dossier RINNOVO/PROROGA
CONTRATTI |
anno 2016 |
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APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Rinnovazione contratto, si tratta sempre di facoltà.
Anche quando una disposizione normativa o una previsione dei
precedenti atti di gara consentano la proroga o la
rinnovazione del contratto con il contraente originario, si
tratterà sempre di una mera facoltà.
Lo hanno affermato i
giudici della III Sez. del Consiglio di Stato con la
sentenza 15.04.2016 n. 1532.
E inoltre, secondo
un ormai consolidato orientamento dettato dalla
giurisprudenza, l'adesione alle convenzioni Consip
(applicandosi l'art. 15, comma 13, lettera d), del dl
95/2012, anche alle aziende sanitarie - si vedano: Cons.
stato, III, n. 5022/2015 e n. 1486/2014) adempie pienamente
all'obbligo nazionale e comunitario di individuare il
migliore contraente tramite procedure di evidenza pubblica
(si vedano: Cons. stato, III, n. 4081/2014; V, n.
2194/2015).
Pertanto, conseguenza di ciò sarà che, se
l'Amministrazione pubblica ritiene non conveniente
rinegoziare la prosecuzione del rapporto oltre la scadenza,
ben potrà procedere ad espletare una procedura di evidenza
pubblica per la scelta del nuovo contraente. I giudici del
Consiglio di stato hanno, altresì, evidenziato come la
violazione delle regole di correttezza, che presiedono alla
formazione del contratto, andrà ad assumere rilevanza solo
dopo che la fase pubblicistica abbia attribuito al
ricorrente effetti concretamente vantaggiosi, e solo dopo
che tali effetti siano venuti meno nonostante l'affidamento
ormai conseguito dalla parte interessata (come nel caso di
annullamento per illegittimità degli atti della sequenza
procedimentale, ovvero di revoca della gara o
dell'aggiudicazione, o di rifiuto a stipulare il contratto
con l'aggiudicataria).
Alla luce di quanto affermato dalla
Cassazione (cfr. Cass. civ., III, n. 7768/2007; Cass. lav.,
n. 11438/2004), affinché possa ritenersi integrata la
responsabilità precontrattuale, è necessario che tra le
parti siano in corso trattative; che le trattative siano
giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che
invoca l'altrui responsabilità il ragionevole affidamento
sulla conclusione del contratto; che la controparte, cui si
addebita la responsabilità, le interrompa senza un
giustificato motivo; che, infine, pur nell'ordinaria
diligenza della parte che invoca la responsabilità, non
sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole
affidamento.
In particolare, nei confronti della p.a., se
non è ipotizzabile una responsabilità precontrattuale, per
violazione del dovere di correttezza di cui all'art. 1337
c.c. rispetto al procedimento amministrativo strumentale
alla scelta del contraente, essa è ammissibile con riguardo
alla fase successiva alla scelta, in cui il recesso dalle
trattative da parte della p.a. è sindacabile sotto il
profilo della violazione del dovere del neminem laedere
(articolo ItaliaOggi Sette del 16.05.2016).
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MASSIMA
10. Il Collegio osserva che l’art. 6 comma 2, lettera
b), dell’Allegato II, del d.lgs. 115/2008, prevede
univocamente una rinegoziazione del contratto di servizio
energia, con modifica delle condizioni ai fini del
conseguimento di una maggiore efficienza energetica, ed
allungamento (in questo senso, proroga) della durata
originaria.
Nella sentenza appellata, la qualificazione di detta
tipologia contrattuale non costituisce, a ben vedere, una
premessa che condiziona le successive statuizioni, non
essendo contestato che la proroga (la novazione oggettiva)
dei contratti in essere sia in linea di principio vietata
dalla normativa e che la predetta disposizione costituisca
una deroga al divieto, ed essendo invece controversa
l’applicabilità della disposizione al contratto stipulato
tra le parti nel 2003.
Tuttavia, la conclusione raggiunta dal TAR non può essere
condivisa.
L’art. 6, comma 2, si inserisce in una normativa che mira
alla tutela dell’ambiente ed al miglioramento
dell’efficienza negli usi finali dell’energia; la sua
ratio ha dunque carattere ambientale, ed è legata
all’opportunità di conseguire un più rapido adeguamento dei
servizi energia ai sopravvenuti parametri di efficienza
energetica, senza attendere la naturale scadenza dei
contratti e consentendone la rinegoziazione anticipata,
incentivandola mediante l’allungamento della durata, con
possibilità quindi di spalmare su un periodo più lungo i
corrispettivi a fronte degli investimenti necessari per far
fronte agli interventi volti al conseguimento
dell’efficienza energetica.
Una simile finalità riguarda anzitutto i contratti in essere
all’entrata in vigore del d.lgs. 115/2008, per i quali
l’opportunità di un efficientamento è maggiore di quelli
stipulati in conformità alle previsioni della normativa
sopravvenuta, che presuppongono livelli di efficienza
superiori.
Non sembra invece corretto collegare la possibilità di
rinegoziazione e di allungamento della durata, alla
rispondenza dei contenuti del contratto in essere alle
previsioni minime del d.lgs. 115/2008, essendo la deroga al
divieto di rinnovazione senza gara giustificabile al solo
fine di conseguire migliori risultati ambientali, attraverso
l’applicazione dei requisiti di cui all’Allegato II,
altrimenti da rinviare alla naturale scadenza contrattuale.
In questo senso, la interpretazione data dall’Azienda ed
accolta dal TAR è proprio quella che esporrebbe l’art. 6,
comma 2, lettera b), a più fondati dubbi di compatibilità
con il diritto dell’Unione Europea.
Alla luce di tali considerazioni, pur condividendo l’assunto
che l’art. 6, cit. costituisce previsione derogatoria e come
tale non è suscettibile di interpretazione estensiva o
analogica, gli argomenti basati sul tenore letterale delle
disposizioni del d.lgs. 115/2008 (e sui quali sembra basarsi
la decisione dell’AVCP invocata a sostegno della tesi
contraria) non appaiono dirimenti. Infatti:
-
nessuna disposizione prevede espressamente che la
possibilità di proroga debba essere prevista nel bando della
procedura che ha condotto alla stipula del contratto da
rinegoziare/prorogare;
-
la rispondenza alle previsioni (in termini di contenuti e
requisiti prestazionali) dell’allegato II, è chiaramente
riferita al contenuto del contratto una volta rinegoziato,
non a quello da rinegoziare; sembra pertanto non rilevante
stabilire se i contenuti del contratto esistente tra le
parti fossero o no già sostanzialmente coerenti con le
disposizioni sopravvenute;
-
l’art. 16, comma 4, del d.lgs. 115/2008, nel prevedere che
tra i contratti che possono essere “proposti”
nell’ambito della fornitura di un servizio energetico
rientra il contratto di servizio energia di cui all’art. 1,
comma 1, lettera p), del d.P.R. 412/1993, “rispondente”
a quanto stabilito nell’allegato II, riguarda la tipologia
ed i contenuti dei nuovi contratti da stipulare, e non
impedisce quindi che la rinegoziazione si applichi anche ad
un contratto rientrante nella tipologia secondo la normativa
pregressa, in vigore al momento della stipula, e con
contenuti ad essa rispondenti;
-
i requisiti previsti dall’Allegato II che il contratto
servizio energia deve rispettare, riguardano logicamente i
contratti futuri, e la circostanza che tra i requisiti vi
sia che il contratto “faccia esplicito e vincolante
riferimento al presente atto” non significa che i
contratti precedenti non possano essere considerati
contratti di servizio energia, ai fini della rinegoziazione,
ma soltanto che dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 115/2008
il contenuto dei contratti di servizio energia deve
univocamente riferirsi alle previsioni della normativa ed in
particolare dell’Allegato II, in modo da consentire la
possibilità di rinegoziazione (per introdurre contenuti
migliorativi) solo ai contratti che risultano stipulati in
aderenza alle previsioni di legge pro-tempore vigenti (ed
abbiano quindi, dal punto di vista dell’efficienza
energetica, un contenuto legittimo).
11. Posto che non sussisteva un impedimento giuridico
all’applicazione dell’art. 6, comma 2, lettera b),
dell’Allegato II del d.lgs. 115/2008, non per questo
l’Azienda era obbligata a seguire tale strada.
Infatti,
anche quando una disposizione normativa o una previsione dei
precedenti atti di gara consentano la proroga o rinnovazione
del contratto con il contraente originario, proprio in
quanto possibilità derogatoria di un divieto generale, si
tratta di mera facoltà; con la conseguenza che, se
l’Amministrazione ritiene non conveniente rinegoziare la
prosecuzione del rapporto oltre la scadenza, ben può
procedere ad espletare una procedura di evidenza pubblica
per la scelta del nuovo contraente.
E l’adesione alle convenzioni Consip (applicandosi l’art.
15, comma 13, lettera d), del d.l. 95/2012, anche alle
aziende sanitarie -cfr. Cons. Stato, III, n. 5022/2015 e n.
1486/2014)- adempie pienamente all’obbligo nazionale e
comunitario di individuare il migliore contraente tramite
procedure di evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, III, n.
4081/2014; V, n. 2194/2015).
Tanto più nel caso in esame, dato che la prima proposta
progettuale era stata presentata all’Azienda pochi mesi
prima della scadenza decennale del contratto, e quindi
l’opportunità di anticipare, mediante la rinnovazione,
l’applicazione dell’Allegato II del d.lgs. 115/2008, era
ormai pressoché virtuale.
12. La decisione di non rinegoziare il contratto si sottrae
pertanto alle censure dedotte dall’appellante. |
anno 2015 |
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APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
La spending non impone di rinegoziare i
contratti.
La spending review non legittima l'ente a rinegoziare i
vecchi contratti senza gara. L'obbligo di bandire una gara
rispettando i principi europei della libera concorrenza
prevale anche sulla prospettiva di risparmi di spesa e
benefici organizzativi per l'amministrazione
Non c'è spending review che tenga. L'amministrazione non può
continuare ad assicurarsi il servizio in appalto
rinegoziando i vecchi contratti senza gara, anche di fronte
alla prospettiva di risparmi di spesa e benefici
organizzativi interni: bisogna sempre rispettare i principi
europei della concorrenza, garantendo un libero confronto
fra le imprese nell'accesso alla procedure pubbliche.
No all'affidamento diretto e perfino alla procedura
negoziata con bando: serve la gara con i criteri
dell'offerta economicamente più vantaggiosa. La stazione
appaltante non risulta giustificata dalla necessità di dover
provvedere in attesa che sia indetta una gara europea.
È quanto emerge dalla
sentenza 21.05.2015 n. 398, pubblicata dalla I
Sez. del TAR Abruzzo-L'Aquila.
Differimento illegittimo.
Due Asl si fondono e la nuova azienda sanitaria locale deve
risolvere il problema della fornitura di sistemi
diagnostici: decide per la via più breve dell'affidamento
diretto, motivando la scelta con la necessità di verificare
il fabbisogno del territorio e dare poi il via alla gara,
garantendo nel frattempo i servizi di assistenza
indispensabili.
Si tratterebbe dunque di differimenti solo «tecnici»
dei contratti ereditati dalle Asl sciolte e per fare il
punto della situazione e bandire «procedure competitive
economicamente vantaggiose per l'azienda e per la
collettività». E ciò per «omogeneizzare i prodotti,
allineare i prezzi e aggiornare i macchinari», come
emerge dalla delibera.
La procedura intrapresa, tuttavia, viola norme nazionali ed
europee: trova ingresso il ricorso del concorrente. Già la
proroga e il rinnovo senza gara sono contrarie ai principi
di trasparenza e imparzialità dell'amministrazione. Ma in
questo caso l'Asl dà vita di fatto a un nuovo contratto
unico che scaturisce dalla proroga dei vecchi rapporti in
essere.
Non serve giustificarsi con la spending review
laddove l'affidamento diretto consentirebbe con vantaggi
definiti «di importanza cruciale e irrinunciabile».
Mai le esigenze di contenimento della spesa pubblica,
concludono i giudici, possono consentire la distorsione
delle regole della libera concorrenza
(articolo ItaliaOggi del 18.06.2015).
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MASSIMA
Il ricorso –relativamente allo scrutinio di legittimità
della delibera oggetto di impugnativa- si manifesta fondato.
E’ noto che il rinnovo dei contratti pubblici ex art. 6,
comma 2, ultimo periodo della legge 24.12.1993 determinò una
situazione di contrasto con l’ordinamento comunitario,
atteso che tale norma, ammettendo il rinnovo tacito dei
contratti per la fornitura di beni e servizi della pubblica
amministrazione delle pubbliche amministrazioni, determinò
l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del
nostro Paese, recata dal parere motivato della Commissione
europea n. 2003 del 16.12.2003, chiusasi a seguito
dell’abrogazione della norma in parola ad opera dell’art. 23
della legge 18.04.2005.
Più di recente una norma non dissimile (art. 1 d.l. 95/2012,
come modificato in sede di conversione dalla legge n.
135/2012) , consentendo la proroga dei rapporti di fornitura
mediante il raddoppio delle quantità ovvero degli importi
massimi complessivi delle convenzioni Consip in corso, è
stata direttamente disapplicata dai giudici amministrativi
perché in frontale violazione del diritto comunitario (cfr.
questo Tar, 05.06.2014 n. 515, Consiglio di Stato, sez. III,
30.01.2014, nn. 1486 e 1793, 515, TAR Sardegna, sez. I ,
08.05.2013, n. 361).
