dossier OPERE PRECARIE |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Necessita del titolo edilizio anche per la realizzazione di una
piscina.
Invero, “tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della
volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno, e fra essi deve
intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come
pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in
grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede.
Pertanto, la realizzazione di una piscina è configurabile come intervento di
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n.
380 del 2001, nella misura in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai
sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto
comporta una durevole trasformazione del territorio”.
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Anche per la costruzione di un box necessita del titolo edilizio che,
nonostante le ridotte dimensioni, è pur sempre un volume nuovo, destinato a
funzioni durevoli nel tempo (non precarie o temporanee) e come tali
comportanti ampliamento di superficie e volume.
Invero, “la precarietà o meno di un manufatto ed il suo regime giuridico dal
punto di vista urbanistico è correlata alla destinazione dell'opera, con la
conseguenza che l'installazione di un box prefabbricato, attraverso semplice
appoggio e senza ancoraggio al suolo, non sottrae, di per sé, l'intervento
al regime concessorio”.
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Nei limiti di quanto dedotto nel presente giudizio, il titolo edilizio
sarebbe stato peraltro necessario anche per la realizzazione della piscina
(TAR Napoli, sez. VI, 07/01/2022, n. 105, secondo la quale “tutti gli
elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del manufatto,
siano essi interrati o meno, e fra essi deve intendersi ricompresa anche la
piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in
ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella
propria dell'edificio al quale accede. Pertanto, la realizzazione di una
piscina è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai
sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura
in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi
subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10,
comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto comporta una durevole
trasformazione del territorio”) come pure per il box, che, nonostante le
ridotte dimensioni, è pur sempre un volume nuovo, destinato a funzioni
durevoli nel tempo (non precarie o temporanee) e come tali comportanti
ampliamento di superficie e volume (cfr. Consiglio di Stato, sez. II,
11/06/2020, n. 3730, secondo cui “la precarietà o meno di un manufatto ed
il suo regime giuridico dal punto di vista urbanistico è correlata alla
destinazione dell'opera, con la conseguenza che l'installazione di un box
prefabbricato, attraverso semplice appoggio e senza ancoraggio al suolo, non
sottrae, di per sé, l'intervento al regime concessorio”) (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-stralcio,
sentenza 22.07.2022 n. 10502 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Conformemente alla ormai univoca
giurisprudenza amministrativa, va esclusa ogni rilevanza alla cosiddetta
sanatoria giurisprudenziale, atteso che il requisito della doppia conformità
deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del
territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco
temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità.
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Non vi è coincidenza tra precarietà e utilizzo stagionale delle opere
qualora le cicliche esigenze stagionali vadano a trasformare in modo
durevole l’area scoperta preesistente con conseguente impatto sul
territorio.
Ed invero, «i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze
permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi,
con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo
o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato
ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto
stagionale».
Ne discende che la realizzazione di interventi non meramente manutentivi, ma
determinanti la creazione di superfici utili o volumi, con conseguente
aumento di carico urbanistico, richiede la previa acquisizione
dell’autorizzazione paesaggistica, che è un titolo autonomo non conseguibile
a sanatoria ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 146 e 167,
commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42/2004.
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Nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (specie dopo
l’entrata in vigore, a regime, dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004), il previo
parere della Soprintendenza ha natura vincolante».
In ogni caso, la giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare
che, anche in presenza di un permesso di costruire, l’inizio dei lavori in
zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio anche
dell’autorizzazione paesaggistica, trattandosi di titoli che hanno contenuti
differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e di ambedue i
titoli, sicché il permesso di costruire, in assenza del nulla osta
paesaggistico, è inefficace.
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1. L’odierno appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-,
dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la -OMISSIS-, sede
-OMISSIS-, avverso: il provvedimento del Comune di Polignano a Mare prot. n.
-OMISSIS-, avente ad oggetto «diffida all’esercizio dell'attività di
somministrazione di alimenti e bevande in località -OMISSIS-. Diffida al
conferimento di rifiuti ai contenitori ubicati sul territorio comunale»;
dell’ivi richiamato verbale di atti di accertamento del 18.05.2009, prot. n.
-OMISSIS-.; la nota del Comune di Polignano a Mare prot. n. -OMISSIS-,
avente ad oggetto «divieto di prosecuzione dell’esercizio di attività
abusiva di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande» e del
richiamato verbale del 18.05.2009; all’occorrenza, l’ordinanza di
sospensione lavori del Comune di Polignano a Mare n. -OMISSIS-.
...
Il diniego di istanza di permesso di costruire in sanatoria è basato su
plurimi motivi ostativi alla doppia conformità, trattandosi di opere
realizzate su un’area in concessione demaniale e con vincolo paesaggistico
ai sensi del decreto legislativo 42/2004.
Al riguardo, conformemente alla ormai univoca giurisprudenza amministrativa,
va esclusa ogni rilevanza alla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale,
atteso che il requisito della doppia conformità deve considerarsi principio
fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento
finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed
edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione
dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l'accertamento
di conformità (ex aliis, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze
17.02.2021, n. 1457, 04.01.2021, n. 43, e 18.07.2016, n. 3194).
Ciò posto, è assorbente quanto precisato nel parere contrario della
Soprintendenza del 13.10.2010 sul riscontrato aumento di volume e superficie
utile del chiosco, trattandosi di struttura chiusa su tre lati, con una
conseguente variazione essenziale rispetto al progetto assentito nel 2003, a
cui non è applicabile “mini-sanatoria” paesaggistica di cui
all’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004.
In proposito va evidenziato che non vi è coincidenza tra precarietà e
utilizzo stagionale delle opere qualora le cicliche esigenze stagionali
vadano a trasformare in modo durevole l’area scoperta preesistente con
conseguente impatto sul territorio. Ed invero, «i manufatti non precari,
ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come
idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico
urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il
manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso
per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere
reiterato nel tempo in quanto stagionale» (Consiglio di Stato, sezione
VI, sentenza 03.06.2014, n. 2842; nello stesso senso cfr., ex aliis,
Consiglio di Stato, sezione IV, decisione 22.12.2007, n. 6615; Consiglio
Stato, sezione V, decisione 12.12.2009, n. 7789; Consiglio di Stato, sezione
VI, sentenza 01.12.2014, n. 5934).
Ne discende che la realizzazione di interventi non meramente manutentivi, ma
determinanti la creazione di superfici utili o volumi, con conseguente
aumento di carico urbanistico, richiede la previa acquisizione
dell’autorizzazione paesaggistica, che è un titolo autonomo non conseguibile
a sanatoria ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 146 e 167,
commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42/2004.
Nel caso di specie è stata cagionata inoltre un’alterazione dello stato dei
luoghi determinata dallo scavo del banco di roccia per la realizzazione
della fossa di tipo Imhoff, non prevista dalle concessioni demaniali e dal
permesso di costruire, che non autorizzavano alcun tipo di scavo della
roccia, ma soltanto l’installazione di bagni chimici e facendo comunque
salva la necessità di realizzarle nell’ambito dell’area oggetto della
concessione, e non fuori da essa, come, invece, in concreto verificatosi.
Sul punto è inconferente il richiamo all’art. 11 della legge regionale della
-OMISSIS- n. 17/2006 recante l’obbligo in capo al concessionario di
stabilimento demaniale marittimo di garantire i servizi minimi (igienico-sanitari,
docce e chiosco-bar), poiché tale obbligo va ottemperato nel rispetto della
normativa e non autorizza ovviamente la realizzazione di opere abusive.
Con riferimento all’occupazione abusiva del demanio marittimo per la
realizzazione di tali opere, la normativa di settore non prevede la
possibilità di una specifica sanatoria, non avendo peraltro il pagamento
dell’indennità per l’occupazione abusiva alcun effetto sanante; diversamente
opinando, infatti, si darebbe ingresso ad un’illegale sanatoria atipica
demaniale e si aggirerebbe l’obbligo di una procedura di evidenza pubblica
aperta a tutti gli operatori economici interessati propedeutica
all’affidamento della concessione.
Ne deriva che l’amministrazione comunale non avrebbe potuto in alcun modo
accoglier l’istanza di sanatoria edilizia, stante la natura vincolata del
predetto parere negativo di compatibilità paesaggistica poiché, «nel
procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (specie dopo
l’entrata in vigore, a regime, dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004), il previo
parere della Soprintendenza ha natura vincolante» (Consiglio di Stato,
sezione VI, 08.08.2018, n. 5770); in ogni caso, la giurisprudenza
amministrativa è costante nell’affermare che, anche in presenza di un
permesso di costruire, l’inizio dei lavori in zona paesaggisticamente
vincolata richiede il rilascio anche dell’autorizzazione paesaggistica,
trattandosi di titoli che hanno contenuti differenti, seppure ambedue
relazionati al territorio, e di ambedue i titoli, sicché il permesso di
costruire, in assenza del nulla osta paesaggistico, è inefficace (cfr.,
ex aliis, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 14.12.2015, n. 5663,
13.04.2016, n. 1436, e 21.05.2021, n. 3952).
Ne consegue peraltro che ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge
n. 241/1990 qualsivoglia vizio formale e procedimentale verrebbe
sterilizzato dalla natura vincolata e necessitata del diniego di sanatoria
edilizia adottato dal Comune
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 14.10.2021 n. 6912 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Circa la costruzione di
una tenda con tubolari in alluminio anodizzato laterali
fissati al suolo, è da escluderne la sua natura precaria, in
quanto la circostanza che la tenda si sostenga con tubolari
in alluminio anodizzato laterali fissati al suolo, ne
dimostra, da un lato, la sua non immediata
rimovibilità, dall’altro la sua reale funzione,
quella di consentire un determinato uso, tutt’altro che
temporaneo, dello spazio esterno.
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3.- Riguardo all’opera realizzata nell’area cortilizia,
indicata al punto 2) dell’ordinanza impugnata (tenda con
tubolari in alluminio anodizzato laterali fissati al suolo),
è da escluderne la sua natura precaria, in quanto la
circostanza che la tenda si sostenga con tubolari in
alluminio anodizzato laterali fissati al suolo, ne dimostra,
da un lato, la sua non immediata rimovibilità,
dall’altro la sua reale funzione, quella di consentire
un determinato uso, tutt’altro che temporaneo, dello spazio
esterno (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II, 22.12.2017, n.
12632; Tar Liguria, sez. I, 12.02.2015, n. 177) (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 12.09.2018 n. 5464 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’installazione di pannelli in vetro atti a chiudere
integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati determina,
senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile,
con conseguente incremento della preesistente volumetria.
Ciò
vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano
destinate a chiudere il manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco
dell’anno, atteso che:
a) le modalità di installazione e rimozione di una
struttura sono indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella
di realizzare un vano chiuso);
b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non
vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al
fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia
oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.
La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un manufatto non
può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente
assegnatagli dal costruttore, rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare
un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione».
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Nell’Intesa sottoscritta il 20.10.2016, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge
05.06.2003,
n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni, concernente l’adozione del
regolamento edilizio-tipo di cui all’articolo 4, comma 1-sexies del DPR 06.06.2001, n. 380, la
veranda è stata
definita (nell’Allegato A) «Locale o spazio coperto avente le
caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da
superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o
totalmente apribili.
La “veranda”, così intesa, «è caratterizzata quindi da ampie superfici
vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro.
Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento
della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita
quindi del permesso di costruire».
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Allo stesso modo, «l’installazione di pannelli in vetro atti a chiudere
integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina,
senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile,
con conseguente incremento della preesistente volumetria (Cons. Stato, Sez.
VI, 05/08/2013 n. 4089; Sez. V, 08/04/1999, n. 394; 26/10/1998 n. 1554). Ciò
vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano
destinate a chiudere il manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco
dell’anno, atteso che:
a) le modalità di installazione e rimozione di una
struttura sono indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella
di realizzare un vano chiuso);
b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non
vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al
fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia
oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.
La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un manufatto non
può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente
assegnatagli dal costruttore, rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare
un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (Cass.
Pen., Sez. III, 08/02/2007 n. n. 5350)» (Cons. di Stato, V, sent. n.
1822/2016).
Come già osservato dal Consiglio di Stato, «nell’Intesa sottoscritta il 20.10.2016, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge
05.06.2003,
n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni, concernente l’adozione del
regolamento edilizio-tipo di cui all’articolo 4, comma 1-sexies del decreto
del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, la veranda è stata
definita (nell’Allegato A) «Locale o spazio coperto avente le
caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da
superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o
totalmente apribili». La “veranda”, così intesa, «è caratterizzata quindi da
ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre
scorrevoli o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio,
determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua
sagoma e necessita quindi del permesso di costruire» (sez. VI, sent. n.
306/2017)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 24.02.2020 n. 837 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A
norma dell’all'art. 6, comma 1, lettera e), del
D.P.R. n. 380/2001, la realizzazione di "serre mobili stagionali, sprovviste
di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività
agricola", costituisce attività edilizia libera.
Sul punto gli insegnamenti della Corte di Cassazione e del Consiglio di
Stato convergono nel ritenere la necessità del permesso di costruire,
laddove i manufatti presentino requisiti di stabilità o di rilevante
consistenza, tale da alterare in modo duraturo l'assetto
urbanistico-ambientale.
In altri termini,
sono soggetti a permesso di costruire, tutti gli interventi che,
indipendentemente dalla realizzazione di volumi, incidono sul tessuto
urbanistico del territorio, determinando una trasformazione in via
permanente del suolo inedificato.
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Secondo la consolidata giurisprudenza, "la 'precarietà' dell'opera, che
esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi
dell'art. 3, comma 1, lettera e.5), D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti
un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo
stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non
eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti,
essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea,
precaria o irrilevante".
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7. Come già evidenziato in sede cautelare, è preliminare allo
scrutinio delle censure articolate dai ricorrenti la dedotta natura di serre
mobili stagionali dei manufatti oggetto dell’ordinanza gravata.
Va rammentato infatti a norma dell’all'art. 6, comma 1, lettera e), del
D.P.R. n. 380/2001, la realizzazione di "serre mobili stagionali, sprovviste
di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività
agricola", costituisce attività edilizia libera.
Sul punto gli insegnamenti della Corte di Cassazione e del Consiglio di
Stato convergono nel ritenere la necessità del permesso di costruire,
laddove i manufatti presentino requisiti di stabilità o di rilevante
consistenza, tale da alterare in modo duraturo l'assetto
urbanistico-ambientale (cfr. Cass. pen. Sez. 3 n. 50649 dell'08.11.2018
e Consiglio di Stato sez. VI, 15.04.2019, n. 2438).
In altri termini,
sono soggetti a permesso di costruire, tutti gli interventi che,
indipendentemente dalla realizzazione di volumi, incidono sul tessuto
urbanistico del territorio, determinando una trasformazione in via
permanente del suolo inedificato.
7.1. Tanto premesso, applicando le evidenziate coordinate ermeneutiche, alla
fattispecie in esame deve pervenirsi alla conclusione che le serre
realizzate dai ricorrenti non sono sussumibili nella tipologia delineata
dall'art. 6, comma 1, lettera e), del d.P.R. n. 380/2001, in quanto
caratterizzate da elementi di stabilità costruttiva che portano ad
escluderne la precarietà e la stagionalità.
E’ pacifico che i manufatti per cui è causa siano non precari ma stabili,
perché funzionali a soddisfare le esigenze dell’impresa agricola del signor
Pa.Pa., essi pertanto vanno considerati come idonei ad alterare lo
stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto,
la potenziale rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie.
Ciò in quanto il manufatto non precario, nel caso di specie le serre o
meglio i tunnel serra ad uso stagionale, non risultano in concreto deputati
ad un uso per fini contingenti ma, al contrario, sono destinati ad un
utilizzo protratto nel tempo, ovvero allo svolgimento dell'attività agricola
facente capo ad uno dei ricorrenti.
Secondo la consolidata giurisprudenza, "la 'precarietà' dell'opera, che
esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi
dell'art. 3, comma 1, lettera e.5), D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti
un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo
stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non
eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti,
essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea,
precaria o irrilevante" (Consiglio di Stato, VI, 04.09.2015, n. 4116).
Il fatto che le serre di proprietà dei ricorrenti, pur costituite da
strutture agevolmente rimovibili, siano destinate a far fronte ad esigenze
continuative connesse alle coltivazioni ortofrutticole appare ulteriormente
provato dalla circostanza che i manufatti siano ancorati al suolo tramite
plinti di cemento, dato questo ultimo che valutato insieme alla rilevante
consistenza dei manufatti realizzati (circa quattro ettari), testimonia
della idoneità di essi ad alterare in modo duraturo l'assetto del territorio
e, conseguentemente, della necessità del previo rilascio della concessione
edilizia per la loro realizzazione (TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 18.02.2020 n. 116 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Le
opere stagionali, ancorché la loro costruzione venga rinnovata nel tempo,
non possano considerarsi precarie.
La natura precaria del manufatto va intesa, ai fini dell’identificazione del
relativo regime abilitativo edilizio, non tanto e non solo con riferimento
alla consistenza strutturale e dell’ancoraggio al suolo dei materiali di cui
si compone, ma in termini funzionali, ovvero occorre accertare se si tratta
di un’opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in
modo da poter essere agevolmente rimossa.
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La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il carattere stagionale
dell’uso del manufatto non implica la provvisorietà dell’attività, né di per
sé la precarietà del manufatto ove si svolge, anzi il rinnovarsi
dell’attività con frequenza stagionale è indicativo della stabilità
dell’attività e dell’opera a ciò necessaria.
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Il manufatto in questione (manufatto
in legno adibito a bar delle dimensioni di mt 3.00 x mt 3.00 e di altezza di
circa mt 6.00), quand’anche fosse strutturalmente
amovibile, deve essere considerato, ai sensi dell’art. 3, lettera e), del
d.P.R. n. 380/2001, un intervento di nuova costruzione che ai sensi
dell’art. 10 dello stesso decreto necessita di permesso di costruire e, di
converso, se realizzato in assenza del permesso di costruire, se ne deve
ordinare la demolizione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.
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La natura abusiva dall’opera
comporta l’impossibilità di riconoscere in capo all’autore un affidamento
tutelabile sulla presunta conformità di essa alla legge, avendo il
legislatore stabilito, senza spazio per valutazioni discrezionali in sede
amministrativa, che l’interesse alla conservazione dell’abuso edilizio
–interesse di mero fatto poiché ha titolo in una attività illecita- non è
meritevole di alcuna tutela come non può esserlo l’ignoranza del disvalore
giuridico di un’azione contraria alla legge.
Occorre infine ribadire che gli abusi edilizi sono considerati una lesione
permanente dei valori ambientali e della funzione di governo del territorio
con la conseguenza che la vigilanza e i connessi poteri sanzionatori
costituiscono attività vincolata finalizzata a ripristinare le condizioni
ambientali alterate dagli abusi nell’esercizio del potere repressivo di cui
agli articoli 27 e seguenti del d.P.R. n. 380/2001.
Proprio la natura vincolata dell’attività di repressione degli abusi
edilizi, comporta poi che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento
non ha alcun effetto invalidante del provvedimento conclusivo ai sensi
dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990.
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... per l'annullamento dell’ordinanza di demolizione e di rimessa in
pristino del 03.05.2018 prot. n. 1338, notificata il successivo 08.05.2018
con la quale il Comune di Campotosto ha ordinato al sig. Le.Gi. nato a
L'Aquila il ... residente a Campotosto in frazione Mascioni, via ... n. 62
c.f. ..., di demolire ovvero rimuovere, entro 90 giorni dalla data di
notifica del presente provvedimento, il manufatto in legno adibito a bar
delle dimensioni di mt 3.00 x mt 3.00 e di altezza di circa mt 6.00 sito il
località “Ponte stecche” sul terreno riportato in catasto al n. 299 e
300 del foglio 40 del Comune di Campotosto.
...
Il ricorrente riferisce di essere comodatario avente causa dalla società
ENEL S.p.a. della particella n. 299 del foglio 40 del catasto terreni del
Comune di Campotosto, sulla quale nel 2013 ha realizzato e recintato un
manufatto amovibile in legno per l’esercizio di attività stagionale di
somministrazione di alimenti e bevande, segnalata al Comune di Campotosto
con successive SCIA.
Con due motivi del ricorso in decisione Gi.Le. impugna l’ordinanza con la
quale il Comune di Campotosto gli ha intimato la demolizione del manufatto
in quanto abusivo.
...
Il ricorso è infondato.
La natura precaria del manufatto va intesa, ai fini dell’identificazione del
relativo regime abilitativo edilizio, non tanto e non solo con riferimento
alla consistenza strutturale e dell’ancoraggio al suolo dei materiali di cui
si compone, ma in termini funzionali, ovvero occorre accertare se si tratta
di un’opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in
modo da poter essere agevolmente rimossa.
L’opera, di superficie pari a nove metri quadrati e altezza di m. 2.50 (così
descritta nel provvedimento impugnato), serve per la vendita stagionale di
generi alimentari e dal 2013 occupa lo stesso sedime del quale il ricorrente
riferisce di poter disporre a titolo di comodato.
Tuttavia il nulla osta dell’Ente parco, che il ricorrente indica a sostegno
della legittimità del manufatto, ha validità permanente, a dimostrazione del
fatto che si tratta di un’opera destinata ad un uso, non già provvisorio, né
connesso ad esigenze contingenti, ma destinato a rinnovarsi annualmente in
primavera, come si evince dalle SCIA commerciali che ininterrottamente, dal
2013 al 2015, il ricorrente ha presentato al Comune di Campotosto.
In proposito va osservato che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che
il carattere stagionale dell’uso del manufatto non implica la provvisorietà
dell’attività, né di per sé la precarietà del manufatto ove si svolge, anzi
il rinnovarsi dell’attività con frequenza stagionale è indicativo della
stabilità dell’attività e dell’opera a ciò necessaria (Consiglio di stato,
sez. 6, 21.02.2017, n. 795; Consiglio di Stato, sez. VI, 03.06.2014, n.
2842; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 13.03.2017 n. 409; Cass. pen. sez.
III, 30.06.2016 n. 36107).
Non ricorre poi la deroga prevista dall’art. 3, comma 1, lettera e.5), del
d.P.R. n. 380/2001 che esonera dal preventivo rilascio del permesso di
costruire i manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che
siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, che di norma vi sono soggetti, quando essi siano
ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei
turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e,
ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di
settore.
Il ricorrente, che a detta deroga fa espresso riferimento, non prova però
che il manufatto in questione sia ricompreso in una struttura ricettiva
all’aperto, ma si limita ad allegare di essere titolare di un contratto di
gestione decennale dell’area comunale di sosta per camper allestita su aree
identificate da particelle catastali diverse da quelle sulle quali insiste
il manufatto in legno.
Peraltro si evince agevolmente dalla consultazione per via telematica del “Geoportale
cartografico catastale dell’Agenzia delle Entrate”, liberamente
accessibile, che le particelle nn. 226, 227 e 751 di sedime dell’area di
sosta non sono neppure contigue alla particella n. 300 sulla quale -come
asserito dal Comune e non contestato dal ricorrente– insiste quasi per
intero il chiosco da questi realizzato.
Ne consegue che, come correttamente osservato dal Comune, il manufatto in
questione, quand’anche fosse strutturalmente amovibile, deve essere
considerato, ai sensi dell’art. 3, lettera e), del d.P.R. n. 380/2001, un
intervento di nuova costruzione che ai sensi dell’art. 10 dello stesso
decreto necessita di permesso di costruire e, di converso, se realizzato in
assenza del permesso di costruire, se ne deve ordinare la demolizione ai
sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.
Inoltre l’ordinanza di demolizione fa espresso rinvio all’art. 35 del d.P.R.
n. 380/2001 sul presupposto, parimenti incontestato, che il manufatto
insiste in gran parte su suolo di proprietà del Comune su suolo demaniale,
indisponibile da parte di soggetti diversi dall’Ente proprietario se non per
atto di concessione.
Sul punto, che smentisce la legittimazione asserita del ricorrente a
conseguire un titolo abilitativo sul presupposto che abbia la disponibilità
del suolo ove insiste il manufatto, il ricorrente non muove alcuna censura.
Non ha alcuna rilevanza poi il fatto che l’Ente Parco nazionale “Gran
Sasso e Monti della Laga” abbia rilasciato il nulla osta permanente alla
realizzazione dell’opera in quanto ogni intervento realizzato su area
soggetta a vincolo paesaggistico è soggetta al rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica regionale o del Comune, eventualmente a tal fine delegato,
anche se trattasi di opera temporanea, precaria e amovibile.
Lo si evince a contrario dall’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004 che elenca le
opere che non necessitano dell’autorizzazione, fra le quali non figura la
tipologia cui è riconducibile il manufatto in questione.
Quanto detto esclude che le segnalazioni rivolte al Comune dal ricorrente
d’inizio attività edilizia o commerciale possano aver, da un lato,
legittimato la realizzazione del fabbricato e, dall’altro, aver determinato
un affidamento incolpevole sulla conformità dello stesso al regime edilizio
vigente.
Sotto il primo profilo è evidente che l’ordine di demolizione non implica
l’annullamento in autotutela –tanto meno tardivo per decorso del termine di
cui all’art. 21-nonies- di un precedente titolo edilizio d’iniziativa
privata per l’evidente ragione che la presentazione di una DIA o SCIA non
produce alcun effetto se ha ad oggetto un l’intervento che, come in specie,
deve essere assentito con permesso per costruire.
Ne consegue, sotto il secondo profilo, la natura abusiva dall’opera e
l’impossibilità di riconoscere in capo all’autore un affidamento tutelabile
sulla presunta conformità di essa alla legge, avendo il legislatore
stabilito, senza spazio per valutazioni discrezionali in sede
amministrativa, che l’interesse alla conservazione dell’abuso edilizio
–interesse di mero fatto poiché ha titolo in una attività illecita- non è
meritevole di alcuna tutela come non può esserlo l’ignoranza del disvalore
giuridico di un’azione contraria alla legge.
Occorre infine ribadire che gli abusi edilizi sono considerati una lesione
permanente dei valori ambientali e della funzione di governo del territorio
con la conseguenza che la vigilanza e i connessi poteri sanzionatori
costituiscono attività vincolata finalizzata a ripristinare le condizioni
ambientali alterate dagli abusi nell’esercizio del potere repressivo di cui
agli articoli 27 e seguenti del d.P.R. n. 380/2001 (Cons. St., Ad. Plen.,
17.10.2017, n. 9).
Il primo motivo pertanto è respinto.
Proprio la natura vincolata dell’attività di repressione degli abusi
edilizi, comporta poi che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento
non ha alcun effetto invalidante del provvedimento conclusivo ai sensi
dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990.
Anche il secondo motivo pertanto è respinto
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 27.05.2019 n. 273 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione
di un box-container, stabilmente
appoggiato al terreno,
pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale
alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in
modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione
del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede,
pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio.
---------------
Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata
con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che
per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi
indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale
si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la
realizzazione di una tettoia necessita di permesso di
costruire quale “nuova costruzione”, comportando una
trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio
anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto
volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di
precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già
temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con
conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce
e del relativo carico urbanistico.
---------------
7 – Con
un’ulteriore censura si deduce la violazione dell’art. 7
della l. 47/1985 in relazione all’art. 1 l. 28.01.1977 n.
10 e all’art. 7 d.l. 663 del 1981.
Secondo la prospettazione dell’appellante, la realizzazione
della tettoia e del box-container non necessitavano della
concessione edilizia, bensì della autorizzazione ex art. 10
della legge 47/1985.
7.1 - La censura è infondata.
In primo luogo, deve evidenziarsi l’inconferenza della
giurisprudenza citata nell’atto di appello riferibile alla
differente sanzione dell’acquisizione gratuita, trattandosi,
come già innanzi spiegato, di una sanzione differente ed
autonoma rispetto alla demolizione.
Da un altro punto di vista, l’appellante non introduce alcun
elemento concreto dal quale desumere che le opere in
questione –tettoia e box– non debbano essere soggette a
licenzia edilizia.
7.2 - In particolare, per quanto riguarda il box, valgono le
considerazioni già espresse dal TAR, che ha sottolineato
come la realizzazione di un box-container, stabilmente
appoggiato al terreno (nel verbale di accertamento si
specifica che il box poggia su pavimentazione di cemento),
pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende
impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente
alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e
richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio (cfr.
Cons. Stato, sez V, 24.02.2003, n. 986).
7.3 - Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata
con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che
per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi
indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale
si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la
realizzazione di una tettoia necessita di permesso di
costruire quale “nuova costruzione”, comportando una
trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio
anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto
volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di
precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già
temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con
conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (cfr. Cons. St.,
sez. VI, n. 2715/2018 C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e
sez. VI 16.02.2017 n. 694).
7.4 - Infine, ad ulteriore conferma dell’infondatezza del
motivo di appello in esame, deve evidenziarsi la circostanza
che l’area sulla quale sono stati realizzate senza titolo le
opere in discorso è soggetta anche a vincolo ambientale, con
quanto ne consegue in termini di disciplina autorizzatoria e
di repressione degli abusi (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.12.2018 n. 7210 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO:
Installazione di un chiosco su proprietà pubblica e
necessità del titolo edilizio.
Per l'esecuzione di opere su suolo di proprietà pubblica non
è sufficiente il provvedimento di concessione per
l'occupazione occorrendo, altresì, l'ulteriore e autonomo
titolo edilizio, operante su di un piano diverso, e
rispondente a diversi presupposti, sia rispetto all'atto che
accorda l'utilizzo a fini privati di una determinata
porzione di terreno di proprietà pubblica, sia ad altri atti
autorizzativi eventualmente necessari, quali
l'autorizzazione commerciale per la vendita di determinati
prodotti (fattispecie relativa alla installazione di un
chiosco che, in base a quanto disposto nel regolamento
comunale per la disciplina del commercio sulle aree
pubbliche, dà luogo ad un manufatto chiuso, di dimensioni
contenute, generalmente prefabbricato, e strutturalmente
durevole, posato su suolo pubblico, o su aree private
soggette a servitù di uso pubblico, non rimuovibile al
termine della giornata lavorativa).
---------------
La legittimazione a contestare un provvedimento
di assegnazione in concessione di uno spazio di area
pubblica per l'installazione del chiosco è riconosciuta in
base al criterio cosiddetto della “vicinitas”, ovvero in caso di
stabile collegamento materiale tra l'immobile del ricorrente
e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi
comportino contra legem un’alterazione del preesistente
assetto urbanistico ed edilizio, non essendo pertanto
necessario dimostrare il pregiudizio della situazione
soggettiva protetta, essendo il relativo danno ritenuto
sussistente in re ipsa, in considerazione della violazione
della normativa edilizia, incidendo ogni edificazione non
conforme alla normativa ed agli strumenti urbanistici
sull'equilibrio urbanistico del contesto, e sull'armonico ed
ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario
riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o
situati comunque in prossimità a quelli interessati.
La vicinitas, intesa come situazione di stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo
autorizzato, è infatti, sufficiente a radicare la
legittimazione ad causam, non essendo necessario accertare
in concreto se i lavori comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione,
dovendo ritenersi pregiudizievole in re ipsa la
realizzazione di interventi suscettibili di incidere sulla
qualità panoramica, ambientale, paesaggistica.
---------------
Il chiosco di che trattasi si troverà sul medesimo
marciapiede su cui si affacciano gli immobili dei
ricorrenti, rientrando pertanto nella visione di insieme dei
palazzi d’epoca prospicienti la zona ... che si incontra con
... peraltro pressoché adiacente al Castello Sforzesco di
Milano, e caratterizzata da un indubbio rilievo storico ed
architettonico.
L’installazione del chiosco di che trattasi, potendo
effettivamente introdurre un elemento di discontinuità
nell’area in questione, come detto connotata da immobili di
particolare pregio, è pertanto soggetta ad incidere
negativamente sul loro valore, radicando così l’interesse
dei ricorrenti alla sua contestazione.
Malgrado pertanto gli immobili dei ricorrenti non siano
confinanti al chiosco oggetto del presente giudizio, alla
luce delle peculiarità dell’area, sussistono ugualmente le
condizioni dell’azione, essendo posti ad una distanza tale
da non escludere l’interesse alla tutela giurisdizionale.
--------------
Per giurisprudenza pacifica, la prova della conoscenza
dell'atto, ai fini della decorrenza del termine ex art. 41,
c. 2, c.p.a. per proporre l'impugnativa giurisdizionale,
deve essere fornita dalla parte che la eccepisce,
trattandosi di un fatto impeditivo, ex art. 2697, c. 2 c.c.,
all’accoglimento della pretesa azionata in giudizio, dovendo
la stessa essere fornita in modo rigoroso, affinché non sia
vanificato in modo irragionevole il diritto di azione nei
confronti dei provvedimenti dell'amministrazione,
riconosciuto dal combinato disposto degli artt. 24 e 113
Cost..
--------------
Per giurisprudenza costante, ricade sul privato interessato
l'onere della prova della data di ultimazione delle opere,
essendo per il medesimo agevole fornire gli inconfutabili
atti e documenti, come, a titolo esemplificativo, fatture,
ricevute, bolle di consegna relative all'esecuzione dei
lavori o all'acquisto dei materiali, od altri elementi
probatori, capaci di radicare una ragionevole certezza circa
l'epoca di realizzazione del manufatto.
--------------
E' illegittima l'autorizzazione comunale di installazione di
un chiosco su suolo pubblico senza preventivamente
rilasciare il permesso di costruire.
Invero, in base a quanto disposto dall’art. 3, c. 1, lett.
e.5), del D.P.R. n. 380/2001, come modificato dalla L. n.
221 del 28.12.2015, tra gli "interventi di nuova
costruzione", per i quali è necessario il permesso di
costruire, rientrano anche quelli relativi l'installazione
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere, che siano utilizzati quali ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad
eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee, o siano ricompresi in strutture
ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei
turisti.
Per giurisprudenza pacifica, rientrano infatti nella nozione
giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso
di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi nel suolo, e pur semplicemente
aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e meramente occasionale, essendo
pertanto necessario munirsi di permesso di costruire anche
per l'installazione di un chiosco.
Malgrado la precarietà strutturale del manufatto, la sua
rimovibilità, e l’assenza di opere murarie, il chiosco non è
infatti deputato ad un suo uso per fini contingenti, quanto
invece ad un utilizzo reiterato nel tempo, come tale idoneo
ad alterare lo stato dei luoghi, con conseguente incremento
del carico urbanistico.
--------------
Non ha pregio
nella fattispecie la tesi per cui dovrebbe tuttavia trovare
applicazione unicamente la disciplina del commercio su aree
pubbliche, di cui alla
L.R. n. 6/2010, oltre a quella
regolamentare, che escluderebbero espressamente, per
l’installazione delle opere di che trattasi, il permesso di
costruire.
Ciò detto essendo la normativa in materia di commercio e
quella edilizia preordinate alla tutela di beni giuridici
differenti, dovendo pertanto essere applicate
congiuntamente, come pacificamente ritenuto in
giurisprudenza, secondo cui, malgrado le attività
commerciali siano attualmente liberamente insediabili con
riguardo al loro numero, non esistendo contingenti massimi
autorizzabili, le stesse rimangono tuttavia soggette ai
limiti fissati dalla normativa edilizia, oltreché a quella
posta a tutela dei beni culturali, ed alla pianificazione
urbanistica e paesaggistica.
L’art. 16, c. 3, della L.R. n. 6/2010 conferma peraltro espressamente la coesistenza tra
la normativa dettata in materia di commercio e quella
edilizia, prevedendo infatti che “devono comunque essere
garantite la conformità urbanistica delle aree utilizzate,
nonché, qualora necessaria ai sensi della normativa vigente,
la conformità edilizia degli edifici”.
Per l'esecuzione di opere su suolo di proprietà pubblica,
non è infatti sufficiente il provvedimento di concessione
per l'occupazione, occorrendo altresì l'ulteriore ed
autonomo titolo edilizio, operante su di un piano diverso, e
rispondente a diversi presupposti, sia rispetto all'atto che
accorda l'utilizzo a fini privati di una determinata
porzione di terreno di proprietà pubblica, sia ad altri atti
autorizzativi eventualmente necessari, quali
l'autorizzazione commerciale per la vendita di determinati
prodotti.
--------------
... per l'annullamento del provvedimento del 26.09.2016, con
il quale il Comune di Milano - Settore Commercio, SUAP e
Attività Produttive, ha autorizzato l'installazione di un
chiosco per la somministrazione di alimenti in -OMISSIS-
angolo -OMISSIS-, dell'autorizzazione paesaggistica n. 328
del 04.08.2016, con cui il Comune di Milano – Ufficio
Tutela del Paesaggio, sulla scorta del parere espresso dalla
Commissione per il Paesaggio, ha rilasciato l'assenso, per i
profili di sua competenza, all'installazione del chiosco,
della Deliberazione della Giunta Comunale – Settore
Commercio, SUAP e Attività Produttive, n. 2858 del 30.12.2014, con la quale sono state dettate le linee di
indirizzo per la predisposizione del bando, approvato con
Determina Dirigenziale n. 1 del 08.01.2015, anch'essa
qui gravata, per l'assegnazione di n. 82 posteggi c.d.
“extra-mercato”, tra cui figura anche il posteggio ubicato
nella posizione “-OMISSIS- -OMISSIS-”, e di ogni altro atto
ad essi preordinato, presupposto, conseguenziale e/o
comunque connesso.
...
Con delibera n. 2858 del 30.12.2014 la Giunta del Comune di
Milano ha approvato le linee guida di indirizzo per
l’assegnazione di n. 83 posteggi extra-mercato, al fine di
implementare il numero delle postazioni distribuite in tutta
la città che utilizzano strutture di vendita tipo banco,
chiosco, trespolo, e autonegozio, individuando altresì le
ubicazioni destinate alla loro installazione, e con
determina n. 1 del 08.01.2015, è stato approvato il relativo
bando pubblico.
Con il presente ricorso, gli istanti impugnano
il provvedimento di autorizzazione all’installazione
di un chiosco in
-OMISSIS- angolo -OMISSIS-, in favore del Sig. Va., in esito
alla procedura prevista dalla citata delibera n. 2858/2014,
parimenti gravata, unitamente alla relativa autorizzazione
paesaggistica, deducendo che
ciò
avrebbe dovuto essere preceduto dal rilascio di un permesso
di costruire (primo motivo), la mancanza di una puntuale
istruttoria in ordine alla sua compatibilità con le
caratteristiche dell’area (secondo motivo), che ne
pregiudicherebbe la viabilità (terzo motivo) ed il decoro
architettonico (quarto motivo), oltreché la ritardata
conclusione dei lavori (quinto motivo).
...
I) In via preliminare, il Collegio deve scrutinare le
eccezioni di inammissibilità del ricorso, che sono tuttavia
infondate.
I.1.1) Con una prima eccezione, la difesa comunale deduce la
carenza di interesse ed il difetto di legittimazione attiva
in capo ai ricorrenti, evidenziando che, mentre nell’atto
introduttivo del giudizio, essi si dichiarano residenti
nella zona di -OMISSIS-, nella procura alle liti, solo una
parte di essi (17 su 26), deduce di essere residente nelle
vicinanze dell’area di cui in oggetto. In ogni caso, gli
istanti non dimostrerebbero “quali interessi specifici”
sarebbero effettivamente lesi dai provvedimenti impugnati,
limitandosi ad evidenziare potenziali pregiudizi alla
viabilità, ed all’utilizzazione di taluni servizi.
Analogamente, secondo il controinteressato, premesso che “il
criterio della vicinitas non sarebbe stato sufficiente a
fornire le condizioni dell’azione”, in ogni caso, “i
ricorrenti avrebbero dovuto provare di essere residenti”,
laddove invece, alcuni di loro, avrebbero ammesso di esserlo
in zone diverse da quelle interessate dai provvedimenti
impugnati.
Con la citata ordinanza n. 211/2018, rilevato che i
ricorrenti si erano limitati a dichiarare la loro residenza,
nell’atto di procura alle liti, e che effettivamente, per
alcuni di loro, la stessa non si trova nelle vicinanze del
chiosco oggetto dei provvedimenti impugnati, ai fini dello
scrutinio dell’eccezione, il Collegio ha ordinato di
depositare in giudizio documentazione comprovante il loro
collegamento con l'area interessata dall'intervento, ciò a
cui hanno provveduto in data 19.03.2018.
I.1.2) In linea generale, osserva il Collegio che la
legittimazione a contestare un provvedimento di assegnazione
in concessione di uno spazio di area pubblica per
l'installazione del chiosco è riconosciuta in base al
criterio cosiddetto della “vicinitas”, ovvero in caso di
stabile collegamento materiale tra l'immobile del ricorrente
e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi
comportino contra legem un’alterazione del preesistente
assetto urbanistico ed edilizio, non essendo pertanto
necessario dimostrare il pregiudizio della situazione
soggettiva protetta, essendo il relativo danno ritenuto
sussistente in re ipsa, in considerazione della violazione
della normativa edilizia, incidendo ogni edificazione non
conforme alla normativa ed agli strumenti urbanistici
sull'equilibrio urbanistico del contesto, e sull'armonico ed
ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario
riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o
situati comunque in prossimità a quelli interessati (TAR
Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 23.02.2017, n. 109).
La vicinitas, intesa come situazione di stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo
autorizzato, è infatti sufficiente a radicare la
legittimazione ad causam, non essendo necessario accertare
in concreto se i lavori comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione,
dovendo ritenersi pregiudizievole in re ipsa la
realizzazione di interventi suscettibili di incidere sulla
qualità panoramica, ambientale, paesaggistica (C.S. Sez. IV,
09.09.2014, n. 4547).
I.1.3) Con riferimento al caso di specie, in esito alla
citata ordinanza istruttoria, i ricorrenti hanno dimostrato
la loro vicinitas con il chiosco oggetto del presente
giudizio, dovendosi pertanto respingere l’eccezione.
In particolare, gli istanti hanno infatti depositato i
certificati di residenza di n. 9 ricorrenti, relativi al
civico n. 63 di -OMISSIS-, posto a circa 20 m. dal chiosco,
e di n. 8 ricorrenti, residenti al civico n. 67, posto a
circa 70 metri dal chiosco, dimostrando pertanto la
sussistenza del loro stabile collegamento con l’area oggetto
del presente giudizio.
Come desumibile dall’esame del materiale fotografico e dalle
planimetrie depositate in giudizio, ed ulteriormente
illustrate dalle parti nel corso dell’udienza pubblica, il
chiosco di che trattasi si troverà sul medesimo marciapiede
su cui si affacciano gli immobili dei ricorrenti, rientrando
pertanto nella visione di insieme dei palazzi d’epoca
prospicienti la zona di -OMISSIS- che si incontra
con -OMISSIS-, peraltro pressoché adiacente al Castello
Sforzesco di Milano, e caratterizzata da un indubbio rilievo
storico ed architettonico.
L’installazione del chiosco di che trattasi, potendo
effettivamente introdurre un elemento di discontinuità
nell’area in questione, come detto connotata da immobili di
particolare pregio, è pertanto soggetta ad incidere
negativamente sul loro valore, radicando così l’interesse
dei ricorrenti alla sua contestazione (C.S., Sez. IV,
08.01.2016, n. 35).
Malgrado pertanto gli immobili dei ricorrenti non siano
confinanti al chiosco oggetto del presente giudizio, alla
luce delle peculiarità dell’area, sussistono ugualmente le
condizioni dell’azione, essendo posti ad una distanza tale
da non escludere l’interesse alla tutela giurisdizionale
(C.S., Sez. VI, 05.01.2015, n. 11).
I.1.4) Quanto infine a 3 ricorrenti, che hanno comprovato il
loro diritto di proprietà su talune unità immobiliari poste
al civico 63, senza tuttavia esservi residenti, ed altri 6,
che hanno invece documentato lo svolgimento di attività
commerciale e di amministratore di condominio nello stesso,
evidenzia il Collegio che, in primo luogo, la giurisprudenza
considera provata la vicinitas, in relazione ad una
situazione di stabile collegamento, anche a fronte di un
titolo di frequentazione della zona interessata (TAR
Puglia, Lecce, Sez. III, 30.01.2018, n. 126, TAR
Lombardia, Milano, Sez. III, 08.03.2013, n. 627), e che
comunque, anche ritenendo gli stessi privi di interesse ad
agire, ciò non pregiudicherebbe l’ammissibilità del ricorso,
con riferimento alle restanti posizioni.
Per giurisprudenza pacifica, il ricorso collettivo si
risolve infatti in una pluralità di azioni contestualmente
proposte mediante un unico atto, non comunicandosi agli
altri le posizioni soggettive di ciascuno dei ricorrenti,
tanto che un’eventuale pronuncia di inammissibilità
dell’azione per uno dei ricorrenti, non preclude comunque
una pronuncia di merito per l’altro (TAR Lombardia,
Milano, Sez. III, 17.12.2012, n. 3056).
I.2.1) Con una seconda eccezione, il controinteressato
deduce l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica ai
controinteressati.
Avendo infatti gli istanti impugnato anche i provvedimenti
che hanno assegnato agli operatori economici selezionati la
gestione di altri chioschi, l’accoglimento del presente
ricorso, a loro dire, pregiudicherebbe anche la loro
posizione, rivestendo pertanto gli stessi la qualifica di
controinteressati necessari.
In particolare, poiché in caso di annullamento dei
provvedimenti oggetto del presente giudizio deriverebbe “la
chiusura di tutti i chioschi presenti sul territorio
comunale in forza del bando impugnato”, dovrebbe ritenersi
che gli istanti abbiano presentato “tante autonome domande
di annullamento rivolte nei confronti di tutti i concorrenti
che sono stati selezionati per l’ottenimento dei posteggi”.
I.2.2) Osserva in contrario il Collegio che, malgrado i
ricorrenti abbiano effettivamente impugnato, oltre
all’autorizzazione all’installazione del chiosco da
collocarsi in -OMISSIS-, e la relativa autorizzazione
paesaggistica, anche la citata delibera n. 2858/2014, in
materia di linee di indirizzo per la predisposizione del
bando per l’assegnazione dei posteggi “extra mercato”,
tuttavia, ciò ha avuto luogo, coerentemente al loro
interesse, nella parte in cui “figura anche il posteggio
ubicato nella posizione -OMISSIS- -OMISSIS-”.
Come sopra evidenziato, i ricorrenti non sono infatti
operatori economici, interessati a contestare l’illegittima
modalità di svolgimento della procedura di assegnazione
delle postazioni commerciali, quanto invece residenti, o
comunque titolari di posizioni qualificate, strettamente
correlate all’area in cui verrà posizionato il chiosco del
controinteressato.
Per giurisprudenza pacifica, l’esercizio dei poteri di
interpretazione della domanda attribuiti al giudice devono
infatti muovere dall’individuazione del bene giuridico cui
l’interessato aspira, e che l'attività amministrativa gli ha
negato, dovendo a tal fine considerarsi, al di là delle
espressioni formali utilizzate dalle parti, la concreta
situazione dedotta in causa, e le effettive finalità che la
parte intende perseguire (C.S. Sez. V, 23.02.2018, n. 1147,
che conferma TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2933/2014).
Conseguentemente, l’eventuale pronuncia di annullamento dei
provvedimenti in questa sede impugnati, non produrrebbe
alcun effetto nei confronti degli ulteriori assegnatari, che
non sono pertanto controinteressati nel presente giudizio,
ferma restando ovviamente la facoltà, in capo al Comune, di
adottare ulteriori provvedimenti nei loro confronti,
suscettibili di essere autonomamente contestati.
Peraltro, osserva incidentalmente il Collegio come la citata
delibera n. 2858/2014 non abbia espressamente prescritto che
le installazioni oggetto dei posteggi “extra mercato”
debbano essere prive del permesso di costruire, avendo
infatti principalmente ad oggetto la “selezione degli
operatori per il commercio su area pubblica con le modalità
previste dalla L.R. 02.02.2010 n. 6 Testo Unico delle leggi
regionali in materia di commercio e fiere, e dal Regolamento
per la Disciplina del Commercio su aree pubbliche adottato
con Delibera di Consiglio Comunale n. 9/2013”, non incidendo
pertanto sulla disciplina urbanistica ed edilizia
applicabile, i cui contenuti non possono che essere desunti
dalle relative disposizioni speciali in materia.
I.3.1) Con un’ulteriore eccezione, il controinteressato
deduce l’inammissibilità del ricorso per tardiva
impugnazione dei provvedimenti gravati, essendo gli stessi
stati pubblicati all’Albo Pretorio del Comune.
L’eccezione va respinta, non avendo l’istante in realtà
fornito la prova di detta pubblicazione, che è stata
espressamente contestata dai ricorrenti.
Per giurisprudenza pacifica, la prova della conoscenza
dell'atto, ai fini della decorrenza del termine ex art. 41,
c. 2, c.p.a. per proporre l'impugnativa giurisdizionale,
deve essere fornita dalla parte che la eccepisce,
trattandosi di un fatto impeditivo, ex art. 2697, c. 2 c.c.,
all’accoglimento della pretesa azionata in giudizio, dovendo
la stessa essere fornita in modo rigoroso, affinché non sia
vanificato in modo irragionevole il diritto di azione nei
confronti dei provvedimenti dell'amministrazione,
riconosciuto dal combinato disposto degli artt. 24 e 113
Cost. (C.S., Sez. V, 03.02.2016 n. 424).
I.3.2) Sotto altro aspetto, evidenzia il controinteressato
che, a prescindere dalla pubblicazione dei provvedimenti
impugnati all’Albo Pretorio, i ricorrenti erano comunque al
corrente dell’installazione del chiosco in una data
antecedente al termine di sessanta giorni dalla proposizione
del ricorso, e precisamente, in relazione ai lavori occorsi
per la sua installazione, documentando le date di loro
effettuazione.
In via preliminare, osserva il Collegio che, per
giurisprudenza costante, ricade sul privato interessato
l'onere della prova della data di ultimazione delle opere,
essendo per il medesimo agevole fornire gli inconfutabili
atti e documenti, come, a titolo esemplificativo, fatture,
ricevute, bolle di consegna relative all'esecuzione dei
lavori o all'acquisto dei materiali, od altri elementi
probatori, capaci di radicare una ragionevole certezza circa
l'epoca di realizzazione del manufatto (TAR
Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 27.09.2017, n. 638), ciò
che non ha tuttavia avuto luogo nel caso di specie.
La documentazione che secondo l’interessato comproverebbero
l’esecuzione dei lavori, menziona infatti un sopralluogo
effettuato in data 02.02.2016, tuttavia antecedente al
posizionamento del chiosco, richiedendosi il relativo nulla
osta (doc. n. 15), oltreché l’esecuzione dei lavori
necessari agli allacciamenti delle utenze (docc.ti 16-19),
senza invece minimamente comprovare la sua vera e propria
installazione, dovendosi pertanto respingere l’eccezione.
I.3.3) Un’ulteriore prova dell’avvenuta cognizione degli
interventi oggetto del presente giudizio, sarebbe inoltre
fornita da una lettera indirizzata dai ricorrenti al Sindaco
di Milano, pubblicata in data 30.04.2017 su un quotidiano
locale, in cui gli stessi si lamentano della costruzione del
chiosco di che trattasi.
Anche detti rilievi sono infondati, essendo il ricorso stato
notificato in data 16.06.2017, e pertanto prima di sessanta
giorni decorrenti dalla pubblicazione della citata lettera,
senza che il controinteressata abbia dimostrato l’esistenza
di altre comunicazioni dei ricorrenti antecedenti.
I.4) Ulteriormente, il controinteressato deduce
l’inammissibilità del ricorso, per mancata impugnazione di
atti presupposti, ed in particolare, della delibera n.
1036/2012, che avrebbe dettato i criteri per il rilascio
delle concessioni per l’installazione dei chioschi, e della
graduatoria definitiva pubblicata in data 08.05.2015, oltreché
del Regolamento per la disciplina del Commercio sulle Aree
Pubbliche, del Regolamento Cosap, del Regolamento Edilizio,
del Regolamento per la Disciplina del diritto ad occupare il
Suolo, del Regolamento sul sistema dei controlli interni,
del parere favorevole condizionato del 15.09.2015 del Settore
Pianificazione e Programmazione, dell’Ufficio Programmazione
Mobilità, dell’Ufficio Programmazione Arredo Urbano, quello
del Settore Tecnico Infrastrutture e Arredo Urbano del
24.08.2015, dell’Autorizzazione Paesaggistica della
Commissione del paesaggio del 04.08.2016, e della Relazione
del Settore Tecnico Infrastrutture e Arredo Urbano del 04.03.2016.
Anche tale eccezione è infondata, non avendo il
controinteressato comprovato che gli atti di cui lamenta la
mancata impugnazione prevedessero la possibilità di
autorizzare i chioschi con le modalità contestate nel
ricorso, ed in primis, in assenza del permesso di costruire.
...
II.1) Quanto al merito, con il primo motivo, l’istante
deduce l’illegittimità dell’autorizzazione all’installazione
del chiosco per cui è causa, rilasciata dal Comune di Milano
al controinteressato, in considerazione del mancato rilascio
di un permesso di costruire avente ad oggetto tale
struttura, ciò che sarebbe invece stato necessario,
trattandosi di un’opera permanente e non rimuovibile.
II.1.1) Osserva il Collegio che, in base a quanto disposto
nell’art. 25, punto 3, del Regolamento per la disciplina del
commercio sulle aree pubbliche del Comune di Milano, la
struttura di tipo “chiosco”, dà luogo ad un manufatto
chiuso, di dimensioni contenute, generalmente prefabbricato,
e strutturalmente durevole, posato su suolo pubblico, o su
aree private soggette a servitù di uso pubblico, non
rimuovibile al termine della giornata lavorativa.
In base a quanto disposto dall’art. 3, c. 1, lett. e.5), del
D.P.R. n. 380/2001, come modificato dalla L. n. 221 del
28.12.2015, tra gli "interventi di nuova costruzione", per i
quali è necessario il permesso di costruire, rientrano anche
quelli relativi l'installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, che siano
utilizzati quali ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti
a soddisfare esigenze meramente temporanee, o siano
ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e
il soggiorno dei turisti.
In relazione a quanto sopra, il motivo va pertanto accolto,
avendo il Comune di Milano illegittimamente autorizzato
l’installazione del chiosco in -OMISSIS- angolo -OMISSIS-,
senza preventivamente rilasciare il permesso di costruire.
Per giurisprudenza pacifica, rientrano infatti nella nozione
giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso
di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi nel suolo, e pur semplicemente
aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e meramente occasionale, essendo
pertanto necessario munirsi di permesso di costruire anche
per l'installazione di un chiosco (TAR Campania, Napoli,
Sez. VIII, 05.05.2016, n. 2282).
Malgrado la precarietà strutturale del manufatto, la sua
rimovibilità, e l’assenza di opere murarie, il chiosco non è
infatti deputato ad un suo uso per fini contingenti, quanto
invece ad un utilizzo reiterato nel tempo (TAR Calabria,
Catanzaro, Sez. I, 13.03.2017, n. 409), come tale idoneo ad
alterare lo stato dei luoghi, con conseguente incremento del
carico urbanistico (C.S., Sez. VI, 03.06.2014 n. 2842).
II.1.2) Secondo la difesa comunale e della controinteressata,
nella fattispecie per cui è causa, dovrebbe tuttavia trovare
applicazione unicamente la disciplina del commercio su aree
pubbliche, di cui alla
L.R. n. 6/2010, oltre a quella
regolamentare, che escluderebbero espressamente, per
l’installazione delle opere di che trattasi, il permesso di
costruire.
Detti argomenti non hanno tuttavia pregio, essendo la
normativa in materia di commercio e quella edilizia
preordinate alla tutela di beni giuridici differenti,
dovendo pertanto essere applicate congiuntamente, come
pacificamente ritenuto in giurisprudenza, secondo cui,
malgrado le attività commerciali siano attualmente
liberamente insediabili con riguardo al loro numero, non
esistendo contingenti massimi autorizzabili, le stesse
rimangono tuttavia soggette ai limiti fissati dalla
normativa edilizia, oltreché a quella posta a tutela dei
beni culturali, ed alla pianificazione urbanistica e
paesaggistica (TAR Marche, Sez. I, 16.04.2014, n. 434).
