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46-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (rateizzato e/o ritardato versamento)
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48-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
49-DIA e SCIA
50-DIAP
51-DISTANZA dagli ALLEVAMENTI ANIMALI
52-DISTANZA dai CONFINI
53-DISTANZA dai CORSI D'ACQUA - DEMANIO MARITTIMO/LACUALE
54-DISTANZA dalla FERROVIA

55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
103-SEMINTERRATI
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105-SICUREZZA SUL LAVORO
106
-
SILOS
107-SINDACATI & ARAN
108-SOPPALCO
109-SOTTOTETTI
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111-SUE
112-STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
113-
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114-TENDE DA SOLE
115-TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE
116-TRIBUTI LOCALI
117-VERANDA
118-VINCOLO CIMITERIALE
119-VINCOLO IDROGEOLOGICO
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dossier DISTANZA DAI CONFINI
anno 2021

EDILIZIA PRIVATAIn termini generali giova rimarcare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, le convenzioni tra privati che mirano ad introdurre deroghe alle disposizioni regolamentari (urbanistiche) in materia di distanze sono invalide; e ciò in quanto le norme contenute nei regolamenti comunali che prevedono distanze delle costruzioni dal confine rivestono carattere assoluto ed inderogabile, atteso che non mirano soltanto ad evitare intercapedini dannose o pericolose, ma anche a tutelare l'assetto urbanistico di una determinata zona e la densità degli edifici.
Le norme sui distacchi minimi fra edifici, in particolare, hanno natura ambivalente, essendo preordinate sia alla tutela di interessi dei proprietari finitimi (compendiabili nella nozione di "maggiore fruibilità dell'immobile") sia alla tutela dell'interesse pubblico ad un corretto e "sano" sviluppo urbanistico della città, per cui il Comune, in sede di rilascio del permesso di costruire, è tenuto a verificare il rispetto delle norme sulle distanze minime fra edifici.
Le eventuali clausole di carattere derogatorio delle distante legali incidono soltanto con riferimento al rispetto delle norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute nel Codice Civile (come quelle contenute per es. nell'art. 873 e 905 C.C.), poiché tali norme sono derogabili per usucapione o mediante convenzione, la quale in tali casi costituisce un vero e proprio diritto di servitù, in quanto arreca una menomazione per l'immobile che avrebbe diritto alla distanza legale, in quanto la predetta normativa del Codice Civile ha lo scopo di tutelare i reciproci diritti soggettivi dei singoli proprietari e/o i rapporti intersoggettivi di vicinato.
Invece le norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute negli strumenti urbanistici e/o nei Regolamenti Edilizi comunali, poiché trascendono l'interesse meramente privatistico, in quanto hanno la funzione di tutelare l'interesse pubblico alla realizzazione di un determinato assetto urbanistico prefigurato, non possono essere derogate (le apposite convenzioni sono invalide anche nei rapporti interni tra i proprietari confinanti) e la loro violazione comporta la facoltà del vicino di chiedere la riduzione in pristino.
---------------
Non hanno alcun pregio giuridico le deduzioni della resistente e del controinteressato secondo cui il permesso a costruire rilasciato in favore del ricorrente per la realizzazione del fabbricato ubicato sulla particella di sua proprietà sarebbe illegittimo e, pertanto, andrebbe disapplicato incidentalmente da questo Tribunale.
Al riguardo deve osservarsi, preliminarmente, che al giudice amministrativo è precluso il potere di disapplicazione incidentale del provvedimento amministrativo non impugnato perché ciò comporterebbe l’aggiramento del tassativo termine decadenziale, potendo il giudice amministrativo disapplicare soltanto prescrizioni aventi contenuto propriamente normativo, dotate di generalità e di astrattezza, e non atti amministrativi concreti seppur di portata generale.
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... per l'annullamento del permesso a costruire n. 10/2021 del 25.03.2021 acquisito al protocollo n. 2246/2021 e di ogni altro atto ad esso presupposto e conseguente.
...
1.§- Con ricorso ritualmente notificato CI.Pa.Ma. impugna il permesso a costruire in sanatoria n. 10/2021 in data 25.03.2021 rilasciato dal resistente Comune di CERCHIO in favore del controinteressato MA.Ju. per il posizionamento di un box coibentato (di dimensioni in pianta di circa 2,40x6,00 metri) sulla particella 2053 del foglio 5 del Catasto Terreni del Comune di Cerchio, confinante con la particella 2054 del medesimo foglio di proprietà del ricorrente, lamentando che detto box sia stato realizzato a ridosso del muro di confine con la sua proprietà e, quindi, senza il rispetto delle distanze legali.
...
5.§- L’assunto non persuade.
In termini generali giova rimarcare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, le convenzioni tra privati che mirano ad introdurre deroghe alle disposizioni regolamentari (urbanistiche) in materia di distanze sono invalide; e ciò in quanto le norme contenute nei regolamenti comunali che prevedono distanze delle costruzioni dal confine rivestono carattere assoluto ed inderogabile, atteso che non mirano soltanto ad evitare intercapedini dannose o pericolose, ma anche a tutelare l'assetto urbanistico di una determinata zona e la densità degli edifici (ex plurimis, TAR Sicilia Catania Sez. I, Sent., (ud. 26/03/2015) 09.04.2015, n. 1050; TAR Sicilia sez. II Palermo, 23/10/2014 n. 2540).
Le norme sui distacchi minimi fra edifici, in particolare, hanno natura ambivalente, essendo preordinate sia alla tutela di interessi dei proprietari finitimi (compendiabili nella nozione di "maggiore fruibilità dell'immobile") sia alla tutela dell'interesse pubblico ad un corretto e "sano" sviluppo urbanistico della città, per cui il Comune, in sede di rilascio del permesso di costruire, è tenuto a verificare il rispetto delle norme sulle distanze minime fra edifici (TAR Campania sez. II Napoli, 01/04/2011 n. 1899).
Le eventuali clausole di carattere derogatorio delle distante legali incidono soltanto con riferimento al rispetto delle norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute nel Codice Civile (come quelle contenute per es. nell'art. 873 e 905 C.C.), poiché tali norme sono derogabili per usucapione o mediante convenzione, la quale in tali casi costituisce un vero e proprio diritto di servitù, in quanto arreca una menomazione per l'immobile che avrebbe diritto alla distanza legale, in quanto la predetta normativa del Codice Civile ha lo scopo di tutelare i reciproci diritti soggettivi dei singoli proprietari e/o i rapporti intersoggettivi di vicinato (TAR Basilicata-Potenza Sez. I, (ud. 05/07/2007) 04.09.2007, n. 515).
Invece le norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute negli strumenti urbanistici e/o nei Regolamenti Edilizi comunali, poiché trascendono l'interesse meramente privatistico, in quanto hanno la funzione di tutelare l'interesse pubblico alla realizzazione di un determinato assetto urbanistico prefigurato, non possono essere derogate (le apposite convenzioni sono invalide anche nei rapporti interni tra i proprietari confinanti) e la loro violazione comporta la facoltà del vicino di chiedere la riduzione in pristino (ibidem, TAR Basilicata Potenza Sez. I, (ud. 05/07/2007) 04.09.2007, n. 515).
6.§- Ebbene, applicate le superiori coordinate ermeneutiche al caso in esame, rileva il Collegio che se è pur vero, da un lato, che la lett. n) dell’art. 3 delle NTA del PRG consente di costruire sul confine di proprietà quando vi è, come nella fattispecie, un accordo tra i proprietari confinanti a mezzo di atto trascrivibile, è altrettanto indubitabile, dall’altro, che il medesimo articolo subordina tale effetto ad una espressa previsione delle norme del Piano Regolatore e, comunque, al “rispetto delle distanze tra pareti finestrate”.
 La distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti trova la sua disciplina nella precedente lett. m) ove viene stabilita inderogabilmente nella misura minima assoluta di 10 metri, come desumibile chiaramente, sotto il profilo del drafting normativo, dall’uso della locuzione avverbiale “in tutti i casi”.
Nella vicenda all’attenzione del Collegio, invece, la costruzione per la quale il controinteressato ha richiesto ed ottenuto il permesso a costruire in sanatoria è stata posta ad una distanza di 5 metri dalla costruzione realizzata dal ricorrente, decisamente inferiore rispetto a quella indicata dalla sopra richiamata lett. m) che non può costituire oggetto di deroga pattizia ai sensi della lett. n).
7.§- Non hanno poi alcun pregio giuridico le deduzioni della resistente e del controinteressato secondo cui il permesso a costruire n. 10 del 18.04.2011 rilasciato in favore del ricorrente per la realizzazione del fabbricato ubicato sulla particella di sua proprietà sarebbe illegittimo e, pertanto, andrebbe disapplicato incidentalmente da questo Tribunale.
Al riguardo deve osservarsi, preliminarmente, che al giudice amministrativo è precluso il potere di disapplicazione incidentale del provvedimento amministrativo non impugnato perché ciò comporterebbe l’aggiramento del tassativo termine decadenziale, potendo il giudice amministrativo disapplicare soltanto prescrizioni aventi contenuto propriamente normativo, dotate di generalità e di astrattezza, e non atti amministrativi concreti seppur di portata generale (in tali termini, TAR Abruzzo, L’Aquila, sentenza 03.11.2021, n. 494).
Ad ogni modo, la questione di cui innanzi appare esulare dal thema decidendum che ha ad oggetto unicamente la legittimità del permesso a costruire in sanatoria rilasciato dall’ente resistente al controinteressato Ma.Ju. che, peraltro, non ha mai mosso alcuna contestazione rispetto al permesso di costruire ottenuto a suo tempo dal ricorrente.
E’ davvero singolare inoltre che il Comune deduca solo oggi, ed in questa sede, l’illegittimità del titolo abilitativo a costruire rilasciato dal medesimo ente comunale al ricorrente e ne pretenda la disapplicazione incidentale in totale spregio ai canoni fondamentali di buona amministrazione e di tutela del legittimo affidamento, senza che mai abbia attivato nel tempo alcuna iniziativa in autotutela tesa a rimuovere gli effetti (a suo dire illegittimi, ma oramai) consolidatisi del predetto titolo edilizio adottato ben 10 anni fa (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 06.12.2021 n. 543 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Distanze tra costruzioni. Quando il regolamento edilizio prevede distanze superiori rispetto a quelle di cui al codice civile: conseguenze.
L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 cod. civ., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo.
---------------
I regolamenti edilizi in materia di distanze tra costruzioni contengono norme di immediata applicazione, salvo il limite, nel caso di norme più restrittive, dei cosiddetti "diritti quesiti" (per cui la disciplina più restrittiva non si applica alle costruzioni che, alla data dell'entrata in vigore della normativa, possano considerarsi "già sorte"), e, nel caso di norme più favorevoli, dell'eventuale giudicato formatosi sulla legittimità o meno della costruzione.
Ne consegue la inammissibilità dell'ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi "medio tempore", ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua costruzione e l'avvento della nuova disciplina.
---------------
Le Sezioni Unite, chiamate a comporre il contrasto registratosi nella giurisprudenza di legittimità sulla questione dell'applicabilità del principio di prevenzione nell'ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra fabbricati maggiore rispetto a quella prevista dal codice, senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima delle costruzioni dal confine, hanno chiarito che il principio di prevenzione si applica anche quando le disposizioni di un regolamento locale prevedano una distanza minima tra le costruzioni in misura maggiore a quella codicistica, senza prescrivere altresì una distanza minima dal confine o vietare espressamente la costruzione in appoggio o aderenza.

---------------
Vanno annunciati i seguenti princìpi di diritto:
   - «
In tema di distanze legali nelle costruzioni, qualora sopravvenga una disciplina meno restrittiva la costruzione, realizzata in violazione della normativa in vigore al momento della sua ultimazione, non può ritenersi illegittima qualora risulti conforme alla nuova disciplina, non potendosi ordinare la demolizione o l'arretramento dell'edificio originariamente illecito che abbia le caratteristiche e i requisiti che ne consentirebbero la costruzione alla stregua della disciplina sopravvenuta»;
   - «
Un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, né al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli articoli 874, 875 e 877 c.c.»
---------------

8.1 I primi tre motivi del ricorso incidentale sono infondati.
Come si è detto, la prima questione riguarda la presunta erronea attribuzione della natura di muro di cinta, esentato dal rispetto delle distanze, ai sensi dell'art. 878 c.c., al manufatto posto a confine dei fondi, nonostante il medesimo manufatto avesse un'altezza superiore ai tre metri.
Sul punto, la sentenza della Corte d'Appello di Napoli è conforme al seguente consolidato indirizzo di questa Corte cui il collegio intende dare continuità: «L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 cod. civ., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo» (Sez. 2, Sent. n. 3037 del 2015, Sez. 2, Sent. n. 8671 del 2001).
8.2 Le censure che attengono alla presunta erronea interpretazione della scrittura privata intercorsa tra i danti causa delle parti per la costruzione del muro, da un lato, sono inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto, come si legge nella sentenza impugnata, la qualifica di muro di cinta effettuata dalla Corte d'Appello si è fondata sulle sue caratteristiche costruttive ed estetiche come emergenti dalle fotografie agli atti (facce isolate e doppio spiovente) e sulla conseguente sua funzione oggettiva di demarcazione del confine (pag. 11 della sentenza impugnata).
La Corte d'Appello ha accolto il mezzo di gravame anche con riferimento al motivo relativo all'affermazione del giudice di primo grado secondo cui, nella convenzione stipulata tra i danti causa delle parti e con la quale si era pattuita la costruzione del muro, si era fatto riferimento inequivocabilmente ad un muro di costruzione. Sul punto la Corte d'Appello ha ritenuto che dovesse prevalere il criterio interpretativo che impone la ricerca della reale intenzione delle parti rispetto al criterio letterale.
L'accoglimento del suddetto motivo di appello ha solo aggiunto un ulteriore elemento confermativo alla decisione che comunque si è fondata sulle caratteristiche oggettive del muro, funzionali alla delimitazione del confine, di qui l'irrilevanza delle censure che attengono all'erronea interpretazione della convenzione negoziale.
Inoltre, il ricorrente non censura tale interpretazione per violazione degli artt. 1362 e ss., sicché le relative censure sono inammissibili anche sotto questo profilo.
Il ricorrente incidentale asserisce, anche, che il muro è destinato al contenimento di un terrapieno artificiale e che non è autonomo in quanto utilizzato per l'appoggio delle due costruzioni. Ma questi elementi non risultano oggetto della discussione nel giudizio di merito. La Corte d'Appello, al contrario, ha rilevato che il muro in questione presenti uno spessore di 63 cm ed un'altezza di mt. 3,40 dalla proprietà Giordano e mt. 3,82 dalla proprietà Gi., così escludendo altre costruzioni in aderenza. Il dislivello tra i due fondi non implica necessariamente la funzione di contenimento di un terrapieno e tale circostanza non risulta dedotta nel giudizio di merito.
9. Deve, dunque, passarsi all'esame del ricorso principale, in quanto i primi tre motivi sono fondati e l'accoglimento del primo di essi determina l'assorbimento del quarto motivo del ricorso incidentale.
Una volta confermata la natura di muro di cinta del manufatto posto a confine e ribadito che, ai sensi dell'art. 378 c.c. il muro di cinta (anche se alto più di tre metri) non si calcola ai fini delle distanze, risulta fondata la richiesta del ricorrente principale di farsi applicazione del nuovo regolamento locale che non prevede più una distanza minima dal confine.
Infatti, secondo l'indirizzo consolidato di questa Corte: "I regolamenti edilizi in materia di distanze tra costruzioni contengono norme di immediata applicazione, salvo il limite, nel caso di norme più restrittive, dei cosiddetti "diritti quesiti" (per cui la disciplina più restrittiva non si applica alle costruzioni che, alla data dell'entrata in vigore della normativa, possano considerarsi "già sorte"), e, nel caso di norme più favorevoli, dell'eventuale giudicato formatosi sulla legittimità o meno della costruzione. Ne consegue la inammissibilità dell'ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi "medio tempore", ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua costruzione e l'avvento della nuova disciplina" (Sez. 2, Sent. n. 14446 del 2010).
Occorre quindi cassare la sentenza impugnata, dovendo il giudice del rinvio verificare se la costruzione posta in essere da Giordano Sossio rispetti la disciplina sulle distanze attualmente vigente, tenuto conto del nuovo regolamento locale e dovendo, a tal fine, altresì verificare se risultino rispettate le distanze intercorrenti tra volumi edificati preesistenti.
Le Sezioni Unite, infatti, chiamate a comporre il contrasto registratosi nella giurisprudenza di legittimità sulla questione dell'applicabilità del principio di prevenzione nell'ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra fabbricati maggiore rispetto a quella prevista dal codice, senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima delle costruzioni dal confine, hanno chiarito che il principio di prevenzione si applica anche quando le disposizioni di un regolamento locale prevedano una distanza minima tra le costruzioni in misura maggiore a quella codicistica, senza prescrivere altresì una distanza minima dal confine o vietare espressamente la costruzione in appoggio o aderenza (S.U., Sent. del 19.05.2016 n. 10318).
Si impone pertanto l'accoglimento del primo motivo del ricorso principale e il giudice del rinvio dovrà fare applicazione dei seguenti principi di diritto:
   - «In tema di distanze legali nelle costruzioni, qualora sopravvenga una disciplina meno restrittiva la costruzione, realizzata in violazione della normativa in vigore al momento della sua ultimazione, non può ritenersi illegittima qualora risulti conforme alla nuova disciplina, non potendosi ordinare la demolizione o l'arretramento dell'edificio originariamente illecito che abbia le caratteristiche e i requisiti che ne consentirebbero la costruzione alla stregua della disciplina sopravvenuta»;
   - «Un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, né al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli articoli 874, 875 e 877 c.c.» (Corte di Cassazione, Sez. II civile, ordinanza 24.11.2020 n. 26713).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Attività edilizia – Atto di assenso del confinante - Forma e contenuto minimo dell’atto – parere (Legali Associati per Celva, nota 04.12.2019 - tratto da www.celva.it).
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L’Amministrazione comunale di La Salle ha sottoposto alla nostra attenzione richiesta di parere avente ad oggetto una pluralità di quesiti, tutti afferenti la corretta individuazione dei requisiti minimi di contenuto e di forma che deve assumere l’atto di assenso richiesto al confinante, al fine di derogare alle distanze minime dai fabbricati e dai confini e se tale atto di assenso debba essere acquisito e ricondotto nella pratica edilizia per cui è richiesto. (... continua).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: costruzione di nuovo fabbricato – presenza di muro di contenimento – rispetto delle distanze dal confine – modalità di calcolo – parere (Legali Associati per Celva, nota 31.10.2019 - tratto da www.celva.it).
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Il Comune di Arvier, per il tramite del CELVA, ha richiesto un parere avente ad oggetto la corretta quantificazione delle distanze da rispettare nell’ambito dell’attività edificatoria di un nuovo fabbricato monofamiliare, di civile abitazione, realizzando in Arvier, Fraz. Leverogne, zona classificata come Ba4 dal vigente P.R.G.C. (...continua).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Sulla illegittimità dell'ordinanza di demolizione di un balcone realizzato in spregio alla distanza legale di mt. 1.50 dal confine ex art. 905 cod. civ..
Sebbene i provvedimenti impugnati facciano riferimento ad una pretesa difformità dell’opera rispetto al progetto, il loro specifico rinvio agli atti istruttori chiarisce che la contestazione mossa all’odierno ricorrente riguarda unicamente il rispetto delle distanze legali dal balcone dell’unità immobiliare confinante.
Sennonché, è corretto l’assunto del ricorrente che, nella specie, non occorresse osservare la distanza minima di un metro e mezzo prescritta dall’art. 905 c.c. per l’apertura di vedute dirette verso il fondo o sopra il tetto del vicino e per la costruzione di balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino.
Trattandosi della costruzione di un balcone che corre di fianco a quello del vicino sul medesimo fronte strada prospiciente una pubblica via, infatti, non potrebbe comunque farsi luogo all’applicazione dell’art. 905 c.c., giacché la giurisprudenza ha da tempo chiarito che per l’applicazione della norma secondo cui il divieto di aprire vedute verso il fondo del vicino a distanza minore di un metro e mezzo “cessa allorquando tra i due fondi vi sia una via pubblica” (art. 905, comma 3, c.c.) occorre che entrambi fondi siano confinanti con la via pubblica, ma è irrilevante la loro collocazione, non richiedendosi in particolare che si fronteggino o che da tale via siano separati, poiché l'esonero dal divieto è giustificato dall'identificazione della strada pubblica con uno spazio che espone il fondo del vicino all’indiscrezione di tutti i passanti, sicché i due fondi possono anche essere contigui.
Può aggiungersi che neppure potrebbe parlarsi di veduta sulla proprietà del vicino, identificata dal Comune nel balcone della controinteressata, poiché il balcone realizzato dal ricorrente non consente di esercitarvi l’affaccio (c.d. prospectio).