Tornando al disposto dell’art. 23 della legge 18.04.2005,
ogni deroga al divieto ivi introdotto di prorogare i
contratti aveva una portata meramente transitoria,
trattandosi di proroga per periodi max semestrali, riferita
ai soli residui –ed ormai da tempo esauriti- contratti che
sarebbero scaduti entro sei mesi dalla sua entrata in vigore
(novembre 2005, per l’appunto). In questo senso, neanche la
lettura della norma offerta dalla ricorrente appare
convincente, laddove –senza considerare il contesto
transitorio sopra evidenziato- si sarebbe quantomeno “tollerato”,
nella vicenda in esame, un intervento prorogatorio dell’ASL
basato su tale disposizione, purché non superiore a sei
mesi.
Piuttosto, il rinnovo a regime del
contratto (e non solo quindi la mera proroga) risulta
introdotto con l’art. 57, comma 2, lett. b, del d.leg.vo
163/2006, come interpretato dalla giurisprudenza in
conformità al disposto dell’art. 31, comma 1, n. 4, lett.
b), della direttiva 18/2004, così consentendosi per
l’appunto il rinnovo espresso, a condizione però che detta
possibilità sia prevista ab origine negli atti di
gara da cui è scaturito il contratto scaduto od in scadenza
e l’importo totale previsto per la prosecuzione del rapporto
sia indicato nella lex specialis, fatta salva
adeguata motivazione sul punto, ma sempre che tale
possibilità sia esercitata entro tre anni dalla stipula del
contratto iniziale. |
anno 2014 |
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APPALTI SERVIZI:
Proroga del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento
rifiuti.
Qualora nel bando di gara e nel
capitolato speciale d'appalto sia contemplata la possibilità
di prorogare il contratto per il tempo necessario
all'espletamento di una nuova gara, si ritiene che non sia
necessaria la stipulazione di un contratto di proroga,
risultando sufficiente l'accettazione da parte
dell'appaltatore della determinazione di proroga adottata
dall'Ente.
La Comunità Montana, su delega di 25 Comuni del suo
territorio, ha indetto nel 2011 una gara europea aperta per
la gestione del servizio di raccolta, trasporto e
smistamento dei rifiuti, al termine della quale ha stipulato
un contratto di durata triennale che scadrà il prossimo
30.06.2014. Come appreso per le vie brevi, nel capitolato
speciale d'appalto era prevista la possibilità di prorogare
il contratto per un periodo massimo pari a sei mesi, al fine
di consentire all'Ente di espletare le procedure di
reperimento di un nuovo contraente, tramite nuova gara
aperta.
In considerazione del fatto che tale proroga comporta
soltanto uno spostamento in avanti della scadenza
dell'attuale contratto, e che il servizio sarà svolto agli
stessi patti e condizioni del contratto principale, chiede
l'Ente se vi sia la necessità di stipulare con la ditta
appaltatrice un 'contratto di proroga' relativo
all'importo aggiuntivo, ovvero se sia sufficiente far
sottoscrivere all'appaltatore la determinazione di proroga
per integrale accettazione, oltre ad una lettera commerciale
avente valore contrattuale, fermi restando l'adeguamento del
deposito cauzionale e l'acquisizione della documentazione
prevista dalla vigente normativa.
Sentito il Servizio provveditorato e servizi generali di
questa Direzione centrale, si esprimono le seguenti
considerazioni.
Preliminarmente pare opportuno ricordare che si ha una
proroga tecnica nel momento in cui la stazione appaltante
decide di avvalersi della facoltà di prolungare l'efficacia
del contratto spostando in avanti la sua scadenza, a
condizioni invariate.
Tale proroga trova generalmente fondamento nella lex
specialis della gara, così che tutti i concorrenti siano
a conoscenza della facoltà della stazione appaltante di
potervi, in determinate circostanze, fare ricorso.
Nel caso di specie, stando a quanto affermato dall'Ente
instante, la possibilità di proroga per sei mesi del
contratto in essere è stata indicata nel bando di gara e nel
capitolato speciale d'appalto.
Di conseguenza, nel momento in cui l'appaltatore ha
sottoscritto il contratto iniziale, ha anche accettato tale
eventualità, costituendo la clausola parte integrante del
contratto stesso.
Perciò, in capo all'appaltatore, non sussisterebbe nemmeno
la facoltà di rispondere negativamente, poiché, in questo
caso, verrebbe meno agli accordi sottoscritti inizialmente.
Infatti, in relazione all'accettazione, da parte
dell'appaltatore, della proroga in parola, si osserva che
secondo l'AVCP 'il riscontro negativo alla richiesta di
proroga inviata alla stazione appaltante potrebbe (...)
qualificarsi come inadempimento ad uno degli obblighi
derivanti dal contratto e conseguentemente legittimare la
stazione appaltante all'incameramento della cauzione
costituita dal fornitore' [1].
Lo slittamento in avanti del termine dell'appalto, peraltro
già ipotizzato nel contratto, non costituisce quindi una
modifica sostanziale allo stesso, poiché restano inalterate
tutte le condizioni di svolgimento dell'appalto.
Si ritiene, pertanto, che non sia necessaria la stipulazione
di un contratto di proroga, risultando sufficiente
l'accettazione da parte dell'appaltatore della
determinazione di proroga.
Si rileva infine che, come stabilito dall'AVCP, qualora la
proroga sia concessa per garantire la prosecuzione dello
svolgimento del servizio (in capo al precedente affidatario)
nelle more dell'espletamento delle procedure necessarie per
l'individuazione di un nuovo soggetto affidatario, non è
nemmeno necessario chiedere un nuovo codice CIG
[2].
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[1] AVCP, deliberazione n. 85 del 10.10.2012.
[2] AVCP, FAQ sulla tracciabilità dei flussi finanziari
(20.06.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Sull'istituto contrattuale del rinnovo.
Pare al collegio che sia più aderente al
caso di specie la vicenda analizzata nella recente decisione
Cons. St., sez. III, n. 3580/2013, resa in fattispecie
sostanzialmente analoga alla presente, in cui il rinnovo
contrattuale era previsto dal capitolato speciale.
Ha precisato al proposito il collegio: “la clausola,
conosciuta e accettata da tutti i partecipanti alla gara, ha
formato oggetto dell’insieme di regole sulle quali si era
svolto il confronto concorrenziale tra le imprese, nel
rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza, sicché
tutti i partecipanti hanno potuto formulare le proprie
offerte tenendo conto della possibilità del prolungamento
della durata del contratto.” Ha quindi proseguito il giudice
d’appello: “ad avviso di questo Collegio, né l’art. 23 della
l. 18.04.2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), né l’art. 57
d.Lgs. 12.04.2006, n. 163, né i principi comunitari
consolidati in materia contrattuale, impediscono il rinnovo
espresso dei contratti, allorché la facoltà di rinnovo, alle
medesime condizioni e per un tempo predeterminato e
limitato, sia ab origine prevista negli atti di gara e venga
esercitata in modo espresso e con adeguata motivazione.”
Quale argomento sistematico a favore della possibilità di un
rinnovo contrattuale debitamente pubblicizzato
nell’originaria procedura di evidenza pubblica occorre
ricordare il disposto dell’art. 29 del codice dei contratti
(che riproduce testualmente la presupposta direttiva
comunitaria) il quale prescrive che il valore stimato degli
appalti debba tenere conto delle previste forme di opzione o
rinnovo. La norma non avrebbe alcun senso in un ordinamento
in cui il rinnovo contrattuale fosse in generale escluso.
Ancora la disciplina (sempre di derivazione comunitaria)
degli accordi quadro contempla l’ipotesi di una negoziazione
originaria, previa evidenza pubblica, alla quale, in taluni
casi, può legittimamente seguire una seconda fase a
trattativa privata.
Nel complesso si condivide dunque l’assunto secondo cui
l’interpretazione sistematica della disciplina dell’evidenza
pubblica non osta ad una previsione di gara che, a priori e
nel pieno rispetto delle dovute forme di pubblicità, invece
di prevedere una aggiudicazione complessiva di, in ipotesi,
5 anni, spezzi il rapporto contrattuale in due segmenti,
così consentendo all’amministrazione o di optare per la
formula più lunga (si presume dopo aver riscontrato che il
contraente opera correttamente e il contratto mantiene
convenienza) o di rifare appello al mercato, qualora la
situazione sia tale da non rendere conveniente un rapporto
di tale durata.
Al limite siffatta tipologia di clausole (di cui, si
ribadisce, è evidentemente necessaria la debita pubblicità
preventiva) potrebbe incorrere in illegittimità ove la
rinnovata e complessiva durata del rapporto contrattuale si
atteggiasse in termini tali da dare luogo, a fronte del
principio di proporzionalità, alla creazione di una sorta di
ingiustificata e possibile “rendita di posizione”
dell’aggiudicatario.
Tuttavia è indubbio che tale non sia la problematica
invocata nel caso di specie, ove la censura assume tout
court l’esistenza di un principio astratto di divieto di
rinnovazione dei contratti, anche quando, come nel caso di
specie, ciò fosse previsto nella legge di gara rispettosa,
ab origine, delle prescritte forme di pubblicità e porti ad
un contratto che ben avrebbe essere concepito come tale
complessivamente ed ab origine, essendosi semplicemente
scelto di spezzare il rapporto con possibilità intermedia
dell’amministrazione di rivalutarne la convenienza.
Con la prima e principale delle
censure di cui al ricorso si afferma, infatti, che
l’amministrazione avrebbe posto in essere una illegittima
trattativa diretta senza previa pubblicazione del bando ed
in quanto tale condotta secondo modalità generalmente
vietate dalla disciplina dell’evidenza pubblica.
E’ pacifico in atti che il bando della gara, a cui aveva
preso parte la stessa ricorrente e da cui è scaturito
l’originario affidamento a favore della controinteressata,
prevedeva espressamente la scadenza del servizio al
31.08.2012, corredata di una ulteriore possibilità di
rinnovo; analogamente l’art. 2 secondo capoverso del
capitolato (impugnato da parte ricorrente) ribadiva
espressamente la possibilità di un’opzione di rinnovo del
servizio per tre anni, opzione concepita a favore della sola
stazione appaltante, e ferme le medesime condizioni
contrattuali.
Il bando, oggetto di pubblicità sulla GUCE, al punto II.2.2,
specificava chiaramente che era prevista dal contratto una
opzione di rinnovo sino ad un massimo di tre anni.
Dati siffatti pacifici elementi documentali non appare
coerente con lo svolgimento della procedura la tesi di parte
ricorrente secondo cui sarebbe stato posto in essere un
rinnovo contrattuale in assenza di qualsivoglia previa
pubblicazione di bando, e quindi in violazione dei generali
principi di trasparenza, di cui gli obblighi di pubblicità
costituiscono un precipitato.
La costruzione di parte ricorrente desume argomenti a
proprio favore attribuendo una valenza generale e di
principio all’evoluzione normativa subita dalla l. n.
537/1993, e alla giurisprudenza sviluppatasi in argomento,
che, seguendo l’impostazione di parte ricorrente, indurrebbe
anche la nullità di eventuali previsioni della legge di gara
che prefigurino ipotesi di rinnovo contrattuale.
L’assunto
non risulta condivisibile là dove implica effetti
esorbitanti rispetto alle problematiche da cui il dibattito
era scaturito.
La disciplina originariamente dettata dall’art. 6, co. 2,
della l. n. 537/1993 (il cui ultimo periodo è stato soppresso
dalla legge n. 62/2005 in quanto, con riferimento a detta
disposizione, era in corso una procedura di infrazione
comunitaria) innanzitutto vietava il rinnovo tacito dei
contratti di fornitura di beni e servizi; tale divieto,
certamente conforme al diritto dell’Unione europea in
materia, è oggi riprodotto, con espressa estensione a
forniture, servizi e lavori, dall’art. 57, co. 7, del codice
dei contratti pubblici.
L’art. 6, co. 1, n. 537/1993 prevedeva poi quanto segue: “entro
tre mesi dalla scadenza dei contratti le amministrazioni
accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di
pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti
medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al
contraente la volontà di procedere alla rinnovazione.”
E’ certamente non pertinente al caso di specie il richiamo
al divieto di rinnovazione tacita, pacificamente non
verificatasi nel caso di specie e tuttora bandita
dall’ordinamento.
Neppure le disposizioni del censurato ultimo periodo
dell’art. 6, co. 2, della l. n. 537/1993, tuttavia, sono
aderenti alla presente vicenda; detta disciplina si
prestava, infatti, ad una interpretazione tale da consentire
alla stazione appaltante di rinnovare i contratti di
fornitura, del tutto a prescindere dalle indicazioni
contenute nel bando di gara che aveva portato alla
stipulazione del primo contratto, e quindi in un contesto
certamente al di fuori di ogni regola di evidenza pubblica.
Tanto aveva indotto, appunto, l’apertura di una procedura di
infrazione comunitaria, superata proprio con l’abrogazione
della contestata disposizione ad opera della l. n. 62/2005.
La giurisprudenza inizialmente formatasi in relazione a
siffatta evoluzione normativa parrebbe tuttavia averne
desunto la sussistenza di un divieto generalizzato di
rinnovo contrattuale da parte della pubblica
amministrazione. Non deve tuttavia trascurarsi che la
giurisprudenza invocata in ricorso ha spesso analizzato
vertenze in cui l’amministrazione aveva negato un rinnovo,
invece preteso dal contraente/ricorrente (in tal senso, ad
es., Cons. St., sez. IV, n. 6458/2006, citata in ricorso).
