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56-DURC
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58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
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60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
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66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
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89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
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101-SCOMPUTO OO.UU.
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dossier OPERE PRECARIE
anno 2022

EDILIZIA PRIVATA: Necessita del titolo edilizio anche per la realizzazione di una piscina.
Invero, “tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno, e fra essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede.
Pertanto, la realizzazione di una piscina è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto comporta una durevole trasformazione del territorio”.
---------------
Anche per la costruzione di un box necessita del titolo edilizio che, nonostante le ridotte dimensioni, è pur sempre un volume nuovo, destinato a funzioni durevoli nel tempo (non precarie o temporanee) e come tali comportanti ampliamento di superficie e volume.
Invero, “la precarietà o meno di un manufatto ed il suo regime giuridico dal punto di vista urbanistico è correlata alla destinazione dell'opera, con la conseguenza che l'installazione di un box prefabbricato, attraverso semplice appoggio e senza ancoraggio al suolo, non sottrae, di per sé, l'intervento al regime concessorio”.
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Nei limiti di quanto dedotto nel presente giudizio, il titolo edilizio sarebbe stato peraltro necessario anche per la realizzazione della piscina (TAR Napoli, sez. VI, 07/01/2022, n. 105, secondo la quale “tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno, e fra essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede. Pertanto, la realizzazione di una piscina è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto comporta una durevole trasformazione del territorio”) come pure per il box, che, nonostante le ridotte dimensioni, è pur sempre un volume nuovo, destinato a funzioni durevoli nel tempo (non precarie o temporanee) e come tali comportanti ampliamento di superficie e volume (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 11/06/2020, n. 3730, secondo cui “la precarietà o meno di un manufatto ed il suo regime giuridico dal punto di vista urbanistico è correlata alla destinazione dell'opera, con la conseguenza che l'installazione di un box prefabbricato, attraverso semplice appoggio e senza ancoraggio al suolo, non sottrae, di per sé, l'intervento al regime concessorio”) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-stralcio, sentenza 22.07.2022 n. 10502 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Conformemente alla ormai univoca giurisprudenza amministrativa, va esclusa ogni rilevanza alla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, atteso che il requisito della doppia conformità deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità.
---------------
Non vi è coincidenza tra precarietà e utilizzo stagionale delle opere qualora le cicliche esigenze stagionali vadano a trasformare in modo durevole l’area scoperta preesistente con conseguente impatto sul territorio.
Ed invero, «i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale».
Ne discende che la realizzazione di interventi non meramente manutentivi, ma determinanti la creazione di superfici utili o volumi, con conseguente aumento di carico urbanistico, richiede la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, che è un titolo autonomo non conseguibile a sanatoria ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 146 e 167, commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42/2004.
---------------
Nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (specie dopo l’entrata in vigore, a regime, dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004), il previo parere della Soprintendenza ha natura vincolante».
In ogni caso, la giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare che, anche in presenza di un permesso di costruire, l’inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio anche dell’autorizzazione paesaggistica, trattandosi di titoli che hanno contenuti differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e di ambedue i titoli, sicché il permesso di costruire, in assenza del nulla osta paesaggistico, è inefficace.
---------------

1. L’odierno appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la -OMISSIS-, sede -OMISSIS-, avverso: il provvedimento del Comune di Polignano a Mare prot. n. -OMISSIS-, avente ad oggetto «diffida all’esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande in località -OMISSIS-. Diffida al conferimento di rifiuti ai contenitori ubicati sul territorio comunale»; dell’ivi richiamato verbale di atti di accertamento del 18.05.2009, prot. n. -OMISSIS-.; la nota del Comune di Polignano a Mare prot. n. -OMISSIS-, avente ad oggetto «divieto di prosecuzione dell’esercizio di attività abusiva di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande» e del richiamato verbale del 18.05.2009; all’occorrenza, l’ordinanza di sospensione lavori del Comune di Polignano a Mare n. -OMISSIS-.
...
Il diniego di istanza di permesso di costruire in sanatoria è basato su plurimi motivi ostativi alla doppia conformità, trattandosi di opere realizzate su un’area in concessione demaniale e con vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo 42/2004.
Al riguardo, conformemente alla ormai univoca giurisprudenza amministrativa, va esclusa ogni rilevanza alla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, atteso che il requisito della doppia conformità deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità (ex aliis, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 17.02.2021, n. 1457, 04.01.2021, n. 43, e 18.07.2016, n. 3194).
Ciò posto, è assorbente quanto precisato nel parere contrario della Soprintendenza del 13.10.2010 sul riscontrato aumento di volume e superficie utile del chiosco, trattandosi di struttura chiusa su tre lati, con una conseguente variazione essenziale rispetto al progetto assentito nel 2003, a cui non è applicabile “mini-sanatoria” paesaggistica di cui all’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004.
In proposito va evidenziato che non vi è coincidenza tra precarietà e utilizzo stagionale delle opere qualora le cicliche esigenze stagionali vadano a trasformare in modo durevole l’area scoperta preesistente con conseguente impatto sul territorio. Ed invero, «i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale» (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 03.06.2014, n. 2842; nello stesso senso cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione IV, decisione 22.12.2007, n. 6615; Consiglio Stato, sezione V, decisione 12.12.2009, n. 7789; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 01.12.2014, n. 5934).
Ne discende che la realizzazione di interventi non meramente manutentivi, ma determinanti la creazione di superfici utili o volumi, con conseguente aumento di carico urbanistico, richiede la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, che è un titolo autonomo non conseguibile a sanatoria ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 146 e 167, commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42/2004.
Nel caso di specie è stata cagionata inoltre un’alterazione dello stato dei luoghi determinata dallo scavo del banco di roccia per la realizzazione della fossa di tipo Imhoff, non prevista dalle concessioni demaniali e dal permesso di costruire, che non autorizzavano alcun tipo di scavo della roccia, ma soltanto l’installazione di bagni chimici e facendo comunque salva la necessità di realizzarle nell’ambito dell’area oggetto della concessione, e non fuori da essa, come, invece, in concreto verificatosi.
Sul punto è inconferente il richiamo all’art. 11 della legge regionale della -OMISSIS- n. 17/2006 recante l’obbligo in capo al concessionario di stabilimento demaniale marittimo di garantire i servizi minimi (igienico-sanitari, docce e chiosco-bar), poiché tale obbligo va ottemperato nel rispetto della normativa e non autorizza ovviamente la realizzazione di opere abusive.
Con riferimento all’occupazione abusiva del demanio marittimo per la realizzazione di tali opere, la normativa di settore non prevede la possibilità di una specifica sanatoria, non avendo peraltro il pagamento dell’indennità per l’occupazione abusiva alcun effetto sanante; diversamente opinando, infatti, si darebbe ingresso ad un’illegale sanatoria atipica demaniale e si aggirerebbe l’obbligo di una procedura di evidenza pubblica aperta a tutti gli operatori economici interessati propedeutica all’affidamento della concessione.
Ne deriva che l’amministrazione comunale non avrebbe potuto in alcun modo accoglier l’istanza di sanatoria edilizia, stante la natura vincolata del predetto parere negativo di compatibilità paesaggistica poiché, «nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (specie dopo l’entrata in vigore, a regime, dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004), il previo parere della Soprintendenza ha natura vincolante» (Consiglio di Stato, sezione VI, 08.08.2018, n. 5770); in ogni caso, la giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare che, anche in presenza di un permesso di costruire, l’inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio anche dell’autorizzazione paesaggistica, trattandosi di titoli che hanno contenuti differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e di ambedue i titoli, sicché il permesso di costruire, in assenza del nulla osta paesaggistico, è inefficace (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 14.12.2015, n. 5663, 13.04.2016, n. 1436, e 21.05.2021, n. 3952).
Ne consegue peraltro che ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990 qualsivoglia vizio formale e procedimentale verrebbe sterilizzato dalla natura vincolata e necessitata del diniego di sanatoria edilizia adottato dal Comune (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 14.10.2021 n. 6912 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Circa la costruzione di una tenda con tubolari in alluminio anodizzato laterali fissati al suolo, è da escluderne la sua natura precaria, in quanto la circostanza che la tenda si sostenga con tubolari in alluminio anodizzato laterali fissati al suolo, ne dimostra, da un lato, la sua non immediata rimovibilità, dall’altro la sua reale funzione, quella di consentire un determinato uso, tutt’altro che temporaneo, dello spazio esterno.
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3.- Riguardo all’opera realizzata nell’area cortilizia, indicata al punto 2) dell’ordinanza impugnata (tenda con tubolari in alluminio anodizzato laterali fissati al suolo), è da escluderne la sua natura precaria, in quanto la circostanza che la tenda si sostenga con tubolari in alluminio anodizzato laterali fissati al suolo, ne dimostra, da un lato, la sua non immediata rimovibilità, dall’altro la sua reale funzione, quella di consentire un determinato uso, tutt’altro che temporaneo, dello spazio esterno (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II, 22.12.2017, n. 12632; Tar Liguria, sez. I, 12.02.2015, n. 177) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 12.09.2018 n. 5464 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria.
Ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco dell’anno, atteso che:
   a) le modalità di installazione e rimozione di una struttura sono indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella di realizzare un vano chiuso);
   b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.
La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione
».

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Nell’Intesa sottoscritta il 20.10.2016, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 05.06.2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni, concernente l’adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all’articolo 4, comma 1-sexies del DPR 06.06.2001, n. 380, la veranda è stata definita (nell’Allegato A) «Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili.
La “veranda”, così intesa, «è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire
».

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Allo stesso modo, «l’installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria (Cons. Stato, Sez. VI, 05/08/2013 n. 4089; Sez. V, 08/04/1999, n. 394; 26/10/1998 n. 1554). Ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco dell’anno, atteso che:
   a) le modalità di installazione e rimozione di una struttura sono indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella di realizzare un vano chiuso);
   b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.
La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (Cass. Pen., Sez. III, 08/02/2007 n. n. 5350)
» (Cons. di Stato, V, sent. n. 1822/2016).
Come già osservato dal Consiglio di Stato, «nell’Intesa sottoscritta il 20.10.2016, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 05.06.2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni, concernente l’adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all’articolo 4, comma 1-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, la veranda è stata definita (nell’Allegato A) «Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili». La “veranda”, così intesa, «è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire» (sez. VI, sent. n. 306/2017)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 24.02.2020 n. 837 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAA norma dell’all'art. 6, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 380/2001, la realizzazione di "serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola", costituisce attività edilizia libera.
Sul punto gli insegnamenti della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato convergono nel ritenere la necessità del permesso di costruire, laddove i manufatti presentino requisiti di stabilità o di rilevante consistenza, tale da alterare in modo duraturo l'assetto urbanistico-ambientale.
In altri termini, sono soggetti a permesso di costruire, tutti gli interventi che, indipendentemente dalla realizzazione di volumi, incidono sul tessuto urbanistico del territorio, determinando una trasformazione in via permanente del suolo inedificato.
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Secondo la consolidata giurisprudenza, "la 'precarietà' dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e.5), D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante".
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7. Come già evidenziato in sede cautelare, è preliminare allo scrutinio delle censure articolate dai ricorrenti la dedotta natura di serre mobili stagionali dei manufatti oggetto dell’ordinanza gravata.
Va rammentato infatti a norma dell’all'art. 6, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 380/2001, la realizzazione di "serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola", costituisce attività edilizia libera.
Sul punto gli insegnamenti della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato convergono nel ritenere la necessità del permesso di costruire, laddove i manufatti presentino requisiti di stabilità o di rilevante consistenza, tale da alterare in modo duraturo l'assetto urbanistico-ambientale (cfr. Cass. pen. Sez. 3 n. 50649 dell'08.11.2018 e Consiglio di Stato sez. VI, 15.04.2019, n. 2438).
In altri termini, sono soggetti a permesso di costruire, tutti gli interventi che, indipendentemente dalla realizzazione di volumi, incidono sul tessuto urbanistico del territorio, determinando una trasformazione in via permanente del suolo inedificato.
7.1. Tanto premesso, applicando le evidenziate coordinate ermeneutiche, alla fattispecie in esame deve pervenirsi alla conclusione che le serre realizzate dai ricorrenti non sono sussumibili nella tipologia delineata dall'art. 6, comma 1, lettera e), del d.P.R. n. 380/2001, in quanto caratterizzate da elementi di stabilità costruttiva che portano ad escluderne la precarietà e la stagionalità.
E’ pacifico che i manufatti per cui è causa siano non precari ma stabili, perché funzionali a soddisfare le esigenze dell’impresa agricola del signor Pa.Pa., essi pertanto vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie.
Ciò in quanto il manufatto non precario, nel caso di specie le serre o meglio i tunnel serra ad uso stagionale, non risultano in concreto deputati ad un uso per fini contingenti ma, al contrario, sono destinati ad un utilizzo protratto nel tempo, ovvero allo svolgimento dell'attività agricola facente capo ad uno dei ricorrenti.
Secondo la consolidata giurisprudenza, "la 'precarietà' dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e.5), D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante" (Consiglio di Stato, VI, 04.09.2015, n. 4116).
Il fatto che le serre di proprietà dei ricorrenti, pur costituite da strutture agevolmente rimovibili, siano destinate a far fronte ad esigenze continuative connesse alle coltivazioni ortofrutticole appare ulteriormente provato dalla circostanza che i manufatti siano ancorati al suolo tramite plinti di cemento, dato questo ultimo che valutato insieme alla rilevante consistenza dei manufatti realizzati (circa quattro ettari), testimonia della idoneità di essi ad alterare in modo duraturo l'assetto del territorio e, conseguentemente, della necessità del previo rilascio della concessione edilizia per la loro realizzazione (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 18.02.2020 n. 116 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Le opere stagionali, ancorché la loro costruzione venga rinnovata nel tempo, non possano considerarsi precarie.
La natura precaria del manufatto va intesa, ai fini dell’identificazione del relativo regime abilitativo edilizio, non tanto e non solo con riferimento alla consistenza strutturale e dell’ancoraggio al suolo dei materiali di cui si compone, ma in termini funzionali, ovvero occorre accertare se si tratta di un’opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in modo da poter essere agevolmente rimossa.
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La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il carattere stagionale dell’uso del manufatto non implica la provvisorietà dell’attività, né di per sé la precarietà del manufatto ove si svolge, anzi il rinnovarsi dell’attività con frequenza stagionale è indicativo della stabilità dell’attività e dell’opera a ciò necessaria.
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Il manufatto in questione (
manufatto in legno adibito a bar delle dimensioni di mt 3.00 x mt 3.00 e di altezza di circa mt 6.00), quand’anche fosse strutturalmente amovibile, deve essere considerato, ai sensi dell’art. 3, lettera e), del d.P.R. n. 380/2001, un intervento di nuova costruzione che ai sensi dell’art. 10 dello stesso decreto necessita di permesso di costruire e, di converso, se realizzato in assenza del permesso di costruire, se ne deve ordinare la demolizione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.
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L
a natura abusiva dall’opera comporta l’impossibilità di riconoscere in capo all’autore un affidamento tutelabile sulla presunta conformità di essa alla legge, avendo il legislatore stabilito, senza spazio per valutazioni discrezionali in sede amministrativa, che l’interesse alla conservazione dell’abuso edilizio –interesse di mero fatto poiché ha titolo in una attività illecita- non è meritevole di alcuna tutela come non può esserlo l’ignoranza del disvalore giuridico di un’azione contraria alla legge.
Occorre infine ribadire che gli abusi edilizi sono considerati una lesione permanente dei valori ambientali e della funzione di governo del territorio con la conseguenza che la vigilanza e i connessi poteri sanzionatori costituiscono attività vincolata finalizzata a ripristinare le condizioni ambientali alterate dagli abusi nell’esercizio del potere repressivo di cui agli articoli 27 e seguenti del d.P.R. n. 380/2001.
Proprio la natura vincolata dell’attività di repressione degli abusi edilizi, comporta poi che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento non ha alcun effetto invalidante del provvedimento conclusivo ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990.

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... per l'annullamento dell’ordinanza di demolizione e di rimessa in pristino del 03.05.2018 prot. n. 1338, notificata il successivo 08.05.2018 con la quale il Comune di Campotosto ha ordinato al sig. Le.Gi. nato a L'Aquila il ... residente a Campotosto in frazione Mascioni, via ... n. 62 c.f. ..., di demolire ovvero rimuovere, entro 90 giorni dalla data di notifica del presente provvedimento, il manufatto in legno adibito a bar delle dimensioni di mt 3.00 x mt 3.00 e di altezza di circa mt 6.00 sito il località “Ponte stecche” sul terreno riportato in catasto al n. 299 e 300 del foglio 40 del Comune di Campotosto.
...
Il ricorrente riferisce di essere comodatario avente causa dalla società ENEL S.p.a. della particella n. 299 del foglio 40 del catasto terreni del Comune di Campotosto, sulla quale nel 2013 ha realizzato e recintato un manufatto amovibile in legno per l’esercizio di attività stagionale di somministrazione di alimenti e bevande, segnalata al Comune di Campotosto con successive SCIA.
Con due motivi del ricorso in decisione Gi.Le. impugna l’ordinanza con la quale il Comune di Campotosto gli ha intimato la demolizione del manufatto in quanto abusivo.
...
Il ricorso è infondato.
La natura precaria del manufatto va intesa, ai fini dell’identificazione del relativo regime abilitativo edilizio, non tanto e non solo con riferimento alla consistenza strutturale e dell’ancoraggio al suolo dei materiali di cui si compone, ma in termini funzionali, ovvero occorre accertare se si tratta di un’opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in modo da poter essere agevolmente rimossa.
L’opera, di superficie pari a nove metri quadrati e altezza di m. 2.50 (così descritta nel provvedimento impugnato), serve per la vendita stagionale di generi alimentari e dal 2013 occupa lo stesso sedime del quale il ricorrente riferisce di poter disporre a titolo di comodato.
Tuttavia il nulla osta dell’Ente parco, che il ricorrente indica a sostegno della legittimità del manufatto, ha validità permanente, a dimostrazione del fatto che si tratta di un’opera destinata ad un uso, non già provvisorio, né connesso ad esigenze contingenti, ma destinato a rinnovarsi annualmente in primavera, come si evince dalle SCIA commerciali che ininterrottamente, dal 2013 al 2015, il ricorrente ha presentato al Comune di Campotosto.
In proposito va osservato che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che il carattere stagionale dell’uso del manufatto non implica la provvisorietà dell’attività, né di per sé la precarietà del manufatto ove si svolge, anzi il rinnovarsi dell’attività con frequenza stagionale è indicativo della stabilità dell’attività e dell’opera a ciò necessaria (Consiglio di stato, sez. 6, 21.02.2017, n. 795; Consiglio di Stato, sez. VI, 03.06.2014, n. 2842; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 13.03.2017 n. 409; Cass. pen. sez. III, 30.06.2016 n. 36107).
Non ricorre poi la deroga prevista dall’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380/2001 che esonera dal preventivo rilascio del permesso di costruire i manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, che di norma vi sono soggetti, quando essi siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore.
Il ricorrente, che a detta deroga fa espresso riferimento, non prova però che il manufatto in questione sia ricompreso in una struttura ricettiva all’aperto, ma si limita ad allegare di essere titolare di un contratto di gestione decennale dell’area comunale di sosta per camper allestita su aree identificate da particelle catastali diverse da quelle sulle quali insiste il manufatto in legno.
Peraltro si evince agevolmente dalla consultazione per via telematica del “Geoportale cartografico catastale dell’Agenzia delle Entrate”, liberamente accessibile, che le particelle nn. 226, 227 e 751 di sedime dell’area di sosta non sono neppure contigue alla particella n. 300 sulla quale -come asserito dal Comune e non contestato dal ricorrente– insiste quasi per intero il chiosco da questi realizzato.
Ne consegue che, come correttamente osservato dal Comune, il manufatto in questione, quand’anche fosse strutturalmente amovibile, deve essere considerato, ai sensi dell’art. 3, lettera e), del d.P.R. n. 380/2001, un intervento di nuova costruzione che ai sensi dell’art. 10 dello stesso decreto necessita di permesso di costruire e, di converso, se realizzato in assenza del permesso di costruire, se ne deve ordinare la demolizione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.
Inoltre l’ordinanza di demolizione fa espresso rinvio all’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001 sul presupposto, parimenti incontestato, che il manufatto insiste in gran parte su suolo di proprietà del Comune su suolo demaniale, indisponibile da parte di soggetti diversi dall’Ente proprietario se non per atto di concessione.
Sul punto, che smentisce la legittimazione asserita del ricorrente a conseguire un titolo abilitativo sul presupposto che abbia la disponibilità del suolo ove insiste il manufatto, il ricorrente non muove alcuna censura.
Non ha alcuna rilevanza poi il fatto che l’Ente Parco nazionale “Gran Sasso e Monti della Laga” abbia rilasciato il nulla osta permanente alla realizzazione dell’opera in quanto ogni intervento realizzato su area soggetta a vincolo paesaggistico è soggetta al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica regionale o del Comune, eventualmente a tal fine delegato, anche se trattasi di opera temporanea, precaria e amovibile.
Lo si evince a contrario dall’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004 che elenca le opere che non necessitano dell’autorizzazione, fra le quali non figura la tipologia cui è riconducibile il manufatto in questione.
Quanto detto esclude che le segnalazioni rivolte al Comune dal ricorrente d’inizio attività edilizia o commerciale possano aver, da un lato, legittimato la realizzazione del fabbricato e, dall’altro, aver determinato un affidamento incolpevole sulla conformità dello stesso al regime edilizio vigente.
Sotto il primo profilo è evidente che l’ordine di demolizione non implica l’annullamento in autotutela –tanto meno tardivo per decorso del termine di cui all’art. 21-nonies- di un precedente titolo edilizio d’iniziativa privata per l’evidente ragione che la presentazione di una DIA o SCIA non produce alcun effetto se ha ad oggetto un l’intervento che, come in specie, deve essere assentito con permesso per costruire.
Ne consegue, sotto il secondo profilo, la natura abusiva dall’opera e l’impossibilità di riconoscere in capo all’autore un affidamento tutelabile sulla presunta conformità di essa alla legge, avendo il legislatore stabilito, senza spazio per valutazioni discrezionali in sede amministrativa, che l’interesse alla conservazione dell’abuso edilizio –interesse di mero fatto poiché ha titolo in una attività illecita- non è meritevole di alcuna tutela come non può esserlo l’ignoranza del disvalore giuridico di un’azione contraria alla legge.
Occorre infine ribadire che gli abusi edilizi sono considerati una lesione permanente dei valori ambientali e della funzione di governo del territorio con la conseguenza che la vigilanza e i connessi poteri sanzionatori costituiscono attività vincolata finalizzata a ripristinare le condizioni ambientali alterate dagli abusi nell’esercizio del potere repressivo di cui agli articoli 27 e seguenti del d.P.R. n. 380/2001 (Cons. St., Ad. Plen., 17.10.2017, n. 9).
Il primo motivo pertanto è respinto.
Proprio la natura vincolata dell’attività di repressione degli abusi edilizi, comporta poi che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento non ha alcun effetto invalidante del provvedimento conclusivo ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990.
Anche il secondo motivo pertanto è respinto (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 27.05.2019 n. 273 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un box-container, stabilmente appoggiato al terreno, pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio.
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Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico.

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7 – Con un’ulteriore censura si deduce la violazione dell’art. 7 della l. 47/1985 in relazione all’art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 e all’art. 7 d.l. 663 del 1981.
Secondo la prospettazione dell’appellante, la realizzazione della tettoia e del box-container non necessitavano della concessione edilizia, bensì della autorizzazione ex art. 10 della legge 47/1985.
7.1 - La censura è infondata.
In primo luogo, deve evidenziarsi l’inconferenza della giurisprudenza citata nell’atto di appello riferibile alla differente sanzione dell’acquisizione gratuita, trattandosi, come già innanzi spiegato, di una sanzione differente ed autonoma rispetto alla demolizione.
Da un altro punto di vista, l’appellante non introduce alcun elemento concreto dal quale desumere che le opere in questione –tettoia e box– non debbano essere soggette a licenzia edilizia.
7.2 - In particolare, per quanto riguarda il box, valgono le considerazioni già espresse dal TAR, che ha sottolineato come la realizzazione di un box-container, stabilmente appoggiato al terreno (nel verbale di accertamento si specifica che il box poggia su pavimentazione di cemento), pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio (cfr. Cons. Stato, sez V, 24.02.2003, n. 986).
7.3 - Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2715/2018 C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e sez. VI 16.02.2017 n. 694).
7.4 - Infine, ad ulteriore conferma dell’infondatezza del motivo di appello in esame, deve evidenziarsi la circostanza che l’area sulla quale sono stati realizzate senza titolo le opere in discorso è soggetta anche a vincolo ambientale, con quanto ne consegue in termini di disciplina autorizzatoria e di repressione degli abusi
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.12.2018 n. 7210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO: Installazione di un chiosco su proprietà pubblica e necessità del titolo edilizio.
Per l'esecuzione di opere su suolo di proprietà pubblica non è sufficiente il provvedimento di concessione per l'occupazione occorrendo, altresì, l'ulteriore e autonomo titolo edilizio, operante su di un piano diverso, e rispondente a diversi presupposti, sia rispetto all'atto che accorda l'utilizzo a fini privati di una determinata porzione di terreno di proprietà pubblica, sia ad altri atti autorizzativi eventualmente necessari, quali l'autorizzazione commerciale per la vendita di determinati prodotti (fattispecie relativa alla installazione di un chiosco che, in base a quanto disposto nel regolamento comunale per la disciplina del commercio sulle aree pubbliche, dà luogo ad un manufatto chiuso, di dimensioni contenute, generalmente prefabbricato, e strutturalmente durevole, posato su suolo pubblico, o su aree private soggette a servitù di uso pubblico, non rimuovibile al termine della giornata lavorativa).
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La legittimazione a contestare un provvedimento di assegnazione in concessione di uno spazio di area pubblica per l'installazione del chiosco è riconosciuta in base al criterio cosiddetto della “vicinitas”, ovvero in caso di stabile collegamento materiale tra l'immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi comportino contra legem un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio, non essendo pertanto necessario dimostrare il pregiudizio della situazione soggettiva protetta, essendo il relativo danno ritenuto sussistente in re ipsa, in considerazione della violazione della normativa edilizia, incidendo ogni edificazione non conforme alla normativa ed agli strumenti urbanistici sull'equilibrio urbanistico del contesto, e sull'armonico ed ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o situati comunque in prossimità a quelli interessati.
La vicinitas, intesa come situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, è infatti, sufficiente a radicare la legittimazione ad causam, non essendo necessario accertare in concreto se i lavori comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione, dovendo ritenersi pregiudizievole in re ipsa la realizzazione di interventi suscettibili di incidere sulla qualità panoramica, ambientale, paesaggistica.
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Il chiosco di che trattasi si troverà sul medesimo marciapiede su cui si affacciano gli immobili dei ricorrenti, rientrando pertanto nella visione di insieme dei palazzi d’epoca prospicienti la zona ... che si incontra con ... peraltro pressoché adiacente al Castello Sforzesco di Milano, e caratterizzata da un indubbio rilievo storico ed architettonico.
L’installazione del chiosco di che trattasi, potendo effettivamente introdurre un elemento di discontinuità nell’area in questione, come detto connotata da immobili di particolare pregio, è pertanto soggetta ad incidere negativamente sul loro valore, radicando così l’interesse dei ricorrenti alla sua contestazione.
Malgrado pertanto gli immobili dei ricorrenti non siano confinanti al chiosco oggetto del presente giudizio, alla luce delle peculiarità dell’area, sussistono ugualmente le condizioni dell’azione, essendo posti ad una distanza tale da non escludere l’interesse alla tutela giurisdizionale.
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Per giurisprudenza pacifica, la prova della conoscenza dell'atto, ai fini della decorrenza del termine ex art. 41, c. 2, c.p.a. per proporre l'impugnativa giurisdizionale, deve essere fornita dalla parte che la eccepisce, trattandosi di un fatto impeditivo, ex art. 2697, c. 2 c.c., all’accoglimento della pretesa azionata in giudizio, dovendo la stessa essere fornita in modo rigoroso, affinché non sia vanificato in modo irragionevole il diritto di azione nei confronti dei provvedimenti dell'amministrazione, riconosciuto dal combinato disposto degli artt. 24 e 113 Cost..
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Per giurisprudenza costante, ricade sul privato interessato l'onere della prova della data di ultimazione delle opere, essendo per il medesimo agevole fornire gli inconfutabili atti e documenti, come, a titolo esemplificativo, fatture, ricevute, bolle di consegna relative all'esecuzione dei lavori o all'acquisto dei materiali, od altri elementi probatori, capaci di radicare una ragionevole certezza circa l'epoca di realizzazione del manufatto.
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E' illegittima l'autorizzazione comunale di installazione di un chiosco su suolo pubblico senza preventivamente rilasciare il permesso di costruire.
Invero, in base a quanto disposto dall’art. 3, c. 1, lett. e.5), del D.P.R. n. 380/2001, come modificato dalla L. n. 221 del 28.12.2015, tra gli "interventi di nuova costruzione", per i quali è necessario il permesso di costruire, rientrano anche quelli relativi l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, che siano utilizzati quali ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti.
Per giurisprudenza pacifica, rientrano infatti nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo, e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale, essendo pertanto necessario munirsi di permesso di costruire anche per l'installazione di un chiosco.
Malgrado la precarietà strutturale del manufatto, la sua rimovibilità, e l’assenza di opere murarie, il chiosco non è infatti deputato ad un suo uso per fini contingenti, quanto invece ad un utilizzo reiterato nel tempo, come tale idoneo ad alterare lo stato dei luoghi, con conseguente incremento del carico urbanistico.
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Non ha pregio nella fattispecie la tesi per cui dovrebbe tuttavia trovare applicazione unicamente la disciplina del commercio su aree pubbliche, di cui alla L.R. n. 6/2010, oltre a quella regolamentare, che escluderebbero espressamente, per l’installazione delle opere di che trattasi, il permesso di costruire.
Ciò detto essendo la normativa in materia di commercio e quella edilizia preordinate alla tutela di beni giuridici differenti, dovendo pertanto essere applicate congiuntamente, come pacificamente ritenuto in giurisprudenza, secondo cui, malgrado le attività commerciali siano attualmente liberamente insediabili con riguardo al loro numero, non esistendo contingenti massimi autorizzabili, le stesse rimangono tuttavia soggette ai limiti fissati dalla normativa edilizia, oltreché a quella posta a tutela dei beni culturali, ed alla pianificazione urbanistica e paesaggistica.
L’art. 16, c. 3, della L.R. n. 6/2010 conferma peraltro espressamente la coesistenza tra la normativa dettata in materia di commercio e quella edilizia, prevedendo infatti che “devono comunque essere garantite la conformità urbanistica delle aree utilizzate, nonché, qualora necessaria ai sensi della normativa vigente, la conformità edilizia degli edifici”.
Per l'esecuzione di opere su suolo di proprietà pubblica, non è infatti sufficiente il provvedimento di concessione per l'occupazione, occorrendo altresì l'ulteriore ed autonomo titolo edilizio, operante su di un piano diverso, e rispondente a diversi presupposti, sia rispetto all'atto che accorda l'utilizzo a fini privati di una determinata porzione di terreno di proprietà pubblica, sia ad altri atti autorizzativi eventualmente necessari, quali l'autorizzazione commerciale per la vendita di determinati prodotti.
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... per l'annullamento del provvedimento del 26.09.2016, con il quale il Comune di Milano - Settore Commercio, SUAP e Attività Produttive, ha autorizzato l'installazione di un chiosco per la somministrazione di alimenti in -OMISSIS- angolo -OMISSIS-, dell'autorizzazione paesaggistica n. 328 del 04.08.2016, con cui il Comune di Milano – Ufficio Tutela del Paesaggio, sulla scorta del parere espresso dalla Commissione per il Paesaggio, ha rilasciato l'assenso, per i profili di sua competenza, all'installazione del chiosco, della Deliberazione della Giunta Comunale – Settore Commercio, SUAP e Attività Produttive, n. 2858 del 30.12.2014, con la quale sono state dettate le linee di indirizzo per la predisposizione del bando, approvato con Determina Dirigenziale n. 1 del 08.01.2015, anch'essa qui gravata, per l'assegnazione di n. 82 posteggi c.d. “extra-mercato”, tra cui figura anche il posteggio ubicato nella posizione “-OMISSIS- -OMISSIS-”, e di ogni altro atto ad essi preordinato, presupposto, conseguenziale e/o comunque connesso.
...
Con delibera n. 2858 del 30.12.2014 la Giunta del Comune di Milano ha approvato le linee guida di indirizzo per l’assegnazione di n. 83 posteggi extra-mercato, al fine di implementare il numero delle postazioni distribuite in tutta la città che utilizzano strutture di vendita tipo banco, chiosco, trespolo, e autonegozio, individuando altresì le ubicazioni destinate alla loro installazione, e con determina n. 1 del 08.01.2015, è stato approvato il relativo bando pubblico.
Con il presente ricorso, gli istanti impugnano
il provvedimento di autorizzazione all’installazione di un chiosco in -OMISSIS- angolo -OMISSIS-, in favore del Sig. Va., in esito alla procedura prevista dalla citata delibera n. 2858/2014, parimenti gravata, unitamente alla relativa autorizzazione paesaggistica, deducendo che ciò avrebbe dovuto essere preceduto dal rilascio di un permesso di costruire (primo motivo), la mancanza di una puntuale istruttoria in ordine alla sua compatibilità con le caratteristiche dell’area (secondo motivo), che ne pregiudicherebbe la viabilità (terzo motivo) ed il decoro architettonico (quarto motivo), oltreché la ritardata conclusione dei lavori (quinto motivo).
...
I) In via preliminare, il Collegio deve scrutinare le eccezioni di inammissibilità del ricorso, che sono tuttavia infondate.
I.1.1) Con una prima eccezione, la difesa comunale deduce la carenza di interesse ed il difetto di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti, evidenziando che, mentre nell’atto introduttivo del giudizio, essi si dichiarano residenti nella zona di -OMISSIS-, nella procura alle liti, solo una parte di essi (17 su 26), deduce di essere residente nelle vicinanze dell’area di cui in oggetto. In ogni caso, gli istanti non dimostrerebbero “quali interessi specifici” sarebbero effettivamente lesi dai provvedimenti impugnati, limitandosi ad evidenziare potenziali pregiudizi alla viabilità, ed all’utilizzazione di taluni servizi.
Analogamente, secondo il controinteressato, premesso che “il criterio della vicinitas non sarebbe stato sufficiente a fornire le condizioni dell’azione”, in ogni caso, “i ricorrenti avrebbero dovuto provare di essere residenti”, laddove invece, alcuni di loro, avrebbero ammesso di esserlo in zone diverse da quelle interessate dai provvedimenti impugnati.
Con la citata ordinanza n. 211/2018, rilevato che i ricorrenti si erano limitati a dichiarare la loro residenza, nell’atto di procura alle liti, e che effettivamente, per alcuni di loro, la stessa non si trova nelle vicinanze del chiosco oggetto dei provvedimenti impugnati, ai fini dello scrutinio dell’eccezione, il Collegio ha ordinato di depositare in giudizio documentazione comprovante il loro collegamento con l'area interessata dall'intervento, ciò a cui hanno provveduto in data 19.03.2018.
I.1.2) In linea generale, osserva il Collegio che la legittimazione a contestare un provvedimento di assegnazione in concessione di uno spazio di area pubblica per l'installazione del chiosco è riconosciuta in base al criterio cosiddetto della “vicinitas”, ovvero in caso di stabile collegamento materiale tra l'immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi comportino contra legem un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio, non essendo pertanto necessario dimostrare il pregiudizio della situazione soggettiva protetta, essendo il relativo danno ritenuto sussistente in re ipsa, in considerazione della violazione della normativa edilizia, incidendo ogni edificazione non conforme alla normativa ed agli strumenti urbanistici sull'equilibrio urbanistico del contesto, e sull'armonico ed ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o situati comunque in prossimità a quelli interessati (TAR Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 23.02.2017, n. 109).
La vicinitas, intesa come situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, è infatti sufficiente a radicare la legittimazione ad causam, non essendo necessario accertare in concreto se i lavori comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione, dovendo ritenersi pregiudizievole in re ipsa la realizzazione di interventi suscettibili di incidere sulla qualità panoramica, ambientale, paesaggistica (C.S. Sez. IV, 09.09.2014, n. 4547).
I.1.3) Con riferimento al caso di specie, in esito alla citata ordinanza istruttoria, i ricorrenti hanno dimostrato la loro vicinitas con il chiosco oggetto del presente giudizio, dovendosi pertanto respingere l’eccezione.
In particolare, gli istanti hanno infatti depositato i certificati di residenza di n. 9 ricorrenti, relativi al civico n. 63 di -OMISSIS-, posto a circa 20 m. dal chiosco, e di n. 8 ricorrenti, residenti al civico n. 67, posto a circa 70 metri dal chiosco, dimostrando pertanto la sussistenza del loro stabile collegamento con l’area oggetto del presente giudizio.
Come desumibile dall’esame del materiale fotografico e dalle planimetrie depositate in giudizio, ed ulteriormente illustrate dalle parti nel corso dell’udienza pubblica, il chiosco di che trattasi si troverà sul medesimo marciapiede su cui si affacciano gli immobili dei ricorrenti, rientrando pertanto nella visione di insieme dei palazzi d’epoca prospicienti la zona di -OMISSIS- che si incontra con -OMISSIS-, peraltro pressoché adiacente al Castello Sforzesco di Milano, e caratterizzata da un indubbio rilievo storico ed architettonico.
L’installazione del chiosco di che trattasi, potendo effettivamente introdurre un elemento di discontinuità nell’area in questione, come detto connotata da immobili di particolare pregio, è pertanto soggetta ad incidere negativamente sul loro valore, radicando così l’interesse dei ricorrenti alla sua contestazione (C.S., Sez. IV, 08.01.2016, n. 35).
Malgrado pertanto gli immobili dei ricorrenti non siano confinanti al chiosco oggetto del presente giudizio, alla luce delle peculiarità dell’area, sussistono ugualmente le condizioni dell’azione, essendo posti ad una distanza tale da non escludere l’interesse alla tutela giurisdizionale (C.S., Sez. VI, 05.01.2015, n. 11).
I.1.4) Quanto infine a 3 ricorrenti, che hanno comprovato il loro diritto di proprietà su talune unità immobiliari poste al civico 63, senza tuttavia esservi residenti, ed altri 6, che hanno invece documentato lo svolgimento di attività commerciale e di amministratore di condominio nello stesso, evidenzia il Collegio che, in primo luogo, la giurisprudenza considera provata la vicinitas, in relazione ad una situazione di stabile collegamento, anche a fronte di un titolo di frequentazione della zona interessata (TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 30.01.2018, n. 126, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 08.03.2013, n. 627), e che comunque, anche ritenendo gli stessi privi di interesse ad agire, ciò non pregiudicherebbe l’ammissibilità del ricorso, con riferimento alle restanti posizioni.
Per giurisprudenza pacifica, il ricorso collettivo si risolve infatti in una pluralità di azioni contestualmente proposte mediante un unico atto, non comunicandosi agli altri le posizioni soggettive di ciascuno dei ricorrenti, tanto che un’eventuale pronuncia di inammissibilità dell’azione per uno dei ricorrenti, non preclude comunque una pronuncia di merito per l’altro (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 17.12.2012, n. 3056).
I.2.1) Con una seconda eccezione, il controinteressato deduce l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica ai controinteressati.
Avendo infatti gli istanti impugnato anche i provvedimenti che hanno assegnato agli operatori economici selezionati la gestione di altri chioschi, l’accoglimento del presente ricorso, a loro dire, pregiudicherebbe anche la loro posizione, rivestendo pertanto gli stessi la qualifica di controinteressati necessari.
In particolare, poiché in caso di annullamento dei provvedimenti oggetto del presente giudizio deriverebbe “la chiusura di tutti i chioschi presenti sul territorio comunale in forza del bando impugnato”, dovrebbe ritenersi che gli istanti abbiano presentato “tante autonome domande di annullamento rivolte nei confronti di tutti i concorrenti che sono stati selezionati per l’ottenimento dei posteggi”.
I.2.2) Osserva in contrario il Collegio che, malgrado i ricorrenti abbiano effettivamente impugnato, oltre all’autorizzazione all’installazione del chiosco da collocarsi in -OMISSIS-, e la relativa autorizzazione paesaggistica, anche la citata delibera n. 2858/2014, in materia di linee di indirizzo per la predisposizione del bando per l’assegnazione dei posteggi “extra mercato”, tuttavia, ciò ha avuto luogo, coerentemente al loro interesse, nella parte in cui “figura anche il posteggio ubicato nella posizione -OMISSIS- -OMISSIS-”.
Come sopra evidenziato, i ricorrenti non sono infatti operatori economici, interessati a contestare l’illegittima modalità di svolgimento della procedura di assegnazione delle postazioni commerciali, quanto invece residenti, o comunque titolari di posizioni qualificate, strettamente correlate all’area in cui verrà posizionato il chiosco del controinteressato.
Per giurisprudenza pacifica, l’esercizio dei poteri di interpretazione della domanda attribuiti al giudice devono infatti muovere dall’individuazione del bene giuridico cui l’interessato aspira, e che l'attività amministrativa gli ha negato, dovendo a tal fine considerarsi, al di là delle espressioni formali utilizzate dalle parti, la concreta situazione dedotta in causa, e le effettive finalità che la parte intende perseguire (C.S. Sez. V, 23.02.2018, n. 1147, che conferma TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2933/2014).
Conseguentemente, l’eventuale pronuncia di annullamento dei provvedimenti in questa sede impugnati, non produrrebbe alcun effetto nei confronti degli ulteriori assegnatari, che non sono pertanto controinteressati nel presente giudizio, ferma restando ovviamente la facoltà, in capo al Comune, di adottare ulteriori provvedimenti nei loro confronti, suscettibili di essere autonomamente contestati.
Peraltro, osserva incidentalmente il Collegio come la citata delibera n. 2858/2014 non abbia espressamente prescritto che le installazioni oggetto dei posteggi “extra mercato” debbano essere prive del permesso di costruire, avendo infatti principalmente ad oggetto la “selezione degli operatori per il commercio su area pubblica con le modalità previste dalla L.R. 02.02.2010 n. 6 Testo Unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere, e dal Regolamento per la Disciplina del Commercio su aree pubbliche adottato con Delibera di Consiglio Comunale n. 9/2013”, non incidendo pertanto sulla disciplina urbanistica ed edilizia applicabile, i cui contenuti non possono che essere desunti dalle relative disposizioni speciali in materia.
I.3.1) Con un’ulteriore eccezione, il controinteressato deduce l’inammissibilità del ricorso per tardiva impugnazione dei provvedimenti gravati, essendo gli stessi stati pubblicati all’Albo Pretorio del Comune.
L’eccezione va respinta, non avendo l’istante in realtà fornito la prova di detta pubblicazione, che è stata espressamente contestata dai ricorrenti.
Per giurisprudenza pacifica, la prova della conoscenza dell'atto, ai fini della decorrenza del termine ex art. 41, c. 2, c.p.a. per proporre l'impugnativa giurisdizionale, deve essere fornita dalla parte che la eccepisce, trattandosi di un fatto impeditivo, ex art. 2697, c. 2 c.c., all’accoglimento della pretesa azionata in giudizio, dovendo la stessa essere fornita in modo rigoroso, affinché non sia vanificato in modo irragionevole il diritto di azione nei confronti dei provvedimenti dell'amministrazione, riconosciuto dal combinato disposto degli artt. 24 e 113 Cost. (C.S., Sez. V, 03.02.2016 n. 424).
I.3.2) Sotto altro aspetto, evidenzia il controinteressato che, a prescindere dalla pubblicazione dei provvedimenti impugnati all’Albo Pretorio, i ricorrenti erano comunque al corrente dell’installazione del chiosco in una data antecedente al termine di sessanta giorni dalla proposizione del ricorso, e precisamente, in relazione ai lavori occorsi per la sua installazione, documentando le date di loro effettuazione.
In via preliminare, osserva il Collegio che, per giurisprudenza costante, ricade sul privato interessato l'onere della prova della data di ultimazione delle opere, essendo per il medesimo agevole fornire gli inconfutabili atti e documenti, come, a titolo esemplificativo, fatture, ricevute, bolle di consegna relative all'esecuzione dei lavori o all'acquisto dei materiali, od altri elementi probatori, capaci di radicare una ragionevole certezza circa l'epoca di realizzazione del manufatto (TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 27.09.2017, n. 638), ciò che non ha tuttavia avuto luogo nel caso di specie.
La documentazione che secondo l’interessato comproverebbero l’esecuzione dei lavori, menziona infatti un sopralluogo effettuato in data 02.02.2016, tuttavia antecedente al posizionamento del chiosco, richiedendosi il relativo nulla osta (doc. n. 15), oltreché l’esecuzione dei lavori necessari agli allacciamenti delle utenze (docc.ti 16-19), senza invece minimamente comprovare la sua vera e propria installazione, dovendosi pertanto respingere l’eccezione.
I.3.3) Un’ulteriore prova dell’avvenuta cognizione degli interventi oggetto del presente giudizio, sarebbe inoltre fornita da una lettera indirizzata dai ricorrenti al Sindaco di Milano, pubblicata in data 30.04.2017 su un quotidiano locale, in cui gli stessi si lamentano della costruzione del chiosco di che trattasi.
Anche detti rilievi sono infondati, essendo il ricorso stato notificato in data 16.06.2017, e pertanto prima di sessanta giorni decorrenti dalla pubblicazione della citata lettera, senza che il controinteressata abbia dimostrato l’esistenza di altre comunicazioni dei ricorrenti antecedenti.
I.4) Ulteriormente, il controinteressato deduce l’inammissibilità del ricorso, per mancata impugnazione di atti presupposti, ed in particolare, della delibera n. 1036/2012, che avrebbe dettato i criteri per il rilascio delle concessioni per l’installazione dei chioschi, e della graduatoria definitiva pubblicata in data 08.05.2015, oltreché del Regolamento per la disciplina del Commercio sulle Aree Pubbliche, del Regolamento Cosap, del Regolamento Edilizio, del Regolamento per la Disciplina del diritto ad occupare il Suolo, del Regolamento sul sistema dei controlli interni, del parere favorevole condizionato del 15.09.2015 del Settore Pianificazione e Programmazione, dell’Ufficio Programmazione Mobilità, dell’Ufficio Programmazione Arredo Urbano, quello del Settore Tecnico Infrastrutture e Arredo Urbano del 24.08.2015, dell’Autorizzazione Paesaggistica della Commissione del paesaggio del 04.08.2016, e della Relazione del Settore Tecnico Infrastrutture e Arredo Urbano del 04.03.2016.
Anche tale eccezione è infondata, non avendo il controinteressato comprovato che gli atti di cui lamenta la mancata impugnazione prevedessero la possibilità di autorizzare i chioschi con le modalità contestate nel ricorso, ed in primis, in assenza del permesso di costruire.
...
II.1) Quanto al merito, con il primo motivo, l’istante deduce l’illegittimità dell’autorizzazione all’installazione del chiosco per cui è causa, rilasciata dal Comune di Milano al controinteressato, in considerazione del mancato rilascio di un permesso di costruire avente ad oggetto tale struttura, ciò che sarebbe invece stato necessario, trattandosi di un’opera permanente e non rimuovibile.
II.1.1) Osserva il Collegio che, in base a quanto disposto nell’art. 25, punto 3, del Regolamento per la disciplina del commercio sulle aree pubbliche del Comune di Milano, la struttura di tipo “chiosco”, dà luogo ad un manufatto chiuso, di dimensioni contenute, generalmente prefabbricato, e strutturalmente durevole, posato su suolo pubblico, o su aree private soggette a servitù di uso pubblico, non rimuovibile al termine della giornata lavorativa.
In base a quanto disposto dall’art. 3, c. 1, lett. e.5), del D.P.R. n. 380/2001, come modificato dalla L. n. 221 del 28.12.2015, tra gli "interventi di nuova costruzione", per i quali è necessario il permesso di costruire, rientrano anche quelli relativi l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, che siano utilizzati quali ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti.
In relazione a quanto sopra, il motivo va pertanto accolto, avendo il Comune di Milano illegittimamente autorizzato l’installazione del chiosco in -OMISSIS- angolo -OMISSIS-, senza preventivamente rilasciare il permesso di costruire.
Per giurisprudenza pacifica, rientrano infatti nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo, e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale, essendo pertanto necessario munirsi di permesso di costruire anche per l'installazione di un chiosco (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 05.05.2016, n. 2282).
Malgrado la precarietà strutturale del manufatto, la sua rimovibilità, e l’assenza di opere murarie, il chiosco non è infatti deputato ad un suo uso per fini contingenti, quanto invece ad un utilizzo reiterato nel tempo (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 13.03.2017, n. 409), come tale idoneo ad alterare lo stato dei luoghi, con conseguente incremento del carico urbanistico (C.S., Sez. VI, 03.06.2014 n. 2842).
II.1.2) Secondo la difesa comunale e della controinteressata, nella fattispecie per cui è causa, dovrebbe tuttavia trovare applicazione unicamente la disciplina del commercio su aree pubbliche, di cui alla L.R. n. 6/2010, oltre a quella regolamentare, che escluderebbero espressamente, per l’installazione delle opere di che trattasi, il permesso di costruire.
Detti argomenti non hanno tuttavia pregio, essendo la normativa in materia di commercio e quella edilizia preordinate alla tutela di beni giuridici differenti, dovendo pertanto essere applicate congiuntamente, come pacificamente ritenuto in giurisprudenza, secondo cui, malgrado le attività commerciali siano attualmente liberamente insediabili con riguardo al loro numero, non esistendo contingenti massimi autorizzabili, le stesse rimangono tuttavia soggette ai limiti fissati dalla normativa edilizia, oltreché a quella posta a tutela dei beni culturali, ed alla pianificazione urbanistica e paesaggistica (TAR Marche, Sez. I, 16.04.2014, n. 434).
L’art. 16, c. 3, della L.R. n. 6/2010, invocato dalla difesa comunale, conferma peraltro espressamente la coesistenza tra la normativa dettata in materia di commercio e quella edilizia, prevedendo infatti che “devono comunque essere garantite la conformità urbanistica delle aree utilizzate, nonché, qualora necessaria ai sensi della normativa vigente, la conformità edilizia degli edifici”.
Per l'esecuzione di opere su suolo di proprietà pubblica, non è infatti sufficiente il provvedimento di concessione per l'occupazione, occorrendo altresì l'ulteriore ed autonomo titolo edilizio, operante su di un piano diverso, e rispondente a diversi presupposti, sia rispetto all'atto che accorda l'utilizzo a fini privati di una determinata porzione di terreno di proprietà pubblica, sia ad altri atti autorizzativi eventualmente necessari, quali l'autorizzazione commerciale per la vendita di determinati prodotti (C.S. Sez. VI, 27.02.2012 n. 1106).
II.1.3) Parimenti, anche la giurisprudenza citata dalla difesa resistente (C.S., Sez. V, 05.11.2012, n. 5589, TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 19.09.2013, n. 2248), conferma in realtà la fondatezza del motivo, in quanto riferita ad una fattispecie in cui era il Comune a realizzare le opere in assenza del permesso di costruire, essendo a tal fine equipollente la delibera del consiglio o della giunta comunale accompagnata da un progetto riscontrato conforme alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, laddove il chiosco oggetto del presente giudizio è in proprietà esclusiva del controinteressato, non rientrando inoltre nel concetto di “opera pubblica”, come invece aveva luogo nelle citate decisioni.
Analogamente, anche i precedenti di questo Tribunale (Sez. I, 22.12.2014 n. 3123, 19.12.2013, n. 2889) non risultano pertinenti, in quanto aventi ad oggetto fattispecie antecedenti all’entrata in vigore della citata L. n. 221/2015, disciplinate da una differente versione del Regolamento Edilizio Comunale, ed in ogni caso, riferite ad “un manufatto in uso precario e amovibile”, la cui installazione era prevista per un periodo inferiore a dodici mesi (n. 3123/2014 cit.), diversamente da quello per cui è causa.
Neppure infine è pertinente alla fattispecie oggetto del presente giudizio C.S., Sez. VI, 21.11.2017 n. 5394, sia in quanto dettata in materia di impianti pubblicitari, sia soprattutto poiché, in tale pronuncia, il giudice d’appello non ha ravvisato la necessità di richiedere il titolo edilizio per la loro installazione, ritenendo che i vincoli previsti dall’art. 3 D.Lgs. n. 507/1993, tuttavia estraneo alla fattispecie per cui è causa, di per sé, tutelassero adeguatamente il corretto assetto del territorio.
II.1.4) Da ultimo, anche il richiamo all’art. 116, c. 4, del Regolamento Edilizio Comunale, secondo cui i chioschi, se realizzati su suolo pubblico, “non costituiscono oggetto di titolo abilitativo edilizio, ma sono installati secondo le modalità previste dai provvedimenti che autorizzano l’uso del suolo”, risulta irrilevante nel presente giudizio.
Come infatti correttamente osservato dai ricorrenti, detta norma si riferisce ai “manufatti provvisori”, la cui “permanenza non può superare i ventiquattro mesi”, laddove invece quello per cui è causa sarà installato per una durata di dodici anni.
Ad abundantiam, osserva il Collegio che anche ove l’art. 116 cit. potesse essere letto nei termini suggeriti dal controinteressato, ciò risulterebbe tuttavia incompatibile con l’art. 3, c. 1, lett. e), del D.P.R. n. 380/2001 citato, come modificato dalla L. n. 221/2015, trovando in tal caso applicazione il c. 2 dello stesso art. 3, secondo cui “le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi”, dovendo in tal caso il Collegio disporre in parte qua la disapplicazione del Regolamento Edilizio Comunale, in quanto contrastante, in termini di palese contrapposizione, con il disposto legislativo primario (C.S., Sez. V, 28.09.2016 n. 4009).
...
In conclusione,
il ricorso va pertanto accolto, quanto al primo motivo, e respinto per il resto (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.06.2018 n. 1485 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’astratta rimovibilità delle opere non impedisce di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Ciò, in quanto il manufatto non precario –nel caso di specie, una casa mobile– non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa mobile da oltre un decennio è strettamente legato al soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio.
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante”.
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In materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
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Con ricorso notificato in data 18.09.2007 e depositato il 10 ottobre successivo, il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Comune di Santo Stefano Ticino di ingiunzione alla demolizione di opere abusive datato 26.07.2007, prot. 5427.
Il ricorrente, proprietario di un terreno sito nel Comune di Santo Stefano Ticino, in Via ... n. 61, identificato catastalmente al mappale 59, del foglio n. 8, ha provveduto a posizionarvi una struttura mobile e provvisoria di cui il Comune ha ingiunto la rimozione con l’atto impugnato nel presente giudizio.
Assumendo l’illegittimità del predetto atto, il ricorrente ne ha chiesto l’annullamento, in quanto il manufatto asseritamente abusivo sarebbe precario e provvisorio e perciò inidoneo a mutare in modo permanente l’assetto urbanistico.
...
1. Il ricorso non è fondato.
2. Con l’unica doglianza di ricorso si assume l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, tenuto conto che l’opera di cui si è ordinata la demolizione sarebbe rimovibile, in quanto solo appoggiata al suolo, e non avrebbe alcun sostanziale impatto sull’assetto urbanistico.
2.1. La censura è infondata.
L’astratta rimovibilità delle opere non impedisce di considerarle come nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi necessitanti di un titolo autorizzativo.
Difatti, i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie.
Ciò, in quanto il manufatto non precario –nel caso di specie, una casa mobile– non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel tempo; difatti, l’utilizzo della casa mobile da oltre un decennio è strettamente legato al soddisfacimento delle esigenze del ricorrente o della sua famiglia, come appare evidente anche dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio (all. 4 e 5 del Comune).
Secondo la consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo.
Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante
” (Consiglio di Stato, VI, 04.09.2015, n. 4116; altresì 01.04.2016, n. 1291; 03.06.2014, n. 2842; TAR Emilia Romagna-Bologna, I, 28.06.2016, n. 655).
Nemmeno si potrebbe ritenere il manufatto una semplice pertinenza, tenuto conto delle dimensioni dello stesso (una superficie di circa 80 mq, per un’altezza variabile da un minimo di 2,83 m a un massimo di 3,58 m: cfr. provvedimento impugnato, all. 1 al ricorso), considerato che in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (cfr. Consiglio di Stato, VI, 04.01.2016, n. 19).
2.2. In conseguenza di quanto già evidenziato emerge anche la violazione dell’assetto urbanistico della zona in cui è stata posizionata la casa mobile, visto che la stessa era (ed è) classificata come agricola, nonché risultava (e risulta) gravata anche da un vincolo di rispetto stradale. Pertanto non risulta violata soltanto la normativa edilizia, ma risulta compromesso anche l’assetto urbanistico del territorio.
2.3. Ciò determina il rigetto della predetta censura e quindi dell’intero ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.02.2018 n. 354 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Natura precaria dell'opera edilizia - Carattere stagionale dell'attività - Elementi della precarietà - Stabilimento balneare.
Nemmeno il carattere stagionale dell'attività implica di per sé la precarietà dell'opera, la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l'utilizzo annualmente ricorrente della struttura, né con la possibilità di smontare il manufatto non infisso al suolo (si veda in proposito Cass. Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, Manfredini, secondo cui ...al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo).
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Natura precaria dell'opera edilizia - Oggettiva temporaneità e contingenza - Opera realizzata in zona sottoposta a vincolo paesaggistico - DIRITTO DEMANIALE - Fattispecie: occupazione arbitraria dello spazio demaniale marittimo - Alterazione di bellezze naturali - Art. 734 cod. pen. - Artt. 3, 6, 10 e 44, d.P.R. n. 380/2001 - Artt. 146-181, d.lgs. n. 42/2004.
La natura precaria dell'opera edilizia non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione, tanto meno dalla sua facile amovibilità; quel che conta è la oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che l'opera è destinata a soddisfare in ordine alla dedotta precarietà dell'opera e che, (in specie) in ogni caso, trattandosi di opera realizzata in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, qualsiasi difformità dal titolo edilizio è comunque sanzionata ai sensi dell'art. 44, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 (art. 32, u.c., d.P.R. n. 380 del 2001), così come qualsiasi difformità dal progetto autorizzato integra il reato di cui all'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004 (Fattispecie: installazione stagionale di uno stabilimento balneare costituito da una costruzione lignea pluripiano poggiante su pali in legno semplicemente infissi sull'arenile della spiaggia, in zona soggetta a speciale protezione ambientale e a vincolo ambientale) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.07.2017 n. 36605 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAPer valutare se un’opera ha effettivamente carattere precario non basta accertare che questa sia costruita con materiali facilmente rimovibili, ma è necessario dimostrare che essa sia funzionalmente deputata al soddisfacimento di esigenze oggettivamente temporanee, destinata quindi ad essere smantellata non appena tali esigenze siano venute meno.
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6. Con il primo motivo, la parte deduce la violazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 in quanto, la struttura oggetto dell’atto impugnato sarebbe da considerare alla stregua di un’opera precaria, realizzabile, in base alla suddetta norme, in assenza di titolo edilizio.
7. Ritiene il Collegio che la censura sia del tutto infondata.
8. Per valutare se un’opera ha effettivamente carattere precario, non basta accertare che questa sia costruita con materiali facilmente rimovibili, ma è necessario dimostrare che essa sia funzionalmente deputata al soddisfacimento di esigenze oggettivamente temporanee, destinata quindi ad essere smantellata non appena tali esigenze siano venute meno.
9. Nel caso concreto, le ricorrenti riferiscono che la struttura di cui è causa avrebbe carattere precario in quanto destinata ad essere smantellata una volta che verrà realizzato l’ampliamento del magazzino ove una delle ricorrenti svolge la sua attività di impresa.
10. Ciò tuttavia, contrariamente da quanto sostenuto dalle interessate, non dimostra la precarietà dell’opera in quanto, da un lato, l’esigenza di disporre di maggiori spazi destinati a magazzino, per stessa ammissione delle ricorrenti, non è affatto temporanea; ed in quanto, da altro lato, neppure è stata allegata la sussistenza di elementi che dimostrino l’effettiva, concreta ed attuale intenzione di procedere all’ampliamento del magazzino esistente. Lo smantellamento della struttura di cui è causa costituisce dunque, per ora, oggetto di una mera intenzione futura per la quale non sono stati neppure ipotizzati i termini di esecuzione.
11. Si deve pertanto escludere che la stessa struttura possa essere qualificata come opera precaria.
12. Per queste ragioni va ribadita l’infondatezza della censura (TAR Lombardia-MIlano, Sez. II, sentenza 04.07.2017 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tettoia di copertura su un terrazzo di un immobile - Necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire - Presupposti - Art. 44, c. 1, lett. b), d.P.R. n. 380/2001.
Integra il reato previsto dall'art. 44, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 la realizzazione, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, costituisce parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata (Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013, Salanitro e altro, Rv. 257290).
Tettoia di copertura di un terrazzo - Pertinenza - Requisito della individualità fisica e strutturale - Nozione tecnico-giuridica di pertinenza in urbanistica.
La costruzione di una tettoia di copertura di un terrazzo di un immobile non può infatti qualificarsi come pertinenza, in quanto si tratta di un'opera priva del requisito della individualità fisica e strutturale propria della pertinenza, costituendo parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata, rappresentandone un ampliamento. Essa pertanto, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele).
Infatti, deve ritenersi che la tettoia di un edificio non rientra nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza, ma costituisce piuttosto parte dell'edificio cui aderisce: ciò in quanto in urbanistica il concetto di pertinenza ha caratteristiche sue proprie, diverse da quelle definite dal codice civile, riferendosi ad un'opera autonoma dotata di una propria individualità, in rapporto funzionale con l'edificio principale, laddove la parte dell'edificio appartiene senza autonomia alla sua struttura (Sez. 3, n. 17083 del 07/04/2006, Miranda e altro).
Costituisce quindi nuova costruzione ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001 qualsiasi manufatto edilizio fuori terra o interrato. Né può farsi ricorso alla nozione di ampliamento dell'edificio preesistente, trattandosi di nuova costruzione, sia pure accessoria a detto edificio (così, complessivamente, Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino).
Natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici - Esclusione di concessione e/o autorizzazione - Criterio strutturale e non funzionale - Facile rimovibilità dell'opera - Presupposti e limiti - Art. 20 L.R. Sicilia n. 4/2003 - Giurisprudenza.
La natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici, per le quali l'art. 20 della legge Regione Sicilia n. 4 del 2003 non richiede concessione e/o autorizzazione, va intesa secondo un criterio strutturale, ovvero nel senso della facile rimovibilità dell'opera, e non funzionale, ossia con riferimento alla temporaneità e provvisorietà dell'uso, sicché tale disposizione, di carattere eccezionale, non può essere applicata al di fuori dei casi ivi espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/09/2014, Gulizzi; conf. Sez. 3, n. 16492 del 16/03/2010, Pennisi; Sez. 3, n. 35011 del 26/04/2007, Camarda).
Ed in specie, proprio per le accertate dimensioni non trascurabili del manufatto posto alla sommità dell'edificio, la normativa regionale non deve ritenersi applicabile (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.06.2017 n. 30121 - tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza è concorde che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale (che apprezza la stabilità dell’ancoraggio al suolo), ma il criterio funzionale, per cui per cui se un intervento è realizzato per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando queste sono state realizzate con materiali facilmente amovibili: la possibilità di prescindere da un titolo edilizio ricorre unicamente in presenza di manufatti destinati a soddisfare necessità contingenti e che si prestino ad essere prontamente rimossi al loro cessare.
In buona sostanza si è chiarito che “La ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire (ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001), postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante ….”.
La stalletta per le capre è un manufatto permanente, a prescindere dall’ancoraggio al suolo e dunque necessita del permesso di costruire (e alle stesse conclusioni si deve pervenire per quanto concerne i muri di contenimento).