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Col ricorso in esame, corredato di istanza cautelare, il sig. Ro.Pa. impugna l'ordinanza n. 47AE/15 del 04.08.2015, con cui il Comune di Anzio gli ha ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi in relazione alla realizzazione di un balcone in via ... n. 3, primo piano int. 1, in pretesa pretesa difformità dalla D.I.A. dallo stesso presentata, nonché l’ordinanza n. 48AE/15 di pari data, con cui il Comune gli ha irrogato, per la medesima vicenda, una sanzione amministrativa dell’importo di euro 516,00
...
Il ricorso è fondato.
Con le ordinanze impugnate è stato ingiunto al ricorrente il ripristino dello stato dei luoghi ed irrogata una sanzione pecuniaria “per difformità alla DIA prot. 32917 del 29.07.2013”, individuata mediante rinvio per relationem agli atti istruttori richiamati nel preambolo e allegati al provvedimento; dagli stessi emerge che, in sede di verifica dell’esecuzione dei lavori di realizzazione di un balcone previsto negli elaborati grafici della denuncia, sarebbe stato accertato il mancato rispetto delle distanze minime dalla proprietà confinante (cfr. la relazione tecnica prot. 1652/16 del 02.07.2015 dell’Unità Abusivismo Edilizio, all’esito del sopralluogo del precedente 10 giugno: “tra la linea esteriore di predetta opera e il fondo confinante (balcone proprietà Ni.Fe.) non vi è la distanza di m 1.50, così come previsto dall’art. 905 del Codice Civile, essendo il distacco di m 1.19”).
Parte ricorrente propone cinque ordini di censura:
   (i) non vi è difformità tra quanto denunciato e quanto realizzato, poiché la misura del distacco era facilmente ricavabile dal progetto, sicché (tanto più che la questione dei distacchi era già stata sollevata dal proprietario confinante) il Comune soltanto ora verrebbe a contestare, in realtà, il rispetto nello stesso progetto delle norme sulle distanze, per la qual cosa avrebbe dovuto, piuttosto, procedere alla revoca o all’annullamento del silenzio assenso sulla D.I.A.;
   (ii) i rilievi e le misurazioni sono stati effettuati dai tecnici comunali senza la partecipazione dell’interessato e senza dargliene alcun avviso, in violazione del suo diritto al contraddittorio procedimentale;
   (iii) non sussiste alcuna violazione dell’art. 905 c.c.: nel caso concreto non si tratta di una veduta diretta (art. 905 c.c.), ma obliqua (art. 906 c.c., che prescrive una distanza di 75 cm), trattandosi di due balconi affiancati l’uno all’altro, e comunque, anche se si trattasse di veduta diretta, il fatto che entrambi i balconi affaccino su una via pubblica (ancorché questa non li separi) importerebbe comunque l’esenzione dal rispetto delle distanze a mente dell’art. 905 ultimo comma c.c.. In ogni caso, l’ordine di demolizione avrebbe dovuto interessare anche il balcone della vicina, poiché il principio della prevenzione non si applicherebbe ai distacchi tra vedute o balconi;
   (iv) la demolizione parziale del balcone pregiudicherebbe la sua parte eseguita in conformità;
   (v) il Comune non ha osservato l’obbligo di contestare immediatamente la violazione, in contrasto con gli articoli 27 del d.P.R. n. 380/2001 e 14, comma 1, della legge n. 689/1981.
Tanto premesso, anzitutto va osservato che, sebbene i provvedimenti impugnati facciano riferimento ad una pretesa difformità dell’opera rispetto al progetto, il loro specifico rinvio agli atti istruttori (“tali difformità sono meglio indicate nei citati atti”) chiarisce che la contestazione mossa all’odierno ricorrente riguarda unicamente il rispetto delle distanze legali dal balcone dell’unità immobiliare confinante; ciò tenuto conto anche del fatto, rilevante ai sensi dell’art. 116 c.p.c., che l’amministrazione non ha mai dato riscontro alle ordinanze con cui la Sezione ha chiesto di chiarire se le rilevate difformità rispetto alla D.I.A. riguardassero il mancato rispetto delle distanze previste in progetto.
Che la distanza tra i due balconi sia inferiore ai 150 centimetri è pacifico. Nella perizia giurata prodotta dal ricorrente, corredata da grafici e rilievi fotografici, si afferma che il balcone di proprietà del ricorrente è posto a 75 cm dal confine tra i due fabbricati, mentre il balcone della controinteressata si trova a 49 cm del confine medesimo (sicché la distanza che li separa sarebbe di 124 cm; maggiore è la distanza dalla finestra più vicina della controinteressata, che la perizia quantifica in 190 cm).
Sennonché, è corretto l’assunto del ricorrente che, nella specie, non occorresse osservare la distanza minima di un metro e mezzo prescritta dall’art. 905 c.c. per l’apertura di vedute dirette verso il fondo o sopra il tetto del vicino e per la costruzione di balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino.
Trattandosi della costruzione di un balcone che corre di fianco a quello del vicino sul medesimo fronte strada prospiciente una pubblica via, infatti, non potrebbe comunque farsi luogo all’applicazione dell’art. 905 c.c., giacché, come correttamente osservato nel terzo motivo di ricorso, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che per l’applicazione della norma secondo cui il divieto di aprire vedute verso il fondo del vicino a distanza minore di un metro e mezzo “cessa allorquando tra i due fondi vi sia una via pubblica” (art. 905, comma 3, c.c.) occorre che entrambi fondi siano confinanti con la via pubblica, ma è irrilevante la loro collocazione, non richiedendosi in particolare che si fronteggino o che da tale via siano separati, poiché l'esonero dal divieto è giustificato dall'identificazione della strada pubblica con uno spazio che espone il fondo del vicino all’indiscrezione di tutti i passanti, sicché i due fondi possono anche essere contigui (cfr. Cass., sez. II, 20.02.2009, n. 4222, ove ultt. citt.).
Può aggiungersi che neppure potrebbe parlarsi di veduta sulla proprietà del vicino, identificata dal Comune nel balcone della controinteressata, poiché il balcone realizzato dal ricorrente non consente di esercitarvi l’affaccio (c.d. prospectio).
Tanto basta all’accoglimento del ricorso, assorbita ogni altra censura, con conseguente annullamento, per l’effetto, degli atti impugnati (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 07.09.2017 n. 9626 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla distanza da osservare nel costruire un barbecue a confine.
Per l’art. 890 c.c. chi presso il confine vuole fabbricare forni o camini, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.
Tale articolo va quindi letto nel senso di considerare le cose espressamente elencate come gravate da una presunzione assoluta di nocività o pericolosità.
Il rispetto della distanza prevista dall’art. 890 c.c., nella cui regolamentazione rientrano anche i forni, è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima; mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino.
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La Corte territoriale ha posto a fondamento della sua decisione le risultanze della consulenza tecnica di ufficio secondo le quali il barbecue in questione avrebbe dovuto essere collocato a non meno di 5-6 metri dalla proprietà del resistente (distanza che la corte territoriale ha affermato essere persino troppo modesta) e che il predetto manufatto invece era stato posto molto vicino alle finestre dell'abitazione privata di An.Ma., che risultavano "soprastanti per poche decine di centimetri", mentre la casa era situata "in posizione soprastante la piccola area esterna ove il sig. Ca.In. ha collocato il suo barbecue" e ha aggiunto che "le fotografie in atti sono più eloquenti di ogni scritto sull'argomento e il rinvio alla loro diretta visione potrebbe bastare quale motivazione della pronuncia giudiziale".
La Corte di appello ha qualificato il barbecue un forno e ha dato atto che il Tribunale, accogliendo la domanda ex art. 890 c.c. dell'attore aveva rilevato che era costituito da un manufatto in muratura il cui comignolo si trovava ad una distanza minima da meno di un metro a due metri circa da alcune finestre del soprastante appartamento dell'attore.
Per l'art. 890 c.c. chi presso il confine vuole fabbricare forni o camini, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.
Tale articolo va quindi letto nel senso di considerare le cose espressamente elencate come gravate da una presunzione assoluta di nocività o pericolosità.
Il rispetto della distanza prevista dall'art. 890 c.c., nella cui regolamentazione rientrano anche i forni
(tale essendo qualificato dalla Corte di appello il manufatto), è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima; mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino (Cass. 22/10/2009 n. 22389; Cass. 06/03/2002 n. 3199).
Va precisato che
la presunzione che deve essere superata non è una presunzione di danno, ma una presunzione di pericolo che si produca il danna e prescinde dall'accertamento in concreto del danno, dovendo invece essere valutata in concreto la pericolosità del forno ancorché non in attività.
Ne discende quale necessaria conseguenza, l'irrilevanza di un accertamento svolto con il forno in funzione essendo invece sufficiente la potenzialità dell'esalazione nociva o molesta, potenzialità che è stata appunto accertata dal CTU A nulla rileva che l'apertura più vicina fosse una luce od una veduta e che si aprisse all'esterno del seminterrato, dovendosi tenere conto del complessivo mancato rispetto delle distanze come accertata in concreto dalla Corte di appello sulla base della CTU e in base alla posizione del forno rispetto all'immobile del resistente.
Il motivo deve pertanto essere rigettato.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 115 c.p.c. e sostiene che la Corte di appello ha erroneamente applicato la nozione del notorio ritenendo di comune esperienza la nocività delle immissioni provocate dal barbecue senza avere valutato in concreto la effettiva nocività e pericolosità del manufatto, amovibile in quanto soltanto appoggiato al suolo.
2.1. La Corte di appello ha rilevato che per il comune buon senso e per le nozioni di comune esperienza il carbone di legna è nocivo.
Il motivo è infondato perché
rientra ormai nella comune esperienza che dalla bruciatura del carbone di legna (come rilevato dalla Corte di appello) si sviluppa una sostanza cancerogena; già nel 2010 l'Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito il fumo di legna tra i possibili agenti cancerogeni; va aggiunto che anche su quotidiani a larga tiratura è stata evidenziata la nocività dei fumi da barbecue (v. ad es. il quotidiano La Stampa 08/08/2012 inserto salute) (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 20.06.2017 n. 15246 - massima tratta da https://renatodisa.com).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: Per quanto attiene alle distanze fra costruzioni o di queste con i confini, vige il regime della c.d. doppia tutela per cui il soggetto, che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia di distanze, è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (con competenza del giudice ordinario) e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'Amministrazione.
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8.1 Eccepisce innanzitutto quest’ultimo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi a suo dire di controversia che  riguardando questioni di distanze e, dunque, involgenti diritti soggettivi– avrebbe dovuto essere dedotta dinanzi al giudice ordinario.
Ritiene il Collegio che l’eccezione sia infondata per le ragioni di seguito esposte.
Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, nel nostro ordinamento, “…per quanto attiene alle distanze fra costruzioni o di queste con i confini, vige il regime della c.d. doppia tutela per cui il soggetto, che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia di distanze, è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (con competenza del giudice ordinario) e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'Amministrazione…” (Cons. Stato, Sez. IV, 31.03.2015, n. 1692) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.11.2016 n. 2274 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADistanze tra edifici, la «prevenzione» vince il regolamento edilizio. Sezioni unite. Bocciata l’incompatibilità.
Non vi è alcun motivo di negare a chi costruisce per primo, anche in presenza di norme dei regolamenti edilizi che fissino distanze tra le costruzioni diverse da quelle stabilite dal Codice civile, la possibilità di avvalersi delle facoltà connesse al principio della “prevenzione”. Cioè di decidere se costruire sul confine o a distanza dal confine stesso. Questo, anche se i regolamenti locali prevedano solo una distanza tra costruzioni maggiore da quella stabilità dal Codice civile senza però stabilire espressamente anche una distanza minima dal confine.
Questo il principio fissato dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza 19.05.2016 n. 10318 per porre fine al contrasto esistente tra varie sentenze in merito alla incompatibilità, o meno, del principio della prevenzione con la disciplina delle distanze.
La rilevanza del caso consiste nel fatto che chi costruisce per primo, ovviamente, potendo decidere dove costruire (sul confine o no) finisce per condizionare le possibilità di costruire del vicino, il quale a seconda della scelta operata dal “primo arrivato” si troverà costretto a decidere tra: costruire in aderenza (articolo 877 del Codice civile), chiedere la comunione forzosa del muro sul confine (articolo 874) oppure costruire arretrando il suo edificio in misura pari all’intero «distacco legale».
Il caso esaminato della Sezioni Unite nasceva dalla domanda di arretramento proposta da un proprietario nei confronti del fabbricato del confinante in quanto non rispettoso dei limiti di distanza tra edifici fissati dalla legge 765/1967. La sentenza del Tribunale di Nola stabiliva che si debba applicare non il termine sulla distanza indicato dalla legge 765/1967 ma quello di otto metri previsto viceversa dal regolamento edilizio del Comune (in questo caso quello di Ottaviano).
La Corte d’appello di Napoli riteneva invece che a dover essere arretrato fosse l’edificio del proprietario che aveva avviato la causa in quanto, come era risultato dalla istruttoria del procedimento, era stato costruito “per secondo”. Ma la vicenda andava avanti (ormai sono passati 26 anni!) sino in Cassazione, per poi ritornarvi in quanto il ricorrente sosteneva, appunto, l’inapplicabilità del principio della prevenzione in presenza di norme regolamentari che imponevano distanze differenti da quelle previste dal Codice civile. Così la vicenda veniva affrontata per la seconda volta dalla Cassazione, dove la Sezione II investiva della faccenda le Sezioni unite, ravvisando un contrasto interno alla stessa Sezione
Le Sezioni Unite hanno così chiarito come non vi sia alcuna incompatibilità del principio di prevenzione con la disciplina delle distanze di cui alla legge 765/1967
(articolo Il Sole 24 Ore del 20.05.2016).
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MASSIMA
1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli arti. 873 e 875 cod. civ., nonché dell'art. 26 del regolamento edilizio del comune di Ottaviano.
Deducono che la Corte di Appello, dopo aver correttamente ritenuto l'applicabilità della norma di cui all'art. 26 del regolamento edilizio del Comune di Ottaviano, che impone un distacco di metri otto tra le costruzioni, ha erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie il criterio della prevenzione previsto dagli artt. 873 e 875 cod. civ., e supposto la priorità nel tempo della costruzione Del Giudice rispetto a quella del Guerriero.
Sostengono che, in materia di distanze fra fabbricati o di questi dal confine, stabilite dai regolamenti locali in misura maggiore di quella prevista dal codice civile, il principio della prevenzione trova applicazione solo ove lo strumento urbanistico consenta anche le costruzioni in appoggio o in aderenza, e colui che fabbrica per primo costruisca sul confine o a distanza regolamentare da questo.
Deducono che, al contrario, tale criterio non può mai trovare applicazione, consenta o meno lo strumento urbanistico le costruzioni in appoggio o in aderenza, allorché colui che fabbrica per primo costruisca a distanza dal confine inferiore a quella stabilita dal regolamento, avendo la norma locale che consente costruzioni sul confine la funzione di ripartire in maniera paritetica tra i costruttori confinanti la distanza dal confine, ovvero di eliminarla, ma sempre in modo paritetico, cioè con costruzioni in aderenza od in appoggio erette sulla linea di confine.
Rilevano, pertanto, che, poiché la Del Giudice ha eretto la sua costruzione a meno di quattro metri dal confine (distanza pari alla metà di quella minima prescritta fra edifici), nella specie, indipendentemente dal fatto che il regolamento locale preveda o meno la costruzione sul confine, è da escludere l'applicabilità del criterio della prevenzione.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi, per avere la Corte di Appello ritenuto applicabile il criterio della prevenzione senza indagare se lo strumento urbanistico locale preveda o meno la facoltà per i proprietari confinanti di costruire in aderenza o in appoggio, e senza rilevare che la Del Gi., come accertato dal C.T.U., ha eretto il suo fabbricato a distanza dal confine inferiore a quella di metri quattro prescritta a suo carico dall'art. 26 del regolamento edilizio comunale.
...
2)
Queste Sezioni Unite sono state chiamate a comporre il contrasto registratosi nella giurisprudenza di legittimità sulla questione -oggetto dei primi due motivi di ricorso- dell'applicabilità o meno del principio di prevenzione nell'ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra fabbricati maggiore di quella codicistica, senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima delle costruzioni dal confine.
L'ordinanza interlocutoria del 23.01.2009 della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha preso le mosse dal principio di diritto enunciato da Cass. n. 13338/2006 nella precedente fase di legittimità, secondo cui le limitazioni previste dall'art. 41-quinquies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dalla l. n. 765 del 1967, art. 17, riguardanti la distanza tra edifici vicini nei Comuni sprovvisti di piano regolatore o di programma di fabbricazione, si estendono anche ai Comuni dotati di regolamento edilizio, se questo è privo di norme disciplinanti i distacchi tra costruzioni; laddove, qualora il regolamento edilizio contenga tali norme e sia stato approvato anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 765 del 1967, prevalgono le norme locali.
Tale è il caso del Comune di Ottaviano, munito di un regolamento edilizio approvato in epoca anteriore all'entrata in vigore della c.d. "legge ponte", il quale all'art. 26 contiene una regolamentazione specifica nella suddetta materia, ponendo un divieto di spazi vuoti inferiori a otto metri "tra casa e casa".
La Seconda Sezione ha rilevato che il giudice del rinvio, nel riesaminare —alla luce del principio di diritto affermato nella sentenza di cassazione- la controversia alla stregua delle previsioni del regolamento edilizio locale, ha disposto l'arretramento del fabbricato del Guerriero a otto metri (invece che a quella di dodici metri stabilita nella sentenza cassata sulla base del disposto del citato art. 17 della c.d. legge ponte) da quello dell'attrice, affermando che, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, la documentazione in atti comprovava che era stata la Del Giudice a costruire per prima e a dover essere considerata, pertanto, "preveniente" rispetto al convenuto.
Ha, quindi, osservato che, avendo i ricorrenti censurato l'accertamento della prevenzione, occorreva soffermarsi sul relativo presupposto.
2.1) Nell'ordinanza di rimessione è stato dato atto del concorde orientamento della giurisprudenza di legittimità circa l'inoperatività del criterio della prevenzione allorquando la disciplina regolamentare imponga il rispetto di una distanza inderogabile delle costruzioni dai confini (cfr. Cass. n. 23693/2014, 18728/2005, 627/2003, 12561/2002, 4895/2002, 4366/2001, 10600/1999, 4438/1997, 3737/1994, 7747/1990 e 4737/1987, tutte precedute dall'incipit di S.U. n. 2846/1967).
La Seconda Sezione, al contrario, ha rilevato un contrasto interno alla stessa Sezione per l'ipotesi in cui le disposizioni locali prevedano solo una distanza minima tra costruzioni maggiore di quella codicistica, senza nulla disporre espressamente riguardo alla distanza delle costruzioni dal confine.
L'ordinanza interlocutoria ha richiamato, al riguardo, un primo indirizzo, secondo cui, nel caso in cui il regolamento edilizio determini solo la distanza minima fra le costruzioni, in assenza di qualunque indicazione circa il distacco delle stesse dal confine, il principio della prevenzione deve ritenersi operativo, non ostandovi alcun divieto di costruire in aderenza o sul confine (Cass. 05.12.2007 n. 25401; Cass. 20.04.2005 n. 8283; Cass. 01.06.1993 n. 6101; Cass. 16.05.1991 n. 5474; Cass. 07.06.1988 n. 3859; Cass. 20.11.1987 n. 8543 e Cass. 24.06.1983 n. 4352).
Ha rilevato che, invece, in base ad un diverso orientamento, allorquando i regolamenti edilizi comunali stabiliscano una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile, detta prescrizione deve intendersi comprensiva di un implicito riferimento al confine, dal quale chi costruisce per primo deve osservare una distanza non inferiore alla metà di quella prescritta, con conseguente esclusione della possibilità di costruire sul confine e, quindi, dell'operatività del cosiddetto criterio della prevenzione (Cass. 22.02.2007 n. 4199; Cass. 19.07.2006 n. 16574; Cass. 01.07.1996 n. 5953; Cass. 28.040.1992 n. 5062; Cass. 10.10.1984 n. 5055; Cass. 29.06.1981 n. 4246).
Ha accennato, inoltre, alla posizione intermedia assunta da altra pronuncia (Cass. 16.02.1999 n. 1282), la quale, pur affermando che la prevenzione non opera ove i regolamenti edilizi comunali stabiliscano una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile -detta prescrizione dovendosi intendere comprensiva di un implicito riferimento al confine-, precisa che il metodo di misurazione dei distacchi -metà della distanza dal confine per ciascun proprietario- non è incompatibile con la previsione della facoltà di edificare sul confine ove lo spazio antistante sia libero fino alla distanza prescritta, oppure in aderenza o in appoggio a costruzioni preesistenti, con conseguente applicabilità del criterio della prevenzione.
Nell'ordinanza interlocutoria è stata poi richiamata una risalente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, nella quale è stato affermato che, nel caso di norma regolamentare che determini la distanza fra costruzioni non dal confine, ma in via assoluta, commisurandola alla maggiore altezza di uno dei corpi di fabbrica, rimane esclusa la possibilità di costruire sul confine e l'applicabilità del criterio di prevenzione, onde colui che costruisce per primo deve osservare, rispetto al confine, una distanza pari alla metà dell'altezza dell'erigendo fabbricato (Cass. Sez. Un. 27.11.1974 n. 3873).
La stessa ordinanza ha segnalato, peraltro, una più recente pronuncia delle Sezioni Unite, che ha affrontato, risolvendolo in senso affermativo, il problema della compatibilità del principio codicistico della prevenzione con la disciplina sulle distanze tra fabbricati vicini dettata dall'art. 41-quinquies, primo comma, lettera c), della legge 17.08.1942 n. 1150 (aggiunto dall'art. 17 della legge 06.08.1967 n. 765), traendone la conseguenza che, quando il fabbricato del preveniente si trovi ad una distanza dal confine inferiore alla metà del distacco tra fabbricati prescritto dalla citata norma speciale, il prevenuto ha, ai sensi dell'art. 875 cod. civ., la facoltà di chiedere la comunione forzosa del muro allo scopo di costruirvi contro (Cass. Sez. Un. 01.08.2002 n. 11489).
2.2) Prima di affrontare la questione rimessa a queste Sezioni Unite,
occorre rammentare che, nel sistema delineato dagli artt. 873 ss. cod. civ., il principio della prevenzione comporta che il confinante che costruisce per primo viene a condizionare la scelta del vicino che voglia a sua volta costruire. Al preveniente, invero, è offerta una triplice facoltà, potendo egli edificare sia rispettando, una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice, sia sul confine, sia ad una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta.
A fronte alla scelta operata dal preveniente, il vicino che costruisce successivamente, nel primo caso, deve costruire anch'esso ad una distanza dal confine pari alla metà di quella prevista, in modo da rispettare il prescritto distacco legale dalla preesistente costruzione. Nel secondo caso, il prevenuto può chiedere la comunione forzosa del muro sul confine (art. 874 cod. civ.) o realizzare la propria fabbrica in aderenza allo stesso (art. 877, primo comma, cod. civ.); ove non intenda costruire sul confine, è tenuto ad arretrare il suo edificio in misura pari all'intero distacco legale. Nella terza ipotesi considerata, il prevenuto può chiedere la comunione forzosa del muro e avanzare la propria fabbrica fino ad esso, occupando lo spazio intermedio, dopo avere interpellato il proprietario se preferisca estendere il muro a confine o procedere alla sua demolizione (art. 875 cod. civ.); in alternativa, può costruire in aderenza (art. 877, secondo comma, cod. civ.) o rispettando il distacco legale dalla costruzione del preveniente.

Così sinteticamente riassunto il meccanismo della prevenzione, va precisato che esula dal quesito posto nell'ordinanza interlocutoria l'ipotesi dei regolamenti locali che, pur imponendo una distanza assoluta tra fabbricati, prevedano espressamente la possibilità di costruire sul confine, ovvero di costruire in appoggio o in aderenza. In una simile evenienza, infatti, è la stessa fonte regolamentare a sancire direttamente, senza necessità di alcuno sforzo interpretativo, l'operatività della regola della prevenzione prevista dal codice civile, con le relative implicazioni riguardo alle facoltà rispettivamente spettanti al preveniente e al prevenuto.
La questione rimessa alle Sezioni Unite, inoltre, si riferisce specificamente alla ipotesi dei regolamenti locali che, come quello in esame, stabiliscano una distanza minima dal confine in una misura fissa, non anche a quella dei regolamenti che prescrivano una distanza minima dal confine non predeterminata, ma commisurata all'altezza di una delle costruzioni.
Ipotesi, quest'ultima, per la quale può farsi riferimento alle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite nella menzionata pronuncia n. 11489/2002 in relazione all'analoga previsione di cui alla c.d. legge ponte, per la quale è stata ritenuta -in mancanza di dati di segno contrario emergenti da specifiche disposizioni regolamentari- l'operatività del principio di prevenzione.
2.3) Così delimitato il campo di indagine, si osserva che i precedenti favorevoli all'applicabilità del criterio della prevenzione, citati nell'ordinanza di rimessione, si fondano essenzialmente sul rilievo della natura integrativa dei regolamenti edilizi con riferimento alle previsioni codicistiche in materia di distanze, che comprendono il criterio della prevenzione.
In questo senso, in particolare, le sentenze 07.06.1988 n. 3859 e 16.05.1991 n. 5474 affermano che "
le norme dei regolamenti comunali edilizi che fissano le distanze nelle costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal codice civile sono, per l'espresso disposto dell'art. 873 cod. civ., integrative del codice medesimo, il quale, rinviando ai regolamenti locali per tutto ciò che concerne le distanze nelle costruzioni, comprende tutta la disciplina predisposta da quelle fonti. Ne deriva che le norme dei regolamenti edilizi che si limitino a stabilire una distanza nelle costruzioni superiore a quella del codice civile, senza prescrivere tale distanza in rapporto al confine, non implicano il divieto di costruire in appoggio o in aderenza, ricorrendone i presupposti ai sensi degli artt. 874, 875, 877 cod. civ., e, di conseguenza, non incidono sull'esercizio del diritto di prevenzione, la cui operatività non esige un'espressa previsione ad opera delle norme regolamentari".
Dello stesso tenore la sentenza 01.07.1993 n. 6101, nella quale si afferma che "
le norme dei regolamenti comunali che fissano le distanze nelle costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal codice civile.., hanno natura di norme integrative dell'art. 873 cod. civ. e con esse trova, perciò, applicazione anche il regime del codice civile in tema di distanze nelle costruzioni in fondi finitimi, fra cui quello della prevenzione, che vieta al costruttore prevenuto il quale non possa o non voglia costruire in appoggio o in aderenza, di creare un distacco minore di quello corrispondente all'altezza che ha il suo edificio sul lato fronteggiante il fondo del vicino".
Le successive pronunce citate nell'ordinanza interlocutoria si rifanno sostanzialmente ai medesimi argomenti.
Così, la sentenza del 05.12.2007 n. 25401 si limita ad osservare che "
costituisce principio di diritto ormai consolidato in giurisprudenza di legittimità che il diritto del proprietario confinante di costruire in aderenza al confine non sussiste quando i regolamenti locali fissano solo la distanza minima delle costruzioni dal confine, ritenendosi in questo caso che l'obbligo di arretrare la costruzione è assoluto, come lo è il corrispondente divieto di costruire sul confine. Nel caso, invece, che il regolamento edilizio fissi solo la distanza fra le costruzioni, in assenza di qualunque indicazione circa il distacco delle costruzioni dal confine, il principio della prevenzione deve ritenersi in vigore perché la sua operatività non è ostacolata da alcun divieto di costruire in aderenza o sul confine".
Analoghe considerazioni vengono svolte nella sentenza 20.04.2005 n. 8283.
Non appaiono, invece, particolarmente significative ai fini della soluzione della questione che qui rileva le due ulteriori —e più risalenti- pronunce citate nell'ordinanza interlocutoria (Cass. 20.11.1987 n. 8543 e Cass. 24.06.983 n. 4352), le quali si riferiscono a regolamenti comunali che prevedevano espressamente la possibilità di edificare in aderenza, rendendo per ciò solo salvo il criterio della prevenzione.
L'opzione interpretativa in esame trova un autorevole conforto nella citata decisione a Sezioni Unite n. 11489 del 2002, nella cui motivazione è stata richiamata e ritenuta condivisibile la "
consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte in sede di applicazione dei regolamenti locali che non prescrivono distanze dei fabbricati dai confini, limitandosi a stabilire distacchi tra i fabbricati"; giurisprudenza che, secondo le Sezioni Unite, ha "correttamente" ritenuto che "solo in presenza di una norma regolamentare che prescriva una distanza tra fabbricati con riguardo al confine si ponga l'esigenza di un'equa ripartizione tra proprietari confinanti dell'onere di salvaguardare una zona di distacco tra le costruzioni, con la conseguenza che, in assenza di una siffatta prescrizione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione, con la conseguente possibilità, per il prevenuto, di costruire in aderenza alla fabbrica costruita per prima, se questa sia stata posta sul confine od a distanza inferiore alla metà del prescritto distacco tra fabbricati".
2.4) Le pronunce menzionate nell'ordinanza di rimessione a sostegno della tesi contraria all'operatività del criterio della prevenzione fanno perno essenzialmente sul rilievo secondo cui l'assolutezza del distacco previsto dai regolamenti locali non può ripercuotersi in danno di uno solo dei confinanti, ma va equamente ripartita tra le parti interessate.
In tal senso, si legge nella sentenza 22.02.2007 n. 4199 che, "quando i regolamenti edilizi prevedano una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prescritta dal codice civile senza un riferimento esplicito al confine . la prevista assolutezza della distanza, rapportata ad un'equa ripartizione del relativo onere, è da ritenersi comprensiva di un implicito riferimento al confine, dal quale chi costruisce per primo deve osservare una distanza non inferiore alla metà di quella prescritta, con conseguente esclusione della possibilità di costruire sul confine e, quindi, della operatività del principio della prevenzione".
Dello stesso tenore appaiono le sentenze 29..06.1981 n. 4246 e 10.10.1984 n. 5055.
Non offrono, invece, particolari spunti le ulteriori pronunce menzionate.
La sentenza 28.04.1992 n. 5062 muove, infatti, dall'analisi della disciplina regolamentare applicabile in concreto, ove era prescritta una distanza minima assoluta fra edifici, con la possibilità, peraltro, di costruire in aderenza per una certa categoria di costruzioni; dal che la Corte, con un'opzione ermeneutica circoscritta allo specifico regolamento edilizio, ha desunto che nella generalità dei casi fosse stabilita un'implicita distanza dal confine in misura pari alla metà di quella fra edifici.
La sentenza 19.07.2006 n. 16574 si riferisce, poi, ad un regolamento locale che, seppure stabilendola in rapporto all'altezza degli edifici, prescriveva una distanza minima delle costruzioni dal confine.
L'ultima decisione menzionata (01.07.1996 n. 5953), a ben vedere, si presta ad una interpretazione contraria all'orientamento qui preso in considerazione: in motivazione, infatti, si afferma l'operatività del criterio della prevenzione nel caso in cui i regolamenti locali impongano unicamente una distanza minima fra gli edifici, a meno che l'interpretazione della norma regolamentare non porti ad escludere la facoltà di costruire in aderenza.
2.5)
Le Sezioni Unite ritengono che il contrasto debba essere composto privilegiando l'interpretazione favorevole all'operatività, nella ipotesi considerata, del criterio della prevenzione, non apparendo convincenti le ragioni che nella elaborazione giurisprudenziale e dottrinale sono state addotte a sostegno dell'opposta tesi.
2.6) Un argomento sovente utilizzato ai fini dell'esclusione del criterio della prevenzione poggia sul dato letterale delle disposizioni regolamentari che prescrivono un determinato distacco minimo "assoluto" tra costruzioni, per desumerne, anche in considerazione dell'esigenza di assicurare un'equa ripartizione del relativo onere tra le parti, il carattere "inderogabile" di tale distacco.
Più in generale, a sostegno dell'orientamento contrario alla operatività del criterio di prevenzione, sono state svolte considerazione attinenti alla natura stessa del relativo meccanismo, che si porrebbe in contrasto con la funzione propria della disciplina dei distacchi tra edifici, volta ad assicurare un equo contemperamento degli interessi e dei sacrifici dei proprietari dei fondi confinanti.
E' in tale prospettiva che si è formato l'orientamento giurisprudenziale che ha ravvisato nei regolamenti locali che impongono un distacco assoluto tra costruzioni un implicito riferimento al confine e, quindi, l'obbligo per ciascuna parte di rispettare una distanza minima dal confine pari alla metà di quella complessiva prescritta per i distacchi tra edifici. Solo in tal modo, infatti, secondo i fautori della tesi esposta, potrebbe essere soddisfatta l'esigenza di evitare eccessivi sacrifici a carico di colui che costruisca per secondo; obiettivo che verrebbe frustrato in caso di applicazione del principio di prevenzione, di per sé incompatibile con un'equa ripartizione tra le parti dell'onere imposto dalla previsione del distacco.
In dottrina, poi, alcuni autori hanno rimarcato il carattere di "specialità" della disciplina dettata dai regolamenti edilizi rispetto a quella codicistica, per ravvisare in tale normativa una deroga non solo al dato numerico della distanza, ma all'intero sistema dei rapporti tra proprietari limitrofi delineato dal codice civile.
Un ulteriore argomento invocato a sostegno della inoperatività del criterio della prevenzione è quello che si fonda sul rilievo della natura pubblicistica dei regolamenti locali, connessa al fatto che essi concorrerebbero a comporre la complessiva disciplina urbanistica; a detta natura conseguirebbe la non praticabilità della disciplina codicistica della prevenzione, tipicamente destinata a regolare i rapporti tra privati.
In tale ottica si pone la già citata pronunzia delle Sezioni Unite n. 3873/1974, che ha osservato come
l'intento insito nella norma regolamentare sia quello "di garantire in ogni caso un ampio spazio tra gli edifici onde soddisfare interessi di ordine generale, come quelli igienici, di quiete pubblica e di estetica edilizia.., intento, questo, che rimarrebbe ovviamente frustrato se, nel contempo, venissero consentite costruzioni sul confine e fosse quindi permessa, da parte del vicino, la costruzione in aderenza".
2.7) Gli argomenti sopra richiamati, ad avviso delle Sezioni Unite, non costituiscono un ostacolo all'affermazione dell'operatività in materia dell'istituto codicistico della prevenzione, apparendo agevolmente confutabili.
E invero, al criterio di interpretazione letterale, che si fonda sulla pretesa assimilazione degli attributi "assoluto" e "inderogabile", può opporsi, in conformità di un'autorevole opinione dottrinale, come la normativa edilizia contempli effettivamente la previsione di distanze "inderogabili", come tali destinate a non tollerare in alcun caso la possibilità di costruire sul confine o in aderenza. Al di fuori di tali ipotesi, tuttavia, in presenza di una norma regolamentare che si limiti a prevedere un distacco "assoluto" tra costruzioni, non sembra possibile escludere in radice la possibilità di edificare sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella legale, ferma restando la necessità, nel caso in cui non vengano realizzate costruzioni in appoggio o in aderenza, di rispettare la distanza minima prescritta dal regolamento locale.
Quanto all'ostacolo derivante dalla necessità di assicurare un'equa ripartizione dell'onere tra i proprietari confinanti, è facile obiettare che un equo contemperamento degli interessi delle parti è garantito dalla possibilità, offerta al prevenuto, di chiedere la comunione forzosa del muro o di costruire in aderenza alla fabbrica eretta dal preveniente sul confine o a distanza dallo stesso inferiore alla metà del distacco fissato dalla norma regolamentare. Il meccanismo della prevenzione, come congegnato dal codice civile, pertanto, consente di regolare armonicamente il rapporto di successione temporale tra le costruzioni che sorgono su fondi contigui, senza assicurare posizioni di vantaggio a colui che costruisce per primo in danno di colui che costruisce per secondo: alle facoltà riconosciute al preveniente, infatti, fanno da contrappeso quelle attribuite al prevenuto, alle quali il primo non può opporsi.
All'argomento basato sul carattere di "specialità" dei regolamenti edilizi, poi, può replicarsi che detti regolamenti, proprio in ragione di tale specialità, sono di stretta interpretazione; con la conseguenza che, allorché essi si limitino ad imporre un distacco minimo tra costruzioni, senza prescrivere espressamente altresì una distanza minima dal confine, non pare lecito cogliere negli stessi una deroga al criterio della prevenzione sancito in via generale dal codice civile. I regolamenti locali, infatti, in virtù del rinvio previsto nell'art. 873 c.c., hanno portata integrativa delle prescrizioni del codice civile in tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi; sicché ad essi, salva espressa previsione contraria, deve ritenersi applicabile l'intera disciplina codicistica dettata in materia, compreso il meccanismo della prevenzione.
La tesi che ravvisa la ragione della incompatibilità del principio della prevenzione con la disciplina extracodicistica delle distanze nella natura "pubblicistica" di tale normativa, infine, è stata già considerata insostenibile da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 11489/2002, nella quale è stato rilevato che è "evidente la componente pubblicistica, accanto a quella privatistica, di tutta la disciplina, anche codicistica, sulle distanze, volta, com'è noto, ad armonizzare la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato con l'interesse pubblico ad un ordinato assetto urbanistico" .
Una simile componente pubblicistica, pertanto, così come non ha impedito la previsione nel codice civile della regola della prevenzione, allo stesso modo non può costituire un serio ostacolo all'estensione della relativa disciplina alla materia regolata dai regolamenti locali.
Né potrebbe sostenersi la natura esclusivamente pubblicistica della normativa extracodicistica in materia di distanze, ove solo si tenga conto della natura tipicamente privatistica della sanzione prevista in caso di violazione delle relative disposizioni, costituita dal rimedio della riduzione in pristino, rimesso all'iniziativa del vicino, il quale potrebbe anche non farvi ricorso.
Ove, poi, si consideri che la ratio delle norme sulle distanze minime tra costruzioni è, secondo l'opinione dominante, quella di evitare il pregiudizio che potrebbe derivare agli edifici dalla creazioni di intercapedini troppo ristrette, appare evidente che una simile finalità non viene frustrata dalla previsione della facoltà di costruire in aderenza o in appoggio, escludendosi in tal modo la possibilità stessa della formazione di intercapedini pericolose tra i due fabbricati.
2.8) In definitiva,
nessuna delle ragioni preclusive evidenziate in giurisprudenza e in dottrina osta all'applicabilità del principio codicistico della prevenzione nell'ipotesi in cui un regolamento locale si limiti a stabilire un distacco minimo tra le costruzioni maggiore rispetto a quello contemplato dall'art. 873 del codice civile, senza prescrivere altresì una distanza minima delle costruzioni dal confine o vietare espressamente la costruzione in appoggio o in aderenza.
Orbene,
se le norme regolamentari, così come in concreto strutturate, postulano solo l'esigenza del rispetto di una distanza minima tra fabbricati, non vi è alcun valido motivo per negare a colui che costruisca per primo la possibilità di avvalersi delle facoltà connesse al principio di prevenzione in base alla disciplina codicistica.
Le norme dei regolamenti edilizi che fissano le distanze tra le costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal codice civile, infatti, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 873 cod. civ., hanno portata integrativa delle disposizioni dettate in materia dal codice civile; e tale portata non si esaurisce nella sola deroga alle distanze minime previste dal codice, ma si estende all'intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione, che i regolamenti locali possono eventualmente escludere, prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza.
Ne discende che
un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, ne al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli artt. 874, 875 e 877 cod. civ.
2.9) Alla luce degli esposti principi, nella specie, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, deve ritenersi l'operatività della regola della prevenzione, non risultando che il regolamento edilizio del Comune di Ottaviano, che impone un distacco tra costruzioni di metri otto, preveda altresì una distanza minima delle costruzioni dal confine.
I primi due motivi di ricorso, di conseguenza, devono essere disattesi.

