dossier VERIFICA IN
ISTRUTTORIA DEI LIMITI PRIVATISTICI AL RILASCIO DEL P.d.C. (Permesso di Costruire) |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: In
sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il
Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o
immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da
parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti
medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima
dei rapporti civilistici, sicché l’amministrazione normalmente non è tenuta
a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria,
salvo che sia manifestamente riconoscibile l’effettiva insussistenza della
piena disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio in
relazione al tipo di intervento richiesto.
L’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà e rigore”,
e “la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando
l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione,
quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del
richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini
istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però
sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla
competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente
non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili”.
---------------
2. Con riferimento al primo motivo occorre precisare che, per quanto
riguarda i controlli che competono all’amministrazione, secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (da ultimo TAR
Lombardia, Milano, II, 23/12/2019 n. 2728; TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
21.01.2019 n. 70), in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio
sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte
dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati,
di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad
un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici, sicché
l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari
in presenza di una richiesta edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza della piena disponibilità del bene
oggetto dell’intervento edificatorio in relazione al tipo di intervento
richiesto (Consiglio di Stato, sez. VI – 05/04/2018 n. 2121); l’accertamento
demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà e rigore”, e “la
più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l'indirizzo più
risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a
conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il
titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per
verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a
valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza
dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in
grado di fornire elementi prima facie attendibili” (Consiglio di Stato,
sez. IV – 20/04/2018 n. 2397).
Nel caso di specie nessuna contestazione in merito alla legittimità dei
lavori ed alla legittimazione attiva della società controinteressata è stata
mai sollevata dai ricorrenti prima del ricorso, con la conseguenza che deve
escludersi che il Comune dovesse effettuare ulteriori indagini. A ciò si
aggiunge che gli atti notarili forniti dalla controinteressata costituivano
elementi prima facie attendibili in merito alla legittimazione a
chiedere il permesso in sanatoria
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.01.2020 n. 117 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Per quanto riguarda i controlli
che competono all’amministrazione, secondo
il consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa, in sede di
rilascio del titolo abilitativo edilizio
sussiste l’obbligo per il Comune di
verificare il rispetto da parte dell’istante
dei limiti privatistici, a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti
o immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti
civilistici, sicché l’amministrazione
normalmente non è tenuta a svolgere indagini
particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza
della piena disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio in relazione al
tipo di intervento richiesto;
L’accertamento demandato all’Ente locale va
compiuto con “serietà e rigore”, e “la più
recente giurisprudenza del Consiglio di
Stato, superando l'indirizzo più risalente,
è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza
dell'esistenza di contestazioni sul diritto
del richiedente il titolo abilitativo, debba
compiere le necessarie indagini istruttorie
per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a
valutazioni squisitamente civilistiche (che
appartengono alla competenza dell’A.G.O.),
arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi prima facie attendibili”.
---------------
2. Con riferimento al primo motivo
occorre precisare che, per quanto riguarda i
controlli che competono all’amministrazione,
secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa (da ultimo TAR
Lombardia, Milano, II, 23/12/2019 n. 2728;
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, 21.01.2019 n.
70), in sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per
il Comune di verificare il rispetto da parte
dell’istante dei limiti privatistici, a
condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili e/o non contestati, di modo che
il controllo da parte dell’Ente locale si
traduca in una semplice presa d’atto dei
limiti medesimi senza necessità di procedere
ad un’accurata e approfondita disanima dei
rapporti civilistici, sicché
l’amministrazione normalmente non è tenuta a
svolgere indagini particolari in presenza di
una richiesta edificatoria, salvo che sia
manifestamente riconoscibile l’effettiva
insussistenza della piena disponibilità del
bene oggetto dell’intervento edificatorio in
relazione al tipo di intervento richiesto
(Consiglio di Stato, sez. VI – 05/04/2018 n.
2121); l’accertamento demandato all’Ente
locale va compiuto con “serietà e rigore”,
e “la più recente giurisprudenza del
Consiglio di Stato, superando l'indirizzo
più risalente, è oggi allineata nel senso
che l'Amministrazione, quando venga a
conoscenza dell'esistenza di contestazioni
sul diritto del richiedente il titolo
abilitativo, debba compiere le necessarie
indagini istruttorie per verificare la
fondatezza delle contestazioni, senza però
sostituirsi a valutazioni squisitamente
civilistiche (che appartengono alla
competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal
procedere solo se il richiedente non sia in
grado di fornire elementi prima facie
attendibili” (Consiglio di Stato, sez.
IV – 20/04/2018 n. 2397).
Nel caso di specie nessuna contestazione in
merito alla legittimità dei lavori ed alla
legittimazione attiva della società
controinteressata è stata mai sollevata dai
ricorrenti prima del ricorso, con la
conseguenza che deve escludersi che il
Comune dovesse effettuare ulteriori
indagini.
A ciò si aggiunge che gli atti notarili
forniti dalla controinteressata costituivano
elementi prima facie attendibili in
merito alla legittimazione a chiedere il
permesso in sanatoria (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 20.01.2020 n. 117 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione
alla richiesta del permesso di costruire e
controlli che competono al Comune.
In materia di sanatoria degli abusi edilizi
la normativa di riferimento (art. 36 d.P.R.
n. 380/2001) ammette la proposizione
dell’istanza da parte non solo del
proprietario ma anche del “responsabile
dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo
stesso esecutore materiale ovvero chi abbia
la disponibilità del bene al momento
dell’emissione della misura repressiva, e
quindi vi è una relativamente maggiore
ampiezza della legittimazione a richiedere
la sanatoria.
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La domanda volta al
rilascio del permesso di costruire (inclusa
quello in sanatoria) può essere presentata
anche da persona diversa dal proprietario,
purché il richiedente abbia titolo a
disporre del suolo e vi sia la materiale
disponibilità dell'area da parte
dell'istante, anche se persona diversa dal
proprietario, per cui è legittimato anche un
soggetto, come il conduttore, che si trovi
rispetto al bene immobile in un rapporto
qualificato.
Deve quindi escludersi che il
titolare di un diritto di servitù non abbia
la legittimazione a chiedere il rilascio di
un permesso di costruire per lavori da
eseguire sul fondo servente, ponendosi
esclusivamente un problema di limiti, cioè
del rispetto dell’art. 1069 c.c. secondo il
quale il proprietario del fondo dominante
può effettuare sul fondo servente le sole
opere necessarie per conservare la servitù.
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Per quanto riguarda poi i controlli che
competono all’amministrazione in sede di
rilascio del titolo abilitativo edilizio,
sussiste l’obbligo per il Comune di
verificare il rispetto da parte dell’istante
dei limiti privatistici, a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti
o immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti
civilistici, sicché l’amministrazione
normalmente non è tenuta a svolgere indagini
particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza
della piena disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio in relazione al
tipo di intervento richiesto.
L’accertamento
demandato all’Ente locale va compiuto con
“serietà e rigore” e la più recente
giurisprudenza, superando l'indirizzo più
risalente, è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza
dell'esistenza di contestazioni sul diritto
del richiedente il titolo abilitativo, debba
compiere le necessarie indagini istruttorie
per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a
valutazioni squisitamente civilistiche (che
appartengono alla competenza dell’A.G.O.),
arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi prima facie attendibili.
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2. Venendo al merito, il primo motivo
di ricorso è infondato.
In materia di sanatoria degli abusi edilizi
la normativa di riferimento (art. 36 d.P.R.
n. 380/2001) ammette la proposizione
dell’istanza da parte non solo del
proprietario ma anche del “responsabile
dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo
stesso esecutore materiale ovvero chi abbia
la disponibilità del bene al momento
dell’emissione della misura repressiva, e
quindi vi è una relativamente maggiore
ampiezza della legittimazione a richiedere
la sanatoria (v., tra le altre, Cons. Stato,
Sez. VI, 26.01.2015 n. 316; in tal
senso TAR Lombardia, Milano, II, 18/06/2019
n. 1405).
In ogni caso la giurisprudenza (C.G.A.R.S.
09/07/2018 n. 395) afferma che la domanda
volta al rilascio della concessione edilizia
(inclusa quella in sanatoria) può essere
presentata anche da persona diversa dal
proprietario, purché il richiedente abbia
titolo a disporre del suolo e vi sia la
materiale disponibilità dell'area da parte
dell'istante, anche se persona diversa dal
proprietario, per cui è legittimato anche un
soggetto, come il conduttore, che si trovi
rispetto al bene immobile in un rapporto
qualificato (tra le altre, Cons. Stato, sez.
VI, 15.07.2010, n. 4557).
Deve quindi escludersi che il titolare di un
diritto di servitù non abbia la
legittimazione a chiedere il rilascio di un
permesso di costruire per lavori da eseguire
sul fondo servente, ponendosi esclusivamente
un problema di limiti, cioè del rispetto
dell’art. 1069 c.c. secondo il quale il
proprietario del fondo dominante può
effettuare sul fondo servente le sole opere
necessarie per conservare la servitù.
Per quanto riguarda poi i controlli che
competono all’amministrazione, secondo il
consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa (da ultimo TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza
21.01.2019 n. 70), in sede di rilascio del
titolo abilitativo edilizio sussiste
l’obbligo per il Comune di verificare il
rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti
siano effettivamente conosciuti o
immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti
civilistici, sicché l’amministrazione
normalmente non è tenuta a svolgere indagini
particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza
della piena disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio in relazione al
tipo di intervento richiesto (Consiglio di
Stato, sez. VI – 05/04/2018 n. 2121);
l’accertamento demandato all’Ente locale va
compiuto con “serietà e rigore”, e “la più
recente giurisprudenza del Consiglio di
Stato, superando l'indirizzo più risalente,
è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza
dell'esistenza di contestazioni sul diritto
del richiedente il titolo abilitativo, debba
compiere le necessarie indagini istruttorie
per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a
valutazioni squisitamente civilistiche (che
appartengono alla competenza dell’A.G.O.),
arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi prima facie attendibili” (Consiglio
di Stato, sez. IV – 20/04/2018 n. 2397).
Nel caso di specie il Comune ha accertato
che “la richiedente ha titolo per chiedere
il suddetto permesso in qualità di
proprietaria del mappale distinto col Fg. 33
n. 228 e di comproprietaria del fabbricato
distinto col Fg. 33 n. 22, come risulta
dalla documentazione agli atti” e che “il mappale distinto col Fg. 33 n. 21 è gravato
da servitù di passo a favore del fabbricato
distinto col Fg. 33 mappali nn. 22 e 247”.
Gli elementi in suo possesso, cioè la
dichiarazione dell’esistenza della servitù
di passo da parte dell’usufruttuario del
fondo gravato e i dati fotografici in
possesso dell’amministrazione costituiscono
elementi prima facie attendibili, che
giustificano il rilascio del suddetto
titolo.
Non tocca infatti al Comune accertare
l’estensione della suddetta servitù ed il
suo eventuale aggravio, soprattutto alla
luce del fatto che essa non è di fonte
scritta e quindi di pronto e facile
accertamento e del fatto che le differenze
dimensionali tra la situazione precedente e
quella successiva alle opere non risultano
facilmente percepibili dal corredo
fotografico delle parti, come d’altronde
confermato anche dal CTU nella causa civile,
il quale ha affermato che “sulla base della
documentazione contenuta in atti, non è
possibile infatti definire le consistenze
della soletta prima dell’esecuzione delle
opere, le foto non permettono di poter
determinare metricamente la situazione quo
ante” (citazione tratta dalla sentenza della
Corte d’Appello di Milano, sentenza n.
1886/2019).
Ne consegue che neppure la
previa contestazione in merito all’avvenuto
ampliamento della servitù mediante
usucapione, inviata dalla nuda proprietaria
in contrasto con quanto affermato
dall’usufruttuario dello stesso fondo e
priva di elementi oggettivi chiari, può
costituire valida causa di diniego di
rilascio del permesso di costruire in
sanatoria richiesto dall’autore dell’abuso.
A ciò si aggiunge che in entrambi i gradi
del giudizio civile instaurato dall’altro
nudo comproprietario -OMISSIS- -OMISSIS- il
giudice civile, con riferimento alla
realizzazione del muro di sostegno e della
rampa di accesso, ha accertato che
rientravano nelle opere di conservazione
della servitù (v. sentenza della Corte
d’Appello n. 1886/19 pag. 10)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.12.2019 n. 2728 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini del rilascio di un titolo abitativo
edilizio, il Comune è obbligato a verificare il rispetto dei
limiti privatistici solo a condizione che essi siano
agevolmente conoscibili ovvero effettivamente conosciuti e
non contestati.
In altre parole, in conformità all’interpretazione
maggioritaria dell’art. 11 DPR 380/2001, la verifica del
comune in ordine al rispetto della disciplina privatistica
deve essere circoscritta a quei limiti “agevolmente
conoscibili ovvero effettivamente conosciuti e non
contestati”.
Infatti, non è concretamente esigibile un approfondimento da
parte del comune di ogni singolo aspetto privatistico
relativo ai rapporti tra condomini e di vicinato
astrattamente idoneo a riflettersi sulla legittimazione del
richiedente il titolo edilizio.
---------------
7 - La censura è infondata.
Deve infatti osservarsi che l’appellante concentra l’appello
su uno specifico passaggio della sentenza impugnata,
inducendo a supporre che il TAR avrebbe rigettato il ricorso
non perché le ricorrenti non avevano ottenuto il consenso
del terzo confinante –su cui si basava il provvedimento
sanzionatorio– ma perché “all’esito di apposito
sopralluogo” era emerso che “le opere assoggettate a
demolizione sono state eseguite a distanza inferiore a
quella minima di metri cinque dalla proprietà della sig.ra
Sa., ossia di un limite legale destinato ad investire anche
il rapporto pubblicistico immediatamente conoscibile e
sanzionabile da parte dell’ente locale”.
Tale prospettazione non è per nulla condivisibile,
trascurando di considerare il significato complessivo della
sentenza impugnata, la quale ha correttamente risposto al
motivo di ricorso originariamente proposto dalle appellanti,
senza alcuna violazione del principio tra il chiesto ed il
pronunciato.
7.1 - Al riguardo, giova ricordare, come dedotto anche da
parte appellante, che il provvedimento impugnato in prime
cure è fondato sull’accertamento della mancata presentazione
da parte delle ricorrenti del nulla osta del confinante.
In assoluta coerenza con la motivazione che giustifica il
provvedimento impugnato, e con i motivi del ricorso, il TAR
ha statuito che (testualmente): la legittimità del
provvedimento adottato dall’Amministrazione trae fondamento
normativo direttamente dalla previsione di cui all’art. 11
del d.p.r. n. 380/2001.
La sentenza prosegue precisando che: “ai fini del
rilascio di un titolo abitativo edilizio, il Comune è dunque
obbligato a verificare il rispetto dei limiti privatistici
solo a condizione che essi siano agevolmente conoscibili
ovvero effettivamente conosciuti e non contestati”.
In altre parole, il TAR, in conformità all’interpretazione
maggioritaria dell’art. 11 cit., ha precisato che la
verifica del comune in ordine al rispetto della disciplina
privatistica deve essere circoscritta a quei limiti “agevolmente
conoscibili ovvero effettivamente conosciuti e non
contestati”. Infatti, non è concretamente esigibile un
approfondimento da parte del comune di ogni singolo aspetto
privatistico relativo ai rapporti tra condomini e di
vicinato astrattamente idoneo a riflettersi sulla
legittimazione del richiedente il titolo edilizio (Cfr.
