’art. 9, d.m. n. 1444 del 1968 emesso ai sensi
dell’art. 41-quinquies della l. n. 1150 del 1941, avente
efficacia precettiva ed inderogabile, secondo un consolidato
indirizzo giurisprudenziale.
In primo luogo deve smentirsi l’affermazione circa la presunta
inderogabilità assoluta della distanza minima di 10 m. tra
fabbricati di nuova costruzione, prevista per le Zone
omogenee diverse da quella A.
Come noto, l’ordinamento statale consente deroghe alle
distanze minime con normative locali, purché siffatte
deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali
ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone
del territorio.
Tali principi si ricavano dall’art. 873 c.c.
e dall’ultimo comma dell’art. 9, d.m. n. 1444 del 1968
emesso ai sensi dell’art. 41-quinquies della l. n. 1150 del
1941, avente efficacia precettiva ed inderogabile, secondo
un consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr. Corte
cost., 16.06.2005, n. 232; Cass., sez. un., 22.11.1994, n.
9871) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.03.2007 n. 1206 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Le norme in materia di
concessioni edilizie in deroga devono essere interpretate
restrittivamente, e cioè nel senso:
• che le deroghe al p.r.g. non possono travolgere le
esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel
piano;
• e che non possono costituire oggetto di deroga le
destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa
del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme
direttrici, cosicché rientrano tra le prescrizioni
derogabili solo le norme di dettaglio, che non involgono i
criteri di impostazione e le linee direttrici dello
strumento urbanistico.
---------------
L'adozione di un provvedimento concessorio "in deroga"
presuppone una congrua valutazione comparativa tra le
"eccezionali" ragioni che potrebbero giustificare la deroga
e la situazione di diritto e di fatto sulla quale il
provvedimento verrebbe ad incidere. Di tale valutazione deve
adeguatamente darsi atto nella motivazione del
provvedimento.
Nel caso di specie tale congrua motivazione difetta
palesemente, essendosi il Consiglio Comunale limitato ad
osservare che <la domanda di concessione edilizia ha per
oggetto … la realizzazione di una pista di Kart fuoristrada,
struttura idonea a favorire la promozione di attività
sportivo-ricreative e pertanto di un’opera “di interesse
qualificato dalla sua rispondenza ai fini perseguiti
dall’Amministrazione Pubblica>, laddove, era, viceversa
richiesta una specifica giustificazione in ordine
all’effettiva finalità pubblicistica non già di un consueto
impianto sportivo, bensì di una così particolare struttura
ricreativo-sportiva.
Invero, come ancora correttamente rilevato dalla citata memoria
conclusiva, le norme in materia di concessioni edilizie in
deroga devono essere interpretate restrittivamente, e cioè
nel senso:
• che le deroghe al p.r.g. non possono travolgere le
esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel
piano;
• e che (diversamente da quanto opinato nelle premesse della
deliberazione consiliare n. 23/2002, sulla scorta del
richiamo a risalenti pronunce giurisprudenziali) non possono
costituire oggetto di deroga le destinazioni di zona che
attengono all'impostazione stessa del piano regolatore
generale e ne costituiscono le norme direttrici (cfr. da
ultimo: TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20.12.2004,
n. 6486), cosicché rientrano tra le prescrizioni derogabili
solo le norme di dettaglio, che non involgono i criteri di
impostazione e le linee direttrici dello strumento
urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. V, 05.11.1999, n.
1841; Sez. IV, 01.07.1997, n. 1057).
---------------
Costituisce,
infatti, principio pacifico in giurisprudenza che l'adozione
di un provvedimento concessorio "in deroga" presuppone una
congrua valutazione comparativa tra le "eccezionali" ragioni
che potrebbero giustificare la deroga e la situazione di
diritto e di fatto sulla quale il provvedimento verrebbe ad
incidere; e che di tale valutazione deve adeguatamente darsi
atto nella motivazione del provvedimento (Consiglio Stato,
sez. V, 03.02.1997, n. 132, richiamata anche da parte
ricorrente): principio recentemente ribadito dallo stesso
Consiglio di Stato (Sez. V, 28.06.2004, n. 4759), con
riferimento al rilascio di una concessione in deroga al
regime delle distanze come disciplinato dal p.r.g..
Orbene, nel caso di specie tale congrua motivazione difetta
palesemente, essendosi il Consiglio Comunale limitato ad
osservare che <la domanda di concessione edilizia ha per
oggetto … la realizzazione di una pista di Kart fuoristrada,
struttura idonea a favorire la promozione di attività
sportivo-ricreative e pertanto di un’opera “di interesse
qualificato dalla sua rispondenza ai fini perseguiti
dall’Amministrazione Pubblica>, laddove, era, viceversa
richiesta una specifica giustificazione in ordine
all’effettiva finalità pubblicistica non già di un consueto
impianto sportivo, bensì di una così particolare struttura ricreativo-sportiva
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 21.06.2006 n. 875 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La possibilità di rilasciare permessi di
costruire in deroga anche ai limiti di densità edilizia,
quando l’intervento corrisponda ad un interesse pubblico, è
stata espressamente confermata dall’art. 14 del t.u.
approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, senza, però, la
limitazione alle sole ipotesi espressamente previste dal
piano regolatore e dal regolamento edilizio, come a suo
tempo stabilito dall’abrogato art. 41-quater della legge
urbanistica n. 1150/1942, e questa nuova previsione del
testo unico prevale, ai sensi del relativo l’art. 2, III
comma, anche sulle norme regionali sino a quando non saranno
ad esso adeguate.
Orbene, proprio perché il permesso di costruire in deroga
agli strumenti urbanistici vigenti è subordinata ad un
discrezionale apprezzamento dell’interesse pubblico che ne
giustifica il rilascio, è evidente che la sua valutazione
attiene al merito amministrativo.