EDILIZIA PRIVATA: L. Spallino, Distanze in edilizia - REPERTORIO DI GIURISPRUDENZA (digesto giurisprudenziale in materia di regime delle distanze in edilizia, con particolare attenzione alla applicazione del d.m. 1444/1968, art. 9) (20.03.2016 - tratto da www.studiospallino.it cliccando qui).

EDILIZIA PRIVATAIn generale, rientra nel concetto di costruzione ogni manufatto, di qualunque materiale esso sia costituito, che emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo o non sia completamente interrato e che, pur difettando di una propria individualità, per struttura, solidità, compattezza, consistenza e sporgenza dal terreno, sia idoneo a creare quelle intercapedini dannose, in quanto impediscono il passaggio di aria e luce, che la legge, stabilendo la distanza minima fra le costruzioni, intende evitare.
Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, appare coerente con le finalità di pubblico interesse l’esclusione dalla disciplina delle distanza dei manufatti non più alti di un metro in quanto, appunto, configurano entità trascurabili rispetto all'interesse tutelato dalla norma considerato nel suo triplice aspetto della tutela della sicurezza, della salubrità e dell'igiene.

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L’argomento della ricorrente, che attiene invero più all’interpretazione giurisprudenziale della normativa vigente che a concreti profili di illegittimità delle norme genericamente richiamate, non trova peraltro riscontro nel testo del R.E.
L’art. 11, comma 2, in materia di “distanze minime dei fabbricati dai confini di proprietà”, stabilisce infatti che “La distanza dei fabbricati dai confini di proprietà viene determinata quale distanza minima tra il fabbricato in qualsiasi punto, anche se aggettante, ed il confine”.
L’art. 12, comma 1°, dello stesso R.E., in materia di “Distanze minime tra edifici” precisa che con tale definizione si intende “…la distanza minima fra le proiezioni verticali dei fabbricati, misurata nei punti di massima sporgenza ad esclusione degli aggetti praticabili e non praticabili compresi entro m. 1,20. I distacchi variano da zona a zona ma è fissato un minimo assoluto”.
Il 2° comma dello stesso articolo precisa che “E’ prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e tra pareti di edifici antistanti”.
Alla luce dei ricordati testi normativi non è dato comprendere sotto quale aspetto la previsione comunale si ponga in concreto ed effettivo contrasto con i parametri normativi richiamati.
Del pari privo di pregio è il rilievo che sarebbe illegittima la disposizione impugnata nella parte in cui prevede che “Fanno eccezione alla distanza minima così definita i manufatti di qualsiasi genere, compresi gli interrati e i seminterrati, non più alti in ogni punto di 1,00 metro dalla quota del piano stradale o del piano di campagna allo stato naturale se più sfavorevole”.
Ed invero la pacifica giurisprudenza è concorde nel ritenere che ratio della disposizione in oggetto sia quella di impedire che tra costruzioni vicine si creino intercapedini che, per la loro esiguità, abbiano a risultare pericolose (sotto il profilo dell’insalubrità nonché dell’ordine pubblico).
In generale, rientra nel concetto di costruzione ogni manufatto, di qualunque materiale esso sia costituito, che emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo o non sia completamente interrato e che, pur difettando di una propria individualità, per struttura, solidità, compattezza, consistenza e sporgenza dal terreno, sia idoneo a creare quelle intercapedini dannose, in quanto impediscono il passaggio di aria e luce, che la legge, stabilendo la distanza minima fra le costruzioni, intende evitare.
Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, appare coerente con le finalità di pubblico interesse l’esclusione dalla disciplina delle distanza dei manufatti non più alti di un metro in quanto, appunto, configurano entità trascurabili rispetto all'interesse tutelato dalla norma considerato nel suo triplice aspetto della tutela della sicurezza, della salubrità e dell'igiene (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 03.02.2016 n. 98 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Quando gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine ma prevedano anche la possibilità di costruire "in aderenza" od "in appoggio", si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e ss. cod. civ., con la conseguenza si applica il criterio della prevenzione, in forza del quale che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo così il vicino —che intenda a sua volta edificare— nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli artt. 875 e 877, secondo comma, cod. civ.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.
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1. — Con l'unico motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 cod. civ. e 10 del Piano regolatore generale e del Regolamento edilizio del Comune di Tagliacozzo, che prevede la possibilità di costruire in aderenza sul confine.
Secondo i ricorrenti, la Corte di Appello avrebbe errato a non tener conto del principio della prevenzione temporale, sotteso alla norma di cui all'art. 873 cod. proc. civ., per il quale il preveniente ha facoltà di costruire sul confine.
La censura è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte suprema, dalla quale non v'è ragione di discostarsi,
il criterio della prevenzione, previsto dagli artt. 873 e 875 cod. civ., è derogato dal regolamento comunale edilizio allorché questo fissi la distanza non solo tra le costruzioni, ma anche delle stesse dal confine; salvo che lo stesso consenta ugualmente le costruzioni in aderenza o in appoggio, nel qual caso il primo costruttore ha la scelta tra l'edificare a distanza regolamentare e l'erigere la propria fabbrica fino ad occupare l'estremo limite del confine medesimo, ma non anche quella di costruire a distanza inferiore dal confine, poiché detta prescrizione ha lo scopo di ripartire tra i proprietari confinanti l'onere della creazione della zona di distacco (Sez. 2, Sentenza n. 23693 del 06/11/2014, Rv. 633061); ciò perché, quando gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine ma prevedano la possibilità di costruire "in aderenza" od "in appoggio", si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e ss. cod. civ., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli artt. 875 e 877, secondo comma, cod. civ.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico (Sez. 2, Sentenza n. 8465 del 09/04/2010, Rv. 612355; analogamente, Sez. 2, Sentenza n. 13286 del 05/10/2000, Rv. 540788; Sez. 2, Sentenza n. 11899 del 07/08/2002, Rv. 556776).
Nella specie, la Corte di Appello di L'Aquila dà atto —a p. 2 della sentenza impugnata— che lo strumento urbanistico comunale vigente all'epoca della costruzione consentiva la possibilità di costruire in aderenza ad un altro fabbricato, ma ha omesso di applicare il principio della prevenzione, ritenendo così che la costruzione edificata dal convenuto sul confine fosse a distanza non legale, nonostante che mancasse al di là del confine alcuna costruzione e che il convenuto, pertanto, fosse da qualificarsi preveniente.
2. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla Corte di Appello di L'Aquila in diversa composizione, che si conformerà al seguente principio di diritto: «
Quando gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine ma prevedano anche la possibilità di costruire "in aderenza" od "in appoggio", si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e ss. cod. civ., con la conseguenza si applica il criterio della prevenzione, in forza del quale che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo così il vicino —che intenda a sua volta edificare— nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli artt. 875 e 877, secondo comma, cod. civ.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico» (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 11.12.2015 n. 25032).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze tra costruzioni, la Cassazione sui fondi con dislivelli.
In caso di modifica al piano di campagna, l’altezza del muro di confine va misurata computandovi il terrapieno creato artificialmente.
In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato mediante la realizzazione di un innalzamento del piano di campagna stessa, al fine di verificare se sia rispettata l'altezza massima del muro di cinta che sia stato costruito sul confine, l'altezza va misurata computandovi il terrapieno creato ex novo dall'opera dell'uomo, e quindi tenendo conto dell'originario posizionamento del terreno prima dell'innalzamento.
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2. - Con il secondo motivo (erronea applicazione di norme di legge; erronea e contraddittoria motivazione; erronea valutazione di un elemento essenziale attinente alle risultanze istruttorie) ci si duole che la Corte d'appello abbia ritenuto illegittima l'altezza del muro di recinzione perché, pur realizzato all'altezza prevista dalla norma all'epoca in vigore, questa sarebbe stata calcolata rispetto alla nuova situazione di fatto derivante dalla mutazione del piano di campagna.
Il motivo si conclude con il quesito "se dall'esecuzione di opere di livellamento dà fondi limitrofi, con alterazione degli originari piani di campagna, derivi il conseguente obbligo di limitare l'altezza dei muri di confini in relazione al dislivello raggiunto dai fondi a seguito del mutamento del piano di campagna".
2.1. - Il motivo è infondato.
In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna -originariamente livellato sul confine tra due fondi- sia stato artificialmente modificato mediante la realizzazione di un innalzamento del piano di campagna stessa, al fine di verificare se sia rispettata l'altezza massima del muro di cinta che sia stato costruito sul confine, l'altezza va misurata computandovi il terrapieno creato ex novo dall'opera dell'uomo, e quindi tenendo conto dell'originario posizionamento del terreno prima dell'innalzamento (cfr. Cass., Sez. Il, 24.06.2003, n. 9998; Cass., Sez. Il, 04.06.2010, n. 13628) (Corte di Cassazione, Sez. II, civile, sentenza 24.11.2015 n. 23934).

EDILIZIA PRIVATA: È ius receptum che le controversie tra proprietari di fabbricati vicini relative all'osservanza di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che rilevi l'avvenuto rilascio del titolo abilitativo all'attività costruttiva, la cui legittimità può essere valutata "incidenter tantum" dal giudice ordinario attraverso l'esercizio del potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo.
Inoltre ogni concessione edilizia è rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi.
Il ruolo del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell'esercizio del potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., ma non può impedire l'esercizio della azione civilistica intrapresa dal vicino per far rispettare la normativa in tema di distanze, che siano queste previste dal codice civile o dagli strumenti urbanistici.
Per il differente ordine in cui le azioni si muovono, essa non è subordinata all'annullamento dell'atto concessorio.
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4) Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 873 sotto altro profilo.
Parte ricorrente espone che essa aveva ottenuto concessione edilizia per la realizzazione dell'ampliamento della preesistente veranda e che il terzo aveva l'onere di impugnare davanti al giudice amministrativo la concessione edilizia, senza potere altrimenti invocare tutela volta a disapplicare l'atto concessorio.
La doglianza è manifestamente infondata.
È ius receptum che le controversie tra proprietari di fabbricati vicini relative all'osservanza di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che rilevi l'avvenuto rilascio del titolo abilitativo all'attività costruttiva, la cui legittimità può essere valutata "incidenter tantum" dal giudice ordinario attraverso l'esercizio del potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo (SU 13673/2014).
Inoltre ogni concessione edilizia è rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi (Cass. 19650/2013; 11404/1998).
Il ruolo del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell'esercizio del potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A. (Cass. 9869/2015), ma non può impedire l'esercizio della azione civilistica intrapresa dal vicino per far rispettare la normativa in tema di distanze, che siano queste previste dal codice civile o dagli strumenti urbanistici.
Per il differente ordine in cui le azioni si muovono, essa non è subordinata all'annullamento dell'atto concessorio (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 19.10.2015 n. 21119).

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale le norme degli strumenti urbanistici locali che impongono di mantenere le distanze fra fabbricati o di questi dai confini non sono derogabili, perché dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali e pubblici in materia urbanistica.
Le norme sulle distanze di cui all’art. 873 e ss c.c. sono, invece, dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli e mirano unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose. Esse, in quanto tali, sono suscettibili di deroga mediante convenzione tra privati.
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L’art. 879 c.c., nel disporre che “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano” va inteso nel senso che, in presenza di una strada pubblica, non si fa tanto questione di tutelare un diritto soggettivo privato (tutelato dalla normativa codicistica sulle distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di perseguire il preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo urbanistico intorno alla strade ed alle piazze, ordinato sviluppo che trova la sua disciplina esclusivamente nelle leggi e regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali vanno annoverate le NTA del PRG del Comune, oltre al D.M. 1444/1968.
La giurisprudenza, nel ribadire la natura di norma primaria imperativa dell’art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967), ne ha sancito la prevalenza anche rispetto ad eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione che, per questo, “vengono caducate ed automaticamente sostituite dalla anzidetta disposizione”.

Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente chiarire, da un lato, che le ricorrenti contestano l’applicazione dell’art. 46 NTA del PRG e delle previsioni di al D.M. 1444/1968, dall’altro, che la disposizione del D.M. 1444/1968 che trova indubbia applicazione è quella di cui al secondo comma dell’art. 9, che reca una disciplina specifica delle distanze tra edifici per il caso in cui tra i fabbricati siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli.
Poste tali premesse, è possibile procedere con l’esame delle singole censure.
Con riferimento alla pretesa applicazione della deroga di cui all’art. 879 cc., il Collegio richiama, condividendolo, il consolidato orientamento giurisprudenziale, ai sensi del quale, le norme degli strumenti urbanistici locali, che impongono di mantenere le distanze fra fabbricati o di questi dai confini non sono derogabili, perché dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali e pubblici in materia urbanistica (v. in tal senso, ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.06.2010 n. 4181, Cass. Civ., Sez. II, 31.05.2006, n. 12966).
Le norme sulle distanze di cui all’art. 873 e ss c.c. sono, invece, dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli e mirano unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose. Esse, in quanto tali, sono suscettibili di deroga mediante convenzione tra privati.
Il fatto che gli edifici progettati confinano con vie pubbliche è pacifico e non contestato dalle ricorrenti, che anzi richiamano tale circostanza proprio al fine di rivendicare l’applicazione della previsione di cui all’art. 879 c.c..
Il diniego opposto all’istanza rileva distanze irregolari dalla viabilità di Via Marconi e Via Cortese.
In realtà, se ciò può valere ad escludere il rispetto delle distanze codicistiche (artt. 873, 878 e 879, comma secondo, codice civile), non può arrivare a far superare l’obbligo di rispetto delle distanze imposte da leggi e da regolamenti urbanistici (cfr. Cass. Civile II, 16.04.2007 n. 9077).
L’art. 879 c.c., nel disporre che “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano” va inteso nel senso che, in presenza di una strada pubblica, non si fa tanto questione di tutelare un diritto soggettivo privato (tutelato dalla normativa codicistica sulle distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di perseguire il preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo urbanistico intorno alla strade ed alle piazze, ordinato sviluppo che trova la sua disciplina esclusivamente nelle leggi e regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali vanno annoverate le NTA del PRG del Comune di Bari, oltre al D.M. 1444/1968 (in tal senso TAR Piemonte, sez. I, sent. 1034 del 13.06.2014, TAR Palermo,sez. III n. 2049, del 17/10/2012).
La giurisprudenza, nel ribadire la natura di norma primaria imperativa dell’art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967), ne ha sancito la prevalenza anche rispetto ad eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione che, per questo, “vengono caducate ed automaticamente sostituite dalla anzidetta disposizione” (Così Cons. Stato, Sez. IV, sent. 7731 del 02.11.2010).
Nel caso in esame, tuttavia, non si rinvengono contrasti fra le NTA del PRG del Comune di Bari, in particolare la disposizione di cui all’art. 46, e l’art. 9 D.M. 1444/1968, risultando, piuttosto, il ricorso teso ad escludere l’applicabilità di entrambe le previsioni al progetto edilizio oggetto di istanza di permesso di costruire.
Né, per le medesime ragioni, assume rilievo la previsione inserita con il Decreto c.d. “del Fare” (D.L. 21.06.2013 n. 69 convertito, con modificazioni, dalla L. 09.08.2013, n. 98) che ha introdotto all’interno del Testo Unico dell’Edilizia l’art. 2-bis il quale prevede che “ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 02.04.1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
Le ricorrenti, infatti, come già evidenziato, rivendicano l’applicazione della deroga di cui all’art. 879 c.c. e, più specificamente, delle deroghe alla disciplina delle distanze, non rinvenibili nel caso in esame, avendo il Comune resistente inteso, piuttosto, applicare l’art. 46 NTA del PRG, in senso conforme alle previsioni di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968 (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 14.05.2015 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’esenzione dal rispetto delle distanze fra costruzioni di cui all'art. 878 cod.civ. si applica anche ai muri di cinta quando l'altezza sia superiore a tre metri.
L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 c.c., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo.
Per "costruzione", dunque, si intende qualsiasi manufatto dotato di stabilità, solidità ed immobilizzazione al suolo che abbia caratteristiche comunque tali da non poter rientrare nella qualifica di "muro di conta". Questi ultimi infatti sono connotati dall'avere una altezza massima di tre metri da misurarsi dal piano di campagna, altezza che, nella fattispecie, risultava superata
(massima tratta da www.e-glossa.it).
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1.- Il primo motivo, lamentando violazione degli artt. 873 e 878 cod. civ., censura la decisione gravata che, nell'escludere la natura di costruzione del muro realizzato nella proprietà della ricorrente, non aveva tenuto conto che si trattava di un muro di altezza superiore ai tre metri e Che, come tale, non poteva qualificarsi come muro di cinta, che non viene considerato al fine dell'osservanza delle distanze legali.
2.- Il secondo motivo, lamentando violazione degli artt. 873 e 934 cod. civ., deduce che, una volta accertato che il muro-costruzione era di proprietà della convenuta, perché edificato all'interno della sua proprietà, non avrebbero potuto trovare applicazione le norme sulle distanze legali in relazione a un opera -la tettoia- che era stata realizzata all'interno di costruzione preesistente.
3. - Il terzo motivo, lamentando violazione degli artt. 115, 2729 e 950 cod. civ., censura la sentenza impugnata laddove avrebbe ritenuto che il muro de quo non sarebbe all'interno della proprietà di essa ricorrente, facendo riferimento alle mappe catastali, senza peraltro esaminarle in relazione agli altri elementi probatori e in particolare quanto emerso dalla descrizione compiuta dal consulente tecnico.
4.- Il quarto motivo denuncia sotto il profilo del vizio di omessa o insufficiente motivazione le doglianze formulate con il terzo motivo.
5.- I motivi -che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente- sono infondati.
La sentenza, nel verificare l'inosservanza delle distanze dal confine prescritte dallo strumento urbanistico locale della tettoia edificata dalla convenuta, ha respinto la tesi dell'appellante secondo cui la tettoia non sarebbe soggetta al rispetto del distacco, in quanto collocata all'interno del muro-costruzione di proprietà della stessa convenuta; al riguardo i Giudici hanno escluso:
a) innanzitutto che fosse stata fornita la prova che detto muro ricadesse all'interno della proprietà attorea;
b) in ogni caso, anche ove si fosse accolta tale tesi, che lo stesso potesse essere considerato costruzione, dovendo piuttosto qualificarsi come muro di cinta, attesa la funzione di delimitazione dei fondi; pertanto, il manufatto edificato all'interno avrebbe dovuto rispettare la distanza dal confine.
Orbene, la decisione è corretta, posto che
un muro può essere qualificato come muro di cinta quando ha determinate caratteristiche: destinazione a recingere una determinata proprietà, altezza non superiore a tre metri, emergere dal suolo ed avere entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni; in presenza di tali caratteristiche è applicabile la disciplina prevista dall'art. 878 cod. civ. e dalle norme di esso integrative, in ordine all'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni; tuttavia, tale normativa si applica anche nel caso in cui si abbia un manufatto in tutto o in parte carente di alcune di esse, purché sia idoneo a delimitare un fondo e gli possa ugualmente essere riconosciuta la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo (Cass. 8671/2001; 2940/1992).
Ne consegue che correttamente la sentenza impugnata ha escluso che il muro de quo potesse essere considerato costruzione al fine del calcolo delle distanze
(Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 16.02.2015 n. 3037).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Il criterio della prevenzione, quale si evince dal combinato disposto degli articoli 873 e 875 c.c., è derogato dal regolamento comunale edilizio nel caso in cui questo fissi la distanza non solo tra le costruzioni, ma anche delle stesse costruzioni dal confine; che siffatta deroga non opera allorché il regolamento edilizio, pur imponendo il rispetto di una data distanza altresì dal confine, consenta anche le costruzioni in aderenza o in appoggio, con la conseguenza che in tale ipotesi il primo costruttore ha la scelta tra il costruire alla distanza regolamentare dal confine e l’erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo; che, tuttavia, in tal ultima evenienza il preveniente non ha anche la possibilità di costruire a distanza inferiore dal confine.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli articoli 872, 873 e 875 c.c. e del regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS) emanato nell’anno 1955.
Adducono che “la circostanza che nella specie il regolamento edilizio della (OMISSIS) del 1955, dopo la norma posta dalla Corte genovese a fondamento della sentenza…, prevedesse che “è permessa la costruzione a muro cieco sul confine” impone di ricondurre la fattispecie nell’ambito di applicazione del criterio della prevenzione” (così ricorso, pag. 8), cosicché “l’attivita’ edilizia degli appellati (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe… legittima” (così ricorso, pag. 8).
Il motivo è destituito di fondamento.
E’ bastevole, da un canto, reiterare gli insegnamenti di questa Corte (il riferimento è a Cass. 11.08.1990, n. 8222), alla cui stregua il criterio della prevenzione, quale si evince dal combinato disposto degli articoli 873 e 875 c.c., è derogato dal regolamento comunale edilizio nel caso in cui questo fissi la distanza non solo tra le costruzioni, ma anche delle stesse costruzioni dal confine; che siffatta deroga non opera allorché il regolamento edilizio, pur imponendo il rispetto di una data distanza altresì dal confine, consenta anche le costruzioni in aderenza o in appoggio, con la conseguenza che in tale ipotesi il primo costruttore ha la scelta tra il costruire alla distanza regolamentare dal confine e l’erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo; che, tuttavia, in tal ultima evenienza il preveniente non ha anche la possibilità di costruire a distanza inferiore dal confine.
E’ bastevole, dall’altro, evidenziare che i medesimi ricorrenti riconoscono che il piano regolatore generale del comune di (OMISSIS) –da applicare al caso di specie– prefigurava la distanza di m. 4 dal confine ed ancora che è fuor di discussione, siccome il secondo giudice ha evidenziato, che “l’ampliamento –per una larghezza di cm. 192 dal filo del preesistente fabbricato– si spinge fino a cm. 173 dal confine col terreno mappale 1237 degli attori” (così sentenza d’appello, pag. 5) (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 15.09.2014 n. 19408 - link a http://renatodisa.com).

