dossier DISTANZA DAI CONFINI |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: In
termini generali giova rimarcare che, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale, le convenzioni tra privati che mirano ad introdurre
deroghe alle disposizioni regolamentari (urbanistiche) in materia di
distanze sono invalide; e ciò in quanto le norme contenute nei regolamenti
comunali che prevedono distanze delle costruzioni dal confine rivestono
carattere assoluto ed inderogabile, atteso che non mirano soltanto ad
evitare intercapedini dannose o pericolose, ma anche a tutelare l'assetto
urbanistico di una determinata zona e la densità degli edifici.
Le norme sui distacchi minimi fra edifici, in particolare, hanno natura
ambivalente, essendo preordinate sia alla tutela di interessi dei
proprietari finitimi (compendiabili nella nozione di "maggiore fruibilità
dell'immobile") sia alla tutela dell'interesse pubblico ad un corretto e
"sano" sviluppo urbanistico della città, per cui il Comune, in sede di
rilascio del permesso di costruire, è tenuto a verificare il rispetto delle
norme sulle distanze minime fra edifici.
Le eventuali clausole di carattere derogatorio delle distante legali
incidono soltanto con riferimento al rispetto delle norme sulle distanze tra
le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute nel Codice
Civile (come quelle contenute per es. nell'art. 873 e 905 C.C.), poiché tali
norme sono derogabili per usucapione o mediante convenzione, la quale in
tali casi costituisce un vero e proprio diritto di servitù, in quanto arreca
una menomazione per l'immobile che avrebbe diritto alla distanza legale, in
quanto la predetta normativa del Codice Civile ha lo scopo di tutelare i
reciproci diritti soggettivi dei singoli proprietari e/o i rapporti
intersoggettivi di vicinato.
Invece le norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni
confinanti, contenute negli strumenti urbanistici e/o nei Regolamenti
Edilizi comunali, poiché trascendono l'interesse meramente privatistico, in
quanto hanno la funzione di tutelare l'interesse pubblico alla realizzazione
di un determinato assetto urbanistico prefigurato, non possono essere
derogate (le apposite convenzioni sono invalide anche nei rapporti interni
tra i proprietari confinanti) e la loro violazione comporta la facoltà del
vicino di chiedere la riduzione in pristino.
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Non hanno alcun pregio giuridico le deduzioni della resistente e del
controinteressato secondo cui il permesso a costruire rilasciato in favore
del ricorrente per la realizzazione del fabbricato ubicato sulla particella
di sua proprietà sarebbe illegittimo e, pertanto, andrebbe disapplicato
incidentalmente da questo Tribunale.
Al riguardo deve osservarsi, preliminarmente, che al giudice amministrativo
è precluso il potere di disapplicazione incidentale del provvedimento
amministrativo non impugnato perché ciò comporterebbe l’aggiramento del
tassativo termine decadenziale, potendo il giudice amministrativo
disapplicare soltanto prescrizioni aventi contenuto propriamente normativo,
dotate di generalità e di astrattezza, e non atti amministrativi concreti
seppur di portata generale.
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... per l'annullamento del permesso a costruire n. 10/2021 del 25.03.2021
acquisito al protocollo n. 2246/2021 e di ogni altro atto ad esso
presupposto e conseguente.
...
1.§- Con ricorso ritualmente notificato CI.Pa.Ma. impugna il permesso a
costruire in sanatoria n. 10/2021 in data 25.03.2021 rilasciato dal
resistente Comune di CERCHIO in favore del controinteressato MA.Ju. per il
posizionamento di un box coibentato (di dimensioni in pianta di circa
2,40x6,00 metri) sulla particella 2053 del foglio 5 del Catasto Terreni del
Comune di Cerchio, confinante con la particella 2054 del medesimo foglio di
proprietà del ricorrente, lamentando che detto box sia stato realizzato a
ridosso del muro di confine con la sua proprietà e, quindi, senza il
rispetto delle distanze legali.
...
5.§- L’assunto non persuade.
In termini generali giova rimarcare che, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale, le convenzioni tra privati che mirano ad introdurre
deroghe alle disposizioni regolamentari (urbanistiche) in materia di
distanze sono invalide; e ciò in quanto le norme contenute nei regolamenti
comunali che prevedono distanze delle costruzioni dal confine rivestono
carattere assoluto ed inderogabile, atteso che non mirano soltanto ad
evitare intercapedini dannose o pericolose, ma anche a tutelare l'assetto
urbanistico di una determinata zona e la densità degli edifici (ex
plurimis, TAR Sicilia Catania Sez. I, Sent., (ud. 26/03/2015)
09.04.2015, n. 1050; TAR Sicilia sez. II Palermo, 23/10/2014 n. 2540).
Le norme sui distacchi minimi fra edifici, in particolare, hanno natura
ambivalente, essendo preordinate sia alla tutela di interessi dei
proprietari finitimi (compendiabili nella nozione di "maggiore fruibilità
dell'immobile") sia alla tutela dell'interesse pubblico ad un corretto e
"sano" sviluppo urbanistico della città, per cui il Comune, in sede
di rilascio del permesso di costruire, è tenuto a verificare il rispetto
delle norme sulle distanze minime fra edifici (TAR Campania sez. II Napoli,
01/04/2011 n. 1899).
Le eventuali clausole di carattere derogatorio delle distante legali
incidono soltanto con riferimento al rispetto delle norme sulle distanze tra
le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute nel Codice
Civile (come quelle contenute per es. nell'art. 873 e 905 C.C.), poiché tali
norme sono derogabili per usucapione o mediante convenzione, la quale in
tali casi costituisce un vero e proprio diritto di servitù, in quanto arreca
una menomazione per l'immobile che avrebbe diritto alla distanza legale, in
quanto la predetta normativa del Codice Civile ha lo scopo di tutelare i
reciproci diritti soggettivi dei singoli proprietari e/o i rapporti
intersoggettivi di vicinato (TAR Basilicata-Potenza Sez. I, (ud. 05/07/2007)
04.09.2007, n. 515).
Invece le norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni
confinanti, contenute negli strumenti urbanistici e/o nei Regolamenti
Edilizi comunali, poiché trascendono l'interesse meramente privatistico, in
quanto hanno la funzione di tutelare l'interesse pubblico alla realizzazione
di un determinato assetto urbanistico prefigurato, non possono essere
derogate (le apposite convenzioni sono invalide anche nei rapporti interni
tra i proprietari confinanti) e la loro violazione comporta la facoltà del
vicino di chiedere la riduzione in pristino (ibidem, TAR Basilicata
Potenza Sez. I, (ud. 05/07/2007) 04.09.2007, n. 515).
6.§- Ebbene, applicate le superiori coordinate ermeneutiche al caso in
esame, rileva il Collegio che se è pur vero, da un lato, che la lett. n)
dell’art. 3 delle NTA del PRG consente di costruire sul confine di proprietà
quando vi è, come nella fattispecie, un accordo tra i proprietari confinanti
a mezzo di atto trascrivibile, è altrettanto indubitabile, dall’altro, che
il medesimo articolo subordina tale effetto ad una espressa previsione delle
norme del Piano Regolatore e, comunque, al “rispetto delle distanze tra
pareti finestrate”.
La distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti trova la
sua disciplina nella precedente lett. m) ove viene stabilita
inderogabilmente nella misura minima assoluta di 10 metri, come desumibile
chiaramente, sotto il profilo del drafting normativo, dall’uso della
locuzione avverbiale “in tutti i casi”.
Nella vicenda all’attenzione del Collegio, invece, la costruzione per la
quale il controinteressato ha richiesto ed ottenuto il permesso a costruire
in sanatoria è stata posta ad una distanza di 5 metri dalla costruzione
realizzata dal ricorrente, decisamente inferiore rispetto a quella indicata
dalla sopra richiamata lett. m) che non può costituire oggetto di deroga
pattizia ai sensi della lett. n).
7.§- Non hanno poi alcun pregio giuridico le deduzioni della resistente e
del controinteressato secondo cui il permesso a costruire n. 10 del
18.04.2011 rilasciato in favore del ricorrente per la realizzazione del
fabbricato ubicato sulla particella di sua proprietà sarebbe illegittimo e,
pertanto, andrebbe disapplicato incidentalmente da questo Tribunale.
Al riguardo deve osservarsi, preliminarmente, che al giudice amministrativo
è precluso il potere di disapplicazione incidentale del provvedimento
amministrativo non impugnato perché ciò comporterebbe l’aggiramento del
tassativo termine decadenziale, potendo il giudice amministrativo
disapplicare soltanto prescrizioni aventi contenuto propriamente normativo,
dotate di generalità e di astrattezza, e non atti amministrativi concreti
seppur di portata generale (in tali termini, TAR Abruzzo, L’Aquila, sentenza
03.11.2021, n. 494).
Ad ogni modo, la questione di cui innanzi appare esulare dal thema
decidendum che ha ad oggetto unicamente la legittimità del permesso a
costruire in sanatoria rilasciato dall’ente resistente al controinteressato
Ma.Ju. che, peraltro, non ha mai mosso alcuna contestazione rispetto al
permesso di costruire ottenuto a suo tempo dal ricorrente.
E’ davvero singolare inoltre che il Comune deduca solo oggi, ed in questa
sede, l’illegittimità del titolo abilitativo a costruire rilasciato dal
medesimo ente comunale al ricorrente e ne pretenda la disapplicazione
incidentale in totale spregio ai canoni fondamentali di buona
amministrazione e di tutela del legittimo affidamento, senza che mai abbia
attivato nel tempo alcuna iniziativa in autotutela tesa a rimuovere gli
effetti (a suo dire illegittimi, ma oramai) consolidatisi del predetto
titolo edilizio adottato ben 10 anni fa
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 06.12.2021 n. 543 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Distanze
tra costruzioni. Quando il regolamento edilizio prevede
distanze superiori rispetto a quelle di cui al codice
civile: conseguenze.
L'esenzione dal rispetto delle distanze
tra costruzioni, prevista dall'art. 878 cod. civ., si
applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione
alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza
non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché
dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni,
sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti
indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed
abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la
linea di confine e di recingere il fondo.
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I regolamenti edilizi in materia di
distanze tra costruzioni contengono norme di immediata
applicazione, salvo il limite, nel caso di norme più
restrittive, dei cosiddetti "diritti quesiti" (per cui la
disciplina più restrittiva non si applica alle costruzioni
che, alla data dell'entrata in vigore della normativa,
possano considerarsi "già sorte"), e, nel caso di norme più
favorevoli, dell'eventuale giudicato formatosi sulla
legittimità o meno della costruzione.
Ne consegue la inammissibilità dell'ordine di demolizione di
costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al
momento della loro realizzazione, tali non siano più alla
stregua delle norme vigenti al momento della decisione,
salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al
risarcimento dei danni prodottisi "medio tempore", ossia di
quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel
periodo compreso tra la sua costruzione e l'avvento della
nuova disciplina.
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Le Sezioni Unite, chiamate a comporre il contrasto
registratosi nella giurisprudenza di legittimità sulla
questione dell'applicabilità del principio di prevenzione
nell'ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento
edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra
fabbricati maggiore rispetto a quella prevista dal codice,
senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima
delle costruzioni dal confine, hanno chiarito che il
principio di prevenzione si applica anche quando le
disposizioni di un regolamento locale prevedano una distanza
minima tra le costruzioni in misura maggiore a quella
codicistica, senza prescrivere altresì una distanza minima
dal confine o vietare espressamente la costruzione in
appoggio o aderenza.
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Vanno annunciati i seguenti princìpi di diritto:
- «In tema di distanze legali
nelle costruzioni, qualora sopravvenga una disciplina meno
restrittiva la costruzione, realizzata in violazione della
normativa in vigore al momento della sua ultimazione, non
può ritenersi illegittima qualora risulti conforme alla
nuova disciplina, non potendosi ordinare la demolizione o
l'arretramento dell'edificio originariamente illecito che
abbia le caratteristiche e i requisiti che ne
consentirebbero la costruzione alla stregua della disciplina
sopravvenuta»;
- «Un regolamento locale che si
limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore
a quella prevista dal codice civile, senza imporre un
distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide
sul principio della prevenzione, come disciplinato dal
codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la
possibilità di costruire sul confine o a distanza dal
confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le
costruzioni, né al prevenuto la corrispondente facoltà di
costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei
presupposti previsti dagli articoli 874, 875 e 877 c.c.»
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8.1 I primi tre motivi del ricorso incidentale sono
infondati.
Come si è detto, la prima questione riguarda la presunta
erronea attribuzione della natura di muro di cinta, esentato
dal rispetto delle distanze, ai sensi dell'art. 878 c.c., al
manufatto posto a confine dei fondi, nonostante il medesimo
manufatto avesse un'altezza superiore ai tre metri.
Sul punto, la sentenza della Corte d'Appello di Napoli è
conforme al seguente consolidato indirizzo di questa Corte
cui il collegio intende dare continuità: «L'esenzione dal
rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art.
878 cod. civ., si applica sia ai muri di cinta, qualificati
dalla destinazione alla recinzione di una determinata
proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri,
dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe
le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur
carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque
idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la
funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di
recingere il fondo» (Sez. 2, Sent. n. 3037 del 2015,
Sez. 2, Sent. n. 8671 del 2001).
8.2 Le censure che attengono alla presunta erronea
interpretazione della scrittura privata intercorsa tra i
danti causa delle parti per la costruzione del muro, da un
lato, sono inammissibili per difetto di rilevanza, in
quanto, come si legge nella sentenza impugnata, la qualifica
di muro di cinta effettuata dalla Corte d'Appello si è
fondata sulle sue caratteristiche costruttive ed estetiche
come emergenti dalle fotografie agli atti (facce isolate e
doppio spiovente) e sulla conseguente sua funzione oggettiva
di demarcazione del confine (pag. 11 della sentenza
impugnata).
La Corte d'Appello ha accolto il mezzo di gravame anche con
riferimento al motivo relativo all'affermazione del giudice
di primo grado secondo cui, nella convenzione stipulata tra
i danti causa delle parti e con la quale si era pattuita la
costruzione del muro, si era fatto riferimento
inequivocabilmente ad un muro di costruzione. Sul punto la
Corte d'Appello ha ritenuto che dovesse prevalere il
criterio interpretativo che impone la ricerca della reale
intenzione delle parti rispetto al criterio letterale.
L'accoglimento del suddetto motivo di appello ha solo
aggiunto un ulteriore elemento confermativo alla decisione
che comunque si è fondata sulle caratteristiche oggettive
del muro, funzionali alla delimitazione del confine, di qui
l'irrilevanza delle censure che attengono all'erronea
interpretazione della convenzione negoziale.
Inoltre, il ricorrente non censura tale interpretazione per
violazione degli artt. 1362 e ss., sicché le relative
censure sono inammissibili anche sotto questo profilo.
Il ricorrente incidentale asserisce, anche, che il muro è
destinato al contenimento di un terrapieno artificiale e che
non è autonomo in quanto utilizzato per l'appoggio delle due
costruzioni. Ma questi elementi non risultano oggetto della
discussione nel giudizio di merito. La Corte d'Appello, al
contrario, ha rilevato che il muro in questione presenti uno
spessore di 63 cm ed un'altezza di mt. 3,40 dalla proprietà
Giordano e mt. 3,82 dalla proprietà Gi., così escludendo
altre costruzioni in aderenza. Il dislivello tra i due fondi
non implica necessariamente la funzione di contenimento di
un terrapieno e tale circostanza non risulta dedotta nel
giudizio di merito.
9. Deve, dunque, passarsi all'esame del ricorso principale,
in quanto i primi tre motivi sono fondati e
l'accoglimento del primo di essi determina
l'assorbimento del quarto motivo del ricorso
incidentale.
Una volta confermata la natura di muro di cinta del
manufatto posto a confine e ribadito che, ai sensi dell'art.
378 c.c. il muro di cinta (anche se alto più di tre metri)
non si calcola ai fini delle distanze, risulta fondata la
richiesta del ricorrente principale di farsi applicazione
del nuovo regolamento locale che non prevede più una
distanza minima dal confine.
Infatti, secondo l'indirizzo consolidato di questa Corte: "I
regolamenti edilizi in materia di distanze tra costruzioni
contengono norme di immediata applicazione, salvo il limite,
nel caso di norme più restrittive, dei cosiddetti "diritti
quesiti" (per cui la disciplina più restrittiva non si
applica alle costruzioni che, alla data dell'entrata in
vigore della normativa, possano considerarsi "già sorte"),
e, nel caso di norme più favorevoli, dell'eventuale
giudicato formatosi sulla legittimità o meno della
costruzione. Ne consegue la inammissibilità dell'ordine di
demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme
vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano
più alla stregua delle norme vigenti al momento della
decisione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto
al risarcimento dei danni prodottisi "medio tempore", ossia
di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione
nel periodo compreso tra la sua costruzione e l'avvento
della nuova disciplina" (Sez. 2, Sent. n. 14446 del
2010).
Occorre quindi cassare la sentenza impugnata, dovendo il
giudice del rinvio verificare se la costruzione posta in
essere da Giordano Sossio rispetti la disciplina sulle
distanze attualmente vigente, tenuto conto del nuovo
regolamento locale e dovendo, a tal fine, altresì verificare
se risultino rispettate le distanze intercorrenti tra volumi
edificati preesistenti.
Le Sezioni Unite, infatti, chiamate a comporre il contrasto
registratosi nella giurisprudenza di legittimità sulla
questione dell'applicabilità del principio di prevenzione
nell'ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento
edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra
fabbricati maggiore rispetto a quella prevista dal codice,
senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima
delle costruzioni dal confine, hanno chiarito che il
principio di prevenzione si applica anche quando le
disposizioni di un regolamento locale prevedano una distanza
minima tra le costruzioni in misura maggiore a quella
codicistica, senza prescrivere altresì una distanza minima
dal confine o vietare espressamente la costruzione in
appoggio o aderenza (S.U., Sent. del 19.05.2016 n. 10318).
Si impone pertanto l'accoglimento del primo motivo
del ricorso principale e il giudice del rinvio dovrà fare
applicazione dei seguenti principi di diritto:
- «In tema di distanze legali nelle costruzioni,
qualora sopravvenga una disciplina meno restrittiva la
costruzione, realizzata in violazione della normativa in
vigore al momento della sua ultimazione, non può ritenersi
illegittima qualora risulti conforme alla nuova disciplina,
non potendosi ordinare la demolizione o l'arretramento
dell'edificio originariamente illecito che abbia le
caratteristiche e i requisiti che ne consentirebbero la
costruzione alla stregua della disciplina sopravvenuta»;
- «Un regolamento locale che si limiti a stabilire una
distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal
codice civile, senza imporre un distacco minimo delle
costruzioni dal confine, non incide sul principio della
prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non
preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire
sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di
quella prescritta tra le costruzioni, né al prevenuto la
corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in
aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli
articoli 874, 875 e 877 c.c.» (Corte di Cassazione, Sez.
II civile,
ordinanza 24.11.2020 n. 26713). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Attività edilizia – Atto di assenso del confinante - Forma e
contenuto minimo dell’atto – parere (Legali Associati per Celva,
nota
04.12.2019 - tratto da www.celva.it).
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L’Amministrazione comunale di La Salle ha sottoposto alla nostra
attenzione richiesta di parere avente ad oggetto una pluralità di quesiti,
tutti afferenti la corretta individuazione dei requisiti minimi di contenuto
e di forma che deve assumere l’atto di assenso richiesto al confinante, al
fine di derogare alle distanze minime dai fabbricati e dai confini e se tale
atto di assenso debba essere acquisito e ricondotto nella pratica edilizia
per cui è richiesto. (... continua). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: costruzione di nuovo fabbricato – presenza di muro di
contenimento – rispetto delle distanze dal confine – modalità di calcolo –
parere
(Legali Associati per Celva,
nota 31.10.2019 -
tratto da www.celva.it).
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Il Comune di Arvier, per il tramite del CELVA, ha richiesto un parere
avente ad oggetto la corretta quantificazione delle distanze da rispettare
nell’ambito dell’attività edificatoria di un nuovo fabbricato monofamiliare,
di civile abitazione, realizzando in Arvier, Fraz. Leverogne, zona
classificata come Ba4 dal vigente P.R.G.C. (...continua). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
illegittimità dell'ordinanza di demolizione di un balcone
realizzato in spregio alla distanza legale di mt. 1.50 dal
confine ex art. 905 cod. civ..
Sebbene i provvedimenti impugnati
facciano riferimento ad una pretesa difformità dell’opera
rispetto al progetto, il loro specifico rinvio agli atti
istruttori chiarisce che la contestazione mossa all’odierno
ricorrente riguarda unicamente il rispetto delle distanze
legali dal balcone dell’unità immobiliare confinante.
Sennonché, è corretto l’assunto del ricorrente che, nella
specie, non occorresse osservare la distanza minima di un
metro e mezzo prescritta dall’art. 905 c.c. per l’apertura
di vedute dirette verso il fondo o sopra il tetto del vicino
e per la costruzione di balconi o altri sporti, terrazze,
lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta
di affacciarsi sul fondo del vicino.
Trattandosi della costruzione di un balcone che corre di
fianco a quello del vicino sul medesimo fronte strada
prospiciente una pubblica via, infatti, non potrebbe
comunque farsi luogo all’applicazione dell’art. 905 c.c.,
giacché la giurisprudenza ha da tempo chiarito che per
l’applicazione della norma secondo cui il divieto di aprire
vedute verso il fondo del vicino a distanza minore di un
metro e mezzo “cessa allorquando tra i due fondi vi sia una
via pubblica” (art. 905, comma 3, c.c.) occorre che entrambi
fondi siano confinanti con la via pubblica, ma è irrilevante
la loro collocazione, non richiedendosi in particolare che
si fronteggino o che da tale via siano separati, poiché
l'esonero dal divieto è giustificato dall'identificazione
della strada pubblica con uno spazio che espone il fondo del
vicino all’indiscrezione di tutti i passanti, sicché i due
fondi possono anche essere contigui.
Può aggiungersi che neppure potrebbe parlarsi di veduta
sulla proprietà del vicino, identificata dal Comune nel
balcone della controinteressata, poiché il balcone
realizzato dal ricorrente non consente di esercitarvi
l’affaccio (c.d. prospectio).
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Col ricorso in esame, corredato di istanza cautelare, il
sig. Ro.Pa. impugna l'ordinanza n. 47AE/15 del 04.08.2015,
con cui il Comune di Anzio gli ha ingiunto il ripristino
dello stato dei luoghi in relazione alla realizzazione di un
balcone in via ... n. 3, primo piano int. 1, in pretesa
pretesa difformità dalla D.I.A. dallo stesso presentata,
nonché l’ordinanza n. 48AE/15 di pari data, con cui il
Comune gli ha irrogato, per la medesima vicenda, una
sanzione amministrativa dell’importo di euro 516,00
...
Il ricorso è fondato.
Con le ordinanze impugnate è stato ingiunto al ricorrente il
ripristino dello stato dei luoghi ed irrogata una sanzione
pecuniaria “per difformità alla DIA prot. 32917 del
29.07.2013”, individuata mediante rinvio per
relationem agli atti istruttori richiamati nel preambolo
e allegati al provvedimento; dagli stessi emerge che, in
sede di verifica dell’esecuzione dei lavori di realizzazione
di un balcone previsto negli elaborati grafici della
denuncia, sarebbe stato accertato il mancato rispetto delle
distanze minime dalla proprietà confinante (cfr. la
relazione tecnica prot. 1652/16 del 02.07.2015 dell’Unità
Abusivismo Edilizio, all’esito del sopralluogo del
precedente 10 giugno: “tra la linea esteriore di predetta
opera e il fondo confinante (balcone proprietà Ni.Fe.) non
vi è la distanza di m 1.50, così come previsto dall’art. 905
del Codice Civile, essendo il distacco di m 1.19”).
Parte ricorrente propone cinque ordini di censura:
(i) non vi è difformità tra quanto denunciato e quanto realizzato,
poiché la misura del distacco era facilmente ricavabile dal
progetto, sicché (tanto più che la questione dei distacchi
era già stata sollevata dal proprietario confinante) il
Comune soltanto ora verrebbe a contestare, in realtà, il
rispetto nello stesso progetto delle norme sulle distanze,
per la qual cosa avrebbe dovuto, piuttosto, procedere alla
revoca o all’annullamento del silenzio assenso sulla D.I.A.;
(ii) i rilievi e le misurazioni sono stati effettuati dai tecnici
comunali senza la partecipazione dell’interessato e senza
dargliene alcun avviso, in violazione del suo diritto al
contraddittorio procedimentale;
(iii) non sussiste alcuna violazione dell’art. 905 c.c.: nel caso
concreto non si tratta di una veduta diretta (art. 905
c.c.), ma obliqua (art. 906 c.c., che prescrive una distanza
di 75 cm), trattandosi di due balconi affiancati l’uno
all’altro, e comunque, anche se si trattasse di veduta
diretta, il fatto che entrambi i balconi affaccino su una
via pubblica (ancorché questa non li separi) importerebbe
comunque l’esenzione dal rispetto delle distanze a mente
dell’art. 905 ultimo comma c.c.. In ogni caso, l’ordine di
demolizione avrebbe dovuto interessare anche il balcone
della vicina, poiché il principio della prevenzione non si
applicherebbe ai distacchi tra vedute o balconi;
(iv) la demolizione parziale del balcone pregiudicherebbe la sua
parte eseguita in conformità;
(v) il Comune non ha osservato l’obbligo di contestare
immediatamente la violazione, in contrasto con gli articoli
27 del d.P.R. n. 380/2001 e 14, comma 1, della legge n.
689/1981.
Tanto premesso, anzitutto va osservato che, sebbene i
provvedimenti impugnati facciano riferimento ad una pretesa
difformità dell’opera rispetto al progetto, il loro
specifico rinvio agli atti istruttori (“tali difformità
sono meglio indicate nei citati atti”) chiarisce che la
contestazione mossa all’odierno ricorrente riguarda
unicamente il rispetto delle distanze legali dal balcone
dell’unità immobiliare confinante; ciò tenuto conto anche
del fatto, rilevante ai sensi dell’art. 116 c.p.c., che
l’amministrazione non ha mai dato riscontro alle ordinanze
con cui la Sezione ha chiesto di chiarire se le rilevate
difformità rispetto alla D.I.A. riguardassero il mancato
rispetto delle distanze previste in progetto.
Che la distanza tra i due balconi sia inferiore ai 150
centimetri è pacifico. Nella perizia giurata prodotta dal
ricorrente, corredata da grafici e rilievi fotografici, si
afferma che il balcone di proprietà del ricorrente è posto a
75 cm dal confine tra i due fabbricati, mentre il balcone
della controinteressata si trova a 49 cm del confine
medesimo (sicché la distanza che li separa sarebbe di 124
cm; maggiore è la distanza dalla finestra più vicina della
controinteressata, che la perizia quantifica in 190 cm).
Sennonché, è corretto l’assunto del ricorrente che, nella
specie, non occorresse osservare la distanza minima di un
metro e mezzo prescritta dall’art. 905 c.c. per l’apertura
di vedute dirette verso il fondo o sopra il tetto del vicino
e per la costruzione di balconi o altri sporti, terrazze,
lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta
di affacciarsi sul fondo del vicino.
Trattandosi della costruzione di un balcone che corre di
fianco a quello del vicino sul medesimo fronte strada
prospiciente una pubblica via, infatti, non potrebbe
comunque farsi luogo all’applicazione dell’art. 905 c.c.,
giacché, come correttamente osservato nel terzo motivo
di ricorso, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che per
l’applicazione della norma secondo cui il divieto di aprire
vedute verso il fondo del vicino a distanza minore di un
metro e mezzo “cessa allorquando tra i due fondi vi sia
una via pubblica” (art. 905, comma 3, c.c.) occorre che
entrambi fondi siano confinanti con la via pubblica, ma è
irrilevante la loro collocazione, non richiedendosi in
particolare che si fronteggino o che da tale via siano
separati, poiché l'esonero dal divieto è giustificato
dall'identificazione della strada pubblica con uno spazio
che espone il fondo del vicino all’indiscrezione di tutti i
passanti, sicché i due fondi possono anche essere contigui
(cfr. Cass., sez. II, 20.02.2009, n. 4222, ove ultt. citt.).
Può aggiungersi che neppure potrebbe parlarsi di veduta
sulla proprietà del vicino, identificata dal Comune nel
balcone della controinteressata, poiché il balcone
realizzato dal ricorrente non consente di esercitarvi
l’affaccio (c.d. prospectio).
Tanto basta all’accoglimento del ricorso, assorbita ogni
altra censura, con conseguente annullamento, per l’effetto,
degli atti impugnati
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 07.09.2017 n. 9626 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla distanza da osservare nel costruire un barbecue a
confine.
Per l’art. 890 c.c. chi presso il
confine vuole fabbricare forni o camini, per i quali può
sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze
stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie
a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità,
salubrità e sicurezza.
Tale articolo va quindi letto nel senso di considerare le
cose espressamente elencate come gravate da una presunzione
assoluta di nocività o pericolosità.
Il rispetto della distanza prevista dall’art. 890 c.c.,
nella cui regolamentazione rientrano anche i forni, è
collegato ad una presunzione assoluta di nocività e
pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel
caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che
stabilisca la distanza medesima; mentre, in difetto di una
disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione
di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata
ove la parte interessata al mantenimento del manufatto
dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al
pericolo o al danno del fondo vicino.
---------------
La Corte territoriale ha posto a fondamento della sua
decisione le risultanze della consulenza tecnica di ufficio
secondo le quali il barbecue in questione avrebbe dovuto
essere collocato a non meno di 5-6 metri dalla proprietà del
resistente (distanza che la corte territoriale ha affermato
essere persino troppo modesta) e che il predetto manufatto
invece era stato posto molto vicino alle finestre
dell'abitazione privata di An.Ma., che risultavano "soprastanti
per poche decine di centimetri", mentre la casa era
situata "in posizione soprastante la piccola area esterna
ove il sig. Ca.In. ha collocato il suo barbecue" e ha
aggiunto che "le fotografie in atti sono più eloquenti di
ogni scritto sull'argomento e il rinvio alla loro diretta
visione potrebbe bastare quale motivazione della pronuncia
giudiziale".