E’ noto, però, che il merito amministrativo non è
sindacabile dal Giudice amministrativo, se non per manifesta
erroneità o illogicità, che, ad avviso del Collegio, non
sono affatto ravvisabili nel caso in esame: infatti, non è
affatto di per sé illogico o manifestamente erroneo
ravvisare un effettivo interesse generale della collettività
a che siano incrementati i servizi svolti anche da soggetti
privati nell’ambito di una zona portuale di notoria
rilevanza nazionale e internazionale.
Sussistono, inoltre, ad avviso del Collegio, anche i
presupposti indicati nell’art. 11, I comma, della legge n.
241/1990, per l’adozione di un accordo sostitutivo del
formale provvedimento altrimenti necessario, cioè la sua
discrezionalità e la contemporanea presenza, appunto, di un
interesse pubblico.
Dall’esame della deliberazione 27.10.2004 n. 132 del
Consiglio comunale di Ancona e dell’allegato schema di
convenzione, deduce il Collegio che, in sostanza, il Comune
di Ancona ha inteso rilasciare –tramite, appunto, accodo
sostitutivo del formale provvedimento amministrativo ai
sensi dell’art. 11 della legge n. 241/1990- un permesso di
costruire “temporaneo” ed in “deroga” -anche
se questa ultima espressione non è espressamente menzionata
negli atti sopra indicati– ritenendo ciò possibile per due
distinti motivi, cioè l’interesse pubblico insito nella
realizzazione del progetto, in quanto diretto ad
incrementare i servizi svolti nell’ambito dell’area
portuale, e la sua conformità alle previsioni del piano
particolareggiato esecutivo del Porto, allo stato solo
adottato.
La possibilità di rilasciare permessi di costruire in deroga
anche ai limiti di densità edilizia, quando l’intervento
corrisponda ad un interesse pubblico, è stata, infatti,
espressamente confermata dall’art. 14 del t.u. approvato con
D.P.R. 06.06.2001 n. 380, senza, però, la limitazione alle
sole ipotesi espressamente previste dal piano regolatore e
dal regolamento edilizio, come a suo tempo stabilito
dall’abrogato art. 41-quater della legge urbanistica n.
1150/1942, e questa nuova previsione del testo unico
prevale, ai sensi del relativo l’art. 2, III comma, anche
sulle norme regionali sino a quando non saranno ad esso
adeguate.
Orbene, proprio perché il permesso di costruire in deroga
agli strumenti urbanistici vigenti è subordinata ad un
discrezionale apprezzamento dell’interesse pubblico che ne
giustifica il rilascio, è evidente che la sua valutazione
attiene al merito amministrativo.
E’ noto, però, che il merito amministrativo non è
sindacabile dal Giudice amministrativo, se non per manifesta
erroneità o illogicità, che, ad avviso del Collegio, non
sono affatto ravvisabili nel caso in esame: infatti, non è
affatto di per sé illogico o manifestamente erroneo
ravvisare un effettivo interesse generale della collettività
a che siano incrementati i servizi svolti anche da soggetti
privati nell’ambito di una zona portuale di notoria
rilevanza nazionale e internazionale.
Sussistono, inoltre, ad avviso del Collegio, anche i
presupposti indicati nell’art. 11, I comma, della legge n.
241/1990, per l’adozione di un accordo sostitutivo del
formale provvedimento altrimenti necessario, cioè la sua
discrezionalità e la contemporanea presenza, appunto, di un
interesse pubblico.
Per altro verso, neppure sussiste l’impedimento del
pregiudizio ai diritti dei terzi, in quanto questi diritti
–proprio perché si tratta di accordo sostitutivo di uno
specifico provvedimento amministrativo- sono quelli
strettamente connessi alla natura ed alle finalità del
permesso di costruire, cioè quelli derivanti dalla piena
disponibilità dell’area da parte del richiedente e, di
contro, dall’assenza di eventuali limitazioni a favore di
terzi e sulla stessa gravanti.
Del resto, ipotizzare che ogni pregiudizio, anche indiretto,
possa impedire l’utilizzo dell’accordo sostitutivo di un
provvedimento amministrativo, comporta, di fatto, la sua
inutilità pratica, dal momento che ogni atto amministrativo
arreca, in linea di principio, dei vantaggi per alcuni
soggetti e dei pregiudizi per altri soggetti (TAR Marche,
sentenza 14.06.2006 n. 441 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia in deroga
solo per opere di interesse generale.
L’intervento in deroga
può ritenersi ammissibile solo se ed in
quanto le opere autorizzate sono risultate
per certo destinate a finalità di interesse
pubblico (nella specie, all’uso alberghiero
e, più precisamente, a casa albergo); solo
in tal caso, infatti, l’ordinamento consente
–in presenza della previsione di tale
specifico potere in seno allo strumento di
pianificazione comunale– di derogare alla
ordinaria disciplina pianificatoria.
Poiché spettava, nella specie, alla Regione
l’individuazione del carattere di interesse
pubblico presentato dall’edificio per il
quale era richiesto il nulla osta al
rilascio della concessione in deroga, ne
consegue che la regione stessa ben poteva e
doveva sindacare se effettivamente
sussistessero i presupposti
giuridico-fattuali attestanti, al di là di
ogni ragionevole dubbio, che effettivamente
le opere da realizzare fossero finalizzate
alla soddisfazione di un siffatto interesse
pubblico.
Confermando la sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale per il Molise (cfr.
sentenza 12.11.1999, n. 478), la Sezione V
del Consiglio di Stato ha acclarato la
legittimità di un diniego di concessione
edilizia, richiesta in deroga agli strumenti
urbanistici locali: nella fattispecie, si
trattava di un’istanza di privati volta ad
ottenere una concessione facendo eccezione
alle previsioni urbanistiche ed edilizie
locali per l’aumento di volumetria di un
immobile sito nel centro storico cittadino
(come ricorda il Collegio, si trattava
dell’elevazione, per tre piani, di un
edificio, comportante un aumento di
volumetria di quasi 5.600 mc., destinati
alla realizzazione di diciassette unità
abitative).
