dossier TELEFONIA MOBILE |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sull'illegittima
ordinanza sindacale contingibile ed urgente che preclude ogni intervento
volto all’implementazione della telefonia mobile con la nuova tecnologia 5G.
Le ordinanze contingibili e urgenti, in quanto
espressive di un potere amministrativo extra ordinem idoneo a derogare a
norme di legge, vanno circoscritte a casi eccezionali e imprevedibili,
individuati per mezzo di un’approfondita istruttoria, per i quali il
legislatore non può configurare poteri d’intervento tipici, mentre deve
ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi
sia un pregiudizio attuale ed effettivo, dotato del carattere di
eccezionalità tale da rendere indispensabile interventi immediati ed
indilazionabili.
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Si rileva, in primo luogo, che il pericolo alla salute pubblica derivante
dall’utilizzo della tecnologia 5G è solamente ipotetico, poiché
scientificamente indimostrato, sicché non può essere addotto a
giustificazione del potere extra ordinem.
Nello specifico, l’art. 50, comma 5, d.lgs. 267/2000, in forza del quale
l’ordinanza è stata emessa, circoscrive il potere del Sindaco d’intervenire
in via contingibile e urgente al verificarsi di «emergenze sanitarie o di
igiene pubblica a carattere esclusivamente locale». Perciò «deve ritenersi
esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia
urgenza di provvedere o un pregiudizio in atto (come quello ipotizzato nel
caso di specie, atteso che il pericolo derivante dalla diffusione della
nuova Tecnologia 5g appare, allo stato, non effettivo e scientificamente non
accertato) o, comunque, si tratti di compiere valutazioni aventi una portata
non localizzata al solo territorio comunale».
Inoltre, per giurisprudenza costante, la materia della tutela sanitaria e
ambientale dall’esposizione ai campi elettromagnetici, magnetici e
elettromagnetici, essendo riservata alla competenza esclusiva dello Stato,
non si presta a essere regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e
urgente e, al contempo, «la valutazione sui rischi connessi a tale
esposizione è di esclusiva pertinenza dell’A.R.P.A., organo deputato al
rilascio del parere prima dell’attivazione della struttura e al monitoraggio
del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato».
Tali approdi giurisprudenziali sono stati recepiti dallo stesso legislatore
con l’art. 38 d.l. 76/2020 che, modificando l’art. 8, comma 6, l. 36/2001,
ha espressamente vietato ai Comuni «di incidere, anche in via indiretta o
mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e
sugli obiettivi di qualità, riservati allo stato ai sensi dell’articolo 4».
La norma, benché introdotta dopo l’emanazione dell’ordinanza n. 282/2020,
esprime comunque un principio già operante e costantemente applicato dalla
giurisprudenza.
In secondo luogo, sotto un versante distinto ma connesso l’ordinanza
impugnata risulta emanata in assenza dei presupposti del potere extra
ordinem e, dunque, in violazione degli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000, in
quanto essa inibisce le iniziative volte a ottenere titoli per
l’istallazione o la modifica d’impianti di telefonia mobile per fronteggiare
il pericolo che si formino silenzi abilitanti su pratiche di particolare
interesse e rilievo per la collettività in un periodo –quello dell’emergenza
da Covid-19– ove gli uffici, impegnati a presidiare il territorio
dall’epidemia, non funzionano a regime ordinario.
È evidente, dunque, che la misura non è stata adottata per proteggere la
collettività da pericoli legati alla salute o all’incolumità pubblica, ma
per sopperire a un malfunzionamento degli uffici.
Con siffatta ordinanza, inoltre, si è creato un effetto espressamente
disvoluto dal legislatore nazionale che, proprio nella gestione
dell’emergenza sanitaria e in considerazione della crescita dei consumi di
servizi di comunicazione elettronica, all’art. 82 d.l. 18/2020 ha prescritto
agli operatori di intraprendere ogni iniziativa utile a «potenziare le
infrastrutture e garantire il funzionamento delle reti, l’operatività e la
continuità dei servizi», tra l’altro derogando, per i relativi procedimenti,
alla generalizzata sospensione dei termini prevista dal successivo art. 103
(cfr. art. 103, comma 3, d.l. 18/2020).
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... PER L'ANNULLAMENTO, PREVIA SOSPENSIONE E CONCESSIONE DI MISURE CAUTELARI
PROVVISORIE MONOCRATICHE:
- dell'ordinanza n. 491 del 30.07.2021 con la quale il Sindaco del
Comune di Diamante ha disposto il divieto- sino al 31.12.2021;
- di iniziare attività e/o cantierizzare opere o interventi di
realizzazione e/o adeguamento degli impianti di telecomunicazioni nonché il
divieto di presentazione di nuove pratiche per tutto il periodo predetto;
...
1- Con l’epigrafato ricorso, notificato il 06.08.2021 e depositato in pari
data, Wind Tre s.p.a., assegnataria di diritti d’uso per frequenze 5G, ha
chiesto l’annullamento dell’ordinanza sindacale n. 491 del 30.07.2021, con
la quale il Sindaco del Comune di Diamante, anche quale Ufficiale di
Governo, ha di fatto bloccato la formazione, per silentium, di ogni
titolo presentato dalle società di tlc, ed ogni conseguente attività di
cantierizzazione, sino a tutto al 31.12.2021, oltre al risarcimento dei
danni subiti e subendi dalla esecuzione degli atti impugnati.
2- Detta ordinanza, al pari di quelle di pari contenuto già annullate in
sede giurisdizionale, pregiudicherebbe i procedimenti costituiti dalla SCIA
presentata dalla ricorrente in data 18.04.2019 e la SCIA presentata in data
10.11.2020.
...
6.1- La domanda è fondata.
6.2- Il Collegio, rilevata l’immediata lesività dell’atto impugnato anche
tenuto conto della sussistenza di un procedimento in corso e delle pregressi
conformi ordinanze, già annullate in sede giurisdizionale, ritiene
sufficiente, a tal proposito, il richiamo a quanto già statuito, sempre da
questo Tribunale, nella succitata sentenza n. 1095/2021, riguardante, come è
stato osservato, controversia sovrapponibile alla fattispecie,
riscontrandosi i profili d’illegittimità contestati rispetto alle ordinanze
sindacali.
6.3- Le ordinanze contingibili e urgenti, in quanto espressive di un potere
amministrativo extra ordinem idoneo a derogare a norme di legge,
vanno circoscritte a casi eccezionali e imprevedibili, individuati per mezzo
di un’approfondita istruttoria, per i quali il legislatore non può
configurare poteri d’intervento tipici, mentre deve ritenersi esclusa la
possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia un pregiudizio
attuale ed effettivo, dotato del carattere di eccezionalità tale da rendere
indispensabile interventi immediati ed indilazionabili (ex multis,
TAR Milano, Sez. IV, 09.12.2020, n. 2463; TAR Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020,
n. 1670; TAR Napoli, Sez. V, 01.06.2020, n. 2087; TAR Cagliari, Sez. I,
04.05.2018, n. 406; Cons. Stato, Sez. V, 05.06.2017, n. 2676; Id.,
20.02.2012, n. 904).
6.4- Ebbene detti presupposti risultano insussistenti nel caso di specie.
6.5- In estrema sintesi, la gravata ordinanza, evidenziando le criticità in
termini di sottodimensionamento della dotazione del personale comunale e del
fatto che:
- le forze di Polizia Locale e i funzionari degli uffici tecnici
sono impegnati a presidiare il territorio per il rispetto delle limitazioni
e prescrizioni vigenti nell’attuale fase di riapertura delle attività
economiche, produttive e ricreative nel territorio regionale;
- che si intende evitare l’avvio e il consolidamento di situazioni
necessitanti accertamenti e verifiche attente, rigorose e puntuali per la
corrette tutela e gestione degli interessi pubblici anche attraverso
accertamenti, sopralluoghi e verifiche allo stato di difficile attuazione
per quanto sopra;
- ribadita la necessità di evitare che si formino silenzi
procedimentali su pratiche di particolare interesse e rilievo per la
collettività, sotto l’aspetto della tutela della salute e della corretta
gestione del territorio, e che necessitano di un esame approfondito da parte
degli uffici preposti, anche in relazione al principio di precauzione
inibisce fino al 31.12.2021 l’inizio di attività o la cantierizzazione di
opere e interventi volti ad ottenere, anche con silenzio significativo,
titoli abilitativi per la realizzazione e/o l’ampliamento/potenziamento di
qualsivoglia tipologia di intervento di modifica di impianti di telefonia
mobile o radio base sul territorio comunale, salvo le manutenzioni ordinarie
o gli interventi straordinari ivi menzionati, ed inibisce la presentazione,
fino a pari data, di istanze volte ad ottenere i predetti titoli
abilitativi.
6.6- Orbene, si rileva, in primo luogo, che il pericolo alla salute pubblica
derivante dall’utilizzo della tecnologia 5G è solamente ipotetico, poiché
scientificamente indimostrato, sicché non può essere addotto a
giustificazione del potere extra ordinem (in senso analogo, TAR
Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020, n. 1670).
Nello specifico, l’art. 50, comma 5, d.lgs. 267/2000, in forza del quale
l’ordinanza è stata emessa, circoscrive il potere del Sindaco d’intervenire
in via contingibile e urgente al verificarsi di «emergenze sanitarie o di
igiene pubblica a carattere esclusivamente locale». Perciò «deve
ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi
sia urgenza di provvedere o un pregiudizio in atto (come quello ipotizzato
nel caso di specie, atteso che il pericolo derivante dalla diffusione della
nuova Tecnologia 5g appare, allo stato, non effettivo e scientificamente non
accertato) o, comunque, si tratti di compiere valutazioni aventi una portata
non localizzata al solo territorio comunale» (da ultimo, TAR L’Aquila,
Sez. I, 26.04.2021, n. 237; Id., 14.04.2021, n. 8).
6.7- Inoltre, per giurisprudenza costante, la materia della tutela sanitaria
e ambientale dall’esposizione ai campi elettromagnetici, magnetici e
elettromagnetici, essendo riservata alla competenza esclusiva dello Stato
(Corte Cost., 07.07.2003, n. 307), non si presta a essere regolata mediante
ordinanza sindacale contingibile e urgente (ex multis, TAR L’Aquila,
Sez. I, 26.04.2021, n. 237; TAR Catania, Sez. I, 07.07.2020, n. 1641; Id.,
22.05.2020, n. 1126) e, al contempo, «la valutazione sui rischi connessi
a tale esposizione è di esclusiva pertinenza dell’A.R.P.A., organo deputato
al rilascio del parere prima dell’attivazione della struttura e al
monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato»
(TAR L’Aquila, Sez. I, 26.04.2021, n. 237; TAR Catania, Sez. I, 30.03.2020,
n. 236; Id., 26.11.2019, n. 2858).
6.8- Tali approdi giurisprudenziali sono stati recepiti dallo stesso
legislatore con l’art. 38 d.l. 76/2020 che, modificando l’art. 8, comma 6,
l. 36/2001, ha espressamente vietato ai Comuni «di incidere, anche in via
indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di
esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di
attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo stato ai sensi
dell’articolo 4». La norma, benché introdotta dopo l’emanazione
dell’ordinanza n. 282/2020, esprime comunque un principio già operante e
costantemente applicato dalla giurisprudenza.
6.9- In secondo luogo, sotto un versante distinto ma connesso l’ordinanza
impugnata risulta emanata in assenza dei presupposti del potere extra
ordinem e, dunque, in violazione degli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000, in
quanto essa inibisce le iniziative volte a ottenere titoli per
l’istallazione o la modifica d’impianti di telefonia mobile per fronteggiare
il pericolo che si formino silenzi abilitanti su pratiche di particolare
interesse e rilievo per la collettività in un periodo –quello dell’emergenza
da Covid-19– ove gli uffici, impegnati a presidiare il territorio
dall’epidemia, non funzionano a regime ordinario.
6.10- È evidente, dunque, che la misura non è stata adottata per proteggere
la collettività da pericoli legati alla salute o all’incolumità pubblica, ma
per sopperire a un malfunzionamento degli uffici.
6.11- Con siffatta ordinanza, inoltre, si è creato un effetto espressamente
disvoluto dal legislatore nazionale che, proprio nella gestione
dell’emergenza sanitaria e in considerazione della crescita dei consumi di
servizi di comunicazione elettronica, all’art. 82 d.l. 18/2020 ha prescritto
agli operatori di intraprendere ogni iniziativa utile a «potenziare le
infrastrutture e garantire il funzionamento delle reti, l’operatività e la
continuità dei servizi», tra l’altro derogando, per i relativi
procedimenti, alla generalizzata sospensione dei termini prevista dal
successivo art. 103 (cfr. art. 103, comma 3, d.l. 18/2020).
6.12- Per tali motivi la domanda va accolta
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 15.09.2021 n. 1625 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’imputazione
giuridica allo Stato degli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti
adottate dal Sindaco ha natura meramente formale, in quanto quest’ultimo,
pur agendo nella veste di ufficiale di Governo, resta incardinato nel
complesso organizzativo dell’ente locale, con la conseguente imputabilità
dell’atto al Comune e non dello Stato, al pari della conseguente
responsabilità.
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L’ordinanza sindacale contingibile ed urgente oggetto dell’odierna
impugnazione risulta illegittima poiché emanata in assenza dei presupposti
del potere extra ordinem
e, dunque, in violazione degli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000.
Essa inibisce le iniziative volte a ottenere titoli per l’istallazione
o la modifica d’impianti di telefonia mobile per fronteggiare il pericolo
che si formino silenzi abilitanti su pratiche di particolare interesse e
rilievo per la collettività in un periodo –quello dell’emergenza da
Covid-19– ove gli uffici, impegnati a presidiare il territorio
dall’epidemia, non funzionano a regime ordinario. È evidente, dunque, che la
misura non è stata adottata per proteggere la collettività da pericoli
legati alla salute o all’incolumità pubblica, ma per sopperire a un
malfunzionamento degli uffici.
Con l’ordinanza, inoltre, si è creato un effetto espressamente disvoluto dal legislatore nazionale che, come evidenziato anche dalla
società ricorrente, proprio nella gestione dell’emergenza sanitaria e in
considerazione della crescita dei consumi di servizi di comunicazione
elettronica, all’art. 82 d.l. 18/2020 ha prescritto agli operatori di
intraprendere ogni iniziativa utile a «potenziare le infrastrutture e
garantire il funzionamento delle reti, l’operatività e la continuità dei
servizi», tra l’altro derogando, per i relativi procedimenti, alla
generalizzata sospensione dei termini prevista dal successivo art. 103 (cfr.
art. 103, comma 3, d.l. 18/2020)».
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... PER L'ANNULLAMENTO, PREVIA MISURA CAUTELARE MONOCRATICA EX ART. 56
C.P.A. E MISURA CAUTELARE COLLEGIALE EX ART. 55 C.P.A.
- della “Ordinanza sindacale contingibile ed urgente” n. 491
del 30.07.2021 adottata dal Sindaco del Comune di Diamante ed avente ad
oggetto “Provvedimento relativo ai procedimenti amministrativi per titoli
abilitativi volti alla realizzazione e/o ampliamento e/o adeguamento e/o
qualsiasi tipologia di intervento di modifica degli impianti di telefonia
mobile o radio base in seguito a proroga stato di emergenza sino al
31.12.2021”;
...
1. L’odierna ricorrente TIM S.p.a. è società che effettua l’installazione e
l’esercizio di impianti per l’espletamento, la gestione e la
commercializzazione, senza limiti territoriali, dei servizi di comunicazione
elettronica.
2- Essa ha esposto di aver presentato al Comune di Diamante, in data
31.05.2021, comunicazione ai sensi dell’art. 87-quater, comma 1, del d.lgs.
n. 259/2003, in combinato disposto con l’art. 2, comma 1, ed All. A), del
D.P.R. n. 31/2017, per la realizzazione di una stazione radio base di tipo
provvisorio posta su di un mezzo carrato, da ubicarsi nel Comune di
Diamante, Contrada Monte Salerno.
3- Ha soggiunto che, con atto dell’01.06.2021, il Responsabile del Settore
Terzo del Comune di Diamante ha comunicato all’odierna ricorrente che, con
ordinanza sindacale n. 383 del 30.04.2021, adottata ai sensi degli artt. 50
e 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, sono state vietate, sino al
31.07.2021, tutte le attività concernenti la realizzazione, l’ampliamento
e/o il potenziamento di qualsiasi tipologia di intervento sulle reti di
telefonia mobile.
4- La TIM S.p.a. ha, quindi, impugnato l’atto dell’01.06.2021, a firma del
Responsabile del Settore Terzo del Comune di Diamante, nonché l’ordinanza
sindacale n. 383 del 30.04.2021, deducendone l’illegittimità per violazione
dell’art. 82 del d.l. n. 18/2020, conv. in l. n. 27/2020, degli artt. 1
lett. ll), 3 comma 2, 86 comma 3, 87-quater e 90, comma 1, del d.lgs. n.
259/2003. dell’art. 14 della l. n. 36/2001, nonché eccesso di potere per
errata valutazione dei fatti, contraddittorietà motivazionale, difetto di
istruttoria, irragionevolezza ed illogicità decisionale, disparità di
trattamento, ingiustizia manifesta. violazione dei principi di
proporzionalità e di ragionevolezza amministrativa.
5- Gli atti impugnati in questa sede altro non sarebbero che la pedissequa
riproduzione di precedenti atti, ritenuti illegittimi in sede
giurisdizionale, da ultimo con sentenza n. 1588 del 03.08.2021, adottata ex
art. 60 c.p.a.
6- Nonostante i suddetti arresti giurisprudenziali, con l’ordinanza
sindacale contingibile ed urgente n. 491 del 30.07.2021 il Sindaco di
Diamante ha adottato un’ulteriore ordinanza dai contenuti identici a quelli
di cui alle precedenti ordinanze (da ultimo l’ordinanza n. 383 del
30.04.2021) tutte annullate da questo Tribunale.
...
10- Preliminarmente deve essere accolta l’eccezione di difetto di
legittimazione passiva sollevata dal Ministero.
10.1- Si ritiene, infatti, preferibile la tesi per la quale l’imputazione
giuridica allo Stato degli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti
adottate dal Sindaco ha natura meramente formale, in quanto quest’ultimo,
pur agendo nella veste di ufficiale di Governo, resta incardinato nel
complesso organizzativo dell’ente locale, con la conseguente imputabilità
dell’atto al Comune e non dello Stato, al pari della conseguente
responsabilità (cfr. ex plurimis, TAR Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020,
n. 1670; Id.; n. 1588 del 03.08.2021; Cons. Stato, Sez. II, 01.07.2020, n.
4193; Id., Sez. IV, 29.04.2014, n. 2221; Id., Sez. V, 13.07.2010, n. 4529;
Id., 13.08.2007, n. 4448).
11- Nel merito, il ricorso è fondato.
11.1- L’impugnata ordinanza dispone quanto segue:
<<Il Sindaco
Vista la situazione emergenziale in atto provocata dalla epidemia da
coronavirus per la quale con Delibera del Consiglio dei Ministri 31.01.2020
è stata adottata “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del
rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti
virali trasmissibili” fino al 31.07.2020;
Visto da ultimo il Decreto Legge 23.07.2021, n. 105 Misure urgenti per
fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid 19 e per l’esercizio in
sicurezza di attività sociali ed economiche, con il quale è stato prorogato
al 31.12.2021 la dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del
rischio sanitario legato al Covid 19;
Dato atto che in ragione di tutti i numerosi provvedimenti adottati a tutti
i livelli, governativo, regionale e locale, vi è una forte alterazione del
normale svolgimento anche dell’attività amministrative poste in essere dagli
uffici comunali;
Evidenziato che:
- il Comune di Diamante dispone di dotazione di personale
gravemente sottodimensionata e che le forze di polizia Locale i pochissimi
addetti e funzionari degli uffici tecnici sono attivamente e continuamente
impegnati a presidiare il territorio per il rispetto delle limitazioni e
prescrizioni vigenti nell’attuale fase in cui vi è stato una pressoché
generalizzata e completa riapertura nel territorio regionale, delle attività
economiche, produttive e ricreative, quanto alle numerosi e diversificate
prescrizioni e misure dettate per il contenimento del rischio epidemiologico
ancora in atto, nonché a corrispondere alle molteplici e pressanti istanze
della cittadinanza alle soglie della stagione estiva con una problematica
ripresa delle attività locali;
- in tale contesto, in cui pressoché tutti gli sforzi e le energie
in campo sono ancora assorbite dalle azioni emergenziali si vuole evitare
che si possano avviare e consolidare delle situazioni che necessitano di
accertamenti e verifiche attente, rigorose e puntuali per la corretta tutela
e gestione degli interessi pubblici anche attraverso accertamenti,
sopralluoghi e verifiche che allo stato, per quanto sopra rappresentato
risultano di difficile tempestiva attuazione;
Ribadito che in tale situazione emergenziale occorre, quindi, evitare che si
formino silenzi procedimentali su pratiche di particolare interesse e
rilievo per la collettività, sotto l’aspetto della tutela della salute e
della corretta gestione del territorio, e che necessitano di un esame
approfondito da parte degli uffici preposti;
Motivato il presente provvedimento in costanza di ravvisare finalità
rispondenti al pubblico interesse di sospendere determinate attività nelle
presenti condizioni di emergenza;
Ritenuto che il presente provvedimento, applicando un principio di
precauzione, si pone come scopo quello di incidere su tutti gli aspetti
sopra ricordati e non è in contrasto con le misure statali e regionali
adottate per fronteggiare l’emergenza da Covid-19, anzi è conseguenza delle
situazioni generate dalle prescrizioni e limitazioni imposte;
Visti gli artt. 50 e 54, comma 4, del Decreto Legislativo 18.08.2000 n. 267;
Ravvisata, pertanto, la necessità di provvedere nell’adozione di un
provvedimento atto a prevenire che si determinino situazioni pregiudizievoli
per la comunità amministrata;
Ritenuto che ricorrano, pertanto, i presupposti per l’adozione di
un’ordinanza al fine di prevenire e di eliminare tali inconvenienti;
Ordina
- Che sino al 31.12.2021 non possano essere iniziate attività e/o
cantierizzate opere e interventi volti ad ottenere –anche nella forma del
silenzio significativo– titoli abilitativi (autorizzazioni, permessi, nulla
osta, autocertificazioni) per la realizzazione e/o
l’ampliamento/potenziamento di qualsiasi tipologia di intervento di modifica
di impianti di telefonia mobile o radio base sul territorio comunale.