EDILIZIA PRIVATA: La Consulta ha statuito che "In materia di distanze tra fabbricati, sono principi inderogabili della legislazione statale sul governo del territorio (ai sensi degli artt. 873 Cod. civ. e 9 D.M. 02.04.1968 n. 1444, applicativo dell'art. 41-quinquies L. 17.08.1942 n. 1150, introdotto dall'art. 17 L. 06.08.1967 n. 765) quelli secondo i quali la distanza minima è determinata dalla legge statale, in sede locale (entro limiti di ragionevolezza) si possono solo fissare limiti maggiori e le deroghe locali devono essere previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati. Pertanto, è incostituzionale, per violazione dei detti principi, l'art. 50, comma 8, lett. c), L. reg. Veneto 23.04.2004 n. 11, che disciplina le distanze solo in funzione degli interessi privati, autorizzando il confinante a costruire a distanza inferiore a quella prescritta, salva la distanza dal confine, quando un fabbricato finitimo già esistente sia stato posto, rispetto al medesimo confine, a distanza inferiore dai limiti in atto vigenti, pur se legittimamente all'epoca dell'edificazione".
Pertanto, la possibilità di costruire sul confine è consentita soltanto se vi è la possibilità di costruire in aderenza rispetto ad un fabbricato già edificato e non laddove il fabbricato già esistente non sia stato costruito sul confine, ma discosto da esso, ma dall’esame documentale si apprezza che i box in questione verrebbero realizzati in aderenza alla rete metallica che separa le due proprietà.
Al suddetto precetto soggiacciono anche le costruzioni destinate a ricovero per autovetture, come ha già avuto modo di chiarire questo Consiglio, precisando che persino: “La tettoia di dimensioni sufficienti al parcheggio di un'autovettura, pur avendo pareti laterali a graticcio, va considerata alla stregua di una costruzione col conseguente obbligo di osservanza delle distanze legali ai sensi dell'art. 873 Cod. civ., in quanto essa è idonea a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento della proprietà”.

Quanto alla lamentata erroneità della sentenza di primo grado circa la non corretta esegesi della disciplina delle distanze che avrebbe condotto il TAR all’erroneo annullamento nei limiti sopra indicati della concessione edilizia 14.11.1996, n. 43/96 e dell’art. 45.9 del regolamento edilizio del comune di Rho, non può convenirsi con le tesi proposte in entrambi i gravami.
Appare, infatti, corretta la ricostruzione giuridica offerta dal TAR per la Lombardia, che ha rilevato il contrasto insanabile tra il citato art. 45.9 del regolamento edilizio e l’art. 873 c.c., la cui portata precettiva è stata chiaramente indicata da Corte cost., 16.06.2005, n. 232: “In materia di distanze tra fabbricati, sono principi inderogabili della legislazione statale sul governo del territorio (ai sensi degli artt. 873 Cod. civ. e 9 D.M. 02.04.1968 n. 1444, applicativo dell'art. 41-quinquies L. 17.08.1942 n. 1150, introdotto dall'art. 17 L. 06.08.1967 n. 765) quelli secondo i quali la distanza minima è determinata dalla legge statale, in sede locale (entro limiti di ragionevolezza) si possono solo fissare limiti maggiori e le deroghe locali devono essere previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati; pertanto, è incostituzionale, per violazione dei detti principi, l'art. 50, comma 8, lett. c), L. reg. Veneto 23.04.2004 n. 11, che disciplina le distanze solo in funzione degli interessi privati, autorizzando il confinante a costruire a distanza inferiore a quella prescritta, salva la distanza dal confine, quando un fabbricato finitimo già esistente sia stato posto, rispetto al medesimo confine, a distanza inferiore dai limiti in atto vigenti, pur se legittimamente all'epoca dell'edificazione”.
Pertanto, la possibilità di costruire sul confine è consentita soltanto se vi è la possibilità di costruire in aderenza rispetto ad un fabbricato già edificato e non laddove il fabbricato già esistente non sia stato costruito sul confine, ma discosto da esso (Cons. St., Sez. V, 27.04.2012, n. 2458; Id., 13.01.2004, n. 46), ma dall’esame documentale si apprezza che i box in questione verrebbero realizzati in aderenza alla rete metallica che separa le due proprietà.
Al suddetto precetto soggiacciono anche le costruzioni destinate a ricovero per autovetture, come ha già avuto modo di chiarire questo Consiglio, precisando che persino: “La tettoia di dimensioni sufficienti al parcheggio di un'autovettura, pur avendo pareti laterali a graticcio, va considerata alla stregua di una costruzione col conseguente obbligo di osservanza delle distanze legali ai sensi dell'art. 873 Cod. civ., in quanto essa è idonea a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento della proprietà” (Cons. St., Sez. II, 10.11.2004, n. 3523)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.03.2014 n. 1272 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Una scala esterna scoperta non incide sulla volumetria ma rileva ai fini della distanza dai confini.
Esclusione dei balconi dal computo delle distanze.
Vero è che il vano scale e in particolare, a maggior ragione, una rampa di scala scoperta non incide sulla volumetria, trattandosi, di un volume c.d. tecnico, ma altre conseguenze può avere la stessa struttura sul diverso versante della normativa dettata per le distanze dai confini.
Invero, nel calcolo della distanza minima fra costruzioni posta dall’art. 873 codice civile o da norme regolamentari di esso integrative (come nel caso di specie) deve tenersi conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato come la scala esterna in muratura anche scoperta, se ed in quanto presenta connotati di consistenza e stabilità.
A deporre nel senso della computabilità del manufatto in parola nella misurazione delle distanze dai confini, induce la non irrilevante considerazione sulle finalità sottese al rispetto della normativa sui distacchi dal confine e in generale delle disposizioni, di tipo inderogabile recate dal D.M. n. 1444 del 1968, volte, com’è noto, ad assicurare le necessarie condizioni di salubrità sotto il profilo igienico-sanitarie, mediante l’eliminazione di perniciose intercapedini.
A fronte, perciò, del contenuto “pubblicistico” della disciplina all’uopo dettata e del carattere inderogabile della stessa, deve ritenersi non tollerabile la presenza di una parte sia pure di modesta entità di un opus edilizio che va ad insistere in maniera permanente su uno spazio territoriale che deve libero da qualsiasi ingombro.

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L’esclusione dei balconi dal computo delle distanze, deve avvenire in ragione di un criterio interpretativo sottolineato da un preciso orientamento giurisprudenziale secondo cui il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della distanza dal confine solo nel caso in cui una norma di piano lo preveda espressamente e tale ultima circostanza nella specie non è rinvenibile, posto che le NTA di Piano del Comune non lo prevede.
Inoltre, non si rinvengono elementi tali da far ritenere che la maggiore profondità dei balconi sia idonea ad evidenziare una sorta di ampliamento della consistenza del fabbricato, giacché se si versasse in tale ultima ipotesi, sicuramente le sporgenze andrebbero computate ai fini del rispetto delle distanze.

Viene poi in rilievo la questione relativa alla lamentata violazione da parte degli originari ricorrenti di primo grado della distanza dal confine del lotto costruito, in relazione ad rampa di scala che aggetterebbe ad una distanza inferiore ai 5 metri e a dei balconi che pure sopravanzano il fabbricato
Sul punto le osservazioni del primo giudice in ordine alla sussistenza del vizio dedotto dai sigg.ri Ciavarella, Sollazzo e Magaraggia con riferimento alla scala meritano condivisone mentre si ritiene debbano essere disattesi i rilievi mossi dallo stesso giudicante a carico dei balconi
L’art. 10 delle NTA prevede un’area di distacco dal confine pari a 5 mt. e l’art. 6 delle stesse norme tecniche di attuazione stabilisce che le aree di distacco sono inedificabili.
Come riferito peraltro dagli stessi appellanti in tale area di distacco viene a posizionarsi sia pure solo per una parte una scala che partendo in area coperta dell’edificio dei sigg.ri Losurdo-Dipede si prolunga, sino ad invadere l’area inedificabile per circa 40 cm (il dato per il vero non è pacifico, e oscilla, come pare di capire, tra i 30 e i 50 cm).
Ora, vero è che il vano scale e in particolare, a maggior ragione, una rampa di scala scoperta non incide sulla volumetria, trattandosi, di un volume c.d. tecnico (Cons. Stato Sez. IV 07.07.2008 n. 3381), ma altre conseguenze può avere la stessa struttura sul diverso versante della normativa dettata per le distanze dai confini.
Invero, nel calcolo della distanza minima fra costruzioni posta dall’art. 873 codice civile o da norme regolamentari di esso integrative (come nel caso di specie) deve tenersi conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato come la scala esterna in muratura anche scoperta, se ed in quanto presenta connotati di consistenza e stabilità (Cassazione civile Sez. II 30/01/2007 n. 1966; Tar Basilicata 19/09/2013 n. 574).
A deporre nel senso della computabilità del manufatto in parola nella misurazione delle distanze dai confini, induce la non irrilevante considerazione sulle finalità sottese al rispetto della normativa sui distacchi dal confine e in generale delle disposizioni, di tipo inderogabile recate dal D.M. n. 1444 del 1968, volte, com’è noto, ad assicurare le necessarie condizioni di salubrità sotto il profilo igienico-sanitarie, mediante l’eliminazione di perniciose intercapedini.
A fronte, perciò, del contenuto “pubblicistico” della disciplina all’uopo dettata e del carattere inderogabile della stessa, deve ritenersi non tollerabile la presenza di una parte sia pure di modesta entità di un opus edilizio che va ad insistere in maniera permanente su uno spazio territoriale che deve libero da qualsiasi ingombro.
A diversa conclusione invece si deve pervenire in ordine alla questione dei balconi, senza che per il vero si possa accedere alla tesi pure propugnata dagli appellanti dell’assimilabilità e/o equiparabilità tra la scala scoperta e i balconi in questione in quanto tra le due “strutture” vi è diversità di tipologia e di consistenza e, conseguentemente, diversi sono gli effetti derivanti dalla loro presenza in ordine al rispetto del parametro edilizio in discussione
In realtà l’esclusione dei balconi dal computo delle distanze, nella specie deve avvenire in ragione di un criterio interpretativo sottolineato da un preciso orientamento giurisprudenziale secondo cui il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della distanza dal confine solo nel caso in cui una norma di piano lo preveda espressamente e tale ultima circostanza nella specie non è rinvenibile, posto che le NTA di Piano del Comune di Cellamare non lo prevede.
Va peraltro pure dato atto che nella vicenda all’esame non si rinvengono elementi tali da far ritenere che la maggiore profondità dei balconi sia idonea ad evidenziare una sorta di ampliamento della consistenza del fabbricato, giacché se si versasse in tale ultima ipotesi, sicuramente le sporgenze andrebbero computate ai fini del rispetto delle distanze ( Cons. Stato Sez. IV 17/05/2012 n.2847).
Con colgono nel segno, infine, le critiche formulate da parte appellante alla statuizione del primo giudice circa la sussistenza del vizio di violazione delle disposizioni recate dal D.M. n. 1444/1968 in ordine alla distanza minima da osservarsi tra pareti finestrate di edifici prospicienti.
Invero, rilevato che la scala costituisce, come già sopra evidenziato, struttura o corpo aggettante da considerarsi ai fini del computo della distanza, quest’ultima con riferimento al parametro edilizio posto dalla norma di cui all’art. 9 del citato Decreto risulta inferiore ai previsti 10 metri, limite minimo da ritenersi inderogabile, fermo restando che la disposizione statale in rassegna si rivela sovraordinata ad altra norma regolamentare locale che fissi una diversa, minore distanza (ex multis, Cons. Stato Sez. IV 17/05/2012 n. 2847) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.03.2014 n. 1000 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le norme sulle distante sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distante che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima.
Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale.

1.2 Col secondo motivo di ricorso si deduce: “Error in iudicando; violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 5.9 delle N.T.A. del PRG del Comune di Teramo; violazione dell’art. 360 n. 3 c.c.”.
La Corte di Appello erronemente ha ritenuto che “il manufatto, oltre a risultare difforme dalla concessione edilizia, si pone in contrasto con la disposizione regolamentare, integrativa del regime codicistico, prevedente la distanza minima dai confini di m 5,00”. Si tratta di violazione amministrativa che nessun rilievo ha nel rapporto tra privati. Inoltre, osserva la ricorrente che “l’irregolarità dal punto di vista urbanistico non sussiste dal momento che la V. si è avvalsa della facoltà concessa dall’art. 12 L. 47/1985 provvedendo al pagamento della prescritta sanzione pecuniaria come risulta dalla documentazione prodotta (doc. n. 9 del fascicolo di 1^ grado). V. , la costruzione è stata ritenuta compatibile con la normativa sismica giusta certificato rilasciato in tal senso dal servilo del Genio Civile di Teramo”.
E, inoltre, secondo la ricorrente, non configurabile “la prospettata violazione dettati. 873 e. e. ove si consideri che il regime normativo tracciato dal codice non prevede distante dai confini”. L’autorizzazione accordata dai condomini tutti “risulta espressa nei seguenti termini: ‘l’assemblea, all’unanimità, autorizza in deroga a quanto stabilito dall’art. 6 del regolamento di condominio la Sig.ra V.F. a realizzare il vano sull’area che la stessa ha in uso esclusivo. Detto vano, adiacente l’attuale cucina avrà una superficie coperta di circa mq. 15 e dovrà essere realizzata a perfetta regola d’arte in maniera tale da non creare danni alle strutture condominiali”.
I limiti posti all’attività edilizia della V. erano “circoscritti, da un lato, alla corretta esecuzione dell’opera e, dall’altro, al mancato pregiudizio all’edificio condominiale”. Stante l’intervenuto provvedimento di sanatoria, la costruzione autorizzata non era vincolata al rispetto di altri parametri e, in particolare, all’osservanza della distanza dal confine stradale. “Il condominio D.A. non poteva, infatti, censurare l’opera realizzata dalla V. per violazione della distanza minima dai confini di m. 5,00 dal momento che egli stesso aveva consentito la costruzione del manufatto a distanza inferiore a quella prescritta dalla normativa regolamentare integrativa del Codice Civile”.
Viene formulato il seguente quesito: “Dica il Supremo Collegio se la distanza prescritta per la costruzione dal confine dalla norma regolamentare (NTA del PRG) possa essere fatta valere anche a seguito di una autorizzazione accordata dal condominio alla realizzarne di un manufatto a distanza non regolamentare”.
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2.2 Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Si denuncia la violazione dell’art. 873 cod. civ. e 5.9 delle n.ta. del P.R.G.. Si assume la legittimità dell’opera perché: 1) autorizzata dal condominio e dallo stesso condomino D.A.; 2) condonata; 3) rispettosa della normativa sismica; 4) l’art. 873 cod. civ. non disciplina le distanze dal confine ma quelle tra fabbricati.
Il motivo propone correttamente la questione relativa al rispetto delle distanze all’interno di un condominio, in relazione al condiviso principio di diritto, affermato da questa Corte anche di recente con la sentenza n. 6546 del 18/03/2010, secondo la quale “Le norme sulle distante sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distante che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale”.
Peraltro il motivo, così come proposto, non supera il rilievo dell’apparente novità delle questioni sia quanto all’esistenza di una delibera autorizzativa (di cui il motivo precedente) e sia quanto all’esplicito consenso dato dagli originali attori alla realizzazione dell’opera. Occorre osservare ulteriormente che, in base alla concessione, la costruzione avrebbe dovuto essere realizzata completamente interrata e vi è da supporre che la delibera condominiale fosse in tal senso. Il motivo, quindi, è carente di specificità quanto al contenuto della delibera richiamata, risultando poi manifestamente infondata la questione relativa all’interpretazione dell’art. 873 c.c. (
Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 27.02.2014 n. 4741 - link a http://renatodisa.com).

EDILIZIA PRIVATA: I regolamenti edilizi comunali possono stabilire distanze tra edifici o dal confine, maggiori (e non minori) da quelle stabilite dal codice civile.
In tema di distanze legali fra edifici, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, come la mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, rientrano nel concetto civilistico di "costruzione" le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. "aggettanti") che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato.
D'altra parte, agli effetti di cui all'art. 873 cod. civ., la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge statale, deve essere unica e non può essere derogata, sia pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella seconda parte dell'art. 873 cod. civ. è limitato alla sola facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella codicistica.
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2. - La censura, nella sua duplice articolazione, risulta in parte inammissibile, in parte priva di fondamento.
2.1. - Deve, anzitutto, osservarsi, quanto al primo quesito, che esso risulta del tutto inconferente -e la relativa doglianza, di conseguenza, inammissibile- non trattandosi, nella specie, di porre in discussione in via generale l'applicabilità della normativa di cui al Regolamento Edilizio, ma, come esattamente rilevato nel controricorso, ove, appunto, viene sollevata eccezione di inammissibilità, di determinare il criterio applicativo dell'art. 873 cod. civ. alla luce dell'art. 101 del predetto Regolamento.
2.2. - La norma citata esclude l'obbligo di rispetto delle distanze per gli aggetti senza sovrastanti corpi chiusi, cioè, evidentemente, aggetti aventi funzione esclusivamente ornamentale.
Al riguardo, questa Corte ha chiarito che in tema di distanze legali fra edifici, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, come la mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, rientrano nel concetto civilistico di "costruzione" le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. "aggettanti") che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato.
D'altra parte, agli effetti di cui all'art. 873 cod. civ., la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge statale, deve essere unica e non può essere derogata, sia pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella seconda parte dell'art. 873 cod. civ. è limitato alla sola facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella codicistica (v. Cass., sent. n. 1556 del 2005).
Nella specie, la Corte di merito ha escluso, attraverso una indagine di fatto, che la terrazza costituisca un aggetto sottratto alla disciplina in materia di distanze, rilevando che essa è costituita da un piano di calpestio, da un parapetto in muratura e da una stabile copertura sovrastante, che concorrevano alla creazione di un volume, e che, quindi, essendo posta ad una distanza dal confine inferiore ai cinque metri, come rilevato in sede di c.t.u., è soggetta al rispetto delle distanze. Ne deriva la infondatezza della censura sotto il profilo dell'art. 873 cod.civ.
(Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 30.01.2014 n. 2094 - link a www.avvocatocassazionista.it).

EDILIZIA PRIVATA: Qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire in aderenza od in appoggio, la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione e non è quindi consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza, con la conseguenza che la distanza dal confine prescritta dallo strumento urbanistico è assoluta.
Peraltro, la circostanza che le minori distanze rilevate dal confine si riferirebbero a balconi incassati (cioè chiusi su tre lati), in ogni caso non sarebbe rilevante ai fini in esame, giacché anche i balconi di apprezzabile profondità ed ampiezza rientrano tra i corpi di fabbrica computabili nelle distanze tra costruzioni (cfr. C.d.S. n. 7731/2010, nel senso che ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura).

Infatti, la scheda urbanistica di cui alle NTA del PRG per la zona Ba, sottozona 20, in cui ricadono i manufatti in questione prevede un distacco minimo dai confini di 10 metri senza null’altro aggiungere (cfr. allegato 4.a alla relazione di verificazione), sicché, come correttamente rileva parte ricorrente, nel caso di specie deve trovare applicazione il principio per il quale, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire in aderenza od in appoggio, la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione e non è quindi consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (cfr. C.d.S., sez. V, 27.04.2012, n. 2458; Cass. Civ., sez. II, 09.04.2010, n. 8465), con la conseguenza che la distanza dal confine prescritta dallo strumento urbanistico è assoluta.
Peraltro, la circostanza che le minori distanze rilevate dal confine si riferirebbero a balconi incassati (cioè chiusi su tre lati), come rimarca parte controinteressata, in ogni caso non sarebbe rilevante ai fini in esame, giacché anche i balconi di apprezzabile profondità ed ampiezza rientrano tra i corpi di fabbrica computabili nelle distanze tra costruzioni (cfr. C.d.S., sez. IV, 02.11.2010, n. 7731, nel senso che ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura); mentre è privo di ogni specificazione e riscontro l’ultimo assunto difensivo, per il quale si verterebbe nella specie di volumi tecnici, il che esime di soffermarsi sul punto (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 24.01.2014 n. 506 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATASe la cartografia del PRG prevede l’allineamento dell’edificio al confine questo deroga alla regola generale dei 5 metri dal confine.
La Corte di Appello di Venezia ritiene che, qualora un PRG preveda in una NTA come regola generale la distanza di 5 metri dal confine, costituisca una norma speciale (che prevale su quella generale di cui sopra) la cartografia del PRG che consente l’allineamento dell’edificio a confine (e, quindi, l’edificio si può costruire a confine). Quindi la Corte risolve in base al principio di specialità l’annosa questione di quale disposizione prevalga nel caso di conflitto tra disposizioni normative e previsioni grafiche all’interno dello stesso PRG.
Si legge nella sentenza: “Il primo Giudice ha individuato quale norma regolante la distanza degli edifici dal confine di proprietà la norma amministrativa locale, richiamata dall’art 873 c.c., ma nell’individuare la norma amministrativa non ha applicato il criterio di specialità nell’interpretazione della norma amministrativa richiamata. Il Regolamento locale richiamato dall’art. 873 c.c. è costituito dal PRG del Comune di Thiene. Quest’ultimo prevede una norma generale determinante la distanza degli edifici dal confine, in via generale, e norme speciali per alcune zone specifiche del Comune di Thiene.
Per principio generale interpretativo delle norme, la norma speciale prevale sulla norma generale.
Gli edifici delle parti in causa sono pacificamente ubicati in centro storico e abbiamo visto che in questa zona, il P.R.G. di Thiene, cui rimandano l’art. 5 del regolamento edilizio e l’art. 13 delle N.T.A. del Comune di Thiene, per il centro storico, punto B), sopra illustrati, con riferimento all’edificio dell’appellante, prevede espressamente nella cartografia –planivolumetrico– l’allineamento a confine dell’edificio, come risulta dall’estratto del P.R.G. dei luoghi per cui è causa.
Il permesso a costruire rilasciato dal Comune di Thiene al Convenuto per ristrutturare l’edificio oggetto di causa è conforme al Regolamento locale (P.R.G.) richiamato dall’art. 873 c.c. quale fonte integrativa del C.C.
” (Corte d'Appello di Venezia, sentenza 23.09.2014 - tratto da e link a http://venetoius.it).