L’art. 16, c. 3, della L.R. n. 6/2010, invocato dalla difesa
comunale, conferma peraltro espressamente la coesistenza tra
la normativa dettata in materia di commercio e quella
edilizia, prevedendo infatti che “devono comunque essere
garantite la conformità urbanistica delle aree utilizzate,
nonché, qualora necessaria ai sensi della normativa vigente,
la conformità edilizia degli edifici”.
Per l'esecuzione di opere su suolo di proprietà pubblica,
non è infatti sufficiente il provvedimento di concessione
per l'occupazione, occorrendo altresì l'ulteriore ed
autonomo titolo edilizio, operante su di un piano diverso, e
rispondente a diversi presupposti, sia rispetto all'atto che
accorda l'utilizzo a fini privati di una determinata
porzione di terreno di proprietà pubblica, sia ad altri atti
autorizzativi eventualmente necessari, quali
l'autorizzazione commerciale per la vendita di determinati
prodotti (C.S. Sez. VI, 27.02.2012 n. 1106).
II.1.3) Parimenti, anche la giurisprudenza citata dalla
difesa resistente (C.S., Sez. V, 05.11.2012, n. 5589, TAR
Sicilia, Catania, Sez. I, 19.09.2013, n. 2248), conferma in
realtà la fondatezza del motivo, in quanto riferita ad una
fattispecie in cui era il Comune a realizzare le opere in
assenza del permesso di costruire, essendo a tal fine
equipollente la delibera del consiglio o della giunta
comunale accompagnata da un progetto riscontrato conforme
alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, laddove il
chiosco oggetto del presente giudizio è in proprietà
esclusiva del controinteressato, non rientrando inoltre nel
concetto di “opera pubblica”, come invece aveva luogo nelle
citate decisioni.
Analogamente, anche i precedenti di questo Tribunale (Sez.
I, 22.12.2014 n. 3123, 19.12.2013, n. 2889) non risultano
pertinenti, in quanto aventi ad oggetto fattispecie
antecedenti all’entrata in vigore della citata L. n.
221/2015, disciplinate da una differente versione del
Regolamento Edilizio Comunale, ed in ogni caso, riferite ad
“un manufatto in uso precario e amovibile”, la cui
installazione era prevista per un periodo inferiore a dodici
mesi (n. 3123/2014 cit.), diversamente da quello per cui è
causa.
Neppure infine è pertinente alla fattispecie oggetto del
presente giudizio C.S., Sez. VI, 21.11.2017 n. 5394, sia in
quanto dettata in materia di impianti pubblicitari, sia
soprattutto poiché, in tale pronuncia, il giudice d’appello
non ha ravvisato la necessità di richiedere il titolo
edilizio per la loro installazione, ritenendo che i vincoli
previsti dall’art. 3 D.Lgs. n. 507/1993, tuttavia estraneo
alla fattispecie per cui è causa, di per sé, tutelassero
adeguatamente il corretto assetto del territorio.
II.1.4) Da ultimo, anche il richiamo all’art. 116, c. 4, del
Regolamento Edilizio Comunale, secondo cui i chioschi, se
realizzati su suolo pubblico, “non costituiscono oggetto di
titolo abilitativo edilizio, ma sono installati secondo le
modalità previste dai provvedimenti che autorizzano l’uso
del suolo”, risulta irrilevante nel presente giudizio.
Come infatti correttamente osservato dai ricorrenti, detta
norma si riferisce ai “manufatti provvisori”, la cui
“permanenza non può superare i ventiquattro mesi”, laddove
invece quello per cui è causa sarà installato per una durata
di dodici anni.
Ad abundantiam, osserva il Collegio che anche ove
l’art. 116 cit. potesse essere letto nei termini suggeriti
dal controinteressato, ciò risulterebbe tuttavia
incompatibile con l’art. 3, c. 1, lett. e), del D.P.R. n.
380/2001 citato, come modificato dalla L. n. 221/2015,
trovando in tal caso applicazione il c. 2 dello stesso art.
3, secondo cui “le definizioni di cui al comma 1 prevalgono
sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e
dei regolamenti edilizi”, dovendo in tal caso il Collegio
disporre in parte qua la disapplicazione del Regolamento
Edilizio Comunale, in quanto contrastante, in termini di
palese contrapposizione, con il disposto legislativo
primario (C.S., Sez. V, 28.09.2016 n. 4009).
...
In conclusione, il ricorso va pertanto accolto, quanto al
primo motivo, e respinto per il resto (TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.06.2018 n. 1485 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’astratta rimovibilità delle opere non impedisce
di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e
quindi necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la potenziale
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Ciò, in quanto il manufatto non precario –nel caso di
specie, una casa mobile– non risulta in concreto deputato ad
un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un
utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa
mobile da oltre un decennio è strettamente legato al
soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua
famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione
fotografica prodotta in giudizio.
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’
dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso
specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette
che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di
esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel
tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati
a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati
a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l’alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante”.
---------------
In materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo
le opere che siano prive di autonoma destinazione e che
esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto
funzionale con l’edificio principale, così da non incidere
sul carico urbanistico.
---------------
Con ricorso notificato in data 18.09.2007 e depositato il 10
ottobre successivo, il ricorrente ha impugnato il
provvedimento del Comune di Santo Stefano Ticino di
ingiunzione alla demolizione di opere abusive datato
26.07.2007, prot. 5427.
Il ricorrente, proprietario di un terreno sito nel Comune di
Santo Stefano Ticino, in Via ... n. 61, identificato
catastalmente al mappale 59, del foglio n. 8, ha provveduto
a posizionarvi una struttura mobile e provvisoria di cui il
Comune ha ingiunto la rimozione con l’atto impugnato nel
presente giudizio.
Assumendo l’illegittimità del predetto atto, il ricorrente
ne ha chiesto l’annullamento, in quanto il manufatto
asseritamente abusivo sarebbe precario e provvisorio e
perciò inidoneo a mutare in modo permanente l’assetto
urbanistico.
...
1. Il ricorso non è fondato.
2. Con l’unica doglianza di ricorso si assume
l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, tenuto
conto che l’opera di cui si è ordinata la demolizione
sarebbe rimovibile, in quanto solo appoggiata al suolo, e
non avrebbe alcun sostanziale impatto sull’assetto
urbanistico.
2.1. La censura è infondata.
L’astratta rimovibilità delle opere non impedisce di
considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi
necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la potenziale
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Ciò, in quanto il manufatto non precario –nel caso di
specie, una casa mobile– non risulta in concreto deputato ad
un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un
utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa
mobile da oltre un decennio è strettamente legato al
soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua
famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione
fotografica prodotta in giudizio (all. 4 e 5 del Comune).
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’
dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso
specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette
che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di
esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel
tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati
a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati
a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l’alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante” (Consiglio di Stato,
VI, 04.09.2015, n. 4116; altresì 01.04.2016, n. 1291;
03.06.2014, n. 2842; TAR Emilia Romagna-Bologna, I,
28.06.2016, n. 655).
Nemmeno si potrebbe ritenere il manufatto una semplice
pertinenza, tenuto conto delle dimensioni dello stesso (una
superficie di circa 80 mq, per un’altezza variabile da un
minimo di 2,83 m a un massimo di 3,58 m: cfr. provvedimento
impugnato, all. 1 al ricorso), considerato che in materia
edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere
che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano
la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con
l’edificio principale, così da non incidere sul carico
urbanistico (cfr. Consiglio di Stato, VI, 04.01.2016, n.
19).
2.2. In conseguenza di quanto già evidenziato emerge anche
la violazione dell’assetto urbanistico della zona in cui è
stata posizionata la casa mobile, visto che la stessa era
(ed è) classificata come agricola, nonché risultava (e
risulta) gravata anche da un vincolo di rispetto stradale.
Pertanto non risulta violata soltanto la normativa edilizia,
ma risulta compromesso anche l’assetto urbanistico del
territorio.
2.3. Ciò determina il rigetto della predetta censura e
quindi dell’intero ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.02.2018 n. 354 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Natura precaria dell'opera edilizia - Carattere
stagionale dell'attività - Elementi della precarietà -
Stabilimento balneare.
Nemmeno il carattere stagionale dell'attività implica di per
sé la precarietà dell'opera, la precarietà non va confusa
con la stagionalità, vale a dire con l'utilizzo annualmente
ricorrente della struttura, né con la possibilità di
smontare il manufatto non infisso al suolo (si veda in
proposito Cass. Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, Manfredini,
secondo cui ...al fine di ritenere sottratta al preventivo
rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un
manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non
può essere desunta dalla temporaneità della destinazione
soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve
ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale
dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con
conseguente possibilità di successiva e sollecita
eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua
rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo).
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Natura
precaria dell'opera edilizia - Oggettiva temporaneità e
contingenza - Opera realizzata in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico - DIRITTO DEMANIALE - Fattispecie: occupazione
arbitraria dello spazio demaniale marittimo - Alterazione di
bellezze naturali - Art. 734 cod. pen. - Artt. 3, 6, 10 e
44, d.P.R. n. 380/2001 - Artt. 146-181, d.lgs. n. 42/2004.
La natura precaria dell'opera edilizia non deriva dalla
tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione,
tanto meno dalla sua facile amovibilità; quel che conta è la
oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che
l'opera è destinata a soddisfare in ordine alla dedotta
precarietà dell'opera e che, (in specie) in ogni caso,
trattandosi di opera realizzata in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico, qualsiasi difformità dal titolo edilizio è
comunque sanzionata ai sensi dell'art. 44, lett. e), d.P.R.
n. 380 del 2001 (art. 32, u.c., d.P.R. n. 380 del 2001),
così come qualsiasi difformità dal progetto autorizzato
integra il reato di cui all'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004
(Fattispecie: installazione stagionale di uno stabilimento
balneare costituito da una costruzione lignea pluripiano
poggiante su pali in legno semplicemente infissi
sull'arenile della spiaggia, in zona soggetta a speciale
protezione ambientale e a vincolo ambientale) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.07.2017 n. 36605
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
valutare se un’opera ha effettivamente carattere precario
non basta accertare che questa sia costruita con materiali
facilmente rimovibili, ma è necessario dimostrare che essa
sia funzionalmente deputata al soddisfacimento di esigenze
oggettivamente temporanee, destinata quindi ad essere
smantellata non appena tali esigenze siano venute meno.
---------------
6. Con il primo motivo, la parte deduce la violazione
dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 in quanto, la
struttura oggetto dell’atto impugnato sarebbe da considerare
alla stregua di un’opera precaria, realizzabile, in base
alla suddetta norme, in assenza di titolo edilizio.
7. Ritiene il Collegio che la censura sia del tutto
infondata.
8. Per valutare se un’opera ha effettivamente carattere
precario, non basta accertare che questa sia costruita con
materiali facilmente rimovibili, ma è necessario dimostrare
che essa sia funzionalmente deputata al soddisfacimento di
esigenze oggettivamente temporanee, destinata quindi ad
essere smantellata non appena tali esigenze siano venute
meno.
9. Nel caso concreto, le ricorrenti riferiscono che la
struttura di cui è causa avrebbe carattere precario in
quanto destinata ad essere smantellata una volta che verrà
realizzato l’ampliamento del magazzino ove una delle
ricorrenti svolge la sua attività di impresa.
10. Ciò tuttavia, contrariamente da quanto sostenuto dalle
interessate, non dimostra la precarietà dell’opera in
quanto, da un lato, l’esigenza di disporre di maggiori spazi
destinati a magazzino, per stessa ammissione delle
ricorrenti, non è affatto temporanea; ed in quanto, da altro
lato, neppure è stata allegata la sussistenza di elementi
che dimostrino l’effettiva, concreta ed attuale intenzione
di procedere all’ampliamento del magazzino esistente. Lo
smantellamento della struttura di cui è causa costituisce
dunque, per ora, oggetto di una mera intenzione futura per
la quale non sono stati neppure ipotizzati i termini di
esecuzione.
11. Si deve pertanto escludere che la stessa struttura possa
essere qualificata come opera precaria.
12. Per queste ragioni va ribadita l’infondatezza della
censura
(TAR Lombardia-MIlano, Sez. II,
sentenza 04.07.2017 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tettoia di copertura su un terrazzo di un
immobile - Necessità del preventivo rilascio del permesso di
costruire - Presupposti - Art. 44, c. 1, lett. b), d.P.R. n.
380/2001.
Integra il reato previsto dall'art. 44, lett. b), del d.P.R.
n. 380 del 2001 la realizzazione, senza il preventivo
rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di
copertura che, non rientrando nella nozione
tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una
propria individualità fisica e strutturale, costituisce
parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata
(Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013, Salanitro e altro, Rv.
257290).
Tettoia di copertura di un terrazzo -
Pertinenza - Requisito della individualità fisica e
strutturale - Nozione tecnico-giuridica di pertinenza in
urbanistica.
La costruzione di una tettoia di copertura di un terrazzo di
un immobile non può infatti qualificarsi come pertinenza, in
quanto si tratta di un'opera priva del requisito della
individualità fisica e strutturale propria della pertinenza,
costituendo parte integrante dell'edificio sul quale viene
realizzata, rappresentandone un ampliamento. Essa pertanto,
in difetto del preventivo rilascio del permesso di
costruire, integra il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n.
380 del 2001 (Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele).
Infatti, deve ritenersi che la tettoia di un edificio non
rientra nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza, ma
costituisce piuttosto parte dell'edificio cui aderisce: ciò
in quanto in urbanistica il concetto di pertinenza ha
caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal
codice civile, riferendosi ad un'opera autonoma dotata di
una propria individualità, in rapporto funzionale con
l'edificio principale, laddove la parte dell'edificio
appartiene senza autonomia alla sua struttura (Sez. 3, n.
17083 del 07/04/2006, Miranda e altro).
Costituisce quindi nuova costruzione ai sensi del d.P.R. n.
380 del 2001 qualsiasi manufatto edilizio fuori terra o
interrato. Né può farsi ricorso alla nozione di ampliamento
dell'edificio preesistente, trattandosi di nuova
costruzione, sia pure accessoria a detto edificio (così,
complessivamente, Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino).
Natura precaria delle opere di chiusura
e di copertura di spazi e superfici - Esclusione di
concessione e/o autorizzazione - Criterio strutturale e non
funzionale - Facile rimovibilità dell'opera - Presupposti e
limiti - Art. 20 L.R. Sicilia n. 4/2003 - Giurisprudenza.
La natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di
spazi e superfici, per le quali l'art. 20 della legge
Regione Sicilia n. 4 del 2003 non richiede concessione e/o
autorizzazione, va intesa secondo un criterio strutturale,
ovvero nel senso della facile rimovibilità dell'opera, e non
funzionale, ossia con riferimento alla temporaneità e
provvisorietà dell'uso, sicché tale disposizione, di
carattere eccezionale, non può essere applicata al di fuori
dei casi ivi espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del
17/09/2014, Gulizzi; conf. Sez. 3, n. 16492 del 16/03/2010,
Pennisi; Sez. 3, n. 35011 del 26/04/2007, Camarda).
Ed in specie, proprio per le accertate dimensioni non
trascurabili del manufatto posto alla sommità dell'edificio,
la normativa regionale non deve ritenersi applicabile (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.06.2017 n. 30121 - tratto da e
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza è concorde che per individuare
la natura precaria di un'opera si debba seguire non il
criterio strutturale (che apprezza la stabilità
dell’ancoraggio al suolo), ma il criterio funzionale, per
cui per cui se un intervento è realizzato per soddisfare
esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del
regime proprio delle opere precarie anche quando queste sono
state realizzate con materiali facilmente amovibili: la
possibilità di prescindere da un titolo edilizio ricorre
unicamente in presenza di manufatti destinati a soddisfare
necessità contingenti e che si prestino ad essere
prontamente rimossi al loro cessare.
In buona sostanza si è chiarito che “La ‘precarietà’
dell’opera, che esonera dall'obbligo del possesso del
permesso di costruire (ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001), postula infatti un uso
specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette
che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di
esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel
tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti
destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli
destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l'alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante ….”.
La stalletta per le capre è un manufatto permanente, a
prescindere dall’ancoraggio al suolo e dunque necessita del
permesso di costruire (e alle stesse conclusioni si deve
pervenire per quanto concerne i muri di contenimento).
--------------
3. Per l’ulteriore profilo, (e posto che è stata già
esaminata al paragrafo precedente la struttura a sostegno
dei rampicanti), la stalletta per le capre è di recente
realizzazione (come da dichiarazione del Sig. -OMISSIS-),
così come la recinzione metallica (per la quale tuttavia si
rinvia al paragrafo successivo), il muro di contenimento in
cemento e il muro di contenimento in traversine di legno. Ad
avviso dell’esponente, le opere descritte non sarebbero
qualificabili come costruzioni, avendo caratteristiche non
particolarmente importanti che le rendono assoggettabili a
DIA e non a permesso di costruire.
Detta impostazione non è condivisibile.
3.1 In linea generale, la giurisprudenza è concorde nel
senso che per individuare la natura precaria di un'opera si
debba seguire non il criterio strutturale (che apprezza la
stabilità dell’ancoraggio al suolo), ma il criterio
funzionale, per cui per cui se un intervento è realizzato
per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può
beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche
quando queste sono state realizzate con materiali facilmente
amovibili (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI –
21/02/2017 n. 795): la possibilità di prescindere da un
titolo edilizio ricorre unicamente in presenza di manufatti
destinati a soddisfare necessità contingenti e che si
prestino ad essere prontamente rimossi al loro cessare
(TAR Emilia Romagna Parma – 29/12/2016 n. 384).
In buona
sostanza si è chiarito che “La ‘precarietà’ dell’opera, che
esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire
(ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380
del 2001), postula infatti un uso specifico e temporalmente
delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere
finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali
e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono,
infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare
esigenze meramente temporanee quelli destinati a
un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l'alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante ….” (TAR Lombardia
Milano, sez. II – 04/08/2016 n. 1567 e la giurisprudenza ivi
citata).
La stalletta per le capre è un manufatto permanente, a
prescindere dall’ancoraggio al suolo e dunque necessita del
permesso di costruire (e alle stesse conclusioni si deve
pervenire per quanto concerne i muri di contenimento) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 26.04.2017 n. 553 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Manufatti non precari idonei ad alterare lo stato dei luoghi.
In tema di diniego della domanda di autorizzazione edilizia e di ingiunzione
di demolizione di manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze
permanenti, va osservato che essi devono essere considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico
urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il
manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso
per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere
reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Infatti, la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del
permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del
bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del
manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma
permanenti nel tempo.
---------------
1. Con istanza del 05.05.2013 la signora An.Ma.Ma. ha chiesto al Sindaco di
Mangone di essere autorizzata all’installazione stagionale di un gazebo
rimovibile con telo plastificato.
Con nota del 12.06.2003 il Responsabile del Servizio presso l’Ufficio
Tecnico del Comune di Mangone ha comunicato alla ricorrente il “diniego
della domanda di autorizzazione edilizia”, ritenuta in contrasto con
l’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Magone, in
quanto non rispettosa delle distanze dai confini e dalle strade.
Nonostante tale diniego, l’odierna ricorrente ha ugualmente effettuato il
montaggio del gazebo nella proprietà privata del suocero Cr.Ma..
2. In data 03.07.2003 è stata notificata al Cr. ordinanza di
ingiunzione-demolizione della tendostruttura, in quanto realizzata
abusivamente, in assenza della prescritta autorizzazione edilizia.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno l’annullamento del
provvedimenti, per i vizi di violazione di legge, con riferimento all’art.
8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Mangone e all’art. 10
della L. 47/1985, nonché per eccesso di potere per presupposto erroneo,
travisamento del fatto e illogicità.
Il gazebo in questione non sarebbe una costruzione, trattandosi di struttura
precaria e facilmente smontabile. Non sarebbe stato, pertanto, necessario un
provvedimento autorizzativo, che, tuttavia, è stato negato.
...
7. Il ricorso principale è infondato e deve essere rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il
Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da quale non si rinvengono
elementi per discostarsi– secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali
a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare
lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a
nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità
della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non
precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel
tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la precarietà dell’opera,
che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un
uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità,
la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di
esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal
senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n.
6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche
tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale
della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile
alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R.
n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove
costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano
diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non
possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare
esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id,
VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789;. id., V, 24.02.2003, n.
986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del
manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca
al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso
il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura
destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione (in
tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV,
23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione
intimata che ha correttamente configurato come costruzione il manufatto in
oggetto e ha, pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non
era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il mancato
rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la legittimità
dell’ordinanza di demolizione impugnata in quanto l’opera è stata eseguita
in assenza della prescritta concessione edilizia (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 409 - massima
tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I manufatti non precari, ma funzionali a
soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come
idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro
incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della
struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il
manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è
deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato
ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in
quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la
precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso
del permesso di costruire, postula un uso specifico e
temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità,
la quale non esclude la destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti,
ma permanenti nel tempo.
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue
caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in
considerazione del regime temporale della relativa
utilizzazione il manufatto per cui è causa (ndr: chiosco di
circa 110 mq.) sia riconducibile alle previsioni di cui alla
lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del
2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove
costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano
usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento
secondo cui non possono comunque essere considerati
manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato
ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo
complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il
carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura
destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di
somministrazione.
---------------
7. Il ricorso principale è infondato e deve essere
rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa
110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da
quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo
cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del
carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non
precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo
uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo
destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto
stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la
precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso
del permesso di costruire, postula un uso specifico e
temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità,
la quale non esclude la destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti,
ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, VI,
03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue
caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in
considerazione del regime temporale della relativa
utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile
alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1
dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale
sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le
installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere che siano usati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento
secondo cui non possono comunque essere considerati
manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons.
Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id, VI, 12.02.2011, n. 986;
id., V, 12.12.2009, n. 7789;. id., V, 24.02.2003, n. 986;
id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato
ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo
complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il
carattere ontologicamente “non temporaneo” di una
struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale
e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, VI,
03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato
dell’Amministrazione intimata che ha correttamente
configurato come costruzione il manufatto in oggetto e ha,
pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non
era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il
mancato rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la
legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata in
quanto l’opera è stata eseguita in assenza della prescritta
concessione edilizia (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 409
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Riguardo
ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq,
il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento secondo cui
i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze
permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo
stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico
urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del
manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di
opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.:
gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad
essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Infatti, la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo
del possesso del permesso di costruire, postula un uso
specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua
stagionalità, la quale non esclude la destinazione del
manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e
contingenti, ma permanenti nel tempo.
Sotto tale aspetto, per le sue caratteristiche tipologiche e
funzionali, nonché in considerazione del regime temporale
della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa è
riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del
comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del
quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le
installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere che siano usati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, non possono comunque essere considerati
manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato
ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo
complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il
carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura
destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di
somministrazione.
---------------
1. Con istanza del 05.05.2013 la signora An.Ma.Ma. ha
chiesto al Sindaco di Mangone di essere autorizzata
all’installazione stagionale di un gazebo rimovibile con
telo plastificato.
Con nota del 12.06.2003 il Responsabile del Servizio presso
l’Ufficio Tecnico del Comune di Mangone ha comunicato alla
ricorrente il “diniego della domanda di autorizzazione
edilizia”, ritenuta in contrasto con l’art. 8, lett. d),
del Piano di fabbricazione del Comune di Magone, in quanto
non rispettosa delle distanze dai confini e dalle strade.
Nonostante tale diniego, l’odierna ricorrente ha ugualmente
effettuato il montaggio del gazebo nella proprietà privata
del suocero Cr.Ma..
2. In data 03.07.2003 è stata notificata al Cr. ordinanza di
ingiunzione-demolizione della tendostruttura, in quanto
realizzata abusivamente, in assenza della prescritta
autorizzazione edilizia.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno l’annullamento
del provvedimenti, per i vizi di violazione di legge, con
riferimento all’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione
del Comune di Mangone e all’art. 10 della L. 47/1985, nonché
per eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento
del fatto e illogicità.
Il gazebo in questione non sarebbe una costruzione,
trattandosi di struttura precaria e facilmente smontabile.
Non sarebbe stato, pertanto, necessario un provvedimento
autorizzativo, che, tuttavia, è stato negato.
...
7. Il ricorso principale è infondato e deve essere
rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa
110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da
quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo
cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del
carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non
precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo
uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo
destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto
stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la
precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso
del permesso di costruire, postula un uso specifico e
temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità,
la quale non esclude la destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti,
ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, VI,
03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue
caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in
considerazione del regime temporale della relativa
utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile
alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1
dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale
sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le
installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere che siano usati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento
secondo cui non possono comunque essere considerati
manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons.
Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id., VI, 12.02.2011, n. 986;
id., V, 12.12.2009, n. 7789; id., V, 24.02.2003, n. 986;
id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato
ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo
complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il
carattere ontologicamente “non temporaneo” di una
struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale
e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, VI,
03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato
dell’Amministrazione intimata che ha correttamente
configurato come costruzione il manufatto in oggetto e ha,
pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non
era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il
mancato rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la
legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata in
quanto l’opera è stata eseguita in assenza della prescritta
concessione edilizia
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 409 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà di un manufatto -la cui realizzazione non
necessita di titolo edilizio, non comportando una
trasformazione del territorio– non dipende dalla sua facile
rimovibilità ma dalla temporaneità della funzione, in
relazione ad esigenze di natura contingente: essa va,
dunque, esclusa quando si è al cospetto di un’opera
destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo.
---------------
Per giurisprudenza costante, la precarietà di un manufatto
-la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio, non
comportando una trasformazione del territorio– non dipende
dalla sua facile rimovibilità ma dalla temporaneità della
funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente:
essa va, dunque, esclusa quando, come accade nel caso di
specie, si è al cospetto di un’opera destinata a dare
un’utilità prolungata nel tempo (Cons. Stato, sez. IV,
15.05.2009, n. 3029; Cons. Stato, sez. IV, 06.06.2008, n.
2705; Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 22054)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 15.02.2017 n. 369 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
struttura pubblicitaria può configurare abuso edilizio.
Reato anche se non si tratta di un’abitazione.
Una costruzione
edilizia, anche se non destinata a essere abitata, può
generare un abuso: lo sottolinea la Corte di Cassazione,
Sez. III penale, con la
sentenza 14.02.2017 n. 6872.
Il caso esaminato è particolare in quanto, dopo aver scelto
una località particolarmente visibile (e sottoposta a
vincolo ambientale), un'impresa di commercializzazione di
case prefabbricate aveva collocato più moduli, completi in
ogni loro parte, per mostrare le qualità del prodotto.
In questo modo, le abitazioni, di più vani, avevano perso
l'attitudine ad essere considerate abitazioni, ma
conservavano il loro impatto fisico. Poiché le norme
urbanistiche non prevedono che l'abuso abbia solo finalità
abitative, è quindi iniziato un procedimento penale
conclusosi con la condanna confermata dalla Cassazione.
La
motivazione adottata dalla Suprema corte prende spunto dal
rapporto della legge 10 del 1977 (Bucalossi) con le norme
precedenti (del 1942) e sottolinea che dal 1977 in poi il
territorio è tutelato indipendentemente dai vari usi che se
ne possono fare. Così appunto un consistente uso
pubblicitario, indipendentemente dal tipo di oggetto che si
intenda valorizzare (sia esso un'abitazione prefabbricata o
meno), esige un titolo edilizio.
Non è infatti il peso urbanistico che si intende limitare,
bensì l'uso del territorio, anche per l'uso pubblicitario.
Nel momento in cui si utilizza un'area per finalità diverse
da quelle previste dal piano urbanistico si pone infatti un
problema di “peso” dell'intervento, peso che va
valutato dall'amministrazione e che fa scattare, in caso di
assenza di titolo abilitativo, specifiche sanzioni. Tali
sanzioni non si applicano per opere temporanee, destinate a
essere rimosse dopo un allestimento provvisorio, ma sempre
che la consistenza delle opere non alteri parametri di
fruibilità del territorio.
Nel caso deciso dalla Cassazione ha avuto peso la
particolare natura delle opere prefabbricate, alte fino a 12
metri anche se in gran parte in materiale precario
(polistirolo) coerentemente alle finalità pubblicitarie.
Anche se non abitate, ciò che si era realizzato esprimeva
infatti stabilità e quindi un uso non temporaneo dell'area
impegnata. La sentenza condanna anche il soggetto che aveva
venduto e collocato le case pubblicitarie, ritenendo il
venditore partecipe del disegno illecito di utilizzo non
consentito del territorio.
Inoltre, per la loro fattiva partecipazione alla modifica
dei luoghi, sono stati condannati anche gli impiantisti che
avevano contribuito, da artigiani, a dotare la struttura
pubblicitaria di attacchi ed impianti: secondo la
Cassazione, infatti, anche chi realizza un pavimento,
intonaci e infissi risponde dell'abusivismo se ha
colposamente ignorato la circostanza che fosse necessario un
titolo edilizio.
Anche tale coinvolgimento dei soggetti esecutori (dal
venditore agli artigiani rifinitori) è del resto coerente
all'ampliamento delle responsabilità che la legge 10 del
1977 (oggi il Dpr 380/2001) prevede per arginare
l'abusivismo (articolo Il Sole 24 Ore del 15.02.2017).
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MASSIMA
5.1 ricorsi sono infondati.
6. Per motivi di ordine logico devono essere esaminati i
motivi che riguardano la sussistenza oggettiva dei reati.
6.1. La natura precaria dell'opera edilizia
non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per la
sua realizzazione né dalla sua facile amovibilità; quel che
conta è la oggettiva temporaneità e contingenza delle
esigenze che l'opera è destinata a soddisfare.
6.2. Chiaro è, in tal senso, il dettato normativo che, nel
definire gli interventi di "nuova costruzione", per i
quali è necessario il permesso di costruire o altro titolo
equipollente (artt. 10, comma 1°, lett. a, e 22, comma 3°,
lett. b, d.P.R. 06.06.2001 n. 380), individua -tra gli
altri- i manufatti leggeri e le strutture di qualsiasi
genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni,
che siano utilizzati come depositi, magazzini e simili e "che
non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee"
(art. 3, comma 1°, lett. e.5, d.P.R. 380/2001 cit.).
La natura oggettivamente temporanea e contingente delle
esigenze da soddisfare è richiamata anche dall'art. 6, comma
2°, lett. b, d.P.R. 380/2001 per individuare le opere che,
previa mera comunicazione dell'inizio lavori, possono essere
liberamente eseguite.
6.3. Si tratta di criterio che significativamente, anche se
ad altri fini, l'art. 812 cod. civ. utilizza per collocare
nella categoria dei beni immobili gli edifici galleggianti
saldamente ancorati alla riva o all'alveo e destinati ad
esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione, così
diversificandoli dai galleggianti mobili adibiti alla
navigazione o al traffico in acque marittime o interne, di
cui all'art. 136 cod. nav. e che, a norma dell'art. 815 cod.
civ., costituiscono, invece, beni mobili soggetti a
registrazione.
6.4. La oggettiva destinazione dell'opera a
soddisfare bisogni non provvisori, la sua conseguente
attitudine ad una utilizzazione non temporanea, né
contingente, è criterio da sempre utilizzato dalla
giurisprudenza di questa Corte per distinguere l'opera
assoggettabile a regime concessorio (oggi permesso di
costruire) da quella realizzabile liberamente, a prescindere
dall'incorporamento al suolo o dai materiali utilizzati
(Sez. 3, Sentenza n. 9229 del 12/02/1976, Sez. 3,
Sentenza n. 1927 del 23/11/1981, Sez. 3, Sentenza n. 5497
del 11/03/1983, Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 23/03/1994,
Sez. 3, Sentenza n. 12022 del 20/11/1997, Sez. 3, Sentenza
n. 11839 del 12/07/1999, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del
25/02/2009, quest'ultima con richiamo ad ulteriori
precedenti conformi di questa Corte e del Consiglio di
Stato).
Nemmeno il carattere stagionale
dell'attività implica di per sé la precarietà dell'opera
(Sez. 3, Sentenza n. 34763 del 21/06/2011, Sez. 3, Sentenza
n. 13705 del 21/02/2006, Sez. 3, Sentenza n. 11880 del
19/02/2004, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009 cit.).
6.5. Il riferimento alla temporaneità e
alla contingenza dell'esigenza, piuttosto che alle
caratteristiche strutturali dell'opera edilizia ed al
materiale impiegato per la sua realizzazione, deriva dal
fatto che nella riflessione dottrinaria e giurisprudenziale
del secondo dopoguerra si è venuta consolidando la
consapevolezza che il territorio non può più essere
considerato strumento destinato al solo assetto ed
incremento edilizio
(art. 1 L. 1150/1942), ma come luogo sul
quale convergono interessi di ben più ampio respiro che
dalle modalità del suo utilizzo (o del suo non utilizzo)
possono trovare giovamento o, al contrario, pregiudizio, sì
che la sua trasformazione urbanistica ed edilizia
(così l'art. 1 L. 10/1977 che, si noti, operando un
rivolgimento copernicano rispetto all'art. 1 L. 1150/1942,
ha posto l'attività edilizia in secondo piano rispetto a
quella urbanistica) costituisce oggetto di
compiuta valutazione e comparazione degli interessi in gioco
e, dunque, vera e propria attività di governo
(così l'art. 117, comma 30 , Cost.), non
sempre, e non solo, appannaggio esclusivo della collettività
che lo abita.
6.6. E' evidente, pertanto, che la
temporaneità dell'esigenza che l'opera precaria è destinata
a soddisfare è quella (e solo quella) che non è suscettibile
di incidere in modo permanente e tendenzialmente definitivo
sull'assetto e sull'uso del territorio.
6.7. Tanto premesso, risulta dalla lettura della sentenza
impugnata che il modulo abitativo prefabbricato, al quale
era asservito il manufatto di dodici metri composto di
polistirolo, era stato collocato sopra una piattaforma di
cemento realizzata all'interno del fondo di proprietà della
Pe..
All'interno del medesimo fondo erano stati realizzati gli
allacciamenti elettrici, idrici e fognari destinati a
servire il manufatto sotto il cui pavimento erano stati
predisposti gli alloggiamenti per le tubature idriche e gli
impianti elettrici. Il bagno era munito di uno scaldabagno
elettrico. Nel manufatto erano state inserite le scatole per
gli interruttori elettrici ed i relativi interruttori. Sul
perimetro del fondo erano state realizzate delle aiuole e
piantati degli alberi a riprova, afferma la Corte, della
duratura destinazione dell'immobile ad abitazione.
6.8. Non v'è dubbio che la Corte di appello ha fatto buon
governo dei principi sopra indicati traendo dalle premesse
in fatto testé illustrate conseguenze non manifestamente
illogiche in ordine alla effettiva natura delle esigenze non
temporanee che il manufatto, nella sua interezza e a
prescindere dai materiali utilizzati, doveva soddisfare.
6.9. Le eccezioni sollevate dalla ricorrente non colgono nel
segno sia perché valorizzano l'argomento della tipologia dei
materiali utilizzati, sia perché non considerano che la
natura modulare dell'abitazione prefabbricata, alla luce
dell'inequivocabile dettato normativo sopra richiamato, non
esclude la durevolezza delle esigenze abitative cui il
manufatto era asservito.
L'ulteriore argomento difensivo secondo cui si trattava di
manufatto posto in opera a scopi puramente pubblicitari, e
dunque transitori, è stata smentita dalla Corte di appello
con argomentazioni non oggetto di specifica censura da parte
della ricorrente che si limita ad eccepire, al riguardo, un
inammissibile travisamento della prova volto, di fatto, a
creare un contatto diretto di questa Corte di cassazione con
le fonti di prova allegate al ricorso.
6.10. Quanto ai profili di responsabilità di tutti gli
imputati si deve osservare che la posa in opera del
manufatto costituisce l'esecuzione di un accordo intercorso
tra la proprietaria committente e il legale rappresentante
della società venditrice, accordo per effetto del quale
l'azione appartiene ad entrambi gli imputati. Il fatto che
la posa in opera del manufatto sia stata giustificata con le
(insussistenti) esigenze pubblicitarie indicate nel
contratto di vendita costituisce ulteriore argomento che
rafforza la prova della comune consapevolezza della
necessità del titolo edilizio mancante.
6.11. In ogni caso, assume valore dirimente
il fatto che la società legalmente rappresentata dal Sa. non
si è limitata alla vendita del manufatto, ma si è
direttamente interessata anche alla sua posa in opera e alla
realizzazione degli allacci, destinandovi due operai.
6.12. Il che è più che sufficiente a
qualificarla come "costruttore" ai sensi dell'art.
29, d.P.R. n. 380 del 2001 che, in quanto tale, ha il dovere
di controllare preliminarmente che siano state richieste e
rilasciate le prescritte autorizzazioni, rispondendo a
titolo di dolo del reato di cui all'art. 44 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, in caso di inizio delle opere nonostante
l'accertamento negativo, e a titolo di colpa nell'ipotesi in
cui tale accertamento venga omesso
(Sez. 3, n. 16802 del 08/04/2015, Carafa, Rv. 263474; Sez.
3, n. 860 del 25/11/2004, Cima, Rv. 230663).
6.13. Anche gli operai, materiali esecutori
dei lavori, rispondono del reato a titolo di concorrenti
(in questo senso Sez. 3, n. 16751 del 23/03/2011, Iacono, Rv.
250147, secondo cui la natura di reati "propri" degli
illeciti previsti dalla normativa edilizia non esclude che
soggetti diversi da quelli individuati dall'art. 29, comma
primo, del decreto medesimo, possano concorrere nella loro
consumazione, in quanto apportino, nella realizzazione
dell'evento, un contributo causale rilevante e consapevole;
nello stesso senso anche Sez. 3, n. 35084 del 25/02/2004,
Barreca, Rv. 229651; Sez. 3, n. 48025 del 12/11/2008,
Ricardi, Rv. 241799, secondo cui concorre nel reato anche si
limita a svolgere lavori di completamento dell'immobile,
quali la pavimentazione, l'intonacatura, gli infissi, sempre
che sia ravvisabile un profilo di colpa collegato alla
mancata conoscenza del carattere abusivo dei lavori).
6.14. Il Ca. ed il Di. non si erano limitati a collocare sul
posto il manufatto ma erano intenti ad effettuare lavori di
allaccio alle reti idrica ed elettrica che concorrevano a
rendere oggettivamente stabile l'opera edilizia, realizzata
in totale assenza di permesso di costruire e di qualsiasi
altra autorizzazione. Sicché essi ne rispondono anche a
titolo di colpa.
6.15. La argomentazioni sin qui svolte valgono a maggior
ragione anche per il reato di cui all'art. 181, comma 1,
d.lgs. n. 42 del 2004, peraltro non oggetto di specifica
impugnazione, al pari della muratura in pietra (della quale
non v'è menzione nei ricorsi). |
anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: Gazebo permanenti: è necessario il permesso di costruire?
I gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno
considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento
del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del
manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie,
posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature
nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale
dell’attività svolta.
In effetti la «precarietà» dell’opera, che esonera
dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso
specifico e temporalmente limitato del bene, e non la sua stagionalità, la
quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di
esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per
cui lo stesso è riconducibile nell’ipotesi prevista alla lett. e.5) del
comma 1 dell’art. 3 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, che include tra le nuove
costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee.
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Non implica precarietà dell'opera, ai fini autorizzativi e dell'esenzione
dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa
è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel
tempo della sua funzione (non sono infatti manufatti destinati a soddisfare
esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un'utilizzazione
perdurante nel tempo, sicché l'alterazione non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante), anche se con la reiterazione della
presenza del manufatto di anno in anno nella sola buona stagione.
---------------
Il ricorso è infondato.
Si verte al cospetto di un gazebo che richiedeva il permesso di costruire
avendo dimensioni significative di ml. 5,00 x 3,00, per un totale di 15 mq.,
con altezza di ml. 2,50 circa, e posto sul confine di proprietà, a distanza
non regolamentare e come tale idoneo a ridurre la visuale e la luminosità
delle abitazioni limitrofe con affaccio sulla corte dove è stato posto, come
peraltro contestato da proprietario confinante che ha segnalato l’abuso
edilizio.
Diversamente da quanto allegato dalla ricorrente, è stata realizzata una
vera e propria casetta chiusa, sui diversi lati, con pannelli di legno (o
comunque in profili di PLET-plastica riciclata eterogenea) pieni nella parte
inferiore e grigliati in quella superiore e munita di telo di copertura,
come tale idonea a creare un volume edilizio di indubbio impatto anche per
le caratteristiche della corte edilizia dove è stato collocato, secondo
quanto chiaramente evincibile dalla documentazione fotografica allegata al
verbale del Comando della Polizia Municipale del 04.03.2009 in atti.
Si tratta, in particolare, di un manufatto leggero per il quale è richiesto
il permesso di costruire, di cui all’art. 10 del DPR n. 380/2001, in forza
del disposto di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.5) -secondo quanto
espressamente contestato con il verbale della polizia municipale del
04.03.2009 richiamato nella ordinanza impugnata- essendo privo del carattere
della temporaneità in quanto stabilmente destinato ad attività al servizio
della abitazione principale (quale locale di servizio, deposito, adibito
allo svago o di vero e proprio “salotto all’aperto”, secondo quanto
riferito dalla stessa ricorrente con la relazione tecnica di parte in atti).
L’assenza del requisito della temporaneità si desume, in particolare, dalla
sua non facile amovibilità di cui la solida struttura in legno ne è indice
certamente grave e preciso, tant’è che la stessa relazione tecnica di parte,
nel descrivere le caratteristiche costruttive del manufatto, parla di
elementi autoportanti bullonati tra loro costituiti da pannelli verticali e
da “travi perimetrali, orizzontali e centrali di copertura”.
In presenza di simili caratteristiche costruttive, oggettivamente
incompatibili con il parametro legale della temporaneità, a nulla vale
opporre che la struttura non sarebbe ancorata ma solo poggiata a terra.
La giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari, ma funzionali
a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo
stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla
rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della
struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non
è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo
per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere
permanente e non stagionale dell'attività svolta (in termini Cons. Stato,
Sez. IV, 04.04.2013, n. 4438; Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842; TAR Perugia,
16.02.2015, n. 81).
In tal senso, la “precarietà” dell'opera, che esonera dall'obbligo
del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e
temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non
esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non
eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è
riconducibile nell'ipotesi prevista alla lett. e.5) del comma 1 dell'art. 3
d.P.R. n. 380 del 2001, che include tra le nuove costruzioni le
installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure
come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee” (Cons. Stato, Sez. VI, 03.06.2014, n.
2842).
E’ stato ancora precisato che “Non implica precarietà dell'opera, ai fini
autorizzativi e dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere
stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non
provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (non sono
infatti manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee
quelli destinati ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, sicché
l'alterazione non può essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante), anche se con la reiterazione della presenza del manufatto di
anno in anno nella sola buona stagione” (Cfr. Cons. Stato, VI,
01.12.2014, n. 5934).
Nel caso di specie il requisito della temporaneità manca sia dal punto di
vista strutturale, stante la non facile amovibilità del manufatto, sia da
quello funzionale stante la sua idoneità ad assolvere in modo duraturo nel
tempo una molteplicità di funzioni a servizio dell’abitazione principale.
Alla luce delle motivazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere
respinto, non potendo giovare alla ricorrente neppure il richiamo alla
sentenza di questo TAR n. 66/2014 con la quale la necessità del preventivo
rilascio del permesso di costruire è stata esclusa in presenza di una
struttura in legno “aperta sui lati”, per di più “rientrante nella
previsione del progetto di cui alla concessione edilizia n. 278/1983” e
quindi munita di titolo edilizio autorizzatorio (TAR
Molise,
sentenza 21.09.2016 n. 353 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
149 del dlgs 42/2004 prevede che “...non é comunque
richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146,
dall'articolo 147 e dall'articolo 159: a) per gli interventi
di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento
statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato
dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici...”.
Gli interventi consistenti nell’istallazione:
- “di due unità di condizionamento, di corpi illuminanti e
di grillages sul parapetto perimetrale del terrazzo” nonché
nella realizzazione “di un insegna pubblicitaria fissata
sull’inferriata situata nella parte superiore del varco
d’accesso”,
non possono rientrare nella fattispecie di cui all'art. 149,
lett. a), del dlgs 42/2004, e ciò in quanto tali opere,
complessivamente considerate, comportato un’alterazione
dell’aspetto esteriore dell’immobile vincolato, atteso che
le medesime, consistendo in opere esterne, incidono sulla
percezione visiva rilevante ai fini della tutela del vincolo
ricadente sull’immobile de quo.
Ne deriva, quindi, che i succitati interventi -non
rientrando nella fattispecie di cui all’art. 149, lett. a),
del d.lgs. n. 42 del 2004- sono soggetti al regime
autorizzatorio di cui all’art. 146 del medesimo decreto
legislativo, con la conseguenza che l’Amministrazione, dopo
aver riscontrato che tali opere erano state realizzate in
assenza dei richiesti titoli abilitativi, ha correttamente
proceduto a intimarne la demolizione.
---------------
Non può, peraltro, opporsi la circostanza che le succitate
opere sarebbero temporanee e amovibili.
Infatti, la Sezione deve rilevare che, in base alla
consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “i
manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze
stabili nel tempo, vanno considerati come idonei ad alterare
lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della
struttura e l'assenza di opere murarie. Ciò, in quanto il
manufatto non precario non risulta in concreto deputato ad
un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un
utilizzo protratto nel tempo. Infatti, la precarietà
dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del
permesso di costruire ... postula un uso specifico e
temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo
stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di
esigenze permanenti nel tempo”.
Orbene, nel caso di specie, gli interventi concernenti
l’illuminazione, il sistema di condizionamento e l’insegna
pubblicitaria non costituiscono opere aventi una finalità
temporalmente delimitata ma risultano funzionalmente diretti
a soddisfare esigenze durevoli nel tempo, con la conseguenza
che la loro ipotetica ed astratta amovibilità non risulta
una circostanza adeguata ad inficiare la rilevata
legittimità del provvedimento impugnato.
---------------
Osserva, preliminarmente, la Sezione che l’art. 146, commi 1
e 2 del d.lgs. n. 42 del 2004 dispone che “i proprietari,
possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree
oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all'articolo
157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli
138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero
sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano
paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi
modificazioni che rechino pregiudizio ai valori
paesaggistici oggetto di protezione. I proprietari,
possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati
al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione o
all'ente locale al quale la regione ha affidato la relativa
competenza i progetti delle opere che intendano eseguire,
corredati della documentazione prevista, al fine di ottenere
la preventiva autorizzazione”.
L’art. 149 del medesimo decreto legislativo prevede,
inoltre, per quanto d’interesse in questa sede, che “...non
é comunque richiesta l'autorizzazione prescritta
dall'articolo 146, dall'articolo 147 e dall'articolo 159: a)
per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria,
di consolidamento statico e di restauro conservativo che non
alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli
edifici...”.
Orbene, per quanto concerne il caso di specie, la Sezione
deve in primo luogo rilevare che gli interventi oggetto
dell’impugnata ordinanza -così come individuati dalla nota
della Soprintendenza di Napoli e Provincia n. 14402 del
27.08.2012, non contestata in atti- sono stati realizzati su
un immobile vincolato ope legis ai sensi dell’art. 10
del d.lgs. n. 42 del 2004.
Inoltre, i suddetti interventi -consistiti, come esplicitato
al precedente n. 4, nell’istallazione “di due unità di
condizionamento, di corpi illuminanti e di grillages sul
parapetto perimetrale del terrazzo” nonché nella
realizzazione “di un insegna pubblicitaria fissata
sull’inferriata situata nella parte superiore del varco
d’accesso”- non possono rientrare nella fattispecie di
cui al richiamato art. 149, lett. a) del succitato decreto
legislativo, e ciò in quanto tali opere, complessivamente
considerate, hanno comportato un’alterazione dell’aspetto
esteriore dell’immobile vincolato, atteso che le medesime,
consistendo in opere esterne, incidono sulla percezione
visiva rilevante ai fini della tutela del vincolo ricadente
sull’immobile de quo.
Ne deriva, quindi, che i succitati interventi -non
rientrando nella fattispecie di cui all’art. 149, lett. a)
del d.lgs. n. 42 del 2004- erano soggetti al regime
autorizzatorio di cui all’art. 146 del medesimo decreto
legislativo, con la conseguenza che l’Amministrazione, dopo
aver riscontrato che tali opere erano state realizzate in
assenza dei richiesti titoli abilitativi, ha correttamente
proceduto a intimarne la demolizione.
A quanto esposto non può, peraltro, opporsi la circostanza
che le succitate opere sarebbero temporanee e amovibili.
Infatti -anche volendo prescindere dalla circostanza che la
società ricorrente si è limitata ad asserire l’amovibilità
di tali opere senza fornire adeguati elementi probatori al
riguardo, eccezion fatta per il solo intervento relativo ai
“grillages”, cui si fa riferimento nella relazione
tecnica allegata alla SCIA del 16.04.2012- la Sezione deve
rilevare che, in base alla consolidata giurisprudenza di
questo Consiglio di Stato, “i manufatti non precari, ma
funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo, vanno
considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a
nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la
potenziale rimovibilità della struttura e l'assenza di opere
murarie. Ciò, in quanto il manufatto non precario non
risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel
tempo. Infatti, la precarietà dell'opera, che esonera
dall'obbligo del possesso del permesso di costruire ...
postula un uso specifico e temporalmente delimitato del bene
e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al
soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo” (Cons.
di Stato, Sez. VI, 04.09.2015, n. 4116).
Orbene, nel caso di specie, gli interventi concernenti
l’illuminazione, il sistema di condizionamento e l’insegna
pubblicitaria non costituiscono opere aventi una finalità
temporalmente delimitata ma risultano funzionalmente diretti
a soddisfare esigenze durevoli nel tempo, con la conseguenza
che la loro ipotetica ed astratta amovibilità non risulta
una circostanza adeguata ad inficiare la rilevata
legittimità del provvedimento impugnato
(Consiglio di Stato, Sez. II,
parere 28.06.2016 n. 1521 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per
l'installazione di un chiosco è necessario munirsi di
permesso di costruire; si deve, infatti, valutare l'opera
alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione
giuridica di “costruzione”, per la quale occorre il permesso
di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente
aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e meramente occasionale.
I manufatti non precari, in quanto funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, devono ritenersi idonei ad alterare lo
stato dei luoghi, con conseguente incremento del carico
urbanistico, a nulla rilevando la loro eventuale precarietà
strutturale, la rimovibilità della struttura e l'assenza di
opere murarie (come, ad esempio, per gazebo o chioschi); in
tal senso, la “precarietà” dell'opera, che esonera
dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula
un uso specifico e temporalmente limitato del bene, mentre
la precarietà dei materiali utilizzati non esclude la
destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze
non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali
per cui lo stesso è riconducibile nell'ipotesi prevista alla
lett. e.5) del comma 1 dell'art. 3 del D.P.R. n. 380 del
2001 - che include tra le nuove costruzioni le installazioni
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti
di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che
non siano diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee”.
---------------
Devono, infatti,
ritenersi infondati i tre motivi di ricorso, che si ritiene
di poter valutare congiuntamente.
Al riguardo il Collegio, condividendo la giurisprudenza
amministrativa prevalente, dalla quale non ha motivo di
discostarsi, ritiene che per l'installazione di un chiosco è
necessario munirsi di permesso di costruire; si deve,
infatti, valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che
rientrano nella nozione giuridica di “costruzione”,
per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei
manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel
suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo
stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e
meramente occasionale (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. II,
05.03.2015, n. 478).
I manufatti non precari, in quanto funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, devono ritenersi idonei ad alterare lo
stato dei luoghi, con conseguente incremento del carico
urbanistico, a nulla rilevando la loro eventuale precarietà
strutturale, la rimovibilità della struttura e l'assenza di
opere murarie (come, ad esempio, per gazebo o chioschi); in
tal senso, la “precarietà” dell'opera, che esonera
dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula
un uso specifico e temporalmente limitato del bene, mentre
la precarietà dei materiali utilizzati non esclude la
destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze
non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali
per cui lo stesso è riconducibile nell'ipotesi prevista alla
lett. e.5) del comma 1 dell'art. 3 del D.P.R. n. 380 del
2001 - che include tra le nuove costruzioni le installazioni
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti
di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e
che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI,
03.06.2014, n. 2842).
Passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame,
l’ordinanza di demolizione impugnata è stata adottata ai
sensi dell’articolo 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, in
riferimento alla scia presentata in data 27.01.2012 per
l’istallazione di un chiosco per la somministrazione di
alimenti e bevande, da installare in un area di pertinenza
del Comando Provinciale Vigili del Fuoco, antistante
l’ingresso principale, alla via G. Falcone, a seguito di
quanto emerso dalla comunicazione prot. n. 12637 del
17.02.2012, relativa all’esito del sopralluogo effettuato
dalla Polizia Municipale il 15.02.2012, sulla base della
seguente motivazione: “in quanto trattasi di opere
eseguite in assenza di Permesso di Costruire”.
Alla luce della richiamata giurisprudenza, la suddetta
ordinanza di demolizione deve ritenersi legittimamente
adottata nei confronti del ricorrente per la risolutiva
circostanza della necessarietà del permesso di costruire,
posta a fondamento dell’ordinanza di demolizione stessa
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 05.05.2016 n. 2282 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione di pannelli in vetro atti a
chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto
su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un
nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente
incremento della preesistente volumetria.
Ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano
facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il
manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco
dell’anno, atteso che:
a) le modalità di installazione e rimozione di una struttura sono
indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella
di realizzare un vano chiuso);
b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire
all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine
di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia
oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel
tempo.
La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un
manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore,
rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare un bisogno non
provvisorio attraverso la perpetuità della funzione.
Coerentemente è stato affermato che nemmeno l’eventuale
intendimento di utilizzare la struttura stagionalmente, può
consentire di attribuire alla stessa carattere precario.
---------------
Ed invero l'installazione di pannelli in vetro atti a
chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto
su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un
nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente
incremento della preesistente volumetria (Cons. Stato, Sez.
VI, 05/08/2013 n. 4089; Sez. V, 08/04/1999, n. 394;
26/10/1998 n. 1554).
Ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano
facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il
manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco
dell’anno, atteso che:
a) le modalità di installazione e rimozione di una struttura sono
indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella
di realizzare un vano chiuso);
b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire
all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine
di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia
oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel
tempo.
La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un
manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore,
rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare un bisogno non
provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (Cass.
Pen., Sez. III, 08/02/2007 n. 5350).
Coerentemente è stato affermato che nemmeno l’eventuale
intendimento di utilizzare la struttura stagionalmente, può
consentire di attribuire alla stessa carattere precario
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.05.2016 n. 1822 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Case mobili e titolo edilizio: nuova sentenza del Consiglio
di Stato.
La precarietà dei manufatti non si può desumere dalle
finalità di alloggio transitorio e temporaneo proprie delle
strutture ricettive turistiche.
La stabile collocazione, ad opera del
gestore, di un vero e proprio nucleo organizzato di case
mobili, determina un’alterazione del territorio che non può
ritenersi né precaria né transitoria, e la realizzazione di
una struttura ricettiva atipica che può ritenersi
assimilabile a quella di un villaggio turistico.
Nel momento in cui tali manufatti, definiti case mobili
perché muniti di ruote, sono stati stabilmente infissi al
suolo, all’interno dell’area del campeggio, ed hanno perso
la loro mobilità, viene meno quella caratteristica di
precarietà dell’opera che consente la loro collocazione in
assenza di titoli edilizi all’interno di strutture ricettive
turistiche.
Lo ha evidenziato il Consiglio di Stato (Sez. VI) nella
sentenza 01.04.2016 n. 1291.