Pare al collegio, per contro, che sia più aderente al caso
di specie la vicenda analizzata nella recente decisione
Cons. St., sez. III, n. 3580/2013, resa in fattispecie
sostanzialmente analoga alla presente, in cui il rinnovo
contrattuale era previsto dal capitolato speciale.
Ha
precisato al proposito il collegio: “la clausola, conosciuta
e accettata da tutti i partecipanti alla gara, ha formato
oggetto dell’insieme di regole sulle quali si era svolto il
confronto concorrenziale tra le imprese, nel rispetto dei
principi di trasparenza e concorrenza, sicché tutti i
partecipanti hanno potuto formulare le proprie offerte
tenendo conto della possibilità del prolungamento della
durata del contratto.” Ha quindi proseguito il giudice
d’appello: “ad avviso di questo Collegio, né l’art. 23 della
l. 18.04.2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), né l’art.
57 d.Lgs. 12.04.2006, n. 163, né i principi comunitari
consolidati in materia contrattuale, impediscono il rinnovo
espresso dei contratti, allorché la facoltà di rinnovo, alle
medesime condizioni e per un tempo predeterminato e
limitato, sia ab origine prevista negli atti di gara e venga
esercitata in modo espresso e con adeguata motivazione.”
Quale argomento sistematico a favore della possibilità di un
rinnovo contrattuale debitamente pubblicizzato
nell’originaria procedura di evidenza pubblica occorre
ricordare il disposto dell’art. 29 del codice dei contratti
(che riproduce testualmente la presupposta direttiva
comunitaria) il quale prescrive che il valore stimato degli
appalti debba tenere conto delle previste forme di opzione o
rinnovo. La norma non avrebbe alcun senso in un ordinamento
in cui il rinnovo contrattuale fosse in generale escluso.
Ancora la disciplina (sempre di derivazione comunitaria)
degli accordi quadro contempla l’ipotesi di una negoziazione
originaria, previa evidenza pubblica, alla quale, in taluni
casi, può legittimamente seguire una seconda fase a
trattativa privata.
Nel complesso si condivide dunque l’assunto secondo cui
l’interpretazione sistematica della disciplina dell’evidenza
pubblica non osta ad una previsione di gara che, a priori e
nel pieno rispetto delle dovute forme di pubblicità, invece
di prevedere una aggiudicazione complessiva di, in ipotesi,
5 anni, spezzi il rapporto contrattuale in due segmenti,
così consentendo all’amministrazione o di optare per la
formula più lunga (si presume dopo aver riscontrato che il
contraente opera correttamente e il contratto mantiene
convenienza) o di rifare appello al mercato, qualora la
situazione sia tale da non rendere conveniente un rapporto
di tale durata.
Al limite siffatta tipologia di clausole (di cui, si
ribadisce, è evidentemente necessaria la debita pubblicità
preventiva) potrebbe incorrere in illegittimità ove la
rinnovata e complessiva durata del rapporto contrattuale si
atteggiasse in termini tali da dare luogo, a fronte del
principio di proporzionalità, alla creazione di una sorta di
ingiustificata e possibile “rendita di posizione”
dell’aggiudicatario.
Tuttavia è indubbio che tale non sia la problematica
invocata nel caso di specie, ove la censura assume tout
court l’esistenza di un principio astratto di divieto di
rinnovazione dei contratti, anche quando, come nel caso di
specie, ciò fosse previsto nella legge di gara rispettosa,
ab origine, delle prescritte forme di pubblicità e porti ad
un contratto che ben avrebbe essere concepito come tale
complessivamente ed ab origine, essendosi semplicemente
scelto di spezzare il rapporto con possibilità intermedia
dell’amministrazione di rivalutarne la convenienza.
Il primo motivo di ricorso deve quindi essere respinto
(TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.06.2014 n. 1029 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
APPALTI SERVIZI:
In materia di rinnovo o
proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi
è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti in
relazione alla normativa inderogabile stabilita dal
legislatore per ragioni di interesse pubblico, in quanto
vige il principio in forza del quale, salve espresse
previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa
comunitaria, l’Amministrazione, una volta scaduto il
contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di
avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una
nuova gara.
---------------
Il principio del divieto di rinnovo dei contratti di appalto
scaduti, stabilito dall'art. 23, l. 18.04.2005, n. 62, ha
valenza generale e preclusiva sulle altre e contrarie
disposizioni dell'ordinamento. Costituisce principio
consolidato che, anche laddove la possibilità di proroga sia
prevista nella lex specialis, essa potrebbe, al limite,
consentire una limitata deroga al principio del divieto di
rinnovo, purché con puntuale motivazione l'Amministrazione
dia conto degli elementi che conducono a disattendere il
principio generale. Tale rapporto tra regola ed eccezione si
riflette sul contenuto della motivazione. Se
l'Amministrazione opta per l'indizione della gara, nessuna
particolare motivazione è necessaria; non così invece se ci
si avvale della possibilità di proroga prevista dal bando.
Tale principio vale sicuramente anche in relazione alle
concessioni di servizio e alle concessioni su aree demaniali
afferenti al servizio stesso ex art. 30 del Codice dei
contratti pubblici.
Anche gli altri motivi di appello sono infondati.
Infatti:
- il diritto a vedersi accordato il rinnovo del contratto di
concessione di servizio pubblico di area demaniale per
l’attività di frantumazione e selezione di inerti non può
sorgere solo perché tale attività è finalizzata anche al
completamento del progetto di risanamento ambientale, in
quanto la c.d. gestione del servizio di recupero ambientale
delle ex cave site in località Pontone Longo in San Giovanni
Rotondo è una mansione accessoria rispetto al cardine
principale dell’attività dell’appellante, il quale ha
ottenuto concessione del suolo costituente l’area di sedime
dell’ex cava principalmente per l’istallazione di un
impianto di selezione e frantumazione di inerti provenienti
da scavi e per i quali il medesimo percepisce un
corrispettivo per ogni metro cubo;
- in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di
appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l’autonomia
contrattuale delle parti in relazione alla normativa
inderogabile stabilita dal legislatore per ragioni di
interesse pubblico, in quanto vige il principio in forza del
quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in
conformità della normativa comunitaria, l’Amministrazione,
una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora
la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni,
effettuare una nuova gara (Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2010, n.
445, Cons. Stato, Sez. IV, 31.05.2007, n. 2866, Cons. Stato,
Sez. V, 08.07.2008, n. 3391);
- non vi è spazio per riconoscere violazioni procedimentali
sotto il profilo della contraddittorietà o carenza di
motivazione; infatti, se l’Amministrazione opta per
l’indizione di una gara pubblica non è necessaria nessuna
motivazione e, pertanto nessuna giustificazione circa il
disatteso rinnovo contrattuale;
- infatti, il principio del divieto di rinnovo dei contratti
di appalto scaduti, stabilito dall'art. 23, l. 18.04.2005, n. 62, ha valenza generale e preclusiva sulle altre e
contrarie disposizioni dell'ordinamento. Costituisce
principio consolidato che, anche laddove la possibilità di
proroga sia prevista nella lex specialis, essa potrebbe, al
limite, consentire una limitata deroga al principio del
divieto di rinnovo, purché con puntuale motivazione
l'Amministrazione dia conto degli elementi che conducono a
disattendere il principio generale. Tale rapporto tra regola
ed eccezione si riflette sul contenuto della motivazione. Se
l'Amministrazione opta per l'indizione della gara, nessuna
particolare motivazione è necessaria; non così invece se ci
si avvale della possibilità di proroga prevista dal bando
(cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 24.11.2011, n.
6194);
- tale principio vale sicuramente anche in relazione alle
concessioni di servizio e alle concessioni su aree demaniali
afferenti al servizio stesso ex art. 30 del Codice dei
contratti pubblici;
- tale regola generale rende evidente che l’inosservanza
della disposizione di cui all’art. 10-bis costituisce mero
vizio di forma non inficiante la sostanza della decisione,
quindi non annullabile ai sensi dell’art. 21-ocites, come
correttamente ritenuto dal TAR (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.08.2013 n. 4192 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Rinnovo espresso del contratto di appalto.
E' legittimo il rinnovo del contratto di appalto pubblico
quando l'amministrazione abbia pubblicizzato tale volontà
negli atti di gara e sia diretto nei confronti del medesimo
contraente, del quale è già stata comprovata l'idoneità
tecnica e la capacità economica.
Questa la decisione del Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.07.2013 n. 3580, in
relazione all'affidamento del servizio di brokeraggio
assicurativo.
Nel caso in esame, una società che nel 2009 aveva
partecipato alla gara, nel 2012, avvicinandosi la scadenza
triennale del contratto, aveva manifestato il proprio
interesse a partecipare alla nuova procedura.
L'amministrazione decideva, tuttavia, di esercitare
l'opzione prevista negli atti della gara del 2009 e di
rinnovare il contratto per un ulteriore triennio.
I Giudici di Palazzo Spada, dichiarando legittimo l'agire
amministrativo, prevedono che, "La clausola, conosciuta e
accettata da tutti i partecipanti alla gara, ha formato
oggetto dell'insieme di regole sulle quali si era svolto il
confronto concorrenziale tra le imprese, nel rispetto dei
principi di trasparenza e concorrenza, sicché tutti i
partecipanti hanno potuto formulare le proprie offerte
tenendo conto della possibilità del prolungamento della
durata del contratto.".
Si rileva inoltre l'inesistenza di una specifica norma tesa
ad impedire il rinnovo espresso della gara, in quanto, "Difatti,
l'art. 23 della l. 62/2005, che modifica l'articolo 6, comma
2, della legge 24.12.1993, n. 537, il quale, nella prima
parte, espressamente vieta il rinnovo tacito dei contratti
scaduti per la fornitura di beni e servizi, prevede che il
contratto scaduto può essere prorogato per il tempo
necessario all'indizione di nuova gara, anche in assenza
della previsione espressa di proroga contenuta negli atti di
gara, purché nei detti limiti.
L'art. 57, comma 7, D.lgs. 163/2006 dispone esclusivamente
il divieto di rinnovo tacito di tutti i contratti aventi ad
oggetto forniture, servizi e lavori, e commina la nullità di
quelli rinnovati tacitamente.".
Le argomentazioni proposte dal Consiglio di Stato tengono
altresì conto del dettato dell'art. 29 del Codice dei
contratti, nel quale, a proposito del valore stimato degli
appalti e dei servizi pubblici, si impone di tener conto di
qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto.
E' scongiurata, pertanto, la violazione dei principi
concorrenziali nel caso in cui la richiesta di partecipare
alla nuova gara sia avanzata da un operatore economico che
ha preso parte alla precedente procedura, permangono dubbi
interpretativi nel caso in cui tale richiesta sia avanzata,
invece, da un soggetto ignaro del contenuto degli atti della
gara bandita in precedenza (tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il rinnovo del servizio di tesoreria nei
confronti del medesimo operatore economico già
aggiudicatario del servizio non può avvenire, in via
diretta, senza previo espletamento di una gara pubblica.
L'affidamento del servizio di tesoreria comunale -inteso ai
sensi dell'art. 209 t.u. quale complesso di operazioni
legate alla gestione finanziaria dell'ente locale ivi
inclusa la riscossione delle entrate, la custodia di titoli
e valori e gli adempimenti connessi- rientra nell'ambito di
operatività della normativa di cui al d.lgs. n. 163/2006
risultando assoggettato alle disposizioni del Codice ai
sensi del comma 2 dell'art. 20 in quanto incluso tra "i
servizi finanziari" di cui all'all. II A ed identificato
con cpv 66600000-6.
Ai sensi dell'art. 210 del d.lgs. n. 267/2000 -posto a base
del provvedimento impugnato- l'ente può procedere al rinnovo
del contratto di tesoreria nei confronti del medesimo
soggetto per non più di una volta solo "qualora ricorrano
le condizioni di legge". Nell'ambito delle "condizioni
di legge" in presenza delle quali è ammesso il rinnovo
non può prescindersi dal rilievo della normativa di
derivazione comunitaria introdotta dall'art. 23 della l.
18.04.2005 n. 62 che, al fine di porre termine ad una
procedura di infrazione azionata da parte della Commissione
europea (n. 2110/2003), ha esplicitamente soppresso la
facoltà, precedentemente riconosciuta alle amministrazioni
dall'art. 6, c. 2, della l. 24.12.1993 n. 537, di pervenire
al rinnovo di contratti pubblici nei confronti del medesimo
contraente in presenza di accertate ragioni di convenienza e
di pubblico interesse, consentendo la sola proroga dei
contratti per acquisti e forniture di beni e servizi per il
tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito
di espletamento di gara pubblica.
Ne consegue che, nel caso di specie, il rinnovo del servizio
di tesoreria nei confronti del medesimo operatore economico
già aggiudicatario del servizio non poteva avvenire, in via
diretta, senza previo espletamento di una gara pubblica (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 21.06.2013 n. 3261 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L’art.
6 della L. 24/12/1993, n. 537, pur escludendo la legittimità
di ogni rinnovo tacito dei contratti di acquisito di beni o
servizi stipulati da pubbliche amministrazioni, prevedeva la
possibilità che queste, nei tre mesi precedenti alla
scadenza, dovessero accertare la eventuale sussistenza di
ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la
rinnovazione espressa dei contratti medesimi, comunicando al
contraente l’esito di tale valutazione.