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3. Per l’ulteriore profilo, (e posto che è stata già esaminata al paragrafo precedente la struttura a sostegno dei rampicanti), la stalletta per le capre è di recente realizzazione (come da dichiarazione del Sig. -OMISSIS-), così come la recinzione metallica (per la quale tuttavia si rinvia al paragrafo successivo), il muro di contenimento in cemento e il muro di contenimento in traversine di legno. Ad avviso dell’esponente, le opere descritte non sarebbero qualificabili come costruzioni, avendo caratteristiche non particolarmente importanti che le rendono assoggettabili a DIA e non a permesso di costruire.
Detta impostazione non è condivisibile.
3.1 In linea generale, la giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale (che apprezza la stabilità dell’ancoraggio al suolo), ma il criterio funzionale, per cui per cui se un intervento è realizzato per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando queste sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI – 21/02/2017 n. 795): la possibilità di prescindere da un titolo edilizio ricorre unicamente in presenza di manufatti destinati a soddisfare necessità contingenti e che si prestino ad essere prontamente rimossi al loro cessare (TAR Emilia Romagna Parma – 29/12/2016 n. 384).
In buona sostanza si è chiarito che “La ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire (ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001), postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante ….” (TAR Lombardia Milano, sez. II – 04/08/2016 n. 1567 e la giurisprudenza ivi citata).
La stalletta per le capre è un manufatto permanente, a prescindere dall’ancoraggio al suolo e dunque necessita del permesso di costruire (e alle stesse conclusioni si deve pervenire per quanto concerne i muri di contenimento) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 26.04.2017 n. 553 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatti non precari idonei ad alterare lo stato dei luoghi.
In tema di diniego della domanda di autorizzazione edilizia e di ingiunzione di demolizione di manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, va osservato che essi devono essere considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Infatti, la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo
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1. Con istanza del 05.05.2013 la signora An.Ma.Ma. ha chiesto al Sindaco di Mangone di essere autorizzata all’installazione stagionale di un gazebo rimovibile con telo plastificato.
Con nota del 12.06.2003 il Responsabile del Servizio presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Mangone ha comunicato alla ricorrente il “diniego della domanda di autorizzazione edilizia”, ritenuta in contrasto con l’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Magone, in quanto non rispettosa delle distanze dai confini e dalle strade.
Nonostante tale diniego, l’odierna ricorrente ha ugualmente effettuato il montaggio del gazebo nella proprietà privata del suocero Cr.Ma..
2. In data 03.07.2003 è stata notificata al Cr. ordinanza di ingiunzione-demolizione della tendostruttura, in quanto realizzata abusivamente, in assenza della prescritta autorizzazione edilizia.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno l’annullamento del provvedimenti, per i vizi di violazione di legge, con riferimento all’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Mangone e all’art. 10 della L. 47/1985, nonché per eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento del fatto e illogicità.
Il gazebo in questione non sarebbe una costruzione, trattandosi di struttura precaria e facilmente smontabile. Non sarebbe stato, pertanto, necessario un provvedimento autorizzativo, che, tuttavia, è stato negato.
...
7. Il ricorso principale è infondato e deve essere rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id, VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789;. id., V, 24.02.2003, n. 986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione intimata che ha correttamente configurato come costruzione il manufatto in oggetto e ha, pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il mancato rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata in quanto l’opera è stata eseguita in assenza della prescritta concessione edilizia (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 13.03.2017 n. 409 - massima tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo.
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa (ndr: chiosco di circa 110 mq.) sia riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione.
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7. Il ricorso principale è infondato e deve essere rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id, VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789;. id., V, 24.02.2003, n. 986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione intimata che ha correttamente configurato come costruzione il manufatto in oggetto e ha, pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il mancato rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata in quanto l’opera è stata eseguita in assenza della prescritta concessione edilizia (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARiguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Infatti, la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo.
Sotto tale aspetto, per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa è riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione.

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1. Con istanza del 05.05.2013 la signora An.Ma.Ma. ha chiesto al Sindaco di Mangone di essere autorizzata all’installazione stagionale di un gazebo rimovibile con telo plastificato.
Con nota del 12.06.2003 il Responsabile del Servizio presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Mangone ha comunicato alla ricorrente il “diniego della domanda di autorizzazione edilizia”, ritenuta in contrasto con l’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Magone, in quanto non rispettosa delle distanze dai confini e dalle strade.
Nonostante tale diniego, l’odierna ricorrente ha ugualmente effettuato il montaggio del gazebo nella proprietà privata del suocero Cr.Ma..
2. In data 03.07.2003 è stata notificata al Cr. ordinanza di ingiunzione-demolizione della tendostruttura, in quanto realizzata abusivamente, in assenza della prescritta autorizzazione edilizia.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno l’annullamento del provvedimenti, per i vizi di violazione di legge, con riferimento all’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Mangone e all’art. 10 della L. 47/1985, nonché per eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento del fatto e illogicità.
Il gazebo in questione non sarebbe una costruzione, trattandosi di struttura precaria e facilmente smontabile. Non sarebbe stato, pertanto, necessario un provvedimento autorizzativo, che, tuttavia, è stato negato.
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7. Il ricorso principale è infondato e deve essere rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id., VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789; id., V, 24.02.2003, n. 986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione intimata che ha correttamente configurato come costruzione il manufatto in oggetto e ha, pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il mancato rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata in quanto l’opera è stata eseguita in assenza della prescritta concessione edilizia (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà di un manufatto -la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio, non comportando una trasformazione del territorio– non dipende dalla sua facile rimovibilità ma dalla temporaneità della funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente: essa va, dunque, esclusa quando si è al cospetto di un’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo.
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Per giurisprudenza costante, la precarietà di un manufatto -la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio, non comportando una trasformazione del territorio– non dipende dalla sua facile rimovibilità ma dalla temporaneità della funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente: essa va, dunque, esclusa quando, come accade nel caso di specie, si è al cospetto di un’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo (Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2009, n. 3029; Cons. Stato, sez. IV, 06.06.2008, n. 2705; Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 22054) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 15.02.2017 n. 369 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa struttura pubblicitaria può configurare abuso edilizio. Reato anche se non si tratta di un’abitazione.
Una costruzione edilizia, anche se non destinata a essere abitata, può generare un abuso: lo sottolinea la Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 14.02.2017 n. 6872.
Il caso esaminato è particolare in quanto, dopo aver scelto una località particolarmente visibile (e sottoposta a vincolo ambientale), un'impresa di commercializzazione di case prefabbricate aveva collocato più moduli, completi in ogni loro parte, per mostrare le qualità del prodotto.
In questo modo, le abitazioni, di più vani, avevano perso l'attitudine ad essere considerate abitazioni, ma conservavano il loro impatto fisico. Poiché le norme urbanistiche non prevedono che l'abuso abbia solo finalità abitative, è quindi iniziato un procedimento penale conclusosi con la condanna confermata dalla Cassazione.
La motivazione adottata dalla Suprema corte prende spunto dal rapporto della legge 10 del 1977 (Bucalossi) con le norme precedenti (del 1942) e sottolinea che dal 1977 in poi il territorio è tutelato indipendentemente dai vari usi che se ne possono fare. Così appunto un consistente uso pubblicitario, indipendentemente dal tipo di oggetto che si intenda valorizzare (sia esso un'abitazione prefabbricata o meno), esige un titolo edilizio.
Non è infatti il peso urbanistico che si intende limitare, bensì l'uso del territorio, anche per l'uso pubblicitario. Nel momento in cui si utilizza un'area per finalità diverse da quelle previste dal piano urbanistico si pone infatti un problema di “peso” dell'intervento, peso che va valutato dall'amministrazione e che fa scattare, in caso di assenza di titolo abilitativo, specifiche sanzioni. Tali sanzioni non si applicano per opere temporanee, destinate a essere rimosse dopo un allestimento provvisorio, ma sempre che la consistenza delle opere non alteri parametri di fruibilità del territorio.
Nel caso deciso dalla Cassazione ha avuto peso la particolare natura delle opere prefabbricate, alte fino a 12 metri anche se in gran parte in materiale precario (polistirolo) coerentemente alle finalità pubblicitarie. Anche se non abitate, ciò che si era realizzato esprimeva infatti stabilità e quindi un uso non temporaneo dell'area impegnata. La sentenza condanna anche il soggetto che aveva venduto e collocato le case pubblicitarie, ritenendo il venditore partecipe del disegno illecito di utilizzo non consentito del territorio.
Inoltre, per la loro fattiva partecipazione alla modifica dei luoghi, sono stati condannati anche gli impiantisti che avevano contribuito, da artigiani, a dotare la struttura pubblicitaria di attacchi ed impianti: secondo la Cassazione, infatti, anche chi realizza un pavimento, intonaci e infissi risponde dell'abusivismo se ha colposamente ignorato la circostanza che fosse necessario un titolo edilizio.
Anche tale coinvolgimento dei soggetti esecutori (dal venditore agli artigiani rifinitori) è del resto coerente all'ampliamento delle responsabilità che la legge 10 del 1977 (oggi il Dpr 380/2001) prevede per arginare l'abusivismo
(articolo Il Sole 24 Ore del 15.02.2017).
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MASSIMA
5.1 ricorsi sono infondati.
6. Per motivi di ordine logico devono essere esaminati i motivi che riguardano la sussistenza oggettiva dei reati.
6.1.
La natura precaria dell'opera edilizia non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione né dalla sua facile amovibilità; quel che conta è la oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che l'opera è destinata a soddisfare.
6.2. Chiaro è, in tal senso, il dettato normativo che, nel definire gli interventi di "nuova costruzione", per i quali è necessario il permesso di costruire o altro titolo equipollente (artt. 10, comma 1°, lett. a, e 22, comma 3°, lett. b, d.P.R. 06.06.2001 n. 380), individua -tra gli altri- i manufatti leggeri e le strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come depositi, magazzini e simili e "che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee" (art. 3, comma 1°, lett. e.5, d.P.R. 380/2001 cit.).
La natura oggettivamente temporanea e contingente delle esigenze da soddisfare è richiamata anche dall'art. 6, comma 2°, lett. b, d.P.R. 380/2001 per individuare le opere che, previa mera comunicazione dell'inizio lavori, possono essere liberamente eseguite.
6.3. Si tratta di criterio che significativamente, anche se ad altri fini, l'art. 812 cod. civ. utilizza per collocare nella categoria dei beni immobili gli edifici galleggianti saldamente ancorati alla riva o all'alveo e destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione, così diversificandoli dai galleggianti mobili adibiti alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne, di cui all'art. 136 cod. nav. e che, a norma dell'art. 815 cod. civ., costituiscono, invece, beni mobili soggetti a registrazione.
6.4.
La oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, la sua conseguente attitudine ad una utilizzazione non temporanea, né contingente, è criterio da sempre utilizzato dalla giurisprudenza di questa Corte per distinguere l'opera assoggettabile a regime concessorio (oggi permesso di costruire) da quella realizzabile liberamente, a prescindere dall'incorporamento al suolo o dai materiali utilizzati (Sez. 3, Sentenza n. 9229 del 12/02/1976, Sez. 3,  Sentenza n. 1927 del 23/11/1981, Sez. 3, Sentenza n. 5497 del 11/03/1983, Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 23/03/1994, Sez. 3, Sentenza n. 12022 del 20/11/1997, Sez. 3, Sentenza n. 11839 del 12/07/1999, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009, quest'ultima con richiamo ad ulteriori precedenti conformi di questa Corte e del Consiglio di Stato).
Nemmeno il carattere stagionale dell'attività implica di per sé la precarietà dell'opera (Sez. 3, Sentenza n. 34763 del 21/06/2011, Sez. 3, Sentenza n. 13705 del 21/02/2006, Sez. 3, Sentenza n. 11880 del 19/02/2004, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009 cit.).
6.5.
Il riferimento alla temporaneità e alla contingenza dell'esigenza, piuttosto che alle caratteristiche strutturali dell'opera edilizia ed al materiale impiegato per la sua realizzazione, deriva dal fatto che nella riflessione dottrinaria e giurisprudenziale del secondo dopoguerra si è venuta consolidando la consapevolezza che il territorio non può più essere considerato strumento destinato al solo assetto ed incremento edilizio (art. 1 L. 1150/1942), ma come luogo sul quale convergono interessi di ben più ampio respiro che dalle modalità del suo utilizzo (o del suo non utilizzo) possono trovare giovamento o, al contrario, pregiudizio, sì che la sua trasformazione urbanistica ed edilizia (così l'art. 1 L. 10/1977 che, si noti, operando un rivolgimento copernicano rispetto all'art. 1 L. 1150/1942, ha posto l'attività edilizia in secondo piano rispetto a quella urbanistica) costituisce oggetto di compiuta valutazione e comparazione degli interessi in gioco e, dunque, vera e propria attività di governo (così l'art. 117, comma 30 , Cost.), non sempre, e non solo, appannaggio esclusivo della collettività che lo abita.
6.6.
E' evidente, pertanto, che la temporaneità dell'esigenza che l'opera precaria è destinata a soddisfare è quella (e solo quella) che non è suscettibile di incidere in modo permanente e tendenzialmente definitivo sull'assetto e sull'uso del territorio.
6.7. Tanto premesso, risulta dalla lettura della sentenza impugnata che il modulo abitativo prefabbricato, al quale era asservito il manufatto di dodici metri composto di polistirolo, era stato collocato sopra una piattaforma di cemento realizzata all'interno del fondo di proprietà della Pe..
All'interno del medesimo fondo erano stati realizzati gli allacciamenti elettrici, idrici e fognari destinati a servire il manufatto sotto il cui pavimento erano stati predisposti gli alloggiamenti per le tubature idriche e gli impianti elettrici. Il bagno era munito di uno scaldabagno elettrico. Nel manufatto erano state inserite le scatole per gli interruttori elettrici ed i relativi interruttori. Sul perimetro del fondo erano state realizzate delle aiuole e piantati degli alberi a riprova, afferma la Corte, della duratura destinazione dell'immobile ad abitazione.
6.8. Non v'è dubbio che la Corte di appello ha fatto buon governo dei principi sopra indicati traendo dalle premesse in fatto testé illustrate conseguenze non manifestamente illogiche in ordine alla effettiva natura delle esigenze non temporanee che il manufatto, nella sua interezza e a prescindere dai materiali utilizzati, doveva soddisfare.
6.9. Le eccezioni sollevate dalla ricorrente non colgono nel segno sia perché valorizzano l'argomento della tipologia dei materiali utilizzati, sia perché non considerano che la natura modulare dell'abitazione prefabbricata, alla luce dell'inequivocabile dettato normativo sopra richiamato, non esclude la durevolezza delle esigenze abitative cui il manufatto era asservito.
L'ulteriore argomento difensivo secondo cui si trattava di manufatto posto in opera a scopi puramente pubblicitari, e dunque transitori, è stata smentita dalla Corte di appello con argomentazioni non oggetto di specifica censura da parte della ricorrente che si limita ad eccepire, al riguardo, un inammissibile travisamento della prova volto, di fatto, a creare un contatto diretto di questa Corte di cassazione con le fonti di prova allegate al ricorso.
6.10. Quanto ai profili di responsabilità di tutti gli imputati si deve osservare che la posa in opera del manufatto costituisce l'esecuzione di un accordo intercorso tra la proprietaria committente e il legale rappresentante della società venditrice, accordo per effetto del quale l'azione appartiene ad entrambi gli imputati. Il fatto che la posa in opera del manufatto sia stata giustificata con le (insussistenti) esigenze pubblicitarie indicate nel contratto di vendita costituisce ulteriore argomento che rafforza la prova della comune consapevolezza della necessità del titolo edilizio mancante.
6.11. In ogni caso,
assume valore dirimente il fatto che la società legalmente rappresentata dal Sa. non si è limitata alla vendita del manufatto, ma si è direttamente interessata anche alla sua posa in opera e alla realizzazione degli allacci, destinandovi due operai.
6.12.
Il che è più che sufficiente a qualificarla come "costruttore" ai sensi dell'art. 29, d.P.R. n. 380 del 2001 che, in quanto tale, ha il dovere di controllare preliminarmente che siano state richieste e rilasciate le prescritte autorizzazioni, rispondendo a titolo di dolo del reato di cui all'art. 44 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, in caso di inizio delle opere nonostante l'accertamento negativo, e a titolo di colpa nell'ipotesi in cui tale accertamento venga omesso (Sez. 3, n. 16802 del 08/04/2015, Carafa, Rv. 263474; Sez. 3, n. 860 del 25/11/2004, Cima, Rv. 230663).
6.13.
Anche gli operai, materiali esecutori dei lavori, rispondono del reato a titolo di concorrenti (in questo senso Sez. 3, n. 16751 del 23/03/2011, Iacono, Rv. 250147, secondo cui la natura di reati "propri" degli illeciti previsti dalla normativa edilizia non esclude che soggetti diversi da quelli individuati dall'art. 29, comma primo, del decreto medesimo, possano concorrere nella loro consumazione, in quanto apportino, nella realizzazione dell'evento, un contributo causale rilevante e consapevole; nello stesso senso anche Sez. 3, n. 35084 del 25/02/2004, Barreca, Rv. 229651; Sez. 3, n. 48025 del 12/11/2008, Ricardi, Rv. 241799, secondo cui concorre nel reato anche si limita a svolgere lavori di completamento dell'immobile, quali la pavimentazione, l'intonacatura, gli infissi, sempre che sia ravvisabile un profilo di colpa collegato alla mancata conoscenza del carattere abusivo dei lavori).
6.14. Il Ca. ed il Di. non si erano limitati a collocare sul posto il manufatto ma erano intenti ad effettuare lavori di allaccio alle reti idrica ed elettrica che concorrevano a rendere oggettivamente stabile l'opera edilizia, realizzata in totale assenza di permesso di costruire e di qualsiasi altra autorizzazione. Sicché essi ne rispondono anche a titolo di colpa.
6.15. La argomentazioni sin qui svolte valgono a maggior ragione anche per il reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, peraltro non oggetto di specifica impugnazione, al pari della muratura in pietra (della quale non v'è menzione nei ricorsi).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo permanenti: è necessario il permesso di costruire?
I gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta.
In effetti la «precarietà» dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene, e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è riconducibile nell’ipotesi prevista alla lett. e.5) del comma 1 dell’art. 3 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, che include tra le nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.
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Non implica precarietà dell'opera, ai fini autorizzativi e dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (non sono infatti manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, sicché l'alterazione non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante), anche se con la reiterazione della presenza del manufatto di anno in anno nella sola buona stagione.
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Il ricorso è infondato.
Si verte al cospetto di un gazebo che richiedeva il permesso di costruire avendo dimensioni significative di ml. 5,00 x 3,00, per un totale di 15 mq., con altezza di ml. 2,50 circa, e posto sul confine di proprietà, a distanza non regolamentare e come tale idoneo a ridurre la visuale e la luminosità delle abitazioni limitrofe con affaccio sulla corte dove è stato posto, come peraltro contestato da proprietario confinante che ha segnalato l’abuso edilizio.
Diversamente da quanto allegato dalla ricorrente, è stata realizzata una vera e propria casetta chiusa, sui diversi lati, con pannelli di legno (o comunque in profili di PLET-plastica riciclata eterogenea) pieni nella parte inferiore e grigliati in quella superiore e munita di telo di copertura, come tale idonea a creare un volume edilizio di indubbio impatto anche per le caratteristiche della corte edilizia dove è stato collocato, secondo quanto chiaramente evincibile dalla documentazione fotografica allegata al verbale del Comando della Polizia Municipale del 04.03.2009 in atti.
Si tratta, in particolare, di un manufatto leggero per il quale è richiesto il permesso di costruire, di cui all’art. 10 del DPR n. 380/2001, in forza del disposto di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.5) -secondo quanto espressamente contestato con il verbale della polizia municipale del 04.03.2009 richiamato nella ordinanza impugnata- essendo privo del carattere della temporaneità in quanto stabilmente destinato ad attività al servizio della abitazione principale (quale locale di servizio, deposito, adibito allo svago o di vero e proprio “salotto all’aperto”, secondo quanto riferito dalla stessa ricorrente con la relazione tecnica di parte in atti).
L’assenza del requisito della temporaneità si desume, in particolare, dalla sua non facile amovibilità di cui la solida struttura in legno ne è indice certamente grave e preciso, tant’è che la stessa relazione tecnica di parte, nel descrivere le caratteristiche costruttive del manufatto, parla di elementi autoportanti bullonati tra loro costituiti da pannelli verticali e da “travi perimetrali, orizzontali e centrali di copertura”.
In presenza di simili caratteristiche costruttive, oggettivamente incompatibili con il parametro legale della temporaneità, a nulla vale opporre che la struttura non sarebbe ancorata ma solo poggiata a terra.
La giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell'attività svolta (in termini Cons. Stato, Sez. IV, 04.04.2013, n. 4438; Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842; TAR Perugia, 16.02.2015, n. 81).
In tal senso, la “precarietà” dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è riconducibile nell'ipotesi prevista alla lett. e.5) del comma 1 dell'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, che include tra le nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” (Cons. Stato, Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842).
E’ stato ancora precisato che “Non implica precarietà dell'opera, ai fini autorizzativi e dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (non sono infatti manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, sicché l'alterazione non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante), anche se con la reiterazione della presenza del manufatto di anno in anno nella sola buona stagione” (Cfr. Cons. Stato, VI, 01.12.2014, n. 5934).
Nel caso di specie il requisito della temporaneità manca sia dal punto di vista strutturale, stante la non facile amovibilità del manufatto, sia da quello funzionale stante la sua idoneità ad assolvere in modo duraturo nel tempo una molteplicità di funzioni a servizio dell’abitazione principale.
Alla luce delle motivazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, non potendo giovare alla ricorrente neppure il richiamo alla sentenza di questo TAR n. 66/2014 con la quale la necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire è stata esclusa in presenza di una struttura in legno “aperta sui lati”, per di più “rientrante nella previsione del progetto di cui alla concessione edilizia n. 278/1983” e quindi munita di titolo edilizio autorizzatorio (TAR Molise, sentenza 21.09.2016 n. 353 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 149 del dlgs 42/2004 prevede che “...non é comunque richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146, dall'articolo 147 e dall'articolo 159: a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici...”.
Gli interventi  consistenti nell’istallazione:
- “di due unità di condizionamento, di corpi illuminanti e di grillages sul parapetto perimetrale del terrazzo” nonché nella realizzazione “di un insegna pubblicitaria fissata sull’inferriata situata nella parte superiore del varco d’accesso”,
non possono rientrare nella fattispecie di cui all'art. 149, lett. a), del dlgs 42/2004, e ciò in quanto tali opere, complessivamente considerate, comportato un’alterazione dell’aspetto esteriore dell’immobile vincolato, atteso che le medesime, consistendo in opere esterne, incidono sulla percezione visiva rilevante ai fini della tutela del vincolo ricadente sull’immobile de quo.
Ne deriva, quindi, che i succitati interventi -non rientrando nella fattispecie di cui all’art. 149, lett. a), del d.lgs. n. 42 del 2004- sono soggetti al regime autorizzatorio di cui all’art. 146 del medesimo decreto legislativo, con la conseguenza che l’Amministrazione, dopo aver riscontrato che tali opere erano state realizzate in assenza dei richiesti titoli abilitativi, ha correttamente proceduto a intimarne la demolizione.
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Non può, peraltro, opporsi la circostanza che le succitate opere sarebbero temporanee e amovibili.
Infatti, la Sezione deve rilevare che, in base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie. Ciò, in quanto il manufatto non precario non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel tempo. Infatti, la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire ... postula un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo”.
Orbene, nel caso di specie, gli interventi concernenti l’illuminazione, il sistema di condizionamento e l’insegna pubblicitaria non costituiscono opere aventi una finalità temporalmente delimitata ma risultano funzionalmente diretti a soddisfare esigenze durevoli nel tempo, con la conseguenza che la loro ipotetica ed astratta amovibilità non risulta una circostanza adeguata ad inficiare la rilevata legittimità del provvedimento impugnato.

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Osserva, preliminarmente, la Sezione che l’art. 146, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 42 del 2004 dispone che “i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all'articolo 157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli 138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione o all'ente locale al quale la regione ha affidato la relativa competenza i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione”.
L’art. 149 del medesimo decreto legislativo prevede, inoltre, per quanto d’interesse in questa sede, che “...non é comunque richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146, dall'articolo 147 e dall'articolo 159: a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici...”.
Orbene, per quanto concerne il caso di specie, la Sezione deve in primo luogo rilevare che gli interventi oggetto dell’impugnata ordinanza -così come individuati dalla nota della Soprintendenza di Napoli e Provincia n. 14402 del 27.08.2012, non contestata in atti- sono stati realizzati su un immobile vincolato ope legis ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004.
Inoltre, i suddetti interventi -consistiti, come esplicitato al precedente n. 4, nell’istallazione “di due unità di condizionamento, di corpi illuminanti e di grillages sul parapetto perimetrale del terrazzo” nonché nella realizzazione “di un insegna pubblicitaria fissata sull’inferriata situata nella parte superiore del varco d’accesso”- non possono rientrare nella fattispecie di cui al richiamato art. 149, lett. a) del succitato decreto legislativo, e ciò in quanto tali opere, complessivamente considerate, hanno comportato un’alterazione dell’aspetto esteriore dell’immobile vincolato, atteso che le medesime, consistendo in opere esterne, incidono sulla percezione visiva rilevante ai fini della tutela del vincolo ricadente sull’immobile de quo.
Ne deriva, quindi, che i succitati interventi -non rientrando nella fattispecie di cui all’art. 149, lett. a) del d.lgs. n. 42 del 2004- erano soggetti al regime autorizzatorio di cui all’art. 146 del medesimo decreto legislativo, con la conseguenza che l’Amministrazione, dopo aver riscontrato che tali opere erano state realizzate in assenza dei richiesti titoli abilitativi, ha correttamente proceduto a intimarne la demolizione.
A quanto esposto non può, peraltro, opporsi la circostanza che le succitate opere sarebbero temporanee e amovibili.
Infatti -anche volendo prescindere dalla circostanza che la società ricorrente si è limitata ad asserire l’amovibilità di tali opere senza fornire adeguati elementi probatori al riguardo, eccezion fatta per il solo intervento relativo ai “grillages”, cui si fa riferimento nella relazione tecnica allegata alla SCIA del 16.04.2012- la Sezione deve rilevare che, in base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie. Ciò, in quanto il manufatto non precario non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel tempo. Infatti, la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire ... postula un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo” (Cons. di Stato, Sez. VI, 04.09.2015, n. 4116).
Orbene, nel caso di specie, gli interventi concernenti l’illuminazione, il sistema di condizionamento e l’insegna pubblicitaria non costituiscono opere aventi una finalità temporalmente delimitata ma risultano funzionalmente diretti a soddisfare esigenze durevoli nel tempo, con la conseguenza che la loro ipotetica ed astratta amovibilità non risulta una circostanza adeguata ad inficiare la rilevata legittimità del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, Sez. II, parere 28.06.2016 n. 1521 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per l'installazione di un chiosco è necessario munirsi di permesso di costruire; si deve, infatti, valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di “costruzione”, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale.
I manufatti non precari, in quanto funzionali a soddisfare esigenze permanenti, devono ritenersi idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con conseguente incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la loro eventuale precarietà strutturale, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie (come, ad esempio, per gazebo o chioschi); in tal senso, la “precarietà” dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene, mentre la precarietà dei materiali utilizzati non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è riconducibile nell'ipotesi prevista alla lett. e.5) del comma 1 dell'art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001 - che include tra le nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

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Devono, infatti, ritenersi infondati i tre motivi di ricorso, che si ritiene di poter valutare congiuntamente.
Al riguardo il Collegio, condividendo la giurisprudenza amministrativa prevalente, dalla quale non ha motivo di discostarsi, ritiene che per l'installazione di un chiosco è necessario munirsi di permesso di costruire; si deve, infatti, valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di “costruzione”, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 05.03.2015, n. 478).
I manufatti non precari, in quanto funzionali a soddisfare esigenze permanenti, devono ritenersi idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con conseguente incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la loro eventuale precarietà strutturale, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie (come, ad esempio, per gazebo o chioschi); in tal senso, la “precarietà” dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene, mentre la precarietà dei materiali utilizzati non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è riconducibile nell'ipotesi prevista alla lett. e.5) del comma 1 dell'art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001 - che include tra le nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 03.06.2014, n. 2842).
Passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame, l’ordinanza di demolizione impugnata è stata adottata ai sensi dell’articolo 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, in riferimento alla scia presentata in data 27.01.2012 per l’istallazione di un chiosco per la somministrazione di alimenti e bevande, da installare in un area di pertinenza del Comando Provinciale Vigili del Fuoco, antistante l’ingresso principale, alla via G. Falcone, a seguito di quanto emerso dalla comunicazione prot. n. 12637 del 17.02.2012, relativa all’esito del sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale il 15.02.2012, sulla base della seguente motivazione: “in quanto trattasi di opere eseguite in assenza di Permesso di Costruire”.
Alla luce della richiamata giurisprudenza, la suddetta ordinanza di demolizione deve ritenersi legittimamente adottata nei confronti del ricorrente per la risolutiva circostanza della necessarietà del permesso di costruire, posta a fondamento dell’ordinanza di demolizione stessa
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 05.05.2016 n. 2282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria.
Ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco dell’anno, atteso che:
   a) le modalità di installazione e rimozione di una struttura sono indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella di realizzare un vano chiuso);
   b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.
La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione.
Coerentemente è stato affermato che nemmeno l’eventuale intendimento di utilizzare la struttura stagionalmente, può consentire di attribuire alla stessa carattere precario.