Palazzo Spada sottolinea che le disposizioni volte a
consentire la libera collocazione all’interno delle
strutture ricettive di strutture mobili (come le “case” su
ruote) “è volta chiaramente a favorire l’occupazione
transitoria del suolo, in particolare da parte dei turisti
che utilizzano tali mezzi muovendosi da una struttura
all’altra, e non anche a favorire la realizzazione, in
assenza di titoli edilizi, di strutture stabili equiparabili
a quelle di tipo alberghiero”.
Temporanee sono, infatti, esclusivamente le modalità di
soggiorno dei soggetti ospitati nelle strutture, che nulla
hanno in comune con la stabile presenza ed utilizzazione
delle "case mobili".
Il Consiglio di Stato ricorda che “la possibile collocazione
temporanea di roulotte o camper o altri manufatti mobili
all’interno di strutture ricettive all’aperto, come i
camping, è chiaramente consentita dal legislatore e non
prevede il rilascio di titoli edilizi”.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5), del D.P.R. n.
380 del 06.06.2001, recante il T.U. delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia, sono,
infatti, da considerarsi nuove costruzioni, comportanti la
trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, «l'installazione
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti
di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad
eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee o siano ricompresi in strutture
ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei
turisti, previamente autorizzate sotto il profilo
urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in
conformità alle normative regionali di settore».
IL PRONUNCIAMENTO DELLA CONSULTA.
I limiti per l’applicazione di tale disposizione sono stati
di recente chiariti dalla Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 171 del 02-06.07.2012. Con tale sentenza la
Corte ha sancito l’illegittimità costituzionale, per la
violazione della normativa statale in ordine agli interventi
di nuova costruzione, del comma 1 dell’art. 25-bis della
legge della Regione Lazio n. 13 del 2007, inserito dall’art.
2 della legge regionale n. 14 del 2011, secondo cui era
consentita, nelle strutture ricettive all’aria aperta,
previste dall’art. 23, comma 4, della detta legge regionale,
l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di
pernottamento, con relativi preingressi e cucinotti, «anche
se collocati permanentemente».
La Corte Costituzionale ha precisato che l’art. 6 del D.P.R.
n. 380 del 2001 stabilisce quali sono gli interventi
eseguibili senza alcun titolo abilitativo, e tra essi non
figurano le installazioni delle strutture sopra menzionate,
mentre il successivo art. 10 inserisce gli interventi di
nuova costruzione tra quelli di trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio.
Pertanto, ha aggiunto la Corte, «l’assunto della difesa
regionale –secondo cui le strutture mobili, previste
dall’art. 1 della legge impugnata, non determinerebbero
alcuna trasformazione irreversibile o permanente del
territorio su cui insistono– si pone in palese contrasto con
la normativa statale e con i principi fondamentali da essa
affermati. Invero, è evidente che, se quell’assunto fosse
esatto, cioè se si trattasse “di strutture caratterizzate da
precarietà oggettiva, tenuto conto delle tipologie dei
materiali utilizzati”, il legislatore statale non avrebbe
catalogato in modo espresso tra “gli interventi di nuova
costruzione” l’installazione di manufatti leggeri, tra cui
le case mobili. Inoltre, quanto alla precarietà funzionale
che contraddistinguerebbe i manufatti, ponendosi come
nozione distinta dalla temporaneità delle funzioni cui
assolvono, giacché essi sarebbero volti a garantire esigenze
meramente temporanee, è sufficiente notare, da un lato, che
proprio il dettato della norma censurata smentisce tale
precarietà, dal momento che considera l’installazione e il
rimessaggio dei mezzi mobili, “anche se collocati
permanentemente”, come attività edilizia libera, e perciò
non soggetta a titolo abilitativo edilizio; e, dall’altro,
che proprio la mancanza del titolo edilizio e di ogni
previsione di verifica o di controllo impedisce di
riscontrare il presunto carattere precario e temporaneo
dell’installazione».
Né secondo la Corte, è possibile giungere ad una conclusione
diversa per effetto della norma di cui all’art. 6, comma 6,
del T.U. sull’edilizia, che consente alle Regioni a statuto
ordinario di poter estendere la disciplina sull’attività
edilizia libera ad interventi edilizi ulteriori rispetto a
quelli menzionati nel medesimo articolo, poiché tale
disposizione si riferisce ad (altri) interventi (atipici)
senza che possa essere derogata la disposizione dettata
dall’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Nella decisione richiamata, la Consulta ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 2, comma 8,
secondo periodo, della legge della Regione Lazio n. 14 del
2011, per aver disposto che, nelle strutture regolarmente
autorizzate all’esercizio ricettivo e ricadenti nei parchi
naturali successivamente istituiti, l’installazione, la
rimozione e/o lo spostamento di mezzi mobili di
pernottamento non costituiscono mutamenti dello stato dei
luoghi e pertanto non sono soggetti al preventivo parere
degli enti gestori.
Quindi, aggiunge il Consiglio di Stato, “per effetto di
quanto disposto dal citato art. 3 del T.U. dell’edilizia
l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper e,
come nella specie, case mobili, può ritenersi pertanto
consentita in strutture ricettive all'aperto per la sosta e
il soggiorno dei turisti se sono diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee, non determinandosi una
trasformazione irreversibile o permanente del territorio su
cui insistono, mentre l’installazione stabile di mezzi
(teoricamente) mobili di pernottamento determina una
trasformazione irreversibile o permanente del territorio,
con la conseguenza che per tali manufatti, equiparabili alle
nuove costruzioni, necessita il permesso di costruire. Se
l’area interessata è poi in zona vincolata, per tali
manufatti occorre anche il nulla osta dell’amministrazione
preposta alla tutela del vincolo”.
La disposizione “è chiaramente volta ad escludere la
necessità di titoli edilizi per la collocazione temporanea
di strutture mobili destinate ad abitazione, come le
roulotte, i camper o anche le case mobili, da parte dei
turisti che utilizzano tali mezzi per muoversi da una
struttura all’altra e si avvalgono poi dei diversi servizi
messi a loro disposizione dai gestori delle strutture
ricettive”
(commento tratto da
www.casaeclima.com).
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MASSIMA
... per la riforma della sentenza del TAR per il Lazio,
Sede di Roma, Sez. I-quater, n. 11725 del 24.11.2014, resa
tra le parti, concernente la demolizione di case mobili e il
ripristino dello stato dei luoghi.
...
3.- La società Ro.Ge. ha appellato l’indicata sentenza ritenendola
erronea sotto diversi profili.
In particolare la società appellante ha insistito nel
sostenere l’illegittimità dell’impugnata ordinanza di
demolizione in quanto le case mobili oggetto del
provvedimento sanzionatorio sono destinate a soddisfare,
contrariamente a quanto affermato dal TAR, esigenze
intrinsecamente temporanee.
Dopo aver ricordato che la normativa regionale (art. 25-bis
della legge n. 13 del 2007, Organizzazione del sistema
turistico laziale), che prevedeva la libera installazione
delle strutture oggetto del provvedimento impugnato, è stata
dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con
sentenza n. 171 del 2012, la società appellante ha sostenuto
che comunque la normativa nazionale (art. 3, comma 1, lett.
e5, del T.U. dell’edilizia) include i manufatti leggeri,
come le case mobili, fra quelli per i quali occorre il
permesso di costruire, se utilizzati come abitazioni o come
luogo di lavoro, «salvo che siano installati, con temporaneo
ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive
all’aperto in conformità alla normativa regionale di
settore, per la sosta e il soggiorno di turisti».
L’appellante ha poi aggiunto che anche la legge regionale n.
18 del 2008 prevede che il posizionamento di mezzi mobili
all’interno del camping non è soggetto a titoli abilitativi.
4.- Ciò premesso, si deve preliminarmente ricordare che
la
possibile collocazione temporanea di roulotte o camper o
altri manufatti mobili all’interno di strutture ricettive
all’aperto, come i camping, è chiaramente consentita dal
legislatore e non prevede il rilascio di titoli edilizi.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5), del D.P.R. n.
380 del 06.06.2001, recante il T.U. delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia,
sono,
infatti, da considerarsi nuove costruzioni , comportanti la
trasformazione edilizia e urbanistica del territorio,
«l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati,
e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers,
case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti
a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano
ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e
il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il
profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto,
paesaggistico, in conformità alle normative regionali di
settore».
5.- I limiti per l’applicazione di tale disposizione sono
stati di recente chiariti dalla Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 171 del 02-06.07.2012, citata dalla stessa
società appellante.
Con tale sentenza la Corte ha sancito l’illegittimità
costituzionale, per la violazione della normativa statale in
ordine agli interventi di nuova costruzione, del comma 1
dell’art. 25-bis della legge della Regione Lazio n. 13 del
2007, inserito dall’art. 2 della legge regionale n. 14 del
2011, secondo cui era consentita, nelle strutture ricettive
all’aria aperta, previste dall’art. 23, comma 4, della detta
legge regionale, l’installazione e il rimessaggio dei mezzi
mobili di pernottamento, con relativi preingressi e
cucinotti, «anche se collocati permanentemente».
5.1.- La Corte Costituzionale ha quindi precisato che
l’art.
6 del D.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce quali sono gli
interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo, e tra
essi non figurano le installazioni delle strutture sopra
menzionate, mentre il successivo art. 10 inserisce gli
interventi di nuova costruzione tra quelli di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio.
Pertanto, ha aggiunto la Corte, «l’assunto della difesa
regionale –secondo cui le strutture mobili, previste
dall’art. 1 della legge impugnata, non determinerebbero
alcuna trasformazione irreversibile o permanente del
territorio su cui insistono– si pone in palese contrasto
con la normativa statale e con i principi fondamentali da
essa affermati. Invero, è evidente che, se quell’assunto
fosse esatto, cioè se si trattasse “di strutture
caratterizzate da precarietà oggettiva, tenuto conto delle
tipologie dei materiali utilizzati”, il legislatore statale
non avrebbe catalogato in modo espresso tra “gli interventi
di nuova costruzione” l’installazione di manufatti leggeri,
tra cui le case mobili. Inoltre, quanto alla precarietà
funzionale che contraddistinguerebbe i manufatti, ponendosi
come nozione distinta dalla temporaneità delle funzioni cui
assolvono, giacché essi sarebbero volti a garantire esigenze
meramente temporanee, è sufficiente notare, da un lato, che
proprio il dettato della norma censurata smentisce tale
precarietà, dal momento che considera l’installazione e il
rimessaggio dei mezzi mobili, “anche se collocati
permanentemente”, come attività edilizia libera, e perciò
non soggetta a titolo abilitativo edilizio; e, dall’altro,
che proprio la mancanza del titolo edilizio e di ogni
previsione di verifica o di controllo impedisce di
riscontrare il presunto carattere precario e temporaneo
dell’installazione».
5.2.- Né secondo la Corte, è possibile giungere ad una
conclusione diversa per effetto della norma di cui all’art.
6, comma 6, del T.U. sull’edilizia, che consente alle
Regioni a statuto ordinario di poter estendere la disciplina
sull’attività edilizia libera ad interventi edilizi
ulteriori rispetto a quelli menzionati nel medesimo
articolo, poiché tale disposizione si riferisce ad (altri)
interventi (atipici) senza che possa essere derogata la
disposizione dettata dall’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.
5.3.- Si deve aggiungere che la Corte, nella decisione
richiamata, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
anche dell’art. 2, comma 8, secondo periodo, della legge
della Regione Lazio n. 14 del 2011, per aver disposto che,
nelle strutture regolarmente autorizzate all’esercizio
ricettivo e ricadenti nei parchi naturali successivamente
istituiti, l’installazione, la rimozione e/o lo spostamento
di mezzi mobili di pernottamento non costituiscono mutamenti
dello stato dei luoghi e pertanto non sono soggetti al
preventivo parere degli enti gestori.
6.- Per effetto di quanto disposto dal citato art. 3 del
T.U. dell’edilizia l'installazione di manufatti leggeri,
anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere,
quali roulotte, camper e, come nella specie, case mobili,
può ritenersi pertanto consentita in strutture ricettive
all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti se sono
diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, non
determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente
del territorio su cui insistono, mentre l’installazione
stabile di mezzi (teoricamente) mobili di pernottamento
determina una trasformazione irreversibile o permanente del
territorio, con la conseguenza che per tali manufatti,
equiparabili alle nuove costruzioni, necessita il permesso
di costruire.
Se l’area interessata è poi in zona vincolata,
per tali manufatti occorre anche il nulla osta
dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.
6.1.- L’indicata disposizione è chiaramente volta ad
escludere la necessità di titoli edilizi per la collocazione
temporanea di strutture mobili destinate ad abitazione, come
le roulotte, i camper o anche le case mobili, da parte dei
turisti che utilizzano tali mezzi per muoversi da una
struttura all’altra e si avvalgono poi dei diversi servizi
messi a loro disposizione dai gestori delle strutture
ricettive.
7.- Nella fattispecie, come risulta dalla documentazione in
atti, le case mobili oggetto del provvedimento di
demolizione, in gran parte poi rimosse, benché collocate
all’interno di una struttura ricettiva turistica autorizzata
non erano evidentemente caratterizzate da quella precarietà
e temporaneità che ne poteva consentire la permanenza in
assenza di titoli edilizi.
Risulta, infatti, dagli atti, che la società appellante
aveva collocato stabilmente, destinandole al servizio di
turisti, ben 142 case mobili (n. 70 di mt. 3 x 8, di forma
rettangolare, e n. 72 di circa mq. 27, di forma ad “L”, per
un totale di circa 3.624 mq.), munite di ruote, ma sollevate
dal suolo, ed allacciate all’impianto idrico sanitario ed
elettrico.
7.1.- In tal modo, la stabile collocazione, ad opera del
gestore, di un vero e proprio nucleo organizzato di case
mobili, ha determinato un’alterazione del territorio, che
non può ritenersi né precaria né transitoria, e la
realizzazione di una struttura ricettiva atipica che può
ritenersi assimilabile a quella di un villaggio turistico.
In particolare, nel momento in cui tali manufatti, definiti
case mobili perché muniti di ruote, sono stati stabilmente
infissi al suolo, all’interno dell’area del campeggio, ed
hanno perso la loro mobilità (tanto che, come ha accertato
il Comune, erano sollevati dal suolo), è venuta meno quella
caratteristica di precarietà dell’opera che consente la loro
collocazione in assenza di titoli edilizi all’interno di
strutture ricettive turistiche.
Infatti, le disposizioni volte a consentire la libera
collocazione all’interno delle strutture ricettive di
strutture mobili (come le “case” su ruote) è volta
chiaramente a favorire l’occupazione transitoria del suolo,
in particolare da parte dei turisti che utilizzano tali
mezzi muovendosi da una struttura all’altra, e non anche a
favorire la realizzazione, in assenza di titoli edilizi, di
strutture stabili equiparabili a quelle di tipo alberghiero.
7.2.- Correttamente il TAR ha, pertanto, affermato che,
per individuare la natura precaria di un'opera, si deve
seguire «non il criterio strutturale, ma il criterio
funzionale», per cui un'opera se è realizzata per soddisfare
esigenze non temporanee non può beneficiare del regime
proprio delle opere precarie.
7.3.- Anche questa Sezione ha più volte affermato che
non
possono essere considerati manufatti destinati a soddisfare
esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una
utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione
del territorio non può essere considerata temporanea,
precaria o irrilevante (fra le più recenti: Consiglio di
Stato, Sez. VI, n. 4116 del 04.09.2015).
La Sezione ha anche affermato che la “precarietà”
dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del
permesso di costruire, postula un uso specifico e
temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità
che non esclude la destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti,
ma permanenti nel tempo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n.
2841 del 03.06.2014).
8.- Né, come pure ha giustamente osservato il TAR,
la
precarietà dei manufatti può desumersi dalle finalità di
alloggio transitorio e temporaneo proprie delle strutture
ricettive turistiche: «temporanee sono, infatti,
esclusivamente le modalità di soggiorno dei soggetti
ospitati nelle strutture, che nulla hanno in comune con la
stabile presenza ed utilizzazione delle "case mobili" in
questione».
9.- Alla luce delle esposte considerazioni, l’appello
risulta infondato e deve essere pertanto respinto (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 01.04.2016 n. 1291 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli interventi, consistenti nella realizzazione
di tettoie e di altre strutture non comprese entro coperture
volumetriche previste in un progetto assentito, possono
ritenersi sottratte al regime del permesso di costruire
soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte
dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità
di semplice decoro o arredi o di riparo e protezione (anche
da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui
eventualmente accedono. Tali strutture non possono,
viceversa, ritenersi installabili senza permesso di
costruire, allorquando le loro dimensioni sono di entità
tali da arrecare una visibile alterazione dello stato dei
luoghi.
---------------
È incontestata, in vicenda, l’assenza di titolo abilitativo
e la consistenza degli abusi edilizi, a nulla rilevando, ai
fini della qualificazione dell'abuso, il carattere precario
o temporaneo dei manufatti eseguiti, con riferimento ai
quali, peraltro, non viene allegata documentazione tecnica
comprovante tale asserita precarietà.
Assume, invece, significato la perdurante modificazione
strutturale e funzionale dello stato dei luoghi, nella
specie, peraltro, in zona di vincolo, atteso che il
manufatto è finalizzato all’uso costante (ricovero di
attrezzature edili) proprio di un'attività imprenditoriale.
Peraltro, la giurisprudenza amministrativa è da tempo
consolidata nel ritenere che la precarietà di un manufatto,
che ne giustificherebbe il non assoggettamento a permesso di
costruire per ogni attività comportante la trasformazione
urbanistica del territorio, non dipende dai materiali
utilizzati o dai sistemi di ancoraggio al suolo, bensì dalla
obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell’opera.
---------------
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
proposto da RI.Do., RI.Ma., RI.Ar.,
RI.Ma., per l’annullamento, previa sospensiva,
dell’ordinanza del Comune di San Sebastiano al Vesuvio (NA)
n. 39 del 01.06.2010, con cui è stata ingiunta ai ricorrenti,
in qualità di proprietari del terreno, la demolizione delle
opere abusive rilevate presso tale terreno, nonché (con
ulteriore ricorso straordinario) del verbale di accertamento
di ottemperanza all’ordinanza di demolizione impugnata,
elevata dalla Polizia Municipale dello stesso Comune, prot.
n. 1372 del 14.10.2010 .
...
Il ricorsi sono infondati.
Come emerge dalla descrizione dell’abuso sanzionato, nella
specie non si è trattato di un intervento di modeste
dimensioni, ma di un manufatto in muratura di circa 36 mq ad
uso ufficio, con copertura in lamiere coibentate ed attigua
tettoia poggiante su pilastrini in ferro, per una superficie
di circa 115 mq.
In proposito, è stato rilevato in giurisprudenza che gli
interventi, consistenti nella realizzazione di tettoie e di
altre strutture non comprese entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono ritenersi
sottratte al regime del permesso di costruire soltanto ove
la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono
evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro
o arredi o di riparo e protezione (anche da agenti
atmosferici) della parte dell’immobile cui eventualmente
accedono. Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi
installabili senza permesso di costruire, allorquando le
loro dimensioni sono di entità tali da arrecare una visibile
alterazione dello stato dei luoghi (Consiglio di Stato, Sez.
V, 13.03.2001, n. 1442).
È incontestata, in vicenda, l’assenza di titolo abilitativo
e la consistenza degli abusi edilizi, a nulla rilevando, ai
fini della qualificazione dell'abuso, il carattere precario
o temporaneo dei manufatti eseguiti, con riferimento ai
quali, peraltro, non viene allegata documentazione tecnica
comprovante tale asserita precarietà. Assume, invece,
significato la perdurante modificazione strutturale e
funzionale dello stato dei luoghi, nella specie, peraltro,
in zona di vincolo, atteso che il manufatto è finalizzato
all’uso costante (ricovero di attrezzature edili) proprio di
un'attività imprenditoriale (Consiglio di Stato, Sez. I, 10.04.2013, n. 666/2013).
Peraltro, la giurisprudenza
amministrativa è da tempo consolidata nel ritenere che la
precarietà di un manufatto, che ne giustificherebbe il non
assoggettamento a permesso di costruire per ogni attività
comportante la trasformazione urbanistica del territorio,
non dipende dai materiali utilizzati o dai sistemi di
ancoraggio al suolo, bensì dalla obiettiva ed intrinseca
destinazione naturale dell’opera (Cons. St., Sez. IV, 02.10.2012, n. 5183; Sez. III, 12.09.2012, n. 4850;
Sez. V, 20.12.1999, n. 2125)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
parere 25.02.2016 n. 522 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
carattere precario di un’opera edilizia va valutata con
riferimento non alle modalità costruttive bensì alla
funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non
possono essere considerati quali opere destinate a
soddisfare esigenze meramente temporanee quelle adibite ad
un utilizzo perdurante nel tempo, tale per cui l'alterazione
del territorio –circostanza decisiva ai fini
dell’autorizzazione paesaggistica- non può essere
considerata irrilevante.
Da ciò consegue che, laddove si realizzi un manufatto
destinato ad un uso prolungato nel tempo, anche in assenza
di immobilizzazione al suolo o al solaio, la precarietà
dello stesso non dipende dai materiali impiegati o dal suo
sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il
manufatto è rivolto e va quindi valutata alla luce
dell'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale
dell’opera, senza che rilevino le finalità, ancorché
temporanee, date o auspicate dai proprietari.
---------------
Come chiarito da questa stessa Sezione, in adesione ad un
indirizzo giurisprudenziale in materia consolidato, il
carattere precario di un’opera edilizia va valutata con
riferimento non alle modalità costruttive bensì alla
funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non
possono essere considerati quali opere destinate a
soddisfare esigenze meramente temporanee quelle adibite ad
un utilizzo perdurante nel tempo, tale per cui l'alterazione
del territorio –circostanza decisiva ai fini
dell’autorizzazione paesaggistica- non può essere
considerata irrilevante (TAR Napoli, sez. III, 14.05.2013,
n. 2505).
Da ciò consegue che, laddove si realizzi un manufatto
destinato ad un uso prolungato nel tempo, anche in assenza
di immobilizzazione al suolo o al solaio, la precarietà
dello stesso non dipende dai materiali impiegati o dal suo
sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il
manufatto è rivolto e va quindi valutata alla luce
dell'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale
dell’opera, senza che rilevino le finalità, ancorché
temporanee, date o auspicate dai proprietari (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 13.01.2016 n. 137 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Non ha natura "precaria"
il manufatto realizzato consiste in un corpo di fabbrica
edificato con blocchetti di tufo con copertura di travi di
legno e lamiera zincata, destinato a pollaio, perimetrato da
una rete metallica di recinzione infissa in un cordolo
anch’esso realizzato con blocchetti di tufo.
In materia edilizia, la natura precaria di un manufatto non
può essere desunta dalla temporaneità della destinazione
dell’opera come attribuitale dal costruttore, ma deve
risultare dalla intrinseca destinazione materiale della
stessa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini
specifici, contingenti e limitati nel tempo, non risultando
peraltro sufficiente la sua rimovibilità o il mancato
ancoraggio al suolo.
Nel caso di specie, il fatto che l’opera fosse adibita
abitualmente al ricovero degli animali (pollaio) esclude,
con tutta evidenza, la natura precaria della stessa ed il
fatto che l’imputato fosse l’unico tra i comproprietari
dell’immobile, ove insisteva il manufatto abusivo, ad
utilizzarlo induce fondatamente a ritenere che egli fosse il
committente dell’opera, stante la diretta utilizzazione
della stessa da parte sua e l’assenza in zona degli altri
comproprietari.
---------------
1. Il ricorso è fondato, per quanto di ragione, sulla base
del secondo motivo. Il primo motivo è invece infondato.
2. Secondo la Corte d’appello, dalla documentazione
fotografica in atti e dalle deposizioni dei testi autori del
sopralluogo effettuato in data 10.05.2011, il manufatto
realizzato, in assenza del permesso di costruire, consiste
in un corpo di fabbrica edificato con blocchetti di tufo con
copertura di travi di legno e lamiera zincata, destinato a
pollaio, perimetrato da una rete metallica di recinzione
infissa in un cordolo anch’esso realizzato con blocchetti di
tufo.
È stato pertanto escluso trattarsi di un’opera definibile
come precaria in quanto non affatto destinata ad esigenze
temporanee (non essendo tali quelle sottese a procurare agli
animali di cortile un idoneo riparo) ma altresì realizzata
con modalità e materiali non idonei ad essere sollecitamente
eliminati e denotanti, per converso, la finalizzazione del
manufatto ad esigenze non contingenti e limitate nel tempo.
Quanto alla attribuibilita all’imputato dell’opera in
questione, è stato posto in evidenza che il teste D. abbia
riferito che il ricorrente è l’unico dei comproprietari
dell’azienda, cui il pollaio è annesso, ad occuparlo
stabilmente in quanto tutti gli altri contitolari “non
sono presenti sul territorio” a causa di una
problematica attinente proprio al possesso della menzionata
azienda che il prevenuto rivendica in via esclusiva.
3. Pertanto, con logica ed adeguata
motivazione, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto
la non precarietà dell’opera e dunque la necessità che, per
la sua realizzazione, fosse necessario il permesso di
costruire in considerazione della natura dell’intervento
realizzato e ha altrettanto correttamente attribuito il
fatto di reato all’imputato essendo costui l’unica persona
ad avere un rapporto permanente con i luoghi in cui l’abuso
è stato realizzato e l’unica ad avervi interesse ad
eseguirlo.
Nel pervenir a tali conclusioni la Corte lucana si è
attenuta ai principi di diritto affermati da questa Corte
secondo i quali, in materia edilizia, la
natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla
temporaneità della destinazione dell’opera come attribuitale
dal costruttore, ma deve risultare dalla intrinseca
destinazione materiale della stessa ad un uso realmente
precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e
limitati nel tempo, non risultando peraltro sufficiente la
sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo
(Sez. 3, n. 37992 del 03/06/2004, Mandò, Rv. 229601).
Nel caso di specie, il fatto che l’opera
fosse adibita abitualmente al ricovero degli animali
(pollaio) esclude, con tutta evidenza, la natura precaria
della stessa ed il fatto che l’imputato fosse l’unico tra i
comproprietari dell’immobile, ove insisteva il manufatto
abusivo, ad utilizzarlo induce fondatamente a ritenere che
egli fosse il committente dell’opera, stante la diretta
utilizzazione della stessa da parte sua e l’assenza in zona
degli altri comproprietari.
4. Il secondo motivo è fondato nei limiti e sulla base delle
considerazioni che seguono.
La giurisprudenza di questa Corte si è assestata nel senso
di ritenere che l’esclusione della
punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui
all’art. 131-bis cod. pen., ha natura sostanziale ed è
applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in
vigore del D.Lgs. 16.03.2015, n. 28, ivi compresi quelli
pendenti in sede di legittimità, nei quali la Corte di
cassazione può anche rilevare di ufficio ai sensi dell’art.
609, comma secondo, cod. proc. pen. la sussistenza delle
condizioni di applicabilità del predetto istituto,
fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e
dalla motivazione della decisione impugnata e, in caso di
valutazione positiva, deve annullare la sentenza con rinvio
al giudice di merito
(Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015, Mazzarotto, Rv. 263308).
Nel caso di specie, l’applicabilità dell’istituto per
effetto dello ius superveniens è stata peraltro
eccepita con il secondo motivo di ricorso e sussistono i
presupposti affinché il giudice di merito verifichi, in
concreto, se sussistono le condizioni per l’applicazione
dell’invocata causa di non punibilità per la particolare
tenuità del fatto, posto che tale accertamento richiede
apprezzamenti fattuali (nel caso in esame, anche se l’opera
abusiva sia stata o meno rimossa) e che ogni valutazione al
riguardo è preclusa in sede di legittimità.
Va tuttavia precisato che nei reati
permanenti, nei cui novero rientrano le contravvenzioni
relative agli abusi edilizi, è preclusa, quando la
permanenza non sia cessata, l’applicazione della causa di
non punibilità per la particolare tenuità del fatto a
cagione della perdurante compressione del bene giuridico
protetto dalla norma incriminatrice, per effetto della
condotta delittuosa compiuta dall’autore del fatto di reato,
non potendosi considerare tenue, secondo i criteri di cui
all’art. 133, comma 1, cod. pen. e dei quali occorre tenere
conto ai fini della (particolare) tenuità del fatto,
un’offesa all’interesse penalmente tutelato che continua a
protrarsi nel tempo.
Questa Corte ha tuttavia opportunamente precisato che
il reato permanente, non essendo riconducibile
nell’alveo del comportamento abituale ostativo al
riconoscimento del beneficio ex art. 131-bis cod. pen., può
essere oggetto di valutazione con riferimento all’”indice-criterio”
della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza
sarà tanto più difficilmente rilevabile quando più tardi
sarà cessata la permanenza
(Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.M. in proc. Derossi, non
ancora mass.).
Quindi, l’eliminazione dell’opera abusiva,
attraverso la sua demolizione o la rimessione in pristino
dello stato dei luoghi, implicando la cessazione della
permanenza, può consentire, a condizioni esatte,
l’applicazione della causa di non punibilità introdotta
dall’art. 131-bis cod. pen..
5. Questa Corte ha già affermato che la
particolare tenuità del fatto costituisce una causa di non
punibilità atipica
(Sez. 3, n. 21014 del 07/05/2015, v. Fregolent, non mass.)
per gli effetti negativi che produce per l’imputato
(anzitutto la possibile rilevanza nei giudizi civili ed
amministrativi ed, ancora, l’iscrizione del provvedimento
nel casellario giudiziale) e la sua applicazione presuppone,
tra l’altro, l’accertamento della responsabilità penale
ossia l’accertamento dell’esistenza delitto e della sua
attribuibilità all’imputato.
Ciò spiega la ragione per la quale la
declaratoria di estinzione del reato per prescrizione
prevale sull’esclusione della punibilità per particolare
tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., sia
perché diverse sono le conseguenze che scaturiscono dai due
istituti, sia perché il primo di essi estingue il reato,
mentre il secondo lascia inalterato l’illecito penale nella
sua materialità storica e giuridica
(Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, P.C. in proc. Sorbara, Rv.
263885).
Perciò, la questione del concorso tra le
due cause di estinzione del reato e non punibilità può porsi
solo quando le stesse siano entrambe contemporaneamente
applicabili “in partenza”, con la conseguenza che
–quando, come nella specie, la Corte di cassazione, non
essendosi verificata la causa estintiva della prescrizione
del reato, annulli la sentenza con rinvio al giudice di
merito per l’applicabilità o meno dell’art. 131-bis cod. pen.
(e quindi al cospetto di un annullamento parziale avente ad
oggetto statuizioni diverse ed autonome rispetto al
riconoscimento dell’esistenza del fatto-reato e della
responsabilità dell’imputato)– nel giudizio
di rinvio non può essere dichiarato prescritto il reato
quando la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza di
annullamento parziale.
6. Siffatta conclusione è autorizzata dal fatto che
la “punibilità” –e dunque le cause che per
immancabile previsione di legge ne certificano la mancanza
(cosiddette “cause di non punibilità”)– non
costituisce un elemento costitutivo del reato e l’assenza
della punibilità non esclude la configurabilità
dell’illecito penale, per la cui ontologica e giuridica
esistenza è necessariamente richiesta la presenza di un
fatto tipico, antigiuridico e colpevole, non anche
l’assoggettamento, in concreto, alla sanzione penale di
colui che lo ha commesso.
A questo proposito, sotto un primo profilo, è sufficiente
considerare che, ex positivo iure, l’art. 129 cod.
proc. pen., allo stesso modo del previgente art. 152 cod.
proc. pen. 1930, non ha inserito –al di là dell’accenno (non
vincolante per l’interprete) nella rubrica della
disposizione alle “cause di non punibilità” (e,
all’evidenza, in senso lato)– le altre ragioni di non
punibilità, compreso il difetto dell’imputabilità, tra le
cause di cui sia obbligatoria la immediata declaratoria
(Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, cit., non mass. sul
punto).
Tale silenzio non è stato ritenuto il frutto di una mera
dimenticanza del legislatore, trovando al contrario radici
profonde nei presupposti che giustificano il ricorso alle
cause di proscioglimento nel merito, alle cause di
estinzione del reato o alle cause d’improcedibilità
codificate ed esulando invece dall’ambito operativo della
fattispecie processuale le ipotesi in cui la causa di non
punibilità possa essere dichiarata esclusivamente dopo
l’accertamento del fatto di reato e della sua attribuibilità
all’imputato, epilogo, questo, confermato, sia pure con
riferimento all’imputabilità, dalla Corte costituzionale
(sentenza del 10.02.1993, n. 41) secondo cui la suddetta
declaratoria (di non punibilità per difetto d’imputabilità)
postula il necessario accertamento della responsabilità in
ordine al fatto-reato e della sua attribuibilità
all’imputato.
Sotto altro profilo, è stato lucidamente chiarito, in
dottrina, come alla punibilità possano essere attribuiti due
significati: uno generico, con il quale si
rappresenta che un determinato fatto in tanto è preveduto
dalla legge come reato in quanto per esso è prevista, come
ordinaria conseguenza per coloro che lo hanno commesso,
l’applicazione d’una sanzione penale; l’altro,
strettamente tecnico, secondo cui nella punibilità deve
riconoscersi il complesso di tutti gli elementi richiesti
dalle norme del diritto penale sostanziale per
l’assoggettamento di una persona alla potestà punitiva dello
Stato, pervenendosi alla conclusione che né dal primo punto
di vista e né dall’altro la punibilità appare elemento
costitutivo o carattere del reato: nel primo caso essa non è
infatti che l’indicazione del carattere (o disvalore)
criminoso di un determinato fatto i cui estremi costitutivi
sono e restano la conformità al tipo, l’antigiuridicità e la
colpevolezza; mentre nel secondo la punibilità si identifica
con la ordinaria conseguenza del reato, con la potenzialità
dell’applicazione della pena, vuoi nel suo momento
giudiziale (cosiddetta punibilità in astratto), vuoi nel suo
momento esecutivo (cosiddetta punibilità in concreto).
Ne consegue che il precetto penale, pur essendo
riconoscibile solo per la previsione della sanzione
criminale, tipicizza i fatti che sono configurati dalla
legge come reato, rispetto al quale, quando se ne compia
l’esame o l’analisi in concreto, la punibilità non appare
come indefettibile elemento, posto che i due momenti della
norma penale (precetto e sanzione) mostrano in pieno la loro
rispettiva autonomia, al punto che l’inapplicabilità della
sanzione non appare affatto come elemento decisivo per
negare che un determinato interesse rientri nella sfera dei
fatti penalmente rilevanti, allorquando l’ordinamento penale
una tale rilevanza attribuisca tanto quando ammette
l’esistenza di eventi o di condizioni che determinano
l’applicabilità della sanzione, pur non facendo parte del
fatto tipico (quali le cosiddette condizioni oggettive di
punibilità), tanto quando contempla eventi o condizioni che,
pur non escludendo il reato perché non attengono né al fatto
tipico né alla sua antigiuridicità né alla colpevolezza,
escludono tuttavia l’applicabilità della sola sanzione.
Una conferma di tale soluzione si coglie quando si consideri
che, pur al cospetto di tali eventi e condizioni che
escludono la punibilità, l’esistenza del reato non può
negarsi, vuoi perché la causa di non punibilità è riferibile
soltanto a un momento successivo a quello del
perfezionamento di tutti gli estremi di esso (come nel caso
della ritrattazione della falsa testimonianza), vuoi perché
la esclusione della pena è rimessa al potere discrezionale
del giudice (come nel caso della non punibilità
dell’ingiuria per reciprocità delle offese).
Si tratta di un principio che questa Corte ha già affermato
con riferimento alla causa di non punibilità prevista
dall’art. 2, comma 1-bis D.L. 12.09.1983, n. 463, conv. in
L. 11.11.1983, n. 638 a proposito del reato di omesso
versamento delle ritenute d’imposta operate dal datore di
lavoro allorquando è stato precisato (Sez. 3, n. 45451 del
18/07/2014, Cardaci, non mass. sul punto) come le cause, nel
caso di specie sopravvenute, di non punibilità siano
caratterizzate da situazioni o da fatti che derivano sempre
da accadimenti posteriori alla commissione di un reato e
tali accadimenti possono essere collegati ad un
comportamento dell’agente di valore inverso rispetto alla
condotta illecita tenuta (come, a titolo esemplificativo,
nel caso di recesso dai delitti di cospirazione politica o
di banda armata alle condizioni rispettivamente previste
dagli artt. 308 e 309 cod. pen., nel caso di ritrattazione
della falsa testimonianza) ovvero ad una manifestazione di
volontà del soggetto passivo (come ad esempio nel caso
previsto dall’art. 596 cod. pen., comma 3, n. 3, in
relazione all’ultimo comma della medesima disposizione)
oppure all’esercizio di un potere discrezionale del giudice
(come avviene, ad esempio, nell’art. 599 cod. pen. che
attribuisce al giudice il potere di non punire uno o
entrambi gli offensori se le offese sono reciproche).
Perciò nei casi in cui l’esenzione da pena
dipende da comportamenti del reo successivi al fatto o è
rimessa soltanto al potere discrezionale del giudice non si
può negare che la valutazione compiuta dal legislatore
nell’attribuire rilevanza alle cause di esenzione
discrezionale da pena riguardino esclusivamente l’an
o il quantum della punibilità e non anche gli
elementi (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza) che
reggono la struttura del reato, presupponendone pertanto
l’accertamento e la sua attribuibilità all’autore, posto che
la ragione dell’esenzione della pena riposa, di regola, su
motivi di convenienza o di politica utilità della punizione
che, come è stato precisato, tradizionalmente si vogliono
vedere alla base delle cause di esclusione della sola
punibilità sussumibili piuttosto in una fattispecie di “perdono”
giudiziale che non di un accertamento dei presupposti del
dovere di punire.
Va aggiunto come questa Corte, nella sua più autorevole
composizione, abbia già affermato il principio secondo il
quale la punibilità non può essere
considerata un elemento costitutivo del reato, osservando
che il diritto positivo, prevedendo cause che escludono
l’illiceità del fatto –c.d. cause di giustificazione– nonché
cause scusanti che escludono la colpevolezza ma non
l’illiceità del fatto (artt. 45, 46, cod. pen.) e cause di
esclusione della punibilità in senso stretto –le quali hanno
l’effetto di escludere la sola pena lasciando sussistere
l’illiceità del fatto e la colpevolezza dello autore– non
consente di ritenere che del reato sia sempre componente
essenziale l’applicazione della pena comminata, evidenziando
come emerga, dunque, un ruolo autonomo della punibilità
rispetto al reato, sganciato dall’applicazione della
sanzione tipica, punibilità che va, pertanto, esclusa dai
suoi elementi costitutivi, anche se, di norma, alla
commissione di un illecito penale e accertamento della
colpevolezza segue l’applicazione della relativa sanzione
(Sez. U, Sentenza n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, in
motiv.).
Decisivo a questo proposito è lo scrutinio concernente la
fattispecie riguardante la pacifica ammissibilità di un
concorso punibile nel fatto commesso dal soggetto esentato
dalla pena per la particolare tenuità del fatto. Se
quest’ultimo non avesse realizzato il presupposto minimo
della partecipazione criminosa, che è la realizzazione del
fatto tipico, un concorso penale del terzo, per il quale
sussista l’abitualità del comportamento delittuoso, assente
invece nel concorrente, non si potrebbe in alcun modo
concepire.
Invece la possibilità di un tale concorso deve essere,
secondo i principi generali, pacificamente ammessa cosicché,
come è stato rilevato, proprio nella prospettiva del reato
plurisoggettivo è dato cogliere la peculiare fisionomia
delle cause personali di non punibilità e la loro differenza
dalle cause di esclusione del reato.
Ne consegue che il fatto non punibile non assume alcuna
diversa rilevanza nel senso che non diviene lecito, ma resta
reato, pur se non punibile.
Ciò spiega anche la ragione per la quale la
causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto
non configura un’ipotesi di abolitio criminis sul
rilievo, desumibile dal comb. disp. ex art. 2, comma 2, cod.
pen. e art. 673 cod. proc. pen., che, qualora ricorrono i
presupposti dell’istituto previsto dall’art. 131-bis cod.
pen., il fatto è pur sempre qualificabile –e qualificato
dalla legge– come “reato”, dovendosi ricordare, tra
l’altro, che il nuovo art. 651-bis cod. proc. pen.
attribuisce efficacia di giudicato nei giudizi civili e
amministrativi alla sentenza dibattimentale di
proscioglimento per particolare tenuità del fatto anche “quanto
all’accertamento (…) della sua illiceità penale”
(Sez. 3, n. 34932 del 24/06/2015, Elia, non mass. sul
punto).
7. La causa di non punibilità per la
particolare tenuità del fatto si presta quindi a testare
ulteriormente le conclusioni alle quali si è giunti in
precedenza, convalidandole e confermando che essa presuppone
l’integrazione del reato al completo di tutti i suoi
elementi e, per l’effetto, l’accertamento della
responsabilità e l’attribuibilità del fatto–reato
all’autore, il quale rimane esentato, se la causa è
applicata, solo dall’assoggettamento alla sanzione penale.
L’applicazione della causa di non
punibilità per la particolare tenuità del fatto non esige,
allora, un fatto conforme al tipo ma inoffensivo, anzi
richiede la presenza di un fatto conforme al tipo ed
offensivo, seppure in maniera esigua e tenue secondo i due “indici-criteri”
della tenuità del fatto (la “tenuità dell’offesa” e
la “non abitualità del comportamento”) in coincidenza
necessaria con due ulteriori sotto-indici (o “indici-requisiti”)
della tenuità dell’offesa, rappresentati dalle “modalità
della condotta” e dalla “esiguità del danno o del
pericolo”.
La valutazione in ordine alla sua applicabilità è affidata
al potere discrezionale del giudice al quale, secondo il
principio della discrezionalità guidata o vincolata per
essere i parametri di riferimento normativamente previsti, è
affidato il compito di riconoscerne la sussistenza
nonostante l’accertata commissione del reato e l’attribuibilità
di esso all’imputato.
Logico corollario di tale fisionomia della causa di non
punibilità è costituito dagli effetti negativi che il reato
commesso produce nonostante che, per ragioni di politica
criminale, l’autore è esentato dalla pena: l’iscrizione nel
casellario giudiziale dei provvedimenti “che hanno
dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis
del codice penale” e la rilevanza nei giudizi civili ed
amministrativi secondo quanto disposto dall’art. 651-bis,
cod. proc. pen. recante la disciplina dell’efficacia della
sentenza di proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen. nel
giudizio civile o amministrativo di danno, con i conseguenti
risvolti processuali, tra cui vanno segnalati i più
importanti: l’opposizione, ex art. 411, comma 1-bis, cod.
proc. pen. che possono presentare la persona sottoposta alle
indagini e la persona offesa sulla richiesta di
archiviazione del pubblico ministero per particolare tenuità
del fatto, l’esclusione della causa di non punibilità dal
novero di quelle codificate nell’art. 129 cod. proc. pen. e
la previsione del meccanismo descritto nell’art. 469 cod.
proc. pen. posto che la sentenza di non doversi procedere
prevista dall’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen.
presuppone che l’imputato e il pubblico ministero non si
oppongano alla declaratoria di improcedibilità, essendo
anche necessario consentire alla persona offesa di
interloquire sulla questione della tenuità del fatto
mediante notifica dell’avviso della fissazione dell’udienza
in camera di consiglio, con espresso riferimento alla
procedura ex art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen. (Sez. 3,
n. 47039 del 08/10/2015, P.M. in proc. Derossi, cit.).
Da tutto ciò consegue che l’annullamento con rinvio della
sentenza di condanna per la verifica della sussistenza
dell’art. 131-bis cod. pen., impedisce l’applicabilità nel
giudizio di rinvio della causa di estinzione del reato per
prescrizione e, fermo restando l’accertamento della
responsabilità penale, la statuizione di condanna rimane
sospesa al verificarsi di una condizione costituita
dall’applicabilità o meno della causa di non punibilità per
la particolare tenuità del fatto.
Sul punto, va ricordato che questa Corte ha stabilito che,
da un lato, non si può ritenere la punibilità elemento
costitutivo del reato, come tale in grado di condizionarne
il perfezionamento; dall’altro lato, vige il principio della
formazione progressiva del giudicato, che si forma, in
conseguenza del giudizio della Corte di cassazione di
parziale annullamento dei capi della sentenza e dei punti
della decisione impugnati, su quelle statuizioni
suscettibili di autonoma considerazione, quale quella
relativa all’accertamento della responsabilità in merito al
reato ascritto, che diventano non più suscettibili di
ulteriore riesame. (Cass. Sez. 3, n. 15472 del 20/02/2004,
cit., Rv. 228499; Sez. 2, n. 44949 del 17/10/2013, Abenavoli,
Rv. 257314).
La configurabilità del giudicato progressivo comporta,
infatti, che l’accertamento della responsabilità e
l’irrogazione della pena possono intervenire in momenti
distinti posto che la punibilità non è elemento costitutivo
del reato e dunque non è “extra ordinerà” la
concezione di una definitività decisoria che, attenendo
all’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto
criminoso e ponendo fine all’iter processuale su tale parte,
crei una barriera invalicabile all’applicazione di cause
estintive del reato, sopravvenute alla sentenza di
annullamento ad opera della Cassazione, con la conseguenza
che, se l’annullamento è parziale e non intacca le
disposizioni della sentenza che attengono all’affermazione
di responsabilità, la sentenza acquista “autorità di cosa
giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale
con la parte annullata” (art. 624 cod. proc. pen.) e
tale connessione non sussiste quando venga rimessa dalla
Corte di cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la
questione relativa alla punibilità, sul rilievo che il
giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento del
reato e della responsabilità dell’imputato, con la
definitività della decisione su tali parti, impedisce
l’applicazione di cause estintive sopravvenute
all’annullamento parziale (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997,
Attinà, Rv. 207640).
8. La sentenza impugnata va pertanto annullata per la
verifica dell’applicazione al caso di specie della causa di
non punibilità per la particolare tenuità del fatto con
rinvio, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di appello
di Salerno, la quale si atterrà ai principi di diritto in
precedenza affermati.
Nel resto, il ricorso va invece rigettato (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.12.2015 n. 50215). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di pertinenza civilistico e quello
urbanistico/edilizio sono da tenere distinti, sicché gli
interventi che, pur essendo accessori a quello principale,
incidono in tutta evidenza sull’assetto edilizio
preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico
devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire.
Senza considerare che le opere edilizie abusive “realizzate
in zona sottoposta a vincolo paesistico, si considerano
eseguite in totale difformità dalla concessione e, se
costituenti pertinenze, non sono suscettibili di
autorizzazione in luogo della concessione".
--------------
Al fine di verificare se una determinata opera ha carattere
precario, che è condizione per l'accertamento della non
necessarietà del rilascio della relativa concessione
edilizia, occorre verificare la destinazione funzionale e
l'interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata;
pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali
a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea,
destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo,
entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di
carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il
permesso di costruire.
Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va
valutata con riferimento non alle modalità costruttive,
bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza
che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio
non può essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di
opere che, pur difettando del requisito
dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili),
consistano in una struttura destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la
precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non
assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa
non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è
destinato e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla
rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai
proprietari.
A parte il rilievo che i
ricorrenti nemmeno indicano rispetto a quale manufatto le
opere sarebbero pertinenziali vale quanto da tempo affermato
dalla giurisprudenza secondo cui “il concetto di pertinenza
civilistico e quello urbanistico/edilizio sono da tenere
distinti, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a
quello principale, incidono in tutta evidenza sull’assetto
edilizio preesistente, determinando un aumento del carico
urbanistico devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire” (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 07.04.2011,
n. 2159).
Senza considerare che le opere edilizie abusive
“realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, si
considerano eseguite in totale difformità dalla concessione
e, se costituenti pertinenze, non sono suscettibili di
autorizzazione in luogo della concessione” (Tar Campania,
questa sesta sezione, n. 5835 del 18.12.2013 e n. 2245
del 30.04.2013, nel cui seno è richiamata Cass. Penale,
sezione terza, pronuncia n. 2733 del 31.01.1994).
Quest’ultimo ragionamento può essere ripercorso
relativamente ai realizzati sbancamenti e ampliamenti
edilizi descritti nell’ordinanza di demolizione.
Quanto alla asserita precarietà (per i materiali utilizzati)
delle opere descritte sub i), p) q) ed s) del ricorso
(sostituzione della copertura di un terrazzo in lamiera
completa di controsoffittatura in legno; manufatto di 19,5
mq.; baracca di 75 mq., tettoia di 36 mq in legno) la
giurisprudenza ha evidenziato che "Al fine di verificare se
una determinata opera ha carattere precario, che è
condizione per l'accertamento della non necessarietà del
rilascio della relativa concessione edilizia, occorre
verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale
al cui soddisfacimento essa è destinata; pertanto, solo le
opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una
esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo
il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza
l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e,
in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire.
Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va
valutata con riferimento non alle modalità costruttive,
bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza
che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio
non può essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di
opere che, pur difettando del requisito
dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili),
consistano in una struttura destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la
precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non
assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa
non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è
destinato e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla
rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai
proprietari" (Consiglio di Stato, sez. III, 12.09.2012, n. 4850).
Nella fattispecie, non vi è alcun indice (né viene dedotto –
la precarietà è meramente affermata) della sussistenza dei
requisiti sopra richiamati per considerare le opere precarie
e non soggette a permesso di costruire.
Relativamente al mutamento di destinazione d’uso sub h) si
rileva che la contestazione riguarda la realizzazione delle
relative opere e non il mutamento in sé (che nella
prospettazione di parte ricorrente non avrebbe determinato
aumento del carico urbanistico) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 12.11.2014 n. 5804 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La precarietà deve escludersi quando l’opera
assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le
strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di
impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale
facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente
materiale.
---------------
La nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia
profondamente da quella del diritto privato ed è
circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano
urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato.
---------------
Il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata
su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile
con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve
per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere
di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su
una base di cemento e pertanto necessitante di titolo
edilizio.
---------------
La pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte
del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di
titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio; parimenti soggetta a
titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la
riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di
circa 1,5 metri.
Ad ogni buon conto, e fermo restando quanto sopra esposto,
non è neppure possibile ritenere che le singole opere
indicate in ricorso abbiano carattere precario e non siano
soggette a titolo edilizio.
La precarietà, infatti, deve escludersi quando l’opera
assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le
strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di
impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale
facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente
materiale (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V,
07.07.2014, n. 3438 e TAR Lombardia, Milano, sez. II,
26.09.2013, n. 2210).
Così, con riguardo alle singole opere descritte nel terzo
motivo e tutte prive di titolo edilizio, si può osservare
che:
- il fabbricato condonato nel 1985 quale “deposito” (cfr. il
doc. 19 del resistente), è stato modificato mediante
realizzazione di una veranda chiusa con vetri, utilizzata
quale ufficio (cfr. il doc. 14 del resistente e le
fotografie docc. 17 e 18); dunque è un’opera stabile, non
compatibile con la destinazione agricola (peraltro nessuna
attività agricola è svolta nel fondo) e neppure avente
carattere pertinenziale, visto che la nozione urbanistica di
“pertinenza” si differenzia profondamente da quella del
diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi
rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore
di mercato (così, Consiglio di Stato, sez. V, 17.06.2014, n.
3074);
- il prefabbricato in pannelli di alluminio coibentati, con
porta e finestra ad uso spogliatoio e ricreativo, appoggiato
su traversine in cemento, costituisce un’opera avente
stabilità e continuità, necessaria all’esercizio
dell’impresa dei ricorrenti;
- analoga considerazione per quattro box (per il Comune,
sarebbero in realtà cinque), in lamiera e legno, appoggiati
su una platea in calcestruzzo, assolutamente incompatibili
con la destinazione di zona e per tre contanier in lamiera,
usati come deposito e appoggiati anch’essi ad una platea in
calcestruzzo, quindi con carattere di stabilità
nell’utilizzo;
- il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia
appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere
incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il
serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi
aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia
stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto
necessitante di titolo edilizio (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, 11.04.2012, n. 3258 e Corte d’Appello di Napoli,
sez. III penale, 11.12.2012, n. 5577);
- la pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta
parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al
rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.03.2014, n. 709);
parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in
calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto,
avente profondità di circa 1,5 metri.
Ancora in ordine al terzo mezzo di ricorso, si ricordi che,
secondo l’art. 3 del DPR 380/2001, costituiscono “nuove
costruzioni”, necessitanti pertanto di titolo edilizio:
<<e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano
installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno
di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla
normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno
di turisti; (…) e.7) la realizzazione di depositi di merci o
di materiali, la realizzazione di impianti per attività
produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori
cui consegua la trasformazione permanente del suolo in
edificato>>.
Si conferma, pertanto, il rigetto del terzo motivo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.07.2014 n. 2114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Temporaneità manufatto.
Non si può ritenere che la sola stagionalità
dell'installazione del voluminoso manufatto per cui è causa
conferisse al manufatto nel suo complesso il carattere di
‘temporaneità’, atteso:
- il carattere ontologicamente ‘non
temporaneo’ di una struttura destinata all'esercizio di
un'attività commerciale e di somministrazione;
- la permanente
idoneità ad alterare lo stato dei luoghi che il complessivo
manufatto (di notevoli dimensioni) era idoneo a determinare,
anche a prescindere dalla rimozione per alcuni mesi l’anno.
3. L’appello è fondato.
3.1. In particolare il Collegio ritiene dirimente ai fini
del decidere la fondatezza dell’argomento con cui si è
osservato che l’intervento in questione, per le sue
caratteristiche oggettive, fosse da qualificare come
intervento di ‘nuova costruzione’, con quanto ne
consegue ai fini del rilascio del necessario titolo
abilitativo edilizio (d.P.R. 06.06.2001, n. 380) in
relazione ai vincoli di in edificabilità esistenti
sull’area.
Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento
–da quale non si rinvengono elementi per discostarsi–
secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a
soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come
idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro
incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della
struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il
manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è
deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato
ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in
quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la ‘precarietà’
dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del
permesso di costruire, postula un uso specifico e
temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità la
quale non esclude la destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti,
ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, IV,
22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue
caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in
considerazione del regime temporale della relativa
utilizzazione il manufatto per cui è causa fosse
riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del
comma 1 dell'articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001 (a tenore del
quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le
installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere che siano usati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee”).
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento
secondo cui non possono comunque essere considerati
manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons.
Stato, VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789;
id., V, 24.02.2003, n. 986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
3.2. Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell'installazione del voluminoso manufatto per cui è causa
(destinato ad occupare, nella tesi della società appellata,
56,13 mq.) conferisse al manufatto nel suo complesso il
carattere di ‘temporaneità’, atteso:
- il carattere ontologicamente ‘non temporaneo’ di
una struttura destinata all'esercizio di un'attività
commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons.
Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
- la permanente idoneità ad alterare lo stato dei luoghi che
il complessivo manufatto (di notevoli dimensioni) era idoneo
a determinare, anche a prescindere dalla rimozione per
alcuni mesi l’anno.
3.3. Né a conclusioni diverse rispetto a quelle appena
rassegnate può giungersi avuto riguardo alla previsione di
cui all’articolo 56 del Regolamento edilizio comunale (il
quale, nella tesi della società riconoscerebbe sempre un
carattere ontologicamente precario ai chioschi.
Al contrario, la necessaria interpretazione secundum
legem della richiamata disposizione (volta, cioè, a
preservarla da un’altrimenti inevitabile taccia di
illegittimità per contrasto con il pertinente paradigma
normativo primario) porta a ritenere che il carattere di ‘precarietà’
ivi richiamato possa comunque essere affermato solo
all’esito di un’operazione di valutazione svolta ‘caso
per caso’ in ordine alle caratteristiche oggettive e
funzionali del manufatto di cui si discute (massima
tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.06.2014 n. 2842 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo il
rilascio di un titolo edilizio -ancorché precario- in fascia
di rispetto cimiteriale.