La Corte di appello ha qualificato il barbecue un forno e ha
dato atto che il Tribunale, accogliendo la domanda ex art.
890 c.c. dell'attore aveva rilevato che era costituito da un
manufatto in muratura il cui comignolo si trovava ad una
distanza minima da meno di un metro a due metri circa da
alcune finestre del soprastante appartamento dell'attore.
Per l'art. 890 c.c. chi presso il confine
vuole fabbricare forni o camini, per i quali può sorgere
pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai
regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i
fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e
sicurezza.
Tale articolo va quindi letto nel senso di considerare le
cose espressamente elencate come gravate da una presunzione
assoluta di nocività o pericolosità.
Il rispetto della distanza prevista dall'art. 890 c.c.,
nella cui regolamentazione rientrano anche i forni
(tale essendo qualificato dalla Corte di appello il
manufatto), è collegato ad una presunzione
assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni
accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento
edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima;
mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha
pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure
relativa, che può essere superata ove la parte interessata
al mantenimento del manufatto dimostri che mediante
opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno
del fondo vicino
(Cass. 22/10/2009 n. 22389; Cass. 06/03/2002 n. 3199).
Va precisato che la presunzione che deve
essere superata non è una presunzione di danno, ma una
presunzione di pericolo che si produca il danna e prescinde
dall'accertamento in concreto del danno, dovendo invece
essere valutata in concreto la pericolosità del forno
ancorché non in attività.
Ne discende quale necessaria conseguenza, l'irrilevanza di
un accertamento svolto con il forno in funzione essendo
invece sufficiente la potenzialità dell'esalazione nociva o
molesta, potenzialità che è stata appunto accertata dal CTU
A nulla rileva che l'apertura più vicina fosse una luce od
una veduta e che si aprisse all'esterno del seminterrato,
dovendosi tenere conto del complessivo mancato rispetto
delle distanze come accertata in concreto dalla Corte di
appello sulla base della CTU e in base alla posizione del
forno rispetto all'immobile del resistente.
Il motivo deve pertanto essere rigettato.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la
violazione dell'art. 115 c.p.c. e sostiene che la Corte di
appello ha erroneamente applicato la nozione del notorio
ritenendo di comune esperienza la nocività delle immissioni
provocate dal barbecue senza avere valutato in concreto la
effettiva nocività e pericolosità del manufatto, amovibile
in quanto soltanto appoggiato al suolo.
2.1. La Corte di appello ha rilevato che per il comune buon
senso e per le nozioni di comune esperienza il carbone di
legna è nocivo.
Il motivo è infondato perché rientra ormai
nella comune esperienza che dalla bruciatura del carbone di
legna (come
rilevato dalla Corte di appello) si
sviluppa una sostanza cancerogena; già nel 2010 l'Agenzia
Internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito il fumo
di legna tra i possibili agenti cancerogeni; va aggiunto che
anche su quotidiani a larga tiratura è stata evidenziata la
nocività dei fumi da barbecue
(v. ad es. il quotidiano La Stampa 08/08/2012 inserto
salute) (Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 20.06.2017 n. 15246 - massima tratta da
https://renatodisa.com). |
anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Per quanto attiene alle distanze fra costruzioni
o di queste con i confini, vige il regime della c.d.
doppia tutela per cui il soggetto, che assume di essere
stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia di
distanze, è titolare, da un lato, del diritto
soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in
pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia
illecita (con competenza del giudice ordinario) e,
dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del
provvedimento invalido dell'Amministrazione.
---------------
8.1 Eccepisce innanzitutto quest’ultimo il difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi a suo
dire di controversia che riguardando questioni di
distanze e, dunque, involgenti diritti soggettivi– avrebbe
dovuto essere dedotta dinanzi al giudice ordinario.
Ritiene il Collegio che l’eccezione sia infondata per le
ragioni di seguito esposte.
Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, nel
nostro ordinamento, “…per quanto attiene alle distanze
fra costruzioni o di queste con i confini, vige il regime
della c.d. doppia tutela per cui il soggetto, che
assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle
norme in materia di distanze, è titolare, da un lato,
del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla
riduzione in pristino nei confronti dell'autore
dell'attività edilizia illecita (con competenza del giudice
ordinario) e, dall'altra, dell'interesse legittimo
alla rimozione del provvedimento invalido
dell'Amministrazione…” (Cons. Stato, Sez. IV,
31.03.2015, n. 1692) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.11.2016 n. 2274 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Distanze tra edifici, la «prevenzione» vince il regolamento
edilizio.
Sezioni unite. Bocciata l’incompatibilità.
Non vi è alcun
motivo di negare a chi costruisce per primo, anche in
presenza di norme dei regolamenti edilizi che fissino
distanze tra le costruzioni diverse da quelle stabilite dal
Codice civile, la possibilità di avvalersi delle facoltà
connesse al principio della “prevenzione”. Cioè di decidere
se costruire sul confine o a distanza dal confine stesso.
Questo, anche se i regolamenti locali prevedano solo una
distanza tra costruzioni maggiore da quella stabilità dal
Codice civile senza però stabilire espressamente anche una
distanza minima dal confine.
Questo il principio fissato dalle Sezioni Unite civili della
Corte di Cassazione con la
sentenza
19.05.2016 n. 10318 per porre fine al contrasto
esistente tra varie sentenze in merito alla incompatibilità,
o meno, del principio della prevenzione con la disciplina
delle distanze.
La rilevanza del caso consiste nel fatto che chi costruisce
per primo, ovviamente, potendo decidere dove costruire (sul
confine o no) finisce per condizionare le possibilità di
costruire del vicino, il quale a seconda della scelta
operata dal “primo arrivato” si troverà costretto a decidere
tra: costruire in aderenza (articolo 877 del Codice civile),
chiedere la comunione forzosa del muro sul confine (articolo
874) oppure costruire arretrando il suo edificio in misura
pari all’intero «distacco legale».
Il caso esaminato della Sezioni Unite nasceva dalla domanda
di arretramento proposta da un proprietario nei confronti
del fabbricato del confinante in quanto non rispettoso dei
limiti di distanza tra edifici fissati dalla legge 765/1967.
La sentenza del Tribunale di Nola stabiliva che si debba
applicare non il termine sulla distanza indicato dalla legge
765/1967 ma quello di otto metri previsto viceversa dal
regolamento edilizio del Comune (in questo caso quello di
Ottaviano).
La Corte d’appello di Napoli riteneva invece che a dover
essere arretrato fosse l’edificio del proprietario che aveva
avviato la causa in quanto, come era risultato dalla
istruttoria del procedimento, era stato costruito “per
secondo”. Ma la vicenda andava avanti (ormai sono passati 26
anni!) sino in Cassazione, per poi ritornarvi in quanto il
ricorrente sosteneva, appunto, l’inapplicabilità del
principio della prevenzione in presenza di norme
regolamentari che imponevano distanze differenti da quelle
previste dal Codice civile. Così la vicenda veniva
affrontata per la seconda volta dalla Cassazione, dove la
Sezione II investiva della faccenda le Sezioni unite,
ravvisando un contrasto interno alla stessa Sezione
Le Sezioni Unite hanno così chiarito come non vi sia alcuna
incompatibilità del principio di prevenzione con la
disciplina delle distanze di cui alla legge 765/1967
(articolo Il Sole 24 Ore del
20.05.2016).
---------------
MASSIMA
1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e
falsa applicazione degli arti. 873 e 875 cod. civ., nonché
dell'art.
26 del regolamento edilizio del comune di Ottaviano.
Deducono
che la Corte di Appello, dopo aver correttamente ritenuto
l'applicabilità della norma di cui all'art. 26 del
regolamento
edilizio del Comune di Ottaviano, che impone un distacco di
metri
otto tra le costruzioni, ha erroneamente ritenuto
applicabile alla
fattispecie il criterio della prevenzione previsto dagli
artt. 873 e
875 cod. civ., e supposto la priorità nel tempo della
costruzione
Del Giudice rispetto a quella del Guerriero.
Sostengono che,
in
materia di distanze fra fabbricati o di questi dal confine,
stabilite
dai regolamenti locali in misura maggiore di quella prevista
dal
codice civile, il principio della prevenzione trova
applicazione
solo ove lo strumento urbanistico consenta anche le
costruzioni in
appoggio o in aderenza, e colui che fabbrica per primo
costruisca
sul confine o a distanza regolamentare da questo.
Deducono
che,
al contrario, tale criterio non può mai trovare
applicazione,
consenta o meno lo strumento urbanistico le costruzioni in
appoggio o in aderenza, allorché colui che fabbrica per
primo
costruisca a distanza dal confine inferiore a quella
stabilita dal
regolamento, avendo la norma locale che consente costruzioni
sul
confine la funzione di ripartire in maniera paritetica tra i
costruttori confinanti la distanza dal confine, ovvero di
eliminarla, ma sempre in modo paritetico, cioè con
costruzioni in
aderenza od in appoggio erette sulla linea di confine.
Rilevano,
pertanto, che, poiché la Del Giudice ha eretto la sua
costruzione a
meno di quattro metri dal confine (distanza pari alla metà
di
quella minima prescritta fra edifici), nella specie,
indipendentemente dal fatto che il regolamento locale
preveda o
meno la costruzione sul confine, è da escludere
l'applicabilità del
criterio della prevenzione.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa
o
insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi,
per avere
la Corte di Appello ritenuto applicabile il criterio della
prevenzione senza indagare se lo strumento urbanistico
locale
preveda o meno la facoltà per i proprietari confinanti di
costruire
in aderenza o in appoggio, e senza rilevare che la Del
Gi.,
come accertato dal C.T.U., ha eretto il suo fabbricato a
distanza
dal confine inferiore a quella di metri quattro prescritta a
suo
carico dall'art. 26 del regolamento edilizio comunale.
...
2) Queste Sezioni Unite sono state chiamate a comporre
il
contrasto registratosi nella giurisprudenza di legittimità
sulla
questione -oggetto dei primi due motivi di ricorso-
dell'applicabilità
o meno del principio di prevenzione nell'ipotesi
in cui le disposizioni di un regolamento edilizio locale
prevedano
esclusivamente una distanza tra fabbricati maggiore di
quella
codicistica, senza imporre altresì il rispetto di una
distanza
minima delle costruzioni dal confine.
L'ordinanza interlocutoria del 23.01.2009 della Seconda
Sezione Civile della Corte di Cassazione ha preso le mosse
dal
principio di diritto enunciato da Cass. n. 13338/2006 nella
precedente fase di legittimità, secondo cui le limitazioni
previste
dall'art. 41-quinquies della l. n. 1150 del 1942, introdotto
dalla l. n. 765 del 1967, art. 17, riguardanti la distanza
tra edifici vicini
nei Comuni sprovvisti di piano regolatore o di programma di
fabbricazione, si estendono anche ai Comuni dotati di
regolamento edilizio, se questo è privo di norme
disciplinanti i
distacchi tra costruzioni; laddove, qualora il regolamento
edilizio
contenga tali norme e sia stato approvato anteriormente
all'entrata
in vigore della legge n. 765 del 1967, prevalgono le norme
locali.
Tale è il caso del Comune di Ottaviano, munito di un
regolamento
edilizio approvato in epoca anteriore all'entrata in vigore
della
c.d. "legge ponte", il quale all'art. 26 contiene una
regolamentazione specifica nella suddetta materia, ponendo
un
divieto di spazi vuoti inferiori a otto metri "tra casa e
casa".
La Seconda Sezione ha rilevato che il giudice del rinvio,
nel
riesaminare —alla luce del principio di diritto affermato
nella
sentenza di cassazione- la controversia alla stregua delle
previsioni del regolamento edilizio locale, ha disposto
l'arretramento del fabbricato del Guerriero a otto metri
(invece
che a quella di dodici metri stabilita nella sentenza
cassata sulla
base del disposto del citato art. 17 della c.d. legge ponte)
da
quello dell'attrice, affermando che, contrariamente a quanto
sostenuto dagli appellanti, la documentazione in atti
comprovava
che era stata la Del Giudice a costruire per prima e a dover
essere
considerata, pertanto, "preveniente" rispetto al convenuto.
Ha, quindi, osservato che, avendo i ricorrenti censurato
l'accertamento della prevenzione, occorreva soffermarsi sul
relativo presupposto.
2.1) Nell'ordinanza di rimessione è stato dato atto del
concorde orientamento della giurisprudenza di legittimità
circa
l'inoperatività del criterio della prevenzione allorquando
la
disciplina regolamentare imponga il rispetto di una distanza
inderogabile delle costruzioni dai confini (cfr. Cass. n.
23693/2014,
18728/2005, 627/2003, 12561/2002, 4895/2002, 4366/2001, 10600/1999,
4438/1997, 3737/1994, 7747/1990 e 4737/1987, tutte precedute
dall'incipit
di S.U. n. 2846/1967).
La Seconda Sezione, al contrario, ha rilevato un contrasto interno alla stessa Sezione per l'ipotesi in cui le
disposizioni
locali prevedano solo una distanza minima tra costruzioni
maggiore di quella codicistica, senza nulla disporre
espressamente
riguardo alla distanza delle costruzioni dal confine.
L'ordinanza interlocutoria ha richiamato, al riguardo, un
primo
indirizzo, secondo cui, nel caso in cui il regolamento
edilizio
determini solo la distanza minima fra le costruzioni, in
assenza di
qualunque indicazione circa il distacco delle stesse dal
confine, il
principio della prevenzione deve ritenersi operativo, non
ostandovi
alcun divieto di costruire in aderenza o sul confine (Cass.
05.12.2007 n. 25401; Cass. 20.04.2005 n. 8283; Cass. 01.06.1993 n.
6101;
Cass. 16.05.1991 n. 5474; Cass. 07.06.1988 n. 3859; Cass.
20.11.1987 n. 8543 e Cass. 24.06.1983 n. 4352).
Ha rilevato che, invece, in base ad un diverso orientamento,
allorquando i regolamenti edilizi comunali stabiliscano una
distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella
prevista dal codice civile, detta prescrizione deve
intendersi
comprensiva di un implicito riferimento al confine, dal
quale chi
costruisce per primo deve osservare una distanza non
inferiore alla
metà di quella prescritta, con conseguente esclusione della
possibilità di costruire sul confine e, quindi,
dell'operatività del
cosiddetto criterio della prevenzione (Cass. 22.02.2007 n.
4199;
Cass. 19.07.2006 n. 16574; Cass. 01.07.1996 n. 5953; Cass.
28.040.1992 n. 5062; Cass. 10.10.1984 n. 5055; Cass. 29.06.1981 n.
4246).
Ha accennato, inoltre, alla posizione intermedia assunta da
altra pronuncia (Cass. 16.02.1999 n. 1282), la quale, pur
affermando che la prevenzione non opera ove i regolamenti
edilizi
comunali stabiliscano una distanza minima assoluta tra
costruzioni
maggiore di quella prevista dal codice civile -detta
prescrizione
dovendosi intendere comprensiva di un implicito riferimento
al
confine-, precisa che il metodo di misurazione dei distacchi
-metà
della distanza dal confine per ciascun proprietario- non è
incompatibile con la previsione della facoltà di edificare
sul
confine ove lo spazio antistante sia libero fino alla
distanza
prescritta, oppure in aderenza o in appoggio a costruzioni
preesistenti, con conseguente applicabilità del criterio
della prevenzione.
Nell'ordinanza interlocutoria è stata poi richiamata una
risalente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte,
nella
quale è stato affermato che, nel caso di norma regolamentare
che
determini la distanza fra costruzioni non dal confine, ma in
via
assoluta, commisurandola alla maggiore altezza di uno dei
corpi
di fabbrica, rimane esclusa la possibilità di costruire sul
confine e
l'applicabilità del criterio di prevenzione, onde colui che
costruisce per primo deve osservare, rispetto al confine,
una
distanza pari alla metà dell'altezza dell'erigendo
fabbricato (Cass.
Sez. Un. 27.11.1974 n. 3873).
La stessa ordinanza ha segnalato, peraltro, una più recente
pronuncia delle Sezioni Unite, che ha affrontato,
risolvendolo in
senso affermativo, il problema della compatibilità del
principio
codicistico della prevenzione con la disciplina sulle
distanze tra
fabbricati vicini dettata dall'art. 41-quinquies, primo
comma,
lettera c), della legge 17.08.1942 n. 1150 (aggiunto
dall'art. 17
della legge 06.08.1967 n. 765), traendone la conseguenza che,
quando il fabbricato del preveniente si trovi ad una
distanza dal
confine inferiore alla metà del distacco tra fabbricati
prescritto
dalla citata norma speciale, il prevenuto ha, ai sensi
dell'art. 875
cod. civ., la facoltà di chiedere la comunione forzosa del
muro
allo scopo di costruirvi contro (Cass. Sez. Un. 01.08.2002 n.
11489).
2.2) Prima di affrontare la questione rimessa a queste
Sezioni
Unite, occorre rammentare che, nel sistema delineato dagli
artt.
873 ss. cod. civ., il principio della prevenzione comporta
che il
confinante che costruisce per primo viene a condizionare la
scelta
del vicino che voglia a sua volta costruire. Al preveniente,
invero,
è offerta una triplice facoltà, potendo egli edificare sia
rispettando, una distanza dal confine pari alla metà di
quella
imposta dal codice, sia sul confine, sia ad una distanza dal
confine inferiore alla metà di quella prescritta.
A fronte
alla
scelta operata dal preveniente, il vicino che costruisce
successivamente, nel primo caso, deve costruire anch'esso ad
una
distanza dal confine pari alla metà di quella prevista, in
modo da
rispettare il prescritto distacco legale dalla preesistente
costruzione. Nel secondo caso, il prevenuto può chiedere la
comunione forzosa del muro sul confine (art. 874 cod. civ.)
o
realizzare la propria fabbrica in aderenza allo stesso (art.
877,
primo comma, cod. civ.); ove non intenda costruire sul
confine, è
tenuto ad arretrare il suo edificio in misura pari
all'intero
distacco legale. Nella terza ipotesi considerata, il
prevenuto può
chiedere la comunione forzosa del muro e avanzare la propria
fabbrica fino ad esso, occupando lo spazio intermedio, dopo
avere
interpellato il proprietario se preferisca estendere il muro
a
confine o procedere alla sua demolizione (art. 875 cod.
civ.); in
alternativa, può costruire in aderenza (art. 877, secondo
comma, cod. civ.) o rispettando il distacco legale dalla
costruzione del
preveniente.
Così sinteticamente riassunto il meccanismo della
prevenzione,
va precisato che esula dal quesito posto nell'ordinanza
interlocutoria l'ipotesi dei regolamenti locali che, pur
imponendo
una distanza assoluta tra fabbricati, prevedano
espressamente la
possibilità di costruire sul confine, ovvero di costruire in
appoggio
o in aderenza. In una simile evenienza, infatti, è la stessa
fonte
regolamentare a sancire direttamente, senza necessità di
alcuno
sforzo interpretativo, l'operatività della regola della
prevenzione
prevista dal codice civile, con le relative implicazioni
riguardo alle
facoltà rispettivamente spettanti al preveniente e al
prevenuto.
La questione rimessa alle Sezioni Unite, inoltre,
si
riferisce
specificamente alla ipotesi dei regolamenti locali che, come
quello in esame, stabiliscano una distanza minima dal
confine in
una misura fissa, non anche a quella dei regolamenti che
prescrivano una distanza minima dal confine non
predeterminata,
ma commisurata all'altezza di una delle costruzioni.
Ipotesi,
quest'ultima, per la quale può farsi riferimento alle
indicazioni
fornite dalle Sezioni Unite nella menzionata pronuncia n.
11489/2002 in relazione all'analoga previsione di cui alla
c.d.
legge ponte, per la quale è stata ritenuta -in mancanza di
dati di
segno contrario emergenti da specifiche disposizioni
regolamentari- l'operatività del principio di prevenzione.
2.3) Così delimitato il campo di indagine, si osserva che i
precedenti favorevoli all'applicabilità del criterio della
prevenzione, citati nell'ordinanza di rimessione, si fondano
essenzialmente sul rilievo della natura integrativa dei
regolamenti
edilizi con riferimento alle previsioni codicistiche in
materia di
distanze, che comprendono il criterio della prevenzione.
In questo senso, in particolare, le sentenze 07.06.1988 n.
3859 e
16.05.1991 n. 5474 affermano che "le norme dei regolamenti
comunali edilizi che fissano le distanze nelle costruzioni
in
misura diversa da quelle stabilite dal codice civile sono,
per
l'espresso disposto dell'art. 873 cod. civ., integrative del
codice
medesimo, il quale, rinviando ai regolamenti locali per
tutto ciò
che concerne le distanze nelle costruzioni, comprende tutta
la
disciplina predisposta da quelle fonti. Ne deriva che le
norme dei
regolamenti edilizi che si limitino a stabilire una distanza
nelle
costruzioni superiore a quella del codice civile, senza
prescrivere
tale distanza in rapporto al confine, non implicano il
divieto di
costruire in appoggio o in aderenza, ricorrendone i
presupposti ai
sensi degli artt. 874, 875, 877 cod. civ., e, di
conseguenza, non
incidono sull'esercizio del diritto di prevenzione, la cui
operatività non esige un'espressa previsione ad opera delle
norme
regolamentari".
Dello stesso tenore la sentenza 01.07.1993 n. 6101, nella quale
si
afferma che "le norme dei regolamenti comunali che fissano
le distanze nelle costruzioni in misura diversa da quelle
stabilite dal
codice civile.., hanno natura di norme integrative dell'art.
873
cod. civ. e con esse trova, perciò, applicazione anche il
regime del
codice civile in tema di distanze nelle costruzioni in fondi
finitimi, fra cui quello della prevenzione, che vieta al
costruttore
prevenuto il quale non possa o non voglia costruire in
appoggio o
in aderenza, di creare un distacco minore di quello
corrispondente
all'altezza che ha il suo edificio sul lato fronteggiante il
fondo del
vicino".
Le successive pronunce citate nell'ordinanza interlocutoria
si
rifanno sostanzialmente ai medesimi argomenti.
Così, la sentenza del 05.12.2007 n. 25401 si limita ad
osservare
che "costituisce principio di diritto ormai consolidato in
giurisprudenza di legittimità che il diritto del
proprietario
confinante di costruire in aderenza al confine non sussiste
quando i
regolamenti locali fissano solo la distanza minima delle
costruzioni
dal confine, ritenendosi in questo caso che l'obbligo di
arretrare la
costruzione è assoluto, come lo è il corrispondente divieto
di
costruire sul confine. Nel caso, invece, che il regolamento
edilizio
fissi solo la distanza fra le costruzioni, in assenza di
qualunque
indicazione circa il distacco delle costruzioni dal confine,
il
principio della prevenzione deve ritenersi in vigore perché
la sua
operatività non è ostacolata da alcun divieto di costruire
in
aderenza o sul confine".
Analoghe considerazioni vengono svolte nella sentenza 20.04.2005 n. 8283.
Non appaiono, invece, particolarmente significative ai fini
della soluzione della questione che qui rileva le due
ulteriori —e
più risalenti- pronunce citate nell'ordinanza interlocutoria
(Cass.
20.11.1987 n. 8543 e Cass. 24.06.983 n. 4352), le quali si
riferiscono a regolamenti comunali che prevedevano
espressamente
la possibilità di edificare in aderenza, rendendo per ciò
solo salvo
il criterio della prevenzione.
L'opzione interpretativa in esame trova un autorevole
conforto
nella citata decisione a Sezioni Unite n. 11489 del 2002,
nella cui
motivazione è stata richiamata e ritenuta condivisibile la
"consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte in sede
di
applicazione dei regolamenti locali che non prescrivono
distanze
dei fabbricati dai confini, limitandosi a stabilire
distacchi tra i
fabbricati"; giurisprudenza che, secondo le Sezioni Unite,
ha
"correttamente" ritenuto che "solo in presenza di una norma
regolamentare che prescriva una distanza tra fabbricati con
riguardo al confine si ponga l'esigenza di un'equa
ripartizione tra
proprietari confinanti dell'onere di salvaguardare una zona
di
distacco tra le costruzioni, con la conseguenza che, in
assenza di
una siffatta prescrizione, deve trovare applicazione il
principio
della prevenzione, con la conseguente possibilità, per il
prevenuto,
di costruire in aderenza alla fabbrica costruita per prima,
se questa sia stata posta sul confine od a distanza
inferiore alla metà del
prescritto distacco tra fabbricati".
2.4) Le pronunce menzionate nell'ordinanza di rimessione a
sostegno della tesi contraria all'operatività del criterio
della
prevenzione fanno perno essenzialmente sul rilievo secondo
cui
l'assolutezza del distacco previsto dai regolamenti locali
non può
ripercuotersi in danno di uno solo dei confinanti, ma va
equamente ripartita tra le parti interessate.
In tal senso, si legge nella sentenza 22.02.2007 n. 4199 che,
"quando i regolamenti edilizi prevedano una distanza minima
assoluta tra costruzioni maggiore di quella prescritta dal
codice
civile senza un riferimento esplicito al confine . la
prevista
assolutezza della distanza, rapportata ad un'equa
ripartizione del
relativo onere, è da ritenersi comprensiva di un implicito
riferimento al confine, dal quale chi costruisce per primo
deve
osservare una distanza non inferiore alla metà di quella
prescritta,
con conseguente esclusione della possibilità di costruire
sul
confine e, quindi, della operatività del principio della
prevenzione".
Dello stesso tenore appaiono le sentenze 29..06.1981 n. 4246 e
10.10.1984 n. 5055.
Non offrono, invece, particolari spunti le ulteriori
pronunce
menzionate.
La sentenza 28.04.1992 n. 5062 muove, infatti, dall'analisi
della
disciplina regolamentare applicabile in concreto, ove era
prescritta una distanza minima assoluta fra edifici, con la
possibilità, peraltro, di costruire in aderenza per una
certa
categoria di costruzioni; dal che la Corte, con un'opzione
ermeneutica circoscritta allo specifico regolamento
edilizio, ha
desunto che nella generalità dei casi fosse stabilita
un'implicita
distanza dal confine in misura pari alla metà di quella fra
edifici.
La sentenza 19.07.2006 n. 16574 si riferisce, poi, ad un
regolamento locale che, seppure stabilendola in rapporto
all'altezza degli edifici, prescriveva una distanza minima
delle
costruzioni dal confine.
L'ultima decisione menzionata (01.07.1996 n. 5953), a ben
vedere, si presta ad una interpretazione contraria
all'orientamento
qui preso in considerazione: in motivazione, infatti, si
afferma
l'operatività del criterio della prevenzione nel caso in cui
i
regolamenti locali impongano unicamente una distanza minima
fra
gli edifici, a meno che l'interpretazione della norma
regolamentare non porti ad escludere la facoltà di costruire
in
aderenza.
2.5) Le Sezioni Unite ritengono che il contrasto debba
essere
composto privilegiando l'interpretazione favorevole
all'operatività, nella ipotesi considerata, del criterio
della
prevenzione, non apparendo convincenti le ragioni che nella
elaborazione giurisprudenziale e dottrinale sono state
addotte a
sostegno dell'opposta tesi.
2.6) Un argomento sovente utilizzato ai fini dell'esclusione
del
criterio della prevenzione poggia sul dato letterale delle
disposizioni regolamentari che prescrivono un determinato
distacco
minimo "assoluto" tra costruzioni, per desumerne, anche in
considerazione dell'esigenza di assicurare un'equa
ripartizione del
relativo onere tra le parti, il carattere "inderogabile" di
tale
distacco.
Più in generale, a sostegno dell'orientamento contrario alla
operatività del criterio di prevenzione, sono state svolte
considerazione attinenti alla natura stessa del relativo
meccanismo, che si porrebbe in contrasto con la funzione
propria
della disciplina dei distacchi tra edifici, volta ad
assicurare un
equo contemperamento degli interessi e dei sacrifici dei
proprietari dei fondi confinanti.
E' in tale prospettiva che
si è
formato l'orientamento giurisprudenziale che ha ravvisato
nei
regolamenti locali che impongono un distacco assoluto tra
costruzioni un implicito riferimento al confine e, quindi,
l'obbligo
per ciascuna parte di rispettare una distanza minima dal
confine
pari alla metà di quella complessiva prescritta per i
distacchi tra
edifici. Solo in tal modo, infatti, secondo i fautori della
tesi
esposta, potrebbe essere soddisfatta l'esigenza di evitare
eccessivi
sacrifici a carico di colui che costruisca per secondo;
obiettivo che verrebbe frustrato in caso di applicazione del
principio di
prevenzione, di per sé incompatibile con un'equa
ripartizione tra
le parti dell'onere imposto dalla previsione del distacco.
In dottrina, poi, alcuni autori hanno rimarcato il carattere
di
"specialità" della disciplina dettata dai regolamenti
edilizi
rispetto a quella codicistica, per ravvisare in tale
normativa una
deroga non solo al dato numerico della distanza, ma
all'intero
sistema dei rapporti tra proprietari limitrofi delineato dal
codice
civile.
Un ulteriore argomento invocato a sostegno della
inoperatività
del criterio della prevenzione è quello che si fonda sul
rilievo
della natura pubblicistica dei regolamenti locali, connessa
al fatto
che essi concorrerebbero a comporre la complessiva
disciplina
urbanistica; a detta natura conseguirebbe la non
praticabilità della
disciplina codicistica della prevenzione, tipicamente
destinata a
regolare i rapporti tra privati.
In tale ottica si pone la
già citata
pronunzia delle Sezioni Unite n. 3873/1974, che ha osservato
come l'intento insito nella norma regolamentare sia quello
"di
garantire in ogni caso un ampio spazio tra gli edifici onde
soddisfare interessi di ordine generale, come quelli
igienici, di
quiete pubblica e di estetica edilizia.., intento, questo,
che
rimarrebbe ovviamente frustrato se, nel contempo, venissero
consentite costruzioni sul confine e fosse quindi permessa,
da
parte del vicino, la costruzione in aderenza".
2.7) Gli argomenti sopra richiamati, ad avviso delle Sezioni
Unite, non costituiscono un ostacolo all'affermazione
dell'operatività in materia dell'istituto codicistico della
prevenzione, apparendo agevolmente confutabili.