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Ed invero l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria (Cons. Stato, Sez. VI, 05/08/2013 n. 4089; Sez. V, 08/04/1999, n. 394; 26/10/1998 n. 1554).
Ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco dell’anno, atteso che:
   a) le modalità di installazione e rimozione di una struttura sono indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella di realizzare un vano chiuso);
   b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.
La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (Cass. Pen., Sez. III, 08/02/2007 n. 5350).
Coerentemente è stato affermato che nemmeno l’eventuale intendimento di utilizzare la struttura stagionalmente, può consentire di attribuire alla stessa carattere precario (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.05.2016 n. 1822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Case mobili e titolo edilizio: nuova sentenza del Consiglio di Stato.
La precarietà dei manufatti non si può desumere dalle finalità di alloggio transitorio e temporaneo proprie delle strutture ricettive turistiche.
La stabile collocazione, ad opera del gestore, di un vero e proprio nucleo organizzato di case mobili, determina un’alterazione del territorio che non può ritenersi né precaria né transitoria, e la realizzazione di una struttura ricettiva atipica che può ritenersi assimilabile a quella di un villaggio turistico.
Nel momento in cui tali manufatti, definiti case mobili perché muniti di ruote, sono stati stabilmente infissi al suolo, all’interno dell’area del campeggio, ed hanno perso la loro mobilità, viene meno quella caratteristica di precarietà dell’opera che consente la loro collocazione in assenza di titoli edilizi all’interno di strutture ricettive turistiche.

Lo ha evidenziato il Consiglio di Stato (Sez. VI) nella sentenza 01.04.2016 n. 1291.
Palazzo Spada sottolinea che le disposizioni volte a consentire la libera collocazione all’interno delle strutture ricettive di strutture mobili (come le “case” su ruote) “è volta chiaramente a favorire l’occupazione transitoria del suolo, in particolare da parte dei turisti che utilizzano tali mezzi muovendosi da una struttura all’altra, e non anche a favorire la realizzazione, in assenza di titoli edilizi, di strutture stabili equiparabili a quelle di tipo alberghiero”.
Temporanee sono, infatti, esclusivamente le modalità di soggiorno dei soggetti ospitati nelle strutture, che nulla hanno in comune con la stabile presenza ed utilizzazione delle "case mobili".
Il Consiglio di Stato ricorda che “la possibile collocazione temporanea di roulotte o camper o altri manufatti mobili all’interno di strutture ricettive all’aperto, come i camping, è chiaramente consentita dal legislatore e non prevede il rilascio di titoli edilizi”.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5), del D.P.R. n. 380 del 06.06.2001, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, sono, infatti, da considerarsi nuove costruzioni, comportanti la trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, «l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore».
IL PRONUNCIAMENTO DELLA CONSULTA. I limiti per l’applicazione di tale disposizione sono stati di recente chiariti dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 171 del 02-06.07.2012. Con tale sentenza la Corte ha sancito l’illegittimità costituzionale, per la violazione della normativa statale in ordine agli interventi di nuova costruzione, del comma 1 dell’art. 25-bis della legge della Regione Lazio n. 13 del 2007, inserito dall’art. 2 della legge regionale n. 14 del 2011, secondo cui era consentita, nelle strutture ricettive all’aria aperta, previste dall’art. 23, comma 4, della detta legge regionale, l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di pernottamento, con relativi preingressi e cucinotti, «anche se collocati permanentemente».
La Corte Costituzionale ha precisato che l’art. 6 del D.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce quali sono gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo, e tra essi non figurano le installazioni delle strutture sopra menzionate, mentre il successivo art. 10 inserisce gli interventi di nuova costruzione tra quelli di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Pertanto, ha aggiunto la Corte, «l’assunto della difesa regionale –secondo cui le strutture mobili, previste dall’art. 1 della legge impugnata, non determinerebbero alcuna trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono– si pone in palese contrasto con la normativa statale e con i principi fondamentali da essa affermati. Invero, è evidente che, se quell’assunto fosse esatto, cioè se si trattasse “di strutture caratterizzate da precarietà oggettiva, tenuto conto delle tipologie dei materiali utilizzati”, il legislatore statale non avrebbe catalogato in modo espresso tra “gli interventi di nuova costruzione” l’installazione di manufatti leggeri, tra cui le case mobili. Inoltre, quanto alla precarietà funzionale che contraddistinguerebbe i manufatti, ponendosi come nozione distinta dalla temporaneità delle funzioni cui assolvono, giacché essi sarebbero volti a garantire esigenze meramente temporanee, è sufficiente notare, da un lato, che proprio il dettato della norma censurata smentisce tale precarietà, dal momento che considera l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili, “anche se collocati permanentemente”, come attività edilizia libera, e perciò non soggetta a titolo abilitativo edilizio; e, dall’altro, che proprio la mancanza del titolo edilizio e di ogni previsione di verifica o di controllo impedisce di riscontrare il presunto carattere precario e temporaneo dell’installazione».
Né secondo la Corte, è possibile giungere ad una conclusione diversa per effetto della norma di cui all’art. 6, comma 6, del T.U. sull’edilizia, che consente alle Regioni a statuto ordinario di poter estendere la disciplina sull’attività edilizia libera ad interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli menzionati nel medesimo articolo, poiché tale disposizione si riferisce ad (altri) interventi (atipici) senza che possa essere derogata la disposizione dettata dall’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Nella decisione richiamata, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 2, comma 8, secondo periodo, della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011, per aver disposto che, nelle strutture regolarmente autorizzate all’esercizio ricettivo e ricadenti nei parchi naturali successivamente istituiti, l’installazione, la rimozione e/o lo spostamento di mezzi mobili di pernottamento non costituiscono mutamenti dello stato dei luoghi e pertanto non sono soggetti al preventivo parere degli enti gestori.
Quindi, aggiunge il Consiglio di Stato, “per effetto di quanto disposto dal citato art. 3 del T.U. dell’edilizia l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper e, come nella specie, case mobili, può ritenersi pertanto consentita in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti se sono diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono, mentre l’installazione stabile di mezzi (teoricamente) mobili di pernottamento determina una trasformazione irreversibile o permanente del territorio, con la conseguenza che per tali manufatti, equiparabili alle nuove costruzioni, necessita il permesso di costruire. Se l’area interessata è poi in zona vincolata, per tali manufatti occorre anche il nulla osta dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo”.
La disposizione “è chiaramente volta ad escludere la necessità di titoli edilizi per la collocazione temporanea di strutture mobili destinate ad abitazione, come le roulotte, i camper o anche le case mobili, da parte dei turisti che utilizzano tali mezzi per muoversi da una struttura all’altra e si avvalgono poi dei diversi servizi messi a loro disposizione dai gestori delle strutture ricettive
(commento tratto da www.casaeclima.com).
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MASSIMA
... per la riforma della sentenza del TAR per il Lazio, Sede di Roma, Sez. I-quater, n. 11725 del 24.11.2014, resa tra le parti, concernente la demolizione di case mobili e il ripristino dello stato dei luoghi.
...
3.- La società Ro.Ge. ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.
In particolare la società appellante ha insistito nel sostenere l’illegittimità dell’impugnata ordinanza di demolizione in quanto le case mobili oggetto del provvedimento sanzionatorio sono destinate a soddisfare, contrariamente a quanto affermato dal TAR, esigenze intrinsecamente temporanee.
Dopo aver ricordato che la normativa regionale (art. 25-bis della legge n. 13 del 2007, Organizzazione del sistema turistico laziale), che prevedeva la libera installazione delle strutture oggetto del provvedimento impugnato, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 171 del 2012, la società appellante ha sostenuto che comunque la normativa nazionale (art. 3, comma 1, lett. e5, del T.U. dell’edilizia) include i manufatti leggeri, come le case mobili, fra quelli per i quali occorre il permesso di costruire, se utilizzati come abitazioni o come luogo di lavoro, «salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta e il soggiorno di turisti».
L’appellante ha poi aggiunto che anche la legge regionale n. 18 del 2008 prevede che il posizionamento di mezzi mobili all’interno del camping non è soggetto a titoli abilitativi.
4.- Ciò premesso, si deve preliminarmente ricordare che
la possibile collocazione temporanea di roulotte o camper o altri manufatti mobili all’interno di strutture ricettive all’aperto, come i camping, è chiaramente consentita dal legislatore e non prevede il rilascio di titoli edilizi.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5), del D.P.R. n. 380 del 06.06.2001, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, sono, infatti, da considerarsi nuove costruzioni , comportanti la trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, «l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore».
5.- I limiti per l’applicazione di tale disposizione sono stati di recente chiariti dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 171 del 02-06.07.2012, citata dalla stessa società appellante.
Con tale sentenza la Corte ha sancito l’illegittimità costituzionale, per la violazione della normativa statale in ordine agli interventi di nuova costruzione, del comma 1 dell’art. 25-bis della legge della Regione Lazio n. 13 del 2007, inserito dall’art. 2 della legge regionale n. 14 del 2011, secondo cui era consentita, nelle strutture ricettive all’aria aperta, previste dall’art. 23, comma 4, della detta legge regionale, l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di pernottamento, con relativi preingressi e cucinotti, «anche se collocati permanentemente».
5.1.- La Corte Costituzionale ha quindi precisato che
l’art. 6 del D.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce quali sono gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo, e tra essi non figurano le installazioni delle strutture sopra menzionate, mentre il successivo art. 10 inserisce gli interventi di nuova costruzione tra quelli di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Pertanto, ha aggiunto la Corte, «l’assunto della difesa regionale –secondo cui le strutture mobili, previste dall’art. 1 della legge impugnata, non determinerebbero alcuna trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono– si pone in palese contrasto con la normativa statale e con i principi fondamentali da essa affermati. Invero, è evidente che, se quell’assunto fosse esatto, cioè se si trattasse “di strutture caratterizzate da precarietà oggettiva, tenuto conto delle tipologie dei materiali utilizzati”, il legislatore statale non avrebbe catalogato in modo espresso tra “gli interventi di nuova costruzione” l’installazione di manufatti leggeri, tra cui le case mobili. Inoltre,
quanto alla precarietà funzionale che contraddistinguerebbe i manufatti, ponendosi come nozione distinta dalla temporaneità delle funzioni cui assolvono, giacché essi sarebbero volti a garantire esigenze meramente temporanee, è sufficiente notare, da un lato, che proprio il dettato della norma censurata smentisce tale precarietà, dal momento che considera l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili, “anche se collocati permanentemente”, come attività edilizia libera, e perciò non soggetta a titolo abilitativo edilizio; e, dall’altro, che proprio la mancanza del titolo edilizio e di ogni previsione di verifica o di controllo impedisce di riscontrare il presunto carattere precario e temporaneo dell’installazione».
5.2.- Né secondo la Corte, è possibile giungere ad una conclusione diversa per effetto della norma di cui all’art. 6, comma 6, del T.U. sull’edilizia, che consente alle Regioni a statuto ordinario di poter estendere la disciplina sull’attività edilizia libera ad interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli menzionati nel medesimo articolo, poiché tale disposizione si riferisce ad (altri) interventi (atipici) senza che possa essere derogata la disposizione dettata dall’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.
5.3.- Si deve aggiungere che la Corte, nella decisione richiamata, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 2, comma 8, secondo periodo, della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011, per aver disposto che, nelle strutture regolarmente autorizzate all’esercizio ricettivo e ricadenti nei parchi naturali successivamente istituiti, l’installazione, la rimozione e/o lo spostamento di mezzi mobili di pernottamento non costituiscono mutamenti dello stato dei luoghi e pertanto non sono soggetti al preventivo parere degli enti gestori.
6.-
Per effetto di quanto disposto dal citato art. 3 del T.U. dell’edilizia l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper e, come nella specie, case mobili, può ritenersi pertanto consentita in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti se sono diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono, mentre l’installazione stabile di mezzi (teoricamente) mobili di pernottamento determina una trasformazione irreversibile o permanente del territorio, con la conseguenza che per tali manufatti, equiparabili alle nuove costruzioni, necessita il permesso di costruire.
Se l’area interessata è poi in zona vincolata, per tali manufatti occorre anche il nulla osta dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.

6.1.-
L’indicata disposizione è chiaramente volta ad escludere la necessità di titoli edilizi per la collocazione temporanea di strutture mobili destinate ad abitazione, come le roulotte, i camper o anche le case mobili, da parte dei turisti che utilizzano tali mezzi per muoversi da una struttura all’altra e si avvalgono poi dei diversi servizi messi a loro disposizione dai gestori delle strutture ricettive.
7.- Nella fattispecie, come risulta dalla documentazione in atti, le case mobili oggetto del provvedimento di demolizione, in gran parte poi rimosse, benché collocate all’interno di una struttura ricettiva turistica autorizzata non erano evidentemente caratterizzate da quella precarietà e temporaneità che ne poteva consentire la permanenza in assenza di titoli edilizi.
Risulta, infatti, dagli atti, che la società appellante aveva collocato stabilmente, destinandole al servizio di turisti, ben 142 case mobili (n. 70 di mt. 3 x 8, di forma rettangolare, e n. 72 di circa mq. 27, di forma ad “L”, per un totale di circa 3.624 mq.), munite di ruote, ma sollevate dal suolo, ed allacciate all’impianto idrico sanitario ed elettrico.
7.1.- In tal modo, la stabile collocazione, ad opera del gestore, di un vero e proprio nucleo organizzato di case mobili, ha determinato un’alterazione del territorio, che non può ritenersi né precaria né transitoria, e la realizzazione di una struttura ricettiva atipica che può ritenersi assimilabile a quella di un villaggio turistico.
In particolare,
nel momento in cui tali manufatti, definiti case mobili perché muniti di ruote, sono stati stabilmente infissi al suolo, all’interno dell’area del campeggio, ed hanno perso la loro mobilità (tanto che, come ha accertato il Comune, erano sollevati dal suolo), è venuta meno quella caratteristica di precarietà dell’opera che consente la loro collocazione in assenza di titoli edilizi all’interno di strutture ricettive turistiche.
Infatti, le disposizioni volte a consentire la libera collocazione all’interno delle strutture ricettive di strutture mobili (come le “case” su ruote) è volta chiaramente a favorire l’occupazione transitoria del suolo, in particolare da parte dei turisti che utilizzano tali mezzi muovendosi da una struttura all’altra, e non anche a favorire la realizzazione, in assenza di titoli edilizi, di strutture stabili equiparabili a quelle di tipo alberghiero.
7.2.- Correttamente il TAR ha, pertanto, affermato che,
per individuare la natura precaria di un'opera, si deve seguire «non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale», per cui un'opera se è realizzata per soddisfare esigenze non temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie.
7.3.- Anche questa Sezione ha più volte affermato che
non possono essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (fra le più recenti: Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4116 del 04.09.2015).
La Sezione ha anche affermato che
la “precarietà” dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità che non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2841 del 03.06.2014).
8.-
, come pure ha giustamente osservato il TAR, la precarietà dei manufatti può desumersi dalle finalità di alloggio transitorio e temporaneo proprie delle strutture ricettive turistiche: «temporanee sono, infatti, esclusivamente le modalità di soggiorno dei soggetti ospitati nelle strutture, che nulla hanno in comune con la stabile presenza ed utilizzazione delle "case mobili" in questione».
9.- Alla luce delle esposte considerazioni, l’appello risulta infondato e deve essere pertanto respinto (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.04.2016 n. 1291 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli interventi, consistenti nella realizzazione di tettoie e di altre strutture non comprese entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratte al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredi o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui eventualmente accedono. Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza permesso di costruire, allorquando le loro dimensioni sono di entità tali da arrecare una visibile alterazione dello stato dei luoghi.
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È incontestata, in vicenda, l’assenza di titolo abilitativo e la consistenza degli abusi edilizi, a nulla rilevando, ai fini della qualificazione dell'abuso, il carattere precario o temporaneo dei manufatti eseguiti, con riferimento ai quali, peraltro, non viene allegata documentazione tecnica comprovante tale asserita precarietà.
Assume, invece, significato la perdurante modificazione strutturale e funzionale dello stato dei luoghi, nella specie, peraltro, in zona di vincolo, atteso che il manufatto è finalizzato all’uso costante (ricovero di attrezzature edili) proprio di un'attività imprenditoriale.
Peraltro, la giurisprudenza amministrativa è da tempo consolidata nel ritenere che la precarietà di un manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a permesso di costruire per ogni attività comportante la trasformazione urbanistica del territorio, non dipende dai materiali utilizzati o dai sistemi di ancoraggio al suolo, bensì dalla obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell’opera.

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Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da RI.Do., RI.Ma., RI.Ar., RI.Ma., per l’annullamento, previa sospensiva, dell’ordinanza del Comune di San Sebastiano al Vesuvio (NA) n. 39 del 01.06.2010, con cui è stata ingiunta ai ricorrenti, in qualità di proprietari del terreno, la demolizione delle opere abusive rilevate presso tale terreno, nonché (con ulteriore ricorso straordinario) del verbale di accertamento di ottemperanza all’ordinanza di demolizione impugnata, elevata dalla Polizia Municipale dello stesso Comune, prot. n. 1372 del 14.10.2010 .
...
Il ricorsi sono infondati.
Come emerge dalla descrizione dell’abuso sanzionato, nella specie non si è trattato di un intervento di modeste dimensioni, ma di un manufatto in muratura di circa 36 mq ad uso ufficio, con copertura in lamiere coibentate ed attigua tettoia poggiante su pilastrini in ferro, per una superficie di circa 115 mq.
In proposito, è stato rilevato in giurisprudenza che gli interventi, consistenti nella realizzazione di tettoie e di altre strutture non comprese entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratte al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredi o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui eventualmente accedono. Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza permesso di costruire, allorquando le loro dimensioni sono di entità tali da arrecare una visibile alterazione dello stato dei luoghi (Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001, n. 1442).
È incontestata, in vicenda, l’assenza di titolo abilitativo e la consistenza degli abusi edilizi, a nulla rilevando, ai fini della qualificazione dell'abuso, il carattere precario o temporaneo dei manufatti eseguiti, con riferimento ai quali, peraltro, non viene allegata documentazione tecnica comprovante tale asserita precarietà. Assume, invece, significato la perdurante modificazione strutturale e funzionale dello stato dei luoghi, nella specie, peraltro, in zona di vincolo, atteso che il manufatto è finalizzato all’uso costante (ricovero di attrezzature edili) proprio di un'attività imprenditoriale (Consiglio di Stato, Sez. I, 10.04.2013, n. 666/2013).
Peraltro, la giurisprudenza amministrativa è da tempo consolidata nel ritenere che la precarietà di un manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a permesso di costruire per ogni attività comportante la trasformazione urbanistica del territorio, non dipende dai materiali utilizzati o dai sistemi di ancoraggio al suolo, bensì dalla obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell’opera (Cons. St., Sez. IV, 02.10.2012, n. 5183; Sez. III, 12.09.2012, n. 4850; Sez. V, 20.12.1999, n. 2125) (Consiglio di Stato, Sez. II, parere 25.02.2016 n. 522 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl carattere precario di un’opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non possono essere considerati quali opere destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee quelle adibite ad un utilizzo perdurante nel tempo, tale per cui l'alterazione del territorio –circostanza decisiva ai fini dell’autorizzazione paesaggistica- non può essere considerata irrilevante.
Da ciò consegue che, laddove si realizzi un manufatto destinato ad un uso prolungato nel tempo, anche in assenza di immobilizzazione al suolo o al solaio, la precarietà dello stesso non dipende dai materiali impiegati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è rivolto e va quindi valutata alla luce dell'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell’opera, senza che rilevino le finalità, ancorché temporanee, date o auspicate dai proprietari.

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Come chiarito da questa stessa Sezione, in adesione ad un indirizzo giurisprudenziale in materia consolidato, il carattere precario di un’opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non possono essere considerati quali opere destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee quelle adibite ad un utilizzo perdurante nel tempo, tale per cui l'alterazione del territorio –circostanza decisiva ai fini dell’autorizzazione paesaggistica- non può essere considerata irrilevante (TAR Napoli, sez. III, 14.05.2013, n. 2505).
Da ciò consegue che, laddove si realizzi un manufatto destinato ad un uso prolungato nel tempo, anche in assenza di immobilizzazione al suolo o al solaio, la precarietà dello stesso non dipende dai materiali impiegati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è rivolto e va quindi valutata alla luce dell'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell’opera, senza che rilevino le finalità, ancorché temporanee, date o auspicate dai proprietari (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 13.01.2016 n. 137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Non ha natura "precaria" il manufatto realizzato consiste in un corpo di fabbrica edificato con blocchetti di tufo con copertura di travi di legno e lamiera zincata, destinato a pollaio, perimetrato da una rete metallica di recinzione infissa in un cordolo anch’esso realizzato con blocchetti di tufo.
In materia edilizia, la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione dell’opera come attribuitale dal costruttore, ma deve risultare dalla intrinseca destinazione materiale della stessa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non risultando peraltro sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo.
Nel caso di specie, il fatto che l’opera fosse adibita abitualmente al ricovero degli animali (pollaio) esclude, con tutta evidenza, la natura precaria della stessa ed il fatto che l’imputato fosse l’unico tra i comproprietari dell’immobile, ove insisteva il manufatto abusivo, ad utilizzarlo induce fondatamente a ritenere che egli fosse il committente dell’opera, stante la diretta utilizzazione della stessa da parte sua e l’assenza in zona degli altri comproprietari.

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1. Il ricorso è fondato, per quanto di ragione, sulla base del secondo motivo. Il primo motivo è invece infondato.
2. Secondo la Corte d’appello, dalla documentazione fotografica in atti e dalle deposizioni dei testi autori del sopralluogo effettuato in data 10.05.2011, il manufatto realizzato, in assenza del permesso di costruire, consiste in un corpo di fabbrica edificato con blocchetti di tufo con copertura di travi di legno e lamiera zincata, destinato a pollaio, perimetrato da una rete metallica di recinzione infissa in un cordolo anch’esso realizzato con blocchetti di tufo.
È stato pertanto escluso trattarsi di un’opera definibile come precaria in quanto non affatto destinata ad esigenze temporanee (non essendo tali quelle sottese a procurare agli animali di cortile un idoneo riparo) ma altresì realizzata con modalità e materiali non idonei ad essere sollecitamente eliminati e denotanti, per converso, la finalizzazione del manufatto ad esigenze non contingenti e limitate nel tempo.
Quanto alla attribuibilita all’imputato dell’opera in questione, è stato posto in evidenza che il teste D. abbia riferito che il ricorrente è l’unico dei comproprietari dell’azienda, cui il pollaio è annesso, ad occuparlo stabilmente in quanto tutti gli altri contitolari “non sono presenti sul territorio” a causa di una problematica attinente proprio al possesso della menzionata azienda che il prevenuto rivendica in via esclusiva.
3. Pertanto,
con logica ed adeguata motivazione, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto la non precarietà dell’opera e dunque la necessità che, per la sua realizzazione, fosse necessario il permesso di costruire in considerazione della natura dell’intervento realizzato e ha altrettanto correttamente attribuito il fatto di reato all’imputato essendo costui l’unica persona ad avere un rapporto permanente con i luoghi in cui l’abuso è stato realizzato e l’unica ad avervi interesse ad eseguirlo.
Nel pervenir a tali conclusioni la Corte lucana si è attenuta ai principi di diritto affermati da questa Corte secondo i quali,
in materia edilizia, la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione dell’opera come attribuitale dal costruttore, ma deve risultare dalla intrinseca destinazione materiale della stessa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non risultando peraltro sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo (Sez. 3, n. 37992 del 03/06/2004, Mandò, Rv. 229601).
Nel caso di specie, il fatto che l’opera fosse adibita abitualmente al ricovero degli animali (pollaio) esclude, con tutta evidenza, la natura precaria della stessa ed il fatto che l’imputato fosse l’unico tra i comproprietari dell’immobile, ove insisteva il manufatto abusivo, ad utilizzarlo induce fondatamente a ritenere che egli fosse il committente dell’opera, stante la diretta utilizzazione della stessa da parte sua e l’assenza in zona degli altri comproprietari.
4. Il secondo motivo è fondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
La giurisprudenza di questa Corte si è assestata nel senso di ritenere che
l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 16.03.2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Corte di cassazione può anche rilevare di ufficio ai sensi dell’art. 609, comma secondo, cod. proc. pen. la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata e, in caso di valutazione positiva, deve annullare la sentenza con rinvio al giudice di merito (Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015, Mazzarotto, Rv. 263308).
Nel caso di specie, l’applicabilità dell’istituto per effetto dello ius superveniens è stata peraltro eccepita con il secondo motivo di ricorso e sussistono i presupposti affinché il giudice di merito verifichi, in concreto, se sussistono le condizioni per l’applicazione dell’invocata causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, posto che tale accertamento richiede apprezzamenti fattuali (nel caso in esame, anche se l’opera abusiva sia stata o meno rimossa) e che ogni valutazione al riguardo è preclusa in sede di legittimità.
Va tuttavia precisato che
nei reati permanenti, nei cui novero rientrano le contravvenzioni relative agli abusi edilizi, è preclusa, quando la permanenza non sia cessata, l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto a cagione della perdurante compressione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, per effetto della condotta delittuosa compiuta dall’autore del fatto di reato, non potendosi considerare tenue, secondo i criteri di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen. e dei quali occorre tenere conto ai fini della (particolare) tenuità del fatto, un’offesa all’interesse penalmente tutelato che continua a protrarsi nel tempo.
Questa Corte ha tuttavia opportunamente precisato che
il reato permanente, non essendo riconducibile nell’alveo del comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio ex art. 131-bis cod. pen., può essere oggetto di valutazione con riferimento all’”indice-criterio” della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza sarà tanto più difficilmente rilevabile quando più tardi sarà cessata la permanenza (Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.M. in proc. Derossi, non ancora mass.).
Quindi,
l’eliminazione dell’opera abusiva, attraverso la sua demolizione o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, implicando la cessazione della permanenza, può consentire, a condizioni esatte, l’applicazione della causa di non punibilità introdotta dall’art. 131-bis cod. pen..
5. Questa Corte ha già affermato che
la particolare tenuità del fatto costituisce una causa di non punibilità atipica (Sez. 3, n. 21014 del 07/05/2015, v. Fregolent, non mass.) per gli effetti negativi che produce per l’imputato (anzitutto la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi ed, ancora, l’iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale) e la sua applicazione presuppone, tra l’altro, l’accertamento della responsabilità penale ossia l’accertamento dell’esistenza delitto e della sua attribuibilità all’imputato.
Ciò spiega la ragione per la quale
la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sull’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., sia perché diverse sono le conseguenze che scaturiscono dai due istituti, sia perché il primo di essi estingue il reato, mentre il secondo lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, P.C. in proc. Sorbara, Rv. 263885).
Perciò,
la questione del concorso tra le due cause di estinzione del reato e non punibilità può porsi solo quando le stesse siano entrambe contemporaneamente applicabili “in partenza”, con la conseguenza che –quando, come nella specie, la Corte di cassazione, non essendosi verificata la causa estintiva della prescrizione del reato, annulli la sentenza con rinvio al giudice di merito per l’applicabilità o meno dell’art. 131-bis cod. pen. (e quindi al cospetto di un annullamento parziale avente ad oggetto statuizioni diverse ed autonome rispetto al riconoscimento dell’esistenza del fatto-reato e della responsabilità dell’imputato)– nel giudizio di rinvio non può essere dichiarato prescritto il reato quando la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza di annullamento parziale.
6. Siffatta conclusione è autorizzata dal fatto che
la “punibilità” –e dunque le cause che per immancabile previsione di legge ne certificano la mancanza (cosiddette “cause di non punibilità”)– non costituisce un elemento costitutivo del reato e l’assenza della punibilità non esclude la configurabilità dell’illecito penale, per la cui ontologica e giuridica esistenza è necessariamente richiesta la presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, non anche l’assoggettamento, in concreto, alla sanzione penale di colui che lo ha commesso.
A questo proposito, sotto un primo profilo, è sufficiente considerare che, ex positivo iure, l’art. 129 cod. proc. pen., allo stesso modo del previgente art. 152 cod. proc. pen. 1930, non ha inserito –al di là dell’accenno (non vincolante per l’interprete) nella rubrica della disposizione alle “cause di non punibilità” (e, all’evidenza, in senso lato)– le altre ragioni di non punibilità, compreso il difetto dell’imputabilità, tra le cause di cui sia obbligatoria la immediata declaratoria (Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, cit., non mass. sul punto).
Tale silenzio non è stato ritenuto il frutto di una mera dimenticanza del legislatore, trovando al contrario radici profonde nei presupposti che giustificano il ricorso alle cause di proscioglimento nel merito, alle cause di estinzione del reato o alle cause d’improcedibilità codificate ed esulando invece dall’ambito operativo della fattispecie processuale le ipotesi in cui la causa di non punibilità possa essere dichiarata esclusivamente dopo l’accertamento del fatto di reato e della sua attribuibilità all’imputato, epilogo, questo, confermato, sia pure con riferimento all’imputabilità, dalla Corte costituzionale (sentenza del 10.02.1993, n. 41) secondo cui la suddetta declaratoria (di non punibilità per difetto d’imputabilità) postula il necessario accertamento della responsabilità in ordine al fatto-reato e della sua attribuibilità all’imputato.
Sotto altro profilo, è stato lucidamente chiarito, in dottrina, come alla punibilità possano essere attribuiti due significati: uno generico, con il quale si rappresenta che un determinato fatto in tanto è preveduto dalla legge come reato in quanto per esso è prevista, come ordinaria conseguenza per coloro che lo hanno commesso, l’applicazione d’una sanzione penale; l’altro, strettamente tecnico, secondo cui nella punibilità deve riconoscersi il complesso di tutti gli elementi richiesti dalle norme del diritto penale sostanziale per l’assoggettamento di una persona alla potestà punitiva dello Stato, pervenendosi alla conclusione che né dal primo punto di vista e né dall’altro la punibilità appare elemento costitutivo o carattere del reato: nel primo caso essa non è infatti che l’indicazione del carattere (o disvalore) criminoso di un determinato fatto i cui estremi costitutivi sono e restano la conformità al tipo, l’antigiuridicità e la colpevolezza; mentre nel secondo la punibilità si identifica con la ordinaria conseguenza del reato, con la potenzialità dell’applicazione della pena, vuoi nel suo momento giudiziale (cosiddetta punibilità in astratto), vuoi nel suo momento esecutivo (cosiddetta punibilità in concreto).
Ne consegue che il precetto penale, pur essendo riconoscibile solo per la previsione della sanzione criminale, tipicizza i fatti che sono configurati dalla legge come reato, rispetto al quale, quando se ne compia l’esame o l’analisi in concreto, la punibilità non appare come indefettibile elemento, posto che i due momenti della norma penale (precetto e sanzione) mostrano in pieno la loro rispettiva autonomia, al punto che l’inapplicabilità della sanzione non appare affatto come elemento decisivo per negare che un determinato interesse rientri nella sfera dei fatti penalmente rilevanti, allorquando l’ordinamento penale una tale rilevanza attribuisca tanto quando ammette l’esistenza di eventi o di condizioni che determinano l’applicabilità della sanzione, pur non facendo parte del fatto tipico (quali le cosiddette condizioni oggettive di punibilità), tanto quando contempla eventi o condizioni che, pur non escludendo il reato perché non attengono né al fatto tipico né alla sua antigiuridicità né alla colpevolezza, escludono tuttavia l’applicabilità della sola sanzione.
Una conferma di tale soluzione si coglie quando si consideri che, pur al cospetto di tali eventi e condizioni che escludono la punibilità, l’esistenza del reato non può negarsi, vuoi perché la causa di non punibilità è riferibile soltanto a un momento successivo a quello del perfezionamento di tutti gli estremi di esso (come nel caso della ritrattazione della falsa testimonianza), vuoi perché la esclusione della pena è rimessa al potere discrezionale del giudice (come nel caso della non punibilità dell’ingiuria per reciprocità delle offese).
Si tratta di un principio che questa Corte ha già affermato con riferimento alla causa di non punibilità prevista dall’art. 2, comma 1-bis D.L. 12.09.1983, n. 463, conv. in L. 11.11.1983, n. 638 a proposito del reato di omesso versamento delle ritenute d’imposta operate dal datore di lavoro allorquando è stato precisato (Sez. 3, n. 45451 del 18/07/2014, Cardaci, non mass. sul punto) come le cause, nel caso di specie sopravvenute, di non punibilità siano caratterizzate da situazioni o da fatti che derivano sempre da accadimenti posteriori alla commissione di un reato e tali accadimenti possono essere collegati ad un comportamento dell’agente di valore inverso rispetto alla condotta illecita tenuta (come, a titolo esemplificativo, nel caso di recesso dai delitti di cospirazione politica o di banda armata alle condizioni rispettivamente previste dagli artt. 308 e 309 cod. pen., nel caso di ritrattazione della falsa testimonianza) ovvero ad una manifestazione di volontà del soggetto passivo (come ad esempio nel caso previsto dall’art. 596 cod. pen., comma 3, n. 3, in relazione all’ultimo comma della medesima disposizione) oppure all’esercizio di un potere discrezionale del giudice (come avviene, ad esempio, nell’art. 599 cod. pen. che attribuisce al giudice il potere di non punire uno o entrambi gli offensori se le offese sono reciproche).
Perciò
nei casi in cui l’esenzione da pena dipende da comportamenti del reo successivi al fatto o è rimessa soltanto al potere discrezionale del giudice non si può negare che la valutazione compiuta dal legislatore nell’attribuire rilevanza alle cause di esenzione discrezionale da pena riguardino esclusivamente l’an o il quantum della punibilità e non anche gli elementi (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza) che reggono la struttura del reato, presupponendone pertanto l’accertamento e la sua attribuibilità all’autore, posto che la ragione dell’esenzione della pena riposa, di regola, su motivi di convenienza o di politica utilità della punizione che, come è stato precisato, tradizionalmente si vogliono vedere alla base delle cause di esclusione della sola punibilità sussumibili piuttosto in una fattispecie di “perdono” giudiziale che non di un accertamento dei presupposti del dovere di punire.
Va aggiunto come questa Corte, nella sua più autorevole composizione, abbia già affermato il principio secondo il quale
la punibilità non può essere considerata un elemento costitutivo del reato, osservando che il diritto positivo, prevedendo cause che escludono l’illiceità del fatto –c.d. cause di giustificazione– nonché cause scusanti che escludono la colpevolezza ma non l’illiceità del fatto (artt. 45, 46, cod. pen.) e cause di esclusione della punibilità in senso stretto –le quali hanno l’effetto di escludere la sola pena lasciando sussistere l’illiceità del fatto e la colpevolezza dello autore– non consente di ritenere che del reato sia sempre componente essenziale l’applicazione della pena comminata, evidenziando come emerga, dunque, un ruolo autonomo della punibilità rispetto al reato, sganciato dall’applicazione della sanzione tipica, punibilità che va, pertanto, esclusa dai suoi elementi costitutivi, anche se, di norma, alla commissione di un illecito penale e accertamento della colpevolezza segue l’applicazione della relativa sanzione (Sez. U, Sentenza n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, in motiv.).
Decisivo a questo proposito è lo scrutinio concernente la fattispecie riguardante la pacifica ammissibilità di un concorso punibile nel fatto commesso dal soggetto esentato dalla pena per la particolare tenuità del fatto. Se quest’ultimo non avesse realizzato il presupposto minimo della partecipazione criminosa, che è la realizzazione del fatto tipico, un concorso penale del terzo, per il quale sussista l’abitualità del comportamento delittuoso, assente invece nel concorrente, non si potrebbe in alcun modo concepire.
Invece la possibilità di un tale concorso deve essere, secondo i principi generali, pacificamente ammessa cosicché, come è stato rilevato, proprio nella prospettiva del reato plurisoggettivo è dato cogliere la peculiare fisionomia delle cause personali di non punibilità e la loro differenza dalle cause di esclusione del reato.
Ne consegue che il fatto non punibile non assume alcuna diversa rilevanza nel senso che non diviene lecito, ma resta reato, pur se non punibile.
Ciò spiega anche la ragione per la quale
la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non configura un’ipotesi di abolitio criminis sul rilievo, desumibile dal comb. disp. ex art. 2, comma 2, cod. pen. e art. 673 cod. proc. pen., che, qualora ricorrono i presupposti dell’istituto previsto dall’art. 131-bis cod. pen., il fatto è pur sempre qualificabile –e qualificato dalla legge– come “reato”, dovendosi ricordare, tra l’altro, che il nuovo art. 651-bis cod. proc. pen. attribuisce efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi alla sentenza dibattimentale di proscioglimento per particolare tenuità del fatto anche “quanto all’accertamento (…) della sua illiceità penale (Sez. 3, n. 34932 del 24/06/2015, Elia, non mass. sul punto).
7.
La causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto si presta quindi a testare ulteriormente le conclusioni alle quali si è giunti in precedenza, convalidandole e confermando che essa presuppone l’integrazione del reato al completo di tutti i suoi elementi e, per l’effetto, l’accertamento della responsabilità e l’attribuibilità del fatto–reato all’autore, il quale rimane esentato, se la causa è applicata, solo dall’assoggettamento alla sanzione penale.
L’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto non esige, allora, un fatto conforme al tipo ma inoffensivo, anzi richiede la presenza di un fatto conforme al tipo ed offensivo, seppure in maniera esigua e tenue secondo i due “indici-criteri” della tenuità del fatto (la “tenuità dell’offesa” e la “non abitualità del comportamento”) in coincidenza necessaria con due ulteriori sotto-indici (o “indici-requisiti”) della tenuità dell’offesa, rappresentati dalle “modalità della condotta” e dalla “esiguità del danno o del pericolo”.
La valutazione in ordine alla sua applicabilità è affidata al potere discrezionale del giudice al quale, secondo il principio della discrezionalità guidata o vincolata per essere i parametri di riferimento normativamente previsti, è affidato il compito di riconoscerne la sussistenza nonostante l’accertata commissione del reato e l’attribuibilità di esso all’imputato.
Logico corollario di tale fisionomia della causa di non punibilità è costituito dagli effetti negativi che il reato commesso produce nonostante che, per ragioni di politica criminale, l’autore è esentato dalla pena: l’iscrizione nel casellario giudiziale dei provvedimenti “che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale” e la rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi secondo quanto disposto dall’art. 651-bis, cod. proc. pen. recante la disciplina dell’efficacia della sentenza di proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen. nel giudizio civile o amministrativo di danno, con i conseguenti risvolti processuali, tra cui vanno segnalati i più importanti: l’opposizione, ex art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. che possono presentare la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa sulla richiesta di archiviazione del pubblico ministero per particolare tenuità del fatto, l’esclusione della causa di non punibilità dal novero di quelle codificate nell’art. 129 cod. proc. pen. e la previsione del meccanismo descritto nell’art. 469 cod. proc. pen. posto che la sentenza di non doversi procedere prevista dall’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen. presuppone che l’imputato e il pubblico ministero non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità, essendo anche necessario consentire alla persona offesa di interloquire sulla questione della tenuità del fatto mediante notifica dell’avviso della fissazione dell’udienza in camera di consiglio, con espresso riferimento alla procedura ex art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.M. in proc. Derossi, cit.).
Da tutto ciò consegue che l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna per la verifica della sussistenza dell’art. 131-bis cod. pen., impedisce l’applicabilità nel giudizio di rinvio della causa di estinzione del reato per prescrizione e, fermo restando l’accertamento della responsabilità penale, la statuizione di condanna rimane sospesa al verificarsi di una condizione costituita dall’applicabilità o meno della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto.
Sul punto, va ricordato che questa Corte ha stabilito che, da un lato, non si può ritenere la punibilità elemento costitutivo del reato, come tale in grado di condizionarne il perfezionamento; dall’altro lato, vige il principio della formazione progressiva del giudicato, che si forma, in conseguenza del giudizio della Corte di cassazione di parziale annullamento dei capi della sentenza e dei punti della decisione impugnati, su quelle statuizioni suscettibili di autonoma considerazione, quale quella relativa all’accertamento della responsabilità in merito al reato ascritto, che diventano non più suscettibili di ulteriore riesame. (Cass. Sez. 3, n. 15472 del 20/02/2004, cit., Rv. 228499; Sez. 2, n. 44949 del 17/10/2013, Abenavoli, Rv. 257314).
La configurabilità del giudicato progressivo comporta, infatti, che l’accertamento della responsabilità e l’irrogazione della pena possono intervenire in momenti distinti posto che la punibilità non è elemento costitutivo del reato e dunque non è “extra ordinerà” la concezione di una definitività decisoria che, attenendo all’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto criminoso e ponendo fine all’iter processuale su tale parte, crei una barriera invalicabile all’applicazione di cause estintive del reato, sopravvenute alla sentenza di annullamento ad opera della Cassazione, con la conseguenza che, se l’annullamento è parziale e non intacca le disposizioni della sentenza che attengono all’affermazione di responsabilità, la sentenza acquista “autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata” (art. 624 cod. proc. pen.) e tale connessione non sussiste quando venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla punibilità, sul rilievo che il giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive sopravvenute all’annullamento parziale (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640).
8. La sentenza impugnata va pertanto annullata per la verifica dell’applicazione al caso di specie della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di appello di Salerno, la quale si atterrà ai principi di diritto in precedenza affermati.
Nel resto, il ricorso va invece rigettato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.12.2015 n. 50215).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di pertinenza civilistico e quello urbanistico/edilizio sono da tenere distinti, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono in tutta evidenza sull’assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire.
Senza considerare che le opere edilizie abusive “realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, si considerano eseguite in totale difformità dalla concessione e, se costituenti pertinenze, non sono suscettibili di autorizzazione in luogo della concessione".
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Al fine di verificare se una determinata opera ha carattere precario, che è condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia, occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata; pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire.
Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di opere che, pur difettando del requisito dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili), consistano in una struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari.

A parte il rilievo che i ricorrenti nemmeno indicano rispetto a quale manufatto le opere sarebbero pertinenziali vale quanto da tempo affermato dalla giurisprudenza secondo cui “il concetto di pertinenza civilistico e quello urbanistico/edilizio sono da tenere distinti, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono in tutta evidenza sull’assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire” (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 07.04.2011, n. 2159).
Senza considerare che le opere edilizie abusive “realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, si considerano eseguite in totale difformità dalla concessione e, se costituenti pertinenze, non sono suscettibili di autorizzazione in luogo della concessione” (Tar Campania, questa sesta sezione, n. 5835 del 18.12.2013 e n. 2245 del 30.04.2013, nel cui seno è richiamata Cass. Penale, sezione terza, pronuncia n. 2733 del 31.01.1994).
Quest’ultimo ragionamento può essere ripercorso relativamente ai realizzati sbancamenti e ampliamenti edilizi descritti nell’ordinanza di demolizione.
Quanto alla asserita precarietà (per i materiali utilizzati) delle opere descritte sub i), p) q) ed s) del ricorso (sostituzione della copertura di un terrazzo in lamiera completa di controsoffittatura in legno; manufatto di 19,5 mq.; baracca di 75 mq., tettoia di 36 mq in legno) la giurisprudenza ha evidenziato che "Al fine di verificare se una determinata opera ha carattere precario, che è condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia, occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata; pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire. Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di opere che, pur difettando del requisito dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili), consistano in una struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari" (Consiglio di Stato, sez. III, 12.09.2012, n. 4850).
Nella fattispecie, non vi è alcun indice (né viene dedotto – la precarietà è meramente affermata) della sussistenza dei requisiti sopra richiamati per considerare le opere precarie e non soggette a permesso di costruire.
Relativamente al mutamento di destinazione d’uso sub h) si rileva che la contestazione riguarda la realizzazione delle relative opere e non il mutamento in sé (che nella prospettazione di parte ricorrente non avrebbe determinato aumento del carico urbanistico)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 12.11.2014 n. 5804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La precarietà deve escludersi quando l’opera assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente materiale.
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La nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia profondamente da quella del diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato.
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Il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto necessitante di titolo edilizio.
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La pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio; parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di circa 1,5 metri.

Ad ogni buon conto, e fermo restando quanto sopra esposto, non è neppure possibile ritenere che le singole opere indicate in ricorso abbiano carattere precario e non siano soggette a titolo edilizio.
La precarietà, infatti, deve escludersi quando l’opera assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente materiale (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 07.07.2014, n. 3438 e TAR Lombardia, Milano, sez. II, 26.09.2013, n. 2210).
Così, con riguardo alle singole opere descritte nel terzo motivo e tutte prive di titolo edilizio, si può osservare che:
- il fabbricato condonato nel 1985 quale “deposito” (cfr. il doc. 19 del resistente), è stato modificato mediante realizzazione di una veranda chiusa con vetri, utilizzata quale ufficio (cfr. il doc. 14 del resistente e le fotografie docc. 17 e 18); dunque è un’opera stabile, non compatibile con la destinazione agricola (peraltro nessuna attività agricola è svolta nel fondo) e neppure avente carattere pertinenziale, visto che la nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia profondamente da quella del diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato (così, Consiglio di Stato, sez. V, 17.06.2014, n. 3074);
- il prefabbricato in pannelli di alluminio coibentati, con porta e finestra ad uso spogliatoio e ricreativo, appoggiato su traversine in cemento, costituisce un’opera avente stabilità e continuità, necessaria all’esercizio dell’impresa dei ricorrenti;
- analoga considerazione per quattro box (per il Comune, sarebbero in realtà cinque), in lamiera e legno, appoggiati su una platea in calcestruzzo, assolutamente incompatibili con la destinazione di zona e per tre contanier in lamiera, usati come deposito e appoggiati anch’essi ad una platea in calcestruzzo, quindi con carattere di stabilità nell’utilizzo;
- il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto necessitante di titolo edilizio (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, 11.04.2012, n. 3258 e Corte d’Appello di Napoli, sez. III penale, 11.12.2012, n. 5577);
- la pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.03.2014, n. 709); parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di circa 1,5 metri.
Ancora in ordine al terzo mezzo di ricorso, si ricordi che, secondo l’art. 3 del DPR 380/2001, costituiscono “nuove costruzioni”, necessitanti pertanto di titolo edilizio: <<e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti; (…) e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo in edificato>>.
Si conferma, pertanto, il rigetto del terzo motivo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.07.2014 n. 2114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Temporaneità manufatto.
Non si può ritenere che la sola stagionalità dell'installazione del voluminoso manufatto per cui è causa conferisse al manufatto nel suo complesso il carattere di ‘temporaneità’, atteso:
- il carattere ontologicamente ‘non temporaneo’ di una struttura destinata all'esercizio di un'attività commerciale e di somministrazione;
- la permanente idoneità ad alterare lo stato dei luoghi che il complessivo manufatto (di notevoli dimensioni) era idoneo a determinare, anche a prescindere dalla rimozione per alcuni mesi l’anno.