Cons. St., Sez IV, 30.12.2006 n. 8262; Cons. St. Sez VI,
20.12.2011 n. 6731; Cons. St. 26.01.2015 n. 316).
E’ in conseguenza di tale affermazione che il TAR ha poi
rilevato che il mancato rispetto della distanza dalla
proprietà confinante ledeva anche un limite legale, da
ritenersi, pertanto, un limite “agevolemente conoscibile”,
e dunque verificabile anche in sede amministrativa, da cui
la legittimità del rilievo concernente il mancato assenso
della proprietà confinante.
Il tenore della sentenza conferma appieno l’assunto che
precede: “l’omessa acquisizione (del consenso) risulta
essere stata accertata dall’Amministrazione comunale
all’esito di sopralluogo da cui è emerso che le opere
assoggettate a demolizione sono state eseguite a distanza
inferiore a quella minima di metri cinque dalla proprietà
della sig.ra Salvatori, ossia di un limite legale destinato
ad investire anche il rapporto pubblicistico immediatamente
conoscibile e sanzionabile da parte dell’ente locale”.
In definitiva, l’evidenziata circostanza che il mancato
rispetto del limite legale potesse di per sé giustificare
l’intervento comunale, non introduce affatto una
considerazione ultronea rispetto all’oggetto della causa,
così come delimitato dai motivi di ricorso; bensì, come
detto, vale unicamente a sottolineare come, nel caso di
specie, fosse necessario il consenso del proprietario
confinante e che, tale limite di natura privatistica doveva
essere indagato anche dal comune, in quanto “agevolmente
conoscibile”, trattandosi per l’appunto di limiti
derivanti direttamente da fonti pubblicistiche e non da
accordi privatistici intercorsi tra le parti.
8 – Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello
non deve trovare accoglimento; ne consegue la condanna di
parte appellante alla refusione delle spese di lite,
liquidate come in dispositivo (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.12.2018 n. 6860 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rilascio titolo edilizio e mancata preliminare verifica
comunale della legittimazione a richiederlo.
In presenza di contestazione della
titolarità dominicale dell’area sulla quale il titolo
edificatorio è destinato ad incidere, si rinvia ai
consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza secondo
cui:
- premesso che, in base all'art. 11, comma 1, del T.U. edilizia di
cui al D.P.R. 380/2001, il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo, la legittimazione attiva a chiedere
il rilascio di un titolo abilitativo edilizio si configura
in capo non solo al proprietario del terreno, ma pure al
soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo,
che lo autorizzi a disporne al riguardo;
- vi è il contestuale onere della P.A. di accertare con serietà e
rigore siffatta legittimazione a chiedere il titolo
edilizio, dovendo pertanto la P.A. accertare che l’istante
sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria;
- al riguardo, non si sono mai posti dubbi in ordine ai limiti
legali, i quali, trovando applicazione generalizzata,
concorrono a formare lo statuto generale dell'attività
edilizia e non pongono problemi di conoscibilità
all'amministrazione che è tenuta a considerarli sempre;
- diversamente, per le limitazioni negoziali del diritto di
costruire, la giurisprudenza in passato ha oscillato fra la
soluzione che ne esclude ogni rilevanza, nel presupposto che
all'amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche
indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici
dei privati, e quella opposta che, invece, ammette che il
Comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché
siano immediatamente conoscibili, effettivamente e
legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di
guisa che il controllo si traduca in una semplice presa
d'atto;
- la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando
l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza
di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo
abilitativo, debba compiere le necessarie indagini
istruttorie per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni
squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza
dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie
attendibili.
---------------
1. Con unico argomento di censura, parte ricorrente lamenta
che l’intimata Amministrazione comunale, nel rilasciare alla
controinteressata Sa.Gi.Va. il titolo edificatorio n.
182/2008, abbia omesso di verificare l’effettiva
disponibilità, in capo a quest’ultima, delle aree
interessate dall’attività di trasformazione; in particolare,
lamentando che una porzione di esse –con estensione di mq.
10 circa; e sulla quale insistono il muro e il cancello del
finitimo villaggio turistico- ricadrebbe su parte del
mappale 1151, di proprietà Br.–Du.Gi..
Pur a fronte delle sollecitazioni dalla parte ricorrente
indirizzate all’Amministrazione comunale –e volte a
promuovere una verifica del reale assetto dominicale
dell’area interessata; con conseguente esercizio del potere
di autotutela– l’Amministrazione non provvedeva nel senso
auspicato da Br..
Come osservato da questo Tribunale in sede cautelare –e
ribadito anche dalla controinteressata (cfr. memoria
depositata in atti il 19.06.2018)– la titolarità dell’area
de qua è, allo stato, controversa.
Quest’ultima, nel suindicato scritto difensivo, ha
precisato:
- di aver “arretrato il proprio cancello arretrato rispetto alla
posizione autorizzata in prime cure, su un’area che
pacificamente è di sua proprietà” (come accertato in
sede civile dal CTU nominato Arch. Pa. nel ricorso per
accertamento tecnico preventivo promosso dai proprietari
dell’area fratelli Ta. e dalla loro madre Co.Is.);
- che risulta essere stato promosso giudizio petitorio per
l’accertamento dei confini, lungo tutta la proprietà, e non
riguardante il solo ingresso oggetto delle opere edilizie
qui contestate: il relativo giudizio risultando tuttora
pendente innanzi alla Corte d’Appello di Brescia, iscritto a
ruolo con il n. 1139/2015 (l’udienza di precisazione delle
conclusioni si è tenuta in data 09.05.2018).
2. Impregiudicato, ovviamente, l’esito del petitorio –in
ragione della ovvia appartenenza della cognizione in ordine
ad esso all’A.G.O.– il perimetro cognitivo del presente
giudizio concerne esclusivamente la verifica di legittimità
dell’esercizio del potere sostanziatosi nel rilascio del
contestato titolo ad aedificadum in favore della
parte controinteressata.
E, in particolare, riguarda la legittima adozione di un
permesso di costruire pur in presenza della rappresentata
contestazione della titolarità dominicale di parte dell’area
sulla quale il titolo edificatorio era destinato ad
incidere.
Si rinvia, in proposito, ai consolidati principi elaborati
dalla giurisprudenza (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV,
20.04.2018 n. 2397, 19.12.2016 n. 5363, 23.05.2016 n. 2116,
07.09.2016 n. 3823, 25.09.2014 n. 4818), secondo cui:
- premesso che, in base all'art. 11, comma 1, del T.U. edilizia di
cui al D.P.R. 380/2001, il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo, la legittimazione attiva a chiedere
il rilascio di un titolo abilitativo edilizio si configura
in capo non solo al proprietario del terreno, ma pure al
soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo,
che lo autorizzi a disporne al riguardo (cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 15.07.2010 n. 4557, 02.09.2011 n. 4968);
- vi è il contestuale onere della P.A. di accertare con serietà e
rigore siffatta legittimazione a chiedere il titolo edilizio
(arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2016 n. 3823), dovendo
pertanto la P.A. accertare che l’istante sia il proprietario
dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che,
comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente
per eseguire l'attività edificatoria (cfr. Cons. Stato, sez.
V, 04.04.2012 n. 1990);
- al riguardo, non si sono mai posti dubbi in ordine ai limiti
legali, i quali, trovando applicazione generalizzata,
concorrono a formare lo statuto generale dell'attività
edilizia e non pongono problemi di conoscibilità
all'amministrazione che è tenuta a considerarli sempre;
- diversamente, per le limitazioni negoziali del diritto di
costruire, la giurisprudenza in passato ha oscillato fra la
soluzione che ne esclude ogni rilevanza, nel presupposto che
all'amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche
indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici
dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341),
e quella opposta che, invece, ammette che il Comune
verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano
immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente
conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il
controllo si traduca in una semplice presa d'atto (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007 n. 1206);
- la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando
l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza
di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo
abilitativo, debba compiere le necessarie indagini
istruttorie per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni
squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza
dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire elementi prima
facie attendibili.
3. Facendo applicazione dei su menzionati principi al caso
di specie, è evidente che il Comune resistente ha omesso
anche il minimo controllo sulla legittimazione dei
richiedenti la concessione edilizia a disporre, in virtù di
un titolo (legale, giudiziale ovvero negoziale), dell’intera
area: compresa la porzione (insistente su una parte del
mappale 1151) oggetto di formale e circostanziata
opposizione all’intervento costruttivo manifestata in sede
procedimentale dalla parte ricorrente.
4. In tali limiti, va dunque dato atto dell’illegittimità
dell’avversato titolo edificatorio: impregiudicato,
ovviamente, l’esito del giudizio petitorio pendente dinanzi
alla competente A.G.O., a fronte del quale competerà
comunque all’Autorità comunale nuovamente pronunziarsi in
conformità dell’accertata consistenza ed estensione
dominicale delle confinanti proprietà.
5. Quanto alla sospensione del titolo, gravata con motivi
aggiunti in ragione della pretesa esorbitanza del
provvedimento soprassessorio (concernente l’intero titolo
ad aedificandum rispetto alla portata applicativa
dell’ordinanza cautelare resa da a fronte dell’impugnazione
di cui all’atto introduttivo del giudizio), va escluso che
parte ricorrente vanti legittimazione alla sollecitazione
del sindacato giurisdizionale, come, del resto, osservato
con ordinanza di questa Sezione n. 288 del 04.05.2009 (con
la quale si è osservato che, “sotto il profilo
processuale l’utilizzo dei motivi aggiunti è improprio, in
quanto la nuova controversia, pur essendo connessa a quella
originaria, riguarda un provvedimento di segno opposto a
quello impugnato dalla società ricorrente, con inversione
della legittimazione e dell’interesse ad agire”).
I motivi aggiunti, conseguentemente, sono inammissibili (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.09.2018 n. 924 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza di una
s.c.i.a. ai sensi dell’art.
19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, fondata su
presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia,
l’amministrazione non ha alcun obbligo di provvedere e,
conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è
qualificabile come illegittimo inadempimento.
Sull'interpretazione dell’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli
attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di
Scia, dall’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990 n.
241, il quale, nel precisare che “la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma
altresì che "gli interessati possono sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art.
31, commi 1 e 2” del Cpa.
Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i
termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e
negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse
può chiedere l’accertamento dell’obbligo
dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto
modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio-inadempimento
della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto,
che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non
potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla
tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo
aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice
amministrativo.
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al
soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque,
essere verificata in relazione alla titolarità di una
posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da
avergli consentito l’attivazione di un procedimento
amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante
l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non
essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art.
20 l. n. 241/1990).
Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co. 6-ter,
l. n. 241/1990 -non avendo il legislatore inteso introdurre
una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento
riferito alla tutela di diritti soggettivi- ciò che fonda
la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità
di una posizione giuridica che legittimi l’istante a
chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni
che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al
pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica -sulla quale si fonda la facoltà
di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti- è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo
“sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice
ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto
deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico
(violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la
(eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del
diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione
di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione
di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto
di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi,
ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di
diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio
serbato dall’amministrazione presuppone, come
tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere
violato o eluso dall’amministrazione medesima.
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul
silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di
verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit.,
l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli
aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei
limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di
norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia
edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di
posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica –così come generalmente
affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai
presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del
silenzio serbato dall’amministrazione– non può ritenersi
violato le volte in cui l’istanza proposta sia
manifestamente infondata o costituisca defatigatoria
riproposizione di precedente istanza già in precedenza
respinta.
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta
dalla verifica dell’interesse dell’istante e,
successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al
medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica
di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo
strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la
Scia innanzi al giudice amministrativo, finirebbe con il risolversi in una
“denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi
edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di
provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito
alla generica istanza di attivazione dei propri
discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in
questi casi il conseguente silenzio inadempimento, allo stesso modo non
può sussistere un obbligo di verifica “generale”
dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte
dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co.
6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che,
collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni
soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante –in tal modo “qualificandolo”- dalla posizione di mero
denunciante.
---------------
Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di verificare,
con riferimento ai presupposti e limiti previsti
dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di
realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza
prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta
norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o
in corso di realizzazione in base a Scia violi norme
regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la
fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si
ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla
tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei
limiti previsti dall’ordinamento.
Sicché, appare evidente come non sussiste alcun obbligo di
provvedere dell’amministrazione in ordine ad una istanza
volta a sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela
della medesima su una propria precedente certificazione. Ciò
in quanto:
- per un verso, non è configurabile il potere di autotutela
decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto
di precedente esercizio di potere certificativo
(presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio
di un potere costitutivo dell’amministrazione);
- per altro verso, ove anche –per mera ipotesi
argomentativa- fosse configurabile l’esercizio del potere di
autotutela, in ordine all’istanza che ne sollecita
l’esercizio, non sussiste –come si è detto- obbligo di
provvedere;
- per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie,
alcun titolo od interesse del privato a che
l’amministrazione intervenga in rettifica di attestazione di
fatti obiettivamente verificatisi e riscontrati.
---------------
Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali
l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei
diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del
privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri
della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle
norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di
intervento) tra verifica della sussistenza della
legittimazione a richiedere il titolo edilizio e
verifica
del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente
al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende
realizzare sullo stesso.
Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha già avuto modo di osservare, che il permesso di costruire può essere
rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a
chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto
dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima
espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima
disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche
solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso
del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di
rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la
legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il
proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria”.
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito
al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in
generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di
un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che
fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto
e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo
destinatario di un provvedimento amministrativo
autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione
debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di
ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso
propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso
di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di accertamento della
sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”
non ad essa attribuito dall’ordinamento.
Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha affermato che, in sede di esame
dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio,
l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico
che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare
esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al
titolo richiesto.
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire
non incide sulla titolarità della proprietà o di altri
diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto
del suo rilascio, né tanto meno pregiudica la titolarità o
l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da
quelli oggetto d'intervento.
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare
sulla cosa comune si è affermato:
“ogni questione in ordine agli eventuali limiti
dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario
(ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex
art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni
dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato
non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso
che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione
dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una
volumetria su di esso insistente, sia attraverso la
realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo
decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che
incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine
all’uso del medesimo ... Ovviamente, in ordine a tali
aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata
dal giudice ordinario, ma ciò ... non può condizionare
l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia
della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere
illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che
deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di
efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia
edilizia.
Si intende cioè ribadire che il provvedimento
amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di
una situazione qualificata di giuridica relazione con il
bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di
trasformazione del territorio che è compatibile con
l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo
ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della
istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto
richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del
potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale
provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui
distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo
stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce
illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le
stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può
costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera
di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve
rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri
del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla
“piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto
esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di
terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità”
del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da
questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono
tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto
amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio,
quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti
interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o
comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una
violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può
rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
---------------
Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento
autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a
(eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior
ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia
che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 ha
tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento
amministrativo, anche tacito. Il che comporta che l’attività
edilizia che il privato intende realizzare si svolge su un
piano dove non è previsto l’esercizio di poteri
amministrativi e, dunque, a maggior ragione, è estranea alla
Pubblica Amministrazione ogni verifica della sussistenza
delle condizioni che legittimano ad essere destinatari di un
titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione
dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni
questione relativa alla titolarità del bene oggetto di
intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non
essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun
coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di
verifica dei presupposti ad essere destinatario di un
provvedimento amministrativo) della Pubblica
Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il
tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la
verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende
realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia
applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione
di verificare –in capo al soggetto che agisce sulla base di
una Scia- la sussistenza delle condizioni perché questi
possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11
DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude
che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento
amministrativo.