E invero, al criterio di interpretazione letterale, che si
fonda
sulla pretesa assimilazione degli attributi "assoluto" e
"inderogabile", può opporsi, in conformità di un'autorevole
opinione dottrinale, come la normativa edilizia contempli
effettivamente la previsione di distanze "inderogabili",
come tali
destinate a non tollerare in alcun caso la possibilità di
costruire
sul confine o in aderenza. Al di fuori di tali ipotesi,
tuttavia, in
presenza di una norma regolamentare che si limiti a
prevedere un
distacco "assoluto" tra costruzioni, non sembra possibile
escludere in radice la possibilità di edificare sul confine
o a
distanza dal confine inferiore alla metà di quella legale,
ferma
restando la necessità, nel caso in cui non vengano
realizzate
costruzioni in appoggio o in aderenza, di rispettare la
distanza
minima prescritta dal regolamento locale.
Quanto all'ostacolo derivante dalla necessità di assicurare
un'equa ripartizione dell'onere tra i proprietari
confinanti, è
facile obiettare che un equo contemperamento degli interessi
delle
parti è garantito dalla possibilità, offerta al prevenuto,
di chiedere
la comunione forzosa del muro o di costruire in aderenza
alla
fabbrica eretta dal preveniente sul confine o a distanza
dallo stesso inferiore alla metà del distacco fissato dalla
norma
regolamentare. Il meccanismo della prevenzione, come
congegnato dal codice civile, pertanto, consente di regolare
armonicamente il rapporto di successione temporale tra le
costruzioni che sorgono su fondi contigui, senza assicurare
posizioni di vantaggio a colui che costruisce per primo in
danno
di colui che costruisce per secondo: alle facoltà
riconosciute al
preveniente, infatti, fanno da contrappeso quelle attribuite
al
prevenuto, alle quali il primo non può opporsi.
All'argomento basato sul carattere di "specialità" dei
regolamenti edilizi, poi, può replicarsi che detti
regolamenti,
proprio in ragione di tale specialità, sono di stretta
interpretazione; con la conseguenza che, allorché essi si
limitino
ad imporre un distacco minimo tra costruzioni, senza
prescrivere
espressamente altresì una distanza minima dal confine, non
pare
lecito cogliere negli stessi una deroga al criterio della
prevenzione sancito in via generale dal codice civile. I
regolamenti locali, infatti, in virtù del rinvio previsto
nell'art.
873 c.c., hanno portata integrativa delle prescrizioni del
codice
civile in tema di distanze tra costruzioni su fondi
finitimi; sicché
ad essi, salva espressa previsione contraria, deve ritenersi
applicabile l'intera disciplina codicistica dettata in
materia,
compreso il meccanismo della prevenzione.
La tesi che ravvisa la ragione della incompatibilità del
principio della prevenzione con la disciplina
extracodicistica delle
distanze nella natura "pubblicistica" di tale normativa,
infine, è
stata già considerata insostenibile da queste Sezioni Unite
nella
sentenza n. 11489/2002, nella quale è stato rilevato che è
"evidente la componente pubblicistica, accanto a quella
privatistica, di tutta la disciplina, anche codicistica,
sulle
distanze, volta, com'è noto, ad armonizzare la disciplina
dei
rapporti intersoggettivi di vicinato con l'interesse
pubblico ad un
ordinato assetto urbanistico" .
Una simile componente pubblicistica, pertanto, così come non
ha impedito la previsione nel codice civile della regola
della
prevenzione, allo stesso modo non può costituire un serio
ostacolo
all'estensione della relativa disciplina alla materia
regolata dai
regolamenti locali.
Né potrebbe sostenersi la natura esclusivamente
pubblicistica
della normativa extracodicistica in materia di distanze, ove
solo si
tenga conto della natura tipicamente privatistica della
sanzione
prevista in caso di violazione delle relative disposizioni,
costituita dal rimedio della riduzione in pristino, rimesso
all'iniziativa del vicino, il quale potrebbe anche non farvi
ricorso.
Ove, poi, si consideri che la ratio delle norme sulle
distanze
minime tra costruzioni è, secondo l'opinione dominante,
quella di
evitare il pregiudizio che potrebbe derivare agli edifici
dalla
creazioni di intercapedini troppo ristrette, appare evidente
che una simile finalità non viene frustrata dalla previsione
della facoltà di
costruire in aderenza o in appoggio, escludendosi in tal
modo la
possibilità stessa della formazione di intercapedini
pericolose tra i
due fabbricati.
2.8) In definitiva, nessuna delle ragioni preclusive
evidenziate
in giurisprudenza e in dottrina osta all'applicabilità del
principio
codicistico della prevenzione nell'ipotesi in cui un
regolamento
locale si limiti a stabilire un distacco minimo tra le
costruzioni
maggiore rispetto a quello contemplato dall'art. 873 del
codice
civile, senza prescrivere altresì una distanza minima delle
costruzioni dal confine o vietare espressamente la
costruzione in
appoggio o in aderenza.
Orbene, se le norme regolamentari, così come in concreto
strutturate, postulano solo l'esigenza del rispetto di una
distanza
minima tra fabbricati, non vi è alcun valido motivo per
negare a
colui che costruisca per primo la possibilità di avvalersi
delle
facoltà connesse al principio di prevenzione in base alla
disciplina
codicistica.
Le norme dei regolamenti edilizi che fissano le distanze tra
le
costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal codice
civile,
infatti, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 873 cod.
civ., hanno
portata integrativa delle disposizioni dettate in materia
dal codice
civile; e tale portata non si esaurisce nella sola deroga
alle
distanze minime previste dal codice, ma si estende
all'intero impianto di regole e principi dallo stesso
dettato per disciplinare
la materia, compreso il meccanismo della prevenzione, che i
regolamenti locali possono eventualmente escludere,
prescrivendo
una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando
espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in
aderenza.
Ne discende che un regolamento locale che si limiti a
stabilire una
distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal
codice
civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni
dal
confine, non incide sul principio della prevenzione, come
disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al
preveniente la possibilità di costruire sul confine o a
distanza dal
confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le
costruzioni,
ne al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in
appoggio
o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli
artt. 874,
875 e 877 cod. civ.
2.9) Alla luce degli esposti principi, nella specie,
contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, deve
ritenersi
l'operatività della regola della prevenzione, non risultando
che il
regolamento edilizio del Comune di Ottaviano, che impone un
distacco tra costruzioni di metri otto, preveda altresì una
distanza
minima delle costruzioni dal confine.
I primi due motivi di ricorso, di conseguenza, devono essere
disattesi. |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Spallino,
Distanze in edilizia - REPERTORIO DI GIURISPRUDENZA (digesto
giurisprudenziale in materia di regime delle distanze in
edilizia, con particolare attenzione alla applicazione del
d.m. 1444/1968, art. 9) (20.03.2016 -
tratto da www.studiospallino.it
cliccando qui). |
EDILIZIA PRIVATA: In
generale, rientra nel concetto di costruzione ogni
manufatto, di qualunque materiale esso sia costituito, che
emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo o
non sia completamente interrato e che, pur difettando di una
propria individualità, per struttura, solidità, compattezza,
consistenza e sporgenza dal terreno, sia idoneo a creare
quelle intercapedini dannose, in quanto impediscono il
passaggio di aria e luce, che la legge, stabilendo la
distanza minima fra le costruzioni, intende evitare.
Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, appare
coerente con le finalità di pubblico interesse l’esclusione
dalla disciplina delle distanza dei manufatti non più alti
di un metro in quanto, appunto, configurano entità
trascurabili rispetto all'interesse tutelato dalla norma
considerato nel suo triplice aspetto della tutela della
sicurezza, della salubrità e dell'igiene.
---------------
L’argomento della ricorrente, che attiene invero più
all’interpretazione giurisprudenziale della normativa
vigente che a concreti profili di illegittimità delle norme
genericamente richiamate, non trova peraltro riscontro nel
testo del R.E.
L’art. 11, comma 2, in materia di “distanze minime dei
fabbricati dai confini di proprietà”, stabilisce infatti che
“La distanza dei fabbricati dai confini di proprietà viene
determinata quale distanza minima tra il fabbricato in
qualsiasi punto, anche se aggettante, ed il confine”.
L’art. 12, comma 1°, dello stesso R.E., in materia di
“Distanze minime tra edifici” precisa che con tale
definizione si intende “…la distanza minima fra le
proiezioni verticali dei fabbricati, misurata nei punti di
massima sporgenza ad esclusione degli aggetti praticabili e
non praticabili compresi entro m. 1,20. I distacchi variano
da zona a zona ma è fissato un minimo assoluto”.
Il 2° comma dello stesso articolo precisa che “E’ prescritta
in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra
pareti finestrate e tra pareti di edifici antistanti”.
Alla luce dei ricordati testi normativi non è dato
comprendere sotto quale aspetto la previsione comunale si
ponga in concreto ed effettivo contrasto con i parametri
normativi richiamati.
Del pari privo di pregio è il rilievo che sarebbe
illegittima la disposizione impugnata nella parte in cui
prevede che “Fanno eccezione alla distanza minima così
definita i manufatti di qualsiasi genere, compresi gli
interrati e i seminterrati, non più alti in ogni punto di
1,00 metro dalla quota del piano stradale o del piano di
campagna allo stato naturale se più sfavorevole”.
Ed invero la pacifica giurisprudenza è concorde nel ritenere
che ratio della disposizione in oggetto sia quella di
impedire che tra costruzioni vicine si creino intercapedini
che, per la loro esiguità, abbiano a risultare pericolose
(sotto il profilo dell’insalubrità nonché dell’ordine
pubblico).
In generale, rientra nel concetto di costruzione ogni
manufatto, di qualunque materiale esso sia costituito, che
emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo o
non sia completamente interrato e che, pur difettando di una
propria individualità, per struttura, solidità, compattezza,
consistenza e sporgenza dal terreno, sia idoneo a creare
quelle intercapedini dannose, in quanto impediscono il
passaggio di aria e luce, che la legge, stabilendo la
distanza minima fra le costruzioni, intende evitare.
Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, appare
coerente con le finalità di pubblico interesse l’esclusione
dalla disciplina delle distanza dei manufatti non più alti
di un metro in quanto, appunto, configurano entità
trascurabili rispetto all'interesse tutelato dalla norma
considerato nel suo triplice aspetto della tutela della
sicurezza, della salubrità e dell'igiene
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 03.02.2016 n. 98 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Quando gli strumenti urbanistici stabiliscano
determinate distanze dal confine ma prevedano anche la
possibilità di costruire "in aderenza" od "in appoggio", si
versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata
dagli artt. 873 e ss. cod. civ., con la conseguenza si
applica il criterio della prevenzione, in forza del quale
che è consentito al preveniente costruire sul confine,
ponendo così il vicino —che intenda a sua volta edificare—
nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di
costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni
previste dagli artt. 875 e 877, secondo comma, cod. civ.),
ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la
maggiore intera distanza imposta dallo strumento
urbanistico.
---------------
1. — Con l'unico
motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa
applicazione degli artt. 873 cod. civ. e 10 del Piano
regolatore generale e del Regolamento edilizio del Comune di
Tagliacozzo, che prevede la possibilità di costruire in
aderenza sul confine.
Secondo i ricorrenti, la Corte di Appello avrebbe errato a
non tener conto del principio della prevenzione temporale,
sotteso alla norma di cui all'art. 873 cod. proc. civ., per
il quale il preveniente ha facoltà di costruire sul confine.
La censura è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte suprema, dalla
quale non v'è ragione di discostarsi, il
criterio della prevenzione, previsto dagli artt. 873 e 875
cod. civ., è derogato dal regolamento comunale edilizio
allorché questo fissi la distanza non solo tra le
costruzioni, ma anche delle stesse dal confine; salvo che lo
stesso consenta ugualmente le costruzioni in aderenza o in
appoggio, nel qual caso il primo costruttore ha la scelta
tra l'edificare a distanza regolamentare e l'erigere la
propria fabbrica fino ad occupare l'estremo limite del
confine medesimo, ma non anche quella di costruire a
distanza inferiore dal confine, poiché detta prescrizione ha
lo scopo di ripartire tra i proprietari confinanti l'onere
della creazione della zona di distacco
(Sez. 2, Sentenza n. 23693 del 06/11/2014, Rv. 633061);
ciò perché, quando gli strumenti
urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine ma
prevedano la possibilità di costruire "in aderenza"
od "in appoggio", si versa in ipotesi del tutto
analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e ss. cod.
civ., con la conseguenza che è consentito al preveniente
costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua
volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione
del muro e di costruire in aderenza (eventualmente
esercitando le opzioni previste dagli artt. 875 e 877,
secondo comma, cod. civ.), ovvero di arretrare la sua
costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza
imposta dallo strumento urbanistico
(Sez. 2, Sentenza n. 8465 del 09/04/2010, Rv. 612355;
analogamente, Sez. 2, Sentenza n. 13286 del 05/10/2000, Rv.
540788; Sez. 2, Sentenza n. 11899 del 07/08/2002, Rv.
556776).
Nella specie, la Corte di Appello di L'Aquila dà atto —a p.
2 della sentenza impugnata— che lo strumento urbanistico
comunale vigente all'epoca della costruzione consentiva la
possibilità di costruire in aderenza ad un altro fabbricato,
ma ha omesso di applicare il principio della prevenzione,
ritenendo così che la costruzione edificata dal convenuto
sul confine fosse a distanza non legale, nonostante che
mancasse al di là del confine alcuna costruzione e che il
convenuto, pertanto, fosse da qualificarsi preveniente.
2. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio
alla Corte di Appello di L'Aquila in diversa composizione,
che si conformerà al seguente principio di diritto: «Quando
gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze
dal confine ma prevedano anche la possibilità di costruire
"in aderenza" od "in appoggio", si versa in ipotesi del
tutto analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e ss.
cod. civ., con la conseguenza si applica il criterio della
prevenzione, in forza del quale che è consentito al
preveniente costruire sul confine, ponendo così il vicino
—che intenda a sua volta edificare— nell'alternativa di
chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza
(eventualmente esercitando le opzioni previste dagli artt.
875 e 877, secondo comma, cod. civ.), ovvero di arretrare la
sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera
distanza imposta dallo strumento urbanistico»
(Corte di Cassazione,
Sez. II civile,
sentenza 11.12.2015 n. 25032). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze tra costruzioni, la Cassazione sui fondi con
dislivelli.
In caso di modifica al piano di campagna, l’altezza del muro
di confine va misurata computandovi il terrapieno creato
artificialmente.
In tema di muri di cinta tra fondi a
dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di
campagna -originariamente livellato sul confine tra due
fondi- sia stato artificialmente modificato mediante la
realizzazione di un innalzamento del piano di campagna
stessa, al fine di verificare se sia rispettata l'altezza
massima del muro di cinta che sia stato costruito sul
confine, l'altezza va misurata computandovi il terrapieno
creato ex novo dall'opera dell'uomo, e quindi tenendo conto
dell'originario posizionamento del terreno prima
dell'innalzamento.
---------------
2. - Con il secondo motivo (erronea applicazione di norme di
legge; erronea e contraddittoria motivazione; erronea
valutazione di un elemento essenziale attinente alle
risultanze istruttorie) ci si duole che la Corte d'appello
abbia ritenuto illegittima l'altezza del muro di recinzione
perché, pur realizzato all'altezza prevista dalla norma
all'epoca in vigore, questa sarebbe stata calcolata rispetto
alla nuova situazione di fatto derivante dalla mutazione del
piano di campagna.
Il motivo si conclude con il quesito "se dall'esecuzione
di opere di livellamento dà fondi limitrofi, con alterazione
degli originari piani di campagna, derivi il conseguente
obbligo di limitare l'altezza dei muri di confini in
relazione al dislivello raggiunto dai fondi a seguito del
mutamento del piano di campagna".
2.1. - Il motivo è infondato.
In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora
l'andamento altimetrico del piano di campagna
-originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia
stato artificialmente modificato mediante la realizzazione
di un innalzamento del piano di campagna stessa, al fine di
verificare se sia rispettata l'altezza massima del muro di
cinta che sia stato costruito sul confine, l'altezza va
misurata computandovi il terrapieno creato ex novo
dall'opera dell'uomo, e quindi tenendo conto dell'originario
posizionamento del terreno prima dell'innalzamento (cfr.
Cass., Sez. Il, 24.06.2003, n. 9998; Cass., Sez. Il,
04.06.2010, n. 13628) (Corte di Cassazione, Sez. II, civile,
sentenza 24.11.2015 n. 23934). |
EDILIZIA PRIVATA:
È ius receptum che le controversie tra
proprietari di fabbricati vicini relative all'osservanza di
norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto
ai confini appartengono alla giurisdizione del giudice
ordinario, senza che rilevi l'avvenuto rilascio del titolo
abilitativo all'attività costruttiva, la cui legittimità può
essere valutata "incidenter tantum" dal giudice ordinario
attraverso l'esercizio del potere di disapplicazione del
provvedimento amministrativo.
Inoltre ogni concessione edilizia è
rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi.
Il ruolo del giudice amministrativo,
investito della domanda di annullamento della licenza,
concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza
dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di
legittimità dell'esercizio del potere da parte della P.A.
ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico
relativo al rapporto fra il privato e la P.A.,
ma non può impedire l'esercizio della azione
civilistica intrapresa dal vicino per far rispettare la
normativa in tema di distanze, che siano queste previste dal
codice civile o dagli strumenti urbanistici.
Per il differente ordine in cui le
azioni si muovono, essa non è subordinata all'annullamento
dell'atto concessorio.
---------------
4) Il secondo
motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.
873 sotto altro profilo.
Parte ricorrente espone che essa aveva ottenuto concessione
edilizia per la realizzazione dell'ampliamento della
preesistente veranda e che il terzo aveva l'onere di
impugnare davanti al giudice amministrativo la concessione
edilizia, senza potere altrimenti invocare tutela volta a
disapplicare l'atto concessorio.
La doglianza è manifestamente infondata.
È ius receptum che le controversie
tra proprietari di fabbricati vicini relative all'osservanza
di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o
rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del
giudice ordinario, senza che rilevi l'avvenuto rilascio del
titolo abilitativo all'attività costruttiva, la cui
legittimità può essere valutata "incidenter tantum"
dal giudice ordinario attraverso l'esercizio del potere di
disapplicazione del provvedimento amministrativo
(SU 13673/2014).
Inoltre ogni concessione edilizia è
rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi
(Cass. 19650/2013; 11404/1998).
Il ruolo del giudice amministrativo,
investito della domanda di annullamento della licenza,
concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza
dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di
legittimità dell'esercizio del potere da parte della P.A.
ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico
relativo al rapporto fra il privato e la P.A.
(Cass. 9869/2015), ma non può impedire
l'esercizio della azione civilistica intrapresa dal vicino
per far rispettare la normativa in tema di distanze, che
siano queste previste dal codice civile o dagli strumenti
urbanistici.
Per il differente ordine in cui le azioni
si muovono, essa non è subordinata all'annullamento
dell'atto concessorio
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 19.10.2015 n. 21119). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio richiama il consolidato orientamento
giurisprudenziale ai sensi del quale le norme degli
strumenti urbanistici locali che impongono di mantenere le
distanze fra fabbricati o di questi dai confini non sono
derogabili, perché dirette, più che alla tutela di interessi
privati, a quella di interessi generali e pubblici in
materia urbanistica.
Le norme sulle distanze di cui all’art. 873 e ss c.c. sono,
invece, dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei
singoli e mirano unicamente ad evitare la creazione di
intercapedini antigieniche e pericolose. Esse, in quanto
tali, sono suscettibili di deroga mediante convenzione tra
privati.
---------------
L’art. 879 c.c., nel disporre che “alle costruzioni che si
fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si
applicano le norme relative alle distanze, ma devono
osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano” va
inteso nel senso che, in presenza di una strada pubblica,
non si fa tanto questione di tutelare un diritto soggettivo
privato (tutelato dalla normativa codicistica sulle
distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di perseguire il
preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo
urbanistico intorno alla strade ed alle piazze, ordinato
sviluppo che trova la sua disciplina esclusivamente nelle
leggi e regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali vanno
annoverate le NTA del PRG del Comune, oltre al D.M.
1444/1968.
La giurisprudenza, nel ribadire la natura di norma primaria
imperativa dell’art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444 (Limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza
fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati
agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici
o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a
parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi
strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti,
ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967), ne ha
sancito la prevalenza anche rispetto ad eventuali
disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di
attuazione che, per questo, “vengono caducate ed
automaticamente sostituite dalla anzidetta disposizione”.
Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente chiarire, da un lato, che le
ricorrenti contestano l’applicazione dell’art. 46 NTA del
PRG e delle previsioni di al D.M. 1444/1968, dall’altro, che
la disposizione del D.M. 1444/1968 che trova indubbia
applicazione è quella di cui al secondo comma dell’art. 9,
che reca una disciplina specifica delle distanze tra edifici
per il caso in cui tra i fabbricati siano interposte strade
destinate al traffico dei veicoli.
Poste tali premesse, è possibile procedere con l’esame delle
singole censure.
Con riferimento alla pretesa applicazione della deroga di
cui all’art. 879 cc., il Collegio richiama, condividendolo,
il consolidato orientamento giurisprudenziale, ai sensi del
quale, le norme degli strumenti urbanistici locali, che
impongono di mantenere le distanze fra fabbricati o di
questi dai confini non sono derogabili, perché dirette, più
che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi
generali e pubblici in materia urbanistica (v. in tal senso,
ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza
30.06.2010 n. 4181, Cass. Civ., Sez. II, 31.05.2006, n.
12966).
Le norme sulle distanze di cui all’art. 873 e ss c.c. sono,
invece, dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei
singoli e mirano unicamente ad evitare la creazione di
intercapedini antigieniche e pericolose. Esse, in quanto
tali, sono suscettibili di deroga mediante convenzione tra
privati.
Il fatto che gli edifici progettati confinano con vie
pubbliche è pacifico e non contestato dalle ricorrenti, che
anzi richiamano tale circostanza proprio al fine di
rivendicare l’applicazione della previsione di cui all’art.
879 c.c..
Il diniego opposto all’istanza rileva distanze irregolari
dalla viabilità di Via Marconi e Via Cortese.
In realtà, se ciò può valere ad escludere il rispetto delle
distanze codicistiche (artt. 873, 878 e 879, comma secondo,
codice civile), non può arrivare a far superare l’obbligo di
rispetto delle distanze imposte da leggi e da regolamenti
urbanistici (cfr. Cass. Civile II, 16.04.2007 n. 9077).
L’art. 879 c.c., nel disporre che “alle costruzioni che
si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si
applicano le norme relative alle distanze, ma devono
osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”
va inteso nel senso che, in presenza di una strada pubblica,
non si fa tanto questione di tutelare un diritto soggettivo
privato (tutelato dalla normativa codicistica sulle
distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di perseguire il
preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo
urbanistico intorno alla strade ed alle piazze, ordinato
sviluppo che trova la sua disciplina esclusivamente nelle
leggi e regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali vanno
annoverate le NTA del PRG del Comune di Bari, oltre al D.M.
1444/1968 (in tal senso TAR Piemonte, sez. I, sent. 1034 del
13.06.2014, TAR Palermo,sez. III n. 2049, del 17/10/2012).
La giurisprudenza, nel ribadire la natura di norma primaria
imperativa dell’art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444 (Limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza
fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati
agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici
o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a
parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi
strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti,
ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967), ne ha
sancito la prevalenza anche rispetto ad eventuali
disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di
attuazione che, per questo, “vengono caducate ed
automaticamente sostituite dalla anzidetta disposizione”
(Così Cons. Stato, Sez. IV, sent. 7731 del 02.11.2010).
Nel caso in esame, tuttavia, non si rinvengono contrasti fra
le NTA del PRG del Comune di Bari, in particolare la
disposizione di cui all’art. 46, e l’art. 9 D.M. 1444/1968,
risultando, piuttosto, il ricorso teso ad escludere
l’applicabilità di entrambe le previsioni al progetto
edilizio oggetto di istanza di permesso di costruire.
Né, per le medesime ragioni, assume rilievo la previsione
inserita con il Decreto c.d. “del Fare” (D.L.
21.06.2013 n. 69 convertito, con modificazioni, dalla L.
09.08.2013, n. 98) che ha introdotto all’interno del Testo
Unico dell’Edilizia l’art. 2-bis il quale prevede che “ferma
restando la competenza statale in materia di ordinamento
civile con riferimento al diritto di proprietà e alle
connesse norme del codice civile e alle disposizioni
integrative, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e
regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del
Ministro dei lavori pubblici 02.04.1968, n. 1444, e possono
dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli
insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli
riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi,
nell'ambito della definizione o revisione di strumenti
urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e
unitario o di specifiche aree territoriali”.
Le ricorrenti, infatti, come già evidenziato, rivendicano
l’applicazione della deroga di cui all’art. 879 c.c. e, più
specificamente, delle deroghe alla disciplina delle
distanze, non rinvenibili nel caso in esame, avendo il
Comune resistente inteso, piuttosto, applicare l’art. 46 NTA
del PRG, in senso conforme alle previsioni di cui all’art. 9
del D.M. 1444/1968
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 14.05.2015 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’esenzione dal rispetto delle distanze fra costruzioni di
cui all'art. 878 cod.civ. si applica anche ai muri di cinta
quando l'altezza sia superiore a tre metri.
L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni,
prevista dall'art. 878 c.c., si applica sia ai muri di
cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una
determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre
metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di
entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti
che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano
comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente
la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e
di recingere il fondo.
Per "costruzione", dunque, si intende qualsiasi manufatto
dotato di stabilità, solidità ed immobilizzazione al suolo
che abbia caratteristiche comunque tali da non poter
rientrare nella qualifica di "muro di conta". Questi ultimi
infatti sono connotati dall'avere una altezza massima di tre
metri da misurarsi dal piano di campagna, altezza che, nella
fattispecie, risultava superata
(massima tratta da www.e-glossa.it).
---------------
1.- Il primo motivo, lamentando violazione degli artt. 873 e
878 cod. civ., censura la decisione gravata che,
nell'escludere la natura di costruzione del muro realizzato
nella proprietà della ricorrente, non aveva tenuto conto che
si trattava di un muro di altezza superiore ai tre metri e
Che, come tale, non poteva qualificarsi come muro di cinta,
che non viene considerato al fine dell'osservanza delle
distanze legali.
2.- Il secondo motivo, lamentando violazione degli artt. 873
e 934 cod. civ., deduce che, una volta accertato che il
muro-costruzione era di proprietà della convenuta, perché
edificato all'interno della sua proprietà, non avrebbero
potuto trovare applicazione le norme sulle distanze legali
in relazione a un opera -la tettoia- che era stata
realizzata all'interno di costruzione preesistente.
3. - Il terzo motivo, lamentando violazione degli artt. 115,
2729 e 950 cod. civ., censura la sentenza impugnata laddove
avrebbe ritenuto che il muro de quo non sarebbe all'interno
della proprietà di essa ricorrente, facendo riferimento alle
mappe catastali, senza peraltro esaminarle in relazione agli
altri elementi probatori e in particolare quanto emerso
dalla descrizione compiuta dal consulente tecnico.
4.- Il quarto motivo denuncia sotto il profilo del vizio di
omessa o insufficiente motivazione le doglianze formulate
con il terzo motivo.
5.- I motivi -che, per la stretta connessione, possono
essere esaminati congiuntamente- sono infondati.
La sentenza, nel verificare l'inosservanza delle distanze
dal confine prescritte dallo strumento urbanistico locale
della tettoia edificata dalla convenuta, ha respinto la tesi
dell'appellante secondo cui la tettoia non sarebbe soggetta
al rispetto del distacco, in quanto collocata all'interno
del muro-costruzione di proprietà della stessa convenuta; al
riguardo i Giudici hanno escluso:
a) innanzitutto che fosse stata fornita la prova che detto
muro ricadesse all'interno della proprietà attorea;
b) in ogni caso, anche ove si fosse accolta tale tesi, che
lo stesso potesse essere considerato costruzione, dovendo
piuttosto qualificarsi come muro di cinta, attesa la
funzione di delimitazione dei fondi; pertanto, il manufatto
edificato all'interno avrebbe dovuto rispettare la distanza
dal confine.
Orbene, la decisione è corretta, posto che
un muro può essere qualificato come muro di cinta
quando ha determinate caratteristiche: destinazione a
recingere una determinata proprietà, altezza non superiore a
tre metri, emergere dal suolo ed avere entrambe le facce
isolate dalle altre costruzioni; in presenza di tali
caratteristiche è applicabile la disciplina prevista
dall'art. 878 cod. civ. e dalle norme di esso integrative,
in ordine all'esenzione dal rispetto delle distanze tra
costruzioni; tuttavia, tale normativa si applica anche nel
caso in cui si abbia un manufatto in tutto o in parte
carente di alcune di esse, purché sia idoneo a delimitare un
fondo e gli possa ugualmente essere riconosciuta la funzione
e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere
il fondo (Cass.
8671/2001; 2940/1992).
Ne consegue che correttamente la sentenza impugnata ha
escluso che il muro de quo potesse essere considerato
costruzione al fine del calcolo delle distanze
(Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza
16.02.2015 n. 3037). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Il criterio della prevenzione, quale si evince
dal combinato disposto degli articoli 873 e 875 c.c., è
derogato dal regolamento comunale edilizio nel caso in cui
questo fissi la distanza non solo tra le costruzioni, ma
anche delle stesse costruzioni dal confine; che siffatta
deroga non opera allorché il regolamento edilizio, pur
imponendo il rispetto di una data distanza altresì dal
confine, consenta anche le costruzioni in aderenza o in
appoggio, con la conseguenza che in tale ipotesi il primo
costruttore ha la scelta tra il costruire alla distanza
regolamentare dal confine e l’erigere la propria fabbrica
fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo; che,
tuttavia, in tal ultima evenienza il preveniente non ha
anche la possibilità di costruire a distanza inferiore dal
confine.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e
falsa applicazione degli articoli 872, 873 e 875 c.c. e del
regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS) emanato
nell’anno 1955.
Adducono che “la circostanza che nella specie il
regolamento edilizio della (OMISSIS) del 1955, dopo la norma
posta dalla Corte genovese a fondamento della sentenza…,
prevedesse che “è permessa la costruzione a muro cieco sul
confine” impone di ricondurre la fattispecie nell’ambito di
applicazione del criterio della prevenzione” (così ricorso,
pag. 8), cosicché “l’attivita’ edilizia degli appellati
(OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe… legittima” (così ricorso,
pag. 8).