A ciò si aggiunga che la realizzazione di
questa “casa albergo” presentava non
poche anomalie (mancanza di locali adibiti a
lavanderia, di servizio bar etc. gestiti
dalla stessa società alberghiera; assenza
della previsione che gli acquirenti delle
singole unità abitative destinassero le
stesse alla società alberghiera), per cui la
Regione ha ben ritenuto che tale
sistemazione non avrebbe assicurato, di
fatto, «l’effettiva utilizzazione
ricettiva analoga a quella alberghiera che,
in ipotesi, avrebbe potuto giustificare
l’intervento in questione in quanto
intervento di interesse pubblico; inoltre,
la trasformazione edilizia avrebbe
comportato il mancato rispetto degli
standards urbanistici per ciò che atteneva
alla dotazione minima dei parcheggi», da
ultimo determinando il diniego di nulla-osta
per l’evidente e concreta mancanza di
interesse pubblico e di ogni pubblica
utilità (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.01.2006 n. 46 - link a
www.altalex.com). |
anno 2004 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Sotto
il profilo formale, il rilasciato titolo
edilizio "in deroga" difetta di idonea
motivazione.
Trattandosi, invero, di determinazione in
deroga rispetto al regime ordinario di PRG,
la stessa avrebbe dovuto essere
adeguatamente motivata; non si verte più,
infatti, al contrario di quanto dedotto
dagli appellati, in tema di atto vincolato,
ma, al contrario, di provvedimento
caratterizzato proprio dalla più ampia
discrezionalità (come osservato dal Comune
nelle proprie difese, esso poggerebbe, in
effetti, su valutazioni discrezionali e di
opportunità; salvo, poi, nelle stesse difese
affermarsi che, trattandosi di atto
vincolato, lo stesso non avrebbe richiesto
motivazione alcuna; ma, se si tratta di atto
in deroga basato su scelte discrezionali,
non può, poi, logicamente parlarsi di
vincolatezza dell’atto medesimo).
Per ciò stesso, tale provvedimento -anche in
quanto manifestamente in grado di incidere
sugli interessi di altri consociati che,
nelle norme sulle distanze, vedono legittimi
strumenti di tutela sia sotto il profilo di
un dignitoso assetto urbanistico, sia sotto
quello della tutela dell’incolumità in zona
sismica, sia sotto quello, pure sotteso alla
disciplina pianificatoria urbanistica, della
tutela igienico-sanitaria- avrebbe richiesto
una specifica e puntuale motivazione circa
le ragioni giustificatrici della deroga e
della prevalenza, in particolare, delle
considerazioni relative alla coerenza del
tessuto urbano sulle altre ora dette.
Ragioni che, si ripete, avrebbero dovuto
estendersi anche a considerare l’interesse
di quei soggetti, protetti e tutelati dalla
disciplina sulle distanze, che il
provvedimento stesso era in grado di
sacrificare; soggetti che, anche tenuto
conto dei principi enucleabili dalla legge
n. 241/1990, avrebbero dovuto, quanto meno,
poter conoscere, attraverso idonea
motivazione dell’atto discrezionale
impugnato, le ragioni specifiche poste a
supporto di una deroga siffatta e tali da
consentire il legittimo sacrificio
dell’interesse tutelato ora detto.
Il provvedimento impugnato, per contro, si
limita ad esprimere “parere favorevole in
quanto la proposta progettuale rispecchia la
caratteristica edilizia ed urbanistica della
zona”, laddove, dagli atti istruttori
allegati alla pratica edilizia, emergeva
chiaramente –e la questione era
espressamente rimessa alle valutazioni della
Commissione edilizia– la problematica
relativa al mancato rispetto delle distanze
dalle strade comunali; per converso, non
affronta assolutamente la tematica relativa
alle posizioni tutelate di altri soggetti e,
in particolare, all’eventuale presenza in
loco di luci o vedute che, data la notevole
ristrettezza del vico comunale, sarebbero
state, se direttamente prospicienti,
sicuramente sacrificate.
Nel difetto di ogni valida motivazione sul
punto in questione, il provvedimento appare,
per ciò stesso, illegittimo, non potendo,
comunque, la motivazione medesima essere
integrata in sede defensionale, né, tanto
meno, dal giudice chiamato a pronunciarsi
sulla controversia insorta in proposito.
---------------
Sotto il profilo sostanziale, vi è da rilevare che le
concessioni in deroga possono essere accordate in casi
eccezionali ai sensi del disposto di cui all’art. 41-quater
della L.U. n. 1150/1942, secondo cui: “i poteri di deroga
previsti da norme di piano regolatore e di regolamento
edilizio possono essere esercitati limitatamente ai casi di
edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico e
sempre con l'osservanza dell'art. 3 della legge 21.12.1955, n. 1357. L’autorizzazione è accordata dal sindaco
previa deliberazione del Consiglio comunale”.
Ebbene, nella specie non solo i poteri di deroga non sono
contemplati dalla norma di PRG, ma la deroga non consegue
neppure a delibera consiliare.
Ritenere, poi, che la deroga sia ammissibile
in quanto si tratterebbe, nella specie, di intervento
edilizio del tutto residuale in un ambito edilizio già
completamente asservito all’edificazione, appare conclusione
non corretta, sia perché non sorretta da alcun argomento
normativo testuale, sia perché si rivela contraria ad
elementari principi della logica e del diritto urbanistico,
posto che in tal modo il Comune verrebbe a consentire il
libero svolgimento di un’attività edificatoria svincolata da
qualunque limite o indice che non sia quello di ordine
estetico dell’allineamento dei fabbricati, con intuibili
effetti devastanti sul corretto assetto dell’insediamento
abitativo.