Il secondo periodo del comma 2 della richiamata norma, che
accordava alle amministrazioni la suddetta facoltà, è stato,
tuttavia, abrogato dall’art. 23 della L. 18/04/2005, n. 62
(legge comunitaria per il 2004) il quale prevede soltanto
una facoltà di ”proroga” dei contratti scaduti per il tempo
necessario per espletare le gare ad evidenza pubblica per il
nuovo affidamento a condizione che la proroga non superi
comunque i sei mesi.
La richiamata disposizione è stata intesa dalla
giurisprudenza come ostativa ad ogni possibilità di rinnovo
contrattuale espresso.
In ordine al preteso diritto al rinnovo il
Collegio deve osservare che l’art. 6 della L. 24/12/1993, n.
537, pur escludendo la legittimità di ogni rinnovo tacito
dei contratti di acquisito di beni o servizi stipulati da
pubbliche amministrazioni, prevedeva la possibilità che
queste, nei tre mesi precedenti alla scadenza, dovessero
accertare la eventuale sussistenza di ragioni di convenienza
e di pubblico interesse per la rinnovazione espressa dei
contratti medesimi, comunicando al contraente l’esito di
tale valutazione (sul punto si veda Cons. Stato, V,
11/05/2004, n. 2961).
Il secondo periodo del comma 2 della richiamata norma, che
accordava alle amministrazioni la suddetta facoltà, è stato,
tuttavia, abrogato dall’art. 23 della L. 18/04/2005, n. 62
(legge comunitaria per il 2004) il quale prevede soltanto
una facoltà di ”proroga” dei contratti scaduti per il tempo
necessario per espletare le gare ad evidenza pubblica per il
nuovo affidamento a condizione che la proroga non superi
comunque i sei mesi.
La richiamata disposizione è stata intesa dalla
giurisprudenza come ostativa ad ogni possibilità di rinnovo
contrattuale espresso (Cons. Stato, V, 08.07.2008. n. 3391;
Cons. Stato, V, 07/04/2011, n. 6724).
La gara indetta dal Conservatorio con bando pubblicato nel
luglio 2005, ricadendo ratione temporis sotto la disciplina
introdotta dalla richiamata legge comunitaria, non poteva
discostarsene, introducendo disposizioni ad essa difformi,
sicché nulla può imputarsi all’Amministrazione, che alla
scadenza del rapporto contrattuale, anziché addivenire ad un
illegittimo rinnovo, ha ritenuto di bandire una nuova
procedura competitiva per l’affidamento del servizio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.05.2013 n. 1401 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
La proroga è un istituto
adoperato dalle amministrazioni per il tempo strettamente
necessario a completare procedure di gara già indette (o ad
avviarle ed ultimarle ex novo), ed il semestre può ritenersi
la soglia massima ragionevolmente accettabile, potendo
garantire contro eventuali imprevisti nell’espletamento
della selezione.
Anche il dato normativo di riferimento (art. 23, comma 2,
della L. 62/2005) conforta tale linea interpretativa.
In linea generale la proroga è un istituto adoperato dalle
amministrazioni per il tempo strettamente necessario a
completare procedure di gara già indette (o ad avviarle ed
ultimarle ex novo), ed il semestre può ritenersi la
soglia massima ragionevolmente accettabile, potendo
garantire contro eventuali imprevisti nell’espletamento
della selezione (cfr. sentenze Sezione 11/03/2011 n. 419;
24/06/2011 n. 939 confermata in appello da Consiglio di
Stato, sez. V – 21/06/2012 n. 3668).
Anche il dato normativo di riferimento (art. 23, comma 2,
della L. 62/2005) conforta tale linea interpretativa (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 214 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
APPALTI SERVIZI: Se
nella nozione di “affidamento diretto” di
cui all'art. 23-bis d.l. n. 112/2008
rientri, o meno, la proroga che segue un
primo affidamento con gara.
La previsione preclude l'acquisizione della
gestione di servizi ulteriori, con o senza
gara, ai soggetti che gestiscono servizi
pubblici locali ad essi affidati senza il
rispetto dei principi dell'evidenza pubblica
che si condensano nei principi comunitari di
tutela della concorrenza, e, segnatamente,
nei principi di "economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità", elencati nel co. 2,
richiamato espressamente dal co. 9 del
citato art. 23-bis.”.
All'affidamento senza una procedura
competitiva deve essere equiparato il caso
in cui ad un affidamento con gara segua,
dopo la sua scadenza, un regime di proroga
diretta che non trovi fondamento nel diritto
comunitario. Infatti le proroghe dei
contratti affidati con gara sono consentite
se già previste ab origine, e comunque entro
termini determinati. Una volta che il
contratto scada e si proceda ad una sua
proroga senza che essa sia prevista ab
origine, o oltre i limiti temporali
consentiti, la proroga è da equiparare ad un
affidamento senza gara.
Il divieto previsto dall’art. 23-bis, comma
9, del d.l. 25.06.2008, n. 112,
convertito con la legge n. 133 del 2008,
colpisce, per quanto qui interessa, le
società che gestiscano “di fatto o per
disposizione di legge, di atto
amministrativo o per contratto servizi
pubblici locali in virtù di affidamento
diretto”, o comunque “di una procedura non
ad evidenza pubblica”, e comporta che le
medesime società “non possono acquisire la
gestione di servizi ulteriori ovvero in
ambiti territoriali diversi, né svolgere
servizi o attività per altri enti pubblici o
privati, né direttamente, né tramite loro
controllanti o altre società che siano da
essi controllate o partecipate, né
partecipando a gare". Divieto che opera per
tutta la durata della loro gestione.
Ora, questo Consiglio ha già avuto modo
di prendere posizione sulla questione se
nella nozione di “affidamento diretto” di
cui all'art. 23-bis d.l. n. 112/2008
rientri, o meno, la proroga che segue un
primo affidamento con gara (VI, 16.02.2010, n. 850).
Nell’occasione, questo Consesso ha
rammentato introduttivamente che “la
previsione preclude l'acquisizione della
gestione di servizi ulteriori, con o senza
gara, ai soggetti che gestiscono servizi
pubblici locali ad essi affidati senza il
rispetto dei principi dell'evidenza pubblica
che si condensano nei principi comunitari di
tutela della concorrenza, e, segnatamente,
nei principi di "economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità", elencati nel co. 2,
richiamato espressamente dal co. 9 del
citato art. 23-bis.”
Posta questa premessa, sulla problematica il
Consiglio ha assunto la seguente, univoca
posizione.
“All'affidamento senza una procedura
competitiva deve essere equiparato il caso
in cui ad un affidamento con gara segua,
dopo la sua scadenza, un regime di proroga
diretta che non trovi fondamento nel diritto
comunitario. Infatti le proroghe dei
contratti affidati con gara sono consentite
se già previste ab origine, e comunque entro
termini determinati. Una volta che il
contratto scada e si proceda ad una sua
proroga senza che essa sia prevista ab
origine, o oltre i limiti temporali
consentiti, la proroga è da equiparare ad un
affidamento senza gara” (VI, n. 850/2010
cit.)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
27.04.2012 n. 2459 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: La
clausola della convenzione secondo cui v'è
il rinnovo automatico del contratto operante
in caso di mancata disdetta è da ritenersi
nulla ai sensi dell’art. 6, comma 2, della
legge 24.12.1993 n. 537 (oggi abrogata ma
applicabile alla fattispecie di causa
ratione temporis), in base alla quale “è
vietato il rinnovo tacito dei contratti
delle pubbliche amministrazioni per la
fornitura di beni e servizi, ivi compresi
quelli affidati in concessione a soggetti
iscritti in appositi albi.
I contratti stipulati in violazione del
predetto divieto sono nulli”; norma che,
secondo la giurisprudenza, costituisce
espressione di un principio generale
attuativo di un vincolo comunitario
discendente dal Trattato e, come tale,
valevole per tutti gli atti negoziali della
pubblica amministrazione e non solo per
quelli concernenti gli appalti di servizi,
opere e forniture, come sembrerebbe
evincersi dal suo tenore letterale.
In senso contrario non può invocarsi l’art.
1 della predetta convenzione, nella parte in
cui prevede una clausola di rinnovo
automatico del contratto operante in caso di
mancata disdetta.
Tale clausola invero è da ritenersi nulla ai
sensi dell’art. 6, comma 2, della legge 24.12.1993 n. 537 (oggi abrogata ma
applicabile alla fattispecie di causa ratione temporis), in base alla quale “è
vietato il rinnovo tacito dei contratti
delle pubbliche amministrazioni per la
fornitura di beni e servizi, ivi compresi
quelli affidati in concessione a soggetti
iscritti in appositi albi. I contratti
stipulati in violazione del predetto divieto
sono nulli”; norma che, secondo la
giurisprudenza, costituisce espressione di
un principio generale attuativo di un
vincolo comunitario discendente dal Trattato
e, come tale, valevole per tutti gli atti
negoziali della pubblica amministrazione e
non solo per quelli concernenti gli appalti
di servizi, opere e forniture, come
sembrerebbe evincersi dal suo tenore
letterale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V,
07.04.2011 n. 2151)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 19.04.2012 n. 1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Appalti scaduti senza tacito rinnovo.
Il divieto di rinnovo tacito dei contratti
della P.A. esprime un principio generale
attuativo di un vincolo comunitario
discendente dal trattato CE.
La società Alfa si rivolgeva al TAR Liguria
per chiedere il parziale annullamento di
alcuni provvedimenti emanati dalla ASL
territoriale competente concernenti la
proroga, fino ad espletamento delle
procedure concorsuali ed alla conseguente
aggiudicazione del contratto, avente ad
oggetto alcuni servizi integrati di
manutenzione e gestione di immobili, nonché
per il risarcimento del danno subito dalla
ricorrente in termini di perdita di chances.
Si costituivano per resistere in giudizio la
ASL competente e la società Beta quale
controinteressata attuale detentrice dei
servizi sopra specificati.
I Giudici del TAR Liguria hanno evidenziato
che il consolidato orientamento in base al
quale vige il divieto di rinnovo dei
contratti di appalto scaduti, così come
sancito dall’art. 23, l. 18.04.2005 n.
62, costituisce ormai un principio con
valenza generale e preclusiva da ritenersi
prevalente rispetto alle altre e contrarie
disposizioni dell’ordinamento.
In particolare, nella suddetta pronuncia
viene chiarito come tale principio necessiti
di applicazione anche nel caso in cui una
proroga sia prevista nella lex specialis,
nel qual caso infatti, l’Amministrazione
potrebbe consentire una limitata deroga al
principio del divieto di rinnovo, purché si
impegni a fornire a riguardo una puntuale
motivazione che renda evidente le logiche
che hanno spinto la P.A. a discostarsi e a
disattendere il principio generale.
Tale rapporto tra regola ed eccezione si
riflette sul contenuto della motivazione
così che la proroga sarà ammessa, senza
necessità di particolare illustrazione delle
ragioni, nel caso in cui l’amministrazione
decida di indire una gara ma solo
limitatamente al periodo necessario per
l’espletamento della stessa ed unicamente
laddove essa sia finalizzata ad assicurare
la continuità del servizio.
Ciò anche in considerazione del fatto che,
il divieto di rinnovo tacito dei contratti
della P.A., anche se posto dalla legge con
espresso riferimento agli appalti di
servizi, opere e forniture, esprime un
principio generale, attuativo di un vincolo
comunitario discendente dal Trattato Ce che,
in quanto tale, opera per la generalità dei
contratti pubblici ed è estensibile anche
alle concessioni di servizi pubblici.
Il TAR Liguria ha rigettato la richiesta di
risarcimento danni avanzata dalla
ricorrente, specificando che, il ristoro del
danno conseguente alla lesione di un
interesse legittimo pretensivo, è
subordinato, pur in presenza di tutti i
requisiti dell’illecito (condotta, colpa,
nesso di causalità, evento dannoso), alla
dimostrazione, secondo un giudizio di
prognosi formulato ex ante, che
l’aspirazione al provvedimento fosse
destinata nel caso di specie ad esito
favorevole, quindi alla dimostrazione,
ancorché fondata con il ricorso alle
presunzioni, della spettanza definitiva del
bene collegato a tale interesse.
Siffatto giudizio prognostico sarebbe da
escludersi qualora non possa essere
consentito allorché detta spettanza sia
caratterizzata da consistenti margini di
aleatorietà.
Allo stesso modo in termini di perdita di
chances, che diversamente dal danno
futuro è un danno attuale che non si
identifica con la perdita di un risultato
utile ma con la perdita della possibilità di
conseguirlo, il Giudice Amministrativo
specifica che è richiesta una probabilità di
successo maggiore del 50% statisticamente
valutabile con giudizio prognostico ex
ante secondo l’id quod plerumque
accidit sulla base di elementi forniti
dal danneggiato (commento tratto da
www.ipsoa.it - TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 28.03.2012
n. 430 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti della PA - Proroga -
Ammissibilità.
In via di principio, l'amministrazione che,
esaurita l'esecuzione di un determinato
contratto, abbia ancora necessità di
avvalersi delle specifiche prestazioni
oggetto del vincolo scaduto è tenuta ad
effettuare una nuova gara.