Il motivo è destituito di fondamento.
E’ bastevole, da un canto, reiterare gli insegnamenti di
questa Corte (il riferimento è a Cass. 11.08.1990, n. 8222),
alla cui stregua il criterio della prevenzione, quale si
evince dal combinato disposto degli articoli 873 e 875 c.c.,
è derogato dal regolamento comunale edilizio nel caso in cui
questo fissi la distanza non solo tra le costruzioni, ma
anche delle stesse costruzioni dal confine; che siffatta
deroga non opera allorché il regolamento edilizio, pur
imponendo il rispetto di una data distanza altresì dal
confine, consenta anche le costruzioni in aderenza o in
appoggio, con la conseguenza che in tale ipotesi il primo
costruttore ha la scelta tra il costruire alla distanza
regolamentare dal confine e l’erigere la propria fabbrica
fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo; che,
tuttavia, in tal ultima evenienza il preveniente non ha
anche la possibilità di costruire a distanza inferiore dal
confine.
E’ bastevole, dall’altro, evidenziare che i medesimi
ricorrenti riconoscono che il piano regolatore generale del
comune di (OMISSIS) –da applicare al caso di specie–
prefigurava la distanza di m. 4 dal confine ed ancora che è
fuor di discussione, siccome il secondo giudice ha
evidenziato, che “l’ampliamento –per una larghezza di cm.
192 dal filo del preesistente fabbricato– si spinge fino a
cm. 173 dal confine col terreno mappale 1237 degli attori”
(così sentenza d’appello, pag. 5) (Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 15.09.2014 n. 19408 -
link a http://renatodisa.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La Consulta ha statuito che "In
materia di distanze tra fabbricati, sono principi
inderogabili della legislazione statale sul governo del
territorio (ai sensi degli artt. 873 Cod. civ. e 9 D.M.
02.04.1968 n. 1444, applicativo dell'art. 41-quinquies L.
17.08.1942 n. 1150, introdotto dall'art. 17 L. 06.08.1967 n.
765) quelli secondo i quali la distanza minima è determinata
dalla legge statale, in sede locale (entro limiti di
ragionevolezza) si possono solo fissare limiti maggiori e le
deroghe locali devono essere previste in strumenti
urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario
di determinate zone del territorio e non ai rapporti tra
vicini isolatamente considerati. Pertanto, è
incostituzionale, per violazione dei detti principi, l'art.
50, comma 8, lett. c), L. reg. Veneto 23.04.2004 n. 11, che
disciplina le distanze solo in funzione degli interessi
privati, autorizzando il confinante a costruire a distanza
inferiore a quella prescritta, salva la distanza dal
confine, quando un fabbricato finitimo già esistente sia
stato posto, rispetto al medesimo confine, a distanza
inferiore dai limiti in atto vigenti, pur se legittimamente
all'epoca dell'edificazione".
Pertanto, la possibilità di costruire sul confine è
consentita soltanto se vi è la possibilità di costruire in
aderenza rispetto ad un fabbricato già edificato e non
laddove il fabbricato già esistente non sia stato costruito
sul confine, ma discosto da esso, ma dall’esame documentale
si apprezza che i box in questione verrebbero realizzati in
aderenza alla rete metallica che separa le due proprietà.
Al suddetto precetto soggiacciono anche le costruzioni
destinate a ricovero per autovetture, come ha già avuto modo
di chiarire questo Consiglio, precisando che persino: “La
tettoia di dimensioni sufficienti al parcheggio di
un'autovettura, pur avendo pareti laterali a graticcio, va
considerata alla stregua di una costruzione col conseguente
obbligo di osservanza delle distanze legali ai sensi
dell'art. 873 Cod. civ., in quanto essa è idonea a creare
intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla
salubrità del godimento della proprietà”.
Quanto alla lamentata erroneità della sentenza di primo
grado circa la non corretta esegesi della disciplina delle
distanze che avrebbe condotto il TAR all’erroneo
annullamento nei limiti sopra indicati della concessione
edilizia 14.11.1996, n. 43/96 e dell’art. 45.9 del
regolamento edilizio del comune di Rho, non può convenirsi
con le tesi proposte in entrambi i gravami.
Appare, infatti, corretta la ricostruzione giuridica offerta
dal TAR per la Lombardia, che ha rilevato il contrasto
insanabile tra il citato art. 45.9 del regolamento edilizio
e l’art. 873 c.c., la cui portata precettiva è stata
chiaramente indicata da Corte cost., 16.06.2005, n. 232: “In
materia di distanze tra fabbricati, sono principi
inderogabili della legislazione statale sul governo del
territorio (ai sensi degli artt. 873 Cod. civ. e 9 D.M.
02.04.1968 n. 1444, applicativo dell'art. 41-quinquies L.
17.08.1942 n. 1150, introdotto dall'art. 17 L. 06.08.1967 n.
765) quelli secondo i quali la distanza minima è determinata
dalla legge statale, in sede locale (entro limiti di
ragionevolezza) si possono solo fissare limiti maggiori e le
deroghe locali devono essere previste in strumenti
urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario
di determinate zone del territorio e non ai rapporti tra
vicini isolatamente considerati; pertanto, è
incostituzionale, per violazione dei detti principi, l'art.
50, comma 8, lett. c), L. reg. Veneto 23.04.2004 n. 11, che
disciplina le distanze solo in funzione degli interessi
privati, autorizzando il confinante a costruire a distanza
inferiore a quella prescritta, salva la distanza dal
confine, quando un fabbricato finitimo già esistente sia
stato posto, rispetto al medesimo confine, a distanza
inferiore dai limiti in atto vigenti, pur se legittimamente
all'epoca dell'edificazione”.
Pertanto, la possibilità di costruire sul confine è
consentita soltanto se vi è la possibilità di costruire in
aderenza rispetto ad un fabbricato già edificato e non
laddove il fabbricato già esistente non sia stato costruito
sul confine, ma discosto da esso (Cons. St., Sez. V,
27.04.2012, n. 2458; Id., 13.01.2004, n. 46), ma dall’esame
documentale si apprezza che i box in questione verrebbero
realizzati in aderenza alla rete metallica che separa le due
proprietà.
Al suddetto precetto soggiacciono anche le costruzioni
destinate a ricovero per autovetture, come ha già avuto modo
di chiarire questo Consiglio, precisando che persino: “La
tettoia di dimensioni sufficienti al parcheggio di
un'autovettura, pur avendo pareti laterali a graticcio, va
considerata alla stregua di una costruzione col conseguente
obbligo di osservanza delle distanze legali ai sensi
dell'art. 873 Cod. civ., in quanto essa è idonea a creare
intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla
salubrità del godimento della proprietà” (Cons. St.,
Sez. II, 10.11.2004, n. 3523)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.03.2014 n. 1272 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Una
scala esterna scoperta non incide sulla volumetria ma rileva
ai fini della distanza dai confini.
Esclusione dei balconi dal computo delle distanze.
Vero è che il vano scale e in
particolare, a maggior ragione, una rampa di scala scoperta
non incide sulla volumetria, trattandosi, di un volume c.d.
tecnico, ma altre conseguenze può avere la stessa struttura
sul diverso versante della normativa dettata per le distanze
dai confini.
Invero, nel calcolo della distanza minima fra costruzioni
posta dall’art. 873 codice civile o da norme regolamentari
di esso integrative (come nel caso di specie) deve tenersi
conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato come
la scala esterna in muratura anche scoperta, se ed in quanto
presenta connotati di consistenza e stabilità.
A deporre nel senso della computabilità del manufatto in
parola nella misurazione delle distanze dai confini, induce
la non irrilevante considerazione sulle finalità sottese al
rispetto della normativa sui distacchi dal confine e in
generale delle disposizioni, di tipo inderogabile recate dal
D.M. n. 1444 del 1968, volte, com’è noto, ad assicurare le
necessarie condizioni di salubrità sotto il profilo
igienico-sanitarie, mediante l’eliminazione di perniciose
intercapedini.
A fronte, perciò, del contenuto “pubblicistico” della
disciplina all’uopo dettata e del carattere inderogabile
della stessa, deve ritenersi non tollerabile la presenza di
una parte sia pure di modesta entità di un opus edilizio che
va ad insistere in maniera permanente su uno spazio
territoriale che deve libero da qualsiasi ingombro.
---------------
L’esclusione dei balconi dal computo
delle distanze, deve avvenire in ragione di un criterio
interpretativo sottolineato da un preciso orientamento
giurisprudenziale secondo cui il balcone aggettante può
essere ricompreso nel computo della distanza dal confine
solo nel caso in cui una norma di piano lo preveda
espressamente e tale ultima circostanza nella specie non è
rinvenibile, posto che le NTA di Piano del Comune non lo
prevede.
Inoltre, non si rinvengono elementi tali da far ritenere che
la maggiore profondità dei balconi sia idonea ad evidenziare
una sorta di ampliamento della consistenza del fabbricato,
giacché se si versasse in tale ultima ipotesi, sicuramente
le sporgenze andrebbero computate ai fini del rispetto delle
distanze.
Viene poi in rilievo la questione relativa alla lamentata
violazione da parte degli originari ricorrenti di primo
grado della distanza dal confine del lotto costruito, in
relazione ad rampa di scala che aggetterebbe ad una distanza
inferiore ai 5 metri e a dei balconi che pure sopravanzano
il fabbricato
Sul punto le osservazioni del primo giudice in ordine alla
sussistenza del vizio dedotto dai sigg.ri Ciavarella,
Sollazzo e Magaraggia con riferimento alla scala meritano
condivisone mentre si ritiene debbano essere disattesi i
rilievi mossi dallo stesso giudicante a carico dei balconi
L’art. 10 delle NTA prevede un’area di distacco dal confine
pari a 5 mt. e l’art. 6 delle stesse norme tecniche di
attuazione stabilisce che le aree di distacco sono
inedificabili.
Come riferito peraltro dagli stessi appellanti in tale area
di distacco viene a posizionarsi sia pure solo per una parte
una scala che partendo in area coperta dell’edificio dei
sigg.ri Losurdo-Dipede si prolunga, sino ad invadere l’area
inedificabile per circa 40 cm (il dato per il vero non è
pacifico, e oscilla, come pare di capire, tra i 30 e i 50
cm).
Ora, vero è che il vano scale e in particolare, a maggior
ragione, una rampa di scala scoperta non incide sulla
volumetria, trattandosi, di un volume c.d. tecnico (Cons.
Stato Sez. IV 07.07.2008 n. 3381), ma altre conseguenze può
avere la stessa struttura sul diverso versante della
normativa dettata per le distanze dai confini.
Invero, nel calcolo della distanza minima fra costruzioni
posta dall’art. 873 codice civile o da norme regolamentari
di esso integrative (come nel caso di specie) deve tenersi
conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato come
la scala esterna in muratura anche scoperta, se ed in quanto
presenta connotati di consistenza e stabilità (Cassazione
civile Sez. II 30/01/2007 n. 1966; Tar Basilicata 19/09/2013
n. 574).
A deporre nel senso della computabilità del manufatto in
parola nella misurazione delle distanze dai confini, induce
la non irrilevante considerazione sulle finalità sottese al
rispetto della normativa sui distacchi dal confine e in
generale delle disposizioni, di tipo inderogabile recate dal
D.M. n. 1444 del 1968, volte, com’è noto, ad assicurare le
necessarie condizioni di salubrità sotto il profilo
igienico-sanitarie, mediante l’eliminazione di perniciose
intercapedini.
A fronte, perciò, del contenuto “pubblicistico” della
disciplina all’uopo dettata e del carattere inderogabile
della stessa, deve ritenersi non tollerabile la presenza di
una parte sia pure di modesta entità di un opus
edilizio che va ad insistere in maniera permanente su uno
spazio territoriale che deve libero da qualsiasi ingombro.
A diversa conclusione invece si deve pervenire in ordine
alla questione dei balconi, senza che per il vero si possa
accedere alla tesi pure propugnata dagli appellanti
dell’assimilabilità e/o equiparabilità tra la scala scoperta
e i balconi in questione in quanto tra le due “strutture”
vi è diversità di tipologia e di consistenza e,
conseguentemente, diversi sono gli effetti derivanti dalla
loro presenza in ordine al rispetto del parametro edilizio
in discussione
In realtà l’esclusione dei balconi dal computo delle
distanze, nella specie deve avvenire in ragione di un
criterio interpretativo sottolineato da un preciso
orientamento giurisprudenziale secondo cui il balcone
aggettante può essere ricompreso nel computo della distanza
dal confine solo nel caso in cui una norma di piano lo
preveda espressamente e tale ultima circostanza nella specie
non è rinvenibile, posto che le NTA di Piano del Comune di
Cellamare non lo prevede.
Va peraltro pure dato atto che nella vicenda all’esame non
si rinvengono elementi tali da far ritenere che la maggiore
profondità dei balconi sia idonea ad evidenziare una sorta
di ampliamento della consistenza del fabbricato, giacché se
si versasse in tale ultima ipotesi, sicuramente le sporgenze
andrebbero computate ai fini del rispetto delle distanze (
Cons. Stato Sez. IV 17/05/2012 n.2847).
Con colgono nel segno, infine, le critiche formulate da
parte appellante alla statuizione del primo giudice circa la
sussistenza del vizio di violazione delle disposizioni
recate dal D.M. n. 1444/1968 in ordine alla distanza minima
da osservarsi tra pareti finestrate di edifici prospicienti.
Invero, rilevato che la scala costituisce, come già sopra
evidenziato, struttura o corpo aggettante da considerarsi ai
fini del computo della distanza, quest’ultima con
riferimento al parametro edilizio posto dalla norma di cui
all’art. 9 del citato Decreto risulta inferiore ai previsti
10 metri, limite minimo da ritenersi inderogabile, fermo
restando che la disposizione statale in rassegna si rivela
sovraordinata ad altra norma regolamentare locale che fissi
una diversa, minore distanza (ex multis, Cons. Stato
Sez. IV 17/05/2012 n. 2847)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.03.2014 n. 1000 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le norme sulle distante sono applicabili anche
tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano
compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose
comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia
in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la
prevalenza della norma speciale in materia di condominio
determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle
distante che, nel condominio degli edifici e nei rapporti
tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di
subordinazione rispetto alla prima.
Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di
cui all’art. 1102 cod. civ., deve ritenersi legittima
l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme
dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue,
sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio
condominiale.
1.2 Col secondo motivo di ricorso si deduce: “Error in
iudicando; violazione e falsa applicazione dell’art. 873
c.c. e dell’art. 5.9 delle N.T.A. del PRG del Comune di
Teramo; violazione dell’art. 360 n. 3 c.c.”.
La Corte di Appello erronemente ha ritenuto che “il
manufatto, oltre a risultare difforme dalla concessione
edilizia, si pone in contrasto con la disposizione
regolamentare, integrativa del regime codicistico,
prevedente la distanza minima dai confini di m 5,00”. Si
tratta di violazione amministrativa che nessun rilievo ha
nel rapporto tra privati. Inoltre, osserva la ricorrente che
“l’irregolarità dal punto di vista urbanistico non
sussiste dal momento che la V. si è avvalsa della facoltà
concessa dall’art. 12 L. 47/1985 provvedendo al pagamento
della prescritta sanzione pecuniaria come risulta dalla
documentazione prodotta (doc. n. 9 del fascicolo di 1^
grado). V. , la costruzione è stata ritenuta compatibile con
la normativa sismica giusta certificato rilasciato in tal
senso dal servilo del Genio Civile di Teramo”.
E, inoltre, secondo la ricorrente, non configurabile “la
prospettata violazione dettati. 873 e. e. ove si consideri
che il regime normativo tracciato dal codice non prevede
distante dai confini”. L’autorizzazione accordata dai
condomini tutti “risulta espressa nei seguenti termini:
‘l’assemblea, all’unanimità, autorizza in deroga a quanto
stabilito dall’art. 6 del regolamento di condominio la
Sig.ra V.F. a realizzare il vano sull’area che la stessa ha
in uso esclusivo. Detto vano, adiacente l’attuale cucina
avrà una superficie coperta di circa mq. 15 e dovrà essere
realizzata a perfetta regola d’arte in maniera tale da non
creare danni alle strutture condominiali”.
I limiti posti all’attività edilizia della V. erano “circoscritti,
da un lato, alla corretta esecuzione dell’opera e,
dall’altro, al mancato pregiudizio all’edificio condominiale”.
Stante l’intervenuto provvedimento di sanatoria, la
costruzione autorizzata non era vincolata al rispetto di
altri parametri e, in particolare, all’osservanza della
distanza dal confine stradale. “Il condominio D.A. non
poteva, infatti, censurare l’opera realizzata dalla V. per
violazione della distanza minima dai confini di m. 5,00 dal
momento che egli stesso aveva consentito la costruzione del
manufatto a distanza inferiore a quella prescritta dalla
normativa regolamentare integrativa del Codice Civile”.
Viene formulato il seguente quesito: “Dica il Supremo
Collegio se la distanza prescritta per la costruzione dal
confine dalla norma regolamentare (NTA del PRG) possa essere
fatta valere anche a seguito di una autorizzazione accordata
dal condominio alla realizzarne di un manufatto a distanza
non regolamentare”.
...
2.2 Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte
infondato. Si denuncia la violazione dell’art. 873 cod. civ.
e 5.9 delle n.ta. del P.R.G.. Si assume la legittimità
dell’opera perché: 1) autorizzata dal condominio e dallo
stesso condomino D.A.; 2) condonata; 3) rispettosa della
normativa sismica; 4) l’art. 873 cod. civ. non disciplina le
distanze dal confine ma quelle tra fabbricati.
Il motivo propone correttamente la questione relativa al
rispetto delle distanze all’interno di un condominio, in
relazione al condiviso principio di diritto, affermato da
questa Corte anche di recente con la sentenza n. 6546 del
18/03/2010, secondo la quale “Le norme sulle distante
sono applicabili anche tra i condomini di un edificio
condominiale, purché siano compatibili con la disciplina
particolare relativa alle cose comuni, cioè quando
l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le
prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma
speciale in materia di condominio determina
l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distante
che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo
condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione
rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il
rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., deve
ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il
rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra
proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura
dell’edificio condominiale”.
Peraltro il motivo, così come proposto, non supera il
rilievo dell’apparente novità delle questioni sia quanto
all’esistenza di una delibera autorizzativa (di cui il
motivo precedente) e sia quanto all’esplicito consenso dato
dagli originali attori alla realizzazione dell’opera.
Occorre osservare ulteriormente che, in base alla
concessione, la costruzione avrebbe dovuto essere realizzata
completamente interrata e vi è da supporre che la delibera
condominiale fosse in tal senso. Il motivo, quindi, è
carente di specificità quanto al contenuto della delibera
richiamata, risultando poi manifestamente infondata la
questione relativa all’interpretazione dell’art. 873 c.c. (Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 27.02.2014 n. 4741 -
link a http://renatodisa.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
I regolamenti edilizi comunali possono stabilire distanze
tra edifici o dal confine, maggiori (e non minori) da quelle
stabilite dal codice civile.
In tema di distanze legali fra edifici,
mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme
del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale,
di rifinitura od accessoria di limitata entità, come la
mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili,
rientrano nel concetto civilistico di "costruzione" le parti
dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d.
"aggettanti") che, seppure non corrispondono a volumi
abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare
la consistenza del fabbricato.
D'altra parte, agli effetti di cui all'art. 873 cod. civ.,
la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge
statale, deve essere unica e non può essere derogata, sia
pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla
normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella
seconda parte dell'art. 873 cod. civ. è limitato alla sola
facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza
maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella
codicistica.
---------------
2. - La censura,
nella sua duplice articolazione, risulta in parte
inammissibile, in parte priva di fondamento.
2.1. - Deve, anzitutto, osservarsi, quanto al primo quesito,
che esso risulta del tutto inconferente -e la relativa
doglianza, di conseguenza, inammissibile- non trattandosi,
nella specie, di porre in discussione in via generale
l'applicabilità della normativa di cui al Regolamento
Edilizio, ma, come esattamente rilevato nel controricorso,
ove, appunto, viene sollevata eccezione di inammissibilità,
di determinare il criterio applicativo dell'art. 873 cod.
civ. alla luce dell'art. 101 del predetto Regolamento.
2.2. - La norma citata esclude l'obbligo di rispetto delle
distanze per gli aggetti senza sovrastanti corpi chiusi,
cioè, evidentemente, aggetti aventi funzione esclusivamente
ornamentale.
Al riguardo, questa Corte ha chiarito che in tema di
distanze legali fra edifici, mentre non sono a tal fine
computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano
funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria
di limitata entità, come la mensole, le lesene, i
cornicioni, le grondaie e simili, rientrano nel concetto
civilistico di "costruzione" le parti dell'edificio,
quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. "aggettanti")
che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti,
sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del
fabbricato.
D'altra parte, agli effetti di cui all'art. 873 cod. civ.,
la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge
statale, deve essere unica e non può essere derogata, sia
pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla
normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella
seconda parte dell'art. 873 cod. civ. è limitato alla sola
facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza
maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella
codicistica (v. Cass., sent. n. 1556 del 2005).
Nella specie, la Corte di merito ha escluso, attraverso una
indagine di fatto, che la terrazza costituisca un aggetto
sottratto alla disciplina in materia di distanze, rilevando
che essa è costituita da un piano di calpestio, da un
parapetto in muratura e da una stabile copertura
sovrastante, che concorrevano alla creazione di un volume, e
che, quindi, essendo posta ad una distanza dal confine
inferiore ai cinque metri, come rilevato in sede di c.t.u.,
è soggetta al rispetto delle distanze. Ne deriva la
infondatezza della censura sotto il profilo dell'art. 873
cod.civ.
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 30.01.2014 n. 2094 - link a
www.avvocatocassazionista.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Qualora gli strumenti
urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e
nulla aggiungano sulla possibilità di costruire in aderenza
od in appoggio, la preclusione di dette facoltà non consente
l'operatività del principio della prevenzione e non è quindi
consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il
vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa
di chiedere la comunione del muro e di costruire in
aderenza, con la conseguenza che la distanza dal confine
prescritta dallo strumento urbanistico è assoluta.
Peraltro, la circostanza che le minori distanze rilevate dal
confine si riferirebbero a balconi incassati (cioè chiusi su
tre lati), in ogni caso non sarebbe rilevante ai fini in
esame, giacché anche i balconi di apprezzabile profondità ed
ampiezza rientrano tra i corpi di fabbrica computabili nelle
distanze tra costruzioni (cfr. C.d.S. n. 7731/2010, nel
senso che ai fini del computo delle distanze assumono
rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori,
qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della
solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo
che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste
dimensioni con funzione meramente decorativa e di
rifinitura).
Infatti, la scheda urbanistica di cui alle NTA del PRG per la zona Ba, sottozona 20, in cui ricadono i
manufatti in questione prevede un distacco minimo dai
confini di 10 metri senza null’altro aggiungere (cfr.
allegato 4.a alla relazione di verificazione), sicché, come
correttamente rileva parte ricorrente, nel caso di specie
deve trovare applicazione il principio per il quale, qualora
gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze
dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di
costruire in aderenza od in appoggio, la preclusione di
dette facoltà non consente l'operatività del principio della
prevenzione e non è quindi consentito al preveniente
costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua
volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione
del muro e di costruire in aderenza (cfr. C.d.S., sez. V, 27.04.2012, n. 2458; Cass. Civ., sez. II,
09.04.2010, n.
8465), con la conseguenza che la distanza dal confine
prescritta dallo strumento urbanistico è assoluta.
Peraltro, la circostanza che le minori distanze rilevate dal
confine si riferirebbero a balconi incassati (cioè chiusi su
tre lati), come rimarca parte controinteressata, in ogni
caso non sarebbe rilevante ai fini in esame, giacché anche i
balconi di apprezzabile profondità ed ampiezza rientrano tra
i corpi di fabbrica computabili nelle distanze tra
costruzioni (cfr. C.d.S., sez. IV, 02.11.2010, n. 7731, nel
senso che ai fini del computo delle distanze assumono
rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori,
qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della
solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo
che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste
dimensioni con funzione meramente decorativa e di
rifinitura); mentre è privo di ogni specificazione e
riscontro l’ultimo assunto difensivo, per il quale si
verterebbe nella specie di volumi tecnici, il che esime di
soffermarsi sul punto
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 24.01.2014 n. 506 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Se
la cartografia del PRG prevede l’allineamento dell’edificio
al confine questo deroga alla regola generale dei 5 metri
dal confine.
La Corte di Appello di Venezia ritiene che, qualora un PRG
preveda in una NTA come regola generale la distanza di 5
metri dal confine, costituisca una norma speciale (che
prevale su quella generale di cui sopra) la cartografia del
PRG che consente l’allineamento dell’edificio a confine (e,
quindi, l’edificio si può costruire a confine). Quindi la
Corte risolve in base al principio di specialità l’annosa
questione di quale disposizione prevalga nel caso di
conflitto tra disposizioni normative e previsioni grafiche
all’interno dello stesso PRG.
Si legge nella sentenza: “Il primo
Giudice ha individuato quale norma regolante la distanza
degli edifici dal confine di proprietà la norma
amministrativa locale, richiamata dall’art 873 c.c., ma
nell’individuare la norma amministrativa non ha applicato il
criterio di specialità nell’interpretazione della norma
amministrativa richiamata. Il Regolamento locale richiamato
dall’art. 873 c.c. è costituito dal PRG del Comune di Thiene.
Quest’ultimo prevede una norma generale determinante la
distanza degli edifici dal confine, in via generale, e norme
speciali per alcune zone specifiche del Comune di Thiene.
Per principio generale interpretativo delle norme, la norma
speciale prevale sulla norma generale.
Gli edifici delle parti in causa sono pacificamente ubicati
in centro storico e abbiamo visto che in questa zona, il
P.R.G. di Thiene, cui rimandano l’art. 5 del regolamento
edilizio e l’art. 13 delle N.T.A. del Comune di Thiene, per
il centro storico, punto B), sopra illustrati, con
riferimento all’edificio dell’appellante, prevede
espressamente nella cartografia –planivolumetrico–
l’allineamento a confine dell’edificio, come risulta
dall’estratto del P.R.G. dei luoghi per cui è causa.
Il permesso a costruire rilasciato dal Comune di Thiene al
Convenuto per ristrutturare l’edificio oggetto di causa è
conforme al Regolamento locale (P.R.G.) richiamato dall’art.
873 c.c. quale fonte integrativa del C.C.”
(Corte d'Appello di Venezia,
sentenza
23.09.2014 - tratto da e link a http://venetoius.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quando
lo strumento urbanistico non prevede l’obbligo di osservare
un determinato distacco dal confine, trova applicazione il
principio della prevenzione temporale (art. 873 ss. c.c.),
secondo cui il proprietario che costruisce per primo
determina, in concreto, le distanze da osservare dalle altre
costruzioni sui fondi vicini, il che vale anche rispetto a
successive sopraelevazioni.
Solo in presenza di una norma regolamentare che prescrive
una distanza tra fabbricati con riguardo al confine,
infatti, si pone l'esigenza di un'equa ripartizione tra
proprietari confinanti dell'onere di salvaguardare una zona
di distacco tra le costruzioni, con la conseguenza che, in
assenza di una siffatta prescrizione, deve trovare
applicazione il principio della prevenzione.
Lo stesso principio vale anche nel caso in cui la distanza
tra gli edifici resti regolata dalla norma suppletiva
dettata dall’art. 17, co. 1, lett. c), della legge n.
765/1967 (che ha inserito nella legge n. 1150/1942 l’art.
41-quinquies, applicabile non soltanto ai Comuni sprovvisti
di piani regolatori e programmi di fabbricazione, ma anche a
quelli dotati di regolamento edilizio non contenente
prescrizioni sulle distanze), poiché tale norma, al pari
dell’art. 873 c.c., non fa alcun riferimento ai confini e
non può, dunque, essere interpretata nel senso di imporre,
sia pur implicitamente, un distacco rispetto agli stessi
(cfr. Cass., SS.UU., 01.08.2002, n. 11489: «la distanza tra
gli edifici non è prevista dalla norma come fissa, essendo,
invece, mobile e variabile con riferimento all'altezza
dell'edificio successivo; il che, da un canto, conferma che
il confine tra i due fondi non assume alcun rilievo nella
struttura della norma, dall'altro evidenzia, come dato
imprescindibile, che la norma, così com’é strutturata,
presuppone la preesistenza di un fabbricato, solo rispetto
al quale, non già rispetto al confine (od anche rispetto al
confine), viene prescritta la distanza minima, da
determinarsi in relazione all'altezza del nuovo edificio»).
Si tratta di un ragionamento che è pianamente estensibile
alle distanze di cui all’art. 9 D.M. n. 1444 del 02.04.1968,
ugualmente prive di ogni riferimento ai confini ed espresse,
ancora una volta, in termini mobili e variabili con riguardo
alla altezza di edifici preesistenti (ovvero alla larghezza,
maggiorata, della sede stradale interposta) oppure ancora in
termini assoluti tra i fabbricati stessi (nel senso della
applicabilità del principio di prevenzione anche con
riferimento al D.M. 1444/1968, cfr., implicitamente, TAR
Campania Napoli, n. 1899/2011): tutto ciò senza che,
naturalmente, la circostanza che il preveniente possa aver
costruito una parete finestrata, anziché non finestrata,
possa mutare la consistenza di questo dato normativo e
influire sulla applicabilità della regola della prevenzione.
Al riguardo, la giurisprudenza, ancor prima della suddetta
pronuncia delle Sezioni Unite, ha espressamente ritenuto che
dall’art. 9 n. 2 del D.M. n. 1444/1968 è desumibile la
inesistenza di un obbligo di rispettare in ogni caso una
distanza minima dal confine, ove non prevista negli
strumenti urbanistici locali, e ha sostenuto che, in
applicazione del principio di prevenzione, esso va
interpretato nel senso che tra una parete finestrata e
l’edificio antistante va rispettata la distanza di metri
dieci, con conseguente obbligo del prevenuto di arretrare la
propria costruzione (fino ad una distanza di metri cinque
dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete
finestrata, ha rispettato una distanza di almeno metri
cinque dal confine; in caso contrario, ossia se il
preveniente abbia realizzato una parete finestrata ad una
distanza dal confine inferiore a metri cinque, il vicino, in
alternativa all'arretrare la propria costruzione fino a
rispettare la distanza di dieci metri, può scegliere
d'imporre al preveniente di chiudere le aperture ed a sua
volta costruire con parete non finestrata rispettando la
metà della distanza legale dal confine, oppure di procedere
all’interpello di cui all’art. 875, co. 2, c.c. per la
comunione forzosa del muro che non si trovi sul confine, ove
ne ricorrano le condizioni, od ancora, nel caso di
costruzione sul confine, chiedere la comunione del muro o
costruire in aderenza).