Nel caso di specie la verifica richiesta all’amministrazione
(e, dunque, l’emanazione da parte della medesima di un
provvedimento di sospensione degli effetti della Scia),
concerneva, in primo luogo, la necessità di verificare la
sussistenza dell’assenso dei comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può
essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior
ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla
base di una Scia:
- sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra
comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e
coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti
l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
- sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere
destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001
è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa
della Pubblica Amministrazione.
---------------
2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto,
con conseguente conferma della sentenza impugnata, con le
precisazioni di seguito esposte.
2.1. Al fine di meglio chiarire il thema decidendum appare
opportuno precisare, in punto di fatto, che il presente
giudizio trae origine dalla diffida presentata da Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. al Comune di Nocera
Superiore in data 23.02.2016, con la quale gli stessi
diffidavano il Funzionario responsabile dell’area
urbanistica del suddetto Comune “all’assunzione
dell’immediato provvedimento di sospensione del titolo abilitativo per silenzio rilasciato, in uno alla revoca
dell’attestato prot. n. 29491 del 03.12.2015, essendo
stato reso su inesistenti presupposti”.
I signori Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id.
fondavano la propria diffida (in particolare alla emanazione
di provvedimento di sospensione) su due argomentazioni:
- la prima, consistente nell’affermare che “l’amministrazione
comunale avrebbe dovuto subordinare il rilascio dell’assenso
edilizio a specifica autorizzazione di assenso dei
comproprietari”;
- la seconda, consistente nel rilievo che “la richiesta di assenso
edilizio non è stata corredata dalla indicazione delle
autorizzazioni ottenute e contemplate dalla normativa di
settore, così come previsto dal DPR 542/1994; in particolare
non sono stati esplicitati appropriatamente natura e
caratteristiche dell’impianto di RM da attivare e dunque
della tipologia di assenso preventivo di cui si doveva già
essere in possesso per la localizzazione dell’impattante
impianto di sfiato”.
Per maggior chiarezza, giova precisare:
- che l’attività edilizia contestata con la diffida era oggetto non
già di un provvedimento amministrativo implicito (o per silentium), bensì di una Scia del 19.12.2014 n. 27051,
integrata con comunicazione 29.09.2015 n. 22728 e con
trasmissione di documentazione integrativa in data 19.10.2015 n. 24599;
- che l’attestato oggetto della richiesta di revoca certificava la
presentazione della Scia e delle integrazioni alla medesima
innanzi indicate, nonché l’assenza di provvedimenti
sospensivi dell’efficacia della Scia dalla sua presentazione
e fino alla data di emissione dell’attestato.
Stante il silenzio serbato dall’amministrazione sulla
diffida 23.02.2016, i signori Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. (firmatari della diffida), nonché Pa.Fe. e Ba.Ro., proponevano ricorso
giurisdizionale per la declaratoria di illegittimità del
silenzio, deciso poi dalla sentenza impugnata nella presente
sede.
Oggetto, dunque, del presente giudizio, per il tramite della
sentenza impugnata, è il silenzio serbato
dall’amministrazione su quanto richiesto con diffida del 23.02.2016, vale a dire l’adozione di un provvedimento di
sospensione “del titolo abilitativo per silenzio rilasciato”
e la revoca dell’attestato 03.12.2015.
2.2. Tanto precisato, occorre ricordare che l’ambito del
giudizio avverso il silenzio è definito:
- sul piano soggettivo, con riferimento ai soggetti che
hanno presentato l’istanza rimasta insoddisfatta a causa del
silenzio dell’amministrazione, e dunque titolari della
legittimazione ad agire;
- sul pano oggettivo, dal provvedimento richiesto con
l’istanza ed in ordine al quale l’amministrazione non ha
esercitato il relativo potere, nemmeno in senso negativo.
Quanto al piano soggettivo, è appena il caso di osservare (poiché
il punto non è stato trattato nella sentenza impugnata né ha
formato motivo di appello) che, a fronte di tre soggetti
presentatori della diffida, il ricorso instaurativo del
giudizio di I grado ed il presente appello risultano
proposti da cinque soggetti, per due dei quali sarebbe
discutibile la sussistenza della legittimazione ad agire.
Quanto al piano oggettivo è da rilevare che il provvedimento
di sospensione –in ordine alla mancata adozione del quale è
attivato il presente giudizio- deve essere inteso (in
applicazione di un favor interpretativo per i ricorrenti)
come riferito alla Scia, non sussistendo, nel caso di
specie, alcun “titolo abilitativo per silenzio rilasciato”
(e, dunque, prescindendosi dal rilevare che ben avrebbe
potuto il Comune ritenere la diffida presentata tamquam non
esset, per mancanza di oggetto).
In definitiva, l’eventuale silenzio inadempimento
dell’amministrazione deve essere verificato solo con
riguardo ai due tipi di atto sollecitati con l’istanza e con
riferimento ai presupposti indicati per l’adozione degli
atti medesimi.
Ne consegue che ogni ulteriore valutazione esplicitata in
giudizio –sia per il tramite del ricorso instaurativo del
giudizio sia per il tramite dell’appello– è da considerarsi
del tutto estranea al thema decidendum.
Tanto precisato, può prescindersi dall’eccezione di
inammissibilità proposta dal Comune di Nocera Inferiore,
attesa altresì la infondatezza dell’appello.
3. Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli
attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di
Scia, dall’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990 n.
241, il quale, nel precisare che “la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma
altresì che "gli interessati possono sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art.
31, commi 1 e 2” del Cpa.
3.1. Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i
termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e
negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse
può chiedere l’accertamento dell’obbligo
dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto
modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio-inadempimento
della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto,
che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non
potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla
tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo
aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice
amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 22.06.2018 n.
3858); sez. V, 08.05.2018 n. 2751 e 06.02.2017, n.
513).
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al
soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque,
essere verificata in relazione alla titolarità di una
posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da
avergli consentito l’attivazione di un procedimento
amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante
l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non
essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art.
20 l. n. 241/1990).
3.2. Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co. 6-ter,
l. n. 241/1990 -non avendo il legislatore inteso introdurre
una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento
riferito alla tutela di diritti soggettivi- ciò che fonda
la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità
di una posizione giuridica che legittimi l’istante a
chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni
che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al
pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica -sulla quale si fonda la facoltà
di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti- è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo
“sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice
ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto
deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico
(violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la
(eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del
diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione
di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione
di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto
di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi,
ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di
diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio
serbato dall’amministrazione presuppone, come
tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere
violato o eluso dall’amministrazione medesima (Cons. Stato,
sez. V, 11.06.2018 n. 3598; sez. IV, 07.06.2017 n.
2751; sez. VI, 27.12.2017 n. 4525).
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul
silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di
verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit.,
l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli
aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei
limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di
norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia
edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di
posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica –così come generalmente
affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai
presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del
silenzio serbato dall’amministrazione– non può ritenersi
violato le volte in cui l’istanza proposta sia
manifestamente infondata o costituisca defatigatoria
riproposizione di precedente istanza già in precedenza
respinta (Cons. Stato, sez. IV, 07.06.2017 n. 2751).
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta
dalla verifica dell’interesse dell’istante e,
successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al
medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica
di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo
strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la
Scia innanzi al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV,
06.10.2017 n. 4659), finirebbe con il risolversi in una
“denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi
edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di
provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito
alla generica istanza di attivazione dei propri
discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in
questi casi il conseguente silenzio inadempimento (Cons.
Stato, sez. IV, 07.06.2017 n. 2751), allo stesso modo non
può sussistere un obbligo di verifica “generale”
dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte
dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co.
6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che,
collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni
soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante –in tal modo “qualificandolo”- dalla posizione di mero
denunciante.
3.3. Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di
verificare, con riferimento ai presupposti e limiti previsti
dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di
realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza
prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta
norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o
in corso di realizzazione in base a Scia violi norme
regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la
fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si
ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla
tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei
limiti previsti dall’ordinamento.
4. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, appare
evidente come non sussiste alcun obbligo di provvedere
dell’amministrazione in ordine ad una istanza volta a
sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela della
medesima su una propria precedente certificazione. Ciò in
quanto:
- per un verso, non è configurabile il potere di autotutela
decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto
di precedente esercizio di potere certificativo
(presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio
di un potere costitutivo dell’amministrazione);
- per altro verso, ove anche –per mera ipotesi argomentativa-
fosse configurabile l’esercizio del potere di autotutela, in
ordine all’istanza che ne sollecita l’esercizio, non
sussiste –come si è detto- obbligo di provvedere;
- per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie, alcun
titolo od interesse del privato a che l’amministrazione
intervenga in rettifica di attestazione di fatti
obiettivamente verificatisi e riscontrati.
Né è dato comprendere, contrariamente a quanto sostenuto
dagli appellanti, come l’attestato del quale si è richiesta
la revoca e/o l’annullamento possa “compenetrare” l’assenso
ricevuto, non presupponendo la disciplina della Scia alcun
“assenso” (espresso o implicito) dell’amministrazione, né
potendo tale assenso minimamente configurarsi con
riferimento ad una mera asseverazione di scienza su fatti
effettivamente verificatisi.
Da quanto esposto consegue il rigetto del relativo motivo di
appello (sub lett. a2) dell’esposizione in fatto).
5. Altrettanto infondati sono gli ulteriori motivi di
appello.
5.1. Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali
l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei
diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del
privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri
della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle
norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di
intervento) tra verifica della sussistenza della
legittimazione a richiedere il titolo edilizio e verifica
del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente
al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende
realizzare sullo stesso.
5.2. Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha già avuto modo di osservare (Con. Stato,
sez. VI, 22.09.2014 n. 4776; sez. IV, 25.09.2014 n. 4818), che il permesso di costruire può essere
rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a
chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto
dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima
espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima
disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche
solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso
del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di
rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la
legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il
proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria” (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in
senso conforme, sez. V, 04.04.2012 n. 1990).
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito
al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in
generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di
un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che
fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto
e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo
destinatario di un provvedimento amministrativo
autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione
debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di
ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso
propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso
di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di accertamento della
sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”
non ad essa attribuito dall’ordinamento.
5.3. Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha affermato che, in sede di esame
dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio,
l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare
esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al
titolo richiesto (Cons. Sato, sez. IV, 23.05.2016 n.
2116).
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire
non incide sulla titolarità della proprietà o di altri
diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto
del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o
l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da
quelli oggetto d'intervento (Cos. Stato, sez. VI, 27.04.2017 n. 1942).
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare
sulla cosa comune si è affermato:
“ogni questione in ordine agli eventuali limiti
dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario
(ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex
art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni
dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato
non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso
che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione
dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una
volumetria su di esso insistente, sia attraverso la
realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo
decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che
incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine
all’uso del medesimo ... Ovviamente, in ordine a tali
aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata
dal giudice ordinario, ma ciò ... non può condizionare
l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia
della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere
illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
5.4. E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che
deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di
efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia
edilizia.
Si intende cioè ribadire che il provvedimento
amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di
una situazione qualificata di giuridica relazione con il
bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di
trasformazione del territorio che è compatibile con
l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo
ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della
istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto
richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del
potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale
provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui
distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo
stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce
illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le
stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può
costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera
di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve
rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri
del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla
“piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto
esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di
terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità”
del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da
questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono
tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto
amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio,
quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti
interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o
comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una
violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può
rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
5.5. Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento
autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a
(eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior
ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia
che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 ha
tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento
amministrativo, anche tacito.
Il che comporta che l’attività edilizia che il privato
intende realizzare si svolge su un piano dove non è previsto
l’esercizio di poteri amministrativi e, dunque, a maggior
ragione, è estranea alla Pubblica Amministrazione ogni
verifica della sussistenza delle condizioni che legittimano
ad essere destinatari di un titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione
dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni
questione relativa alla titolarità del bene oggetto di
intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non
essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun
coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di
verifica dei presupposti ad essere destinatario di un
provvedimento amministrativo) della Pubblica
Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il
tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la
verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende
realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia
applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione
di verificare –in capo al soggetto che agisce sulla base di
una Scia- la sussistenza delle condizioni perché questi
possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11
DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude
che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento
amministrativo.
6.1. Nel caso di specie, come si è già detto, la verifica
richiesta all’amministrazione (e, dunque, l’emanazione da
parte della medesima di un provvedimento di sospensione
degli effetti della Scia), concerneva, in primo luogo, la
necessità di verificare la sussistenza dell’assenso dei
comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può
essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior
ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla
base di una Scia:
- sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra
comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e
coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti
l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
- sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere
destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001
è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa
della Pubblica Amministrazione.
E’ in questo senso che deve essere intesa la sentenza
impugnata, laddove essa afferma l’inammisibilità del ricorso
“per essere stato chiesto l’esercizio di poteri in autotutela da parte dell’Ente, in materia sottratta alla
sfera di competenza giurisdizionale del G.A.”.
6.2. Altrettanto priva di rilevanza, ai fini edilizi, è la
richiesta di verifica della sussistenza delle autorizzazioni
previste dal DPR n. 542/1994 per gli impianti RM (risonanza
magnetica).
Le autorizzazioni previste dal DPR 08.08.1994 n. 542
(Regolamento recante norme per la semplificazione del
procedimento di autorizzazione all’uso diagnostico di
apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul
territorio nazionale), relative alla “collocazione” delle
stesse (v. in particolare, art. 4), attengono ad aspetti di
programmazione della assistenza sanitaria ovvero alle
caratteristiche dell’apparecchio, aspetti che non
interferiscono con le diverse valutazioni proprie
dell’amministrazioni sotto il profilo urbanistico-edilizio.
6.3. In definitiva, in presenza di una istanza presentata ai
sensi dell’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, fondata su
presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia,
l’amministrazione non aveva alcun obbligo di provvedere e,
conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è
qualificabile come illegittimo inadempimento.
7. Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve
essere rigettato, stante la sua infondatezza, con
conseguente conferma della sentenza impugnata, con le
precisazioni ed integrazioni di motivazione innanzi
rappresentate (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.08.2018 n. 5115 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in
sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio
non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo
limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo
legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata
facendo comunque salvi i diritti dei terzi.
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori
limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o
della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento
consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i
provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La
verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto
della richiesta avviene mediante attività che non è diretta
a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Del resto secondo condivisa giurisprudenza
“l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che
tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione
amministrativa: principi che sono sanciti dalla
Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente
corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili
sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare,
bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto
procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali
garanzie della proprietà. Ed anche il principio di
conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie,
mancando il presupposto fondamentale della legittimazione,
neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio
dell’affidamento”.
---------------
Tali principi ancor più valgono con riferimento alla
denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di
massima semplificazione quale manifestazione di autonomia
privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto
del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere
produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza
di una dichiarazione inesatta o incompleta
all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire
l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia
ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato
della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi
a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica e in considerazione che le
affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso
del tempo sono tutte imperniate sulla tutela
dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.
---------------
8.2. – Da quanto appena evidenziato consegue che i
provvedimenti adottati dal Comune ed oggetto di gravame
assumono i caratteri dell’atto dovuto.
La denunziata violazione delle regole e dei principi che
governano l’esercizio del potere di autotutela ed il
connesso principio dell’affidamento del privato, non appare
meritevole di positiva delibazione.