3. L’appello è fondato.
3.1. In particolare il Collegio ritiene dirimente ai fini del decidere la fondatezza dell’argomento con cui si è osservato che l’intervento in questione, per le sue caratteristiche oggettive, fosse da qualificare come intervento di ‘nuova costruzione’, con quanto ne consegue ai fini del rilascio del necessario titolo abilitativo edilizio (d.P.R. 06.06.2001, n. 380) in relazione ai vincoli di in edificabilità esistenti sull’area.
Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la ‘precarietà’ dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa fosse riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell'articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001 (a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”).
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789; id., V, 24.02.2003, n. 986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
3.2. Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell'installazione del voluminoso manufatto per cui è causa (destinato ad occupare, nella tesi della società appellata, 56,13 mq.) conferisse al manufatto nel suo complesso il carattere di ‘temporaneità’, atteso:
- il carattere ontologicamente ‘non temporaneo’ di una struttura destinata all'esercizio di un'attività commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
- la permanente idoneità ad alterare lo stato dei luoghi che il complessivo manufatto (di notevoli dimensioni) era idoneo a determinare, anche a prescindere dalla rimozione per alcuni mesi l’anno.
3.3. Né a conclusioni diverse rispetto a quelle appena rassegnate può giungersi avuto riguardo alla previsione di cui all’articolo 56 del Regolamento edilizio comunale (il quale, nella tesi della società riconoscerebbe sempre un carattere ontologicamente precario ai chioschi.
Al contrario, la necessaria interpretazione secundum legem della richiamata disposizione (volta, cioè, a preservarla da un’altrimenti inevitabile taccia di illegittimità per contrasto con il pertinente paradigma normativo primario) porta a ritenere che il carattere di ‘precarietà’ ivi richiamato possa comunque essere affermato solo all’esito di un’operazione di valutazione svolta ‘caso per caso’ in ordine alle caratteristiche oggettive e funzionali del manufatto di cui si discute (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.06.2014 n. 2842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo il rilascio di un titolo edilizio -ancorché precario- in fascia di rispetto cimiteriale.
A tal riguardo, è del tutto evidente che l'ingiunzione di rimozione di opere la cui installazione e mantenimento era stata assentita con l'impegno unilaterale di rimuoverle da un lato trova sufficiente motivazione nelle richiamate esigenze connesse all'ampliamento del cimitero, dall'altro non imponeva alcuna comunicazione d'avvio del procedimento, con conseguente infondatezza anche del secondo motivo d'appello, poiché l'interessata era a conoscenza sin dal rilascio del titolo edilizio della sua natura e dei suoi effetti e dell'obbligo di dover procedere alla rimozione delle opere, assunto in chiara correlazione causale con la deroga al divieto legale di utilizzazione edilizia, ciò che denota l'assoluta carenza di fondamento giuridico anche del terzo motivo, incentrato sulla pretesa "nullità" dell'atto unilaterale d'obbligo.

Non hanno poi pregio giuridico le censure dedotte con l'appello nr. 4292/2011, concernenti l'ingiunzione di rimozione delle opere assentite solo a titolo precario, e proprio in funzione della loro insistenza nella fascia di rispetto cimiteriale, con autorizzazione edilizia n. 520/1997.
A prescindere dalla stessa dubbia legittimità di un titolo edilizio assentito a tal fine, in contrasto con vincolo legale d'inedificabilità (sull'estraneità della fattispecie all'ordinamento normativo edilizio cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.06.2013, n. 3256) e per giunta per la determinata tipologia (sull'esigenza del permesso di costruire, e quindi di concessione edilizia, per opere relative ad autolavaggio vedi Cons. Stato, Sez. VI, 22.10.2008, n. 5191), è del tutto evidente che l'ingiunzione di rimozione di opere la cui installazione e mantenimento era stata assentita con l'impegno unilaterale di rimuoverle da un lato trova sufficiente motivazione nelle richiamate esigenze connesse all'ampliamento del cimitero, dall'altro non imponeva alcuna comunicazione d'avvio del procedimento, con conseguente infondatezza anche del secondo motivo d'appello, poiché l'interessata era a conoscenza sin dal rilascio del titolo edilizio della sua natura e dei suoi effetti e dell'obbligo di dover procedere alla rimozione delle opere, assunto in chiara correlazione causale con la deroga al divieto legale di utilizzazione edilizia, ciò che denota l'assoluta carenza di fondamento giuridico anche del terzo motivo, incentrato sulla pretesa "nullità" dell'atto unilaterale d'obbligo
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.05.2014 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’utilizzazione di un container (semplicemente posato su terreno) non temporanea bensì stabile nel tempo, ancorché periodica, comporta l'utilità prolungata nel tempo e, conseguentemente, va esclusa la precarietà dello stesso.
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Quanto al materiale di cava arido presente (abusivamente) sul terreno, non rileva l’asserita circostanza che responsabile della presenza di esso non sarebbe l’odierna ricorrente; attesa infatti la natura ripristinatoria dell’ordine di rimozione/demolizione di quanto abusivamente realizzato, legittimamente l’amministrazione lo rivolge al proprietario attuale dell’immobile (quale è la ricorrente, nella fattispecie in esame) e comunque a chi utilizzi il medesimo, indipendentemente dal suo coinvolgimento nella realizzazione dell’abuso.

Considerato che:
− alla ricorrente, imprenditrice agricola, è stata ordinata la rimozione di due container e di un accumulo di materiale di cava arido situati su un terreno di sua proprietà ad uso seminativo arborato sito nel Comune di Cascina (PI), registrato nel Catasto Terreni al Foglio 35, particella 181;
− che in ricorso si sostiene la precarietà dei manufatti e la non riferibilità del materiale di cava a comportamenti della ricorrente;
− che il terreno in questione si trova in area classificata tra le “Aree rilevanti da un punto di vista ambientale o con funzioni strategiche – Parco del Fosso vecchio”, le quali sono disciplinate dall’art. 34 delle Norme tecniche di attuazione del Regolamento urbanistico; il fondo non risulta inserito tra gli immobili soggetti ai vincoli di cui al d.lgs. n. 42/2004;
− che i manufatti sono stati qualificati come opere realizzate in assenza di titolo ai sensi della l.r. Toscana n. 1/2005 e del D.P.R. n. 380/2001;
− che avverso l’ordinanza dirigenziale impugnata, di estremi specificati in epigrafe, sono state dedotte le censure di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto d’istruttoria e disparità di trattamento, nonché di violazione delle norme di legge che l’amministrazione ha ritenuto applicabili e di difetto di motivazione;
− che il Comune di Cascina non si è costituito in giudizio;
− che alla camera di consiglio del 25.03.2014 la causa −sentite le parti, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., sulla possibile definizione del giudizio con sentenza resa in forma semplificata− è stata trattenuta in decisione;
Ritenuto che:
− il giudizio può essere definito con sentenza ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., atteso che sussistono tutti i presupposti di legge;
− le tesi sostenute in ricorso non possono essere condivise, in quanto: a) il provvedimento è sufficientemente e adeguatamente motivato, anche con richiamo delle norme che disciplinano la fattispecie; b) è pertinente l’applicazione dell’art. 3/1, lett. e.5), T.U. Edilizia, che precisa la nozione di nuova costruzione, imperniata sulla natura non temporanea delle esigenze in vista delle quali alcuni manufatti, sotto il profilo strutturale precari –ovvero amovibili– sono stati collocati sul territorio; c) la stessa esposizione della ricorrente rivela che l’utilizzazione dei container (adibiti al trasporto dei prodotti agricoli) non è temporanea, bensì stabile nel tempo, ancorché periodica; d) che la giurisprudenza ha elaborato, in proposito, il principio secondo il quale l’utilità prolungata esclude la precarietà (cfr.: Consiglio di Stato, V, 28.03.2008 n. 1354; TAR Veneto, 03.04.2003 n. 2267; Tar Puglia – Bari, III, n. 404/2009; Tar Umbria, I, n. 66/2014);
− che, quanto al materiale di cava arido presente sul terreno, non rileva l’asserita circostanza che responsabile della presenza di esso non sarebbe l’odierna ricorrente; attesa infatti la natura ripristinatoria dell’ordine di rimozione/demolizione di quanto abusivamente realizzato, legittimamente l’amministrazione lo rivolge al proprietario attuale dell’immobile (quale è la ricorrente, nella fattispecie in esame) e comunque a chi utilizzi il medesimo, indipendentemente dal suo coinvolgimento nella realizzazione dell’abuso (cfr.: Tar Umbria, I, n. 66/2014, cit., ed ivi ulteriore ampio ragguaglio di giurisprudenza);
− che il ricorso deve, per tutte le considerazioni su esposte, essere respinto (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 02.05.2014 n. 681 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le tettoie in esame non sono opere né precarie né pertinenziali e, per altro verso, incidono in misura non irrilevante sul contesto paesaggistico.
Infatti, la realizzazione di simili manufatti, infatti, stabilmente ancorati al pavimento e destinati a soddisfare non un'esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo (le tettoie, come dichiarato dalla medesima ricorrente, offrono riparo ai clienti dell’azienda agrituristica), è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente.
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La nozione di "pertinenza urbanistica" è, inoltre, meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. In tal caso l'impatto volumetrico proprio, incidendo, come detto, in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio è assoggettabile a permesso di costruire con conseguente applicabilità del regime demolitorio di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985 in caso di abusività …. Si deve, quindi, affermare che la realizzazione delle due tettoie costituisca intervento edilizio assentibile mediante permesso di costruire.

Passando al rigetto dell’istanza in relazione alle tettoie, va detto che l’Amministrazione intimata rileva che non sarebbero stati pagati né le oblazioni né il contributo di costruzione come richiesto dall’art. 36, co. 2, D.P.R. 380/2001 («il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso»).
Tale circostanza, non contestata da parte ricorrente, già varrebbe a respingere il motivo di impugnazione, ma è opportuno precisare che, come rilevato nella Sentenza n. 372/2010 -non impugnata- relativa al ricorso proposto dalla medesima ricorrente avverso l’ordinanza di demolizione che aveva attinto le stesse opere qui contemplate, le tettoie in esame non sono opere né precarie né pertinenziali e, per altro verso, incidono in misura non irrilevante sul contesto paesaggistico. Infatti, «la realizzazione di simili manufatti, infatti, stabilmente ancorati al pavimento e destinati a soddisfare non un'esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo (le tettoie, come dichiarato dalla medesima ricorrente, offrono riparo ai clienti dell’azienda agrituristica), è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente (cfr. in un caso analogo, TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059)».
«La nozione di "pertinenza urbanistica" è, inoltre, meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. In tal caso l'impatto volumetrico proprio, incidendo, come detto, in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio è assoggettabile a permesso di costruire con conseguente applicabilità del regime demolitorio di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985 in caso di abusività (ancora, T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492)…. Si deve, quindi, affermare che la realizzazione delle due tettoie costituisca intervento edilizio assentibile mediante permesso di costruire».
Ebbene, le medesime considerazioni valgono qui ad escludere la compatibilità delle opere con il vincolo paesistico, particolarmente stringente nella zona ove esse insistono, qualificata “zona a protezione integrale” (art. 11 P.T.P.) dove sono consentiti solo limitati interventi volti alla conservazione e al miglioramento del verde, alla prevenzione degli incendi o alla rimozione di barriere architettoniche
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 06.02.2014 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Manufatti precari: a quali condizioni sono esenti da titolo edilizio.
Non richiedono licenza edilizia solo quei manufatti che, per la destinazione d'uso cui sono finalizzati oltre che per le loro particolari caratteristiche, possono considerarsi provvisori, di uso temporaneo e destinati alla rimozione dopo l'uso (es. baracca per l'impianto e la conduzione di cantiere edile, capannone eretto in un bosco per il ricovero temporaneo di attrezzi, ecc.).
Il TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, con la sentenza 02.12.2013 n. 2333 è tornato sul tema dei manufatti precari, precisando quando possono essere ritenuti tali e pertanto essere edificati e mantenuti senza uno specifico titolo edilizio.
In tal senso il TAR ha infatti precisato che ai sensi dell'art. 1 della legge 28.01.1977, n. 10 (ora art. 10 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), è soggetta a concessione edilizia ogni attività che comporti la trasformazione del territorio attraverso l'esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e l'alterazione abbiano qualche rilievo ambientale ed estetico anche solo funzionale.
In particolare, la concessione edilizia è necessaria anche quando si intende realizzare un intervento sul territorio con perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo (fra le tante, Consiglio Stato, sez. V, 21.10.2003, n. 6519; TAR Sicilia, sez. I, 08.07.2002, n. 1936; sez. III, 15.02.2006, n. 394, 10.12.2012, n. 2600).
In tal senso, secondo il TAR, la precarietà delle strutture può essere riscontrata nella contemporanea presenza di due requisiti (uno strutturale e l’altro funzionale):
a) l'opera non deve costituire trasformazione urbanistica del territorio e non deve essere costituita da intelaiature infisse al suolo (C.G.A., 09.12.2008, n. 955), né deve essere chiusa in alcun lato (cfr., fra le tante, C.G.A. 19.10.2009, n. 923; TAR Sicilia, sez. III, 14.12.2009, n. 1913; 10.11.2011, n. 2085; sez. II, 26.07.2011, n. 1481);
b) inoltre, occorre avere riguardo alla destinazione d'uso dell'opera; sicché una struttura destinata a dare una utilità prolungata nel tempo (nella fattispecie, correlata –come sopra evidenziato- a esigenze continuative connesse all’attività d’impresa) non può considerarsi precaria (C.G.A. 20.01.2008, n. 28).
Ne deriva, che nel caso specifico esaminato dal TAR con la sentenza in commento, un box metallico (ancorato su base di cemento), per la sua stessa destinazione (ricovero di apparecchiature elettriche relative a una adiacente, antenna radio) non può ritenersi diretto a soddisfare bisogni contingenti, bensì esigenze aziendali di carattere duraturo, funzionali all’esercizio di emittenti radiofoniche, pertanto non vi è dubbio circa la necessità di richiedere ed ottenere un titolo concessorio, trattandosi, appunto di trasformazione permanente del territorio (in tal senso, TAR Sicilia, sez. II, 03.04.2012, n. 676) (tratto da e link a http://studiospallino.blogspot).

EDILIZIA PRIVATA: Per individuare la natura precaria di un'opera si deve seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo ma, se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie.
Rientrano, per tale via, nella nozione giuridica di “costruzione” per la quale occorre munirsi di idoneo titolo edilizio, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi al suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come impianti per attività produttive all'aperto, ove comportanti l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato.
Concludendo sul punto, va ribadito che, la natura "precaria" di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.

La giurisprudenza (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, Sent., 27.03.2013, n. 1776; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 05.06.2013, n.1460; id., Sez. IV, Sent., 08.04.2011, n. 930) è concorde nel ritenere che, per individuare la natura precaria di un'opera, si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma, se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie.
Rientrano, per tale via, nella nozione giuridica di “costruzione” per la quale occorre munirsi di idoneo titolo edilizio, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi al suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come impianti per attività produttive all'aperto, ove comportanti l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato.
Concludendo sul punto, va ribadito che, la natura "precaria" di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Nel caso di specie, vista anche la documentazione fotografica versata in atti da parte resistente, non può dirsi affatto provata la precarietà dell’opera in contestazione, trattandosi di un manufatto destinato a realizzare una trasformazione permanente del suolo inedificato, in assenza di titolo edilizio e in violazione della destinazione urbanistica di zona.
Su quest’ultimo aspetto, giova precisare come, contrariamente a quanto sostenuto dall’esponente, la precedente autorizzazione in sanatoria datata 16.12.2002 fosse stata rilasciata sull’unico presupposto, poi rivelatosi erroneo, che la costruzione della tettoia servisse al ricovero, per un periodo limitato di quattro mesi, di attrezzature elettromeccaniche per la sagomatura del ferro, da utilizzare nei cantieri edili.
Sennonché, la struttura in esame, che presenta un impatto visivo ed una consistenza che vanno ben oltre i limiti propri di una pertinenza, si trova tutt’ora localizzata, dopo oltre un decennio, nella medesima postazione in cui si trovava all’epoca della predetta autorizzazione temporanea.
Ne consegue che, diversamente da quanto osservato in sede di cognizione sommaria del gravame, il Collegio deve escludere la riconducibilità dell’opera di cui trattasi fra quelle soggette ad autorizzazione, essendo la stessa sussumibile nella nozione di “nuova costruzione”, subordinata, in quanto tale, a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, d.P.R. n. 380/2001
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.09.2013 n. 2210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vita breve per il gazebo in spiaggia. Consiglio di stato. Da rimuovere a fine stagione se l'autorizzazione è temporanea.
LA MOTIVAZIONE/ In zone soggette al via libera della Soprintendenza serve una valutazione ad hoc per le strutture destinate a rimanere tutto l'anno.

Mare agitato per i concessionari balneari che devono rimuovere le cabine per esigenze paesaggistiche.
Lo sottolinea il Consiglio di Stato con la sentenza 18.09.2013 n. 4642, relativa a uno stabilimento di Gallipoli.
Il contrasto ha radici antiche perché da anni, in previsione di un'imminente scadenza delle concessioni demaniali turistiche e del rischio di gare comunitarie, più Regioni avevano emanato leggi di favore per agevolare investimenti sulla fascia demaniale. Ad esempio, la Puglia aveva previsto il mantenimento annuale di strutture precarie funzionali all'attività turistico ricreativa lungo le coste (articolo 11 della legge regionale 17/2006), precisando poi che tali strutture dovevano essere di facile amovibilità (legge regionale 24/2008). In tali norme si era visto un primo passo verso la possibilità di migliorare le strutture aziendali dei concessionari balneari, anche in funzione di una maggiore redditività da poter far valere nel caso di procedure di gara per il rinnovo delle concessioni.
Ma la Corte costituzionale prima (sentenza 232/2008), poi le Soprintendenze e ora il Consiglio di Stato, hanno frenato l'orientamento delle Regioni, imponendo che al termine di ogni stagione balneare le strutture autorizzate per pochi mesi siano rimosse. In tal modo cabine, platee, impianti con i relativi accessori (insegne, locali di servizio) che abbiano autorizzazioni temporanee, diventano per i concessionari costi rilevanti azzerati anno per anno.
Un concessionario salentino aveva appunto posto l'accento sull'illogicità di un parere paesaggistico di breve durata, chiedendo di poter mantenere le strutture autorizzate per i mesi estivi, facendo leva sulla legge regionale che parla di strutture autorizzate «per l'intero anno». I giudici amministrativi hanno tuttavia preferito la scadenza più breve, imposta dalla Soprintendenza, sottolineando che l'impatto di un'opera può essere diverso a seconda del periodo in cui l'aspetto dei luoghi viene valutato. In altri termini, è possibile ed è ragionevole che una stessa struttura incida in modo diverso sui valori paesaggistici della zona a seconda dell'alternarsi delle stagioni.
Questo orientamento del Consiglio di Stato incide su un tessuto in ebollizione: la scadenza delle concessioni demaniali marittime, turistico ricreative, è stata prorogata al 2020 con la legge 221/2012. In quella data i concessionari demaniali saranno esposti a un regime di gare comunitarie per la scelta del concessionario che offra una migliore utilizzazione del bene pubblico. Al concessionario che risulti scavalcato da un'offerta tecnico-economica più vantaggiosa per il Demanio (e per la collettività), spetterà un indennizzo calcolato sulla base dell'avviamento aziendale, cioè dell'avvenuta valorizzazione delle attività imprenditoriali e degli investimenti. Ma se gli stabilimenti giungeranno con strutture precarie alla scadenza del 2020, sarà difficile calcolare un avviamento, mancando impianti dai quali dedurre una vera e propria attività produttiva (cucine, accessori, piscine, parcheggi, ecc.).
Oltretutto, le cabine autorizzate in precario vanno eliminate proprio mentre si adotta un criterio diverso (di stabilità) per i campeggi (articolo 3, comma 1, lettera e5, del Dpr 380/2001 modificato dal Dl 69/2013) e per la durata (ora ultraquinquennale) delle autorizzazioni paesaggistiche (articolo Il Sole 24 Ore del 22.09.2013).

EDILIZIA PRIVATA: La Cassazione in tema di opere stagionali e permesso di costruire.
Hanno affermato i giudici che
il permesso di costruire è senz’altro richiesto anche per l’esecuzione di opere stagionali, le quali si differenziano da quelle precarie che, per la loro stessa natura e destinazione, non comportano effetti permanenti e definitivi sull’originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo.
Diversamente da quella precaria, non è finalizzata a soddisfare esigenze contingenti ma ricorrenti, sia pure soltanto in determinati periodi dell’anno e, per tale motivo, è soggetta a permesso di costruire (tra i precedenti v. Sez. 3^ n. 34763, 26.09.2011; Sez. 3^ n. 23645, 13.06.2011; Sez. 3^ n. 22868, 13.06.2007; Sez. 3^ n. 13705, 19.04.2006; Sez. 3^ n. 11880, 12.03.2004).
Ciò detto, la sua mancata rimozione allo spirare del termine stagionale configura il reato ex art. 44 del T.U. Edilizia (D.P.R. n. 380 del 2001) giacché, in siffatta ipotesi, la responsabilità discende dal combinato del medesimo art. 44 e art. 40, comma 2, c.p., per la mancata ottemperanza all’obbligo di rimozione insito nel provvedimento autorizzatorio temporaneo (Sez. 3^ n. 23645/2011, cit. Sez. 3^ n. 42190, 29.11.2010; Sez. 3^ n. 29871, 11.09.2006).
In conclusione, la mancata rimozione –conclude la Corte– accertata in fatto configura, di per sé, il reato urbanistico, così come questo sarebbe configurabile nel caso in cui le opere realizzate consistessero in strutture permanenti, incompatibili con il ricordato concetto di “stagionalità” (né potrebbe ritenersi valido, a tale proposito, il riferimento, effettuato in ricorso, a strutture amovibili –ombrelloni, sdraio etc.– che per la loro natura e consistenza non richiederebbero alcun titolo abilitativo) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 30.07.2013 n. 32966 - tratto da e link a www.giurisprudenzapenale.com).

EDILIZIA PRIVATAIn presenza di opere che implichino una stabile (benché non irreversibile) trasformazione del territorio, preordinata a soddisfare esigenze non precarie, è necessario il rilascio di un idoneo titolo edilizio.
Qualora l'entità del deposito dei materiali e la stabilità dell'utilizzazione dell'area emergano con una certa evidenza, è da ritenersi realizzata una trasformazione permanente dell'assetto edilizio del territorio, necessitante di concessione edilizia.
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La sussistenza da lungo tempo dell’opera abusiva non esclude certamente il potere di controllo e di repressione del comune in materia urbanistico-edilizia, perché l'esercizio di tale potere non è soggetto a prescrizione o decadenza.
Ne consegue che l'accertamento dell'illecito amministrativo e l'applicazione della relativa sanzione possono intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, senza che il ritardo nell'adozione della sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o situazioni consolidate.
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L'ordine di demolizione costituisce atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né infine una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare, a maggiori ragione laddove l'abuso ricada in zona soggetta a vincola paesaggistica.

Va innanzitutto respinto il rilievo secondo il quale l’attività di deposito avviata sul fondo cui al foglio 9 mappale n. 421 non necessiterebbe di alcun titolo abilitativo, non integrando causa di trasformazione dello stato dei luoghi.
L'affermazione urta in via di fatto con le emergenze dei verbali di sopralluogo prodotti in giudizio che illustrano come il sedime sia occupato da:
- otto container colmi di traversine;
- due rimorchi altrettanto colmi;
- altre traversine accatastate sul terreno, per 17 m di lunghezza, 9 m di larghezza e circa 3 m di altezza quindi con un volume di 450 mc.
L’argomentazione contrasta, inoltre, in punto di diritto, con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale -in presenza di opere che implichino una stabile (benché non irreversibile) trasformazione del territorio, preordinata a soddisfare esigenze non precarie- è necessario il rilascio di un idoneo titolo edilizio (cfr., ex multis, Cons. St. sez. IV, 24.07.2012, n. 4214).
Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che, qualora l'entità del deposito dei materiali e la stabilità dell'utilizzazione dell'area emergano con una certa evidenza, è da ritenersi realizzata una trasformazione permanente dell'assetto edilizio del territorio, necessitante di concessione edilizia (TAR Milano sez. IV, 20.12.2011, n. 3307 e sez. II, 11.03.2011, n. 583).
Nel caso di specie, in considerazione dell'entità del deposito di materiali e mezzi d'opera, del relativo ingombro (evincibile dalla documentazione fotografica in atti) e della stabilità dell’utilizzazione dell'area come deposito (l'amministrazione ha, difatti, constatato la posa di materiale inerte già con verbale del 17.11.2008), è da ritenersi certamente realizzata una trasformazione permanente dell'assetto edilizio del territorio, necessitante del rilascio di permesso di costruire ai sensi dell'art. 3, lett. e7), d.P.R. n. 380/2001 (che fa riferimento alle ipotesi di “realizzazione di depositi di merci o di materiali” e di “realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo in edificato”).
In replica ad un’ulteriore contestazione contenuta in ricorso si osserva che la sussistenza da lungo tempo dell’opera abusiva non esclude certamente il potere di controllo e di repressione del comune in materia urbanistico-edilizia, perché l'esercizio di tale potere non è soggetto a prescrizione o decadenza. Ne consegue che l'accertamento dell'illecito amministrativo e l'applicazione della relativa sanzione possono intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, senza che il ritardo nell'adozione della sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o situazioni consolidate (TAR Milano sez. II, 17.06.2008, n. 2045 e 11.03.2011, n. 583).
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L'ordine di demolizione, infatti, costituisce atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né infine una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare, a maggiori ragione laddove l'abuso ricada in zona soggetta a vincola paesaggistica (cfr. TAR Liguria sez. I, 29.01.2013, n. 217; TAR Napoli sez. II, 12.03.2013, n. 1410 e sez. III, 08.03.2013, n. 1374) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.07.2013 n. 891 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi:
1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo;
2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea.
La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie.
Rientrano quindi nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia e che possono essere oggetto di domanda di condono in caso di realizzazione delle stesse in sua assenza, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato.
Tanto premesso deve ritenersi che la natura "precaria" di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.

Va premesso che gli abusi edilizi condonabili vengono individuati di volta in volta dalla legge istitutiva, che può allargare oppure restringere le ipotesi a sua insindacabile discrezione, -ovviamente nel rispetto dei principi costituzionali- sulla base delle mutevoli esigenze fiscali, che normalmente costituiscono la ragione della scelta del legislatore.
L'esame nell'ammissibilità della domanda di condono edilizio, nonché l'individuazione della sanzione da infliggere per l'abuso edilizio commesso, costituiscono valutazioni di natura tecnico-discrezionale di competenza esclusiva dell'autorità amministrativa (Consiglio Stato, sez. V, 27.04.1990, n. 397) che attengono anche alla qualificazione degli interventi posti in essere.
In ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi:
1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo;
2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea.
La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie.
Rientrano quindi nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia e che possono essere oggetto di domanda di condono in caso di realizzazione delle stesse in sua assenza, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato.
Tanto premesso deve ritenersi che la natura "precaria" di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.03.2013 n. 1776 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini dell’esenzione del permesso di costruire, l’opera deve essere destinata “ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo”.
In primo luogo, non rileva dunque il carattere stagionale del manufatto realizzato, atteso che esso non implica la precarietà dell'opera, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione; né rileva a tale riguardo la circostanza che l’impiego del bene sia circoscritto ad una sola parte dell'anno, ben potendo la stessa essere destinata a soddisfare un bisogno non provvisorio ma regolarmente ripetibile e dunque ciclico e continuativo.
In questa direzione non implica precarietà dell'opera e richiede, pertanto, il permesso di costruire, il carattere stagionale ossia l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura stessa, potendo quest'ultima essere destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione.
La stagionalità, dunque, qualora sia al servizio di un'attività perdurante nel tempo va qualificata costruzione ai sensi del testo unico sull'edilizia.
In secondo luogo, il carattere di precarietà di una costruzione non va desunto dalla possibile facile e rapida amovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ad essere poi prontamente rimossa

Quanto al motivo sub a) si rammenta che, ai sensi dell’art. 6 del testo unico edilizia (DPR n. 380 del 2001), “sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo: … b) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni”.
La giurisprudenza ha avuto modo di affermare al riguardo che, ai fini dell’esenzione del permesso di costruire, l’opera deve essere destinata “ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo” (Cass. penale, sez. III, 21.06.2011, n. 34763).
In primo luogo, non rileva dunque il carattere stagionale del manufatto realizzato, atteso che esso non implica la precarietà dell'opera, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione; né rileva a tale riguardo la circostanza che l’impiego del bene sia circoscritto ad una sola parte dell'anno, ben potendo la stessa essere destinata a soddisfare un bisogno non provvisorio ma regolarmente ripetibile e dunque ciclico e continuativo (TAR Puglia Bari, sez. II, 31.08.2009, n. 2031; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 14.01.2009, n. 19; TAR Lombardia Brescia, sez. I, 22.09.2010, n. 3555).
In questa direzione non implica precarietà dell'opera e richiede, pertanto, il permesso di costruire, il carattere stagionale ossia l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura stessa, potendo quest'ultima essere destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (Cass. penale, sez. III, 21.06.2011, n. 34763; Cons. Stato, sez. IV, 22.12.2007, n. 6615).
La stagionalità, dunque, qualora sia al servizio di un'attività perdurante nel tempo va qualificata costruzione ai sensi del testo unico sull'edilizia (TAR Liguria, sez. I, 27.01.2009, n. 119).
In secondo luogo, il carattere di precarietà di una costruzione non va desunto dalla possibile facile e rapida amovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ad essere poi prontamente rimossa (TAR Puglia Bari, sez. II, 31.08.2009, n. 2031).
Per le ragioni sopra indicate il primo motivo di ricorso è dunque infondato, dato che correttamente l’amministrazione comunale ha ritenuto necessario al riguardo l’ottenimento del permesso di costruire al fine di consentire la realizzazione dell’opera di cui si controverte (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 25.03.2013 n. 1626 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Individuazione della natura precaria di un manufatto.
La natura "precaria" di un manufatto ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire (già concessione edilizia), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. b), -dopo le modifiche introdotte dal D.L. 25.03.2010, n. 40, convertito con modificazioni nella L. 22.05.2010, n. 73- prevede che possono essere installate, senza alcun titolo abilitativo ma previa comunicazione dell'inizio dei lavori all'Amministrazione comunale (anche per via telematica), le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni. Non implica precarietà dell'opera, però, il carattere stagionale di essa, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (tratto da www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.03.2013 n. 10235).

EDILIZIA PRIVATAAl fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario (condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia), occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata.
Pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea -destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale- possono ritenersi prive di minima entità ovvero di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia.
Di conseguenza non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.

Viene impugnata l’ordinanza 03.02.2011 n. 1/III che dispone la rimozione/demolizione delle seguenti opere realizzate senza titolo e non destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee:
- casa mobile (su ruote) di dimensioni ml. 8,68 x 3,78 e h. alla gronda ml. 2,86;
- box prefabbricato in lamiera di dimensioni ml. 6,00 x 2,70 e h. al colmo ml. 2,35.
Avverso detto provvedimento viene dedotta violazione dell’art. 10 del DPR n. 380/2001 nonché eccesso per travisamento dei fatti. Secondo il ricorrente si tratterebbe di opere temporanee realizzate in attesa di completare i lavori di recupero dell’edificio esistente. In un secondo momento la “casa mobile” sarà poi utilizzata come residenza secondaria da trasferire nelle varie località turistiche di villeggiatura.
Il Collegio, ad un più approfondito esame della vicenda proprio dell’odierna fase di merito, ritiene di non poter confermare l’orientamento espresso in sede cautelare relativamente al fumus boni iuris.
Al riguardo si oppongono le seguenti circostanze:
- agli atti non risulta alcuna richiesta di permesso di costruire per il recupero dell’edificio esistente, ma solo un’istanza preventiva presentata in data 11.06.2009 e riscontrata positivamente dal Comune con nota del 17.07.2009 recante l’espresso avvertimento che la stessa non costituisce titolo per l’inizio dell’attività edilizia;
- ad oggi non è ancora dato comprendere se il permesso di costruire sia stato poi chiesto e rilasciato;
- alla data del sopralluogo (30.09.2010) veniva accertato che non vi erano lavori in corso e che la “casa mobile” risultava tutt’altro che semplicemente parcheggiata in attesa di utilizzo (come potrebbe essere una normale roulotte in rimessaggio), poiché dotata di allacciamento idrico ed elettrico (con tanto di contatori), impianto di condizionamento dell’aria e impianto televisivo con antenna satellitare. L’interno risultava completamente arredato e pronto per l’uso abitativo.
Come è noto, al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario (condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia), occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata; pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea -destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale- possono ritenersi prive di minima entità ovvero di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia. Di conseguenza non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 12.09.2012 n. 4850; Sez. VI, 16.02.2011 n. 986; Sez. IV, 15.05.2009 n. 3029).
Nel caso in esame non emergono quindi elementi per affermare che la “casa mobile” fosse destinata ad assolvere esigenze meramente temporanee di breve durata ma, al contrario, emergono elementi per supporre che fosse preordinata a soddisfare esigenze prolungate e a scadenza del tutto incerta.
Tale conclusione riguarda indubbiamente anche la seconda costruzione (box prefabbricato in lamiera), priva di ogni riferimento temporale che possa dimostrarne la natura precaria nei termini anzidetti.
Il ricorso va quindi respinto (TAR Marche, sentenza 11.02.103 n. 136 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: P. Sciscioli, Opere precarie, stagionali ed amovibili: lo sfuggente solco discriminante (L'ufficio tecnico n. 1-2/2013).

EDILIZIA PRIVATA: Struttura balneare per uso temporaneo - Mancata rimozione allo scadere del periodo concesso - Ordinanza di rimozione - Legittimità.
L’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che vanno considerati interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso «per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso».
Il concetto di “utilizzazione” diversa non presuppone, come erroneamente assunto dalle appellanti, che vengano realizzate opere edilizie in sé difformi dal titolo abilitativo. E’ invece sufficiente, infatti, che venga posta in essere una attività, anche omissiva dell’adempimento di un dovere di controazione, che per sua propria conseguenza determini un mutamento di fatto nella utilizzazione assentita per un tempo limitato. Per il tempo che non è assentito dal titolo, infatti, l’opera diviene, grazie a questa omissione di rimozione, in tutto e per tutto da equiparare ad un manufatto sine titulo e come va tale va in punto di sanzioni considerata.
Nel caso in esame, la concessione rilasciata autorizzava la realizzazione di una struttura balneare con una “
utilizzazione temporanea” limitata al periodo estivo.
Costituisce dato non contestato che invece le appellanti, non provvedendo alla rimozione annuale, abbiamo creato una struttura con una utilizzazione non più temporanea, ma permanente: dunque abusiva.
L’ordinanza di demolizione è, pertanto, pienamente legittima, con conseguente non rilevanza della questione subordinata, relativa all’avvenuta traslazione della struttura stessa (
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.01.2013 n. 313 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimità ordinanza rimozione per struttura balneare con utilizzazione temporanea non rimossa.
L’ordinanza di demolizione è legittima nel caso cui la concessione rilasciata autorizzava la realizzazione di una struttura balneare con una “utilizzazione temporanea” limitata al periodo estivo e non si provveduto alla rimozione annuale, e pertanto si è creata una struttura con una utilizzazione non più temporanea, ma permanente, dunque abusiva. Infatti, il concetto di “utilizzazione” diversa non presuppone, che vengano realizzate opere edilizie in sé difformi dal titolo abilitativo.
E’ invece sufficiente, infatti, che venga posta in essere una attività, anche omissiva dell’adempimento di un dovere di controazione, che per sua propria conseguenza determini un mutamento di fatto nella utilizzazione assentita per un tempo limitato. Per il tempo che non è assentito dal titolo, infatti, l’opera diviene, grazie a questa omissione di rimozione, in tutto e per tutto da equiparare ad un manufatto sine titulo e come va tale va in punto di sanzioni considerata.

L’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che vanno considerati interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso «per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso».
Il concetto di “utilizzazione” diversa non presuppone, come erroneamente assunto dalle appellanti, che vengano realizzate opere edilizie in sé difformi dal titolo abilitativo. E’ invece sufficiente, infatti, che venga posta in essere una attività, anche omissiva dell’adempimento di un dovere di controazione, che per sua propria conseguenza determini un mutamento di fatto nella utilizzazione assentita per un tempo limitato. Per il tempo che non è assentito dal titolo, infatti, l’opera diviene, grazie a questa omissione di rimozione, in tutto e per tutto da equiparare ad un manufatto sine titulo e come va tale va in punto di sanzioni considerata.
Nel caso in esame, la concessione rilasciata autorizzava la realizzazione di una struttura balneare con una “utilizzazione temporanea” limitata al periodo estivo.
Costituisce dato non contestato che invece le appellanti, non provvedendo alla rimozione annuale, abbiamo creato una struttura con una utilizzazione non più temporanea, ma permanente: dunque abusiva.
L’ordinanza di demolizione è, pertanto, pienamente legittima, con conseguente non rilevanza della questione subordinata, relativa all’avvenuta traslazione della struttura stessa (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.01.2013 n. 313 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPERTINENZE ED AGEVOLE AMOVIBILITA': NO AL CRITERIO STRUTTURALE
Ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell’assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l’opera eventualmente assolva.

Altra decisione della Corte sul tema della natura pertinenziale dell’intervento edilizio, stavolta, però, applicata con riferimento al regime di favore previsto dalla disciplina edilizia fissata dalla regione Sicilia.
La vicenda processuale vedeva imputati del reato edilizio e antisismico due soggetti ai quali era stato addebitato di avere realizzato, in qualità di committenti, una trasformazione edilizia ed urbanistica in assenza di concessione edilizia, con una sopraelevazione di un manufatto, mediante innalzamento dell’esistente parapetto in muratura di un lastrico solare con blocchi di pomicemento e realizzazione di muri perimetrali e copertura in lamierino coibentato, oltre a dodici pilastri, con violazione della disciplina sulle opere in cemento armato.
Contro la sentenza di condanna proponeva ricorso per cassazione la difesa degli imputati, sostenendo che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del fatto che le opere realizzate rientravano in quelle soggette ad autorizzazione ai sensi della L.R. siciliana n. 37 del 1985, art. 5 e della L.R. n. 4 del 2003, art. 20, ottenuta, nel caso di specie, per il mantenimento della copertura del lastrico solare con struttura precaria, oltre a lavori interni: l’opera andava quindi considerata precaria attesa l’agevole amovibilità, indipendentemente dall’uso della stessa.
La tesi difensiva, pur suggestiva, non ha però superato il rigoroso vaglio dei giudici della Suprema Corte. Muovendo dalla norma regionale invocata dai ricorrenti (L.R. Sicilia 16.04.2003, n. 4, art. 20), i giudici hanno osservato come detta disposizione disciplina:
a) la chiusura di terrazze di collegamento e/o copertura di spazi interni con strutture precarie;
b) la realizzazione di verande, definite come «chiusure o strutture precarie relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati»;
c) la realizzazione di altre strutture, comunque denominate (a titolo esemplificativo si fa riferimento a tettoie, pensiline e gazebo), che vengono assimilate alle verande, a condizione che ricadano su aree private, siano realizzate con strutture precarie e siano aperte da almeno un lato.
Secondo la predetta norma gli interventi descritti non sono considerati aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione e sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione.
Pertanto, nell’individuare alcune opere precarie non soggette, in via di eccezione, a permesso di costruire la legge regionale fa riferimento ad un ‘‘criterio strutturale’’ (la facile rimovibilità) piuttosto che al ‘‘criterio funzionale’’ (l’uso temporaneo e provvisorio). Orbene, osservano gli Ermellini come tali disposizioni non possono essere applicate al di fuori dei casi espressamente previsti e vanno interpretate in modo restrittivo in ordine alla suscettibilità di facile rimozione (v., ad es.: Cass. pen., sez. III, 27.05.2009, n. 22054, in Ced Cass., n. 243710).
Nel caso di specie, dunque, gli imputati avevano realizzato non già un’opera precaria, ma un vero e proprio ampliamento di un manufatto preesistente mediante innalzamento, sicché, tenuto conto della tipologia dell’intervento e dei materiali utilizzati, non poteva avere alcuna applicazione la richiamata disciplina regionale relativa alla sufficienza dell’autorizzazione L.R. n. 4 del 2003, ex art. 20 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.01.2013 n. 180 - commento tratto da Urbanistica e Appalti n. 3/2013).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATANozione di precarietà di un manufatto.
La natura precaria del manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore o dalle caratteristiche costruttive, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo e che, in conformità a quanto più volte affermato da questa Corte, il carattere stagionale di un'opera, vale a dire l'utilizzo annualmente ricorrente della struttura, non significa assoluta precarietà (tratto da www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.12.2012 n. 47636 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio, non comportando una trasformazione del territorio, non dipende dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente.
Per giurisprudenza costante, la precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio, non comportando una trasformazione del territorio, non dipende dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente (Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2009, n. 3029; Cons. Stato, sez. IV, 06.06.2008, n. 2705; Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 22054).
La precarietà va, pertanto, esclusa quando -come nella fattispecie in esame- si tratta di un’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.11.2012 n. 2755 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia …, in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente.
In particolare, la tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non un'esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente.

Come più volte rilevato in giurisprudenza, infatti, “... la realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia …, in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente. In particolare, la tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non un'esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente” (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059) (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 19.10.2012 n. 8658 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANATURA PRECARIA DI UN MANUFATTO E RAPPORTI CON IL RESTAURO E RISANAMENTO CONSERVATIVO.
La natura ‘‘precaria’’ di un manufatto, ai fini dell’esenzione dal permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, né dalla natura dei materiali utilizzati ovvero dalla più o meno facile rimovibilità della stessa, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (nella fattispecie la Corte ha escluso che fosse ravvisabile un’attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, bensì la realizzazione di un ‘‘edificio’’ al posto di una preesistente tettoia, con stravolgimento di elementi tipologici e formali e creazione ex novo di volumetria).
La Corte di cassazione si pronuncia nuovamente nel caso in esame sulla questione relativa alla nozione di ‘‘precarietà’’ di un manufatto, stavolta valutandone la compatibilità con la tesi, sostenuta dalla difesa dell’imputato, secondo cui la realizzazione di una tettoia sarebbe stata inquadrabile tra gli interventi di restauro o risanamento conservativo.
La vicenda processuale vedeva imputato il proprietario di un immobile cui era contestato il reato di cui all’art. 44, lett. c) del D.P.R. n. 380 del 2001, per avere realizzato, in assenza del prescritto permesso di costruire -in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e ricadente nella perimetrazione di un parco- lavori edilizi consistiti nella chiusura, per una superficie di mt. 10 x 5, di una tettoia collegata con un capannone adibito a cantiere navale. Contro la sentenza di condanna proponeva ricorso per cassazione l’imputato sostenendo la incongruità del disconoscimento della precarietà delle opere di nuova realizzazione, che non sarebbero assoggettate, per tale loro caratteristica, al regime del permesso di costruire, aggiungendo, inoltre, che le stesse integrerebbero altresì un intervento di risanamento conservativo necessario ‘‘al fine di rendere possibile l’utilizzazione dell’aspiratore della polvere di cantiere’’.
La tesi è stata respinta dagli Ermellini che hanno dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, per tale ragione, inammissibile.
In particolare, hanno precisato i giudici di legittimità , la natura ‘‘precaria’’ di un manufatto, ai fini dell’esenzione
dal permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, né dalla natura dei materiali utilizzati ovvero dalla più o meno facile rimovibilità della stessa, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nei tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Nella fattispecie in esame, è stato quindi escluso il preteso requisito della temporaneità, logicamente rilevando che la struttura arbitrariamente realizzata si connetteva ad un’attività d’impresa esercitata in via continuativa e senza predeterminazioni temporali.
Precisano, poi, i giudici che il D.P.R. n. 380 del 2001 (art. 3, comma 1, lett. c), identifica gli interventi di ‘‘restauro e risanamento conservativo’’ come quelli ‘‘rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che -nel rispetto degli elementi tipologici, formati e strutturati dell’organismo stesso- ne consentano destinazioni d’uso con esso compatibili’’. La finalità è di rinnovare l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata -poiché si tratta pur sempre di conservazione- nel rispetto dei suoi elementi essenziali ‘‘tipologici, formali e strutturali’’.
Nella fattispecie in esame, invece, non è stata ravvisata un’attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti normativamente delineati, bensì la realizzazione di un ‘‘edificio’’ al posto di una preesistente tettoia, con stravolgimento di elementi tipologici e formali e creazione ex novo di volumetria.
In precedenza, nel senso che la ristrutturazione edilizia, poiché non vincolata al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio, differisce sia dalla manutenzione straordinaria, che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, o, ancora, modifica della sagoma o mutamento della destinazione d’uso, sia dal restauro e risanamento conservativo, che non può modificare in modo sostanziale l’assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d’uso ‘‘compatibili’’ con l’edificio conservato, si era pronunciata la stessa Corte (Cass. pen., sez. III, 28.05.2010, n. 20350, in CED Cass., n. 247178) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.09.2012 n. 36040 - tratto da Urbanistica e appalti n. 12/2012).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimità ordinanza demolizione per opere precarie temporanee non autorizzate.
Al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario (condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia), occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata; pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea -destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale- possono ritenersi prive di minima entità ovvero di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia. Infatti la precarietà o meno di un'opera edilizia va valutata con riferimento non già alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata; in altri termini non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
È dunque da considerare legittima l'ordinanza di demolizione di opere che, pur difettando del requisito dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili), consistano in una struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato, e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari.

Come è noto al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario (condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia), occorre verificare la destinazione funzionale e l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata; pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea -destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale- possono ritenersi prive di minima entità ovvero di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia. Infatti la precarietà o meno di un'opera edilizia va valutata con riferimento non già alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata (Cons. St., V, 04.02.1998 n. 131); in altri termini non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. St., VI, 16.02.2011 n. 986).
È dunque da considerare legittima l'ordinanza di demolizione di opere che, pur difettando del requisito dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili), consistano in una struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, dovendo in tal caso escludersi la precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato, e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari (Cons. St., IV, 15.05.2009 n. 3029) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.09.2012 n. 4850 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI caratteri della rimovibilità della struttura e dell’assenza di opere murarie non rilevano per nulla, quando l’installazione attua una consistente trasformazione del tessuto edilizio, in conseguenza della sua conformazione e della sua destinazione all’attività imprenditoriale.
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Sul piano funzionale poi, la destinazione a spazio destinato a soddisfare una migliore sistemazione della clientela, non costituiva un fine contingente ma una finalità permanente -sia pure per una parte dell'anno- che, come visto, comunque necessita di concessione edilizia, a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale del manufatto.
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Il carattere “pertinenziale” all'intervento in contestazione non muta il suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di quello concessorio), in quanto la nozione di “pertinenza urbanistica“ ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto -preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio- deve soprattutto avere un volume modesto, rispetto all'edificio principale in modo da escludere ogni ulteriore “carico urbanistico”.