Restano consentiti, previa la dovuta comunicazione al comune le attività di
manutenzione ordinarie, quelle che si dovessero rendere necessarie per la
mera riparazione di guasti o malfunzionamenti degli impianti con ripristino
della funzionalità in essere alla data odierna e senza alterazioni di alcun
tipo, nonché di interventi straordinari per adeguamento e mantenimento dei
livelli di efficienza dell’impianto restando comunque escluso il
potenziamento e l’ampliamento e ogni intervento volto alla
implementazione/adozione della tecnologia 5G;
- Che sino al 31.12.2021 non possano essere presentate al Comune di
Diamante nuove richieste, comunicazioni, domande volte ad ottenere –anche
nella forma del silenzio significativo– titoli abilitativi (autorizzazioni,
permessi, nulla osta) volti alla realizzazione e/o
all’ampliamento/potenziamento ed adeguamento e/o qualsiasi tipologia di
intervento di manutenzione straordinaria, di impianti di telefonia mobile o
radio base sul territorio comunale; (…)>>.
11.2- In relazione a tale provvedimento risultano fondate le censure dedotte
da parte ricorrente, volte ad evidenziare l’insussistenza dei presupposti
per l’emissione di ordinanze urgenti e contingibili.
11.3- In proposito, va rilevato che, come esposto dalla ricorrente,
l’ordinanza n. 491/2021, gravata da impugnazione, reitera, nella motivazione
e negli effetti, precedenti provvedimenti del Comune di Diamante, annullati
da questo Tribunale dapprima con la sentenza n. 1095/2021 e quindi con la
sentenza n. 1588/2021.
Ci si riferisce, in particolare, all’ordinanza 43 del 19.01.2021, che
reiterava altra precedente ordinanza, che poneva analoghi ordini e divieti
sino alla data del 30.04.2021.
11.4- Devono quindi ribadirsi le considerazioni già effettuate dalla Sezione
con le succitate sentenze, ossia che l’ordinanza oggetto dell’odierna
impugnazione, così come le precedenti ordinanze n. 383/2021 e n. 43/2021,
risulta emanata in assenza dei presupposti del potere extra ordinem
e, dunque, in violazione degli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000.
11.5- Essa inibisce le iniziative volte a ottenere titoli per l’istallazione
o la modifica d’impianti di telefonia mobile per fronteggiare il pericolo
che si formino silenzi abilitanti su pratiche di particolare interesse e
rilievo per la collettività in un periodo –quello dell’emergenza da
Covid-19– ove gli uffici, impegnati a presidiare il territorio
dall’epidemia, non funzionano a regime ordinario. È evidente, dunque, che la
misura non è stata adottata per proteggere la collettività da pericoli
legati alla salute o all’incolumità pubblica, ma per sopperire a un
malfunzionamento degli uffici.
11.6- Con l’ordinanza, inoltre, si è creato un effetto espressamente
disvoluto dal legislatore nazionale che, come evidenziato anche dalla
società ricorrente, proprio nella gestione dell’emergenza sanitaria e in
considerazione della crescita dei consumi di servizi di comunicazione
elettronica, all’art. 82 d.l. 18/2020 ha prescritto agli operatori di
intraprendere ogni iniziativa utile a «potenziare le infrastrutture e
garantire il funzionamento delle reti, l’operatività e la continuità dei
servizi», tra l’altro derogando, per i relativi procedimenti, alla
generalizzata sospensione dei termini prevista dal successivo art. 103 (cfr.
art. 103, comma 3, d.l. 18/2020)» (TAR Catanzaro, Sez. II, 26.05.2021,
n. 1095).
11.7- L’ordinanza sindacale è, pertanto, illegittima e deve essere annullata
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 15.09.2021 n. 1624 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’imputazione
giuridica allo Stato degli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti
adottate dal Sindaco ha natura meramente formale, in quanto quest’ultimo,
pur agendo nella veste di ufficiale di Governo, resta incardinato nel
complesso organizzativo dell’ente locale, con la conseguente imputabilità
dell’atto al Comune e non dello Stato, al pari della conseguente
responsabilità.
---------------
L’ordinanza sindacale contingibile e urgente risulta
illegittima poiché emanata in assenza dei presupposti del potere extra ordinem e, dunque, in violazione degli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000.
Essa inibisce le iniziative volte a ottenere titoli per l’istallazione o la
modifica d’impianti di telefonia mobile per fronteggiare il pericolo che si
formino silenzi abilitanti su pratiche di particolare interesse e rilievo
per la collettività in un periodo –quello dell’emergenza da Covid-19– ove
gli uffici, impegnati a presidiare il territorio dall’epidemia, non
funzionano a regime ordinario. È evidente, dunque, che la misura non è stata
adottata per proteggere la collettività da pericoli legati alla salute o
all’incolumità pubblica, ma per sopperire a un malfunzionamento degli
uffici.
Con l’ordinanza, inoltre, si è creato un effetto espressamente disvoluto dal
legislatore nazionale che, come evidenziato anche dalla società ricorrente,
proprio nella gestione dell’emergenza sanitaria e in considerazione della
crescita dei consumi di servizi di comunicazione elettronica, all’art. 82
d.l. 18/2020 ha prescritto agli operatori di intraprendere ogni iniziativa
utile a «potenziare le infrastrutture e garantire il funzionamento delle
reti, l’operatività e la continuità dei servizi», tra l’altro derogando, per
i relativi procedimenti, alla generalizzata sospensione dei termini prevista
dal successivo art. 103 (cfr. art. 103, comma 3, d.l. 18/2020)»
---------------
... per l'annullamento previa misura cautelare monocratica ex art. 56 c.p.a.
e misura cautelare collegiale ex art. 55 c.p.a.:
- dell'atto del Comune di Diamante Settore Terzo (Urbanistica,
Demanio, Cosap, Suap/Sue, Commercio) adottato in data 01.06.2021 prot. n.
12234 ed avente ad oggetto “Installazione di una stazione radio base di
telefonia mobile di tipo provvisorio posto su di un mezzo carrato da
ubicarsi nel comune di Diamante, C.da Montesalerno. Comunicazione di avvio
lavori ai sensi del comma 1, art. 87-quater, del Codice delle Comunicazioni
elettroniche di cui al D.Lvo n. 259/2003 in combinato disposto con DPR n.
31/2017, art. 1, comma 1, e allegato A, punto A.16. Numero impianto: Campo
Cirella T Mast – Codice Sito LA35”;
- dell'Ordinanza Sindacale n. 383 del 30.04.2021 del Comune di
Diamante avente ad oggetto “Provvedimento relativo ai procedimenti
amministrativi per titoli abilitativi volti alla realizzazione e/o
ampliamento e/o adeguamento e/o qualsiasi tipologia di intervento di
modifica degli impianti di telefonia mobile o radio base in seguito a
proroga stato di emergenza sino al 31.07.2021”;
...
1. TIM S.p.a., odierna ricorrente, è società che effettua l’installazione e
l’esercizio di impianti per l’espletamento, la gestione e la
commercializzazione, senza limiti territoriali, dei servizi di comunicazione
elettronica.
2. Essa ha esposto di avere presentato al Comune di Diamante, in data
31.05.2021, comunicazione ai sensi dell’art. 87-quater, comma 1, del d.lgs.
n. 259/2003, in combinato disposto con l’art. 2, comma 1, ed All. A), del
D.P.R. n. 31/2017, per la realizzazione di una stazione radio base di tipo
provvisorio posta su di un mezzo carrato, da ubicarsi nel Comune di
Diamante, Contrada Monte Salerno.
Ha soggiunto che, con atto dell’01.06.2021, il Responsabile del Settore
Terzo del Comune di Diamante ha comunicato all’odierna ricorrente che, con
ordinanza sindacale n. 383 del 30.04.2021, adottata ai sensi degli artt. 50
e 54, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, sono state vietate, sino al
31.07.2021, tutte le attività concernenti la realizzazione, l’ampliamento
e/o il potenziamento di qualsiasi tipologia di intervento sulle reti di
telefonia mobile.
...
6. Preliminarmente deve essere accolta l’eccezione di difetto di
legittimazione passiva sollevata dal Ministero.
Si ritiene, infatti, preferibile la tesi per la quale l’imputazione
giuridica allo Stato degli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti
adottate dal Sindaco ha natura meramente formale, in quanto quest’ultimo,
pur agendo nella veste di ufficiale di Governo, resta incardinato nel
complesso organizzativo dell’ente locale, con la conseguente imputabilità
dell’atto al Comune e non dello Stato, al pari della conseguente
responsabilità (cfr. ex plurimis, TAR Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020,
n. 1670; Cons. Stato, Sez. II, 01.07.2020, n. 4193; Id., Sez. IV,
29.04.2014, n. 2221; Id., Sez. V, 13.07.2010, n. 4529; Id., 13.08.2007, n.
4448).
7. Passando all’esame delle censure dedotte, appare preliminare il vaglio di
legittimità dell’ordinanza urgente e contingibile n. 383 del 30.04.2021, che
costituisce l’unico presupposto in base al quale è stato adottato il
provvedimento del Responsabile del Settore Terzo (Urbanistica, Demanio,
Cosap, Suap/Sue, Commercio) del Comune di Diamante.
Si riproduce qui di seguito il contenuto dell’ordinanza:
“VISTA la situazione emergenziale in atto provocata dalla
epidemia da coronavirus per la quale con Delibera del Consiglio dei Ministri
31.01.2020 è stata adottata "Dichiarazione dello stato di emergenza in
conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie
derivanti da agenti virali trasmissibili" fino al 31.07.2020;
VISTO da ultimo il Decreto Legge 22.04.2021, n. 52 Misure urgenti
per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto
delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19 ,
con il quale è stato prorogato al 31.07.2021 la dichiarazione dello stato di
emergenza in conseguenza del rischio sanitario legato al Covid-19;
DATO ATTO che in ragione di tutti i numerosi provvedimenti adottati
a tutti i livelli, governativo, regionale e locale, vi è una forte
alterazione del normale svolgimento anche delle attività amministrative
poste in essere dagli uffici comunali;
EVIDENZIATO CHE:
- il Comune di Diamante dispone di dotazione di personale gravemente
sottodimensionata
e che le forze di Polizia Locale i pochissimi addetti e funzionari
degli uffici tecnici sono attivamente e continuamente impegnati a presidiare
il territorio per il rispetto delle limitazioni e prescrizioni vigenti
nell'attuale fase in cui vi è stato una pressoché generalizzata e completa
riapertura nel territorio regionale, delle attività economiche, produttive e
ricreative, quanto alle numerose e diversificate prescrizioni e misure
dettate per il contenimento del rischio epidemiologico ancora in atto,
nonché a corrispondere alle molteplici e pressanti istanze della
cittadinanza alle soglie della stagione estiva con una problematica ripresa
delle attività locali;
in tale contesto, in cui pressoché tutti gli sforzi e le energie in
campo sono ancora assorbite dalle azioni emergenziali si vuole evitare che
si possano avviare e consolidare delle situazioni che necessitano di
accertamenti e verifiche attente, rigorose e puntuali per la corretta tutela
e gestione degli interessi pubblici anche attraverso accertamenti,
sopralluoghi e verifiche che allo stato, per quanto sopra rappresentato
risultano di difficile tempestiva attuazione;
RIBADITO CHE in tale situazione emergenziale occorre, quindi,
evitare che si formino silenzi procedimentali su pratiche di particolare
interesse e rilievo per la collettività, sotto l'aspetto della tutela della
salute e della corretta gestione del territorio, e che necessitano di un
esame approfondito da parte degli uffici preposti;
MOTIVATO il presente provvedimento in costanza di ravvisate
finalità rispondenti al pubblico interesse di sospendere determinate
attività nelle presenti condizioni di emergenza;
RITENUTO che il presente provvedimento, applicando un principio di
precauzione, si pone come scopo quello di incidere su tutti gli aspetti
sopra ricordati e non è in contrasto con le misure statali e regionali
adottate per fronteggiare l'emergenza da Covid-19, anzi è conseguenza delle
situazioni generate dalle prescrizioni e limitazioni imposte;
VISTI gli artt. 50 e 54, comma 4, del Decreto Legislativo
18.08.2000 n. 267;
RAVVISATA, pertanto, la necessità di provvedere nell'adozione di un
provvedimento atto a prevenire che si determino situazioni pregiudizievoli
per la comunità amministrata;
RITENUTO che ricorrano, pertanto, i presupposti per l'adozione di
un'ordinanza al fine di prevenire e di eliminare tali inconvenienti…;”.
Sulla base di tali presupposti viene ordinato che, sino al 31.07.2021, non
possano essere iniziate attività e/o cantierizzate opere e interventi volti
ad ottenere -anche nella forma del silenzio significativo- titoli
abilitativi (autorizzazioni, permessi, nulla osta, autocertificazioni) per
la realizzazione e/o l'ampliamento/potenziamento di qualsiasi tipologia di
intervento di modifica di impianti di telefonia mobile o radio base sul
territorio comunale. Viene, inoltre, ordinato che, sino alla data indicata,
non possano essere presentate al Comune di Diamante nuove richieste,
comunicazioni, domande volte ad ottenere -anche nella forma del silenzio
significativo- titoli abilitativi (autorizzazioni, permessi, nulla osta)
volti alla realizzazione e/o all'ampliamento /potenziamento ed adeguamento
e/o qualsiasi tipologia di intervento di manutenzione straordinaria, di
impianti di telefonia mobile o radio base sul territorio comunale.
In relazione a tale provvedimento risultano fondate le censure dedotte da
parte ricorrente, volte ad evidenziare l’insussistenza dei presupposti per
l’emissione di ordinanze urgenti e contingibili.
In proposito, va rilevato che, come esposto dalla ricorrente, l’ordinanza n.
383/2021 reitera, nella motivazione e negli effetti, un precedente
provvedimento del Comune di Diamante, annullato da questo Tribunale con la
sentenza n. 1095/2021.
Ci si riferisce, in particolare, all’ordinanza 43 del 19.01.2021, che
reiterava altra precedente ordinanza, che poneva analoghi ordini e divieti
sino alla data del 30.04.2021.
Devono quindi ribadirsi le considerazioni già effettuate dalla Sezione con
la succitata sentenza, ossia che l’ordinanza n. 383/2021, come l’ordinanza
n. 43/2021, risulta emanata in assenza dei presupposti del potere extra ordinem e, dunque, in violazione degli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000.
Essa inibisce le iniziative volte a ottenere titoli per l’istallazione o la
modifica d’impianti di telefonia mobile per fronteggiare il pericolo che si
formino silenzi abilitanti su pratiche di particolare interesse e rilievo
per la collettività in un periodo –quello dell’emergenza da Covid-19– ove
gli uffici, impegnati a presidiare il territorio dall’epidemia, non
funzionano a regime ordinario. È evidente, dunque, che la misura non è stata
adottata per proteggere la collettività da pericoli legati alla salute o
all’incolumità pubblica, ma per sopperire a un malfunzionamento degli
uffici.
Con l’ordinanza, inoltre, si è creato un effetto espressamente disvoluto dal
legislatore nazionale che, come evidenziato anche dalla società ricorrente,
proprio nella gestione dell’emergenza sanitaria e in considerazione della
crescita dei consumi di servizi di comunicazione elettronica, all’art. 82
d.l. 18/2020 ha prescritto agli operatori di intraprendere ogni iniziativa
utile a «potenziare le infrastrutture e garantire il funzionamento delle
reti, l’operatività e la continuità dei servizi», tra l’altro derogando, per
i relativi procedimenti, alla generalizzata sospensione dei termini prevista
dal successivo art. 103 (cfr. art. 103, comma 3, d.l. 18/2020)» (TAR
Catanzaro, Sez. II, 26.05.2021, n. 1095).
L’ordinanza sindacale è, pertanto, illegittima e deve essere annullata.
8. Conseguono a quanto sopra l’illegittimità e l’annullamento del
provvedimento del Responsabile del Settore Terzo (Urbanistica, Demanio,
Cosap, Suap/Sue, Commercio) del Comune di Diamante, che, come detto, ha
quale unico presupposto l’ordinanza n. 383/2021.
Restano assorbite le censure non esaminate
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 03.08.2021 n. 1588 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’imputazione
giuridica allo Stato degli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal Sindaco ha
natura meramente formale, in quanto quest’ultimo, pur agendo nella veste di
ufficiale di Governo, resta incardinato nel complesso organizzativo
dell’ente locale, con la conseguente imputabilità dell’atto al Comune e non
dello Stato, al pari della conseguente responsabilità.
---------------
Le ordinanze sindacali contingibili e urgenti quivi avversate
hanno valenza generale e sono state applicate nei confronti della società
ricorrente con il diniego di S.C.I.A., perciò è con l’emanazione di quest’ultimo
atto che hanno manifestato la loro lesività, determinando l’insorgenza
dell’interesse alla loro impugnazione.
Nei medesimi termini si è già
espresso questo Tribunale, rilevando che «le ordinanze contingibili e
urgenti che il responsabile del procedimento ha applicato con i propri
provvedimenti ... hanno chiaramente natura generale, e dunque, sono da
impugnarsi con l’atto applicativo, dalla cui comunicazione decorrono i
termini perentori per la proposizione del gravame, che radica l’effetto
lesivo».
---------------
Le ordinanze contingibili e urgenti, in quanto espressive di un potere
amministrativo extra ordinem idoneo a derogare a norme di legge, vanno
circoscritte a casi eccezionali e imprevedibili, individuati per mezzo di
un’approfondita istruttoria, per i quali il legislatore non può configurare
poteri d’intervento tipici, mentre deve ritenersi esclusa la possibilità di
ricorrere a tale strumento quando non vi sia un pregiudizio attuale ed
effettivo, dotato del carattere di eccezionalità tale da rendere
indispensabile interventi immediati ed indilazionabili.
---------------
Il pericolo alla salute pubblica derivante dall’utilizzo della tecnologia 5G
è solamente ipotetico, poiché scientificamente indimostrato, sicché non può essere addotto a
giustificazione del potere extra ordinem.
Nello specifico, l’art. 50,
comma 5, d.lgs. 267/2000, in forza del quale l’ordinanza è stata emessa,
circoscrive il potere del Sindaco d’intervenire in via contingibile e
urgente al verificarsi di «emergenze sanitarie o di igiene pubblica a
carattere esclusivamente locale».
Perciò «deve ritenersi esclusa la
possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia urgenza di
provvedere o un pregiudizio in atto (come quello ipotizzato nel caso di
specie, atteso che il pericolo derivante dalla diffusione della nuova
Tecnologia 5g appare, allo stato, non effettivo e scientificamente non
accertato) o, comunque, si tratti di compiere valutazioni aventi una portata
non localizzata al solo territorio comunale».
Inoltre, per giurisprudenza costante, la materia della tutela sanitaria e
ambientale dall’esposizione ai campi elettromagnetici, magnetici e
elettromagnetici, essendo riservata alla competenza esclusiva dello Stato, non si presta a essere regolata
mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente e, al contempo, «la valutazione
sui rischi connessi a tale esposizione è di esclusiva pertinenza dell’A.R.P.A.,
organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione della
struttura e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti
normativamente dallo Stato».
Tali approdi giurisprudenziali sono stati recepiti dallo stesso legislatore
con l’art. 38 d.l. 76/2020 che, modificando l’art. 8, comma 6, l. 36/2001,
ha espressamente vietato ai Comuni «di incidere, anche in via indiretta o
mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e
sugli obiettivi di qualità, riservati allo stato ai sensi dell’articolo 4».