Sia i precedenti proprietari nell’istanza di accertamento di
conformità, che la ricorrente nella SCIA hanno, infatti,
dichiarato l’assenza della lesione dei diritti dei terzi.
Tali dichiarazioni sono risultate non rispondenti ai
contenuti della produzione documentale.
In simili casi anche l’attuale formulazione dell’art. 19 L.
241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della
liberalizzazione, al comma 6-bis L. 241/1990, consente al
Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori,
prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni
relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia,
alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle
leggi regionali».
La giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune
in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio
non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo
limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo
legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata
facendo comunque salvi i diritti dei terzi (ex multis Cons.
Stato, sez. IV, sent, 5587 del 09.12.2015 e apre n. 4571 del
12.12.2011).
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori
limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o
della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento
consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i
provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La
verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto
della richiesta avviene mediante attività che non è diretta
a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva del richiedente
(TAR Sicilia, sez. III, sent. 100 del 13.01.2017).
Del resto secondo condivisa giurisprudenza
“l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che
tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione
amministrativa: principi che sono sanciti dalla
Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente
corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili
sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare,
bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto
procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali
garanzie della proprietà. Ed anche il principio di
conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie,
mancando il presupposto fondamentale della legittimazione,
neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio
dell’affidamento” (TAR Lazio, sez. II-bis, sent. 1141
del 02.02.2012).
8.3. - Tali principi ancor più valgono con riferimento alla
denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di
massima semplificazione quale manifestazione di autonomia
privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto
del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere
produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza
di una dichiarazione inesatta o incompleta
all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire
l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia (TAR Bari, sent. 96/2017)
ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato
della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi
a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez.
V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato
(si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato” (ex multis, da
ultimo, TAR Bari, sez. III, sent. 222 del 09.03.2017, TAR
Campania, sez. IV, sent. 5726, del 13.12.2016).
9. - Dalle considerazioni che precedono discende anche il
rigetto delle censure articolate avverso la successiva
ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto
deve ritenersi provvedimento consequenziale rigidamente
vincolato. L'interesse pubblico al ripristino dello stato
dei luoghi è, infatti, ‘in re ipsa’.
Né può ritenersi legittimamente invocata l’applicazione
dell’art. 38 d.p.r. 380/2001. E’ sufficiente in proposito
rilevare che la peculiarità dell’art. 38 è giustificata
essenzialmente dalla necessità di tutela dell’affidamento
del soggetto che ha edificato in conformità ad un titolo
rivelatosi poi illegittimo. Ma si è già diffusamente
argomentato sull’insussistenza, nella vicenda per cui è
causa, di alcun legittimo affidamento tutelabile in capo
alla ricorrente.
10. – In base alle considerazioni esposte il ricorso va
rigettato
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 30.05.2017 n. 560 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio,
segnatamente, in sede di esame sull’effettiva disponibilità
giuridica del bene oggetto dell’intervento edificatorio,
sussiste bensì l’obbligo per il Comune di verificare il
rispetto da parte dell’istante dei presupposti privatistici,
ma soltanto alla condizione che tali presupposti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non
contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente
locale si traduca in una semplice presa d’atto dei
presupposti medesimi, senza necessità di procedere ad
un’accurata e approfondita disanima dei rapporti
civilistici.
---------------
Il Comune procedente legittimamente si è limitato a prendere
atto della sussistenza, in astratto, del diritto di
proprietà, senza necessità di procedere ad un'accurata e
approfondita disanima dei rapporti civilistici.
Non vi è, infatti, da parte dell’Amministrazione la
necessità di procedere a una particolare istruttoria
civilistica, rientrando la presenza di eventuali limiti alla
proprietà o la supposta pretesa di lesioni di diritti
soggettivi nell’ambito delle controversie tra privati, che
gli stessi privati potranno difendere nelle opportune sedi,
senza riflessi sulla legittimità degli atti autorizzatori
dell’esercizio dello “ius edificandi”.
Com’è noto, il titolo abilitativo viene rilasciato con
salvezza dei diritti dei terzi, in base all’articolo 11,
comma 3, del testo unico numero 380 del 2001, in quanto la
funzione del permesso di costruire è quella di rimuovere un
ostacolo alla libera esplicazione del diritto ad edificare
del privato, per cui esso definisce unicamente i rapporti
tra l’amministrazione e il privato richiedente in ordine
allo svolgimento dell’attività oggetto del provvedimento, ma
non ha efficacia nei confronti dei terzi.
Ne consegue che il terzo che si ritenga danneggiato
dall’esecuzione dell’opera, nonostante il rilascio del
permesso di costruire, ben può agire ricorrendo al giudice
ordinario per la tutela delle proprie situazioni di diritto
soggettivo.
Ciò anche nell’ipotesi, verificatasi nella fattispecie
concreta, in cui l’estensione delle opere realizzate possa
essere stata determinata, indirettamente, dall’esercizio del
diritto di proprietà su un’area non interamente appartenente
ai costruttori.
---------------
A giudizio del Collegio, la censura è infondata.
Per un condivisibile orientamento della giurisprudenza, in
sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio,
segnatamente, in sede di esame sull’effettiva disponibilità
giuridica del bene oggetto dell’intervento edificatorio,
sussiste bensì l’obbligo per il Comune di verificare il
rispetto da parte dell’istante dei presupposti privatistici,
ma soltanto alla condizione che tali presupposti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non
contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente
locale si traduca in una semplice presa d’atto dei
presupposti medesimi, senza necessità di procedere ad
un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici
(v., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 28.09.2012,
n. 5128; Cons. Stato, Sez. VI, 20.12.2011, n. 6731; Cons.
Stato, Sez. IV, 04.05.2010, n. 2546; Cons. Stato, Sez. VI,
21.11.2016 n. 4861).
Nella fattispecie, la società controinteressata, nel
presentare la domanda di concessione edilizia, ha allegato
gli atti di acquisto del fondo sul quale intendeva
costruire.
In particolare, per quanto riguarda la contestata particella
numero 237, la società immobiliare ha esibito l’atto
notarile del 19.07.2001, numero di repertorio 3130, di
acquisto, per complessivi metri quadrati 1080, delle aree
distinti al catasto alle particelle numero 237, numero 381 e
numero 912, ad essa vendute dalla società “Costruzioni in
ferro e metalli”, cui le stesse erano pervenute in virtù
di scrittura privata autenticata da notaio il 06.07.1974,
numero di repertorio 79102.
In tali atti non vi era traccia della strada privata su cui
il condominio ricorrente ha inteso fondare il ricorso, né
era stata fino ad allora contestata la proprietà della
particella corrispondente nei confronti dei privati danti
causa della società immobiliare.
Ne deriva che il Comune procedente legittimamente si è
limitato a prendere atto della sussistenza, in astratto, del
diritto di proprietà, senza necessità di procedere ad
un'accurata e approfondita disanima dei rapporti
civilistici.
Non vi è, infatti, da parte dell’Amministrazione la
necessità di procedere a una particolare istruttoria
civilistica, rientrando la presenza di eventuali limiti alla
proprietà o la supposta pretesa di lesioni di diritti
soggettivi nell’ambito delle controversie tra privati, che
gli stessi privati potranno difendere nelle opportune sedi,
senza riflessi sulla legittimità degli atti autorizzatori
dell’esercizio dello “ius edificandi”.
Com’è noto, il titolo abilitativo viene rilasciato con
salvezza dei diritti dei terzi, in base all’articolo 11,
comma 3, del testo unico numero 380 del 2001, in quanto la
funzione del permesso di costruire è quella di rimuovere un
ostacolo alla libera esplicazione del diritto ad edificare
del privato, per cui esso definisce unicamente i rapporti
tra l’amministrazione e il privato richiedente in ordine
allo svolgimento dell’attività oggetto del provvedimento, ma
non ha efficacia nei confronti dei terzi.
Ne consegue che il terzo che si ritenga danneggiato
dall’esecuzione dell’opera, nonostante il rilascio del
permesso di costruire, ben può agire ricorrendo al giudice
ordinario per la tutela delle proprie situazioni di diritto
soggettivo.
Ciò anche nell’ipotesi, verificatasi nella fattispecie
concreta, in cui l’estensione delle opere realizzate possa
essere stata determinata, indirettamente, dall’esercizio del
diritto di proprietà su un’area non interamente appartenente
ai costruttori.
Sotto questo profilo, dunque, deve essere esclusa la
illegittimità del provvedimento impugnato, salve le azioni
anche risarcitorie esperibili dai soggetti privati
ingiustamente danneggiati
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 13.03.2017 n. 3432 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
In sede di rilascio
del titolo abilitativo edilizio –segnatamente, in sede di
esame sull’effettiva disponibilità giuridica del bene
oggetto dell’intervento edificatorio, limitando invero
l’art. art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la legittimazione
attiva all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia
munito di titolo giuridico sostanziale per richiederlo–
sussiste bensì l’obbligo per il Comune di verificare il
rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, ma
soltanto alla condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non
contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente
locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti
medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e
approfondita disanima dei rapporti civilistici.
---------------
Si premette, in
linea di diritto, che secondo l’orientamento prevalente di
questo Consiglio di Stato, condiviso dal collegio, in sede
di rilascio del titolo abilitativo edilizio –segnatamente,
in sede di esame sull’effettiva disponibilità giuridica del
bene oggetto dell’intervento edificatorio, limitando invero
l’art. art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, rispettivamente il
corrispondente art. 70 l. urb. prov. (emanata dalla
Provincia autonoma di Bolzano nell’esercizio della potestà
legislativa primaria in materia di urbanistica), la
legittimazione attiva all’ottenimento della concessione
edilizia a chi sia munito di titolo giuridico sostanziale
per richiederlo– sussiste bensì l’obbligo per il Comune di
verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, ma soltanto alla condizione che tali limiti
siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili
o non contestati, di modo che il controllo da parte
dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei
limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti civilistici (v., ex
plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 28.09.2012, n. 5128;
Cons. Stato, Sez. VI, 20.12.2011, n. 6731; Cons. Stato, Sez.
IV, 04.05.2010, n. 2546)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.11.2016 n. 4861 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vicinato, comune super partes. Il permesso di
costruire non tocca conflitti tra confinanti.
Sentenza del Tar Puglia: questioni civilistiche
da far valere di fronte ai giudici ordinari.
Al comune non interessano i rapporti fra confinanti o
condomini: quando concede i titoli edilizi, lo fa «salvi i
diritti di terzi». Ecco allora che il vicino non può far
annullare il permesso di costruire concesso al rivale solo
perché il nuovo manufatto può impedirgli di esercitare il
diritto alla veduta: le questioni civilistiche come
l'osservanza delle distanze tra fabbricati, infatti, devono
essere fatte valere di fronte al giudice ordinario.
È quanto emerge dalla
sentenza 11.02.2016 n. 162,
pubblicata dalla III Sez. del TAR Puglia-Bari.
Titolo e godimento.
Niente da fare per il confinante: non riesce a bloccare i
lavori alla palazzina nel centro storico. E ciò perché
prospetta lesioni che riguardano più il diritto di distanza
dalla veduta che il rilascio del titolo edilizio in sé.
Quando il comune è chiamato ad autorizzare l'opera, infatti,
può limitarsi a verificare che il richiedente sia titolare
di un adeguato titolo di godimento sull'immobile: deve
insomma badare alla sola legittimazione, senza verificare il
rispetto dei limiti privatistici; a meno che questi limiti
non sono immediatamente conoscibili o non contestati e
dunque il controllo dell'amministrazione si riduce a una
mera presa d'atto.
Le lesioni di diritti soggettivi come quelli alla luce e
veduta o la presenza di diritti contrari richiedono invece
un'approfondita indagine e rientrano nelle controversie fra
i privati: si tratta quindi di questioni che devono essere
introdotte nelle sedi opportune perché esulano dalla
legittimità dell'autorizzazione all'edificazione, anche in
sanatoria, che è di competenza del comune.
Consenso irrilevante.
È altrettanto inutile l'iniziativa di uno dei condomini che
si rivolge al comune per ottenere misure repressive contro
l'opera edilizia promossa dall'altro sulla base della Scia,
la segnalazione di inizio attività. E ciò anche se
l'assemblea ha bocciato la proposta avanzata dal singolo
proprietario esclusivo di trasformare le finestre in
balconi, approfittando dei lavori alla facciata
dell'edificio.
L'amministrazione non può infatti subordinare il rilascio
del titolo abilitativo al consenso del confinante quando si
tratta di una questione di diritti reali, e dunque
civilistica, che resta estranea alla competenza dell'ente
locale. Lo stabilisce la sentenza 1409/15, pubblicata dalla
sede di Salerno del Tar Campania, prima sezione.
Clausola di salvaguardia.
È vero: dalla documentazione che il proprietario presenta
all'amministrazione locale non emerge che l'assemblea
condominiale ha già bocciato la proposta di far diventare
veri e propri balconi le finestre dell'edificio, che
addirittura risale a prima della seconda guerra mondiale.
Ma in realtà, osservano i giudici amministrativi, a essere
sbagliata è la prassi dei comuni che subordinano l'emissione
del titolo che autorizza l'opera edilizia al consenso dei
titolari di diritti reali confinanti oppure di diritti reali
di comunione, tra i quali il condominio: è infatti
l'articolo 11, comma 3, del testo unico per l'edilizia a
disporre la clausola di salvaguardia generale che fa salvi i
diritti dei terzi. Al vicino, dunque, non resta che le spese
di giudizio davanti al Tar e rivolgersi al giudice civile.
Nessuno sconto.
Le cose cambiano nelle aree soggette a vincolo per le
bellezze naturali. Il dehors del ristorante da piazzare
sotto il naso del proprietario del primo piano non può
ottenere l'autorizzazione paesaggistica dal comune con una
procedura semplificata: è escluso, infatti, che lo spazio
esterno del locale pubblico possa essere considerato un
«arredo urbano» e dunque beneficiare della corsia
preferenziale riconosciuta agli interventi edilizi minori
dal dpr 139/10. Lo afferma la sentenza 56/2016, pubblicata
dalla prima sezione del Tar Liguria.
Dehors e arredi.
Altro che «lieve entità». È accolto il ricorso del vicino
che teme ancora più fastidi dai clienti dell'osteria nel
centro storico sottoposto al vincolo della Soprintendenza.
Annullato il provvedimento dell'amministrazione che concede
il placet con l'iter più breve al dehors dell'esercizio
pubblico: lo spazio esterno riservato agli avventori del
locale non rientra in alcune delle categorie indicate dal
regolamento.
Interesse specifico.
È vero, la nozione di «arredo urbano» non risulta
disciplinata da alcun provvedimento normativo. Ma deve
ritenersi si tratti di strutture che servono a consentire un
miglior uso dei centri abitati, quanto ad accessibilità e
vivibilità; vi rientrano segnaletica, illuminazione,
installazioni pubblicitarie, panchine, cestini: si tratta
tuttavia di manufatti a destinazione pubblica, mentre il
dehors soddisfa un'esigenza commerciale del ristorante.
Infine: il vicino è portatore di un interesse specifico,
mentre la Soprintendenza non gli ha notificato del
procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione di cui
all'articolo 21 del decreto legislativo 42/2004. Al comune e
al ristorante controinteressato non resta che pagare le
spese di giudizio
(articolo ItaliaOggi Sette del 25.04.2016). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, “Il
rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione
dei diritti dei terzi”; sicché, nella prassi, i titoli
edilizi vengono rilasciati “salvi i diritti di terzi” e,
secondo la consolidata giurisprudenza, non sussiste un
obbligo generalizzato per la P.A. di verificare che non
sussistano limiti di natura civilistica per la realizzazione
di un'opera edilizia.