Peraltro, nel
caso in cui gli atti indittivi la procedura
conclusasi con la stipula del contratto ed
il contratto stesso prevedessero
espressamente la facoltà di proroga, la
stazione appaltante può, prima della
scadenza del vincolo contrattuale, disporne
la proroga esclusivamente per il tempo
strettamente necessario all'indizione di una
nuova procedura ad evidenza pubblica.
Al ricorrere di tali presupposti, il
contraente privato è tenuto alla
prosecuzione del rapporto
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
23.01.2012 n.
251 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L'utilizzo
dello strumento della proroga dei contratti
in scadenza deve avere carattere eccezionale
e può essere legittimamente deliberato nel
rispetto dei vincoli e delle condizioni
previste dalla normativa in vigore. Nello
specifico, l'art. 23 della legge 18.04.2005
n. 62 stabilisce che i contratti per
acquisti di forniture di beni e di servizi
scaduti, o che vengano a scadere nei sei
mesi successivi alla data di entrata in
vigore della suddetta legge, possono essere
prorogati per il tempo strettamente
necessario alla stipula dei nuovi contratti
a seguito dell'espletamento di gare ad
evidenza pubblica, a condizione che la
proroga non superi comunque i sei mesi e che
il bando di gara venga pubblicato entro e
non oltre novanta giorni dalla data di
entrata in vigore della citata legge.
In materia di contratti stipulati dalla
Pubblica Amministrazione con contraenti
privati, la violazione di norme imperative
finalizzate ad assicurare i valori di buon
andamento ed imparzialità dell'azione
amministrativa di cui all'art. 97 della
Costituzione, comportando il difetto della
capacità di agire dell'Amministrazione,
denota il vizio genetico della formazione
della volontà e della scelta del contraente,
in un ambito che attiene pur sempre
all'assolvimento di funzioni amministrative,
riflettendosi sulla validità dell'atto di
alienazione, con le conseguenze dell'art.
1418, comma 1, c.c. Se è vero che la
violazione delle norme imperative o più
genericamente. la violazione di legge è
dalla normativa in materia (art. 21-octies
l. n. 241/1990 s.m.i.) espressamente
richiamata con riferimento alla sola
annullabilità, ciò non toglie che lo stesso
vizio sia in grado di provocare la nullità
ove comporti la mancanza di uno degli
elementi essenziali del! 'atto, come nel
caso di mancanza di capacità di agire
dell’'amministrazione. La patologia in
oggetto è stata individuata come nullità
strutturale dell'atto, tale da renderlo
totalmente improduttivo di effetti e non
abbisognevole di interventi caducatori di
secondo grado.
Ed invero osserva il Collegio, come
giustamente chiarito dalla difesa
dell’Amministrazione resistente, che
l'impugnato provvedimento di autotutela si
regge su un supporto motivazionale
certamente congruo ed immune da vizi essendo
del tutto conforme al paradigma di cui
all'art. 3, terzo comma, L. n. 241/1990
s.m.i., qual è il richiamo, nel quart'ultimo
cpv. di pag. 3 della nota del 22.09.2005,
prot. n. 51 del collegio dei Sindaci, con la
quale è stato rilevato che:
"L'utilizzo dello strumento della proroga
dei contratti in scadenza deve pertanto
avere carattere eccezionale e può essere
legittimamente deliberato nel rispetto dei
vincoli e delle condizioni previste dalla
normativa in vigore. Nello specifico, l'art.
23 della legge 18.04.2005 n. 62 stabilisce
che i contratti per acquisti di forniture di
beni e di servizi scaduti, o che vengano a
scadere nei sei mesi successivi alla data di
entrata in vigore della suddetta legge,
possono essere prorogati per il tempo
strettamente necessario alla stipula dei
nuovi contratti a seguito dell'espletamento
di gare ad evidenza pubblica, a condizione
che la proroga non superi comunque i sei
mesi e che il bando di gara venga pubblicato
entro e non oltre novanta giorni dalla data
di entrata in vigore della citata legge".
Peraltro, osserva correttamente sempre
l’Amministrazione resistente, che, con
l'art. 23 1. n. 62/2005, il legislatore
nazionale ha (doverosamente) adeguato
l'ordinamento interno al fondamentale
principio di concorrenza fissato
dall'ordinamento comunitario di cui è
espressione diretta l'evidenza pubblica,
dando attuazione all' art. 117, 1 comma
Cost. che vincola il legislatore interno al
rispetto dell'ordinamento comunitario. Ne
consegue che la prorogabilità per soli sei
mesi del contratto scaduto (tempo assunto
dal legislatore come congruo per la stipula
del nuovo contratto) costituisce
prescrizione cogente, posta da norma
imperativa che, in quanto espressione
dell'anzidetto principio comunitario,
vincola l'Amministrazione alla sua
osservanza.
In tale contesto normativo, interno e
comunitario, l'ASL Roma E non poteva che
agire così come ha fatto, determinandosi
correttamente e doverosamente all'esercizio
del potere di autotutela, non incontrando
alcun ostacolo nella trasmodante,
illegittima proroga erroneamente concessa
ancorché concordata con la controparte;
stante la nullità dell'accordo ex artt. 1339
e 1418 c.c..
Inoltre la nullità dell’asserito valido
accordo contrattuale intercorso tra le parti
traspare anche sotto il diverso profilo del
difetto di capacità di agire, dato che il
Consiglio di Stato sez. V, con decisione
01.03.2010, n. 1156 ha avuto modo di
ribadire che "In materia di contratti
stipulati dalla Pubblica Amministrazione con
contraenti privati, la violazione di norme
imperative finalizzate ad assicurare i
valori di buon andamento ed imparzialità
dell'azione amministrativa di cui all'art.
97 della Costituzione, comportando il
difetto della capacità di agire
dell'Amministrazione, denota il vizio
genetico della formazione della volontà e
della scelta del contraente, in un ambito
che attiene pur sempre all'assolvimento di
funzioni amministrative, riflettendosi sulla
validità dell'atto di alienazione, con le
conseguenze dell'art. 1418, comma 1, c.c. Se
è vero che la violazione delle norme
imperative o più genericamente. la
violazione di legge è dalla normativa in
materia (art. 21-octies l. n. 241/1990
s.m.i.) espressamente richiamata con
riferimento alla sola annullabilità, ciò non
toglie che lo stesso vizio sia in grado di
provocare la nullità ove comporti la
mancanza di uno degli elementi essenziali
del! 'atto, come nel caso di mancanza di
capacità di agire dell’'amministrazione. La
patologia in oggetto è stata individuata
come nullità strutturale dell'atto, tale da
renderlo totalmente improduttivo di effetti
e non abbisognevole di interventi caducatori
di secondo grado".
E sotto tale profilo la difesa
dell’Amministrazione evidenzia correttamente
che nella richiamata decisione del Consiglio
di Stato sia rimarcata: la strumentalità
delle norme dettate nel pubblico interesse,
quale l'art. 97 Cost. e l'art. 1, primo
comma, l. n. 241/1990, alla tutela dell'''ordine
pubblico ed economico", escludendo che
la loro violazione, in quanto ridonda in
difetto della capacità giuridica dell'
Amministrazione, costituisca causa di
annullamento del contratto, essendo
piuttosto causa di nullità, ancorché non
espressamente prevista dall'art. 21-septies
1. n. 241/1990 (principio delle nullità
virtuali)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 30.01.2012 n. 1043 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Anche
nella materia del rinnovo o della proroga
dei contratti pubblici di appalto non vi è
spazio per l'autonomia contrattuale delle
parti, in relazione alla normativa
inderogabile stabilita dal legislatore per
ragioni di interesse pubblico; al contrario,
vige il principio in forza del quale, salve
espresse previsioni dettate dalla legge in
conformità della normativa comunitaria,
l'Amministrazione, una volta scaduto il
contratto, deve, qualora abbia ancora la
necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara.
Correttamente la ricorrente ricorda che
l’abrogazione dell’art. 6 della L. n.
537/1993, ad opera dell’art. 23 della L. n.
62/2005, ha sostanzialmente sancito un
generale divieto di ricorrere
surrettiziamente a procedure negoziate,
mediante l’estensione temporale della durata
di un affidamento pregresso.
Tuttavia, va rilevato in proposito che il
servizio oggetto della proroga impugnata era
stato affidato previo esperimento di
procedura ad evidenza pubblica e che l’art.
6 del relativo capitolato speciale prevedeva
espressamente che “al termine dell’appalto,
fino alla nuova gestione o all’entrata in
servizio del nuovo affidatario, e comunque
non oltre i dodici mesi dalla scadenza del
presente appalto, la ditta appaltatrice si
impegna ad effettuare il servizio alle
stesse condizioni economico-gestionali”.
Nella fattispecie de qua la stazione
appaltante non ha pertanto proceduto ad un
“rinnovo”, alias, ad una novazione di un
rapporto esaurito, ma si è al contrario
avvalsa, prima della sua scadenza, della
facoltà, prevista ab origine dal c.s.a., di
estendere per un ridotto lasso temporale la
durata del rapporto negoziale, e ciò dunque
per un periodo limitato e necessario per
consentire la conclusione della nuova
procedura di selezione.
Le circostanze più sopra esposte nella parte
in fatto portano inoltre ad escludere ogni
intento elusivo dei ricordati divieti di
ricorso ad affidamenti diretti, avendo la
stazione appaltante indetto ben due distinte
procedure di affidamento nell’ambito di
pochi mesi, che non si sono concluse per
cause non imputabili alla stessa.
Lo stesso termine massimo di dodici mesi,
per quanto significativo, non pare inoltre
sproporzionato, ferma restando la sua
assoluta insuperabilità una volta giunto a
scadenza.
La ricorrente è peraltro civilisticamente
tenuta all’osservanza della detta clausola
contrattuale, contenuta negli atti di gara
ed espressamente accettata senza formulare
riserve e/o eccezioni.
Il Collegio condivide l’orientamento
restrittivo in materia assunto dalla
giurisprudenza e richiamato dal ricorrente,
secondo cui “anche nella materia del rinnovo
o della proroga dei contratti pubblici di
appalto non vi è spazio per l'autonomia
contrattuale delle parti, in relazione alla
normativa inderogabile stabilita dal
legislatore per ragioni di interesse
pubblico; al contrario, vige il principio in
forza del quale, salve espresse previsioni
dettate dalla legge in conformità della
normativa comunitaria, l'Amministrazione,
una volta scaduto il contratto, deve,
qualora abbia ancora la necessità di
avvalersi dello stesso tipo di prestazioni,
effettuare una nuova gara”; resta per questo
aspetto, tuttavia, da sottolineare che si
trattava di un principio formatosi su
fattispecie differenti da quella per cui è
causa, come ha statuito da ultimo il
Consiglio Stato Sez. V, 02.02.2010 n.
445, che ha affermato la sua applicabilità
con riferimento ad un “proroga” di un
contratto scaduto ed avente ad oggetto un
servizio di distribuzione automatica di
bevande e generi di conforto presso i
presidi e gli uffici di una A.S.L.,
disposta, anziché avvalendosi di una
previsione contrattuale ab origine inserita
nella lex specialis oggetto di affidamento,
a fronte dell'impegno della
controinteressata a realizzare un manufatto
atto ad ospitare gli impianti di
distribuzione delle bevande presso il
presidio ospedaliero: il che non ricorre nel
caso di specie
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.01.2012 n. 251 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Il
principio del divieto di rinnovo dei
contratti (di appalto) scaduti, stabilito
dall’art. 23 l. 18.04.2005, n. 62, ha
valenza generale e preclusiva sulle altre e
contrarie disposizioni dell’ordinamento.
E’ vero che la giurisprudenza ha distinto
l’ipotesi in cui la possibilità di proroga
non è stata espressamente indicata nella lex
specialis, da quella in cui il bando
contempla detta eventualità, facendone
discendere, in tale seconda ipotesi, la
possibilità che le amministrazioni
motivatamente dispongano la proroga dei
rapporti in corso.
Sennonché, costituisce principio consolidato
che anche laddove una tal previsione sia
contenuta nella lex specialis, essa
potrebbe, al limite, consentire una limitata
deroga al principio del divieto di rinnovo,
purché con puntuale motivazione
l’amministrazione dia conto degli elementi
che conducono a disattendere il principio
generale.
Tale rapporto tra regola ed eccezione si
riflette sul contenuto della motivazione. Se
l’amministrazione opta per l’indizione della
gara, nessuna particolare motivazione è
necessaria. Non così, invece, se si avvale
della possibilità di proroga prevista dal
bando. Detta ultima opzione dovrà essere
analiticamente motivata, dovendo essere
chiarite le ragioni per le quali si sia
stabilito di discostarsi dal principio
generale. Del resto, il divieto di rinnovo
tacito dei contratti della p.a., anche se
posto dalla legge con espresso riferimento
agli appalti di servizi, opere e forniture,
esprime un principio generale, attuativo di
un vincolo comunitario discendente dal
Trattato CE che, in quanto tale, opera per
la generalità dei contratti pubblici ed è
estensibile anche alle concessioni di beni
pubblici.
Il Collegio non ravvisa motivi per
discostarsi dal costante orientamento della
giurisprudenza secondo cui il principio del
divieto di rinnovo dei contratti (di
appalto) scaduti, stabilito dall’art. 23 l.
18.04.2005, n. 62, ha valenza generale e
preclusiva sulle altre e contrarie
disposizioni dell’ordinamento (Cons. Stato,
IV, 31.10.2006, n. 6462).