La norma, benché introdotta dopo l’emanazione dell’ordinanza n. 282/2020,
esprime comunque un principio già operante e costantemente applicato dalla
giurisprudenza.
---------------
Le ordinanze risultano emanate in assenza
dei presupposti del potere extra ordinem e, dunque, in violazione degli artt.
50 e 54 d.lgs. 267/2000.
Esse inibiscono le iniziative volte a ottenere
titoli per l’istallazione o la modifica d’impianti di telefonia mobile per
fronteggiare il pericolo che si formino silenzi abilitanti su pratiche di
particolare interesse e rilievo per la collettività in un periodo –quello
dell’emergenza da Covid-19– ove gli uffici, impegnati a presidiare il
territorio dall’epidemia, non funzionano a regime ordinario.
È evidente,
dunque, che la misura non è stata adottata per proteggere la collettività da
pericoli legati alla salute o all’incolumità pubblica, ma per sopperire a un
malfunzionamento degli uffici.
Con siffatte ordinanze, inoltre, si è creato
un effetto espressamente disvoluto dal legislatore nazionale che, proprio
nella gestione dell’emergenza sanitaria e in considerazione della crescita
dei consumi di servizi di comunicazione elettronica, all’art. 82 d.l.
18/2020 ha prescritto agli operatori di intraprendere ogni iniziativa utile
a «potenziare le infrastrutture e garantire il funzionamento delle reti,
l’operatività e la continuità dei servizi», tra l’altro derogando, per i
relativi procedimenti, alla generalizzata sospensione dei termini prevista
dal successivo art. 103 (cfr. art. 103, comma 3, d.l. 18/2020).
---------------
... per l’annullamento
- del provvedimento del Responsabile del Settore Terzo
(Urbanistica, Demanio, Cosap, Suap/Sue, Commercio) del Comune di Diamante n.
74 del 16.12.2020, con cui è stato espresso diniego rispetto alla S.C.I.A. presentata il 13.11.2020 dalla Wind Tre s.p.a. ai sensi
dell’art. 87-bis d.lgs. 259/2003 per la riconfigurazione di un preesistente
impianto di telefonia mobile denominato CS135 “Cirella”;
- di tutti gli atti ad esso preordinati, connessi e/o
conseguenziali, tra cui l’ordinanza sindacale n. 282 del 22.05.2020 e
l’ordinanza sindacale n. 43 del 19.01.2021, che reitera le disposizioni
dell’ordinanza n. 873 del 26.10.2020;
...
1. Wind Tre s.p.a., assegnataria di diritti d’uso per frequenze 5G, in data
13.11.2020 ha presentato una S.C.I.A., ai sensi dell’art. 87-bis d.lgs. 259/2003, per adeguare all’uso di tale tecnologia un impianto nel
Comune di Diamante, località Campo Cirella. Nonostante il rilascio, da parte
dell’A.R.P.A., del parere favorevole all’intervento, il Comune di Diamante,
previa comunicazione di motivi ostativi, ha emesso il provvedimento n. 74
del 16.12.2020 di “diniego definitivo” della S.C.I.A., poggiante sulle
seguenti ordinanze contingibili e urgenti emesse dal Sindaco:
(i) l’ordinanza n. 282 del 22.05.2020, adottata in forza dell’art. 50,
comma 5, d.lgs. 267/2000, contenente il divieto di sperimentazione della
nuova tecnologia 5G sul territorio comunale;
(ii) l’ordinanza n. 873 del 26.10.2020, adottata ai sensi degli artt.
50 e 54 d.lgs. 267/2000, che ha sospeso tutti gli interventi volti a
ottenere titoli abilitativi per l’istallazione o la modifica d’impianti di
telefonia mobile sino al 31.01.2021 (la sospensione è stata poi
prorogata sino al 31.04.2021 con ordinanza n. 43 del 19.01.2021).
...
6. Preliminarmente deve essere accolta l’eccezione di difetto di
legittimazione passiva sollevata dal Ministero, evocato in giudizio in
relazione alle ordinanze nn. 873/2020 e 43/2021, emesse anche ai sensi
dell’art. 54 d.lgs. 267/2000.
Si ritiene infatti preferibile la tesi, cui
questo Tribunale aderisce, per cui l’imputazione giuridica allo Stato degli
effetti delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal Sindaco ha
natura meramente formale, in quanto quest’ultimo, pur agendo nella veste di
ufficiale di Governo, resta incardinato nel complesso organizzativo
dell’ente locale, con la conseguente imputabilità dell’atto al Comune e non
dello Stato, al pari della conseguente responsabilità (cfr. ex plurimis,
TAR Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020, n. 1670; Cons. Stato, Sez. II, 01.07.2020, n. 4193; Id., Sez. IV, 29.04.2014, n. 2221; Id., Sez. V, 13.07.2010, n. 4529; Id., 13.08.2007, n. 4448).
7. Deve essere disattesa, invece, l’eccezione d’inammissibilità formulata
dal Comune di Diamante.
Le ordinanze contingibili e urgenti quivi avversate
hanno valenza generale e sono state applicate nei confronti della società
ricorrente con il diniego di S.C.I.A., perciò è con l’emanazione di quest’ultimo
atto che hanno manifestato la loro lesività, determinando l’insorgenza
dell’interesse alla loro impugnazione.
Nei medesimi termini si è già
espresso questo Tribunale, rilevando che «le ordinanze contingibili e
urgenti che il responsabile del procedimento ha applicato con i propri
provvedimenti ... hanno chiaramente natura generale, e dunque, sono da
impugnarsi con l’atto applicativo, dalla cui comunicazione decorrono i
termini perentori per la proposizione del gravame, che radica l’effetto
lesivo (TAR Calabria, Sez. Reggio Calabria, sent. 357/2013)» (TAR
Catanzaro, Sez. I, 15.04.2016, n. 792).
8. Nel merito, la domanda di annullamento è fondata, riscontrandosi i
profili d’illegittimità contestati rispetto alle ordinanze sindacali ed
essendo di conseguenza illegittimo, per invalidità derivata, anche il
diniego di S.C.I.A.
8.1. Le ordinanze contingibili e urgenti, in quanto espressive di un potere
amministrativo extra ordinem idoneo a derogare a norme di legge, vanno
circoscritte a casi eccezionali e imprevedibili, individuati per mezzo di
un’approfondita istruttoria, per i quali il legislatore non può configurare
poteri d’intervento tipici, mentre deve ritenersi esclusa la possibilità di
ricorrere a tale strumento quando non vi sia un pregiudizio attuale ed
effettivo, dotato del carattere di eccezionalità tale da rendere
indispensabile interventi immediati ed indilazionabili (ex multis, TAR
Milano, Sez. IV, 09.12.2020, n. 2463; TAR Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020, n. 1670; TAR Napoli, Sez. V,
01.06.2020, n. 2087; TAR
Cagliari, Sez. I, 04.05.2018, n. 406; Cons. Stato, Sez. V, 05.06.2017,
n. 2676; Id., 20.02.2012, n. 904).
Ebbene detti presupposti risultano insussistenti nel caso di specie.
8.2. Quanto all’ordinanza n. 282/2020, il pericolo alla salute pubblica
derivante dall’utilizzo della tecnologia 5G è solamente ipotetico, poiché
scientificamente indimostrato, sicché non può essere addotto a
giustificazione del potere extra ordinem (in senso analogo, TAR
Catanzaro, Sez. I, 23.10.2020, n. 1670).
Nello specifico, l’art. 50,
comma 5, d.lgs. 267/2000, in forza del quale l’ordinanza è stata emessa,
circoscrive il potere del Sindaco d’intervenire in via contingibile e
urgente al verificarsi di «emergenze sanitarie o di igiene pubblica a
carattere esclusivamente locale».
Perciò «deve ritenersi esclusa la
possibilità di ricorrere a tale strumento quando non vi sia urgenza di
provvedere o un pregiudizio in atto (come quello ipotizzato nel caso di
specie, atteso che il pericolo derivante dalla diffusione della nuova
Tecnologia 5g appare, allo stato, non effettivo e scientificamente non
accertato) o, comunque, si tratti di compiere valutazioni aventi una portata
non localizzata al solo territorio comunale» (da ultimo, TAR L’Aquila, Sez. I, 26.04.2021, n. 237; Id., 14.01.2021, n. 8).
Inoltre, per giurisprudenza costante, la materia della tutela sanitaria e
ambientale dall’esposizione ai campi elettromagnetici, magnetici e
elettromagnetici, essendo riservata alla competenza esclusiva dello Stato
(Corte Cost., 07.07.2003, n. 307), non si presta a essere regolata
mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente (ex multis, TAR
L’Aquila, Sez. I, 26.04.2021, n. 237; TAR Catania, Sez. I, 07.07.2020, n. 1641; Id., 22.05.2020, n. 1126) e, al contempo, «la valutazione
sui rischi connessi a tale esposizione è di esclusiva pertinenza dell’A.R.P.A.,
organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione della
struttura e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti
normativamente dallo Stato» (TAR L’Aquila, Sez. I, 26.04.2021, n.
237; TAR Catania, Sez. I, 30.03.2020, n. 236; Id., 26.11.2019,
n. 2858).
Tali approdi giurisprudenziali sono stati recepiti dallo stesso legislatore
con l’art. 38 d.l. 76/2020 che, modificando l’art. 8, comma 6, l. 36/2001,
ha espressamente vietato ai Comuni «di incidere, anche in via indiretta o
mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e
sugli obiettivi di qualità, riservati allo stato ai sensi dell’articolo 4».
La norma, benché introdotta dopo l’emanazione dell’ordinanza n. 282/2020,
esprime comunque un principio già operante e costantemente applicato dalla
giurisprudenza.
8.3. Anche le ordinanze nn. 873/2020 e 43/2021 risultano emanate in assenza
dei presupposti del potere extra ordinem e, dunque, in violazione degli artt.
50 e 54 d.lgs. 267/2000.
Esse inibiscono le iniziative volte a ottenere
titoli per l’istallazione o la modifica d’impianti di telefonia mobile per
fronteggiare il pericolo che si formino silenzi abilitanti su pratiche di
particolare interesse e rilievo per la collettività in un periodo –quello
dell’emergenza da Covid-19– ove gli uffici, impegnati a presidiare il
territorio dall’epidemia, non funzionano a regime ordinario. È evidente,
dunque, che la misura non è stata adottata per proteggere la collettività da
pericoli legati alla salute o all’incolumità pubblica, ma per sopperire a un
malfunzionamento degli uffici.
Con siffatte ordinanze, inoltre, si è creato
un effetto espressamente disvoluto dal legislatore nazionale che, proprio
nella gestione dell’emergenza sanitaria e in considerazione della crescita
dei consumi di servizi di comunicazione elettronica, all’art. 82 d.l.
18/2020 ha prescritto agli operatori di intraprendere ogni iniziativa utile
a «potenziare le infrastrutture e garantire il funzionamento delle reti,
l’operatività e la continuità dei servizi», tra l’altro derogando, per i
relativi procedimenti, alla generalizzata sospensione dei termini prevista
dal successivo art. 103 (cfr. art. 103, comma 3, d.l. 18/2020)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 26.05.2021 n. 1095 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: In
linea di principio “la valutazione sui rischi connessi all’esposizione
derivante dagli impianti di telecomunicazioni è di esclusiva pertinenza
dell’A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione
della struttura” e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti normativamente dallo Stato.
Va ribadito, inoltre, che la materia in esame non si presta a essere
regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente.
L’elaborazione giurisprudenziale seguita dal Collegio è stata, per altro,
ormai “certificata” dal d.l. 16.07.2020, n. 76, che al comma 6 dell’art. 38
espressamente stabilisce:
“6. All’articolo 8, della legge 22.02.2001, n. 36, il comma 6 è sostituito
dal seguente:
“6. I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il
corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con
riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione
della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree
generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di
comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di
incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e
urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità,
riservati allo Stato ai sensi dell’articolo 4”.
La disposizione, recependo evidentemente la giurisprudenza consolidata,
sancisce, per un verso, l’illegittimità di un divieto generalizzato alla
installazione degli impianti del genere in esame, per un altro,
l’impossibilità di adottare ordinanze contingibili e urgenti in una materia
la cui competenza è riservata allo Stato.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
a) dell'ordinanza contingibile e urgente n. 133 del 27.04.2020
(notificata ai gestori con nota prot. c_f158/COM_ME GE/2020/0098937 del
29.04.2020), con la quale il Sindaco del Comune di Messina, in applicazione
del principio di precauzione, ha posto a chiunque il divieto di
sperimentare, installare e diffondere sul territorio del Comune di Messina
impianti con tecnologia 5G, in attesa di dati scientifici più aggiornati,
fra i quali la nuova classificazione della cancerogenesi delle
radiofrequenze 5G annunciata dall'International Agency for Research on
Cancer e prendendo in riferimento dati scientifici più aggiornati e già
disponibili sugli effetti delle radiofrequenze, che evidenziano l'estrema
pericolosità per la salute dell'uomo;
...
Con il ricorso in esame, parte ricorrente, dopo aver premesso che, a seguito
della conclusione della procedura ad evidenza pubblica per l’assegnazione
dei diritti di uso delle frequenze per il 5G, è risultata aggiudicataria di
un lotto in banda 26 GHz e di un lotto generico di 20 MHz, ha impugnato
l'ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 133 del 27.04.2020 del
sindaco del Comune di Messina avente ad oggetto: “Divieto di
sperimentazione e/o installazione del 5g”.
Questo Tribunale con la recente ordinanza n. 549 del 22.07.2020 si è
pronunciato sul tema, sospendendo gli effetti dell’ordinanza qui impugnata.
Come già osservato nella citata ordinanza cautelare di questo TAR, a cui si
rinvia integralmente, “Dopo articolata motivazione, il suddetto
provvedimento, <in applicazione del principio di precauzione sancito e
riconosciuto dall’Unione Europea>, ha ordinato il divieto a <chiunque di
sperimentare, installare e diffondere sul territorio del Comune di Messina
impianti con tecnologia 5G in attesa di dati scientifici più aggiornati fra
i quali la nuova classificazione della cancerogenesi delle radiofrequenze 5G
annunciata dall’International Agency for Research on Cancer e prendendo in
riferimento i dati scientifici più aggiornati e già disponibili sugli
effetti delle radiofrequenze, che evidenziano l’estrema pericolosità per la
salute dell’uomo>.
Ciò posto, a un primo esame, tipico della fase cautelare, va premesso che in
linea di principio “la valutazione sui rischi connessi all’esposizione
derivante dagli impianti di telecomunicazioni è di esclusiva pertinenza
dell’A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione
della struttura” (cfr. TAR Catania, I, 26/11/2019, n. 2858; Ord., I,
30.03.2020, n. 236) e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti
normativamente dallo Stato, impegno, quest’ultimo, che sembra emergere nel
parere riportato nell’ordinanza impugnata.
Va ribadito, inoltre, quanto di recente riaffermato da questa Sezione,
laddove è stato chiarito che la materia in esame non si presta a essere
regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente (cfr. TAR
Catania, I, 22.05.2020, n. 1126; I. 07.07.2020, n. 1641 e Giurisprudenza ivi
citata).
L’elaborazione giurisprudenziale seguita dal Collegio è stata, per altro,
ormai “certificata” dal d.l. 16.07.2020, n. 76, che al comma 6 dell’art. 38
espressamente stabilisce:
“6. All’articolo 8, della legge 22.02.2001, n. 36, il comma 6 è sostituito
dal seguente:
“6. I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il
corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con
riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione
della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree
generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di
comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di
incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e
urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità,
riservati allo Stato ai sensi dell’articolo 4”.
La disposizione, recependo evidentemente la giurisprudenza consolidata,
sancisce, per un verso, l’illegittimità di un divieto generalizzato alla
installazione degli impianti del genere in esame, per un altro,
l’impossibilità di adottare ordinanze contingibili e urgenti in una materia
la cui competenza è riservata allo Stato.
Tanto chiarito, non appare misurata l’eccezione del Comune circa
l’inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione dell’apposito
regolamento comunale da parte della ricorrente, posto che lo stesso è volto
alla regolamentazione dell’allocazione delle strutture nel territorio, senza
impedirle (e non avrebbe potuto) in maniera assoluta, così come invece
statuito dall’ordinanza impugnata.
Il periculum in mora rappresentato da parte ricorrente appare evidente e ciò
in ragione della natura del servizio di pubblica utilità esercitato, il cui
potenziamento è stato peraltro oggetto di recenti misure straordinarie ai
sensi dell’art. 82 del d.l. n. 18/2020 (Decreto Cura Italia) e di
segnalazione dell’AGCOM dell’01.07.2020, con la quale è stata rappresentata
la necessità di rimuovere gli ostacoli procedimentali provenienti dagli enti
locali rispetto alla diffusione del servizio in questione.”
Conclusivamente, alla luce dei principi già recentemente espressi da questa
Sezione, sussistono i presupposti per concedere l’invocata tutela cautelare
e, conseguentemente, per la sospensione dei provvedimenti impugnati con il
ricorso in epigrafe
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
ordinanza 27.07.2020 n. 566 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittima l'ordinanza sindacale contingibile e urgente con cui è stata
ordinata: “la
sospensione della sperimentazione del 5G sul territorio comunale
in attesa in attesa della nuova classificazione della cancerogenesi
annunciata dall’International Agency for Research on Cancer, applicando il
principio precauzionale sancito dall’Unione Europea pendendo in riferimento
i dati scientifici più aggiornati indipendenti da legami con l’industria e
già disponibili sugli effetti delle radiofrequenze, estremamente pericolose
per l’uomo”.
Invero:
- è fondata la censura circa "l'insussistenza dei presupposti
definiti dall’art. 54, co. 4, TUEL; non si potrebbero invocare ipotetici
rischi per la salute umana, al fine di ritenere sussistente un attuale,
concreto, ed imminente pericolo connesso alla diffusione della nuova
tecnologia" laddove, per giurisprudenza costante, è illegittima l’ordinanza
adottata ex art. 54 d.lgs. 267/2000 per bloccare l’istallazione, o l’adeguamento
tecnologico, degli impianti di telefonia mobile; e ciò sia perché “Le
proteste, pur reiterate, da parte dei cittadini finalizzate al blocco dei
lavori propedeutici all'installazione di infrastrutture per il servizio di
telefonia mobile all'interno del territorio comunale non integrano quel
"pericolo per l'ordine pubblico" di cui all'art. 54 del D.Lgs n. 267/2000”,
sia perché “i compiti
di tutela della salute non afferiscono alla sfera comunale e che le opere
riguardanti la telefonia mobile hanno natura urgente ed indifferibile e sono
assimilabili ope legis alle opere di urbanizzazione primaria”.
Sia, ancora, perché -come univocamente
affermato dalla consolidata giurisprudenza- le ordinanze contingibili e
urgenti di competenza del Sindaco quale ufficiale del Governo costituiscono
strumenti apprestati dall'ordinamento per fronteggiare situazioni impreviste
e di carattere eccezionale, per le quali sia impossibile o inefficace
l'impiego dei rimedi ordinari, e si presentano quindi quali mezzi di
carattere residuale, espressione di norme di chiusura del sistema, i cui
tratti distintivi sono costituiti dall'atipicità, dalla valenza derogatoria
rispetto agli strumenti ordinari, dalla particolare qualificazione sia della
minaccia, sia del pericolo.
Tutti presupposti che, nel caso di specie, non
sussistono, dal momento che la materia è compiutamente disciplinata dal D.Lgs. n. 259/2003, il quale demanda alle Agenzie Regionali per la
Protezione dell’Ambiente (ARPA) le valutazioni di tipo radioprotezionistico
per l’accertamento dell’osservanza dei “valori soglia” definiti, a
tutela della salute collettiva, dalla L. 36/2001 e dal DPCM 08.07.2003;
- è fondata anche la censura circa la "violazione della legge sul
procedimento amministrativo di cui alla L. 241/1990 che impongono che ogni procedimento debba essere istruito e
concluso nei termini di legge e non possa essere disposta una sospensione a
tempo indeterminato e comunque sine die" atteso che, per
giurisprudenza costante e come stabilito anche dall’art. 21-ter l. n.
241/1990, è illegittima una sospensione sine die (tra le tante, con
riferimento proprio alla formazione dei titoli abilitativi alla
realizzazione degli impianti di telefonia mobile.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione degli effetti:
a) dell’ordinanza contingibile e urgente n. 20 del 20.04.2020,
adottata dal Sindaco del Comune di Carinola -conosciuta all’indomani della
nota dirigenziale prot. 3973 del 21.04.2020- con cui è stata ordinata: “la
sospensione della sperimentazione del 5G sul territorio comunale di Carinola
in attesa in attesa della nuova classificazione della cancerogenesi
annunciata dall’International Agency for Research on Cancer, applicando il
principio precauzionale sancito dall’Unione Europea pendendo in riferimento
i dati scientifici più aggiornati indipendenti da legami con l’industria e
già disponibili sugli effetti delle radiofrequenze, estremamente pericolose
per l’uomo”;
b) di ogni altro atto ad essa presupposto, connesso e/o
consequenziale, ivi inclusa la nota prot. 3973 del 21.04.2020, con la quale
il Responsabile del Settore Urbanistico, in attuazione della richiamata
ordinanza sindacale n. 20/2020, ha comunicato che la SCIA presentata il
18.03.2020, da Wind Tre congiuntamente ad Iliad, per l’adeguamento
tecnologico del preesistente impianto, è sospesa;
...