---------------
Ai fini del rilascio del permesso di costruire
l'amministrazione è onerata del solo accertamento della
sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del
richiedente alla disponibilità dell'area oggetto
dell'intervento edilizio e, nel verificare l'esistenza in
capo al richiedente di un idoneo titolo di godimento
sull'immobile, non si assume il compito di risolvere
eventuali conflitti di interesse tra le parti private in
ordine all'assetto proprietario, ma accerta soltanto il
requisito della legittimazione soggettiva di colui che
richiede il permesso.
In sede di rilascio di un titolo abilitativo edilizio il
Comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da parte
dell'istante dei limiti privatistici solo a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti, o
immediatamente conoscibili, o non contestati, di modo che il
controllo da parte dell'ente locale si traduca in una
semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di
procedere ad un'accurata e approfondita disanima dei
rapporti civilistici.
Non vi è, infatti, da parte dell’Amministrazione la
necessità di procedere a un'accurata ed approfondita
disanima dei rapporti tra i vicini o i condomini, rientrando
la presenza di eventuali diritti ostativi o la supposta
pretesa di lesioni di diritti soggettivi, quali quelli di
luce e veduta, nell’ambito delle controversie tra privati,
che gli stessi privati potranno difendere nelle opportune
sedi, e non all’aspetto della legittimità degli atti
autorizzatori dell’esercizio dello ius edificandi anche in
sede di sanatoria.
---------------
Riguardo alla pretesa violazione del regime delle distanze
(oggetto di doglianza nei motivi sub A e D di cui innanzi),
va preliminarmente ricordato che, ai sensi dell’art. 11,
comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, “Il rilascio del
permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti
dei terzi”; sicché, nella prassi, i titoli edilizi
vengono rilasciati “salvi i diritti di terzi” e,
secondo la consolidata giurisprudenza, non sussiste un
obbligo generalizzato per la P.A. di verificare che non
sussistano limiti di natura civilistica per la realizzazione
di un'opera edilizia.
Nel caso di specie, parte delle lesioni prospettate dai
ricorrenti parrebbero configurarsi -non tanto e non solo- in
relazione al rilascio del titolo edilizio, ma piuttosto in
relazione all’asserita sussistenza di un diritto di veduta e
di un diritto di distanza dalla veduta, come tali tutelabili
innanzi al G.O..
Sul punto va osservato in diritto che “ai fini del
rilascio del permesso di costruire l'amministrazione è
onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo
astrattamente idoneo da parte del richiedente alla
disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio e,
nel verificare l'esistenza in capo al richiedente di un
idoneo titolo di godimento sull'immobile, non si assume il
compito di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all'assetto proprietario, ma accerta
soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di
colui che richiede il permesso (Cons. Stato Sez. IV,
06.03.2012, n. 1270).
In sede di rilascio di un titolo abilitativo edilizio il
Comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da parte
dell'istante dei limiti privatistici solo a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti, o
immediatamente conoscibili, o non contestati, di modo che il
controllo da parte dell'ente locale si traduca in una
semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di
procedere ad un'accurata e approfondita disanima dei
rapporti civilistici” (Cons. Stato Sez. VI, 28.09.2012,
n. 5128; Cons. Stato Sez. VI, 20.12.2011, n. 6731; Sez. VI,
04.09.2012, n. 4676; Cons. Stato Sez. IV, 04.05.2010, n.
2546).
Non vi è, infatti, da parte dell’Amministrazione la
necessità di procedere a un'accurata ed approfondita
disanima dei rapporti tra i vicini o i condomini, rientrando
la presenza di eventuali diritti ostativi o la supposta
pretesa di lesioni di diritti soggettivi, quali quelli di
luce e veduta, nell’ambito delle controversie tra privati,
che gli stessi privati potranno difendere nelle opportune
sedi, e non all’aspetto della legittimità degli atti
autorizzatori dell’esercizio dello ius edificandi
anche in sede di sanatoria (con riferimento ai condomini:
Cons. Stato Sez. IV, 26.07.2012, n. 4255) - così, da ultimo,
Tar Campania, Napoli, sez. 8, sent. 19/05/15 n. 2763.
Quanto innanzi esposto non si pone in posizione di
discontinuità rispetto alle pronunzie della Sezione (v.
sentenze nn. 1572/2015 e 113/2016) su ricorsi che pure
riguardano la tutela di “beni della vita” nascenti
dal diritto di proprietà su immobili: trattasi di giudizi
che non hanno come oggetto immediato quei beni, bensì la
legittimità di provvedimenti amministrativi in rapporto alla
normativa e agli atti di pianificazione urbanistica, in
ossequio al principio per il quale la lesione di tali beni
può avere tutela, davanti al G.A., solo ove coincidente con
la lesione di valori tutelati, nell’interesse pubblico,
dalla normativa urbanistico-edilizia
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 11.02.2016 n. 162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La veranda del furbo non blocca il progetto.
Chi rispetta le norme edilizie non può essere penalizzato
per colpa dei furbi. Così, se il vicino ha realizzato una
veranda abusiva e il comune non l'ha contestata, l'ufficio
tecnico dell'ente non può invece bloccare i lavori del
progetto confinante conforme alle norme statali e locali per
il mancato rispetto delle distanze minime tra i fabbricati:
altrimenti il risultato sarebbe far arretrare la costruzione
di chi ha diritto a edificare soltanto per la presenza del
manufatto contro legge e dunque capovolgendo «ogni ordinario
criterio discretivo delle posizioni giuridiche tra quelle
lecite e quelle illecite».
È quanto emerge dalla
sentenza 05.11.2015 n. 5164, pubblicata dalla II
Sez. del TAR Campania-Napoli.
Il comune ha evidentemente chiuso un occhio sull'opera
contro legge costruita dal vicino e ora non può dichiarare
illegittimo dell'altro corpo di fabbrica e deciderne la
demolizione perché troppo prossimo alla veranda abusiva.
Spese di giudizio compensate per la peculiarità della
questione
(articolo ItaliaOggi Sette del 09.05.2016).
---------------
MASSIMA
3. Alla luce di quanto esposto, deve ritenersi che non
risulta smentito agli atti del giudizio che lo stato dei
luoghi differisce da quello rappresentato solo limitatamente
all’edificio di altro proprietario e che comunque le verande
insistenti su tale diversa proprietà non sono strutturate ai
fini portanti, ma risultano ricavate dalla chiusura parziale
delle balconate esistenti con vetro e alluminio
preverniciato e sono state determinate dall’UTC
dell’Amministrazione come aventi carattere provvisorio
ovvero temporaneo.
Ora, se il Comune non aveva contestato l’abusività di tali
verande, non poteva poi censurare la parte del corpo di
fabbrica per cui è controversia per mancato rispetto delle
distanze da alcune verande abusive, tanto più che l’edificio
realizzato da parte ricorrente risulta eseguito in
conformità ai Permessi di costruire rilasciati e le distanze
tra gli edifici sono rispettate in ragione sia della
temporaneità delle verande, sia del fatto che le mensole
balcone per la esiguità della larghezza non concorrono alla
determinazione delle distanze.
3.1 Ove si aderisse al non condivisibile assunto che la
distanza legale debba essere misurata tenendo conto anche
delle opere abusive confinanti, quale, appunto, la veranda
citata, si perverrebbe al risultato aberrante che, a causa
dell’illecito ampliamento dell’edificio in proprietà altrui,
parte ricorrente si vedrebbe costretta ad arretrare il
proprio manufatto rispetto alla sua legittima ubicazione
originaria.
La Società ricorrente si era in ogni caso munita
dell’Autorizzazione sismica del 06/05/2014, ma comunque il
Collegio ritiene di dover aderire all’orientamento in base
al quale
l'abuso edilizio, allorquando occorra valutare la domanda
del confinante di edificare sul proprio suolo, non può
essere, di per sé, rilevante ed incidente sulla posizione
giuridica di chi abbia diritto di edificare, pena il
capovolgimento, e quindi la vulnerazione, di ogni ordinario
criterio discretivo delle posizioni giuridiche tra quelle
lecite e quelle illecite
(Cons. Stato, IV, 27.03.2009, n. 1874; cfr. anche TAR
Campania, Napoli, IV, 21.07.2005, n. 10142).
3.2 I provvedimenti impugnati devono, dunque, reputarsi
illegittimi, posto che
la presenza di un manufatto abusivo non può essere di
ostacolo al ius aedificandi di chi ha presentato un
progetto in conformità delle norme locali e statali
(TAR Abruzzo, L’Aquila, 17.02.2004, n. 138), in disparte le
già accennate contraddizioni che hanno inficiato l’operato
del Comune sì da integrare il denunciato vizio del difetto
di istruttoria.
La Sezione ritiene, dunque, di dover aderire
all’orientamento in base al quale
l'abuso edilizio, allorquando occorra valutare la domanda
del confinante di edificare sul proprio suolo, non può
essere, di per sé, rilevante ed incidente sulla posizione
giuridica di chi abbia diritto di edificare, pena il
capovolgimento, e quindi la vulnerazione, di ogni ordinario
criterio discretivo delle posizioni giuridiche tra quelle
lecite e quelle illecite
(Cons. Stato, sez. IV, 27.03.2009, n. 1874; cfr. anche TAR
Campania, n. 10142 del 2005; n. 8720 del 2010 confermata dal
Cons. Stato n. 3968 del 2015).
4. Alla luce di quanto sopra deve ritenersi che il ricorso
in esame vada accolto con conseguente annullamento dei
provvedimenti oggetto di impugnazione. |
anno 2013 |
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CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA:
Se è vero che il Comune ha l'obbligo di
verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti
privatistici, è anche vero che il controllo da parte
dell'Ente locale consiste in una semplice presa d'atto dei
titoli, senza che vi sia alcuna necessità di procedere ad
un’accurata e approfondita disamina dei rapporti tra
condomini.
In particolare deve del tutto escludersi l’obbligo del
Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità
dell'immobile, ovvero di prodigarsi nella ricerca di
eventuali limitazioni negoziali al diritto di costruire.
---------------
Le innovazioni sulle parti comuni dell'edificio
condominiale, per essere rilevanti, devono essere infatti
“significative”, cioè devono alterare la particolare
struttura e la complessiva armonia che conferiscono al
fabbricato una propria specifica identità e, comunque, non
devono risolversi in apprezzabili limitazioni del normale
godimento della parte di bene di proprietà esclusiva.
Il profilo del decoro architettonico va poi valutato con
riferimento all'intero edificio condominiale, ed anche al
riguardo l'alterazione deve risultare “apprezzabile” alla
luce della necessità di trovare una situazione di equilibrio
tra i contrapposti interessi della comunità condominiale e
del singolo condomino.
Al riguardo, se è
vero che il Comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da
parte dell'istante dei limiti privatistici, è anche vero che
il controllo da parte dell'Ente locale consiste in una
semplice presa d'atto dei titoli, senza che vi sia alcuna
necessità di procedere ad un’accurata e approfondita
disamina dei rapporti tra condomini (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI 20/12/2011 n. 6731).
In particolare deve del tutto escludersi l’obbligo del
Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità
dell'immobile, ovvero di prodigarsi nella ricerca di
eventuali limitazioni negoziali al diritto di costruire
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV 08/06/2011 n. 3508).
Le innovazioni sulle parti comuni dell'edificio
condominiale, per essere rilevanti, devono essere infatti “significative”,
cioè devono alterare la particolare struttura e la
complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una
propria specifica identità e, comunque, non devono
risolversi in apprezzabili limitazioni del normale godimento
della parte di bene di proprietà esclusiva (arg. Cassazione
Civile, ord. 30.01.2012, n. 1326). Il profilo del decoro
architettonico va poi valutato con riferimento all'intero
edificio condominiale, ed anche al riguardo l'alterazione
deve risultare “apprezzabile” alla luce della
necessità di trovare una situazione di equilibrio tra i
contrapposti interessi della comunità condominiale e del
singolo condomino (cfr. Cassazione Civile, Sezione 2,
27.12.2011, n. 28919).
Nella medesima scia ricostruttiva si osserva che non è
compito del Comune indagare se, ai sensi dell'art. 1102
c.c., l’innovazione alterasse o meno la destinazione della
porzione di giardino, o si risolvesse in una rilevante
limitazione dell’uso degli altri partecipanti al condominio
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6165
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In sede di rilascio del permesso di costruire
l'amministrazione non è tenuta a svolgere complessi
accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti la titolarità dell'immobile, ovvero a ricercare
le limitazioni negoziali al diritto di costruire, e in
specie, verificata l'esistenza di un titolo (in se
incontestato) costitutivo di servitù di passaggio carrabile
e pedonale a favore del fondo dominante, e come tale idoneo
a legittimare la domanda di permesso di costruire, non è
tenuta ad operare approfondimenti in ordine alle modalità di
esercizio dello jus in re aliena, al fine di valutare se le
opere edilizie, finalizzate all'esercizio della servitù,
modificative e/o sostitutive di altre opere preesistenti,
costituiscano innovazioni più o meno gravose, e quindi
escluse ai sensi degli artt. 1065 e 1069 cod. civ., tenuto
conto che il permesso è rilasciato con salvezza dei diritti
dei terzi, con la connessa facoltà del proprietario del
fondo servente di agire dinanzi alla competente autorità
giurisdizionale ordinaria per far dichiarare l'illiceità
delle nuove e più gravose modalità di esercizio, ai sensi
dell'art. 1079 cod. civ..
In sede di rilascio del permesso di
costruire l'amministrazione non è tenuta a svolgere
complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le
vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, ovvero a
ricercare le limitazioni negoziali al diritto di costruire
(cfr. Cons. Stato. Sez. IV, 08.06.2011 n. 3508 e 10.12.2007, n. 6332), e in specie, verificata l'esistenza
di un titolo (in se incontestato) costitutivo di servitù di
passaggio carrabile e pedonale a favore del fondo dominante,
e come tale idoneo a legittimare la domanda di permesso di
costruire (principio affatto pacifico secondo giurisprudenza
risalente: cfr. Cons. Stato, Sez. IV 16.03.1984 n. 141)
non è tenuta ad operare approfondimenti in ordine alle
modalità di esercizio dello jus in re aliena, al fine di
valutare se le opere edilizie, finalizzate all'esercizio
della servitù, modificative e/o sostitutive di altre opere
preesistenti, costituiscano innovazioni più o meno gravose,
e quindi escluse ai sensi degli artt. 1065 e 1069 cod. civ.,
tenuto conto che il permesso è rilasciato con salvezza dei
diritti dei terzi, con la connessa facoltà del proprietario
del fondo servente di agire dinanzi alla competente autorità
giurisdizionale ordinaria per far dichiarare l'illiceità
delle nuove e più gravose modalità di esercizio, ai sensi
dell'art. 1079 cod. civ. (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.11.2013 n. 5563 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
principio codificato dall’art. 11, commi 2 e 3, t.u.
06.06.2001 n. 380, secondo cui i permessi di costruire
devono intendersi rilasciati con salvezza dei diritti di
terzi , al fine di non pregiudicare eventuali posizioni
soggettive di terzi confliggenti con quanto assentito, non
esclude che il loro rilascio richieda una valutazione della
sussistenza dei presupposti urbanistico–edilizi, e in
generale pubblicistici, della trasformazione del territorio
richiesta.