Ebbene, per condivisibile indirizzo, quando lo strumento
urbanistico non prevede l’obbligo di osservare un
determinato distacco dal confine, trova applicazione il
principio della prevenzione temporale (art. 873 ss. c.c.),
secondo cui il proprietario che costruisce per primo
determina, in concreto, le distanze da osservare dalle altre
costruzioni sui fondi vicini (cfr. C.d.S., sez. IV, 04.02.2011, n. 802), il che vale anche rispetto a
successive sopraelevazioni (cfr. C.d.S., sez. V, 10.01.2012, n. 53).
Solo in presenza di una norma regolamentare che prescrive
una distanza tra fabbricati con riguardo al confine,
infatti, si pone l'esigenza di un'equa ripartizione tra
proprietari confinanti dell'onere di salvaguardare una zona
di distacco tra le costruzioni, con la conseguenza che, in
assenza di una siffatta prescrizione, deve trovare
applicazione il principio della prevenzione.
Lo stesso principio vale anche nel caso in cui la distanza
tra gli edifici resti regolata dalla norma suppletiva
dettata dall’art. 17, co. 1, lett. c), della legge n. 765/1967
(che ha inserito nella legge n. 1150/1942 l’art. 41-quinquies,
applicabile non soltanto ai Comuni sprovvisti di piani
regolatori e programmi di fabbricazione, ma anche a quelli
dotati di regolamento edilizio non contenente prescrizioni
sulle distanze: cfr. C.d.S., sez. V, 23.05.2000, n.
2983), poiché tale norma, al pari dell’art. 873 c.c., non fa
alcun riferimento ai confini e non può, dunque, essere
interpretata nel senso di imporre, sia pur implicitamente,
un distacco rispetto agli stessi (cfr. Cass., SS.UU., 01.08.2002, n. 11489: «la distanza tra gli edifici non è
prevista dalla norma come fissa, essendo, invece, mobile e
variabile con riferimento all'altezza dell'edificio
successivo; il che, da un canto, conferma che il confine tra
i due fondi non assume alcun rilievo nella struttura della
norma, dall'altro evidenzia, come dato imprescindibile, che
la norma, così com’é strutturata, presuppone la preesistenza
di un fabbricato, solo rispetto al quale, non già rispetto
al confine (od anche rispetto al confine), viene prescritta
la distanza minima, da determinarsi in relazione all'altezza
del nuovo edificio»).
Si tratta di un ragionamento che è pianamente estensibile
alle distanze di cui all’art. 9 D.M. n. 1444 del 02.04.1968, ugualmente prive di ogni riferimento ai confini ed
espresse, ancora una volta, in termini mobili e variabili
con riguardo alla altezza di edifici preesistenti (ovvero
alla larghezza, maggiorata, della sede stradale interposta)
oppure ancora in termini assoluti tra i fabbricati stessi
(nel senso della applicabilità del principio di prevenzione
anche con riferimento al D.M. 1444/1968, cfr., implicitamente,
TAR Campania Napoli, sez. II, 01.04.2011, n. 1899):
tutto ciò senza che, naturalmente, la circostanza che il
preveniente possa aver costruito una parete finestrata,
anziché non finestrata, possa mutare la consistenza di
questo dato normativo e influire sulla applicabilità della
regola della prevenzione.
Al riguardo, la giurisprudenza, ancor prima della suddetta
pronuncia delle Sezioni Unite, ha espressamente ritenuto
(cfr. Cass., sez. II, 07.03.2002, n. 3340) che dall’art. 9
n. 2 del D.M. n. 1444/1968 è desumibile la inesistenza di un
obbligo di rispettare in ogni caso una distanza minima dal
confine, ove non prevista negli strumenti urbanistici
locali, e ha sostenuto che, in applicazione del principio di
prevenzione, esso va interpretato nel senso che tra una
parete finestrata e l’edificio antistante va rispettata la
distanza di metri dieci, con conseguente obbligo del
prevenuto di arretrare la propria costruzione (fino ad una
distanza di metri cinque dal confine, se il preveniente, nel
realizzare tale parete finestrata, ha rispettato una
distanza di almeno metri cinque dal confine; in caso
contrario, ossia se il preveniente abbia realizzato una
parete finestrata ad una distanza dal confine inferiore a
metri cinque, il vicino, in alternativa all'arretrare la
propria costruzione fino a rispettare la distanza di dieci
metri, può scegliere d'imporre al preveniente di chiudere le
aperture ed a sua volta costruire con parete non finestrata
rispettando la metà della distanza legale dal confine,
oppure di procedere all’interpello di cui all’art. 875, co.
2, c.c. per la comunione forzosa del muro che non si trovi
sul confine, ove ne ricorrano le condizioni, od ancora, nel
caso di costruzione sul confine, chiedere la comunione del
muro o costruire in aderenza) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 14.05.2013 n. 2495 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In tema di distanze nelle costruzioni, qualora
gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze
dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di
costruire “in aderenza” od “in appoggio”, la preclusione di
dette facoltà non consente l’operatività del principio della
prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano
previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella
disciplinata dagli artt. 873 e segg. del c.c., con la
conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul
confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta
edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del
muro e di costruire in aderenza, ovvero di arretrare la sua
costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza
imposta dallo strumento urbanistico.
Di qui la funzione e la rilevanza della deroga, diretta a
consentire l'esercizio delle predette facoltà che,
diversamente, sarebbero precluse dalla regola ordinaria
sulle distanze dal confine e tra fabbricati.
In definitiva, laddove il regolamento edilizio locale
disponga la distanza minima dai confini con espressa
ammissibilità dell'edificazione in aderenza, tale previsione
deve essere intesa nel senso di fare salvo il principio
della prevenzione previsto dagli art. 873 e 875 c.c.,
secondo i quali il proprietario che costruisce per primo ha
la facoltà di scelta fra costruire alla distanza
regolamentare ed erigere il proprio fabbricato sul confine,
ponendo così il vicino che voglia a sua volta edificare
nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e
costruire in aderenza oppure di arretrare la sua costruzione
fino a rispettare la maggior distanza imposta dal
regolamento locale.
In tema di distanze nelle costruzioni, qualora
gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze
dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di
costruire “in aderenza” od “in appoggio”, la preclusione di
dette facoltà non consente l’operatività del principio della
prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano
previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella
disciplinata dagli artt. 873 e segg. del c.c., con la
conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul
confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta
edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del
muro e di costruire in aderenza, ovvero di arretrare la sua
costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza
imposta dallo strumento urbanistico (Corte di Cassazione,
sez. II civile – 12/10/2012 n. 17472). Di qui la funzione e
la rilevanza della deroga, diretta a consentire l'esercizio
delle predette facoltà che, diversamente, sarebbero precluse
dalla regola ordinaria sulle distanze dal confine e tra
fabbricati.
In definitiva, laddove il regolamento edilizio locale
disponga la distanza minima dai confini con espressa
ammissibilità dell'edificazione in aderenza, tale previsione
deve essere intesa nel senso di fare salvo il principio
della prevenzione previsto dagli art. 873 e 875 c.c.,
secondo i quali il proprietario che costruisce per primo ha
la facoltà di scelta fra costruire alla distanza
regolamentare ed erigere il proprio fabbricato sul confine,
ponendo così il vicino che voglia a sua volta edificare
nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e
costruire in aderenza oppure di arretrare la sua costruzione
fino a rispettare la maggior distanza imposta dal
regolamento locale (TAR Puglia Lecce, sez. III – 05/05/2011
n. 806)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 29.01.2013 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
Sezione ha già avuto modo di rilevare che:
a) “la verifica circa il mancato rispetto della distanza dal
confine di proprietà private non costituisce incombente
istruttorio, atteso che le stazioni radio base, per le loro
caratteristiche strutturali, non paiono equiparabili alle
costruzioni ex art. 873 del codice civile, e che, di
conseguenza, l’onere di contestazione sullo specifico
profilo incombe sul proprietario privato eventualmente
leso”, quest’ultimo risultando l’unico legittimato attivo a
proporre la relativa azione;
b) in merito al rapporto tra i criteri di localizzazione e
gli standard urbanistici, la giurisprudenza costituzionale
ha statuito che “la genericità ed eterogeneità delle
categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di
distanza minima viene previsto, configurano non già un
quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un
potere amministrativo in contrasto con il principio di
legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare
l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla
realizzazione delle reti di telecomunicazione”.
---------------
In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti
urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e
nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in
aderenza” o “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà
non consente l’operatività del principio della prevenzione;
nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si
versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata
dall’articolo 873 c.c. e segg., con la conseguenza che è
consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il
vicino, che intenda a sua volta edificare, nell’alternativa
di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza
(eventualmente esercitando le opzioni previste dall’articolo
875 c.c. e articolo 877 c.c., comma 2), ovvero di arretrare
la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera
distanza imposta dallo strumento urbanistico.
Di qui la funzione e la rilevanza della deroga, diretta a
consentire l’esercizio delle predette facoltà che,
diversamente, sarebbero precluse dalla regola ordinaria
sulle distanze dal confine e tra fabbricati.
Con il terzo, quarto e quinto motivo –anche questi da
esaminare congiuntamente, in quanto incentrati sulla
violazione delle medesime disposizioni– la società
ricorrente ha dedotto che le caratteristiche costruttive e
dimensionali dello shelter (si tratta della cabina adibita
al contenimento degli apparati di trasmissione e ricezione
dei segnali telefonici) e la distanza di tale pertinenza dal
vicino magazzino non sarebbero ostative alla legittima
realizzazione della stazione radio-base (cfr. pag. 9); che
non vi sarebbe violazione della disciplina delle distanze
alla luce dell’assenza di intersoggettività (“vale a dire
dalla diversa proprietà dei due edifici”, cfr. pag. 10);
che, infine, le norme sul rispetto delle distanze non
sarebbero “automaticamente né analogicamente applicabili
agli impianti di telefonìa cellulare che hanno peculiarità e
caratteristiche costruttive tali da imporne una separata
valutazione” (cfr. pag. 12).
Sul punto, il Comune di Cesano Maderno ha replicato che
l’art. 9 del D.M. 1444/1968 per i nuovi edifici stabilisce
che “è prescritta in tutti i casi la distanza minima
assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti” (cfr. pag. 12).
Anche tali motivi meritano accoglimento, per tre diverse
ragioni.
In primo luogo, la Sezione (cfr. ordinanza TAR Lombardia–Milano, sez. I,
06.12.2012, n. 1681), ha già avuto modo
di rilevare che:
a) “la verifica circa il mancato rispetto della distanza dal
confine di proprietà private non costituisce incombente
istruttorio, atteso che le stazioni radio base, per le loro
caratteristiche strutturali, non paiono equiparabili alle
costruzioni ex art. 873 del codice civile, e che, di
conseguenza, l’onere di contestazione sullo specifico
profilo incombe sul proprietario privato eventualmente
leso”, quest’ultimo risultando l’unico legittimato attivo a
proporre la relativa azione (Corte di Cassazione, sez. II,
11.01.2006, n. 213);
b) in merito al rapporto tra i criteri di localizzazione e
gli standard urbanistici, la giurisprudenza costituzionale
ha statuito che “la genericità ed eterogeneità delle
categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di
distanza minima viene previsto, configurano non già un
quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un
potere amministrativo in contrasto con il principio di
legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare
l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla
realizzazione delle reti di telecomunicazione” (cfr. Corte
Costituzionale, 07.10.2003, n. 307).
In seconda battuta, osserva il Collegio che l’art. 40 del
regolamento edilizio, pur fissando il rispetto di una
distanza minima di 10 metri tra le costruzioni, ha nondimeno
previsto che “i privati possono convenzionare tra loro la
costruzione in aderenza, a confine”.
Trova, pertanto, applicazione il principio, di recente
ribadito dalla Corte di Cassazione, secondo cui “in tema di
distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti
urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e
nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in
aderenza” o “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà
non consente l’operatività del principio della prevenzione;
nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si
versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata
dall’articolo 873 c.c. e segg., con la conseguenza che è
consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il
vicino, che intenda a sua volta edificare, nell’alternativa
di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza
(eventualmente esercitando le opzioni previste dall’articolo
875 c.c. e articolo 877 c.c., comma 2), ovvero di arretrare
la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera
distanza imposta dallo strumento urbanistico (Cass. nn.
8465/2010, 11899/2002, 13286/2000 e 12103/1998). Di qui la funzione
e la rilevanza della deroga, diretta a consentire
l’esercizio delle predette facoltà che, diversamente,
sarebbero precluse dalla regola ordinaria sulle distanze dal
confine e tra fabbricati” (cfr. Corte di Cassazione, sez. II,
12.10.2012, n. 17472)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.01.2013 n. 141 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Mentre il preveniente
deve attenersi, nella prosecuzione in altezza del
fabbricato, della scelta operata originariamente, di guisa
che ogni parte dell’immobile risulti conforme al criterio di
prevenzione adottato sulla base di esso, a ciò non può
frapporre ostacoli il confinante (prevenuto) che, se a sua
volta abbia costruito in aderenza fino all’altezza
inizialmente raggiunta dal preveniente, ha diritto di
sopraelevare soltanto sul confine, ovvero a distanza da
questo (e, quindi, dalla eventuale sopraelevazione del
preveniente) pari a quella globale minima di legge o dei
regolamenti.
---------------
Mentre quando gli strumenti urbanistici locali fissino senza
alternativa le distanze delle costruzioni dal confine, salva
soltanto la possibilità di costruzione in aderenza, non può
farsi luogo all’applicazione del principio di prevenzione,
quando, al contrario, essi prevedono, riguardo ad edifici
preesistenti, la facoltà di costruire in deroga alle
prescrizioni contenute nel piano regolatore sulle distanze,
si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata
dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza che è consentito al
preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che
intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere
la comunione del muro e di costruire in aderenza ovvero di
arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore
intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.
Gli art. 2.04 e 19 n.t.a. del piano regolatore generale, nello stabilire
le distanze tra costruzioni, ammettono interventi
ampliativi, anche tramite sopraelevazione, sugli edifici
esistenti in contrasto con dette distanze, purché nel
rispetto delle norme del codice civile.
In effetti, il provvedimento di annullamento d’ufficio,
riguardante immobili preesistenti non rispettosi delle
distanze introdotte dalla normativa urbanistica, è motivato
sulla violazione dell’art. 873 c.c. in materia di distanza
tra edifici .
Considera, tuttavia, il Collegio che la corretta
applicazione dei principi civilistici in materia di distanza
tra edifici, richiamati dalle norme tecniche di attuazione
del piano regolatore, involga anche quello di prevenzione,
data la circostanza (non contestata) che l’edificio che il
ricorrente intende sopraelevare preesiste rispetto a quello
del vicino, costruito ad una distanza inferiore a tre metri.
Detto principio, in caso di sopraelevazione, comporta che
“mentre il preveniente deve attenersi, nella prosecuzione in
altezza del fabbricato, della scelta operata
originariamente, di guisa che ogni parte dell’immobile
risulti conforme al criterio di prevenzione adottato sulla
base di esso, a ciò non può frapporre ostacoli il confinante
(prevenuto) che, se a sua volta abbia costruito in aderenza
fino all’altezza inizialmente raggiunta dal preveniente, ha
diritto di sopraelevare soltanto sul confine, ovvero a
distanza da questo (e, quindi, dalla eventuale
sopraelevazione del preveniente) pari a quella globale
minima di legge o dei regolamenti” (Cass. civ. Sez. III,
27.08.1990, n. 8849).
La possibilità, nella specie, di fare applicazione di detto
principio trova conferma nel consolidato orientamento per
cui, mentre quando gli strumenti urbanistici locali fissino
senza alternativa le distanze delle costruzioni dal confine,
salva soltanto la possibilità di costruzione in aderenza,
non può farsi luogo all’applicazione del principio di
prevenzione, quando, al contrario, essi prevedono, riguardo
ad edifici preesistenti, la facoltà di costruire in deroga
alle prescrizioni contenute nel piano regolatore sulle
distanze, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella
disciplinata dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza che è
consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il
vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa
di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza
ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la
maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico
(Cassazione civile, sez. II, 09.04.2010, n. 8465)”
(Cons. St. Sez. IV, 09.05.2011, n. 2749; analogamente, Cons.
St. Sez. IV, 31.03.2009, n. 1998).
Dalle suesposte considerazioni discende la fondatezza
dell’appello in punto di erronea applicazione dell’art. 873
c.c., richiamato dalle n.t.a., non essendosi tenuto conto
della prevenzione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2013 n. 53 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: E.
Boscariol,
Le distanze in edilizia
(Il Tecnico Legale n. 17/2012). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze
legali stabilite dall’art. 873 c.c. o da norme regolamentari
integrative, la nozione di costruzione comprende qualsiasi
opera non completamente interrata avente i caratteri della
solidità e immobilizzazione rispetto al suolo, con la
conseguenza, particolarmente aderente al caso di specie,
che: “Un garage totalmente interrato può essere
legittimamente realizzato senza rispettare la distanza di
tre metri dal confine stabilita dall’art. 873 del codice
civile, in quanto tale norma fa riferimento alle sole
costruzioni che, erette sopra il suolo, ne sporgano
stabilmente, con esclusione quindi dei manufatti
completamente interrati”.
Ai sensi dell’art. 9 l. 24.03.1989 n. 122 (come modificato
dall’art. 37 l. 07.12.1999 n. 472) la realizzazione di un
parcheggio pertinenziale può essere effettuata –fatti salvi
i vincoli previsti dalla legislazione in materia
paesaggistica ed ambientale– anche in deroga agli strumenti
urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti, comprese le
distanze previste dal p.r.g. o da altre fonti normative.
Al riguardo, rileva il Tribunale che, in considerazione del
carattere interrato delle erigende autorimesse, rispetto al
piano di calpestio, diviene applicabile il consolidato
principio, di marca giurisprudenziale, secondo cui: “Ai
fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze
legali stabilite dall’art. 873 c.c. o da norme
regolamentari integrative, la nozione di costruzione
comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente
i caratteri della solidità e immobilizzazione rispetto al
suolo” (Cassazione civile – Sez. II – 18.02.2011, n.
4008), con la conseguenza, particolarmente aderente al caso
di specie, che: “Un garage totalmente interrato può
essere legittimamente realizzato senza rispettare la
distanza di tre metri dal confine stabilita dall’art. 873
del codice civile, in quanto tale norma fa riferimento alle
sole costruzioni che, erette sopra il suolo, ne sporgano
stabilmente, con esclusione quindi dei manufatti
completamente interrati” (TAR Abruzzo Pescara – Sez. I –
05.03.2009, n. 134).
Si consideri, per di più, che, sempre secondo la
giurisprudenza: “Ai sensi dell’art. 9 l. 24.03.1989 n.
122 (come modificato dall’art. 37 l. 07.12.1999 n. 472) la
realizzazione di un parcheggio pertinenziale può essere
effettuata –fatti salvi i vincoli previsti dalla
legislazione in materia paesaggistica ed ambientale– anche
in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti
edilizi vigenti, comprese le distanze previste dal p.r.g. o
da altre fonti normative” (TAR Puglia Lecce – Sez. III,
21.11.2007, n. 3932)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 17.10.2012 n. 1868 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una tettoia deve rispettare le distanze
legali?
La realizzazione di una struttura metallica con tettoia sul
muro di confine, anche se priva di pareti di chiusura, è da
considerarsi a tutti gli effetti una costruzione ai fini
della distanza dal confine.
Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. IV,
con
sentenza 02.10.2012 n. 16776 nel rispetto delle distanze
tra edifici, ai sensi dell’art. 873 del Codice Civile, che
impone la misura di almeno 3 metri come distanza legale.
Il caso riguarda la realizzazione di una tettoia da parte di
un circolo di tennis e il proprietario del terreno
confinante il quale, presentato ricorso in Cassazione,
chiede la rimozione della stessa e il risarcimento per i
danni provocati dalla costruzione sul proprio muro
confinante.
La risposta della Cassazione è positiva: la tettoia in
questione è da considerarsi una costruzione avendo i
caratteri della stabilità, consistenza ed immobilizzazione
al suolo e, in quanto tale, deve rispettare le norme del
codice sulle distanze minime.
Gli ermellini, dopo il rigetto di primo e secondo grado,
accolgono il ricorso del proprietario del fondo: sia per il
risarcimento del danno che per la rimozione della tettoia
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Distanza minima dal confine di zona.
Le distanze prescritte (art. 873, c.c.) nell'interesse
privato fra gli edifici, nonché fra questi ed i confini,
sono derogabili con il consenso fra vicini, ma non lo sono
le distanze prescritte nella disciplina (a valenza
eminentemente pubblicistica e, quindi, inderogabile)
urbanistica e nel piano urbanistico (nella fattispecie in
esame: art. 13, regolamento di attuazione), a tutela
dell'interesse pubblico ad una progettazione urbanistica
sistematicamente ordinata, a meno che la deroga non sia
esplicitamente prevista dalla legge, ai sensi dell’art. 38,
comma 1, legge urbanistica provinciale, applicabile
solamente alle zone di espansione e come tale (norma che
sancisce un'eccezione) non estensibile per analogia alle
zone di riempimento.
Per giurisprudenza consolidata
della Cassazione civile (cfr. sent. n. 12966/2006), le
distanze prescritte (art. 873, c.c.) nell'interesse privato
fra gli edifici, nonché fra questi ed i confini, sono
derogabili con il consenso fra vicini, ma non lo sono le
distanze prescritte nella disciplina (a valenza
eminentemente pubblicistica e, quindi, inderogabile)
urbanistica e nel piano urbanistico (nella fattispecie in
esame: art. 13, regolamento di attuazione), a tutela
dell'interesse pubblico ad una progettazione urbanistica
sistematicamente ordinata, a meno che la deroga non sia
esplicitamente prevista dalla legge, ai sensi dell’art. 38,
comma 1, legge urbanistica provinciale, applicabile
solamente alle zone di espansione e come tale (norma che
sancisce un'eccezione) non estensibile per analogia alle
zone di riempimento (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2012 n. 5064 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
muro medesimo, assolvendo a mere finalità di recinzione e
non eccedendo i 3 metri (ma, anzi, essendo di altezza
considerevolmente inferiore a tale misura), non può essere
configurato quale “costruzione” al fine della disciplina
regolamentare ex art. 9, comma 2, del D.M. 1444/1968.
Per quanto attiene alla dedotta violazione
dell’art. 29-bis delle N.T.A. del P.R.G., già illustrata in
primo grado e riproposta in appello, va evidenziato che il
Della Giovampaola afferma che il muro costruito dal Comune
al fine di delimitare l’area dove è sta realizzata la
stazione ecologica dista dal confine della proprietà del
medesimo appellante ricorrente soltanto m. 1,5 e non già m.
5.
Come emerso in sede di giudizio di primo grado, ad una
determinata distanza da tale muro sono in effetti i
cassonetti di raccolta dei rifiuti.
L’art. 29-bis delle N.T.A., che ha per oggetto “Attrezzature
e servizi speciali a gestione pubblica e privata (S4),”
prevede che “in tali aree possono insediarsi, su iniziativa
pubblica, privata o mista, attività di servizio (compresa la
commercializzazione) per il deposito, il trattamento ed il
trasporto di rifiuto liquidi e solidi.”, con contestuale
obbligo per gli edifici ivi realizzati, sia per servizi che
per le residenze di servizio per il gestore o il custode
dell’attività insediata, di articolarsi in due piani al
massimo, di avere un’altezza massima di m. 12, di avere una
copertura a capanna, a padiglione, o piana, di collocarsi ad
una distanza dai confini di zona e di proprietà privata di
m. 5, di rispettare la distanza dalle strade prevista dal
Codice della Strada e –da ultimo– di estendersi per una
superficie territoriale coperta massima del 40%.
Come rettamente rilevato da giudice di primo grado, la
surriportata disciplina di piano contempla distanze dai
confini e dalla proprietà previste che ragionevolmente non
possono che riferirsi alle costruzioni e non già ai muri di
cinta, quale è -per l’appunto- quello la cui realizzazione
è segnatamente contestata da Della Giovampaola.
In tal senso, deve pertanto concludersi che la realizzazione
del muro medesimo è comunque conforme a quanto disposto
dall’art. 878 cod. civ., in forza del quale –per l’appunto– “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia
un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il
computo della distanza indicata dall’articolo 873” dello
stesso codice: e, poiché il muro di cui trattasi è alto
soltanto m. 1,20, ne consegue l’irrilevanza, nell’economia
della presente causa, di tutta la giurisprudenza della Corte
di Cassazione che il medesimo Della Giovampaola cita a
preteso conforto delle proprie tesi.
Va anche respinto il motivo d’appello con il quale il
Della Giovampaola afferma che “il muro funzionale alla
stazione ecologica” sarebbe stato realizzato a distanza
minore di dieci metri dal capannone di proprietà del
ricorrente stesso (posto a sette metri dal detto muro), così
violando la distanza tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti prevista in dieci metri dall’art. 9, comma
2, del D.M. n. 1444 del 1968: e ciò in quanto il muro
medesimo, assolvendo a mere finalità di recinzione e non
eccedendo i 3 metri (ma, anzi, essendo di altezza
considerevolmente inferiore a tale misura), non può essere
configurato quale “costruzione” al fine della disciplina
regolamentare testé richiamata
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.09.2012 n. 4672 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Legittimità diniego concessione edilizia ad una
distanza dal confine inferiore a ml. 5,00.
E’ legittimo il diniego del rilascio di una concessione
edilizia per costruzione di un fabbricato localizzato ad una
distanza dal confine inferiore a ml. 5, ossia alla distanza
minima prescritta dalla normativa urbanistica comunale,
notoriamente inderogabile anche per accordo tra le parti
(cfr., tra le tante Cass. Civ., Sez. II, 09.04.2010, n.
8465), non potendo operare in tale ipotesi la disciplina
civilistica generale (Consiglio
di Stato,
Sez. IV,
sentenza 10.08.2012 n. 4555 -
tratto da www.lexambiente.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA: L'aver
realizzato senza titolo abilitativo la
pensilina sulla porta-finestra e il contiguo
pergolato/gazebo non è sanzionabile quali
opere abusive poiché entrambe le opere,
invero, appaiono riconducibili agli
“elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici” di cui all’art. 6, comma 2,
lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001, con la
conseguenza che sarebbe stata necessaria
solo la previa comunicazione di inizio dei
lavori, sanzionabile –in caso di inerzia–
con una mera sanzione pecuniaria (v. comma
7), non certamente con la qualificazione
delle relative opere come abusive.
---------------
I pergolati/gazebo con struttura leggera di
legno articolata in quattro colonne e
sovrastante copertura, se aperta su tutti i
lati e di modeste dimensioni, fungono da
mero arredo per spazi esterni e non creano
superfici utili o volumetria, sicché
restano, per definizione, insensibili alle
norme urbanistiche che definiscono le
distanze minime dai confini di proprietà, in
ossequio a regole generali rispetto alle
quali cedono eventuali differenti criteri
interpretativi elaborati in sede locale.
In conclusione, si presenta illegittimo
l’ordine di rimozione della pensilina e del
pergolato/gazebo, per trattarsi di
interventi ascrivibili alla fattispecie di
cui all’art. 6, comma 2, lett. e), del
d.P.R. n. 380 del 2001, e per non avere
l’Amministrazione comunale motivato la
misura con profili ostativi correttamente
riconducibili alla disciplina di piano
locale o alla normativa di settore
applicabile all’attività edilizia.
Nel merito, ritiene il Collegio
che, relativamente alla pensilina e al
pergolato/gazebo, vada innanzi tutto
accertato se e in quali limiti l’invocata
disciplina di cui all’art. 6 del d.P.R. n.
380 del 2001, nel testo risultante dalle
modifiche apportate dal decreto-legge n. 40
del 2010 e dalla relativa legge di
conversione (n. 73/2010), interviene a
regolare la fattispecie oggetto della
controversia.
Secondo la ricorrente, infatti, per doversi
ascrivere le opere in esame alla categoria
dell’«attività edilizia libera» ivi
prevista –ed in particolare all’àmbito degli
“elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici” [comma 2,
lett. e)]–, insussistenti sarebbero le
irregolarità che le sono state addebitate.
Secondo l’Amministrazione comunale, invece,
la necessità di un titolo abilitativo
scaturirebbe dal disposto dell’art. 2 del
Regolamento edilizio comunale, non travolto
in parte qua dalla sopraggiunta
normativa statale, ed abusivo in ogni caso
risulterebbe il pergolato/gazebo perché
lesivo del limite di distanza dal confine di
proprietà condominiale.
Va premesso che, pur sottraendo al previo
titolo abilitativo l’esecuzione di vari
interventi edilizi, l’art. 6 del d.P.R. n.
380 del 2001 stabilisce tuttavia che ciò
avvenga “fatte salve le prescrizioni
degli strumenti urbanistici comunali, e
comunque nel rispetto delle altre normative
di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell’attività edilizia e, in particolare,
delle norme antisismiche, di sicurezza,
antincendio, igienico-sanitarie, di quelle
relative all’efficienza energetica nonché
delle disposizioni contenute nel codice dei
beni culturali e del paesaggio, di cui al
decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
…”.
La giurisprudenza ne ha desunto che a,
fronte di una generale individuazione di
tipologie di opere ritenute tendenzialmente
prive di impatto sull’assetto territoriale,
il legislatore statale sia stato consapevole
di non poter operare scelte di carattere
assoluto, e quindi di dover far salva, da un
lato, la normativa di settore che abbia
rilevanza nell’àmbito dell’attività
edilizia, e di dover lasciare integro,
dall’altro lato, il potere di governo del
territorio di spettanza delle
Amministrazioni comunali, sicché –ad es.–
anche per tali opere va rispettata la
destinazione urbanistica prevista in ogni
comparto dallo strumento di piano e risulta
quindi preclusa la loro realizzazione in
caso di incompatibilità con il regime d’uso
della corrispondente area (v. Cass. pen.,
Sez. III, 27.04.2011 n. 19316; TAR Puglia,
Bari, Sez. III, 13.01.2012 n. 184; TAR
Veneto, Sez. II, 30.09.2010 n. 5244).