A tal riguardo, è del tutto evidente che l'ingiunzione di
rimozione di opere la cui installazione e mantenimento era
stata assentita con l'impegno unilaterale di rimuoverle da
un lato trova sufficiente motivazione nelle richiamate
esigenze connesse all'ampliamento del cimitero, dall'altro
non imponeva alcuna comunicazione d'avvio del procedimento,
con conseguente infondatezza anche del secondo motivo
d'appello, poiché l'interessata era a conoscenza sin dal
rilascio del titolo edilizio della sua natura e dei suoi
effetti e dell'obbligo di dover procedere alla rimozione
delle opere, assunto in chiara correlazione causale con la
deroga al divieto legale di utilizzazione edilizia, ciò che
denota l'assoluta carenza di fondamento giuridico anche del
terzo motivo, incentrato sulla pretesa "nullità" dell'atto
unilaterale d'obbligo.
Non hanno poi pregio
giuridico le censure dedotte con l'appello nr. 4292/2011,
concernenti l'ingiunzione di rimozione delle opere assentite
solo a titolo precario, e proprio in funzione della loro
insistenza nella fascia di rispetto cimiteriale, con
autorizzazione edilizia n. 520/1997.
A prescindere dalla stessa dubbia legittimità di un titolo
edilizio assentito a tal fine, in contrasto con vincolo
legale d'inedificabilità (sull'estraneità della fattispecie
all'ordinamento normativo edilizio cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
12.06.2013, n. 3256) e per giunta per la determinata
tipologia (sull'esigenza del permesso di costruire, e quindi
di concessione edilizia, per opere relative ad autolavaggio
vedi Cons. Stato, Sez. VI, 22.10.2008, n. 5191), è del tutto
evidente che l'ingiunzione di rimozione di opere la cui
installazione e mantenimento era stata assentita con
l'impegno unilaterale di rimuoverle da un lato trova
sufficiente motivazione nelle richiamate esigenze connesse
all'ampliamento del cimitero, dall'altro non imponeva alcuna
comunicazione d'avvio del procedimento, con conseguente
infondatezza anche del secondo motivo d'appello, poiché
l'interessata era a conoscenza sin dal rilascio del titolo
edilizio della sua natura e dei suoi effetti e dell'obbligo
di dover procedere alla rimozione delle opere, assunto in
chiara correlazione causale con la deroga al divieto legale
di utilizzazione edilizia, ciò che denota l'assoluta carenza
di fondamento giuridico anche del terzo motivo, incentrato
sulla pretesa "nullità" dell'atto unilaterale
d'obbligo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’utilizzazione di un container (semplicemente
posato su terreno) non temporanea bensì stabile nel tempo,
ancorché periodica, comporta l'utilità prolungata nel tempo
e, conseguentemente, va esclusa la precarietà dello stesso.
---------------
Quanto al materiale di cava arido presente (abusivamente)
sul terreno, non rileva l’asserita circostanza che
responsabile della presenza di esso non sarebbe l’odierna
ricorrente; attesa infatti la natura ripristinatoria
dell’ordine di rimozione/demolizione di quanto abusivamente
realizzato, legittimamente l’amministrazione lo rivolge al
proprietario attuale dell’immobile (quale è la ricorrente,
nella fattispecie in esame) e comunque a chi utilizzi il
medesimo, indipendentemente dal suo coinvolgimento nella
realizzazione dell’abuso.
Considerato che:
− alla ricorrente, imprenditrice agricola, è stata ordinata
la rimozione di due container e di un accumulo di materiale
di cava arido situati su un terreno di sua proprietà ad uso
seminativo arborato sito nel Comune di Cascina (PI),
registrato nel Catasto Terreni al Foglio 35, particella 181;
− che in ricorso si sostiene la precarietà dei manufatti e
la non riferibilità del materiale di cava a comportamenti
della ricorrente;
− che il terreno in questione si trova in area classificata
tra le “Aree rilevanti da un punto di vista ambientale o con
funzioni strategiche – Parco del Fosso vecchio”, le quali
sono disciplinate dall’art. 34 delle Norme tecniche di
attuazione del Regolamento urbanistico; il fondo non risulta
inserito tra gli immobili soggetti ai vincoli di cui al
d.lgs. n. 42/2004;
− che i manufatti sono stati qualificati come opere
realizzate in assenza di titolo ai sensi della l.r. Toscana
n. 1/2005 e del D.P.R. n. 380/2001;
− che avverso l’ordinanza dirigenziale impugnata, di estremi
specificati in epigrafe, sono state dedotte le censure di
eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto
d’istruttoria e disparità di trattamento, nonché di
violazione delle norme di legge che l’amministrazione ha
ritenuto applicabili e di difetto di motivazione;
− che il Comune di Cascina non si è costituito in giudizio;
− che alla camera di consiglio del 25.03.2014 la causa −sentite le parti, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.,
sulla possibile definizione del giudizio con sentenza resa
in forma semplificata− è stata trattenuta in decisione;
Ritenuto che:
− il giudizio può essere definito con sentenza ai sensi
dell’art. 60 cod. proc. amm., atteso che sussistono tutti i
presupposti di legge;
− le tesi sostenute in ricorso non possono essere condivise,
in quanto: a) il provvedimento è sufficientemente e
adeguatamente motivato, anche con richiamo delle norme che
disciplinano la fattispecie; b) è pertinente l’applicazione
dell’art. 3/1, lett. e.5), T.U. Edilizia, che precisa la
nozione di nuova costruzione, imperniata sulla natura non
temporanea delle esigenze in vista delle quali alcuni
manufatti, sotto il profilo strutturale precari –ovvero
amovibili– sono stati collocati sul territorio; c) la
stessa esposizione della ricorrente rivela che
l’utilizzazione dei container (adibiti al trasporto dei
prodotti agricoli) non è temporanea, bensì stabile nel
tempo, ancorché periodica; d) che la giurisprudenza ha
elaborato, in proposito, il principio secondo il quale
l’utilità prolungata esclude la precarietà (cfr.: Consiglio
di Stato, V, 28.03.2008 n. 1354; TAR Veneto, 03.04.2003 n. 2267; Tar Puglia – Bari, III, n. 404/2009; Tar
Umbria, I, n. 66/2014);
− che, quanto al materiale di cava arido presente sul
terreno, non rileva l’asserita circostanza che responsabile
della presenza di esso non sarebbe l’odierna ricorrente;
attesa infatti la natura ripristinatoria dell’ordine di
rimozione/demolizione di quanto abusivamente realizzato,
legittimamente l’amministrazione lo rivolge al proprietario
attuale dell’immobile (quale è la ricorrente, nella
fattispecie in esame) e comunque a chi utilizzi il medesimo,
indipendentemente dal suo coinvolgimento nella realizzazione
dell’abuso (cfr.: Tar Umbria, I, n. 66/2014, cit., ed ivi
ulteriore ampio ragguaglio di giurisprudenza);
− che il ricorso deve, per tutte le considerazioni su
esposte, essere respinto
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.05.2014 n. 681 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le tettoie in esame non
sono opere né precarie né pertinenziali e, per altro verso,
incidono in misura non irrilevante sul contesto
paesaggistico.
Infatti, la realizzazione di simili manufatti, infatti,
stabilmente ancorati al pavimento e destinati a soddisfare
non un'esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel
tempo (le tettoie, come dichiarato dalla medesima
ricorrente, offrono riparo ai clienti dell’azienda
agrituristica), è priva del carattere della precarietà ed
amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso
di costruire, dal momento che comporta una rilevante
modifica dell'assetto edilizio preesistente.
---------------
La nozione di "pertinenza urbanistica" è, inoltre, meno
ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può
consentire la realizzazione di opere di grande consistenza
soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato
principale. In tal caso l'impatto volumetrico proprio,
incidendo, come detto, in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio del territorio è assoggettabile a
permesso di costruire con conseguente applicabilità del
regime demolitorio di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985
in caso di abusività …. Si deve, quindi, affermare che la
realizzazione delle due tettoie costituisca intervento
edilizio assentibile mediante permesso di costruire.
Passando al
rigetto dell’istanza in relazione alle tettoie, va detto che
l’Amministrazione intimata rileva che non sarebbero stati
pagati né le oblazioni né il contributo di costruzione come
richiesto dall’art. 36, co. 2, D.P.R. 380/2001 («il rilascio
del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a
titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura
doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in
misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi
di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione
è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal
permesso»).
Tale circostanza, non contestata da parte ricorrente,
già varrebbe a respingere il motivo di impugnazione, ma è
opportuno precisare che, come rilevato nella Sentenza n.
372/2010 -non impugnata- relativa al ricorso proposto dalla
medesima ricorrente avverso l’ordinanza di demolizione che
aveva attinto le stesse opere qui contemplate, le tettoie in
esame non sono opere né precarie né pertinenziali e, per
altro verso, incidono in misura non irrilevante sul contesto
paesaggistico. Infatti, «la realizzazione di simili
manufatti, infatti, stabilmente ancorati al pavimento e
destinati a soddisfare non un'esigenza temporanea e
contingente, ma prolungata nel tempo (le tettoie, come
dichiarato dalla medesima ricorrente, offrono riparo ai
clienti dell’azienda agrituristica), è priva del carattere
della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al
regime del permesso di costruire, dal momento che comporta
una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente
(cfr. in un caso analogo, TAR Campania Napoli, sez. III,
09.09.2008, n. 10059)».
«La nozione di "pertinenza urbanistica" è, inoltre,
meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque
non può consentire la realizzazione di opere di grande
consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene
qualificato principale. In tal caso l'impatto volumetrico
proprio, incidendo, come detto, in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del territorio è
assoggettabile a permesso di costruire con conseguente
applicabilità del regime demolitorio di cui all'art. 7 della
legge n. 47/1985 in caso di abusività (ancora, T.A.R.
Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492)…. Si
deve, quindi, affermare che la realizzazione delle due
tettoie costituisca intervento edilizio assentibile mediante
permesso di costruire».
Ebbene, le medesime considerazioni valgono qui ad escludere
la compatibilità delle opere con il vincolo paesistico,
particolarmente stringente nella zona ove esse insistono,
qualificata “zona a protezione integrale” (art. 11 P.T.P.)
dove sono consentiti solo limitati interventi volti alla
conservazione e al miglioramento del verde, alla prevenzione
degli incendi o alla rimozione di barriere architettoniche
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 06.02.2014 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Manufatti precari: a quali condizioni sono esenti da titolo
edilizio.
Non richiedono licenza edilizia solo
quei manufatti che, per la destinazione d'uso cui sono
finalizzati oltre che per le loro particolari
caratteristiche, possono considerarsi provvisori, di uso
temporaneo e destinati alla rimozione dopo l'uso (es.
baracca per l'impianto e la conduzione di cantiere edile,
capannone eretto in un bosco per il ricovero temporaneo di
attrezzi, ecc.).
Il TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, con la
sentenza 02.12.2013 n. 2333 è tornato sul tema dei
manufatti precari, precisando quando possono essere ritenuti
tali e pertanto essere edificati e mantenuti senza uno
specifico titolo edilizio.
In tal senso il TAR ha infatti precisato che ai sensi
dell'art. 1 della legge 28.01.1977, n. 10 (ora art. 10
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 T.U. delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia), è soggetta
a concessione edilizia ogni attività che comporti la
trasformazione del territorio attraverso l'esecuzione di
opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed
edilizi, ove il mutamento e l'alterazione abbiano qualche
rilievo ambientale ed estetico anche solo funzionale.
In particolare, la concessione edilizia è necessaria anche
quando si intende realizzare un intervento sul territorio
con perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale
posto sul suolo (fra le tante, Consiglio Stato, sez. V,
21.10.2003, n. 6519; TAR Sicilia, sez. I, 08.07.2002, n.
1936; sez. III, 15.02.2006, n. 394, 10.12.2012, n. 2600).
In tal senso, secondo il TAR, la precarietà delle strutture
può essere riscontrata nella contemporanea presenza di due
requisiti (uno strutturale e l’altro funzionale):
a) l'opera non deve costituire trasformazione urbanistica
del territorio e non deve essere costituita da intelaiature
infisse al suolo (C.G.A., 09.12.2008, n. 955), né deve
essere chiusa in alcun lato (cfr., fra le tante, C.G.A.
19.10.2009, n. 923; TAR Sicilia, sez. III, 14.12.2009, n.
1913; 10.11.2011, n. 2085; sez. II, 26.07.2011, n. 1481);
b) inoltre, occorre avere riguardo alla destinazione d'uso
dell'opera; sicché una struttura destinata a dare una
utilità prolungata nel tempo (nella fattispecie, correlata
–come sopra evidenziato- a esigenze continuative connesse
all’attività d’impresa) non può considerarsi precaria (C.G.A.
20.01.2008, n. 28).
Ne deriva, che nel caso specifico esaminato dal TAR con la
sentenza in commento, un box metallico (ancorato su base di
cemento), per la sua stessa destinazione (ricovero di
apparecchiature elettriche relative a una adiacente, antenna
radio) non può ritenersi diretto a soddisfare bisogni
contingenti, bensì esigenze aziendali di carattere duraturo,
funzionali all’esercizio di emittenti radiofoniche, pertanto
non vi è dubbio circa la necessità di richiedere ed ottenere
un titolo concessorio, trattandosi, appunto di
trasformazione permanente del territorio (in tal senso, TAR
Sicilia, sez. II, 03.04.2012, n. 676) (tratto da e link a
http://studiospallino.blogspot). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per individuare la natura
precaria di un'opera si deve seguire non il criterio
strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può
anche non essere stabilmente infissa al suolo ma, se essa
presenta la caratteristica di essere realizzata per
soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del
regime delle opere precarie.
Rientrano, per tale via, nella nozione giuridica di
“costruzione” per la quale occorre munirsi di idoneo titolo
edilizio, tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi al suolo e pur semplicemente
aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come
impianti per attività produttive all'aperto, ove comportanti
l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione
permanente del suolo inedificato.
Concludendo sul punto, va ribadito che, la natura "precaria"
di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione soggettivamente data all'opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca
destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente
di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
La
giurisprudenza (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, Sent.,
27.03.2013, n. 1776; TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
05.06.2013, n.1460; id., Sez. IV, Sent., 08.04.2011, n. 930)
è concorde nel ritenere che, per individuare la natura
precaria di un'opera, si debba seguire non il criterio
strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può
anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma, se essa
presenta la caratteristica di essere realizzata per
soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del
regime delle opere precarie.
Rientrano, per tale via, nella nozione giuridica di
“costruzione” per la quale occorre munirsi di idoneo titolo
edilizio, tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi al suolo e pur semplicemente
aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come
impianti per attività produttive all'aperto, ove comportanti
l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione
permanente del suolo inedificato.
Concludendo sul punto, va ribadito che, la natura "precaria"
di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione soggettivamente data all'opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca
destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente
di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Nel caso di specie, vista anche la documentazione
fotografica versata in atti da parte resistente, non può
dirsi affatto provata la precarietà dell’opera in
contestazione, trattandosi di un manufatto destinato a
realizzare una trasformazione permanente del suolo
inedificato, in assenza di titolo edilizio e in violazione
della destinazione urbanistica di zona.
Su quest’ultimo aspetto, giova precisare come,
contrariamente a quanto sostenuto dall’esponente, la
precedente autorizzazione in sanatoria datata 16.12.2002
fosse stata rilasciata sull’unico presupposto, poi
rivelatosi erroneo, che la costruzione della tettoia
servisse al ricovero, per un periodo limitato di quattro
mesi, di attrezzature elettromeccaniche per la sagomatura
del ferro, da utilizzare nei cantieri edili.
Sennonché, la struttura in esame, che presenta un impatto
visivo ed una consistenza che vanno ben oltre i limiti
propri di una pertinenza, si trova tutt’ora localizzata,
dopo oltre un decennio, nella medesima postazione in cui si
trovava all’epoca della predetta autorizzazione temporanea.
Ne consegue che, diversamente da quanto osservato in sede di
cognizione sommaria del gravame, il Collegio deve escludere
la riconducibilità dell’opera di cui trattasi fra quelle
soggette ad autorizzazione, essendo la stessa sussumibile
nella nozione di “nuova costruzione”, subordinata, in quanto
tale, a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, d.P.R.
n. 380/2001 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.09.2013 n. 2210 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vita breve per il gazebo in spiaggia.
Consiglio di stato. Da rimuovere a fine stagione
se l'autorizzazione è temporanea.
LA MOTIVAZIONE/ In zone soggette al via libera della
Soprintendenza serve una valutazione ad hoc per le strutture
destinate a rimanere tutto l'anno.
Mare agitato per i concessionari balneari che devono
rimuovere le cabine per esigenze paesaggistiche.
Lo sottolinea il Consiglio di Stato con la
sentenza
18.09.2013 n. 4642, relativa a uno stabilimento di
Gallipoli.
Il contrasto ha radici antiche perché da anni, in previsione
di un'imminente scadenza delle concessioni demaniali
turistiche e del rischio di gare comunitarie, più Regioni
avevano emanato leggi di favore per agevolare investimenti
sulla fascia demaniale. Ad esempio, la Puglia aveva previsto
il mantenimento annuale di strutture precarie funzionali
all'attività turistico ricreativa lungo le coste (articolo
11 della legge regionale 17/2006), precisando poi che tali
strutture dovevano essere di facile amovibilità (legge
regionale 24/2008). In tali norme si era visto un primo
passo verso la possibilità di migliorare le strutture
aziendali dei concessionari balneari, anche in funzione di
una maggiore redditività da poter far valere nel caso di
procedure di gara per il rinnovo delle concessioni.
Ma la Corte costituzionale prima (sentenza 232/2008), poi le
Soprintendenze e ora il Consiglio di Stato, hanno frenato
l'orientamento delle Regioni, imponendo che al termine di
ogni stagione balneare le strutture autorizzate per pochi
mesi siano rimosse. In tal modo cabine, platee, impianti con
i relativi accessori (insegne, locali di servizio) che
abbiano autorizzazioni temporanee, diventano per i
concessionari costi rilevanti azzerati anno per anno.
Un concessionario salentino aveva appunto posto l'accento
sull'illogicità di un parere paesaggistico di breve durata,
chiedendo di poter mantenere le strutture autorizzate per i
mesi estivi, facendo leva sulla legge regionale che parla di
strutture autorizzate «per l'intero anno». I giudici
amministrativi hanno tuttavia preferito la scadenza più
breve, imposta dalla Soprintendenza, sottolineando che
l'impatto di un'opera può essere diverso a seconda del
periodo in cui l'aspetto dei luoghi viene valutato. In altri
termini, è possibile ed è ragionevole che una stessa
struttura incida in modo diverso sui valori paesaggistici
della zona a seconda dell'alternarsi delle stagioni.
Questo orientamento del Consiglio di Stato incide su un
tessuto in ebollizione: la scadenza delle concessioni
demaniali marittime, turistico ricreative, è stata prorogata
al 2020 con la legge 221/2012. In quella data i
concessionari demaniali saranno esposti a un regime di gare
comunitarie per la scelta del concessionario che offra una
migliore utilizzazione del bene pubblico. Al concessionario
che risulti scavalcato da un'offerta tecnico-economica più
vantaggiosa per il Demanio (e per la collettività), spetterà
un indennizzo calcolato sulla base dell'avviamento
aziendale, cioè dell'avvenuta valorizzazione delle attività
imprenditoriali e degli investimenti. Ma se gli stabilimenti
giungeranno con strutture precarie alla scadenza del 2020,
sarà difficile calcolare un avviamento, mancando impianti
dai quali dedurre una vera e propria attività produttiva
(cucine, accessori, piscine, parcheggi, ecc.).
Oltretutto, le cabine autorizzate in precario vanno
eliminate proprio mentre si adotta un criterio diverso (di
stabilità) per i campeggi (articolo 3, comma 1, lettera e5,
del Dpr 380/2001 modificato dal Dl 69/2013) e per la durata
(ora ultraquinquennale) delle autorizzazioni paesaggistiche (articolo Il Sole 24 Ore del
22.09.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Cassazione in tema di opere stagionali e permesso di
costruire.
Hanno affermato i giudici che il permesso
di costruire è senz’altro richiesto anche per l’esecuzione
di opere stagionali, le quali si differenziano da quelle
precarie che, per la loro stessa natura e destinazione, non
comportano effetti permanenti e definitivi sull’originario
assetto del territorio tali da richiedere il preventivo
rilascio di un titolo abilitativo.
Diversamente da quella precaria, non è finalizzata a
soddisfare esigenze contingenti ma ricorrenti, sia pure
soltanto in determinati periodi dell’anno e, per tale
motivo, è soggetta a permesso di costruire (tra i precedenti
v. Sez. 3^ n. 34763, 26.09.2011; Sez. 3^ n. 23645,
13.06.2011; Sez. 3^ n. 22868, 13.06.2007; Sez. 3^ n. 13705,
19.04.2006; Sez. 3^ n. 11880, 12.03.2004).
Ciò detto, la sua mancata rimozione allo spirare del termine
stagionale configura il reato ex art. 44 del T.U. Edilizia
(D.P.R. n. 380 del 2001) giacché, in siffatta ipotesi, la
responsabilità discende dal combinato del medesimo art. 44 e
art. 40, comma 2, c.p., per la mancata ottemperanza
all’obbligo di rimozione insito nel provvedimento
autorizzatorio temporaneo (Sez. 3^ n. 23645/2011, cit. Sez.
3^ n. 42190, 29.11.2010; Sez. 3^ n. 29871, 11.09.2006).
In conclusione, la mancata rimozione –conclude la Corte–
accertata in fatto configura, di per sé, il reato
urbanistico, così come questo sarebbe configurabile nel caso
in cui le opere realizzate consistessero in strutture
permanenti, incompatibili con il ricordato concetto di “stagionalità”
(né potrebbe ritenersi valido, a tale proposito, il
riferimento, effettuato in ricorso, a strutture amovibili
–ombrelloni, sdraio etc.– che per la loro natura e
consistenza non richiederebbero alcun titolo abilitativo) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 30.07.2013 n. 32966 -
tratto da e link a www.giurisprudenzapenale.com). |
EDILIZIA PRIVATA: In
presenza di opere che implichino una stabile (benché non
irreversibile) trasformazione del territorio, preordinata a
soddisfare esigenze non precarie, è necessario il rilascio
di un idoneo titolo edilizio.
Qualora l'entità del deposito dei materiali e la stabilità
dell'utilizzazione dell'area emergano con una certa
evidenza, è da ritenersi realizzata una trasformazione
permanente dell'assetto edilizio del territorio,
necessitante di concessione edilizia.
---------------
La sussistenza da lungo tempo dell’opera abusiva non esclude
certamente il potere di controllo e di repressione del
comune in materia urbanistico-edilizia, perché l'esercizio
di tale potere non è soggetto a prescrizione o decadenza.
Ne consegue che l'accertamento dell'illecito amministrativo
e l'applicazione della relativa sanzione possono intervenire
anche a notevole distanza di tempo dalla commissione
dell'abuso, senza che il ritardo nell'adozione della
sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o
situazioni consolidate.
---------------
L'ordine di demolizione costituisce atto vincolato che non
richiede una specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con
gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né infine una
motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure
ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva che il
tempo non può giammai legittimare, a maggiori ragione
laddove l'abuso ricada in zona soggetta a vincola
paesaggistica.
Va innanzitutto respinto il rilievo secondo il quale
l’attività di deposito avviata sul fondo cui al foglio 9
mappale n. 421 non necessiterebbe di alcun titolo
abilitativo, non integrando causa di trasformazione dello
stato dei luoghi.
L'affermazione urta in via di fatto con le emergenze dei
verbali di sopralluogo prodotti in giudizio che illustrano
come il sedime sia occupato da:
- otto container colmi di traversine;
- due rimorchi altrettanto colmi;
- altre traversine accatastate sul terreno, per 17 m di
lunghezza, 9 m di larghezza e circa 3 m di altezza quindi
con un volume di 450 mc.
L’argomentazione contrasta, inoltre, in punto di diritto,
con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il
quale -in presenza di opere che implichino una stabile
(benché non irreversibile) trasformazione del territorio,
preordinata a soddisfare esigenze non precarie- è
necessario il rilascio di un idoneo titolo edilizio (cfr.,
ex multis, Cons. St. sez. IV, 24.07.2012, n. 4214).
Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha costantemente
affermato che, qualora l'entità del deposito dei materiali e
la stabilità dell'utilizzazione dell'area emergano con una
certa evidenza, è da ritenersi realizzata una trasformazione
permanente dell'assetto edilizio del territorio,
necessitante di concessione edilizia (TAR Milano sez. IV,
20.12.2011, n. 3307 e sez. II, 11.03.2011, n. 583).
Nel caso di specie, in considerazione dell'entità del
deposito di materiali e mezzi d'opera, del relativo ingombro
(evincibile dalla documentazione fotografica in atti) e
della stabilità dell’utilizzazione dell'area come deposito
(l'amministrazione ha, difatti, constatato la posa di
materiale inerte già con verbale del 17.11.2008), è da
ritenersi certamente realizzata una trasformazione
permanente dell'assetto edilizio del territorio,
necessitante del rilascio di permesso di costruire ai sensi
dell'art. 3, lett. e7), d.P.R. n. 380/2001 (che fa
riferimento alle ipotesi di “realizzazione di depositi di
merci o di materiali” e di “realizzazione di impianti per
attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione
di lavori cui consegua la trasformazione permanente del
suolo in edificato”).
In replica ad un’ulteriore contestazione contenuta in
ricorso si osserva che la sussistenza da lungo tempo
dell’opera abusiva non esclude certamente il potere di
controllo e di repressione del comune in materia urbanistico-edilizia, perché l'esercizio di tale potere non
è soggetto a prescrizione o decadenza. Ne consegue che
l'accertamento dell'illecito amministrativo e l'applicazione
della relativa sanzione possono intervenire anche a notevole
distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, senza che il
ritardo nell'adozione della sanzione comporti sanatoria o il
sorgere di affidamenti o situazioni consolidate (TAR
Milano sez. II, 17.06.2008, n. 2045 e 11.03.2011, n.
583).
---------------
L'ordine di
demolizione, infatti, costituisce atto vincolato che non
richiede una specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con
gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né infine una
motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure
ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva che il
tempo non può giammai legittimare, a maggiori ragione
laddove l'abuso ricada in zona soggetta a vincola
paesaggistica (cfr. TAR Liguria sez. I, 29.01.2013,
n. 217; TAR Napoli sez. II, 12.03.2013, n. 1410 e sez. III,
08.03.2013, n. 1374) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.07.2013 n. 891 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In ordine ai requisiti che deve avere un'opera
edilizia per essere considerata precaria, possono essere
ipotizzati in astratto due criteri discretivi:
1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò
che non è stabilmente infisso al suolo;
2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò
che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea.
La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare
la natura precaria di un'opera si debba seguire non il
criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui
un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo,
ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata
per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare
del regime delle opere precarie.
Rientrano quindi nella nozione giuridica di costruzione, per
la quale occorre la concessione edilizia e che possono
essere oggetto di domanda di condono in caso di
realizzazione delle stesse in sua assenza, tutti quei
manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel
suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo
stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non
meramente occasionale, come impianti per attività produttive
all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui
consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato.
Tanto premesso deve ritenersi che la natura "precaria" di un
manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore,
ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale
di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini
specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo
sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto
smontabile e/o non infisso al suolo.
Va premesso che gli abusi edilizi condonabili vengono individuati di
volta in volta dalla legge istitutiva, che può allargare
oppure restringere le ipotesi a sua insindacabile
discrezione, -ovviamente nel rispetto dei principi
costituzionali- sulla base delle mutevoli esigenze fiscali,
che normalmente costituiscono la ragione della scelta del
legislatore.
L'esame nell'ammissibilità della domanda di condono
edilizio, nonché l'individuazione della sanzione da
infliggere per l'abuso edilizio commesso, costituiscono
valutazioni di natura tecnico-discrezionale di competenza
esclusiva dell'autorità amministrativa (Consiglio Stato,
sez. V, 27.04.1990, n. 397) che attengono anche alla
qualificazione degli interventi posti in essere.
In ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per
essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in
astratto due criteri discretivi:
1) criterio strutturale, in
virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso
al suolo;
2) il criterio funzionale, in virtù del quale è
precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza
temporanea.
La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare
la natura precaria di un'opera si debba seguire non il
criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui
un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo,
ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata
per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare
del regime delle opere precarie.
Rientrano quindi nella nozione giuridica di costruzione, per
la quale occorre la concessione edilizia e che possono
essere oggetto di domanda di condono in caso di
realizzazione delle stesse in sua assenza, tutti quei
manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel
suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo
stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non
meramente occasionale, come impianti per attività produttive
all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui
consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato.
Tanto premesso deve ritenersi che la natura "precaria"
di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione soggettivamente data all'opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca
destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente
di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.03.2013 n. 1776 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini dell’esenzione
del permesso di costruire, l’opera deve essere destinata “ad
un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici,
contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e
sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si
tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non
infisso al suolo”.
In primo luogo, non rileva dunque il carattere
stagionale del manufatto realizzato, atteso che esso non
implica la precarietà dell'opera, potendo essere la stessa
destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la
perpetuità della sua funzione; né rileva a tale riguardo la
circostanza che l’impiego del bene sia circoscritto ad una
sola parte dell'anno, ben potendo la stessa essere destinata
a soddisfare un bisogno non provvisorio ma regolarmente
ripetibile e dunque ciclico e continuativo.
In questa direzione non implica precarietà dell'opera e
richiede, pertanto, il permesso di costruire, il carattere
stagionale ossia l’utilizzo annualmente ricorrente della
struttura stessa, potendo quest'ultima essere destinata a
soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza
nel tempo della sua funzione.
La stagionalità, dunque, qualora sia al servizio di
un'attività perdurante nel tempo va qualificata costruzione
ai sensi del testo unico sull'edilizia.
In secondo luogo, il carattere di precarietà di una
costruzione non va desunto dalla possibile facile e rapida
amovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del
suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione
appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ad
essere poi prontamente rimossa
Quanto al motivo sub a) si rammenta che,
ai sensi dell’art. 6 del testo unico edilizia (DPR n. 380
del 2001), “sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo: …
b) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze
contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse
al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non
superiore a novanta giorni”.
La giurisprudenza ha avuto modo di affermare al riguardo
che, ai fini dell’esenzione del permesso di costruire,
l’opera deve essere destinata “ad un uso realmente precario
e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo
sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto
smontabile e/o non infisso al suolo” (Cass. penale, sez. III,
21.06.2011, n. 34763).
In primo luogo, non rileva dunque il carattere stagionale
del manufatto realizzato, atteso che esso non implica la
precarietà dell'opera, potendo essere la stessa destinata a
soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità
della sua funzione; né rileva a tale riguardo la circostanza
che l’impiego del bene sia circoscritto ad una sola parte
dell'anno, ben potendo la stessa essere destinata a
soddisfare un bisogno non provvisorio ma regolarmente
ripetibile e dunque ciclico e continuativo (TAR Puglia
Bari, sez. II, 31.08.2009, n. 2031; TAR Emilia
Romagna Bologna, sez. II, 14.01.2009, n. 19; TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 22.09.2010, n. 3555).
In questa direzione non implica precarietà dell'opera e
richiede, pertanto, il permesso di costruire, il carattere
stagionale ossia l’utilizzo annualmente ricorrente della
struttura stessa, potendo quest'ultima essere destinata a
soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza
nel tempo della sua funzione (Cass. penale, sez. III, 21.06.2011, n. 34763; Cons. Stato, sez. IV, 22.12.2007, n. 6615).
La stagionalità, dunque, qualora sia al servizio di
un'attività perdurante nel tempo va qualificata costruzione
ai sensi del testo unico sull'edilizia (TAR Liguria, sez.
I, 27.01.2009, n. 119).
In secondo luogo, il carattere di precarietà di una
costruzione non va desunto dalla possibile facile e rapida
amovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del
suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione
appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ad
essere poi prontamente rimossa (TAR Puglia Bari, sez. II,
31.08.2009, n. 2031).
Per le ragioni sopra indicate il primo motivo di ricorso è
dunque infondato, dato che correttamente l’amministrazione
comunale ha ritenuto necessario al riguardo l’ottenimento
del permesso di costruire al fine di consentire la
realizzazione dell’opera di cui si controverte
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 25.03.2013 n. 1626 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Individuazione della natura precaria di un
manufatto.
La natura "precaria" di un manufatto ai fini dell'esenzione
dal permesso di costruire (già concessione edilizia), non
può essere desunta dalla temporaneità della destinazione
soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve
ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa
ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini
specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente
e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si
tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non
infisso al suolo.
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2,
lett. b), -dopo le modifiche introdotte dal D.L. 25.03.2010, n. 40, convertito con modificazioni nella L. 22.05.2010, n. 73- prevede che possono essere installate, senza
alcun titolo abilitativo ma previa comunicazione dell'inizio
dei lavori all'Amministrazione comunale (anche per via
telematica), le opere dirette a soddisfare obiettive
esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente
rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un
termine non superiore a 90 giorni. Non implica precarietà
dell'opera, però, il carattere stagionale di essa, potendo
essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non
provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua
funzione (tratto da www.lexambiente.it
- Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.03.2013 n. 10235). |
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di verificare se una determinata opera abbia carattere
precario (condizione per l'accertamento della non
necessarietà del rilascio della relativa concessione
edilizia), occorre verificare la destinazione funzionale e
l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è
destinata.
Pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali
a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea
-destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo,
entro cui si realizza l'interesse finale- possono ritenersi
prive di minima entità ovvero di carattere precario e, in
quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia.
Di conseguenza non sono manufatti destinati a soddisfare
esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una
utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione
del territorio non può essere considerata temporanea,
precaria o irrilevante.
Viene impugnata l’ordinanza 03.02.2011 n. 1/III che dispone
la rimozione/demolizione delle seguenti opere realizzate
senza titolo e non destinate a soddisfare esigenze meramente
temporanee:
- casa mobile (su ruote) di dimensioni ml. 8,68 x 3,78 e h.
alla gronda ml. 2,86;
- box prefabbricato in lamiera di dimensioni ml. 6,00 x 2,70
e h. al colmo ml. 2,35.
Avverso detto provvedimento viene dedotta violazione
dell’art. 10 del DPR n. 380/2001 nonché eccesso per
travisamento dei fatti. Secondo il ricorrente si tratterebbe
di opere temporanee realizzate in attesa di completare i
lavori di recupero dell’edificio esistente. In un secondo
momento la “casa mobile” sarà poi utilizzata come
residenza secondaria da trasferire nelle varie località
turistiche di villeggiatura.
Il Collegio, ad un più approfondito esame della vicenda
proprio dell’odierna fase di merito, ritiene di non poter
confermare l’orientamento espresso in sede cautelare
relativamente al fumus boni iuris.
Al riguardo si oppongono le seguenti circostanze:
- agli atti non risulta alcuna richiesta di permesso di
costruire per il recupero dell’edificio esistente, ma solo
un’istanza preventiva presentata in data 11.06.2009 e
riscontrata positivamente dal Comune con nota del 17.07.2009
recante l’espresso avvertimento che la stessa non
costituisce titolo per l’inizio dell’attività edilizia;
- ad oggi non è ancora dato comprendere se il permesso di
costruire sia stato poi chiesto e rilasciato;
- alla data del sopralluogo (30.09.2010) veniva accertato
che non vi erano lavori in corso e che la “casa mobile”
risultava tutt’altro che semplicemente parcheggiata in
attesa di utilizzo (come potrebbe essere una normale
roulotte in rimessaggio), poiché dotata di allacciamento
idrico ed elettrico (con tanto di contatori), impianto di
condizionamento dell’aria e impianto televisivo con antenna
satellitare. L’interno risultava completamente arredato e
pronto per l’uso abitativo.
Come è noto, al fine di verificare se una determinata opera
abbia carattere precario (condizione per l'accertamento
della non necessarietà del rilascio della relativa
concessione edilizia), occorre verificare la destinazione
funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento
l'opera stessa è destinata; pertanto, solo le opere
agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una
esigenza oggettivamente temporanea -destinata a cessare dopo
il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza
l'interesse finale- possono ritenersi prive di minima entità
ovvero di carattere precario e, in quanto tali, non
richiedenti la concessione edilizia. Di conseguenza non sono
manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (cfr.
Cons. Stato, Sez. III, 12.09.2012 n. 4850; Sez. VI,
16.02.2011 n. 986; Sez. IV, 15.05.2009 n. 3029).
Nel caso in esame non emergono quindi elementi per affermare
che la “casa mobile” fosse destinata ad assolvere
esigenze meramente temporanee di breve durata ma, al
contrario, emergono elementi per supporre che fosse
preordinata a soddisfare esigenze prolungate e a scadenza
del tutto incerta.
Tale conclusione riguarda indubbiamente anche la seconda
costruzione (box prefabbricato in lamiera), priva di ogni
riferimento temporale che possa dimostrarne la natura
precaria nei termini anzidetti.
Il ricorso va quindi respinto
(TAR Marche,
sentenza 11.02.103 n. 136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
P. Sciscioli,
Opere precarie, stagionali ed amovibili: lo sfuggente solco
discriminante
(L'ufficio tecnico n. 1-2/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Struttura balneare per uso
temporaneo - Mancata rimozione allo scadere del periodo
concesso - Ordinanza di rimozione - Legittimità.
L’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che vanno
considerati interventi eseguiti in totale difformità dal
permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione
di un organismo edilizio integralmente diverso «per
caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di
utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso».
Il concetto di “utilizzazione” diversa non
presuppone, come erroneamente assunto dalle appellanti, che
vengano realizzate opere edilizie in sé difformi dal titolo
abilitativo. E’ invece sufficiente, infatti, che venga posta
in essere una attività, anche omissiva dell’adempimento di
un dovere di controazione, che per sua propria conseguenza
determini un mutamento di fatto nella utilizzazione
assentita per un tempo limitato. Per il tempo che non è
assentito dal titolo, infatti, l’opera diviene, grazie a
questa omissione di rimozione, in tutto e per tutto da
equiparare ad un manufatto sine titulo e come va tale
va in punto di sanzioni considerata.
Nel caso in esame, la concessione rilasciata autorizzava la
realizzazione di una struttura balneare con una “utilizzazione
temporanea”
limitata al periodo estivo.
Costituisce dato non contestato che invece le appellanti,
non provvedendo alla rimozione annuale, abbiamo creato una
struttura con una utilizzazione non più temporanea, ma
permanente: dunque abusiva.
L’ordinanza di demolizione è, pertanto, pienamente
legittima, con conseguente non rilevanza della questione
subordinata, relativa all’avvenuta traslazione della
struttura stessa (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 21.01.2013 n. 313 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Legittimità ordinanza rimozione per
struttura balneare con utilizzazione temporanea non rimossa.
L’ordinanza di demolizione è legittima nel caso cui la
concessione rilasciata autorizzava la realizzazione di una
struttura balneare con una “utilizzazione temporanea”
limitata al periodo estivo e non si provveduto alla
rimozione annuale, e pertanto si è creata una struttura con
una utilizzazione non più temporanea, ma permanente, dunque
abusiva. Infatti, il concetto di “utilizzazione” diversa non
presuppone, che vengano realizzate opere edilizie in sé
difformi dal titolo abilitativo.
E’ invece sufficiente,
infatti, che venga posta in essere una attività, anche
omissiva dell’adempimento di un dovere di controazione, che
per sua propria conseguenza determini un mutamento di fatto
nella utilizzazione assentita per un tempo limitato. Per il
tempo che non è assentito dal titolo, infatti, l’opera
diviene, grazie a questa omissione di rimozione, in tutto e
per tutto da equiparare ad un manufatto sine titulo e come
va tale va in punto di sanzioni considerata.
L’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che vanno
considerati interventi eseguiti in totale difformità dal
permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione
di un organismo edilizio integralmente diverso «per
caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di
utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso».
Il concetto di “utilizzazione” diversa non
presuppone, come erroneamente assunto dalle appellanti, che
vengano realizzate opere edilizie in sé difformi dal titolo
abilitativo. E’ invece sufficiente, infatti, che venga posta
in essere una attività, anche omissiva dell’adempimento di
un dovere di controazione, che per sua propria conseguenza
determini un mutamento di fatto nella utilizzazione
assentita per un tempo limitato. Per il tempo che non è
assentito dal titolo, infatti, l’opera diviene, grazie a
questa omissione di rimozione, in tutto e per tutto da
equiparare ad un manufatto sine titulo e come va tale
va in punto di sanzioni considerata.
Nel caso in esame, la concessione rilasciata autorizzava la
realizzazione di una struttura balneare con una “utilizzazione
temporanea” limitata al periodo estivo.
Costituisce dato non contestato che invece le appellanti,
non provvedendo alla rimozione annuale, abbiamo creato una
struttura con una utilizzazione non più temporanea, ma
permanente: dunque abusiva.
L’ordinanza di demolizione è, pertanto, pienamente
legittima, con conseguente non rilevanza della questione
subordinata, relativa all’avvenuta traslazione della
struttura stessa (massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.01.2013 n. 313
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: PERTINENZE ED AGEVOLE AMOVIBILITA': NO AL CRITERIO
STRUTTURALE
Ai fini del riscontro del connotato della precarietà e
della
relativa esclusione della modifica dell’assetto del
territorio,
non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i
materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, ma le
esigenze
temporanee alle quali l’opera eventualmente assolva.
Altra decisione della Corte sul tema della natura
pertinenziale
dell’intervento edilizio, stavolta, però, applicata con
riferimento
al regime di favore previsto dalla disciplina edilizia
fissata
dalla regione Sicilia.
La vicenda processuale vedeva
imputati
del reato edilizio e antisismico due soggetti ai quali
era stato addebitato di avere realizzato, in qualità di
committenti,
una trasformazione edilizia ed urbanistica in assenza di
concessione edilizia, con una sopraelevazione di un
manufatto,
mediante innalzamento dell’esistente parapetto in muratura
di un lastrico solare con blocchi di pomicemento e
realizzazione di muri perimetrali e copertura in lamierino
coibentato,
oltre a dodici pilastri, con violazione della disciplina
sulle opere in cemento armato.
Contro la sentenza di
condanna
proponeva ricorso per cassazione la difesa degli imputati,
sostenendo che i giudici di merito non avrebbero tenuto
conto del fatto che le opere realizzate rientravano in
quelle
soggette ad autorizzazione ai sensi della L.R. siciliana n.
37
del 1985, art. 5 e della L.R. n. 4 del 2003, art. 20,
ottenuta,
nel caso di specie, per il mantenimento della copertura del
lastrico solare con struttura precaria, oltre a lavori
interni: l’opera
andava quindi considerata precaria attesa l’agevole
amovibilità, indipendentemente dall’uso della stessa.
La tesi difensiva, pur suggestiva, non ha però superato il
rigoroso
vaglio dei giudici della Suprema Corte. Muovendo
dalla norma regionale invocata dai ricorrenti (L.R. Sicilia
16.04.2003, n. 4, art. 20), i giudici hanno osservato come
detta disposizione disciplina:
a) la chiusura di terrazze di
collegamento
e/o copertura di spazi interni con strutture precarie;
b) la realizzazione di verande, definite come «chiusure o
strutture precarie relative a qualunque superficie esistente
su balconi, terrazze e anche tra fabbricati»;
c) la
realizzazione
di altre strutture, comunque denominate (a titolo
esemplificativo si fa riferimento a tettoie, pensiline e
gazebo), che
vengono assimilate alle verande, a condizione che ricadano
su aree private, siano realizzate con strutture precarie e
siano
aperte da almeno un lato.
Secondo la predetta norma gli
interventi descritti non sono considerati aumento di
superficie
utile o di volume né modifica della sagoma della
costruzione
e sono da considerare strutture precarie tutte quelle
realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile
rimozione.
Pertanto, nell’individuare alcune opere precarie non
soggette, in via di eccezione, a permesso di costruire la
legge
regionale fa riferimento ad un ‘‘criterio strutturale’’ (la
facile rimovibilità) piuttosto che al ‘‘criterio funzionale’’
(l’uso
temporaneo e provvisorio). Orbene, osservano gli Ermellini
come tali disposizioni non possono essere applicate al di
fuori dei casi espressamente previsti e vanno interpretate
in
modo restrittivo in ordine alla suscettibilità di facile
rimozione
(v., ad es.: Cass. pen., sez. III, 27.05.2009, n.
22054, in Ced Cass., n. 243710).
Nel caso di specie, dunque,
gli imputati avevano realizzato non già un’opera precaria,
ma un vero e proprio ampliamento di un manufatto
preesistente
mediante innalzamento, sicché, tenuto conto della
tipologia dell’intervento e dei materiali utilizzati, non
poteva
avere alcuna applicazione la richiamata disciplina regionale
relativa alla sufficienza dell’autorizzazione L.R. n. 4 del
2003,
ex art. 20 (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.01.2013 n. 180
- commento tratto da
Urbanistica e Appalti n. 3/2013). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Nozione di precarietà di un manufatto.
La natura precaria del manufatto non può essere desunta
dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data
all'opera dal costruttore o dalle caratteristiche
costruttive, ma deve ricollegarsi alla intrinseca
destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente
precario e temporaneo e che, in conformità a quanto più
volte affermato da questa Corte, il carattere stagionale di
un'opera, vale a dire l'utilizzo annualmente ricorrente
della struttura, non significa assoluta precarietà (tratto da www.lexambiente.it -
Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
07.12.2012 n. 47636 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La precarietà di un
manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo
edilizio, non comportando una trasformazione del territorio,
non dipende dalla sua facile rimovibilità, ma dalla
temporaneità della funzione, in relazione ad esigenze di
natura contingente.
Per giurisprudenza costante, la precarietà di un manufatto,
la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio, non
comportando una trasformazione del territorio, non dipende
dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della
funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente
(Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2009, n. 3029; Cons. Stato,
sez. IV, 06.06.2008, n. 2705; Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 22054).
La precarietà va, pertanto, esclusa quando -come nella
fattispecie in esame- si tratta di un’opera destinata a dare
un’utilità prolungata nel tempo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2012 n. 2755 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di una tettoia è soggetta a
concessione edilizia …, in quanto essa, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide
sull'assetto edilizio preesistente.
In particolare, la tettoia realizzata sul terrazzo di un
fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al
pavimento e destinata a soddisfare non un'esigenza
temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva
del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi
assoggettata al regime del permesso di costruire, dal
momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto
edilizio preesistente.
Come più volte rilevato in giurisprudenza, infatti, “...
la realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione
edilizia …, in quanto essa, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide
sull'assetto edilizio preesistente. In particolare, la
tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto
struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a
soddisfare non un'esigenza temporanea e contingente, ma
prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà
ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del
permesso di costruire, dal momento che comporta una
rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente”
(cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059)
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 19.10.2012 n. 8658 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: NATURA
PRECARIA DI UN MANUFATTO E RAPPORTI
CON IL RESTAURO E RISANAMENTO CONSERVATIVO.
La natura ‘‘precaria’’ di un manufatto, ai fini
dell’esenzione
dal permesso di costruire, non può essere desunta
dalla temporaneità della destinazione soggettivamente
data all’opera dal costruttore, né dalla natura dei
materiali
utilizzati ovvero dalla più o meno facile rimovibilità
della stessa, ma deve ricollegarsi alla intrinseca
destinazione
materiale di essa ad un uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non
essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un
manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (nella
fattispecie
la Corte ha escluso che fosse ravvisabile un’attività
di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, bensì la realizzazione di un ‘‘edificio’’ al posto di una
preesistente tettoia, con stravolgimento di elementi
tipologici
e formali e creazione ex novo di volumetria).
La Corte di cassazione si pronuncia nuovamente nel caso in
esame sulla questione relativa alla nozione di ‘‘precarietà’’ di
un manufatto, stavolta valutandone la compatibilità con la
tesi,
sostenuta dalla difesa dell’imputato, secondo cui la
realizzazione
di una tettoia sarebbe stata inquadrabile tra gli interventi
di restauro o risanamento conservativo.
La vicenda
processuale vedeva imputato il proprietario di un immobile
cui era contestato il reato di cui all’art. 44, lett. c) del
D.P.R.
n. 380 del 2001, per avere realizzato, in assenza del
prescritto
permesso di costruire -in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico
e ricadente nella perimetrazione di un parco- lavori
edilizi consistiti nella chiusura, per una superficie di mt.
10 x 5, di una tettoia collegata con un capannone adibito a
cantiere navale. Contro la sentenza di condanna proponeva
ricorso per cassazione l’imputato sostenendo la incongruità
del disconoscimento della precarietà delle opere di nuova
realizzazione, che non sarebbero assoggettate, per tale loro
caratteristica, al regime del permesso di costruire,
aggiungendo,
inoltre, che le stesse integrerebbero altresì un intervento
di risanamento conservativo necessario ‘‘al fine di rendere
possibile l’utilizzazione dell’aspiratore della polvere di
cantiere’’.
La tesi è stata respinta dagli Ermellini che hanno
dichiarato il
ricorso manifestamente infondato e, per tale ragione,
inammissibile.
In particolare, hanno precisato i giudici di legittimità
, la natura ‘‘precaria’’ di un manufatto, ai fini
dell’esenzione
dal permesso di costruire, non può essere desunta dalla
temporaneità della destinazione soggettivamente data
all’opera
dal costruttore, né dalla natura dei materiali utilizzati
ovvero
dalla più o meno facile rimovibilità della stessa, ma deve
ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa
ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini
specifici,
contingenti e limitati nei tempo, con conseguente e
sollecita
eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti
eventualmente
di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Nella fattispecie in esame, è stato quindi escluso il
preteso
requisito della temporaneità, logicamente rilevando che la
struttura arbitrariamente realizzata si connetteva ad un’attività
d’impresa esercitata in via continuativa e senza
predeterminazioni
temporali.
Precisano, poi, i giudici che il D.P.R. n.
380 del 2001 (art. 3, comma 1, lett. c), identifica gli
interventi
di ‘‘restauro e risanamento conservativo’’ come quelli
‘‘rivolti
a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità
mediante un insieme sistematico di opere che -nel
rispetto degli elementi tipologici, formati e strutturati
dell’organismo
stesso- ne consentano destinazioni d’uso con esso
compatibili’’. La finalità è di rinnovare l’organismo
edilizio
in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata
-poiché si tratta pur sempre di conservazione- nel
rispetto
dei suoi elementi essenziali ‘‘tipologici, formali e
strutturali’’.
Nella fattispecie in esame, invece, non è stata ravvisata
un’attività di conservazione, recupero o ricomposizione di
spazi, secondo le modalità e con i limiti normativamente
delineati,
bensì la realizzazione di un ‘‘edificio’’ al posto di una
preesistente tettoia, con stravolgimento di elementi
tipologici e formali e creazione ex novo di volumetria.
In
precedenza,
nel senso che la ristrutturazione edilizia, poiché non
vincolata
al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali
dell’edificio, differisce sia dalla manutenzione
straordinaria,
che non può comportare aumento della superficie utile o del
numero delle unità immobiliari, o, ancora, modifica della sagoma
o mutamento della destinazione d’uso, sia dal restauro
e risanamento conservativo, che non può modificare in
modo sostanziale l’assetto edilizio preesistente e consente
soltanto variazioni d’uso ‘‘compatibili’’ con l’edificio
conservato,
si era pronunciata la stessa Corte (Cass. pen., sez. III,
28.05.2010, n. 20350, in CED Cass., n. 247178) (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.09.2012 n. 36040
- tratto da
Urbanistica e appalti n. 12/2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Legittimità ordinanza demolizione per opere
precarie temporanee non autorizzate.
Al fine di verificare se una determinata
opera abbia carattere precario (condizione per
l'accertamento della non necessarietà del rilascio della
relativa concessione edilizia), occorre verificare la
destinazione funzionale e l'interesse finale al cui
soddisfacimento l'opera stessa è destinata; pertanto, solo
le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare
una esigenza oggettivamente temporanea -destinata a cessare
dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza
l'interesse finale- possono ritenersi prive di minima entità
ovvero di carattere precario e, in quanto tali, non
richiedenti la concessione edilizia. Infatti la precarietà o
meno di un'opera edilizia va valutata con riferimento non
già alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa
è destinata; in altri termini non sono manufatti destinati a
soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad
una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l'alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante.
È dunque da considerare legittima l'ordinanza di demolizione
di opere che, pur difettando del requisito
dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili),
consistano in una struttura destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la
precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non
assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa
non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è
destinato, e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla
rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai
proprietari.
Come è noto al fine di verificare se una determinata opera
abbia carattere precario (condizione per l'accertamento
della non necessarietà del rilascio della relativa
concessione edilizia), occorre verificare la destinazione
funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento
l'opera stessa è destinata; pertanto, solo le opere
agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una
esigenza oggettivamente temporanea -destinata a cessare dopo
il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza
l'interesse finale- possono ritenersi prive di minima entità
ovvero di carattere precario e, in quanto tali, non
richiedenti la concessione edilizia. Infatti la precarietà o
meno di un'opera edilizia va valutata con riferimento non
già alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa
è destinata (Cons. St., V, 04.02.1998 n. 131); in altri
termini non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio
non può essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante (Cons. St., VI, 16.02.2011 n. 986).
È dunque da considerare legittima l'ordinanza di demolizione
di opere che, pur difettando del requisito
dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili),
consistano in una struttura destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la
precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non
assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa
non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è
destinato, e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla
rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai
proprietari (Cons. St., IV, 15.05.2009 n. 3029)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 12.09.2012 n. 4850 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
caratteri della rimovibilità della struttura
e dell’assenza di opere murarie non rilevano
per nulla, quando l’installazione attua una
consistente trasformazione del tessuto
edilizio, in conseguenza della sua
conformazione e della sua destinazione
all’attività imprenditoriale.
---------------
Sul piano funzionale poi, la destinazione a
spazio destinato a soddisfare una migliore
sistemazione della clientela, non costituiva
un fine contingente ma una finalità
permanente -sia pure per una parte
dell'anno- che, come visto, comunque
necessita di concessione edilizia, a nulla
rilevando l'eventuale precarietà strutturale
del manufatto.
---------------
Il carattere “pertinenziale” all'intervento
in contestazione non muta il suo regime
giuridico (d.i.a. in luogo di quello
concessorio), in quanto la nozione di
“pertinenza urbanistica“ ha peculiarità
proprie che la distinguono da quella
civilistica, dal momento che il manufatto
-preordinato ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio- deve soprattutto
avere un volume modesto, rispetto
all'edificio principale in modo da escludere
ogni ulteriore “carico urbanistico”.
Come ricordato
l’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n.
380/2001, con l’evidente finalità di frenare
il fenomeno dei c.d. “abusi progressivi”,
riconduce alla nozione di “intervento di
nuova costruzione" anche le istallazioni
di strutture non murarie, con la diretta
conseguenza che, in tali ipotesi, sia sempre
necessario il “permesso di costruire”.
E ciò a maggior ragione nel caso di una
struttura in legno, che:
- di fatto costituivano un unico manufatto;
- occupava infatti la superficie della
terrazza superiore dell'Hotel (peraltro
abusivamente realizzato, con istanze di
condono edilizio ai sensi della L. 47/1985
ancora pendenti);
- era stata ottenuta mediante la
congiunzione di n. 4 “gazebo” (dei
quali due di 138 mq ciascuno e due da
complessivi mq. 102,2: mq. 59,9 e 46,28 mq)
per una superficie complessiva coperta di
ben mq. 378,84;
- aveva una copertura del tetto in tela di
plastica; con uno sviluppo massimo in
altezza delle coperture al colmo di ben mq.
3,45;
- era chiusa su tutti i lati esterni
attraverso paratie sovrastate da una
grigliatura;
- aveva due porte e due finestre (così
l’accertamento dei VV.UU. del 22.01.2006).
Le dimensioni e la finalità della struttura
realizzata implicavano che l’intervento non
potesse essere qualificato come semplice “gazebo”,
in quanto assumeva la consistenza di un vero
e proprio piano in elevazione che, come
tale, avrebbe dovuto in ogni caso essere
oggetto di concessione edilizia e di
autorizzazione paesaggistica.