RILEVATO che la parte ricorrente premetteva di essere titolare di licenza
individuale per il servizio radiomobile pubblico di comunicazione sul
territorio italiano per le tecnologie GSM (2G), UMTS (G3) e LTE (G4);
- di aver assunto un obbligo, sanzionato addirittura con la revoca della
licenza, di assicurare non solo un adeguato livello di qualità del proprio
servizio, ma anche la progressiva copertura del territorio nazionale con il
segnale 5G, per il che risultava ovviamente necessaria la realizzazione di
una relativa rete infrastrutturale;
- di aver appreso, attraverso la nota comunale prot. 3973 del 21.04.2020,
che il Sindaco del Comune di Carinola aveva adottato l’ordinanza
contingibile ed urgente n. 20 del 20.04.2020, con la quale, in supposta
applicazione del principio comunitario di precauzione, era stato imposto a
chiunque il divieto di sperimentare e diffondere sul territorio comunale
impianti con nuova tecnologia 5G;
- che l’ordinanza sindacale, ex art. 54 TUEL, era stata poi assunta a
presupposto applicativo del citato provvedimento del 21 aprile, con il quale
il Responsabile comunale aveva sospeso la SCIA del 18.03.2020, presentata il
23.03.2020 ex art. 87-bis D.lgs. n. 259/2003, dalla Wind Tre, congiuntamente
con il nuovo operatore di tlc Iliad, rispettivamente per:
a) un cd. upgrade, ossia una modifica della riconfigurazione
radioelettrica dell’impianto WIND TRE esistente da tempo, quest’ultimo
legittimamente realizzato su porzione di terreno in Via Santa Barbara snc,
in NCT riportata al fg. 69 p.lla 61 (che non ricadeva in zona vincolata ed
era individuata dal PRG come agricola, sottozona E2.1);
b) il posizionamento di numero 3 nuove antenne e parabole, anche
finalizzate all’erogazione della nuova tecnologia 5G (quanto alla sola Iliad);
- che, per gli interventi in questione, di cui quello Wind Tre consisteva in
una semplice riconfigurazione radioelettrica, era stata presentata tutta la
documentazione prescritta dalla normativa, anche regionale, finalizzata alla
favorevole valutazione di ARPA Puglia (rectius, Campania), effettuata nella
piena osservanza, delle ultime indicazioni fornite dal Sistema Nazionale per
la Protezione dell’Ambiente che, con delibere SNPA n. 59/2019 e 69/2020,
aveva definito criteri omogenei per il controllo dell’impatto
elettromagnetico generato da antenne MIMO, tipicamente utilizzate nella
tecnologia 5G;
- che, considerata infatti l’incidenza delle altre fonti di emissione
presenti nel raggio di 300 mt., l’intervento progettato produrrebbe valori
di campo elettromagnetico rispettosi dei limiti di esposizione, dei valori
di attenzione e degli obiettivi di qualità fissati dal DPCM 08.07.2003;
- che pertanto la parte ricorrente impugnava tali provvedimenti, ritenendoli
illegittimi per i seguenti motivi:
1.a) la nota dirigenziale del 21.04.2020 con cui il responsabile del
Settore Urbanistico aveva sospeso la SCIA presentata il 23.03.2020 sarebbe
viziata, oltre che per illegittimità derivata da quella dell’ordinanza
sindacale, anche da gravi illegittimità proprie, e precisamente: violazione
dell’art. 10-bis L. 241/1990, in combinato disposto con l’art. 87-bis ed in
generale delle disposizioni del CCE che, in attuazione delle Direttive
Europee, hanno conformato il procedimento ai principi di celerità,
semplificazione e non aggravamento;
1.b) violazione della legge sul procedimento amministrativo di cui
alla L. 241/1990 che impongono che ogni procedimento debba essere istruito e
concluso nei termini di legge e non possa essere disposta una sospensione a
tempo indeterminato e comunque sine die;
1.c) travisamento dei presupposti in fatto per non avere il
Dirigente verificato che l’intervento di Wind Tre non avrebbe comportato
l’inserimento di tecnologie 5G;
1.d) violazione dell’obbligo di disapplicare l’illegittima ovvero
nulla ordinanza sindacale presupposta;
2) la nota dirigenziale gravata (e in via consequenziale anche la
presupposta ordinanza sindacale) sarebbe illegittima perché avrebbe inteso
inibire quella costituente, in definitiva, un’attività di manutenzione
dell’impianto già esistente e ciò sino all’acquisizione di aggiornamenti
inerenti la sicurezza e la salubrità delle esposizioni elettromagnetiche;
3.1) l’ordinanza sindacale n. 20/2020, posta a fondamento del provvedimento
dirigenziale di sospensione della SCIA, sarebbe illegittima per
insussistenza dei presupposti definiti dall’art. 54, co. 4, TUEL; non si
potrebbero invocare ipotetici rischi per la salute umana, al fine di
ritenere sussistente un attuale, concreto, ed imminente pericolo connesso
alla diffusione della nuova tecnologia;
3.2) l’istruttoria, che avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza dei
presupposti di esercizio dei poteri “contingibili ed urgenti”,
darebbe solo atto di una situazione di eventuale rischio, che non
legittimerebbe i poteri extra ordinem del Sindaco;
3.3) non vi sarebbe alcun pericolo per l’incolumità pubblica che non possa
essere adeguatamente fronteggiato con gli strumenti ordinari;
3.4) travisamento dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti
l’adozione dell’ordinanza, non risultando in alcun modo indicato in che modo
tali impianti sarebbero idonei a ledere la pubblica incolumità ed a
connotare il requisito dell’“urgenza” a provvedere;
3.5) la Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non
Ionizzanti (ICNIRP) avrebbe definito, per tutto l’intervallo di frequenze
già citato fino a 300 GHz, Linee Guida per limitare l’esposizione e
assicurare la protezione della popolazione;
4.1) l’ordinanza gravata sarebbe illegittima nella misura in cui pone un
ordine di sospensione esteso ad ogni attività riconducibile alla tecnologia
5G, senza un termine prestabilito di durata; solo lo Stato avrebbe il potere
di valutare tali contributi, nel “governo” del principio di
precauzione, per poi eventualmente “rimodulare” le misure cautelari
connesse all’elettromagnetismo;
5.1) eccesso di potere, atteso che i provvedimenti impugnati sarebbero
palesemente finalizzati ad impedire la realizzazione della rete di pubblica
utilità di ultima generazione;
6.1) il Sindaco, imponendo una moratoria per la diffusione della tecnologia
5G, avrebbe violato la normativa comunitaria e, in particolare, il Piano di
Azione per il 5G della Commissione Europea (c.d. Action Plan) di cui alla
Comunicazione del 14.09.2016 COM(2016)588, finalizzato al raggiungimento di
obiettivi comuni per lo sviluppo delle reti 5G e dei relativi servizi;
...
CONSIDERATO che il ricorso è manifestamente fondato;
- che, infatti, è fondata la censura 3.1); per giurisprudenza
costante, anche di questa Sezione, è illegittima l’ordinanza adottata ex
art. 54 d.lgs. 267/2000 per bloccare l’istallazione, o l’adeguamento
tecnologico, degli impianti di telefonia mobile; e ciò sia perché “Le
proteste, pur reiterate, da parte dei cittadini finalizzate al blocco dei
lavori propedeutici all'installazione di infrastrutture per il servizio di
telefonia mobile all'interno del territorio comunale non integrano quel
"pericolo per l'ordine pubblico" di cui all'art. 54 del D.Lgs n. 267/2000”
(così Tar Campania, Salerno, Sez. II, n. 654/2018), sia perché “i compiti
di tutela della salute non afferiscono alla sfera comunale e che le opere
riguardanti la telefonia mobile hanno natura urgente ed indifferibile e sono
assimilabili ope legis alle opere di urbanizzazione primaria” (Tar
Piemonte, Sez. I, n. 1700/2015); sia, ancora, perché -come univocamente
affermato dalla consolidata giurisprudenza- le ordinanze contingibili e
urgenti di competenza del Sindaco quale ufficiale del Governo costituiscono
strumenti apprestati dall'ordinamento per fronteggiare situazioni impreviste
e di carattere eccezionale, per le quali sia impossibile o inefficace
l'impiego dei rimedi ordinari, e si presentano quindi quali mezzi di
carattere residuale, espressione di norme di chiusura del sistema, i cui
tratti distintivi sono costituiti dall'atipicità, dalla valenza derogatoria
rispetto agli strumenti ordinari, dalla particolare qualificazione sia della
minaccia, sia del pericolo; tutti presupposti che, nel caso di specie, non
sussistono, dal momento che la materia è compiutamente disciplinata dal
D.Lgs. n. 259/2003, il quale demanda alle Agenzie Regionali per la
Protezione dell’Ambiente (ARPA) le valutazioni di tipo radioprotezionistico
per l’accertamento dell’osservanza dei “valori soglia” definiti, a
tutela della salute collettiva, dalla L. 36/2001 e dal DPCM 08.07.2003;
- che è fondata anche la censura sub 1.b), atteso che, per
giurisprudenza costante e come stabilito anche dall’art. 21-ter l. n.
241/1990, è illegittima una sospensione sine die (tra le tante, con
riferimento proprio alla formazione dei titoli abilitativi alla
realizzazione degli impianti di telefonia mobile, Tar Campania, Napoli, Sez.
VII, n. 1090/2020);
- che, in conclusione, il ricorso va accolto quanto alla domanda di
annullamento, ben potendo essere assorbite le restanti censure
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 24.07.2020 n. 3324 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – 5G – Ordinanza sindacale
contingibile e urgente – Divieto generalizzato di
installazione degli impianti – Illegittimità – Art. 8, c. 6,
l. n. 36/2001, come modificato dall’art. 38, c. 6, d.l. n.
76/2020 – Misure straordinarie di potenziamento previste dal
d.l. Cura Italia – Rimozione degli ostacoli procedimentali
provenienti dagli enti locali.
La materia dell’esposizione derivante
dagli impianti di telecomunicazione (nella specie, 5G), di
esclusiva pertinenza dell’ARPA, organo deputato al rilascio
del parere prima dell’attivazione della struttura e al
monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti
normativamente dallo Stato, non si presta ad essere regolata
mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente.
L’art. 8, c. 6, della l. n. 36/2001, come modificato
dall’art. 38, c. 6, d.l. n. 76/2020, sancisce, per un verso,
l’illegittimità di un divieto generalizzato alla
installazione degli impianti del genere in esame, per un
altro, l’impossibilità di adottare ordinanze contingibili e
urgenti in una materia la cui competenza è riservata allo
Stato.
Si tratta, peraltro, di un servizio di pubblica utilità, il
cui potenziamento è stato oggetto di recenti misure
straordinarie ai sensi dell’art. 82 del d.l. n. 18/2020
(Decreto Cura Italia) e di segnalazione dell’AGCOM
dell’01.07.2020, con la quale è stata rappresentata la
necessità di rimuovere gli ostacoli procedimentali
provenienti dagli enti locali rispetto alla sua diffusione (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
ordinanza 22.07.2020 n. 549 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sindaci,
vietato vietare il 5G. Impossibile adottare ordinanze. Competenza dello
Stato. Il Tar Sicilia applica il dl Semplificazioni.
Bocciata l’iniziativa del comune di Messina.
I sindaci non posso vietare
l'installazione di impianti 5G. Lo stop arriva dal TAR Sicilia-Catania -
Sez. I, che con l'ordinanza
22.07.2020 n. 549 ha bocciato l'iniziativa del primo cittadino di
Messina, che aveva vietato a chiunque di sperimentare, installare e
diffondere sul territorio del comune di Messina impianti con tecnologia 5G
in attesa di dati scientifici più aggiornati fra i quali la nuova
classificazione della cancerogenesi delle radiofrequenze 5G annunciata dall'International
Agency for Research on Cancer e prendendo in riferimento i dati
scientifici più aggiornati e già disponibili sugli effetti delle
radiofrequenze, che evidenziano l'estrema pericolosità per la salute
dell'uomo.
Il tribunale amministrativo siciliano, adito da Vodafone Italia spa, ha
sospeso in via cautelare gli effetti del provvedimento applicando, per la
prima volta, l'art. 38 del decreto «Semplificazioni», che al comma 6
espressamente stabilisce che «i comuni possono adottare un regolamento
per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo
specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla
localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base
per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni
caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti
contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici,
magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di
qualità, riservati allo Stato».
La disposizione, recependo evidentemente la giurisprudenza consolidata,
sancisce, per un verso, l'illegittimità di un divieto generalizzato alla
installazione degli impianti del genere in esame, per un altro,
l'impossibilità di adottare ordinanze contingibili e urgenti in una materia
la cui competenza è riservata allo Stato.
Da notare che il Tar ha anche respinto l'eccezione del comune circa
l'inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione dell'apposito
regolamento comunale da parte della ricorrente, posto che lo stesso è volto
alla regolamentazione dell'allocazione delle strutture nel territorio, senza
impedirle (e non avrebbe potuto) in maniera assoluta, così come invece
statuito dall'ordinanza impugnata.
I giudici amministrativi hanno ravvisato la sussistenza del periculum
in mora in ragione della natura del servizio di pubblica utilità esercitato,
il cui potenziamento è stato peraltro oggetto di recenti misure
straordinarie ai sensi dell'art. 82 del dl 18/2020 (decreto legge Cura
Italia) e di segnalazione dell'Autorità garante della concorrenza e del
mercato dell'01.07.2020, con la quale è stata rappresentata la necessità di
rimuovere gli ostacoli procedimentali provenienti dagli enti locali rispetto
alla diffusione del servizio in questione (articolo ItaliaOggi del
24.07.2020).
---------------
ORDINANZA
... per l'annullamento, previa
sospensione dell'efficacia,
1) dell'ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 133 del
27.04.2020 avente ad oggetto: “Divieto di sperimentazione e/o
installazione del 5g” (doc. 2);
...
Con il ricorso in esame parte ricorrente, dopo aver premesso che uno dei
due lotti specifici da 80 Mhz, ossia quelli ritenuti maggiormente pregiati
per il 5G, le è stato aggiudicato, ha impugnato l'ordinanza sindacale
contingibile e urgente n. 133 del 27.04.2020 del sindaco del Comune di
Messina avente ad oggetto: “Divieto di sperimentazione e/o installazione
del 5g”.
Dopo articolata motivazione, il suddetto provvedimento, <in applicazione
del principio di precauzione sancito e riconosciuto dall’Unione Europea>,
ha ordinato il divieto a <chiunque di sperimentare, installare e diffondere
sul territorio del Comune di Messina impianti con tecnologia 5G in attesa di
dati scientifici più aggiornati fra i quali la nuova classificazione della cancerogenesi delle radiofrequenze 5G annunciata dall’International
Agency for Research on Cancer e prendendo in riferimento i dati
scientifici più aggiornati e già disponibili sugli effetti delle
radiofrequenze, che evidenziano l’estrema pericolosità per la salute
dell’uomo>.
Ciò posto, a un primo esame, tipico della fase cautelare, va premesso che in
linea di principio “la valutazione sui rischi connessi all’esposizione
derivante dagli impianti di telecomunicazioni è di esclusiva pertinenza
dell’A.R.P.A., organo deputato al rilascio del parere prima dell’attivazione
della struttura” (cfr. TAR Catania, I, 26/11/2019, n. 2858; Ord., I,
30.03.2020, n. 236) e al monitoraggio del rispetto dei limiti prestabiliti
normativamente dallo Stato, impegno, quest’ultimo, che sembra emergere nel
parere riportato nell’ordinanza impugnata.
Va ribadito, inoltre, quanto di recente riaffermato da questa Sezione,
laddove è stato chiarito che la materia in esame non si presta a essere
regolata mediante ordinanza sindacale contingibile e urgente (cfr. TAR
Catania, I, 22.05.2020, n. 1126; I. 07.07.2020, n. 1641 e Giurisprudenza ivi
citata).
L’elaborazione giurisprudenziale seguita dal Collegio è stata, per altro,
ormai “certificata” dal d.l. 16.07.2020, n. 76, che al comma 6
dell’art. 38 espressamente stabilisce: “6. All’articolo 8, della legge
22.02.2001, n. 36, il comma 6 è sostituito dal seguente: “6. I comuni
possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili
individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di
introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del
territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di
qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o
mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e
sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell’articolo 4”.
La disposizione, recependo evidentemente la giurisprudenza consolidata,
sancisce, per un verso, l’illegittimità di un divieto generalizzato alla
installazione degli impianti del genere in esame, per un altro,
l’impossibilità di adottare ordinanze contingibili e urgenti in una materia
la cui competenza è riservata allo Stato.
Tanto chiarito, non appare misurata l’eccezione del Comune circa
l’inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione dell’apposito
regolamento comunale da parte della ricorrente, posto che lo stesso è volto
alla regolamentazione dell’allocazione delle strutture nel territorio, senza
impedirle (e non avrebbe potuto) in maniera assoluta, così come invece
statuito dall’ordinanza impugnata.
Il periculum in mora rappresentato da parte ricorrente appare
evidente e ciò in ragione della natura del servizio di pubblica utilità
esercitato, il cui potenziamento è stato peraltro oggetto di recenti misure
straordinarie ai sensi dell’art. 82 del d.l. n. 18/2020 (Decreto Cura
Italia) e di segnalazione dell’AGCOM dell’01.07.2020, con la quale è stata
rappresentata la necessità di rimuovere gli ostacoli procedimentali
provenienti dagli enti locali rispetto alla diffusione del servizio in
questione.
Conclusivamente, sussistono i presupposti per concedere l’invocata tutela
cautelare e, conseguentemente, la sospensione dei provvedimenti impugnati. |
EDILIZIA PRIVATA: La
particolare natura degli impianti di radio-telecomunicazione, equiparati in
via normativa alle opere di urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3, d.lgs.
259/2003), rende l’installazione di tali manufatti compatibile con qualunque
destinazione di zona, sicché la collocazione di questi in aree vincolate non
impedisce ex se la loro realizzazione.
È vero che l’art. 8, comma 6, l. 36/2001 permette ai Comuni di individuare
siti in cui è vietata l’installazione di impianti di telecomunicazione, per
la protezione della popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici.
Tuttavia “tale potere regolamentare incontra il limite che esso non può
sostanziarsi in divieti generalizzati di installazione degli impianti in
intere zone urbanistiche predefinite e, in quest’ultimo caso deve comunque
salvaguardare una possibile localizzazione alternativa degli impianti, così
da permettere una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni.
In altre parole, il divieto di posizionare gli impianti in determinate aree
deve comunque consentire la localizzazione degli impianti in aree
alternative, risultando, in caso contrario, in contrasto con l’interesse
pubblico alla capillare distribuzione del servizio di telecomunicazioni sul
territorio”.
---------------
6. Può procedersi dunque all’analisi del merito.
Come premesso, la richiesta di permesso di costruire presentata da Hi.To. s.p.a. è stata rigettata in quanto il regolamento comunale succitato
vieta la localizzazione di impianti di comunicazione elettronica su aree
sottoposte a vincoli paesaggistici, quali l’area ove insiste il fabbricato
che avrebbe ospitato l’impianto in oggetto.
Tuttavia, la particolare natura degli impianti di radio-telecomunicazione,
equiparati in via normativa alle opere di urbanizzazione primaria (art. 86,
comma 3, d.lgs. 259/2003), rende l’installazione di tali manufatti
compatibile con qualunque destinazione di zona (cfr. TAR Catanzaro, Sez.
II, 15.10.2019, n. 1692; TAR Catanzaro, Sez. II, 30.5.2018, n. 1124;
TAR Catanzaro, Sez. II, 30.05.2018, n. 1122; TAR Catanzaro, Sez. I,
10.6.2011 n. 882), sicché la collocazione di questi in aree vincolate non
impedisce ex se la loro realizzazione.
È vero che l’art. 8, comma 6, l. 36/2001 permette ai Comuni di individuare
siti in cui è vietata l’installazione di impianti di telecomunicazione, per
la protezione della popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici.
Tuttavia “tale potere regolamentare incontra il limite che esso non può
sostanziarsi in divieti generalizzati di installazione degli impianti in
intere zone urbanistiche predefinite e, in quest’ultimo caso deve comunque
salvaguardare una possibile localizzazione alternativa degli impianti, così
da permettere una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni.