Naturalmente, per non vanificare la parziale
liberalizzazione introdotta dalla normativa
statale, le prescrizioni degli strumenti
urbanistici comunali di cui occorre tenere
conto sono solo quelle che attengono ai
presupposti e alle modalità di realizzazione
dell’attività edilizia, non quelle che si
limitano a prevedere il rilascio di appositi
titoli abilitativi senza accompagnare il
precetto con vincoli di carattere
sostanziale.
Ciò posto, appare fondata la doglianza con
cui la ricorrente lamenta che le sia stato
addebitato di avere realizzato senza titolo
abilitativo la pensilina sulla
porta-finestra e il contiguo
pergolato/gazebo. Entrambe le opere, invero,
appaiono riconducibili agli “elementi di
arredo delle aree pertinenziali degli
edifici” di cui all’art. 6, comma 2,
lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001, con la
conseguenza che sarebbe stata necessaria
solo la previa comunicazione di inizio dei
lavori, sanzionabile –in caso di inerzia–
con una mera sanzione pecuniaria (v. comma
7), non certamente con la qualificazione
delle relative opere come abusive.
Non è invece applicabile nella fattispecie
l’invocato (dall’Amministrazione) art. 2 del
Regolamento edilizio comunale (“Chiunque
intenda, nell’ambito del territorio
comunale, eseguire nuove costruzioni,
ampliare, modificare o demolire quelle
esistenti, ovvero procedere all’esecuzione
di opere di urbanizzazione del territorio,
deve chiedere apposita autorizzazione al
Sindaco e deve sottostare alle prescrizioni
procedurali e tecniche del presente
regolamento. In particolare, sono soggette
ad autorizzazione: … p) costruzione o
trasformazione di vetrine, collocamento di
insegne, mostre, cartelli od affissi
pubblicitari o indicatori, lumi, memorie,
monumenti, costruzioni di tettoie, di
pensiline, cabine balneari, verande
all’esterno degli edifici o tende anche
provvisorie sporgenti su luoghi pubblici,
aperti o prospettanti luoghi pubblici; q)
esecuzione di manutenzione straordinaria
qualora comporti modificazioni delle
strutture o dell’aspetto esterno degli
edifici ivi compresi rivestimenti,
decorazioni e colorazioni; …”), per
trattarsi di normativa locale che, in
ragione del mero richiamo ad un obbligo di
carattere procedimentale –svincolato da
previsioni di carattere sostanziale–, cede
di fronte alla prevalente disciplina statale
in tema di liberalizzazione dell’attività
edilizia minore.
Quanto al pergolato/gazebo, in verità,
l’Amministrazione comunale ha altresì
rilevato l’inosservanza della distanza dai
confini di proprietà condominiale, limite
nella fattispecie riferito alla
regolamentazione contenuta nel piano
particolareggiato di iniziativa pubblica “Quaderna”;
la stessa ricorrente, da parte sua, si è
detta consapevole di tale disciplina nel
comparto di che trattasi, ma ne esclude
l’applicabilità ai pergolati e nega altresì
che il vincolo valga per i confini di
proprietà condominiale.
In effetti, i pergolati/gazebo con struttura
leggera di legno articolata in quattro
colonne e sovrastante copertura, se aperta
su tutti i lati e di modeste dimensioni,
fungono da mero arredo per spazi esterni e
non creano superfici utili o volumetria (v.,
tra le altre, TAR Lombardia, Brescia, Sez.
II, 07.04.2011 n. 526), sicché restano, per
definizione, insensibili alle norme
urbanistiche che definiscono le distanze
minime dai confini di proprietà, in ossequio
a regole generali rispetto alle quali cedono
eventuali differenti criteri interpretativi
elaborati in sede locale. Dal che
l’erroneità dell’assunto
dell’Amministrazione.
In conclusione, si presenta illegittimo
l’ordine di rimozione della pensilina e del
pergolato/gazebo, per trattarsi di
interventi ascrivibili alla fattispecie di
cui all’art. 6, comma 2, lett. e), del
d.P.R. n. 380 del 2001, e per non avere
l’Amministrazione comunale motivato la
misura con profili ostativi correttamente
riconducibili alla disciplina di piano
locale o alla normativa di settore
applicabile all’attività edilizia
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 29.06.2012 n.
464 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ai fini del calcolo delle
distanze devono essere computate scale,
terrazze, corpi avanzati ed opere di
contenimento.
2. Nozione di opera interrata.
3. Calcolo della cubatura. Inclusione nel
caso di opere non completamente interrate.
1. In tema di distanze legali tra edifici o
dal confine, mentre non sono a tal fine
computabili le sporgenze estreme del
fabbricato che abbiano funzione meramente
ornamentale, di finitura od accessoria di
limitata entità, come le mensole, le lesene,
i cornicioni, le grondaie e simili, invece,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzioni, le parti dell'edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati (c.d.
aggettanti) che, se pur non corrispondono a
volumi abitativi coperti, sono destinate ad
estendere ed ampliare la consistenza del
fabbricato.
Lo stesso può dirsi per le opere di
contenimento, che, comunque progettate in
relazione alla situazione dei luoghi ed alla
soluzione esteticamente ritenuta più
confacente dal committente, hanno una
struttura che deve essere idonea per
consistenza e modalità costruttive ad
assolvere alla funzione di contenimento ed
una funzione, che non è quella di
delimitare, proteggere ed eventualmente
abbellire la proprietà, ma essenzialmente di
sostenere il terreno al fine di evitare
movimenti franosi dello stesso (1).
2. Al fine di individuare se un manufatto
sia o meno interrato, va fatto riferimento
al livello naturale del terreno, con la
conseguenza che la sporgenza di un manufatto
dal suolo va riscontrata con riferimento al
piano di campagna, cioè al livello naturale
del terreno, e non al livello eventualmente
inferiore cui si trovi un finitimo edificio
realizzato con abbassamento di quel piano
(2).
3. Ai sensi dell'art. 9 della l. 24.03.1989
n. 122, la realizzazione di autorimesse e
parcheggi è soggetta alla disciplina
urbanistica dettata per le ordinarie nuove
costruzioni fuori terra, se non effettuata
totalmente al di sotto del piano di campagna
naturale (3).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, sez. IV,
30.06.2005, n. 3539.
V. anche Cassazione civile, sez. II,
17.06.2011, n. 13389, secondo cui, "ai fini
dell'osservanza delle norme sulle distanze
legali di origine codicistica o prescritte
dagli strumenti urbanistici in funzione
integrativa della disciplina privatistica,
la nozione di costruzione non si identifica
con quella di edificio ma si estende a
qualsiasi manufatto non completamente
interrato che abbia i caratteri della
solidità, stabilità, ed immobilizzazione al
suolo, anche mediante appoggio,
incorporazione o collegamento fisso ad un
corpo di fabbrica preesistente o
contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di
elevazione dell'opera.
La giurisprudenza civile di merito,
altrettanto condivisibilmente, ad avviso del
Collegio ha poi fatto presente che ai fini
del rispetto delle distanze fra costruzioni,
non rileva il materiale utilizzato per la
fabbrica, richiedendosi soltanto una
durevolezza dell'opera comunemente
riconoscibile anche alle opere in legno o
ferro od altri materiali leggeri, purché
infissi al suolo non transitoriamente.
Ne consegue la permanente vigenza
dell’insegnamento della Corte di legittimità
secondo il quale "costituisce costruzione,
agli effetti della disciplina del c.c. sulle
distanze legali, ogni manufatto che, per
struttura e destinazione, ha carattere di
stabilità e permanenza (nella specie il
manufatto, con finestra, era coperto da
tettoia formata da travi con soprastanti
lamiere, ed era destinato a fienile,
magazzino e pollaio). "(Cassazione civile,
sez. II, 24.05.1997, n. 4639).
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 06.12.2010, n.
8547 ed in passato Cons. Stato, sez. V,
21.10.1991, n. 1231, secondo la quale
soltanto "i locali costruiti al di sotto
dell'originario piano di campagna non sono
infatti computabili ai fini
dell'applicazione degli standards
urbanistici e non concernono al computo
della volumetria.".
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27.11.2010,
n. 8260 (massima tratta da
www.regione-piemonte.it -
Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2012 n. 2847 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema
di distanze legali tra edifici o dal
confine, mentre non sono a tal fine
computabili le sporgenze estreme del
fabbricato che abbiano funzione meramente
ornamentale, di finitura od accessoria di
limitata entità, come le mensole, le lesene,
i cornicioni, le grondaie e simili, invece,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzioni, le parti dell'edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati (c.d.
aggettanti) che, se pur non corrispondono a
volumi abitativi coperti, sono destinate ad
estendere ed ampliare la consistenza del
fabbricato.
Lo stesso può dirsi per le opere di
contenimento che, comunque progettate in
relazione alla situazione dei luoghi ed alla
soluzione esteticamente ritenuta più
confacente dal committente, hanno una
struttura che deve essere idonea per
consistenza e modalità costruttive ad
assolvere alla funzione di contenimento ed
una funzione, che non è quella di
delimitare, proteggere ed eventualmente
abbellire la proprietà, ma essenzialmente di
sostenere il terreno al fine di evitare
movimenti franosi dello stesso.
Opere tali da dovere essere riguardate,
sotto il profilo edilizio, come opere dotate
di una propria specificità ed autonomia, in
una accezione che comprende tutte le
caratteristiche proprie dei fabbricati,
donde l'obbligo di rispetto di tutti gli
indici costruttivi prescritti dallo
strumento urbanistico e, in particolare,
delle distanze dal confine privato.
---------------
Ai fini dell'osservanza delle norme sulle
distanze legali di origine codicistica o
prescritte dagli strumenti urbanistici in
funzione integrativa della disciplina
privatistica, la nozione di costruzione non
si identifica con quella di edificio ma si
estende a qualsiasi manufatto non
completamente interrato che abbia i
caratteri della solidità, stabilità, ed
immobilizzazione al suolo, anche mediante
appoggio, incorporazione o collegamento
fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o
contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di
elevazione dell'opera.
Ai fini del rispetto delle distanze fra
costruzioni non rileva il materiale
utilizzato per la fabbrica, richiedendosi
soltanto una durevolezza dell'opera
comunemente riconoscibile anche alle opere
in legno o ferro od altri materiali leggeri,
purché infissi al suolo non
transitoriamente.
---------------
Costituisce costruzione, agli effetti della
disciplina del c.c. sulle distanze legali,
ogni manufatto che, per struttura e
destinazione, ha carattere di stabilità e
permanenza (nella specie il manufatto, con
finestra, era coperto da tettoia formata da
travi con soprastanti lamiere, ed era
destinato a fienile, magazzino e pollaio).
---------------
Analoga nozione estensiva del concetto di
“fabbricato” è stata dettata dalla Corte di
Cassazione ai fini dell'art. 907 c.c.,
diretto a preservare l'esercizio delle
vedute da ogni eventuale ostacolo con
carattere di stabilità, in quanto la nozione
di costruzione è comprensiva non solo dei
manufatti in calce e mattoni, ma di
qualsiasi opera che, indipendentemente dalla
forma e dal materiale con cui è stata
realizzata, determini un ostacolo del genere
(nella specie, il giudice del merito aveva
ritenuto che costituisse costruzione nel
senso anzidetto una veranda che ostacolava
la veduta dal balcone e dalla finestra
sovrastanti, anche se ottenuta mediante la
posa in opera, su correntini infissi nel
muro, di lastre di fibrocemento facilmente
asportabili, in quanto bullonate a tali
correntini. La C.S., nell'enunciare il
precisato principio di diritto, ha
confermato tale decisione).
Rileva in proposito il Collegio che, per
condivisa giurisprudenza di questo Consiglio
di Stato, “in tema di distanze legali tra
edifici o dal confine, mentre non sono a tal
fine computabili le sporgenze estreme del
fabbricato che abbiano funzione meramente
ornamentale, di finitura od accessoria di
limitata entità, come le mensole, le lesene,
i cornicioni, le grondaie e simili, invece,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzioni, le parti dell'edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati (c.d.
aggettanti) che, se pur non corrispondono a
volumi abitativi coperti, sono destinate ad
estendere ed ampliare la consistenza del
fabbricato.
Lo stesso può dirsi per le opere di
contenimento, quali indubbiamente si
configurano quelle di cui al caso di specie
che, comunque progettate in relazione alla
situazione dei luoghi ed alla soluzione
esteticamente ritenuta più confacente dal
committente, hanno una struttura che deve
essere idonea per consistenza e modalità
costruttive ad assolvere alla funzione di
contenimento ed una funzione, che non è
quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma
essenzialmente di sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello
stesso.
Opere tali da dovere essere riguardate,
sotto il profilo edilizio, come opere dotate
di una propria specificità ed autonomia, in
una accezione che comprende tutte le
caratteristiche proprie dei fabbricati,
donde l'obbligo di rispetto di tutti gli
indici costruttivi prescritti dallo
strumento urbanistico e, in particolare,
delle distanze dal confine privato”
(Consiglio Stato, sez. IV, 30.06.2005, n.
3539)
In modo pressoché simmetrico, la
giurisprudenza civile di legittimità ha
ancora di recente condivisibilmente
affermato che “ai fini dell'osservanza
delle norme sulle distanze legali di origine
codicistica o prescritte dagli strumenti
urbanistici in funzione integrativa della
disciplina privatistica, la nozione di
costruzione non si identifica con quella di
edificio ma si estende a qualsiasi manufatto
non completamente interrato che abbia i
caratteri della solidità, stabilità, ed
immobilizzazione al suolo, anche mediante
appoggio, incorporazione o collegamento
fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o
contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di
elevazione dell'opera” (Cassazione
civile, sez. II, 17.06.2011, n. 13389).
La giurisprudenza civile di merito,
altrettanto condivisibilmente, ad avviso del
Collegio ha poi fatto presente che ai fini
del rispetto delle distanze fra costruzioni
non rileva il materiale utilizzato per la
fabbrica, richiedendosi soltanto una
durevolezza dell'opera comunemente
riconoscibile anche alle opere in legno o
ferro od altri materiali leggeri, purché
infissi al suolo non transitoriamente.
Ne consegue la permanente vigenza
dell’insegnamento della Corte di legittimità
secondo il quale “costituisce
costruzione, agli effetti della disciplina
del c.c. sulle distanze legali, ogni
manufatto che, per struttura e destinazione,
ha carattere di stabilità e permanenza
(Nella specie il manufatto, con finestra,
era coperto da tettoia formata da travi con
soprastanti lamiere, ed era destinato a
fienile, magazzino e pollaio)“
(Cassazione civile, sez. II, 24.05.1997, n.
4639).
Per completezza –tenuto conto dei profili
sollevati dall’appellato nella propria
memoria di replica- si evidenzia che analoga
nozione estensiva del concetto di “fabbricato”
è stata dettata dalla Corte di Cassazione ai
fini dell'art. 907 c.c., diretto a
preservare l'esercizio delle vedute da ogni
eventuale ostacolo con carattere di
stabilità, “in quanto la nozione di
costruzione è comprensiva non solo dei
manufatti in calce e mattoni, ma di
qualsiasi opera che, indipendentemente dalla
forma e dal materiale con cui è stata
realizzata, determini un ostacolo del
genere. (Nella specie, il giudice del merito
aveva ritenuto che costituisse costruzione
nel senso anzidetto una veranda che
ostacolava la veduta dal balcone e dalla
finestra sovrastanti, anche se ottenuta
mediante la posa in opera, su correntini
infissi nel muro, di lastre di fibrocemento
facilmente asportabili, in quanto bullonate
a tali correntini. La C.S., nell'enunciare
il precisato principio di diritto, ha
confermato tale decisione)” (Cassazione
civile, sez. II, 21.10.1980, n. 5652)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2012 n. 2847 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Serre, inapplicabili le norme
sulle distanze per gli edifici.
I dati normativi
convergono nel disporre che le serre non
debbano essere qualificate come costruzioni.
Pertanto, nel caso di specie avrebbe dovuto
essere applicata non la distanza per le
edificazioni ma quella prevista per la
piantagione degli alberi, misurata, per le
ragioni esposte, a partire dalla sede di
occupazione dell’autostrada.
La corte amministrativa pugliese ha
esaminato le disposizioni relative alla
violazione sostanziale delle norme in
materia di distanze delle costruzione e
delle piantagioni dalla sede autostradale.
Il disposto dell’art. 9 L. 729/1961, prevede
che “Lungo i tracciati delle autostrade e
i relativi accessi, previsti sulla base dei
progetti regolarmente approvati, è vietato
costruire, ricostruire o ampliare edifici o
manufatti di qualsiasi specie a distanza
inferiore a metri 25 dal limite della zona
di occupazione dell’autostrada stessa. La
distanza è ridotta a metri 10 per gli alberi
da piantare”.
La lettura della norma chiarisce quindi
expressis verbis, innanzitutto, che
la distanza va misurata a partire dalla zona
di occupazione dell’autostrada, e non dal
confine della proprietà autostradale;
pertanto il parere negativo espresso dalla
società Autostrade, sulla cui base è stata
negata dal Comune la sanatoria, risulta
viziato nella parte in cui quantifica la
distanza minima delle opere dal confine
autostradale, riportando la misura di m.
1,50.
Ma deve anche rilevarsi che, nel caso di
specie, non è applicabile, come sostenuto
dalla ricorrente, la distanza prevista per
le costruzioni.
A tale conclusione conducono infatti sia il
disposto del decreto del Ministro dei lavori
pubblici del 16.12.1987, secondo cui la
costruzione di serre smontabili in fregio
all’autostrada non costituisce edificazione,
sia la disciplina dell’art. 59 l.r. 1/2005,
secondo cui “le serre e i loro annessi
non sono da considerarsi costruzioni,
indipendentemente dai materiali usati per la
loro realizzazione e dai sistemi di
ancoraggi”.
I dati normativi convergono dunque nel
disporre che le serre non debbano essere
qualificate come costruzioni e, pertanto,
nel caso di specie avrebbe dovuto essere
applicata non la distanza per le
edificazioni ma quella prevista per la
piantagione degli alberi, misurata, per le
ragioni esposte, a partire dalla sede di
occupazione dell’autostrada (commento tratto
da www.ipsoa.it - TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 05.04.2012 n. 682 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Creazione di un dislivello
mediante accumulo di terra - Modifica
dell’andamento naturale del terreno
-Alterazione dello scolo naturale delle
acque - Nuova costruzione - Assoggettamento
alle norme sulle distanze.
La creazione di un dislivello, mediante
accumulo di terra, che non trova riscontro
in un preesistente stato del luogo, comporta
una rilevante modifica dell’andamento
naturale del terreno e altera il naturale
scolo delle acque, assumendo, quale non
esigua modifica dell’andamento naturale del
terreno, le caratteristiche di nuova
costruzione (Cass., II, 21/05/1997, n. 4511;
Cons. Stato, V, 12/04/2005, n. 1619), come
tale assoggettata alle norme sulle distanze
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 15.07.2011 n. 1203 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Debbono
ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873
c.c., anche il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell’uomo per accentuare il naturale
dislivello esistente tra i fondi.
Per costante giurisprudenza debbono
ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873
c.c., anche il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell’uomo per accentuare –come nel caso di
specie– il naturale dislivello esistente tra
i fondi (Cass., II, 22.01.2010, n. 1217;
id., 10.01.2006, n. 145; id., 15.06.2001, n.
8144; TAR Marche, I, 10.02.2009, n. 18).
Né può ritenersi che, in ragione dell’art.
16 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di
Sanremo, le norme sulle distante stabilite
dal piano si applichino soltanto alle
costruzioni aventi la consistenza di veri e
propri edifici.
La parola fabbricato deve infatti intendersi
non già secondo l’uso comune, bensì secondo
il significato proprio della parola,
significato che, in materia di proprietà
fondiaria e di distanze nelle costruzioni, è
quello risultante dall’opera nomofilattica
della Suprema Corte, più sopra richiamata.
Donde l’illegittimità del permesso di
costruire in sanatoria 30.06.2006, nella
parte in cui ha inteso legittimare
l’innalzamento del terrapieno e del muro a
confine dei due fondi oltre il naturale
dislivello preesistente, in contrasto con la
norma di P.R.G. relativa alla zona agricola
E1a, che fissa in 5 metri dal confine la
distanza minima per le nuove costruzioni
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.07.2011 n. 1087 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'esonero
dal rispetto delle distanze legali previsto
dall'articolo 879, comma 2, c.c. per le
costruzioni a confine con piazze e vie
pubbliche, va riferito anche alle
costruzioni a confine delle strade di
proprietà privata gravate da servitù
pubbliche di passaggio, giacché il carattere
pubblico della strada, rilevante ai fini
dell'applicazione della norma citata,
attiene più che alla proprietà del bene,
piuttosto all'uso concreto di esso da parte
della collettività.
La
giurisprudenza della Cassazione più recente
ha ritenuto che “L'esonero dal rispetto
delle distanze legali previsto dall'articolo
879, comma 2, c.c. per le costruzioni a
confine con piazze e vie pubbliche, va
riferito anche alle costruzioni a confine
delle strade di proprietà privata gravate da
servitù pubbliche di passaggio, giacché il
carattere pubblico della strada, rilevante
ai fini dell'applicazione della norma
citata, attiene più che alla proprietà del
bene, piuttosto all'uso concreto di esso da
parte della collettività” (Cass. civ.,
sez. II, 05.03.2008, n. 6006).
La strada in questione, come risulta dalla
trascrizione per vendita, è una strada
interpoderale a servizio dei lotti e come
tale deve essere ritenersi soggetta alle
normative sulle distanze legali,ribadite con
riferimento alle strade interpoderali dalle
stesse N.T.A. (art. 119)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 15.06.2011 n. 1059 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Lavatelli,
Le
distanze tra i fabbricati e dai confini in
materia edilizia (nota 05.06.2010 -
tratto da www.cameramministrativacomo.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire per la
realizzazione di una canna fumaria. Mancato
rispetto delle distanze di cui all’art. 6,
commi 15 e 17, del D.P.R. n. 1391 del 1970.
E’ illegittimo un permesso di costruire per
la realizzazione di una canna fumaria (nella
specie utilizzata per l’attività di
panetteria), rilasciato in violazione delle
distanze di cui all’art. 6, commi 15 e 17,
del D.P.R. 22.12.1970 n. 1391, secondo cui:
"Le bocche dei camini devono risultare
più alte di almeno un metro rispetto al
colmo dei tetti, ai parapetti ed a qualunque
altro ostacolo o struttura distante meno di
10 metri"; né può avere rilevanza, ai
fini della legittimità del permesso di
costruire, il fatto che il proprietario
dell’immobile posto a distanza inferiore a
quella legale abbia prestato il proprio
consenso alla realizzazione del manufatto,
atteso che le suddette disposizioni hanno
finalità diverse da quelle in materia di
rispetto delle distanze tra le costruzioni,
essendo previste a tutela del superiore
interesse della protezione dall’inquinamento
e, quindi, le norme in questione sono da
ritenere inderogabili (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 12.05.2011 n.
718 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I regolamenti locali richiamati
dall'art. 873 del c.c. (come ad esempio i
piani regolatori) –i quali stabiliscono una
distanza maggiore di tre metri per le
costruzioni sui fondi finitimi–
attribuiscono a ciascun proprietario un
diritto soggettivo perfetto al rispetto
della maggiore distanza, il quale è
tutelabile, in caso di inosservanza, sia con
la riduzione in pristino sia con il
risarcimento del danno.
Si tratta di disposizioni integrative delle
norme del codice civile che hanno carattere
assoluto e non derogabile dai privati in
quanto volte a salvaguardare sia l’interesse
della collettività locale ad un migliore
assetto dell'agglomerato urbano sia
l’aspirazione dei singoli a fruire di un
distacco congruo dalle proprietà limitrofe:
esse dunque tendono a regolare i rapporti
tra residenti su fondi finitimi in modo equo
e fanno sorgere a favore del soggetto
danneggiato da una nuova costruzione il
diritto di chiedere la riduzione in pristino
ai sensi dell’art. 872 del c.c..
Secondo la
giurisprudenza i regolamenti locali
richiamati dall'art. 873 del c.c. (come ad
esempio i piani regolatori) –i quali
stabiliscono una distanza maggiore di tre
metri per le costruzioni sui fondi finitimi–
attribuiscono a ciascun proprietario un
diritto soggettivo perfetto al rispetto
della maggiore distanza, il quale è
tutelabile, in caso di inosservanza, sia con
la riduzione in pristino sia con il
risarcimento del danno (Corte di Cassazione,
sez. II civile – 06/12/1984 n. 6402; sez.
unite civili – 18/06/1985 n. 3659).
Si tratta di disposizioni integrative delle
norme del codice civile che hanno carattere
assoluto e non derogabile dai privati (Corte
di Cassazione, sez. II civile – 09/06/1999
n. 5666), in quanto volte a salvaguardare
sia l’interesse della collettività locale ad
un migliore assetto dell'agglomerato urbano
sia l’aspirazione dei singoli a fruire di un
distacco congruo dalle proprietà limitrofe:
esse dunque tendono a regolare i rapporti
tra residenti su fondi finitimi in modo equo
e fanno sorgere a favore del soggetto
danneggiato da una nuova costruzione il
diritto di chiedere la riduzione in pristino
ai sensi dell’art. 872 del c.c. (Corte di
Cassazione, sez. II civile – 10/04/2001 n.
10471).
E’ stato altresì rilevato che l’applicazione
della sanzione della riduzione in pristino,
richiesta dal vicino danneggiato dalla
costruzione realizzata a distanza non
legale, consegue ipso iure alla
violazione della norma, la quale non lascia
al giudice alcun margine di apprezzamento in
ordine ai pregiudizi prodotti dalla sua
inosservanza (Corte di Cassazione, sez. II
civile – 11/01/2006 n. 213)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 16.02.2011 n. 304 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
tema di distanze legali il muro di
contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi
"costruzione" agli effetti della disciplina
di cui all'art. 873 c.c. per la parte che
adempie alla sua specifica funzione, e,
quindi, dalle fondamenta al livello del
fondo superiore, qualunque sia l'altezza
della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo
smottamento; la parte del muro che si
innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della
funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica
propria delle sue oggettive caratteristiche
di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi
soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell'uomo per creare un dislivello
artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente.
Per giurisprudenza ormai consolidata, in
tema di distanze legali il muro di
contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina di cui
all'art. 873 c.c. per la parte che adempie
alla sua specifica funzione, e, quindi,
dalle fondamenta al livello del fondo
superiore, qualunque sia l'altezza della
parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo
smottamento; la parte del muro che si
innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della
funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica
propria delle sue oggettive caratteristiche
di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi
soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell'uomo per creare un dislivello
artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente (cfr., ex multis,
Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145;
Cons. St., Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579;
Cons. St, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637)
(TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
tema di distanze fra costruzioni o di queste
con i confini vige il regime della c.d.
"doppia tutela", per cui il soggetto che
assume di essere stato danneggiato dalla
violazione delle norme in materia è
titolare, da un lato, del diritto soggettivo
al risarcimento del danno o alla riduzione
in pristino nei confronti dell'autore
dell'attività edilizia illecita (con
competenza del G.O.) e, dall'altra,
dell'interesse legittimo alla rimozione del
provvedimento invalido dell'amministrazione,
quando tale attività sia stata autorizzata,
consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).
La controversia derivante dalla impugnazione
di un permesso di costruire da parte del
vicino che lamenti la violazione delle
distanze legali costituisce una disputa non
già tra privati ma tra privato e pubblica
amministrazione, nella quale la posizione
del primo si atteggia a interesse legittimo,
con conseguente spettanza della
giurisdizione (anche e certamente) al
giudice amministrativo.
Costituisce principio consolidato e pacifico
che in tema di distanze fra costruzioni o di
queste con i confini vige il regime della
c.d. "doppia tutela", per cui il
soggetto che assume di essere stato
danneggiato dalla violazione delle norme in
materia è titolare, da un lato, del diritto
soggettivo al risarcimento del danno o alla
riduzione in pristino nei confronti
dell'autore dell'attività edilizia illecita
(con competenza del G.O.) e, dall'altra,
dell'interesse legittimo alla rimozione del
provvedimento invalido dell'amministrazione,
quando tale attività sia stata autorizzata,
consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).
Il privato, che si ritiene danneggiato da
un'attività edilizia autorizzata, che ha
violato le norme in tema di distanza fra
costruzioni o di queste con i confini, ha
diritto alla c.d. "doppia tutela" che
si caratterizza per essere concorrente ma
separata per le diverse posizioni giuridiche
di diritto soggettivo e interesse.
Pertanto per tali controversie la
giurisdizione spetta al giudice
amministrativo, qualora si tratti di
impugnazione del relativo provvedimento per
l'annullamento di quest'ultimo, poiché in
tal caso si fa valere una posizione di
interesse legittimo, mentre spetta al
giudice ordinario, qualora venga richiesto
il risarcimento del danno, ovvero alla
rimozione dell'opera (in tal caso infatti è
implicita una richiesta di disapplicazione
dell'atto medesimo) (in tal senso, tra
tante, si veda Consiglio Stato, sez. V,
24.10.1996 , n. 1273).
La controversia derivante dalla impugnazione
di un permesso di costruire da parte del
vicino che lamenti la violazione delle
distanze legali costituisce una disputa non
già tra privati ma tra privato e pubblica
amministrazione, nella quale la posizione
del primo si atteggia a interesse legittimo,
con conseguente spettanza della
giurisdizione (anche e certamente) al
giudice amministrativo (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In tema di distanze nelle
costruzioni, qualora gli strumenti
urbanistici stabiliscano determinate
distanze dal confine e nulla aggiungano
sulla possibilità di costruire «in aderenza»
od «in appoggio», la preclusione di dette
facoltà non consente l'operatività del
principio della prevenzione.