Come ricordato l’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001, con l’evidente finalità di frenare il fenomeno dei c.d. “abusi progressivi”, riconduce alla nozione di “intervento di nuova costruzione" anche le istallazioni di strutture non murarie, con la diretta conseguenza che, in tali ipotesi, sia sempre necessario il “permesso di costruire”.
E ciò a maggior ragione nel caso di una struttura in legno, che:
- di fatto costituivano un unico manufatto;
- occupava infatti la superficie della terrazza superiore dell'Hotel (peraltro abusivamente realizzato, con istanze di condono edilizio ai sensi della L. 47/1985 ancora pendenti);
- era stata ottenuta mediante la congiunzione di n. 4 “gazebo” (dei quali due di 138 mq ciascuno e due da complessivi mq. 102,2: mq. 59,9 e 46,28 mq) per una superficie complessiva coperta di ben mq. 378,84;
- aveva una copertura del tetto in tela di plastica; con uno sviluppo massimo in altezza delle coperture al colmo di ben mq. 3,45;
- era chiusa su tutti i lati esterni attraverso paratie sovrastate da una grigliatura;
- aveva due porte e due finestre (così l’accertamento dei VV.UU. del 22.01.2006).
Le dimensioni e la finalità della struttura realizzata implicavano che l’intervento non potesse essere qualificato come semplice “gazebo”, in quanto assumeva la consistenza di un vero e proprio piano in elevazione che, come tale, avrebbe dovuto in ogni caso essere oggetto di concessione edilizia e di autorizzazione paesaggistica.
Il “gazebo” costituiva infatti una rilevante alterazione della sagoma esterna, e finiva per avere un impatto visivo che provocava un indubbio vulnus agli eccezionali valori paesaggistici oggetto di salvaguardia. Di qui, se non la compiacenza, per lo meno l’erroneità della qualificazione come “gazebo”, assunta dall’amministrazione intimata come presupposto del suo illegittimo rifiuto ad intervenire.
I caratteri della rimovibilità della struttura e dell’assenza di opere murarie non rilevano per nulla, quando l’installazione attua una consistente trasformazione del tessuto edilizio, in conseguenza della sua conformazione e della sua destinazione all’attività imprenditoriale (cfr. proprio a proposito di gazebo: Sez. V 13.06.2006 n. 3490, Cons. Sez. IV 06.06.2008 n. 2705).
Sul piano funzionale poi, la destinazione a spazio destinato a soddisfare una migliore sistemazione della clientela, non costituiva un fine contingente ma una finalità permanente -sia pure per una parte dell'anno- che, come visto, comunque necessita di concessione edilizia, a nulla rilevando l'eventuale precarietà strutturale del manufatto (Cfr. in tal senso: Consiglio Stato, Sez. V 01.12.2003 n. 7822; Cons. St., sez. V, 20.04.2000 n. 2436, idem n. 419 del 27.01.2003; idem n. 696 dell'11.02.2003).
Per le predette ragioni, il carattere “pertinenziale” all'intervento in contestazione non muta il suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di quello concessorio), in quanto la nozione di “pertinenza urbanistica“ ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto -preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio- deve soprattutto avere un volume modesto, rispetto all'edificio principale in modo da escludere ogni ulteriore “carico urbanistico” (cfr. Consiglio Stato; Sez. V n. 2325 del 18.04.2001; idem Sez. VI n. 1174 dell'08.03.2000).
In definitiva, se in relazione al ricordato art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001, la struttura avrebbe comunque richiesto la concessione edilizia e non poteva essere ontologicamente qualificata come intervento di “manutenzione straordinaria”, in quanto costituiva una alterazione “dell’aspetto esteriore dell’edificio” non consentita dalla lett. a) dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004 e s.m.i .
L’amministrazione avrebbe quindi dovuto qualificare correttamente la struttura come intervento in zona vincolata soggetto a concessione edilizia e, comunque, attivare l’apposito sub-procedimento per l’autorizzazione paesistica di cui all’art. 146 del d.lgs. 22.01.2004 n. 42
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.07.2012 n. 4318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASussiste la necessità di procedere ad una valutazione dell'abuso edilizio mediante “una visione complessiva e non atomistica dell'intervento giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.
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In ogni caso, la precarietà di un manufatto non dipende dal suo sistema di ancoraggio al terreno, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, con la conseguente necessità del titolo edilizio allorquando, come nel caso di specie, la struttura, ancorché rimuovibile, sia destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo e non meramente occasionale.

Più in generale, giova osservare come correttamente l’amministrazione abbia proceduto ad una puntuale rilevazione e indicazione delle difformità riscontrate rispetto al progetto assentito (in conformità alla richiamata sentenza n. 6897 di questo TAR), onde ricavare da essa la corretta qualificazione dell'intervento realizzato e la conseguente identificazione del titolo edilizio che sarebbe stato necessario (cfr. proprio sulla necessità di procedere ad una valutazione dell'abuso edilizio mediante “una visione complessiva e non atomistica dell'intervento giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio”: Consiglio di Stato, VI, 06.06.2012 n. 3330).
In tal senso, non rileva la circostanza che il manufatto sia stabilmente ancorato al suolo mediante imbullonatura, come tale rimuovibile, dovendosi rammentare che, in ogni caso, la precarietà di un manufatto non dipende dal suo sistema di ancoraggio al terreno, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, con la conseguente necessità del titolo edilizio allorquando, come nel caso di specie, la struttura, ancorché rimuovibile, sia destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo e non meramente occasionale (cfr. Consiglio di Stato, V, 27.04.2012, n. 2450; id. 15.06.2000, n. 3321; id. 03.04.1990, n. 317).
Anche la pavimentazione a secco dell’antistante giardino (mediante lastre di pietra) non può essere considerata in modo avulso dal contesto di riferimento, concorrendo la stessa, che pure non risulta riportata in progetto, alla valutazione complessiva dell’intervento in questione, ai fini della sua riconducibilità fra quelli necessitanti un idoneo titolo edilizio (cfr., in ogni caso, sulla necessità di siffatto titolo edilizio per ogni intervento che determini una perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo, pur in assenza di opera in muratura, ancora Cons. Stato 2450/2012, a proposito dello spargimento di ghiaia, nonché, Cons. Stato, sez. V, 21.10.2003, n. 6519) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.07.2012 n. 2058 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva richiede la concessione edilizia allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso.
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Quanto al box ad uso ufficio, non è determinante la circostanza che lo stesso sia soltanto materialmente appoggiato al suolo e non infisso ad esso, giacché il carattere di provvisorietà di una costruzione edilizia, ai fini dell'esenzione dal titolo autorizzatorio, dipende dall'uso realmente precario e temporaneo per fini specifici e cronologicamente delimitati.

Quanto alla stesura della ghiaia, si osserva che, secondo la prevalente giurisprudenza –che il collegio condivide– lo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva richiede la concessione edilizia allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso (Cons. di St., V, 22.12.2005, n. 7343; id., 11.11.2004, n. 7325; Cass. Pen., III, 09.06.1982).
Nel caso di specie, lo spargimento di ghiaia è funzionale all’utilizzo del terreno per il parcheggio e la sosta di container ed altri materiali (così l’istanza in data 19.11.1986, doc. 1 delle produzioni 30.06.1987 di parte ricorrente), onde necessitava di concessione edilizia ex art. 1 L. n. 10/1977.
Quanto al box ad uso ufficio, non è determinante la circostanza che lo stesso sia soltanto materialmente appoggiato al suolo e non infisso ad esso, giacché il carattere di provvisorietà di una costruzione edilizia, ai fini dell'esenzione dal titolo autorizzatorio, dipende dall'uso realmente precario e temporaneo per fini specifici e cronologicamente delimitati (Cons. di St., V, 24.02.2003, n. 986).
Nel caso di specie, l’utilizzo del box in funzione dell’attività commerciale svolta dal ricorrente ne fa invece presumere una utilizzazione perdurante nel tempo, rafforzata dalla mancanza di allegazioni di segno contrario (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 24.07.2012 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Mancata rimozione di opera stagionale.
La mancata rimozione di un'opera edilizia precaria allo spirare del termine stagionale implica la violazione dell'art. 44 del D.P.R. 380/2001, in quanto la responsabilità discende dal combinato disposto del citato art. 44 e dell'art. 40, comma secondo, cod. pen., per la mancata ottemperanza all'obbligo di rimozione insito nel provvedimento autorizzatorio temporaneo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.06.2012 n. 24554 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAPRECARIETA' E TEMPORANEITA' DELL’INTERVENTO EDILIZIO.
In materia edilizia, ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell’assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l’opera eventualmente assolva.
Questione ricorrente quella affrontata dalla Suprema Corte con la sentenza in esame, relativa al tema dei rapporti intercorrenti tra precarietà dell’opera edilizia e la sua temporaneità. La vicenda processuale segue ad una sentenza di condanna, confermata in grado d’Appello, per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), e per il reato di cui agli artt. 83, 93, 94 e 95, stesso D.P.R., in relazione all’installazione su un piano di cemento armato di un prefabbricato in legno di circa metri 8 per 6, con antistante portico, senza permesso di costruire e senza le prescritte autorizzazioni, trattandosi di zona sismica.
Proponeva ricorso per Cassazione l’imputato che, per quanto qui di interesse, rilevava l’erronea applicazione della norma incriminatrice, perchè -a suo dire- la propria condotta non avrebbe integrato le fattispecie previste e punite dalla norma. Sosteneva, in particolare, la difesa che l’opera prefabbricata in legno realizzata non rientrasse nella nozione di ‘‘costruzione’’, non avendo i caratteri di struttura stabilmente ancorata al suolo. Si sarebbe trattato, infatti, di un prefabbricato amovibile, che non poggia al suolo in modo stabile, ma legato ad esso con viti di ferro: cioè , di un’opera chiaramente smontabile. Tale circostanza sarebbe emersa anche nel dibattimento di primo grado, in cui il teste che aveva proceduto all’accertamento del reato non aveva saputo riferire se l’opera fosse o meno ancorata al suolo.
La tesi non ha però convinto gli Ermellini che hanno dichiarato inammissibile il ricorso.
In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto ineccepibile il ragionamento logico-giuridico condotto dai giudici di merito, risultando dagli atti che la polizia giudiziaria che aveva accertato l’illecito aveva, in sede di audizione testimoniale, riferito che la struttura era prefabbricata e installata stabilmente alla piattaforma di cemento e che, toccandola, non si muoveva: si trattava, comunque, di una struttura abitabile e di dimensioni considerevoli. Correttamente, dunque, per la Cassazione, i giudici di merito hanno richiamato il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità , secondo cui la temporaneità dell’opera deve desumersi da elementi obiettivi e non dalle caratteristiche del manufatto o dall’intenzione soggettiva del costruttore, perché , ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. e) ed art. 55, si considerano opere edilizie anche l’istallazione di manufatti leggeri prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere come roulottes, camper, case mobili, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi, magazzini (cfr., ex plurimis: Cass. pen., sez. III, 27.05.2009, n. 22054, in Ced Cass., n. 243710; Id., sez. III, 13.06.2006, n. 20189, in Ced Cass., n. 234325 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.05.2012 n. 18087 - tratto da Urbanistica e appalti n. 7/2012).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà va esclusa tutte le volte in cui il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo. In questo caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica perché altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo, con l'effettiva rimozione delle strutture.
La precarietà, infatti, “va esclusa tutte le volte in cui il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo. In questo caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica perché altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo, con l'effettiva rimozione delle strutture” (cfr., tra le tante, TAR Lazio–Latina, 01.10.2010, n. 1626)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.06.2012 n. 1660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’eventuale precarietà (mobilità) di un manufatto che rende non necessaria la concessione edilizia dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio.
Il carattere di precarietà va quindi comunque escluso quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo.
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Per volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal calcolo della volumetria ammissibile, devono intendersi i locali completamente privi di una autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinati a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa ed, in particolare, quei volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l'ubicazione di quegli impianti tecnici indispensabili per assicurare il comfort degli edifici, che non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche.

Infondata è la censura secondo cui il manufatto oggetto del provvedimento non sarebbe una veranda con struttura infissa su di una platea di cemento ma consisterebbe semplicemente in tre pareti mobili su ruote usate per il riparo di attrezzi e piante fiorite durante l’inverno, costituendo quindi un mero volume tecnico.
La censura non è supportata da alcuna evidenza probatoria certa e, anzi si pone in contrasto con il verbale di accertamento dell’abuso del 24.12..2009 che, per essere stato redatto da pubblico ufficiale, fa piena prova sino a querela di falso.
Inoltre, le foto allegate dal ricorrente non mostrano in modo esauriente l’ancoraggio del manufatto al suolo ed, in ogni caso, l’affermata amovibilità dell’opera è irrilevante al fine di escludere l’esistenza di un’opera di trasformazione urbanistica necessitante di titolo abilitativo edilizio avendo, fra l’altro, la giurisprudenza precisato che ciò che rileva ai fini della trasformazione urbanistica è la stabilità della destinazione dell’opera realizzata.
L’opera in questione pare destinata ad uno stabile e prolungato utilizzo e non a fini strettamente temporanei.
L’eventuale precarietà (mobilità) di un manufatto che rende non necessaria la concessione edilizia dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio.
Il carattere di precarietà va quindi comunque escluso quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo (Consiglio Stato, Sez. V, 30.10.2000, n. 5828; TAR Campania-Napoli, Sez. VI, 18.02.2005, n. 1182; TAR Lazio–Roma Sez. II-ter, 05.04.2007, n. 2986).
Il manufatto realizzato poi, consistente in una veranda in ferro e vetro, coperto da lamiera zincata posto su una platea di cemento armato alta circa 30 centimetri, esulta completamente dalla nozione di volume tecnico.
Secondo quanto chiarito da giurisprudenza, difatti, per volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal calcolo della volumetria ammissibile, devono intendersi i locali completamente privi di una autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinati a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa (Consiglio Stato, sez. IV, 04.05.2010, n. 2565; TAR Sicilia-Palermo Sez. I - sentenza 09.07.2007, n. 1749; TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 04.04.2002, n. 1337) ed, in particolare, quei volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l'ubicazione di quegli impianti tecnici indispensabili per assicurare il comfort degli edifici, che non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (TAR Puglia-Lecce, Sez. III - sentenza 15.01.2005 n. 143; TAR Puglia-Bari sentenza n. 2843/2004).
Nessuna delle caratteristiche indicate presenta il manufatto in questione, avendo a una piena indipendenza funzionale, non essendo destinato a contenere impianti e presentando dimensioni incompatibili con l’affermata natura di volume tecnico (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.05.2012 n. 2251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà (e mobilità) di un manufatto, che rende non necessaria la concessione edilizia, dipende non dal suo sistema di ancoraggio al terreno, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, con la conseguente necessità del titolo edilizio allorquando, come nel caso di specie, la struttura, ancorché prefabbricata, sia destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, circostanza giammai contestata dagli appellanti, e non meramente occasionale.
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quanto al secondo profilo, poi, anche a voler prescindere dalle significative dimensioni della struttura prefabbricata realizzata (oltre 80 metri quadrati, per un volume di 257,78 metri quadrati, il che esclude in radice la sua stessa amovibilità (sul cui carattere insistono gli appellanti), deve ricordarsi che in ogni caso anche la precarietà (e mobilità) di un manufatto, che rende non necessaria la concessione edilizia, dipende non dal suo sistema di ancoraggio al terreno, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, con la conseguente necessità del titolo edilizio allorquando, come nel caso di specie, la struttura, ancorché prefabbricata, sia destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, circostanza giammai contestata dagli appellanti, e non meramente occasionale (C.d.S., sez. V, 15.06.2000, n. 3321; 03.04.1990, n. 317) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2012 n. 2450 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' necessario il rilascio di una concessione edilizia in caso di apertura di un dehor destinato all'esercizio dell'attività di ristorazione o di somministrazione di alimenti e bevande, perché le caratteristiche tecniche della struttura, realizzata su suolo pubblico, nonché il perdurante previsto utilizzo della stessa nel tempo per il ricevimento della clientela, costituiscono elementi sufficienti ad escludere il carattere della c.d. precarietà strutturale.
Inoltre, trattandosi a tutti gli effetti di nuova costruzione, trova senz’altro applicazione l’art. 907 c.c..

Con il secondo ed il terzo motivo la società ricorrente deduce che l’intervento in oggetto, concretandosi in opere di manutenzione di un preesistente manufatto di natura pertinenziale, non sarebbe subordinato al previo rilascio di permesso di costruire, ma unicamente a denuncia di inizio attività.
Orbene, la ricorrente non ha provato affatto la regolarità edilizia del preesistente manufatto, onde la realizzazione del dehor sanzionato non può in alcun modo qualificarsi come opera di manutenzione.
Inoltre, anche a voler considerare (il che non è, come si vedrà infra) l’opera in questione come una pertinenza, essa, ricadendo in zona sottoposta a vincolo, era soggetta a concessione edilizia già nel vigore dell’art. 7, comma 2, D.L. 23.01.1982, n. 9 (convertito in legge 25.03.1982, n. 94).
In ogni caso, in relazione a casi analoghi, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che é necessario il rilascio di una concessione edilizia in caso di apertura di un dehor destinato all'esercizio dell'attività di ristorazione o di somministrazione di alimenti e bevande, perché le caratteristiche tecniche della struttura, realizzata su suolo pubblico, nonché il perdurante previsto utilizzo della stessa nel tempo per il ricevimento della clientela, costituiscono elementi sufficienti ad escludere il carattere della c.d. precarietà strutturale (TAR Sicilia-Palermo, III, 06.07.2010, n. 8269; nello stesso senso cfr. TAR Campania-Napoli, IV, 12.01.2009, n. 68; id., 15.09.2008, n. 10138; sempre con specifico riferimento a gezebo destinati alla ristorazione, cfr. Cons. di St., V. 01.12.2003, n. 7822; id., VI, 27.01.2003, n. 419).
Trattandosi a tutti gli effetti di nuova costruzione, trova senz’altro applicazione l’art. 907 c.c.
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 27.04.2012 n. 591 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl carattere precario del manufatto non dipende <<dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato, e va dunque valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari>>.
In questo prospettiva, un impianto fotovoltaico a terra, indipendentemente dai materiali utilizzati e dai criteri di ancoraggio al suolo, si presenta oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze non temporanee dell’azienda agricola e, quindi, non può essere considerata in termini di opera precaria.

... per l'annullamento:
- del parere prot. 3302/2010 del 21.02.2011, con cui il Comune di Cinigiano - Area Tecnica Ufficio Urbanistica, ha espresso parere contrario in merito al Programma di Miglioramento Agricolo Ambientale, redatto ai sensi della L.R. 1/2005 dal Sig. R.C. e presentato in data 29.06.2010, e relativo alla realizzazione di impianto fotovoltaico a terra e incremento superficie vitata sui terreni di proprietà dell'azienda Terra Rossa, posti in Borgo S. Rita - Cinigiano (Gr);
...
Già in sede cautelare (TAR Toscana, sez. II, 01.06.2011 n. 634), la Sezione ha avuto modo di rilevare, con riferimento al preteso carattere pertinenziale e precario dell’impianto fotovoltaico, come la costruzione proposta da parte ricorrente non possa trovare accoglimento, <<considerato che non si riscontra l’invocata natura pertinenziale dell’impianto fotovoltaico, attesa la dimensione del medesimo e la sua stessa destinazione evidenziata dal ricorrente -tesa a conferire la corrente elettrica alla rete e non ad asservire esclusivamente un edificio principale- nonché la conformazione dell’impianto che è destinato ad una trasformazione funzionale dello stato dei luoghi, indipendentemente dall’amovibilità potenziale delle singole componenti>>.
Ed in effetti, nella fattispecie manca certamente quel <<rapporto di strumentalità o complementarità funzionale>> (Consiglio di Stato, sez. IV 15.12.2011 n. 6606; sez. VI 11.05.2011 n. 2781) con i manufatti esistenti sull’area che, per giurisprudenza univoca, costituisce il requisito costitutivo delle cd. pertinenze urbanistiche.
A questo proposito, la Sezione non dubita certo che i proventi derivanti dalla possibile installazione dell’impianto costituiscano una fonte di entrate di tale importanza da risultare complementare, nella complessiva economia dell’azienda, all’attività principale di coltivazione agricola svolta sull’area; sotto il profilo urbanistico-edilizio, si tratta però di innovazione che non si pone certo in rapporto di pertinenzialità con l’esistente, ma che deve essere valutata come nuova ed autonoma edificazione, in virtù delle proprie caratteristiche intrinseche di trasformazione del territorio.
Per quello che riguarda l’altro profilo della possibile natura precaria delle opere, deve poi trovare applicazione l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato che ha rilevato come il carattere precario del manufatto non dipenda <<dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato, e va dunque valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari>> (Consiglio Stato, sez. IV, 15.05.2009 n. 3029; sez. V 20.06.2011 n. 3683).
In questo prospettiva, l’opera progettata dal ricorrente, indipendentemente dai materiali utilizzati e dai criteri di ancoraggio al suolo, si presenta oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze non temporanee dell’azienda agricola e, quindi, non può essere considerata in termini di opera precaria (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.04.2012 n. 809 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATALaddove una o più opere edilizie siano state realizzate su area demaniale (nel caso, demanio marittimo), il conseguente ordine di demolizione è adottato dal Comune anche in applicazione degli art. 54 e 1161 c. nav. e, quindi per la tutela degli interessi demaniali, cosicché, sotto questo profilo, non ha nemmeno rilevanza la minore o maggiore consistenza dell'abuso".
Ed ancora a riprova della non sufficienza dell’autorizzazione rilasciata da parte dell’autorità Portuale ai soli fini demaniali marittimi al mantenimento della tettoia contestata si è affermato che “L'esecuzione di opere edilizie non del tutto precarie su suolo del demanio marittimo richiede il rilascio della preventiva concessione edilizia da parte del Sindaco, essendo irrilevante il possesso della concessione della Capitaneria di porto, necessaria solo per l'utilizzazione dell'area demaniale".
Va poi contestato che la tettoia in questione di dimensioni ragguardevoli (m. 23,50 per 18,15, h. m. 5,80) e tuttora esistente ed utilizzata da diciotto anni possa essere considerata indifferente ai fini edilizi.
Ha, infatti, affermato il giudice amministrativo che “Ove si tratti di struttura realizzata per soddisfare esigenze aziendali di carattere permanente, prescindendo dal rilievo concernente un'asserita «facile amovibilità» di tale struttura (nella specie, sia per i materiali impiegati che per le considerevoli dimensioni), alla stessa non potrà attribuirsi carattere di opera precaria, con conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia per la sua realizzazione (e correlativa infondatezza di un eventuale ricorso giurisdizionale proposto avverso il connesso provvedimento sanzionatorio-ripristinatorio), dato che la presenza di una tettoia non è meramente strumentale alla migliore funzionalità di uno o più degli impianti contenuti in un capannone industriale, ma tende piuttosto a creare un prolungamento dello stesso, al fine di consentirvi lo svolgimento della normale attività imprenditoriale su una più vasta superficie coperta"
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È stato, infatti, affermato che “laddove una o più opere edilizie siano state realizzate su area demaniale (nel caso, demanio marittimo), il conseguente ordine di demolizione è adottato dal Comune anche in applicazione degli art. 54 e 1161 c. nav. e, quindi per la tutela degli interessi demaniali, cosicché, sotto questo profilo, non ha nemmeno rilevanza la minore o maggiore consistenza dell'abuso" (TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 03.06.2008, n. 2144; TAR Lazio Roma, sez. II, 30.08.2010, n. 31953).
Ed ancora a riprova della non sufficienza dell’autorizzazione rilasciata da parte dell’autorità Portuale ai soli fini demaniali marittimi al mantenimento della tettoia contestata si è affermato che “L'esecuzione di opere edilizie non del tutto precarie su suolo del demanio marittimo richiede il rilascio della preventiva concessione edilizia da parte del Sindaco, essendo irrilevante il possesso della concessione della Capitaneria di porto, necessaria solo per l'utilizzazione dell'area demaniale" (TAR Toscana Firenze, sez. III, 04.07.2006, n. 3006).
Va poi contestato che la tettoia in questione di dimensioni ragguardevoli (m. 23,50 per 18,15, h. m. 5,80) e tuttora esistente ed utilizzata da diciotto anni possa essere considerata indifferente ai fini edilizi.
Ha, infatti, affermato il giudice amministrativo che “Ove si tratti di struttura realizzata per soddisfare esigenze aziendali di carattere permanente, prescindendo dal rilievo concernente un'asserita «facile amovibilità» di tale struttura (nella specie, sia per i materiali impiegati che per le considerevoli dimensioni), alla stessa non potrà attribuirsi carattere di opera precaria, con conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia per la sua realizzazione (e correlativa infondatezza di un eventuale ricorso giurisdizionale proposto avverso il connesso provvedimento sanzionatorio-ripristinatorio), dato che la presenza di una tettoia non è meramente strumentale alla migliore funzionalità di uno o più degli impianti contenuti in un capannone industriale, ma tende piuttosto a creare un prolungamento dello stesso, al fine di consentirvi lo svolgimento della normale attività imprenditoriale su una più vasta superficie coperta" (TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 25.09.2007, n. 469)
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.04.2012 n. 530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il manufatto assentito con concessione edilizia in precario può essere conservato solo finché il Comune non decida di chiederne la rimozione, facendo così venire meno l’efficacia del titolo edilizio provvisoriamente rilasciato e rendendo l’opera, non più tollerata, sostanzialmente assimilabile ad un abuso edilizio da rimuovere. Inoltre, la mancata ottemperanza alla prescrizione prevista nel titolo edilizio del 1979 (“il container dovrà essere opportunamente nascosto con piante soprattutto nella parte prospiciente la strada provinciale”) si configura come condizione risolutiva del titolo medesimo, con conseguente applicabilità delle misure repressive previste dalla normativa edilizia.
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L'installazione non meramente occasionale di un prefabbricato, come nel caso di un container, comporta l'alterazione dello stato dei luoghi ed incide sull'assetto urbanistico-edilizio del territorio…Da quanto sopra deriva che, ricorrendo nel caso in esame le caratteristiche di una permanente trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, per la presenza stabile del manufatto (art. 1 della legge 28.01.1977, n. 10) necessitasse la concessione edilizia e che, in base all'art. 7 della legge 28.02.1985, n. 47, il…” responsabile dell’area tecnica, “nell'esercizio del suo potere dovere di vigilanza e di intervento per la repressione degli abusi edilizi, legittimamente abbia imposto la demolizione dello stesso manufatto.
La società esponente, in attesa di edificare la nuova centrale telefonica, in data 21.09.1979 ha presentato al Comune domanda di nulla osta alla collocazione provvisoria di un container di metri 6,06 per 2,50 e altezza di metri 3,40. Tale istanza è stata accolta con il rilascio della concessione edilizia n. 74 del 05.10.1979, la quale dettava la prescrizione secondo cui il container avrebbe dovuto essere nascosto con piante. Con domanda del 23.02.1985 la deducente ha presentato domanda di concessione relativa all’installazione di un secondo container, precisando con nota dell’11.9.1985 che il manufatto avrebbe avuto carattere precario. L’installazione precaria è stata quindi assentita con concessione n. 19 del 24.10.1985.
Orbene, da un lato la natura precaria dei container dichiarata nel secondo titolo edilizio rilasciato e nella prima istanza della ricorrente, dall’altro il mancato adempimento della prescrizione dettata dal titolo rilasciato nel 1979, giustificano l’ordine di rimuovere tali manufatti.
Invero il manufatto assentito con concessione edilizia in precario può essere conservato solo finché il Comune non decida di chiederne la rimozione, facendo così venire meno l’efficacia del titolo edilizio provvisoriamente rilasciato e rendendo l’opera, non più tollerata, sostanzialmente assimilabile ad un abuso edilizio da rimuovere. Inoltre la mancata ottemperanza, non confutata dalla ricorrente, alla prescrizione prevista nel titolo edilizio del 1979 (“il container dovrà essere opportunamente nascosto con piante soprattutto nella parte prospiciente la strada provinciale”) si configura come condizione risolutiva del titolo medesimo, con conseguente applicabilità delle misure repressive previste dalla normativa edilizia (TAR Lombardia, Milano, II, 16.02.2010, n. 412; Tribunale di Catanzaro, II, 07.05.2009).
Quanto al regime di autorizzazione ex art. 7 della legge n. 94/1982, invocato nell’impugnativa, il Collegio, dato atto che i manufatti in questione sono stati installati da oltre 25 anni e appaiono di rilevanti dimensioni (metri 6,06 per 2,50 e altezza di metri 3,40 –si vedano i documenti depositati in giudizio dal Comune-), osserva che “l'installazione non meramente occasionale di un prefabbricato, come nel caso di un container, comporta l'alterazione dello stato dei luoghi ed incide sull'assetto urbanistico-edilizio del territorio…Da quanto sopra deriva che, ricorrendo nel caso in esame le caratteristiche di una permanente trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, per la presenza stabile del manufatto (art. 1 della legge 28.01.1977, n. 10) necessitasse la concessione edilizia e che, in base all'art. 7 della legge 28.02.1985, n. 47, il…” responsabile dell’area tecnica, “nell'esercizio del suo potere dovere di vigilanza e di intervento per la repressione degli abusi edilizi, legittimamente abbia imposto la demolizione dello stesso manufatto” (Cons. Stato, V, 15.06.2000, n. 3320; si veda anche Cons. Stato, V, 18.03.1991, n. 280) (TAR Lombardia Milano, sez. III, 21.12.2010, n. 7633) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 30.01.2012 n. 166 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAnche se la normativa edilizia non prevede l’istituto della concessione edilizia a termine, tuttavia, secondo un consolidato orientamento nella materia, il rilascio di tale titolo può essere vincolato a specifiche prescrizioni e condizioni; si tratta, pertanto, di verificare, da un lato, se sia possibile che la condizione riguardi il termine finale di efficacia del provvedimento, e, dall’altro, se, in caso contrario, dalla violazione dell’eventuale divieto consegua la nullità della detta clausola temporale, ma con salvezza per il residuo del provvedimento concessorio da ritenersi a validità ed efficacia a tempo indeterminato.
Quando la condizione della temporaneità sia apposta alla concessione edilizia riguardi in realtà opere precarie che, per varie e diversificate ragioni, possano essere erette soltanto in alcuni periodi dell’anno o soltanto per un arco temporale limitato, allora si è in presenza di un provvedimento atipico di per sé non illegittimo; si tratta, nella sostanza, di concessione avente ad oggetto opere per loro natura e destinazione di carattere precario e quindi durata limitata e predeterminata.
In passato vi sono state aperture al riguardo essendosi affermato che la “concessione edilizia in precario” costituisce provvedimento atipico utilizzato dalle amministrazioni comunali per assentire opere per loro natura e destinazione di durata limitata e predeterminata, non conformi alla destinazione urbanistica della zona, giustificabile solo proprio in relazione al carattere di precarietà dell’opera ed alla sua modesta consistenza, sì da non assurgere a vera e propria modificazione del territorio; peraltro, l’istituto della concessione in precario andrebbe ritenuto ammissibile solo se previsto dalle norme di piano regolatore, nei limiti, con i presupposti e nei termini che tali norme pongono, salvo i casi che la precarietà stessa costituisca giudizio di non rilevanza urbanistica dell’opera.
Anche se la normativa edilizia non prevede l’istituto della concessione edilizia a termine, tuttavia, secondo un consolidato orientamento nella materia, il rilascio di tale titolo può essere vincolato a specifiche prescrizioni e condizioni; si tratta, pertanto, di verificare, da un lato, se sia possibile che la condizione riguardi il termine finale di efficacia del provvedimento, e, dall’altro, se, in caso contrario, dalla violazione dell’eventuale divieto consegua la nullità della detta clausola temporale, ma con salvezza per il residuo del provvedimento concessorio da ritenersi a validità ed efficacia a tempo indeterminato.
Il Collegio ritiene che quando la condizione della temporaneità sia apposta alla concessione edilizia riguardi in realtà opere precarie che, per varie e diversificate ragioni, possano essere erette soltanto in alcuni periodi dell’anno o soltanto per un arco temporale limitato, allora si è in presenza di un provvedimento atipico di per sé non illegittimo; si tratta, nella sostanza, di concessione avente ad oggetto opere per loro natura e destinazione di carattere precario e quindi durata limitata e predeterminata.
In passato vi sono state aperture al riguardo (TAR Puglia–Bari, sez. II, sent. n. 1281 del 28.09.1994) essendosi affermato che la “concessione edilizia in precario” costituisce provvedimento atipico utilizzato dalle amministrazioni comunali per assentire opere per loro natura e destinazione di durata limitata e predeterminata, non conformi alla destinazione urbanistica della zona, giustificabile solo proprio in relazione al carattere di precarietà dell’opera ed alla sua modesta consistenza, sì da non assurgere a vera e propria modificazione del territorio; peraltro, l’istituto della concessione in precario andrebbe ritenuto ammissibile solo se previsto dalle norme di piano regolatore, nei limiti, con i presupposti e nei termini che tali norme pongono, salvo i casi che la precarietà stessa costituisca giudizio di non rilevanza urbanistica dell’opera
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere precarie.
L'opera precaria, sottratta al regime concessorio, è quella oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o transeunti e quindi non è destinata a produrre, infatti, quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica e rivolta a regolare.
Ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell'assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l'agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente assolva (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.01.2012 n. 2693 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere precarie, requisiti.
La natura precaria di un intervento edilizio non coincide "con la temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione".
Non sussiste coincidenza fra precarietà e stagionalità dell'opera, posto che le opere stagionali sono destinate a soddisfare bisogni che si perpetuano nel tempo, anche se in determinati periodi dell'anno, e come tali costituiscono interventi che incidono sui beni tutelati dalla legislazione edilizia e necessitano di permesso di costruire.
La natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè alla stabilità dell'insediamento, indicativa dell'impegno effettivo e durevole del territorio.
La Corte deve ricordare che la giurisprudenza di questa Sezione afferma costantemente che:
● la natura precaria di un intervento edilizio non coincide "con la temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione" (Sezione Terza Penale, sentenza 27.05.2004, Polito).
● Sotto diverso profilo, non sussiste coincidenza fra precarietà e stagionalità dell'opera, posto che le opere stagionali sono destinate a soddisfare bisogni che si perpetuano nel tempo, anche se in determinati periodi dell'anno, e come tali costituiscono interventi che incidono sui beni tutelati dalla legislazione edilizia e necessitano di permesso di costruire (Terza Sezione Penale, sentenza n. 35498 del 06.07.2007, Filigrana; sentenza n. 12428 del 07.02.2008, Fioretti).
● Inoltre, è stato affermato che "la natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè alla stabilità dell'insediamento, indicativa dell'impegno effettivo e durevole del territorio" (Terza Sezione Penale, sentenza n. 12428 del 07.02.2008, Fioretti; sentenza del 27.05.2004, Polito; Cons. Stato, Sez. 5, sentenza n. 3321 del 15.06.2000) (
Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 16.01.2012 n. 1191
).

EDILIZIA PRIVATA1. Locazione di aree della P.A. ad uso cantieristico - Possibilità di realizzazione di opere strutturalmente imponenti ancorché definite temporalmente e funzionalmente precarie - Necessità di idoneo titolo edilizio - Sussiste - Ratio.
2. Natura precaria di un manufatto - Condizione contrattuale che preveda la futura demolizione del manufatto - Irrilevanza ai fini della configurabilità della precarietà.
3. Edificio precario destinato ad uffici di cantiere - Sottraibilità al regime edilizio e urbanistico delle nuove costruzioni - Possibilità - Limiti.

1. In caso di locazione di aree della P.A. ad uso cantieristico, una cosa è il contratto di locazione delle aree di cantiere con la relativa disciplina negoziale, nel quale sono previste e stabilite le condizioni d'uso dell'area stessa -tra cui quella di realizzare solo le opere precarie di cantiere ivi descritte e di restituire l'area al Comune nello status quo ante- ed altra cosa sono le eventuali autorizzazioni necessarie per realizzare qualsiasi manufatto (precario o meno che sia nelle intenzioni di chi lo realizza e di chi ne consente la realizzazione), che in base alle norme edilizie richiede il previo rilascio di un titolo edilizio, in funzione della natura dell'intervento e della trasformazione del territorio che ad esso inerisce.
Pertanto, anche qualora nel contratto sia prevista la realizzazione di opere strutturalmente imponenti ancorché definite precarie - temporalmente e funzionalmente - non per questo il locatario ricorrente può intraprenderle senza munirsi del titolo occorrente, non essendo possibile realizzare manufatti soggetti a titolo edilizio, in forza del benestare, comunque espresso, della P.A. in una sede impropria e inconferente quale è quella negoziale, nella specie la locazione dell'area destinata alle strutture di cantiere.
2. Deve considerarsi stabile e non precario un manufatto ancorato al suolo e dotato di tutti gli elementi propri della stabilità -ossia notevoli dimensioni, struttura portante in cemento armato, ecc.-, che non è suscettibile di immediata e comunque agevole e pronta rimozione ma che richieda un intervento di demolizione: né la precarietà del manufatto può essere ravvisabile per la sola condizione contrattualmente prevista circa la sua futura demolizione.
3. Un edificio precario, destinato ad uffici di cantiere, può essere sottratto, eccezionalmente, al regime edilizio e urbanistico delle nuove costruzioni, solo in considerazione della sua temporaneità e precarietà strutturale: temporaneità e precarietà che devono trovare, tuttavia, oggettivo riscontro nelle caratteristiche costruttive dell'edificio posto che diversamente anche i manufatti provvisori, la cui durata è limitata e prestabilita, devono ritenersi soggetti al rilascio di un titolo abilitativo di durata annuale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.01.2012 n. 83 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATALa natura precaria di un intervento edilizio va valutata in relazione non ai connotati della struttura realizzata e, ancora, ai materiali utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità che la struttura stessa è destinata obiettivamente a soddisfare.
In via fattuale va, anzitutto, evidenziato, che l’impugnato diniego ha riguardo alle seguenti opere edilizie realizzate dalla società ricorrente:
1) ampliamento di superficie coperta e di volume per la chiusura dell’esistente terrazza di collegamento con il limitrofo edificio, per tutti i piani in elevazione, con utilizzo delle stesse a locali deposito, trasmissioni, condizionatori, sala operatori, uffici e segreteria;
2) installazione sul terrazzo di copertura di strutture ed apparecchiature tecnologiche, quali pedane pedane metalliche, pompe di calore, e collocazione di n. 2 tralicci in ferro a supporto di n. 2 antenne aventi altezze pari a ml. 15,00 e 7,00 rispetto al piano del terrazzo.
Ora, va dato atto che il Comune di Palermo, in ordine alle opere di cui al punto 2), intervenendo in autotutela, con provvedimento n. 9 del 22.11.2011 ha annullato in parte qua il provvedimento impugnato.
Ne discende la sopravvenuta cessazione della materia del contendere per tale parte di ricorso.
Quanto, poi, alle opere indicate sub 1), in ordine alle quali muove soltanto la censura di eccesso di potere per errore nei presupposti e violazione dell’art. 71 delle norme di attuazioni del P.R.G. (primo motivo), trattandosi di opere amovibili che non fanno perdere la caratteristica “di struttura aperta” alle terrazze di collegamento, non modificano la struttura e non aumentano la volumetria del fabbricato, va rilevato, che le opere descritte nel provvedimento sono ben riconducibili nell'ambito degli interventi che determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell’immobile con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dai materiali utilizzati e, dunque, dalla amovibilità o meno delle opere.
A conferma, è sufficiente ricordare che la natura precaria di un intervento edilizio va valutata in relazione non ai connotati della struttura realizzata e, ancora, ai materiali utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità che la struttura stessa è destinata obiettivamente a soddisfare.
Tenuto conto di quanto avanti esposto, appare doveroso riconoscere che le opere realizzate dalla società ricorrente non risultano funzionalmente connesse a specifiche e ben individuate esigenze di carattere transitorio, idonee a rivelare un utilizzo precario e temporaneo per fini contingenti e cronologicamente determinati, bensì concretizzano nuove strutture destinate a dare un'utilità prolungata nel tempo.
Contrariamente a quanto dedotto dalla società ricorrente, infatti, nell'ipotesi di specie non si è in presenza di interventi irrilevanti sul piano urbanistico, atteso che le opere in argomento realizzano in maniera stabile la chiusura delle terrazze di collegamento adibiti a svariati usi (locali deposito, trasmissioni, sala operatori, uffici, ecc.), con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 15.12.2011 n. 2392 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl carattere “precario” di un’opera non dipende dalla relativa facilità della sua rimozione dal terreno, quanto dalla sua concreta destinazione ed utilizzazione, escludendosi di conseguenza tale carattere in caso di prolungata utilizzazione nel tempo.
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che il carattere “precario” di un’opera non dipende dalla relativa facilità della sua rimozione dal terreno, quanto dalla sua concreta destinazione ed utilizzazione, escludendosi di conseguenza tale carattere in caso di prolungata utilizzazione nel tempo (cfr., fra le tante, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.06.2011, n. 1720) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.11.2011 n. 2785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna “pompeiana”, nell’accezione edilizia, è un manufatto edilizio di norma in legno o in materiale ferroso, costituito da un insieme di travi intervallate, di sagoma e dimensioni variabili, e sorretto da pilastri o da muri: una sorta di pergola, dunque, ma adatta a realizzare uno spazio aperto ma protetto, piuttosto che destinato all’appoggio di piante.
Le modifiche operate dai ricorrenti –copertura impermeabile fissa in PVC e tamponatura– hanno condotto ad un corpo edilizio definito, racchiuso e coperto: la pompeiana scoperta –o, al più, coperta da un graticcio- è stata trasformata in una nuova costruzione, del tutto diversa per caratteristiche e finalità da quella preesistente.

Si può, quindi, escludere la mera temporaneità della trasformazione: si deve anzitutto affermare come il manufatto accresca, sia pure per una parte dell’anno, la superficie utile dell’esercizio di ristorazione.
D’altra parte, l’utilizzo stagionale dell’opera non esclude la necessità del permesso di costruire, poiché non implica la precarietà: “ai fini della necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire non rileva il carattere stagionale del manufatto, atteso che esso non implica precarietà dell'opera che può essere destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione.

Una “pompeiana”, nell’accezione edilizia è un manufatto edilizio, di norma in legno o in materiale ferroso, costituito da un insieme di travi intervallate, di sagoma e dimensioni variabili, e sorretto da pilastri o da muri: una sorta di pergola, dunque, ma adatta a realizzare uno spazio aperto ma protetto, piuttosto che destinato all’appoggio di piante.
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Le modifiche operate dai ricorrenti –copertura impermeabile fissa in PVC e tamponatura– hanno condotto ad un corpo edilizio definito, racchiuso e coperto: la pompeiana scoperta –o, al più, coperta da un graticcio- è stata trasformata in una nuova costruzione, del tutto diversa per caratteristiche e finalità da quella preesistente, ed è ora riconducibile all’ambito delle opere di cui all’ art. 3, I comma, lett. e.5 (manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere … che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee).
Si può escludere la mera temporaneità della trasformazione: rammentati anche gli accadimenti pregressi, si deve anzitutto affermare come il manufatto accresca, sia pure per una parte dell’anno, la superficie utile dell’esercizio di ristorazione.
D’altra parte, l’utilizzo stagionale dell’opera non esclude la necessità del permesso di costruire, poiché non implica la precarietà: “ai fini della necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire non rileva il carattere stagionale del manufatto, atteso che esso non implica precarietà dell'opera che può essere destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione” (C.d.S., IV, 22.12.2007, n. 6615).
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È parimenti irrilevante, poiché attiene alle modalità di costruzione, e non all’opera per tale, che questa sia stata realizzata impiegando una struttura preesistente –appunto la pompeiana: e dunque è legittimo il rinvio alla disciplina di cui all’art. 31 del d.P.R. 380/2001 (Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali), e, pertanto, oltre che alla demolizione, alla successiva acquisizione, in caso d’inottemperanza (TAR Vento, Sez. I, sentenza 17.11.2011 n. 1713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione abusiva di un manufatto di non trascurabili dimensioni (m. 5.20 x 7.80 e di altezza pari a mt. 3) rientra a pieno titolo tra quelle trasformazioni fisiche del territorio a carattere permanente che l’art. 1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca vigente) assoggettava a previo rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire).
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La precarietà individuata dalla legge non è determinata dalla caratteristica di costruzione, bensì dall'uso realmente precario e temporaneo del manufatto destinato a fini specifici e limitati nel tempo. Si tratta quindi di un concetto di precarietà funzionale, che si desume dalla funzione, temporanea o stabile, che il manufatto riveste. E’ quindi precario e non richiede titolo edilizio il manufatto che è diretto a soddisfare esigenze specifiche e cronologicamente delimitate.
Solo se l’opera è destinata a dare al costruttore una utilità prolungata, e quindi è di fatto destinata a durare nel tempo, tale manufatto è riconducibile alla nozione di “costruzioni” e, come tali, necessita di un titolo edilizio.
Ne consegue che a nulla rileva, pertanto, che i manufatti non siano stabilmente collegati al suolo e siano facilmente amovibili, dal momento che gli stessi manufatti sono stati destinati ad uso continuativo e durevole nel tempo.
Ugualmente sono irrilevanti le caratteristiche costruttive e al tipo di materiale utilizzato, come, nel caso in giudizio, una struttura metallica e copertura in legno.