---------------
In base ad un principio generale in materia, le
autorizzazioni amministrative sono sempre rilasciate
dall’Amministrazione con l’apposizione della clausola della
salvezza dei diritti dei terzi, ne consegue che la stessa
Amministrazione non è tenuta ad effettuare una puntuale
verifica in ordine al contenuto specifico del titolo
giuridico sulla base del quale la richiesta di rilascio
dell’autorizzazione è stata effettuata, essendo rimesse alla
competenza del giudice ordinario le eventuali questioni
interpretative eventualmente sorte al riguardo tra le parti
private.
Da ciò non consegue altresì che nel caso in cui il
proprietario del locale nel quale l’attività da autorizzare
debba svolgersi, intervenga nel relativo procedimento,
manifestando motivatamente la propria opposizione al
rilascio del titolo autorizzatorio richiesto
l’Amministrazione debba ignorare la detta circostanza,
procedendo comunque al rilascio dello stesso.
---------------
Non è rispettata la condizione prevista dal rilascio delle
concessione edilizia della salvezza dei diritti dei terzi,
nel caso in cui si sia proceduto all’intervento invasivo
della proprietà altrui e pregiudizievole per la statica ed
il libero godimento da parte del proprietario.
Non può quindi sottoscriversi la convinzione espressa da
parte ricorrente, secondo cui: “In ogni caso, l’eventuale
autorizzazione, da parte di terzi, sarebbe stata una
circostanza estranea ai poteri istruttori della P.A.,
attenendo all’aspetto privatistico, ed essendo il titolo
edilizio rilasciato, con piena salvezza dei diritti dei
terzi”.
Si consideri, in contrario, che: “Il principio codificato
dall’art. 11, commi 2 e 3, t.u. 06.06.2001 n. 380, secondo
cui i permessi di costruire devono intendersi rilasciati con
salvezza dei diritti di terzi , al fine di non pregiudicare
eventuali posizioni soggettive di terzi confliggenti con
quanto assentito, non esclude che il loro rilascio richieda
una valutazione della sussistenza dei presupposti
urbanistico–edilizi, e in generale pubblicistici, della
trasformazione del territorio richiesta” (TAR Umbria –
Sez. I, 05.09.2011, n. 290); che: “In base ad un
principio generale in materia, le autorizzazioni
amministrative sono sempre rilasciate dall’Amministrazione
con l’apposizione della clausola della salvezza dei diritti
dei terzi, ne consegue che la stessa Amministrazione non è
tenuta ad effettuare una puntuale verifica in ordine al
contenuto specifico del titolo giuridico sulla base del
quale la richiesta di rilascio dell’autorizzazione è stata
effettuata, essendo rimesse alla competenza del giudice
ordinario le eventuali questioni interpretative
eventualmente sorte al riguardo tra le parti private. Da ciò
non consegue altresì che nel caso in cui il proprietario del
locale nel quale l’attività da autorizzare debba svolgersi,
intervenga nel relativo procedimento, manifestando
motivatamente la propria opposizione al rilascio del titolo
autorizzatorio richiesto l’Amministrazione debba ignorare la
detta circostanza, procedendo comunque al rilascio dello
stesso” (TAR Lazio–Roma – Sez. II, 09.05.2011, n. 3987);
e che: “Non è rispettata la condizione prevista dal
rilascio delle concessione edilizia della salvezza dei
diritti dei terzi, nel caso in cui si sia proceduto
all’intervento invasivo della proprietà altrui e
pregiudizievole per la statica ed il libero godimento da
parte del proprietario” (Consiglio Stato – Sez. V,
10.04.2002, n. 1970).
Si consideri, del resto, che, come osservato dalla difesa
del Comune, “al fine di raggiungere il requisito del 70%
dell’utilizzo dell’intero edificio va calcolata anche la
volumetria della proprietà dell’altro condomino, del quale
quindi va acquisito il consenso, mancante nel caso di specie”.
Ma non basta, perché, sempre come rilevato dalla difesa
dell’ente, il fabbricato oggetto di intervento risulta in
aderenza ad altro di proprietà aliena e che, con
l’ampliamento previsto, si modifica la “sagoma di aderenza”
in ampliamento.
Pertanto in ossequio all’art. 3, punto 16), del vigente
Regolamento Edilizio Comunale (REC) “In caso di proprietà
diverse sono ammesse costruzioni in aderenza sul confine di
proprietà, nel caso di richiesta presentata congiuntamente”,
di richiesta congiunta ovvero di autorizzazione esplicita,
espressa nelle forme di legge, della proprietà del detto
fabbricato verso il quale viene modificata l’anzidetta
aderenza; ma nella specie, con nota prot. 19525/2011, era
stata trasmessa all’Ente un’autorizzazione solo di quota
parte della proprietà del fabbricato in aderenza (TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 10.10.2013 n. 2039 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
parametro valutativo dell'attività edilizia svolta dai
privati consiste nell'accertamento della conformità
dell'opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre
salvi i diritti dei terzi; perciò la legittimità di
un'autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la
regolazione dei rapporti tra parti private.
Conseguentemente non sussiste un obbligo generalizzato per
l'Amministrazione di verificare che non sussistano limiti di
natura civilistica per la realizzazione di un'opera
edilizia; tuttavia, essa ha il potere-dovere di verificare
in capo al richiedente un idoneo titolo di godimento
sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione
urbanistica, al fine di accertare il requisito della sua
legittimazione.
Circa l'ampiezza dei poteri istruttori, a ciò finalizzati, è
stato, peraltro, precisato che non si tratta di obbligare la
P.A. a complessi e laboriosi accertamenti anche per non
aggravare il procedimento.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Il parametro valutativo dell'attività edilizia svolta dai
privati consiste nell'accertamento della conformità
dell'opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre
salvi i diritti dei terzi; perciò la legittimità di
un'autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la
regolazione dei rapporti tra parti private. Conseguentemente
non sussiste un obbligo generalizzato per l'Amministrazione
di verificare che non sussistano limiti di natura
civilistica per la realizzazione di un'opera edilizia;
tuttavia, essa ha il potere-dovere di verificare in capo al
richiedente un idoneo titolo di godimento sull'immobile
interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, al
fine di accertare il requisito della sua legittimazione.
Circa l'ampiezza dei poteri istruttori, a ciò finalizzati, è
stato, peraltro, precisato che non si tratta di obbligare la
P.A. a complessi e laboriosi accertamenti anche per non
aggravare il procedimento
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 27.09.2013 n. 1985 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste, in generale, l’obbligo per il
Comune di verificare il rispetto, da parte dell’istante, dei
limiti privatistici a condizione che tali limiti siano
immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che
il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di
procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei
rapporti tra i condomini.
Se, dunque, l’amministrazione normalmente non è tenuta a
svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta
edificatoria presentata da un comproprietario, al contrario,
qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare
il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo
edificatorio, il Comune è tenuto a verificare se, a base
dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile l’effettiva
sussistenza della disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio.
Il Consiglio di Stato ha rilevato che in sede di rilascio
del titolo abilitativo edilizio sussiste, in generale,
l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto, da parte
dell’istante, dei limiti privatistici a condizione che tali
limiti siano immediatamente conoscibili e/o non contestati,
di modo che il controllo da parte dell’ente locale si
traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita
disanima dei rapporti tra i condomini (v., ex plurimis,
Sez. IV, 10.12.2007, n. 6332; Sez. IV, 11.04.2007, n. 1654).
Se, dunque, l’amministrazione normalmente non è tenuta a
svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta
edificatoria presentata da un comproprietario, al contrario,
qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare
il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo
edificatorio, il Comune è tenuto a verificare se, a base
dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile l’effettiva
sussistenza della disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio (VI, 20.12.2011 n. 6731)
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 22.04.2013 n. 2238 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il parametro valutativo dell’attività edilizia
svolta dai privati resta circoscritto all’accertamento, da
parte dell’autorità competente al rilascio del richiesto
titolo abilitativo edilizio, della mera conformità
dell’opera progettata alla disciplina urbanistica, sempre
restando salvi i diritti dei terzi; nel senso che la
legittimità del provvedimento ampliativo non interferisce,
comunque, con l’assetto dei rapporti tra privati; e con la
conseguenza che non sussiste un obbligo generalizzato, per
detta autorità, di verificare l’insussistenza di limiti di
matrice civilistica alla realizzazione di un intervento
edilizio.
Tuttavia, ai sensi del comb. disp. artt. 11, comma 1, e 20,
comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, l’amministrazione ha il
potere-dovere di accertare, nei confronti del richiedente,
il possesso del requisito della legittimazione, ossia di un
idoneo titolo di godimento sul bene riguardato dal progetto
di trasformazione urbanistica sottopostole, allorquando,
segnatamente, quest’ultimo provenga da un terzo non
proprietario ovvero comproprietario dell’immobile.
Pertanto, il permesso di costruire può, bensì, essere
richiesto con salvezza dei diritti dei terzi, e al
richiedente essere legittimamente rilasciato, purché, però,
non determini un evidente contrasto col diritto di altri che
non lo abbia richiesto. E, quindi, se, di regola, l’autorità
competente non è chiamata a svolgere complesse indagini
volte a ricostruire le vicende concernenti la titolarità del
bene attinto dagli interventi progettati, è, comunque,
tenuta a verificare se l’istanza edificatoria sia sorretta
dalla effettiva disponibilità del predetto bene, soprattutto
nel caso in cui altri soggetti si attivino per esprimere la
propria opposizione.
Ciò premesso, il Collegio non ignora, poi, che il parametro valutativo
dell’attività edilizia svolta dai privati resta circoscritto
all’accertamento, da parte dell’autorità competente al
rilascio del richiesto titolo abilitativo edilizio, della
mera conformità dell’opera progettata alla disciplina
urbanistica, sempre restando salvi i diritti dei terzi; nel
senso che la legittimità del provvedimento ampliativo non
interferisce, comunque, con l’assetto dei rapporti tra
privati; e con la conseguenza che non sussiste un obbligo
generalizzato, per detta autorità, di verificare
l’insussistenza di limiti di matrice civilistica alla
realizzazione di un intervento edilizio.
Tuttavia, ai sensi del comb. disp. artt. 11, comma 1, e 20,
comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, l’amministrazione ha il
potere-dovere di accertare, nei confronti del richiedente,
il possesso del requisito della legittimazione, ossia di un
idoneo titolo di godimento sul bene riguardato dal progetto
di trasformazione urbanistica sottopostole, allorquando,
segnatamente, quest’ultimo provenga da un terzo non
proprietario ovvero comproprietario dell’immobile –come
prospettato dalla Provincia di Caserta nella nota del 28.12.2010, prot. n. 122405, e dai controinteressati
nelle note del 28.10.2010, prot. n. 106384, e del 05.05.2011, prot. n. 7976– (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.09.2001, n. 4972; TAR Toscana, sez. III, 23.11.2001, n. 1651; TAR Emilia Romagna, Bologna, 21.03.2002, n. 183; TAR Marche, 28.06.2004, n.
784; TAR Valle d’Aosta, 17.11.2010, n. 63).
Pertanto, il permesso di costruire può, bensì, essere
richiesto con salvezza dei diritti dei terzi, e al
richiedente essere legittimamente rilasciato, purché, però,
non determini un evidente contrasto col diritto di altri che
non lo abbia richiesto (cfr. TAR Marche, 26.04.2007, n. 644). E, quindi, se, di regola, l’autorità
competente non è chiamata a svolgere complesse indagini
volte a ricostruire le vicende concernenti la titolarità del
bene attinto dagli interventi progettati, è, comunque,
tenuta a verificare se l’istanza edificatoria sia sorretta
dalla effettiva disponibilità del predetto bene, soprattutto
nel caso –come, appunto, quello in esame– in cui altri
soggetti si attivino per esprimere la propria opposizione
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.09.2001, n. 4972; 21.10.2003, n. 6529; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 357; sez. III, 27.08.2010, n. 4414;
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 18.05.2005, n. 6487)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 11.04.2013 n. 1923 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Rilascio di concessione edilizia e limiti
civilistici.
Il rispetto dei limiti civilistici e in
particolare di eventuali diritti vantati da terzi possono
rilevare in senso ostativo al rilascio di concessione
edilizia richiesta da chi assume di essere proprietario
dell’area o di avere titolo per richiederla solo quando
siano immediatamente conoscibili, effettivamente e
legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di
guisa che il controllo si traduca in una semplice presa
d’atto.
Al riguardo è il caso di ricordare che per giurisprudenza
costante l’amministrazione comunale, nel corso
dell’istruttoria sul rilascio della concessione edilizia,
deve sicuramente verificare che esista il titolo per
intervenire sull’immobile per il quale è richiesta la
concessione edilizia, anche se questa è sempre rilasciata
facendo salvi i diritti dei terzi; ma deve però “escludersi
un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti
diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la
titolarità dell’immobile, o di verificare l’inesistenza di
servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare
l’attività edificatoria dell’immobile, atteso che la
concessione edilizia è un atto amministrativo che rende
semplicemente legittima l’attività edilizia nell’ordinamento
pubblicistico, e regola solo il rapporto che, in relazione a
quell’attività, si pone in essere tra l’autorità
amministrativa che lo emette e il soggetto a favore del
quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto
diritti soggettivi conseguenti all’attività stessa, la cui
attività deve essere sempre verificata alla stregua della
disciplina fissata dal diritto comune” (Cons. di Stato,
Sez. V, 24.03.2011, n.1770).
La giurisprudenza ha avuto anche modo di precisare che il
rispetto dei limiti civilistici e in particolare di
eventuali diritti vantati da terzi possono rilevare in senso
ostativo al rilascio di concessione edilizia richiesta da
chi assume di essere proprietario dell’area o di avere
titolo per richiederla solo quando “siano immediatamente
conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti
nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si
traduca in una semplice presa d’atto” (Cons. di Stato,
Sez. IV, n. 6332/2007; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, n.
1165/2011) (massima tratta da
www.lexambiente.it -
TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.04.2013 n. 625 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’amministrazione comunale, in sede di rilascio
del titolo edilizio, deve considerare eventuali limiti e
vincoli di carattere privatistico, anche di natura reale,
laddove siano certi e non contestati. Ed invero, la
legittimità del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11
D.P.R. n. 380/2001, non può essere inficiata da posizioni
dei terzi che abbiano la consistenza di semplici pretese di
utilizzazione del bene oggetto dell’assentita attività
edificatoria.
L’amministrazione comunale, infatti, in sede di rilascio del
permesso di costruire, ha l’onere di verificare il rispetto
dei limiti privatistici (discendenti dall'esercizio
dell'autonomia negoziale, tra i quali spiccano gli iura in
re aliena, come il diritto di servitù), purché essi “siano
immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente
conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il
controllo si traduca in una semplice presa d'atto”.
In altri termini, l’amministrazione non è tenuta affatto a
condurre ad approfondite e dispendiose verifiche circa i
rapporti tra le parti contendenti.
La tesi sostenuta dalla ricorrente non è
condivisibile. L’amministrazione comunale, in sede di
rilascio del titolo edilizio, deve considerare eventuali
limiti e vincoli di carattere privatistico, anche di natura
reale, laddove siano certi e non contestati. Ed invero, la
legittimità del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11
D.P.R. n. 380/2001, non può essere inficiata da posizioni
dei terzi che abbiano la consistenza di semplici pretese di
utilizzazione del bene oggetto dell’assentita attività
edificatoria.