Il “gazebo” costituiva infatti una
rilevante alterazione della sagoma esterna,
e finiva per avere un impatto visivo che
provocava un indubbio vulnus agli
eccezionali valori paesaggistici oggetto di
salvaguardia. Di qui, se non la compiacenza,
per lo meno l’erroneità della qualificazione
come “gazebo”, assunta
dall’amministrazione intimata come
presupposto del suo illegittimo rifiuto ad
intervenire.
I caratteri della rimovibilità della
struttura e dell’assenza di opere murarie
non rilevano per nulla, quando
l’installazione attua una consistente
trasformazione del tessuto edilizio, in
conseguenza della sua conformazione e della
sua destinazione all’attività
imprenditoriale (cfr. proprio a proposito di
gazebo: Sez. V 13.06.2006 n. 3490, Cons.
Sez. IV 06.06.2008 n. 2705).
Sul piano funzionale poi, la destinazione a
spazio destinato a soddisfare una migliore
sistemazione della clientela, non costituiva
un fine contingente ma una finalità
permanente -sia pure per una parte
dell'anno- che, come visto, comunque
necessita di concessione edilizia, a nulla
rilevando l'eventuale precarietà strutturale
del manufatto (Cfr. in tal senso: Consiglio
Stato, Sez. V 01.12.2003 n. 7822; Cons. St.,
sez. V, 20.04.2000 n. 2436, idem n. 419 del
27.01.2003; idem n. 696 dell'11.02.2003).
Per le predette ragioni, il carattere “pertinenziale”
all'intervento in contestazione non muta il
suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di
quello concessorio), in quanto la nozione di
“pertinenza urbanistica“ ha
peculiarità proprie che la distinguono da
quella civilistica, dal momento che il
manufatto -preordinato ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio-
deve soprattutto avere un volume modesto,
rispetto all'edificio principale in modo da
escludere ogni ulteriore “carico
urbanistico” (cfr. Consiglio Stato; Sez.
V n. 2325 del 18.04.2001; idem Sez. VI n.
1174 dell'08.03.2000).
In definitiva, se in relazione al ricordato
art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001,
la struttura avrebbe comunque richiesto la
concessione edilizia e non poteva essere
ontologicamente qualificata come intervento
di “manutenzione straordinaria”, in
quanto costituiva una alterazione “dell’aspetto
esteriore dell’edificio” non consentita
dalla lett. a) dell’art. 149 del d.lgs. n.
42/2004 e s.m.i .
L’amministrazione avrebbe quindi dovuto
qualificare correttamente la struttura come
intervento in zona vincolata soggetto a
concessione edilizia e, comunque, attivare
l’apposito sub-procedimento per
l’autorizzazione paesistica di cui all’art.
146 del d.lgs. 22.01.2004 n. 42
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.07.2012 n. 4318 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sussiste
la necessità di procedere ad una valutazione
dell'abuso
edilizio mediante “una visione complessiva e
non atomistica dell'intervento giacché il
pregiudizio recato al regolare assetto del
territorio deriva non dal singolo intervento
ma dall'insieme delle opere realizzate nel
loro contestuale impatto edilizio.
---------------
In ogni caso, la precarietà di un manufatto
non dipende dal suo sistema di ancoraggio al
terreno, ma dalla sua inidoneità a
determinare una stabile trasformazione del
territorio, con la conseguente necessità del
titolo edilizio allorquando, come nel caso
di specie, la struttura, ancorché
rimuovibile, sia destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo e non meramente
occasionale.
Più in generale, giova osservare
come correttamente l’amministrazione abbia
proceduto ad una puntuale rilevazione e
indicazione delle difformità riscontrate
rispetto al progetto assentito (in
conformità alla richiamata sentenza n. 6897
di questo TAR), onde ricavare da essa la
corretta qualificazione dell'intervento
realizzato e la conseguente identificazione
del titolo edilizio che sarebbe stato
necessario (cfr. proprio sulla necessità di
procedere ad una valutazione dell'abuso
edilizio mediante “una visione complessiva e
non atomistica dell'intervento giacché il
pregiudizio recato al regolare assetto del
territorio deriva non dal singolo intervento
ma dall'insieme delle opere realizzate nel
loro contestuale impatto edilizio”:
Consiglio di Stato, VI, 06.06.2012 n. 3330).
In tal senso, non rileva la circostanza che
il manufatto sia stabilmente ancorato al
suolo mediante imbullonatura, come tale
rimuovibile, dovendosi rammentare che, in
ogni caso, la precarietà di un manufatto
non dipende dal suo sistema di ancoraggio al
terreno, ma dalla sua inidoneità a
determinare una stabile trasformazione del
territorio, con la conseguente necessità del
titolo edilizio allorquando, come nel caso
di specie, la struttura, ancorché
rimuovibile, sia destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo e non meramente
occasionale (cfr. Consiglio di Stato, V,
27.04.2012, n. 2450; id. 15.06.2000, n.
3321; id. 03.04.1990, n. 317).
Anche la pavimentazione a secco
dell’antistante giardino (mediante lastre di
pietra) non può essere considerata in modo
avulso dal contesto di riferimento,
concorrendo la stessa, che pure non risulta
riportata in progetto, alla valutazione
complessiva dell’intervento in questione, ai
fini della sua riconducibilità fra quelli
necessitanti un idoneo titolo edilizio
(cfr., in ogni caso, sulla necessità di
siffatto titolo edilizio per ogni intervento
che determini una perdurante modifica dello
stato dei luoghi con materiale posto sul
suolo, pur in assenza di opera in muratura,
ancora Cons. Stato 2450/2012, a proposito
dello spargimento di ghiaia, nonché, Cons.
Stato, sez. V, 21.10.2003, n. 6519)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
24.07.2012 n.
2058 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lo
spargimento di ghiaia su un'area che ne era
in precedenza priva richiede la concessione
edilizia allorché appaia preordinata alla
modifica della precedente destinazione
d'uso.
---------------
Quanto al box ad uso ufficio, non è
determinante la circostanza che lo stesso
sia soltanto materialmente appoggiato al
suolo e non infisso ad esso, giacché il
carattere di provvisorietà di una
costruzione edilizia, ai fini dell'esenzione
dal titolo autorizzatorio, dipende dall'uso
realmente precario e temporaneo per fini
specifici e cronologicamente delimitati.
Quanto alla stesura della
ghiaia, si osserva che, secondo la
prevalente giurisprudenza –che il collegio
condivide– lo spargimento di ghiaia su
un'area che ne era in precedenza priva
richiede la concessione edilizia allorché
appaia preordinata alla modifica della
precedente destinazione d'uso (Cons. di St.,
V, 22.12.2005, n. 7343; id., 11.11.2004, n.
7325; Cass. Pen., III, 09.06.1982).
Nel caso di specie, lo spargimento di ghiaia
è funzionale all’utilizzo del terreno per il
parcheggio e la sosta di container ed altri
materiali (così l’istanza in data
19.11.1986, doc. 1 delle produzioni
30.06.1987 di parte ricorrente), onde
necessitava di concessione edilizia ex art.
1 L. n. 10/1977.
Quanto al box ad uso ufficio, non è
determinante la circostanza che lo stesso
sia soltanto materialmente appoggiato al
suolo e non infisso ad esso, giacché il
carattere di provvisorietà di una
costruzione edilizia, ai fini dell'esenzione
dal titolo autorizzatorio, dipende dall'uso
realmente precario e temporaneo per fini
specifici e cronologicamente delimitati
(Cons. di St., V, 24.02.2003, n. 986).
Nel caso di specie, l’utilizzo del box in
funzione dell’attività commerciale svolta
dal ricorrente ne fa invece presumere una
utilizzazione perdurante nel tempo,
rafforzata dalla mancanza di allegazioni di
segno contrario
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
24.07.2012 n.
1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Mancata rimozione di opera
stagionale.
La mancata rimozione di un'opera edilizia
precaria allo spirare del termine stagionale
implica la violazione dell'art. 44 del
D.P.R. 380/2001, in quanto la responsabilità
discende dal combinato disposto del citato
art. 44 e dell'art. 40, comma secondo, cod.
pen., per la mancata ottemperanza
all'obbligo di rimozione insito nel
provvedimento autorizzatorio temporaneo
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.06.2012 n. 24554 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: PRECARIETA' E TEMPORANEITA' DELL’INTERVENTO EDILIZIO.
In materia edilizia, ai fini del riscontro del connotato
della
precarietà e della relativa esclusione della modifica
dell’assetto del territorio, non sono rilevanti le
caratteristiche
costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l’opera
eventualmente assolva.
Questione ricorrente quella affrontata dalla Suprema Corte
con la sentenza in esame, relativa al tema dei rapporti
intercorrenti
tra precarietà dell’opera edilizia e la sua temporaneità. La vicenda processuale segue ad una sentenza di condanna,
confermata in grado d’Appello, per il reato di cui al
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), e per il
reato di cui agli artt. 83, 93, 94 e 95, stesso D.P.R., in
relazione
all’installazione su un piano di cemento armato di un
prefabbricato in legno di circa metri 8 per 6, con
antistante
portico, senza permesso di costruire e senza le prescritte
autorizzazioni, trattandosi di zona sismica.
Proponeva
ricorso
per Cassazione l’imputato che, per quanto qui di interesse,
rilevava l’erronea applicazione della norma incriminatrice,
perchè -a suo dire- la propria condotta non avrebbe
integrato
le fattispecie previste e punite dalla norma. Sosteneva, in
particolare, la difesa che l’opera prefabbricata in legno
realizzata
non rientrasse nella nozione di ‘‘costruzione’’, non avendo
i caratteri di struttura stabilmente ancorata al suolo. Si
sarebbe
trattato, infatti, di un prefabbricato amovibile, che non
poggia al suolo in modo stabile, ma legato ad esso con viti
di ferro: cioè , di un’opera chiaramente smontabile. Tale
circostanza
sarebbe emersa anche nel dibattimento di primo
grado, in cui il teste che aveva proceduto all’accertamento
del reato non aveva saputo riferire se l’opera fosse o meno
ancorata al suolo.
La tesi non ha però convinto gli Ermellini che hanno
dichiarato
inammissibile il ricorso.
In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto
ineccepibile
il ragionamento logico-giuridico condotto dai giudici di
merito, risultando dagli atti che la polizia giudiziaria che
aveva
accertato l’illecito aveva, in sede di audizione
testimoniale,
riferito che la struttura era prefabbricata e installata
stabilmente
alla piattaforma di cemento e che, toccandola, non si
muoveva: si trattava, comunque, di una struttura abitabile e
di dimensioni considerevoli. Correttamente, dunque, per la
Cassazione, i giudici di merito hanno richiamato il
principio
espresso dalla giurisprudenza di legittimità , secondo cui
la
temporaneità dell’opera deve desumersi da elementi
obiettivi
e non dalle caratteristiche del manufatto o dall’intenzione
soggettiva del costruttore, perché , ai sensi del D.P.R. n.
380
del 2001, art. 3, lett. e) ed art. 55, si considerano opere
edilizie
anche l’istallazione di manufatti leggeri prefabbricati e di
strutture di qualsiasi genere come roulottes, camper, case
mobili, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro,
depositi, magazzini (cfr., ex plurimis: Cass. pen., sez. III,
27.05.2009, n. 22054, in Ced Cass., n. 243710; Id., sez.
III, 13.06.2006, n. 20189, in Ced Cass., n. 234325
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.05.2012 n. 18087
-
tratto da Urbanistica e appalti n. 7/2012). |
EDILIZIA PRIVATA: La precarietà va
esclusa tutte le volte in cui il manufatto
stesso è destinato a recare un'utilità
prolungata e perdurante nel tempo. In questo
caso, infatti, esso produce una
trasformazione urbanistica perché altera in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, senza che rilevino i materiali
impiegati, l'eventuale precarietà
strutturale e la mancanza di fondazioni, se
tali elementi non si traducano in un uso
contingente e limitato nel tempo, con
l'effettiva rimozione delle strutture.
La precarietà, infatti, “va
esclusa tutte le volte in cui il manufatto
stesso è destinato a recare un'utilità
prolungata e perdurante nel tempo. In questo
caso, infatti, esso produce una
trasformazione urbanistica perché altera in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, senza che rilevino i materiali
impiegati, l'eventuale precarietà
strutturale e la mancanza di fondazioni, se
tali elementi non si traducano in un uso
contingente e limitato nel tempo, con
l'effettiva rimozione delle strutture”
(cfr., tra le tante, TAR Lazio–Latina,
01.10.2010, n. 1626)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.06.2012 n. 1660 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’eventuale precarietà (mobilità) di un
manufatto che rende non necessaria la
concessione edilizia dipende non già dal suo
sistema di ancoraggio, ma dalla sua
inidoneità a determinare una stabile
trasformazione del territorio.
Il carattere di precarietà va quindi
comunque escluso quando trattasi di
struttura destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo.
---------------
Per volumi tecnici, ai fini dell'esclusione
dal calcolo della volumetria ammissibile,
devono intendersi i locali completamente
privi di una autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinati a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa ed, in particolare,
quei volumi strettamente necessari a
contenere ed a consentire l'ubicazione di
quegli impianti tecnici indispensabili per
assicurare il comfort degli edifici, che non
possano, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti, essere
inglobati entro il corpo della costruzione
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche.
Infondata è la censura secondo cui il
manufatto oggetto del provvedimento non
sarebbe una veranda con struttura infissa su
di una platea di cemento ma consisterebbe
semplicemente in tre pareti mobili su ruote
usate per il riparo di attrezzi e piante
fiorite durante l’inverno, costituendo
quindi un mero volume tecnico.
La censura non è supportata da alcuna
evidenza probatoria certa e, anzi si pone in
contrasto con il verbale di accertamento
dell’abuso del 24.12..2009 che, per essere
stato redatto da pubblico ufficiale, fa
piena prova sino a querela di falso.
Inoltre, le foto allegate dal ricorrente non
mostrano in modo esauriente l’ancoraggio del
manufatto al suolo ed, in ogni caso,
l’affermata amovibilità dell’opera è
irrilevante al fine di escludere l’esistenza
di un’opera di trasformazione urbanistica
necessitante di titolo abilitativo edilizio
avendo, fra l’altro, la giurisprudenza
precisato che ciò che rileva ai fini della
trasformazione urbanistica è la stabilità
della destinazione dell’opera realizzata.
L’opera in questione pare destinata ad uno
stabile e prolungato utilizzo e non a fini
strettamente temporanei.
L’eventuale precarietà (mobilità) di un
manufatto che rende non necessaria la
concessione edilizia dipende non già dal suo
sistema di ancoraggio, ma dalla sua
inidoneità a determinare una stabile
trasformazione del territorio.
Il carattere di precarietà va quindi
comunque escluso quando trattasi di
struttura destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo (Consiglio Stato, Sez.
V, 30.10.2000, n. 5828; TAR Campania-Napoli, Sez. VI, 18.02.2005, n. 1182; TAR
Lazio–Roma Sez. II-ter, 05.04.2007, n.
2986).
Il manufatto realizzato poi, consistente in
una veranda in ferro e vetro, coperto da
lamiera zincata posto su una platea di
cemento armato alta circa 30 centimetri,
esulta completamente dalla nozione di volume
tecnico.
Secondo quanto chiarito da giurisprudenza,
difatti, per volumi tecnici, ai fini
dell'esclusione dal calcolo della volumetria
ammissibile, devono intendersi i locali
completamente privi di una autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinati a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa
(Consiglio Stato, sez. IV, 04.05.2010, n.
2565; TAR Sicilia-Palermo Sez. I - sentenza
09.07.2007, n. 1749; TAR Lombardia-Milano,
Sez. II, 04.04.2002, n. 1337) ed, in
particolare, quei volumi strettamente
necessari a contenere ed a consentire
l'ubicazione di quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort
degli edifici, che non possano, per esigenze
tecniche di funzionalità degli impianti,
essere inglobati entro il corpo della
costruzione realizzabile nei limiti imposti
dalle norme urbanistiche (TAR Puglia-Lecce,
Sez. III - sentenza 15.01.2005 n. 143; TAR
Puglia-Bari sentenza n. 2843/2004).
Nessuna delle caratteristiche indicate
presenta il manufatto in questione, avendo a
una piena indipendenza funzionale, non
essendo destinato a contenere impianti e
presentando dimensioni incompatibili con
l’affermata natura di volume tecnico (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.05.2012 n. 2251 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà (e mobilità) di un manufatto, che
rende non necessaria la concessione
edilizia, dipende non dal suo sistema di
ancoraggio al terreno, ma dalla sua
inidoneità a determinare una stabile
trasformazione del territorio, con la
conseguente necessità del titolo edilizio
allorquando, come nel caso di specie, la
struttura, ancorché prefabbricata, sia
destinata a dare un’utilità prolungata nel
tempo, circostanza giammai contestata dagli
appellanti, e non meramente occasionale.
...
quanto al secondo profilo, poi, anche a
voler prescindere dalle significative
dimensioni della struttura prefabbricata
realizzata (oltre 80 metri quadrati, per un
volume di 257,78 metri quadrati, il che
esclude in radice la sua stessa amovibilità
(sul cui carattere insistono gli
appellanti), deve ricordarsi che in ogni
caso anche la precarietà (e mobilità) di un
manufatto, che rende non necessaria la
concessione edilizia, dipende non dal suo
sistema di ancoraggio al terreno, ma dalla
sua inidoneità a determinare una stabile
trasformazione del territorio, con la
conseguente necessità del titolo edilizio
allorquando, come nel caso di specie, la
struttura, ancorché prefabbricata, sia
destinata a dare un’utilità prolungata nel
tempo, circostanza giammai contestata dagli
appellanti, e non meramente occasionale
(C.d.S., sez. V, 15.06.2000, n. 3321;
03.04.1990, n. 317) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 27.04.2012 n. 2450 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
necessario il rilascio di una concessione
edilizia in caso di apertura di un dehor
destinato all'esercizio dell'attività di
ristorazione o di somministrazione di
alimenti e bevande, perché le
caratteristiche tecniche della struttura,
realizzata su suolo pubblico, nonché il
perdurante previsto utilizzo della stessa
nel tempo per il ricevimento della
clientela, costituiscono elementi
sufficienti ad escludere il carattere della
c.d. precarietà strutturale.
Inoltre, trattandosi a tutti gli effetti di
nuova costruzione, trova senz’altro
applicazione l’art. 907 c.c..
Con il secondo ed il terzo motivo la società
ricorrente deduce che l’intervento in
oggetto, concretandosi in opere di
manutenzione di un preesistente manufatto di
natura pertinenziale, non sarebbe
subordinato al previo rilascio di permesso
di costruire, ma unicamente a denuncia di
inizio attività.
Orbene, la ricorrente non ha provato affatto
la regolarità edilizia del preesistente
manufatto, onde la realizzazione del dehor
sanzionato non può in alcun modo
qualificarsi come opera di manutenzione.
Inoltre, anche a voler considerare (il che
non è, come si vedrà infra) l’opera in
questione come una pertinenza, essa,
ricadendo in zona sottoposta a vincolo, era
soggetta a concessione edilizia già nel
vigore dell’art. 7, comma 2, D.L. 23.01.1982,
n. 9 (convertito in legge 25.03.1982, n. 94).
In ogni caso, in relazione a casi analoghi,
la giurisprudenza amministrativa ha
ripetutamente affermato che é necessario il
rilascio di una concessione edilizia in caso
di apertura di un dehor destinato
all'esercizio dell'attività di ristorazione
o di somministrazione di alimenti e bevande,
perché le caratteristiche tecniche della
struttura, realizzata su suolo pubblico,
nonché il perdurante previsto utilizzo della
stessa nel tempo per il ricevimento della
clientela, costituiscono elementi
sufficienti ad escludere il carattere della
c.d. precarietà strutturale (TAR Sicilia-Palermo, III,
06.07.2010, n. 8269;
nello stesso senso cfr. TAR Campania-Napoli, IV, 12.01.2009, n. 68; id.,
15.09.2008, n. 10138; sempre con specifico
riferimento a gezebo destinati alla
ristorazione, cfr. Cons. di St., V.
01.12.2003, n. 7822; id., VI, 27.01.2003, n.
419).
Trattandosi a tutti gli effetti di nuova
costruzione, trova senz’altro applicazione
l’art. 907 c.c.
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 27.04.2012 n. 591 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
carattere precario del manufatto non dipende
<<dai materiali utilizzati o dal suo sistema
di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al
quale il manufatto è destinato, e va dunque
valutata alla luce della obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale dell'opera,
a nulla rilevando la temporanea destinazione
data alla stessa dai proprietari>>.
In questo prospettiva, un impianto
fotovoltaico a terra, indipendentemente dai
materiali utilizzati e dai criteri di
ancoraggio al suolo, si presenta
oggettivamente finalizzata a soddisfare
esigenze non temporanee dell’azienda
agricola e, quindi, non può essere
considerata in termini di opera precaria.
... per l'annullamento:
- del parere prot. 3302/2010 del 21.02.2011,
con cui il Comune di Cinigiano - Area
Tecnica Ufficio Urbanistica, ha espresso
parere contrario in merito al Programma di
Miglioramento Agricolo Ambientale, redatto
ai sensi della L.R. 1/2005 dal Sig. R.C. e
presentato in data 29.06.2010, e relativo
alla realizzazione di impianto fotovoltaico
a terra e incremento superficie vitata sui
terreni di proprietà dell'azienda Terra
Rossa, posti in Borgo S. Rita - Cinigiano (Gr);
...
Già in sede cautelare (TAR Toscana, sez. II,
01.06.2011 n. 634), la Sezione ha avuto modo
di rilevare, con riferimento al preteso
carattere pertinenziale e precario
dell’impianto fotovoltaico, come la
costruzione proposta da parte ricorrente non
possa trovare accoglimento, <<considerato
che non si riscontra l’invocata natura
pertinenziale dell’impianto fotovoltaico,
attesa la dimensione del medesimo e la sua
stessa destinazione evidenziata dal
ricorrente -tesa a conferire la corrente
elettrica alla rete e non ad asservire
esclusivamente un edificio principale-
nonché la conformazione dell’impianto che è
destinato ad una trasformazione funzionale
dello stato dei luoghi, indipendentemente
dall’amovibilità potenziale delle singole
componenti>>.
Ed in effetti, nella fattispecie manca
certamente quel <<rapporto di
strumentalità o complementarità funzionale>>
(Consiglio di Stato, sez. IV 15.12.2011 n.
6606; sez. VI 11.05.2011 n. 2781) con i
manufatti esistenti sull’area che, per
giurisprudenza univoca, costituisce il
requisito costitutivo delle cd. pertinenze
urbanistiche.
A questo proposito, la Sezione non dubita
certo che i proventi derivanti dalla
possibile installazione dell’impianto
costituiscano una fonte di entrate di tale
importanza da risultare complementare, nella
complessiva economia dell’azienda,
all’attività principale di coltivazione
agricola svolta sull’area; sotto il profilo
urbanistico-edilizio, si tratta però di
innovazione che non si pone certo in
rapporto di pertinenzialità con l’esistente,
ma che deve essere valutata come nuova ed
autonoma edificazione, in virtù delle
proprie caratteristiche intrinseche di
trasformazione del territorio.
Per quello che riguarda l’altro profilo
della possibile natura precaria delle opere,
deve poi trovare applicazione l’indirizzo
giurisprudenziale ormai consolidato che ha
rilevato come il carattere precario del
manufatto non dipenda <<dai materiali
utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio
al suolo, bensì dall'uso al quale il
manufatto è destinato, e va dunque valutata
alla luce della obiettiva ed intrinseca
destinazione naturale dell'opera, a nulla
rilevando la temporanea destinazione data
alla stessa dai proprietari>> (Consiglio
Stato, sez. IV, 15.05.2009 n. 3029; sez. V
20.06.2011 n. 3683).
In questo prospettiva, l’opera progettata
dal ricorrente, indipendentemente dai
materiali utilizzati e dai criteri di
ancoraggio al suolo, si presenta
oggettivamente finalizzata a soddisfare
esigenze non temporanee dell’azienda
agricola e, quindi, non può essere
considerata in termini di opera precaria
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 23.04.2012
n. 809 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: Laddove
una o più opere edilizie siano state
realizzate su area demaniale (nel caso,
demanio marittimo), il conseguente ordine di
demolizione è adottato dal Comune anche in
applicazione degli art. 54 e 1161 c. nav. e,
quindi per la tutela degli interessi
demaniali, cosicché, sotto questo profilo,
non ha nemmeno rilevanza la minore o
maggiore consistenza dell'abuso".
Ed ancora a riprova della non sufficienza
dell’autorizzazione rilasciata da parte
dell’autorità Portuale ai soli fini
demaniali marittimi al mantenimento della
tettoia contestata si è affermato che
“L'esecuzione di opere edilizie non del
tutto precarie su suolo del demanio
marittimo richiede il rilascio della
preventiva concessione edilizia da parte del
Sindaco, essendo irrilevante il possesso
della concessione della Capitaneria di
porto, necessaria solo per l'utilizzazione
dell'area demaniale".
Va poi contestato che la tettoia in
questione di dimensioni ragguardevoli (m.
23,50 per 18,15, h. m. 5,80) e tuttora
esistente ed utilizzata da diciotto anni
possa essere considerata indifferente ai
fini edilizi.
Ha, infatti, affermato il giudice
amministrativo che “Ove si tratti di
struttura realizzata per soddisfare esigenze
aziendali di carattere permanente,
prescindendo dal rilievo concernente
un'asserita «facile amovibilità» di tale
struttura (nella specie, sia per i materiali
impiegati che per le considerevoli
dimensioni), alla stessa non potrà
attribuirsi carattere di opera precaria, con
conseguente necessità del previo rilascio
della concessione edilizia per la sua
realizzazione (e correlativa infondatezza di
un eventuale ricorso giurisdizionale
proposto avverso il connesso provvedimento
sanzionatorio-ripristinatorio), dato che la
presenza di una tettoia non è meramente
strumentale alla migliore funzionalità di
uno o più degli impianti contenuti in un
capannone industriale, ma tende piuttosto a
creare un prolungamento dello stesso, al
fine di consentirvi lo svolgimento della
normale attività imprenditoriale su una più
vasta superficie coperta".
È stato,
infatti, affermato che “laddove una o più
opere edilizie siano state realizzate su
area demaniale (nel caso, demanio
marittimo), il conseguente ordine di
demolizione è adottato dal Comune anche in
applicazione degli art. 54 e 1161 c. nav. e,
quindi per la tutela degli interessi
demaniali, cosicché, sotto questo profilo,
non ha nemmeno rilevanza la minore o
maggiore consistenza dell'abuso" (TAR
Emilia Romagna Bologna, sez. II, 03.06.2008,
n. 2144; TAR Lazio Roma, sez. II,
30.08.2010, n. 31953).
Ed ancora a riprova della non sufficienza
dell’autorizzazione rilasciata da parte
dell’autorità Portuale ai soli fini
demaniali marittimi al mantenimento della
tettoia contestata si è affermato che
“L'esecuzione di opere edilizie non del
tutto precarie su suolo del demanio
marittimo richiede il rilascio della
preventiva concessione edilizia da parte del
Sindaco, essendo irrilevante il possesso
della concessione della Capitaneria di
porto, necessaria solo per l'utilizzazione
dell'area demaniale" (TAR Toscana
Firenze, sez. III, 04.07.2006, n. 3006).
Va poi contestato che la tettoia in
questione di dimensioni ragguardevoli (m.
23,50 per 18,15, h. m. 5,80) e tuttora
esistente ed utilizzata da diciotto anni
possa essere considerata indifferente ai
fini edilizi.
Ha, infatti, affermato il giudice
amministrativo che “Ove si tratti di
struttura realizzata per soddisfare esigenze
aziendali di carattere permanente,
prescindendo dal rilievo concernente
un'asserita «facile amovibilità» di tale
struttura (nella specie, sia per i materiali
impiegati che per le considerevoli
dimensioni), alla stessa non potrà
attribuirsi carattere di opera precaria, con
conseguente necessità del previo rilascio
della concessione edilizia per la sua
realizzazione (e correlativa infondatezza di
un eventuale ricorso giurisdizionale
proposto avverso il connesso provvedimento
sanzionatorio-ripristinatorio), dato che la
presenza di una tettoia non è meramente
strumentale alla migliore funzionalità di
uno o più degli impianti contenuti in un
capannone industriale, ma tende piuttosto a
creare un prolungamento dello stesso, al
fine di consentirvi lo svolgimento della
normale attività imprenditoriale su una più
vasta superficie coperta" (TAR Emilia
Romagna Parma, sez. I, 25.09.2007, n. 469)
(TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 11.04.2012 n. 530 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il manufatto assentito con
concessione edilizia in precario può essere
conservato solo finché il Comune non decida
di chiederne la rimozione, facendo così
venire meno l’efficacia del titolo edilizio
provvisoriamente rilasciato e rendendo
l’opera, non più tollerata, sostanzialmente
assimilabile ad un abuso edilizio da
rimuovere. Inoltre, la mancata ottemperanza alla
prescrizione prevista nel titolo edilizio
del 1979 (“il container dovrà essere
opportunamente nascosto con piante
soprattutto nella parte prospiciente la
strada provinciale”) si configura come
condizione risolutiva del titolo medesimo,
con conseguente applicabilità delle misure
repressive previste dalla normativa
edilizia.
---------------
L'installazione non meramente
occasionale di un prefabbricato, come nel
caso di un container, comporta l'alterazione
dello stato dei luoghi ed incide
sull'assetto urbanistico-edilizio del
territorio…Da quanto sopra deriva che,
ricorrendo nel caso in esame le
caratteristiche di una permanente
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio comunale, per la presenza stabile
del manufatto (art. 1 della legge 28.01.1977, n. 10) necessitasse la concessione
edilizia e che, in base all'art. 7 della
legge 28.02.1985, n. 47, il…”
responsabile dell’area tecnica,
“nell'esercizio del suo potere dovere di
vigilanza e di intervento per la repressione
degli abusi edilizi, legittimamente abbia
imposto la demolizione dello stesso
manufatto.
La società esponente, in attesa di edificare la nuova centrale
telefonica, in data 21.09.1979 ha presentato
al Comune domanda di nulla osta alla
collocazione provvisoria di un container di
metri 6,06 per 2,50 e altezza di metri 3,40.
Tale istanza è stata accolta con il rilascio
della concessione edilizia n. 74 del
05.10.1979, la quale dettava la prescrizione
secondo cui il container avrebbe dovuto
essere nascosto con piante. Con domanda del
23.02.1985 la deducente ha presentato domanda
di concessione relativa all’installazione di
un secondo container, precisando con nota
dell’11.9.1985 che il manufatto avrebbe
avuto carattere precario. L’installazione
precaria è stata quindi assentita con
concessione n. 19 del 24.10.1985.
Orbene, da un lato la natura precaria dei
container dichiarata nel secondo titolo
edilizio rilasciato e nella prima istanza
della ricorrente, dall’altro il mancato
adempimento della prescrizione dettata dal
titolo rilasciato nel 1979, giustificano
l’ordine di rimuovere tali manufatti.
Invero il manufatto assentito con
concessione edilizia in precario può essere
conservato solo finché il Comune non decida
di chiederne la rimozione, facendo così
venire meno l’efficacia del titolo edilizio
provvisoriamente rilasciato e rendendo
l’opera, non più tollerata, sostanzialmente
assimilabile ad un abuso edilizio da
rimuovere. Inoltre la mancata ottemperanza,
non confutata dalla ricorrente, alla
prescrizione prevista nel titolo edilizio
del 1979 (“il container dovrà essere
opportunamente nascosto con piante
soprattutto nella parte prospiciente la
strada provinciale”) si configura come
condizione risolutiva del titolo medesimo,
con conseguente applicabilità delle misure
repressive previste dalla normativa edilizia
(TAR Lombardia, Milano, II, 16.02.2010, n.
412; Tribunale di Catanzaro, II, 07.05.2009).
Quanto al regime di autorizzazione ex art. 7
della legge n. 94/1982, invocato
nell’impugnativa, il Collegio, dato atto che
i manufatti in questione sono stati
installati da oltre 25 anni e appaiono di
rilevanti dimensioni (metri 6,06 per 2,50 e
altezza di metri 3,40 –si vedano i documenti
depositati in giudizio dal Comune-), osserva
che “l'installazione non meramente
occasionale di un prefabbricato, come nel
caso di un container, comporta l'alterazione
dello stato dei luoghi ed incide
sull'assetto urbanistico-edilizio del
territorio…Da quanto sopra deriva che,
ricorrendo nel caso in esame le
caratteristiche di una permanente
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio comunale, per la presenza stabile
del manufatto (art. 1 della legge 28.01.1977, n. 10) necessitasse la concessione
edilizia e che, in base all'art. 7 della
legge 28.02.1985, n. 47, il…”
responsabile dell’area tecnica,
“nell'esercizio del suo potere dovere di
vigilanza e di intervento per la repressione
degli abusi edilizi, legittimamente abbia
imposto la demolizione dello stesso
manufatto” (Cons. Stato, V, 15.06.2000, n.
3320; si veda anche Cons. Stato, V,
18.03.1991, n. 280)
(TAR Lombardia Milano, sez. III, 21.12.2010,
n. 7633) (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza
30.01.2012 n.
166 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Anche
se la normativa edilizia non prevede
l’istituto della concessione edilizia a
termine, tuttavia, secondo un consolidato
orientamento nella materia, il rilascio di
tale titolo può essere vincolato a
specifiche prescrizioni e condizioni; si
tratta, pertanto, di verificare, da un lato,
se sia possibile che la condizione riguardi
il termine finale di efficacia del
provvedimento, e, dall’altro, se, in caso
contrario, dalla violazione dell’eventuale
divieto consegua la nullità della detta
clausola temporale, ma con salvezza per il
residuo del provvedimento concessorio da
ritenersi a validità ed efficacia a tempo
indeterminato.
Quando la condizione della temporaneità sia
apposta alla concessione edilizia riguardi
in realtà opere precarie che, per varie e
diversificate ragioni, possano essere erette
soltanto in alcuni periodi dell’anno o
soltanto per un arco temporale limitato,
allora si è in presenza di un provvedimento
atipico di per sé non illegittimo; si
tratta, nella sostanza, di concessione
avente ad oggetto opere per loro natura e
destinazione di carattere precario e quindi
durata limitata e predeterminata.
In passato vi sono state aperture al
riguardo essendosi affermato che la
“concessione edilizia in precario”
costituisce provvedimento atipico utilizzato
dalle amministrazioni comunali per assentire
opere per loro natura e destinazione di
durata limitata e predeterminata, non
conformi alla destinazione urbanistica della
zona, giustificabile solo proprio in
relazione al carattere di precarietà
dell’opera ed alla sua modesta consistenza,
sì da non assurgere a vera e propria
modificazione del territorio; peraltro,
l’istituto della concessione in precario
andrebbe ritenuto ammissibile solo se
previsto dalle norme di piano regolatore,
nei limiti, con i presupposti e nei termini
che tali norme pongono, salvo i casi che la
precarietà stessa costituisca giudizio di
non rilevanza urbanistica dell’opera.
Anche se
la normativa edilizia non prevede l’istituto
della concessione edilizia a termine,
tuttavia, secondo un consolidato
orientamento nella materia, il rilascio di
tale titolo può essere vincolato a
specifiche prescrizioni e condizioni; si
tratta, pertanto, di verificare, da un lato,
se sia possibile che la condizione riguardi
il termine finale di efficacia del
provvedimento, e, dall’altro, se, in caso
contrario, dalla violazione dell’eventuale
divieto consegua la nullità della detta
clausola temporale, ma con salvezza per il
residuo del provvedimento concessorio da
ritenersi a validità ed efficacia a tempo
indeterminato.
Il Collegio ritiene che quando la condizione
della temporaneità sia apposta alla
concessione edilizia riguardi in realtà
opere precarie che, per varie e
diversificate ragioni, possano essere erette
soltanto in alcuni periodi dell’anno o
soltanto per un arco temporale limitato,
allora si è in presenza di un provvedimento
atipico di per sé non illegittimo; si
tratta, nella sostanza, di concessione
avente ad oggetto opere per loro natura e
destinazione di carattere precario e quindi
durata limitata e predeterminata.
In passato vi sono state aperture al
riguardo (TAR Puglia–Bari, sez. II,
sent. n. 1281 del 28.09.1994)
essendosi affermato che la “concessione
edilizia in precario” costituisce
provvedimento atipico utilizzato dalle
amministrazioni comunali per assentire opere
per loro natura e destinazione di durata
limitata e predeterminata, non conformi alla
destinazione urbanistica della zona,
giustificabile solo proprio in relazione al
carattere di precarietà dell’opera ed alla
sua modesta consistenza, sì da non assurgere
a vera e propria modificazione del
territorio; peraltro, l’istituto della
concessione in precario andrebbe ritenuto
ammissibile solo se previsto dalle norme di
piano regolatore, nei limiti, con i
presupposti e nei termini che tali norme
pongono, salvo i casi che la precarietà
stessa costituisca giudizio di non rilevanza
urbanistica dell’opera (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere precarie.
L'opera precaria, sottratta al regime
concessorio, è quella oggettivamente
finalizzata a soddisfare esigenze improvvise
o transeunti e quindi non è destinata a
produrre, infatti, quegli effetti sul
territorio che la normativa urbanistica e
rivolta a regolare.
Ai fini del riscontro del connotato della
precarietà e della relativa esclusione della
modifica dell'assetto del territorio, non
sono rilevanti le caratteristiche
costruttive, i materiali impiegati e
l'agevole rimovibilità, ma le esigenze
temporanee alle quali l'opera eventualmente
assolva (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza
23.01.2012 n. 2693 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Opere
precarie, requisiti.
La natura precaria di un intervento edilizio non
coincide "con la temporaneità della destinazione
soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma
deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione
materiale dell'opera ad un uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici, contingenti e
limitati nel tempo, con conseguente possibilità di
successiva e sollecita eliminazione".
Non sussiste coincidenza fra precarietà e
stagionalità dell'opera, posto che le opere
stagionali sono destinate a soddisfare bisogni che
si perpetuano nel tempo, anche se in determinati
periodi dell'anno, e come tali costituiscono
interventi che incidono sui beni tutelati dalla
legislazione edilizia e necessitano di permesso di
costruire.
La natura precaria di una costruzione non dipende
dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla
facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il
manufatto è destinato a soddisfare e cioè alla
stabilità dell'insediamento, indicativa dell'impegno
effettivo e durevole del territorio.
La Corte deve
ricordare che la giurisprudenza di questa Sezione
afferma costantemente che:
● la natura precaria di un intervento edilizio non
coincide "con la temporaneità della destinazione
soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma
deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione
materiale dell'opera ad un uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici, contingenti e
limitati nel tempo, con conseguente possibilità di
successiva e sollecita eliminazione" (Sezione
Terza Penale, sentenza 27.05.2004, Polito).
● Sotto diverso profilo, non sussiste coincidenza
fra precarietà e stagionalità dell'opera, posto che
le opere stagionali sono destinate a soddisfare
bisogni che si perpetuano nel tempo, anche se in
determinati periodi dell'anno, e come tali
costituiscono interventi che incidono sui beni
tutelati dalla legislazione edilizia e necessitano
di permesso di costruire (Terza Sezione Penale,
sentenza n. 35498 del 06.07.2007, Filigrana;
sentenza n. 12428 del 07.02.2008, Fioretti).
● Inoltre, è stato affermato che "la natura
precaria di una costruzione non dipende dalla natura
dei materiali adottati e quindi dalla facilità della
rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è
destinato a soddisfare e cioè alla stabilità
dell'insediamento, indicativa dell'impegno effettivo
e durevole del territorio" (Terza Sezione
Penale, sentenza n. 12428 del 07.02.2008, Fioretti;
sentenza del 27.05.2004, Polito; Cons. Stato, Sez.
5, sentenza n. 3321 del 15.06.2000) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, con la
sentenza 16.01.2012 n. 1191). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Locazione di
aree della P.A. ad uso cantieristico -
Possibilità di realizzazione di opere
strutturalmente imponenti ancorché definite
temporalmente e funzionalmente precarie -
Necessità di idoneo titolo edilizio -
Sussiste - Ratio.
2. Natura precaria
di un manufatto - Condizione contrattuale
che preveda la futura demolizione del
manufatto - Irrilevanza ai fini della
configurabilità della precarietà.
3. Edificio
precario destinato ad uffici di cantiere - Sottraibilità al regime edilizio e
urbanistico delle nuove costruzioni -
Possibilità - Limiti.
1. In caso di locazione di aree della P.A.
ad uso cantieristico, una cosa è il
contratto di locazione delle aree di
cantiere con la relativa disciplina
negoziale, nel quale sono previste e
stabilite le condizioni d'uso dell'area
stessa -tra cui quella di realizzare solo
le opere precarie di cantiere ivi descritte
e di restituire l'area al Comune nello status quo ante- ed altra cosa sono le
eventuali autorizzazioni necessarie per
realizzare qualsiasi manufatto (precario o
meno che sia nelle intenzioni di chi lo
realizza e di chi ne consente la
realizzazione), che in base alle norme
edilizie richiede il previo rilascio di un
titolo edilizio, in funzione della natura
dell'intervento e della trasformazione del
territorio che ad esso inerisce.
Pertanto,
anche qualora nel contratto sia prevista la
realizzazione di opere strutturalmente
imponenti ancorché definite precarie -
temporalmente e funzionalmente - non per
questo il locatario ricorrente può
intraprenderle senza munirsi del titolo
occorrente, non essendo possibile realizzare
manufatti soggetti a titolo edilizio, in
forza del benestare, comunque espresso,
della P.A. in una sede impropria e inconferente quale è quella negoziale, nella
specie la locazione dell'area destinata alle
strutture di cantiere.
2. Deve considerarsi stabile e non precario
un manufatto ancorato al suolo e dotato di
tutti gli elementi propri della stabilità -ossia notevoli dimensioni, struttura
portante in cemento armato, ecc.-, che non
è suscettibile di immediata e comunque
agevole e pronta rimozione ma che richieda
un intervento di demolizione: né la
precarietà del manufatto può essere
ravvisabile per la sola condizione
contrattualmente prevista circa la sua
futura demolizione.
3.
Un edificio precario, destinato ad uffici di
cantiere, può essere sottratto,
eccezionalmente, al regime edilizio e
urbanistico delle nuove costruzioni, solo in
considerazione della sua temporaneità e
precarietà strutturale: temporaneità e
precarietà che devono trovare, tuttavia,
oggettivo riscontro nelle caratteristiche
costruttive dell'edificio posto che
diversamente anche i manufatti provvisori,
la cui durata è limitata e prestabilita,
devono ritenersi soggetti al rilascio di un
titolo abilitativo di durata annuale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.01.2012 n.
83 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
natura precaria di un intervento edilizio va
valutata in relazione non ai connotati della
struttura realizzata e, ancora, ai materiali
utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità
che la struttura stessa è destinata
obiettivamente a soddisfare.
In via fattuale va, anzitutto, evidenziato,
che l’impugnato diniego ha riguardo alle
seguenti opere edilizie realizzate dalla
società ricorrente:
1) ampliamento di superficie coperta e di
volume per la chiusura dell’esistente
terrazza di collegamento con il limitrofo
edificio, per tutti i piani in elevazione,
con utilizzo delle stesse a locali deposito,
trasmissioni, condizionatori, sala
operatori, uffici e segreteria;
2) installazione sul terrazzo di copertura
di strutture ed apparecchiature
tecnologiche, quali pedane pedane
metalliche, pompe di calore, e collocazione
di n. 2 tralicci in ferro a supporto di n. 2
antenne aventi altezze pari a ml. 15,00 e
7,00 rispetto al piano del terrazzo.
Ora, va dato atto che il Comune di Palermo,
in ordine alle opere di cui al punto 2),
intervenendo in autotutela, con
provvedimento n. 9 del 22.11.2011 ha
annullato in parte qua il
provvedimento impugnato.
Ne discende la sopravvenuta cessazione della
materia del contendere per tale parte di
ricorso.
Quanto, poi, alle opere indicate sub 1), in
ordine alle quali muove soltanto la censura
di eccesso di potere per errore nei
presupposti e violazione dell’art. 71 delle
norme di attuazioni del P.R.G. (primo
motivo), trattandosi di opere amovibili che
non fanno perdere la caratteristica “di
struttura aperta” alle terrazze di
collegamento, non modificano la struttura e
non aumentano la volumetria del fabbricato,
va rilevato, che le opere descritte nel
provvedimento sono ben riconducibili
nell'ambito degli interventi che determinano
una variazione planivolumetrica ed
architettonica dell’immobile con perdurante
modifica dello stato dei luoghi, a
prescindere dai materiali utilizzati e,
dunque, dalla amovibilità o meno delle
opere.
A conferma, è sufficiente ricordare che la
natura precaria di un intervento edilizio va
valutata in relazione non ai connotati della
struttura realizzata e, ancora, ai materiali
utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità
che la struttura stessa è destinata
obiettivamente a soddisfare.
Tenuto conto di quanto avanti esposto,
appare doveroso riconoscere che le opere
realizzate dalla società ricorrente non
risultano funzionalmente connesse a
specifiche e ben individuate esigenze di
carattere transitorio, idonee a rivelare un
utilizzo precario e temporaneo per fini
contingenti e cronologicamente determinati,
bensì concretizzano nuove strutture
destinate a dare un'utilità prolungata nel
tempo.
Contrariamente a quanto dedotto dalla
società ricorrente, infatti, nell'ipotesi di
specie non si è in presenza di interventi
irrilevanti sul piano urbanistico, atteso
che le opere in argomento realizzano in
maniera stabile la chiusura delle terrazze
di collegamento adibiti a svariati usi
(locali deposito, trasmissioni, sala
operatori, uffici, ecc.), con conseguente
aumento di volumetria e modifica del
prospetto
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 15.12.2011 n. 2392 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
carattere “precario” di un’opera non dipende
dalla relativa facilità della sua rimozione
dal terreno, quanto dalla sua concreta
destinazione ed utilizzazione, escludendosi
di conseguenza tale carattere in caso di
prolungata utilizzazione nel tempo.
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo
chiarito che il carattere “precario”
di un’opera non dipende dalla relativa
facilità della sua rimozione dal terreno,
quanto dalla sua concreta destinazione ed
utilizzazione, escludendosi di conseguenza
tale carattere in caso di prolungata
utilizzazione nel tempo (cfr., fra le tante,
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.06.2011,
n. 1720)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.11.2011 n. 2785 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
“pompeiana”, nell’accezione edilizia, è un
manufatto edilizio di norma in legno o in
materiale ferroso, costituito da un insieme
di travi intervallate, di sagoma e
dimensioni variabili, e sorretto da pilastri
o da muri: una sorta di pergola, dunque, ma
adatta a realizzare uno spazio aperto ma
protetto, piuttosto che destinato
all’appoggio di piante.
Le modifiche operate dai ricorrenti
–copertura impermeabile fissa in PVC e
tamponatura– hanno condotto ad un corpo
edilizio definito, racchiuso e coperto: la
pompeiana scoperta –o, al più, coperta da un
graticcio- è stata trasformata in una nuova
costruzione, del tutto diversa per
caratteristiche e finalità da quella
preesistente.
Si può, quindi,
escludere la mera temporaneità della
trasformazione: si deve anzitutto affermare
come il manufatto accresca, sia pure per una
parte dell’anno, la superficie utile
dell’esercizio di ristorazione.
D’altra parte, l’utilizzo stagionale
dell’opera non esclude la necessità del
permesso di costruire, poiché non implica la
precarietà: “ai fini della necessità del
preventivo rilascio del permesso di
costruire non rileva il carattere stagionale
del manufatto, atteso che esso non implica
precarietà dell'opera che può essere
destinata a soddisfare bisogni non
provvisori attraverso la perpetuità della
sua funzione.
Una “pompeiana”, nell’accezione
edilizia è un manufatto edilizio, di norma
in legno o in materiale ferroso, costituito
da un insieme di travi intervallate, di
sagoma e dimensioni variabili, e sorretto da
pilastri o da muri: una sorta di pergola,
dunque, ma adatta a realizzare uno spazio
aperto ma protetto, piuttosto che destinato
all’appoggio di piante.
...
Le modifiche operate dai ricorrenti
–copertura impermeabile fissa in PVC e
tamponatura– hanno condotto ad un corpo
edilizio definito, racchiuso e coperto: la
pompeiana scoperta –o, al più, coperta da un
graticcio- è stata trasformata in una nuova
costruzione, del tutto diversa per
caratteristiche e finalità da quella
preesistente, ed è ora riconducibile
all’ambito delle opere di cui all’ art. 3, I
comma, lett. e.5 (manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi
genere … che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee).
Si può escludere la mera temporaneità della
trasformazione: rammentati anche gli
accadimenti pregressi, si deve anzitutto
affermare come il manufatto accresca, sia
pure per una parte dell’anno, la superficie
utile dell’esercizio di ristorazione.
D’altra parte, l’utilizzo stagionale
dell’opera non esclude la necessità del
permesso di costruire, poiché non implica la
precarietà: “ai fini della necessità del
preventivo rilascio del permesso di
costruire non rileva il carattere stagionale
del manufatto, atteso che esso non implica
precarietà dell'opera che può essere
destinata a soddisfare bisogni non
provvisori attraverso la perpetuità della
sua funzione” (C.d.S., IV, 22.12.2007,
n. 6615).
---------------
È parimenti irrilevante, poiché attiene alle
modalità di costruzione, e non all’opera per
tale, che questa sia stata realizzata
impiegando una struttura preesistente –appunto la pompeiana: e dunque è legittimo
il rinvio alla disciplina di cui all’art. 31
del d.P.R. 380/2001 (Interventi eseguiti in
assenza di permesso di costruire, in totale
difformità o con variazioni essenziali), e,
pertanto, oltre che alla demolizione, alla
successiva acquisizione, in caso
d’inottemperanza
(TAR Vento, Sez. I,
sentenza 17.11.2011 n. 1713 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione abusiva di un
manufatto di non trascurabili dimensioni (m.
5.20 x 7.80 e di altezza pari a mt. 3)
rientra a pieno titolo tra quelle
trasformazioni fisiche del territorio a
carattere permanente che l’art. 1 della L.
n. 10 del 1977 (all’epoca vigente)
assoggettava a previo rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di
costruire).
---------------
La precarietà individuata dalla legge non è
determinata dalla caratteristica di
costruzione, bensì dall'uso realmente
precario e temporaneo del manufatto
destinato a fini specifici e limitati nel
tempo. Si tratta quindi di un concetto di
precarietà funzionale, che si desume dalla
funzione, temporanea o stabile, che il
manufatto riveste. E’ quindi precario e non
richiede titolo edilizio il manufatto che è
diretto a soddisfare esigenze specifiche e
cronologicamente delimitate.
Solo se l’opera è destinata a dare al
costruttore una utilità prolungata, e quindi
è di fatto destinata a durare nel tempo,
tale manufatto è riconducibile alla nozione
di “costruzioni” e, come tali, necessita di
un titolo edilizio.
Ne consegue che a nulla rileva, pertanto,
che i manufatti non siano stabilmente
collegati al suolo e siano facilmente
amovibili, dal momento che gli stessi
manufatti sono stati destinati ad uso
continuativo e durevole nel tempo.
Ugualmente sono irrilevanti le
caratteristiche costruttive e al tipo di
materiale utilizzato, come, nel caso in
giudizio, una struttura metallica e
copertura in legno.
La costruzione abusiva di un manufatto di
non trascurabili dimensioni (m. 5.20 x 7.80
e di altezza pari a mt. 3) rientra a pieno
titolo tra quelle trasformazioni fisiche del
territorio a carattere permanente che l’art.
1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca
vigente) assoggettava a previo rilascio
della concessione edilizia (ora permesso di
costruire) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
II, sentenza 28.05.2010 n. 5157).
---------------
La precarietà individuata dalla legge non è
determinata dalla caratteristica di
costruzione, bensì dall'uso realmente
precario e temporaneo del manufatto
destinato a fini specifici e limitati nel
tempo. Si tratta quindi di un concetto di
precarietà funzionale, che si desume dalla
funzione, temporanea o stabile, che il
manufatto riveste. E’ quindi precario e non
richiede titolo edilizio il manufatto che è
diretto a soddisfare esigenze specifiche e
cronologicamente delimitate.
Solo se l’opera è destinata a dare al
costruttore una utilità prolungata, e quindi
è di fatto destinata a durare nel tempo,
tale manufatto è riconducibile alla nozione
di “costruzioni” e, come tali,
necessita di un titolo edilizio (cfr. Tar
Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar
Sardegna Sez. II 27/09/2006 n. 2013; Tar
Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451).
Ne consegue che a nulla rileva, pertanto,
che i manufatti non siano stabilmente
collegati al suolo e siano facilmente
amovibili, dal momento che gli stessi
manufatti sono stati destinati ad uso
continuativo e durevole nel tempo.
Ugualmente sono irrilevanti le
caratteristiche costruttive e al tipo di
materiale utilizzato, come, nel caso in
giudizio, una struttura metallica e
copertura in legno
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 16.11.2011 n. 2756 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’installazione
di una copertura mobile scorrevole su ruote
a protezione del personale addetto al carico
e scarico degli automezzi non può ritenersi
quale "opera precaria".
La precarietà dell’opera non può essere
desunta soltanto dal non stabile
collegamento al suolo, ma devono essere
considerati anche il suo concreto utilizzo e
la sua funzione. Difatti, secondo
consolidata giurisprudenza, “non sono
manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad
un’utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante”, indipendentemente dalla loro
struttura o dal loro posizionamento.
A tal punto va
scrutinato, per la restante parte, il
ricorso R.G. n. 4566 del 2000 (con cui si
chiede l’annullamento dell’autorizzazione
alla ditta Castelnuovo per l’installazione
di una copertura mobile scorrevole su ruote
a protezione del personale addetto al carico
e scarico degli automezzi), con riferimento
alla seconda e terza censura, da esaminare
congiuntamente in quanto connesse.
Con le stesse si sostiene che non sarebbe
condivisibile la ritenuta precarietà
dell’opera in oggetto, attesa la sua
conformazione plano-volumetrica e la sua
effettiva destinazione e ciò avrebbe avuto
un diretto riflesso sul rispetto degli
indici di edificabilità della zona, che
sarebbero stati ampiamente superati con la
predetta realizzazione, e l’Amministrazione,
qualificando l’opera come precaria, avrebbe
omesso la doverosa verifica in ordine a tale
aspetto.
La censura è fondata.
La precarietà dell’opera non può essere
desunta soltanto dal non stabile
collegamento al suolo, ma devono essere
considerati anche il suo concreto utilizzo e
la sua funzione. Difatti, secondo
consolidata giurisprudenza, “non sono
manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad
un’utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante”, indipendentemente dalla
loro struttura o dal loro posizionamento
(Consiglio di Stato, VI, 16.02.2011, n.
986).
Nel caso di specie, l’Amministrazione non ha
assolutamente motivato in ordine a tale
aspetto, non essendo chiarito nemmeno se la
copertura mobile scorrevole sia stabilmente
affissa al suolo o meno (all. 5 al ricorso).
Del resto, anche dalla documentazione
fotografica appare possibile verificare
l’imponenza della struttura e la sua non
precarietà (all. 6 e 7 al ricorso).
Ciò determina l’illegittimità
dell’autorizzazione rilasciata alla
controinteressata (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 2592 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatti precari – Presupposti –
Destinazione funzionale e interesse finale.
Al fine di verificare se una determinata
opera abbia o meno carattere precario,
occorre verificare la destinazione
funzionale e l’interesse finale al cui
soddisfacimento l’opera stessa è destinata;
con la conseguenza che solo le opere
agevolmente rimuovibili e funzionali al
soddisfacimento di una esigenza
oggettivamente temporanea -destinate, cioè,
ad essere rimosse dopo il tempo entro cui si
realizza l’interesse finale (come, ad es.,
una baracca di cantiere o un manufatto per
una manifestazione)- possono ritenersi prive
di minima entità ovvero di carattere
precario ed, in quanto tali, non richiedono
per la loro edificazione la necessità di uno
specifico titolo edilizio (TAR Sardegna,
sez. II, 12.02.2010, n. 158, vd. anche TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 09.06.2011, n.