La costruzione abusiva di un manufatto di non trascurabili dimensioni (m. 5.20 x 7.80 e di altezza pari a mt. 3) rientra a pieno titolo tra quelle trasformazioni fisiche del territorio a carattere permanente che l’art. 1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca vigente) assoggettava a previo rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 5157).
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La precarietà individuata dalla legge non è determinata dalla caratteristica di costruzione, bensì dall'uso realmente precario e temporaneo del manufatto destinato a fini specifici e limitati nel tempo. Si tratta quindi di un concetto di precarietà funzionale, che si desume dalla funzione, temporanea o stabile, che il manufatto riveste. E’ quindi precario e non richiede titolo edilizio il manufatto che è diretto a soddisfare esigenze specifiche e cronologicamente delimitate.
Solo se l’opera è destinata a dare al costruttore una utilità prolungata, e quindi è di fatto destinata a durare nel tempo, tale manufatto è riconducibile alla nozione di “costruzioni” e, come tali, necessita di un titolo edilizio (cfr. Tar Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar Sardegna Sez. II 27/09/2006 n. 2013; Tar Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451).
Ne consegue che a nulla rileva, pertanto, che i manufatti non siano stabilmente collegati al suolo e siano facilmente amovibili, dal momento che gli stessi manufatti sono stati destinati ad uso continuativo e durevole nel tempo.
Ugualmente sono irrilevanti le caratteristiche costruttive e al tipo di materiale utilizzato, come, nel caso in giudizio, una struttura metallica e copertura in legno
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’installazione di una copertura mobile scorrevole su ruote a protezione del personale addetto al carico e scarico degli automezzi non può ritenersi quale "opera precaria".
La precarietà dell’opera non può essere desunta soltanto dal non stabile collegamento al suolo, ma devono essere considerati anche il suo concreto utilizzo e la sua funzione. Difatti, secondo consolidata giurisprudenza, “non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante”, indipendentemente dalla loro struttura o dal loro posizionamento.
A tal punto va scrutinato, per la restante parte, il ricorso R.G. n. 4566 del 2000 (con cui si chiede l’annullamento dell’autorizzazione alla ditta Castelnuovo per l’installazione di una copertura mobile scorrevole su ruote a protezione del personale addetto al carico e scarico degli automezzi), con riferimento alla seconda e terza censura, da esaminare congiuntamente in quanto connesse.
Con le stesse si sostiene che non sarebbe condivisibile la ritenuta precarietà dell’opera in oggetto, attesa la sua conformazione plano-volumetrica e la sua effettiva destinazione e ciò avrebbe avuto un diretto riflesso sul rispetto degli indici di edificabilità della zona, che sarebbero stati ampiamente superati con la predetta realizzazione, e l’Amministrazione, qualificando l’opera come precaria, avrebbe omesso la doverosa verifica in ordine a tale aspetto.
La censura è fondata.
La precarietà dell’opera non può essere desunta soltanto dal non stabile collegamento al suolo, ma devono essere considerati anche il suo concreto utilizzo e la sua funzione. Difatti, secondo consolidata giurisprudenza, “non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante”, indipendentemente dalla loro struttura o dal loro posizionamento (Consiglio di Stato, VI, 16.02.2011, n. 986).
Nel caso di specie, l’Amministrazione non ha assolutamente motivato in ordine a tale aspetto, non essendo chiarito nemmeno se la copertura mobile scorrevole sia stabilmente affissa al suolo o meno (all. 5 al ricorso). Del resto, anche dalla documentazione fotografica appare possibile verificare l’imponenza della struttura e la sua non precarietà (all. 6 e 7 al ricorso).
Ciò determina l’illegittimità dell’autorizzazione rilasciata alla controinteressata
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 2592 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatti precari – Presupposti – Destinazione funzionale e interesse finale.
Al fine di verificare se una determinata opera abbia o meno carattere precario, occorre verificare la destinazione funzionale e l’interesse finale al cui soddisfacimento l’opera stessa è destinata; con la conseguenza che solo le opere agevolmente rimuovibili e funzionali al soddisfacimento di una esigenza oggettivamente temporanea -destinate, cioè, ad essere rimosse dopo il tempo entro cui si realizza l’interesse finale (come, ad es., una baracca di cantiere o un manufatto per una manifestazione)- possono ritenersi prive di minima entità ovvero di carattere precario ed, in quanto tali, non richiedono per la loro edificazione la necessità di uno specifico titolo edilizio (TAR Sardegna, sez. II, 12.02.2010, n. 158, vd. anche TAR Campania Napoli, sez. VIII, 09.06.2011, n. 3029, TAR Toscana, sez. III, 14.09.2010, n. 5943, TAR Piemonte, sez. I, 07.07.2009, n. 2007, Cass. Civ., sez. II, 19.10.2009, n. 22127) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 18.10.2011 n. 562 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione - Opere abusive - Precarietà - Utilizzazione duratura - Legittimità.
L'esclusione dal regine del permesso di costruire sussiste soltanto per i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, desumibile dall'uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitati, sicché tale precarietà va esclusa quando si tratta di opere oggetto di duratura utilizzazione, risultando, di conseguenza, legittimamente adottato l'ordine di demolizione comunale impugnato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.10.2011 n. 2377 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’esclusione dal regime del permesso di costruire sussiste soltanto per i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, desumibile dall’uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitati, sicché tale precarietà va esclusa quando si tratta di opere oggetto di duratura utilizzazione.
È sufficiente notare, più in generale, come l’esclusione dal regime del permesso di costruire sussista soltanto per i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, desumibile dall’uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitati, sicché tale precarietà va esclusa quando si tratta di opere oggetto di duratura utilizzazione (cfr., a proposito della definizione dell'opera come precaria o stabile in dipendenza, non tanto, dell'elemento strutturale dei materiali utilizzati, quanto di quello funzionale, legato al fattore tempo e, dunque, alla durevolezza della destinazione impressa, in quanto non volta a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte: TAR Puglia Lecce, sez. III, 26.11.2009, n. 2853; analogamente, id., sez. III, 08.03.2010, n. 688; nonché, TAR Lombardia Brescia, sez. I, 30.03.2009, n. 720) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.10.2011 n. 2377 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl “pergolato”, rilevante ai fini edilizi, può essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
Questo Consiglio di Stato, proprio sulla base degli elementi ora riportati, ha avuto modo di escludere che una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di “pergolato”.
Al contrario, è stata ritenuta rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura precaria, facilmente rimovibile, costituita da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura.

L’assenza di una definizione normativa di “pergolato” non esclude la valutazione dell’amministrazione in ordine alla riconducibilità di un manufatto a tale tipologia, né il successivo sindacato del giudice sulla legittimità della stessa, sotto il profilo del vizio di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione.
Orbene, il “pergolato”, rilevante ai fini edilizi, può essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
Questo Consiglio di Stato (sez. IV, 02.10.2008 n. 4793), proprio sulla base degli elementi ora riportati, ha avuto modo di escludere che una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di “pergolato”.
Al contrario, è stata ritenuta (Cons. Stato, sez. V, 07.11.2005 n. 6193) rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura precaria, facilmente rimovibile, costituita da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.09.2011 n. 5409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzioni - Precarietà - Caratteristica non desumibile né dalla facile e rapida amovibilità dell'opera, né dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo - Necessità che l'opera sia destinata a soddisfare necessità contingenti.
Nel provvedimento impugnato si specifica che l’intervento consiste in una “struttura di mq. 150 circa alta mt. 3,20 circa di alluminio anodizzato, coperta con teli di plastica in p.v.c. e tamponata con vetri scorrevoli su binario, asportabili”.
La descrizione dell’intervento conduce, innanzi tutto, ad escludere che l’opera sia destinata alla sola difesa dalle intemperie. Si tratta, infatti, di una struttura chiusa sui lati, che dà luogo ad un nuovo volume edilizio entro il perimetro di uno spazio in origine aperto.
Il volume realizzato, peraltro, non è trascurabile, in quanto la superficie coperta è di circa 150 mq., per un’altezza di m. 3,20.
In proposito va rilevato che l’art. 1 della legge 28.01.1977 n. 10, vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, imponeva al soggetto attuatore di munirsi di concessione edilizia per ogni attività comportante la trasformazione del territorio attraverso l’esecuzione di ogni intervento sul territorio, preordinato alla perdurante modificazione dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo, pur in assenza di opere in muratura.
Quanto all’affermato carattere precario dell’intervento, non v’è che da richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la precarietà di una costruzione non va desunta dalla facile e rapida amovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, quanto dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente (ex plurimis, TAR Campania, Napoli, sez. VII, 11.02.2011 n. 896, TAR Marche, sez. I, 20.04.2010 n. 182, Cons. St., sez. V, 04.02.1998, n. 131).
Nel caso di specie appare da escludere il carattere contingente delle esigenze che l’intervento è destinato a soddisfare, chiaramente correlate alla fruizione di uno spazio chiuso, che, come si è rilevato, risulta di dimensioni considerevoli (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 20.09.2011 n. 7462 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOpera edilizia precaria che non necessiti di titolo edilizio - Presupposti - Temporaneità della funzione - Fattispecie.
La precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio, non comportando una trasformazione del territorio, non dipende dalla sua facile removibilità, ma dalla temporaneità della funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente: la precarietà va, pertanto, esclusa quando -come nel caso di specie, in cui le canaline sono esistenti ormai da molti anni e sono stabilmente destinate a servizio della strada- si tratti di un'opera destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3029/2009 e n. 2705/2008; Cass. Pen., sent. n. 22054/2009; TAR Milano, sent. n. 3266/2010 e n. 3253/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.09.2011 n. 2190 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACirca la definizione delle opere precarie “la modifica dell’assetto del territorio non richiede la concessione edilizia solo quando sia di minima entità ovvero di carattere precario, così intendendosi le opere, agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione…) destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l’interesse finale”.
Sulla definizione delle opere precarie la Sezione ha avuto modo di precisare che “la modifica dell’assetto del territorio non richiede la concessione edilizia solo quando sia di minima entità ovvero di carattere precario, così intendendosi le opere, agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione…) destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l’interesse finale” (cfr TAR Sardegna, sez. II, 12.02.2010 n. 158).
Per le opere oggettivamente precarie e temporanee è sufficiente, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lett. m), la semplice autorizzazione edilizia per l’aspetto edilizio e l’autorizzazione paesaggistica ove l’opera ricada in ambito sottoposto a vincolo.
I manufatti realizzati dal ricorrente, essendo totalmente amovibili (come dallo stesso asserito e dal Comune non contestato) potevano ottenere l’autorizzazione edilizia (anche in accertamento di conformità) nei limiti e nella parte in cui potevano essere qualificati come precari in base al principio su riportato.
In particolare potevano ottenere l’autorizzazione, entro i limiti indicati nelle concessioni demaniali, le strutture strettamente funzionali alla balneazione e quindi di ridotte dimensioni e per il solo periodo della stagione balneare (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 01.09.2011 n. 914 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Struttura definita di carattere precario e provvisorio - Permesso di costruire in precario condizionato a future esigenze urbanistiche - Illegittimità - Responsabile ufficio tecnico - Abuso d’ufficio - Configurabilità - Artt. 81, 323, 378 c.p..
E’ illegittima la concessione in sanatoria (oggi permesso di costruire) rilasciata, con la quale si consente di mantenere una struttura definita "di carattere precario e provvisorio" e, quindi, rimovibile a cura e spese del proprietario in caso di future esigenze urbanistiche.
E' stato infatti chiarito che la c.d. "concessione edilizia in precario" -sia pure non "in sanatoria" come quella di cui al presente processo- è non solo extra legem, in quanto non è espressamente prevista da alcuna fonte normativa, ma anche contra legem, in quanto è destinata a consentire una situazione di abuso edilizio (Cass. Sez. 3, n. 111 del 13/01/2000, La Ganga Ciciritto) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.07.2011 n. 27703 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Nozione di costruzione - Precarietà di un manufatto - Presupposti.
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante la realizzazione di opere murarie, cosicché fuoriesce da tale definizione soltanto l'opera destinata, fin dall'origine, a soddisfare esigenze contingibili e circoscritte nel tempo.
In particolare, la precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio, va valutata a prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente impressa dal costruttore e dalla maggiore o minore amovibilità delle parti che lo compongono, considerando invece l'opera alla luce della sua obiettiva e intrinseca destinazione naturale che ne riveli l'uso oggettivamente precario e temporaneo (TAR Campania Napoli, sez. III, 06.11.2007, n. 1068; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 09.03.2011, n. 644) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 28.06.2011 n. 1015 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAPrecarietà e temporaneità opera edilizia - Materiali utilizzati - Irrilevanza - Effettiva utilizzazione - Rilevanza.
La precarietà di un'opera, che potrebbe escludere la necessità di un titolo abilitativo, deve essere analizzata in relazione non ai materiali impiegati per la costruzione, bensì alla effettiva utilizzazione, per cui è necessario un apposito titolo in caso di manufatto aderente in modo stabile al suolo, destinato ad una utilizzazione continuativa (cfr. TAR Parma, sent. n. 513/2010; TAR Milano, sent. n. 558/2010) (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.06.2011 n. 1720 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opera edilizia precaria - Presupposti - Precarietà in senso funzionale.
L'elemento della precarietà di un'opera deve essere qualificato in senso funzionale, sicché non può reputarsi precaria l'opera, anche se amovibile, destinata ad un uso costante e prolungato nel tempo (cfr. TAR Milano, sent. n. 1003/2011, n. 3266/2010, TAR Lecce, sent. n. 688/2010; TAR Brescia, sent. n. 720/2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’elemento della precarietà deve essere qualificato in senso funzionale, sicché non può reputarsi precaria l’opera, anche se amovibile, destinata ad un uso costante e prolungato nel tempo.
L’elemento della precarietà deve essere qualificato in senso funzionale, sicché non può reputarsi precaria l’opera, anche se amovibile, destinata ad un uso costante e prolungato nel tempo (cfr., fra le tante, TAR Puglia, Lecce, sez. III, 8.3.2010, n. 688 e TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 30.3.2009, n. 720)
(TAR Lombardia-MIlano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opera edilizia precaria - Presupposti - Agevole removibilità e temporaneità della funzione.
La natura di precarietà di un'opera presuppone che questa sia agevolmente removibile, funzionale a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea -es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione- destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale (cfr. TAR Milano, sent. n. 3266/2010)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.04.2011 n. 1003 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Una pertinenza, per poter essere definita tale, «deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede». Ciò che rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma di asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l'uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso.
In materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Pertanto, le opere abusive per dimensioni e per tipologia (una tendo-struttura modulare in acciaio con copertura e tamponatura laterale in telo di PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml. 36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia con copertura in lamiera ondulata parzialmente tamponata con telo in PVC delle dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00; la pavimentazione di un’area attrezzata (con sottoservizi) di circa 11.000,00 mq., realizzata parte in conglomerato bituminoso e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo betonella), nonché per l’indubbio impatto sul territorio, non possono rientrare nella tipologia delle c.d. pertinenze.
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La precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio, non va desunta dalla facile e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente e non prolungata nel tempo.

Va, innanzitutto, rilevato che la nozione di pertinenza edilizia può essere estesa fino a comprendere elementi essenziali, e non solo di carattere accessorio, dell'impianto industriale.
Come osserva la giurisprudenza, una pertinenza, per poter essere definita tale, «deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede» (cfr. Cons. Stato, IV, 05.03.2010, n. 1277). Ciò che rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma di asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l'uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso (cfr. Tar Veneto, II, 07.03.2011, n. 374; Tar Campania, Napoli, II, 26.09.2008, n. 11309).
Come ben si evince dagli atti e dalla documentazione fotografica, nella specie le opere da demolire sono manufatti assolutamente autonomi, trattandosi di fabbricati destinati al deposito e allo stoccaggio di materie prime e di prodotti finiti, conseguenti all’installazione di due nuove linee di produzione all’interno dello stabilimento industriale esistente. Ne discende che il concetto di pertinenza, come pure quello di impianto tecnologico al servizio di un edificio o di una attrezzatura esistente, appare allora non applicabile alla fattispecie in esame, mancando la relazione di asservimento ed essendo le opere da abbattere essenziali allo svolgimento dell'attività in questione.
Peraltro il carattere di mera "pertinenza" delle opere in questione che, in quanto tali, sarebbero state soggette a semplice autorizzazione edilizia, la mancanza della quale poteva comportare soltanto la sanzione pecuniaria, va escluso anche per un’ulteriore ragione. Secondo la costante giurisprudenza amministrativa, dalla quale il Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi, in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Cons. Stato, IV, 13.01.2010, n. 41; Cons. Stato, IV, 15.09.2009, n. 5509).
Nel caso di specie, invece, le opere abusive per dimensioni e per tipologia (una tendo-struttura modulare in acciaio con copertura e tamponatura laterale in telo di PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml. 36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia con copertura in lamiera ondulata parzialmente tamponata con telo in PVC delle dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00; la pavimentazione di un’area attrezzata (con sottoservizi) di circa 11.000,00 mq., realizzata parte in conglomerato bituminoso e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo betonella), nonché per l’indubbio impatto sul territorio, non possono rientrare nella tipologia delle c.d. pertinenze (cfr. TAR Veneto, II, 27.11.2008, n. 3703).
Tale conclusione determina, altresì, l’irrilevanza delle osservazioni relative al fatto che il volume e la superficie delle opere realizzate siano inferiori al 20% del volume e della superficie dello stabilimento produttivo regolarmente edificato, giacché l’applicazione dell’art. 3, comma 1, lettera e.6), presuppone la qualificazione dell’intervento come pertinenziale.
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Con riguardo, infine, alla dedotta provvisorietà delle opere realizzate dalla Silcart. s.r.l., il Collegio rileva che la precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio, non va desunta dalla facile e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente e non prolungata nel tempo (cfr. Tar Campania, Napoli, IV, 22.03.2007, n. 2725).
Al riguardo merita, allora, di essere evidenziato che dalle stesse osservazioni presentate dalla società ricorrente, a seguito della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, emerge la non precarietà e non provvisorietà delle opere realizzate in quanto funzionali all’avvenuta installazione di due nuove linee di produzione, resesi necessarie per mantenere l’incremento produttivo determinatosi a partire dal 2000 e per creare ulteriori prodotti a corredo di quelli già realizzati, onde competere con le altre società del settore anche in campo internazionale. La stessa società ricorrente, del resto, evidenzia la funzionalità del deposito di materie prime con il metodo produttivo che le pone a monte del processo di lavorazione, determinando un risparmio di tempo nella lavorazione del prodotto.
Alla luce delle richiamate argomentazioni deve, pertanto, escludersi sia la natura pertinenziale sia la natura precaria delle opere realizzate con conseguente sussumibilità delle stesse per dimensioni e tipologia nel disposto dell’art. 3, comma 1, lettera e), del citato d.P.R. n. 380/2001, implicando le stesse una trasformazione urbanistica ed edilizia permanente del territorio mediante l’esecuzione di lavori di installazione di manufatti, in parte prefabbricati, destinati a deposito di materiali e non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee. Da qui anche la legittimità dell’irrogazione della sanzione demolitoria e non di quella meramente pecuniaria (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 07.04.2011 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianto calcestruzzo amovibile.
E' illegittima l'autorizzazione provvisoria riguardante opere trasferibili e precarie (impianto di calcestruzzo amovibile) installate sul suolo agricolo posto che il concetto di opera contingente, momentanea e transitoria va parametrato con riferimento non alle dimensioni ma alla durata nel tempo dei bisogni che l'edificazione dell'opera intende soddisfare.
Pertanto, l'assenza di permesso a costruire comporta la sussistenza del reato di cui all'art. 44, lett. b, DPR 380/2001. Di converso, tale illegittimità non costituisce violazione di legge macroscopica idonea a provare ex se il dolo intenzionale del delitto di abuso d'ufficio (TRIBUNALE di Santa Maria C.V., sentenza 10.03.2011 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianto calcestruzzo amovibile.
E' illegittima l'autorizzazione provvisoria riguardante opere trasferibili e precarie (impianto di calcestruzzo amovibile) installate sul suolo agricolo posto che il concetto di opera contingente, momentanea e transitoria va parametrato con riferimento non alle dimensioni ma alla durata nel tempo dei bisogni che l'edificazione dell'opera intende soddisfare.
Pertanto, l'assenza di permesso a costruire comporta la sussistenza del reato di cui all'art. 44, lett. b, DPR 380/2001. Di converso, tale illegittimità non costituisce violazione di legge macroscopica idonea a provare ex se il dolo intenzionale del delitto di abuso d'ufficio (TRIBUNALE Santa Maria C.V., sentenza 10.03.2011 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione della voluminosa copertura in PVC conferisse al manufatto nel suo complesso il carattere di ‘temporaneità’, atteso:
- il carattere inscindibilmente e funzionalmente unitario della struttura metallica di supporto e della relativa copertura;
- la permanente alterazione dello stato dei luoghi, che il complessivo manufatto (di notevoli dimensioni –circa 250 mq., per una volumetria di circa 700 mc.-) era idoneo a determinare, anche a prescindere dalla rimozione (peraltro, per soli quattro mesi l’anno) della copertura in pannelli di PVC;
- il carattere ontologicamente ‘non temporaneo’ di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione.

Per quanto concerne, in particolare, la qualificabilità del manufatto nel suo complesso quale ‘intervento di nuova costruzione’, la sentenza oggetto di appello è meritevole di conferma per la parte in cui ha ritenuto che non fosse riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 (a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere -quali roulottes, campers, case mobili o imbarcazioni– che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”).
Al riguardo, la sentenza perviene a risultati condivisibili dove richiama l’orientamento secondo cui non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, V, 12.12.2009, n. 7789; V, 24.02.2003, n. 986; V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione della voluminosa copertura in PVC conferisse al manufatto nel suo complesso il carattere di ‘temporaneità’, atteso:
- il carattere inscindibilmente e funzionalmente unitario della struttura metallica di supporto e della relativa copertura;
- la permanente alterazione dello stato dei luoghi, che il complessivo manufatto (di notevoli dimensioni –circa 250 mq., per una volumetria di circa 700 mc.-) era idoneo a determinare, anche a prescindere dalla rimozione (peraltro, per soli quattro mesi l’anno) della copertura in pannelli di PVC;
- il carattere ontologicamente ‘non temporaneo’ di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.02.2011 n. 986 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione precaria - Presupposti.
La precarietà di una costruzione non va desunta dalla possibile facile e rapida amovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere poi prontamente rimossa, a nulla rilevando la circostanza che l’impiego dell'opera sia circoscritto ad una sola parte dell’anno, ben potendo la stessa essere destinata a soddisfare un bisogno non provvisorio ma regolarmente ripetibile; la precarietà, quindi, non va confusa con la stagionalità (tra le tante, Tar Puglia, Bari, II, n. 2031/2009) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 11.02.2011 n. 896 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La precarietà di una costruzione è desunta dal fatto che appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere poi prontamente rimossa.
Per costante giurisprudenza di questa Sezione, la pavimentazione di aree verdi [opere di cui alle lett. c) e g)], esige il permesso di costruire, perché comporta l’irreversibile trasformazione del territorio; quanto alle opere di cui alle lett. f) (realizzazione di un locale tecnico delimitato per tre lati da muratura, un quarto lato chiuso da infisso, la copertura è costituita da una soletta in cls. con sovrastante tegole in cotto, avente superficie coperta di mq 2,50 circa, ed una volumetria di mc. 5,90 circa), e h) (box in legno, a copertura a due falde inclinate, avente superficie coperta di mq 3,30 circa, ed una volumetria di mc. 6,60 circa), comportano nuovi organismi edilizi, con aumento di volumetria. Né è dimostrato che il viale di cui alla lett. c) e l’area di cui alla lett. g) fossero già pavimentate in precedenza.
Quanto al box di legno, la precarietà resta anch’essa indimostrata; in ogni caso, per costante giurisprudenza, la precarietà di una costruzione non va desunta dalla possibile facile e rapida amovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere poi prontamente rimossa, a nulla rilevando la circostanza che l’impiego dell'opera sia circoscritto ad una sola parte dell’anno, ben potendo la stessa essere destinata a soddisfare un bisogno non provvisorio ma regolarmente ripetibile; la precarietà, quindi, non va confusa con la stagionalità (tra le tante, Tar Puglia, Bari, II, n. 2031/2009) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 11.02.2011 n. 896 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una struttura in prefabbricato, integra una nuova costruzione e, in quanto tale, richiede, quale titolo edilizio abilitativo, il permesso di costruire, nella specie mancante, atteso che la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene.
Deve rilevarsi come le caratteristiche del manufatto in questione -costituito da un prefabbricato in legno e vetro, poggiante su di una trave in legno e sollevato dal terreno- ne rendessero necessario, ai fini della sua collocazione sul terreno di cui trattasi, il previo rilascio del relativo titolo concessorio.
Ed infatti, per giurisprudenza consolidata sul punto, la realizzazione di una struttura in prefabbricato, integra una nuova costruzione e, in quanto tale, richiede, quale titolo edilizio abilitativo, il permesso di costruire, nella specie mancante (TAR Lazio, Roma, sez. I, 16.07.2009, n. 7033), atteso che la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale.
Quindi sono esenti dall'assoggettamento al permesso di costruire solo le costruzioni aventi caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo mentre: al contrario, deve ritenersi sottoposta a tale regime la edificazione di manufatti destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria od irrilevante.
Deve escludersi il carattere temporaneo e precario del chiosco in esame (per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti) giacché esso appare finalizzato stabilmente ed in modo durevole all’utilizzo commerciale per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti, tenuto anche conto che il manufatto non presenta le caratteristiche di amovibilità, in quanto dall’esame dell’atto impugnato emerge che lo stesso è allacciato alla rete idrica/fognaria e di pubblica illuminazione (peraltro in difetto di autorizzazione e risultando privo anche dei relativi contatori per i consumi idrico ed elettrico).
Risulta recessiva la sussistenza di un’autorizzazione sindacale rilasciata per l’installazione del chiosco di che trattasi che non presenta i requisiti soggettivi (rilascio da parte dei competenti uffici comunali) ed oggettivi (verifica della conformità urbanistica dell’opera) del titolo edilizio occorrente per la realizzazione del manufatto.

Il mezzo di gravame si fonda sull’assunto secondo il quale la realizzazione del manufatto (chiosco per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti) non richiederebbe alcun permesso di costruire ed inoltre l’occupazione del suolo pubblico sarebbe avvenuto in forza di autorizzazione rilasciata dal Sindaco in data 25.02.2005: pertanto, secondo la prospettazione di parte ricorrente, l’ordinanza di demolizione risulterebbe emessa in difetto dei presupposti di legge dato che, ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, essa postula la realizzazione di manufatti in assenza o in difformità dal titolo edilizio.
Le argomentazioni di parte ricorrente non appaiono condivisibili alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui, ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (TAR Napoli, Sez. VIII, 02.07.2010 n. 16563 e Sez. III, 16.04.2008, n. 2207): difatti, il testo unico in materia edilizia annovera [all’art. 3, primo comma, lett. e)] tra gli interventi di nuova costruzione, per i quali è richiesto il permesso di costruire, “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Quindi sono esenti dall'assoggettamento al permesso di costruire solo le costruzioni aventi caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo mentre: al contrario, deve ritenersi sottoposta a tale regime la edificazione di manufatti destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria od irrilevante.
Applicando tali principi al caso in esame ne consegue che deve escludersi il carattere temporaneo e precario del chiosco in esame giacché esso appare finalizzato stabilmente ed in modo durevole all’utilizzo commerciale per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti, tenuto anche conto che il manufatto non presenta le caratteristiche di amovibilità, in quanto dall’esame dell’atto impugnato emerge che lo stesso è allacciato alla rete idrica/fognaria e di pubblica illuminazione (peraltro in difetto di autorizzazione e risultando privo anche dei relativi contatori per i consumi idrico ed elettrico).
Per l’effetto, non è contestabile la natura abusiva dell’opera in quanto realizzata in difetto di titolo abilitativo, risultando viceversa recessiva la sussistenza di un’autorizzazione sindacale rilasciata per l’installazione del chiosco che non presenta i requisiti soggettivi (rilascio da parte dei competenti uffici comunali) ed oggettivi (verifica della conformità urbanistica dell’opera) del titolo edilizio occorrente per la realizzazione del manufatto, tenuto anche conto che il provvedimento impugnato contiene revoca espressa della summenzionata autorizzazione sindacale.
Pertanto, il provvedimento sanzionatorio è stato legittimamente emesso dall’amministrazione resistente che, peraltro, ha compiutamente esposto le ragioni logico–giuridiche poste a fondamento della gravata demolizione, con conseguente reiezione anche della censura che attiene al difetto di motivazione (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: N. D'Angelo, Opere precarie ed autorizzazione precarie: la ricerca di strumenti alternativi per aggirare la disciplina urbanistica (Ufficio Tecnico n. 11-12/2010).

EDILIZIA PRIVATAGli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni, pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere. In altri termini, l'Autorità non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente.
Il deposito di una roulotte all'interno di un suolo privato debba qualificarsi quale costruzione urbanisticamente rilevante in presenza di indici in grado di supportare il carattere non precario della installazione.
La precarietà di un manufatto, tale per cui esso non necessiti di concessione edilizia, va esclusa se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo. In tal caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica perché altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo, con l'effettiva rimozione delle strutture.
Con riferimento agli insediamenti abitativi abusivamente posti in essere da componenti della comunità nomade, la giurisprudenza ha evidenziato come le esigenze di tale parte della popolazione trovino unicamente soddisfazione nelle specifiche iniziative di spettanza dell’Amministrazione pubblica, ovvero nell’apprestamento di aree di sosta nei campi attrezzati, non certamente in iniziative autonome od individuali in contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia, neppure in caso di inerzia o inadempienza degli enti coinvolti dalla legge nella tutela delle etnie nomadi.

Le opere realizzate senza titolo in zona agricola consistono in:
- n. 2 roulottes;
- casetta in legno di m. 5.61x3.98;
- manufatto in lamiera ad uso wc di m. 1.05x0.94;
- manufatto in lamiera ad uso doccia m. 1.08x1.10;
- pergolato in legno m. 5.09x3.10;
-casetta in legno ad uso pollaio m. 2.33x2.60
- vialetto d’ingresso all’area e alle roulottes, realizzato con ghiaia;
- opere di urbanizzazione quali lampioncini di illuminazione, allacciamento a quadri elettrici, fossa biologica;
- pavimentazione in autobloccanti delimitata con cordololatura;
- lavatoio su struttura in muratura.
Gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni, pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere. In altri termini, l'Autorità non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente (cfr. Cons. Stato sez. IV, 16.04.2010 n. 2160).
La giurisprudenza ha rilevato che il deposito di una roulotte all'interno di un suolo privato debba qualificarsi quale costruzione urbanisticamente rilevante in presenza di indici in grado di supportare il carattere non precario della installazione (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. IV, 05.05.2003, n. 4435; TAR Catanzaro n. 530 del 27.04.1999; TAR Liguria n. 202 del 03.05.1999).
La stessa giurisprudenza amministrativa ha poi chiarito da tempo che la precarietà di un manufatto, tale per cui esso non necessiti di concessione edilizia, va esclusa se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo. In tal caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica perché altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo, con l'effettiva rimozione delle strutture (cfr: Consiglio di Stato, Sez. V, 31.01.2001 n. 343; id., 30.10.2000 n. 582; TAR Veneto, Sez. II, 10.02.2003, n. 1216).
Con riferimento agli insediamenti abitativi abusivamente posti in essere da componenti della comunità nomade, la giurisprudenza ha evidenziato come le esigenze di tale parte della popolazione trovino unicamente soddisfazione nelle specifiche iniziative di spettanza dell’Amministrazione pubblica, ovvero nell’apprestamento di aree di sosta nei campi attrezzati, non certamente in iniziative autonome od individuali in contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia, neppure in caso di inerzia o inadempienza degli enti coinvolti dalla legge nella tutela delle etnie nomadi (cfr. TAR Emilia-Romagna, Sez. II, 09.07.2008 n. 3306, TAR Parma, 28.04.2009 n. 165) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.12.2010 n. 4986 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà di un manufatto va esclusa se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo.
La precarietà di un manufatto va esclusa se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo; in tal caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica in quanto altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se, poi, tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo e, infine, con l'effettiva rimozione delle strutture (per tutte, Cons. St., sez. V, 31.01.2003, n. 343) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 11.11.2010 n. 33418 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per individuare la natura precaria di un’opera si deve seguire non il criterio strutturale ma quello funzionale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, i manufatti che, anche se non infissi nel suolo, alterino per loro intrinseca destinazione lo stato del luogo in modo stabile.
Per individuare la natura precaria di un’opera si deve seguire non il criterio strutturale ma quello funzionale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, i manufatti che, anche se non infissi nel suolo, alterino per loro intrinseca destinazione lo stato del luogo in modo stabile (TAR Lombardia, Brescia, I, 30/03/2009, n. 720) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 04.10.2010 n. 6437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Deposito di una roulotte all’interno di un suolo privato - Carattere non precario - Costruzione urbanisticamente rilevante.
Il deposito di una roulotte all'interno di un suolo privato deve qualificarsi quale costruzione urbanisticamente rilevante in presenza di indici in grado di supportare il carattere non precario della installazione (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. IV, 05.05.2003, n. 4435; TAR Catanzaro n. 530 del 27.04.1999; TAR Genova n. 202 del 03.05.1999).
La precarietà di un manufatto, tale per cui esso non necessiti di concessione edilizia, va esclusa infatti se il manufatto stesso è destinato a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo.
In tal caso esso produce una trasformazione urbanistica perché altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l'eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo, con l'effettiva rimozione delle strutture (cfr: Consiglio di Stato, Sez. V, 31.01.2001 n. 343; id., 30.10.2000 n. 582; TAR Veneto, Sez. II, 10.02.2003, n. 1216) (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 01.10.2010 n. 1626 - link a www.ambientediritto.it)

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di opere destinate al ricovero di animali o di attrezzature agricole, per l'uso prolungato cui sono destinate, richiede la concessione edilizia, posto che le stesse incidono in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
La realizzazione di opere destinate al ricovero di animali o di attrezzature agricole, per l'uso prolungato cui sono destinate, richiede la concessione edilizia, posto che le stesse incidono in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio (cfr. TAR Veneto, II, 25/02/2010 n. 532; TAR Umbria, Perugia, 04.07.2003, n. 573; TAR Basilicata, 07.07.2003, n. 687) (TAR Basilicata, sentenza 10.09.2010 n. 599 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opera edilizia precaria che non necessiti di titolo edilizio - Presupposti - Temporaneità della funzione.
La precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio in quanto non comportante una trasformazione del territorio, non dipende dalla qualità dei materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità, bensì dalla temporaneità della funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente: la precarietà va, pertanto, esclusa quando si tratti di opera destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3029/2009 e n. 2705/2008; Cass. Pen., sent. n. 22054/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.07.2010 n. 3266 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opera edilizia precaria che non necessiti di titolo edilizio - Presupposti - Fattispecie.
La precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessiti di titolo edilizio in quanto non comporti alcuna trasformazione del territorio, non dipende dalla qualità dei materiali utilizzati, ovvero dalla sua facile rimovibilità, bensì dalla temporaneità della funzione, in relazione ad esigenze di natura contingente: la precarietà va, pertanto, esclusa quando si tratti di un'opera destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo -nella fattispecie la struttura, esistente da decenni, era stata destinata ad ampliamento dell'attiguo ristorante- (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3029/2009 e 2705/2008; Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 22054/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.07.2010 n. 3253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio non comportando una trasformazione del territorio, non dipende dalla qualità dei materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della funzione in relazione ad esigenze di natura contingente.
Per giurisprudenza costante, la precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di titolo edilizio non comportando una trasformazione del territorio, non dipende dalla qualità dei materiali utilizzati, o dalla sua facile rimovibilità, ma dalla temporaneità della funzione in relazione ad esigenze di natura contingente (Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2009, n. 3029; Cons. Stato, sez. IV, 06.06.2008, n. 2705; Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 22054).
La precarietà va, pertanto, esclusa quando, come nella fattispecie, si tratta di un’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo: la struttura era esistente sin dal 1984 –secondo quanto asserito dalla stessa ricorrente– ed è stata stabilmente destinata ad ampliamento dell’attiguo ristorante. Anche in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche costruttive, essa realizza una trasformazione del territorio ed è dunque suscettibile di condono
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.07.2010 n. 3253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAl fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario occorre verificare l’oggettiva funzione di esse ed cioè l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata.
Solo le opere agevolmente rimuovibili e funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione…) possono ritenersi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia.

Al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario (condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia), occorre verificare l’oggettiva funzione di esse ed cioè l'interesse finale al cui soddisfacimento l'opera stessa è destinata.
Solo le opere agevolmente rimuovibili e funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione…) possono ritenersi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia (cfr. TAR Sardegna, Sez. II, 12.02.2010 n. 158).
I manufatti realizzati dal ricorrente non possono essere considerati come opere funzionali al soddisfacimento delle esigenze di cantiere in considerazione delle loro notevoli dimensioni (nella fattispecie si tratta di due manufatti in legno delle dimensioni di mt. 4,90 x 5,90 e di mt. 3,10 x 5,90, con veranda di mt. 4,90 x 5,90 e con altezze variabili da mt. 2,60 a mt. 4,00) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 25.06.2010 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La modifica dell’assetto del territorio non richiede la concessione edilizia solo quando sia di minima entità ovvero di carattere precario.
La modifica dell’assetto del territorio non richiede la concessione edilizia solo quando sia di minima entità ovvero di carattere precario, così intendendosi le opere, agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione…) destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l’interesse finale (cfr. TAR Sardegna, sez. II, 12.2.2010 n. 158) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 1391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatto assentito come precario e removibile ab origine - Ordinanza di rimozione - Necessità di motivazione - Non sussiste.
In caso di manufatti (nella fattispecie, box) assentiti fin dall'origine come costruzioni precarie e rimovibili su richiesta della P.A. e collocati in zona destinata a servizi, il successivo provvedimento di rimozione degli stessi non necessita di alcuna specifica motivazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 1686 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatto precario e provvisorio - Nozione.
In materia di edilizia, ricorre il concetto di precarietà di una costruzione ogniqualvolta il manufatto sia privo di una propria autonomia funzionale e strutturale e sia destinato a soddisfare unicamente esigenze contingibili e provvisorie del soggetto utilizzante (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.05.2010 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer "coperture stagionali" la l.r. n. 12/2005 della Lombardia non detta prescrizioni analitiche circa le dimensioni di tali coperture; tuttavia ragioni di ordine sistematico ed anche –in parte– letterale, inducono alla conclusione che debba trattarsi di dimensioni tutto sommato contenute, essendo tali opere destinate alla protezione delle colture e dei piccoli animali, quindi con dimensioni compatibili con la sola funzione di protezione e non con altre funzioni, quali ad esempio l’accesso delle persone –siano esse dipendenti dell’impresa o clienti della stessa– o l’esercizio nella struttura di attività commerciale di vendita.
Del resto, relativamente alla protezione degli animali, la legge regionale ha cura di specificare che si tratta di animali <<piccoli>> ed <<allevati all’aria aperta>>, con ciò stesso escludendo il ricorso alle coperture stagionali per la protezione di bestiame di grossa taglia –si pensi ad esempio ad un allevamento bovino– in quanto tali coperture finirebbero per assumere dimensioni tali da cagionare un rilevante impatto sul territorio, impatto che sarebbe incompatibile con il regime di totale liberalizzazione dell’attività edilizia di cui al comma secondo dell’art. 33 l.r. n. 12/2005.
Le colture e gli allevamenti da proteggersi attraverso le indicate "coperture stagionali" devono essere <<a pieno campo>> e tale espressione deve intendersi nel senso che le coperture devono svolgere una funzione di sola protezione e non altre di carattere produttivo o tanto meno commerciale.
Quanto al requisito della “stagionalità”, lo stesso non può che riferirsi ad un fenomeno relativo ad una sola parte dell’anno e quindi, nel caso di una copertura stagionale, quest’ultima deve essere collocata per una parte dell’anno solare e rimossa per la parte successiva. Al contrario, la permanenza dell’opera per l’intero anno, seppure con caratteristiche tecniche differenti al variare delle stagioni, esclude di per sé che possa parlarsi di “copertura stagionale”.
Devono escludersi per le strutture di cui è causa (n. 4 strutture aventi ognuna dimensioni di 8 metri x 22,80 metri, quindi una superficie di circa 180 metri quadrati ciascuna per un totale di quasi 800 metri quadrati) sia il carattere di semplice “copertura” sia quello di “stagionalità”, richiesti invece dall’art. 33 della legge regionale 12/2005.
La costruzione di una serra, anche se in astratto facilmente amovibile, presuppone il rilascio di concessione edilizia (ora, ovviamente, permesso di costruire), allorché la serra soddisfi stabilmente le esigenze di esercizio dell’impresa agricola e sia quindi destinata ad un indeterminata permanenza al suolo, modificando così definitivamente l’assetto urbanistico ed edilizio di una zona.
Ritiene il Collegio di esaminare in via prioritaria il motivo contrassegnato con la lettera C, relativo alla corretta classificazione giuridica delle strutture di cui è causa, che il Comune reputa essere “serre”, mentre la ricorrente vorrebbe qualificare come “coperture stagionali”, le quali, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. d), della legge regionale 12/2005, possono essere realizzate senza alcun titolo edilizio.
La corretta qualificazione delle suddette strutture, infatti, assume rilevanza per la decisione di altri motivi di ricorso, fra cui in primo luogo quello contrassegnato con la lettera A, relativo al vincolo cimiteriale.
Ciò premesso, la pretesa della ricorrente di ricondurre alla figura delle “coperture stagionali” di cui al citato art. 33, le strutture dalla stessa realizzate, appare priva di pregio.
La lettera d) del secondo comma dell’art. 33, esclude la necessità di titolo edilizio per le <<coperture stagionali destinate a proteggere le colture ed i piccoli animali allevati all’aria aperta e a pieno campo, nelle aree destinate all’agricoltura>>.
Prescindendo dalla destinazione dell’area di cui è causa, occorre evidenziare come la legge regionale non detti prescrizioni analitiche circa le dimensioni di tali coperture; tuttavia ragioni di ordine sistematico ed anche –in parte– letterale, inducono alla conclusione che debba trattarsi di dimensioni tutto sommato contenute, essendo tali opere destinate alla protezione delle colture e dei piccoli animali, quindi con dimensioni compatibili con la sola funzione di protezione e non con altre funzioni, quali ad esempio l’accesso delle persone –siano esse dipendenti dell’impresa o clienti della stessa– o l’esercizio nella struttura di attività commerciale di vendita.
Del resto, relativamente alla protezione degli animali, la legge regionale ha cura di specificare che si tratta di animali <<piccoli>> ed <<allevati all’aria aperta>>, con ciò stesso escludendo il ricorso alle coperture stagionali per la protezione di bestiame di grossa taglia –si pensi ad esempio ad un allevamento bovino– in quanto tali coperture finirebbero per assumere dimensioni tali da cagionare un rilevante impatto sul territorio, impatto che sarebbe incompatibile con il regime di totale liberalizzazione dell’attività edilizia di cui al comma secondo dell’art. 33 citato.
Non si dimentichi poi, sempre con riguardo al dato letterale della norma, che le colture e gli allevamenti da proteggersi attraverso le indicate coperture devono essere <<a pieno campo>> e tale espressione deve intendersi nel senso, già sopra indicato, che le coperture devono svolgere una funzione di sola protezione e non altre di carattere produttivo o tanto meno commerciale.
Quanto al requisito della “stagionalità”, lo stesso non può che riferirsi ad un fenomeno relativo ad una sola parte dell’anno e quindi, nel caso di una copertura stagionale, quest’ultima deve essere collocata per una parte dell’anno solare e rimossa per la parte successiva. Al contrario, la permanenza dell’opera per l’intero anno, seppure con caratteristiche tecniche differenti al variare delle stagioni, esclude di per sé che possa parlarsi di “copertura stagionale”.
Si tratta, infatti, di quattro strutture, aventi ognuna dimensioni di 8 metri x 22,80 metri (cfr. doc. 6 e doc. 11 della ricorrente), quindi una superficie di circa 180 metri quadrati ciascuna per un totale di quasi 800 metri quadrati, destinate alla permanenza continua sul suolo, visto che le coperture sono sostituite semplicemente al cambio delle stagioni, come del resto ammesso nel ricorso (vedesi pag. 47 del medesimo, dove si parla di una <<duplice modalità di copertura>>, per la stagione estiva ed invernale), a nulla rilevando che, in presenza di particolari situazioni climatiche favorevoli, i teli siano eccezionalmente rimossi, per poi però essere nuovamente collocati, per agevolare il migliore sviluppo delle colture.
Del resto, la stessa documentazione fotografica di parte ricorrente (cfr. il suo doc. 25), evidenzia l’esistenza di strutture ampie, destinate non solo ad ospitare l’azienda florovivaistica, ma anche a consentire l’accesso del pubblico per l’esercizio dell’attività di vendita dei prodotti, visto che la signora Giani è titolare di autorizzazione regionale alla produzione ed al commercio di vegetali (doc. 4 ricorrente).
La documentazione fotografica del Comune (cfr. docc. 4, 5, 7 e 8 di quest’ultimo), mostra poi, con chiarezza, l’esistenza di ampie strutture, destinata alla coltivazione ed alla vendita, con accesso di pubblico.
Devono, di conseguenza, escludersi, per le strutture di cui è causa, sia il carattere di semplice “copertura” sia quello di “stagionalità”, richiesti invece dall’art. 33 della legge regionale 12/2005.
Neppure potrebbe sostenersi, come invece fatto in ricorso, che le quattro strutture sarebbero precarie e facilmente amovibili, per cui difetterebbe in capo alle stesso ogni requisito di stabilità, che presuppone il rilascio di un titolo abilitativo.
Si tratta, infatti, di opere infisse al suolo stabilmente, a nulla rilevando che le fondazioni in calcestruzzo riguardino non l’intero perimetro della struttura ma solo la parte in corrispondenza dell’ingresso, destinate a soddisfare esigenze di carattere continuativo, tanto è vero che le stesse sono presenti in loco ormai da tempo e che al loro interno è svolta senza soluzione di continuità l’attività imprenditoriale dell’esponente. Trattandosi poi di opere chiuse, salvo i limitatissimi periodi di scopertura per esigenze agricole, le stesse realizzano altresì nuovi volumi.
Pare corretta, di conseguenza, la loro qualificazione come vere e proprie “serre” e come tali necessitanti di un titolo abilitativo, conformemente al pacifico indirizzo giurisprudenziale, per il quale la costruzione di una serra, anche se in astratto facilmente amovibile, presuppone il rilascio di concessione edilizia (ora, ovviamente, permesso di costruire), allorché la serra soddisfi stabilmente le esigenze di esercizio dell’impresa agricola e sia quindi destinata ad un indeterminata permanenza al suolo, modificando così definitivamente l’assetto urbanistico ed edilizio di una zona (TAR Brescia, sez. I, 19.11.2009 n. 2223; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 19.11.2009 n. 2794; Consiglio di Stato, sez. IV, 06.03.2006 n. 1119; sez. V, 23.09.2002 n. 4832; sez. V, 08.06.2000 n. 3247; sez. V, 13.03.2000 n. 1299; Cassazione penale, sez. III, 10.01.2000)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 10 - Quanto all'esclusione della necessità del rilascio di alcuna autorizzazione in presenza della precarietà e temporaneità dell'opera (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA: La natura di temporaneità di un'opera non si riferisce ai profili funzionali bensì alle caratteristiche costruttive e al tipo di materiale utilizzato.
La natura di temporaneità non si riferisce ai profili funzionali dell’opera bensì alle caratteristiche costruttive e al tipo di materiale utilizzato (nella fattispecie si tratta di una una tettoia in struttura metallica e copertura in legno).
Pare, invero, al Collegio che l’opera di che trattasi sia destinata a dare al costruttore una utilità prolungata, di fatto destinata a durare nel tempo e per tali manufatti la giurisprudenza in maniera uniforme ha affermato come gli stessi siano riconducibili alla nozione di “costruzioni” e, come tali, necessitano di un titolo edilizio (cfr. Tar Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar Sardegna Sez. II 27/09/2006 n.2013; Tar Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451).
Vista dunque la consistenza, le caratteristiche e l’uso di quanto posto in essere ed accertato, si è di fronte ad un’opera edilizia vera e propria, comportante un’alterazione dello stato dei luoghi e per ciò stesso soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 19.04.2010 n. 961 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Natura precaria di un manufatto - Destinazione dell'opera come attribuita dal costruttore - Irrilevanza.
2. Natura precaria di un manufatto - Intrinseca destinazione materiale - Uso precario e temporaneo per fini specifici contingenti e limitati nel tempo.