EDILIZIA PRIVATAQuando lo strumento urbanistico non prevede l’obbligo di osservare un determinato distacco dal confine, trova applicazione il principio della prevenzione temporale (art. 873 ss. c.c.), secondo cui il proprietario che costruisce per primo determina, in concreto, le distanze da osservare dalle altre costruzioni sui fondi vicini, il che vale anche rispetto a successive sopraelevazioni.
Solo in presenza di una norma regolamentare che prescrive una distanza tra fabbricati con riguardo al confine, infatti, si pone l'esigenza di un'equa ripartizione tra proprietari confinanti dell'onere di salvaguardare una zona di distacco tra le costruzioni, con la conseguenza che, in assenza di una siffatta prescrizione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione.
Lo stesso principio vale anche nel caso in cui la distanza tra gli edifici resti regolata dalla norma suppletiva dettata dall’art. 17, co. 1, lett. c), della legge n. 765/1967 (che ha inserito nella legge n. 1150/1942 l’art. 41-quinquies, applicabile non soltanto ai Comuni sprovvisti di piani regolatori e programmi di fabbricazione, ma anche a quelli dotati di regolamento edilizio non contenente prescrizioni sulle distanze), poiché tale norma, al pari dell’art. 873 c.c., non fa alcun riferimento ai confini e non può, dunque, essere interpretata nel senso di imporre, sia pur implicitamente, un distacco rispetto agli stessi (cfr. Cass., SS.UU., 01.08.2002, n. 11489: «la distanza tra gli edifici non è prevista dalla norma come fissa, essendo, invece, mobile e variabile con riferimento all'altezza dell'edificio successivo; il che, da un canto, conferma che il confine tra i due fondi non assume alcun rilievo nella struttura della norma, dall'altro evidenzia, come dato imprescindibile, che la norma, così com’é strutturata, presuppone la preesistenza di un fabbricato, solo rispetto al quale, non già rispetto al confine (od anche rispetto al confine), viene prescritta la distanza minima, da determinarsi in relazione all'altezza del nuovo edificio»).
Si tratta di un ragionamento che è pianamente estensibile alle distanze di cui all’art. 9 D.M. n. 1444 del 02.04.1968, ugualmente prive di ogni riferimento ai confini ed espresse, ancora una volta, in termini mobili e variabili con riguardo alla altezza di edifici preesistenti (ovvero alla larghezza, maggiorata, della sede stradale interposta) oppure ancora in termini assoluti tra i fabbricati stessi (nel senso della applicabilità del principio di prevenzione anche con riferimento al D.M. 1444/1968, cfr., implicitamente, TAR Campania Napoli, n. 1899/2011): tutto ciò senza che, naturalmente, la circostanza che il preveniente possa aver costruito una parete finestrata, anziché non finestrata, possa mutare la consistenza di questo dato normativo e influire sulla applicabilità della regola della prevenzione.
Al riguardo, la giurisprudenza, ancor prima della suddetta pronuncia delle Sezioni Unite, ha espressamente ritenuto che dall’art. 9 n. 2 del D.M. n. 1444/1968 è desumibile la inesistenza di un obbligo di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ove non prevista negli strumenti urbanistici locali, e ha sostenuto che, in applicazione del principio di prevenzione, esso va interpretato nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va rispettata la distanza di metri dieci, con conseguente obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione (fino ad una distanza di metri cinque dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, ha rispettato una distanza di almeno metri cinque dal confine; in caso contrario, ossia se il preveniente abbia realizzato una parete finestrata ad una distanza dal confine inferiore a metri cinque, il vicino, in alternativa all'arretrare la propria costruzione fino a rispettare la distanza di dieci metri, può scegliere d'imporre al preveniente di chiudere le aperture ed a sua volta costruire con parete non finestrata rispettando la metà della distanza legale dal confine, oppure di procedere all’interpello di cui all’art. 875, co. 2, c.c. per la comunione forzosa del muro che non si trovi sul confine, ove ne ricorrano le condizioni, od ancora, nel caso di costruzione sul confine, chiedere la comunione del muro o costruire in aderenza).

Ebbene, per condivisibile indirizzo, quando lo strumento urbanistico non prevede l’obbligo di osservare un determinato distacco dal confine, trova applicazione il principio della prevenzione temporale (art. 873 ss. c.c.), secondo cui il proprietario che costruisce per primo determina, in concreto, le distanze da osservare dalle altre costruzioni sui fondi vicini (cfr. C.d.S., sez. IV, 04.02.2011, n. 802), il che vale anche rispetto a successive sopraelevazioni (cfr. C.d.S., sez. V, 10.01.2012, n. 53).
Solo in presenza di una norma regolamentare che prescrive una distanza tra fabbricati con riguardo al confine, infatti, si pone l'esigenza di un'equa ripartizione tra proprietari confinanti dell'onere di salvaguardare una zona di distacco tra le costruzioni, con la conseguenza che, in assenza di una siffatta prescrizione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione.
Lo stesso principio vale anche nel caso in cui la distanza tra gli edifici resti regolata dalla norma suppletiva dettata dall’art. 17, co. 1, lett. c), della legge n. 765/1967 (che ha inserito nella legge n. 1150/1942 l’art. 41-quinquies, applicabile non soltanto ai Comuni sprovvisti di piani regolatori e programmi di fabbricazione, ma anche a quelli dotati di regolamento edilizio non contenente prescrizioni sulle distanze: cfr. C.d.S., sez. V, 23.05.2000, n. 2983), poiché tale norma, al pari dell’art. 873 c.c., non fa alcun riferimento ai confini e non può, dunque, essere interpretata nel senso di imporre, sia pur implicitamente, un distacco rispetto agli stessi (cfr. Cass., SS.UU., 01.08.2002, n. 11489: «la distanza tra gli edifici non è prevista dalla norma come fissa, essendo, invece, mobile e variabile con riferimento all'altezza dell'edificio successivo; il che, da un canto, conferma che il confine tra i due fondi non assume alcun rilievo nella struttura della norma, dall'altro evidenzia, come dato imprescindibile, che la norma, così com’é strutturata, presuppone la preesistenza di un fabbricato, solo rispetto al quale, non già rispetto al confine (od anche rispetto al confine), viene prescritta la distanza minima, da determinarsi in relazione all'altezza del nuovo edificio»).
Si tratta di un ragionamento che è pianamente estensibile alle distanze di cui all’art. 9 D.M. n. 1444 del 02.04.1968, ugualmente prive di ogni riferimento ai confini ed espresse, ancora una volta, in termini mobili e variabili con riguardo alla altezza di edifici preesistenti (ovvero alla larghezza, maggiorata, della sede stradale interposta) oppure ancora in termini assoluti tra i fabbricati stessi (nel senso della applicabilità del principio di prevenzione anche con riferimento al D.M. 1444/1968, cfr., implicitamente, TAR Campania Napoli, sez. II, 01.04.2011, n. 1899): tutto ciò senza che, naturalmente, la circostanza che il preveniente possa aver costruito una parete finestrata, anziché non finestrata, possa mutare la consistenza di questo dato normativo e influire sulla applicabilità della regola della prevenzione.
Al riguardo, la giurisprudenza, ancor prima della suddetta pronuncia delle Sezioni Unite, ha espressamente ritenuto (cfr. Cass., sez. II, 07.03.2002, n. 3340) che dall’art. 9 n. 2 del D.M. n. 1444/1968 è desumibile la inesistenza di un obbligo di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ove non prevista negli strumenti urbanistici locali, e ha sostenuto che, in applicazione del principio di prevenzione, esso va interpretato nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va rispettata la distanza di metri dieci, con conseguente obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione (fino ad una distanza di metri cinque dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, ha rispettato una distanza di almeno metri cinque dal confine; in caso contrario, ossia se il preveniente abbia realizzato una parete finestrata ad una distanza dal confine inferiore a metri cinque, il vicino, in alternativa all'arretrare la propria costruzione fino a rispettare la distanza di dieci metri, può scegliere d'imporre al preveniente di chiudere le aperture ed a sua volta costruire con parete non finestrata rispettando la metà della distanza legale dal confine, oppure di procedere all’interpello di cui all’art. 875, co. 2, c.c. per la comunione forzosa del muro che non si trovi sul confine, ove ne ricorrano le condizioni, od ancora, nel caso di costruzione sul confine, chiedere la comunione del muro o costruire in aderenza)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 14.05.2013 n. 2495 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in aderenza” od “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività del principio della prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e segg. del c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza, ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.
Di qui la funzione e la rilevanza della deroga, diretta a consentire l'esercizio delle predette facoltà che, diversamente, sarebbero precluse dalla regola ordinaria sulle distanze dal confine e tra fabbricati.
In definitiva, laddove il regolamento edilizio locale disponga la distanza minima dai confini con espressa ammissibilità dell'edificazione in aderenza, tale previsione deve essere intesa nel senso di fare salvo il principio della prevenzione previsto dagli art. 873 e 875 c.c., secondo i quali il proprietario che costruisce per primo ha la facoltà di scelta fra costruire alla distanza regolamentare ed erigere il proprio fabbricato sul confine, ponendo così il vicino che voglia a sua volta edificare nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e costruire in aderenza oppure di arretrare la sua costruzione fino a rispettare la maggior distanza imposta dal regolamento locale.

In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in aderenza” od “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività del principio della prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e segg. del c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza, ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico (Corte di Cassazione, sez. II civile – 12/10/2012 n. 17472). Di qui la funzione e la rilevanza della deroga, diretta a consentire l'esercizio delle predette facoltà che, diversamente, sarebbero precluse dalla regola ordinaria sulle distanze dal confine e tra fabbricati.
In definitiva, laddove il regolamento edilizio locale disponga la distanza minima dai confini con espressa ammissibilità dell'edificazione in aderenza, tale previsione deve essere intesa nel senso di fare salvo il principio della prevenzione previsto dagli art. 873 e 875 c.c., secondo i quali il proprietario che costruisce per primo ha la facoltà di scelta fra costruire alla distanza regolamentare ed erigere il proprio fabbricato sul confine, ponendo così il vicino che voglia a sua volta edificare nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e costruire in aderenza oppure di arretrare la sua costruzione fino a rispettare la maggior distanza imposta dal regolamento locale (TAR Puglia Lecce, sez. III – 05/05/2011 n. 806) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 29.01.2013 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa Sezione ha già avuto modo di rilevare che:
a) “la verifica circa il mancato rispetto della distanza dal confine di proprietà private non costituisce incombente istruttorio, atteso che le stazioni radio base, per le loro caratteristiche strutturali, non paiono equiparabili alle costruzioni ex art. 873 del codice civile, e che, di conseguenza, l’onere di contestazione sullo specifico profilo incombe sul proprietario privato eventualmente leso”, quest’ultimo risultando l’unico legittimato attivo a proporre la relativa azione;
b) in merito al rapporto tra i criteri di localizzazione e gli standard urbanistici, la giurisprudenza costituzionale ha statuito che “la genericità ed eterogeneità delle categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di distanza minima viene previsto, configurano non già un quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un potere amministrativo in contrasto con il principio di legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti di telecomunicazione”.
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In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in aderenza” o “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività del principio della prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’articolo 873 c.c. e segg., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell’alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dall’articolo 875 c.c. e articolo 877 c.c., comma 2), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.
Di qui la funzione e la rilevanza della deroga, diretta a consentire l’esercizio delle predette facoltà che, diversamente, sarebbero precluse dalla regola ordinaria sulle distanze dal confine e tra fabbricati.

Con il terzo, quarto e quinto motivo –anche questi da esaminare congiuntamente, in quanto incentrati sulla violazione delle medesime disposizioni– la società ricorrente ha dedotto che le caratteristiche costruttive e dimensionali dello shelter (si tratta della cabina adibita al contenimento degli apparati di trasmissione e ricezione dei segnali telefonici) e la distanza di tale pertinenza dal vicino magazzino non sarebbero ostative alla legittima realizzazione della stazione radio-base (cfr. pag. 9); che non vi sarebbe violazione della disciplina delle distanze alla luce dell’assenza di intersoggettività (“vale a dire dalla diversa proprietà dei due edifici”, cfr. pag. 10); che, infine, le norme sul rispetto delle distanze non sarebbero “automaticamente né analogicamente applicabili agli impianti di telefonìa cellulare che hanno peculiarità e caratteristiche costruttive tali da imporne una separata valutazione” (cfr. pag. 12).
Sul punto, il Comune di Cesano Maderno ha replicato che l’art. 9 del D.M. 1444/1968 per i nuovi edifici stabilisce che “è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” (cfr. pag. 12).
Anche tali motivi meritano accoglimento, per tre diverse ragioni.
In primo luogo, la Sezione (cfr. ordinanza TAR Lombardia–Milano, sez. I, 06.12.2012, n. 1681), ha già avuto modo di rilevare che:
a) “la verifica circa il mancato rispetto della distanza dal confine di proprietà private non costituisce incombente istruttorio, atteso che le stazioni radio base, per le loro caratteristiche strutturali, non paiono equiparabili alle costruzioni ex art. 873 del codice civile, e che, di conseguenza, l’onere di contestazione sullo specifico profilo incombe sul proprietario privato eventualmente leso”, quest’ultimo risultando l’unico legittimato attivo a proporre la relativa azione (Corte di Cassazione, sez. II, 11.01.2006, n. 213);
b) in merito al rapporto tra i criteri di localizzazione e gli standard urbanistici, la giurisprudenza costituzionale ha statuito che “la genericità ed eterogeneità delle categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di distanza minima viene previsto, configurano non già un quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un potere amministrativo in contrasto con il principio di legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti di telecomunicazione” (cfr. Corte Costituzionale, 07.10.2003, n. 307).
In seconda battuta, osserva il Collegio che l’art. 40 del regolamento edilizio, pur fissando il rispetto di una distanza minima di 10 metri tra le costruzioni, ha nondimeno previsto che “i privati possono convenzionare tra loro la costruzione in aderenza, a confine”.
Trova, pertanto, applicazione il principio, di recente ribadito dalla Corte di Cassazione, secondo cui “in tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in aderenza” o “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività del principio della prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’articolo 873 c.c. e segg., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell’alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dall’articolo 875 c.c. e articolo 877 c.c., comma 2), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico (Cass. nn. 8465/2010, 11899/2002, 13286/2000 e 12103/1998). Di qui la funzione e la rilevanza della deroga, diretta a consentire l’esercizio delle predette facoltà che, diversamente, sarebbero precluse dalla regola ordinaria sulle distanze dal confine e tra fabbricati” (cfr. Corte di Cassazione, sez. II, 12.10.2012, n. 17472) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.01.2013 n. 141 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Mentre il preveniente deve attenersi, nella prosecuzione in altezza del fabbricato, della scelta operata originariamente, di guisa che ogni parte dell’immobile risulti conforme al criterio di prevenzione adottato sulla base di esso, a ciò non può frapporre ostacoli il confinante (prevenuto) che, se a sua volta abbia costruito in aderenza fino all’altezza inizialmente raggiunta dal preveniente, ha diritto di sopraelevare soltanto sul confine, ovvero a distanza da questo (e, quindi, dalla eventuale sopraelevazione del preveniente) pari a quella globale minima di legge o dei regolamenti.
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Mentre quando gli strumenti urbanistici locali fissino senza alternativa le distanze delle costruzioni dal confine, salva soltanto la possibilità di costruzione in aderenza, non può farsi luogo all’applicazione del principio di prevenzione, quando, al contrario, essi prevedono, riguardo ad edifici preesistenti, la facoltà di costruire in deroga alle prescrizioni contenute nel piano regolatore sulle distanze, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.

Gli art. 2.04 e 19 n.t.a. del piano regolatore generale, nello stabilire le distanze tra costruzioni, ammettono interventi ampliativi, anche tramite sopraelevazione, sugli edifici esistenti in contrasto con dette distanze, purché nel rispetto delle norme del codice civile.
In effetti, il provvedimento di annullamento d’ufficio, riguardante immobili preesistenti non rispettosi delle distanze introdotte dalla normativa urbanistica, è motivato sulla violazione dell’art. 873 c.c. in materia di distanza tra edifici .
Considera, tuttavia, il Collegio che la corretta applicazione dei principi civilistici in materia di distanza tra edifici, richiamati dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, involga anche quello di prevenzione, data la circostanza (non contestata) che l’edificio che il ricorrente intende sopraelevare preesiste rispetto a quello del vicino, costruito ad una distanza inferiore a tre metri.
Detto principio, in caso di sopraelevazione, comporta che “mentre il preveniente deve attenersi, nella prosecuzione in altezza del fabbricato, della scelta operata originariamente, di guisa che ogni parte dell’immobile risulti conforme al criterio di prevenzione adottato sulla base di esso, a ciò non può frapporre ostacoli il confinante (prevenuto) che, se a sua volta abbia costruito in aderenza fino all’altezza inizialmente raggiunta dal preveniente, ha diritto di sopraelevare soltanto sul confine, ovvero a distanza da questo (e, quindi, dalla eventuale sopraelevazione del preveniente) pari a quella globale minima di legge o dei regolamenti” (Cass. civ. Sez. III, 27.08.1990, n. 8849).
La possibilità, nella specie, di fare applicazione di detto principio trova conferma nel consolidato orientamento per cui, mentre quando gli strumenti urbanistici locali fissino senza alternativa le distanze delle costruzioni dal confine, salva soltanto la possibilità di costruzione in aderenza, non può farsi luogo all’applicazione del principio di prevenzione, quando, al contrario, essi prevedono, riguardo ad edifici preesistenti, la facoltà di costruire in deroga alle prescrizioni contenute nel piano regolatore sulle distanze, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico (Cassazione civile, sez. II, 09.04.2010, n. 8465)” (Cons. St. Sez. IV, 09.05.2011, n. 2749; analogamente, Cons. St. Sez. IV, 31.03.2009, n. 1998).
Dalle suesposte considerazioni discende la fondatezza dell’appello in punto di erronea applicazione dell’art. 873 c.c., richiamato dalle n.t.a., non essendosi tenuto conto della prevenzione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2013 n. 53 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: E. Boscariol, Le distanze in edilizia (Il Tecnico Legale n. 17/2012).

EDILIZIA PRIVATAAi fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. o da norme regolamentari integrative, la nozione di costruzione comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità e immobilizzazione rispetto al suolo, con la conseguenza, particolarmente aderente al caso di specie, che: “Un garage totalmente interrato può essere legittimamente realizzato senza rispettare la distanza di tre metri dal confine stabilita dall’art. 873 del codice civile, in quanto tale norma fa riferimento alle sole costruzioni che, erette sopra il suolo, ne sporgano stabilmente, con esclusione quindi dei manufatti completamente interrati”.
Ai sensi dell’art. 9 l. 24.03.1989 n. 122 (come modificato dall’art. 37 l. 07.12.1999 n. 472) la realizzazione di un parcheggio pertinenziale può essere effettuata –fatti salvi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale– anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti, comprese le distanze previste dal p.r.g. o da altre fonti normative.

Al riguardo, rileva il Tribunale che, in considerazione del carattere interrato delle erigende autorimesse, rispetto al piano di calpestio, diviene applicabile il consolidato principio, di marca giurisprudenziale, secondo cui: “Ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. o da norme regolamentari integrative, la nozione di costruzione comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità e immobilizzazione rispetto al suolo” (Cassazione civile – Sez. II – 18.02.2011, n. 4008), con la conseguenza, particolarmente aderente al caso di specie, che: “Un garage totalmente interrato può essere legittimamente realizzato senza rispettare la distanza di tre metri dal confine stabilita dall’art. 873 del codice civile, in quanto tale norma fa riferimento alle sole costruzioni che, erette sopra il suolo, ne sporgano stabilmente, con esclusione quindi dei manufatti completamente interrati” (TAR Abruzzo Pescara – Sez. I – 05.03.2009, n. 134).
Si consideri, per di più, che, sempre secondo la giurisprudenza: “Ai sensi dell’art. 9 l. 24.03.1989 n. 122 (come modificato dall’art. 37 l. 07.12.1999 n. 472) la realizzazione di un parcheggio pertinenziale può essere effettuata –fatti salvi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale– anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti, comprese le distanze previste dal p.r.g. o da altre fonti normative” (TAR Puglia Lecce – Sez. III, 21.11.2007, n. 3932) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 17.10.2012 n. 1868 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di una tettoia deve rispettare le distanze legali?
La realizzazione di una struttura metallica con tettoia sul muro di confine, anche se priva di pareti di chiusura, è da considerarsi a tutti gli effetti una costruzione ai fini della distanza dal confine.

Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. IV, con sentenza 02.10.2012 n. 16776 nel rispetto delle distanze tra edifici, ai sensi dell’art. 873 del Codice Civile, che impone la misura di almeno 3 metri come distanza legale.
Il caso riguarda la realizzazione di una tettoia da parte di un circolo di tennis e il proprietario del terreno confinante il quale, presentato ricorso in Cassazione, chiede la rimozione della stessa e il risarcimento per i danni provocati dalla costruzione sul proprio muro confinante.
La risposta della Cassazione è positiva: la tettoia in questione è da considerarsi una costruzione avendo i caratteri della stabilità, consistenza ed immobilizzazione al suolo e, in quanto tale, deve rispettare le norme del codice sulle distanze minime.
Gli ermellini, dopo il rigetto di primo e secondo grado, accolgono il ricorso del proprietario del fondo: sia per il risarcimento del danno che per la rimozione della tettoia (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanza minima dal confine di zona.
Le distanze prescritte (art. 873, c.c.) nell'interesse privato fra gli edifici, nonché fra questi ed i confini, sono derogabili con il consenso fra vicini, ma non lo sono le distanze prescritte nella disciplina (a valenza eminentemente pubblicistica e, quindi, inderogabile) urbanistica e nel piano urbanistico (nella fattispecie in esame: art. 13, regolamento di attuazione), a tutela dell'interesse pubblico ad una progettazione urbanistica sistematicamente ordinata, a meno che la deroga non sia esplicitamente prevista dalla legge, ai sensi dell’art. 38, comma 1, legge urbanistica provinciale, applicabile solamente alle zone di espansione e come tale (norma che sancisce un'eccezione) non estensibile per analogia alle zone di riempimento.
Per giurisprudenza consolidata della Cassazione civile (cfr. sent. n. 12966/2006), le distanze prescritte (art. 873, c.c.) nell'interesse privato fra gli edifici, nonché fra questi ed i confini, sono derogabili con il consenso fra vicini, ma non lo sono le distanze prescritte nella disciplina (a valenza eminentemente pubblicistica e, quindi, inderogabile) urbanistica e nel piano urbanistico (nella fattispecie in esame: art. 13, regolamento di attuazione), a tutela dell'interesse pubblico ad una progettazione urbanistica sistematicamente ordinata, a meno che la deroga non sia esplicitamente prevista dalla legge, ai sensi dell’art. 38, comma 1, legge urbanistica provinciale, applicabile solamente alle zone di espansione e come tale (norma che sancisce un'eccezione) non estensibile per analogia alle zone di riempimento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.09.2012 n. 5064 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl muro medesimo, assolvendo a mere finalità di recinzione e non eccedendo i 3 metri (ma, anzi, essendo di altezza considerevolmente inferiore a tale misura), non può essere configurato quale “costruzione” al fine della disciplina regolamentare ex art. 9, comma 2, del D.M. 1444/1968.
Per quanto attiene alla dedotta violazione dell’art. 29-bis delle N.T.A. del P.R.G., già illustrata in primo grado e riproposta in appello, va evidenziato che il Della Giovampaola afferma che il muro costruito dal Comune al fine di delimitare l’area dove è sta realizzata la stazione ecologica dista dal confine della proprietà del medesimo appellante ricorrente soltanto m. 1,5 e non già m. 5.
Come emerso in sede di giudizio di primo grado, ad una determinata distanza da tale muro sono in effetti i cassonetti di raccolta dei rifiuti.
L’art. 29-bis delle N.T.A., che ha per oggetto “Attrezzature e servizi speciali a gestione pubblica e privata (S4),” prevede che “in tali aree possono insediarsi, su iniziativa pubblica, privata o mista, attività di servizio (compresa la commercializzazione) per il deposito, il trattamento ed il trasporto di rifiuto liquidi e solidi.”, con contestuale obbligo per gli edifici ivi realizzati, sia per servizi che per le residenze di servizio per il gestore o il custode dell’attività insediata, di articolarsi in due piani al massimo, di avere un’altezza massima di m. 12, di avere una copertura a capanna, a padiglione, o piana, di collocarsi ad una distanza dai confini di zona e di proprietà privata di m. 5, di rispettare la distanza dalle strade prevista dal Codice della Strada e –da ultimo– di estendersi per una superficie territoriale coperta massima del 40%.
Come rettamente rilevato da giudice di primo grado, la surriportata disciplina di piano contempla distanze dai confini e dalla proprietà previste che ragionevolmente non possono che riferirsi alle costruzioni e non già ai muri di cinta, quale è -per l’appunto- quello la cui realizzazione è segnatamente contestata da Della Giovampaola.
In tal senso, deve pertanto concludersi che la realizzazione del muro medesimo è comunque conforme a quanto disposto dall’art. 878 cod. civ., in forza del quale –per l’appunto– “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall’articolo 873” dello stesso codice: e, poiché il muro di cui trattasi è alto soltanto m. 1,20, ne consegue l’irrilevanza, nell’economia della presente causa, di tutta la giurisprudenza della Corte di Cassazione che il medesimo Della Giovampaola cita a preteso conforto delle proprie tesi.
Va anche respinto il motivo d’appello con il quale il Della Giovampaola afferma che “il muro funzionale alla stazione ecologica” sarebbe stato realizzato a distanza minore di dieci metri dal capannone di proprietà del ricorrente stesso (posto a sette metri dal detto muro), così violando la distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti prevista in dieci metri dall’art. 9, comma 2, del D.M. n. 1444 del 1968: e ciò in quanto il muro medesimo, assolvendo a mere finalità di recinzione e non eccedendo i 3 metri (ma, anzi, essendo di altezza considerevolmente inferiore a tale misura), non può essere configurato quale “costruzione” al fine della disciplina regolamentare testé richiamata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.09.2012 n. 4672 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimità diniego concessione edilizia ad una distanza dal confine inferiore a ml. 5,00.
E’ legittimo il diniego del rilascio di una concessione edilizia per costruzione di un fabbricato localizzato ad una distanza dal confine inferiore a ml. 5, ossia alla distanza minima prescritta dalla normativa urbanistica comunale, notoriamente inderogabile anche per accordo tra le parti (cfr., tra le tante Cass. Civ., Sez. II, 09.04.2010, n. 8465), non potendo operare in tale ipotesi la disciplina civilistica generale (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.08.2012 n. 4555 - tratto da www.lexambiente.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA-PRIVATAL'aver realizzato senza titolo abilitativo la pensilina sulla porta-finestra e il contiguo pergolato/gazebo non è sanzionabile quali opere abusive poiché entrambe le opere, invero, appaiono riconducibili agli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici” di cui all’art. 6, comma 2, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001, con la conseguenza che sarebbe stata necessaria solo la previa comunicazione di inizio dei lavori, sanzionabile –in caso di inerzia– con una mera sanzione pecuniaria (v. comma 7), non certamente con la qualificazione delle relative opere come abusive.
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I pergolati/gazebo con struttura leggera di legno articolata in quattro colonne e sovrastante copertura, se aperta su tutti i lati e di modeste dimensioni, fungono da mero arredo per spazi esterni e non creano superfici utili o volumetria, sicché restano, per definizione, insensibili alle norme urbanistiche che definiscono le distanze minime dai confini di proprietà, in ossequio a regole generali rispetto alle quali cedono eventuali differenti criteri interpretativi elaborati in sede locale.
In conclusione, si presenta illegittimo l’ordine di rimozione della pensilina e del pergolato/gazebo, per trattarsi di interventi ascrivibili alla fattispecie di cui all’art. 6, comma 2, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001, e per non avere l’Amministrazione comunale motivato la misura con profili ostativi correttamente riconducibili alla disciplina di piano locale o alla normativa di settore applicabile all’attività edilizia.