3029, TAR Toscana, sez. III, 14.09.2010, n.
5943, TAR Piemonte, sez. I, 07.07.2009, n.
2007, Cass. Civ., sez. II, 19.10.2009, n.
22127) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 18.10.2011 n. 562 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione -
Opere abusive - Precarietà - Utilizzazione
duratura - Legittimità.
L'esclusione dal regine del permesso di
costruire sussiste soltanto per i manufatti
di assoluta ed evidente precarietà,
desumibile dall'uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici e
cronologicamente delimitati, sicché tale
precarietà va esclusa quando si tratta di
opere oggetto di duratura utilizzazione,
risultando, di conseguenza, legittimamente
adottato l'ordine di demolizione comunale
impugnato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.10.2011 n.
2377 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’esclusione
dal regime del permesso di costruire
sussiste soltanto per i manufatti di
assoluta ed evidente precarietà, desumibile
dall’uso realmente precario e temporaneo,
per fini specifici e cronologicamente
delimitati, sicché tale precarietà va
esclusa quando si tratta di opere oggetto di
duratura utilizzazione.
È sufficiente notare, più in generale, come
l’esclusione dal regime del permesso di
costruire sussista soltanto per i manufatti
di assoluta ed evidente precarietà,
desumibile dall’uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici e
cronologicamente delimitati, sicché tale
precarietà va esclusa quando si tratta di
opere oggetto di duratura utilizzazione
(cfr., a proposito della definizione
dell'opera come precaria o stabile in
dipendenza, non tanto, dell'elemento
strutturale dei materiali utilizzati, quanto
di quello funzionale, legato al fattore
tempo e, dunque, alla durevolezza della
destinazione impressa, in quanto non volta a
soddisfare esigenze contingenti e
circoscritte: TAR Puglia Lecce, sez. III,
26.11.2009, n. 2853; analogamente, id., sez.
III, 08.03.2010, n. 688; nonché, TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 30.03.2009, n.
720)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.10.2011 n. 2377 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
“pergolato”, rilevante ai fini edilizi, può
essere inteso come un manufatto avente
natura ornamentale, realizzato in struttura
leggera di legno o altro materiale di minimo
peso, facilmente amovibile in quanto privo
di fondamenta, che funge da sostegno per
piante rampicanti, attraverso le quali
realizzare riparo e/o ombreggiatura di
superfici di modeste dimensioni.
Questo Consiglio di Stato, proprio sulla
base degli elementi ora riportati, ha avuto
modo di escludere che una struttura
costituita da pilastri e travi in legno di
importanti dimensioni, tali da rendere la
struttura solida e robusta e da farne
presumere una permanenza prolungata nel
tempo, possa essere ricondotta alla nozione
di “pergolato”.
Al contrario, è stata ritenuta rientrare
nella nozione di “pergolato” una struttura
precaria, facilmente rimovibile, costituita
da una intelaiatura in legno non infissa al
pavimento né alla parete dell’immobile (cui
è solo addossata), non chiusa in alcun lato,
compreso quello di copertura.
L’assenza di una definizione normativa di “pergolato”
non esclude la valutazione
dell’amministrazione in ordine alla
riconducibilità di un manufatto a tale
tipologia, né il successivo sindacato del
giudice sulla legittimità della stessa,
sotto il profilo del vizio di eccesso di
potere per illogicità, irragionevolezza,
insufficienza e/o contraddittorietà della
motivazione.
Orbene, il “pergolato”, rilevante ai
fini edilizi, può essere inteso come un
manufatto avente natura ornamentale,
realizzato in struttura leggera di legno o
altro materiale di minimo peso, facilmente
amovibile in quanto privo di fondamenta, che
funge da sostegno per piante rampicanti,
attraverso le quali realizzare riparo e/o
ombreggiatura di superfici di modeste
dimensioni.
Questo Consiglio di Stato (sez. IV,
02.10.2008 n. 4793), proprio sulla base
degli elementi ora riportati, ha avuto modo
di escludere che una struttura costituita da
pilastri e travi in legno di importanti
dimensioni, tali da rendere la struttura
solida e robusta e da farne presumere una
permanenza prolungata nel tempo, possa
essere ricondotta alla nozione di “pergolato”.
Al contrario, è stata ritenuta (Cons. Stato,
sez. V, 07.11.2005 n. 6193) rientrare nella
nozione di “pergolato” una struttura
precaria, facilmente rimovibile, costituita
da una intelaiatura in legno non infissa al
pavimento né alla parete dell’immobile (cui
è solo addossata), non chiusa in alcun lato,
compreso quello di copertura
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.09.2011 n. 5409 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzioni - Precarietà -
Caratteristica non desumibile né dalla
facile e rapida amovibilità dell'opera, né
dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio
al suolo - Necessità che l'opera sia
destinata a soddisfare necessità
contingenti.
Nel provvedimento impugnato si specifica che
l’intervento consiste in una “struttura
di mq. 150 circa alta mt. 3,20 circa di
alluminio anodizzato, coperta con teli di
plastica in p.v.c. e tamponata con vetri
scorrevoli su binario, asportabili”.
La descrizione dell’intervento conduce,
innanzi tutto, ad escludere che l’opera sia
destinata alla sola difesa dalle intemperie.
Si tratta, infatti, di una struttura chiusa
sui lati, che dà luogo ad un nuovo volume
edilizio entro il perimetro di uno spazio in
origine aperto.
Il volume realizzato, peraltro, non è
trascurabile, in quanto la superficie
coperta è di circa 150 mq., per un’altezza
di m. 3,20.
In proposito va rilevato che l’art. 1 della
legge 28.01.1977 n. 10, vigente all’epoca
dell’adozione del provvedimento impugnato,
imponeva al soggetto attuatore di munirsi di
concessione edilizia per ogni attività
comportante la trasformazione del territorio
attraverso l’esecuzione di ogni intervento
sul territorio, preordinato alla perdurante
modificazione dello stato dei luoghi con
materiale posto sul suolo, pur in assenza di
opere in muratura.
Quanto all’affermato carattere precario
dell’intervento, non v’è che da richiamare
il consolidato indirizzo giurisprudenziale
secondo cui la precarietà di una costruzione
non va desunta dalla facile e rapida
amovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più
o meno fisso del suo ancoraggio al suolo,
quanto dal fatto che la costruzione appaia
destinata a soddisfare una necessità
contingente (ex plurimis, TAR
Campania, Napoli, sez. VII, 11.02.2011 n.
896, TAR Marche, sez. I, 20.04.2010 n. 182,
Cons. St., sez. V, 04.02.1998, n. 131).
Nel caso di specie appare da escludere il
carattere contingente delle esigenze che
l’intervento è destinato a soddisfare,
chiaramente correlate alla fruizione di uno
spazio chiuso, che, come si è rilevato,
risulta di dimensioni considerevoli (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 20.09.2011 n. 7462 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Opera edilizia
precaria che non necessiti di titolo
edilizio - Presupposti - Temporaneità della
funzione - Fattispecie.
La precarietà di un manufatto, la cui
realizzazione non necessita di titolo
edilizio, non comportando una trasformazione
del territorio, non dipende dalla sua facile removibilità,
ma dalla temporaneità della funzione, in
relazione ad esigenze di natura contingente:
la precarietà va, pertanto, esclusa quando
-come nel caso di specie, in cui le canaline
sono esistenti ormai da molti anni e sono
stabilmente destinate a servizio della
strada- si tratti di un'opera destinata a
dare un'utilità prolungata nel tempo (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 3029/2009 e n.
2705/2008; Cass. Pen., sent. n. 22054/2009;
TAR Milano, sent. n. 3266/2010 e n.
3253/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.09.2011 n.
2190 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
la definizione delle opere precarie “la
modifica dell’assetto del territorio non
richiede la concessione edilizia solo quando
sia di minima entità ovvero di carattere
precario, così intendendosi le opere,
agevolmente rimuovibili, funzionali a
soddisfare una esigenza oggettivamente
temporanea (es. baracca o pista di cantiere,
manufatto per una manifestazione…) destinata
a cessare dopo il tempo, normalmente non
lungo, entro cui si realizza l’interesse
finale”.
Sulla definizione delle opere precarie la
Sezione ha avuto modo di precisare che “la
modifica dell’assetto del territorio non
richiede la concessione edilizia solo quando
sia di minima entità ovvero di carattere
precario, così intendendosi le opere,
agevolmente rimuovibili, funzionali a
soddisfare una esigenza oggettivamente
temporanea (es. baracca o pista di cantiere,
manufatto per una manifestazione…) destinata
a cessare dopo il tempo, normalmente non
lungo, entro cui si realizza l’interesse
finale” (cfr TAR Sardegna, sez. II,
12.02.2010 n. 158).
Per le opere oggettivamente precarie e
temporanee è sufficiente, ai sensi
dell’articolo 13, comma 1, lett. m), la
semplice autorizzazione edilizia per
l’aspetto edilizio e l’autorizzazione
paesaggistica ove l’opera ricada in ambito
sottoposto a vincolo.
I manufatti realizzati dal ricorrente,
essendo totalmente amovibili (come dallo
stesso asserito e dal Comune non contestato)
potevano ottenere l’autorizzazione edilizia
(anche in accertamento di conformità) nei
limiti e nella parte in cui potevano essere
qualificati come precari in base al
principio su riportato.
In particolare potevano ottenere
l’autorizzazione, entro i limiti indicati
nelle concessioni demaniali, le strutture
strettamente funzionali alla balneazione e
quindi di ridotte dimensioni e per il solo
periodo della stagione balneare
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 01.09.2011 n. 914 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Struttura definita di carattere
precario e provvisorio - Permesso di
costruire in precario condizionato a future
esigenze urbanistiche - Illegittimità -
Responsabile ufficio tecnico - Abuso
d’ufficio - Configurabilità - Artt. 81, 323,
378 c.p..
E’ illegittima la concessione in sanatoria
(oggi permesso di costruire) rilasciata, con
la quale si consente di mantenere una
struttura definita "di carattere precario
e provvisorio" e, quindi, rimovibile a
cura e spese del proprietario in caso di
future esigenze urbanistiche.
E' stato infatti chiarito che la c.d. "concessione
edilizia in precario" -sia pure non "in
sanatoria" come quella di cui al
presente processo- è non solo extra legem,
in quanto non è espressamente prevista da
alcuna fonte normativa, ma anche contra
legem, in quanto è destinata a
consentire una situazione di abuso edilizio
(Cass. Sez. 3, n. 111 del 13/01/2000, La
Ganga Ciciritto) (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 14.07.2011 n. 27703 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia - Nozione di
costruzione - Precarietà di un manufatto -
Presupposti.
La nozione di costruzione, ai fini del
rilascio della concessione edilizia, si
configura in presenza di opere che attuino
una trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante la realizzazione
di opere murarie, cosicché fuoriesce da tale
definizione soltanto l'opera destinata, fin
dall'origine, a soddisfare esigenze
contingibili e circoscritte nel tempo.
In particolare, la precarietà di un
manufatto, al fine di escludere la necessità
del rilascio di un titolo edilizio, va
valutata a prescindere dalla temporaneità
della destinazione soggettivamente impressa
dal costruttore e dalla maggiore o minore
amovibilità delle parti che lo compongono,
considerando invece l'opera alla luce della
sua obiettiva e intrinseca destinazione
naturale che ne riveli l'uso oggettivamente
precario e temporaneo (TAR Campania Napoli,
sez. III, 06.11.2007, n. 1068; TAR Lombardia
Milano, sez. IV, 09.03.2011, n. 644) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 28.06.2011 n. 1015 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Precarietà
e temporaneità opera edilizia - Materiali
utilizzati - Irrilevanza - Effettiva
utilizzazione - Rilevanza.
La precarietà di un'opera, che potrebbe
escludere la necessità di un titolo
abilitativo, deve essere analizzata in
relazione non ai materiali impiegati per la
costruzione, bensì alla effettiva
utilizzazione, per cui è necessario un
apposito titolo in caso di manufatto
aderente in modo stabile al suolo, destinato
ad una utilizzazione continuativa (cfr. TAR
Parma, sent. n. 513/2010; TAR Milano, sent.
n. 558/2010)
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.06.2011 n.
1720 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opera edilizia
precaria - Presupposti - Precarietà in senso
funzionale.
L'elemento della precarietà di un'opera
deve essere qualificato in senso funzionale,
sicché non può reputarsi precaria l'opera,
anche se amovibile, destinata ad un uso
costante e prolungato nel tempo (cfr. TAR
Milano, sent. n. 1003/2011, n. 3266/2010,
TAR Lecce, sent. n. 688/2010; TAR Brescia,
sent. n. 720/2009) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
1066 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’elemento
della precarietà deve essere qualificato in
senso funzionale, sicché non può reputarsi
precaria l’opera, anche se amovibile,
destinata ad un uso costante e prolungato
nel tempo.
L’elemento della precarietà deve essere
qualificato in senso funzionale, sicché non
può reputarsi precaria l’opera, anche se
amovibile, destinata ad un uso costante e
prolungato nel tempo (cfr., fra le tante,
TAR Puglia, Lecce, sez. III, 8.3.2010, n.
688 e TAR Lombardia, Brescia, sez. I,
30.3.2009, n. 720) (TAR
Lombardia-MIlano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n. 1066 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opera edilizia
precaria - Presupposti - Agevole removibilità e temporaneità della funzione.
La natura di precarietà di un'opera
presuppone che questa sia agevolmente
removibile, funzionale a soddisfare una
esigenza oggettivamente temporanea -es.
baracca o pista di cantiere, manufatto per
una manifestazione- destinata a cessare
dopo il tempo, normalmente non lungo, entro
cui si realizza l'interesse finale (cfr.
TAR Milano, sent. n. 3266/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.04.2011 n.
1003 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una pertinenza, per poter essere
definita tale, «deve avere una propria
individualità fisica ed una propria
conformazione strutturale, non essere parte
integrante o costitutiva di altro
fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad
un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita
di un autonomo valore di mercato, non
valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo tale da non
consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell'edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede».
Ciò che rileva è il rapporto con la
costruzione preesistente che deve essere,
quindi, non di integrazione ma di
asservimento, per cui deve renderne più
agevole e funzionale l'uso, ma non divenire
parte essenziale dello stesso.
In materia urbanistica, a differenza che
nella materia civilistica, possono
costituire pertinenza solo i manufatti di
dimensioni modeste e ridotte, inidonei,
quindi, ad alterare in modo significativo
l'assetto del territorio. Pertanto, le opere
abusive per dimensioni e per tipologia (una
tendo-struttura modulare in acciaio con
copertura e tamponatura laterale in telo di
PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml.
36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia
con copertura in lamiera ondulata
parzialmente tamponata con telo in PVC delle
dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00;
la pavimentazione di un’area attrezzata (con
sottoservizi) di circa 11.000,00 mq.,
realizzata parte in conglomerato bituminoso
e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo
betonella), nonché per l’indubbio impatto
sul territorio, non possono rientrare nella
tipologia delle c.d. pertinenze.
---------------
La precarietà di un manufatto, al fine di
escludere la necessità del rilascio di un
titolo edilizio, non va desunta dalla facile
e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero
dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio
al suolo, ma dal fatto che la costruzione
appaia destinata a soddisfare una necessità
contingente e non prolungata nel tempo.
Va, innanzitutto, rilevato che la nozione di
pertinenza edilizia può essere estesa fino a
comprendere elementi essenziali, e non solo
di carattere accessorio, dell'impianto
industriale.
Come osserva la giurisprudenza, una
pertinenza, per poter essere definita tale,
«deve avere una propria individualità
fisica ed una propria conformazione
strutturale, non essere parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre
essere preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di
mercato, non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo tale da non consentire, in relazione
anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile
cui accede» (cfr. Cons. Stato, IV,
05.03.2010, n. 1277). Ciò che rileva è il
rapporto con la costruzione preesistente che
deve essere, quindi, non di integrazione ma
di asservimento, per cui deve renderne più
agevole e funzionale l'uso, ma non divenire
parte essenziale dello stesso (cfr. Tar
Veneto, II, 07.03.2011, n. 374; Tar
Campania, Napoli, II, 26.09.2008, n. 11309).
Come ben si evince dagli atti e dalla
documentazione fotografica, nella specie le
opere da demolire sono manufatti
assolutamente autonomi, trattandosi di
fabbricati destinati al deposito e allo
stoccaggio di materie prime e di prodotti
finiti, conseguenti all’installazione di due
nuove linee di produzione all’interno dello
stabilimento industriale esistente. Ne
discende che il concetto di pertinenza, come
pure quello di impianto tecnologico al
servizio di un edificio o di una
attrezzatura esistente, appare allora non
applicabile alla fattispecie in esame,
mancando la relazione di asservimento ed
essendo le opere da abbattere essenziali
allo svolgimento dell'attività in questione.
Peraltro il carattere di mera "pertinenza"
delle opere in questione che, in quanto
tali, sarebbero state soggette a semplice
autorizzazione edilizia, la mancanza della
quale poteva comportare soltanto la sanzione
pecuniaria, va escluso anche per
un’ulteriore ragione. Secondo la costante
giurisprudenza amministrativa, dalla quale
il Collegio non ravvisa valide ragioni per
discostarsi, in materia urbanistica, a
differenza che nella materia civilistica,
possono costituire pertinenza solo i
manufatti di dimensioni modeste e ridotte,
inidonei, quindi, ad alterare in modo
significativo l'assetto del territorio (cfr.
Cons. Stato, IV, 13.01.2010, n. 41; Cons.
Stato, IV, 15.09.2009, n. 5509).
Nel caso di specie, invece, le opere abusive
per dimensioni e per tipologia (una
tendo-struttura modulare in acciaio con
copertura e tamponatura laterale in telo di
PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml.
36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia
con copertura in lamiera ondulata
parzialmente tamponata con telo in PVC delle
dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00;
la pavimentazione di un’area attrezzata (con
sottoservizi) di circa 11.000,00 mq.,
realizzata parte in conglomerato bituminoso
e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo
betonella), nonché per l’indubbio impatto
sul territorio, non possono rientrare nella
tipologia delle c.d. pertinenze (cfr. TAR
Veneto, II, 27.11.2008, n. 3703).
Tale conclusione determina, altresì,
l’irrilevanza delle osservazioni relative al
fatto che il volume e la superficie delle
opere realizzate siano inferiori al 20% del
volume e della superficie dello stabilimento
produttivo regolarmente edificato, giacché
l’applicazione dell’art. 3, comma 1, lettera
e.6), presuppone la qualificazione
dell’intervento come pertinenziale.
---------------
Con riguardo, infine, alla dedotta
provvisorietà delle opere realizzate dalla
Silcart. s.r.l., il Collegio rileva che la
precarietà di un manufatto, al fine di
escludere la necessità del rilascio di un
titolo edilizio, non va desunta dalla facile
e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero
dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio
al suolo, ma dal fatto che la costruzione
appaia destinata a soddisfare una necessità
contingente e non prolungata nel tempo (cfr.
Tar Campania, Napoli, IV, 22.03.2007, n.
2725).
Al riguardo merita, allora, di essere
evidenziato che dalle stesse osservazioni
presentate dalla società ricorrente, a
seguito della comunicazione di avvio del
procedimento sanzionatorio, emerge la non
precarietà e non provvisorietà delle opere
realizzate in quanto funzionali all’avvenuta
installazione di due nuove linee di
produzione, resesi necessarie per mantenere
l’incremento produttivo determinatosi a
partire dal 2000 e per creare ulteriori
prodotti a corredo di quelli già realizzati,
onde competere con le altre società del
settore anche in campo internazionale. La
stessa società ricorrente, del resto,
evidenzia la funzionalità del deposito di
materie prime con il metodo produttivo che
le pone a monte del processo di lavorazione,
determinando un risparmio di tempo nella
lavorazione del prodotto.
Alla luce delle richiamate argomentazioni
deve, pertanto, escludersi sia la natura
pertinenziale sia la natura precaria delle
opere realizzate con conseguente
sussumibilità delle stesse per dimensioni e
tipologia nel disposto dell’art. 3, comma 1,
lettera e), del citato d.P.R. n. 380/2001,
implicando le stesse una trasformazione
urbanistica ed edilizia permanente del
territorio mediante l’esecuzione di lavori
di installazione di manufatti, in parte
prefabbricati, destinati a deposito di
materiali e non diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee. Da qui anche
la legittimità dell’irrogazione della
sanzione demolitoria e non di quella
meramente pecuniaria
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 07.04.2011 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianto calcestruzzo amovibile.
E' illegittima l'autorizzazione provvisoria
riguardante opere trasferibili e precarie
(impianto di calcestruzzo amovibile)
installate sul suolo agricolo posto che il
concetto di opera contingente, momentanea e
transitoria va parametrato con riferimento
non alle dimensioni ma alla durata nel tempo
dei bisogni che l'edificazione dell'opera
intende soddisfare.
Pertanto, l'assenza di permesso a costruire
comporta la sussistenza del reato di cui
all'art. 44, lett. b, DPR 380/2001. Di
converso, tale illegittimità non costituisce
violazione di legge macroscopica idonea a
provare ex se il dolo intenzionale del
delitto di abuso d'ufficio (TRIBUNALE di
Santa Maria C.V.,
sentenza 10.03.2011 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianto calcestruzzo amovibile.
E' illegittima l'autorizzazione provvisoria
riguardante opere trasferibili e precarie
(impianto di calcestruzzo amovibile)
installate sul suolo agricolo posto che il
concetto di opera contingente, momentanea e
transitoria va parametrato con riferimento
non alle dimensioni ma alla durata nel tempo
dei bisogni che l'edificazione dell'opera
intende soddisfare.
Pertanto, l'assenza di permesso a costruire
comporta la sussistenza del reato di cui
all'art. 44, lett. b, DPR 380/2001. Di
converso, tale illegittimità non costituisce
violazione di legge macroscopica idonea a
provare ex se il dolo intenzionale
del delitto di abuso d'ufficio (TRIBUNALE
Santa Maria C.V.,
sentenza 10.03.2011 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non sono manufatti
destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli
destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può essere
considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell’installazione della voluminosa copertura in PVC
conferisse al manufatto nel suo complesso il carattere di
‘temporaneità’, atteso:
- il carattere inscindibilmente e funzionalmente unitario
della struttura metallica di supporto e della relativa
copertura;
- la permanente alterazione dello stato dei luoghi, che il
complessivo manufatto (di notevoli dimensioni –circa 250
mq., per una volumetria di circa 700 mc.-) era idoneo a
determinare, anche a prescindere dalla rimozione (peraltro,
per soli quattro mesi l’anno) della copertura in pannelli di
PVC;
- il carattere ontologicamente ‘non temporaneo’ di una
struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale
e di somministrazione.
Per quanto concerne, in particolare, la qualificabilità del
manufatto nel suo complesso quale ‘intervento di nuova
costruzione’, la sentenza oggetto di appello è
meritevole di conferma per la parte in cui ha ritenuto che
non fosse riconducibile alle previsioni di cui alla lettera
e.5) del comma 1 dell’art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 (a
tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove
costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere -quali
roulottes, campers, case mobili o imbarcazioni– che siano
usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee”).
Al riguardo, la sentenza perviene a risultati condivisibili
dove richiama l’orientamento secondo cui non sono manufatti
destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli
destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può essere
considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato,
V, 12.12.2009, n. 7789; V, 24.02.2003, n. 986; V,
24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell’installazione della voluminosa copertura in PVC
conferisse al manufatto nel suo complesso il carattere di ‘temporaneità’,
atteso:
- il carattere inscindibilmente e funzionalmente unitario
della struttura metallica di supporto e della relativa
copertura;
- la permanente alterazione dello stato dei luoghi, che il
complessivo manufatto (di notevoli dimensioni –circa 250
mq., per una volumetria di circa 700 mc.-) era idoneo a
determinare, anche a prescindere dalla rimozione (peraltro,
per soli quattro mesi l’anno) della copertura in pannelli di
PVC;
- il carattere ontologicamente ‘non temporaneo’ di
una struttura destinata all’esercizio di un’attività
commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons.
Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.02.2011 n. 986 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione precaria -
Presupposti.
La precarietà di una costruzione non va
desunta dalla possibile facile e rapida
amovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più
o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma
dal fatto che la costruzione appaia
destinata a soddisfare una necessità
contingente ed essere poi prontamente
rimossa, a nulla rilevando la circostanza
che l’impiego dell'opera sia circoscritto ad
una sola parte dell’anno, ben potendo la
stessa essere destinata a soddisfare un
bisogno non provvisorio ma regolarmente
ripetibile; la precarietà, quindi, non va
confusa con la stagionalità (tra le tante,
Tar Puglia, Bari, II, n. 2031/2009) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 11.02.2011 n. 896 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La precarietà di una costruzione
è desunta dal fatto che appaia destinata a
soddisfare una necessità contingente ed
essere poi prontamente rimossa.
Per costante giurisprudenza di questa
Sezione, la pavimentazione di aree verdi
[opere di cui alle lett. c) e g)], esige il
permesso di costruire, perché comporta
l’irreversibile trasformazione del
territorio; quanto alle opere di cui alle
lett. f) (realizzazione di un locale tecnico
delimitato per tre lati da muratura, un
quarto lato chiuso da infisso, la copertura
è costituita da una soletta in cls. con
sovrastante tegole in cotto, avente
superficie coperta di mq 2,50 circa, ed una
volumetria di mc. 5,90 circa), e h) (box in
legno, a copertura a due falde inclinate,
avente superficie coperta di mq 3,30 circa,
ed una volumetria di mc. 6,60 circa),
comportano nuovi organismi edilizi, con
aumento di volumetria. Né è dimostrato che
il viale di cui alla lett. c) e l’area di
cui alla lett. g) fossero già pavimentate in
precedenza.
Quanto al box di legno, la precarietà resta
anch’essa indimostrata; in ogni caso, per
costante giurisprudenza, la precarietà di
una costruzione non va desunta dalla
possibile facile e rapida amovibilità
dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso
del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto
che la costruzione appaia destinata a
soddisfare una necessità contingente ed
essere poi prontamente rimossa, a nulla
rilevando la circostanza che l’impiego
dell'opera sia circoscritto ad una sola
parte dell’anno, ben potendo la stessa
essere destinata a soddisfare un bisogno non
provvisorio ma regolarmente ripetibile; la
precarietà, quindi, non va confusa con la
stagionalità (tra le tante, Tar Puglia,
Bari, II, n. 2031/2009) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 11.02.2011 n. 896 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una struttura
in prefabbricato, integra una nuova
costruzione e, in quanto tale, richiede,
quale titolo edilizio abilitativo, il
permesso di costruire, nella specie
mancante, atteso che la precarietà
dell'opera, che esonera dall'obbligo del
possesso del permesso di costruire, postula
un uso specifico e temporalmente limitato
del bene.
Deve rilevarsi
come le caratteristiche del manufatto in
questione -costituito da un prefabbricato in
legno e vetro, poggiante su di una trave in
legno e sollevato dal terreno- ne rendessero
necessario, ai fini della sua collocazione
sul terreno di cui trattasi, il previo
rilascio del relativo titolo concessorio.
Ed infatti, per giurisprudenza consolidata
sul punto, la realizzazione di una struttura
in prefabbricato, integra una nuova
costruzione e, in quanto tale, richiede,
quale titolo edilizio abilitativo, il
permesso di costruire, nella specie mancante
(TAR Lazio, Roma, sez. I, 16.07.2009, n.
7033), atteso che la precarietà dell'opera,
che esonera dall'obbligo del possesso del
permesso di costruire, postula un uso
specifico e temporalmente limitato del bene
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1076 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della ricorrenza del requisito della
precarietà di una costruzione, che esclude
la necessità del rilascio di un titolo
edilizio, si deve valutare l'opera alla luce
della sua obiettiva ed intrinseca
destinazione naturale, con la conseguenza
che rientrano nella nozione giuridica di
costruzione, per la quale occorre il
permesso di costruire, tutti quei manufatti
che, anche se non necessariamente infissi
nel suolo e pur semplicemente aderenti a
questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e non meramente
occasionale.
Quindi sono esenti dall'assoggettamento al
permesso di costruire solo le costruzioni
aventi caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo mentre:
al contrario, deve ritenersi sottoposta a
tale regime la edificazione di manufatti
destinati ad una utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l'alterazione del
territorio non può essere considerata
temporanea, precaria od irrilevante.
Deve escludersi il carattere temporaneo e
precario del chiosco in esame (per la
somministrazione al pubblico di bevande ed
alimenti) giacché esso appare finalizzato
stabilmente ed in modo durevole all’utilizzo
commerciale per la somministrazione al
pubblico di bevande ed alimenti, tenuto
anche conto che il manufatto non presenta le
caratteristiche di amovibilità, in quanto
dall’esame dell’atto impugnato emerge che lo
stesso è allacciato alla rete
idrica/fognaria e di pubblica illuminazione
(peraltro in difetto di autorizzazione e
risultando privo anche dei relativi
contatori per i consumi idrico ed
elettrico).
Risulta recessiva la sussistenza di
un’autorizzazione sindacale rilasciata per
l’installazione del chiosco di che trattasi
che non presenta i requisiti soggettivi
(rilascio da parte dei competenti uffici
comunali) ed oggettivi (verifica della
conformità urbanistica dell’opera) del
titolo edilizio occorrente per la
realizzazione del manufatto.
Il mezzo di gravame si fonda sull’assunto
secondo il quale la realizzazione del
manufatto (chiosco per la somministrazione
al pubblico di bevande ed alimenti) non
richiederebbe alcun permesso di costruire ed
inoltre l’occupazione del suolo pubblico
sarebbe avvenuto in forza di autorizzazione
rilasciata dal Sindaco in data 25.02.2005:
pertanto, secondo la prospettazione di parte
ricorrente, l’ordinanza di demolizione
risulterebbe emessa in difetto dei
presupposti di legge dato che, ai sensi
dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, essa postula
la realizzazione di manufatti in assenza o
in difformità dal titolo edilizio.
Le argomentazioni di parte ricorrente non
appaiono condivisibili alla luce del
consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa secondo cui,
ai fini della ricorrenza del requisito della
precarietà di una costruzione, che esclude
la necessità del rilascio di un titolo
edilizio, si deve valutare l'opera alla luce
della sua obiettiva ed intrinseca
destinazione naturale, con la conseguenza
che rientrano nella nozione giuridica di
costruzione, per la quale occorre il
permesso di costruire, tutti quei manufatti
che, anche se non necessariamente infissi
nel suolo e pur semplicemente aderenti a
questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e non meramente
occasionale (TAR Napoli, Sez. VIII,
02.07.2010 n. 16563 e Sez. III, 16.04.2008,
n. 2207): difatti, il testo unico in materia
edilizia annovera [all’art. 3, primo comma,
lett. e)] tra gli interventi di nuova
costruzione, per i quali è richiesto il
permesso di costruire, “l'installazione
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”.
Quindi sono esenti dall'assoggettamento al
permesso di costruire solo le costruzioni
aventi caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo mentre:
al contrario, deve ritenersi sottoposta a
tale regime la edificazione di manufatti
destinati ad una utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l'alterazione del
territorio non può essere considerata
temporanea, precaria od irrilevante.
Applicando tali principi al caso in esame ne
consegue che deve escludersi il carattere
temporaneo e precario del chiosco in esame
giacché esso appare finalizzato stabilmente
ed in modo durevole all’utilizzo commerciale
per la somministrazione al pubblico di
bevande ed alimenti, tenuto anche conto che
il manufatto non presenta le caratteristiche
di amovibilità, in quanto dall’esame
dell’atto impugnato emerge che lo stesso è
allacciato alla rete idrica/fognaria e di
pubblica illuminazione (peraltro in difetto
di autorizzazione e risultando privo anche
dei relativi contatori per i consumi idrico
ed elettrico).
Per l’effetto, non è contestabile la natura
abusiva dell’opera in quanto realizzata in
difetto di titolo abilitativo, risultando
viceversa recessiva la sussistenza di
un’autorizzazione sindacale rilasciata per
l’installazione del chiosco che non presenta
i requisiti soggettivi (rilascio da parte
dei competenti uffici comunali) ed oggettivi
(verifica della conformità urbanistica
dell’opera) del titolo edilizio occorrente
per la realizzazione del manufatto, tenuto
anche conto che il provvedimento impugnato
contiene revoca espressa della summenzionata
autorizzazione sindacale.
Pertanto, il provvedimento sanzionatorio è
stato legittimamente emesso
dall’amministrazione resistente che,
peraltro, ha compiutamente esposto le
ragioni logico–giuridiche poste a fondamento
della gravata demolizione, con conseguente
reiezione anche della censura che attiene al
difetto di motivazione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
N. D'Angelo,
Opere precarie ed autorizzazione precarie:
la ricerca di strumenti alternativi per
aggirare la disciplina urbanistica
(Ufficio Tecnico n. 11-12/2010). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
illeciti in materia urbanistica, edilizia e
paesistica, ove consistano nella
realizzazione di opere senza le prescritte
concessioni e autorizzazioni, hanno
carattere di illeciti permanenti, che si
protraggono nel tempo e vengono meno solo
con il cessare della situazione di
illiceità, vale a dire con il conseguimento
delle prescritte autorizzazioni, pertanto il
potere amministrativo repressivo può essere
esercitato senza limiti di tempo e senza
necessità di motivazione in ordine al
ritardo nell'esercizio del potere. In altri
termini, l'Autorità non emana un atto "a
distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime
una situazione antigiuridica ancora
sussistente.
Il deposito di una roulotte all'interno di
un suolo privato debba qualificarsi quale
costruzione urbanisticamente rilevante in
presenza di indici in grado di supportare il
carattere non precario della installazione.
La precarietà di un manufatto, tale per cui
esso non necessiti di concessione edilizia,
va esclusa se il manufatto stesso è
destinato a recare un'utilità prolungata e
perdurante nel tempo. In tal caso, infatti,
esso produce una trasformazione urbanistica
perché altera in modo rilevante e duraturo
lo stato del territorio, senza che rilevino
i materiali impiegati, l'eventuale
precarietà strutturale e la mancanza di
fondazioni, se tali elementi non si
traducano in un uso contingente e limitato
nel tempo, con l'effettiva rimozione delle
strutture.
Con riferimento agli insediamenti abitativi
abusivamente posti in essere da componenti
della comunità nomade, la giurisprudenza ha
evidenziato come le esigenze di tale parte
della popolazione trovino unicamente
soddisfazione nelle specifiche iniziative di
spettanza dell’Amministrazione pubblica,
ovvero nell’apprestamento di aree di sosta
nei campi attrezzati, non certamente in
iniziative autonome od individuali in
contrasto con la normativa urbanistica ed
edilizia, neppure in caso di inerzia o
inadempienza degli enti coinvolti dalla
legge nella tutela delle etnie nomadi.
Le opere realizzate senza titolo in zona
agricola consistono in:
- n. 2 roulottes;
- casetta in legno di m. 5.61x3.98;
- manufatto in lamiera ad uso wc di m.
1.05x0.94;
- manufatto in lamiera ad uso doccia m.
1.08x1.10;
- pergolato in legno m. 5.09x3.10;
-casetta in legno ad uso pollaio m.
2.33x2.60
- vialetto d’ingresso all’area e alle
roulottes, realizzato con ghiaia;
- opere di urbanizzazione quali lampioncini
di illuminazione, allacciamento a quadri
elettrici, fossa biologica;
- pavimentazione in autobloccanti delimitata
con cordololatura;
- lavatoio su struttura in muratura.
Gli illeciti in materia urbanistica,
edilizia e paesistica, ove consistano nella
realizzazione di opere senza le prescritte
concessioni e autorizzazioni, hanno
carattere di illeciti permanenti, che si
protraggono nel tempo e vengono meno solo
con il cessare della situazione di
illiceità, vale a dire con il conseguimento
delle prescritte autorizzazioni, pertanto il
potere amministrativo repressivo può essere
esercitato senza limiti di tempo e senza
necessità di motivazione in ordine al
ritardo nell'esercizio del potere. In altri
termini, l'Autorità non emana un atto "a
distanza di tempo" dall'abuso, ma
reprime una situazione antigiuridica ancora
sussistente (cfr. Cons. Stato sez. IV,
16.04.2010 n. 2160).
La giurisprudenza ha rilevato che il
deposito di una roulotte all'interno di un
suolo privato debba qualificarsi quale
costruzione urbanisticamente rilevante in
presenza di indici in grado di supportare il
carattere non precario della installazione
(cfr. TAR Campania Napoli, Sez. IV,
05.05.2003, n. 4435; TAR Catanzaro n. 530
del 27.04.1999; TAR Liguria n. 202 del
03.05.1999).
La stessa giurisprudenza amministrativa ha
poi chiarito da tempo che la precarietà di
un manufatto, tale per cui esso non
necessiti di concessione edilizia, va
esclusa se il manufatto stesso è destinato a
recare un'utilità prolungata e perdurante
nel tempo. In tal caso, infatti, esso
produce una trasformazione urbanistica
perché altera in modo rilevante e duraturo
lo stato del territorio, senza che rilevino
i materiali impiegati, l'eventuale
precarietà strutturale e la mancanza di
fondazioni, se tali elementi non si
traducano in un uso contingente e limitato
nel tempo, con l'effettiva rimozione delle
strutture (cfr: Consiglio di Stato, Sez. V,
31.01.2001 n. 343; id., 30.10.2000 n. 582;
TAR Veneto, Sez. II, 10.02.2003, n. 1216).
Con riferimento agli insediamenti abitativi
abusivamente posti in essere da componenti
della comunità nomade, la giurisprudenza ha
evidenziato come le esigenze di tale parte
della popolazione trovino unicamente
soddisfazione nelle specifiche iniziative di
spettanza dell’Amministrazione pubblica,
ovvero nell’apprestamento di aree di sosta
nei campi attrezzati, non certamente in
iniziative autonome od individuali in
contrasto con la normativa urbanistica ed
edilizia, neppure in caso di inerzia o
inadempienza degli enti coinvolti dalla
legge nella tutela delle etnie nomadi (cfr.
TAR Emilia-Romagna, Sez. II, 09.07.2008 n.
3306, TAR Parma, 28.04.2009 n. 165) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.12.2010 n. 4986 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà di un manufatto va esclusa se il
manufatto stesso è destinato a recare
un'utilità prolungata e perdurante nel
tempo.
La precarietà di un manufatto va esclusa se
il manufatto stesso è destinato a recare
un'utilità prolungata e perdurante nel
tempo; in tal caso, infatti, esso produce
una trasformazione urbanistica in quanto
altera in modo rilevante e duraturo lo stato
del territorio, senza che rilevino i
materiali impiegati, l'eventuale precarietà
strutturale e la mancanza di fondazioni, se,
poi, tali elementi non si traducano in un
uso contingente e limitato nel tempo e,
infine, con l'effettiva rimozione delle
strutture (per tutte, Cons. St., sez. V,
31.01.2003, n. 343)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 11.11.2010 n. 33418 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per individuare la natura
precaria di un’opera si deve seguire non il
criterio strutturale ma quello funzionale,
con la conseguenza che rientrano nella
nozione giuridica di costruzione, per la
quale occorre il permesso di costruire, i
manufatti che, anche se non infissi nel
suolo, alterino per loro intrinseca
destinazione lo stato del luogo in modo
stabile.
Per individuare
la natura precaria di un’opera si deve
seguire non il criterio strutturale ma
quello funzionale, con la conseguenza che
rientrano nella nozione giuridica di
costruzione, per la quale occorre il
permesso di costruire, i manufatti che,
anche se non infissi nel suolo, alterino per
loro intrinseca destinazione lo stato del
luogo in modo stabile (TAR Lombardia,
Brescia, I, 30/03/2009, n. 720)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 04.10.2010 n. 6437 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Deposito di una roulotte
all’interno di un suolo privato - Carattere
non precario - Costruzione urbanisticamente
rilevante.
Il deposito di una roulotte all'interno di
un suolo privato deve qualificarsi quale
costruzione urbanisticamente rilevante in
presenza di indici in grado di supportare il
carattere non precario della installazione
(cfr. TAR Campania Napoli, Sez. IV,
05.05.2003, n. 4435; TAR Catanzaro n. 530
del 27.04.1999; TAR Genova n. 202 del
03.05.1999).
La precarietà di un manufatto, tale per cui
esso non necessiti di concessione edilizia,
va esclusa infatti se il manufatto stesso è
destinato a recare un'utilità prolungata e
perdurante nel tempo.
In tal caso esso produce una trasformazione
urbanistica perché altera in modo rilevante
e duraturo lo stato del territorio, senza
che rilevino i materiali impiegati,
l'eventuale precarietà strutturale e la
mancanza di fondazioni, se tali elementi non
si traducano in un uso contingente e
limitato nel tempo, con l'effettiva
rimozione delle strutture (cfr: Consiglio di
Stato, Sez. V, 31.01.2001 n. 343; id.,
30.10.2000 n. 582; TAR Veneto, Sez. II,
10.02.2003, n. 1216) (TAR Lazio-Latina, Sez.
I,
sentenza 01.10.2010 n. 1626 -
link a www.ambientediritto.it) |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di opere destinate al ricovero
di animali o di attrezzature agricole, per
l'uso prolungato cui sono destinate,
richiede la concessione edilizia, posto che
le stesse incidono in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del
territorio.
La
realizzazione di opere destinate al ricovero
di animali o di attrezzature agricole, per
l'uso prolungato cui sono destinate,
richiede la concessione edilizia, posto che
le stesse incidono in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del
territorio (cfr. TAR Veneto, II, 25/02/2010
n. 532; TAR Umbria, Perugia, 04.07.2003, n.
573; TAR Basilicata, 07.07.2003, n. 687)
(TAR
Basilicata,
sentenza 10.09.2010 n. 599 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opera edilizia
precaria che non necessiti di titolo
edilizio - Presupposti - Temporaneità della
funzione.
La precarietà di un manufatto, la cui
realizzazione non necessita di titolo
edilizio in quanto non comportante una
trasformazione del territorio, non dipende
dalla qualità dei materiali utilizzati, o
dalla sua facile rimovibilità, bensì dalla
temporaneità della funzione, in relazione ad
esigenze di natura contingente: la
precarietà va, pertanto, esclusa quando si
tratti di opera destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 3029/2009 e n. 2705/2008; Cass.
Pen., sent. n. 22054/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 26.07.2010 n.
3266 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opera edilizia
precaria che non necessiti di titolo
edilizio - Presupposti - Fattispecie.
La precarietà di un manufatto, la cui
realizzazione non necessiti di titolo
edilizio in quanto non comporti alcuna
trasformazione del territorio, non dipende
dalla qualità dei materiali utilizzati,
ovvero dalla sua facile rimovibilità, bensì
dalla temporaneità della funzione, in
relazione ad esigenze di natura contingente:
la precarietà va, pertanto, esclusa quando
si tratti di un'opera destinata a dare
un'utilità prolungata nel tempo -nella
fattispecie la struttura, esistente da
decenni, era stata destinata ad ampliamento
dell'attiguo ristorante- (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 3029/2009 e 2705/2008; Cass.
Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 22054/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.07.2010 n.
3253 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà di un manufatto, la cui
realizzazione non necessita di titolo
edilizio non comportando una trasformazione
del territorio, non dipende dalla qualità
dei materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità,
ma dalla temporaneità della funzione in
relazione ad esigenze di natura contingente.
Per
giurisprudenza costante, la precarietà di un
manufatto, la cui realizzazione non
necessita di titolo edilizio non
comportando una trasformazione del
territorio, non dipende dalla qualità dei
materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della
funzione in relazione ad esigenze di natura
contingente (Cons. Stato, sez. IV,
15.05.2009, n. 3029; Cons. Stato, sez. IV,
06.06.2008, n. 2705; Cass. Pen., sez. III,
25.02.2009, n. 22054).
La precarietà va, pertanto, esclusa quando,
come nella fattispecie, si tratta di
un’opera destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo: la struttura era
esistente sin dal 1984 –secondo quanto
asserito dalla stessa ricorrente– ed è stata
stabilmente destinata ad ampliamento
dell’attiguo ristorante. Anche in
considerazione delle dimensioni e delle
caratteristiche costruttive, essa realizza
una trasformazione del territorio ed è
dunque suscettibile di condono
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.07.2010 n. 3253 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di verificare se una determinata opera
abbia carattere precario occorre verificare
l’oggettiva funzione di esse ed cioè
l'interesse finale al cui soddisfacimento
l'opera stessa è destinata.
Solo le opere agevolmente rimuovibili e
funzionali a soddisfare una esigenza
oggettivamente temporanea (es. baracca o
pista di cantiere, manufatto per una
manifestazione…) possono ritenersi di
carattere precario e, in quanto tali, non
richiedenti la concessione edilizia.
Al fine di verificare se una determinata
opera abbia carattere precario (condizione
per l'accertamento della non necessarietà
del rilascio della relativa concessione
edilizia), occorre verificare l’oggettiva
funzione di esse ed cioè l'interesse finale
al cui soddisfacimento l'opera stessa è
destinata.
Solo le opere agevolmente rimuovibili e
funzionali a soddisfare una esigenza
oggettivamente temporanea (es. baracca o
pista di cantiere, manufatto per una
manifestazione…) possono ritenersi di
carattere precario e, in quanto tali, non
richiedenti la concessione edilizia (cfr.
TAR Sardegna, Sez. II, 12.02.2010 n. 158).
I manufatti realizzati dal ricorrente non
possono essere considerati come opere
funzionali al soddisfacimento delle esigenze
di cantiere in considerazione delle loro
notevoli dimensioni (nella fattispecie si
tratta di due manufatti in legno delle
dimensioni di mt. 4,90 x 5,90 e di mt. 3,10
x 5,90, con veranda di mt. 4,90 x 5,90 e con
altezze variabili da mt. 2,60 a mt. 4,00)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 25.06.2010 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La modifica dell’assetto del
territorio non richiede la concessione
edilizia solo quando sia di minima entità
ovvero di carattere precario.
La modifica dell’assetto del territorio non
richiede la concessione edilizia solo quando
sia di minima entità ovvero di carattere
precario, così intendendosi le opere,
agevolmente rimuovibili, funzionali a
soddisfare una esigenza oggettivamente
temporanea (es. baracca o pista di cantiere,
manufatto per una manifestazione…) destinata
a cessare dopo il tempo, normalmente non
lungo, entro cui si realizza l’interesse
finale (cfr. TAR Sardegna, sez. II,
12.2.2010 n. 158) (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 1391 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatto assentito come precario e
removibile ab origine - Ordinanza di
rimozione - Necessità di motivazione - Non
sussiste.
In caso di manufatti (nella fattispecie,
box) assentiti fin dall'origine come
costruzioni precarie e rimovibili su
richiesta della P.A. e collocati in zona
destinata a servizi, il successivo
provvedimento di rimozione degli stessi non
necessita di alcuna specifica motivazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.05.2010 n.
1686 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatto
precario e provvisorio - Nozione.
In materia di edilizia, ricorre il
concetto di precarietà di una costruzione
ogniqualvolta il manufatto sia privo di una
propria autonomia funzionale e strutturale e
sia destinato a soddisfare unicamente
esigenze contingibili e provvisorie del
soggetto utilizzante (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.05.2010 n.
1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
"coperture stagionali" la l.r. n. 12/2005
della Lombardia non detta prescrizioni
analitiche circa le dimensioni di tali
coperture; tuttavia ragioni di ordine
sistematico ed anche –in parte– letterale,
inducono alla conclusione che debba
trattarsi di dimensioni tutto sommato
contenute, essendo tali opere destinate alla
protezione delle colture e dei piccoli
animali, quindi con dimensioni compatibili
con la sola funzione di protezione e non con
altre funzioni, quali ad esempio l’accesso
delle persone –siano esse dipendenti
dell’impresa o clienti della stessa– o
l’esercizio nella struttura di attività
commerciale di vendita.
Del resto,
relativamente alla protezione degli animali,
la legge regionale ha cura di specificare
che si tratta di animali <<piccoli>> ed
<<allevati all’aria aperta>>, con ciò stesso
escludendo il ricorso alle coperture
stagionali per la protezione di bestiame di
grossa taglia –si pensi ad esempio ad un
allevamento bovino– in quanto tali
coperture finirebbero per assumere
dimensioni tali da cagionare un rilevante
impatto sul territorio, impatto che sarebbe
incompatibile con il regime di totale
liberalizzazione dell’attività edilizia di
cui al comma secondo dell’art. 33 l.r. n.
12/2005.
Le colture e gli allevamenti da proteggersi
attraverso le indicate "coperture
stagionali" devono essere <<a pieno campo>>
e tale espressione deve intendersi nel senso
che le coperture devono svolgere una
funzione di sola protezione e non altre di
carattere produttivo o tanto meno
commerciale.
Quanto al requisito della “stagionalità”, lo
stesso non può che riferirsi ad un fenomeno
relativo ad una sola parte dell’anno e
quindi, nel caso di una copertura
stagionale, quest’ultima deve essere
collocata per una parte dell’anno solare e
rimossa per la parte successiva. Al
contrario, la permanenza dell’opera per
l’intero anno, seppure con caratteristiche
tecniche differenti al variare delle
stagioni, esclude di per sé che possa
parlarsi di “copertura stagionale”.
Devono escludersi per le strutture di cui è
causa (n. 4 strutture aventi ognuna
dimensioni di 8 metri x 22,80 metri, quindi
una superficie di circa 180 metri quadrati
ciascuna per un totale di quasi 800 metri
quadrati) sia il carattere di semplice
“copertura” sia quello di “stagionalità”,
richiesti invece dall’art. 33 della legge
regionale 12/2005.
La costruzione di una serra, anche se in
astratto facilmente amovibile, presuppone il
rilascio di concessione edilizia (ora,
ovviamente, permesso di costruire), allorché
la serra soddisfi stabilmente le esigenze di
esercizio dell’impresa agricola e sia quindi
destinata ad un indeterminata permanenza al
suolo, modificando così definitivamente
l’assetto urbanistico ed edilizio di una
zona.
Ritiene il
Collegio di esaminare in via prioritaria il
motivo contrassegnato con la lettera C,
relativo alla corretta classificazione
giuridica delle strutture di cui è causa,
che il Comune reputa essere “serre”, mentre
la ricorrente vorrebbe qualificare come
“coperture stagionali”, le quali, ai sensi
dell’art. 33, comma 2, lett. d), della legge
regionale 12/2005, possono essere realizzate
senza alcun titolo edilizio.
La corretta qualificazione delle suddette
strutture, infatti, assume rilevanza per la
decisione di altri motivi di ricorso, fra
cui in primo luogo quello contrassegnato con
la lettera A, relativo al vincolo
cimiteriale.
Ciò premesso, la pretesa della ricorrente di
ricondurre alla figura delle “coperture
stagionali” di cui al citato art. 33, le
strutture dalla stessa realizzate, appare
priva di pregio.
La lettera d) del secondo comma dell’art.
33, esclude la necessità di titolo edilizio
per le <<coperture stagionali destinate a
proteggere le colture ed i piccoli animali
allevati all’aria aperta e a pieno campo,
nelle aree destinate all’agricoltura>>.
Prescindendo dalla destinazione dell’area di
cui è causa, occorre evidenziare come la
legge regionale non detti prescrizioni
analitiche circa le dimensioni di tali
coperture; tuttavia ragioni di ordine
sistematico ed anche –in parte– letterale,
inducono alla conclusione che debba
trattarsi di dimensioni tutto sommato
contenute, essendo tali opere destinate alla
protezione delle colture e dei piccoli
animali, quindi con dimensioni compatibili
con la sola funzione di protezione e non con
altre funzioni, quali ad esempio l’accesso
delle persone –siano esse dipendenti
dell’impresa o clienti della stessa– o
l’esercizio nella struttura di attività
commerciale di vendita.
Del resto,
relativamente alla protezione degli animali,
la legge regionale ha cura di specificare
che si tratta di animali <<piccoli>> ed
<<allevati all’aria aperta>>, con ciò stesso
escludendo il ricorso alle coperture
stagionali per la protezione di bestiame di
grossa taglia –si pensi ad esempio ad un
allevamento bovino– in quanto tali
coperture finirebbero per assumere
dimensioni tali da cagionare un rilevante
impatto sul territorio, impatto che sarebbe
incompatibile con il regime di totale
liberalizzazione dell’attività edilizia di
cui al comma secondo dell’art. 33 citato.
Non si dimentichi poi, sempre con riguardo
al dato letterale della norma, che le
colture e gli allevamenti da proteggersi
attraverso le indicate coperture devono
essere <<a pieno campo>> e tale espressione
deve intendersi nel senso, già sopra
indicato, che le coperture devono svolgere
una funzione di sola protezione e non altre
di carattere produttivo o tanto meno
commerciale.
Quanto al requisito della “stagionalità”, lo
stesso non può che riferirsi ad un fenomeno
relativo ad una sola parte dell’anno e
quindi, nel caso di una copertura
stagionale, quest’ultima deve essere
collocata per una parte dell’anno solare e
rimossa per la parte successiva. Al
contrario, la permanenza dell’opera per
l’intero anno, seppure con caratteristiche
tecniche differenti al variare delle
stagioni, esclude di per sé che possa
parlarsi di “copertura stagionale”.
Si
tratta, infatti, di quattro strutture,
aventi ognuna dimensioni di 8 metri x 22,80
metri (cfr. doc. 6 e doc. 11 della
ricorrente), quindi una superficie di circa
180 metri quadrati ciascuna per un totale di
quasi 800 metri quadrati, destinate alla
permanenza continua sul suolo, visto che le
coperture sono sostituite semplicemente al
cambio delle stagioni, come del resto
ammesso nel ricorso (vedesi pag. 47 del
medesimo, dove si parla di una <<duplice
modalità di copertura>>, per la stagione
estiva ed invernale), a nulla rilevando che,
in presenza di particolari situazioni
climatiche favorevoli, i teli siano
eccezionalmente rimossi, per poi però essere
nuovamente collocati, per agevolare il
migliore sviluppo delle colture.
Del resto, la stessa documentazione
fotografica di parte ricorrente (cfr. il suo
doc. 25), evidenzia l’esistenza di strutture
ampie, destinate non solo ad ospitare
l’azienda florovivaistica, ma anche a
consentire l’accesso del pubblico per
l’esercizio dell’attività di vendita dei
prodotti, visto che la signora Giani è
titolare di autorizzazione regionale alla
produzione ed al commercio di vegetali (doc.
4 ricorrente).
La documentazione fotografica del Comune
(cfr. docc. 4, 5, 7 e 8 di quest’ultimo),
mostra poi, con chiarezza, l’esistenza di
ampie strutture, destinata alla coltivazione
ed alla vendita, con accesso di pubblico.
Devono, di conseguenza, escludersi, per le
strutture di cui è causa, sia il carattere
di semplice “copertura” sia quello di
“stagionalità”, richiesti invece dall’art.
33 della legge regionale 12/2005.
Neppure potrebbe sostenersi, come invece
fatto in ricorso, che le quattro strutture
sarebbero precarie e facilmente amovibili,
per cui difetterebbe in capo alle stesso
ogni requisito di stabilità, che presuppone
il rilascio di un titolo abilitativo.
Si tratta, infatti, di opere infisse al
suolo stabilmente, a nulla rilevando che le
fondazioni in calcestruzzo riguardino non
l’intero perimetro della struttura ma solo
la parte in corrispondenza dell’ingresso,
destinate a soddisfare esigenze di carattere
continuativo, tanto è vero che le stesse
sono presenti in loco ormai da tempo e che
al loro interno è svolta senza soluzione di
continuità l’attività imprenditoriale
dell’esponente. Trattandosi poi di opere
chiuse, salvo i limitatissimi periodi di
scopertura per esigenze agricole, le stesse
realizzano altresì nuovi volumi.
Pare corretta, di conseguenza, la loro
qualificazione come vere e proprie “serre” e
come tali necessitanti di un titolo
abilitativo, conformemente al pacifico
indirizzo giurisprudenziale, per il quale la
costruzione di una serra, anche se in
astratto facilmente amovibile, presuppone il
rilascio di concessione edilizia (ora,
ovviamente, permesso di costruire), allorché
la serra soddisfi stabilmente le esigenze di
esercizio dell’impresa agricola e sia quindi
destinata ad un indeterminata permanenza al
suolo, modificando così definitivamente
l’assetto urbanistico ed edilizio di una
zona (TAR Brescia, sez. I, 19.11.2009 n.