In tema di distanze nelle costruzioni,
qualora gli strumenti urbanistici
stabiliscano determinate distanze dal
confine e nulla aggiungano sulla possibilità
di costruire «in aderenza» od «in
appoggio», la preclusione di dette
facoltà non consente l'operatività del
principio della prevenzione (Cassazione
civile, sez. II, 09.04.2010, n. 8465 )
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quando
il muro divisorio è comune “la distanza va
calcolata dalla parete esterna del muro più
vicina ai manufatti, per l'assorbente e
decisiva considerazione che, in tal ipotesi,
il confine tra il fondo di proprietà
esclusiva in cui si trovano le opere per le
quali è prescritta la distanza e quello di
proprietà aliena, è costituito dal detto
muro e non dalla sua linea mediana, perché
l'intero muro, essendo indiviso, si
considera anche altrui rispetto al
proprietario del fondo nel quale sono state
sistemate le opere in questione.
La
Giurisprudenza ha avuto occasione di
osservare che quando il muro divisorio è
comune “la distanza va calcolata dalla
parete esterna del muro più vicina ai
manufatti, per l'assorbente e decisiva
considerazione che, in tal ipotesi, il
confine tra il fondo di proprietà esclusiva
in cui si trovano le opere per le quali è
prescritta la distanza e quello di proprietà
aliena, è costituito dal detto muro e non
dalla sua linea mediana, perché l'intero
muro, essendo indiviso, si considera anche
altrui rispetto al proprietario del fondo
nel quale sono state sistemate le opere in
questione (Cassazione civile, sez. II,
10.03.1987, n. 2479)”.
Per cui, quand’anche il muro si ritenesse
comune, in ogni caso la erigenda costruzione
avrebbe dovuto arretrarsi di 5 mt. rispetto
la parete esterna del muro, senza
considerarne lo spessore, atteso che
nell’ipotesi di muro comune, giustamente
osserva la giurisprudenza, l’intero muro, in
quanto in proprietà indivisa, dev’essere
considerato alieno rispetto al proprietario
del fondo che deve costruire
(C.G.A.R.S.,
sentenza 04.11.2010 n. 1369 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che producono un
dislivello o aumentano quello già esistente
per la natura dei luoghi, costituiscono
nuove costruzioni, idonee a incidere sulla
osservanza delle norme in tema di distanze
dal confine.
Ai fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per la natura dei luoghi,
costituiscono nuove costruzioni.
Viene considerata una costruzione, rilevante
ai fini delle distanze legali, anche un
terrapieno, se creato artificialmente al di
sopra del livello medio del piano di
campagna originario.
Costituisce orientamento consolidato che, ai
fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che producono un
dislivello o aumentano quello già esistente
per la natura dei luoghi, costituiscono
nuove costruzioni, idonee a incidere sulla
osservanza delle norme in tema di distanze
dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV,
24.04.2009, n. 2579; Consiglio Stato, Sez.
V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle
distanze dal confine, il terrapieno ed il
muro di contenimento, che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già
esistente per la natura dei luoghi,
costituiscono nuove costruzioni (Cons.
Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una
costruzione, rilevante ai fini delle
distanze legali, anche un terrapieno, se
creato artificialmente al di sopra del
livello medio del piano di campagna
originario (così Cassazione civile, Sez. II,
11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez.
V, 26.06.2000, n. 3637; anche Cassazione
Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo cui,
ai fini della applicazione delle distanze
legali, il muro di sostegno costituisce
costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
piano casa del Veneto consente di derogare alle distanze dai
confini.
Ad avviso di questo giudice, l’art. 873, nella seconda
parte, in cui stabilisce che “nei regolamenti locali può
essere stabilita una distanza maggiore”, determina la
natura parzialmente dispositiva della previsione contenuta
nella prima parte, ma non comporta, atteso il suo tenore
letterale, un rinvio formale ai regolamenti locali, i quali
non completano dunque la norma di legge e non ne acquistano
comunque la forza.
Inoltre, anche se non si volesse accedere senz’altro a tale
impostazione, bisogna osservare che tra i “regolamenti
locali”, i quali concorrono a disciplinare la materia
delle distanze, devono essere incluse tutte le disposizioni
conferenti non statali e, dunque, anche quelle di fonte
regionale (conf. Cass. 10.05.2004, n. 8848).
Di tali “regolamenti locali”, pertanto, fanno parte
anche le norme, di cui alla l.r. 14/2009, le quali
consentono gli ampliamenti in deroga a tutti i regolamenti
comunali, e dunque anche a quelli sulle distanze: che poi
tali norme di legge regionale, sempre intese come “regolamenti
locali”, prevalgano sul regolamenti comunali non sembra
dubbio, atteso il grado superiore di quelle.
Infine, non si può mancare di osservare come la soluzione
adottata dal Comune di Rosolina tenda a comprimere
l’efficacia di una disciplina di legge in una materia, come
il governo del territorio, dove la potestà legislativa è
affidata alle regioni, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, di competenza statale, tra i quali
non pare tuttavia rientrare il disposto di cui all’art. 873
c.c.: sicché non vi è ragione di ritenere che specifiche
previsioni, contenute in un regolamento comunale in materia
edilizia, possano limitare la forza espansiva della
disciplina di cui alla l.r. 14/2009 (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.10.2010 n. 5694 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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A commento della succitata sentenza si
leggano i seguenti contributi:
2-
La Cassazione aveva già detto 30 anni fa che la distanza di
10 metri tra pareti finestrate implica che ciascun
confinante deve stare a 5 metri dal confine (link
a http://venetoius.myblog.it);
1-
Secondo il TAR il piano casa del Veneto consente di derogare
alle distanze dai confini. Ma è cosa buona? (link
a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sul recupero del sottotetto in Lombardia
con innalzamento di quota in merito: alla distanza minima
dai confini di proprietà, al rispetto della distanza di mt.
10,00 tra pareti finestrate di cui anche abusiva, alla
nozione di sottotetto utile da recuperare in deroga ex L.R.
12/2005.
Occorre precisare in primo luogo che la qualificazione del
recupero del sottotetto come ristrutturazione non è idonea
da sola a rendere automaticamente possibile la
sopraelevazione dell’edificio.
La ristrutturazione è una categoria di interventi edilizi
che si può ripartire in due sottogruppi: da un lato la
ristrutturazione pesante di cui all’art. 10, comma 1, lett.
c), del DPR 380/2001 (ossia quella che conduce a un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e comporta aumento di unità immobiliari o
modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti, delle
superfici) e dall’altro la ristrutturazione leggera
(definita per residualità).
La ristrutturazione pesante equivale nella sostanza a una
nuova costruzione che si aggiunge a una costruzione
esistente. In questo quadro la scelta del legislatore
regionale di definire il recupero del sottotetto come
ristrutturazione non ha contenuto innovativo ma si limita a
utilizzare il concetto di ristrutturazione pesante già
presente nella normativa statale.
Il problema diventa allora fino a che punto la
ristrutturazione pesante abbia regole diverse dalla nuova
edificazione su area libera. In negativo, ovvero sotto il
profilo sanzionatorio, non vi è nessuna differenza, in
quanto l’art. 33, comma 6-bis, e l’art. 34, comma 2-bis, del
DPR 380/2001 prevedono anche in questo caso l’applicazione
di misure ripristinatorie o in subordine pecuniarie come
negli abusi edilizi maggiori. In positivo, ovvero per quanto
riguarda i diritti edificatori, dipende dal grado di
resistenza delle norme che devono essere derogate.
Relativamente alla distanza dai confini si può ritenere che
il recupero del sottotetto comportante sopraelevazione possa
avvenire in deroga alle previsioni stabilite negli strumenti
urbanistici comunali.
In via generale la giurisprudenza (v. Cass. civ. Sez. II
11.06.2008 n. 15527; Cass. civ. Sez. II 12.01.2005 n. 400;
Cass. civ. Sez. II 27.05.2003 n. 8420; Cass. civ. Sez. II
08.01.2001 n. 200) si attiene alla seguente regola:
(a) la sopraelevazione, comportando nuovo volume, richiede
sempre il rispetto della distanza dai confini
indipendentemente dal fatto che in origine vi sia stata
prevenzione nei confronti del proprietario confinante;
(b) tuttavia la normativa comunale può stabilire se e a
quali condizioni sia ammessa la costruzione senza
arretramento.
Nel caso del sottotetto è direttamente il legislatore
regionale che pone la disciplina, sovrapponendosi alle
scelte dei singoli comuni, con un chiaro favore per la
realizzabilità di questo tipo di interventi.
L’art. 64, comma 1, della LR 12/2005 consente modificazioni
delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza
delle falde (con il solo limite dell’altezza massima di
zona) senza alcun riferimento all’arretramento dei muri
esterni in relazione alla distanza dai confini.
L’art. 64, comma 2, della LR 12/2005 precisa ulteriormente
che il recupero del sottotetto è ammesso anche in deroga ai
limiti e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
comunali, ad eccezione del reperimento di spazi per
parcheggi pertinenziali.
La finalità che emerge da queste norme è di far prevalere su
ogni diversa valutazione comunale l’interesse
all’insediamento di nuova volumetria residenziale in
continuità con le costruzioni sottostanti. Vi è quindi
incompatibilità logica con il vincolo della distanza minima
dai confini, che potrebbe compromettere l’utilità del
recupero del sottotetto e alterare in modo disarmonico la
sagoma degli edifici.
Poiché il legislatore regionale si è sostituito ai comuni in
una materia nella disponibilità dei comuni stessi non vi
sono altre ragioni che si oppongano alla possibilità di
sopraelevare lungo il perimetro dell’edificio esistente.
La situazione cambia però radicalmente quando la
sopraelevazione si collochi di fronte a pareti finestrate.
In questo caso la distanza minima di 10 metri prevista (al
di fuori della zona A) dall’art. 9, comma 1, n. 2, del DM
1444/1968 costituisce un ostacolo insuperabile.
La giurisprudenza ha chiarito che questa norma per la sua
genesi (è stata adottata ex art. 41-quinquies, comma 8,
della legge 17.08.1942 n. 1150, come introdotto dall’art. 17
della 06.08.1967 n. 765) e per la sua funzione
igienico-sanitaria (evitare intercapedini malsane)
costituisce un principio inderogabile della materia.
In particolare si tratta di una norma che prevale sia sulla
potestà legislativa regionale, in quanto integra la
disciplina privatistica delle distanze (v. C.Cost.
16.06.2005 n. 232), sia sulla potestà regolamentare e
pianificatoria dei comuni, in quanto deriva da una fonte
normativa statale sovraordinata (v. Cass. civ. Sez. II
31.10.2006 n. 23495), sia infine sull’autonomia negoziale
dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che per la
loro natura igienico-sanitaria non sono nella disponibilità
delle parti (v. CS Sez. IV 12.06.2007 n. 3094).
Si può aggiungere che un’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 64 della LR 12/2005 impedisce di
leggervi una deroga estesa anche all’art. 9 del DM
1444/1968.
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 232/2005 afferma
al punto 4 che le normative locali (regionali o comunali)
possono prevedere distanze inferiori alla misura minima,
però fissa precisi limiti (“le deroghe, per essere
legittime, devono attenere agli assetti urbanistici e quindi
al governo del territorio e non ai rapporti tra vicini
isolatamente considerati in funzione degli interessi privati
dei proprietari dei fondi finitimi”).
Se ne deduce che l’introduzione di deroghe è consentita solo
nell’ambito della pianificazione urbanistica, come
nell’ipotesi espressamente prevista dall’art. 9 comma 3 del
DM 1444/1968, che riguarda edifici tra loro omogenei perché
inseriti in un piano particolareggiato o in un piano di
lottizzazione (per una fattispecie relativa al centro
storico v. TAR Brescia Sez. I 29.09.2009 n. 1712).
Di conseguenza non è possibile per la legge regionale (e
nemmeno per gli strumenti urbanistici comunali) intervenire
nei rapporti tra i privati autorizzando in via generale la
sopraelevazione in deroga alla distanza minima dalle pareti
finestrate: la deroga può essere inserita unicamente in una
previsione normativa dedicata a una situazione urbanistica
particolare in una precisa zona del territorio.
In questo modo si ottiene una ragionevole garanzia circa il
fatto che gli interessi pubblici coinvolti (e specificamente
quelli di natura igienico-sanitaria) siano stati in concreto
valutati e tutelati mediante soluzioni planivolumetriche
adeguate.
Estendendo questa linea argomentativa si può sostenere che
la deroga alla distanza minima dalle pareti finestrate
diventa ammissibile quando non vi siano in concreto pericoli
di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie
all’interno delle abitazioni servite dalle finestre.
Questa situazione può verificarsi in fattispecie
particolari, ad esempio quando il muro da sopraelevare non
si trovi esattamente in corrispondenza della parete
finestrata (v. TAR Brescia Sez. I 03.07.2008 n. 788).
Nel caso in esame i ricorrenti con le due DIA in variante
(v. sopra ai punti 4 e 7) hanno cercato di limitare la
sopraelevazione nella porzione del muro di confine che
fronteggia il cavedio con la parete finestrata, tuttavia non
è stato dimostrato che attraverso queste modifiche il
progetto lasci del tutto immutata la condizione dei locali
che ricevono luce e aria dalle finestre. In realtà per
raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario garantire
alle finestre una fascia di rispetto (intesa come volume
vuoto) di ampiezza tale da rendere neutre le sopraelevazioni
ai lati.
Si osserva che il vincolo della distanza minima dalle pareti
finestrate è efficace anche quando la presenza delle
finestre sia abusiva. L’interesse pubblico di natura
igienico-sanitaria che vieta la formazione di intercapedini
malsane vale infatti in qualunque situazione,
indipendentemente dalla regolarità della costruzione, in
quanto non si colloca soltanto sul piano urbanistico ma
coinvolge anche la tutela della salute.
È quindi necessario ottenere prima la rimozione dell’abuso:
l’eliminazione delle finestre abusive determina di
conseguenza anche la fuoriuscita dalla fattispecie di cui
all’art. 9 del DM 1444/1968. Nel caso in esame i ricorrenti
sostengono che il cavedio, in corrispondenza del primo
piano, sarebbe stato realizzato abusivamente in luogo di un
ripostiglio senza finestre. Peraltro la licenza edilizia
relativa a questi lavori è del 1965 e quindi l’altezza del
cavedio e la presenza delle relative finestre sono ormai
elementi consolidati anche sotto il profilo giuridico.
L’art. 63, comma 1-bis, della
LR 12/2005 definisce il sottotetto come il volume
sovrastante l'ultimo piano degli edifici dei quali sia stato
eseguito il rustico e completata la copertura.
La norma non richiede che lo spazio sia praticabile e non
indica la volumetria o l’altezza minima che distinguono il
sottotetto dalle semplici intercapedini. In considerazione
del favore legislativo per gli interventi di recupero è
preferibile aderire a un’interpretazione estensiva della
nozione di sottotetto, qualificando come tale qualsiasi
volume non del tutto irrilevante che sia compreso tra il
solaio e le falde del tetto e abbia la funzione di tenere
separati questi elementi architettonici. La soglia di
rilevanza può variare a seconda della morfologia
dell’edificio.
Nel caso in esame l’altezza di 0,91 metri (media tra il
valore minimo di 0,60 metri e quello massimo di 1,22 metri)
si può considerare idonea a definire un vero e proprio
locale con autonome seppure limitate funzionalità (ad
esempio soffitta o ripostiglio).
Non è quindi corretto parlare di mera intercapedine,
concetto da riservare agli spazi marginali.
In via generale è compito del responsabile del procedimento
assicurare la completezza della documentazione ai sensi
dell’art. 38, comma 5, della LR 12/2005 prima del rilascio
del permesso di costruire.
L’omissione di questi controlli non garantisce al privato
l’esenzione dall’onere di produzione ma impone
all’amministrazione di fissare un termine per la
regolarizzazione della pratica edilizia prima della
conclusione dei lavori.
Solo nel caso in cui il supplemento istruttorio finalizzato
alla regolarizzazione non abbia dato alcun esito
l’amministrazione è legittimata a considerare inesistente la
certificazione dell’invalidità e ad annullare in autotutela
il permesso di costruire nella parte in cui prevede la
deroga alla distanza minima dai confini (oppure
integralmente se la deroga alla distanza non è scindibile
dal resto del progetto)
(TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 27.08.2010 n. 3240 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
diritto di ottenere la riduzione in pristino di un immobile
costruito senza il rispetto delle distanze legali non si
estingue per il decorso del tempo ma subisce gli effetti
dell'usucapione, in quanto quest’ultimo istituto può dar
luogo all'acquisto di un contrario (e prevalente) diritto a
mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella
legale.
La giurisprudenza equipara
l'azione per il rispetto delle distanze legali a una
negatoria servitutis (v. Cass. civ. Sez. II 21.10.2009
n. 22348) e precisa che il diritto di ottenere la riduzione
in pristino di un immobile costruito senza il rispetto delle
distanze legali non si estingue per il decorso del tempo ma
subisce gli effetti dell'usucapione, in quanto quest’ultimo
istituto può dar luogo all'acquisto di un contrario (e
prevalente) diritto a mantenere la costruzione a distanza
inferiore a quella legale (v. Cass. civ. Sez. II 07.09.2009
n. 19289).
Dunque da una parte non vi è un affidamento tutelabile dei
destinatari della concessione, che hanno fuorviato il
Comune, ma dall’altra non vi è più un affidamento tutelabile
del terzo.
A questo punto solo un autonomo e attuale interesse pubblico
potrebbe sostenere l’annullamento d’ufficio, ma tale
interesse evidentemente non può essere costituito dal mero
ripristino delle distanze minime dal confine, dove vengono
in rilievo norme integrative del codice civile (v. Cass.
civ. Sez. II 10.01.2006 n. 145) che tutelano primariamente
la proprietà confinante. Quando i rapporti tra i privati a
proposito dei confini hanno stabilmente assunto una diversa
sistemazione è preclusa all’amministrazione la possibilità
di intervenire per il ripristino della legalità.
Sarebbero necessari altri interessi pubblici (ad esempio di
natura igienico-sanitaria o collegati alla sicurezza
collettiva) ma di questi non è fornita alcuna puntuale
dimostrazione
(TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1733 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
Corte di Cassazione ha in epoca più recente confermato il
suo orientamento che porta ad escludere che dal concetto di
costruzione, rilevante ai fini dell’assoggettamento al
regime delle distanze, rientrino opere non creative di
volumetria, affermando che integra costruzione un manufatto
che, quantunque privo di pareti, realizzi una determinata
volumetria. E una scala posta all’esterno dell’edificio non
dà luogo affatto ad una volumetria.
Una scala in ferro per l’accesso ad un terrazzo è proprio
una pertinenza e, come tale, soggetta ad autorizzazione.
La recinzione di un edificio, non essendo suscettibile di
valutazione autonoma, costituisce pertinenza del medesimo e,
come tale, è soggetta a autorizzazione e non già a
concessione edilizia.
La concessione edilizia (oggi, permesso di costruire)
legittima l’attività edilizia nell’ordinamento
pubblicistico, disciplinando i rapporti tra Comune e
concessionario, “ma non attribuisce a quest’ultimo
diritti soggettivi verso i terzi, i quali possono agire
innanzi al giudice ordinario per ottenere la rimozione o
modificazione dell’opera lesiva di diritti scaturenti da
rapporti privatistici” (Consiglio di Stato, sez. V,
20.12.1993 n. 1341; Cass. Civ., 21.02.1983 n. 1311).
Non può certo equipararsi un
costruendo edificio complessivamente considerato e
comprensivo anche della sporgenza–scala ad una mera scala
che venga collocata su un preesistente edificio per arrivare
a sostenere che la scala uti singula, per sé sola,
debba essere posta a distanza di metri tre dal confine, come
se detta scala sostanziasse un edificio in muratura.
La statuizione della Corte inerisce, invero, all’ “edificio”
(dal latino aedes, casa) comprensivo della scala e
stabilisce che la di esso distanza va misurata partendo
dalla scala che non costituisca una sporgenza meramente
decorativa ma strutturale. Ma una scala da sola, realizzata
dopo la costruzione dell’edificio preesistente e
semplicemente appoggiata ad esso, è ictu oculi
elemento ontologicamente diverso da un edifico da realizzare
ex novo e comprensivo di una scala. Ed è elemento, la
scala, da sola, di consistenza e aggravio urbanistico
enormemente inferiore rispetto ad un edificio, cui acceda
anche una scala/sporgenza.
Irragionevolmente, dunque, il ricorrente equipara ed
assimila un “edificio”, cioè una casa, più una scala,
ad una semplice scala. Trattasi, intuitivamente, di insiemi
diversi, non di diversi elementi di un unico insieme.
In tale ottica appare condivisibile l’osservazione di cui
alla memoria del controinteressato, circa le caratteristiche
dalla scala de qua, come struttura estremamente
leggera e non in muratura.
Suffraga la tesi espressa dal Collegio, la giurisprudenza
civile di legittimità che intravede la ratio
dell’art. 873 nello scongiurare la formazione di
intercapedini dannose alla sicurezza e alla salubrità dei
fondi, esentando dal relativo regime delle distanza minime,
opere inidonee, per struttura e consistenza, a formare
intercapedini nocive inglobando aria luce (Cass. Civ., II,
08.09.1986, n. 5467).
La Cassazione ha quindi correttamente ritenuto soggetta
all’obbligo di rispetto della distanza minima di cui
all’art. 873 c.c. ogni opera edilizia fuori terra avente
un’apprezzabile consistenza, escludendo da siffatto regime
un scala esterna scoperta.
Va segnalato che la Corte di Cassazione ha in epoca più
recente confermato il suo orientamento che porta ad
escludere che dal concetto di costruzione, rilevante ai fini
dell’assoggettamento al regime delle distanze, rientrino
opere non creative di volumetria, affermando che integra
costruzione un manufatto che, quantunque privo di pareti,
realizzi una determinata volumetria: Cass. Civ.Sez. II,
21.12.1999, n. 14379. E una scala posta all’esterno
dell’edificio non dà luogo affatto ad una volumetria.
Del resto, come correttamente osserva la difesa del
controinteressato nella memoria in data 08.02.2008, le
stesse NTA del Comune di Valperga includono nei manufatti
soggetti alla disciplina sulle distanze, i bow-windows, le
verande, gli spazi porticati e i “vani semiaperti di
scale” (art. 7, punto 4, lett. b) Piano Regolatore
Generale del Comune di Valperga, Norme Tecniche di
Attuazione, doc. 6 produz. controint.) conseguendone che una
scala che non presenti al suo interno una superficie vuota,
un vano, non può essere ragionevolmente assoggettata al
rispetto delle distanze tra costruzioni, non costituendo,
per le ragioni già dette, una costruzione.
Non è poi così pacifico in giurisprudenza l’assunto che una
scala sia assoggettata a concessione e non ad
autorizzazione. In contrario basti segnalare, proprio con
riguardo ad una scala collegante un giardino e un terrazzo,
TAR Campania–Napoli, sez. III, 05.10.1988, n. 240, ad avviso
del quale detta scala in ferro costituisce “se non
pertinenza, un’opera di manutenzione straordinaria soggetta
ad autorizzazione e non a concessione edilizia”. Ancor
più netta è TAR Campania–Napoli, sez. I, 25.07.1990, n. 467,
secondo la quale una scala in ferro per l’accesso ad un
terrazzo è proprio una pertinenza, come tale soggetta ad
autorizzazione.
Il Tribunale partenopeo recentissimamente ha ribadito il
proprio orientamento, affermando che una ringhiera
protettiva e “una scala in ferro per l’accesso ad un
terrazzo si configurano come pertinenze di un immobile,
sicché la loro installazione non è soggetta al preventivo
rilascio della concessione edilizia, bensì al regime
autorizzatorio” (TAR Campania–Napoli, Sez. VII,
20.11.2007, n. 14443) ex art. 4 della L. n. 94/1982 (c.d.
Legge Nicolazzi, pure invocata dalla decisione del Consiglio
di Stato su cui infra).
Ritiene il Collegio di dover aderire al rassegnato
indirizzo, sante il ridotto aggravio edilizio di una scala,
quale quella per cui è causa, costituita da “piccola
carpenteria metallica” com’è incontroverso e non
comportante affatto una impattante alterazione urbanistica.
Relativamente, poi, alla recinzione, la conclusione
medesima, cui il Collegio opina di dover pervenire nel caso
che ne occupa, è suffragata da maggiori supporti
giurisprudenziali e, prima ancora, legislativi. Con ciò,
senza, peraltro, rinnegare i propri precedenti invocati dal
ricorrente, di cui alle sentenze 09.06.1994, n. 293,
212/1997 e 236/1997, le quali appaiono, all’evidenza, non
propriamente calzanti nella soluzione del caso di specie.
Orbene, già il Consiglio di Stato, in materia di recinzioni,
ha chiaramente statuito che “la recinzione di un
edificio, non essendo suscettibile di valutazione autonoma,
costituisce pertinenza del medesimo e, come tale, è soggetta
a autorizzazione e non già a concessione edilizia”
(Consiglio di Stato, Sez. II, 13.11.1991, n. 358/1991 –
Ministero dei Lavori Pubblici, in Il Cons. di Stato, 1993,
I, 145). Massima già espressa con Cons. di Stato, Sez. II,
13.06.1990, n. 566/1990 – Comune di Gallarate, in Il Cons.
di Stato, 1990, I, 1162, che ha affermato che “la
recinzione in muratura di un fabbricato non costituisce
opera edilizia soggetta a concessione, essendo per essa
richiesta una semplice autorizzazione, ai sensi dell’art. 7
D.L. 23.1.1982 n. 9 convertito dalla L 25.03.1982, n. 94”.
Addirittura secondo il Giudice Amministrativo d’appello è
soggetta a mera autorizzazione una recinzione interamente in
muratura e interessante un intero fabbricato.
Non va sottaciuto, sul punto, come meglio si dirà appresso,
che la recinzione di cui è controversia è una modestissima
opera, lunga appena m. 3,90 e poggiante su n muretto di soli
50 cm.
Vale la pena ora confrontarsi con i precedenti di questo
TAR, invocati dal ricorrente,e in particolare con TAR
Piemonte, n. 293/1994, secondo cui la realizzazione di una
recinzione relativa d un’area di notevole ampiezza,
costituita da un basamento in muratura di m. 0,50 con
sovrastante rete metallica alta m. 1,50 importa una
modificazione tale dell’assetto del territorio da rendere
necessaria una concessione edilizia.
Ebbene, il Collegio reputa doveroso calare siffatta
affermazione di principio, nella fattispecie di causa, che
si connota per la peculiarità rappresentata dalla modestia
della recinzione contestata, la quale è lunga solo m. 3,90 e
quindi non può ad essa estendersi quanto questo Tribunale ha
sancito con la pronuncia citata, che aveva ad oggetto “una
recinzione relativa ad un’aera di notevole ampiezza”. In
quel caso l’opera recintava, appunto, un terreno
notevolmente ampio, in rapporto al quale certamente
costituisce modificazione dell’assetto del territorio un
intervento costituente un muro anche non alto (di soli m.
0,50) sormontato da una rete metallica alta m. 1,50. Tale
muro con sovrastante recinzione, se riguardato in una
prospettiva di insieme, rapportata a un’area notevolmente
ampia con lo stesso recintata, chiaramente fa emergere una
considerevole modificazione del territorio, la quale non può
non richiedere la concessione edilizia.
All’evidenza, il caso che ci occupa si differenza non poco
da quello appena delineato, stante l’assoluta modestia della
recinzione in questione, lunga solo m. 3,90.
Non è luogo quindi a farsi questione di applicazione alla
fattispecie di cui è causa, di una decisione resa a
proposito di un’opera notevolmente impattante, siccome
estesa a tutta l’area, notevolmente ampia, che veniva in
quel caso recintata.
Né vale invocare, come fa il ricorrente, nel motivo in
analisi, il presunto contrasto con l’art. 56 della L.Reg.
Piemonte n. 56/1977, posto che tale norma, alla lettera g),
assoggetta ad autorizzazione e non a concessione “le
opere costituenti pertinenze”. E non v’ha dubbio che una
recinzione ed anche una scala metallica posta chiaramente a
servizio dell’immobile abitativo, integrino una pertinenza,
come pure evidenziato nelle citate decisioni del TAR
Campania.
Ma ad avviso del Collegio milita a favore della tesi della
non necessità della concessione in sanatoria e della
sufficienza della mera autorizzazione, un dirimente dato
normativo.
Traendo spunto da quanto adombra il controinteressato nella
memoria di costituzione, secondo la quale la recinzione
sarebbe stata sottoposta ex D.L. 154/1996 alla mera
autorizzazione “comunale soggetta al regime del
silenzio–assenso in attuazione dell’art. 19 della l.n.
241/1990” (pag. 5 memoria 02.11.1999) (in realtà più
correttamente avrebbe dovuto parlare di D.I.A. in attuazione
dell’art. 19 l.cit.) ricorda il Collegio che all’epoca dei
fatti di causa e del rilascio dell’impugnato titolo
concessorio in sanatoria era vigente l’art. 4 della L.
04.12.1993, n. 493, di conversione del D.L. 05.10.1993, n.
398, articolo poi sostituito dall’art. 2, comma 60, della L.
23.12.1996, n. 662 (Legge finanziaria per il 1997), norma
recate la nuova disciplina delle procedure per il rilascio
della concessione edilizia e partorita con il conclamato
intento di semplificare dette procedure apprestando altresì
significativi di strumenti di tutela del privato a fronte
dell’inerzia della P.A.
Orbene, il comma 7 dell’art. 4 della l. n. 493/1993
assoggettava a mera denuncia di inizio di attività una serie
di interventi edilizi minori, annoverando alla lettera c),
proprio “recinzioni, muri di cinta e cancellate”. Ora
va anche soggiunto che siffatta riconduzione delle opere
de quibus al regime semplificato, rectius
liberalizzato della D.I.A., metteva capo ad una facoltà del
privato, posto che i successivi commi 8 e 10 della norma
espressamente subordinavano ad una serie di condizioni “la
facoltà di denuncia di attività ai sensi del comma 7”.
Il che vuol dire che il privato poteva sempre optare per il
tradizionale istituto dell’autorizzazione, in luogo di
quello semplificato della D.I.A..
Ne consegue che il controinteressato, avendo presentato
istanza tesa ad ottenere il titolo edilizio in sanatoria,
benché impropriamente richiesto sub specie di concessione,
ha evidentemente inteso non avvalersi della procedura
semplificata. Ma è chiaro che in tale ipotesi l’intervento
consistente nella recinzione non poteva essere ricondotto e
assoggettato alla concessione edilizia, atteso che il
legislatore lo aveva derubricato, includendolo tra quelli
per i quali il privato aveva facoltà di presentare una
semplice D.I.A., con il risultato che, ove, come nel la
specie, il privato non optasse per la D.I.A., i relativi
interventi dovevano ritenersi assoggettati a mera
autorizzazione e non più a concessione.