1. Rientrano nella previsione delle norme urbanistiche e richiedono il rilascio di concessione edilizia non solo i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, ma anche le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità non va confusa con l'irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata, ma si estrinseca nella oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell'attitudine ad una utilizzazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea e contingente.
2. La natura precaria di un manufatto, quindi, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione dell'opera come attribuitale dal costruttore, ma deve risultare dalla intrinseca destinazione materiale della stessa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 14.04.2010 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura precaria di un manufatto - destinazione dell’opera come attribuita dal costruttore - Irrilevanza - Intrinseca destinazione materiale - Uso precario e temporaneo per fini specifici contingenti e limitati nel tempo.
Rientrano nella previsione delle norme urbanistiche e richiedono, pertanto, il rilascio di concessione edilizia non solo i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, ma anche le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può, essere infisso o anche appoggiato al suolo.
La stabilità non va infatti confusa con l'irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata, ma si estrinseca nella oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell'attitudine ad una utilizzazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea e contingente.
La natura precaria di un manufatto, quindi, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione dell'opera come attribuitale dal costruttore, ma deve risultare dalla intrinseca destinazione materiale della stessa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo (Cassazione penale, sez. III, 22.03.2005, n. 14044) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 14.04.2010 n. 1076 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAUna serra (soprattutto se di rilevanti dimensioni come quella di specie), ancorché costituita da strutture agevolmente rimovibili destinate a far fronte ad esigenze connesse a coltivazioni ortofruttifere, è soggetta al previo rilascio del permesso di costruire in quanto destinata ad alterare in modo duraturo l'assetto del territorio.
Per giurisprudenza pacifica, è necessario, in ragione dell'incidenza volumetrica e del mutato carico urbanistico, il previo rilascio di un permesso di costruire ogni qualvolta si intenda realizzare un intervento sul territorio comportante la modifica dello stato dei luoghi e, quindi, anche per quei manufatti che, pur non necessariamente infissi al suolo o semplicemente aderenti a quest'ultimo, alterino lo stato dei luoghi in modo definitivo e rilevante e non meramente occasionale (TAR Campania Napoli, sez. VIII, 14.01.2010, n. 95)
Con specifico riferimento alla costruzione di una serra si è affermato che tale opera (soprattutto se di rilevanti dimensioni come quella di specie), ancorché costituita da strutture agevolmente rimovibili destinate a far fronte ad esigenze connesse a coltivazioni ortofruttifere, è soggetta al previo rilascio del permesso di costruire in quanto destinata ad alterare in modo duraturo l'assetto del territorio (Consiglio Stato, sez. IV, 06.03.2006, n. 1119; Consiglio Stato, sez. V, 23.09.2002, n. 4832; TAR Lombardia Brescia, sez. I, 19.11.2009, n. 2223) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 01.04.2010 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un'opera edilizia può definirsi precaria se la stessa è preordinata, sul piano funzionale, a soddisfare esigenze oggettivamente provvisorie del soggetto attuatore.
Osserva il Collegio sul punto, condividendo il pressoché costante indirizzo della giurisprudenza amministrativa in materia, che un'opera edilizia può definirsi precaria se la stessa, indipendentemente dalla natura dei materiali usati è preordinata, sul piano funzionale, a soddisfare esigenze oggettivamente provvisorie del soggetto attuatore (v. "ex multis": C.d.S., sez. VI, 27/01/2003 n. 419; TAR Emilia Romagna -PR- 25/09/2007 n. 469; TAR Lazio -RM- Sez. I-quater, 16/05/2007 n. 4458; Sez. II, 04/05/2007 n. 3873; TAR Campania -SA- sez. II, 27/02/2007 n. 179; TAR Toscana, sez. III, 13/04/2005 n. 1596).
Come risulta dal progetto esistente in atti, l’intervento concreta un aumento della superficie della pensilina in legno precedentemente autorizzata, con realizzazione di una scala in legno per accedere all’estradosso di tale struttura; tale circostanza evidenzia la accessorietà dell’intervento risultando lo stesso tendente ad ottenere una maggiore fruibilità dell’immobile già autorizzato, risultandone in concreto impossibile, o comunque, inutile, un utilizzo autonomo e scorporato dall’intero.
Ne consegue che non può revocarsi in dubbio la precarietà dell'opera, intesa, come richiesto dalla giurisprudenza, in senso funzionale, come destinazione a soddisfare scopi specifici e cronologicamente delimitati (cfr., da ultimo, sez. V, 04.02.1998, n. 131), a nulla rilevando che il periodo di mantenimento in loco dell'opera precaria non sia espressamente previsto nel provvedimento di assenso in esame.
Del tutto irrilevante è poi che la nuova costruzione abbia concretizzato un aumento delle superfici e dei volumi esistenti, in violazione delle norme urbanistiche vigenti, atteso che la precarietà e temporaneità della stessa giustifica la deroga e l’assenso .
Dall’accertamento della precarietà dell’intervento autorizzato discende che lo stesso non richiedeva la specifica richiesta di dotazione aggiuntiva di aree a standards
(commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 08.03.2010 n. 688 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Nozione di costruzione.
2. Natura precaria di un manufatto - Destinazione dell'opera come attribuita dal costruttore - Uso precario e temporaneo per fini specifici contingenti e limitati nel tempo.

1. La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione e della licenza edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi; fuoriesce da tale definizione soltanto l'opera destinata fin dall'origine a soddisfare esigenze contingibili e circoscritte nel tempo.
2. La precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio del predetto titolo edilizio, va valutata a prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente impressa dal costruttore e dalla maggiore o minore amovibilità delle parti che lo compongono considerando invece l'opera alla luce delle sua obbiettiva ed intrinseca destinazione naturale che ne rilevi l'uso oggettivamente precario e temporaneo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 23.02.2010 n. 443 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere precarie - Natura - Requisito della precarietà - Destinazione dell'opera.
In materia edilizia, il requisito della precarietà non può essere collegato al carattere di stabilità temporanea, soggettivamente attribuito alla costruzione, ma va individuato in relazione all'oggettiva e intrinseca destinazione dell'opera stessa (Corte di Cassazione,  Sez. III penale, sentenza 04.02.2010 n. 4881 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione - Nozione - Infissione al suolo - Non rilevanza - Temporaneità - Necessita - Trasformazione permanente del suolo - Sufficienza - Titolo abitativo - necessità.
Ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data al manufatto dal costruttore e si deve, invece, valutare l'opera medesima alla luce della sua obbiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale.
Il principio è ora codificato anche nella legislazione nazionale e regionale, ove è specificato che rientrano nel novero delle nuove costruzioni, anche l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 15.01.2010 n. 24 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La posa in opera di manufatti oggettivamente precari richiede l’abilitazione mediante corretto titolo, quando essi non sono diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.
Il caso in rassegna offre un ottimo spunto di riflessione su un argomento diverse volte affrontato nella materia dell’edilizia.
Si tratta della posa in opera di manufatti, prefabbricati, strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni: ci si chiede se necessiti un titolo abilitativi.
Nel caso concreto la parte privata sostiene che la struttura precaria di tali strutture esclude che si debba acquisire un qualsivoglia titolo. Il comune è di diverso avviso ed, infatti, ha ordinato la demolizione delle case su ruote poste dal ricorrente.
Il giudice si schiera dalla parte del comune che coglie l’occasione per fare chiarezza in materia. Un’opera può essere considerata precaria sulla base di due diversi criteri:
1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo;
2) criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un’esigenza temporanea.
La giurisprudenza, sia amministrativa che penale, è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un’opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale. Un’opera può, infatti, anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee (ad esempio, nel caso della sentenza si utilizza per abitarci), essa non può beneficiare del regime di favore delle opere precarie (Cass. pen., sez. III, 04.04.2007, n. 13761).
La giurisprudenza ritiene che il requisito della temporaneità vada apprezzato in modo oggettivo, avuto riguardo all’oggetto della costruzione nei suoi obiettivi dati tecnici ed alla sua destinazione materiale che ne deve evidenziare un uso realmente precario o temporaneo per fini cronologicamente delimitati, come può essere, ad esempio, per un box di cantiere.
I giudici lombardi segnalano due pronunce una propria e una del Tar Campania che si riportano in stralcio anche qui perché dirimenti (Tar Campania sez. II, 23.04.2007, n. 4217; Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 01.06.2007, n. 479): “deve ritenersi che, ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si debba prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data al manufatto dal costruttore e si debba, invece, valutare l'opera medesima alla luce della sua obbiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale. Il principio è ora codificato anche nella legislazione nazionale e regionale, ove è specificato che rientrano nel novero delle nuove costruzioni, anche l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato” (commento tratto da www.doumentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 15.01.2010 n. 24 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale.
Le strutture di cui è stata ordinata la demolizione non sono strutture precarie come tali incapaci di immutare l’assetto urbanistico.
A tali fini si deve prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data al manufatto dal costruttore, ma si deve, invece, valutare l'opera medesima alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale (vedasi ex multis Consiglio di Stato 4793/2008, TAR Liguria 1347/2005, TAR Lazio sez. Latina 259/2004, TAR Sardegna 77/2004 ).
Il manufatto da demolire rientra perfettamente nella nozione di costruzione così come è stata ricostruita dalla giurisprudenza considerando la sua permanenza stabile, l’utilizzazione di mattoni che assicurarlo al suolo e pertanto necessitava di concessione edilizia (oggi permesso di costruire) con possibilità per l’amministrazione in caso di realizzazione abusiva di ordinarne la demolizione (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 13.01.2010 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: Opere edilizie - Carattere precario o provvisorio - Si ricollega alla funzione - Destinazione abitativa delle opere - Carattere di stabilità - Sussiste.
Il carattere precario o provvisorio di un'opera non dipende dall'intenzione soggettiva del suo autore, ma dalla funzione cui l'opera è preordinata, sicché la destinazione dichiaratamente abitativa delle opere è di per sé tale da conferire alle stesse un carattere di stabilità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.12.2009 n. 6228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa regola dell’assoggettamento a concessione di ogni attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non comprende le sole attività di edificazione, ma tutti quei manufatti che modificano in modo apprezzabile il precedente assetto territoriale producendo alterazione che abbia rilievo ambientale, estetico o anche solo funzionale, ovvero consistenti in una modificazione dello stato materiale e della configurazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica.
Sotto il profilo funzionale, il carattere della provvisorietà di una costruzione edilizia, ai fini dell’esenzione dal titolo autorizzatorio edilizio, dev’essere indotto dall’uso realmente precario e temporaneo per fini specifici e cronologicamente delimitati, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto non infisso al suolo e smontabile, ovvero che il costruttore si dichiari disposto a rimuovere quanto realizzato.

Nemmeno può ritenersi che l’intervento, trattandosi di manufatto precario e facilmente amovibile, si collochi al di sotto della c.d. soglia di rilevanza urbanistica, e quindi sia sottratto alla necessità di un titolo edilizio.
L’articolo 3, n. 5, del d.P.R. 380/2001, e l’articolo 3, lettera e.5), della l.r. 1/2004, sottopongono a provvedimento autorizzatorio comunale anche “i manufatti leggeri, anche prefabbricati (…) utilizzati come abitazioni (…) e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Del resto, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza (delineatosi già in vigenza dell'articolo 1 della legge 10/1077), la regola dell’assoggettamento a concessione di ogni attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non comprende le sole attività di edificazione, ma tutti quei manufatti che modificano in modo apprezzabile il precedente assetto territoriale producendo alterazione che abbia rilievo ambientale, estetico o anche solo funzionale, ovvero consistenti in una modificazione dello stato materiale e della configurazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica (cfr. Cons. Stato, V, 06.09.1999, n. 1015; 20.12.1999, n. 2125; VI, 27.01.2003, n. 419).
In particolare, anche la giurisprudenza di questo Tribunale ha affermato che, sotto il profilo funzionale, il carattere della provvisorietà di una costruzione edilizia, ai fini dell’esenzione dal titolo autorizzatorio edilizio, dev’essere indotto dall’uso realmente precario e temporaneo per fini specifici e cronologicamente delimitati, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto non infisso al suolo e smontabile, ovvero che il costruttore si dichiari disposto a rimuovere quanto realizzato (sent. 26.01.2007, n. 43; 21.08.2003, n. 62; 04.07.2003, n. 573; vedi anche, Cons. Stato,V, n. 2125/1999, cit., Cass. pen., III, 18.02.1999, n. 4002; 12.07.1995, n. 10058; TAR Lazio, Latina, 19.11.1987, n. 834) (TAR Umbria, sentenza 22.12.2009 n. 812 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il porticato, in quanto suscettibile di autonomo utilizzo (e, quindi, non classificabile come pertinenza) e con un proprio impatto volumetrico, costituisce opera nuova rispetto al precedente fabbricato, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio, con la conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia.
Le tettorie rientrano tra le opere edilizie idonee a trasformare in modo permanente il territorio, a causa dell'uso stabile delle stesse poiché in materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la precarietà ogni volta che l'opera sia destinata a fornire un'utilità prolungata nel tempo.
Anche la tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia.

Come chiarito dalla recente giurisprudenza, ormai consolidata, alla quale questo Collegio aderisce, il porticato, in quanto suscettibile di autonomo utilizzo (e, quindi, non classificabile come pertinenza) e con un proprio impatto volumetrico, costituisce opera nuova rispetto al precedente fabbricato, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio, con la conseguente necessità del previo rilascio della concessione edilizia (cfr. ex multis, TAR Lazio, Latina, 19.01.2007, n. 44; TAR Toscana Firenze, sez. III, 17.07.2003, n. 2850).
L’esito non muta neanche nel caso in cui si ritenesse, come sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, di qualificare l’opera come tettoia. Le tettorie, infatti, rientrano tra le opere edilizie idonee a trasformare in modo permanente il territorio, a causa dell'uso stabile delle stesse poiché in materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, dovendosi, peraltro, escludere la precarietà ogni volta che l'opera sia destinata a fornire un'utilità prolungata nel tempo (cfr., TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 21.10.2009, n. 1922; TAR Lazio, Latina, 05.08.2009, n. 771; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059; TAR Lazio, Roma, sez. I, 18.06.2008, n. 5965).
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere, peraltro, che anche la tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia (TAR Lazio Latina, 05.08.2009, n. 771; TAR Lombardia Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2009 n. 3639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Veranda.
La tenda collegata al muro con intelaiatura in acciaio e con tamponamenti in materiale plastico, così come la tenda collegata al muro e con tamponamenti di vetro, deve qualificarsi veranda che richiede il permesso di costruire ai sensi dell’art. 20 del DPR n. 380 del 2001, la cui mancanza comporta le sanzioni di cui all’art. 44 del citato DPR (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.11.2009 n. 42318 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Stagionalità e precarietà dell’opera.
In materia edilizia, ai fini della necessità del preventivo rilascio della concessione edilizia, (ora sostituita dal permesso di costruire), non rileva il carattere stagionale del manufatto realizzato, atteso che il carattere stagionale non implica precarietà dell’opera, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione  (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39074 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi precari.
In materia edilizia, il requisito della precarietà non può essere collegato al carattere di stabilità temporanea, soggettivamente attribuito alla costruzione, ma va individuato in relazione all’oggettiva e intrinseca destinazione dell’opera stessa, sicché non può operare la normativa regionale sugli insediamenti stagionali precari né l’autorizzazione comunale postuma rilasciata in violazione delle norme giuridiche di riferimento (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.09.2009 n. 35207 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non occorre la concessione edilizia per costruire una serra se la stessa sia costruita su un fondo destinato ad uso agricolo, per finalità inerenti esclusivamente alla coltivazione del terreno, fuori dal centro abitato, formata di materiali facilmente amovibili, non infissa stabilmente al suolo o eseguita con opere murarie né collegata con altre opere costruttive edilizie o che abbia dimensioni tali da non incidere negativamente sull'ambiente circostante.
Va precisato che la giurisprudenza amministrativa ha escluso la necessità del titolo abilitativo solo nell'ipotesi in cui la serra sia costruita su un fondo destinato ad uso agricolo, per finalità inerenti esclusivamente alla coltivazione del terreno, fuori dal centro abitato, formata di materiali facilmente amovibili, non infissa stabilmente al suolo o eseguita con opere murarie né collegata con altre opere costruttive edilizie o che abbia dimensioni tali da non incidere negativamente sull'ambiente circostante (cfr. Cons. Stato., sez. V, 14.03.1980, n. 284).
L’edificazione di cui si controverte non presenta alcuna delle caratteristiche che consentirebbero di prescindere dal rilascio della concessione edilizia.
Essa, infatti, come riconosciuto dalla stessa parte ricorrente nella propria memoria difensiva, insiste su un’area “situata nel perimetro cittadino ed in zona relativamente centrale”.
Né può rilevare la presunta agevole rimovibilità delle strutture, costituite da strutture tubolari metalliche, dal momento che le medesime sono saldamente ancorate al suolo mediante fondazioni cementizie di rilevanti dimensioni (m. 26 x 8).
La natura e consistenza di tali fondazioni rendeva palese l’attitudine della fabbricazione a permanere nel tempo e ad influire sulla razionale sistemazione del territorio, cosicché non può dubitarsi che un intervento con tali caratteristiche necessitasse del previo rilascio di concessione edilizia (cfr., in fattispecie analoghe, Cons. Stato, sez. IV, 06.03.2006, n. 1119 e sez. V, 08.06.2000, n. 3247), in difetto della quale il Comune di Torino ha legittimamente ingiunto la demolizione dell’edificazione abusiva (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.09.2009 n. 2262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un  pergolato costituito da struttura in legno non infissa né al pavimento, né alla parete, né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla copertura, è da classificare quale struttura precaria.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che non sia necessaria alcuna concessione edilizia allorché l’opera consista in una struttura precaria, facilmente rimovibile, non costituente trasformazione urbanistica del territorio, come avviene nell’ipotesi di pergolato costituito da struttura in legno non infissa né al pavimento, né alla parete, né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla copertura.
Deve, pertanto, ritenersi che tale intelaiatura può qualificarsi come mero arredo di uno spazio esterno, che non comporta realizzazione di superfici utili o volume (Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 07.11.2005 n. 6193; in senso analogo Tar Lazio-Roma, Sez. II - sentenza 28.03.2007 n. 2716).
Con riferimento all’ipotesi di specie si deve rilevare che, come risulta dagli atti, il Comune ha sanzionato la realizzazione di una <<struttura in legno dalle dimensioni di mt. 6,00x3,20x3,20>>. Tale struttura è stata qualificata quale gazebo nel verbale redatto dagli agenti dell’U.O.S.A.E.
In realtà, come è dato evincere dalla perizia giurata di parte e dalle foto allegate, non oggetto di contestazione da parte del Comune, tale struttura è priva di copertura ed è destinata al sostegno di pianti rampicanti. La stessa risulta agganciata alla parete con delle staffe che hanno la funzione di evitarne l’oscillazione e non di rendere la struttura solidale all’edificio: quindi ai sensi dell’art. 2 del Regolamento del Comune Edilizio di Napoli, deve essere qualificata quale grillage e non quale gazebo.
Per la sua tipologia e per l’uso di materiali dal non rilevante impatto visivo, come emerge anche dalle foto depositate, può ritenersi, come sostenuto dal ricorrente, un arredo dello spazio esterno con la conseguenza che la stessa può farsi rientrare, fra le opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’articolo 6 del Regolamento Edilizio del Comune di Napoli (cfr. in senso analogo Tar Campania-Napoli Sez. IV - sentenza 02.12.2008, n. 20791) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.08.2009 n. 4804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile.
Per costante giurisprudenza (anche di questo TAR: cfr. ad esempio TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.06.2007, n. 6038; TAR Campania Napoli, sez. IV, 06.07.2007, n. 6551; TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.08.2007, n. 7258; TAR Campania Napoli, sez. IV, 13.05.2008, n. 4255; TAR Campania Napoli, sez. IV, 17.02.2009, n. 847), da cui il Collegio non ravvisa motivi di discostarsi nel caso di specie, gli interventi edilizi che determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzati, quali le verande in vetro e alluminio edificate sulla balconata di un appartamento, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accedono, sono soggetti al preventivo rilascio di apposita concessione edilizia (ora, permesso di costruire).
Ciò in quanto, in materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile (Cassazione penale, sez. III, 10.01.2008, n. 14329)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 05.08.2009 n. 4732 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl criterio di distinzione di un'opera precaria o meno è non già strutturale bensì funzionale: "... sono precari i manufatti che risultano destinati a soddisfare esigenze di carattere contingente e ad essere quindi eliminati”.
Le disposizioni del T.U. dell’edilizia (d.P.R. n. 380/2001), elencando tassativamente le ipotesi di interventi che non richiedono titolo edilizio alcuno, ha definitivamente sancito, richiamandosi all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, che il criterio di distinzione di un'opera precaria o meno è (non già strutturale) bensì funzionale: "... sono precari i manufatti che risultano destinati a soddisfare esigenze di carattere contingente e ad essere quindi eliminati”.
Sicché è soggetto a concessione edilizia (o permesso di costruire) il manufatto che, pur se non infisso al suolo, ma solo aderente in modo stabile ad esso, è destinato ad un uso perdurante nel tempo.
Infatti, produce una trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, anche in relazione alla sua qualificazione giuridica, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale del manufatto, se non si traduca in un uso per fini contingenti e specifici (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 31.05.2001 n. 343).
Le roulottes, sono state posizionate dal ricorrente in area assoggettata a vincolo paesaggistico ai sensi della L. n. 1497/1939, con l’aggiunta di un’intelaiatura in ferro fissata al suolo che dà senz’altro vita ad un rudimentale manufatto destinato ad un uso duraturo, ancorché ciclico in concomitanza con il periodo estivo.
D’altra parte, non va da ultimo sottaciuto, che l’art. 3, lett. e) del 5 citato T.U. n. 380/2001, letteralmente inteso, considera nuove costruzioni “l’istallazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati e di strutture qualsiasi quali roulottes….che siano utilizzati come abitazioni ….e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” (TAR Lazio-Latina, sentenza 05.08.2009 n. 773 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per realizzare una tettoia occorre il permesso di costruire.
La costruzione della stessa: non può essere annoverata nel concetto di manutenzione straordinaria; è priva del carattere della precarietà ed amovibilità; non può essere considerata pertinenza.

Il Collegio condivide l’interpretazione giurisprudenziale secondo la quale “La realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia ai sensi dell'art. 1, l. 28.01.1977 n. 10, in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente. La costruzione di una tettoia non rientra nel concetto di manutenzione straordinaria, atteso che quest'ultima si fonda sul duplice presupposto che i lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienici sanitari e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso” (TAR Campania Napoli, sez. VI, 17.12.2008, n. 21346).
La tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente" (TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.12.2007, n. 16493).
"Una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di costruire” (TAR Lombardia Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544) (TAR Lazio-Roma, sentenza 05.08.2009 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà va esclusa allorché si tratti di un manufatto destinato a dare utilità prolungata nel tempo e ciò indipendentemente dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio.
Proprio in relazione al tipo di opera posta in essere -una casa mobile su ruote appoggiata al suolo- l’obbligatorietà di munirsi del preventivo titolo abilitativo è espressamente prevista dalla normativa urbanistico-edilizia recata dalla legge regionale n. 1/2005, lì dove l’art. 78 stabilisce espressamente che: ”sono considerate trasformazioni urbanistiche ed edilizie soggette a permesso di costruire, in quanto incidono sulle risorse essenziali del territorio ….: b) l’installazione di manufatti anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, quali esplicitamente risultino in base alle vigenti disposizioni”.
Il legislatore, quindi, ha di per sé considerato l’installazione delle strutture del genere come quelle qui in rilievo (roulotte, case mobili) come meritevoli di essere assoggettate al preventivo rilascio del permesso di costruire e tanto in ragione del fatto che, indipendentemente dal materiale, dalla forma e dalle modalità di appoggio al suolo, tali manufatti per le loro caratteristiche oggettive di occupare un volume vanno significativamente ad incidere sull’assetto del territorio e quindi devono essere debitamente autorizzate.
Sul punto, peraltro, la giurisprudenza si è espressa a proposito della questione della precarietà, condizione, che da sé manda esente dall’obbligo di munirsi di permesso e a tale proposito va ribadito il principio già espresso in analoghe circostanze da questa Sezione secondo cui la precarietà va esclusa allorché si tratti di un manufatto destinato a dare utilità prolungata nel tempo e ciò indipendentemente dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio (cfr. 21/11/2000 n. 2346).
Ebbene, le opere in questione per la loro consistenza e caratteristiche costruttive appaiono oggettivamente destinate ad esigenze non temporanee, bensì ad un utilizzo abitativo permanente e duraturo.
Il fatto che siano destinate ad ospitare una persona affetta da disabilità, tale circostanza ancorché avente un suo rilievo etico-affettivo assolutamente apprezzabile, non vale a giustificare legittimamente l’avvenuta realizzazione dei manufatti stessi in assenza di titolo abilitativo.
In presenza quindi di opere abusivamente eseguite, per lo più in area sottoposte ad un regime di tutela 8 vincolo idrogeologico e paesaggistico che vieta quale che sia intervento senza autorizzazione, il Comune non poteva non adottare la misura demolitoria-ripristinatoria volta appunto a rimuovere dal suo territorio opere che in quanto non preventivamente autorizzate, contrastano con la normativa urbanistica (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 29.07.2009 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi precari.
In materia edilizia la natura precaria di un manufatto ai fini della sua non sottoposizione al preventivo rilascio del permesso di costruire non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dall’utilizzatore, né dal dato che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo ma deve riconnettersi ad una intrinseca destinazione materiale dell’opera stessa ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con la conseguente e sollecita eliminazione del manufatto alla cessazione dell‘uso (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.06.2009 n. 25965 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA 1. Concessione di costruzione - Costruzione precaria - Definizione.
2. Concessione di costruzione - Costruzione precaria - Temporanea - Obbligo - Non sussiste.
1. Soltanto le costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, sono esenti dall'assoggettamento al titolo abilitativo edilizio: ciò che rileva, a tale fine, non è tanto la consistenza dei manufatti quanto la destinazione ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (cfr. Cons. di Stato , sent. n. 986/2003).
2. Affinché un'opera edilizia avente carattere precario, in forza della sua facile amovibilità, venga sottratta all'obbligo di rilascio del titolo abilitativo edilizio, è necessario che sia destinata ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei: non ha il requisito della precarietà il manufatto stabilmente destinato a residenza del ricorrente e della sua famiglia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.06.2009 n. 4070
).

EDILIZIA PRIVATA: Case mobili, necessità del permesso di costruire.
E' legittimo il sequestro preventivo di "case mobili" realizzate nell'area ricettiva di un camping in relazione ai reati di costruzione in assenza del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica trattandosi di manufatti installati da almeno due anni poggiati su ruote, cavalletti e mattoni in cemento ed allacciati alle reti idrica, elettrica, fognaria e del gas, adibiti stabilmente ad abitazione dei campeggiatori per l’intera stagione turistica e non rivolti, quindi, a soddisfare esigenze meramente temporanee che ne avrebbero determinato la qualificazione di interventi precari (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 27.05.2009 n. 22054 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rientra nella fattispecie delle modificazioni durevoli dello stato dei luoghi che sono prodotte anche da strutture meramente appoggiate sul suolo, anche con ruote, qualora destinate ad uso prolungato nel tempo e non quindi realmente precario, cioè temporaneo o occasionale.
Il ricorrente si è doluto dell’illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti, posto che il maxicaravan non sarebbe ancorato al suolo e, quindi, come tale, non potrebbe costituire una costruzione per la cui realizzazione è necessaria la preventiva concessione edilizia.
Anche della classificazione dell’opera prefabbricata posta su ruote ed avente natura precaria la Sezione ha avuto modo di occuparsi con decisione n. 2197 del 21.11.2008
Ivi è stato precisato che, come già in precedenza chiarito, <<(cfr. Tar Catania I, 29.11.2007, n. 1921) occorre stabilire se i manufatti in questione possano ritenersi costruzione o edificazione a fini urbanistici.
Al riguardo la detta decisione ha precisato che si rientra nella fattispecie delle modificazioni durevoli dello stato dei luoghi, che, come chiarito dalla giurisprudenza, sono prodotte anche da strutture meramente appoggiate sul suolo, anche con ruote, qualora destinate ad uso prolungato nel tempo e non quindi realmente precario, cioè temporaneo o occasionale (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 20.12.1999, n. 2125).
In altri termini, a prescindere da un sistema di ancoraggio al suolo, i prefabbricati vanno considerate vere e proprie costruzioni, ove, comunque, siano destinati a durare nel tempo.
Tale necessità del resto discende dalla alterazione dello stato dei luoghi e dalla destinazione in genere di tale tipo di struttura alla soddisfazione di esigenze di carattere durevole, a prescindere dalla tecnica e dai materiali impiegati per la realizzazione della struttura stessa (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 03.04.1990, n. 317).
Il giudice di seconde cure, con detta ultima decisione ha altresì precisato che un prefabbricato, pure avendo la parvenza della mobilità, costituisce una vera e propria costruzione, ove incardinata al suolo con accorgimenti tecnici per garantirne la stabilità
>>
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 26.05.2009 n. 975 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  La precarietà di un manufatto la cui realizzazione non necessita di concessione edilizia, non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall’uso al quale il manufatto stesso è destinato.
Va ritenuta l’applicabilità dell’ordinanza di demolizione anche alle cd. case mobili, ancorché manufatti precari, in quanto la precarietà di un manufatto la cui realizzazione non necessita di concessione edilizia, non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall’uso al quale il manufatto stesso è destinato; pertanto, essa, va esclusa quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all’opera dai proprietari, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale (Cons. Stato, V Sez., n. 3321/2000) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.05.2009 n. 3029 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La precarietà della costruzione va desunta dalla funzione assolta dal manufatto, non dalla struttura o dalla qualità dei materiali usati.
Per costante giurisprudenza, al fine di escludere la necessità della concessione edilizia –ora permesso di costruire–, la precarietà della costruzione va desunta dalla funzione assolta dal manufatto, non dalla struttura o dalla qualità dei materiali usati, essendo in ogni caso subordinata al previo titolo abilitativo l’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 28.03.2008 n. 1354); non è, dunque, significativo che il manufatto sia solo aderente al suolo e non anche infisso allo stesso, se alteri tuttavia in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, e cioè non si traduca in un uso oggettivamente preordinato a soddisfare esigenze del tutto contingenti e transitorie (v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna, Parma, 19.02.2008 n. 102)
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 28.04.2009 n. 160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Abuso in atti d’ufficio e installazione impianti a titolo precario.
Un’autorizzazione a costruire di tipo precario -come quella con la quale si autorizza l'installazione di una stazione radiobase costituita da un traliccio di 24 metri, un gruppo elettrogeno con supporto in calcestruzzo armato e relativa cisterna- oltre ad essere extra legem, in quanto non prevista da alcuna disposizione legislativa, è anche illegittima e contra legem perché non potrebbe avere altra funzione che quella di tollerare una situazione di evidente abuso (nella fattispecie la malafede del pubblico amministratore si è desunta proprio dal fatto che aveva rilasciato un autorizzazione precaria non prevista da alcuna norma. Il pubblico amministratore, non potendo rilasciare la concessione edilizia per la vicinanza della stazione al centro abitato, tanto è vero che neppure successivamente è stata rilasciata , ha emesso un titolo provvisorio).
Detta autorizzazione, a prescindere pure dalla sua illegittimità, non può comunque essere equiparata a quella di cui all’articolo 87 del decreto legislativo n. 259 del 2003, perché questa presuppone il previo accertamento, da parte dell’organismo preposto ad effettuare i controlli, previsto dall’articolo 14 della legge 22.02.2001 n. 36 in ordine alla compatibilità del progetto con i limiti di esposizione ecc. (comma 1) e fa salve le disposizioni a tutela dei beni ambientali (art. 86, comma 4) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.04.2009 n. 15921 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Disciplina edilizia applicabile alle serre destinate ad orticoltura.
E’ chiesto parere in merito alla disciplina edilizia applicabile alle serre destinate ad orticoltura (Regione Piemonte, parere 21/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Carattere precario dei manufatti edilizi - E' necessario che le opere siano destinate ad un uso limitato nel tempo e per fini specifici e temporanei.
In ordine al carattere precario di opere edilizie, ciò che rileva al fine di qualificare in tal modo i manufatti realizzati, non è tanto la consistenza degli stessi, quanto piuttosto la destinazione ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante: infatti, perché un'opera edilizia avente carattere precario, in forza della sua facile amovibilità, venga sottratta all'obbligo di rilascio del titolo abilitativo edilizio, è necessario che sia destinata ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.03.2009 n. 1955).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione prefabbricati - Permesso di costruire - Necessità - Presupposti - Art. 3, 1° c., lett. e), D.P.R. n. 380/2001 - Testo Unico Edilizia.
L'articolo 3, primo comma lettera e) del testo unico sull'edilizia D.P.R. n. 380/2001 e s.m. ricomprende tra gli interventi di nuova costruzione, come tali soggetti al permesso di costruire, tra gli altri, l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati ed in genere l'installazione di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, a condizione che siano utilizzate come abitazioni, ambienti di lavoro, come depositi, magazzini, ecc. e siano dirette a soddisfare esigenze durature nel tempo.
In definitiva la nozione di costruzione non presuppone necessariamente l'ancoraggio al suolo del fabbricato, se ricorrono le condizioni dianzi evidenziate. L'accertamento di tali condizioni è demandato al giudice del merito, la cui valutazione si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivata (CORTE di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.03.2009 n. 10708 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione container.
L'installazione di un container richiede il permesso di costruire in caso di uso non precario. Il requisito della precarietà deve essere ricavato dalla destinazione del manufatto e non dalla struttura e dalla tipologia dei materiali costruttivi (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 26.02.2009 n. 404 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire non rileva il carattere stagionale del manufatto realizzato, atteso che esso non implica la precarietà dell'opera, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione.
La stagionalità, dunque, qualora sia al servizio di un’attività perdurante nel tempo va qualificata costruzione ai sensi del TU sull’edilizia.

Nel merito il ricorso è fondato sia in relazione a tutti i motivi che lamentano un difetto di motivazione ed una carenza istruttoria, sia in relazione ai motivi che lamentano plurime violazioni di legge.
In particolare appare fondata la violazione dell’art. 3, comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001.
La costruzione in parola, infatti, rientra a pieno titolo tra le ipotesi di costruzione.
Ciò innanzitutto perché l’orditura della copertura crea uno scheletro che abbraccia anche lo spazio poi chiuso dalle tamponature laterali ed è fissata al suolo stabilmente e, di conseguenza delimita permanentemente la porzione di arenile sulla quale insiste.
Comunque, l’annuale riproposizione della completa chiusura di una struttura di notevoli dimensioni, specie se rapportate alle dimensioni della spiaggia ed alla particolare tutela del sito, esulano dal concetto di temporaneità, nel senso della transitorietà del manufatto o della sua precarietà od occasionalità che il comune ha assunto a fondamento dei provvedimenti impugnati.
Nello specifico poi, la durata della stagione balnearia è intesa dal comune dal mese di marzo a quello di novembre, con la conseguenza della inversione del concetto voluto dal legislatore poiché temporaneo può casomai definirsi il limitato periodo di 4 mesi su 12 nei quali la spiaggia può tornare ad essere bene demaniale da tutti utilizzabile.
La giurisprudenza amministrativa, anche di questo tribunale (11.03.1982 n. 160) ha affermato con continuità che “Ai fini della necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire non rileva il carattere stagionale del manufatto realizzato, atteso che esso non implica la precarietà dell'opera, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione" (TAR Lazio, sez. I, 24.05.2008, n. 562).
La stagionalità, dunque, qualora sia al servizio di un’attività perdurante nel tempo va qualificata costruzione ai sensi del TU sull’edilizia (cfr. Tar Lazio II 01.03.2002 n. 1595; Tar Emilia Romagna, II 14.07.2003 n. 970) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 27.01.2009 n. 119 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Al fine di escludere la necessità della concessione edilizia la precarietà della costruzione va desunta dalla funzione assolta dal manufatto e non dalla struttura o dalla qualità dei materiali usati.
Per costante giurisprudenza, al fine di escludere la necessità della concessione edilizia –ora permesso di costruire–, la precarietà della costruzione va desunta dalla funzione assolta dal manufatto, non dalla struttura o dalla qualità dei materiali usati, essendo in ogni caso subordinata al previo titolo abilitativo l’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 28.03.2008 n. 1354).
Non è dunque significativo che il manufatto sia solo aderente al suolo e non anche infisso allo stesso, se alteri tuttavia in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, e cioè non si traduca in un uso oggettivamente preordinato a soddisfare esigenze del tutto contingenti e transitorie (v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna, Parma, 19.02.2008 n. 102)
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 27.01.2009 n. 22 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl carattere di precarietà di una costruzione, ai fini edilizi, non va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere, poi, prontamente rimossa.
Nemmeno è sufficiente ad attribuire il carattere di precarietà ai fini dell’esenzione dalla concessione edilizia, il fatto che si tratti di manufatto smontabile e non fisso al suolo.

Il carattere di precarietà di una costruzione, ai fini edilizi, non va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere, poi, prontamente rimossa (TAR Campania, Napoli, sez. IV 01.08.2008 n. 9710; TAR Pescara, Abruzzo, 04.06.2008 n. 558), a nulla rilevando la circostanza che l’impiego del bene sia circoscritto ad una parte sola dell’anno (TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I 19.02.2008 n. 102; 22.01.2008 n. 35; TAR Basilicata, Potenza, sez. I 27.06.2008 n. 337; TAR Lombardia, Milano, sez. II 04.12.2007 n. 6544; 23.11.2006 n. 2834; TAR Sicilia, Palermo, sez. I 08.07.2002 n. 1936).
Nemmeno è sufficiente ad attribuire il carattere di precarietà ai fini dell’esenzione dalla concessione edilizia, il fatto che si tratti di manufatto smontabile e non fisso al suolo (cfr. TAR Umbria, 21.08.2003 n. 692), così come il carattere stagionale non implica precarietà dell’opera ben potendo essere la stessa destinata a soddisfare un bisogno non provvisorio ma regolarmente ripetibile (cfr. Cass. Penale sez. III 19.02.2004 n. 11880) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 14.01.2009 n. 19 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 1 - Sul carattere stagionale di strutture posizionate sul territorio e sulla necessità o meno del permesso di costruire (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bossanese, Appunto sulle opere precarie.
Se le NTA del PRG o il regolamento edilizio non contengono la definizione di "precario" o di "opere precarie", a che cosa ci si deve riferire per individuarne la nozione? (link a http://venetoius.myblog.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Interventi precari (veranda, esclusione).
Una veranda realizzata mediante la chiusura di una preesistente tettoia con pannelli scorrevoli costituisce intervento di nuova costruzione in quanto opera stabile e duratura nel tempo, mediante la quale si realizza un ampliamento significativo della superficie utile del preesistente fabbricato e trattandosi di opera non finalizzata ad esigenze temporanee, ma proiettata a perdurare nel tempo.
L'agevole amovibilità dell'opera attiene alla struttura della stessa, non alla funzione ed alla durata dell'opera medesima, destinata nella sua oggettività materiale a durare nel tempo senza soluzione di continuità e ciò a prescindere dalle motivazioni soggettive espresse nella relativa comunicazione al Comune (ossia opera destinata a proteggere il terrazzino dalle intemperie nel periodo di tempo non buono) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.12.2008 n. 48227 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione serra.
Per realizzare la costruzione di manufatti da adibire a serre è indispensabile ottenere il permesso di costruire poiché costituisce modificazione apprezzabile del territorio la realizzazione di un impianto di tal genere (che sia stabilmente ancorato al suolo, formi un ambiente chiuso e sia destinato a durare nel tempo) non rilevando la possibilità che esso possa essere asportato o spostato, né la sua destinazione agricola (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.11.2008 n. 42738 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere precarie.
Non costituisce "opera precaria e soggetta a facile demolizione" né pertinenza una tettoia costituita da una struttura di metallo con sovrastante tetto di copertura avente un'altezza di metri tre ed un'ampiezza di metri 47,00, di cui mq. 23,00 accorpati, mediante demolizione di muri portanti, ad attiguo immobile adibito ad esercizio commerciale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 27.10.2008 n. 40018 -
link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATARecinzioni e muri e “concessioni in precario”.
1. La realizzazione di “'recinzioni, muri di cinta e cancellate" può essere effettuata:
- contestualmente alla costruzione di un edificio ed, in tal caso, dovrà essere autorizzata con lo stesso provvedimento abilitativo che riguarda l'edificio medesimo;
- al servizio di un edificio preesistente: ed in tal caso potrebbe essere considerata alla stregua del regime delle opere pertinenziali;
- indipendentemente dall'esistenza e dalla costruzione di un fabbricato (con interventi assai variegati quanto alle caratteristiche costruttive ed ai materiali usati): ed in tal caso potrà farsi ricorso anche alla denuncia di inizio dell'attività, ma la disciplina da applicare dovrà essere individuata caso per caso.
2. Non può essere rilasciata una concessione edilizia c.d. "in precario", con la quale l'amministrazione comunale consenta una situazione di palese abuso edilizio (per contrasto con le prescrizioni urbanistiche di zona) sulla base del solo impegno del costruttore di rimuovere in futuro i manufatti contrastanti con le indicazioni di piano, anche su semplice richiesta dello stesso Comune e breve preavviso, in quanto, oltre a snaturare la tipicità della concessione di costruzione, non potrebbe avere altra funzione che quella di tollerare una situazione di evidente abuso edilizio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.10.2008 n. 37578 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATANuova costruzione - Nozione - Permanenza - Materiali - Non rilevano - Carattere di stagionalità, temporaneità, periodicità - Assenza.
Un manufatto deve essere considerato nuova costruzione quando introduce una modifica stabile del territorio. Il carattere permanente di tale modifica non si misura in base alla stabilità delle opere (come avviene quando i materiali utilizzati non siano amovibili con mezzi ordinari) ma in base alla funzione svolta nel tempo dalla nuova struttura. La modifica del territorio può quindi essere realizzata anche con materiali amovibili o modulari ma se manca qualsiasi elemento di stagionalità, temporaneità o periodicità nella presenza in loco della nuova struttura si ricade per esclusione nella categoria della nuova costruzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.09.2008 n. 990 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' subordinata al rilascio di concessione edilizia ogni opera che non sia temporanea e contingente - Natura precaria dell'opera - Temporaneità della destinazione dell'opera - Non sussiste - Uso temporaneo e precario per fini specifici - Sussiste.
Sono subordinati al rilascio di concessione edilizia non solo i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, ma anche le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può, essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità non va confusa con l'irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata, ma si estrinseca nella oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell'attitudine ad una utilizzazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea e contingente. La natura precaria di un manufatto, quindi, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione dell'opera come attribuitale dal costruttore, ma deve risultare dalla intrinseca destinazione materiale della stessa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.09.2008 n. 4047 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è precaria una struttura saldamente ancorata al terreno e che non è destinata a soddisfare una necessità contingente.
Come affermato in fattispecie analoga da questa Sezione (cfr. 22.03.2007, n. 2725), deve escludersi per la realizzazione di una struttura, saldamente ancorata al terreno, di rilevanti dimensioni, avente una propria autonomia funzionale (struttura in tubolari di ferro e plastica che ricopre un’area di mq. 50 circa ed alta mt. 5 circa, … ancorata al suolo mediante bullonatura; per tale condizione e visto l’ingombro ha caratteristica di inamovibilità e destinata al gioco per bambini) il carattere della precarietà del manufatto, sia per il sistema fisso di ancoraggio al suolo, sia –soprattutto- per il fatto che la costruzione non è destinata a soddisfare una necessità contingente (per essere, poi, prontamente rimossa), ma durevole nel tempo.
Deve altresì escludersi la prospettata natura pertinenziale (rispetto al locale di ristorazione), trattandosi di struttura chiaramente suscettibile di utilizzazione autonoma e separata (cfr. questa Sezione, 08.06.2007, n. 6038); in definitiva, più che un “intervento di ristrutturazione edilizia”, appare configurabile, nel caso di specie, un “intervento di nuova costruzione”, in quanto non si è proceduto alla trasformazione di un organismo edilizio preesistente, ma alla costruzione ex novo di un manufatto fuori terra, non pertinenziale, ancorché avente carattere “leggero” (cfr. art. 3, comma 1°, lett. e.5), D.P.R. n. 380/2001); si tratta comunque, in ogni caso, di un intervento sempre subordinato a permesso di costruire (come stabilito, in relazione ad entrambe le ipotesi, dal successivo art. 10, comma 1°, lett. a-c), con conseguente applicabilità, in caso di assenza di titolo edilizio, della disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 33 dello stesso D.P.R. (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 01.08.2008 n. 9710 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere precarie.
La natura precaria di un manufatto, ai fini dell'esenzione dalla concessione edilizia o permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitati, non essendo certamente sufficiente che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.07.2008 n. 31467 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAAbuso edilizio - Carattere della precarietà - Rapida amovibilità e tipo di ancoraggio - Non rileva - Stabile utilizzazione - Rileva.
Il carattere precario di una costruzione non va desunto dalla sua facile e rapida amovibilità né dal tipo di ancoraggio al suolo, bensì dalla stabile utilizzazione e in generale dalla sua obiettiva destinazione a soddisfare esigenze durevoli nel tempo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 20.06.2008 n. 707 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di veranda in senso tecnico-giuridico - Mancanza di precarietà - Permesso di costruire - Necessità - Realizzazione di una veranda - Classificazione come intervento di manutenzione straordinaria e di restauro - Esclusione.
La realizzazione di una veranda, anche mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica od altri elementi costruttivi, non costituisce intervento di manutenzione straordinaria e di restauro, ma è opera soggetta già a concessione edilizia ed attualmente a permesso di costruire (tra le tante, Cass., Sez. III: 18.09.2007, n. 35011, Camarda; Cass., 28.10.2004, D'Aurelio; Cass., 27.03.2000, n. 3879, Spaventi). Il medesimo orientamento si rinviene nelle decisioni dei giudici amministrativi (vedi Cons. Stato, Sez. V: 08.04.1999, n. 394 e 22.07.1992, n. 67.5, nonché Cons. giust. amm. sic., Sez. riunite, 15.10.1991, n. 345). In particolare, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile.
Veranda - Natura "precaria" di un manufatto - Presupposti - Fini specifici, contingenti e limitati nel tempo - Giurisprudenza.
La natura "precaria" di un manufatto -secondo giurisprudenza costante [Cass., Sez. III: 13.06.2006, n. 20189, ric. Cavallini; 27.09.2004, n. 37992, ric. Mandò; 10.06.2003, n. 24898, ric. Nagni; 10.10.1999, n. 11839, ric. Piparo; 26.03.1999, n. 4002, ric. Bortolotti]- ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire (già concessione edilizia), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.06.2008 n. 23086 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAVeranda.
Una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.06.2008 n. 23086 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere precarie (piccolo santuario).
La natura "precaria" di un manufatto ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire (già concessione edilizia), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (fattispecie relativa a costruzione di un piccolo santuario formato da una tettoia e da blocchi di tufo in funzione di sedili) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.05.2008 n. 21210 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà di un manufatto edilizio che ne giustifica il non assoggettamento a concessione edilizia dipende non già dai materiali utilizzati o dal sistema del suo ancoraggio al suolo bensì dall'uso cui esso è destinato, per cui tale precarietà deve essere esclusa ogni qual volta l'opera sia destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine in relazione all'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale del manufatto.
La precarietà di un manufatto edilizio che ne giustifica il non assoggettamento a concessione edilizia dipende non già dai materiali utilizzati o dal sistema del suo ancoraggio al suolo bensì dall'uso cui esso è destinato, per cui tale precarietà deve essere esclusa ogni qual volta l'opera sia destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine in relazione all'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale del manufatto (cfr. Tar Lombardia, Sez staccata di Brescia 15.07.1993, n. 619).
Nel caso di specie, come risulta dall’ordinanza di demolizione, il container in questione era adibito a ufficio (e tale elemento non è stato contraddetto dalla ricorrente), di conseguenza deve ritenersi che tale manufatto, non essendo destinato a soddisfare esigenze temporanee ed incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, sia assoggettabile a permesso di costruzione con conseguente applicabilità del regime demolitorio di cui all'art. 7 l. 28.02.1985 n. 47
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.04.2008 n. 1911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è affatto pacifico in giurisprudenza che la tettoia possa essere qualificato come un intervento realizzabile senza il permesso a costruire (per la asserita natura di bene precario) ovvero essere ricondotto sic et simpliciter ad un intervento manutentivo straordinario.
Il Collegio evidenzia –come peraltro già ampiamente illustrato in precedenti pronunce della Sezione (cfr. TAR Napoli, sezione VI, n. 961/2007)– che non è affatto pacifico in giurisprudenza che la tettoia possa essere qualificato come un intervento realizzabile senza il permesso a costruire (per la asserita natura di bene precario) ovvero essere ricondotto sic et simpliciter ad un intervento manutentivo straordinario.
Numerose pronunce, infatti, evidenziano in linea generale che la realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia ai sensi dell'art. 1 L. 28.01.1977 n. 10 in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui essa accede, incide sull'assetto edilizio preesistente; ovvero che la costruzione di una tettoia non rientra nel concetto di manutenzione straordinaria, atteso che quest'ultima si fonda sul duplice presupposto che i lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienico sanitari e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso (cfr., TAR Campania–Napoli nr. 12962 - 20.10.2003; TAR Puglia–Bari, 3573 nr. 25.09.2003; TAR Sicilia–Catania nr. 1061 - 01.07.2003; TAR Campania–Napoli nr. 897 - 18.02.2003)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 03.04.2008 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Carattere precario dei manufatti edilizi - E' necessario che le opere siano destinate ad un uso limitato nel tempo e per fini specifici e temporanei.
In ordine al carattere precario di opere edilizie, ciò che rileva al fine di qualificare in tal modo i manufatti realizzati, non è tanto la consistenza degli stessi, quanto piuttosto la destinazione ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante: infatti, perché un'opera edilizia avente carattere precario, in forza della sua facile amovibilità, venga sottratta all'obbligo di rilascio del titolo abilitativo edilizio, è necessario che sia destinata ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2008 n. 702).