L’amministrazione comunale, infatti, in sede
di rilascio del permesso di costruire, ha l’onere di
verificare il rispetto dei limiti privatistici (discendenti
dall'esercizio dell'autonomia negoziale, tra i quali
spiccano gli iura in re aliena, come il diritto di servitù),
purché essi “siano immediatamente conoscibili,
effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto
incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una
semplice presa d'atto” (cfr. C.d.S., sez. IV, 10.12.2007, n. 6332; C.d.S., sez. IV, 12.03.2007, n. 1206).
In
altri termini, l’amministrazione non è tenuta affatto a
condurre ad approfondite e dispendiose verifiche circa i
rapporti tra le parti contendenti (Tar Campania, Napoli,
sez. IV, n. 1165 del 25.02.2011)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 31.01.2013 n. 313 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il fatto che i titoli abilitativi edilizi vengano
rilasciati ex lege con salvezza dei diritti dei terzi
significa che i diritti dei terzi non possono venire lesi
dal provvedimento finale amministrativo ma non già che
l’ente locale non li debba considerare, nell’ambito della
fase istruttoria di rilascio del titolo. In tale fase,
infatti, sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il
rispetto -da parte dell’istante- dei limiti privatistici, a
condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o
immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il
controllo da parte del Comune si traduca in una semplice
presa d’atto dei limiti medesimi, senza necessità di
procedere ad un’accurata ed approfondita disamina dei
rapporti tra i privati.
Per giurisprudenza costante, quindi, qualora i lavori
edilizi siano da eseguirsi su parti comuni e si tratti di
opere non connesse all'uso normale della cosa comune, essi
abbisognano del previo assenso dei comproprietari anche in
relazione agli aspetti pubblicistici dell'attività
edificatoria, in sede di rilascio del titolo autorizzativo.
Il diniego del rilascio
di un titolo abilitativo (sia esso una variante al permesso
di costruire già rilasciato oppure un permesso di costruire
in sanatoria) trova fondamento nell’art. 11, d.P.R. n.
380/2001, ai sensi del quale “Il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo”.
Il fatto che i titoli abilitativi edilizi vengano rilasciati
ex lege con salvezza dei diritti dei terzi significa che i
diritti dei terzi non possono venire lesi dal provvedimento
finale amministrativo ma non già che l’ente locale non li
debba considerare, nell’ambito della fase istruttoria di
rilascio del titolo. In tale fase, infatti, sussiste
l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto -da parte
dell’istante- dei limiti privatistici, a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da
parte del Comune si traduca in una semplice presa d’atto dei
limiti medesimi, senza necessità di procedere ad un’accurata
ed approfondita disamina dei rapporti tra i privati (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 04.05.2010, n. 2546; Tar Umbria,
sez. I, 28.10.2011, n. 333).
Per giurisprudenza costante, quindi, qualora i lavori
edilizi siano da eseguirsi su parti comuni e si tratti di
opere non connesse all'uso normale della cosa comune, essi
abbisognano del previo assenso dei comproprietari anche in
relazione agli aspetti pubblicistici dell'attività
edificatoria, in sede di rilascio del titolo autorizzativo
(Consiglio di Stato sez. VI, 20.12.2011, n. 6731; sez. IV, 10.03.2011, n. 1566; sez. VI, 10.10.2006, n.
6017; sez. V, 24.09.2003, n. 5445; Tar Campania,
Napoli, sez. VII, 05.05.2010, n. 2663; Tar Lombardia
Brescia, sez. I, 28.05.2007, n. 460).
Nel caso di specie, la pensilina realizzata dal ricorrente,
sebbene ancorata sul suo fabbricato, aggetta -per una
lunghezza di 5,60 m. e la profondità di 1,40 m.- su di
un’area che è, pacificamente, di proprietà comune di più
soggetti.
L’occupazione dello spazio aereo sovrastante tale area –in
considerazione delle dimensioni della pensilina e del suo
carattere permanente, in quanto stabilmente ancorata al
fabbricato- va ad incidere sul diritto di comproprietà
degli altri soggetti e non è riconducibile a quell'utilizzo
della cosa comune ed alle modifiche della stessa funzionali
a detto utilizzo, ammessi ai sensi degli artt. 1102 e 1120
c.c. (cfr. Cassazione civile sez. II, 20.08.2002, n.
12258, secondo cui la colonna d'aria sovrastante un'area
appartiene anch'essa al proprietario e, a norma del comma 2
dell'art. 840 c.c., l'immissione degli sporti nello spazio
aereo sovrastante il fondo del vicino è consentita solo
quando costui non abbia interesse ad escludere l'immissione
stessa, ossia quando questa intervenga ad un'altezza dal
suolo tale da non pregiudicare un qualche concreto,
legittimo interesse del proprietario del fondo, in relazione
alle concrete possibilità di utilizzazione dello spazio).
A fronte dell’assenza del consenso degli altri
comproprietari -e anzi di un dissenso espressamente
manifestato- legittimamente l’amministrazione ha negato il
rilascio del titolo, adottando un provvedimento
adeguatamente motivato e supportato da coerenti risultanze
istruttorie
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2012 n. 2757 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Amleto, i Comuni e i diritti dei terzi: "indagare
o non indagare?"
Da sempre esiste un dubbio che
attanaglia i Comuni, specialmente quando si tratta di
rilasciare un permesso di costruire.
Infatti, ai sensi dell’art. 11 (Caratteristiche del permesso
di costruire) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico
edilizia), il permesso di costruire, che viene “rilasciato
al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”, in ogni caso “non comporta limitazione dei
diritti dei terzi”.
La formula standard utilizzata nella prassi è piuttosto
nota: “fatti salvi i diritti dei terzi”.
Tuttavia, da sempre la giurisprudenza si interroga circa la
portata della norma appena richiamata soprattutto con
riguardo alle indagini che gli uffici tecnici comunali
devono svolgere per verificare, o meno, la sussistenza di
limitazioni di “diritto privato”.
In questo ambito si colloca la
sentenza 28.09.2012 n. 5128 del Consiglio di
Stato, Sez. VI, qui in esame.
Fa da sfondo alla decisione la materia condominiale.
Infatti, il comproprietario di un appartamento aveva chiesto
di poter realizzare un abbaino al piano secondo (sottotetto)
dell’edificio condominiale, di pertinenza dell’appartamento
di sua proprietà, per ottenere una migliore illuminazione
del locale-soggiorno la cui finestra era parzialmente
coperta dall’ala del tetto dell’edificio.
Ma la richiesta veniva rigettata dal Comune:
- sia per la mancanza del consenso scritto del condominio
(sul presupposto della natura di parte comune del tetto
interessato dall’opera e dell’utilizzo di una parte della
cubatura urbanistica residua dell’edificio condominiale);
- sia per la necessità di integrare la documentazione con
una verifica analitica e grafica sulla cubatura ammissibile
sul lotto e di evidenziare, nella parte planimetrica, le
distanze dai confini e dagli edifici.
Ebbene, in questo quadro, secondo i Giudici di Palazzo Spada
esistete anzitutto l’obbligo per il Comune, in sede di
rilascio del titolo abilitativo edilizio, di verificare il
rispetto dei limiti privatistici, a condizione però che tali
limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da
parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa
d’atto dei limiti medesimi, senza la necessità di procedere
ad un’accurata e approfondita disamina dei rapporti
civilistici.
In tal modo viene ribadita una regola molto chiara che
rappresenta in definitiva un approdo equilibrato in materia:
i Comuni devono prendere in considerazione anche gli aspetti
di diritto comune, senza tuttavia doversi impegnare in
indagini eccessivamente laboriose e dispendiose (quelle
semmai riservate al Giudice Ordinario).
In secondo luogo, il Consiglio di Stato afferma che nel caso
in cui l’opera per la quale si chiede il rilascio di un
permesso di costruire sia destinata a incidere (non solo in
senso materiale ma, eventualmente, anche sotto il profilo
del decoro architettonico) su di una parte comune di un
edificio condominiale (in questo caso: il tetto), tale opera
deve qualificarsi come innovazione “voluttuaria” e “non
necessaria”, avendo essa lo scopo di rendere più comodo
il godimento dell’immobile; opere oltretutto idonea ad
imprimere alla cosa comune una destinazione anche ad uso
esclusivo del singolo appartamento.
Per questo motivo il Comune ha legittimamente preteso il
consenso del condominio, a fronte dell’evidente incidenza su
una parte comune dell’edificio condominiale, nonché
paventando prudenzialmente l’eventualità dell’utilizzo di
parte della volumetria residua dell’edificio stesso, in
esplicazione del suo potere/dovere di verifica del titolo di
legittimazione.
In definitiva, si potrebbe dire che soprattutto in alcuni
ambiti delicati, caratterizzati da un forte tasso di
litigiosità (il condominio), i Comuni fanno bene a
richiedere il consenso alla realizzazione dell’opera da
parte degli altri condomini (ovvero, da parte del
condominio).
In questo modo “i diritti dei terzi” vengono in un
certo qual senso tutelati in via preventiva, anche se
ovviamente non in modo pieno. Il vantaggio potrebbe essere
quello di evitare di rimettere ad una successiva causa
ordinaria ogni questione al riguardo, in quel caso con
problemi non indifferenti quanto ad eventuali
sovrapposizioni di giudizi tra loro discordanti (aspetti di
diritto privato, da un lato, e aspetti di diritto
amministrativo, dall’altro) (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste
l’obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte
dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali
limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da
parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa
d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad
un’accurata e approfondita disamina dei rapporti
civilistici.
Secondo l’orientamento prevalente di questo Consiglio di
Stato, condiviso da questo Collegio, in sede di rilascio del
titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune
di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non
contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente
locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti
medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e
approfondita disanima dei rapporti civilistici (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 10.12.2007, n. 6332;
C.d.S., Sez. IV, 11.04.2007, n. 1654).
Segnatamente, deve affermarsi l’obbligo del comune di
verificare se, a base dell’istanza edificatoria, sia
riconoscibile l’effettiva disponibilità giuridica del bene
oggetto dell’intervento edificatorio, limitando invero
l’art. 70 l.prov. 11.08.1997, n. 13, la legittimazione
attiva all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia
munito di titolo giuridico sostanziale per richiederlo (la
citata disposizione normativa, emanata dalla Provincia
autonoma di Bolzano nell’esercizio della potestà legislativa
primaria in materia di urbanistica, corrisponde
sostanzialmente alla previsione contenuta nell’art. 11 d.P.R.
06.06.2001, n. 380).
Nel caso di specie, l’opera in contestazione era destinata a
incidere sulla parte comune costituita dal tetto
dell’edificio condominiale (non solo in senso materiale ma,
eventualmente, anche sotto il profilo del decoro
architettonico). L’opera, contrariamente a quanto assunto
dall’odierno appellante, deve qualificarsi come innovazione
voluttuaria –e non necessaria– per rendere più comodo il
godimento dell’immobile. La medesima, al contempo, deve
ritenersi idonea ad imprimere alla cosa comune una
destinazione anche ad uso esclusivo del suo appartamento.
L’Amministrazione comunale, a fronte dell’evidente incidenza
su una parte comune dell’edificio condominiale, nonché
paventando prudenzialmente l’eventualità dell’utilizzo di
parte della volumetria residua dell’edificio condominiale,
in esplicazione del menzionato potere/dovere di verifica del
titolo di legittimazione ha consequenzialmente, e del tutto
ragionevolmente, richiesto il consenso del condominio.
Orbene, tenuto conto dell’espressa contemplazione,
nell’impugnato provvedimento di diniego, dell’esigenza di
acquisire il consenso condominiale, vi risulta formalmente
indicato l’ente di gestione che sarebbe stato leso nel caso
di rilascio del permesso (il condominio, e per esso
rispettivamente i condomini, agevolmente individuabili
dall’appellante), la cui posizione è connotata dalla
titolarità di un interesse giuridicamente qualificato (nella
specie, del diritto di proprietà su parti comuni –tetto
condominiale– dell’edificio interessato dai lavori),
implicitamente contemplato dall’atto impugnato, a mantener
fermi gli effetti scaturenti dal provvedimento di diniego.
I citati soggetti, quindi, nell’appellata sentenza sono
stati correttamente qualificati come controinteressati in
senso formale e sostanziale e ad almeno uno di essi pertanto
andava notificato a pena di inammissibilità il ricorso
originario a mente dell’art. 21, comma 1, l. n. 1034 del
1971 (v., in fattispecie analoga, C.d.S., Sez. VI, 29.05.2007, n. 2742).
Inconferente appare il richiamo, da parte dell’appellante
(nella memoria di replica dell’11.06.2012), della
sentenza C.d.S., Sez. IV, 04.05.2010, n. 2546, relativa
ad un caso di impugnazione del diniego di concessione per un
intervento sul tetto comune, in quanto vi risultava evocato
in giudizio il condomino controinteressato (poi non
costituitosi in giudizio), con la conseguenza che la
questione di merito è stata decisa previa incardinazione del
rapporto processuale tra i legittimi contraddittori, mentre
nella fattispecie sub iudice questi ultimi non sono
stati evocati in giudizio, con conseguente mancata regolare
costituzione del rapporto processuale e preclusione
all’ingresso delle questioni di merito (attinenti alla
fondatezza, o meno, delle ragioni di diniego opposti dal
Comune all’istanza di concessione)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.09.2012 n. 5128 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Diniego concessione edilizia relativa ad
allargamento di un cancello.
E’ legittimo
il diniego di concessione edilizia per l’allargamento di un
cancello d’accesso e la consequenziale ordinanza sindacale
di demolizione emessa in caso accertato ampliamento del
passo carraio mediante demolizione di un pilastro del
muretto di confine e il suo spostamento.
In sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste
l’obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte
dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali
limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da
parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa
d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad
un’accurata e approfondita disanima dei rapporti
civilistici.
Se, dunque, l’amministrazione normalmente non è tenuta a
svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, al contrario, qualora uno o più
controinteressati (siano essi comproprietari o, confinanti)
si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio del titolo edificatorio, il comune dovrà verificare
se, a base dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile
l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio, la legittimazione attiva
all’ottenimento della concessione edilizia al proprietario
dell’area o a chi abbia il titolo per richiederla, ai sensi
dell’art. 11 del d.P.R. 380/2001 (tratto da
www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.09.2012 n. 4676 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune di
verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o
non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente
locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti
medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e
approfondita disanima dei rapporti civilistici.
Se, dunque, l’amministrazione normalmente non è tenuta a
svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, al contrario, qualora uno o più
controinteressati (siano essi comproprietari o, come nel
caso di specie, confinanti) si attivino per denunciare il
proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo
edificatorio, il comune dovrà verificare se, a base
dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile l’effettiva
sussistenza della disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio.
Giova premettere, in linea di diritto, che secondo
l’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato,
condiviso da questo Collegio, in sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune di
verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o
non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente
locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti
medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e
approfondita disanima dei rapporti civilistici (v., ex
plurimis, C.d.S., Sez. IV, 10.12.2007, n. 6332; C.d.S.,
Sez. IV, 11.04.2007, n. 1654).
Se, dunque, l’amministrazione normalmente non è tenuta a
svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, al contrario, qualora –come nel caso di
specie– uno o più controinteressati (siano essi
comproprietari o, come nel caso di specie, confinanti) si
attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio del titolo edificatorio, il comune dovrà verificare
se, a base dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile
l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio, limitando invero l’art. 70 l.
prov. 11.08.1997, n. 13 (nella versione all’epoca in
vigore), la legittimazione attiva all’ottenimento della
concessione edilizia “al proprietario dell’area o a chi
abbia il titolo per richiederla” (disposizione normativa
emanata dalla Provincia autonoma di Bolzano nell’esercizio
della potestà legislativa primaria in materia di
urbanistica, cui nell’ordinamento statale corrisponde la
previsione contenuta nell’art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
di tenore sostanzialmente eguale) (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 04.09.2012 n. 4676 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA:
In sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il comune di
verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o
non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente
locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti
medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed
approfondita disanima dei rapporti tra i condomini.