In altre parole, il divieto di posizionare gli impianti in determinate aree
deve comunque consentire la localizzazione degli impianti in aree
alternative, risultando, in caso contrario, in contrasto con l’interesse
pubblico alla capillare distribuzione del servizio di telecomunicazioni sul
territorio” (Cons. Stato, Sez. VI, 03.06.2019, n. 3679).
In assenza di sufficienti supporti probatori, non è possibile stabilire se
il regolamento comunale n. 17/2015 si discosti dai suesposti criteri, ma lo
scostamento è evidente nel provvedimento n. 6858/2019, rispetto al quale il
Comune non ha verificato né tanto meno illustrato se sussistesse una
soluzione alternativa alla proposta ubicazione dell’impianto. Il
provvedimento reiettivo si limita infatti ad attestare che il regolamento
comunale “assicura comunque una copertura capillare dei servizi sull’intero
territorio”.
La motivazione addotta è apodittica, poiché priva di una
concreta esplicazione di quali siano le localizzazioni alternative che
consentano all’impianto –sebbene collocato al di fuori dell’area vincolata– di raggiungere l’intero territorio comunale, ivi inclusa l’area in
questione.
Il provvedimento n. 6458 del 09.04.2020, che deve essere perciò annullato,
salvo il riesercizio del potere amministrativo
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 30.06.2020 n. 1164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 86, comma 3, del d.lgs. 01.08.2003 n. 259, le antenne o i tralicci per
gli impianti di telefonia mobile, in quanto parte di una rete di
infrastrutture qualificate come opere di urbanizzazione primaria, nonché in
quanto impianti tecnologici e volumi tecnici, sono tendenzialmente –salvo
peculiari conformazioni del territorio e condizioni particolari– compatibili
con qualsiasi destinazione di zona impressa dal piano regolatore generale
alle aree interessate.
---------------
1. Con ricorso iscritto al n. 297/2017, i ricorrenti, quali soggetti
abitanti, proprietari, inquilini e genitori di figli frequentanti le scuole
di Cappelle sul Tavo, esponevano di essere venuti a conoscenza in data
08.06.2017 tramite affissione di cartello di cantiere, e successivo accesso
agli atti, che il S.u.a.p. dell’Associazione dei Comuni del Comprensorio di
Pescara aveva rilasciato in favore della società controinteressata
In.Wi. il provvedimento autorizzativo unico n. 26 del
25.05.2017 prot. n. 2015 dell’08.06.2017 per l’installazione di una Stazione
Radio Base per telefonia mobile su terreno sito alla via ... del
Comune di Cappelle sul Tavo indentificato in n.c.t. foglio 2, particella
1040.
Impugnavano pertanto il predetto titolo abilitativo, a tutela del loro
interesse alla conservazione dell’aspetto urbano, della salubrità
dell’ambiente e del valore commerciale dei propri immobili, deducendone la
illegittimità per i seguenti motivi di diritto:
...
8.4 Del pari destituiti di giuridico fondamento si appalesano i vizi dedotti
quanto all’omessa acquisizione del parere ambientale trattandosi di
intervento in zona agricola E2 non assoggettata a vincolo, come documentato
in atti dall’elaborato relativo alla carta dei vincoli idrogeologico nonché
ex d.lgs. n. 42/2004 allegato dalla società controinteressata alla
produzione del 12.10.2017.
Peraltro, va rammentato che, ai sensi dell'art.
86, comma 3, del d.lgs. 01.08.2003 n. 259, le antenne o i tralicci per
gli impianti di telefonia mobile, in quanto parte di una rete di
infrastrutture qualificate come opere di urbanizzazione primaria, nonché in
quanto impianti tecnologici e volumi tecnici, sono tendenzialmente –salvo
peculiari conformazioni del territorio e condizioni particolari–
compatibili con qualsiasi destinazione di zona impressa dal piano regolatore
generale alle aree interessate (Tar Molise, 23.05.2009 n. 249; Cons.
St., sez. VI, 21.04.2008 n. 1767; Tar Calabria, sez. II, 06.03.2008
n. 269).
Né invero il testo dell’art. 61 n.t.a. richiamato pone limitazioni
espresse e particolari agli impianti di telefonia mobile.
Analogamente è a dirsi quanto al mancato rilascio del parere da parte dell’Enac
dato che il territorio comunale è ricompreso non nella zona gialla ma nella
zona rossa aeroportuale come da tavola allegato 18 della produzione
documentale del 06.10.2017 del Comune.
Infatti solo all’interno della linea
gialla (cfr Tavola PC01 A allegato al ricorso n39 Relazione di navigazione)
che non copre il Comune di Cappelle sul Tavo, sono previste limitazioni
nella realizzazione di antenne ed apparati radioelettrici irradianti,
indipendentemente dalla loro altezza, che prevedono l’emissione di onde
elettromagnetiche che possono creare interferenze con gli apparati di
navigazione aerea
(TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 19.06.2020 n. 193 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quanto alla dedotta violazione delle distanze legali dai confini dei fondi
limitrofi il motivo va disatteso stante il costante orientamento
interpretativo per cui l’espressa assimilazione normativa fra le stazioni
radio base e le opere di urbanizzazione primaria (comma 3 dell’art. 86,
d.lgs. 259, cit.) rende l’installazione di tali manufatti compatibile con
qualunque destinazione di zona; per cui l’attività edificatoria resta
assoggettata alle sole prescrizioni di cui all’art. 87 del d.lgs. 259 del
2003 e non anche alle previsioni generali di cui all’art. 3 del d.P.R. 380
del 2001.
Ed infatti, gli impianti in questione non possono essere assimilati agli
edifici sotto il profilo edilizio-urbanistico e, quindi, non possono essere
assoggettati ai limiti di altezza o di distanze proprie delle costruzioni,
poiché in tal modo si introdurrebbero dei limiti procedurali ulteriori
rispetto a quelli previsti dall’art. 87 del Codice delle comunicazioni
elettroniche.
La legge prescrive, per l’eventuale limitazione nella
collocazione di impianti di radiofonia, l’espressa esistenza di un divieto
puntuale, derivante dalla presenza di specifici motivi che ne impongono la
realizzazione in un diverso e specifico punto della zona in questione.
L’installazione di una stazione radio base, quale opera di urbanizzazione
primaria, non può restare preclusa da una sua assimilazione agli interventi
di nuova edificazione, poiché ciò si porrebbe in violazione delle previsioni
in senso contrario della speciale disciplina applicabile al settore in tema
di distanze.
Infatti la disciplina generale dettata dal d.lgs. 259/2003 costituisce
normativa di settore per cui prevale sulla disciplina generale di cui al
d.p.r. n. 380/2001 in presenza di una normativa speciale che disciplina
provvedimenti autonomi che assolvono integralmente le esigenze delle
comunicazioni e la cura del territorio locale nell’ottica di una
semplificazione dell’attività edilizia relativa alle infrastrutture
tecnologiche di comunicazione elettronica.
---------------
1. Con ricorso iscritto al n. 297/2017, i ricorrenti, quali soggetti
abitanti, proprietari, inquilini e genitori di figli frequentanti le scuole
di Cappelle sul Tavo, esponevano di essere venuti a conoscenza in data
08.06.2017 tramite affissione di cartello di cantiere, e successivo accesso
agli atti, che il S.u.a.p. dell’Associazione dei Comuni del Comprensorio di
Pescara aveva rilasciato in favore della società controinteressata
In.Wi. il provvedimento autorizzativo unico n. 26 del
25.05.2017 prot. n. 2015 dell’08.06.2017 per l’installazione di una Stazione
Radio Base per telefonia mobile su terreno sito alla via Pignatara del
Comune di Cappelle sul Tavo indentificato in n.c.t. foglio 2, particella
1040.
Impugnavano pertanto il predetto titolo abilitativo, a tutela del loro
interesse alla conservazione dell’aspetto urbano, della salubrità
dell’ambiente e del valore commerciale dei propri immobili, deducendone la
illegittimità per i seguenti motivi di diritto:
...
9.
Sulla violazione delle distanze legali.
Quanto alla dedotta violazione delle distanze legali dai confini dei fondi
limitrofi il motivo va disatteso stante il costante orientamento
interpretativo per cui l’espressa assimilazione normativa fra le stazioni
radio base e le opere di urbanizzazione primaria (comma 3 dell’art. 86,
d.lgs. 259, cit.) rende l’installazione di tali manufatti compatibile con
qualunque destinazione di zona; per cui l’attività edificatoria resta
assoggettata alle sole prescrizioni di cui all’art. 87 del d.lgs. 259 del
2003 e non anche alle previsioni generali di cui all’art. 3 del d.P.R. 380
del 2001.
Ed infatti, gli impianti in questione non possono essere assimilati agli
edifici sotto il profilo edilizio-urbanistico e, quindi, non possono essere
assoggettati ai limiti di altezza o di distanze proprie delle costruzioni,
poiché in tal modo si introdurrebbero dei limiti procedurali ulteriori
rispetto a quelli previsti dall’art. 87 del Codice delle comunicazioni
elettroniche.
La legge prescrive, per l’eventuale limitazione nella
collocazione di impianti di radiofonia, l’espressa esistenza di un divieto
puntuale, derivante dalla presenza di specifici motivi che ne impongono la
realizzazione in un diverso e specifico punto della zona in questione.
L’installazione di una stazione radio base, quale opera di urbanizzazione
primaria, non può restare preclusa da una sua assimilazione agli interventi
di nuova edificazione, poiché ciò si porrebbe in violazione delle previsioni
in senso contrario della speciale disciplina applicabile al settore in tema
di distanze.
Infatti la disciplina generale dettata dal d.lgs. 259/2003
costituisce normativa di settore per cui prevale sulla disciplina generale
di cui al d.p.r. n. 380/2001 in presenza di una normativa speciale che
disciplina provvedimenti autonomi che assolvono integralmente le esigenze
delle comunicazioni e la cura del territorio locale nell’ottica di una
semplificazione dell’attività edilizia relativa alle infrastrutture
tecnologiche di comunicazione elettronica (Cons. St sez. VI 15.07.2010 n.
4557) (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 19.06.2020 n. 193 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Questa
Sezione, dopo aver rammentato che il termine per la formazione del silenzio-assenso, ex art. 87, comma 9, d.lgs. 259/2003, è di novanta giorni, ha
chiarito che "alcun rilievo, assumono al riguardo le argomentazioni del
Comune (…) circa la non decorrenza del termine in questione in relazione
alla mancata produzione del nulla osta A.R.P.A., del Genio Civile e dell'A.S.P.
nonché del titolo di proprietà dell'area interessata dall'intervento, attesa
la loro irrilevanza ai fini della formazione tacita del titolo in
questione".
Invero, "La giurisprudenza amministrativa è, infatti, al riguardo consolidata nel
ritenere come ai fini del rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 87
non sia necessario che l'istante produca:
- né il preteso parere igienico-sanitario
"non esistendo equivalenza in termini edilizi tra il concetto di costruzione
e quello d'impianto tecnologico, che non richiede di essere sottoposto alle
stesse valutazioni igieniche che si richiedono per le costruzioni fruibili
in termini di abitazione delle persone",
- né -tanto meno- il parere A.R.P.A.
richiesto, ai sensi del comma 4 del citato art. 87, solo ed esclusivamente
ai fini della concreta attivazione dell'impianto e non per la formazione del
titolo edilizio e per l'inizio dei lavori,
- né, ancora, il titolo di proprietà, non essendo esso prescritto
né dalla norma né dal modello di domanda di cui all'allegato 13, del d.lgs.
n. 259/2003
- né, infine, la denuncia della verifica sismica al competente
Ufficio del Genio Civile che, sebbene debba essere effettuata prima
dell'inizio dei lavori, non risulta di fatto contemplata fra i documenti che
devono essere tassativamente allegati all'istanza/comunicazione di cui
all'art. 87".
Lo schema legislativo predeterminato, muovendo da un procedimento avente
finalità in parte diverse da quello rivolto al mero titolo edilizio, non
richiede quindi il titolo in ragione del quale il Comune assume non essersi
formato il silenzio-assenso.
Più specificamente, il comma 9 dell’art 87 stabilisce che “le istanze di
autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente articolo, nonché
quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli
impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni
dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione
per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento
di diniego o un parere negativo da parte dell'organismo competente ad
effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22.02.2001,
n. 36. Gli Enti locali possono prevedere termini più brevi per la
conclusione dei relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di
semplificazione amministrativa, nel rispetto delle disposizioni stabilite
dal presente comma”.
Sicché l’effetto del silenzio-assenso consegue dalla presentazione di una
domanda secondo lo schema predisposto ex lege, cui parte ricorrente non si è
sottratta, di guisa che il Comune, al più, avrebbe potuto esercitare il
potere di integrazione previsto espressamente al comma 5 del medesimo art.
87, ai sensi del quale “il responsabile del procedimento può richiedere, per
una sola volta, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza,
il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della documentazione prodotta.
Il termine di cui al comma 9 riprende a decorrere dal momento dell'avvenuta
integrazione documentale”.
Per altro, in tema di procedimento, il medesimo comma 9 dell’art. 87 si
limita a consentire un potere diverso da quello esercitato dal Comune, vale
a dire la possibilità di stabilire termini più brevi per la conclusione dei
relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di semplificazione
amministrativa, nel rispetto delle disposizioni dallo stesso stabilite.
---------------
... per l'annullamento:
1) dell’Ordinanza n. 1 prot. 98 del 08.01.2020 (notificata a Wind Tre il
21.01.2020), con la quale il Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di
Forza d’Agrò ha ordinato alla proprietà D’An.Ma.Au., entro in
termine di 90 giorni, la demolizione e la messa in pristino dell’impianto,
regolarmente assentito, sito sul fabbricato di via ... n. 19, con
codice “ME096”;
2) se ed ove occorra del regolamento comunale per la disciplina
dell’installazione degli impianti per le telecomunicazioni e radio approvato
con delibera di C.C. n. 14 del 23.06.2015 e modificato con delibera di C.C. n.
5 del 03.05.2018, nella parte richiamata nel provvedimento impugnato;
...
Il provvedimento impugnato fonda il diniego ivi contenuto sulla circostanza
che l’opera in questione è stata realizzata “in assenza di autorizzazione
urbanistica ed in contrasto con il Regolamento Comunale approvato con
deliberazione del Consiglio comunale n. 05 del 03.05.2018”.
Avuto riguardo alla terza censura, con la quale si contesta la genericità
della motivazione contenuta nel provvedimento impugnato, assume il comune
resistente di aver fatto espressamente riferimento (con motivazione, quindi,
per relationem) al verbale di accertamento del 18.12.2019, nel corpo del quale
sarebbero state chiaramente individuate una serie di illegittimità poste in
essere e, soprattutto, la mancanza del titolo di disponibilità dell’area in
capo alla società ricorrente, che avrebbe dovuto esser obbligatoriamente
allegato all’istanza ex art. 87 CCE, a mente del regolamento comunale.
Rileva il Collegio, in effetti, che sussiste nel provvedimento impugnato il
chiaro riferimento al detto verbale, laddove, altrettanto chiaramente è
indicata la mancata dimostrazione della disponibilità dell’immobile in capo
alla ricorrente.
Trattandosi di ammissibile motivazione per relationem, limitata, però, alla
considerazione espressa contenuta nel provvedimento impugnato (vale a dire,
la non conformità all’apposito regolamento comunale), occorre verificare se,
come sostenuto dal Comune resistente, tale carenza sia determinante nella
mancata formazione del silenzio-assenso previsto dall’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003.
Questa Sezione, condivisibilmente (cfr. TAR Catania, sez. I, 17/07/2018,
n. 1520), dopo aver rammentato che il termine per la formazione del silenzio-assenso, ex art. 87, comma 9, d.lgs. 259/2003, è di novanta giorni, ha
chiarito che "alcun rilievo, assumono al riguardo le argomentazioni del
Comune (…) circa la non decorrenza del termine in questione in relazione
alla mancata produzione del nulla osta A.R.P.A., del Genio Civile e dell'A.S.P.
nonché del titolo di proprietà dell'area interessata dall'intervento, attesa
la loro irrilevanza ai fini della formazione tacita del titolo in
questione".
<"La giurisprudenza amministrativa è, infatti, al riguardo consolidata nel
ritenere come ai fini del rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 87
non sia necessario che l'istante produca né il preteso parere igienico-sanitario "non esistendo equivalenza in termini edilizi tra il concetto di
costruzione e quello d'impianto tecnologico, che non richiede di essere
sottoposto alle stesse valutazioni igieniche che si richiedono per le
costruzioni fruibili in termini di abitazione delle persone" (in tal senso, C.G.A.R.S., n. 220/2015), né -tanto meno- il parere A.R.P.A. richiesto, ai
sensi del comma 4 del citato art. 87, solo ed esclusivamente ai fini della
concreta attivazione dell'impianto e non per la formazione del titolo
edilizio e per l'inizio dei lavori (ex multis, questa Sezione interna, n.
1740/2015), né, ancora, il titolo di proprietà, non essendo esso prescritto
né dalla norma né dal modello di domanda di cui all'allegato 13, del d.lgs.
n. 259/2003 (in tal senso, TAR Sicilia, Palermo, n. 1007/2007) né,
infine, la denuncia della verifica sismica al competente Ufficio del Genio
Civile che, sebbene debba essere effettuata prima dell'inizio dei lavori,
non risulta di fatto contemplata fra i documenti che devono essere
tassativamente allegati all'istanza/comunicazione di cui all'art. 87 (in tal
senso, Consiglio di Stato, sezione VI, n. 7128/2010)">.
Lo schema legislativo predeterminato, muovendo da un procedimento avente
finalità in parte diverse da quello rivolto al mero titolo edilizio, non
richiede quindi il titolo in ragione del quale il Comune assume non essersi
formato il silenzio-assenso.
Più specificamente, il comma 9 dell’art 87 stabilisce che “le istanze di
autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente articolo, nonché
quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli
impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni
dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione
per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento
di diniego o un parere negativo da parte dell'organismo competente ad
effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22.02.2001,
n. 36. Gli Enti locali possono prevedere termini più brevi per la
conclusione dei relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di
semplificazione amministrativa, nel rispetto delle disposizioni stabilite
dal presente comma”.
Sicché l’effetto del silenzio-assenso consegue dalla presentazione di una
domanda secondo lo schema predisposto ex lege, cui parte ricorrente non si è
sottratta, di guisa che il Comune, al più, avrebbe potuto esercitare il
potere di integrazione previsto espressamente al comma 5 del medesimo art.
87, ai sensi del quale “il responsabile del procedimento può richiedere, per
una sola volta, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza,
il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della documentazione prodotta.
Il termine di cui al comma 9 riprende a decorrere dal momento dell'avvenuta
integrazione documentale”.
Per altro, in tema di procedimento, il medesimo comma 9 dell’art. 87 si
limita a consentire un potere diverso da quello esercitato dal Comune, vale
a dire la possibilità di stabilire termini più brevi per la conclusione dei
relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di semplificazione
amministrativa, nel rispetto delle disposizioni dallo stesso stabilite.
Va, pertanto, disapplicata la norma contenuta nel regolamento contestato e
considerata completa, anche in punto di osservanza dell’art. 29 l.r.sic. n.
7 del 2019, l’istanza di parte ricorrente, con conseguente formazione del
silenzio-assenso.
Ritiene il Collegio, coerentemente con la premessa, che non sia ostativa
alla formazione del silenzio-assenso la diversa considerazione, sempre
contenuta nel verbale di sopralluogo, secondo la quale vi sarebbe una
erronea produzione degli allegati di progetto, in quanto non direttamente
riconducibile alla motivazione contenuta nel provvedimento impugnato. In
ogni caso, la localizzazione dell’impianto risulta esattamente individuata,
sicché, tale carenza appare emendabile tramite espressa richiesta del
responsabile del procedimento.
Le diverse considerazioni relative alla localizzazione dell’intervento,
infine, in quanto non impeditive della formazione del silenzio-assenso, non
possono sostenere le considerazioni dell’Amministrazione resistente.
Consegue, come premesso, la fondatezza del ricorso e l’annullamento
dell’atto impugnato
(TAR Sicilia-Ctania, Sez. I,
sentenza 22.05.2020 n. 1127 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul formarsi del titolo edilizio
abilitativo alla realizzazione dell’impianto di telefonia.
Ai sensi dell’art. 87, comma 9, del d.lgs. 01.08.2003 n. 259, così come modificato dall’art. 35, comma 5, della legge
05.07.2011 n. 111, sull’istanza di autorizzazione viene a formarsi il
silenzio-accoglimento, qualora entro novanta
giorni dalla presentazione dell’istanza, unita al progetto, non venga
comunicato il provvedimento di diniego o un parere negativo da parte
dell’organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all’art. 14
della legge 22.02.2001 n. 36.
Pertanto, essendo trascorso lo spatium deliberandi previsto dalla legge, si
è venuto a formare il titolo autorizzativo, sul quale l’amministrazione
comunale può indi intervenire solo esercitando per tempo e motivatamente il
proprio potere di autotutela.