Nel merito, ritiene il Collegio che, relativamente alla pensilina e al pergolato/gazebo, vada innanzi tutto accertato se e in quali limiti l’invocata disciplina di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal decreto-legge n. 40 del 2010 e dalla relativa legge di conversione (n. 73/2010), interviene a regolare la fattispecie oggetto della controversia.
Secondo la ricorrente, infatti, per doversi ascrivere le opere in esame alla categoria dell’«attività edilizia libera» ivi prevista –ed in particolare all’àmbito degli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici” [comma 2, lett. e)]–, insussistenti sarebbero le irregolarità che le sono state addebitate. Secondo l’Amministrazione comunale, invece, la necessità di un titolo abilitativo scaturirebbe dal disposto dell’art. 2 del Regolamento edilizio comunale, non travolto in parte qua dalla sopraggiunta normativa statale, ed abusivo in ogni caso risulterebbe il pergolato/gazebo perché lesivo del limite di distanza dal confine di proprietà condominiale.
Va premesso che, pur sottraendo al previo titolo abilitativo l’esecuzione di vari interventi edilizi, l’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce tuttavia che ciò avvenga “fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 …”.
La giurisprudenza ne ha desunto che a, fronte di una generale individuazione di tipologie di opere ritenute tendenzialmente prive di impatto sull’assetto territoriale, il legislatore statale sia stato consapevole di non poter operare scelte di carattere assoluto, e quindi di dover far salva, da un lato, la normativa di settore che abbia rilevanza nell’àmbito dell’attività edilizia, e di dover lasciare integro, dall’altro lato, il potere di governo del territorio di spettanza delle Amministrazioni comunali, sicché –ad es.– anche per tali opere va rispettata la destinazione urbanistica prevista in ogni comparto dallo strumento di piano e risulta quindi preclusa la loro realizzazione in caso di incompatibilità con il regime d’uso della corrispondente area (v. Cass. pen., Sez. III, 27.04.2011 n. 19316; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 13.01.2012 n. 184; TAR Veneto, Sez. II, 30.09.2010 n. 5244).
Naturalmente, per non vanificare la parziale liberalizzazione introdotta dalla normativa statale, le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali di cui occorre tenere conto sono solo quelle che attengono ai presupposti e alle modalità di realizzazione dell’attività edilizia, non quelle che si limitano a prevedere il rilascio di appositi titoli abilitativi senza accompagnare il precetto con vincoli di carattere sostanziale.
Ciò posto, appare fondata la doglianza con cui la ricorrente lamenta che le sia stato addebitato di avere realizzato senza titolo abilitativo la pensilina sulla porta-finestra e il contiguo pergolato/gazebo. Entrambe le opere, invero, appaiono riconducibili agli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici” di cui all’art. 6, comma 2, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001, con la conseguenza che sarebbe stata necessaria solo la previa comunicazione di inizio dei lavori, sanzionabile –in caso di inerzia– con una mera sanzione pecuniaria (v. comma 7), non certamente con la qualificazione delle relative opere come abusive.
Non è invece applicabile nella fattispecie l’invocato (dall’Amministrazione) art. 2 del Regolamento edilizio comunale (“Chiunque intenda, nell’ambito del territorio comunale, eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti, ovvero procedere all’esecuzione di opere di urbanizzazione del territorio, deve chiedere apposita autorizzazione al Sindaco e deve sottostare alle prescrizioni procedurali e tecniche del presente regolamento. In particolare, sono soggette ad autorizzazione: … p) costruzione o trasformazione di vetrine, collocamento di insegne, mostre, cartelli od affissi pubblicitari o indicatori, lumi, memorie, monumenti, costruzioni di tettoie, di pensiline, cabine balneari, verande all’esterno degli edifici o tende anche provvisorie sporgenti su luoghi pubblici, aperti o prospettanti luoghi pubblici; q) esecuzione di manutenzione straordinaria qualora comporti modificazioni delle strutture o dell’aspetto esterno degli edifici ivi compresi rivestimenti, decorazioni e colorazioni; …”), per trattarsi di normativa locale che, in ragione del mero richiamo ad un obbligo di carattere procedimentale –svincolato da previsioni di carattere sostanziale–, cede di fronte alla prevalente disciplina statale in tema di liberalizzazione dell’attività edilizia minore.
Quanto al pergolato/gazebo, in verità, l’Amministrazione comunale ha altresì rilevato l’inosservanza della distanza dai confini di proprietà condominiale, limite nella fattispecie riferito alla regolamentazione contenuta nel piano particolareggiato di iniziativa pubblica “Quaderna”; la stessa ricorrente, da parte sua, si è detta consapevole di tale disciplina nel comparto di che trattasi, ma ne esclude l’applicabilità ai pergolati e nega altresì che il vincolo valga per i confini di proprietà condominiale.
In effetti, i pergolati/gazebo con struttura leggera di legno articolata in quattro colonne e sovrastante copertura, se aperta su tutti i lati e di modeste dimensioni, fungono da mero arredo per spazi esterni e non creano superfici utili o volumetria (v., tra le altre, TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 07.04.2011 n. 526), sicché restano, per definizione, insensibili alle norme urbanistiche che definiscono le distanze minime dai confini di proprietà, in ossequio a regole generali rispetto alle quali cedono eventuali differenti criteri interpretativi elaborati in sede locale. Dal che l’erroneità dell’assunto dell’Amministrazione.
In conclusione, si presenta illegittimo l’ordine di rimozione della pensilina e del pergolato/gazebo, per trattarsi di interventi ascrivibili alla fattispecie di cui all’art. 6, comma 2, lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001, e per non avere l’Amministrazione comunale motivato la misura con profili ostativi correttamente riconducibili alla disciplina di piano locale o alla normativa di settore applicabile all’attività edilizia (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 29.06.2012 n. 464 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ai fini del calcolo delle distanze devono essere computate scale, terrazze, corpi avanzati ed opere di contenimento.
2. Nozione di opera interrata.
3. Calcolo della cubatura. Inclusione nel caso di opere non completamente interrate.

1. In tema di distanze legali tra edifici o dal confine, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di finitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, invece, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato.
Lo stesso può dirsi per le opere di contenimento, che, comunque progettate in relazione alla situazione dei luoghi ed alla soluzione esteticamente ritenuta più confacente dal committente, hanno una struttura che deve essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento ed una funzione, che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma essenzialmente di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso (1).
2. Al fine di individuare se un manufatto sia o meno interrato, va fatto riferimento al livello naturale del terreno, con la conseguenza che la sporgenza di un manufatto dal suolo va riscontrata con riferimento al piano di campagna, cioè al livello naturale del terreno, e non al livello eventualmente inferiore cui si trovi un finitimo edificio realizzato con abbassamento di quel piano (2).
3. Ai sensi dell'art. 9 della l. 24.03.1989 n. 122, la realizzazione di autorimesse e parcheggi è soggetta alla disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra, se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale (3).
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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30.06.2005, n. 3539.
V. anche Cassazione civile, sez. II, 17.06.2011, n. 13389, secondo cui, "ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera.
La giurisprudenza civile di merito, altrettanto condivisibilmente, ad avviso del Collegio ha poi fatto presente che ai fini del rispetto delle distanze fra costruzioni, non rileva il materiale utilizzato per la fabbrica, richiedendosi soltanto una durevolezza dell'opera comunemente riconoscibile anche alle opere in legno o ferro od altri materiali leggeri, purché infissi al suolo non transitoriamente.
Ne consegue la permanente vigenza dell’insegnamento della Corte di legittimità secondo il quale "costituisce costruzione, agli effetti della disciplina del c.c. sulle distanze legali, ogni manufatto che, per struttura e destinazione, ha carattere di stabilità e permanenza (nella specie il manufatto, con finestra, era coperto da tettoia formata da travi con soprastanti lamiere, ed era destinato a fienile, magazzino e pollaio). "(Cassazione civile, sez. II, 24.05.1997, n. 4639).
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 06.12.2010, n. 8547 ed in passato Cons. Stato, sez. V, 21.10.1991, n. 1231, secondo la quale soltanto "i locali costruiti al di sotto dell'originario piano di campagna non sono infatti computabili ai fini dell'applicazione degli standards urbanistici e non concernono al computo della volumetria.".
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27.11.2010, n. 8260
(massima tratta da www.regione-piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.05.2012 n. 2847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distanze legali tra edifici o dal confine, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di finitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, invece, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato.
Lo stesso può dirsi per le opere di contenimento che, comunque progettate in relazione alla situazione dei luoghi ed alla soluzione esteticamente ritenuta più confacente dal committente, hanno una struttura che deve essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento ed una funzione, che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma essenzialmente di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso.
Opere tali da dovere essere riguardate, sotto il profilo edilizio, come opere dotate di una propria specificità ed autonomia, in una accezione che comprende tutte le caratteristiche proprie dei fabbricati, donde l'obbligo di rispetto di tutti gli indici costruttivi prescritti dallo strumento urbanistico e, in particolare, delle distanze dal confine privato.
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Ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera.
Ai fini del rispetto delle distanze fra costruzioni non rileva il materiale utilizzato per la fabbrica, richiedendosi soltanto una durevolezza dell'opera comunemente riconoscibile anche alle opere in legno o ferro od altri materiali leggeri, purché infissi al suolo non transitoriamente.
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Costituisce costruzione, agli effetti della disciplina del c.c. sulle distanze legali, ogni manufatto che, per struttura e destinazione, ha carattere di stabilità e permanenza (nella specie il manufatto, con finestra, era coperto da tettoia formata da travi con soprastanti lamiere, ed era destinato a fienile, magazzino e pollaio).
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Analoga nozione estensiva del concetto di “fabbricato” è stata dettata dalla Corte di Cassazione ai fini dell'art. 907 c.c., diretto a preservare l'esercizio delle vedute da ogni eventuale ostacolo con carattere di stabilità, in quanto la nozione di costruzione è comprensiva non solo dei manufatti in calce e mattoni, ma di qualsiasi opera che, indipendentemente dalla forma e dal materiale con cui è stata realizzata, determini un ostacolo del genere (nella specie, il giudice del merito aveva ritenuto che costituisse costruzione nel senso anzidetto una veranda che ostacolava la veduta dal balcone e dalla finestra sovrastanti, anche se ottenuta mediante la posa in opera, su correntini infissi nel muro, di lastre di fibrocemento facilmente asportabili, in quanto bullonate a tali correntini. La C.S., nell'enunciare il precisato principio di diritto, ha confermato tale decisione).

Rileva in proposito il Collegio che, per condivisa giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “in tema di distanze legali tra edifici o dal confine, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di finitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, invece, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni, le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, se pur non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato.
Lo stesso può dirsi per le opere di contenimento, quali indubbiamente si configurano quelle di cui al caso di specie che, comunque progettate in relazione alla situazione dei luoghi ed alla soluzione esteticamente ritenuta più confacente dal committente, hanno una struttura che deve essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento ed una funzione, che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma essenzialmente di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso.
Opere tali da dovere essere riguardate, sotto il profilo edilizio, come opere dotate di una propria specificità ed autonomia, in una accezione che comprende tutte le caratteristiche proprie dei fabbricati, donde l'obbligo di rispetto di tutti gli indici costruttivi prescritti dallo strumento urbanistico e, in particolare, delle distanze dal confine privato
” (Consiglio Stato, sez. IV, 30.06.2005, n. 3539)
In modo pressoché simmetrico, la giurisprudenza civile di legittimità ha ancora di recente condivisibilmente affermato che “ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera” (Cassazione civile, sez. II, 17.06.2011, n. 13389).
La giurisprudenza civile di merito, altrettanto condivisibilmente, ad avviso del Collegio ha poi fatto presente che ai fini del rispetto delle distanze fra costruzioni non rileva il materiale utilizzato per la fabbrica, richiedendosi soltanto una durevolezza dell'opera comunemente riconoscibile anche alle opere in legno o ferro od altri materiali leggeri, purché infissi al suolo non transitoriamente.
Ne consegue la permanente vigenza dell’insegnamento della Corte di legittimità secondo il quale “costituisce costruzione, agli effetti della disciplina del c.c. sulle distanze legali, ogni manufatto che, per struttura e destinazione, ha carattere di stabilità e permanenza (Nella specie il manufatto, con finestra, era coperto da tettoia formata da travi con soprastanti lamiere, ed era destinato a fienile, magazzino e pollaio)“ (Cassazione civile, sez. II, 24.05.1997, n. 4639).
Per completezza –tenuto conto dei profili sollevati dall’appellato nella propria memoria di replica- si evidenzia che analoga nozione estensiva del concetto di “fabbricato” è stata dettata dalla Corte di Cassazione ai fini dell'art. 907 c.c., diretto a preservare l'esercizio delle vedute da ogni eventuale ostacolo con carattere di stabilità, “in quanto la nozione di costruzione è comprensiva non solo dei manufatti in calce e mattoni, ma di qualsiasi opera che, indipendentemente dalla forma e dal materiale con cui è stata realizzata, determini un ostacolo del genere. (Nella specie, il giudice del merito aveva ritenuto che costituisse costruzione nel senso anzidetto una veranda che ostacolava la veduta dal balcone e dalla finestra sovrastanti, anche se ottenuta mediante la posa in opera, su correntini infissi nel muro, di lastre di fibrocemento facilmente asportabili, in quanto bullonate a tali correntini. La C.S., nell'enunciare il precisato principio di diritto, ha confermato tale decisione)” (Cassazione civile, sez. II, 21.10.1980, n. 5652)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.05.2012 n. 2847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Serre, inapplicabili le norme sulle distanze per gli edifici.
I dati normativi convergono nel disporre che le serre non debbano essere qualificate come costruzioni. Pertanto, nel caso di specie avrebbe dovuto essere applicata non la distanza per le edificazioni ma quella prevista per la piantagione degli alberi, misurata, per le ragioni esposte, a partire dalla sede di occupazione dell’autostrada.
La corte amministrativa pugliese ha esaminato le disposizioni relative alla violazione sostanziale delle norme in materia di distanze delle costruzione e delle piantagioni dalla sede autostradale.
Il disposto dell’art. 9 L. 729/1961, prevede che “Lungo i tracciati delle autostrade e i relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell’autostrada stessa. La distanza è ridotta a metri 10 per gli alberi da piantare”.
La lettura della norma chiarisce quindi expressis verbis, innanzitutto, che la distanza va misurata a partire dalla zona di occupazione dell’autostrada, e non dal confine della proprietà autostradale; pertanto il parere negativo espresso dalla società Autostrade, sulla cui base è stata negata dal Comune la sanatoria, risulta viziato nella parte in cui quantifica la distanza minima delle opere dal confine autostradale, riportando la misura di m. 1,50.
Ma deve anche rilevarsi che, nel caso di specie, non è applicabile, come sostenuto dalla ricorrente, la distanza prevista per le costruzioni.
A tale conclusione conducono infatti sia il disposto del decreto del Ministro dei lavori pubblici del 16.12.1987, secondo cui la costruzione di serre smontabili in fregio all’autostrada non costituisce edificazione, sia la disciplina dell’art. 59 l.r. 1/2005, secondo cui “le serre e i loro annessi non sono da considerarsi costruzioni, indipendentemente dai materiali usati per la loro realizzazione e dai sistemi di ancoraggi”.
I dati normativi convergono dunque nel disporre che le serre non debbano essere qualificate come costruzioni e, pertanto, nel caso di specie avrebbe dovuto essere applicata non la distanza per le edificazioni ma quella prevista per la piantagione degli alberi, misurata, per le ragioni esposte, a partire dalla sede di occupazione dell’autostrada (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 05.04.2012 n. 682 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: Creazione di un dislivello mediante accumulo di terra - Modifica dell’andamento naturale del terreno -Alterazione dello scolo naturale delle acque - Nuova costruzione - Assoggettamento alle norme sulle distanze.
La creazione di un dislivello, mediante accumulo di terra, che non trova riscontro in un preesistente stato del luogo, comporta una rilevante modifica dell’andamento naturale del terreno e altera il naturale scolo delle acque, assumendo, quale non esigua modifica dell’andamento naturale del terreno, le caratteristiche di nuova costruzione (Cass., II, 21/05/1997, n. 4511; Cons. Stato, V, 12/04/2005, n. 1619), come tale assoggettata alle norme sulle distanze (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 15.07.2011 n. 1203 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATADebbono ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873 c.c., anche il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per accentuare il naturale dislivello esistente tra i fondi.
Per costante giurisprudenza debbono ritenersi costruzioni, ai fini dell’art. 873 c.c., anche il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per accentuare –come nel caso di specie– il naturale dislivello esistente tra i fondi (Cass., II, 22.01.2010, n. 1217; id., 10.01.2006, n. 145; id., 15.06.2001, n. 8144; TAR Marche, I, 10.02.2009, n. 18).
Né può ritenersi che, in ragione dell’art. 16 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Sanremo, le norme sulle distante stabilite dal piano si applichino soltanto alle costruzioni aventi la consistenza di veri e propri edifici.
La parola fabbricato deve infatti intendersi non già secondo l’uso comune, bensì secondo il significato proprio della parola, significato che, in materia di proprietà fondiaria e di distanze nelle costruzioni, è quello risultante dall’opera nomofilattica della Suprema Corte, più sopra richiamata.
Donde l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria 30.06.2006, nella parte in cui ha inteso legittimare l’innalzamento del terrapieno e del muro a confine dei due fondi oltre il naturale dislivello preesistente, in contrasto con la norma di P.R.G. relativa alla zona agricola E1a, che fissa in 5 metri dal confine la distanza minima per le nuove costruzioni (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.07.2011 n. 1087 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall'articolo 879, comma 2, c.c. per le costruzioni a confine con piazze e vie pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata, attiene più che alla proprietà del bene, piuttosto all'uso concreto di esso da parte della collettività.
La giurisprudenza della Cassazione più recente ha ritenuto che “L'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall'articolo 879, comma 2, c.c. per le costruzioni a confine con piazze e vie pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata, attiene più che alla proprietà del bene, piuttosto all'uso concreto di esso da parte della collettività” (Cass. civ., sez. II, 05.03.2008, n. 6006).
La strada in questione, come risulta dalla trascrizione per vendita, è una strada interpoderale a servizio dei lotti e come tale deve essere ritenersi soggetta alle normative sulle distanze legali,ribadite con riferimento alle strade interpoderali dalle stesse N.T.A. (art. 119)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 15.06.2011 n. 1059 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Lavatelli, Le distanze tra i fabbricati e dai confini in materia edilizia (nota 05.06.2010 - tratto da www.cameramministrativacomo.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire per la realizzazione di una canna fumaria. Mancato rispetto delle distanze di cui all’art. 6, commi 15 e 17, del D.P.R. n. 1391 del 1970.
E’ illegittimo un permesso di costruire per la realizzazione di una canna fumaria (nella specie utilizzata per l’attività di panetteria), rilasciato in violazione delle distanze di cui all’art. 6, commi 15 e 17, del D.P.R. 22.12.1970 n. 1391, secondo cui: "Le bocche dei camini devono risultare più alte di almeno un metro rispetto al colmo dei tetti, ai parapetti ed a qualunque altro ostacolo o struttura distante meno di 10 metri"; né può avere rilevanza, ai fini della legittimità del permesso di costruire, il fatto che il proprietario dell’immobile posto a distanza inferiore a quella legale abbia prestato il proprio consenso alla realizzazione del manufatto, atteso che le suddette disposizioni hanno finalità diverse da quelle in materia di rispetto delle distanze tra le costruzioni, essendo previste a tutela del superiore interesse della protezione dall’inquinamento e, quindi, le norme in questione sono da ritenere inderogabili (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 12.05.2011 n. 718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I regolamenti locali richiamati dall'art. 873 del c.c. (come ad esempio i piani regolatori) –i quali stabiliscono una distanza maggiore di tre metri per le costruzioni sui fondi finitimi– attribuiscono a ciascun proprietario un diritto soggettivo perfetto al rispetto della maggiore distanza, il quale è tutelabile, in caso di inosservanza, sia con la riduzione in pristino sia con il risarcimento del danno.
Si tratta di disposizioni integrative delle norme del codice civile che hanno carattere assoluto e non derogabile dai privati in quanto volte a salvaguardare sia l’interesse della collettività locale ad un migliore assetto dell'agglomerato urbano sia l’aspirazione dei singoli a fruire di un distacco congruo dalle proprietà limitrofe: esse dunque tendono a regolare i rapporti tra residenti su fondi finitimi in modo equo e fanno sorgere a favore del soggetto danneggiato da una nuova costruzione il diritto di chiedere la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 del c.c..

Secondo la giurisprudenza i regolamenti locali richiamati dall'art. 873 del c.c. (come ad esempio i piani regolatori) –i quali stabiliscono una distanza maggiore di tre metri per le costruzioni sui fondi finitimi– attribuiscono a ciascun proprietario un diritto soggettivo perfetto al rispetto della maggiore distanza, il quale è tutelabile, in caso di inosservanza, sia con la riduzione in pristino sia con il risarcimento del danno (Corte di Cassazione, sez. II civile – 06/12/1984 n. 6402; sez. unite civili – 18/06/1985 n. 3659).
Si tratta di disposizioni integrative delle norme del codice civile che hanno carattere assoluto e non derogabile dai privati (Corte di Cassazione, sez. II civile – 09/06/1999 n. 5666), in quanto volte a salvaguardare sia l’interesse della collettività locale ad un migliore assetto dell'agglomerato urbano sia l’aspirazione dei singoli a fruire di un distacco congruo dalle proprietà limitrofe: esse dunque tendono a regolare i rapporti tra residenti su fondi finitimi in modo equo e fanno sorgere a favore del soggetto danneggiato da una nuova costruzione il diritto di chiedere la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 del c.c. (Corte di Cassazione, sez. II civile – 10/04/2001 n. 10471).
E’ stato altresì rilevato che l’applicazione della sanzione della riduzione in pristino, richiesta dal vicino danneggiato dalla costruzione realizzata a distanza non legale, consegue ipso iure alla violazione della norma, la quale non lascia al giudice alcun margine di apprezzamento in ordine ai pregiudizi prodotti dalla sua inosservanza (Corte di Cassazione, sez. II civile – 11/01/2006 n. 213)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 16.02.2011 n. 304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn tema di distanze legali il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente.
Per giurisprudenza ormai consolidata, in tema di distanze legali il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145; Cons. St., Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Cons. St, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn tema di distanze fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (con competenza del G.O.) e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata, consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).
La controversia derivante dalla impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che lamenti la violazione delle distanze legali costituisce una disputa non già tra privati ma tra privato e pubblica amministrazione, nella quale la posizione del primo si atteggia a interesse legittimo, con conseguente spettanza della giurisdizione (anche e certamente) al giudice amministrativo.

Costituisce principio consolidato e pacifico che in tema di distanze fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (con competenza del G.O.) e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata, consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).
Il privato, che si ritiene danneggiato da un'attività edilizia autorizzata, che ha violato le norme in tema di distanza fra costruzioni o di queste con i confini, ha diritto alla c.d. "doppia tutela" che si caratterizza per essere concorrente ma separata per le diverse posizioni giuridiche di diritto soggettivo e interesse.
Pertanto per tali controversie la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, qualora si tratti di impugnazione del relativo provvedimento per l'annullamento di quest'ultimo, poiché in tal caso si fa valere una posizione di interesse legittimo, mentre spetta al giudice ordinario, qualora venga richiesto il risarcimento del danno, ovvero alla rimozione dell'opera (in tal caso infatti è implicita una richiesta di disapplicazione dell'atto medesimo) (in tal senso, tra tante, si veda Consiglio Stato, sez. V, 24.10.1996 , n. 1273).
La controversia derivante dalla impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che lamenti la violazione delle distanze legali costituisce una disputa non già tra privati ma tra privato e pubblica amministrazione, nella quale la posizione del primo si atteggia a interesse legittimo, con conseguente spettanza della giurisdizione (anche e certamente) al giudice amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire «in aderenza» od «in appoggio», la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione.
In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire «in aderenza» od «in appoggio», la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del principio della prevenzione (Cassazione civile, sez. II, 09.04.2010, n. 8465 ) (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quando il muro divisorio è comune “la distanza va calcolata dalla parete esterna del muro più vicina ai manufatti, per l'assorbente e decisiva considerazione che, in tal ipotesi, il confine tra il fondo di proprietà esclusiva in cui si trovano le opere per le quali è prescritta la distanza e quello di proprietà aliena, è costituito dal detto muro e non dalla sua linea mediana, perché l'intero muro, essendo indiviso, si considera anche altrui rispetto al proprietario del fondo nel quale sono state sistemate le opere in questione.
La Giurisprudenza ha avuto occasione di osservare che quando il muro divisorio è comune “la distanza va calcolata dalla parete esterna del muro più vicina ai manufatti, per l'assorbente e decisiva considerazione che, in tal ipotesi, il confine tra il fondo di proprietà esclusiva in cui si trovano le opere per le quali è prescritta la distanza e quello di proprietà aliena, è costituito dal detto muro e non dalla sua linea mediana, perché l'intero muro, essendo indiviso, si considera anche altrui rispetto al proprietario del fondo nel quale sono state sistemate le opere in questione (Cassazione civile, sez. II, 10.03.1987, n. 2479)”.
Per cui, quand’anche il muro si ritenesse comune, in ogni caso la erigenda costruzione avrebbe dovuto arretrarsi di 5 mt. rispetto la parete esterna del muro, senza considerarne lo spessore, atteso che nell’ipotesi di muro comune, giustamente osserva la giurisprudenza, l’intero muro, in quanto in proprietà indivisa, dev’essere considerato alieno rispetto al proprietario del fondo che deve costruire
(C.G.A.R.S., sentenza 04.11.2010 n. 1369 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine.
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni.
Viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario.