E ciò non senza considerare, inoltre, che l'articolo 3,
primo comma, della legge 21.12.1955, n. 1357, prevede
che: "il rilascio di licenza edilizia in applicazione di
disposizioni le quali consentono ai Comuni di derogare alle
norme di regolamento edilizio e di attuazione dei piani
regolatori è subordinato al preventivo nulla osta della
Sezione urbanistica regionale….”; e che nella specie non vi
è stata alcuna richiesta in tal senso.
Ma vi è anche da notare che l’art. 19 delle NTA del PRG non
prevede la possibilità di derogare alle altre disposizioni
ivi contenute, se è vero che esso stesso disciplina le
distanze dai fabbricati, senza alcun riferimento, per
queste, a possibili deroghe; e che, laddove prevede che, in
margine allo spazio pubblico, la costruzione di edifici di
tipo a cortina (che non rientrano nelle ordinarie
caratteristiche di zona, che è caratterizzata da edifici
isolati) può essere consentita, ciò fa recando deroga solo
per quanto attiene alla distanza dalla strada pubblica o dai
confini di proprietà, ma non da altri edifici, ancorché da
quella separati; e, inoltre, lo fa solo ai fini del
“completamento del contorno di un isolato prevalentemente
costruito in tal modo, per evitare l’esposizione di muri
nudi di frontespizio”, laddove, nel caso in esame, l’isolato
di cui si tratta si estendeva per una lunghezza di circa mt.
32, ma era occupato per una lunghezza di soli mt. 14 e,
quindi, non poteva logicamente parlarsi di completamento di
un isolato già prevalentemente costruito a cortina, dal
momento che l’isolato stesso era, in prevalenza almeno,
inedificato.
La norma, in conclusione, vale a consentire, essenzialmente,
di derogare alla tipologia edilizia di zona, individuata
espressamente nell’edilizia a tipo aperto ad edifici
isolati, risolti architettonicamente su tutte le fronti,
consentendo, così, di realizzare il completamento di edifici
a cortina anche in margine allo spazio pubblico; e se,
quindi, consente di derogare alla disciplina relativa alle
distanze dal ciglio stradale e dai confini di proprietà, non
altrettanto fa, invece, con riguardo alla disciplina sulle
distanze rispetto ad altri fabbricati che, nel caso di
completamento edilizio, è di mt. 12, mentre in caso di
ristrutturazione è di mt. 14.
Né, in contrario, può essere utilmente invocato l’art. 31
del locale regolamento edilizio, che consente l’allineamento
con riguardo alle nuove costruzioni previste in aderenza con
il suolo pubblico; si tratta, infatti, di una disposizione
di carattere generale in grado di operare fino a che non si
scontri con altre disposizioni con essa incompatibili, quali
quelle di cui si discute; la norma, del resto, appare
conforme alla disciplina di PRG sugli edifici a cortina, il
cui completamento può avvenire anche lungo la strada
pubblica e in deroga, dallo stesso PRG ammessa, alla
disciplina sulle distanze dalla strada e dai confini, ma
non, come si ripete, alla disciplina sulle distanze da altri
fabbricati.
Con la sentenza appellata il TAR ha respinto il ricorso
proposto dall’odierna appellante per l’annullamento della
concessione edilizia 26.01.1995, n. 16, rilasciata al
controinteressato, sig. M.B., dal Comune di Reggio
Calabria, per la realizzazione di un edificio di civile
abitazione in località Gallico.
Per l’appellante la sentenza sarebbe erronea in quanto il
titolo edificatorio sarebbe stato rilasciato in dispregio
della disciplina urbanistica di zona e di disposizioni
normative che non avrebbero ammesso, contrariamente a quanto
ritenuto dai primi giudici, il rilascio di concessione in
deroga; inoltre, il titolo in questione, pur derogatorio,
non sarebbe stato accompagnato da alcuna valida motivazione.
...
4) - Nel merito, deduce, anzitutto, l’appellante che non
sarebbero affatto sussistiti i requisiti per accordare la
concessione in regime derogatorio e che, comunque,
l’Amministrazione non avrebbe offerto alcuna valida
motivazione in merito alle ragioni che supportavano la
deroga stessa.
Tali censure appaiono fondate.
Lo stesso TAR, con capo di decisione che non è stato fatto
oggetto di gravame incidentale da parte del Comune e del
controinteressato, ha riconosciuto che, effettivamente,
nella specie si sia derogato al regime delle distanze, così
come disciplinato dal PRG con riguardo alla zona in
questione (pag. 11 della sentenza appellata: “deve, inoltre,
evidenziarsi come la questione sottoposta al Collegio –stante la difformità della costruzione assentita dalle
prescrizioni di cui all’art. 19 delle NTA relative alle
distanze da osservarsi sia con riguardo agli interventi di
completamento edilizio, sia di ristrutturazione– coinvolge
l’esame della problematica relativa alla possibilità di
rilascio di concessioni edilizie in deroga a dette
prescrizioni in relazione alle caratteristiche urbanistiche
ed edilizie già impresse alla zona sulla quale va ad
incidere l’erigenda costruzione”).
Per tale ragione, essendo mancato ogni motivo d’appello
incidentale volto a sindacare il riconoscimento, da parte
dei primi giudici (in adesione a quanto dedotto dalla
ricorrente con il primo motivo dell’originario ricorso),
della violazione del disposto sulle distanze di cui all’art.
19 del PRG, ne discende che sulla violazione di tale norma
da parte del Comune, in sede di rilascio del titolo
concessorio, non è più possibile discutere.
5) - Il discorso si sposta, allora, sulla legittimità della
deroga posta a fondamento del provvedimento impugnato.
Ad avviso del Collegio, il rilascio della concessione in
deroga appare viziato sia sotto il profilo formale che sotto
quello sostanziale.