---------------
Una volta formatosi per silentium il provvedimento di
assenso, l’amministrazione può tornare ad incidervi solo in presenza dei
presupposti per l’esercizio dell’autotutela. Non è consentibile l’adozione
di un atto “interdittivo” atipico, adottato peraltro in violazione delle
norme in materia di partecipazione al procedimento. L’Amministrazione
comunale è dunque tenuta a inoltrare l’istanza di c.d. nulla-osta sismico al
competente ufficio provinciale.
Peraltro, va rammentato che, ai sensi dell'art. 86, comma 3, del d.lgs.
01.08.2003 n. 259, le antenne o i tralicci per gli impianti di telefonia
mobile, in quanto parte di una rete di infrastrutture qualificate come opere
di urbanizzazione primaria, nonché in quanto impianti tecnologici e volumi
tecnici, sono tendenzialmente –salvo peculiari conformazioni del territorio
e condizioni particolari– compatibili con qualsiasi destinazione di zona
impressa dal piano regolatore generale alle aree interessate.
---------------
10.- Il ricorso è fondato nei sensi di cui in
motivazione.
10.1.- Va premesso che, ai sensi dell’art. 87, comma 9, del d.lgs. 01.08.2003 n. 259, così come modificato dall’art. 35, comma 5, della legge
05.07.2011 n. 111, sull’istanza di autorizzazione viene a formarsi il
silenzio-accoglimento, qualora –come nel caso di specie– entro novanta
giorni dalla presentazione dell’istanza unita al progetto non venga
comunicato il provvedimento di diniego o un parere negativo da parte
dell’organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all’art. 14
della legge 22.02.2001 n. 36.
Pertanto, essendo trascorso lo spatium deliberandi previsto dalla legge, si
è venuto a formare il titolo autorizzativo, sul quale l’amministrazione
comunale può indi intervenire solo esercitando per tempo e motivatamente il
proprio potere di autotutela.
10.2.- Una volta formatosi il titolo alla realizzazione dell’impianto di
telefonia, laddove previsto dalla normativa di settore, va acquisito il c.d.
nulla-osta sismico, come la società ricorrente ha inteso fare producendo
l’ulteriore istanza al preposto Sportello comunale, rimasta però “ferma” in
Comune.
In tal modo, l’Amministrazione municipale di San Ferdinando di Puglia ha
“bloccato” l’ulteriore corso del procedimento, de facto invadendo
valutazioni che rientrano nella competenza assegnata ad un’altra
amministrazione.
Nella Regione Puglia, il controllo sulle costruzioni in zone sismiche è
attribuito alle province, come previsto dall’art. 25, comma 1, lett. g),
della legge regionale 30.11.2000 n. 17.
L’art. 3 del decreto del Presidente della Giunta regionale 23.02.2010
n. 177, come modificato dal successivo decreto 29.06.2010 n. 769, ha
specificato che, alle province, è dato sia il compito di rilasciare
l’attestazione di deposito del progetto in zona sismica, ai sensi dell’art.
93 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, sia il compito di rilasciare
l’autorizzazione sismica (o c.d. nulla-osta sismico), ai sensi dell’art. 94.
10.3.- Per cui, una volta formatosi per silentium il provvedimento di
assenso, l’amministrazione può tornare ad incidervi solo in presenza dei
presupposti per l’esercizio dell’autotutela. Non è consentibile l’adozione
di un atto “interdittivo” atipico, adottato peraltro in violazione delle
norme in materia di partecipazione al procedimento. L’Amministrazione
comunale è dunque tenuta a inoltrare l’istanza di c.d. nulla-osta sismico al
competente ufficio.
Peraltro, va rammentato che, ai sensi dell'art. 86, comma 3, del d.lgs.
01.08.2003 n. 259, le antenne o i tralicci per gli impianti di telefonia
mobile, in quanto parte di una rete di infrastrutture qualificate come opere
di urbanizzazione primaria, nonché in quanto impianti tecnologici e volumi
tecnici, sono tendenzialmente –salvo peculiari conformazioni del territorio
e condizioni particolari– compatibili con qualsiasi destinazione di zona
impressa dal piano regolatore generale alle aree interessate (TAR Molise,
23.05.2009 n. 249; Cons. St., sez. VI, 21.04.2008 n. 1767; TAR
Calabria, sez. II, 06.03.2008 n. 269).
Né invero il testo dell’art. 28.1/S del P.U.G., richiamato nella nota
preclusiva dell’ulteriore corso del procedimento, pone limitazioni espresse
e particolari agli impianti di telefonia mobile.
11.- In conclusione, il ricorso va accolto nei sensi sopra esposti, con
annullamento del provvedimento di diniego impugnato. Resta assorbita ogni
altra questione posta, in particolare inerente ai profili della
“compatibilità urbanistico-edilizia” valutabili dalle amministrazioni
preposte
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 05.05.2020 n. 630 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
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CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Si
possono installare antenne per radioamatori su tetti
condominiali senza titolo edilizio.
LE antenne come quella di cui si è
dotato il ricorrente possono essere installate senza che sia
necessario il rilascio di un titolo edilizio, una nozione
che si può derivare con maggiore precisione dopo l’entrata
in vigore del d.lvo 2003, n. 259.
---------------
A diversa conclusione non può indurre la menzione operata in
motivazione di due norme del regolamento edilizio comunale
che imporrebbero l’acquisizione di un titolo edilizio per
legittimare l’installazione del manufatto di che si tratta.
Al riguardo va considerato innanzitutto che l’art. 3, comma
2, del dpr 06.06.2001, n. 380 spiega un effetto sulla
gerarchia delle fonti del diritto in materia edilizia che
inibisce la possibilità di ritenere che un regolamento
locale possa considerare un’attività costruttiva in modo
differente rispetto ai principi generali posti dalla norma
di legge citata.
Oltre a ciò il collegio deve richiamare adesivamente la
motivazione della propria ordinanza cautelare (2000, n.
1167) nella parte in cui essa evidenziava l’impossibilità di
derivare dalla lettura delle norme di regolamento l’obbligo
di acquisizione del titolo edilizio per l’installazione
dell’antenna.
---------------
L’impugnazione è relativa ad un atto con cui il comune di
Genova ha ingiunto all’interessato la rimozione dell’antenna
per radioamatore installata sulla copertura dell’immobile
condominiale ubicato in via ... 19. Il bene si eleva per
circa undici metri.
In relazione alle censure proposte il collegio deve
premettere una considerazione generale e assorbente in
ordine alla situazione soggettiva dedotta: risulta infatti
dall’esame della prevalente giurisprudenza in argomento (tar
Lazio, Latina, 2011/861, tar Abruzzo, Pescara, 2009, n. 207,
tar Piemonte, 2002, n. 2156) che le antenne come quella di
cui si è dotato il ricorrente possono essere installate
senza che sia necessario il rilascio di un titolo edilizio,
una nozione che si può derivare con maggiore precisione dopo
l’entrata in vigore del d.lvo 2003, n. 259.
La tesi è poi corroborata e non già smentita dalla
giurisprudenza citata dalla difesa comunale, posto che le
pronunce allegate presuppongono l’intervento autorizzativo
della p.a. solo nel caso in cui l’impianto riguardi un sito
paesisticamente rilevante, cosa che l’atto in questione non
allega si sia verificato.
Ne deriva che, al di là delle censure dedotte, il
provvedimento è carente nel presupposto che lo fonda, posto
che esso non specifica la ragione per cui in una zona
paesisticamente non significativa sarebbe necessario munirsi
di un titolo edilizio per installare un’antenna da
radioamatore.
A diversa conclusione non può indurre la menzione operata in
motivazione di due norme del regolamento edilizio comunale
che imporrebbero l’acquisizione di un titolo edilizio per
legittimare l’installazione del manufatto di che si tratta.
Al riguardo va considerato innanzitutto che l’art. 3, comma
2, del dpr 06.06.2001, n. 380 spiega un effetto sulla
gerarchia delle fonti del diritto in materia edilizia che
inibisce la possibilità di ritenere che un regolamento
locale possa considerare un’attività costruttiva in modo
differente rispetto ai principi generali posti dalla norma
di legge citata. Oltre a ciò il collegio deve richiamare
adesivamente la motivazione della propria ordinanza
cautelare (2000, n. 1167) nella parte in cui essa
evidenziava l’impossibilità di derivare dalla lettura delle
norme di regolamento l’obbligo di acquisizione del titolo
edilizio per l’installazione dell’antenna.
Il ricorso è pertanto fondato e va accolto, conseguendo da
ciò la condanna del comune soccombente alle spese di lite
sostenute dall’interessato, oneri che vengono liquidati
equamente date la natura della controversia e la lontananza
nel tempo dei fatti per cui è lite
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 20.06.2017 n. 540 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’installazione
di stazioni radio base è compatibile con qualsiasi
destinazione del piano regolatore comunale ed in
particolare, rispetto alla norma dell’art. 338 T.U.L.S., si
è espressamente affermato che in tale divieto di nuovi
edifici non rientrano le stazioni radio base per gli
impianti di telefonia mobile che per le loro caratteristiche
non possono essere classificati come manufatti edilizi
incompatibili con il vincolo cimiteriale, in quanto gli
impianti di telefonia mobile non possono essere assimilati
alle normali costruzioni edilizie in quanto normalmente non
sviluppano volumetria o cubatura, non determinano ingombro
visivo paragonabile a quello delle costruzioni, non hanno un
impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici
in cemento armato o muratura, tenuto anche conto che tali
impianti non ledono gli interessi dei quali il vincolo
cimiteriale persegue la tutela.
Gli impianti di telefonia mobile, infatti, assimilabili ai
tralicci dell’energia elettrica, non arrecano alcun danno al
decoro e alla tranquillità dei defunti; non creano problemi
di ordine sanitario, non impediscono l’ampliamento del
cimitero.
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L’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934 prevede il divieto di
nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro
dell'impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti
urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi,
comunque quale esistente in fatto.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che
l’installazione di stazioni radio base è compatibile con
qualsiasi destinazione del piano regolatore comunale ed in
particolare, rispetto alla norma dell’art. 338 T.U.L.S. ha
espressamente affermato che in tale divieto di nuovi edifici
non rientrano le stazioni radio base per gli impianti di
telefonia mobile che per le loro caratteristiche non possono
essere classificati come manufatti edilizi incompatibili con
il vincolo cimiteriale, in quanto gli impianti di telefonia
mobile non possono essere assimilati alle normali
costruzioni edilizie in quanto normalmente non sviluppano
volumetria o cubatura, non determinano ingombro visivo
paragonabile a quello delle costruzioni, non hanno un
impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici
in cemento armato o muratura, tenuto anche conto che tali
impianti non ledono gli interessi dei quali il vincolo
cimiteriale persegue la tutela.
Gli impianti di telefonia mobile, infatti, assimilabili ai
tralicci dell’energia elettrica, non arrecano alcun danno al
decoro e alla tranquillità dei defunti; non creano problemi
di ordine sanitario, non impediscono l’ampliamento del
cimitero (Consiglio di Stato n. 5257 del 2015; sulla
compatibilità degli impianti di comunicazione con il vincolo
cimiteriale cfr. altresì, n. 5837 del 2014)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 28.02.2017 n. 2964 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Niente
accatastamento per le reti di Tlc.
Infrastrutture. Il chiarimento è fornito dal decreto
attuativo della direttiva 2014/61.
Il decreto attuativo
della direttiva 2014/61 fa chiarezza: le infrastrutture di
reti di comunicazione elettronica non vanno accatastate. Le
infrastrutture di telecomunicazione non sono unità
immobiliari e, come tali, non vanno iscritte in catasto e
non soggiacciono alla fiscalità conseguente.
È d’impatto l’intervento del legislatore che, nell’ambito
del decreto legislativo 33/2016 attuativo della direttiva
2014/61/Ue sulla riduzione dei costi delle reti di
comunicazione elettronica ad alta velocità, ha deciso di
dare una svolta all’annosa questione dell’accatastamento
delle infrastrutture Tlc. Si tratta dei tralicci,
ripetitori, stazioni radio base, antenne -oltre alle opere
per l'installazione della rete- ancorati a muri o altri
supporti oppure impiantati dentro aree recintate.
In passato sia l’agenzia del Territorio (circolare 4/2006,
6/2012) sia la giurisprudenza si sono occupate del
trattamento catastale: la prima per affermarne l’obbligo di
accatastamento (in forma autonoma o come variazioni di
preesistenti unità immobiliari); la seconda talvolta si è
adeguata alla posizione dell’Agenzia, più spesso ha invece
accolto i ricorsi che ne sostenevano l’irrilevanza sul piano
catastale, specie in virtù dell’assimilazione alle «opere
di urbanizzazione primaria» (articolo 86, comma 3, del
Codice delle comunicazioni elettroniche).
Con il decreto legge Sblocca Italia del 2014 sembrava che la
questione fosse risolta a favore di questa seconda
interpretazione, essendo stabilito che le infrastrutture Tlc
costituiscono opere di urbanizzazione primaria.
La Corte di Cassazione però con la sentenza 24026/2015 in
materia di Ici (si veda «Il Sole 24 Ore» del 26.11.2015) ha
di recente sposato la tesi del Fisco. Invero, la Suprema
corte non ha minimamente affrontato il punto che il decreto
legge Sblocca Italia mirava a risolvere e, con scarna
motivazione, ha deciso per l’accatastamento dei ripetitori
di telefonia mobile nella categoria D.
L’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 33/2016
rimette ordine: non solo le reti ad alta velocità in fibra
ottica, ma tutte le infrastrutture comprese negli articoli
87-88 Cce, da chiunque possedute, sono da considerarsi beni
diversi dalle unità immobiliari in base al Dm 28/1998 e per
questo esclusi dall’accatastamento e dai tributi che ne
conseguono (Imu, Tasi, Ici a suo tempo).
Ciò che rileva, infatti, non è tanto l’autonomia funzionale
e reddituale di queste infrastrutture -e neppure la
destinazione a interesse collettivo per cui in passato sono
state talvolta classificate nella categoria E/3- ma il fatto
che il legislatore ne riconosca una «pubblica utilità»,
analoga per esempio a quella delle fognature o della rete
idrica. La norma, peraltro, dovrebbe avere portata
interpretativa, visto che, secondo la relazione
illustrativa, rappresenta un «chiarimento» volto a
esplicitare quanto già previsto dal Cce.
Natura questa confermata dalla sua collocazione sistematica,
nell’articolo 12 tra le «disposizioni di coordinamento»,
dove al comma 1 si ribadisce che in caso di discordanze
prevalgono le norme del Cce.
Per effetto, il Fisco e gli enti locali non solo dovranno
escludere dall’accatastamento le nuove infrastrutture di
telecomunicazione, ma anche rinunciare alle pretese di
accatastamento già avanzate (articolo Il Sole 24 Ore del
29.03.2016 - tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tlc, mega antenne promosse. Stazioni radio per
cellulari compatibili con il Prg.
Sentenza del Tar Veneto sui limiti alle infrastrutture
tecnologiche. Comuni in k.o..
Compagnia tlc batte comune. Si presume che il progetto di
mega antenna per cellulari della società telefonica sia
sempre compatibile con il piano regolatore generale del
comune: la stazione radio-base, infatti, risulta
assimilabile a un'opera di urbanizzazione primaria e dunque
non soggiace ai divieti previsti per altri manufatti. Ecco
allora che se in base al Prg la zona è soggetta a un piano
attuativo già approvato, lo stop all'infrastruttura
tecnologica può scattare soltanto quando l'opera si rivela
del tutto inconciliabile con l'intervento urbanistico
previsto nell'area. Diversamente l'ente locale non può
bloccare i lavori.
È quanto emerge dalla
sentenza 15.03.2016 n. 294, pubblicata dalla II
Sez. del TAR Veneto, che aggiunge un nuovo episodio alla
saga in cui i giganti delle comunicazioni si trovano
contrapposti agli enti locali, creando un notevole
contenzioso.
Prescrizioni escluse.
Deve rassegnarsi l'amministrazione locale che ha
reiteratamente bocciato il progetto della mega antenna. Se
il Prg nulla dispone in senso contrario, la stazione
radio-base che dà il segnale ai telefonini deve ritenersi
compatibile con qualunque destinazione d'uso impressa alle
opere dagli strumenti urbanistici: i servizi tecnologici non
risultano quindi assoggettati alle prescrizioni che valgono
per altri tipi di opere e che sono dettate per disciplinare
diversi usi del territorio.
Nel caso specifico il manufatto è di soli sei metri per
cinque e si trova sul retro di una costruzione: il
proprietario del terreno è favorevole all'installazione e la
presenza della mega antenna non può dirsi inconciliabile in
senso assoluto con il piano attuativo del Prg approvato per
l'area; solo questo avrebbe potuto far scattare il niet
dell'ente locale. Al quale non resta che pagare le spese di
giudizio.
Obbligo di motivazione.
Attenzione, però. L'assimilazione delle stazioni radio-base
a opere di urbanizzazione primaria produce anche altre
conseguenze giuridiche: la mega antenna per cellulari non
deve osservare le norme sulle distanze, per esempio dalla
strada, che valgono per i comuni manufatti edilizi. E dunque
il comune non può bloccare soltanto per questo i lavori che
stanno a cuore alla compagnia telefonica.
In ogni caso quando l'amministrazione locale nega il titolo
edilizio richiesto per incompatibilità con il regolamento
deve motivare il rigetto indicando la norma violata. Lo
stabilisce la sentenza 1146/2016, pubblicata dalla settima
sezione del Tar Campania.
Pubblica utilità.
Troppo frettolosi i tecnici dell'ente che reputano
l'impianto per la telefonia mobile non conforme al
regolamento edilizio né all'epoca della realizzazione né al
momento in cui risulta chiesta la sanatoria. La stazione
radio-base della compagnia deve essere considerata un
impianto di pubblica utilità.
Ciò che conta, però, è che l'unica struttura a restare fuori
terra sarebbe l'antenna vera e propria, dal momento che
tutte le altre opere di rilevante valore edilizio e
urbanistico sono interrate: a riconoscerlo è lo stesso
provvedimento di diniego adottato dal comune quando dà atto
che le armature del basamento si trovano al di sotto del
piano campagna. Insomma: mancano opere edilizie
significative che impongano l'osservanza delle disposizioni
dettate a tutela delle distanze tra fabbricati. Spese di
giudizio compensate fra le parti in causa.
Impianti compatibili.
Veniamo ai rapporti fra istituzioni. Non è il comune che può
proibire le mega antenne per cellulari vicino a case, scuole
e ospedali: il regolamento dell'ente locale invade la
riserva di competenza dello stato se interviene sulle soglie
di attenzione con divieti generalizzati invece che curare il
corretto insediamento territoriale degli impianti.
Ecco allora che è accolto il ricorso del big delle
telecomunicazioni contro il regolamento dell'ente locale che
vieta di installare praticamente ovunque le stazioni
radio-base che servono a far funzionare i telefonini: gli
impianti sono invece «compatibili con qualsiasi
destinazione urbanistica». È quanto emerge dalla
sentenza 503/2015, pubblicata dal Tar Calabria, sezione
staccata di Reggio.
Interesse generale.
Sbaglia la compagnia telefonica quando sostiene che
l'amministrazione locale avrebbe bisogno del placet della
regione nell'adottare il regolamento con tutte le modifiche
che ha introdotto sul piano urbanistico. In realtà l'ente
locale ha i poteri per disciplinare il corretto insediamento
territoriale degli impianti.
Il punto è che con il regolamento di «minimizzazione»
il comune non può spingersi a porre divieti generalizzati
che puntano a tutelare la popolazione amministrata dai campi
magnetici: spetta infatti al legislatore nazionale indicare
obiettivi di qualità per le installazioni degli impianti con
criteri unitari da applicare uniformemente in tutta Italia.
Bisogna invece consentire dappertutto la copertura della
telefonia mobile: le mega antenne devono infatti ritenersi «infrastrutture
primarie e impianti di interesse generale».
Infine: il comune non può dare il placet alla mega antenna
senza ascoltare la voce del quartiere
(articolo ItaliaOggi Sette del 18.04.2016).
---------------
MASSIMA
Il ricorso ed i motivi aggiunti sono fondati e devono
essere accolti.
Infatti l'art. 86, comma 3, del Dlgs.
01.08.2003, n. 259 dispone espressamente che le
infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni di cui
agli art. 87 e 88 sono assimilate ad ogni effetto alle opere
di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7, DPR
06.06.2001 n. 380.
Tale assimilazione comporta che, in assenza di specifica
previsione per gli impianti in questione, gli stessi debbano
ritenersi compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica
impressa dagli strumenti urbanistici
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 05.02.2013 n. 687;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 15.06.2011 n. 3646).