Tale conclusione, che ad avviso del Collegio si impone con
caratteri di evidenza, è inoltre supportata dal disposto del
comma 13 della norma in analisi, in forza del quale “l’esecuzione
di opere in assenza della o in difformità della denuncia di
cui al comma 7 comporta la sanzione pecuniaria pari al
doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile
conseguente alla realizzazione delle opere stesse”,
conseguenza che è la spia che il legislatore escludeva gli
interventi in questione dal regime della concessione
edilizia, sanzionandone l’esecuzione in assenza del titolo
tacito, con la sanzione prevista per le opere eseguite in
assenza di autorizzazione e non con quella apprestata
dall’ordinamento per le opere eseguite in assenza di
concessione edilizia, che è la sanzione reale demolitoria
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 25.03.2010 n. 505 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un muro di contenimento tra due
fondi posti a differenti livelli, ove il
dislivello sia stato creato artificialmente,
è da considerarsi costruzione a tutti gli
effetti e come tale soggetta agli obblighi
delle distanze previste dall’art. 873 Cc, e
dalle eventuali disposizioni integrative.
Un muro di contenimento tra due fondi posti
a differenti livelli, ove il dislivello sia
stato creato artificialmente, è da
considerarsi costruzione a tutti gli effetti
e come tale soggetta agli obblighi delle
distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle
eventuali disposizioni integrative (v. Cass.
4511/1997, 4196/1987), principio dal quale
non può che derivare tale assoggettamento,
anche nell’ipotesi di accentuazione del
preesistente livello naturale, per la parte
eccedente quello preesistente
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 22.01.2010 n.
1217). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Applicazione P.R.G.C. in tema di
distanze.
Viene richiesto parere al Servizio scrivente in ordine
all’interpretazione ed all’applicazione di situazioni
–talora presenti nei Piani Regolatori Generali dei Comuni
piemontesi– in tema di distanze.
Si tratta di stabilire quale sia la distanza dal confine di
proprietà da mantenere nel caso di ampliamenti e nuove
costruzioni, nel silenzio della norma sul punto, ed in
presenza di disposizioni che disciplinano solamente il cd.
indice di visuale libera richiamando poi quanto stabilito
dal Codice Civile.
Il Comune elenca quindi una serie di casi e chiede al
servizio di consulenza di valutare la correttezza delle
soluzioni proposte (Regione Piemonte,
parere n. 18/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
P.R.G. del Comune. Applicazione norme di
attuazione in assenza di disposizioni normative nazionali e
regionali.
Vengono chiesti quattro distinti pareri su specifiche
questioni in materia edilizia.
1- Con il primo quesito il Comune segnala che “in passato
è stato permesso il recupero di strutture adibite a fienili
o altro in zona centro storico, purché chiuse su tre lati
(così veniva detto verbalmente); le norme del piano
riportano: “nel centro storico è concessa la
ristrutturazione edilizia di tipo A per l’utilizzazione per
fini abitativi delle strutture tecniche originariamente
destinate al servizio agricolo, con l’esclusione delle
tettoie, quando tali strutture tecniche siano
sostanzialmente incorporate nel nucleo abitativo
preesistente”.
Il Comune chiede di sapere “in che cosa differisce una
struttura tecnica da portico” e se “la chiusura su
tre lati è conditio sine qua non”.
Segnala, altresì, il Comune che “spesso ci si è trovati
di fronte a fabbricati accatastati in un modo (esempio in
classe A4), generalmente prima di una compravendita, e in
realtà si tratta di fabbricati utilizzati come fienile o
magazzini e non si trova in Comune un’adeguata pratica di
cambio di destinazione d’uso”.
A tal proposito, chiede il Comune di sapere “come occorre
comportarsi in tali casi, se occorre prendere atto della
pratica di accatastamento oppure richiedere una pratica di
cambio di destinazione d’uso”.
2- Il Comune richiedente segnala che le norme di P.R.G.C.
recitano: “Non sarà ammessa in alcun caso la
realizzazione di recinzioni cieche per nuove delimitazioni
fondiarie” e “In tutte le zone indicate dal Piano
regolatore generale le recinzioni verso le vie pubbliche e
gli spazi pubblici ad uso pubblico e le vie private debbono
essere “a giorno” e non superare l’altezza massima di mt. 2.
Esse dovranno essere costruite nella parte fuori terra da
uno zoccolo in muratura di mattoni o in calcestruzzo di
altezza non superiore a mt. 0,50 dal suolo, sormontato da
rete metallica o da cancellata metallica, tali da consentire
il massimo di visibilità trasversale. Possono essere
concesse autorizzazioni in deroga, a quanto prescritto in
caso di restauro e completamento di recinzioni esistenti o
muri divisori esistenti, quando non si abbiano, ad esclusivo
giudizio della Commissione Edilizia, a riscontrare ragioni
negative da carattere tecnico ed estetico”.
Chiede, dunque, il Comune di sapere se “una recinzione
costituita da un muro alto 1,60 mt. con delle vedute a
semiluna, situata sul confine tra una zona compromessa e
aree agricole possa essere di danno a diritti di terzi”.
3- Con il terzo quesito, il Comune chiede di sapere se “è
possibile la realizzazione di una scala per accedere ad un
edificio a confine con una piazza pubblica o queste vengono
considerate alla stregua di strade pubbliche e come tale
anche una semplice scala deve arretrare di x metri”.
4- Con il quarto quesito, il Comune chiede di sapere se “nel
caso di oneri pagati per una ristrutturazione che
successivamente, per vari motivi, non si vuole più eseguire,
l’Ente Comunale è tenuto a restituire la somma versata per
il rilascio degli oneri” (Regione Piemonte,
parere n. 2/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Manufatto - Volume tecnologico -
Creazione di volume - Stabilità - Disciplina distanze dal
confine - Ordine di rimozione - Legittimità.
Un manufatto, anche se destinato a coprire un cassone per
deposito rifiuti, non si può qualificare come impianto
tecnologico se ha una dimensione tale da creare volume
utilizzabile ad altro scopo e risulta stabilmente affisso al
suolo e, in quanto struttura rilevante dal punto di vista
edilizio, si applica la disciplina delle distanze dal
confine, risultando legittimamente adottato l'ordine di
rimozione dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.12.2009 n. 5739 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Legittimità
alla deroga alle prescrizioni del P.R.G. vigente che
impongono il rispetto delle distanze di confine.
E’ chiesto
parere in merito alla legittimità della previsione e della
realizzazione di un’opera pubblica in deroga alle
prescrizioni del P.R.G.C. che impongono il rispetto della
distanza di mt. 5 dal confine (Regione Piemonte,
parere n. 125/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
norme sulle distanze tra le costruzioni o
tra queste ed i terreni confinanti,
contenute nel Codice Civile (come quelle
contenute per es. negli artt. 873, 905, 906
e 907 C.C.), sono derogabili (per usucapione
o mediante convenzione, la quale in tali
casi costituisce un vero e proprio diritto
di servitù, in quanto arreca una menomazione
per l’immobile che avrebbe diritto alla
distanza legale), in quanto la predetta
normativa del Codice Civile ha lo scopo di
tutelare i reciproci diritti soggettivi dei
singoli proprietari e/o i rapporti
intersoggettivi di vicinato (per es. l’art.
873 C.C. mira unicamente ad evitare la
creazione di intercapedini antigieniche e
pericolose.
Mentre le norme sulle distanze tra le
costruzioni o tra queste ed i terreni
confinanti, contenute negli strumenti
urbanistici e/o nei Regolamenti Edilizi
comunali, poiché trascendono l’interesse
meramente privatistico, in quanto hanno la
funzione di tutelare l’interesse pubblico
alla realizzazione di un determinato assetto
urbanistico prefigurato, non possono essere
derogate (le apposite convenzioni sono
invalide anche nei rapporti interni tra i
proprietari confinanti) e la loro violazione
comporta la facoltà del vicino di chiedere
la riduzione in pristino.
Secondo pacifico orientamento
giurisprudenziale (cfr. con riferimento
all’art. 905 C.C. Cass. Civ. Sez. II Sent.
n. 4605 del 14.07.1981; con riferimento
all’art. 873 C.C. cfr. Cass. Civ. Sez. II
Sent. n. 19449 del 28.09.2004; Cass. Civ.
Sez. II Sent. n. 2117 del 04.02.2004; Cass.
Civ. Sez. II Sent. n. 12984 del 23.11.1999;
Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 8260 del
13.08.1990; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 5711
del 27.06.1987; Cass. Civ. Sez. II Sent. n.
4737 del 27.05.1987; Cass. Civ. Sez. II
Sent. n. 2331 del 30.03.1983; Cass. Civ.
Sez. II Sent. n. 5117 del 05.10.1982; Cass.
Civ. Sez. II Sent. n. 287 del 12.01.1980;
Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 60 del
05.01.1980), che questo Tribunale condivide
(cfr. TAR Basilicata Sent. n. 519 del
04.09.2007):
1) le norme sulle distanze tra le
costruzioni o tra queste ed i terreni
confinanti, contenute nel Codice Civile
(come quelle contenute per es. negli artt.
873, 905, 906 e 907 C.C.), sono derogabili
(per usucapione o mediante convenzione, la
quale in tali casi costituisce un vero e
proprio diritto di servitù, in quanto arreca
una menomazione per l’immobile che avrebbe
diritto alla distanza legale), in quanto la
predetta normativa del Codice Civile ha lo
scopo di tutelare i reciproci diritti
soggettivi dei singoli proprietari e/o i
rapporti intersoggettivi di vicinato (per
es. l’art. 873 C.C. mira unicamente ad
evitare la creazione di intercapedini
antigieniche e pericolose; mentre l’art. 905
C.C. ha la finalità di proteggere la
riservatezza del proprietario frontistante,
la quale ai sensi del 3° comma dello stesso
art. 905 viene meno se tra i due fondi vi è
una via pubblica o soggetta ad uso
pubblico);
2) mentre le norme sulle distanze tra le
costruzioni o tra queste ed i terreni
confinanti, contenute negli strumenti
urbanistici e/o nei Regolamenti Edilizi
comunali, poiché trascendono l’interesse
meramente privatistico, in quanto hanno la
funzione di tutelare l’interesse pubblico
alla realizzazione di un determinato assetto
urbanistico prefigurato, non possono essere
derogate (le apposite convenzioni sono
invalide anche nei rapporti interni tra i
proprietari confinanti) e la loro violazione
comporta la facoltà del vicino di chiedere
la riduzione in pristino
(TAR Basilicata,
sentenza 17.11.2009 n. 766 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
piscina è, di fatto, una cisterna di acqua:
una cisterna-vasca a cielo aperto, che si
differenzia dalle cisterne-deposito soltanto
per la destinazione al nuoto, per gli
abbellimenti, la impermeabilizzazione e le
attrezzature idriche connesse, ma che
concettualmente null'altro è se non un
contenitore di acqua.
L'art. 889 c.c. nel disciplinare la distanza
da osservare nella costruzione di
determinate opere (pozzi, cisterne, fosse,
tubi) presso il confine, tiene conto della
loro potenziale attitudine ad arrecare danno
alla proprietà contigua stabilendo per esse
una presunzione assoluta di pericolosità.
Tra dette opere non rientrano i contenitori
interrati, prefabbricati o realizzati in
loco (nella specie: serbatoio di eternit) a
tenuta impermeabile con la funzione di
contenere le infiltrazioni e i travasamenti
nel fondo finitimo, in quanto per tali
contenitori non soccorre la presunzione
assoluta di pericolosità, ed è, pertanto,
necessario accertare in concreto, sulla base
delle loro specifiche caratteristiche
(struttura e composizione del materiale,
distanza dal confine), se abbiano o meno
attitudine a cagionare danno.
L'elencazione di cui all'art. 889 c.civile è
tassativa. Sennonché, senza utilizzare in
alcun modo l'analogia, una piscina è, di
fatto, una cisterna di acqua: una
cisterna-vasca a cielo aperto, che si
differenzia dalle cisterne-deposito soltanto
per la destinazione al nuoto, per gli
abbellimenti, la impermeabilizzazione e le
attrezzature idriche connesse, ma che
concettualmente null'altro è se non un
contenitore di acqua.
Le disposizioni di cui agli art. 889 e 891
c.c. si riferiscono a fattispecie del tutto
diverse tra loro, in considerazione della
specificità sia della natura delle opere in
esse rispettivamente previste, sia della "ratio"
cui ciascuna è informata. Infatti, la
prescrizione di cui all'art. 889 c.c.
(distanze per pozzi, cisterne, fossi e tubi)
mira ad evitare il pericolo di infiltrazioni
a danno del fondo del vicino (nei cui
confronti prevede una presunzione assoluta
di danno), allorché le opere in essa
indicate siano eseguite a distanza inferiore
di due metri dal confine, mentre la norma di
cui all'art. 891 c.c. (distanze tra i
canali, i fossi ed il confine) è ispirata
all'esigenza di scongiurare il pericolo di
franamento che tali opere possono cagionare
nei confronti del fondo del vicino
(Cassazione civile, sez. II, 19.06.1995, n.
6928).
Dunque l'art. 889 mira a prevenire le
infiltrazioni; ma va ricordato che la
giurisprudenza ha escluso la presunzione di
pericolo per i contenitori in metallo o
cemento prefabbricato, ed anche per quelli
costruiti in loco purché in maniera
impermeabile.
L'art. 889 c.c. nel disciplinare la distanza
da osservare nella costruzione di
determinate opere (pozzi, cisterne, fosse,
tubi) presso il confine, tiene conto della
loro potenziale attitudine ad arrecare danno
alla proprietà contigua stabilendo per esse
una presunzione assoluta di pericolosità.
Tra dette opere non rientrano i contenitori
interrati, prefabbricati o realizzati in
loco (nella specie: serbatoio di eternit) a
tenuta impermeabile con la funzione di
contenere le infiltrazioni e i travasamenti
nel fondo finitimo, in quanto per tali
contenitori non soccorre la presunzione
assoluta di pericolosità, ed è, pertanto,
necessario accertare in concreto, sulla base
delle loro specifiche caratteristiche
(struttura e composizione del materiale,
distanza dal confine), se abbiano o meno
attitudine a cagionare danno (Cassazione
civile, sez. II, 08.04.1986, n. 2436).
Nel caso di specie la CTU ha accertato che
trattasi di piscina prefabbricata con pareti
in pannelli di acciaio, rivestiti con uno
strato di poliestere al silicone. L'insieme
dei pannelli e contrafforti reggispinta è
ancorato ad una soletta perimetrale.
L'impermeabilizzazione è assicurata da un
rivestimento in telo PVC saldato a caldo. Le
esondazioni sono prevenute mediante scarichi
di troppo pieno.
Il CTU ha poi chiarito che pericoli di
infiltrazioni potrebbero derivare soltanto
dall'abbandono prolungato del manufatto,
mentre un suo normale utilizzo non dà motivo
di temere infiltrazioni.
Quindi, seguendo la convincente
giurisprudenza sopra citata, l'ambito di
applicazione dell'art. 889 c.civ. va ridotto
alle cisterne e vasche non impermeabili, e
va escluso in ipotesi come quella di cui si
discute, nella quale si è in presenza di una
vasca con struttura in metallo
impermeabilizzata, e dotata di opportuni
scarichi
(Corte d'Appello di Firenze, Sez. I civile,
sentenza 19.06.2009 n. 814). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ai
fini dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine,
il terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto
un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente
per natura dei luoghi costituiscono costruzioni.
Si richiama l'indirizzo di
questo Consiglio che ha avuto modo di osservare come ai fini
dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il
terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto un
dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per
natura dei luoghi costituiscono costruzioni (Cons. St., sez.
V, 12.04.2005, n. 1619; id., n. 2000, n. 3637; Cass. civ.,
sez. II, 01.03.1995, n. 2342; id., 28.11.1991, n. 12763)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 24.04.2009 n. 2579 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Muro di sostegno e distanze.
La circostanza che una concessione limiti
l’altezza di un muro a tre metri non elide
affatto la sua natura di costruzione ed
impone in ogni caso il rispetto dei cinque
metri dal confine (TAR Abruzzo-Aquila, sez.
I,
sentenza 10.03.2009 n. 140 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Quesito 2 -
Sul carattere integrativo o meno dell'art. 873 del c.c.
riguardo alle disposizioni del piano regolatore che
stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni dal
confine del fondo (Geometra Orobico n. 5/2008). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
tema di distanze legali, solo il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi
"costruzione" agli effetti della disciplina delle distanze
per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e,
quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore,
qualunque sia l'altezza della parete naturale o della
scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo
smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano
del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della
funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta
alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti,
perché costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad
opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente.
I requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma
dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle
distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle
facce, l'altezza non superiore a metri 3, la sua
destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla
separazione e chiusura della proprietà; mentre quando non si
è in presenza di un dislivello naturale, ma si tratta di un
dislivello di origine artificiale deve essere considerato
costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve
in modo permanente e definitivo anche alla funzione di
contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo.
L’intervento assentito con
l’impugnato permesso di costruire consiste nella
realizzazione di un terrapieno artificiale con mura di
tamponamento, necessario per portare “a livello”
della strada il terreno adiacente all’immobile degli
appellanti e consentire così la creazione di un parcheggio
scoperto e di un muretto che lo delimita.
Tale intervento costituisce una “nuova costruzione” e
non può essere qualificato come manutenzione straordinaria
(semplice sistemazione di spazi aperti comportante modifica
alle quote dei terreni), come affermato dagli appellanti e
ritenuto dal Comune (cfr., Cons. Stato, V, n. 1835/1999).
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che in tema di
distanze legali, solo il muro di contenimento di una
scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina delle distanze per la parte
che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle
fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia
l'altezza della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la
parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di
conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla
disciplina giuridica propria delle sue oggettive
caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti,
perché costruzioni nel senso sopra specificato, il
terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad
opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per
accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. civ, II,
n. 145/2006; n. 243/1992; n. 12763/1991; Cons. Stato, n.
5213/2007).
E’ stato anche precisato che i requisiti essenziali del muro
di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato
nel computo delle distanze legali, sono costituiti
dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri
3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di
confine e alla separazione e chiusura della proprietà;
mentre quando non si è in presenza di un dislivello
naturale, ma si tratta di un dislivello di origine
artificiale deve essere considerato costruzione in senso
tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e
definitivo anche alla funzione di contenimento di un
terrapieno creato dall'opera dell'uomo (Cass. civ., II, n.
8144/2001)
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 13.06.2008 n. 2954- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Distanze dal muro di cinta e valutazione
delle scelte estetiche.
Il muro di cinta di altezza non
superiore ai tre metri, pur essendo una costruzione in senso
materiale, non è considerato tale ai fini delle distanze
legali per la sua mancanza di autonomia strutturale,
costituendo una semplice protezione del fondo: per il
computo delle distanze tra costruzioni vanno quindi presi in
considerazione gli edifici che si trovano rispettivamente al
di qua e al di là del muro di cinta, come se questo non
esistesse, per cui la distanza di legge va computata tra
l’edificio preesistente e la nuova costruzione ovvero
ampliata. Ne consegue, nello specifico, che la distanza
minima da rispettare tra i porticati ed il confine non è
quella stabilita dall’art. 873 c.c., ma quella tra sagoma
limite e confine.
Dal momento che il Giudice amministrativo non può sindacare
il merito delle scelte estetico-funzionali
dell’amministrazione se non nei limiti della illogicità,
quando si discute di concreti valori estetico-tipologici
riservati all’amministrazione medesima, è sufficiente
appurare che le norme edilizie in vigore ammettono
l’intervento di interesse con le caratteristiche
morfologiche e strutturali desumibili anche dalla
documentazione fotografica agli atti processuali
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 05.03.2008 n. 931 -
link a
www.altalex.com). |
anno 2007 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Sussiste
la praticabilità, sotto il profilo edilizio, di una deroga
ex art. 14 del DPR 380/2001 circa la realizzazione di una
barriera antirumore a distanza non regolamentare dal
confine.
Pur essendo stata
abbandonata l’originaria qualificazione della barriera
antirumore come recinzione, sostituita da quella più
appropriata di nuova edificazione, non è stato correttamente
impostato il problema dei presupposti per la deroga ex art.
14 del DPR 380/2001, in relazione non più all’altezza ma
alla distanza dal confine.
La tesi della ricorrente secondo
cui su questo punto avrebbe dovuto pronunciarsi il consiglio
comunale è condivisibile, in quanto la predetta norma
collega la deroga all’esame dello stesso organo avente
competenza sul PRG, introducendo un’ipotesi di variante
singolare. A questo aspetto formale si aggiunge quello più
importante di diritto sostanziale che riguarda la
possibilità di definire la barriera antirumore come opera di
interesse pubblico.
Per inciso si osserva che se la prospettazione della ricorrente fosse palesemente infondata
il Comune avrebbe potuto evitare di sottoporre la questione
della deroga al consiglio comunale, in quanto gli uffici
preposti alla materia edilizia possono fare da filtro nei
confronti delle istanze che non hanno alcuna possibilità di
essere accolte.
Nel caso in esame, tuttavia, l’opera per cui è
chiesta la deroga svolge una funzione del tutto coerente con
l’interesse pubblico al rispetto dei limiti di rumorosità
vigenti nella zona. Si tratta di un obiettivo fissato
direttamente dalla legge che il Comune ha ribadito
attraverso due ordinanze rimettendo la soluzione tecnica
alla stessa ricorrente senza individuare in astratto una
specifica modalità di abbattimento delle immissioni sonore.
In sostanza, la posizione del Comune può essere divisa in
due parti. Nelle premesse il Comune (come si è visto sopra
al punto 9) effettua un corretto bilanciamento degli
interessi coinvolti, in quanto non utilizza il problema
dell’inquinamento acustico per espellere un’attività
produttiva da una zona dove la stessa è insediata da molto
tempo. Passando alle conclusioni, tuttavia, il Comune ritiene
che la presenza di un interesse privato escluda quello
pubblico, e in questo modo incorre in un vizio logico perché
abbandona la proporzione tra il fine (abbattimento della
rumorosità) e il mezzo (limiti all’attività dei privati).
È quindi necessario cancellare la decisione negativa del
Comune e affermare coerentemente con le premesse la
praticabilità sotto il profilo edilizio di una deroga ex
art. 14 del DPR 380/2001 (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 26.06.2007 n. 578 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2004 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Una
costruzione può essere realizzata sul confine del vicino
limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica,
mentre una volta superata tale altezza debbono essere
rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla
disciplina urbanistica.
Come correttamente evidenziato dal TAR, il ricorrente stava
realizzando una costruzione che era solo in parziale
aderenza con quanto costruito in precedenza dal Sig. Greco,
con superamento in altezza del muro di confine, con la
conseguenza che parte della nuova costruzione era stata
edificata ad una distanza di circa 5 metri dalla
preesistente parete finestrata del confinante, mentre il
limite minimo in questi casi era stabilito in 10 metri dalla
locale normativa urbanistica.
L’appellante non contesta detta situazione di fatto ma
sostiene che essendoci un muro di confine tra i due
fabbricati non occorreva rispettare alcuna distanza per la
nuova costruzione.
Occorre invece tener presente che una costruzione può essere
realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza
del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata
tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste
tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 29.11.2004 n. 7746 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L'articolo
878 del codice civile si riferisce soltanto ad un muro che
abbia entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni e
non racchiuda, quindi, uno spazio coperto con una propria
volumetria come nel caso in esame e, pertanto, le norme
tecniche di attuazione di un Comune non sono autorizzate a
modificare la definizione codicistica.
Il ricorrente, in qualità di proprietario confinante, ha
impugnato la concessione edilizia in epigrafe indicata,
nonché l'articolo 27, commi 4° e 5°, delle NTA della
variante al PRG, sulla quale si fonda il rilascio del
suddetto provvedimento, con il quale la controinteressata è
stata autorizzata a costruire un fabbricato ad uso
autorimessa, di altezza di circa m. 3, da porsi sul confine
di proprietà per un fronte di m. 4, deducendone
l’illegittimità sotto vari profili.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato che ha
chiesto il rigetto del ricorso.
Non si sono costituiti in giudizio né la provincia di
Ferrara né la controinteressata.
L'istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 399 del
25.06.2003 e la causa è stata trattenuta in decisione
all'udienza del 18.03.2004.
Il ricorso è fondato con specifico riferimento alle censure
di violazione degli articoli 873 e 878 del codice civile e
di eccesso di potere per irragionevolezza e falso
presupposto di diritto.
Già in un'analoga controversia promossa dall'odierno
ricorrente avverso un'altra simile costruzione da realizzare
sempre sul confine di proprietà da parte di un altro
confinante, sul lato nord, questo Tribunale Amministrativo
Regionale, con sentenza n. 2770 del 31.12.2003, ha rilevato
uno specifico contrasto tra l'articolo 27, comma quinto,
delle predette norme tecniche di attuazione rispetto agli
articoli suddetti del codice civile.
Infatti, la citata disposizione comunale dispone che "nelle
zone residenziali è possibile, anche in deroga alle distanze
fissate dall'articolo 12 delle presenti norme,
l'edificazione sul confine di proprietà di edifici, privi di
pareti finestrate, di altezza esterna, intesa come massimo
ingombro, inferiore a metri tre, senza necessità di
convenzione tra confinanti, intendendo tali edifici come
muri di cinta, ai sensi del codice civile".
Invero, come già precisato dalla suddetta sentenza,
l'articolo 878 del codice civile si riferisce soltanto ad un
muro che abbia entrambe le facce isolate dalle altre
costruzioni e non racchiuda, quindi, uno spazio coperto con
una propria volumetria come nel caso in esame e, pertanto,
le norme tecniche di attuazione di un Comune non sono
autorizzate a modificare la definizione codicistica.
Del resto la strumentazione urbanistica del Comune intimato,
per regola generale, all'articolo 12, lettera c, dispone che
gli interventi di nuove costruzioni debbano osservare una
distanza minima di 5 metri dai confini di proprietà,
riducibile a metri 3 soltanto con apposita convenzione tra
confinanti, con ciò escludendo l'applicazione diretta del
criterio civilistico della prevenzione, di cui all’articolo
873 del codice civile, che non può indirettamente essere
reintrodotto attraverso un'illogica ed illegittima
equiparazione di una vera e propria costruzione, a tutti gli
effetti, ad un muro privo di volumetria coperta (TAR Emilia
Romagna, sez. II, sent. n. 2770 del 31.12.2003).
Per tali ragioni, di carattere assorbente rispetto alle
ulteriori censure dedotte, il ricorso va accolto, e per
l’effetto, si conferma l’annullamento dell'articolo 27,
comma 5°, delle NTA della variante al PRG del comune di
Poggiorenatico (FE), ivi comprese, in parte qua, le
deliberazioni di adozione e di approvazione meglio indicate
in epigrafe (già pronunciato con la citata sentenza del TAR
Emilia Romagna, sez. II, sent. n. 2770 del 31.12.2003),
nonché, per illegittimità derivata, la concessione edilizia
impugnata n. C034/2002 rilasciata a Masina Margherita (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 08.04.2004 n. 509 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
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EDILIZIA
PRIVATA: PARERE
IN MERITO QUESITI RELATIVI AL RISPETTO DELLE DISTANZE NELLA
EDIFICAZIONE IN AREA ASSOGGETTATA A PIANO DI LOTTIZZAZIONE E
ALL'AMMISSIBILITA' DELLA RICOSTRUZIONE DI FABBRICATI
PARZIALMENTE DEMOLITI.
Quesiti posti a questa Provincia dal Comune di SANT’AGATA
FELTRIA con nota prot. n. 3094 del 23.05.2002, che qui di
seguito si riporta:
"Quesito n. 1:
Il Comune di Sant'Agata Feltria ha ricevuto una richiesta di
concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato
artigianale all'interno di una zona artigianale di tipo "D"
soggetta a redazione di piano di lottizzazione.
Il richiedente, proprietario di n. 2 lotti contigui, intende
costruire il fabbricato di cui sopra a confine dei lotti
seppure il piano di lottizzazione preveda una distanza dai
confini di ml. 5,00 e l'art. 13, comma 1, lett. p) del
R.E.C. precisa che si intende come confine anche la linea di
separazione che definisce i diversi lotti.
Si precisa che all'interno dell'area sono stati ricavati n.
10 lotti di cui 7 lotti di proprietà del Comune di
Sant'Agata Feltria, poi alienati, e 4 lotti di proprietà
privata.
Inoltre la convenzione del piano di lottizzazione prevede
che questa possa essere realizzata per successivi stralci
funzionali dove l'attuale stralcio abbia per oggetto i lotti
di proprietà comunale; mentre i proprietari privati nel caso
in cui procedessero all'esecuzione dei successivi stralci si
obbligano a riconoscere al Comune di Sant'Agata Feltria la
quota parte delle spese sostenute per la realizzazione delle
opere di urbanizzazione.
Il richiedente intende realizzare il fabbricato sul lotto
facente parte del primo stralcio a confine con il lotto che
dovrà fare parte degli stralci successivi.
Considerato quanto sopra, si invita l'ufficio competente
dell'Amministrazione Provinciale di esprimere un proprio
parere sulla questione.
Quesito n. 2:
Il Comune di Sant'Agata Feltria ha ricevuto richiesta per la
ricostruzione di 2 fabbricati rurali ora parzialmente
demoliti dei quali rimane in un caso le murature per
l'altezza di circa ml. 1,00 (ricadente in zona edilizia C6
di espansione non lottizzata) mentre nell'altro caso sono
presenti porzioni di muratura esterna che in alcune parti di
presume abbiano un'altezza fino alla gronda ( ricadente in
zona agricola). Si richiede:
- Se i proprietari abbiano comunque diritto di ricostruire
il fabbricato ora parzialmente demolito;
- Quale documentazione eventualmente può essere inoltrata a
comprovare la consistenza del fabbricato (documentazione
fotografica, planimetrie catastali, vecchi progetti
edilizi…..).
Considerato quanto sopra, si invita l'ufficio competente
dell'Amministrazione Provinciale di esprimere un proprio
parere sulla questione." (Provincia di Pesaro-Urbino,
parere 05.12.2002 - link a www.provincia.ps.it). |
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