5.1) - Sotto il profilo formale, il titolo in questione
difetta di idonea motivazione.
Trattandosi, invero, di determinazione in deroga rispetto al
regime ordinario di PRG, la stessa avrebbe dovuto essere
adeguatamente motivata; non si verte più, infatti, al
contrario di quanto dedotto dagli appellati, in tema di atto
vincolato, ma, al contrario, di provvedimento caratterizzato
proprio dalla più ampia discrezionalità (come osservato dal
Comune nelle proprie difese, esso poggerebbe, in effetti, su
valutazioni discrezionali e di opportunità; salvo, poi,
nelle stesse difese affermarsi che, trattandosi di atto
vincolato, lo stesso non avrebbe richiesto motivazione
alcuna; ma, se si tratta di atto in deroga basato su scelte
discrezionali, non può, poi, logicamente parlarsi di
vincolatezza dell’atto medesimo).
Per ciò stesso, tale provvedimento -anche in quanto
manifestamente in grado di incidere sugli interessi di altri
consociati che, nelle norme sulle distanze, vedono legittimi
strumenti di tutela sia sotto il profilo di un dignitoso
assetto urbanistico, sia sotto quello della tutela
dell’incolumità in zona sismica, sia sotto quello, pure
sotteso alla disciplina pianificatoria urbanistica, della
tutela igienico-sanitaria- avrebbe richiesto una specifica
e puntuale motivazione circa le ragioni giustificatrici
della deroga e della prevalenza, in particolare, delle
considerazioni relative alla coerenza del tessuto urbano
sulle altre ora dette.
Ragioni che, si ripete, avrebbero dovuto estendersi anche a
considerare l’interesse di quei soggetti, protetti e
tutelati dalla disciplina sulle distanze, che il
provvedimento stesso era in grado di sacrificare; soggetti
che, anche tenuto conto dei principi enucleabili dalla legge
n. 241/1990, avrebbero dovuto, quanto meno, poter conoscere,
attraverso idonea motivazione dell’atto discrezionale
impugnato, le ragioni specifiche poste a supporto di una
deroga siffatta e tali da consentire il legittimo sacrificio
dell’interesse tutelato ora detto.
Il provvedimento impugnato, per contro, si limita ad
esprimere “parere favorevole in quanto la proposta
progettuale rispecchia la caratteristica edilizia ed
urbanistica della zona”, laddove, dagli atti istruttori
allegati alla pratica edilizia, emergeva chiaramente –e la
questione era espressamente rimessa alle valutazioni della
Commissione edilizia– la problematica relativa al mancato
rispetto delle distanze dalle strade comunali; per converso,
non affronta assolutamente la tematica relativa alle
posizioni tutelate di altri soggetti e, in particolare,
all’eventuale presenza in loco di luci o vedute che, data la
notevole ristrettezza del vico comunale, sarebbero state, se
direttamente prospicienti, sicuramente sacrificate.
Nel difetto di ogni valida motivazione sul punto in
questione, il provvedimento appare, per ciò stesso,
illegittimo, non potendo, comunque, la motivazione medesima
essere integrata in sede defensionale, né, tanto meno, dal
giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia insorta
in proposito.
5.2) – Sotto il profilo sostanziale, vi è da rilevare che le
concessioni in deroga possono essere accordate in casi
eccezionali ai sensi del disposto di cui all’art. 41-quater
della L.U. n. 1150/1942, secondo cui: “i poteri di deroga
previsti da norme di piano regolatore e di regolamento
edilizio possono essere esercitati limitatamente ai casi di
edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico e
sempre con l'osservanza dell'art. 3 della legge 21.12.1955, n. 1357. L’autorizzazione è accordata dal sindaco
previa deliberazione del Consiglio comunale”.
Ebbene, nella specie non solo i poteri di deroga non sono
contemplati dalla norma di PRG, ma la deroga non consegue
neppure a delibera consiliare.
Ritenere, poi, come fa il TAR, che la deroga sia ammissibile
in quanto si tratterebbe, nella specie, di intervento
edilizio del tutto residuale in un ambito edilizio già
completamente asservito all’edificazione, appare conclusione
non corretta, sia perché non sorretta da alcun argomento
normativo testuale, sia perché si rivela contraria ad
elementari principi della logica e del diritto urbanistico,
posto che in tal modo il Comune verrebbe a consentire il
libero svolgimento di un’attività edificatoria svincolata da
qualunque limite o indice che non sia quello di ordine
estetico dell’allineamento dei fabbricati, con intuibili
effetti devastanti sul corretto assetto dell’insediamento
abitativo (cfr. la decisione della Sezione 30.09.2002
n. 5059).
E ciò non senza considerare, inoltre, che l'articolo 3,
primo comma, della legge 21.12.1955, n. 1357, prevede
che: "il rilascio di licenza edilizia in applicazione di
disposizioni le quali consentono ai Comuni di derogare alle
norme di regolamento edilizio e di attuazione dei piani
regolatori è subordinato al preventivo nulla osta della
Sezione urbanistica regionale….”; e che nella specie non vi
è stata alcuna richiesta in tal senso (in punto di
illegittimità della deroga in carenza di acquisizione del
detto N.O., cfr. la decisione della Sezione 20.06.2001,
n. 3254).
Ma vi è anche da notare che l’art. 19 delle NTA del PRG non
prevede la possibilità di derogare alle altre disposizioni
ivi contenute, se è vero che esso stesso disciplina le
distanze dai fabbricati, senza alcun riferimento, per
queste, a possibili deroghe; e che, laddove prevede che, in
margine allo spazio pubblico, la costruzione di edifici di
tipo a cortina (che non rientrano nelle ordinarie
caratteristiche di zona, che è caratterizzata da edifici
isolati) può essere consentita, ciò fa recando deroga solo
per quanto attiene alla distanza dalla strada pubblica o dai
confini di proprietà, ma non da altri edifici, ancorché da
quella separati; e, inoltre, lo fa solo ai fini del
“completamento del contorno di un isolato prevalentemente
costruito in tal modo, per evitare l’esposizione di muri
nudi di frontespizio”, laddove, nel caso in esame, l’isolato
di cui si tratta si estendeva per una lunghezza di circa mt.