Da tale principio discende che tale tipo di
impianti possa essere localizzato anche in aree nelle quali
l’edificazione sia subordinata dallo strumento urbanistico
alla previa redazione di un piano attuativo, in quanto si
tratta di infrastrutture che, non potendo essere assimilate
alle normali costruzioni edilizie, non sono assoggettate
alle prescrizioni urbanistico edilizie preesistenti che si
riferiscono a tipologie di opere diverse e sono state
elaborate con riferimento a possibilità di diverso utilizzo
del territorio
(cfr. ex pluribus Tar Sicilia, Palermo, Sez. II,
15.01.2015, n. 100), e che, qualora, come
nel caso di specie, sia stato già approvato un piano
attuativo, la realizzazione dell’impianto possa essere
negata solo ove ricorra una condizione di effettiva ed
assoluta incompatibilità con le previsioni del piano.
Tale condizione non sussiste nel caso di specie.
Infatti come emerge dalla documentazione versata in atti
(cfr. la planimetria di progetto allegata quale doc. 9 alle
difese del Comune) l’area interessata dall’impianto ha una
limitata estensione (6 m per 5) ed è posta in un angolo
dell’intervento urbanistico posto sul retro dello scivolo
che porta al piano interrato, in un punto per il quale il
piano attuativo non reca alcuna previsione e che risulta
quindi idoneo ad ospitare la realizzazione di servizi
tecnologici.
Pertanto, contrariamente a quanto reiteratamente affermato
dal Comune nei provvedimenti impugnati, non sussiste alcun
contrasto con le previsioni del piano attuativo.
Da quanto esposto emerge l’infondatezza anche della tesi del
Comune secondo la quale dovrebbe procedersi ad una previa
variazione delle previsioni del piano attuativo per
consentire l’inserimento dell’infrastruttura.
Infatti l’istanza per la realizzazione dell’impianto è stata
presentata con l’espresso assenso della Società Te.Im. Srl
(cfr. doc. 3 allegato al ricorso introduttivo), proprietaria
delle aree comprese nel piano attuativo dalla stessa
presentato, e l’impianto, non comportando alcun sostanziale
mutamento del disegno edificatorio previsto dall’elaborato
progettuale, non incide sui suoi criteri informatori.
Parimenti privo di fondamento è il capo di motivazione del
diniego che fa riferimento alla mancata previsione di una
accesso all’impianto dalla pubblica via, atteso che,
una volta valutata la conformità dell’istanza alla
disciplina applicabile al titolo richiesto, il rilascio del
provvedimento abilitativo assume carattere vincolato, e
l’eventuale interclusione può essere ovviata con la
possibilità di ottenere, in via consensuale o giudiziale, la
costituzione di una servitù di passaggio ai sensi dell’art.
1051 c.c. (cfr.
Tar Veneto, sez. II, 08.02.2016, n. 127; id. 12.01.2011, n.
37; Consiglio di Stato, parere Sez. II, 27.02.2002, n.
2559/2001).
E’ inoltre erronea l’affermazione, contenuta nel
provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, secondo la
quale l’area interessata dall’intervento dovrebbe essere
ceduta al Comune al pari delle altre aree con destinazioni
ad uso pubblico, in quanto l’art. 86, comma 3, del Dlgs.
01.08.2003, n. 259, nell’affermare l’assimilazione di tali
impianti alle opere di urbanizzazione primaria, precisa che
restano “di proprietà dei rispettivi operatori”.
In definitiva, in accoglimento delle assorbenti censure di
carenza di presupposti, difetto di motivazione e di
istruttoria di cui al secondo e terzo motivo del ricorso
introduttivo e al secondo e terzo dei motivi aggiunti,
devono essere annullati i dinieghi impugnati. |
EDILIZIA PRIVATA:
Il comune non blocca l'antenna.
Il Comune non può bloccare i lavori per la mega-antenna per
cellulari perché le stazioni radio base sono assimilate
dalla legge a opere di urbanizzazione primaria: non devono
dunque rispettare le norme sulle distanze per i comuni
manufatti edilizi. E in ogni caso quando l'amministrazione
locale nega il titolo edilizio richiesto per incompatibilità
con il regolamento deve motivare il rigetto indicando la
norma violata.
È quanto emerge dalla
sentenza 03.03.2016 n. 1146, del TAR
Campania-Napoli, Sez. VII.
Sono stati, quindi, frettolosi i tecnici dell'ente che hanno
giudicato l'impianto per la telefonia mobile non conforme al
regolamento edilizio. Anzitutto la stazione radio base della
compagnia deve essere considerata un impianto di pubblica
utilità. L'unica struttura a restare fuori terra, inoltre,
sarebbe l'antenna vera e propria, dal momento che tutte le
altre opere di valore edilizio e urbanistico sono interrate.
A riconoscerlo è lo stesso provvedimento di diniego adottato
dall'ente quando dà atto che le armature del basamento sono
al di sotto del piano campagna
(articolo ItaliaOggi del 31.03.2016).
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MASSIMA
3.1 Nel merito le censure sono fondate in quanto le
ragioni ostative addotte dall’amministrazione per rigettare
l’istanza non risultano validamente legittime.
Con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente
deduce che all’impianto di telecomunicazione realizzato non
si applicano le norme sulle distanze previste per le
costruzioni in genere.
Il motivo è fondato.
Occorre precisare che in base all’art. 86,
co. 3, del d.lgs. n. 259 del 2003, gli impianti in questione
sono assimilati alle opere di urbanizzazione primaria; nel
caso di specie l’impianto fuori terra consisterebbe poi
nella sola antenna in quante non risultano ulteriori opere
edilizie che abbiano rilevante valore edilizio-urbanistico
essendo quelle già compiute interrate (la circostanza
dedotta nel ricorso e non specificamente contestata dal
Comune viene confermata nel provvedimento impugnato ove si
dà conto che le armature del basamento sono al di sotto del
piano campagna).
Trattandosi dunque di impianto di pubblica utilità privo di
annesse e significative opere edilizie il Collegio ritiene,
in accordo con l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza,
che non sia applicabile la normativa sulle distanze previste
per i comuni manufatti edilizi
(cfr. Tar Napoli sez. VII, 2461/2013
“la realizzazione delle SRB non deve rispettare i limiti
dalle strade previsti per le ordinarie costruzioni edilizie,
trattandosi di opere assimilate alle infrastrutture di
urbanizzazione primaria”).
3.2 Deve poi essere accolta la doglianza relativa alla
supposta carenza del titolo di locatario relativamente alle
presentazione delle istanze pregresse.
In disparte di ogni altra considerazione,
è pacifico che al momento della presentazione della denegata
istanza di sanatoria la Telecom fosse locatrice del terreno
interessato dall’impianto; ne consegue la piena
legittimazione alla presentazione della relativa istanza ex
art. 36 DPR 380/2001, il cui rigetto costituisce oggetto del
presente processo.
3.3 Viene poi censurato il diniego nella parte in cui viene
contestato dagli uffici comunali il contrasto con il
regolamento comunale in materia di installazione di impianti
di telecomunicazioni.
La doglianza è fondata.
La motivazione del diniego non riporta la disposizione
violata né l’oggetto della predetta incompatibilità
regolamentare. Sotto tale aspetto la motivazione dunque è
assolutamente generica e inidonea a sostenere il rigetto
della sanatoria.
3.4 La contestazione relativa poi alle modalità di
presentazione della domanda (mancata compilazione sul modulo
regionale) non ha alcun pregio in quanto
il legislatore non richiede a pena di nullità la
presentazione dell’istanza di accertamento di conformità in
una forma determinata.
Infine,
non costituiscono valido motivo di rigetto, la mancata
indicazione dei siti sensibili nelle vicinanze e l’omesso
calcolo dell’oblazione in quanto si tratta di informazioni e
dati già disponibili all’amministrazione e che, in ogni
caso, possono essere oggetto di integrazione istruttoria
all’interno del procedimento.
3.5 Non può infine avere ingresso nel thema decidendum
la deduzione avanzata dai controinteressati secondo cui la
Telecom avrebbe ottenuto solo dopo la realizzazione delle
opere la deroga regionale (decreto n. 4 del 13.06.2014) alla
distanza della Ferrovia (e dunque non vi sarebbe la doppia
conformità urbanistica ex art. 36 DPR 380/2001).
Tale rilievo è infatti assente nel provvedimento impugnato;
si tratterebbe -a prescindere dunque dall’ulteriore e
logicamente successiva questione se la sanatoria operi con
efficacia ex tunc- di inammissibile integrazione
postuma della motivazione del provvedimento in sede
giudiziale (cfr. Cons. Stato n. 3488/2015), peraltro
proveniente non dalla parte pubblica, ma da una parte
privata, totalmente priva di potestà pubblicistica in
materia.
3.6 Ugualmente inammissibili -in quanto rientranti nel
medesimo divieto di integrazione postuma- sono le deduzioni
della difesa comunale, svolte in giudizio, relative alla
vicinanza dell’impianto a siti sensibili; tale questione non
rilevata dagli uffici comunali competenti, se fondata, potrà
essere eventualmente sollevata dagli uffici comunali in sede
di riedizione del potere.
4. In conclusione, per le ragioni esaminate, il ricorso
viene accolto. Restano assorbite le ulteriori censure stante
il carattere esaustivo di quelle analizzate. |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Parere in merito all'ammissibilità di interventi di
installazione di impianti di comunicazioni elettroniche da
installare su tralicci inferiori a mt. 6 su edifici
esistenti nel centro storico - Comune di Velletri
(Regione Lazio,
parere 21.12.2015 n.
433845 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza più recente ha chiarito che
l'art. 338 R.D. cit. vieta l'edificazione, nella fascia di
duecento metri dal muro di cinta dei cimiteri, di manufatti
che possono essere qualificati come costruzioni edilizie: ha
quindi ritenuto che l'installazione di un impianto di
telefonia mobile che -per le proprie caratteristiche- non
può in alcun modo essere classificato come un manufatto
edilizio non è incompatibile con il vincolo cimiteriale
(nella specie si trattava di un'antenna staffata sul muro
del cimitero e non di una costruzione edificata sul terreno
ricadente nella fascia di rispetto).
Detta decisione –pur non essendo riferibile ad una
fattispecie concreta identica, perché nel caso di specie si
controverte sulla realizzazione di una stazione radio base
sulla fascia di rispetto cimiteriale e non sulla semplice
collocazione dell’antenna sul muro perimetrale del cimitero–
nondimeno contiene una precisazione importante: sussiste il
vincolo di inedificabilità solo in presenza di “edifici” e
cioè solo quando vengono realizzate delle vere e proprie
costruzioni.
Gli impianti di telefonia mobile non possono essere
assimilati alle normali costruzioni edilizie in quanto
normalmente non sviluppano volumetria o cubatura, non
determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle
costruzioni, non hanno un impatto sul territorio
paragonabile a quello degli edifici in cemento armato o
muratura.
Il concetto di edificio è nettamente caratterizzato sia in
architettura che nel diritto urbanistico: un palo di
sostegno e le attrezzature installate su di esso non
presentano –evidentemente– la stessa natura.
Inoltre, come ha correttamente rilevato la giurisprudenza
più recente di primo grado, le stazioni radio base, sono
opere di urbanizzazione primaria, compatibili con qualsiasi
zonizzazione prevista dagli strumenti urbanistici vigenti, e
dunque possono essere installate anche in zona di rispetto
cimiteriale, tenuto anche conto che non ledono gli interessi
dei quali il vincolo di inedificabilità persegue la tutela.
Gli impianti di telefonia mobile, infatti, –assimilabili ai
tralicci dell’energia elettrica– non arrecano alcun danno al
decoro e alla tranquillità dei defunti; non creano problemi
di ordine sanitario e, nel caso di specie, nel quale
l’impianto è collocato oltre la strada che costeggia il muro
perimetrale del cimitero, non incidono neppure sulla
possibilità di ampliamento del cimitero.
Correttamente, quindi, la legislazione regionale richiamata
dalle appellanti (L.R. Lombardia n. 11/2001 art. 7,
regolamento regionale 6/2004 e la circolare regionale
12.03.2007 n. 9) partendo dalla qualifica contenuta
nell’art. 86 del codice delle comunicazioni elettroniche,
secondo cui detti impianti costituiscono opere di
urbanizzazione primaria, specificano che è possibile
realizzarli nella fascia di rispetto cimiteriale.
---------------
La natura di opere di urbanizzazione primaria consente di
prescindere dalla zonizzazione recata dal P.R.G., potendo
gli impianti di telecomunicazione per la telefonia mobile
essere realizzati in qualunque zona del territorio comunale.
La giurisprudenza è univoca: “A norma dell’art. 86, c. 3,
del D.Lgs. n. 259 del 2003 relativa alla localizzazione di
infrastrutture di telecomunicazioni, è possibile prescindere
dalla destinazione urbanistica del sito individuato per la
loro installazione in quanto le infrastrutture di reti
pubbliche di telecomunicazioni, di cui agli art. 87 e 88,
sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all’art. 16, comma 7, del D.P.R. 06.06.2001
n. 380. Ne deriva anche alla luce dell’art. 4, comma 7,
della L.R. n. 11 del 2001 che gli impianti radiobase di
telefonia mobile di potenza totale non superiore a 300 watt
non richiedono specifica regolamentazione urbanistica".
---------------
Passando all’esame del merito, è necessario richiamare
innanzitutto la norma dell’art. 388, comma 1, del R.D. n.
27/07/1934 n. 1265 secondo cui “I cimiteri devono essere
collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro
abitato. E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi
edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro
dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti
urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi,
comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed
eccezioni previste dalla legge”.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza
sussiste –in base a detta disposizione– il vincolo di inedificabilità assoluta nella fascia di rispetto del
cimitero: il vincolo ex lege può essere rimosso solo per
considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle
condizioni specificate nell'art. 338, quarto comma; ma non
per interessi privati, come ad esempio per legittimare ex
post realizzazioni edilizie abusive di privati, o comunque
interventi edilizi futuri, su un'area a tal fine
indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario,
nonché per la sacralità dei luoghi di sepoltura, salve
ulteriori esigenze di mantenimento di un'area di possibile
espansione della cinta cimiteriale (cfr., tra le tante,
Cons. Stato, sez. VI, 27.07.2015 n. 3667)
E’ stato quindi precisato in giurisprudenza che il vincolo
cimiteriale, che comporta l’inedificabilità assoluta, non
consente in alcun modo l’allocazione di edifici, anche non
aventi natura residenziale, in ragione dei molteplici
interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende
tutelare, e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura
igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare
sacralità dei luoghi destinati alla sepoltura e nel
mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta
cimiteriale (TAR Puglia, Lecce, sez. III, 04/07/2015 n.
2245; TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 03/03/2015 n. 575).
Facendo applicazione di detti principi la sentenza appellata
ha annullato le autorizzazioni impugnate.
Secondo il primo giudice, infatti, il vincolo di
inedificabilità assoluta gravante sulla fascia di rispetto
del cimitero per espressa previsione normativa, impedisce la
realizzazione di qualunque manufatto, anche ad uso diverso
da quello abitativo, e trattandosi di vincolo imposto ex lege in via astratta, prescinde da qualunque valutazione in
merito alla specifica conformazione della costruzione che si
intende realizzare in prossimità del cimitero: sulla base di
detti presupposti ha ritenuto che non potesse costruirsi
neppure un traliccio di telecomunicazioni –struttura
impattante– “non più rispettoso della pietas nei confronti
dei defunti di quanto non lo sia una abitazione di
residenza”.
Le affermazioni del primo giudice non possono essere
condivise.
La giurisprudenza più recente ha chiarito che l'art. 338
R.D. cit. vieta l'edificazione, nella fascia di duecento
metri dal muro di cinta dei cimiteri, di manufatti che
possono essere qualificati come costruzioni edilizie (Cons.
Stato Sez. V 14.09.2010 n. 6671): ha quindi ritenuto
che l'installazione di un impianto di telefonia mobile che -per le proprie caratteristiche- non può in alcun modo
essere classificato come un manufatto edilizio non è
incompatibile con il vincolo cimiteriale (nella specie si
trattava di un'antenna staffata sul muro del cimitero e non
di una costruzione edificata sul terreno ricadente nella
fascia di rispetto) (Cons. Stato sez. III 25/11/2014 n.
5837).
Detta decisione –pur non essendo riferibile ad una
fattispecie concreta identica, perché nel caso di specie si
controverte sulla realizzazione di una stazione radio base
sulla fascia di rispetto cimiteriale e non sulla semplice
collocazione dell’antenna sul muro perimetrale del cimitero– nondimeno contiene una precisazione importante: sussiste
il vincolo di inedificabilità solo in presenza di “edifici”
e cioè solo quando vengono realizzate delle vere e proprie
costruzioni.
Gli impianti di telefonia mobile non possono essere
assimilati alle normali costruzioni edilizie in quanto
normalmente non sviluppano volumetria o cubatura, non
determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle
costruzioni, non hanno un impatto sul territorio
paragonabile a quello degli edifici in cemento armato o
muratura (TAR Puglia Sez. I Lecce 08/04/2015 n. 1120).
Il concetto di edificio, come ha correttamente rilevato la
difesa delle appellanti, è nettamente caratterizzato sia in
architettura che nel diritto urbanistico: un palo di
sostegno e le attrezzature installate su di esso non
presentano –evidentemente– la stessa natura (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 17/10/2008 n. 5044).
Inoltre, come ha correttamente rilevato la giurisprudenza
più recente di primo grado, le stazioni radio base, sono
opere di urbanizzazione primaria, compatibili con qualsiasi
zonizzazione prevista dagli strumenti urbanistici vigenti, e
dunque possono essere installate anche in zona di rispetto
cimiteriale (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 21/02/2014
n. 311; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 25/10/2012 n. 4223;
TAR Lazio Sez. II-bis 14/05/2007 n. 4367), tenuto anche
conto che non ledono gli interessi dei quali il vincolo di inedificabilità persegue la tutela.
Gli impianti di telefonia mobile, infatti, –assimilabili ai
tralicci dell’energia elettrica– non arrecano alcun danno
al decoro e alla tranquillità dei defunti; non creano
problemi di ordine sanitario e, nel caso di specie, nel
quale l’impianto è collocato oltre la strada che costeggia
il muro perimetrale del cimitero, non incidono neppure sulla
possibilità di ampliamento del cimitero.
Correttamente, quindi, la legislazione regionale richiamata
dalle appellanti (L.R. Lombardia n. 11/2001 art. 7,
regolamento regionale 6/2004 e la circolare regionale 12.03.2007 n. 9) partendo dalla qualifica contenuta
nell’art. 86 del codice delle comunicazioni elettroniche,
secondo cui detti impianti costituiscono opere di
urbanizzazione primaria, specificano che è possibile
realizzarli nella fascia di rispetto cimiteriale.
Non convince la tesi dell’appellato secondo cui anche per la
realizzazione di detti impianti sarebbe necessario ricorrere
al procedimento previsto dall’art. 388, c. 5, del R.D. 27/07/1934
n. 1265, in quanto –come già precisato– non si tratta di
“edifici”, ma di semplici opere di urbanizzazione primaria
riconducibili a tralicci per l’energia elettrica.
Infine, la natura di opere di urbanizzazione primaria
consente di prescindere dalla zonizzazione recata dal
P.R.G., potendo gli impianti di telecomunicazione per la
telefonia mobile essere realizzati in qualunque zona del
territorio comunale.
La giurisprudenza è univoca: “A norma dell’art. 86, c. 3, del D.Lgs. n. 259 del 2003 relativa alla localizzazione di
infrastrutture di telecomunicazioni, è possibile prescindere
dalla destinazione urbanistica del sito individuato per la
loro installazione in quanto le infrastrutture di reti
pubbliche di telecomunicazioni, di cui agli art. 87 e 88,
sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all’art. 16, comma 7, del D.P.R. 06.06.2001
n. 380. Ne deriva anche alla luce dell’art. 4, comma 7, della L.R. n. 11 del 2001 che gli impianti radiobase di telefonia
mobile di potenza totale non superiore a 300 watt non
richiedono specifica regolamentazione urbanistica" (cfr.,
tra le tante, TAR Lombardia Sez. II 02/03/2012 n. 351).
Alla stregua delle suesposte considerazioni, gli appelli
devono essere accolti con riforma della sentenza di primo
grado (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 17.11.2015 n. 5257 -
link a www.giustizia-amministratva.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Istanza di accesso, formulata da parte di un comitato,
rispetto agli atti di un procedimento di autorizzazione per
l'installazione di una antenna radio.
Essendo il comitato soggetto giuridico,
titolare, ex lege, di un autonomo diritto di accesso agli
atti, la circostanza che i singoli cittadini abbiano già
esercitato e ottenuto soddisfazione del relativo diritto non
impedisce che quest'ultimo sia autonomamente rivendicato
anche dal comitato dai primi composto.
Ed, invero, si rammenta che la l. 241/1990, con la
disposizione di cui all'art. 22, c. 1, lett. b), richiede
che, in capo al soggetto instante, sussista un interesse
diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento
rispetto al quale è chiesto l'accesso. Il fatto che i cives
siano, individualmente, già in possesso della
documentazione, richiesta poi anche dal comitato, non
esclude l'esistenza di un interesse diretto, concreto e
attuale in capo a quest'ultimo.