2223; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 19.11.2009
n. 2794; Consiglio di Stato, sez. IV,
06.03.2006 n. 1119; sez. V, 23.09.2002 n. 4832;
sez. V, 08.06.2000 n. 3247; sez. V, 13.03.2000
n. 1299; Cassazione penale, sez. III,
10.01.2000) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
10 -
Quanto all'esclusione della necessità del
rilascio di alcuna autorizzazione in
presenza della precarietà e temporaneità
dell'opera (Geometra Orobico n.
2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
La natura di temporaneità di
un'opera non si riferisce ai profili
funzionali bensì alle caratteristiche
costruttive e al tipo di materiale
utilizzato.
La natura di temporaneità non si riferisce
ai profili funzionali dell’opera bensì alle
caratteristiche costruttive e al tipo di
materiale utilizzato (nella fattispecie si
tratta di una una tettoia in struttura
metallica e copertura in legno).
Pare, invero, al Collegio che l’opera di che
trattasi sia destinata a dare al costruttore
una utilità prolungata, di fatto destinata a
durare nel tempo e per tali manufatti la
giurisprudenza in maniera uniforme ha
affermato come gli stessi siano
riconducibili alla nozione di “costruzioni”
e, come tali, necessitano di un titolo
edilizio (cfr. Tar Lazio Roma sez. II
03/02/2006 n. 780; Tar Sardegna Sez. II
27/09/2006 n.2013; Tar Campania Napoli Sez.
IV 28/02/2006 n. 2451).
Vista dunque la consistenza, le
caratteristiche e l’uso di quanto posto in
essere ed accertato, si è di fronte ad
un’opera edilizia vera e propria,
comportante un’alterazione dello stato dei
luoghi e per ciò stesso soggetta al previo
rilascio del titolo abilitativo
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 19.04.2010 n. 961 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Natura precaria
di un manufatto - Destinazione dell'opera
come attribuita dal costruttore -
Irrilevanza.
2. Natura precaria
di un manufatto - Intrinseca destinazione
materiale - Uso precario e temporaneo per
fini specifici contingenti e limitati nel
tempo.
1. Rientrano nella previsione delle norme
urbanistiche e richiedono il rilascio di
concessione edilizia non solo i manufatti
tradizionalmente compresi nelle attività
murarie, ma anche le opere di ogni genere
con le quali si intervenga sul suolo o nel
suolo, senza che abbia rilevanza giuridica
il mezzo tecnico con cui sia stata
assicurata la stabilità del manufatto, che
può essere infisso o anche appoggiato al
suolo, in quanto la stabilità non va confusa
con l'irremovibilità della struttura o con
la perpetuità della funzione ad essa
assegnata, ma si estrinseca nella oggettiva
destinazione dell'opera a soddisfare bisogni
non provvisori, ossia nell'attitudine ad una
utilizzazione che non abbia il carattere
della precarietà, cioè non sia temporanea e
contingente.
2.
La natura precaria di un manufatto, quindi,
non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione dell'opera come
attribuitale dal costruttore, ma deve
risultare dalla intrinseca destinazione
materiale della stessa ad un uso realmente
precario e temporaneo, per fini specifici,
contingenti e limitati nel tempo (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 14.04.2010 n.
1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura precaria di un manufatto -
destinazione dell’opera come attribuita dal
costruttore - Irrilevanza - Intrinseca
destinazione materiale - Uso precario e
temporaneo per fini specifici contingenti e
limitati nel tempo.
Rientrano nella previsione delle norme
urbanistiche e richiedono, pertanto, il
rilascio di concessione edilizia non solo i
manufatti tradizionalmente compresi nelle
attività murarie, ma anche le opere di ogni
genere con le quali si intervenga sul suolo
o nel suolo, senza che abbia rilevanza
giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata
assicurata la stabilità del manufatto, che
può, essere infisso o anche appoggiato al
suolo.
La stabilità non va infatti confusa con
l'irremovibilità della struttura o con la
perpetuità della funzione ad essa assegnata,
ma si estrinseca nella oggettiva
destinazione dell'opera a soddisfare bisogni
non provvisori, ossia nell'attitudine ad una
utilizzazione che non abbia il carattere
della precarietà, cioè non sia temporanea e
contingente.
La natura precaria di un manufatto, quindi,
non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione dell'opera come
attribuitale dal costruttore, ma deve
risultare dalla intrinseca destinazione
materiale della stessa ad un uso realmente
precario e temporaneo, per fini specifici,
contingenti e limitati nel tempo (Cassazione
penale, sez. III, 22.03.2005, n. 14044) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 14.04.2010 n. 1076 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
serra (soprattutto se di rilevanti
dimensioni come quella di specie), ancorché
costituita da strutture agevolmente
rimovibili destinate a far fronte ad
esigenze connesse a coltivazioni
ortofruttifere, è soggetta al previo
rilascio del permesso di costruire in quanto
destinata ad alterare in modo duraturo
l'assetto del territorio.
Per giurisprudenza pacifica, è necessario,
in ragione dell'incidenza volumetrica e del
mutato carico urbanistico, il previo
rilascio di un permesso di costruire ogni
qualvolta si intenda realizzare un
intervento sul territorio comportante la
modifica dello stato dei luoghi e, quindi,
anche per quei manufatti che, pur non
necessariamente infissi al suolo o
semplicemente aderenti a quest'ultimo,
alterino lo stato dei luoghi in modo
definitivo e rilevante e non meramente
occasionale (TAR Campania Napoli, sez. VIII,
14.01.2010, n. 95)
Con specifico riferimento alla costruzione
di una serra si è affermato che tale opera
(soprattutto se di rilevanti dimensioni come
quella di specie), ancorché costituita da
strutture agevolmente rimovibili destinate a
far fronte ad esigenze connesse a
coltivazioni ortofruttifere, è soggetta al
previo rilascio del permesso di costruire in
quanto destinata ad alterare in modo
duraturo l'assetto del territorio (Consiglio
Stato, sez. IV, 06.03.2006, n. 1119;
Consiglio Stato, sez. V, 23.09.2002, n.
4832; TAR Lombardia Brescia, sez. I,
19.11.2009, n. 2223) (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 01.04.2010 n. 1755 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un'opera edilizia può definirsi
precaria se la stessa è preordinata, sul
piano funzionale, a soddisfare esigenze
oggettivamente provvisorie del soggetto
attuatore.
Osserva il Collegio sul punto, condividendo
il pressoché costante indirizzo della
giurisprudenza amministrativa in materia,
che un'opera edilizia può definirsi precaria
se la stessa, indipendentemente dalla natura
dei materiali usati è preordinata, sul piano
funzionale, a soddisfare esigenze
oggettivamente provvisorie del soggetto
attuatore (v. "ex multis": C.d.S.,
sez. VI, 27/01/2003 n. 419; TAR Emilia
Romagna -PR- 25/09/2007 n. 469; TAR Lazio
-RM- Sez. I-quater, 16/05/2007 n. 4458; Sez.
II, 04/05/2007 n. 3873; TAR Campania -SA-
sez. II, 27/02/2007 n. 179; TAR Toscana,
sez. III, 13/04/2005 n. 1596).
Come risulta
dal progetto esistente in atti, l’intervento
concreta un aumento della superficie della
pensilina in legno precedentemente
autorizzata, con realizzazione di una scala
in legno per accedere all’estradosso di tale
struttura; tale circostanza evidenzia la
accessorietà dell’intervento risultando lo
stesso tendente ad ottenere una maggiore
fruibilità dell’immobile già autorizzato,
risultandone in concreto impossibile, o
comunque, inutile, un utilizzo autonomo e
scorporato dall’intero.
Ne consegue che non può revocarsi in dubbio
la precarietà dell'opera, intesa, come
richiesto dalla giurisprudenza, in senso
funzionale, come destinazione a soddisfare
scopi specifici e cronologicamente
delimitati (cfr., da ultimo, sez. V,
04.02.1998, n. 131), a nulla rilevando che
il periodo di mantenimento in loco
dell'opera precaria non sia espressamente
previsto nel provvedimento di assenso in
esame.
Del tutto irrilevante è poi che la nuova
costruzione abbia concretizzato un aumento
delle superfici e dei volumi esistenti, in
violazione delle norme urbanistiche vigenti,
atteso che la precarietà e temporaneità
della stessa giustifica la deroga e
l’assenso .
Dall’accertamento della precarietà
dell’intervento autorizzato discende che lo
stesso non richiedeva la specifica richiesta
di dotazione aggiuntiva di aree a standards
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza
08.03.2010 n. 688 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Nozione di
costruzione.
2. Natura precaria
di un manufatto - Destinazione dell'opera
come attribuita dal costruttore - Uso
precario e temporaneo per fini specifici
contingenti e limitati nel tempo.
1. La nozione di costruzione, ai fini del
rilascio della concessione e della licenza
edilizia, si configura in presenza di opere
che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con
perdurante modifica dello stato dei luoghi;
fuoriesce da tale definizione soltanto
l'opera destinata fin dall'origine a
soddisfare esigenze contingibili e
circoscritte nel tempo.
2.
La precarietà di un manufatto, al fine di
escludere la necessità del rilascio del
predetto titolo edilizio, va valutata a
prescindere dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente impressa dal
costruttore e dalla maggiore o minore
amovibilità delle parti che lo compongono
considerando invece l'opera alla luce delle
sua obbiettiva ed intrinseca destinazione
naturale che ne rilevi l'uso oggettivamente
precario e temporaneo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
23.02.2010 n.
443 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere precarie - Natura -
Requisito della precarietà - Destinazione
dell'opera.
In materia edilizia, il requisito della
precarietà non può essere collegato al
carattere di stabilità temporanea,
soggettivamente attribuito alla costruzione,
ma va individuato in relazione all'oggettiva
e intrinseca destinazione dell'opera stessa
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.02.2010 n. 4881 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione - Nozione -
Infissione al suolo - Non rilevanza -
Temporaneità - Necessita - Trasformazione
permanente del suolo - Sufficienza - Titolo
abitativo - necessità.
Ai fini della ricorrenza del requisito della
precarietà di una costruzione, che esclude
la necessità del rilascio di un titolo
edilizio, si deve prescindere dalla
temporaneità della destinazione
soggettivamente data al manufatto dal
costruttore e si deve, invece, valutare
l'opera medesima alla luce della sua
obbiettiva ed intrinseca destinazione
naturale, con la conseguenza che rientrano
nella nozione giuridica di costruzione, per
la quale occorre la concessione edilizia,
tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi nel suolo e pur
semplicemente aderenti a questo, alterino lo
stato dei luoghi in modo stabile, non
irrilevante e non meramente occasionale.
Il
principio è ora codificato anche nella
legislazione nazionale e regionale, ove è
specificato che rientrano nel novero delle
nuove costruzioni, anche l'installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili e che non siano
diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee e la realizzazione di depositi di
merci o di materiali, la realizzazione di
impianti per attività produttive all'aperto
ove comportino l'esecuzione di lavori cui
consegua la trasformazione permanente del
suolo inedificato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
15.01.2010 n. 24 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La posa in opera di manufatti
oggettivamente precari richiede
l’abilitazione mediante corretto titolo,
quando essi non sono diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee.
Il caso in rassegna offre un ottimo spunto
di riflessione su un argomento diverse volte
affrontato nella materia dell’edilizia.
Si tratta della posa in opera di manufatti,
prefabbricati, strutture di qualsiasi
genere, quali roulottes, campers, case
mobili, imbarcazioni: ci si chiede se
necessiti un titolo abilitativi.
Nel caso concreto la parte privata sostiene
che la struttura precaria di tali strutture
esclude che si debba acquisire un
qualsivoglia titolo. Il comune è di diverso
avviso ed, infatti, ha ordinato la
demolizione delle case su ruote poste dal
ricorrente.
Il giudice si schiera dalla parte del comune
che coglie l’occasione per fare chiarezza in
materia. Un’opera può essere considerata
precaria sulla base di due diversi criteri:
1) criterio strutturale, in virtù del quale
è precario ciò che non è stabilmente infisso
al suolo;
2) criterio funzionale, in virtù
del quale è precario ciò che è destinato a
soddisfare un’esigenza temporanea.
La giurisprudenza, sia amministrativa che
penale, è concorde nel senso che per
individuare la natura precaria di un’opera
si debba seguire non il criterio
strutturale, ma il criterio funzionale.
Un’opera può, infatti, anche non essere
stabilmente infissa al suolo, ma se essa
presenta la caratteristica di essere
realizzata per soddisfare esigenze non
temporanee (ad esempio, nel caso della
sentenza si utilizza per abitarci), essa non
può beneficiare del regime di favore delle
opere precarie (Cass. pen., sez. III,
04.04.2007, n. 13761).
La giurisprudenza ritiene che il requisito
della temporaneità vada apprezzato in modo
oggettivo, avuto riguardo all’oggetto della
costruzione nei suoi obiettivi dati tecnici
ed alla sua destinazione materiale che ne
deve evidenziare un uso realmente precario o
temporaneo per fini cronologicamente
delimitati, come può essere, ad esempio, per
un box di cantiere.
I giudici lombardi segnalano due pronunce
una propria e una del Tar Campania che si
riportano in stralcio anche qui perché
dirimenti (Tar Campania sez. II, 23.04.2007,
n. 4217; Tar Lombardia, Brescia, sez. I,
01.06.2007, n. 479): “deve ritenersi che,
ai fini della ricorrenza del requisito della
precarietà di una costruzione, che esclude
la necessità del rilascio di un titolo
edilizio, si debba prescindere dalla
temporaneità della destinazione
soggettivamente data al manufatto dal
costruttore e si debba, invece, valutare
l'opera medesima alla luce della sua
obbiettiva ed intrinseca destinazione
naturale, con la conseguenza che rientrano
nella nozione giuridica di costruzione, per
la quale occorre la concessione edilizia,
tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi nel suolo e pur
semplicemente aderenti a questo, alterino lo
stato dei luoghi in modo stabile, non
irrilevante e non meramente occasionale. Il
principio è ora codificato anche nella
legislazione nazionale e regionale, ove è
specificato che rientrano nel novero delle
nuove costruzioni, anche l'installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili e che non siano
diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee e la realizzazione di depositi di
merci o di materiali, la realizzazione di
impianti per attività produttive all'aperto
ove comportino l'esecuzione di lavori cui
consegua la trasformazione permanente del
suolo inedificato” (commento tratto da
www.doumentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 15.01.2010 n. 24 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Rientrano
nella nozione giuridica di costruzione, per
la quale occorre la concessione edilizia,
tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi nel suolo e pur
semplicemente aderenti a questo, alterino lo
stato dei luoghi in modo stabile, non
irrilevante e meramente occasionale.
Le strutture di cui è stata ordinata la
demolizione non sono strutture precarie come
tali incapaci di immutare l’assetto
urbanistico.
A tali fini si deve prescindere dalla
temporaneità della destinazione
soggettivamente data al manufatto dal
costruttore, ma si deve, invece, valutare
l'opera medesima alla luce della sua
obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale, con la conseguenza che rientrano
nella nozione giuridica di costruzione, per
la quale occorre la concessione edilizia,
tutti quei manufatti che, anche se non
necessariamente infissi nel suolo e pur
semplicemente aderenti a questo, alterino lo
stato dei luoghi in modo stabile, non
irrilevante e meramente occasionale (vedasi
ex multis Consiglio di Stato
4793/2008, TAR Liguria 1347/2005, TAR Lazio
sez. Latina 259/2004, TAR Sardegna 77/2004
).
Il manufatto da demolire rientra
perfettamente nella nozione di costruzione
così come è stata ricostruita dalla
giurisprudenza considerando la sua
permanenza stabile, l’utilizzazione di
mattoni che assicurarlo al suolo e pertanto
necessitava di concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) con possibilità per
l’amministrazione in caso di realizzazione
abusiva di ordinarne la demolizione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 13.01.2010 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Opere edilizie - Carattere
precario o provvisorio - Si ricollega alla
funzione - Destinazione abitativa delle
opere - Carattere di stabilità - Sussiste.
Il carattere precario o provvisorio di
un'opera non dipende dall'intenzione
soggettiva del suo autore, ma dalla funzione
cui l'opera è preordinata, sicché la
destinazione dichiaratamente abitativa delle
opere è di per sé tale da conferire alle
stesse un carattere di stabilità (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.12.2009 n. 6228
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
regola dell’assoggettamento a concessione di
ogni attività comportante la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio, non
comprende le sole attività di edificazione,
ma tutti quei manufatti che modificano in
modo apprezzabile il precedente assetto
territoriale producendo alterazione che
abbia rilievo ambientale, estetico o anche
solo funzionale, ovvero consistenti in una
modificazione dello stato materiale e della
configurazione del suolo per adattarlo ad un
impiego diverso da quello che gli è proprio
in relazione alla sua condizione naturale e
alla sua qualificazione giuridica.
Sotto il profilo funzionale, il carattere
della provvisorietà di una costruzione
edilizia, ai fini dell’esenzione dal titolo
autorizzatorio edilizio, dev’essere indotto
dall’uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici e cronologicamente
delimitati, non essendo sufficiente che si
tratti di un manufatto non infisso al suolo
e smontabile, ovvero che il costruttore si
dichiari disposto a rimuovere quanto
realizzato.
Nemmeno può ritenersi che l’intervento,
trattandosi di manufatto precario e
facilmente amovibile, si collochi al di
sotto della c.d. soglia di rilevanza
urbanistica, e quindi sia sottratto alla
necessità di un titolo edilizio.
L’articolo 3, n. 5, del d.P.R. 380/2001, e
l’articolo 3, lettera e.5), della l.r.
1/2004, sottopongono a provvedimento
autorizzatorio comunale anche “i
manufatti leggeri, anche prefabbricati (…)
utilizzati come abitazioni (…) e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”.
Del resto, secondo il prevalente
orientamento della giurisprudenza
(delineatosi già in vigenza dell'articolo 1
della legge 10/1077), la regola
dell’assoggettamento a concessione di ogni
attività comportante la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio, non
comprende le sole attività di edificazione,
ma tutti quei manufatti che modificano in
modo apprezzabile il precedente assetto
territoriale producendo alterazione che
abbia rilievo ambientale, estetico o anche
solo funzionale, ovvero consistenti in una
modificazione dello stato materiale e della
configurazione del suolo per adattarlo ad un
impiego diverso da quello che gli è proprio
in relazione alla sua condizione naturale e
alla sua qualificazione giuridica (cfr.
Cons. Stato, V, 06.09.1999, n. 1015;
20.12.1999, n. 2125; VI, 27.01.2003, n.
419).
In particolare, anche la giurisprudenza di
questo Tribunale ha affermato che, sotto il
profilo funzionale, il carattere della
provvisorietà di una costruzione edilizia,
ai fini dell’esenzione dal titolo
autorizzatorio edilizio, dev’essere indotto
dall’uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici e cronologicamente
delimitati, non essendo sufficiente che si
tratti di un manufatto non infisso al suolo
e smontabile, ovvero che il costruttore si
dichiari disposto a rimuovere quanto
realizzato (sent. 26.01.2007, n. 43;
21.08.2003, n. 62; 04.07.2003, n. 573; vedi
anche, Cons. Stato,V, n. 2125/1999, cit.,
Cass. pen., III, 18.02.1999, n. 4002;
12.07.1995, n. 10058; TAR Lazio, Latina,
19.11.1987, n. 834)
(TAR Umbria,
sentenza 22.12.2009 n. 812 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il porticato, in quanto
suscettibile di autonomo utilizzo (e,
quindi, non classificabile come pertinenza)
e con un proprio impatto volumetrico,
costituisce opera nuova rispetto al
precedente fabbricato, incidendo in modo
permanente e non precario sull’assetto
edilizio, con la conseguente necessità del
previo rilascio della concessione edilizia.
Le tettorie rientrano tra le opere edilizie
idonee a trasformare in modo permanente il
territorio, a causa dell'uso stabile delle
stesse poiché in materia edilizia rileva
l'oggettiva idoneità delle strutture
installate ad incidere sullo stato dei
luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la
precarietà ogni volta che l'opera sia
destinata a fornire un'utilità prolungata
nel tempo.
Anche la tettoia avente carattere di
stabilità, realizzata in aderenza ad un
preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter
essere considerata una mera pertinenza,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre la concessione
edilizia.
Come chiarito dalla recente giurisprudenza,
ormai consolidata, alla quale questo
Collegio aderisce, il porticato, in quanto
suscettibile di autonomo utilizzo (e,
quindi, non classificabile come pertinenza)
e con un proprio impatto volumetrico,
costituisce opera nuova rispetto al
precedente fabbricato, incidendo in modo
permanente e non precario sull’assetto
edilizio, con la conseguente necessità del
previo rilascio della concessione edilizia
(cfr. ex multis, TAR Lazio, Latina,
19.01.2007, n. 44; TAR Toscana Firenze, sez.
III, 17.07.2003, n. 2850).
L’esito non muta neanche nel caso in cui si
ritenesse, come sostenuto dalla difesa dei
ricorrenti, di qualificare l’opera come
tettoia. Le tettorie, infatti, rientrano tra
le opere edilizie idonee a trasformare in
modo permanente il territorio, a causa
dell'uso stabile delle stesse poiché in
materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità
delle strutture installate ad incidere sullo
stato dei luoghi, dovendosi, peraltro,
escludere la precarietà ogni volta che
l'opera sia destinata a fornire un'utilità
prolungata nel tempo (cfr., TAR Emilia
Romagna Bologna, sez. II, 21.10.2009, n.
1922; TAR Lazio, Latina, 05.08.2009, n. 771;
TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008,
n. 10059; TAR Lazio, Roma, sez. I,
18.06.2008, n. 5965).
La giurisprudenza è consolidata nel
ritenere, peraltro, che anche la tettoia
avente carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed
idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a
non poter essere considerata una mera
pertinenza, costituisce un'opera esterna per
la cui realizzazione occorre la concessione
edilizia (TAR Lazio Latina, 05.08.2009, n.
771; TAR Lombardia Milano, sez. II,
04.12.2007, n. 6544) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2009 n. 3639 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Veranda.
La tenda
collegata al muro con intelaiatura in
acciaio e con tamponamenti in materiale
plastico, così come la tenda collegata al
muro e con tamponamenti di vetro, deve
qualificarsi veranda che richiede il
permesso di costruire ai sensi dell’art. 20
del DPR n. 380 del 2001, la cui mancanza
comporta le sanzioni di cui all’art. 44 del
citato DPR (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 04.11.2009 n. 42318 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Stagionalità e precarietà
dell’opera.
In materia edilizia, ai fini della necessità
del preventivo rilascio della concessione
edilizia, (ora sostituita dal permesso di
costruire), non rileva il carattere
stagionale del manufatto realizzato, atteso
che il carattere stagionale non implica
precarietà dell’opera, potendo essere la
stessa destinata a soddisfare bisogni non
provvisori attraverso la perpetuità della
sua funzione (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39074 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi precari.
In materia edilizia, il requisito della
precarietà non può essere collegato al
carattere di stabilità temporanea,
soggettivamente attribuito alla costruzione,
ma va individuato in relazione all’oggettiva
e intrinseca destinazione dell’opera stessa,
sicché non può operare la normativa
regionale sugli insediamenti stagionali
precari né l’autorizzazione comunale postuma
rilasciata in violazione delle norme
giuridiche di riferimento (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.09.2009 n. 35207 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non occorre la concessione
edilizia per costruire una serra se la
stessa sia costruita su un fondo destinato
ad uso agricolo, per finalità inerenti
esclusivamente alla coltivazione del
terreno, fuori dal centro abitato, formata
di materiali facilmente amovibili, non
infissa stabilmente al suolo o eseguita con
opere murarie né collegata con altre opere
costruttive edilizie o che abbia dimensioni
tali da non incidere negativamente
sull'ambiente circostante.
Va precisato che la giurisprudenza
amministrativa ha escluso la necessità del
titolo abilitativo solo nell'ipotesi in cui
la serra sia costruita su un fondo destinato
ad uso agricolo, per finalità inerenti
esclusivamente alla coltivazione del
terreno, fuori dal centro abitato, formata
di materiali facilmente amovibili, non
infissa stabilmente al suolo o eseguita con
opere murarie né collegata con altre opere
costruttive edilizie o che abbia dimensioni
tali da non incidere negativamente
sull'ambiente circostante (cfr. Cons.
Stato., sez. V, 14.03.1980, n. 284).
L’edificazione di cui si controverte non
presenta alcuna delle caratteristiche che
consentirebbero di prescindere dal rilascio
della concessione edilizia.
Essa, infatti, come riconosciuto dalla
stessa parte ricorrente nella propria
memoria difensiva, insiste su un’area “situata
nel perimetro cittadino ed in zona
relativamente centrale”.
Né può rilevare la presunta agevole
rimovibilità delle strutture, costituite da
strutture tubolari metalliche, dal momento
che le medesime sono saldamente ancorate al
suolo mediante fondazioni cementizie di
rilevanti dimensioni (m. 26 x 8).
La natura e consistenza di tali fondazioni
rendeva palese l’attitudine della
fabbricazione a permanere nel tempo e ad
influire sulla razionale sistemazione del
territorio, cosicché non può dubitarsi che
un intervento con tali caratteristiche
necessitasse del previo rilascio di
concessione edilizia (cfr., in fattispecie
analoghe, Cons. Stato, sez. IV, 06.03.2006,
n. 1119 e sez. V, 08.06.2000, n. 3247), in
difetto della quale il Comune di Torino ha
legittimamente ingiunto la demolizione
dell’edificazione abusiva (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 04.09.2009 n. 2262 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un pergolato costituito da
struttura in legno non infissa né al
pavimento, né alla parete, né chiusa su
alcun lato, nemmeno sulla copertura, è da
classificare quale struttura precaria.
La giurisprudenza è costante nel ritenere
che non sia necessaria alcuna concessione
edilizia allorché l’opera consista in una
struttura precaria, facilmente rimovibile,
non costituente trasformazione urbanistica
del territorio, come avviene nell’ipotesi di
pergolato costituito da struttura in legno
non infissa né al pavimento, né alla parete,
né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla
copertura.
Deve, pertanto, ritenersi che tale
intelaiatura può qualificarsi come mero
arredo di uno spazio esterno, che non
comporta realizzazione di superfici utili o
volume (Consiglio di Stato, Sez. V -
sentenza 07.11.2005 n. 6193; in senso
analogo Tar Lazio-Roma, Sez. II - sentenza
28.03.2007 n. 2716).
Con riferimento all’ipotesi di specie si
deve rilevare che, come risulta dagli atti,
il Comune ha sanzionato la realizzazione di
una <<struttura in legno dalle dimensioni di
mt. 6,00x3,20x3,20>>. Tale struttura è stata
qualificata quale gazebo nel verbale redatto
dagli agenti dell’U.O.S.A.E.
In realtà, come è dato evincere dalla
perizia giurata di parte e dalle foto
allegate, non oggetto di contestazione da
parte del Comune, tale struttura è priva di
copertura ed è destinata al sostegno di
pianti rampicanti. La stessa risulta
agganciata alla parete con delle staffe che
hanno la funzione di evitarne l’oscillazione
e non di rendere la struttura solidale
all’edificio: quindi ai sensi dell’art. 2
del Regolamento del Comune Edilizio di
Napoli, deve essere qualificata quale
grillage e non quale gazebo.
Per la sua tipologia e per l’uso di
materiali dal non rilevante impatto visivo,
come emerge anche dalle foto depositate, può
ritenersi, come sostenuto dal ricorrente, un
arredo dello spazio esterno con la
conseguenza che la stessa può farsi
rientrare, fra le opere di manutenzione
straordinaria, ai sensi dell’articolo 6 del
Regolamento Edilizio del Comune di Napoli
(cfr. in senso analogo Tar Campania-Napoli
Sez. IV - sentenza 02.12.2008, n. 20791)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.08.2009 n. 4804 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una veranda è da
considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un
nuovo locale autonomamente utilizzabile e
difetta normalmente del carattere di
precarietà, trattandosi di opera destinata
non a sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile.
Per costante
giurisprudenza (anche di questo TAR: cfr. ad
esempio TAR Campania Napoli, sez. IV,
08.06.2007, n. 6038; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 06.07.2007, n. 6551; TAR Campania
Napoli, sez. VI, 03.08.2007, n. 7258; TAR
Campania Napoli, sez. IV, 13.05.2008, n.
4255; TAR Campania Napoli, sez. IV,
17.02.2009, n. 847), da cui il Collegio non
ravvisa motivi di discostarsi nel caso di
specie, gli interventi edilizi che
determinano una variazione planivolumetrica
ed architettonica dell'immobile nel quale
vengono realizzati, quali le verande in
vetro e alluminio edificate sulla balconata
di un appartamento, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all'immobile cui
accedono, sono soggetti al preventivo
rilascio di apposita concessione edilizia
(ora, permesso di costruire).
Ciò in quanto, in materia edilizia, una
veranda è da considerarsi, in senso
tecnico-giuridico, un nuovo locale
autonomamente utilizzabile e difetta
normalmente del carattere di precarietà,
trattandosi di opera destinata non a
sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile (Cassazione penale,
sez. III, 10.01.2008, n. 14329)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 05.08.2009 n. 4732 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
criterio di distinzione di un'opera precaria
o meno è non già strutturale bensì
funzionale: "... sono precari i manufatti
che risultano destinati a soddisfare
esigenze di carattere contingente e ad
essere quindi eliminati”.
Le disposizioni del T.U. dell’edilizia (d.P.R.
n. 380/2001), elencando tassativamente le
ipotesi di interventi che non richiedono
titolo edilizio alcuno, ha definitivamente
sancito, richiamandosi all’orientamento
giurisprudenziale maggioritario, che il
criterio di distinzione di un'opera precaria
o meno è (non già strutturale) bensì
funzionale: "... sono precari i manufatti
che risultano destinati a soddisfare
esigenze di carattere contingente e ad
essere quindi eliminati”.
Sicché è soggetto a concessione edilizia (o
permesso di costruire) il manufatto che, pur
se non infisso al suolo, ma solo aderente in
modo stabile ad esso, è destinato ad un uso
perdurante nel tempo.
Infatti, produce una trasformazione
urbanistica ogni intervento che alteri in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, anche in relazione alla sua
qualificazione giuridica, a nulla rilevando
l’eventuale precarietà strutturale del
manufatto, se non si traduca in un uso per
fini contingenti e specifici (cfr., ex
multis, Cons. St., sez. V, 31.05.2001 n.
343).
Le roulottes, sono state posizionate dal
ricorrente in area assoggettata a vincolo
paesaggistico ai sensi della L. n.
1497/1939, con l’aggiunta di un’intelaiatura
in ferro fissata al suolo che dà senz’altro
vita ad un rudimentale manufatto destinato
ad un uso duraturo, ancorché ciclico in
concomitanza con il periodo estivo.
D’altra parte, non va da ultimo sottaciuto,
che l’art. 3, lett. e) del 5 citato T.U. n.
380/2001, letteralmente inteso, considera
nuove costruzioni “l’istallazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati e di
strutture qualsiasi quali roulottes….che
siano utilizzati come abitazioni ….e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 05.08.2009 n. 773 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
realizzare una tettoia occorre il permesso
di costruire.
La costruzione della stessa: non può essere
annoverata nel concetto di manutenzione
straordinaria; è priva del carattere della
precarietà ed amovibilità; non può essere
considerata pertinenza.
Il Collegio condivide l’interpretazione
giurisprudenziale secondo la quale “La
realizzazione di una tettoia è soggetta a
concessione edilizia ai sensi dell'art. 1,
l. 28.01.1977 n. 10, in quanto essa, pur
avendo carattere pertinenziale rispetto
all'immobile cui accede, incide sull'assetto
edilizio preesistente. La costruzione di una
tettoia non rientra nel concetto di
manutenzione straordinaria, atteso che
quest'ultima si fonda sul duplice
presupposto che i lavori progettati siano
preordinati alla mera rinnovazione o
sostituzione di parti dell'edificio o alla
realizzazione di impianti igienici sanitari
e che i volumi e le superfici preesistenti
non vengano alterati o non siano destinati
ad altro uso” (TAR Campania Napoli, sez.
VI, 17.12.2008, n. 21346).
“La tettoia realizzata sul terrazzo di un
fabbricato, in quanto struttura stabilmente
ancorata al pavimento e destinata a
soddisfare non una esigenza temporanea e
contingente, ma prolungata nel tempo, è
priva del carattere della precarietà ed
amovibilità ed è quindi assoggettata al
regime del permesso di costruire, dal
momento che comporta una rilevante modifica
dell'assetto edilizio preesistente" (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 21.12.2007, n.
16493).
"Una tettoia avente carattere di
stabilità, realizzata in aderenza ad un
preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter
essere considerata una mera pertinenza,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre il permesso di
costruire” (TAR Lombardia Milano, sez.
II, 04.12.2007, n. 6544)
(TAR Lazio-Roma,
sentenza 05.08.2009 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà va esclusa allorché si tratti di
un manufatto destinato a dare utilità
prolungata nel tempo e ciò indipendentemente
dai materiali utilizzati o dal sistema di
ancoraggio.
Proprio in relazione al tipo di opera posta
in essere -una casa mobile su ruote
appoggiata al suolo- l’obbligatorietà di
munirsi del preventivo titolo abilitativo è
espressamente prevista dalla normativa
urbanistico-edilizia recata dalla legge
regionale n. 1/2005, lì dove l’art. 78
stabilisce espressamente che: ”sono
considerate trasformazioni urbanistiche ed
edilizie soggette a permesso di costruire,
in quanto incidono sulle risorse essenziali
del territorio ….: b) l’installazione di
manufatti anche prefabbricati e di strutture
di qualsiasi genere, quali roulotte, camper,
case mobili, imbarcazioni che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e
simili e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee, quali
esplicitamente risultino in base alle
vigenti disposizioni”.
Il legislatore, quindi, ha di per sé
considerato l’installazione delle strutture
del genere come quelle qui in rilievo
(roulotte, case mobili) come meritevoli di
essere assoggettate al preventivo rilascio
del permesso di costruire e tanto in ragione
del fatto che, indipendentemente dal
materiale, dalla forma e dalle modalità di
appoggio al suolo, tali manufatti per le
loro caratteristiche oggettive di occupare
un volume vanno significativamente ad
incidere sull’assetto del territorio e
quindi devono essere debitamente
autorizzate.
Sul punto, peraltro, la giurisprudenza si è
espressa a proposito della questione della
precarietà, condizione, che da sé manda
esente dall’obbligo di munirsi di permesso e
a tale proposito va ribadito il principio
già espresso in analoghe circostanze da
questa Sezione secondo cui la precarietà va
esclusa allorché si tratti di un manufatto
destinato a dare utilità prolungata nel
tempo e ciò indipendentemente dai materiali
utilizzati o dal sistema di ancoraggio (cfr.
21/11/2000 n. 2346).
Ebbene, le opere in questione per la loro
consistenza e caratteristiche costruttive
appaiono oggettivamente destinate ad
esigenze non temporanee, bensì ad un
utilizzo abitativo permanente e duraturo.
Il fatto che siano destinate ad ospitare una
persona affetta da disabilità, tale
circostanza ancorché avente un suo rilievo
etico-affettivo assolutamente apprezzabile,
non vale a giustificare legittimamente
l’avvenuta realizzazione dei manufatti
stessi in assenza di titolo abilitativo.
In presenza quindi di opere abusivamente
eseguite, per lo più in area sottoposte ad
un regime di tutela 8 vincolo idrogeologico
e paesaggistico che vieta quale che sia
intervento senza autorizzazione, il Comune
non poteva non adottare la misura
demolitoria-ripristinatoria volta appunto a
rimuovere dal suo territorio opere che in
quanto non preventivamente autorizzate,
contrastano con la normativa urbanistica
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 29.07.2009 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi precari.
In materia edilizia la natura precaria di un
manufatto ai fini della sua non
sottoposizione al preventivo rilascio del
permesso di costruire non può essere desunta
dalla temporaneità della destinazione
soggettivamente data all’opera
dall’utilizzatore, né dal dato che si tratti
di un manufatto smontabile e non infisso al
suolo ma deve riconnettersi ad una
intrinseca destinazione materiale dell’opera
stessa ad un uso realmente precario per fini
specifici, contingenti e limitati nel tempo,
con la conseguente e sollecita eliminazione
del manufatto alla cessazione dell‘uso
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.06.2009 n. 25965 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione di
costruzione - Costruzione precaria -
Definizione.
2. Concessione di
costruzione - Costruzione precaria -
Temporanea - Obbligo - Non sussiste.
1. Soltanto le costruzioni aventi
intrinseche caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo, sono
esenti dall'assoggettamento al titolo
abilitativo edilizio: ciò che rileva, a tale
fine, non è tanto la consistenza dei
manufatti quanto la destinazione ad
un'utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante (cfr. Cons. di Stato , sent. n.
986/2003).
2.
Affinché un'opera edilizia avente carattere
precario, in forza della sua facile
amovibilità, venga sottratta all'obbligo di
rilascio del titolo abilitativo edilizio, è
necessario che sia destinata ad un uso molto
limitato nel tempo, per fini specifici e
temporanei: non ha il requisito della
precarietà il manufatto stabilmente
destinato a residenza del ricorrente e della
sua famiglia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.06.2009 n.
4070). |
EDILIZIA PRIVATA:
Case mobili, necessità del
permesso di costruire.
E' legittimo il sequestro preventivo di "case
mobili" realizzate nell'area ricettiva
di un camping in relazione ai reati di
costruzione in assenza del permesso di
costruire e dell’autorizzazione
paesaggistica trattandosi di manufatti
installati da almeno due anni poggiati su
ruote, cavalletti e mattoni in cemento ed
allacciati alle reti idrica, elettrica,
fognaria e del gas, adibiti stabilmente ad
abitazione dei campeggiatori per l’intera
stagione turistica e non rivolti, quindi, a
soddisfare esigenze meramente temporanee che
ne avrebbero determinato la qualificazione
di interventi precari (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 27.05.2009 n. 22054 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rientra nella fattispecie delle
modificazioni durevoli dello stato dei
luoghi che sono prodotte anche da strutture
meramente appoggiate sul suolo, anche con
ruote, qualora destinate ad uso prolungato
nel tempo e non quindi realmente precario,
cioè temporaneo o occasionale.
Il ricorrente
si è doluto dell’illegittimità del
provvedimento impugnato per eccesso di
potere per erroneità dei presupposti e
travisamento dei fatti, posto che il
maxicaravan non sarebbe ancorato al suolo e,
quindi, come tale, non potrebbe costituire
una costruzione per la cui realizzazione è
necessaria la preventiva concessione
edilizia.
Anche della classificazione dell’opera
prefabbricata posta su ruote ed avente
natura precaria la Sezione ha avuto modo di
occuparsi con decisione n. 2197 del
21.11.2008
Ivi è stato precisato che, come già in
precedenza chiarito, <<(cfr. Tar Catania
I, 29.11.2007, n. 1921) occorre stabilire se
i manufatti in questione possano ritenersi
costruzione o edificazione a fini
urbanistici.
Al riguardo la detta decisione ha precisato
che si rientra nella fattispecie delle
modificazioni durevoli dello stato dei
luoghi, che, come chiarito dalla
giurisprudenza, sono prodotte anche da
strutture meramente appoggiate sul suolo,
anche con ruote, qualora destinate ad uso
prolungato nel tempo e non quindi realmente
precario, cioè temporaneo o occasionale
(cfr. Consiglio di stato, sez. V,
20.12.1999, n. 2125).
In altri termini, a prescindere da un
sistema di ancoraggio al suolo, i
prefabbricati vanno considerate vere e
proprie costruzioni, ove, comunque, siano
destinati a durare nel tempo.
Tale necessità del resto discende dalla
alterazione dello stato dei luoghi e dalla
destinazione in genere di tale tipo di
struttura alla soddisfazione di esigenze di
carattere durevole, a prescindere dalla
tecnica e dai materiali impiegati per la
realizzazione della struttura stessa (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 03.04.1990, n.
317).
Il giudice di seconde cure, con detta ultima
decisione ha altresì precisato che un
prefabbricato, pure avendo la parvenza della
mobilità, costituisce una vera e propria
costruzione, ove incardinata al suolo con
accorgimenti tecnici per garantirne la
stabilità>> (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 26.05.2009 n. 975 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà di un manufatto la cui
realizzazione non necessita di concessione
edilizia, non dipende dai materiali
utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio
al suolo, bensì dall’uso al quale il
manufatto stesso è destinato.
Va ritenuta
l’applicabilità dell’ordinanza di
demolizione anche alle cd. case mobili,
ancorché manufatti precari, in quanto la
precarietà di un manufatto la cui
realizzazione non necessita di concessione
edilizia, non dipende dai materiali
utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio
al suolo, bensì dall’uso al quale il
manufatto stesso è destinato; pertanto,
essa, va esclusa quando trattasi di
struttura destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo, a nulla rilevando la
temporaneità della destinazione data
all’opera dai proprietari, in quanto occorre
valutare la stessa alla luce della sua
obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale (Cons. Stato, V Sez., n. 3321/2000)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.05.2009 n. 3029 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La precarietà della costruzione va desunta
dalla funzione assolta dal manufatto, non
dalla struttura o dalla qualità dei
materiali usati.
Per costante giurisprudenza, al fine di
escludere la necessità della concessione
edilizia –ora permesso di costruire–, la
precarietà della costruzione va desunta
dalla funzione assolta dal manufatto, non
dalla struttura o dalla qualità dei
materiali usati, essendo in ogni caso
subordinata al previo titolo abilitativo
l’opera destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo (v., ex multis, Cons.
Stato, Sez. V, 28.03.2008 n. 1354); non
è, dunque, significativo che il manufatto
sia solo aderente al suolo e non anche
infisso allo stesso, se alteri tuttavia in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, e cioè non si traduca in un uso
oggettivamente preordinato a soddisfare
esigenze del tutto contingenti e transitorie
(v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna,
Parma, 19.02.2008 n. 102) (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 28.04.2009 n. 160 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Abuso in atti
d’ufficio e installazione impianti a titolo
precario.
Un’autorizzazione a costruire di tipo
precario -come quella con la quale si
autorizza l'installazione di una stazione
radiobase costituita da un traliccio di 24
metri, un gruppo elettrogeno con supporto in
calcestruzzo armato e relativa cisterna-
oltre ad essere extra legem, in
quanto non prevista da alcuna disposizione
legislativa, è anche illegittima e contra
legem perché non potrebbe avere altra
funzione che quella di tollerare una
situazione di evidente abuso (nella
fattispecie la malafede del pubblico
amministratore si è desunta proprio dal
fatto che aveva rilasciato un autorizzazione
precaria non prevista da alcuna norma. Il
pubblico amministratore, non potendo
rilasciare la concessione edilizia per la
vicinanza della stazione al centro abitato,
tanto è vero che neppure successivamente è
stata rilasciata , ha emesso un titolo
provvisorio).
Detta autorizzazione, a prescindere pure
dalla sua illegittimità, non può comunque
essere equiparata a quella di cui
all’articolo 87 del decreto legislativo n.
259 del 2003, perché questa presuppone il
previo accertamento, da parte dell’organismo
preposto ad effettuare i controlli, previsto
dall’articolo 14 della legge 22.02.2001 n.
36 in ordine alla compatibilità del progetto
con i limiti di esposizione ecc. (comma 1) e
fa salve le disposizioni a tutela dei beni
ambientali (art. 86, comma 4) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.04.2009 n. 15921 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Disciplina edilizia applicabile
alle serre destinate ad orticoltura.
E’ chiesto parere in merito alla disciplina
edilizia applicabile alle serre destinate ad
orticoltura (Regione Piemonte,
parere 21/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Carattere precario dei manufatti
edilizi - E' necessario che le opere siano
destinate ad un uso limitato nel tempo e per
fini specifici e temporanei.
In ordine al carattere precario di opere
edilizie, ciò che rileva al fine di
qualificare in tal modo i manufatti
realizzati, non è tanto la consistenza degli
stessi, quanto piuttosto la destinazione ad
un'utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante: infatti, perché un'opera
edilizia avente carattere precario, in forza
della sua facile amovibilità, venga
sottratta all'obbligo di rilascio del titolo
abilitativo edilizio, è necessario che sia
destinata ad un uso molto limitato nel
tempo, per fini specifici e temporanei (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.03.2009 n. 1955). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione prefabbricati -
Permesso di costruire - Necessità -
Presupposti - Art. 3, 1° c., lett. e), D.P.R.
n. 380/2001 - Testo Unico Edilizia.
L'articolo 3, primo comma lettera e) del
testo unico sull'edilizia D.P.R. n. 380/2001
e s.m. ricomprende tra gli interventi di
nuova costruzione, come tali soggetti al
permesso di costruire, tra gli altri,
l'installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati ed in genere l'installazione
di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, a condizione che siano
utilizzate come abitazioni, ambienti di
lavoro, come depositi, magazzini, ecc. e
siano dirette a soddisfare esigenze durature
nel tempo.
In definitiva la nozione di costruzione non
presuppone necessariamente l'ancoraggio al
suolo del fabbricato, se ricorrono le
condizioni dianzi evidenziate.
L'accertamento di tali condizioni è
demandato al giudice del merito, la cui
valutazione si sottrae al sindacato di
legittimità se congruamente motivata (CORTE
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.03.2009 n. 10708 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione container.
L'installazione di un container richiede il
permesso di costruire in caso di uso non
precario. Il requisito della precarietà deve
essere ricavato dalla destinazione del
manufatto e non dalla struttura e dalla
tipologia dei materiali costruttivi (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 26.02.2009 n. 404 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della necessità del preventivo rilascio
del permesso di costruire non rileva il carattere stagionale
del manufatto realizzato, atteso che esso non implica la
precarietà dell'opera, potendo essere la stessa destinata a
soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità
della sua funzione.
La stagionalità, dunque, qualora sia al servizio di
un’attività perdurante nel tempo va qualificata costruzione
ai sensi del TU sull’edilizia.
Nel merito il ricorso è fondato sia in relazione a tutti i
motivi che lamentano un difetto di motivazione ed una
carenza istruttoria, sia in relazione ai motivi che
lamentano plurime violazioni di legge.
In particolare appare fondata la violazione dell’art. 3,
comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001.
La costruzione in parola, infatti, rientra a pieno titolo
tra le ipotesi di costruzione.
Ciò innanzitutto perché l’orditura della copertura crea uno
scheletro che abbraccia anche lo spazio poi chiuso dalle
tamponature laterali ed è fissata al suolo stabilmente e, di
conseguenza delimita permanentemente la porzione di arenile
sulla quale insiste.
Comunque, l’annuale riproposizione della completa chiusura
di una struttura di notevoli dimensioni, specie se
rapportate alle dimensioni della spiaggia ed alla
particolare tutela del sito, esulano dal concetto di
temporaneità, nel senso della transitorietà del manufatto o
della sua precarietà od occasionalità che il comune ha
assunto a fondamento dei provvedimenti impugnati.
Nello specifico poi, la durata della stagione balnearia è
intesa dal comune dal mese di marzo a quello di novembre,
con la conseguenza della inversione del concetto voluto dal
legislatore poiché temporaneo può casomai definirsi il
limitato periodo di 4 mesi su 12 nei quali la spiaggia può
tornare ad essere bene demaniale da tutti utilizzabile.
La giurisprudenza amministrativa, anche di questo tribunale
(11.03.1982 n. 160) ha affermato con continuità che “Ai
fini della necessità del preventivo rilascio del permesso di
costruire non rileva il carattere stagionale del manufatto
realizzato, atteso che esso non implica la precarietà
dell'opera, potendo essere la stessa destinata a soddisfare
bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua
funzione" (TAR Lazio, sez. I, 24.05.2008, n. 562).
La stagionalità, dunque, qualora sia al servizio di
un’attività perdurante nel tempo va qualificata costruzione
ai sensi del TU sull’edilizia (cfr. Tar Lazio II 01.03.2002
n. 1595; Tar Emilia Romagna, II 14.07.2003 n. 970)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 27.01.2009 n. 119 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Al fine di escludere la necessità
della concessione edilizia la precarietà
della costruzione va desunta dalla funzione
assolta dal manufatto e non dalla struttura
o dalla qualità dei materiali usati.
Per costante giurisprudenza, al fine di
escludere la necessità della concessione
edilizia –ora permesso di costruire–, la
precarietà della costruzione va desunta
dalla funzione assolta dal manufatto, non
dalla struttura o dalla qualità dei
materiali usati, essendo in ogni caso
subordinata al previo titolo abilitativo
l’opera destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo (v., ex multis, Cons.
Stato, Sez. V, 28.03.2008 n. 1354).
Non è dunque significativo che il manufatto
sia solo aderente al suolo e non anche
infisso allo stesso, se alteri tuttavia in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, e cioè non si traduca in un uso
oggettivamente preordinato a soddisfare
esigenze del tutto contingenti e transitorie
(v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna,
Parma, 19.02.2008 n. 102)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 27.01.2009 n. 22 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
carattere di precarietà di una costruzione,
ai fini edilizi, non va desunto dalla
eventualmente facile e rapida rimovibilità
dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso
del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto
che la costruzione appaia destinata a
soddisfare una necessità contingente ed
essere, poi, prontamente rimossa.
Nemmeno è sufficiente ad attribuire il
carattere di precarietà ai fini
dell’esenzione dalla concessione edilizia,
il fatto che si tratti di manufatto
smontabile e non fisso al suolo.
Il carattere di precarietà di una
costruzione, ai fini edilizi, non va desunto
dalla eventualmente facile e rapida
rimovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più
o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma
dal fatto che la costruzione appaia
destinata a soddisfare una necessità
contingente ed essere, poi, prontamente
rimossa (TAR Campania, Napoli, sez. IV
01.08.2008 n. 9710; TAR Pescara, Abruzzo,
04.06.2008 n. 558), a nulla rilevando la
circostanza che l’impiego del bene sia
circoscritto ad una parte sola dell’anno
(TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I
19.02.2008 n. 102; 22.01.2008 n. 35; TAR
Basilicata, Potenza, sez. I 27.06.2008 n.
337; TAR Lombardia, Milano, sez. II
04.12.2007 n. 6544; 23.11.2006 n. 2834; TAR
Sicilia, Palermo, sez. I 08.07.2002 n.
1936).
Nemmeno è sufficiente ad attribuire il
carattere di precarietà ai fini
dell’esenzione dalla concessione edilizia,
il fatto che si tratti di manufatto
smontabile e non fisso al suolo (cfr. TAR
Umbria, 21.08.2003 n. 692), così come il
carattere stagionale non implica precarietà
dell’opera ben potendo essere la stessa
destinata a soddisfare un bisogno non
provvisorio ma regolarmente ripetibile (cfr.
Cass. Penale sez. III 19.02.2004 n. 11880)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 19 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
1 -
Sul carattere stagionale di strutture
posizionate sul territorio e sulla necessità
o meno del permesso di costruire
(Geometra Orobico n. 1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Bossanese,
Appunto sulle opere precarie.
Se le NTA del PRG o il regolamento edilizio
non contengono la definizione di "precario"
o di "opere precarie", a che cosa ci si deve
riferire per individuarne la nozione? (link a
http://venetoius.myblog.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi precari (veranda,
esclusione).
Una veranda realizzata mediante la chiusura
di una preesistente tettoia con pannelli
scorrevoli costituisce intervento di nuova
costruzione in quanto opera stabile e
duratura nel tempo, mediante la quale si
realizza un ampliamento significativo della
superficie utile del preesistente fabbricato
e trattandosi di opera non finalizzata ad
esigenze temporanee, ma proiettata a
perdurare nel tempo.
L'agevole amovibilità dell'opera attiene
alla struttura della stessa, non alla
funzione ed alla durata dell'opera medesima,
destinata nella sua oggettività materiale a
durare nel tempo senza soluzione di
continuità e ciò a prescindere dalle
motivazioni soggettive espresse nella
relativa comunicazione al Comune (ossia
opera destinata a proteggere il terrazzino
dalle intemperie nel periodo di tempo non
buono) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 29.12.2008 n. 48227 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione serra.
Per realizzare la costruzione di manufatti
da adibire a serre è indispensabile ottenere
il permesso di costruire poiché costituisce
modificazione apprezzabile del territorio la
realizzazione di un impianto di tal genere
(che sia stabilmente ancorato al suolo,
formi un ambiente chiuso e sia destinato a
durare nel tempo) non rilevando la
possibilità che esso possa essere asportato
o spostato, né la sua destinazione agricola
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.11.2008 n. 42738 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere precarie.
Non costituisce "opera precaria e soggetta a
facile demolizione" né pertinenza una
tettoia costituita da una struttura di
metallo con sovrastante tetto di copertura
avente un'altezza di metri tre ed
un'ampiezza di metri 47,00, di cui mq. 23,00
accorpati, mediante demolizione di muri
portanti, ad attiguo immobile adibito ad
esercizio commerciale (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 27.10.2008 n. 40018 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Recinzioni
e muri e “concessioni in precario”.
1.
La realizzazione di “'recinzioni, muri di
cinta e cancellate" può essere effettuata:
- contestualmente alla costruzione di un
edificio ed, in tal caso, dovrà essere
autorizzata con lo stesso provvedimento
abilitativo che riguarda l'edificio
medesimo;
- al servizio di un edificio preesistente:
ed in tal caso potrebbe essere considerata
alla stregua del regime delle opere
pertinenziali;
- indipendentemente dall'esistenza e dalla
costruzione di un fabbricato (con interventi
assai variegati quanto alle caratteristiche
costruttive ed ai materiali usati): ed in
tal caso potrà farsi ricorso anche alla
denuncia di inizio dell'attività, ma la
disciplina da applicare dovrà essere
individuata caso per caso.
2. Non può essere rilasciata una concessione
edilizia c.d. "in precario", con la quale
l'amministrazione comunale consenta una
situazione di palese abuso edilizio (per
contrasto con le prescrizioni urbanistiche
di zona) sulla base del solo impegno del
costruttore di rimuovere in futuro i
manufatti contrastanti con le indicazioni di
piano, anche su semplice richiesta dello
stesso Comune e breve preavviso, in quanto,
oltre a snaturare la tipicità della
concessione di costruzione, non potrebbe
avere altra funzione che quella di tollerare
una situazione di evidente abuso edilizio
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.10.2008 n. 37578 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nuova
costruzione - Nozione - Permanenza -
Materiali - Non rilevano - Carattere di
stagionalità, temporaneità, periodicità -
Assenza.
Un manufatto deve essere considerato nuova
costruzione quando introduce una modifica
stabile del territorio. Il carattere
permanente di tale modifica non si misura in
base alla stabilità delle opere (come
avviene quando i materiali utilizzati non
siano amovibili con mezzi ordinari) ma in
base alla funzione svolta nel tempo dalla
nuova struttura. La modifica del territorio
può quindi essere realizzata anche con
materiali amovibili o modulari ma se manca
qualsiasi elemento di stagionalità,
temporaneità o periodicità nella presenza in
loco della nuova struttura si ricade per
esclusione nella categoria della nuova
costruzione (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.09.2008 n. 990 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' subordinata al rilascio di
concessione edilizia ogni opera che non sia
temporanea e contingente - Natura precaria
dell'opera - Temporaneità della destinazione
dell'opera - Non sussiste - Uso temporaneo e
precario per fini specifici - Sussiste.
Sono subordinati al rilascio di concessione
edilizia non solo i manufatti
tradizionalmente compresi nelle attività
murarie, ma anche le opere di ogni genere
con le quali si intervenga sul suolo o nel
suolo, senza che abbia rilevanza giuridica
il mezzo tecnico con cui sia stata
assicurata la stabilità del manufatto, che
può, essere infisso o anche appoggiato al
suolo, in quanto la stabilità non va confusa
con l'irremovibilità della struttura o con
la perpetuità della funzione ad essa
assegnata, ma si estrinseca nella oggettiva
destinazione dell'opera a soddisfare bisogni
non provvisori, ossia nell'attitudine ad una
utilizzazione che non abbia il carattere
della precarietà, cioè non sia temporanea e
contingente. La natura precaria di un
manufatto, quindi, non può essere desunta
dalla temporaneità della destinazione
dell'opera come attribuitale dal
costruttore, ma deve risultare dalla
intrinseca destinazione materiale della
stessa ad un uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici, contingenti
e limitati nel tempo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.09.2008 n. 4047 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è precaria una struttura
saldamente ancorata al terreno e che non è
destinata a soddisfare una necessità
contingente.