32, ma era occupato per una lunghezza di soli mt. 14 e,
quindi, non poteva logicamente parlarsi di completamento di
un isolato già prevalentemente costruito a cortina, dal
momento che l’isolato stesso era, in prevalenza almeno,
inedificato.
La norma, in conclusione, vale a consentire, essenzialmente,
di derogare alla tipologia edilizia di zona, individuata
espressamente nell’edilizia a tipo aperto ad edifici
isolati, risolti architettonicamente su tutte le fronti,
consentendo, così, di realizzare il completamento di edifici
a cortina anche in margine allo spazio pubblico; e se,
quindi, consente di derogare alla disciplina relativa alle
distanze dal ciglio stradale e dai confini di proprietà, non
altrettanto fa, invece, con riguardo alla disciplina sulle
distanze rispetto ad altri fabbricati che, nel caso di
completamento edilizio, è di mt. 12, mentre in caso di
ristrutturazione è di mt. 14.
Né, in contrario, può essere utilmente invocato l’art. 31
del locale regolamento edilizio, che consente l’allineamento
con riguardo alle nuove costruzioni previste in aderenza con
il suolo pubblico; si tratta, infatti, di una disposizione
di carattere generale in grado di operare fino a che non si
scontri con altre disposizioni con essa incompatibili, quali
quelle di cui si discute; la norma, del resto, appare
conforme alla disciplina di PRG sugli edifici a cortina, il
cui completamento può avvenire anche lungo la strada
pubblica e in deroga, dallo stesso PRG ammessa, alla
disciplina sulle distanze dalla strada e dai confini, ma
non, come si ripete, alla disciplina sulle distanze da altri
fabbricati.
6) – Come deduce l’appellante, la concessione edilizia in
esame è illegittima anche per violazione del disposto di cui
all’art. 9 del D.M. 02.04.1968, secondo cui: “le distanze
minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali
omogenee sono stabilite come segue:…….2) - nuovi edifici
ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la
distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti……..Le distanze minime tra
fabbricati -tra i quali siano interposte strade destinate
al traffico dei veicoli-.…….debbono corrispondere alla
larghezza della sede stradale maggiorata di: ml. 5 per lato,
per strade di larghezza inferiore a ml. 7…….”.
Ebbene, è vero, come rilevato dal TAR, che si tratta di
disciplina che si applica ai nuovi piani regolatori generali
e relativi piani particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate; non di meno, una volta recepita, come nella
specie, nello strumento pianificatorio, essa viene a far
parte integrante dello stesso e, come tale, non può essere
derogata.
È anche vero, come osservato dal controinteressato nelle
proprie difese, che, ai sensi dell’ultimo comma del citato
art. 9, “sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate
nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che
formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate con previsioni planovolumetriche”; ma tale
facoltà derogatoria, proprio per il carattere di
eccezionalità e, quindi, di stretta interpretazione della
norma, può essere esercitata solo in tali limitate
fattispecie (e proprio in stretta relazione al fatto che la
pianificazione di dettaglio può, eccezionalmente,
consentire, sulla base di un supporto logico-giuridico
adeguato, soluzioni differenti), mentre non può esserne
estesa l’operatività anche ad altre e differenti ipotesi
che, di fatto, verrebbero a sfuggire illogicamente ad ogni
forma pianificatoria.
Può anche convenirsi, con il controinteressato, nel ritenere
che, in presenza di interventi edilizi ricadenti in zone già
ampiamente urbanizzate può, entro certi limiti e a
determinate condizioni, eccezionalmente conseguirsi il
rilascio del singolo titolo concessorio anche nell’ipotesi
in cui, per la zona stessa, sarebbe richiesta l’approvazione
del previo strumento attuativo; ciò, però, non significa
affatto che quelle zone debbano, per ciò stesso, ritenersi
in tutto e per tutto parificate a quelle dotate di strumento
attuativo, così da ammettere la deroga al regime delle
distanze perché, al contrario, la disciplina eccezionale di
cui si discute postula proprio la presenza concreta dello
strumento attuativo.
E, del resto, sarebbe del tutto illogica e incongruente la
possibilità di cumulare il regime che ammette la deroga alla
disciplina sulle distanze -in quanto intimamente correlata,
questa, alla presenza dello strumento attuativo che, in
determinati contesti può, per ragioni connesse alle
caratteristiche dei luoghi, prevedere distanze minori
rispetto a quelle indicate dal citato D.M. del 1968– con
l’ulteriore regime derogatorio che consente, nelle zone per
le quali è espressamente prevista, dal PRG, la redazione
dello strumento attuativo, l’eccezionale realizzazione di
edifici anche in presenza di concessione singola, al di
fuori dello strumento pianificatorio di dettaglio; in tal
caso, infatti, la zona in questione verrebbe, in realtà, ad
essere privata di ogni supporto normativo posto a tutela di
un ordinato assetto urbanistico con specifico riferimento,
almeno per quanto qui interessa, al regime sulle distanze.
8) - Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e
va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza
appellata e in accoglimento del ricorso di primo grado, deve
essere annullata la concessione edilizia in quella sede
impugnata
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.06.2004 n. 4759 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
G. Carlotti,
Il permesso di costruire in deroga e la
ristrutturazione edilizia nel d.p.r. n.
380/2001 (12.03.2004 - link a
www.diritto.it). |
anno 2003 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla questione se gli
alberghi siano o meno qualificabili come opere di interesse
pubblico risulta ad oggi risolta in maniera oscillante e non
univoca dalla giurisprudenza soprattutto a proposito
dell’ammissibilità della concessione edilizia in deroga
(ammessa per gli impianti e edifici pubblici o di interesse
pubblico).