Costituisce orientamento consolidato che, ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che producono un dislivello o aumentano quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni, idonee a incidere sulla osservanza delle norme in tema di distanze dal confine (così, Consiglio Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Consiglio Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637).
Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento, che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per la natura dei luoghi, costituiscono nuove costruzioni (Cons. Stato, Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579).
In genere, viene considerata una costruzione, rilevante ai fini delle distanze legali, anche un terrapieno, se creato artificialmente al di sopra del livello medio del piano di campagna originario (così Cassazione civile, Sez. II, 11.11.2003, n. 1695; Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2000, n. 3637; anche Cassazione Sez. II, 15.06.2001, n. 8144, secondo cui, ai fini della applicazione delle distanze legali, il muro di sostegno costituisce costruzione)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.11.2010 n. 7731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl piano casa del Veneto consente di derogare alle distanze dai confini.
Ad avviso di questo giudice, l’art. 873, nella seconda parte, in cui stabilisce che “nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”, determina la natura parzialmente dispositiva della previsione contenuta nella prima parte, ma non comporta, atteso il suo tenore letterale, un rinvio formale ai regolamenti locali, i quali non completano dunque la norma di legge e non ne acquistano comunque la forza.
Inoltre, anche se non si volesse accedere senz’altro a tale impostazione, bisogna osservare che tra i “regolamenti locali”, i quali concorrono a disciplinare la materia delle distanze, devono essere incluse tutte le disposizioni conferenti non statali e, dunque, anche quelle di fonte regionale (conf. Cass. 10.05.2004, n. 8848).
Di tali “regolamenti locali”, pertanto, fanno parte anche le norme, di cui alla l.r. 14/2009, le quali consentono gli ampliamenti in deroga a tutti i regolamenti comunali, e dunque anche a quelli sulle distanze: che poi tali norme di legge regionale, sempre intese come “regolamenti locali”, prevalgano sul regolamenti comunali non sembra dubbio, atteso il grado superiore di quelle.
Infine, non si può mancare di osservare come la soluzione adottata dal Comune di Rosolina tenda a comprimere l’efficacia di una disciplina di legge in una materia, come il governo del territorio, dove la potestà legislativa è affidata alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, di competenza statale, tra i quali non pare tuttavia rientrare il disposto di cui all’art. 873 c.c.: sicché non vi è ragione di ritenere che specifiche previsioni, contenute in un regolamento comunale in materia edilizia, possano limitare la forza espansiva della disciplina di cui alla l.r. 14/2009 (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 21.10.2010 n. 5694 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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A commento della succitata sentenza si leggano i seguenti contributi:
2-
La Cassazione aveva già detto 30 anni fa che la distanza di 10 metri tra pareti finestrate implica che ciascun confinante deve stare a 5 metri dal confine (link a http://venetoius.myblog.it);
1- Secondo il TAR il piano casa del Veneto consente di derogare alle distanze dai confini. Ma è cosa buona? (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul recupero del sottotetto in Lombardia con innalzamento di quota in merito: alla distanza minima dai confini di proprietà, al rispetto della distanza di mt. 10,00 tra pareti finestrate di cui anche abusiva, alla nozione di sottotetto utile da recuperare in deroga ex L.R. 12/2005.
Occorre precisare in primo luogo che la qualificazione del recupero del sottotetto come ristrutturazione non è idonea da sola a rendere automaticamente possibile la sopraelevazione dell’edificio.
La ristrutturazione è una categoria di interventi edilizi che si può ripartire in due sottogruppi: da un lato la ristrutturazione pesante di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del DPR 380/2001 (ossia quella che conduce a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comporta aumento di unità immobiliari o modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti, delle superfici) e dall’altro la ristrutturazione leggera (definita per residualità).
La ristrutturazione pesante equivale nella sostanza a una nuova costruzione che si aggiunge a una costruzione esistente. In questo quadro la scelta del legislatore regionale di definire il recupero del sottotetto come ristrutturazione non ha contenuto innovativo ma si limita a utilizzare il concetto di ristrutturazione pesante già presente nella normativa statale.
Il problema diventa allora fino a che punto la ristrutturazione pesante abbia regole diverse dalla nuova edificazione su area libera. In negativo, ovvero sotto il profilo sanzionatorio, non vi è nessuna differenza, in quanto l’art. 33, comma 6-bis, e l’art. 34, comma 2-bis, del DPR 380/2001 prevedono anche in questo caso l’applicazione di misure ripristinatorie o in subordine pecuniarie come negli abusi edilizi maggiori. In positivo, ovvero per quanto riguarda i diritti edificatori, dipende dal grado di resistenza delle norme che devono essere derogate.
Relativamente alla distanza dai confini si può ritenere che il recupero del sottotetto comportante sopraelevazione possa avvenire in deroga alle previsioni stabilite negli strumenti urbanistici comunali.
In via generale la giurisprudenza (v. Cass. civ. Sez. II 11.06.2008 n. 15527; Cass. civ. Sez. II 12.01.2005 n. 400; Cass. civ. Sez. II 27.05.2003 n. 8420; Cass. civ. Sez. II 08.01.2001 n. 200) si attiene alla seguente regola:
(a) la sopraelevazione, comportando nuovo volume, richiede sempre il rispetto della distanza dai confini indipendentemente dal fatto che in origine vi sia stata prevenzione nei confronti del proprietario confinante;
(b) tuttavia la normativa comunale può stabilire se e a quali condizioni sia ammessa la costruzione senza arretramento.
Nel caso del sottotetto è direttamente il legislatore regionale che pone la disciplina, sovrapponendosi alle scelte dei singoli comuni, con un chiaro favore per la realizzabilità di questo tipo di interventi.
L’art. 64, comma 1, della LR 12/2005 consente modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde (con il solo limite dell’altezza massima di zona) senza alcun riferimento all’arretramento dei muri esterni in relazione alla distanza dai confini.
L’art. 64, comma 2, della LR 12/2005 precisa ulteriormente che il recupero del sottotetto è ammesso anche in deroga ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, ad eccezione del reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali.
La finalità che emerge da queste norme è di far prevalere su ogni diversa valutazione comunale l’interesse all’insediamento di nuova volumetria residenziale in continuità con le costruzioni sottostanti. Vi è quindi incompatibilità logica con il vincolo della distanza minima dai confini, che potrebbe compromettere l’utilità del recupero del sottotetto e alterare in modo disarmonico la sagoma degli edifici.
Poiché il legislatore regionale si è sostituito ai comuni in una materia nella disponibilità dei comuni stessi non vi sono altre ragioni che si oppongano alla possibilità di sopraelevare lungo il perimetro dell’edificio esistente.
La situazione cambia però radicalmente quando la sopraelevazione si collochi di fronte a pareti finestrate. In questo caso la distanza minima di 10 metri prevista (al di fuori della zona A) dall’art. 9, comma 1, n. 2, del DM 1444/1968 costituisce un ostacolo insuperabile.
La giurisprudenza ha chiarito che questa norma per la sua genesi (è stata adottata ex art. 41-quinquies, comma 8, della legge 17.08.1942 n. 1150, come introdotto dall’art. 17 della 06.08.1967 n. 765) e per la sua funzione igienico-sanitaria (evitare intercapedini malsane) costituisce un principio inderogabile della materia.
In particolare si tratta di una norma che prevale sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (v. C.Cost. 16.06.2005 n. 232), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata (v. Cass. civ. Sez. II 31.10.2006 n. 23495), sia infine sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che per la loro natura igienico-sanitaria non sono nella disponibilità delle parti (v. CS Sez. IV 12.06.2007 n. 3094).
Si può aggiungere che un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 64 della LR 12/2005 impedisce di leggervi una deroga estesa anche all’art. 9 del DM 1444/1968.
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 232/2005 afferma al punto 4 che le normative locali (regionali o comunali) possono prevedere distanze inferiori alla misura minima, però fissa precisi limiti (“le deroghe, per essere legittime, devono attenere agli assetti urbanistici e quindi al governo del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi”).
Se ne deduce che l’introduzione di deroghe è consentita solo nell’ambito della pianificazione urbanistica, come nell’ipotesi espressamente prevista dall’art. 9 comma 3 del DM 1444/1968, che riguarda edifici tra loro omogenei perché inseriti in un piano particolareggiato o in un piano di lottizzazione (per una fattispecie relativa al centro storico v. TAR Brescia Sez. I 29.09.2009 n. 1712).
Di conseguenza non è possibile per la legge regionale (e nemmeno per gli strumenti urbanistici comunali) intervenire nei rapporti tra i privati autorizzando in via generale la sopraelevazione in deroga alla distanza minima dalle pareti finestrate: la deroga può essere inserita unicamente in una previsione normativa dedicata a una situazione urbanistica particolare in una precisa zona del territorio.
In questo modo si ottiene una ragionevole garanzia circa il fatto che gli interessi pubblici coinvolti (e specificamente quelli di natura igienico-sanitaria) siano stati in concreto valutati e tutelati mediante soluzioni planivolumetriche adeguate.
Estendendo questa linea argomentativa si può sostenere che la deroga alla distanza minima dalle pareti finestrate diventa ammissibile quando non vi siano in concreto pericoli di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie all’interno delle abitazioni servite dalle finestre.
Questa situazione può verificarsi in fattispecie particolari, ad esempio quando il muro da sopraelevare non si trovi esattamente in corrispondenza della parete finestrata (v. TAR Brescia Sez. I 03.07.2008 n. 788).
Nel caso in esame i ricorrenti con le due DIA in variante (v. sopra ai punti 4 e 7) hanno cercato di limitare la sopraelevazione nella porzione del muro di confine che fronteggia il cavedio con la parete finestrata, tuttavia non è stato dimostrato che attraverso queste modifiche il progetto lasci del tutto immutata la condizione dei locali che ricevono luce e aria dalle finestre. In realtà per raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario garantire alle finestre una fascia di rispetto (intesa come volume vuoto) di ampiezza tale da rendere neutre le sopraelevazioni ai lati.
Si osserva che il vincolo della distanza minima dalle pareti finestrate è efficace anche quando la presenza delle finestre sia abusiva. L’interesse pubblico di natura igienico-sanitaria che vieta la formazione di intercapedini malsane vale infatti in qualunque situazione, indipendentemente dalla regolarità della costruzione, in quanto non si colloca soltanto sul piano urbanistico ma coinvolge anche la tutela della salute.
È quindi necessario ottenere prima la rimozione dell’abuso: l’eliminazione delle finestre abusive determina di conseguenza anche la fuoriuscita dalla fattispecie di cui all’art. 9 del DM 1444/1968. Nel caso in esame i ricorrenti sostengono che il cavedio, in corrispondenza del primo piano, sarebbe stato realizzato abusivamente in luogo di un ripostiglio senza finestre. Peraltro la licenza edilizia relativa a questi lavori è del 1965 e quindi l’altezza del cavedio e la presenza delle relative finestre sono ormai elementi consolidati anche sotto il profilo giuridico.
L’art. 63, comma 1-bis, della LR 12/2005 definisce il sottotetto come il volume sovrastante l'ultimo piano degli edifici dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.
La norma non richiede che lo spazio sia praticabile e non indica la volumetria o l’altezza minima che distinguono il sottotetto dalle semplici intercapedini. In considerazione del favore legislativo per gli interventi di recupero è preferibile aderire a un’interpretazione estensiva della nozione di sottotetto, qualificando come tale qualsiasi volume non del tutto irrilevante che sia compreso tra il solaio e le falde del tetto e abbia la funzione di tenere separati questi elementi architettonici. La soglia di rilevanza può variare a seconda della morfologia dell’edificio.
Nel caso in esame l’altezza di 0,91 metri (media tra il valore minimo di 0,60 metri e quello massimo di 1,22 metri) si può considerare idonea a definire un vero e proprio locale con autonome seppure limitate funzionalità (ad esempio soffitta o ripostiglio).
Non è quindi corretto parlare di mera intercapedine, concetto da riservare agli spazi marginali.
In via generale è compito del responsabile del procedimento assicurare la completezza della documentazione ai sensi dell’art. 38, comma 5, della LR 12/2005 prima del rilascio del permesso di costruire.
L’omissione di questi controlli non garantisce al privato l’esenzione dall’onere di produzione ma impone all’amministrazione di fissare un termine per la regolarizzazione della pratica edilizia prima della conclusione dei lavori.
Solo nel caso in cui il supplemento istruttorio finalizzato alla regolarizzazione non abbia dato alcun esito l’amministrazione è legittimata a considerare inesistente la certificazione dell’invalidità e ad annullare in autotutela il permesso di costruire nella parte in cui prevede la deroga alla distanza minima dai confini (oppure integralmente se la deroga alla distanza non è scindibile dal resto del progetto)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.08.2010 n. 3240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl diritto di ottenere la riduzione in pristino di un immobile costruito senza il rispetto delle distanze legali non si estingue per il decorso del tempo ma subisce gli effetti dell'usucapione, in quanto quest’ultimo istituto può dar luogo all'acquisto di un contrario (e prevalente) diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale.
La giurisprudenza equipara l'azione per il rispetto delle distanze legali a una negatoria servitutis (v. Cass. civ. Sez. II 21.10.2009 n. 22348) e precisa che il diritto di ottenere la riduzione in pristino di un immobile costruito senza il rispetto delle distanze legali non si estingue per il decorso del tempo ma subisce gli effetti dell'usucapione, in quanto quest’ultimo istituto può dar luogo all'acquisto di un contrario (e prevalente) diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale (v. Cass. civ. Sez. II 07.09.2009 n. 19289).
Dunque da una parte non vi è un affidamento tutelabile dei destinatari della concessione, che hanno fuorviato il Comune, ma dall’altra non vi è più un affidamento tutelabile del terzo.
A questo punto solo un autonomo e attuale interesse pubblico potrebbe sostenere l’annullamento d’ufficio, ma tale interesse evidentemente non può essere costituito dal mero ripristino delle distanze minime dal confine, dove vengono in rilievo norme integrative del codice civile (v. Cass. civ. Sez. II 10.01.2006 n. 145) che tutelano primariamente la proprietà confinante. Quando i rapporti tra i privati a proposito dei confini hanno stabilmente assunto una diversa sistemazione è preclusa all’amministrazione la possibilità di intervenire per il ripristino della legalità.
Sarebbero necessari altri interessi pubblici (ad esempio di natura igienico-sanitaria o collegati alla sicurezza collettiva) ma di questi non è fornita alcuna puntuale dimostrazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1733 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa Corte di Cassazione ha in epoca più recente confermato il suo orientamento che porta ad escludere che dal concetto di costruzione, rilevante ai fini dell’assoggettamento al regime delle distanze, rientrino opere non creative di volumetria, affermando che integra costruzione un manufatto che, quantunque privo di pareti, realizzi una determinata volumetria. E una scala posta all’esterno dell’edificio non dà luogo affatto ad una volumetria.
Una scala in ferro per l’accesso ad un terrazzo è proprio una pertinenza e, come tale, soggetta ad autorizzazione.
La recinzione di un edificio, non essendo suscettibile di valutazione autonoma, costituisce pertinenza del medesimo e, come tale, è soggetta a autorizzazione e non già a concessione edilizia.

La concessione edilizia (oggi, permesso di costruire) legittima l’attività edilizia nell’ordinamento pubblicistico, disciplinando i rapporti tra Comune e concessionario, “ma non attribuisce a quest’ultimo diritti soggettivi verso i terzi, i quali possono agire innanzi al giudice ordinario per ottenere la rimozione o modificazione dell’opera lesiva di diritti scaturenti da rapporti privatistici” (Consiglio di Stato, sez. V, 20.12.1993 n. 1341; Cass. Civ., 21.02.1983 n. 1311).
Non può certo equipararsi un costruendo edificio complessivamente considerato e comprensivo anche della sporgenza–scala ad una mera scala che venga collocata su un preesistente edificio per arrivare a sostenere che la scala uti singula, per sé sola, debba essere posta a distanza di metri tre dal confine, come se detta scala sostanziasse un edificio in muratura.
La statuizione della Corte inerisce, invero, all’ “edificio” (dal latino aedes, casa) comprensivo della scala e stabilisce che la di esso distanza va misurata partendo dalla scala che non costituisca una sporgenza meramente decorativa ma strutturale. Ma una scala da sola, realizzata dopo la costruzione dell’edificio preesistente e semplicemente appoggiata ad esso, è ictu oculi elemento ontologicamente diverso da un edifico da realizzare ex novo e comprensivo di una scala. Ed è elemento, la scala, da sola, di consistenza e aggravio urbanistico enormemente inferiore rispetto ad un edificio, cui acceda anche una scala/sporgenza.
Irragionevolmente, dunque, il ricorrente equipara ed assimila un “edificio”, cioè una casa, più una scala, ad una semplice scala. Trattasi, intuitivamente, di insiemi diversi, non di diversi elementi di un unico insieme.
In tale ottica appare condivisibile l’osservazione di cui alla memoria del controinteressato, circa le caratteristiche dalla scala de qua, come struttura estremamente leggera e non in muratura.
Suffraga la tesi espressa dal Collegio, la giurisprudenza civile di legittimità che intravede la ratio dell’art. 873 nello scongiurare la formazione di intercapedini dannose alla sicurezza e alla salubrità dei fondi, esentando dal relativo regime delle distanza minime, opere inidonee, per struttura e consistenza, a formare intercapedini nocive inglobando aria luce (Cass. Civ., II, 08.09.1986, n. 5467).
La Cassazione ha quindi correttamente ritenuto soggetta all’obbligo di rispetto della distanza minima di cui all’art. 873 c.c. ogni opera edilizia fuori terra avente un’apprezzabile consistenza, escludendo da siffatto regime un scala esterna scoperta.
Va segnalato che la Corte di Cassazione ha in epoca più recente confermato il suo orientamento che porta ad escludere che dal concetto di costruzione, rilevante ai fini dell’assoggettamento al regime delle distanze, rientrino opere non creative di volumetria, affermando che integra costruzione un manufatto che, quantunque privo di pareti, realizzi una determinata volumetria: Cass. Civ.Sez. II, 21.12.1999, n. 14379. E una scala posta all’esterno dell’edificio non dà luogo affatto ad una volumetria.
Del resto, come correttamente osserva la difesa del controinteressato nella memoria in data 08.02.2008, le stesse NTA del Comune di Valperga includono nei manufatti soggetti alla disciplina sulle distanze, i bow-windows, le verande, gli spazi porticati e i “vani semiaperti di scale” (art. 7, punto 4, lett. b) Piano Regolatore Generale del Comune di Valperga, Norme Tecniche di Attuazione, doc. 6 produz. controint.) conseguendone che una scala che non presenti al suo interno una superficie vuota, un vano, non può essere ragionevolmente assoggettata al rispetto delle distanze tra costruzioni, non costituendo, per le ragioni già dette, una costruzione.
Non è poi così pacifico in giurisprudenza l’assunto che una scala sia assoggettata a concessione e non ad autorizzazione. In contrario basti segnalare, proprio con riguardo ad una scala collegante un giardino e un terrazzo, TAR Campania–Napoli, sez. III, 05.10.1988, n. 240, ad avviso del quale detta scala in ferro costituisce “se non pertinenza, un’opera di manutenzione straordinaria soggetta ad autorizzazione e non a concessione edilizia”. Ancor più netta è TAR Campania–Napoli, sez. I, 25.07.1990, n. 467, secondo la quale una scala in ferro per l’accesso ad un terrazzo è proprio una pertinenza, come tale soggetta ad autorizzazione.
Il Tribunale partenopeo recentissimamente ha ribadito il proprio orientamento, affermando che una ringhiera protettiva e “una scala in ferro per l’accesso ad un terrazzo si configurano come pertinenze di un immobile, sicché la loro installazione non è soggetta al preventivo rilascio della concessione edilizia, bensì al regime autorizzatorio” (TAR Campania–Napoli, Sez. VII, 20.11.2007, n. 14443) ex art. 4 della L. n. 94/1982 (c.d. Legge Nicolazzi, pure invocata dalla decisione del Consiglio di Stato su cui infra).
Ritiene il Collegio di dover aderire al rassegnato indirizzo, sante il ridotto aggravio edilizio di una scala, quale quella per cui è causa, costituita da “piccola carpenteria metallica” com’è incontroverso e non comportante affatto una impattante alterazione urbanistica.
Relativamente, poi, alla recinzione, la conclusione medesima, cui il Collegio opina di dover pervenire nel caso che ne occupa, è suffragata da maggiori supporti giurisprudenziali e, prima ancora, legislativi. Con ciò, senza, peraltro, rinnegare i propri precedenti invocati dal ricorrente, di cui alle sentenze 09.06.1994, n. 293, 212/1997 e 236/1997, le quali appaiono, all’evidenza, non propriamente calzanti nella soluzione del caso di specie.
Orbene, già il Consiglio di Stato, in materia di recinzioni, ha chiaramente statuito che “la recinzione di un edificio, non essendo suscettibile di valutazione autonoma, costituisce pertinenza del medesimo e, come tale, è soggetta a autorizzazione e non già a concessione edilizia” (Consiglio di Stato, Sez. II, 13.11.1991, n. 358/1991 – Ministero dei Lavori Pubblici, in Il Cons. di Stato, 1993, I, 145). Massima già espressa con Cons. di Stato, Sez. II, 13.06.1990, n. 566/1990 – Comune di Gallarate, in Il Cons. di Stato, 1990, I, 1162, che ha affermato che “la recinzione in muratura di un fabbricato non costituisce opera edilizia soggetta a concessione, essendo per essa richiesta una semplice autorizzazione, ai sensi dell’art. 7 D.L. 23.1.1982 n. 9 convertito dalla L 25.03.1982, n. 94”. Addirittura secondo il Giudice Amministrativo d’appello è soggetta a mera autorizzazione una recinzione interamente in muratura e interessante un intero fabbricato.
Non va sottaciuto, sul punto, come meglio si dirà appresso, che la recinzione di cui è controversia è una modestissima opera, lunga appena m. 3,90 e poggiante su n muretto di soli 50 cm.
Vale la pena ora confrontarsi con i precedenti di questo TAR, invocati dal ricorrente,e in particolare con TAR Piemonte, n. 293/1994, secondo cui la realizzazione di una recinzione relativa d un’area di notevole ampiezza, costituita da un basamento in muratura di m. 0,50 con sovrastante rete metallica alta m. 1,50 importa una modificazione tale dell’assetto del territorio da rendere necessaria una concessione edilizia.
Ebbene, il Collegio reputa doveroso calare siffatta affermazione di principio, nella fattispecie di causa, che si connota per la peculiarità rappresentata dalla modestia della recinzione contestata, la quale è lunga solo m. 3,90 e quindi non può ad essa estendersi quanto questo Tribunale ha sancito con la pronuncia citata, che aveva ad oggetto “una recinzione relativa ad un’aera di notevole ampiezza”. In quel caso l’opera recintava, appunto, un terreno notevolmente ampio, in rapporto al quale certamente costituisce modificazione dell’assetto del territorio un intervento costituente un muro anche non alto (di soli m. 0,50) sormontato da una rete metallica alta m. 1,50. Tale muro con sovrastante recinzione, se riguardato in una prospettiva di insieme, rapportata a un’area notevolmente ampia con lo stesso recintata, chiaramente fa emergere una considerevole modificazione del territorio, la quale non può non richiedere la concessione edilizia.
All’evidenza, il caso che ci occupa si differenza non poco da quello appena delineato, stante l’assoluta modestia della recinzione in questione, lunga solo m. 3,90.
Non è luogo quindi a farsi questione di applicazione alla fattispecie di cui è causa, di una decisione resa a proposito di un’opera notevolmente impattante, siccome estesa a tutta l’area, notevolmente ampia, che veniva in quel caso recintata.
Né vale invocare, come fa il ricorrente, nel motivo in analisi, il presunto contrasto con l’art. 56 della L.Reg. Piemonte n. 56/1977, posto che tale norma, alla lettera g), assoggetta ad autorizzazione e non a concessione “le opere costituenti pertinenze”. E non v’ha dubbio che una recinzione ed anche una scala metallica posta chiaramente a servizio dell’immobile abitativo, integrino una pertinenza, come pure evidenziato nelle citate decisioni del TAR Campania.
Ma ad avviso del Collegio milita a favore della tesi della non necessità della concessione in sanatoria e della sufficienza della mera autorizzazione, un dirimente dato normativo.
Traendo spunto da quanto adombra il controinteressato nella memoria di costituzione, secondo la quale la recinzione sarebbe stata sottoposta ex D.L. 154/1996 alla mera autorizzazione “comunale soggetta al regime del silenzio–assenso in attuazione dell’art. 19 della l.n. 241/1990” (pag. 5 memoria 02.11.1999) (in realtà più correttamente avrebbe dovuto parlare di D.I.A. in attuazione dell’art. 19 l.cit.) ricorda il Collegio che all’epoca dei fatti di causa e del rilascio dell’impugnato titolo concessorio in sanatoria era vigente l’art. 4 della L. 04.12.1993, n. 493, di conversione del D.L. 05.10.1993, n. 398, articolo poi sostituito dall’art. 2, comma 60, della L. 23.12.1996, n. 662 (Legge finanziaria per il 1997), norma recate la nuova disciplina delle procedure per il rilascio della concessione edilizia e partorita con il conclamato intento di semplificare dette procedure apprestando altresì significativi di strumenti di tutela del privato a fronte dell’inerzia della P.A.
Orbene, il comma 7 dell’art. 4 della l. n. 493/1993 assoggettava a mera denuncia di inizio di attività una serie di interventi edilizi minori, annoverando alla lettera c), proprio “recinzioni, muri di cinta e cancellate”. Ora va anche soggiunto che siffatta riconduzione delle opere de quibus al regime semplificato, rectius liberalizzato della D.I.A., metteva capo ad una facoltà del privato, posto che i successivi commi 8 e 10 della norma espressamente subordinavano ad una serie di condizioni “la facoltà di denuncia di attività ai sensi del comma 7”. Il che vuol dire che il privato poteva sempre optare per il tradizionale istituto dell’autorizzazione, in luogo di quello semplificato della D.I.A..
Ne consegue che il controinteressato, avendo presentato istanza tesa ad ottenere il titolo edilizio in sanatoria, benché impropriamente richiesto sub specie di concessione, ha evidentemente inteso non avvalersi della procedura semplificata. Ma è chiaro che in tale ipotesi l’intervento consistente nella recinzione non poteva essere ricondotto e assoggettato alla concessione edilizia, atteso che il legislatore lo aveva derubricato, includendolo tra quelli per i quali il privato aveva facoltà di presentare una semplice D.I.A., con il risultato che, ove, come nel la specie, il privato non optasse per la D.I.A., i relativi interventi dovevano ritenersi assoggettati a mera autorizzazione e non più a concessione.
Tale conclusione, che ad avviso del Collegio si impone con caratteri di evidenza, è inoltre supportata dal disposto del comma 13 della norma in analisi, in forza del quale “l’esecuzione di opere in assenza della o in difformità della denuncia di cui al comma 7 comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere stesse”, conseguenza che è la spia che il legislatore escludeva gli interventi in questione dal regime della concessione edilizia, sanzionandone l’esecuzione in assenza del titolo tacito, con la sanzione prevista per le opere eseguite in assenza di autorizzazione e non con quella apprestata dall’ordinamento per le opere eseguite in assenza di concessione edilizia, che è la sanzione reale demolitoria
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 25.03.2010 n. 505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un muro di contenimento tra due fondi posti a differenti livelli, ove il dislivello sia stato creato artificialmente, è da considerarsi costruzione a tutti gli effetti e come tale soggetta agli obblighi delle distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle eventuali disposizioni integrative.
Un muro di contenimento tra due fondi posti a differenti livelli, ove il dislivello sia stato creato artificialmente, è da considerarsi costruzione a tutti gli effetti e come tale soggetta agli obblighi delle distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle eventuali disposizioni integrative (v. Cass. 4511/1997, 4196/1987), principio dal quale non può che derivare tale assoggettamento, anche nell’ipotesi di accentuazione del preesistente livello naturale, per la parte eccedente quello preesistente (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 22.01.2010 n. 1217).