E’ vero che la giurisprudenza ha distinto
l’ipotesi in cui la possibilità di proroga
non è stata espressamente indicata nella
lex specialis, da quella in cui il bando
contempla detta eventualità, facendone
discendere, in tale seconda ipotesi, la
possibilità che le amministrazioni
motivatamente dispongano la proroga dei
rapporti in corso. Ed è altresì vero che,
nel caso di specie, l’art. 6 del bando di
gara espressamente contemplava detta
eventualità prevedendo “la facoltà,
prevista dall’art. 7, secondo comma, lettera
f), del d.lgs. 17.03.1995. n. 157, di
affidare l’appalto al medesimo contraente
per il successivo triennio”.
Sennonché, costituisce principio consolidato
che anche laddove una tal previsione sia
contenuta nella lex specialis, essa
potrebbe, al limite, consentire una limitata
deroga al principio del divieto di rinnovo,
purché con puntuale motivazione
l’amministrazione dia conto degli elementi
che conducono a disattendere il principio
generale.
Tale rapporto tra regola ed eccezione si
riflette sul contenuto della motivazione. Se
l’amministrazione opta per l’indizione della
gara, nessuna particolare motivazione è
necessaria. Non così, invece, se si avvale
della possibilità di proroga prevista dal
bando. Detta ultima opzione dovrà essere
analiticamente motivata, dovendo essere
chiarite le ragioni per le quali si sia
stabilito di discostarsi dal principio
generale. Del resto, il divieto di rinnovo
tacito dei contratti della p.a., anche se
posto dalla legge con espresso riferimento
agli appalti di servizi, opere e forniture,
esprime un principio generale, attuativo di
un vincolo comunitario discendente dal
Trattato CE che, in quanto tale, opera per
la generalità dei contratti pubblici ed è
estensibile anche alle concessioni di beni
pubblici (Cons. Stato, V, 07.04.2011, n.
2151)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.11.2011 n. 6194 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Il divieto di rinnovo tacito dei
contratti della p.a. esprime un principio
generale, attuativo di un vincolo
comunitario discendente dal Trattato CE che,
in quanto tale, è estensibile anche alle
concessioni di beni pubblici.
Secondo un costante orientamento
giurisprudenziale, il principio del divieto
di rinnovo dei contratti d'appalto scaduti,
stabilito dall'art. 23 della l. n. 62/2005,
ha valenza generale e preclusiva sulle altre
e contrarie disposizioni dell'ordinamento.
E' vero che la giurisprudenza ha distinto
l'ipotesi in cui la possibilità di proroga
non sia stata espressamente indicata nella
lex specialis, da quella in cui il
bando contempli detta eventualità, facendone
discendere la possibilità che le
amministrazioni motivatamente dispongano la
proroga dei rapporti in corso.
Sennonché, costituisce principio consolidato
quello secondo cui, anche laddove una tal
previsione sia contenuta nella lex
specialis, essa potrebbe consentire una
limitata deroga al principio del divieto di
rinnovo, purché l'amministrazione, con
puntuale motivazione, dia conto degli
elementi che conducono a disattendere il
principio generale. Del resto, il divieto di
rinnovo tacito dei contratti della p.a.,
anche se riferito agli appalti di servizi,
opere e forniture, esprime un principio
generale, attuativo di un vincolo
comunitario discendente dal Trattato CE che,
in quanto tale, è estensibile anche alle
concessioni di beni pubblici.
Ne consegue, nel caso di specie, la
legittimità dell'operato della P.A. (in cui
il bando di gara prevedeva la possibilità di
proroga) avendo essa applicato la regola
ordinaria, che prevede l'esperimento della
procedura pubblica al cessare del contratto
in corso, e tale determinazione non è
censurabile per violazione di legge, né per
eccesso di potere (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 24.11.2011 n. 6194 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Divieto di proroga automatica dei
contratti pubblici.
Con
sentenza del
07.04.2011 n. 2151 la V sezione del
Consiglio di Stato, richiamando il principio
sancito dall’articolo dall’art. 57, comma 7,
del codice dei contratti pubblici ha
riconosciuto come la legislazione vigente
non consenta di procedere al rinnovo o alla
proroga automatica dei contratti in corso,
ma solo alla loro proroga espressa per il
tempo strettamente necessario alla stipula
dei nuovi contratti a seguito di
espletamento di gare ad evidenza pubblica.
Nel 1989 un Comune concedeva ad una società,
per un periodo di 10 anni, la coltivazione
di una cava per inerti ricadente all’interno
dell’area comunale.
Nel 1999 veniva concessa una proroga della
concessione per un ulteriore periodo di 10
anni dove tuttavia veniva specificato come
tale concessione non avrebbe potuto superare
il periodo di 20 anni stabilito dalla L.R.
n. 54 del 26.07.1983. Nel medesimo
provvedimento veniva precisato che
nell’ipotesi in cui al termine del 10° anno
lo sfruttamento della cava non fosse
terminato secondo quanto disposto dal
progetto già autorizzato dalla Regione, la
convenzione sarebbe stata rinnovata
automaticamente di ulteriori 10 anni.
Nel 2009 la società concessionaria della
cava, comunicava alla Regione ed al Comune
l’intento di avvalersi della prevista
proroga decennale della concessione. Tale
proroga veniva negata poiché ai sensi
dell’articolo 20 della L.R. n. 54/1983 non
era possibile rilasciare la concessione o
l’autorizzazione all’esercizio dell’attività
di coltivazione dei giacimenti per un
periodo superiore a venti anni.
In seguito a tale provvedimento veniva
attivata la procedura per l’emanazione di un
bando di gara finalizzato ad una nuova
concessione dell’attività estrattiva.
Contro i provvedimenti adottati dal Comune
la concessionaria proponeva ricorso dinanzi
al TAR.
Il TAR adito accoglieva il ricorso della
società concessionaria, e avverso tale
sentenza veniva proposto appello da parte
dell’ente comunale.
I giudici della V sezione ribaltando la
decisione del TAR, hanno sostenuto come la
proroga della concessione in oggetto non
fosse possibile sia per il limite ventennale
fissato dalla normativa regionale che in
forza del principio generale del divieto di
rinnovo tacito dei contratti pubblici.
Sul punto i giudici dell’appello hanno
precisato come “Dall’esame della
disposizione si ricava:
a) la regola generale secondo cui la durata
della concessione non può valicare il limite
ventennale;
b) l’eccezionale possibilità della proroga
solo per effetto di determinazione espressa
a seguito di domanda di parte.
Dalla combinazione di tali prescrizioni si
ricava il divieto di proroga tacita delle
concessioni a seguito del decorso dell’arco
temporale di venti anni.[…] Si deve quindi
convenire che la regola esposta dalla legge
regionale si armonizza con il principio
generale, da ultimo sancito dall’art. 57,
comma 7, del codice dei contratti pubblici
che vieta il rinnovo tacito delle
stipulazioni contrattuali. Il rinnovo tacito
altro non è che una forma di trattativa
privata che esula dalle ipotesi ammesse dal
diritto comunitario (Cons. di Stato, sez. VI,
n. 6458 del 31.10.2006).
L’eliminazione della possibilità di
provvedere al rinnovo dei contratti di
appalto scaduti, disposta con l’art. 6 della
legge n. 537/1993 e poi con l’art. 23 legge
62/2005 al fine di adeguare l’ordinamento
interno ai precetti comunitari, ha quindi
valenza generale e portata preclusiva di
opzioni ermeneutiche ed applicative di altre
disposizioni dell'ordinamento che si
risolvono, di fatto, nell'elusione del
divieto di rinnovazione dei contratti
pubblici.[…]
In definitiva la legislazione vigente,
partendo dal presupposto che la
procrastinazione meccanica del termine
originario di durata di un contratto
sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo
un bene economicamente contendibile alle
dinamiche fisiologiche del mercato, non
consente di procedere al rinnovo o alla
proroga automatica dei contratti in corso,
ma solo alla loro proroga espressa per il
tempo strettamente necessario alla stipula
dei nuovi contratti a seguito di
espletamento di gare ad evidenza pubblica”.
L’analisi dei giudici della V sezione non si
ferma solo a livello della normativa
nazionale, ma analizzando in maniera
dettagliata la normativa e la giurisprudenza
comunitaria viene altresì precisato come il
divieto di proroga tacita dei contratti
pubblici sia espressione di un principio
generale attuativo di un vincolo comunitario
discendente dal Trattato e, come tale,
operante per la generalità dei contratti
pubblici ed estensibile quindi anche alle
concessioni di beni pubblici (così Cons.
Stato , sez. VI, 21.05.2009, n. 3145; n.
3642/2008; Cons. Stato, V, n. 2825/2007; VI,
n. 168/2005).
Ed infatti i giudici precisano come
l’applicazione al caso di specie dei
principi di evidenza pubblica trova il suo
presupposto sufficiente nella circostanza
che con la concessione di area pubblica si
fornisce un'occasione di guadagno a soggetti
operanti sul mercato, e di conseguenza anche
in tal caso deve essere adottata una
procedura competitiva ispirata ai principi
di trasparenza e non discriminazione.
In base alle considerazioni sopra esposte i
giudici hanno dunque riconosciuto la
legittimità del divieto di proroga disposto
dal Comune proprio in considerazione del
superamento del tetto dei venti anni,
precisando altresì come l’originale clausola
convenzionale recante la proroga tacita, in
quanto contrastante con il ricordato
precetto normativo di derivazione
comunitaria, debba considerarsi nulla di
pieno diritto con conseguente sostituzione
con la norma regionale che consente la
proroga solo in via espressa e limitatamente
al tempo strettamente necessario per la
definizione delle procedure di evidenza
pubblica finalizzate alla scelta del
concessionario (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Appalti con proroga limitata. Abolito il
rinnovo, mentre la nuova aggiudicazione è
possibile se prevista dal bando originario (articolo
01.06.2009 di Il Sole 24 Ore -
link a http://rassegnastampa.formez.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Sulla proroga dei contratti
pubblici.
La proroga dei contratti proprio per la sua
potenziale nocività nei confronti dei
principi dell'evidenza pubblica e della
salvaguardia della concorrenza non è un
istituto stabile dell'ordinamento ma è stata
prevista dall'art. 23 della l. 62/2005
soltanto nella fase transitoria successiva
all'abrogazione dell'istituto del rinnovo
(ed anche in tale fase risultava circondata
da particolari garanzie, come la durata non
superiore a sei mesi e la celere
pubblicazione del bando di gara) sicché oggi
essa risulta persino priva della necessaria
base normativa. La conseguenza è che questa
è teorizzabile, ancorandola al principio di
continuità dell'azione amministrativa (art.
97 Cost.), nei soli, limitati ed
eccezionali, casi in cui per ragioni
obiettivamente non dipendenti
dall'Amministrazione vi sia l'effettiva
necessità di assicurare precariamente il
servizio nelle more del reperimento di un
nuovo contraente (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 11.05.2009 n. 2882 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
La proroga dei contratti non è un
istituto stabile dell’ordinamento ma è stata
prevista dall’art. 23 della l. 62/2005
soltanto nella fase transitoria successiva
all’abrogazione dell’istituto del rinnovo
sicché oggi essa risulta persino priva della
necessaria base normativa.
Nella specie, la proroga dei rapporti
pregressi è, in punto di fatto, pacifica. La
stazione appaltante ritiene peraltro che in
ciò non sia ravvisabile alcun profilo di
illegittimità vuoi perché non si tratta di
rinnovo ma di proroga tecnica in pendenza di
gara, vuoi perché, anche a voler ragionare
in termini di rinnovo, questo sarebbe
consentito dall’art. 57 del codice dei
contratti pubblici, vuoi, infine, perché
quella considerata sarebbe stata una scelta
obbligata per far fronte ad ineludibili
esigenze pubbliche.
Ritiene viceversa il Collegio che le
proroghe in questione, oltre a violare il
disposto dell’art. 23 della l. n. 65/2005,
contraddicano al generale principio
dell’evidenza pubblica, il cui rispetto è
imposto anche dal dovere di preservare il
diritto alla libera concorrenza, garantito a
livello comunitario in materia di appalti
pubblici. Una volta espunta dall’ordinamento
la disposizione che, a determinate
condizioni, consentiva il rinnovo espresso
dei contratti (art. 6, secondo comma, della
l. 537/1993), il sistema non prevede infatti
altra via che quella del reperimento del
contraente secondo le regole dell’evidenza
pubblica (Cons. Stato, Sez. V, 08.07.2008,
n. 3391).
Ciò comporta, a livello ermeneutico, un
vincolo in sede di interpretazione di ogni
altro strumento o disposizione che possano,
in linea teorica, raggiungere un effetto
sostanzialmente identico a quello del
rinnovo: si vuol dire che la stessa logica
che presiede al divieto di rinnovo esclude
che ad un effetto simile (ed altrettanto
pregiudizievole per il principio di
concorrenza) possa legittimamente pervenirsi
attraverso la proroga dei rapporti già in
essere.
D’altronde, la proroga dei contratti
(proprio per la sua potenziale nocività nei
confronti dei principi dell’evidenza
pubblica e della salvaguardia della
concorrenza) non è un istituto stabile
dell’ordinamento ma è stata prevista
dall’art. 23 della l. 62/2005 soltanto nella
fase transitoria successiva all’abrogazione
dell’istituto del rinnovo (ed anche in tale
fase risultava circondata da particolari
garanzie, come la durata non superiore a sei
mesi e la celere pubblicazione del bando di
gara) sicché oggi essa risulta persino priva
della necessaria base normativa.