Anche a voler qualificare gli alberghi, in via di mera
ipotesi, come opere di interesse pubblico, tale
qualificazione non crea alcun obbligo, per
l’amministrazione, né di rilasciare la concessione edilizia
in deroga, né di adottare una variante dello strumento
urbanistico.
Invero, sia la concessione in deroga, sia la variante dello
strumento urbanistico, non sono atti dovuti a fronte di
opere di interesse pubblico, ma sono oggetto di poteri
discrezionali, che devono comparare l’interesse alla
realizzazione dell’opera di interesse pubblico con
molteplici altri interessi, quali quello urbanistico,
edilizio, paesistico, ambientale.
---------------
L'art. 41-quater della legge 17.08.1942 n. 1150 e l'art. 3
della legge 21.12.1957 n. 1357, che disciplinano la
possibilità di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai
piani regolatori ed alle norme di regolamento edilizio,
vanno interpretati restrittivamente, nel senso che tali
deroghe non possono travolgere le esigenze di ordine
urbanistico a suo tempo recepite nel piano.
Ne consegue che non possono costituire oggetto di deroga le
destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa
del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme
direttrici.
Ora, si veda espressamente, l’art. 14, t.u. edilizia secondo
cui il permesso di costruire in deroga è ammissibile solo se
la deroga riguardi i limiti di densità edilizia, di altezza
e di distanza tra i fabbricati.
Si può prescindere dalla questione se gli alberghi
siano o meno qualificabili come opere di interesse pubblico,
risolta sinora in maniera oscillante e non univoca dalla
giurisprudenza soprattutto a proposito dell’ammissibilità
della concessione edilizia in deroga (ammessa per gli
impianti e edifici pubblici o di interesse pubblico) in
senso negativo, v.:
● Cass., VI, 26.03.1999: <<La
ristrutturazione di un albergo non rientra fra le opere
pubbliche o di interesse pubblico per le quali, ai sensi
dell’art. 1, 1º comma, lett. l), d.l. 04.11.1988 n. 465, conv. con modif. in l. 30.12.1988 n. 556, la
dichiarazione di compatibilità con i vincoli ambientali e
con gli strumenti urbanistici, ai fini dell’ottenimento del
contributo finanziario dello Stato, può essere sostituita da
una deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi
dell’art. 1, 4º comma, l. 03.01.1978 n. 1>>.
● C. Stato, sez. V, 11.12.1992, n.1428: <<Ai sensi
dell’art. 30 l.reg. Puglia 31.05.1980 n. 56, la
concessione edilizia in deroga può essere rilasciata
«limitatamente ai casi di edifici ed impianti pubblici o di
interesse pubblico», tra i quali non può includersi un
albergo, atteso che l’espressione impianti «di interesse
pubblico», deve essere interpretata in senso restrittivo,
facendovi rientrare solo quegli interventi che, seppure
eseguiti da privati, corrispondono a compiti assunti
direttamente dalla p.a. (quali, per esempio, la
realizzazione di una strada o di un acquedotto)>>.
● C. Stato, sez. V, 25.11.1988, n.774: <<In forza
dell’art.41-quarter, l. 17.08.1942, n. 1150, introdotto
con l’art. 16, l. 06.08.1967, n. 765, la deroga alle norme
del piano regolatore generale o del regolamento edilizio,
può essere esercitata «limitatamente ai casi di edifici ed
impianti pubblici o d’interesse pubblico» e non anche per
l’ampliamento di un edificio privato con destinazione
alberghiera pur se situato in una zona turistica (nella
specie, si è ritenuto che l’interesse turistico ad una
maggiore ricettività alberghiera non potesse essere
preminente rispetto a quello configurato dalle norme del
regolamento edilizio>>.
In senso affermativo v.:
● C. Stato, sez. IV, 28.10.1999,
n. 1641 e C. Stato, sez. V, 15.07.1998, n. 1044:
<<L’ampliamento di una struttura alberghiera rientra fra gli
impianti di interesse pubblico per i quali è consentito il
rilascio di concessione edilizia in deroga ai sensi
dell’art. 41-quater l. 17.08.1942 n. 1150>>.
● C. Stato, sez. V, 10.11.1992, n. 1257: <<La costruzione
da adibire ad esercizio di affittacamere, è annoverabile
nell’ambito degli edifici di interesse pubblico, avuto
riguardo alla sua natura alberghiera, per cui ben può godere
del beneficio previsto dall’art. 80 l.reg. Veneto 27.06.1985 n. 61 (concessione in deroga alle norme e previsioni
nello stesso indicate)>>.
● C. Stato, sez. IV,
06.10.1983, n. 700: <<Ai sensi
dell’art. 16 l. 06.08.1967, n.765, per la qualificazione
di edifici ed impianti di interesse pubblico, occorre avere
riguardo all’interesse pubblico, inteso nella sua accezione
tecnico-giuridica come tipico, qualificato per la sua
corrispondenza agli scopi perseguiti dall’amministrazione, a
prescindere dalla qualità pubblica o privata dei soggetti
che realizzano la costruzione: rientra pertanto nella
previsione dell’art. 16 l’edificio alberghiero che, per le
sue strutture, realizzi funzionalmente l’interesse
turistico, cui la rilevanza pubblica è strettamente
connessa>>).
Invero, anche a voler qualificare gli alberghi, in
via di mera ipotesi, come opere di interesse pubblico, tale
qualificazione non crea alcun obbligo, per
l’amministrazione, né di rilasciare la concessione edilizia
in deroga, né di adottare una variante dello strumento
urbanistico.