EDILIZIA PRIVATAConcessione edilizia, utilità prolungata, precarietà dell’opera, esclusione.
Ai fini della concessione edilizia, la precarietà della costruzione va presunta dalla funzione assolta dal manufatto e non dalla struttura e dalla qualità dei materiali usati. La precarietà dell’opera va comunque esclusa quando si tratti di costruzione destinata ad utilità prolungata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.03.2008 n. 1354 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAManufatti precari.
Sono considerati precari i manufatti destinati a soddisfare esigente contingenti, specifiche, cronologicamente determinate ed a essere rimossi dopo il momentaneo uso; il requisito della precarietà non può essere collegato al carattere di stabilità temporanea soggettivamente attribuito alla costruzione, ma va individuato in relazione alla oggettiva ed intrinseca finalità dell' opera. Pertanto, manufatti destinati allo addestramento dei cani presentano caratteristiche non conciliabili con un uso temporaneo e contingente a nulla rilevando il materiale usato per la edificazione e la facile rimovibilità della stessa (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.03.2008 n. 11111 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla necessità o meno del permesso di costruire per una struttura precaria (stagionale) a servizio di un esercizio commerciale.
Come già rilevato dalla Sezione sulla scorta di una costante giurisprudenza (v. sent. n. 35 del 22.01.2008), necessita di concessione edilizia, ora permesso di costruire, il manufatto che, pur se non infisso al suolo ma soltanto aderente allo stesso in modo stabile, è tuttavia destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo, atteso che produce trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale del manufatto che non si traduca in un suo uso per fini contingenti e specifici, ma riguardi una destinazione continuativa, anche se l’impiego del bene è circoscritto ad una parte sola dell’anno (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 01.12.2003 n. 7822 e 11.02.2003 n. 696).
La circostanza, quindi, che si sia nella fattispecie assentita, a seguito di d.i.a., l’installazione di pannelli traslucidi che delimitano lo spazio antistante il “pub-birreria” onde consentirvi la collocazione di sedie e tavolini sormontati da ombrelloni di tela, realizzando il sostanziale ampliamento della superficie commerciale per tutto il periodo dell’anno che eccede la stagione estiva, integra quella rilevante e non precaria trasformazione del territorio che richiede il rilascio del permesso di costruire, atteso che l’utilizzo apparentemente limitato nel tempo, se in sé destinato a ripetersi ciclicamente negli anni a venire, impone all’Amministrazione comunale il rituale accertamento della compatibilità dell’intervento con le norme che regolano l’uso del territorio e non può determinare, attraverso il frazionamento annuale delle operazioni di montaggio e smontaggio della struttura (e la conseguente artificiosa suddivisione in autonomi periodi di un intervento in realtà unitario), l’elusione delle norme che obbligano alla previa verifica dell’Autorità pubblica; né hanno ragione le controparti nell’invocare l’art. 8 della legge reg. n. 31 del 2002, che assoggetta a d.i.a. gli “interventi di manutenzione straordinaria”, ovvero le “opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso” (v. allegato alla legge reg.), in quanto l’addotta carenza del tamponamento integrale degli spazi vuoti laterali, lungi dall’implicare la realizzazione di un mero arredo di spazi esterni, non fa in realtà venire meno l’impegno stabile a tali fini della superficie corrispondente e la sua conseguente rilevanza anche in termini di carico urbanistico (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 19.02.2008 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA:    P. Verderosa, Stagionalità e precarietà delle opere (con specificità riferita alla Regione Puglia) (link a http://appinter.csm.it).

EDILIZIA PRIVATA: D. Foderini, Opere precarie ma con limitazioni (link a http://vetrina.ilsole24ore.com/consulenteimmobiliare).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatti precari (ricovero animali).
La nozione di precarietà non si incentra sulla natura dei materiali usati o sulla loro facile rimozione, ma deve essere parametrata alle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare; pertanto, non può definirsi precaria la costruzione di un manufatto utilizzato per ricovero di animali che comporta una stabilità dell’insediamento ed è indicativa di un impegno effettivo e durevole del territorio (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.12.2007 n. 45247 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAIllecito edilizio - Considerazione dell'amovibilità del manufatto ai fini della qualificazione dell'illiceità dell'opera - Non rileva - Destinazione oggettiva - Rileva.
Non è la maggiore o minore amovibilità delle parti che compongono un manufatto a determinarne la precarietà, ma la sua oggettiva destinazione.
Conseguentemente, legittimo l'ordine di riduzione in pristino ogni qual volta l'opera realizzata in assenza di titolo sia chiaramente suscettibili di un'utilizzazione perdurante nel tempo, non potendosi in detta ipotesi considerare temporanea, precaria o irrilevante l'alterazione del territorio (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 23.10.2007 n. 913 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARelativamente alle opere precarie non rileva il carattere provvisorio della struttura, in quanto in materia edilizia ciò che rileva è l’oggettiva idoneità del manufatto ad incidere sullo stato dei luoghi a prescindere dall’intenzione del proprietario in ordine alla sua utilizzabilità, sicché, come ha chiarito la giurisprudenza, la precarietà va esclusa ogni qualvolta l'opera sia destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine, in relazione all'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale del manufatto.
Il collegio rileva che il titolo necessario per l’esercizio dell’attività edilizia dipende dalla idoneità o meno delle opere a realizzare la trasformazione permanente del territorio dalla quale l'art. 1 della L. n. 10/1977 fa discendere la necessità della concessione edilizia.
Nel caso di specie i manufatti, come risulta dal provvedimento impugnato e riconosciuto dalla stessa ricorrente, anche se non di grande dimensione, sono idonei a modificare il territorio in modo permanente e non possono essere configurati come pertinenza ai sensi dell’ art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito con modificazioni nella l. 25.03.1982 n. 94, in quanto la nozione urbanistica di pertinenza e' assai più ristretta di quella prevista dall'art. 817 del codice civile ed è configurabile solo quando l’opera non abbia un consistente ed autonomo impatto sul territorio (si veda in proposito la sentenza del Consiglio Stato sez. V, 23.03.2000, n. 1600).
Né rileva il carattere provvisorio della struttura, in quanto in materia edilizia ciò che rileva è l’oggettiva idoneità del manufatto ad incidere sullo stato dei luoghi a prescindere dall’intenzione del proprietario in ordine alla sua utilizzabilità, sicché, come ha chiarito la giurisprudenza, la precarietà va esclusa ogni qualvolta l'opera sia destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine, in relazione all'obiettiva ed intrinseca destinazione naturale del manufatto ( Consiglio Stato sez. V, 15.06.2000, n. 3321) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 11.10.2007 n. 2286 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Cd. opere precarie, funzionali - Disciplina - Artt. 3 e 10 del d.p.r. 380/2001.
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del d.p.r. 380/2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. Tanto, però, deve ritenersi necessario solo in riferimento alle ipotesi di trasformazioni potenzialmente durevoli e non già nel caso di costruzioni provvisorie. Restano, invece, sottratte al regime autorizzatorio le opere cd. precarie, funzionali cioè ad esigenze contingenti e temporalmente circoscritte, cessate le quali sono destinate ad essere rimosse.
P.R.G. - Deroga allo strumento urbanistico - Clausola di “precarieta” di un’opera - Esclusione - Profilo cd. Funzionale - Oggettiva destinazione impressa al manufatto - Permesso di costruire.
E’ escluso dall’ordinamento la possibilità di apporre una clausola di “precarieta” ad un titolo autorizzatorio operante in deroga allo strumento urbanistico vigente ed alle sue previsioni. Diversamente opinando, anche la realizzazione di un consistente fabbricato potrebbe paradossalmente ottenere la qualificazione di opera precaria per il solo fatto che il relativo titolo di legittimazione venga rilasciato sotto l’irrituale condizione di un successivo riesame da condurre alla stregua dell’esito (peraltro del tutto incerto) del procedimento di approvazione di uno strumento urbanistico in itinere. Sicché, neppure valgono, a reggere il permesso di costruire oggetto di gravame le prescrizioni -ancorché favorevoli- del P.R.G. in itinere.
Opere precarie - Requisito della temporaneità - Criterio oggettivo - Fini specifici e cronologicamente delimitabili - Giurisprudenza.
In tema di opere precarie, il requisito della temporaneità va apprezzato con criterio oggettivo avuto riguardo all’oggetto della costruzione nei suoi obiettivi dati tecnici e deve, dunque, ricollegarsi alla sua destinazione materiale, che ne evidenzi un uso realmente precario o temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitabili (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 24.02.2003, n. 986; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5828 del 30.10.2000; Consiglio Stato, sez. V, 24.02.1996, n. 226; CdS Sez. V 23.01.1995; Cass. Sez. III 28.01.1997; Cass. Sez. III 04.10.1996) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.04.2007 n. 4217 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Riserva Naturale Regionale di Monterano - costruzioni in precario all'interno di aree protette (Regione Lazio, parere 27.03.2007 n. 25672 di prot.).

EDILIZIA PRIVATAIl carattere di precarietà di una costruzione, ai fini edilizi, non va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere, poi, prontamente rimosso.
Il carattere di precarietà di una costruzione, ai fini edilizi, non va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità dell'opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere, poi, prontamente rimosso (TAR Piemonte, sez. I, 10.05.2006, n. 2073, TAR Campania-Napoli, sez. IV, 16.07.2002, n. 4141; Consiglio Stato, sez. V, 08.04.1999, n. 394; TAR Lazio, sez. II, 17.07.1986, n. 1156) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 22.03.2007 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Posizionamento di struttura in legno munita di ruote per il ricovero di attrezzi - Stabilità nel tempo della collocazione su suolo privato - Necessità di munirsi di titolo edilizio - Sussiste - Ordinanza di demolizione - Legittimità - Sussiste.
E' necessario il rilascio di una concessione edilizia per il deposito di una struttura in legno, dotata di ruote e destinata al ricovero di attrezzi, stabilmente ubicata all'interno di un suolo privato qualora dall'istallazione sia decorso un notevole lasso di tempo, idoneo a determinare una situazione di stabilità tale da qualificare la struttura come vera e propria costruzione edilizia, che pertanto ben può essere oggetto di sanzione demolitoria (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.02.2007 n. 263 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura precaria di una costruzione - Nozione - Destinazione oggettiva della opera - Fattispecie - Reato edilizio - Realizzazione abusiva di una veranda - Demolizione del manufatto.
La natura precaria di una costruzione non dipende dal tipo di materiali usati o dalla tecnica costruttiva o dalla facile rimovibilità della struttura, ma dalla destinazione oggettiva della opera. (Nella specie, è stato ritenuto esistente il reato edilizio ed ordinata la demolizione del manufatto, in relazione all’edificazione abusiva di una veranda, presentata come una struttura volante fatta con un cannucciato ed un telo di limitate dimensioni avente l'unica funzione di riparare dal sole).
Natura precaria di una costruzione - Nozione - Manufatti di assoluta ed evidente precarietà - Permesso di costruire - Necessità - Esclusione.
In materia edilizia, le costruzioni di natura precaria, non necessitino di permesso di costruire i manufatti di assoluta ed evidente precarietà destinati a soddisfare esigenze contingenti, specifiche, cronologicamente delimitate e ad essere rimossi dopo il momentaneo uso (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.01.2007 n. 455 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATASulla precarietà o meno della copertura di una piscina scoperta.
Il progettato intervento -consistente nella realizzazione di una struttura telescopica (a copertura di una piscina) in metallo e vetro, con due lati estremi fissi e con altezza utile media superiore a tre metri– non appare caratterizzato dalla pertinenzialità e temporaneità, requisiti, questi, che varrebbero ad escludere la sua consistenza di “volume”: il carattere precario di una costruzione, invero, non va desunto dalla sua più o meno facile rimovibilità o dalla fissità del suo ancoraggio al suolo, bensì dal fatto che essa sia idonea a soddisfare esigenze transitorie (e non continuative nel tempo, ancorché limitate ad un periodo dell’anno) e sia destinata alla demolizione spontanea quando sia cessato l’uso (giurisprudenza pacifica: cfr. Cass. pen., III, 14.02-12.03.2004 n. 11880; CdS, V, 11.02.2003 n. 696 e, da ultimo, TAR Piemonte, 10.05.2006 n. 2073) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2006 n. 4095 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Apposizione della clausola di precarietà - Conseguenze - Annullamento della concessione - Condizioni.
L’apposizione di una clausola di precarietà in sede di rilascio di una concessione edilizia (clausola peraltro mai richiesta dalla ricorrente) è idonea a costituire motivo di annullamento di una concessione edilizia, solo nel caso in cui sia dimostrato che in assenza di tale clausola l’intervento non era assentibile. In tutti gli altri casi, l’illegittimità della clausola può condurre al massimo alla eliminazione della stessa, ma non dell’intero provvedimento, rispetto al quale la clausola non
costituiva elemento essenziale (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.09.2006 n. 5096 - link a www.ambientelegale.it).

EDILIZIA PRIVATAPer consolidato orientamento giurisprudenziale, il carattere precario di una “costruzione” urbanisticamente rilevante (ai fini dell’esenzione dalla concessione edilizia, ed oggi dal permesso di costruire) non va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, bensì dal fatto che la costruzione appaia ex ante destinata a soddisfare esigenze transitorie e sia destinata alla demolizione spontanea quando ne venga a cessare l’uso.
Conseguentemente, non può riconoscersi il carattere della precarietà ad una struttura che, per quanto destinata ad essere utilizzata in una sola parte dell’anno, sia comunque preordinata ad un uso continuativo in futuro e non ne sia perciò prevista la demolizione al termine dello stesso.

- Considerato che l’oggetto dell’ingiunzione a demolire è costituito dal dehors di un pubblico esercizio, realizzato in struttura metallica e ricoperto da un telo che viene rimosso in inverno, in cui sono stati installati un forno, un bancone con piano di lavoro, un bancone frigo, un angolo bar, una cassa, un servizio igienico ed alcune celle frigo;
- Considerato che il Comune ne ha ingiunto la demolizione sul rilievo che detta struttura non riveste il carattere della precarietà e pertanto necessita della concessione edilizia, nel caso concreto mai richiesta;
- Considerato che, con il primo motivo, il ricorrente sostiene che la struttura in questione avrebbe invece carattere precario, in quanto destinata ad essere utilizzata soltanto nei mesi estivi e suscettibile di facile rimozione, e quindi sarebbe soggetta al regime autorizzatorio di cui all’art. 56, lett. c), L.R. 05.12.1977, n. 56;
- Ritenuto che la censura deve essere disattesa, in quanto, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il carattere precario di una “costruzione” urbanisticamente rilevante (ai fini dell’esenzione dalla concessione edilizia, ed oggi dal permesso di costruire) non va desunto dalla eventualmente facile e rapida rimovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, bensì dal fatto che la costruzione appaia ex ante destinata a soddisfare esigenze transitorie e sia destinata alla demolizione spontanea quando ne venga a cessare l’uso (Cons. St., V, 12.03.1996, n. 247; Cons. St., IV, 02.04.1996, n. 440);
- Ritenuto che, alla luce di tale principio, non può riconoscersi il carattere della precarietà ad una struttura che, per quanto destinata ad essere utilizzata in una sola parte dell’anno, sia comunque preordinata ad un uso continuativo in futuro e non ne sia perciò prevista la demolizione al termine dello stesso
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 16.05.2006 n. 2073 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna serra, quando consiste in un manufatto infisso al suolo, benché abbia carattere di relativa mobilità, rientra nel concetto di opera di fabbricazione, avendo attitudine a permanere nel tempo ed a influire sulla razionale sistemazione del territorio, così che essa necessita della preventiva concessione edilizia.
Secondo la giurisprudenza, la costruzione di una serra che, pur costituita da strutture agevolmente rimovibili, sia destinata a far fronte ad esigenze continuative connesse a coltivazioni ortofrutticole, in quanto destinata ad alterare in modo duraturo l’effetto urbanistico–territoriale, è soggetta al previo rilascio della concessione edilizia (C.d.S., sez. V, 08.06.2000, n. 3247); è stato, d’altra parte, chiarito che una serra, quando consiste in un manufatto infisso al suolo, benché abbia carattere di relativa mobilità, rientra nel concetto di opera di fabbricazione, avendo attitudine a permanere nel tempo ed a influire sulla razionale sistemazione del territorio, così che essa necessita della preventiva concessione edilizia (C.d.S., sez. V, 25.11.1988, n. 760), laddove è stata esclusa la necessità del predetto titolo abilitativo solo per l’ipotesi di una serra costruita su un fondo destinato ad uso agricolo, per finalità inerenti esclusivamente alla coltivazione del terreno, fuori dal centro abitato, formata di materiali facilmente amovibili, non infissa stabilmente al suolo o eseguita con opere murarie né collegata con altre opere costruttive edilizie o che abbia dimensioni tali da non incidere negativamente sull’ambiente circostante (C.d.S., sez. V, 14.03.1980, n. 284).
E' del tutto irrilevante (oltre che generico) il fatto che, come si legge nella richiesta di rilascio della concessione edilizia in data 31.07.1984, le predette serre dovessero utilizzate per soli fini agricoli e per la coltivazione di pianti e fiori: infatti, come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza (Cass. Pen., sez. III, 12.05.1981) la serricultura costituisce un sistema protettivo delle piantagioni in grado di creare condizioni agronomiche ottimali per lo sviluppo dei prodotti orto–floricoli, ma l’impianto serra deve essere valutato non già in ragione della sua destinazione e funzione (che, risolvendosi in una mera attività di gestione agricola del suolo, non interessa la disciplina urbanistica), bensì in relazione alla sua struttura e alla sua attitudine a protrarsi nel tempo e a incidere sul territorio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.03.2006 n. 1119 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATA: Sulla precarietà o meno di una serra e conseguente necessità o meno della preventiva concessione edilizia.
La realizzazione di serre può essere sottratta all’ordinario regime edilizio, con la necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire, solo nel caso in cui il sistema adottato per la protezione delle colture sia precario e non preveda metodi stabili di ancoraggio al suolo; diversamente, la realizzazione di serre destinate a far fronte ad esigenze continuative, stabilmente fissate al suolo, e che comunque alterano in modo duraturo l’assetto urbanistico, configura il reato di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.11.2005 n. 46767).

EDILIZIA PRIVATA: PREFABBRICATO E/O CONTAINER - OPERA PRECARIA - ESCLUSIONE.
L'opera è precaria solo se la sua destinazione è transitoria a prescindere dalla tipologia della struttura, dai suoi materiali, dalla infissione al suolo e dai mezzi tecnici utilizzati per assicurare la stabilità al suolo.
Un prefabbricato ultimato ed arredato con finalità abitative e dotato dei collegamenti idrici ed elettrici idonei a garantire la fornitura dei servizi essenziali per l'uso abitativo consente di escludere il carattere precario dell'opera. Appare infatti, evidente che la destinazione della struttura non può ritenersi provvisoria bensì durevole ed adibita in modo continuativo alla finalità residenziale (come si evince dall'arredamento e dagli allacciamenti alle reti idrica ed elettrica), elementi inequivocamente indicativi della intenzionalità di destinare il prefabbricato all'uso abitativo stabile
SUSSISTENZA DEI REATI URBANISTICI ED AMBIENTALI.
Ne discende la sussistenza dei reati urbanistici ed ambientali ascrivibili alla odierna imputata tenuto conto dell'impatto della struttura sull'area soggetta ai vincoli paesistici di inedificabilità assoluta (la zona ricade peraltro nel Parco nazionale del Vesuvio) e della trasformazione permanente dell'ordinato assetto del territorio determinata dalla installazione del prefabbricato idonea ad alterare e modificare lo stato dei luoghi da cui la necessità dell'intervento autorizzatorio della Pubblica Amministrazione
ELIMINAZIONE SPONTANEA DELL'OPERA PRIMA DEL GIUDIZIO.
Non è esclusa la penale responsabilità dalla sopravvenuta eliminazione della struttura. Invero, l'avvenuto ripristino dello stato dei luoghi all'esito dell'accertamento dell'infrazione, è un mero elemento indicativo della condotta positiva dell'imputata da valutarsi favorevolmente in sede di graduazione della pena ma che di per sè non esclude la configurabilità del reato neppure sotto il profilo psicologico del reato (il privato che intende edificare non può infatti ignorare la normativa vigente ed è tenuto ad informarsi sulla necessità o meno di titoli autorizzatori) (TRIBUNALE di Nola, sentenza 17.10.2005 - link a www.iussit.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatto precario.
La natura “precaria” di un manufatto, ai fini dell’esenzione della concessione edilizia (ora, dal permesso di costruire) non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (nella specie, la Corte ha ritenuto corretta e adeguatamente motivata la decisione di merito che aveva escluso il requisito della temporaneità, non ravvisando un uso realmente precario di un manufatto –con struttura in metallo e copertura in materiale plastico, avente le dimensioni di mq. 42,00 x 12,50 per un’altezza di m. 7,50, appoggiato su di un lato a un terrapieno esistente, previa tompagnatura– stabilmente destinato a servizio dell’attività imprenditoriale svolta dall’imputato) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.06.2005 n. 21956 - link a www.collegiogeometri.como.it).

EDILIZIA PRIVATALa maggiore o minore facilità di rimozione non rileva, infatti, ai fini della qualificazione di un’opera edilizia in termini di precarietà.
Neppure assumono una valenza decisiva, in tal senso, la struttura del manufatto abusivo, la sua tipologia o i materiali utilizzati.
Ciò che rileva al fine della qualificazione di un’opera edilizia come precaria è, invece (come affermato dalla giurisprudenza consolidata e condiviso dal Collegio), la funzione cui è obiettivamente finalizzata l’opera, con la conseguenza che solamente le costruzioni destinate ab origine al soddisfacimento di esigenze contingenti e circoscritte nel tempo saranno esenti dall’obbligo della concessione, mentre vi saranno assoggettate le opere destinate ad una utilizzazione perdurante nel tempo.
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La struttura realizzata dal ricorrente, in assenza di titolo autorizzativo e sul balcone dell’alloggio di proprietà, è costituita da un telaio a supporto di pannelli trasparenti scorrevoli; detto telaio delimita completamente il perimetro costituito dal parapetto del balcone ed è ancorato al parapetto medesimo e all’intradosso della soletta sovrastante.
Il manufatto abusivo è stato realizzato all’evidente fine di migliorare la fruizione dell’alloggio, offrendo una protezione dagli agenti atmosferici e ampliando gli spazi utilizzabili.
Esso non è quindi destinato a soddisfare esigenze temporanee, mediante una utilizzazione circoscritta nel tempo, bensì è finalizzato ad un utilizzo tendenzialmente durevole, con obiettivi caratteri di stabilità.
Ne consegue che l’opera edilizia, non connotabile in termini di precarietà, era soggetta al rilascio di concessione edificatoria.
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L’assenza di connotati di precarietà del manufatto, peraltro di non irrilevante impatto visivo, fa sì che la costruzione abbia stabilmente modificato la superficie e la volumetria dell’immobile.
Deve altresì osservarsi come l’opera in questione costituisca sostanzialmente una veranda chiusa con superfici trasparenti, seppure scorrevoli su pannelli mobili, la cui apposizione all’edificio di abitazione ne ha alterato la sagoma, realizzando una trasformazione edilizia duratura che necessitava di concessione edilizia.
Ne consegue che legittimamente il Sindaco di Novara, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione, ne ha disposto la rimozione.

E’ contestata nel presente giudizio la legittimità del provvedimento R.G. n. 2 del 09.01.1998, notificato il successivo 14 gennaio, con il quale il Sindaco di Novara ha ordinato la rimozione della struttura realizzata dal ricorrente, in assenza di titolo autorizzativo, sul balcone dell’alloggio di proprietà (recte: dell’alloggio di cui, all’epoca dei fatti, era promissario acquirente).
Il manufatto abusivo è costituito da un telaio a supporto di pannelli trasparenti scorrevoli; detto telaio delimita completamente il perimetro costituito dal parapetto del balcone ed è ancorato al parapetto medesimo e all’intradosso della soletta sovrastante.
Con l’unico motivo di gravame il ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato dal Comune di Novara, sostenendo che la struttura di cui è stata ordinata la rimozione, “lungi dall’essere fissa ed inamovibile”, è semplicemente fissata al parapetto del balcone mediante tenute di sicurezza, paragonabili ai sostegni utilizzati per l’installazione di tende parasole, e costituirebbe pertanto opera precaria, non soggetta al rilascio di concessione edilizia.
Il motivo è privo di pregio.
La maggiore o minore facilità di rimozione non rileva, infatti, ai fini della qualificazione di un’opera edilizia in termini di precarietà (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 23.01.1995, n. 97 e Cons. Stato, sez. V, 12.11.1996, n. 1317).
Neppure assumono una valenza decisiva, in tal senso, la struttura del manufatto abusivo, la sua tipologia o i materiali utilizzati (cfr. TAR Lombardia, Milano, 17.02.1997, n. 168).
Ciò che rileva al fine della qualificazione di un’opera edilizia come precaria è, invece (come affermato dalla giurisprudenza consolidata e condiviso dal Collegio), la funzione cui è obiettivamente finalizzata l’opera, con la conseguenza che solamente le costruzioni destinate ab origine al soddisfacimento di esigenze contingenti e circoscritte nel tempo saranno esenti dall’obbligo della concessione, mentre vi saranno assoggettate le opere destinate ad una utilizzazione perdurante nel tempo (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 24.02.1996, n. 226).
Nel caso in esame, il manufatto abusivo è stato realizzato all’evidente fine di migliorare la fruizione dell’alloggio, offrendo una protezione dagli agenti atmosferici e ampliando gli spazi utilizzabili.
Esso non è quindi destinato a soddisfare esigenze temporanee, mediante una utilizzazione circoscritta nel tempo, bensì è finalizzato ad un utilizzo tendenzialmente durevole, con obiettivi caratteri di stabilità.
Ne consegue che l’opera edilizia, non connotabile in termini di precarietà, era soggetta al rilascio di concessione edificatoria.
Il ricorrente sostiene, in secondo luogo, che la realizzazione della struttura abusiva, proprio in ragione della sua “assoluta rimovibilità”, non avrebbe comportato la modifica delle metrature dell’alloggio e del suo perimetro.
Anche questa affermazione è destituita di fondamento.
Come già rilevato al punto precedente, infatti, l’assenza di connotati di precarietà del manufatto, peraltro di non irrilevante impatto visivo, fa sì che la costruzione abbia stabilmente modificato la superficie e la volumetria dell’immobile.
Deve altresì osservarsi come l’opera in questione costituisca sostanzialmente una veranda chiusa con superfici trasparenti, seppure scorrevoli su pannelli mobili, la cui apposizione all’edificio di abitazione ne ha alterato la sagoma, realizzando una trasformazione edilizia duratura che necessitava di concessione edilizia.
Ne consegue che legittimamente il Sindaco di Novara, accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione, ne ha disposto la rimozione, ai sensi dell’articolo 7 della legge 28.02.1985, n. 47 e dell’articolo 64 della legge regionale Piemonte 05.12.1977, n. 56 (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 26.04.2005 n. 1136 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: COSTRUZIONE EDILIZIA - Opere necessitanti il permesso di costruire - Manufatti con carattere precario - Individuazione.
In materia edilizia richiedono il rilascio del permesso di costruire non soltanto i manufatti tradizionalmente ricompresi nelle attività murarie, ma anche le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo e nel suolo, indipendentemente dal mezzo tecnico con il quale è stata assicurata la stabilità del manufatto, che può anche essere soltanto infisso o appoggiato al suolo, atteso che la stabilità non va confusa con la non rimovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad esso assegnata, estrinsecandosi nella oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.03.2005 n. 14044).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATA: Manufatto precario - Nozione - Requisiti - Individuazione - Uso precario e temporaneo - Fini specifici, contingenti e limitati nel tempo - Fattispecie: casa in legno in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
In materia edilizia, la natura "precaria" di un manufatto -(Cass., Sez. 3^: 12.07.1995, ric. Bottai; 02.07.1996, ric. De Marco; 04.10.1996, ric. Di Meo; 28.01.1997, ric. Arcucci; 20.06.1997, ric. Stile; 18.02.1999, ric. Bortolotti)- ai fini dell'esenzione dalla concessione edilizia (oggi permesso di costruire), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione subiettivamente data all'opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non risultando peraltro sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo (nello stesso senso Consiglio di Stato, Sez. 5^: 23.01.1995, n. 97 e 15.06.2000, n. 3321) (fattispecie: casa in legno (mq. 8,62 x 8,10), in corso di costruzione, su platea in cemento, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 27.09.2004 n. 37992 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di impianti destinati a serre, sono applicabili i criteri che individuano nella materiale fissazione al suolo il discrimine in ordine alla necessità o meno della concessione edilizia.
Quest’ultima si rende quindi necessaria per le serre stabilmente ancorate al terreno, mediante basamenti in metallo od altro materiale stabile, ma non per quelle la cui struttura ha carattere precario.

La giurisprudenza distingue la natura concretamente asportabile o meno di un manufatto, facendo particolare affidamento sulla sua destinazione abitativa. Così si sono posti i casi delle roulotte o degli alloggiamenti per chi lavora in un cantiere, e tali fattispecie sono state risolte nel senso indicato dalla motivazione del provvedimento impugnato, richiamando la nozione di concreta attuabilità della rimozione del bene.
Tale parametro di giudizio non è però adottabile in tutti i casi in cui si tratta di un manufatto non adibito all’uso abitativo.
Il carico urbanistico che può derivare da un impianto come è quello di cui si tratta non è comparabile con quanto risulta dalla stabile destinazione di un fondo all’abitazione, al commercio od all’industria. Nella specie ci si deve rifare ai criteri stabiliti dalla leggi statali e da quella regionale, che individuano nella materiale fissazione al suolo il discrimine tra il manufatto che necessita della concessione e quello realizzabile con altri titoli.
Il giudice ben conosce la propria giurisprudenza, che in altre occasioni aveva utilizzato la nozione di rimuovibilità del manufatto, argomentando dalla concreta utilizzazione del bene, e non già dalla sua consistenza fisica. Tuttavia va notato che le serre che l’interessato ha impiantato nel terreno posto in fregio alla cinta cimiteriale di Avigliana sono del tipo infisso al suolo, ma solo a mezzo di un corpo metallico curvato ed infisso nel terreno: gli atti di causa non hanno evidenziato alcuna traccia di basamenti di cemento od altro materiale stabile.
Non v’è peraltro alcuna prova della stabilità dell’impianto disposto dall’interessato, a proposito del quale deve osservarsi che il presente giudizio riguardo solo la compatibilità delle serre con le norme urbanistiche, senza che possa venire in considerazioni l’aspetto commerciale; un’eventuale iniziativa della p.a. in tal senso potrà essere assunta nei modi più idonei, che non sono quelli adottati in questa sede.
Ne consegue la fondatezza della prospettazione del motivo in rassegna, secondo cui l’amministrazione non ha fatto corretta applicazione dei principi denunciati, che richiedono la concessione solo per le serre che sono stabilmente ancorate al terreno, ovvero allorché ci sia la prova che il precario manufatto ha avuto una destinazione stabile ad opera del proprietario (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.02.2003 n. 194 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è costruzione precaria la realizzazione di una veranda preordinata a soddisfare esigenze non contingenti o di breve termine.
Costituisce nuova costruzione, o ampliamento della costruzione esistente, la veranda in questione, in quanto, sotto il profilo strutturale, è stabilmente infissa al suolo, con profondità dalla parete esterna al pilastro di sostegno di mt. 5,20, con dimensioni planimetriche di mt. 7,15 x 5,07 e con un’altezza nella parte superiore di mt. 2,85 e nella parte inferiore di mt. 2,80; e, sotto il profilo funzionale, è preordinata a soddisfare la non precaria esigenza del titolare di un pubblico esercizio (Cons. Stato, sez. V, 20.03.2000, n. 1507 e 07.10.1996, n. 1194; Cass. pen., sez. III, 12.05.1995, n. 1758 e 06.04.1988) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.01.2003 n. 419 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATA: Sulla precarietà o meno di una serra e conseguente necessità o meno della preventiva concessione edilizia.
La realizzazione di un impianto di serre per floricoltura stabilmente ancorate al suolo costituisce modificazione apprezzabile del territorio, tale da richiedere il preventivo rilascio della concessione edilizia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.05.2002 n. 33158).

EDILIZIA PRIVATA: Sugli interventi edilizi "precari" e loro correlazione con ambiti territoriali vincolati (link a www.sistemieditoriali.it).

anno 2001

EDILIZIA PRIVATA Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Concessione edilizia "a titolo precario" - Illegittimità.
E’ illegittimo il rilascio di una concessione edilizia "a titolo precario" (nella specie, per l’installazione di una stazione radio-base per la telefonia cellulare), nel caso in cui la precarietà della concessione appaia elemento essenziale all’atto e non possa configurarsi alla stregua di un mero elemento accidentale, atteso che il rilascio di concessioni edilizie a titolo precario non appare riconducibile ad alcuna specifica disposizione normativa (TAR Veneto, Sez. II, sentenze 18.06.2001 nn. 1587-1588 - link a www.lexitalia.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATA: L. Ramacci, INTERVENTI PRECARI E VINCOLO PAESAGGISTICO (link a www.tuttoambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione - Necessità - Precarietà del manufatto - Esclusione - Presupposti.
La precarietà di un manufatto, tale per cui la sua realizzazione non necessiterebbe di concessione edilizia, non dipende dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso cui è destinato sicché la stessa precarietà va esclusa allorché si tratti di un manufatto destinato a dare un'utilità prolungata nel tempo e ciò indipendentemente dalla sua eventuale rimozione (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 21.11.2000 n. 2346 - link a www.sentenzetoscane.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione - Necessità - Precarietà del manufatto - Esclusione - Presupposti.
1. - La precarietà di un manufatto, tale per cui la sua realizzazione non necessiterebbe di concessione edilizia, non dipende dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso cui è destinato sicché la stessa precarietà va esclusa allorché si tratti di un manufatto destinato a dare un'utilità prolungata nel tempo e ciò indipendentemente dalla sua eventuale rimozione.
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1. - Conforme Corte di Cassazione, Sezione III penale, 12.07-19.10.1999 n. 11839, in Rass. Cons. Stato, 2000, parte II, pag. 989 (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 21.11.2000 n. 2346 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' legittima l'ingiunzione a demolire relativa a un container installato senza concessione edilizia su terreno agricolo, non infisso al suolo, e destinato a deposito di attrezzi.
Affinché un manufatto possa ritenersi precario, e quindi esentato dalla concessione edilizia, assume rilievo l'uso a cui è destinato e non il materiale utilizzato o il sistema di ancoraggio al suolo.
La precarietà è esclusa ove trattasi di struttura destinata a dare un'utilità permanente nel tempo.
Non assume rilievo la provvisorietà della destinazione data dal proprietario, la quale va invece valutata alla luce della sua obiettiva e intrinseca destinazione naturale.
L'installazione non meramente occasione di un prefabbricato (nel caso di specie un container) comporta alterazione dello stato dei luoghi e incide sull'assetto urbanistico-edilizio del territorio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.06.2000 n. 3321 - link a www.bosettiegatti.it).

EDILIZIA PRIVATAE’ soggetta al previo rilascio della concessione edilizia l’installazione di una serra che, pur costituita da strutture agevolmente rimuovibili, è destinata a far fronte ad esigenze continuative connesse a coltivazioni ortofrutticole, essendo ciò destinato ad alterare in modo duraturo l’effetto urbanistico-territoriale.
Il giudice di primo grado ha rettamente osservato che dagli atti (e dalla documentazione fotografica) acquista al giudizio risulta che le serre in questione, costituite da tubi ed intelaiature metalliche su cui vengono stesi teloni di plastica, formano, ciascune, strutture larghe metri 7 ed alte metri 4,30 sviluppantesi in lunghezza per parecchie decine di metri, a forma di tunnel.
Dette intelaiature sono interrate e tenute saldamente insieme con sbarre trasversali e danno luogo e strutture, che, sebbene agevolmente rimmovibili, sono destinate a far fronte ad esigenze continuative connesse a coltivazioni ortofrutticole, come è dimostrato dal posto che l’intero complesso metallico portante resta fisso, venendo nella stagione estiva solo sostituita le coperture in plastica con reti a velo (per la protezione da insetti e uccelli).
Le serre in questione costituiscono dunque strutture di rilevante consistenza destinate ad alterare in modo duraturo l’assetto urbanistico-ambientale.
Tanto basta per ritenere tale struttura comportano una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, che, in quanto tale, necessita della concessione edilizia ai sensi dell’art. 1 della legge 28.01.1977 n. 10 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.06.2000 n. 3247 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul rilascio della concessione edilizia con la clausola di "manufatto precario".
Le condizioni e le prescrizioni apposte alle concessioni e alle autorizzazioni edilizie non possono derogare dalle previsioni della disciplina urbanistica.
In particolare, apporre (o imporre) al provvedimento la clausola che si tratti di manufatto "precario", non consente di superare la disciplina urbanistica vigente, il contrasto con la quale non è ammesso nemmeno in caso di supposta (o imposta) precarietà (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 20.03.2000 n. 1507 - link a www.bosettiegatti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla precarietà o meno di una serra e conseguente necessità o meno della preventiva concessione edilizia.
Le serre, allorquando in tutto o in parte siano strutturalmente e stabilmente inserite al suolo, apportando modificazioni all’assetto del territorio, sono soggette a controllo urbanistico nella forma della concessione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.01.2000 n. 22).

anno 1994

EDILIZIA PRIVATA: Risposta a quesiti in merito individuazione categoria opere precarie e relativo regime urbanistico-edilizio (parere 23.11.1994 n. 30070/94 di prot.- link a www.provincia.ps.it).
Rispetto al tema della sussistenza del requisito della precarietà di un manufatto edilizio, requisito che comporta l’inesistenza dell’obbligo del preventivo rilascio della concessione, l’orientamento della giurisprudenza è particolarmente rigoroso (cfr.Pret. Lucca, 07.12.1988, in Riv. giur. edilizia, 1989, I, 458; Pret. Buccino, 06.06.1989, in Riv. pen., 1990, 583; App. Trento, 24.02.1989, in Riv. pen., 1989, 1199; Cass., sez. III, 02.07.1987, in Giust. pen.,1988, II, 346; Cass., sez. III, 09.10.1987, in Riv. giur. edilizia, 1989, I, 437; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 20.08.1990, n.531, in TAR, 1990, I, 3679; TAR Lazio, sez. II, 03.10.1990, n. 1725, in TAR, 1990, I, 3761; TAR Abruzzo, sez. L’Aquila, 20.12.1990, n. 649, in TAR, 1991, I, 627; Cons. Stato, sez. V, 21.05.1982, n. 424; Cons. Stato, sez. V, 05.05.1988, n. 275, in Foro amm.vo., 1988, 1371); in particolare la prevalente giurisprudenza ritiene che per la sussistenza del suddetto requisito non sia sufficiente che si tratti di manufatti smontabili e non infissi al suolo (criterio strutturale), ma sia necessario altresì che l’opera, valutata alla luce della sua oggettiva ed intrinseca destinazione naturale, sia oggettivamente destinata ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitati (criterio funzionale di tipo oggettivo). Ne consegue che ai fini della qualificazione di un’opera come precaria e provvisoria, non rileva la temporaneità della destinazione subiettivamente data all’opera dal costruttore (ad esempio non è sufficiente che il costruttore si dichiari disposto a rimuovere ad una certa data quanto realizzato), mentre la facilità della sua futura demolizione o rimovibilità non è elemento di per sé sufficiente, andando riconosciuto alla consistenza e alla struttura materiale del manufatto, unicamente il valore di "indici" significativi, ma non necessariamente decisivi.
L’istituto della concessione "in precario", ignorato dall’ordinamento vigente, è tuttavia emerso nella prassi amministrativa dei Comuni ed è stato valutato in modo assai differenziato dalla giurisprudenza. In una pronuncia del TAR Lazio del 25.05.1985, n.1488 (in TAR, 1985, I, 2084) è stato ritenuto "che con la concessione edilizia munita della clausola di precarietà può essere consentita l’edificazione a titolo transeunte, al fine di sopperire ad esigenze immediate anche nel caso di incompatibilità dell’insediamento autorizzato con le previsioni dello strumento urbanistico vigente o in itinere ed in attesa che la zona riceva la propria definitiva sistemazione in armonia con le previsioni di piano. Il titolare dell’anzidetto atto permissivo è pertanto autorizzato a realizzare l’opera ed a conservarla finché permanga la situazione transitoria che diede origine alla concessione e cioè fino a quando l’insediamento non si ponga in concreto ed immediato ostacolo con l’attuazione di quelle previsioni di piano la cui esistenza giustificò l’apposizione della clausola di precarietà".
Viceversa nel senso dell’inammissibilità sul piano giuridico dell’istituto della concessione "in precario", vanno segnalate, e sono altresì condivise sul punto dallo scrivente servizio, sia la pronuncia n. 222 del TAR Puglia, sez. Bari, 28.05.1984 (in TAR, I, 1984, 2839), secondo cui la tipicità del provvedimento di rilascio di concessione edilizia, caratterizzato dalla durata ed irrevocabilità dell’atto concessivo, esclude la possibilità per l’Amministrazione comunale di considerare sanata una situazione di palese abuso edilizio, sulla base del solo impegno dei costruttori di rimuovere in futuro i manufatti contrastanti con le indicazioni di piano regolatore generale, su richiesta dello stesso Comune e preavviso di un mese; sia la pronuncia n. 280 del Consiglio di Stato, sez.V, 18.03.1991 (in Riv. giur. edil., I, 1991, 620), secondo la quale è da considerare illegittimo il rilascio di concessioni edilizie "precarie" in quanto le norme urbanistiche prevedono un solo tipo di provvedimento che abilita a costruire, legato a determinati presupposti, e in particolare "nelle varie fattispecie di esercizio dello jus aedificandi del privato, i casi sono due: o i presupposti necessitanti il rilascio del provvedimento che abilita a costruire non ricorrono, e allora l’opera è esente dal controllo pubblico, oppure essi ricorrono, e allora la licenza (ora concessione) edilizia tipica è indefettibilmente necessaria e non surrogabile da un atipico provvedimento di carattere provvisorio".