Come affermato in fattispecie analoga da
questa Sezione (cfr. 22.03.2007, n. 2725),
deve escludersi per la realizzazione di una
struttura, saldamente ancorata al terreno,
di rilevanti dimensioni, avente una propria
autonomia funzionale (struttura in
tubolari di ferro e plastica che ricopre
un’area di mq. 50 circa ed alta mt. 5 circa,
… ancorata al suolo mediante bullonatura;
per tale condizione e visto l’ingombro ha
caratteristica di inamovibilità e destinata
al gioco per bambini) il carattere della
precarietà del manufatto, sia per il sistema
fisso di ancoraggio al suolo, sia
–soprattutto- per il fatto che la
costruzione non è destinata a soddisfare una
necessità contingente (per essere, poi,
prontamente rimossa), ma durevole nel tempo.
Deve altresì escludersi la prospettata
natura pertinenziale (rispetto al locale di
ristorazione), trattandosi di struttura
chiaramente suscettibile di utilizzazione
autonoma e separata (cfr. questa Sezione,
08.06.2007, n. 6038); in definitiva, più che
un “intervento di ristrutturazione
edilizia”, appare configurabile, nel caso di
specie, un “intervento di nuova
costruzione”, in quanto non si è proceduto
alla trasformazione di un organismo edilizio
preesistente, ma alla costruzione ex novo di
un manufatto fuori terra, non pertinenziale,
ancorché avente carattere “leggero” (cfr.
art. 3, comma 1°, lett. e.5), D.P.R. n.
380/2001); si tratta comunque, in ogni caso,
di un intervento sempre subordinato a
permesso di costruire (come stabilito, in
relazione ad entrambe le ipotesi, dal
successivo art. 10, comma 1°, lett. a-c),
con conseguente applicabilità, in caso di
assenza di titolo edilizio, della disciplina
sanzionatoria prevista dall’art. 33 dello
stesso D.P.R.
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 01.08.2008 n. 9710 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere precarie.
La natura precaria di un manufatto, ai fini
dell'esenzione dalla concessione edilizia o
permesso di costruire, non può essere
desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente data all'opera
dal costruttore, ma deve ricollegarsi ad un
uso realmente precario e temporaneo, per
fini specifici e cronologicamente
delimitati, non essendo certamente
sufficiente che si tratti di un manufatto
smontabile e non infisso al suolo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.07.2008 n. 31467 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio -
Carattere della precarietà - Rapida
amovibilità e tipo di ancoraggio - Non rileva
- Stabile utilizzazione - Rileva.
Il carattere precario di una costruzione non
va desunto dalla sua facile e rapida
amovibilità né dal tipo di ancoraggio al
suolo, bensì dalla stabile utilizzazione e
in generale dalla sua obiettiva destinazione
a soddisfare esigenze durevoli nel tempo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 20.06.2008 n.
707 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di veranda in senso
tecnico-giuridico - Mancanza di precarietà -
Permesso di costruire - Necessità -
Realizzazione di una veranda -
Classificazione come intervento di
manutenzione straordinaria e di restauro -
Esclusione.
La realizzazione di una veranda, anche
mediante chiusura a mezzo di installazione
di pannelli di vetro su intelaiatura
metallica od altri elementi costruttivi, non
costituisce intervento di manutenzione
straordinaria e di restauro, ma è opera
soggetta già a concessione edilizia ed
attualmente a permesso di costruire (tra le
tante, Cass., Sez. III: 18.09.2007, n.
35011, Camarda; Cass., 28.10.2004,
D'Aurelio; Cass., 27.03.2000, n. 3879,
Spaventi). Il medesimo orientamento si
rinviene nelle decisioni dei giudici
amministrativi (vedi Cons. Stato, Sez. V:
08.04.1999, n. 394 e 22.07.1992, n. 67.5,
nonché Cons. giust. amm. sic., Sez. riunite,
15.10.1991, n. 345). In particolare, una
veranda è da considerarsi, in senso
tecnico-giuridico, un nuovo locale
autonomamente utilizzabile e difetta
normalmente del carattere di precarietà,
trattandosi di opera destinata non a
sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile.
Veranda - Natura
"precaria" di un manufatto - Presupposti -
Fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo - Giurisprudenza.
La natura "precaria" di un manufatto
-secondo giurisprudenza costante [Cass.,
Sez. III: 13.06.2006, n. 20189, ric.
Cavallini; 27.09.2004, n. 37992, ric. Mandò;
10.06.2003, n. 24898, ric. Nagni;
10.10.1999, n. 11839, ric. Piparo;
26.03.1999, n. 4002, ric. Bortolotti]- ai
fini dell'esenzione dal permesso di
costruire (già concessione edilizia), non
può essere desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente data all'opera
dal costruttore ma deve ricollegarsi alla
intrinseca destinazione materiale di essa ad
un uso realmente precario e temporaneo, per
fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente e sollecita
eliminazione, non essendo sufficiente che si
tratti eventualmente di un manufatto
smontabile e/o non infisso al suolo (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.06.2008 n. 23086 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Veranda.
Una veranda è da considerarsi, in senso
tecnico-giuridico, un nuovo locale
autonomamente utilizzabile e difetta
normalmente del carattere di precarietà,
trattandosi di opera destinata non a
sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.06.2008 n. 23086
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere precarie (piccolo santuario).
La natura "precaria" di un manufatto
ai fini dell'esenzione dal permesso di
costruire (già concessione edilizia), non
può essere desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente data all'opera
dal costruttore ma deve ricollegarsi alla
intrinseca destinazione materiale di essa ad
un uso realmente precario e temporaneo, per
fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente e sollecita
eliminazione, non essendo sufficiente che si
tratti eventualmente di un manufatto
smontabile e/o non infisso al suolo
(fattispecie relativa a costruzione di un
piccolo santuario formato da una tettoia e
da blocchi di tufo in funzione di sedili)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.05.2008 n. 21210
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà di un manufatto edilizio che ne
giustifica il non assoggettamento a
concessione edilizia dipende non già dai
materiali utilizzati o dal sistema del suo
ancoraggio al suolo bensì dall'uso cui esso
è destinato, per cui tale precarietà deve
essere esclusa ogni qual volta l'opera sia
destinata a dare un'utilità prolungata nel
tempo, ancorché a termine in relazione
all'obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale del manufatto.
La precarietà
di un manufatto edilizio che ne giustifica
il non assoggettamento a concessione
edilizia dipende non già dai materiali
utilizzati o dal sistema del suo ancoraggio
al suolo bensì dall'uso cui esso è
destinato, per cui tale precarietà deve
essere esclusa ogni qual volta l'opera sia
destinata a dare un'utilità prolungata nel
tempo, ancorché a termine in relazione
all'obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale del manufatto (cfr. Tar Lombardia,
Sez staccata di Brescia 15.07.1993, n. 619).
Nel caso di specie, come risulta
dall’ordinanza di demolizione, il container
in questione era adibito a ufficio (e tale
elemento non è stato contraddetto dalla
ricorrente), di conseguenza deve ritenersi
che tale manufatto, non essendo destinato a
soddisfare esigenze temporanee ed incidendo
in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio del territorio, sia
assoggettabile a permesso di costruzione con
conseguente applicabilità del regime
demolitorio di cui all'art. 7 l. 28.02.1985
n. 47
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.04.2008 n. 1911 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è affatto pacifico in giurisprudenza che la
tettoia possa essere qualificato come un
intervento realizzabile senza il permesso a
costruire (per la asserita natura di bene
precario) ovvero essere ricondotto sic et
simpliciter ad un intervento manutentivo
straordinario.
Il Collegio evidenzia –come peraltro già
ampiamente illustrato in precedenti pronunce
della Sezione (cfr. TAR Napoli, sezione VI,
n. 961/2007)– che non è affatto pacifico in
giurisprudenza che la tettoia possa essere
qualificato come un intervento realizzabile
senza il permesso a costruire (per la
asserita natura di bene precario) ovvero
essere ricondotto sic et simpliciter
ad un intervento manutentivo straordinario.
Numerose pronunce, infatti, evidenziano in
linea generale che la realizzazione di una
tettoia è soggetta a concessione edilizia ai
sensi dell'art. 1 L. 28.01.1977 n. 10 in
quanto essa, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all'immobile cui essa
accede, incide sull'assetto edilizio
preesistente; ovvero che la costruzione di
una tettoia non rientra nel concetto di
manutenzione straordinaria, atteso che
quest'ultima si fonda sul duplice
presupposto che i lavori progettati siano
preordinati alla mera rinnovazione o
sostituzione di parti dell'edificio o alla
realizzazione di impianti igienico sanitari
e che i volumi e le superfici preesistenti
non vengano alterati o non siano destinati
ad altro uso (cfr., TAR Campania–Napoli nr.
12962 - 20.10.2003; TAR Puglia–Bari, 3573 nr.
25.09.2003; TAR Sicilia–Catania nr. 1061 -
01.07.2003; TAR Campania–Napoli nr. 897 -
18.02.2003)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 03.04.2008 n. 1831 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Carattere precario dei manufatti
edilizi - E' necessario che le opere siano
destinate ad un uso limitato nel tempo e per
fini specifici e temporanei.
In ordine al carattere precario di opere
edilizie, ciò che rileva al fine di
qualificare in tal modo i manufatti
realizzati, non è tanto la consistenza degli
stessi, quanto piuttosto la destinazione ad
un'utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante: infatti, perché un'opera
edilizia avente carattere precario, in forza
della sua facile amovibilità, venga
sottratta all'obbligo di rilascio del titolo
abilitativo edilizio, è necessario che sia
destinata ad un uso molto limitato nel
tempo, per fini specifici e temporanei
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
02.04.2008 n.
702). |
EDILIZIA PRIVATA: Concessione
edilizia, utilità prolungata, precarietà
dell’opera, esclusione.
Ai fini
della concessione edilizia, la precarietà
della costruzione va presunta dalla funzione
assolta dal manufatto e non dalla struttura
e dalla qualità dei materiali usati. La
precarietà dell’opera va comunque esclusa
quando si tratti di costruzione destinata ad
utilità prolungata
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.03.2008 n. 1354
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Manufatti
precari.
Sono considerati precari i manufatti destinati a soddisfare esigente
contingenti, specifiche, cronologicamente determinate ed a essere
rimossi dopo il momentaneo uso; il requisito della precarietà non può
essere collegato al carattere di stabilità temporanea soggettivamente
attribuito alla costruzione, ma va individuato in relazione alla
oggettiva ed intrinseca finalità dell' opera. Pertanto, manufatti
destinati allo addestramento dei cani presentano caratteristiche non
conciliabili con un uso temporaneo e contingente a nulla rilevando il
materiale usato per la edificazione e la facile rimovibilità della
stessa (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
12.03.2008 n. 11111
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla necessità o meno del permesso di costruire per una struttura
precaria (stagionale) a servizio di un esercizio commerciale.
Come già rilevato dalla Sezione sulla scorta di una costante
giurisprudenza (v. sent. n. 35 del 22.01.2008), necessita di concessione
edilizia, ora permesso di costruire, il manufatto che, pur se non
infisso al suolo ma soltanto aderente allo stesso in modo stabile, è
tuttavia destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo, atteso che
produce trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in modo
rilevante e duraturo lo stato del territorio, a nulla rilevando
l’eventuale precarietà strutturale del manufatto che non si traduca in
un suo uso per fini contingenti e specifici, ma riguardi una
destinazione continuativa, anche se l’impiego del bene è circoscritto ad
una parte sola dell’anno (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V,
01.12.2003 n. 7822 e 11.02.2003 n. 696).
La circostanza, quindi, che si sia nella fattispecie assentita, a
seguito di d.i.a., l’installazione di pannelli traslucidi che delimitano
lo spazio antistante il “pub-birreria” onde consentirvi la collocazione
di sedie e tavolini sormontati da ombrelloni di tela, realizzando il
sostanziale ampliamento della superficie commerciale per tutto il
periodo dell’anno che eccede la stagione estiva, integra quella
rilevante e non precaria trasformazione del territorio che richiede il
rilascio del permesso di costruire, atteso che l’utilizzo apparentemente
limitato nel tempo, se in sé destinato a ripetersi ciclicamente negli
anni a venire, impone all’Amministrazione comunale il rituale
accertamento della compatibilità dell’intervento con le norme che
regolano l’uso del territorio e non può determinare, attraverso il
frazionamento annuale delle operazioni di montaggio e smontaggio della
struttura (e la conseguente artificiosa suddivisione in autonomi periodi
di un intervento in realtà unitario), l’elusione delle norme che
obbligano alla previa verifica dell’Autorità pubblica; né hanno ragione
le controparti nell’invocare l’art. 8 della legge reg. n. 31 del 2002,
che assoggetta a d.i.a. gli “interventi di manutenzione straordinaria”,
ovvero le “opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire
parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed
integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non
alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non
comportino modifiche delle destinazioni d’uso” (v. allegato alla legge
reg.), in quanto l’addotta carenza del tamponamento integrale degli
spazi vuoti laterali, lungi dall’implicare la realizzazione di un mero
arredo di spazi esterni, non fa in realtà venire meno l’impegno stabile
a tali fini della superficie corrispondente e la sua conseguente
rilevanza anche in termini di carico urbanistico
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 19.02.2008 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
P. Verderosa,
Stagionalità e precarietà delle opere (con
specificità riferita alla Regione Puglia)
(link a http://appinter.csm.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D. Foderini,
Opere precarie ma con limitazioni
(link a http://vetrina.ilsole24ore.com/consulenteimmobiliare). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatti precari (ricovero animali).
La nozione di precarietà non si incentra sulla natura dei
materiali usati o sulla loro facile rimozione, ma deve
essere parametrata alle esigenze che il manufatto è
destinato a soddisfare; pertanto, non può definirsi precaria
la costruzione di un manufatto utilizzato per ricovero di
animali che comporta una stabilità dell’insediamento ed è
indicativa di un impegno effettivo e durevole del territorio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.12.2007 n. 45247
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Illecito
edilizio - Considerazione dell'amovibilità del manufatto ai
fini della qualificazione dell'illiceità dell'opera - Non
rileva - Destinazione oggettiva - Rileva.
Non è la maggiore o minore amovibilità delle parti che
compongono un manufatto a determinarne la precarietà, ma la
sua oggettiva destinazione.
Conseguentemente, legittimo l'ordine di riduzione in
pristino ogni qual volta l'opera realizzata in assenza di
titolo sia chiaramente suscettibili di un'utilizzazione
perdurante nel tempo, non potendosi in detta ipotesi
considerare temporanea, precaria o irrilevante l'alterazione
del territorio (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 23.10.2007 n. 913
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Relativamente
alle opere precarie non rileva il carattere
provvisorio della struttura, in quanto in
materia edilizia ciò che rileva è
l’oggettiva idoneità del manufatto ad
incidere sullo stato dei luoghi a
prescindere dall’intenzione del proprietario
in ordine alla sua utilizzabilità, sicché,
come ha chiarito la giurisprudenza, la
precarietà va esclusa ogni qualvolta l'opera
sia destinata a dare un'utilità prolungata
nel tempo, ancorché a termine, in relazione
all'obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale del manufatto.
Il collegio rileva che il titolo necessario
per l’esercizio dell’attività edilizia
dipende dalla idoneità o meno delle opere a
realizzare la trasformazione permanente del
territorio dalla quale l'art. 1 della L. n.
10/1977 fa discendere la necessità della
concessione edilizia.
Nel caso di specie i manufatti, come risulta
dal provvedimento impugnato e riconosciuto
dalla stessa ricorrente, anche se non di
grande dimensione, sono idonei a modificare
il territorio in modo permanente e non
possono essere configurati come pertinenza
ai sensi dell’ art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9,
convertito con modificazioni nella l.
25.03.1982 n. 94, in quanto la nozione
urbanistica di pertinenza e' assai più
ristretta di quella prevista dall'art. 817
del codice civile ed è configurabile solo
quando l’opera non abbia un consistente ed
autonomo impatto sul territorio (si veda in
proposito la sentenza del Consiglio Stato
sez. V, 23.03.2000, n. 1600).
Né rileva il carattere provvisorio della
struttura, in quanto in materia edilizia ciò
che rileva è l’oggettiva idoneità del
manufatto ad incidere sullo stato dei luoghi
a prescindere dall’intenzione del
proprietario in ordine alla sua
utilizzabilità, sicché, come ha chiarito la
giurisprudenza, la precarietà va esclusa
ogni qualvolta l'opera sia destinata a dare
un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a
termine, in relazione all'obiettiva ed
intrinseca destinazione naturale del
manufatto ( Consiglio Stato sez. V,
15.06.2000, n. 3321)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 11.10.2007 n. 2286 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire - Cd. opere
precarie, funzionali - Disciplina - Artt. 3
e 10 del d.p.r. 380/2001.
Ai sensi del combinato disposto degli artt.
3 e 10 del d.p.r. 380/2001, è richiesto il
permesso di costruire per tutte le attività
qualificabili come interventi di nuova
costruzione che comportano la trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio.
Tanto, però, deve ritenersi necessario solo
in riferimento alle ipotesi di
trasformazioni potenzialmente durevoli e non
già nel caso di costruzioni provvisorie.
Restano, invece, sottratte al regime
autorizzatorio le opere cd. precarie,
funzionali cioè ad esigenze contingenti e
temporalmente circoscritte, cessate le quali
sono destinate ad essere rimosse.
P.R.G. - Deroga allo
strumento urbanistico - Clausola di
“precarieta” di un’opera - Esclusione -
Profilo cd. Funzionale - Oggettiva
destinazione impressa al manufatto -
Permesso di costruire.
E’ escluso dall’ordinamento la possibilità
di apporre una clausola di “precarieta” ad
un titolo autorizzatorio operante in deroga
allo strumento urbanistico vigente ed alle
sue previsioni. Diversamente opinando, anche
la realizzazione di un consistente
fabbricato potrebbe paradossalmente ottenere
la qualificazione di opera precaria per il
solo fatto che il relativo titolo di
legittimazione venga rilasciato sotto
l’irrituale condizione di un successivo
riesame da condurre alla stregua dell’esito
(peraltro del tutto incerto) del
procedimento di approvazione di uno
strumento urbanistico in itinere. Sicché,
neppure valgono, a reggere il permesso di
costruire oggetto di gravame le prescrizioni
-ancorché favorevoli- del P.R.G. in itinere.
Opere precarie -
Requisito della temporaneità - Criterio
oggettivo - Fini specifici e
cronologicamente delimitabili -
Giurisprudenza.
In tema di opere precarie, il requisito
della temporaneità va apprezzato con
criterio oggettivo avuto riguardo
all’oggetto della costruzione nei suoi
obiettivi dati tecnici e deve, dunque,
ricollegarsi alla sua destinazione
materiale, che ne evidenzi un uso realmente
precario o temporaneo, per fini specifici e
cronologicamente delimitabili (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 24.02.2003, n. 986;
Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5828 del
30.10.2000; Consiglio Stato, sez. V,
24.02.1996, n. 226; CdS Sez. V 23.01.1995;
Cass. Sez. III 28.01.1997; Cass. Sez. III
04.10.1996) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.04.2007 n. 4217 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Riserva Naturale Regionale di Monterano - costruzioni in
precario all'interno di aree protette (Regione Lazio,
parere
27.03.2007 n. 25672 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: Il carattere di precarietà di una
costruzione, ai fini edilizi, non va desunto
dalla eventualmente facile e rapida
rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più
o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma
dal fatto che la costruzione appaia
destinata a soddisfare una necessità
contingente ed essere, poi, prontamente
rimosso.
Il carattere di precarietà di una
costruzione, ai fini edilizi, non va desunto
dalla eventualmente facile e rapida
rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più
o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma
dal fatto che la costruzione appaia
destinata a soddisfare una necessità
contingente ed essere, poi, prontamente
rimosso (TAR Piemonte, sez. I, 10.05.2006,
n. 2073, TAR Campania-Napoli, sez. IV,
16.07.2002, n. 4141; Consiglio Stato, sez.
V, 08.04.1999, n. 394; TAR Lazio, sez. II,
17.07.1986, n. 1156)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 22.03.2007 n. 2725 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Posizionamento di struttura in legno munita di ruote per il ricovero
di attrezzi - Stabilità nel tempo della collocazione su suolo privato -
Necessità di munirsi di titolo edilizio - Sussiste - Ordinanza di
demolizione - Legittimità - Sussiste.
E' necessario il rilascio di una concessione edilizia per il deposito
di una struttura in legno, dotata di ruote e destinata al ricovero di
attrezzi, stabilmente ubicata all'interno di un suolo privato qualora
dall'istallazione sia decorso un notevole lasso di tempo, idoneo a
determinare una situazione di stabilità tale da qualificare la struttura
come vera e propria costruzione edilizia, che pertanto ben può essere
oggetto di sanzione demolitoria (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
15.02.2007 n. 263 -
massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Natura precaria di una costruzione - Nozione -
Destinazione oggettiva della opera - Fattispecie - Reato
edilizio - Realizzazione abusiva di una veranda -
Demolizione del manufatto.
La natura precaria di una costruzione non dipende dal tipo
di materiali usati o dalla tecnica costruttiva o dalla
facile rimovibilità della struttura, ma dalla destinazione
oggettiva della opera. (Nella specie, è stato ritenuto
esistente il reato edilizio ed ordinata la demolizione del
manufatto, in relazione all’edificazione abusiva di una
veranda, presentata come una struttura volante fatta con un cannucciato ed un telo di limitate dimensioni avente l'unica
funzione di riparare dal sole).
Natura precaria di una costruzione - Nozione -
Manufatti di assoluta ed evidente precarietà - Permesso di
costruire - Necessità - Esclusione.
In materia edilizia, le costruzioni di natura precaria, non
necessitino di permesso di costruire i manufatti di assoluta
ed evidente precarietà destinati a soddisfare esigenze
contingenti, specifiche, cronologicamente delimitate e ad
essere rimossi dopo il momentaneo uso (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.01.2007 n. 455
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
precarietà o meno della copertura di una
piscina scoperta.
Il progettato
intervento -consistente nella realizzazione
di una struttura telescopica (a copertura di
una piscina) in metallo e vetro, con due
lati estremi fissi e con altezza utile media
superiore a tre metri– non appare
caratterizzato dalla pertinenzialità e
temporaneità, requisiti, questi, che
varrebbero ad escludere la sua consistenza
di “volume”: il carattere precario di una
costruzione, invero, non va desunto dalla
sua più o meno facile rimovibilità o dalla
fissità del suo ancoraggio al suolo, bensì
dal fatto che essa sia idonea a soddisfare
esigenze transitorie (e non continuative nel
tempo, ancorché limitate ad un periodo
dell’anno) e sia destinata alla demolizione
spontanea quando sia cessato l’uso
(giurisprudenza pacifica: cfr. Cass. pen.,
III, 14.02-12.03.2004 n. 11880; CdS, V,
11.02.2003 n. 696 e, da ultimo, TAR
Piemonte, 10.05.2006 n. 2073)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2006 n. 4095 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia -
Apposizione della clausola di precarietà -
Conseguenze - Annullamento della concessione
- Condizioni.
L’apposizione di una clausola di precarietà
in sede di rilascio di una concessione
edilizia (clausola peraltro mai richiesta
dalla ricorrente) è idonea a costituire
motivo di annullamento di una concessione
edilizia, solo nel caso in cui sia
dimostrato che in assenza di tale clausola
l’intervento non era assentibile. In tutti
gli altri casi, l’illegittimità della
clausola può condurre al massimo alla
eliminazione della stessa, ma non
dell’intero provvedimento, rispetto al quale
la clausola non
costituiva elemento essenziale (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 04.09.2006 n. 5096 -
link a www.ambientelegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
consolidato orientamento giurisprudenziale, il carattere
precario di una “costruzione” urbanisticamente rilevante (ai
fini dell’esenzione dalla concessione edilizia, ed oggi dal
permesso di costruire) non va desunto dalla eventualmente
facile e rapida rimovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più
o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, bensì dal fatto
che la costruzione appaia ex ante destinata a soddisfare
esigenze transitorie e sia destinata alla demolizione
spontanea quando ne venga a cessare l’uso.
Conseguentemente, non può riconoscersi il carattere della
precarietà ad una struttura che, per quanto destinata ad
essere utilizzata in una sola parte dell’anno, sia comunque
preordinata ad un uso continuativo in futuro e non ne sia
perciò prevista la demolizione al termine dello stesso.
- Considerato che l’oggetto dell’ingiunzione a demolire è
costituito dal dehors di un pubblico esercizio,
realizzato in struttura metallica e ricoperto da un telo che
viene rimosso in inverno, in cui sono stati installati un
forno, un bancone con piano di lavoro, un bancone frigo, un
angolo bar, una cassa, un servizio igienico ed alcune celle
frigo;
- Considerato che il Comune ne ha ingiunto la demolizione
sul rilievo che detta struttura non riveste il carattere
della precarietà e pertanto necessita della concessione
edilizia, nel caso concreto mai richiesta;
-
Considerato che, con il primo motivo, il ricorrente sostiene
che la struttura in questione avrebbe invece carattere
precario, in quanto destinata ad essere utilizzata soltanto
nei mesi estivi e suscettibile di facile rimozione, e quindi
sarebbe soggetta al regime autorizzatorio di cui all’art.
56, lett. c), L.R. 05.12.1977, n. 56;
- Ritenuto che la censura deve essere disattesa, in quanto,
per consolidato orientamento giurisprudenziale, il
carattere precario di una “costruzione”
urbanisticamente rilevante (ai fini dell’esenzione dalla
concessione edilizia, ed oggi dal permesso di costruire) non
va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità
dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo
ancoraggio al suolo, bensì dal fatto che la costruzione
appaia ex ante destinata a soddisfare esigenze
transitorie e sia destinata alla demolizione spontanea
quando ne venga a cessare l’uso (Cons. St., V, 12.03.1996,
n. 247; Cons. St., IV, 02.04.1996, n. 440);
- Ritenuto che, alla luce di tale principio, non può
riconoscersi il carattere della precarietà ad una struttura
che, per quanto destinata ad essere utilizzata in una sola
parte dell’anno, sia comunque preordinata ad un uso
continuativo in futuro e non ne sia perciò prevista la
demolizione al termine dello stesso (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 16.05.2006 n. 2073 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
serra, quando consiste in un manufatto
infisso al suolo, benché abbia carattere di
relativa mobilità, rientra nel concetto di
opera di fabbricazione, avendo attitudine a
permanere nel tempo ed a influire sulla
razionale sistemazione del territorio, così
che essa necessita della preventiva
concessione edilizia.
Secondo la giurisprudenza, la costruzione di
una serra che, pur costituita da strutture
agevolmente rimovibili, sia destinata a far
fronte ad esigenze continuative connesse a
coltivazioni ortofrutticole, in quanto
destinata ad alterare in modo duraturo
l’effetto urbanistico–territoriale, è
soggetta al previo rilascio della
concessione edilizia (C.d.S., sez. V,
08.06.2000, n. 3247); è stato, d’altra
parte, chiarito che una serra, quando
consiste in un manufatto infisso al suolo,
benché abbia carattere di relativa mobilità,
rientra nel concetto di opera di
fabbricazione, avendo attitudine a permanere
nel tempo ed a influire sulla razionale
sistemazione del territorio, così che essa
necessita della preventiva concessione
edilizia (C.d.S., sez. V, 25.11.1988, n.
760), laddove è stata esclusa la necessità
del predetto titolo abilitativo solo per
l’ipotesi di una serra costruita su un fondo
destinato ad uso agricolo, per finalità
inerenti esclusivamente alla coltivazione
del terreno, fuori dal centro abitato,
formata di materiali facilmente amovibili,
non infissa stabilmente al suolo o eseguita
con opere murarie né collegata con altre
opere costruttive edilizie o che abbia
dimensioni tali da non incidere
negativamente sull’ambiente circostante
(C.d.S., sez. V, 14.03.1980, n. 284).
E' del tutto
irrilevante (oltre che generico) il fatto
che, come si legge nella richiesta di
rilascio della concessione edilizia in data
31.07.1984, le predette serre dovessero
utilizzate per soli fini agricoli e per la
coltivazione di pianti e fiori: infatti,
come ha avuto modo di precisare la
giurisprudenza (Cass. Pen., sez. III,
12.05.1981) la serricultura costituisce un
sistema protettivo delle piantagioni in
grado di creare condizioni agronomiche
ottimali per lo sviluppo dei prodotti
orto–floricoli, ma l’impianto serra deve
essere valutato non già in ragione della sua
destinazione e funzione (che, risolvendosi
in una mera attività di gestione agricola
del suolo, non interessa la disciplina
urbanistica), bensì in relazione alla sua
struttura e alla sua attitudine a protrarsi
nel tempo e a incidere sul territorio
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.03.2006 n. 1119 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla precarietà o meno di una
serra e conseguente necessità o meno della
preventiva concessione edilizia.
La realizzazione di serre può essere
sottratta all’ordinario regime edilizio, con
la necessità del preventivo rilascio del
permesso di costruire, solo nel caso in cui
il sistema adottato per la protezione delle
colture sia precario e non preveda metodi
stabili di ancoraggio al suolo;
diversamente, la realizzazione di serre
destinate a far fronte ad esigenze
continuative, stabilmente fissate al suolo,
e che comunque alterano in modo duraturo
l’assetto urbanistico, configura il reato di
cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.11.2005 n. 46767). |
EDILIZIA PRIVATA:
PREFABBRICATO E/O CONTAINER -
OPERA PRECARIA - ESCLUSIONE.
L'opera è precaria solo se la sua
destinazione è transitoria a prescindere
dalla tipologia della struttura, dai suoi
materiali, dalla infissione al suolo e dai
mezzi tecnici utilizzati per assicurare la
stabilità al suolo.
Un prefabbricato ultimato ed arredato con
finalità abitative e dotato dei collegamenti
idrici ed elettrici idonei a garantire la
fornitura dei servizi essenziali per l'uso
abitativo consente di escludere il carattere
precario dell'opera. Appare infatti,
evidente che la destinazione della struttura
non può ritenersi provvisoria bensì durevole
ed adibita in modo continuativo alla
finalità residenziale (come si evince
dall'arredamento e dagli allacciamenti alle
reti idrica ed elettrica), elementi
inequivocamente indicativi della
intenzionalità di destinare il prefabbricato
all'uso abitativo stabile
SUSSISTENZA DEI REATI
URBANISTICI ED AMBIENTALI.
Ne discende la sussistenza dei reati
urbanistici ed ambientali ascrivibili alla
odierna imputata tenuto conto dell'impatto
della struttura sull'area soggetta ai
vincoli paesistici di inedificabilità
assoluta (la zona ricade peraltro nel Parco
nazionale del Vesuvio) e della
trasformazione permanente dell'ordinato
assetto del territorio determinata dalla
installazione del prefabbricato idonea ad
alterare e modificare lo stato dei luoghi da
cui la necessità dell'intervento
autorizzatorio della Pubblica
Amministrazione
ELIMINAZIONE SPONTANEA
DELL'OPERA PRIMA DEL GIUDIZIO.
Non è esclusa la penale responsabilità dalla
sopravvenuta eliminazione della struttura.
Invero, l'avvenuto ripristino dello stato
dei luoghi all'esito dell'accertamento
dell'infrazione, è un mero elemento
indicativo della condotta positiva
dell'imputata da valutarsi favorevolmente in
sede di graduazione della pena ma che di per
sè non esclude la configurabilità del reato
neppure sotto il profilo psicologico del
reato (il privato che intende edificare non
può infatti ignorare la normativa vigente ed
è tenuto ad informarsi sulla necessità o
meno di titoli autorizzatori) (TRIBUNALE di
Nola,
sentenza 17.10.2005 - link a
www.iussit.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatto precario.
La natura “precaria” di un manufatto, ai
fini dell’esenzione della concessione
edilizia (ora, dal permesso di costruire)
non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione soggettivamente data
all’opera dal costruttore, ma deve
ricollegarsi all’intrinseca destinazione
materiale di essa a un uso realmente
precario e temporaneo, per fini specifici,
contingenti e limitati nel tempo, con
conseguente e sollecita eliminazione, non
essendo sufficiente che si tratti
eventualmente di un manufatto smontabile e/o
non infisso al suolo (nella specie, la Corte
ha ritenuto corretta e adeguatamente
motivata la decisione di merito che aveva
escluso il requisito della temporaneità, non
ravvisando un uso realmente precario di un
manufatto –con struttura in metallo e
copertura in materiale plastico, avente le
dimensioni di mq. 42,00 x 12,50 per
un’altezza di m. 7,50, appoggiato su di un
lato a un terrapieno esistente, previa
tompagnatura– stabilmente destinato a
servizio dell’attività imprenditoriale
svolta dall’imputato) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 10.06.2005 n. 21956 -
link a www.collegiogeometri.como.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
maggiore o minore facilità di rimozione non rileva, infatti,
ai fini della qualificazione di un’opera edilizia in termini
di precarietà.
Neppure assumono una valenza decisiva, in tal senso, la
struttura del manufatto abusivo, la sua tipologia o i
materiali utilizzati.
Ciò che rileva al fine della qualificazione di un’opera
edilizia come precaria è, invece (come affermato dalla
giurisprudenza consolidata e condiviso dal Collegio), la
funzione cui è obiettivamente finalizzata l’opera, con la
conseguenza che solamente le costruzioni destinate ab
origine al soddisfacimento di esigenze contingenti e
circoscritte nel tempo saranno esenti dall’obbligo della
concessione, mentre vi saranno assoggettate le opere
destinate ad una utilizzazione perdurante nel tempo.
---------------
La struttura realizzata dal ricorrente, in assenza di titolo
autorizzativo e sul balcone dell’alloggio di proprietà, è
costituita da un telaio a supporto di pannelli trasparenti
scorrevoli; detto telaio delimita completamente il perimetro
costituito dal parapetto del balcone ed è ancorato al
parapetto medesimo e all’intradosso della soletta
sovrastante.
Il manufatto abusivo è stato realizzato all’evidente fine di
migliorare la fruizione dell’alloggio, offrendo una
protezione dagli agenti atmosferici e ampliando gli spazi
utilizzabili.
Esso non è quindi destinato a soddisfare esigenze
temporanee, mediante una utilizzazione circoscritta nel
tempo, bensì è finalizzato ad un utilizzo tendenzialmente
durevole, con obiettivi caratteri di stabilità.
Ne consegue che l’opera edilizia, non connotabile in termini
di precarietà, era soggetta al rilascio di concessione
edificatoria.
---------------
L’assenza di connotati di precarietà del manufatto, peraltro
di non irrilevante impatto visivo, fa sì che la costruzione
abbia stabilmente modificato la superficie e la volumetria
dell’immobile.
Deve altresì osservarsi come l’opera in questione
costituisca sostanzialmente una veranda chiusa con superfici
trasparenti, seppure scorrevoli su pannelli mobili, la cui
apposizione all’edificio di abitazione ne ha alterato la
sagoma, realizzando una trasformazione edilizia duratura che
necessitava di concessione edilizia.
Ne consegue che legittimamente il Sindaco di Novara,
accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione,
ne ha disposto la rimozione.
E’ contestata nel presente giudizio la legittimità del
provvedimento R.G. n. 2 del 09.01.1998, notificato il
successivo 14 gennaio, con il quale il Sindaco di Novara ha
ordinato la rimozione della struttura realizzata dal
ricorrente, in assenza di titolo autorizzativo, sul balcone
dell’alloggio di proprietà (recte: dell’alloggio di
cui, all’epoca dei fatti, era promissario acquirente).
Il manufatto abusivo è costituito da un telaio a supporto di
pannelli trasparenti scorrevoli; detto telaio delimita
completamente il perimetro costituito dal parapetto del
balcone ed è ancorato al parapetto medesimo e all’intradosso
della soletta sovrastante.
Con l’unico motivo di gravame il ricorrente deduce
l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato dal
Comune di Novara, sostenendo che la struttura di cui è stata
ordinata la rimozione, “lungi dall’essere fissa ed
inamovibile”, è semplicemente fissata al parapetto del
balcone mediante tenute di sicurezza, paragonabili ai
sostegni utilizzati per l’installazione di tende parasole, e
costituirebbe pertanto opera precaria, non soggetta al
rilascio di concessione edilizia.
Il motivo è privo di pregio.
La maggiore o minore facilità di rimozione non rileva,
infatti, ai fini della qualificazione di un’opera edilizia
in termini di precarietà (cfr., ex multis, Cons.
Stato, sez. V, 23.01.1995, n. 97 e Cons. Stato, sez. V,
12.11.1996, n. 1317).
Neppure assumono una valenza decisiva, in tal senso, la
struttura del manufatto abusivo, la sua tipologia o i
materiali utilizzati (cfr. TAR Lombardia, Milano,
17.02.1997, n. 168).
Ciò che rileva al fine della qualificazione di un’opera
edilizia come precaria è, invece (come affermato dalla
giurisprudenza consolidata e condiviso dal Collegio), la
funzione cui è obiettivamente finalizzata l’opera, con la
conseguenza che solamente le costruzioni destinate ab
origine al soddisfacimento di esigenze contingenti e
circoscritte nel tempo saranno esenti dall’obbligo della
concessione, mentre vi saranno assoggettate le opere
destinate ad una utilizzazione perdurante nel tempo (cfr.,
ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 24.02.1996, n.
226).
Nel caso in esame, il manufatto abusivo è stato realizzato
all’evidente fine di migliorare la fruizione dell’alloggio,
offrendo una protezione dagli agenti atmosferici e ampliando
gli spazi utilizzabili.
Esso non è quindi destinato a soddisfare esigenze
temporanee, mediante una utilizzazione circoscritta nel
tempo, bensì è finalizzato ad un utilizzo tendenzialmente
durevole, con obiettivi caratteri di stabilità.
Ne consegue che l’opera edilizia, non connotabile in termini
di precarietà, era soggetta al rilascio di concessione
edificatoria.
Il ricorrente sostiene, in secondo luogo, che la
realizzazione della struttura abusiva, proprio in ragione
della sua “assoluta rimovibilità”, non avrebbe
comportato la modifica delle metrature dell’alloggio e del
suo perimetro.
Anche questa affermazione è destituita di fondamento.
Come già rilevato al punto precedente, infatti, l’assenza di
connotati di precarietà del manufatto, peraltro di non
irrilevante impatto visivo, fa sì che la costruzione abbia
stabilmente modificato la superficie e la volumetria
dell’immobile.
Deve altresì osservarsi come l’opera in questione
costituisca sostanzialmente una veranda chiusa con superfici
trasparenti, seppure scorrevoli su pannelli mobili, la cui
apposizione all’edificio di abitazione ne ha alterato la
sagoma, realizzando una trasformazione edilizia duratura che
necessitava di concessione edilizia.
Ne consegue che legittimamente il Sindaco di Novara,
accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione,
ne ha disposto la rimozione, ai sensi dell’articolo 7 della
legge 28.02.1985, n. 47 e dell’articolo 64 della legge
regionale Piemonte 05.12.1977, n. 56
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 26.04.2005 n. 1136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
COSTRUZIONE EDILIZIA - Opere
necessitanti il permesso di costruire -
Manufatti con carattere precario -
Individuazione.
In materia edilizia richiedono il rilascio
del permesso di costruire non soltanto i
manufatti tradizionalmente ricompresi nelle
attività murarie, ma anche le opere di ogni
genere con le quali si intervenga sul suolo
e nel suolo, indipendentemente dal mezzo
tecnico con il quale è stata assicurata la
stabilità del manufatto, che può anche
essere soltanto infisso o appoggiato al
suolo, atteso che la stabilità non va
confusa con la non rimovibilità della
struttura o con la perpetuità della funzione
ad esso assegnata, estrinsecandosi nella
oggettiva destinazione dell'opera a
soddisfare bisogni non provvisori (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.03.2005 n. 14044). |
anno 2004 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatto precario - Nozione -
Requisiti - Individuazione - Uso precario e
temporaneo - Fini specifici, contingenti e
limitati nel tempo - Fattispecie: casa in
legno in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico.
In materia edilizia, la natura "precaria" di
un manufatto -(Cass., Sez. 3^: 12.07.1995,
ric. Bottai; 02.07.1996, ric. De Marco;
04.10.1996, ric. Di Meo; 28.01.1997, ric.
Arcucci; 20.06.1997, ric. Stile; 18.02.1999,
ric. Bortolotti)- ai fini dell'esenzione
dalla concessione edilizia (oggi permesso di
costruire), non può essere desunta dalla
temporaneità della destinazione
subiettivamente data all'opera dal
costruttore ma deve ricollegarsi alla
intrinseca destinazione materiale di essa ad
un uso realmente precario e temporaneo, per
fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, non risultando peraltro sufficiente
la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio
al suolo (nello stesso senso Consiglio di
Stato, Sez. 5^: 23.01.1995, n. 97 e
15.06.2000, n. 3321) (fattispecie: casa in
legno (mq. 8,62 x 8,10), in corso di
costruzione, su platea in cemento, in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.09.2004 n. 37992 -
link a www.ambientediritto.it). |
anno 2003 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di impianti destinati a
serre, sono applicabili i criteri che
individuano nella materiale fissazione al
suolo il discrimine in ordine alla necessità
o meno della concessione edilizia.
Quest’ultima si rende quindi necessaria per
le serre stabilmente ancorate al terreno,
mediante basamenti in metallo od altro
materiale stabile, ma non per quelle la cui
struttura ha carattere precario.
La giurisprudenza distingue la natura
concretamente asportabile o meno di un
manufatto, facendo particolare affidamento
sulla sua destinazione abitativa. Così si
sono posti i casi delle roulotte o degli
alloggiamenti per chi lavora in un cantiere,
e tali fattispecie sono state risolte nel
senso indicato dalla motivazione del
provvedimento impugnato, richiamando la
nozione di concreta attuabilità della
rimozione del bene.
Tale parametro di giudizio non è però
adottabile in tutti i casi in cui si tratta
di un manufatto non adibito all’uso
abitativo.
Il carico urbanistico che può derivare da un
impianto come è quello di cui si tratta non
è comparabile con quanto risulta dalla
stabile destinazione di un fondo
all’abitazione, al commercio od
all’industria. Nella specie ci si deve
rifare ai criteri stabiliti dalla leggi
statali e da quella regionale, che
individuano nella materiale fissazione al
suolo il discrimine tra il manufatto che
necessita della concessione e quello
realizzabile con altri titoli.
Il giudice ben conosce la propria
giurisprudenza, che in altre occasioni aveva
utilizzato la nozione di rimuovibilità del
manufatto, argomentando dalla concreta
utilizzazione del bene, e non già dalla sua
consistenza fisica. Tuttavia va notato che
le serre che l’interessato ha impiantato nel
terreno posto in fregio alla cinta
cimiteriale di Avigliana sono del tipo
infisso al suolo, ma solo a mezzo di un
corpo metallico curvato ed infisso nel
terreno: gli atti di causa non hanno
evidenziato alcuna traccia di basamenti di
cemento od altro materiale stabile.
Non v’è peraltro alcuna prova della
stabilità dell’impianto disposto
dall’interessato, a proposito del quale deve
osservarsi che il presente giudizio riguardo
solo la compatibilità delle serre con le
norme urbanistiche, senza che possa venire
in considerazioni l’aspetto commerciale;
un’eventuale iniziativa della p.a. in tal
senso potrà essere assunta nei modi più
idonei, che non sono quelli adottati in
questa sede.
Ne consegue la fondatezza della
prospettazione del motivo in rassegna,
secondo cui l’amministrazione non ha fatto
corretta applicazione dei principi
denunciati, che richiedono la concessione
solo per le serre che sono stabilmente
ancorate al terreno, ovvero allorché ci sia
la prova che il precario manufatto ha avuto
una destinazione stabile ad opera del
proprietario
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.02.2003 n. 194 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è costruzione precaria la realizzazione di
una veranda preordinata a soddisfare
esigenze non contingenti o di breve termine.
Costituisce nuova costruzione, o ampliamento
della costruzione esistente, la veranda in
questione, in quanto, sotto il profilo
strutturale, è stabilmente infissa al suolo,
con profondità dalla parete esterna al
pilastro di sostegno di mt. 5,20, con
dimensioni planimetriche di mt. 7,15 x 5,07
e con un’altezza nella parte superiore di mt.
2,85 e nella parte inferiore di mt. 2,80; e,
sotto il profilo funzionale, è preordinata a
soddisfare la non precaria esigenza del
titolare di un pubblico esercizio (Cons.
Stato, sez. V, 20.03.2000, n. 1507 e
07.10.1996, n. 1194; Cass. pen., sez. III,
12.05.1995, n. 1758 e 06.04.1988) (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.01.2003 n. 419 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla precarietà o meno di una
serra e conseguente necessità o meno della
preventiva concessione edilizia.
La realizzazione di un impianto di serre per
floricoltura stabilmente ancorate al suolo
costituisce modificazione apprezzabile del
territorio, tale da richiedere il preventivo
rilascio della concessione edilizia (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza
29.05.2002 n. 33158). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sugli interventi edilizi "precari" e loro
correlazione con ambiti territoriali
vincolati (link a
www.sistemieditoriali.it). |
anno 2001 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia ed urbanistica -
Concessione edilizia - Concessione edilizia
"a titolo precario" - Illegittimità.
E’ illegittimo il rilascio di una
concessione edilizia "a titolo precario"
(nella specie, per l’installazione di una
stazione radio-base per la telefonia
cellulare), nel caso in cui la precarietà
della concessione appaia elemento essenziale
all’atto e non possa configurarsi alla
stregua di un mero elemento accidentale,
atteso che il rilascio di concessioni
edilizie a titolo precario non appare
riconducibile ad alcuna specifica
disposizione normativa (TAR Veneto, Sez. II,
sentenze 18.06.2001 nn. 1587-1588
- link a www.lexitalia.it). |
anno 2000 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L. Ramacci,
INTERVENTI PRECARI E VINCOLO PAESAGGISTICO
(link a www.tuttoambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione - Necessità -
Precarietà del manufatto - Esclusione -
Presupposti.
La precarietà di un manufatto, tale per cui
la sua realizzazione non necessiterebbe di
concessione edilizia, non dipende dai
materiali utilizzati o dal sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso cui è
destinato sicché la stessa precarietà va
esclusa allorché si tratti di un manufatto
destinato a dare un'utilità prolungata nel
tempo e ciò indipendentemente dalla sua
eventuale rimozione (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 21.11.2000 n. 2346 -
link a www.sentenzetoscane.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Concessione - Necessità -
Precarietà del manufatto - Esclusione -
Presupposti.
1. - La precarietà di un manufatto, tale per
cui la sua realizzazione non necessiterebbe
di concessione edilizia, non dipende dai
materiali utilizzati o dal sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso cui è
destinato sicché la stessa precarietà va
esclusa allorché si tratti di un manufatto
destinato a dare un'utilità prolungata nel
tempo e ciò indipendentemente dalla sua
eventuale rimozione.
_____________________
1. - Conforme Corte di Cassazione, Sezione III penale, 12.07-19.10.1999 n.
11839, in Rass. Cons. Stato, 2000, parte II,
pag. 989 (massima tratta da
www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 21.11.2000 n.
2346 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' legittima l'ingiunzione a
demolire relativa a un container installato
senza concessione edilizia su terreno
agricolo, non infisso al suolo, e destinato
a deposito di attrezzi.
Affinché un manufatto possa ritenersi
precario, e quindi esentato dalla
concessione edilizia, assume rilievo l'uso a
cui è destinato e non il materiale
utilizzato o il sistema di ancoraggio al
suolo.
La precarietà è esclusa ove trattasi di
struttura destinata a dare un'utilità
permanente nel tempo.
Non assume rilievo la provvisorietà della
destinazione data dal proprietario, la quale
va invece valutata alla luce della sua
obiettiva e intrinseca destinazione
naturale.
L'installazione non meramente occasione di
un prefabbricato (nel caso di specie un
container) comporta alterazione dello stato
dei luoghi e incide sull'assetto
urbanistico-edilizio del territorio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.06.2000 n. 3321 -
link a www.bosettiegatti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E’
soggetta al previo rilascio della
concessione edilizia l’installazione di una
serra che, pur costituita da strutture
agevolmente rimuovibili, è destinata a far
fronte ad esigenze continuative connesse a
coltivazioni ortofrutticole, essendo ciò
destinato ad alterare in modo duraturo
l’effetto urbanistico-territoriale.
Il giudice di primo grado ha rettamente
osservato che dagli atti (e dalla
documentazione fotografica) acquista al
giudizio risulta che le serre in questione,
costituite da tubi ed intelaiature
metalliche su cui vengono stesi teloni di
plastica, formano, ciascune, strutture
larghe metri 7 ed alte metri 4,30
sviluppantesi in lunghezza per parecchie
decine di metri, a forma di tunnel.
Dette intelaiature sono interrate e tenute
saldamente insieme con sbarre trasversali e
danno luogo e strutture, che, sebbene
agevolmente rimmovibili, sono destinate a
far fronte ad esigenze continuative connesse
a coltivazioni ortofrutticole, come è
dimostrato dal posto che l’intero complesso
metallico portante resta fisso, venendo
nella stagione estiva solo sostituita le
coperture in plastica con reti a velo (per
la protezione da insetti e uccelli).
Le serre in questione costituiscono dunque
strutture di rilevante consistenza destinate
ad alterare in modo duraturo l’assetto
urbanistico-ambientale.
Tanto basta per ritenere tale struttura
comportano una trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio, che, in quanto
tale, necessita della concessione edilizia
ai sensi dell’art. 1 della legge 28.01.1977
n. 10
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.06.2000 n. 3247 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul rilascio della concessione
edilizia con la clausola di "manufatto
precario".
Le condizioni e le prescrizioni apposte alle
concessioni e alle autorizzazioni edilizie
non possono derogare dalle previsioni della
disciplina urbanistica.
In particolare, apporre (o imporre) al
provvedimento la clausola che si tratti di
manufatto "precario", non consente di
superare la disciplina urbanistica vigente,
il contrasto con la quale non è ammesso
nemmeno in caso di supposta (o imposta)
precarietà (Consiglio di Stato, sez. V,
sentenza 20.03.2000 n. 1507 -
link a www.bosettiegatti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla precarietà o meno di una serra e
conseguente necessità o meno della
preventiva concessione edilizia.
Le serre, allorquando in tutto o in parte
siano strutturalmente e stabilmente inserite
al suolo, apportando modificazioni
all’assetto del territorio, sono soggette a
controllo urbanistico nella forma della
concessione (Corte di Cassazione, Sez. III
penale, sentenza 10.01.2000 n. 22). |
anno 1994 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Risposta a
quesiti in merito individuazione categoria
opere precarie e relativo regime
urbanistico-edilizio (parere
23.11.1994 n. 30070/94 di prot.-
link a www.provincia.ps.it).
Rispetto al tema della sussistenza del
requisito della precarietà di un manufatto
edilizio, requisito che comporta
l’inesistenza dell’obbligo del preventivo
rilascio della concessione, l’orientamento
della giurisprudenza è particolarmente
rigoroso (cfr.Pret. Lucca, 07.12.1988, in
Riv. giur. edilizia, 1989, I, 458; Pret.
Buccino, 06.06.1989, in Riv. pen., 1990,
583; App. Trento, 24.02.1989, in Riv. pen.,
1989, 1199; Cass., sez. III, 02.07.1987, in
Giust. pen.,1988, II, 346; Cass., sez. III,
09.10.1987, in Riv. giur. edilizia, 1989, I,
437; TAR Sicilia, Palermo, sez. I,
20.08.1990, n.531, in TAR, 1990, I, 3679;
TAR Lazio, sez. II, 03.10.1990, n. 1725, in
TAR, 1990, I, 3761; TAR Abruzzo, sez.
L’Aquila, 20.12.1990, n. 649, in TAR, 1991,
I, 627; Cons. Stato, sez. V, 21.05.1982, n.
424; Cons. Stato, sez. V, 05.05.1988, n.
275, in Foro amm.vo., 1988, 1371); in
particolare la prevalente giurisprudenza
ritiene che per la sussistenza del suddetto
requisito non sia sufficiente che si tratti
di manufatti smontabili e non infissi al
suolo (criterio strutturale), ma sia
necessario altresì che l’opera, valutata
alla luce della sua oggettiva ed intrinseca
destinazione naturale, sia oggettivamente
destinata ad un uso realmente precario e
temporaneo, per fini specifici e
cronologicamente delimitati (criterio
funzionale di tipo oggettivo). Ne consegue
che ai fini della qualificazione di un’opera
come precaria e provvisoria, non rileva la
temporaneità della destinazione
subiettivamente data all’opera dal
costruttore (ad esempio non è sufficiente
che il costruttore si dichiari disposto a
rimuovere ad una certa data quanto
realizzato), mentre la facilità della sua
futura demolizione o rimovibilità non è
elemento di per sé sufficiente, andando
riconosciuto alla consistenza e alla
struttura materiale del manufatto,
unicamente il valore di "indici"
significativi, ma non necessariamente
decisivi.
L’istituto della concessione "in precario",
ignorato dall’ordinamento vigente, è
tuttavia emerso nella prassi amministrativa
dei Comuni ed è stato valutato in modo assai
differenziato dalla giurisprudenza. In una
pronuncia del TAR Lazio del 25.05.1985,
n.1488 (in TAR, 1985, I, 2084) è stato
ritenuto "che con la concessione edilizia
munita della clausola di precarietà può
essere consentita l’edificazione a titolo
transeunte, al fine di sopperire ad esigenze
immediate anche nel caso di incompatibilità
dell’insediamento autorizzato con le
previsioni dello strumento urbanistico
vigente o in itinere ed in attesa che la
zona riceva la propria definitiva
sistemazione in armonia con le previsioni di
piano. Il titolare dell’anzidetto atto
permissivo è pertanto autorizzato a
realizzare l’opera ed a conservarla finché
permanga la situazione transitoria che diede
origine alla concessione e cioè fino a
quando l’insediamento non si ponga in
concreto ed immediato ostacolo con
l’attuazione di quelle previsioni di piano
la cui esistenza giustificò l’apposizione
della clausola di precarietà".
Viceversa nel senso dell’inammissibilità sul
piano giuridico dell’istituto della
concessione "in precario", vanno segnalate,
e sono altresì condivise sul punto dallo
scrivente servizio, sia la pronuncia n. 222
del TAR Puglia, sez. Bari, 28.05.1984 (in
TAR, I, 1984, 2839), secondo cui la tipicità
del provvedimento di rilascio di concessione
edilizia, caratterizzato dalla durata ed
irrevocabilità dell’atto concessivo, esclude
la possibilità per l’Amministrazione
comunale di considerare sanata una
situazione di palese abuso edilizio, sulla
base del solo impegno dei costruttori di
rimuovere in futuro i manufatti contrastanti
con le indicazioni di piano regolatore
generale, su richiesta dello stesso Comune e
preavviso di un mese; sia la pronuncia n.
280 del Consiglio di Stato, sez.V,
18.03.1991 (in Riv. giur. edil., I, 1991,
620), secondo la quale è da considerare
illegittimo il rilascio di concessioni
edilizie "precarie" in quanto le norme
urbanistiche prevedono un solo tipo di
provvedimento che abilita a costruire,
legato a determinati presupposti, e in
particolare "nelle varie fattispecie di
esercizio dello jus aedificandi del privato,
i casi sono due: o i presupposti
necessitanti il rilascio del provvedimento
che abilita a costruire non ricorrono, e
allora l’opera è esente dal controllo
pubblico, oppure essi ricorrono, e allora la
licenza (ora concessione) edilizia tipica è
indefettibilmente necessaria e non
surrogabile da un atipico provvedimento di
carattere provvisorio". |
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