La conseguenza è che questa è teorizzabile,
ancorandola al principio di continuità
dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.),
nei soli, limitati ed eccezionali, casi in
cui (per ragioni obiettivamente non
dipendenti dall’Amministrazione) vi sia
l’effettiva necessità di assicurare
precariamente il servizio nelle more del
reperimento di un nuovo contraente.
Non vi è quindi bisogno di notare come nella
fattispecie ciò che si vorrebbe qualificare
come mera proroga tecnica coincide
perfettamente con la fenomenica del rinnovo
giacché questa si è risolta in una
indeterminata prosecuzione dei precedenti
rapporti, con durata complessiva del
rapporto persino superiore a quella massima
ordinariamente presa in considerazione dal
diritto comunitario.
Non condivisibile risulta poi il richiamo
all’art. 57 del codice dei contratti.
Da questo punto di vista, va innanzitutto
premesso che anche tale disposizione va
interpretata in senso restrittivo e ciò
proprio per evitare che questa possa
risolversi in uno strumento per aggirare
l’ormai pacifico divieto di rinnovo (cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 31.10.2006, n. 6457,
resa con riferimento alla previgente,
analoga disciplina dettata dall’art. 7,
comma 2, lett. f, del d.lgs. 157/1995).
Va poi notato che mentre il rinnovo del
contratto si sostanzia nella riedizione del
rapporto pregresso (generalmente in virtù di
una clausola già contenuta nella relativa
disciplina), la ripetizione di servizi
analoghi di cui parla l’art. 57 del codice
postula una nuova aggiudicazione (sia pure
in forma negoziata) alla stregua di un
progetto di base. Si tratta, dunque, di due
istituti profondamente distinti: mentre il
rinnovo risultava applicabile a qualsiasi
rapporto e comportava una ripetizione delle
prestazioni per una durata pari a quella
originariamente fissata nel contratto
rinnovando, la ripetizione dei servizi
analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo
contrattuale, con un diverso oggetto, come a
tacer d’altro si ricava dal dato che la
ripetizione può aver luogo solo nel triennio
successivo alla stipula dell’appalto
iniziale (vale a dire persino in pendenza
del contratto originario, il quale può
generalmente durare fino a quarantotto
mesi).
Rinnovo (vietato) e ripetizione dei servizi
analoghi (ammessa a certe condizioni dal
diritto di derivazione comunitaria) non sono
pertanto istituti sovrapponibili.
Ciò premesso a livello generale, un’attenta
analisi dell’art. 57 conferma che questo non
è indifferenziatamente applicabile a tutte
le ipotesi in cui si tratti della
“ripetizione di servizi analoghi”.
Dal punto di vista letterale (a parte gli
altri vincoli ai quali la ripetizione è
subordinata) non deve infatti sfuggire che
l’art. 57 del codice dei contratti
(analogamente alla corrispondente
disposizione della direttiva 2008/14/CE) ha
come oggetto una nuova aggiudicazione (sia
pure in forma negoziata e senza previa
pub-blicazione di un bando) di “nuovi
servizi”. La disposizione si riferisce,
cioè, a servizi la cui esecuzione, al
momento della indizione della gara
originaria, è presa in considerazione solo a
livello di mera eventualità perché, a
quell’epoca, il relativo bisogno non esiste.
E’ questa la ragione per la quale la
disposizione, dal punto di vista letterale,
parla di “nuovi servizi”: si tratta,
appunto, di servizi in relazione ai quali il
bisogno è eventuale e può sorgere solo
successivamente alla gara originaria. Ed è
per questo che la stazione appaltante, pur
prendendoli in considerazione nel bando, non
li assegna all’esito della corrispondente
procedura concorsuale ma si riserva la
facoltà di farlo nel triennio dalla stipula
del contratto.
Questa impostazione è confermata a livello
sistematico. Se l’art. 57 del codice dei
contratti si riferisse a prestazioni della
cui ripetizione vi fosse certezza sin dal
momento della indizione del-la gara
originaria (e quindi se la ripetizione in
parola fosse indifferenziatamente
applicabile a tutti i servizi), i relativi
bandi dovrebbero prenderne in considerazione
il valore anche dal punto di vista dei
requisiti di qualificazione, mentre la
disposizione in esame (al pari della
corrispondente disposizione recata a livello
comunitario) ne prevede il computo ai soli
fini del principio di infrazionabilità
surrettizia della soglia dell’appalto.
I requisiti di partecipazione, anche in caso
di possibile ripetizione ex art. 57, vengono
dunque tarati solo sul valore certo
dell’appalto (quello per il quale la gara è
effettivamente celebrata) proprio perché la
ripetizione, al momento della gara, non è
affatto certa ma solo eventuale e destinata
a conseguire ad una nuova, distinta (ed
altrettanto eventuale) aggiudicazione (sia
pure all’esito di una procedura negoziata).
Se fosse diversamente, d’altronde, si
darebbe luogo ad una restrizione del
possibile novero dei partecipanti contraria
al principio di proporzionalità poiché i
requisiti di ammissione verrebbero a
risultare inaspriti in funzione di un
innalzamento dell’importo della gara che è
invece solo eventuale (perché eventuale è la
successiva assegnazione della ripetizione
dei servizi analoghi).
L’art. 57 del codice dei contratti non fonda
dunque una nuova ipotesi di generale
rinnovabilità dei contratti di servizi
consistente nella ripetizione di servizi
analoghi a quelli affidati all’esito di una
gara ma si riferisce soltanto ad eventuali
esigenze di servizi analoghi (distinti dai
servizi complementari) sopravvenute nel
triennio successivo alla stipula del
contratto.
Ipotesi, questa, che manifestamente non
ricorre nel caso esaminato, nel quale
l’esigenza di disporre di un servizio di
magazzino era comunque certamente presente
alla stazione appaltante al momento della
stipula del contratto originario (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2009 n. 2882 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
A. Giordano,
IL DIVIETO DI RINNOVO DEI CONTRATTI PUBBLICI
DI APPALTO (link a www.neldirittoeditore.it). |
anno 2008 |
|
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Rinnovabilità dei contratti e
"proroga estesa".
Qualora una stazione appaltante abbia
inserito nel capitolato di gara una clausola
di rinnovo opzionale del contratto per 24
mesi, è rilevabile come nella specie più di
un rinnovo in senso stretto si sia prevista
in realtà una proroga del contratto
(spostamento in avanti del termine di
scadenza del rapporto) e come in ogni caso
tale proroga opzionale sia stata inserita
nell'oggetto della gara e anche su essa vi è
stato il confronto concorrenziale; ne
discende che la proroga citata non contrasta
con il principio comunitario che vieta alle
amministrazioni (in modo diretto o
indiretto) di attribuire, senza procedura di
gara, un appalto di servizi e forniture.
D'altra parte è lo stesso codice dei
contratti (D.Lgs. 12.04.2006 n. 163) che
implicitamente (ma univocamente) ammette il
rinnovo del contratto laddove all'art. 29,
comma 1°, prevede che "che il calcolo del
valore stimato degli appalti pubblici (...)
tiene conto dell'importo massimo stimato,
ivi compresa qualsiasi forma di opzione o
rinnovo del contratto" (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 25.11.2008 n. 3637 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it).
In merito si veda anche il commento di A.
Barbiero:
Il TAR Veneto individua una nuova
fattispecie: l’estensione del contratto
originario
(link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: A.
Barbiero,
Proroga, rinnovo e rinnovabilità contratti
(www.albertobarbiero.net). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: A. Barbiero,
Confermato divieto di rinnovo contratti appalto (con schemi)
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: A.
Barbiero,
Differenza tra proroga e rinnovo
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI:
DIVIETO DI RINNOVAZIONE DI UN CONTRATTO DI APPALTO E OBBLIGO DI INDIRE
UNA NUOVA GARA (link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: Proroghe
e rinnovi di contratti pubblici: la disciplina applicabile.
In linea di principio, il rinnovo o la proroga, al di fuori dei casi
contemplati dall'ordinamento, di un contratto d'appalto di servizi o di
forniture stipulato da un'amministrazione pubblica da luogo a una figura
di trattativa privata non consentita e legittima qualsiasi impresa del
settore a far valere dinanzi al giudice amministrativo il suo interesse
legittimo all'espletamento di una gara.
In tema di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è
alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, ma vige il
principio che, salvo espresse previsioni dettate dalla legge in
conformità della normativa comunitaria, l'amministrazione, una volta
scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di
avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara (
salva la limitata proroga di cui sopra). Pertanto, allorquando un'
impresa del settore lamenti che alla scadenza di un contratto non si è
effettuata una gara, fa valere il suo interesse legittimo al rispetto
delle norme dettate in materia di scelta del contraente e l'eventuale
nullità o inefficacia della clausola contrattuale che preveda un rinnovo
o una proroga va accertata in via incidentale dal giudice
amministrativo, competente a conoscere in via principale della eventuale
lesione del predetto interesse legittimo (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
08.07.2008 n. 3391 - link a www.altalex.com). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: Sul rinnovo
ovvero proroga dei contratti pubblici.
In linea di principio, il rinnovo o la proroga, al di fuori dei casi
contemplati dall'ordinamento, di un contratto d’appalto di servizi o di
forniture stipulato da un’amministrazione pubblica da luogo a una figura
di trattativa privata non consentita e legittima qualsiasi impresa del
settore a far valere dinanzi al giudice amministrativo il suo interesse
legittimo all’espletamento di una gara.
Ciò posto, si deve verificare quale fosse all’epoca la disciplina della
materia.
L’art. 6, comma 1 della L. 24.12.1993, n. 537 dopo la modifica
introdotta dall’art. 44 della L. 23.12.1994, n. 724, disponeva che ”è
vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni
per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in
concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati
in violazione del predetto divieto sono nulli. Entro tre mesi dalla
scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di
ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei
contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al
contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”.
L’ultimo periodo del predetto comma è stato poi soppresso dall’art. 23,
comma 1, della L. 18.04.2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), mentre il
successivo comma 2 dello stesso articolo ha consentito solo la “proroga”
dei contratti per acquisti e forniture di beni e servizi “per il
tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di
espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga
non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato
entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge”.
Sulla portata di tale normativa si è pronunciata la IV Sezione del
Consiglio di Stato che, con decisione 31.10.2006, n. 6457, ha avuto modo
di chiarire quanto segue.
“Deve premettersi che la modifica introdotta dall’art. 23 l. n.
62/2005 deve intendersi finalizzata, come si ricava dall’esame della
relazione illustrativa e dalla collocazione sistematica della
disposizione, all’archiviazione di una procedura di infrazione
comunitaria (n. 2003/2110) avente ad oggetto proprio la previsione
normativa nazionale della facoltà di procedere al rinnovo espresso dei
contratti delle pubbliche amministrazioni, ritenuta incompatibile con i
principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi
cristallizzati negli artt. 43 e 49 del Trattato CE e con la normativa
europea in tema di tutela della concorrenza nell’affidamento degli
appalti pubblici, e che, quindi, ogni esegesi della sua portata
applicativa dev’essere coerente con la ratio e con lo scopo della
relativa innovazione, per come appena evidenziati.
In conformità a tale premessa metodologica, deve osservarsi che
all’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei
contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 23 l. n. 62/05, deve
assegnarsi una valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni
ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che
si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei
contratti pubblici.
Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato, infatti, si
assicura l’effettiva conformazione dell’ordinamento interno a quello
comunitario, mentre, accedendo a letture sistematiche che riducano la
portata precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici
scaduti e che introducano indebite eccezioni, si finisce per vanificare
la palese intenzione del legislatore del 2005 di adeguare la disciplina
nazionale in materia a quella europea e, quindi, per conservare profili
di conflitto con quest’ultima del regime giuridico del rinnovo dei
contratti di appalto delle pubbliche amministrazioni.
Ne consegue che, in coerenza con la regola ermeneutica appena
sintetizzata, non solo l’intervento normativo di cui all’art. 23 l. n.
62/2005 dev’essere letto ed applicato in modo da escludere ed impedire,
in via generale ed incondizionata, la rinnovazione di contratti di
appalto scaduti, ma anche l’esegesi di altre disposizioni
dell’ordinamento che consentirebbero, in deroga alle procedure ordinarie
di affidamento degli appalti pubblici, l’affidamento, senza gara, degli
stessi servizi per ulteriori periodi dev’essere condotta alla stregua
del vincolante criterio che vieta (con valenza imperativa ed
inderogabile) il rinnovo dei contratti.
Né varrebbe, ancora, sostenere l’illegittimità del controverso diniego
sulla base dell’argomento della previsione della possibilità del rinnovo
nel bando di gara e nel successivo contratto, posto che la natura
imperativa ed inderogabile della sopravvenuta disposizione legislativa
che introduce un divieto generalizzato di rinnovazione dei contratti
delle pubbliche amministrazioni implica la sopravvenuta inefficacia
delle previsioni, amministrative e contrattuali, configgenti con il
nuovo e vincolante principio, che non tollera la sopravvivenza
dell’efficacia di difformi clausole negoziali (attesa la natura
indisponibile degli interessi in esse coinvolti).”