EDILIZIA PRIVATA: Applicazione P.R.G.C. in tema di distanze.
Viene richiesto parere al Servizio scrivente in ordine all’interpretazione ed all’applicazione di situazioni –talora presenti nei Piani Regolatori Generali dei Comuni piemontesi– in tema di distanze.
Si tratta di stabilire quale sia la distanza dal confine di proprietà da mantenere nel caso di ampliamenti e nuove costruzioni, nel silenzio della norma sul punto, ed in presenza di disposizioni che disciplinano solamente il cd. indice di visuale libera richiamando poi quanto stabilito dal Codice Civile.
Il Comune elenca quindi una serie di casi e chiede al servizio di consulenza di valutare la correttezza delle soluzioni proposte (Regione Piemonte, parere n. 18/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: P.R.G. del Comune. Applicazione norme di attuazione in assenza di disposizioni normative nazionali e regionali.
Vengono chiesti quattro distinti pareri su specifiche questioni in materia edilizia.
1- Con il primo quesito il Comune segnala che “in passato è stato permesso il recupero di strutture adibite a fienili o altro in zona centro storico, purché chiuse su tre lati (così veniva detto verbalmente); le norme del piano riportano: “nel centro storico è concessa la ristrutturazione edilizia di tipo A per l’utilizzazione per fini abitativi delle strutture tecniche originariamente destinate al servizio agricolo, con l’esclusione delle tettoie, quando tali strutture tecniche siano sostanzialmente incorporate nel nucleo abitativo preesistente”.
Il Comune chiede di sapere “in che cosa differisce una struttura tecnica da portico” e se “la chiusura su tre lati è conditio sine qua non”.
Segnala, altresì, il Comune che “spesso ci si è trovati di fronte a fabbricati accatastati in un modo (esempio in classe A4), generalmente prima di una compravendita, e in realtà si tratta di fabbricati utilizzati come fienile o magazzini e non si trova in Comune un’adeguata pratica di cambio di destinazione d’uso”.
A tal proposito, chiede il Comune di sapere “come occorre comportarsi in tali casi, se occorre prendere atto della pratica di accatastamento oppure richiedere una pratica di cambio di destinazione d’uso”.
2- Il Comune richiedente segnala che le norme di P.R.G.C. recitano: “Non sarà ammessa in alcun caso la realizzazione di recinzioni cieche per nuove delimitazioni fondiarie” e “In tutte le zone indicate dal Piano regolatore generale le recinzioni verso le vie pubbliche e gli spazi pubblici ad uso pubblico e le vie private debbono essere “a giorno” e non superare l’altezza massima di mt. 2. Esse dovranno essere costruite nella parte fuori terra da uno zoccolo in muratura di mattoni o in calcestruzzo di altezza non superiore a mt. 0,50 dal suolo, sormontato da rete metallica o da cancellata metallica, tali da consentire il massimo di visibilità trasversale. Possono essere concesse autorizzazioni in deroga, a quanto prescritto in caso di restauro e completamento di recinzioni esistenti o muri divisori esistenti, quando non si abbiano, ad esclusivo giudizio della Commissione Edilizia, a riscontrare ragioni negative da carattere tecnico ed estetico”.
Chiede, dunque, il Comune di sapere se “una recinzione costituita da un muro alto 1,60 mt. con delle vedute a semiluna, situata sul confine tra una zona compromessa e aree agricole possa essere di danno a diritti di terzi”.
3- Con il terzo quesito, il Comune chiede di sapere se “è possibile la realizzazione di una scala per accedere ad un edificio a confine con una piazza pubblica o queste vengono considerate alla stregua di strade pubbliche e come tale anche una semplice scala deve arretrare di x metri”.
4- Con il quarto quesito, il Comune chiede di sapere se “nel caso di oneri pagati per una ristrutturazione che successivamente, per vari motivi, non si vuole più eseguire, l’Ente Comunale è tenuto a restituire la somma versata per il rilascio degli oneri” (Regione Piemonte, parere n. 2/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: Manufatto - Volume tecnologico - Creazione di volume - Stabilità - Disciplina distanze dal confine - Ordine di rimozione - Legittimità.
Un manufatto, anche se destinato a coprire un cassone per deposito rifiuti, non si può qualificare come impianto tecnologico se ha una dimensione tale da creare volume utilizzabile ad altro scopo e risulta stabilmente affisso al suolo e, in quanto struttura rilevante dal punto di vista edilizio, si applica la disciplina delle distanze dal confine, risultando legittimamente adottato l'ordine di rimozione dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.12.2009 n. 5739 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICILegittimità alla deroga alle prescrizioni del P.R.G. vigente che impongono il rispetto delle distanze di confine.
E’ chiesto parere in merito alla legittimità della previsione e della realizzazione di un’opera pubblica in deroga alle prescrizioni del P.R.G.C. che impongono il rispetto della distanza di mt. 5 dal confine (Regione Piemonte, parere n. 125/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATALe norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute nel Codice Civile (come quelle contenute per es. negli artt. 873, 905, 906 e 907 C.C.), sono derogabili (per usucapione o mediante convenzione, la quale in tali casi costituisce un vero e proprio diritto di servitù, in quanto arreca una menomazione per l’immobile che avrebbe diritto alla distanza legale), in quanto la predetta normativa del Codice Civile ha lo scopo di tutelare i reciproci diritti soggettivi dei singoli proprietari e/o i rapporti intersoggettivi di vicinato (per es. l’art. 873 C.C. mira unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose.
Mentre le norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute negli strumenti urbanistici e/o nei Regolamenti Edilizi comunali, poiché trascendono l’interesse meramente privatistico, in quanto hanno la funzione di tutelare l’interesse pubblico alla realizzazione di un determinato assetto urbanistico prefigurato, non possono essere derogate (le apposite convenzioni sono invalide anche nei rapporti interni tra i proprietari confinanti) e la loro violazione comporta la facoltà del vicino di chiedere la riduzione in pristino.

Secondo pacifico orientamento giurisprudenziale (cfr. con riferimento all’art. 905 C.C. Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 4605 del 14.07.1981; con riferimento all’art. 873 C.C. cfr. Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 19449 del 28.09.2004; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 2117 del 04.02.2004; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 12984 del 23.11.1999; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 8260 del 13.08.1990; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 5711 del 27.06.1987; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 4737 del 27.05.1987; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 2331 del 30.03.1983; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 5117 del 05.10.1982; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 287 del 12.01.1980; Cass. Civ. Sez. II Sent. n. 60 del 05.01.1980), che questo Tribunale condivide (cfr. TAR Basilicata Sent. n. 519 del 04.09.2007):
1) le norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute nel Codice Civile (come quelle contenute per es. negli artt. 873, 905, 906 e 907 C.C.), sono derogabili (per usucapione o mediante convenzione, la quale in tali casi costituisce un vero e proprio diritto di servitù, in quanto arreca una menomazione per l’immobile che avrebbe diritto alla distanza legale), in quanto la predetta normativa del Codice Civile ha lo scopo di tutelare i reciproci diritti soggettivi dei singoli proprietari e/o i rapporti intersoggettivi di vicinato (per es. l’art. 873 C.C. mira unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose; mentre l’art. 905 C.C. ha la finalità di proteggere la riservatezza del proprietario frontistante, la quale ai sensi del 3° comma dello stesso art. 905 viene meno se tra i due fondi vi è una via pubblica o soggetta ad uso pubblico);
2) mentre le norme sulle distanze tra le costruzioni o tra queste ed i terreni confinanti, contenute negli strumenti urbanistici e/o nei Regolamenti Edilizi comunali, poiché trascendono l’interesse meramente privatistico, in quanto hanno la funzione di tutelare l’interesse pubblico alla realizzazione di un determinato assetto urbanistico prefigurato, non possono essere derogate (le apposite convenzioni sono invalide anche nei rapporti interni tra i proprietari confinanti) e la loro violazione comporta la facoltà del vicino di chiedere la riduzione in pristino
(TAR Basilicata, sentenza 17.11.2009 n. 766 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna piscina è, di fatto, una cisterna di acqua: una cisterna-vasca a cielo aperto, che si differenzia dalle cisterne-deposito soltanto per la destinazione al nuoto, per gli abbellimenti, la impermeabilizzazione e le attrezzature idriche connesse, ma che concettualmente null'altro è se non un contenitore di acqua.
L'art. 889 c.c. nel disciplinare la distanza da osservare nella costruzione di determinate opere (pozzi, cisterne, fosse, tubi) presso il confine, tiene conto della loro potenziale attitudine ad arrecare danno alla proprietà contigua stabilendo per esse una presunzione assoluta di pericolosità. Tra dette opere non rientrano i contenitori interrati, prefabbricati o realizzati in loco (nella specie: serbatoio di eternit) a tenuta impermeabile con la funzione di contenere le infiltrazioni e i travasamenti nel fondo finitimo, in quanto per tali contenitori non soccorre la presunzione assoluta di pericolosità, ed è, pertanto, necessario accertare in concreto, sulla base delle loro specifiche caratteristiche (struttura e composizione del materiale, distanza dal confine), se abbiano o meno attitudine a cagionare danno.

L'elencazione di cui all'art. 889 c.civile è tassativa. Sennonché, senza utilizzare in alcun modo l'analogia, una piscina è, di fatto, una cisterna di acqua: una cisterna-vasca a cielo aperto, che si differenzia dalle cisterne-deposito soltanto per la destinazione al nuoto, per gli abbellimenti, la impermeabilizzazione e le attrezzature idriche connesse, ma che concettualmente null'altro è se non un contenitore di acqua.
Le disposizioni di cui agli art. 889 e 891 c.c. si riferiscono a fattispecie del tutto diverse tra loro, in considerazione della specificità sia della natura delle opere in esse rispettivamente previste, sia della "ratio" cui ciascuna è informata. Infatti, la prescrizione di cui all'art. 889 c.c. (distanze per pozzi, cisterne, fossi e tubi) mira ad evitare il pericolo di infiltrazioni a danno del fondo del vicino (nei cui confronti prevede una presunzione assoluta di danno), allorché le opere in essa indicate siano eseguite a distanza inferiore di due metri dal confine, mentre la norma di cui all'art. 891 c.c. (distanze tra i canali, i fossi ed il confine) è ispirata all'esigenza di scongiurare il pericolo di franamento che tali opere possono cagionare nei confronti del fondo del vicino (Cassazione civile, sez. II, 19.06.1995, n. 6928).
Dunque l'art. 889 mira a prevenire le infiltrazioni; ma va ricordato che la giurisprudenza ha escluso la presunzione di pericolo per i contenitori in metallo o cemento prefabbricato, ed anche per quelli costruiti in loco purché in maniera impermeabile.
L'art. 889 c.c. nel disciplinare la distanza da osservare nella costruzione di determinate opere (pozzi, cisterne, fosse, tubi) presso il confine, tiene conto della loro potenziale attitudine ad arrecare danno alla proprietà contigua stabilendo per esse una presunzione assoluta di pericolosità. Tra dette opere non rientrano i contenitori interrati, prefabbricati o realizzati in loco (nella specie: serbatoio di eternit) a tenuta impermeabile con la funzione di contenere le infiltrazioni e i travasamenti nel fondo finitimo, in quanto per tali contenitori non soccorre la presunzione assoluta di pericolosità, ed è, pertanto, necessario accertare in concreto, sulla base delle loro specifiche caratteristiche (struttura e composizione del materiale, distanza dal confine), se abbiano o meno attitudine a cagionare danno (Cassazione civile, sez. II, 08.04.1986, n. 2436).
Nel caso di specie la CTU ha accertato che trattasi di piscina prefabbricata con pareti in pannelli di acciaio, rivestiti con uno strato di poliestere al silicone. L'insieme dei pannelli e contrafforti reggispinta è ancorato ad una soletta perimetrale. L'impermeabilizzazione è assicurata da un rivestimento in telo PVC saldato a caldo. Le esondazioni sono prevenute mediante scarichi di troppo pieno.
Il CTU ha poi chiarito che pericoli di infiltrazioni potrebbero derivare soltanto dall'abbandono prolungato del manufatto, mentre un suo normale utilizzo non dà motivo di temere infiltrazioni.
Quindi, seguendo la convincente giurisprudenza sopra citata, l'ambito di applicazione dell'art. 889 c.civ. va ridotto alle cisterne e vasche non impermeabili, e va escluso in ipotesi come quella di cui si discute, nella quale si è in presenza di una vasca con struttura in metallo impermeabilizzata, e dotata di opportuni scarichi (Corte d'Appello di Firenze, Sez. I civile, sentenza 19.06.2009 n. 814).

EDILIZIA PRIVATAAi fini dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per natura dei luoghi costituiscono costruzioni.
Si richiama l'indirizzo di questo Consiglio che ha avuto modo di osservare come ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di contenimento che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente per natura dei luoghi costituiscono costruzioni (Cons. St., sez. V, 12.04.2005, n. 1619; id., n. 2000, n. 3637; Cass. civ., sez. II, 01.03.1995, n. 2342; id., 28.11.1991, n. 12763) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.04.2009 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muro di sostegno e distanze.
La circostanza che una concessione limiti l’altezza di un muro a tre metri non elide affatto la sua natura di costruzione ed impone in ogni caso il rispetto dei cinque metri dal confine (TAR Abruzzo-Aquila, sez. I, sentenza 10.03.2009 n. 140 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Quesito 2 - Sul carattere integrativo o meno dell'art. 873 del c.c. riguardo alle disposizioni del piano regolatore che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni dal confine del fondo (Geometra Orobico n. 5/2008).

EDILIZIA PRIVATAIn tema di distanze legali, solo il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina delle distanze per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente.
I requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri 3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà; mentre quando non si è in presenza di un dislivello naturale, ma si tratta di un dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo.

L’intervento assentito con l’impugnato permesso di costruire consiste nella realizzazione di un terrapieno artificiale con mura di tamponamento, necessario per portare “a livello” della strada il terreno adiacente all’immobile degli appellanti e consentire così la creazione di un parcheggio scoperto e di un muretto che lo delimita.
Tale intervento costituisce una “nuova costruzione” e non può essere qualificato come manutenzione straordinaria (semplice sistemazione di spazi aperti comportante modifica alle quote dei terreni), come affermato dagli appellanti e ritenuto dal Comune (cfr., Cons. Stato, V, n. 1835/1999).
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che in tema di distanze legali, solo il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina delle distanze per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. civ, II, n. 145/2006; n. 243/1992; n. 12763/1991; Cons. Stato, n. 5213/2007).
E’ stato anche precisato che i requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri 3, la sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà; mentre quando non si è in presenza di un dislivello naturale, ma si tratta di un dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo (Cass. civ., II, n. 8144/2001)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.06.2008 n. 2954- link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze dal muro di cinta e valutazione delle scelte estetiche.
Il muro di cinta di altezza non superiore ai tre metri, pur essendo una costruzione in senso materiale, non è considerato tale ai fini delle distanze legali per la sua mancanza di autonomia strutturale, costituendo una semplice protezione del fondo: per il computo delle distanze tra costruzioni vanno quindi presi in considerazione gli edifici che si trovano rispettivamente al di qua e al di là del muro di cinta, come se questo non esistesse, per cui la distanza di legge va computata tra l’edificio preesistente e la nuova costruzione ovvero ampliata. Ne consegue, nello specifico, che la distanza minima da rispettare tra i porticati ed il confine non è quella stabilita dall’art. 873 c.c., ma quella tra sagoma limite e confine.
Dal momento che il Giudice amministrativo non può sindacare il merito delle scelte estetico-funzionali dell’amministrazione se non nei limiti della illogicità, quando si discute di concreti valori estetico-tipologici riservati all’amministrazione medesima, è sufficiente appurare che le norme edilizie in vigore ammettono l’intervento di interesse con le caratteristiche morfologiche e strutturali desumibili anche dalla documentazione fotografica agli atti processuali
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.03.2008 n. 931 - link a www.altalex.com).

anno 2007

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATASussiste la praticabilità, sotto il profilo edilizio, di una deroga ex art. 14 del DPR 380/2001 circa la realizzazione di una barriera antirumore a distanza non regolamentare dal confine.
Pur essendo stata abbandonata l’originaria qualificazione della barriera antirumore come recinzione, sostituita da quella più appropriata di nuova edificazione, non è stato correttamente impostato il problema dei presupposti per la deroga ex art. 14 del DPR 380/2001, in relazione non più all’altezza ma alla distanza dal confine.
La tesi della ricorrente secondo cui su questo punto avrebbe dovuto pronunciarsi il consiglio comunale è condivisibile, in quanto la predetta norma collega la deroga all’esame dello stesso organo avente competenza sul PRG, introducendo un’ipotesi di variante singolare. A questo aspetto formale si aggiunge quello più importante di diritto sostanziale che riguarda la possibilità di definire la barriera antirumore come opera di interesse pubblico.
Per inciso si osserva che se la prospettazione della ricorrente fosse palesemente infondata il Comune avrebbe potuto evitare di sottoporre la questione della deroga al consiglio comunale, in quanto gli uffici preposti alla materia edilizia possono fare da filtro nei confronti delle istanze che non hanno alcuna possibilità di essere accolte.
Nel caso in esame, tuttavia, l’opera per cui è chiesta la deroga svolge una funzione del tutto coerente con l’interesse pubblico al rispetto dei limiti di rumorosità vigenti nella zona. Si tratta di un obiettivo fissato direttamente dalla legge che il Comune ha ribadito attraverso due ordinanze rimettendo la soluzione tecnica alla stessa ricorrente senza individuare in astratto una specifica modalità di abbattimento delle immissioni sonore.
In sostanza, la posizione del Comune può essere divisa in due parti. Nelle premesse il Comune (come si è visto sopra al punto 9) effettua un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti, in quanto non utilizza il problema dell’inquinamento acustico per espellere un’attività produttiva da una zona dove la stessa è insediata da molto tempo. Passando alle conclusioni, tuttavia, il Comune ritiene che la presenza di un interesse privato escluda quello pubblico, e in questo modo incorre in un vizio logico perché abbandona la proporzione tra il fine (abbattimento della rumorosità) e il mezzo (limiti all’attività dei privati).
È quindi necessario cancellare la decisione negativa del Comune e affermare coerentemente con le premesse la praticabilità sotto il profilo edilizio di una deroga ex art. 14 del DPR 380/2001
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 26.06.2007 n. 578 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATAUna costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica.
Come correttamente evidenziato dal TAR, il ricorrente stava realizzando una costruzione che era solo in parziale aderenza con quanto costruito in precedenza dal Sig. Greco, con superamento in altezza del muro di confine, con la conseguenza che parte della nuova costruzione era stata edificata ad una distanza di circa 5 metri dalla preesistente parete finestrata del confinante, mentre il limite minimo in questi casi era stabilito in 10 metri dalla locale normativa urbanistica.
L’appellante non contesta detta situazione di fatto ma sostiene che essendoci un muro di confine tra i due fabbricati non occorreva rispettare alcuna distanza per la nuova costruzione.
Occorre invece tener presente che una costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.11.2004 n. 7746 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'articolo 878 del codice civile si riferisce soltanto ad un muro che abbia entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni e non racchiuda, quindi, uno spazio coperto con una propria volumetria come nel caso in esame e, pertanto, le norme tecniche di attuazione di un Comune non sono autorizzate a modificare la definizione codicistica.
Il ricorrente, in qualità di proprietario confinante, ha impugnato la concessione edilizia in epigrafe indicata, nonché l'articolo 27, commi 4° e 5°, delle NTA della variante al PRG, sulla quale si fonda il rilascio del suddetto provvedimento, con il quale la controinteressata è stata autorizzata a costruire un fabbricato ad uso autorimessa, di altezza di circa m. 3, da porsi sul confine di proprietà per un fronte di m. 4, deducendone l’illegittimità sotto vari profili.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Non si sono costituiti in giudizio né la provincia di Ferrara né la controinteressata.
L'istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 399 del 25.06.2003 e la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza del 18.03.2004.
Il ricorso è fondato con specifico riferimento alle censure di violazione degli articoli 873 e 878 del codice civile e di eccesso di potere per irragionevolezza e falso presupposto di diritto.
Già in un'analoga controversia promossa dall'odierno ricorrente avverso un'altra simile costruzione da realizzare sempre sul confine di proprietà da parte di un altro confinante, sul lato nord, questo Tribunale Amministrativo Regionale, con sentenza n. 2770 del 31.12.2003, ha rilevato uno specifico contrasto tra l'articolo 27, comma quinto, delle predette norme tecniche di attuazione rispetto agli articoli suddetti del codice civile.
Infatti, la citata disposizione comunale dispone che "nelle zone residenziali è possibile, anche in deroga alle distanze fissate dall'articolo 12 delle presenti norme, l'edificazione sul confine di proprietà di edifici, privi di pareti finestrate, di altezza esterna, intesa come massimo ingombro, inferiore a metri tre, senza necessità di convenzione tra confinanti, intendendo tali edifici come muri di cinta, ai sensi del codice civile".
Invero, come già precisato dalla suddetta sentenza, l'articolo 878 del codice civile si riferisce soltanto ad un muro che abbia entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni e non racchiuda, quindi, uno spazio coperto con una propria volumetria come nel caso in esame e, pertanto, le norme tecniche di attuazione di un Comune non sono autorizzate a modificare la definizione codicistica.
Del resto la strumentazione urbanistica del Comune intimato, per regola generale, all'articolo 12, lettera c, dispone che gli interventi di nuove costruzioni debbano osservare una distanza minima di 5 metri dai confini di proprietà, riducibile a metri 3 soltanto con apposita convenzione tra confinanti, con ciò escludendo l'applicazione diretta del criterio civilistico della prevenzione, di cui all’articolo 873 del codice civile, che non può indirettamente essere reintrodotto attraverso un'illogica ed illegittima equiparazione di una vera e propria costruzione, a tutti gli effetti, ad un muro privo di volumetria coperta (TAR Emilia Romagna, sez. II, sent. n. 2770 del 31.12.2003).
Per tali ragioni, di carattere assorbente rispetto alle ulteriori censure dedotte, il ricorso va accolto, e per l’effetto, si conferma l’annullamento dell'articolo 27, comma 5°, delle NTA della variante al PRG del comune di Poggiorenatico (FE), ivi comprese, in parte qua, le deliberazioni di adozione e di approvazione meglio indicate in epigrafe (già pronunciato con la citata sentenza del TAR Emilia Romagna, sez. II, sent. n. 2770 del 31.12.2003), nonché, per illegittimità derivata, la concessione edilizia impugnata n. C034/2002 rilasciata a Masina Margherita (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 08.04.2004 n. 509 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATAPARERE IN MERITO QUESITI RELATIVI AL RISPETTO DELLE DISTANZE NELLA EDIFICAZIONE IN AREA ASSOGGETTATA A PIANO DI LOTTIZZAZIONE E ALL'AMMISSIBILITA' DELLA RICOSTRUZIONE DI FABBRICATI PARZIALMENTE DEMOLITI.
Quesiti posti a questa Provincia dal Comune di SANT’AGATA FELTRIA con nota prot. n. 3094 del 23.05.2002, che qui di seguito si riporta:
"Quesito n. 1:
Il Comune di Sant'Agata Feltria ha ricevuto una richiesta di concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato artigianale all'interno di una zona artigianale di tipo "D" soggetta a redazione di piano di lottizzazione.
Il richiedente, proprietario di n. 2 lotti contigui, intende costruire il fabbricato di cui sopra a confine dei lotti seppure il piano di lottizzazione preveda una distanza dai confini di ml. 5,00 e l'art. 13, comma 1, lett. p) del R.E.C. precisa che si intende come confine anche la linea di separazione che definisce i diversi lotti.
Si precisa che all'interno dell'area sono stati ricavati n. 10 lotti di cui 7 lotti di proprietà del Comune di Sant'Agata Feltria, poi alienati, e 4 lotti di proprietà privata.
Inoltre la convenzione del piano di lottizzazione prevede che questa possa essere realizzata per successivi stralci funzionali dove l'attuale stralcio abbia per oggetto i lotti di proprietà comunale; mentre i proprietari privati nel caso in cui procedessero all'esecuzione dei successivi stralci si obbligano a riconoscere al Comune di Sant'Agata Feltria la quota parte delle spese sostenute per la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Il richiedente intende realizzare il fabbricato sul lotto facente parte del primo stralcio a confine con il lotto che dovrà fare parte degli stralci successivi.
Considerato quanto sopra, si invita l'ufficio competente dell'Amministrazione Provinciale di esprimere un proprio parere sulla questione.
Quesito n. 2:
Il Comune di Sant'Agata Feltria ha ricevuto richiesta per la ricostruzione di 2 fabbricati rurali ora parzialmente demoliti dei quali rimane in un caso le murature per l'altezza di circa ml. 1,00 (ricadente in zona edilizia C6 di espansione non lottizzata) mentre nell'altro caso sono presenti porzioni di muratura esterna che in alcune parti di presume abbiano un'altezza fino alla gronda ( ricadente in zona agricola). Si richiede:
- Se i proprietari abbiano comunque diritto di ricostruire il fabbricato ora parzialmente demolito;
- Quale documentazione eventualmente può essere inoltrata a comprovare la consistenza del fabbricato (documentazione fotografica, planimetrie catastali, vecchi progetti edilizi…..).
Considerato quanto sopra, si invita l'ufficio competente dell'Amministrazione Provinciale di esprimere un proprio parere sulla questione." (Provincia di Pesaro-Urbino, parere 05.12.2002 - link a www.provincia.ps.it).