Invero, sia la concessione in deroga, sia la variante dello
strumento urbanistico, non sono atti dovuti a fronte di
opere di interesse pubblico, ma sono oggetto di poteri
discrezionali, che devono comparare l’interesse alla
realizzazione dell’opera di interesse pubblico con
molteplici altri interessi, quali quello urbanistico,
edilizio, paesistico, ambientale.
Sin da ora si può osservare, anche al fine dell’esame dei
motivi di ricorso relativi al difetto di motivazione degli
atti impugnati, quanto segue.
Il progetto di ampliamento e ristrutturazione
dell’albergo, nel caso di specie, era in contrasto con la
destinazione di zona dell’area secondo il vigente strumento
urbanistico del Comune di Peschici.
Sicché, non era ammissibile la concessione edilizia in
deroga, consentita dall’art. 41-quater, l. 17.08.1942,
n. 1150, per gli edifici e impianti pubblici e di interesse
pubblico, purché la deroga non riguardi le destinazioni di
zona (in tal senso C. Stato, sez. IV, 01.07.1997, n. 1057:
<<L'art. 41-quater della legge 17.08.1942 n. 1150 e
l'art. 3 della legge 21.12.1957 n. 1357, che disciplinano la
possibilità di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai
piani regolatori ed alle norme di regolamento edilizio,
vanno interpretati restrittivamente, nel senso che tali
deroghe non possono travolgere le esigenze di ordine
urbanistico a suo tempo recepite nel piano; ne consegue che
non possono costituire oggetto di deroga le destinazioni di
zona che attengono all'impostazione stessa del piano
regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici>>,
e, ora, espressamente, l’art. 14, t.u. edilizia, non ancora
in vigore, ma che qui si richiama per il suo valore
esegetico, secondo cui il permesso di costruire in deroga è
ammissibile solo se la deroga riguardi i limiti di densità
edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati) (Consiglio di Stato Sez. VI,
sentenza 07.08.2003 n. 4568 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Con
più recenti pronunce, questo Consiglio ha ritenuto
ammissibili le deroghe al vigente PRG, qualificando le
strutture alberghiere come entità di interesse pubblico,
trattandosi di un servizio offerto alla collettività e
caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la
correlativa possibilità di concessioni in deroga alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore.
D’altra parte, l’art. 16 della legge n. 765/1967, prevede un
potere di deroga alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici per manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti
pubblici) che di interesse pubblico (ossia gestiti da
titolari indifferentemente pubblici o privati, ma destinati
a soddisfare comunque esigenze della collettività di tipo
economico, bancario-assicurativo, culturale, industriale,
igienico, religioso o turistico-alberghiero).
Ed in tal senso depongono la circ. min. n. 3210/1967, l’art.
8 della legge n. 217/1983, e l’art. 5 della legge reg.
Lombardia n. 39/1988, mentre la più consolidata
giurisprudenza ha costantemente riconosciuto il carattere
pubblicistico degli interessi coinvolti nella gestione del
servizio alberghiero in genere, benché gestito da soggetti
privati, in ragione appunto della sua generalizzata
fruibilità collettiva.
Infatti, da lungo tempo l’ordinamento ha disciplinato le
attività alberghiere, considerandole strettamente collegate,
in particolare, agli interessi della sicurezza e della
salute pubblica, nonché dello sviluppo turistico: cfr.
R.D.L. 02.01.1936, n. 276 (conv., con modif., nella legge
24.07.1936, n. 1692), relativo al c.d. vincolo alberghiero,
e R.D.L. 21.10.1937, n. 2180 (conv., con modif., nella legge
25.03.1950, n. 228), concernente la dichiarazione di
pubblica utilità della costruzione di nuovi alberghi e
dell’ampliamento o trasformazione di quelli già esistenti in
Comuni di spiccata rilevanza turistica.
In passato, questo Consiglio si era orientato negativamente
(cfr. Sez. IV, 25.11.1988, n. 774), ma con più recenti
pronunce (cfr. Sez. V, 15.07.1998, n. 1044) ha ritenuto
ammissibili le deroghe in questione, qualificando le
strutture alberghiere come entità di interesse pubblico,
trattandosi di un servizio offerto alla collettività e
caratterizzato da una pubblica fruibilità, con la
correlativa possibilità di concessioni in deroga alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici in vigore.
D’altra parte, l’art. 16 della legge n. 765/1967, prevede un
potere di deroga alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici per manufatti sia pubblici (cioè gestiti da enti
pubblici) che di interesse pubblico (ossia gestiti da
titolari indifferentemente pubblici o privati, ma destinati
a soddisfare comunque esigenze della collettività di tipo
economico, bancario-assicurativo, culturale, industriale,
igienico, religioso o turistico-alberghiero).
Ed in tal senso depongono la circ. min. n. 3210/1967, l’art.
8 della legge n. 217/1983, e l’art. 5 della legge reg.
Lombardia n. 39/1988, mentre la più consolidata
giurisprudenza ha costantemente riconosciuto (come si è
detto) il carattere pubblicistico degli interessi coinvolti
nella gestione del servizio alberghiero in genere, benché
gestito da soggetti privati, in ragione appunto della sua
generalizzata fruibilità collettiva.
Infatti, da lungo tempo l’ordinamento ha disciplinato le
attività alberghiere, considerandole strettamente collegate,
in particolare, agli interessi della sicurezza e della
salute pubblica, nonché dello sviluppo turistico: cfr.
R.D.L. 02.01.1936, n. 276 (conv., con modif., nella legge
24.07.1936, n. 1692), relativo al c.d. vincolo alberghiero,
e R.D.L. 21.10.1937, n. 2180 (conv., con modif., nella legge
25.03.1950, n. 228), concernente la dichiarazione di
pubblica utilità della costruzione di nuovi alberghi e
dell’ampliamento o trasformazione di quelli già esistenti in
Comuni di spiccata rilevanza turistica
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.10.2002 n. 5913 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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