---------------
Dove i lavori consistono nel’apertura di una porta sulla
scala condominiale, con ciò modificando l’uso della cosa
comune da parte dei condomini, il Comune deve verificare
l’esistenza del consenso del condominio all’utilizzo della
scala da parte di uno dei condomini, in modo tale da
alterare stabilmente il normale ed originario uso della cosa
comune (escludendosi, dunque, l’applicabilità dell’art. 1102
cod. civ., in ordine alla ricorrenza del quale, peraltro,
non sussiste idonea valutazione e motivazione da parte
dell’amministrazione comunale).
In altre parole, il Comune deve conseguire, per il tramite
della verifica resa necessaria dalla evidente mancanza di
proprietà esclusiva della res, la prova dell’esistenza del
titolo a disporre del bene e quindi a presentare la
dichiarazione di inizio attività.
Il Collegio condivide la
considerazione, formulata nella sentenza appellata, in
ordine alla necessità di accertamento, da parte
dell’amministrazione, della sussistenza in capo al
richiedente il permesso di costruire (ovvero in capo al
presentatore della DIA), di un titolo idoneo in relazione
all’immobile sul quale deve essere svolta l’attività
edilizia.
L’art. 11, co. 1, DPR 06.06.2001 n. 380, prevede che “il
permesso di costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”; il
successivo art. 23, allo stesso modo, si riferisce al
“proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per
presentare la denuncia di inizio attività”.
Orbene, come questo Consiglio di Stato (sez. IV, 04.05.2010
n. 2546; 10.12.2007 n. 6332), ha già avuto modo di
affermare, “in sede di rilascio del titolo abilitativo
edilizio sussiste l'obbligo per il comune di verificare il
rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, a
condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o
immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che
il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una
semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di
procedere ad un'accurata ed approfondita disanima dei
rapporti tra i condomini”.
Orbene, nel caso di specie, dove i lavori consistono
nel’apertura di una porta sulla scala condominiale, con ciò
modificando l’uso della cosa comune da parte dei condomini,
il Comune avrebbe dovuto verificare l’esistenza del consenso
del condominio all’utilizzo della scala da parte di uno dei
condomini, in modo tale da alterare stabilmente il normale
ed originario uso della cosa comune (escludendosi, dunque,
l’applicabilità dell’art. 1102 cod. civ., in ordine alla
ricorrenza del quale, peraltro, non sussiste idonea
valutazione e motivazione da parte dell’amministrazione
comunale).
In altre parole, il Comune avrebbe dovuto conseguire, per il
tramite della verifica resa necessaria dalla evidente
mancanza di proprietà esclusiva della res, la prova
dell’esistenza del titolo a disporre del bene e quindi a
presentare la dichiarazione di inizio attività.
Quanto alla già citata applicazione dell’art. 1102 cod.
civ., occorre osservare che ogni valutazione in ordine alla
idoneità del principio espresso dal medesimo a sorreggere
l’esistenza di un titolo legittimante a richiedere il
permesso di costruire o a presentare la DIA, non compete
ex post al giudice, quanto ex ante
all’amministrazione comunale, la quale –proprio perché ha
l’obbligo di verificare l’esistenza di tale titolo
legittimante– ove ritenga che questo discenda (ancorché non
sia questo il caso di specie) dall’art. 1102 cod. civ., ha
l’onere di valutare motivatamente in ordine a tale aspetto.
Compete, successivamente, al giudice, nell’esercizio
dell’ordinario sindacato di legittimità, verificare la
correttezza e congruità delle valutazioni effettuate
dall’amministrazione e l’esito provvedimentale di queste
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 26.07.2012 n. 4255 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Sul quadro delle norme e dei principi
che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto
particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del
richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
E' possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere
edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle
proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo
urbanistico o regolamentare possano essere rimosse
attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a
cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti
comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli
stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di
dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la
creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti,
che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere
dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di
distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo
i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza
delle norme in materia.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando
l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza
delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei
provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che
l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza
di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo
abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per
verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando
anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire
elementi seri a fondamento del suo diritto,
l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento
abilitativo.
Conviene delineare brevemente
il quadro delle norme e dei principi che presiedono al
rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo
all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli
impedimenti di carattere negoziale.
Tra le limitazioni al diritto a costruire, da prendere in
considerazione ai fini del rilascio del relativo permesso o
di un titolo edilizio in sanatoria, la giurisprudenza ha
operato un’accurata distinzione tra limiti legali e limiti
negoziali. I primi, pure in caso di istanza di condono, sono
destinati ad investire anche il rapporto pubblicistico. Per
gli altri si prospetta una diversa incidenza, considerato
che il comune non è tenuto a ricercarli.
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il
rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione
dei diritti dei terzi»— ha cristallizzato a livello
positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale
assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo
riconoscimento legale nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n.
662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994,
successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269
cit. in materia di condono straordinario).
L’ordinamento giuridico ammette, in via generale,
limitazioni di varia natura al diritto di costruire a
presidio dei diritti dei terzi controinteressati.
Nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali
dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti
tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente
rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo
II, c.c. (si tratta delle prescrizioni in materia di
distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non
direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia
negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena
di godimento (usufrutto, servitù, ecc.) cui corrispondono
altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti
lo ius aedificandi dei confinanti, che può risultare
semplicemente inciso o del tutto sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei
controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di
rilascio del permesso di costruire.
I limiti legali, trovando applicazione generalizzata e
conservando sempre il medesimo contenuto, concorrono a
formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non
pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è
tenuta a considerarli sempre.
Diversamente per le limitazioni negoziali del diritto di
costruire, cui possono ricondursi anche quelle scaturenti
dall’art. 1117 c.c. (cfr. Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n.
6332, secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il
comune rilascia un condono straordinario ex art. 32 d.l.
30.09.2003 n. 269, avente ad oggetto la costruzione di un
terrazzo coperto e disimpegno, di pertinenza di un
appartamento ubicato in uno stabile condominiale, non
potendosi accogliere le censure riguardanti la violazione
delle distanze legali minime rispetto alla costruzione di
terzi e al difetto di autorizzazione del condominio
all’esecuzione dei lavori su parti comuni dello stabile
(nella specie, al momento del rilascio del permesso in
sanatoria, era assolutamente controversa, fra le parti
confinanti, la questione concernente la reintegra delle
distanze violate, pendendo la relativa controversia in sede
civile, e non constava alcuna opposizione da parte del
condominio).
Circa l’ambito di operatività di tali limiti la
giurisprudenza oscilla fra due soluzioni che costituiscono
un corollario della clausola di salvezza dei diritti dei
terzi ed hanno in comune l’inesistenza, in capo
all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di
tali limiti, prodromico al diniego di permesso.
La prima ne esclude ogni rilevanza nel presupposto che
all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche
indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici
dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341);
la seconda ammette che il comune verifichi il rispetto dei
limiti privatistici, purché siano immediatamente
conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti
nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si
traduca in una semplice presa d’atto (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206).
Coerenti, ma non recepibili nel caso di specie, sono le
conclusioni cui è giunta la giurisprudenza più recente in
ordine agli oneri del comune di verificare la legittimazione
dei singoli condomini ad eseguire opere su parti comuni
(cfr. sez. IV 14.09.2005, n. 4744, che ritiene in contrasto
con l’art. 11 t.u. cit., il titolo edilizio rilasciato in
mancanza dell’assenso condominiale); anche in tali casi il
comune si limita a verificare, puramente e semplicemente, la
presenza di un’autorizzazione senza ovviamente poterne
vagliare la validità.
Le conclusioni rimangono immutate quando il comune sia
chiamato a rilasciare un titolo edilizio in sanatoria
ordinaria (ex art. 36 t.u. edilizia) o straordinaria (da
ultimo, ex art. 32 d.l. n. 269 del 2003).
Nel primo caso si richiede, specie in presenza di contrasto
conclamato fra condomini, che l’istruttoria del comune sia
particolarmente accurata (cfr. sez. IV, 16.03.2010, n. 1537;
sez. V 21.10.2003, n. 6529, fattispecie relativa all’art. 13
l. n. 47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni nell’art.
36 t.u. edilizia; 20); in tal caso doverosamente si
acquisisce la delibera di autorizzazione condominiale che
esonera il comune da ogni altro tipo di accertamento non
potendo essere disapplicata da quest’ultimo (cfr. Cons. St.,
sez. IV, n. 1537 del 2010 cit.).
Nel caso di condono straordinario la giurisprudenza registra
una maggiore varietà di posizioni.
Secondo una minoritaria tesi la concessione del condono
straordinario è impedita qualora l’abuso consista non già
nella inosservanza di prescrizioni dirette principalmente a
soddisfare finalità di interesse pubblico, ma nella
violazione delle norme che tutelano in modo diretto ed
immediato lo specifico interesse dei proprietari confinanti
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.12.1997, n. 1487 relativa a
fattispecie di condono governata dall’art. 39 l. n. 724 del
1994).
Di contro, ed in linea con quanto illustrato circa il
controllo esigibile da parte del comune in sede di rilascio
del permesso di costruire ex art. 11 t.u. edilizia, si
ritiene che la rilevanza giuridica del condono straordinario
si esaurisca nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza
estendersi ai rapporti fra privati, essendo il condono
rilasciato con salvezza espressa dei diritti dei terzi (cfr.
Cass., sez. un., 12.01.2007, n. 417); ne discende che la
presentazione di istanza di sanatoria, con riguardo a
costruzione realizzata in violazione della disciplina
urbanistica, non implica la sospensione della contesa
promossa dal proprietario confinante, per far valere, nel
rapporto di vicinato, gli effetti di detta violazione (cfr.
Cass. 07.02.1991, n. 1276).
Il compendio delle regole fin qui esaminate consente:
a) all’autore dell’abuso di fruirne anche se l’illecito
consista nella violazione delle distanze legali;
b) al comune di disinteressarsi delle relative vicende,
fermo restando che il terzo leso potrà ottenere satisfattiva
tutela davanti al giudice civile non subendo alcun
pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, sez. IV, 30.12.2006, n. 8626).
Coerentemente si ritiene possibile accogliere le istanze di
sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo
urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali
limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano
essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del
condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno
(o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da
parte degli stessi proprietari confinanti di atti di
asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora
attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono
dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico
riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle
norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste
ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di
pretendere l’osservanza delle norme in materia (cfr. Cons.
giust. amm., sez. cons., 16.07.1996, n. 467/1996).
In definitiva, la giurisprudenza del Consiglio di Stato,
superando l’indirizzo precedente che affermava la totale
indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla
legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel
senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza
dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente
il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie
per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando
anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire
elementi seri a fondamento del suo diritto,
l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento
abilitativo (Cons. Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3027; sez.
V, 07.07.2005, n. 3730)
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il Comune di
verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o
non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente
locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti
medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed
approfondita disamina dei rapporti tra i condomini.
E' stato condivisibilmente affermato che, in sede di
rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l'obbligo
per il Comune di verificare il rispetto da parte
dell'istante dei limiti privatistici, a condizione che tali
limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da
parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa
d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad
un'accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i
condomini (così, Cons. Stato, IV, 04.05.2010, n. 2546).
E' è tra le ipotesi di questo tipo che sembra doversi
ricomprendere la d.i.a. in esame, a causa della preventiva
comunicazione al Comune di un esposto del comproprietario,
cioè di un atto che il Comune non poteva che considerare
come sostanziale opposizione all’intervento, e che quindi,
oggettivamente, metteva in seria discussione la autonoma
disponibilità della copertura dell’edificio da parte della
ricorrente ai sensi dell’articolo 1102 c.c..
Infatti, non è detto che l’installazione di pannelli solari
sul tetto dell’edificio (intervento certamente agevolato ed
incentivato dalla normativa, per la sua valenza sotto il
profilo ambientale) non possa pregiudicare l’uso o il
godimento della cosa comune da parte degli altri
partecipanti alla comunione - condizione affinché, ai sensi
dell’articolo 1102 c.c., l’intervento modificativo possa
essere liberamente realizzato da ciascuno di essi; basti
pensare, ad esempio, che ciascun comproprietario potrebbe
avere interesse ad installare pannelli per produrre energia,
ma potrebbe non essere sufficiente per tutti la superficie a
disposizione, o sopportabile dalla struttura il peso di più
impianti, etc.; dette eventualità, fanno sì che la
disponibilità dell’installazione ai sensi dell’articolo 1102
c.c. non sia affatto scontata, ma debba essere valutata caso
per caso, considerando la volontà e gli interessi di tutti i
comproprietari (TAR Umbria,
sentenza 28.10.2011 n. 333 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sono di competenza del giudice civile le
lesioni di un diritto soggettivo derivanti da un intervento
approvato con concessione edilizia.
Nella causa in commento i ricorrenti impugnarono dinanzi al
TAR per il Piemonte una concessione edilizia per la
costruzione di un fabbricato residenziale con autorimessa
interrata. I motivi del gravame vertevano, in sintesi, sulla
violazione dei diritti dei terzi e, in particolare, degli
stessi ricorrenti.
Ad avviso dei giudici del Consiglio di Stato, il TAR ha
correttamente opposto alla censura di violazione “dei
diritti di terzi, e, in particolare, diritti dei ricorrenti”,
che la tutela dei diritti soggettivi individuali in questa
materia non rientra nell’ambito della giurisdizione
assegnata al Giudice amministrativo: la concessione edilizia
viene difatti rilasciata con la clausola della salvezza dei
diritti dei terzi, ed è quindi il giudice civile l’autorità
titolata a conoscere di eventuali lesioni di posizioni di
diritto soggettivo che possano scaturire dall’intervento
assentito.
E’ appena il caso di ricordare, continuano i giudici di
Palazzo Spada, che, se è vero che l'Amministrazione
comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio della
concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo
per intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la
concessione edilizia, benché la concessione sia sempre
rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi, è anche vero,
però, che deve escludersi un obbligo del Comune di
effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire
tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, o
di verificare l'inesistenza di servitù o altri vincoli reali
che potrebbero limitare l'attività edificatoria
dell'immobile, atteso che la concessione edilizia è un atto
amministrativo che rende semplicemente legittima l'attività
edilizia nell'ordinamento pubblicistico, e regola solo il
rapporto che, in relazione a quell'attività, si pone in
essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il
soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a
favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti
all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre
verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto
comune (Consiglio Stato, V: 07.09.2009, n. 5223; 07.09.2007
n. 4703; 02.10.2002 n. 5165).
La clausola relativa alla salvezza dei diritti dei terzi,
concludono gli stessi giudici, inserita nella concessione
edilizia deve quindi proprio intendersi nel senso che non
incombe all'autorità che rilascia la concessione compiere
complesse ricognizioni giuridico-documentali, ovvero
accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero
essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio,
essendo sufficiente per l'Amministrazione l'acquisizione del
titolo che formalmente abiliti alla concessione (Consiglio
Stato, IV, 26.05.2006, n. 3201).
Sicché il vicino che reputi leso un proprio diritto
soggettivo, ad es., in materia di distanze tra edifici, può
sempre agire innanzi all'a.g.o. per la riduzione in pristino
o il risarcimento del danno (Consiglio Stato, V, 19.03.1999,
n. 277) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1770 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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