Da quanto sopraesposto emerge dunque che in tema di rinnovo o
proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è alcuno spazio per
l’autonomia contrattuale delle parti, ma vige il principio che, salvo
espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa
comunitaria, l’amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve,
qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara (salva la limitata proroga di cui
sopra).
Pertanto, allorquando un’impresa del settore lamenti che alla scadenza
di un contratto non si è effettuata una gara, fa valere il suo interesse
legittimo al rispetto delle norme dettate in materia di scelta del
contraente e l’eventuale nullità o inefficacia della clausola
contrattuale che preveda un rinnovo o una proroga va accertata in via
incidentale dal giudice amministrativo, competente a conoscere in via
principale della eventuale lesione del predetto interesse legittimo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.07.2008 n. 3391 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: S.
Lazzini, In tema di proroga e/o rinnovo di
un contratto di appalto.
In linea di principio, il rinnovo o la
proroga, al di fuori dei casi contemplati
dall'ordinamento, di un contratto d’appalto
di servizi o di forniture stipulato da
un’amministrazione pubblica da luogo a una
figura di trattativa privata non consentita
e legittima qualsiasi impresa del settore a
far valere dinanzi al giudice amministrativo
il suo interesse legittimo all’espletamento
di una gara.
L’art. 6, comma 1 della L. 24.12.1993, n.
537 dopo la modifica introdotta dall’art. 44
della L. 23.12.1994, n. 724, disponeva che ӏ
vietato il rinnovo tacito dei contratti
delle pubbliche amministrazioni per la
fornitura di beni e servizi, ivi compresi
quelli affidati in concessione a soggetti
iscritti in appositi albi. I contratti
stipulati in violazione del predetto divieto
sono nulli. Entro tre mesi dalla scadenza
dei contratti, le amministrazioni accertano
la sussistenza di ragioni di convenienza e
di pubblico interesse per la rinnovazione
dei contratti medesimi e, ove verificata
detta sussistenza, comunicano al contraente
la volontà di procedere alla rinnovazione”.
L’ultimo periodo del predetto comma è stato
poi soppresso dall’art. 23, comma 1, della
L. 18.04.2005, n. 62 (legge comunitaria
2004), mentre il successivo comma. 2 dello
stesso articolo ha consentito solo la
“proroga” dei contratti per acquisti e
forniture di beni e servizi “per il tempo
necessario alla stipula dei nuovi contratti
a seguito di espletamento di gare ad
evidenza pubblica a condizione che la
proroga non superi comunque i sei mesi e che
il bando di gara venga pubblicato entro e
non oltre novanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge”.
In tema di rinnovo o proroga dei contratti
pubblici di appalto non vi è alcuno spazio
per l’autonomia contrattuale delle parti, ma
vige il principio che, salvo espresse
previsioni dettate dalla legge in conformità
della normativa comunitaria,
l’amministrazione, una volta scaduto il
contratto, deve, qualora abbia ancora la
necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara
(salva la limitata proroga di cui sopra)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.07.2008 n. 3391 -
link a www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI: I
REQUISITI PER POTER RIAFFIDARE IL SERVIZIO
(link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L.
Bellagamba,
Il “rinnovo” dell’appalto di servizio e il
problema della conformità al «progetto di
base»
(link a www.linobellagamba.it). |
anno 2007 |
|
APPALTI SERVIZI:
La P.A non deve motivare in modo specifico le ragioni
per cui, anziché prorogare l'affidamento di un servizio
pubblico a trattativa privata con un precedente gestore,
abbia deciso di assegnare l'appalto mediante gara.
Sull'onere della P.A. in sede di selezione dei
soggetti da invitare ad una trattativa privata, di motivare
la scelta di non invitare alla gara il precedente gestore
del servizio.
L'amministrazione non è tenuta a motivare in modo specifico
le ragioni per cui, anziché prorogare l'affidamento di un
servizio pubblico a trattativa privata con un precedente
gestore, dispone di ricorrere ad una procedura concorsuale
per la scelta di un nuovo contraente, essendo l'assegnazione
dell'appalto mediante gara il sistema ordinario stabilito
dall'ordinamento per l'affidamento dei servizi pubblici.
Nelle gare per l'aggiudicazione di contratti della Pubblica
amministrazione, in sede di selezione dei soggetti da
invitare alla trattativa privata, l'Amministrazione ha
l'onere di motivare la scelta, ancorché discrezionale, di
non invitare alla gara il privato che abbia precedentemente
svolto presso la stessa il servizio cui fa riferimento la
trattativa (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la
Regione Siciliana, Sez. giurisdizionale,
sentenza 31.12.2007 n. 1179
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: Sul
divieto di rinnovo dei contratti di appalto.
Si è già affermato che:
a) l’art. 23, comma 1, l. n. 62 del 2005 che ha abrogato l’ultimo
periodo dell’art. 6, comma 2, l. n. 537 del 1993, ha introdotto
nell’ordinamento italiano il divieto di rinnovazione dei contratti di
servizi e forniture, fatte salve le limitate deroghe previste
espressamente da disposizioni nazionali, attuative di corrispondenti
previsioni comunitarie, da interpretarsi comunque in modo rigoroso e
restrittivo;
b) l’art. 7, lett. f), d.lgs. n. 157 del 1995 nel prevedere una ipotesi
di affidamento diretto del contratto, in conformità a quanto sancito
dalla direttiva 92/50 Cee, e quindi una deroga al regime dei principi
comunitari di trasparenza e competitività degli appalti, deve essere
interpretato restrittivamente e rigorosamente, in modo da evitare
elusioni al divieto di rinnovazione, espressa o tacita, dei contratti di
appalto.
Si badi che tale divieto è stato recepito e generalizzato dall’art. 57
del Codice dei contratti, non solo relativamente ai lavori (oltre che
come tradizione ai servizi e forniture) ma anche con riferimento al
rinnovo espresso (al comma 7 si prevede solo il divieto di rinnovo
tacito); atteso che dalla collocazione sistematica delle norme colà
sancite si desume che è vietata qualsiasi ipotesi di rinnovo al di fuori
dei casi espressamente sanciti dal medesimo art. 57 (fra cui vi rientra
anche quello disciplinato in precedenza dalla lett. f) cit.).
L’essenza del problema è che un rinnovo espresso al di fuori dei casi
contemplati dall’ordinamento (oggi dal Codice dei contratti, ieri dalla
legge c.d. Merloni e dalla altre fonti di recepimento fra cui il d.lgs.
n. 157 del 1995) darebbe luogo a una nuova figura di trattativa privata
pura non consentita dal diritto comunitario; è per questa ragione che
l’art. 23, l. n. 62 cit. ha abrogato in parte l’art. 6, l. n. 537,
perché il rinnovo espresso integra una ipotesi di trattativa privata
senza bando diversa da quelle tassativamente consentite dal diritto
comunitario
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.05.2007 n. 2866 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
|
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
E' vietata la rinnovazione di contratti di appalto scaduti.
All’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo
dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 23 l.
n. 62/2005, deve assegnarsi una valenza generale ed una
portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di
altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di
fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei
contratti pubblici.
Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato,
infatti, si assicura l’effettiva conformazione
dell’ordinamento interno a quello comunitario, mentre,
accedendo a letture sistematiche che riducano la portata
precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti
pubblici scaduti e che introducano indebite eccezioni, si
finisce per vanificare la palese intenzione del legislatore
del 2005 di adeguare la disciplina nazionale in materia a
quella europea e, quindi, per conservare profili di
conflitto con quest’ultima del regime giuridico del rinnovo
dei contratti di appalto delle pubbliche amministrazioni.
Ne consegue che, in coerenza con la regola ermeneutica
appena sintetizzata, non solo l’intervento normativo di cui
all’art. 23 l. n. 62/2005 dev’essere letto ed applicato in
modo da escludere ed impedire, in via generale ed
incondizionata, la rinnovazione di contratti di appalto
scaduti, ma anche l’esegesi di altre disposizioni
dell’ordinamento che consentirebbero, in deroga alle
procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici,
l’affidamento, senza gara, degli stessi servizi per
ulteriori periodi dev’essere condotta alla stregua del
vincolante criterio che vieta (con valenza imperativa ed
inderogabile) il rinnovo dei contratti (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 31.10.2006 n. 6458 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Se una motivazione specifica è necessaria qualora
l'Amministrazione intenda rinnovare un contratto avente ad
oggetto prestazione di forniture o servizi, altrettanto non
può essere legittimamente predicato nel caso –inverso– di
diniego di rinnovo.
È ben vero che, secondo quanto affermato in giurisprudenza,
in presenza di un'istanza della parte privata titolare di un
contratto di fornitura di servizio finalizzata a sollecitare
la facoltà dell'Amministrazione di rinnovare il contratto,
l'Amministrazione stessa –in conformità agli obblighi di
lealtà, correttezza e solidarietà, insiti nei principi di
imparzialità e buon andamento cui deve ispirarsi l'attività
della P.A.– ha l'obbligo di concludere il relativo
procedimento con un provvedimento espresso, corredato di
apposita motivazione in ordine alla tutela dell'interesse
pubblico in questo modo perseguito: tale principio
rappresentando l’interfaccia di una posizione, in capo al
privato contraente, differenziata e tutelabile, derivante
dalla titolarità del pregresso rapporto negoziale e
dall’esistenza dei requisiti di legge per ottenere il
rinnovo contrattuale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 02.11.2004
n. 7068).
Ma è altrettanto vero che:
- se l'eventuale determinazione di addivenire al rinnovo del
contratto deve essere preceduta da apposita istruttoria e
assistita da congrua motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. V,
17.04.2003 n. 2079) in ragione della valenza derogatoria da
tale scelta assunta rispetto all’indizione di una gara
pubblica,
- all'opposto, per le stesse ragioni la negativa
determinazione in ordine al rinnovo non richiede motivazione
particolarmente ampia ed estesa, quando non debba
condividersi, secondo quanto opinato dalla prevalente
giurisprudenza, che essa in effetti non richieda motivazione
alcuna (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 22.07.2003 n. 2939;
TAR Piemonte, 24.03.2001 n. 631; TAR Calabria, Reggio
Calabria, 10.03.2001 n. 235).
In altri termini, se una motivazione specifica è necessaria
qualora l'Amministrazione intenda rinnovare un contratto
avente ad oggetto prestazione di forniture o servizi,
altrettanto non può essere legittimamente predicato nel caso
–inverso– di diniego di rinnovo: e ciò a maggior ragione
nell'ipotesi in cui l'Amministrazione stessa ritenga di
affidare il servizio mediante una gara, atteso che le
procedure concorsuali per la scelta del contraente da parte
della P.A. costituiscono la regola, assicurando il
raggiungimento dell'ulteriore finalità perseguita dal
Legislatore di impedire il consolidarsi di situazioni non
concorrenziali (TAR Puglia, Bari, sez. I, 13.07.2001 n.
2986; TAR Marche, 28.05.1999 n. 692).
Pur nel ribadire la perdurante vigenza, all’interno
dell’ordinamento, del principio di rinnovabilità dei
rapporti contrattuali intrattenuti dalla Pubblica
Amministrazione –ove sancito dalla lex specialis di gara,
ovvero contenuto nel contratto– va tuttavia escluso che la
relativa facoltà possa assumere, anche solo in parte,
carattere di obbligatorietà, vincolando in tal modo
l’operato della Pubblica Amministrazione.
In tal senso, quest’ultima potrà trovarsi di fronte ad una
duplicità di scelte (rinnovo del precedente vincolo
contrattuale; indizione di una pubblica gara per
l’affidamento del servizio) che, quantunque entrambi
elettivamente percorribili, nondimeno non si trovano su un
piano di indifferenziata opzionabilità (e, quindi, di
equipollente operatività).
Le procedure concorsuali per la scelta del contraente da
parte della Pubblica Amministrazione rappresentano, infatti,
la regola orientativa “cardine” dell’operato della Pubblica
Amministrazione nella scelta del privato contraente; mentre
la trattativa privata costituisce l'eccezione (e, quindi, è
suscettibile di essere legittimamente scelta laddove
ricorrano le condizioni ed i presupposti di legge).
Se, quindi, nessuna particolare motivazione è necessaria per
l'affidamento di un servizio mediante procedura concorsuale,
ex converso è la rinnovazione del rapporto (la quale
esclude, per il relativo arco temporale di vigenza,
l’indizione di una nuova gara) ad abbisognare di un più
congruo conforto motivazionale: e ciò in quanto essa deve
essere preceduta dall’accertamento, ad opera
dell’Amministrazione, circa la sussistenza del pubblico
interesse a rinnovare il rapporto con il precedente
contraente, mediante l’acquisizione, anche formale, di utili
elementi di valutazione comparativa per accertare se è il
caso di orientarsi per una scelta diversa o se è il caso di
confermare nel pregresso rapporto l'originario interlocutore
(sussistendo in tale ultimo caso l'onere di dare contezza
precisa, in base agli utili elementi acquisiti, delle
ragioni di convenienza tenute presenti) (TAR Lazio-Roma,
Sez. I-bis,
sentenza 08.03.2006 n. 1786 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L. Oliveri,
L’atipicità della tesi favorevole alla permanenza
dell’istituto del rinnovo contrattuale (link a
www.lexitalia.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L. Oliveri,
Brevi note sulla questione della rinnovabilità dei contratti
(link a www.lexitalia.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
D. Pantano,
Il rinnovo dei contratti della P.A.: un istituto duro a
morire (link a www.lexitalia.it). |
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