Si esclude, inoltre, che l'esercizio del diritto di accesso
dia luogo ad un'ipotesi di controllo generalizzato
sull'operato della pubblica amministrazione se l'istanza di
ostensione ha per oggetto uno specifico procedimento
amministrativo di autorizzazione, non già tutti gli atti
autorizzativi rilasciati dal Comune.
Un Comune presenta una richiesta di parere in merito ad
un'istanza di accesso, formulata da parte di un comitato,
rispetto agli atti di un procedimento autorizzativo per
l'installazione di un'antenna radio, segnalando, in
particolare:
- di aver rilasciato un'autorizzazione per la realizzazione
di un'antenna per telefonia mobile, contestata da alcuni
cittadini residenti nelle vicinanze del luogo ove è prevista
l'allocazione della stessa;
- questi ultimi, a titolo personale o cumulativo, in più
tempi, secondo il progredire della pratica autorizzativa o
della realizzazione delle opere, hanno presentato domanda di
accesso agli atti, del tutto soddisfatta, non essendo state
opposte dall'ente pubblico condizioni o limitazioni rispetto
all'esercizio del diritto di accesso;
- successivamente, le stesse persone si sono costituite in
comitato, che ha incaricato un professionista per verificare
la correttezza di quella specifica pratica e delle relative
azioni amministrative;
- il tecnico incaricato ha, quindi, chiesto di prendere
visione ed estrarre copia degli atti relativi
all'installazione di un'antenna radio, alta trenta metri, la
cui realizzazione è prevista presso una frazione del
territorio comunale;
- a giustificazione dell'interesse, connesso all'oggetto
della richiesta, è precisata la necessità di verificare la
procedura autorizzativa per l'installazione dell'antenna per
telefonia mobile presso la frazione del Comune anche ai
sensi della legge 01.07.1997, n. 189 [1].
L'ente locale, rammentando che l'istanza di accesso non deve
essere preordinata ad una verifica generalizzata nei
confronti dell'esercizio del potere pubblico, domanda se,
nella descritta fattispecie, sia ammissibile, da parte di un
comitato spontaneo, chiedere copia di atti detenuti dalla
pubblica amministrazione e già in possesso delle persone che
compongono il comitato stesso, non escludendo che la
richiesta di ostensione dei documenti sia da considerarsi
strumentale e suscettibile di costituire intralcio
all'operatività amministrativa, atteso che i singoli
cittadini non hanno mai sollevato dubbi o riserve sulla
completezza degli atti loro rilasciati.
Nel quesito sottoposto allo scrivente, il principale nodo da
risolvere è, quindi, costituito dalla seguente situazione:
coloro che, successivamente, hanno dato vita al comitato,
hanno già formulato delle autonome istanze di accesso e
queste sono state ampiamente soddisfatte da parte dell'ente
locale, con la consegna di tutti i documenti richiesti. Il
problema da affrontare è, allora, quello di verificare se la
summenzionata condizione -avvenuto esercizio del diritto di
accesso da parte dei singoli soggetti privati- sia di
ostacolo alla presentazione dell'istanza di ostensione da
parte del comitato costituito da quegli stessi cittadini,
considerato che il Comune appalesa il timore che l'accesso,
da parte dell'ente esponenziale, potrebbe apparire
strumentale ed ostacolare l'operato della pubblica
amministrazione.
A fronte dell'illustrato dubbio interpretativo, anticipando,
fin d'ora, la risposta all'odierno quesito, allo scrivente
parrebbe di poter affermare che, essendo -come si
verificherà nel prosieguo del testo- il comitato soggetto
giuridico, titolare ex lege di un autonomo diritto di
accesso agli atti, la circostanza che i singoli cittadini
abbiano già esercitato e ottenuto soddisfazione del relativo
diritto non impedisce che quest'ultimo sia autonomamente
rivendicato anche dal comitato dai primi composto.
Ed, invero, si rammenta che la legge 07.08.1990, n. 241, con
la disposizione di cui all'articolo 22, comma 1, lettera b),
richiede che, in capo al soggetto instante, sussista un
interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad
una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento rispetto al quale è chiesto l'accesso. La
circostanza che i singoli cittadini siano già in possesso
della documentazione, richiesta poi anche dal comitato, non
esclude l'esistenza di un interesse diretto, concreto e
attuale in capo a quest'ultimo.
In relazione alla fattispecie descritta dall'ente locale, è
possibile ipotizzare che gli abitanti della frazione abbiano
ritenuto di costituire un soggetto terzo -il comitato- con
il compito di tutela di alcuni valori 'costituzionalmente
forti', quali la salute individuale e collettiva e
l'ambiente, garantiti dagli articoli 9, comma 2 e 32, comma
1, Cost. Il fatto che i residenti nella frazione abbiano già
ottenuto gli atti non esclude che il comitato possa
esercitare, autonomamente e indipendentemente da questi, un
proprio diritto di accesso, anche se rispetto alla stessa
documentazione di cui i cives sono individualmente
ormai in possesso.
Si deve inoltre considerare che, nel caso in esame,
l'accesso è esercitato in un settore rientrante nella
materia dell'ambiente, dove, ai sensi del decreto
legislativo 19.08.2005, n. 195 - Attuazione della direttiva
2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione
ambientale, il diritto di ottenere l'ostensione dei
documenti è riconosciuto in modo notevolmente ampio
[2].
Al fine di fornire risposta all'illustrato quesito, è
necessario premettere alcune considerazioni sull'istituto
del diritto di accesso ai documenti amministrativi ed, in
particolare, in merito all'esercizio del summenzionato
diritto da parte dei cosiddetti soggetti portatori di
interessi pubblici o diffusi.
Ai sensi dell'articolo 22, comma 2, legge 241/1990,
l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue
rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce
principio generale dell'attività amministrativa, con
l'obiettivo di favorire la piena partecipazione dei soggetti
dell'ordinamento giuridico nei confronti di quest'ultima e
di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'azione
amministrativa.
Indagando l'aspetto della legittimazione attiva all'accesso
e, quindi, dei soggetti abilitati ad esercitare il relativo
diritto, si evidenzia che la legge 241/1990, all'articolo
22, comma 1, lettera b), definisce 'per interessati,
tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di
interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse
diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento
al quale è chiesto l'accesso'.
Dalla definizione riportata, emerge che il legislatore ha
esteso la qualifica di 'interessati' anche ai
soggetti privati 'portatori di interessi diffusi',
prevedendo che, per 'interessati' all'accesso, si devono
intendere i soggetti singoli o associati, come quelli
portatori di interessi pubblici o diffusi
[3]. Il diritto di
accesso, oltre che alle persone fisiche, spetta anche agli
enti esponenziali di interessi collettivi e diffusi, ove
avvalorati dalla rappresentatività dell'associazione,
comitato o ente esponenziale e dalla pertinenza dei fini
statutari rispetto all'oggetto dell'istanza
[4].
La titolarità del diritto di accesso è, dunque, riconosciuta
e attribuita non solo ai singoli privati, ma anche alle
associazioni (ad esempio associazioni di consumatori e altre
associazioni riconosciute) e ai comitati portatori di
interessi pubblici o diffusi (si pensi ai comitati di
quartiere che si legittimano mediante una semplice raccolta
di firme [5]).
Non solo il singolo ha titolo all'accesso ma anche i
soggetti portatori di 'interessi generali', quali le
associazioni e/o i comitati, soggetti esponenziali degli
interessi diffusi degli utenti di un servizio o dei
destinatari di atti autoritativi da parte della pubblica
amministrazione [6]:
astrattamente tutti i portatori di 'interessi generali'
hanno titolo a richiedere l'accesso agli atti relativi
all'esercizio di una determinata attività o in presenza
dell'adozione di atti amministrativi che incidano la sfera
giuridica di una molteplicità di cittadini (erga omnes)
[7].
Da quanto sopra, discende l'esigenza di appurare un
collegamento diretto tra il richiedente e il documento: la
posizione legittimante l'accesso è costituita da una
situazione giuridicamente rilevante comprensiva anche degli
interessi diffusi e dal collegamento tra questa posizione
qualificata e la specifica documentazione della quale si
chiede l'esibizione [8].
Anche per le figure in esame (enti esponenziali di interessi
pubblici o diffusi), è necessario verificare un effettivo,
attuale e concreto 'interesse' alla conoscenza di
atti che incidono in via diretta e immediata (non già in via
meramente ipotetica e riflessa) sugli interessi collettivi
degli associati [9],
in quanto collegati alla prestazione o alla funzione svolta
dall'ente stesso [10].
Poiché l''interesse' rappresenta il fulcro attorno al
quale ruota tutta la disciplina del diritto di accesso agli
atti, con riferimento al medesimo atto, l'istanza di accesso
rivolta all'amministrazione da soggetti diversi (ad esempio,
un comune cittadino, un sindacato, un comitato) potrebbe
portare a risultati differenti (di accoglimento in certi
casi, di diniego in altri), proprio perché è possibile
configurare un diverso 'interesse' a seconda del soggetto
che formula la domanda di ostensione del documento detenuto
dalla pubblica amministrazione (e delle diverse ragioni che
sono dal medesimo addotte) [11].
È indispensabile motivare -in sede di richiesta- l'esatta
rappresentazione dell'interesse all'accesso, dimostrando la
presenza, tra i fini statutari o dell'attività svolta, del
perseguimento di quel determinato interesse posto alla base
dell'istanza di accesso, acclarando una differenziata
posizione di interesse concreto, diretto ed attuale, che
legittima a chiedere copia di documenti; documenti che una
volta acquisiti possono costituire indubbio supporto e mezzo
per il miglior perseguimento degli scopi statutari, sociali
o dell'attività svolta (si pensi ad un comitato in difesa
dell'ambiente o a tutela dei beni culturali)
[12].
Nel concludere l'analisi di tali aspetti, si ribadisce che
il diritto di accesso può essere esercitato anche da parte
di associazioni e/o comitati, costituendo questi ultimi
un'organizzazione funzionalizzata alla protezione degli
interessi di una categoria di soggetti e in grado di
motivare le richieste di accesso perché legittimati alla
cura di un interesse qualificato dell'intera stabile
organizzazione [13].
Nel caso in esame, a giustificazione dell'interesse
all'accesso, il tecnico incaricato dal comitato fa
riferimento alla necessità di verificare quella specifica
procedura autorizzativa prodromica all'installazione
dell'antenna per telefonia mobile presso una frazione
comunale. Orbene, questa appare una motivazione sufficiente
ai sensi della legge 241/1990, se corredata dalla
dimostrazione che la documentazione richiesta rappresenta
uno strumento per il conseguimento di quello che potrebbe
essere uno scopo statutariamente eletto: la difesa della
salute degli individui residenti in un determinata zona e la
tutela della salubrità dell'ambiente.
Deve, ora, affrontarsi l'ulteriore problematica sollevata
dall'ente locale: la possibilità che l'accesso sia
utilizzato, impropriamente, come uno strumento di controllo
sull'operato generale della pubblica amministrazione.
Ed, invero, nella fattispecie in attenzione, l'istanza di
accesso formulata dal comitato provoca alcune perplessità al
Comune sulla base della considerazione che, in ossequio al
dettato normativo di cui all'articolo 24, comma 3, legge
241/1990, la domanda di ostensione dei documenti
amministrativi non deve essere preordinata ad una verifica
generalizzata nei confronti dell'esercizio del potere
pubblico.
In generale, è necessario osservare che l'ampiezza dello
scopo sociale e la sua riferibilità alla tutela di interessi
diffusi o collettivi non può trasformare l'esercizio del
diritto di accesso in un'inammissibile azione popolare,
espressione di un controllo universale ed indistinto sulla
pubblica amministrazione. Non si può, invero, ritenere che
la rappresentatività facente capo ad un ente esponenziale
conferisca per ciò solo all'associazione o al comitato un
generico e indifferenziato titolo per il diritto d'accesso
nei confronti degli atti della pubblica amministrazione: dal
momento che il diritto di accesso non corrisponde ad
un'azione popolare, il suo esercizio non può che essere
collegato alla sussistenza (e alla puntuale
rappresentazione) di un interesse differenziato, concreto e
attuale all'accesso ai documenti. La pretesa titolarità (o
la pretesa rappresentatività) di interessi collettivi o
diffusi non vale a costituire un potere -comunque privato e
perciò estraneo ai circuiti pubblici di rappresentatività e
responsabilità- di ispezione generalizzata sulla pubblica
amministrazione.
Il diritto di accesso impone pur sempre un accertamento
concreto dell'esistenza di un bisogno differenziato di
conoscenza in capo a chi richiede i documenti, perché non è
orientato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato di
chiunque sull'azione amministrativa (che è anzi
espressamente vietato a norma dell'articolo 24, comma 3,
della legge 241/1990), ma solo alla conoscenza, da parte dei
singoli titolari, di atti effettivamente, o anche solo
potenzialmente, incidenti sui loro interessi particolari.
Al riguardo, si rammenta che, mediante il diritto di
accesso, si esercita, legittimamente, un controllo quando
questo è indirizzato verso il singolo atto amministrativo
nei confronti del quale l'interessato vanta un interesse
concreto e differenziato rispetto alla collettività, non già
quando il controllo è riferito all'attività amministrativa
nel suo complesso.
Ed, invero, come evidenziato dalla giustizia amministrativa,
la disciplina sull'accesso tutela solo l'interesse alla
conoscenza degli atti amministrativi e non l'interesse ad
effettuare un controllo preventivo sull'amministrazione,
allo scopo di verificare eventuali e non ancora definite
forme di lesione della sfera dei privati
[14]. E, così,
dapprima la giurisprudenza, poi il legislatore hanno
stabilito di dover negare l'accesso tutte le volte in cui
l'istanza è finalizzata a svolgere un controllo sull'operato
della pubblica amministrazione, controllo puro e semplice
avulso da un interesse specifico del richiedente.
L'interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi è,
poi, destinato alla comparazione con altri rilevanti
interessi, fra i quali quello dell'amministrazione pubblica
a non subire eccessivi intralci nella propria attività
gestoria, tutelata anche a livello costituzionale ex
articolo 97 Cost. [15].
In ogni caso, nella fattispecie in esame, si ritiene di
escludere che l'esercizio del diritto di accesso da parte
del comitato dia luogo ad un'ipotesi di controllo
generalizzato sull'operato della pubblica amministrazione:
ed, invero, l'istanza di ostensione ha per oggetto quello
specifico procedimento amministrativo di autorizzazione
all'installazione di un'antenna presso una frazione
comunale, non già tutti gli atti autorizzativi rilasciati
dal Comune.
---------------
[1] È necessario precisare che la legge 189/1997
-Conversione urgente, con modificazioni, del decreto legge
01.05.1997, n. 115, recante disposizioni urgenti per il
recepimento della direttiva 96/2/CE sulle comunicazioni
mobili e personali- è stata abrogata dall'articolo 218 del
decreto legislativo 01.08.2003, n. 259 - Codice delle
comunicazioni elettroniche.
[2] Si veda Consiglio di Stato, sez. III, sentenza del
30.09.2015, n. 4577, in tema di ambiente, elettrosmog,
stazioni radio base per telefonia mobile, installazione di
impianti radioelettrici, ove si afferma che 'la disciplina
generale della localizzazione degli impianti di telefonia
mobile ... è riservata allo Stato ... in quanto concernente
la salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema (ai sensi
dell'art. 117, comma 2, lett. 's', della Costituzione)'.
[3] Il legislatore, con la riforma ad opera della legge
11.02.2005, n. 15 -Modifiche ed integrazioni alla legge
07.08.1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione
amministrativa- ha recepito le pronunce giurisprudenziali
adottate in tal senso nel corso degli anni precedenti.
[4] In tal senso, Tar Lazio, sez. II-ter, sentenza del
14.03.2011, n. 2260.
La giurisprudenza ha stabilito che, in presenza di istanze
di accesso prodotte da enti esponenziali (ad esempio,
associazioni sindacali, associazioni dei consumatori,
associazioni a difesa dell'ambiente, eccetera), la pubblica
amministrazione deve accertare la sussistenza di un nesso
tra l'oggetto dell'accesso ed i fini contenuti nello statuto
dell'ente, mentre ha ritenuto di non dovere dare riscontro
positivo alla richiesta di accesso qualora questa produca
una conoscenza, a favore dell'istante, di elementi
informativi non in linea con la mission dell'associazione.
Così, G. Modesti, 'L'esercizio del diritto di accesso agli
atti della Pubblica Amministrazione alla luce della legge
15/2005', in www.dirittosuweb.com
[5] Così S. Biancardi, 'Il procedimento amministrativo e il
diritto di accesso agli atti', Maggioli, 2011, 145.
[6] Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 5481/2011.
[7] M. Lucca, 'Diritto di accesso dei comitati e delle
associazioni (portatori di interessi diffusi)', in
www.mauriziolucca.com e www.segretarientilocali.it
[8] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 16.01.2004 n.
127, riportata da M. Lucca, 'Diritto di accesso dei comitati
...', cit.
[9] In merito all'interesse che i soggetti legittimati
devono avere, secondo le previsioni del legislatore di cui
all'articolo 22, comma 1, lettera b), della legge 241/1990,
esso deve essere diretto, concreto e attuale. L''attualità'
è valutata in base al momento in cui è formulata la
richiesta di accesso ad un determinato documento; la
'concretezza' presuppone un collegamento tra il soggetto ed
un bene della vita coinvolto dal documento.
Il Consiglio di Stato ha stabilito che l'interesse,
imputabile al soggetto, deve rientrare in una delle seguenti
categorie: diritti soggettivi, interessi legittimi,
'interesse solo strumentale alla tutela di essi'. La
scriminante è data, pertanto, dal trovarsi l'instante in una
posizione differenziata rispetto agli altri soggetti
dell'ordinamento giuridico.
[10] cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 09.02.2009, n.737;
25.09.2006, n. 5636; 10.02.2006, n. 555.
[11] In tal senso, S. Biancardi, 'Il procedimento
amministrativo ...', cit., 145.
[12] Si veda ancora M. Lucca, 'Diritto di accesso dei
comitati ...', cit.
[13] Così Tar Lazio-Roma, sez. III, sentenza del 16.01.2008,
n. 249, riportata da M. Lucca, 'Diritto di accesso dei
comitati ...', cit.
[14] In tal senso, si veda Consiglio di Stato, sez. IV,
sentenza del 15.11.2004, n. 7412, riportata da S. Biancardi,
'Il procedimento amministrativo ...', cit., 270.
[15] S. Biancardi, 'Il procedimento amministrativo ...',
cit., 169 (13.11.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Comuni silenziati sulle mega-antenne.
Sì alla mega-antenna per cellulari vicino a case, scuole,
ospedali e case di riposo. O meglio: non è il Comune che col
suo regolamento può intervenire sui valori di attenzione
invadendo il campo dello Stato, cui spetta legiferare in
materia.
Ecco allora che è accolto il ricorso del big delle
telecomunicazioni contro il regolamento dell'ente locale che
vieta di installare praticamente ovunque le stazioni
radio-base che servono a far funzionare i telefonini: gli
impianti sono invece «compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica».
È quanto emerge dalla
sentenza 29.05.2015 n. 503, pubblicata dal TAR
Calabria-Reggio Calabria.
Sbaglia la compagnia telefonica quando sostiene che
l'amministrazione locale avrebbe bisogno del placet della
Regione nell'adottare il regolamento con tutte le modifiche
che ha introdotto sul piano urbanistico. In realtà l'ente
locale ha i poteri per disciplinare il corretto insediamento
territoriale degli impianti.
Il punto è che con il regolamento di «minimizzazione»
il Comune non può spingersi a porre divieti generalizzati
che puntano a tutelare la popolazione amministrata dai campi
magnetici: spetta infatti al legislatore nazionale indicare
obiettivi di qualità per le installazioni degli impianti con
criteri unitari da applicare uniformemente in tutta Italia.
Bisogna invece consentire dappertutto la copertura della
telefonia mobile: le mega-antenne devono infatti ritenersi «infrastrutture
primarie e impianti di interesse generale». Spese
compensate
(articolo ItaliaOggi del 04.07.2015).
---------------
MASSIMA
2. Nel merito il ricorso è fondato.
3. Con riguardo al primo e al secondo motivo di ricorso si
osserva quanto segue.
La protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici
ed elettromagnetici è regolamentata dalla legge quadro
22.02.2001, n. 36, che ha disciplinato in modo organico la
materia, fissandone i principi fondamentali ed indicando le
ripartizioni di competenza tra Stato ed Enti locali.
Quanto al riparto di attribuzioni, in particolare, viene
stabilito che:
a) allo Stato compete la determinazione dei limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici, dei valori di
attenzione e degli obiettivi di qualità, (art. 4, l. n.
36/2001);
b) alle Regioni compete la definizione degli strumenti e
delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi di
qualità consistenti in criteri localizzativi, standard
urbanistici, prescrizioni ed incentivazioni (art. 8, l. n.
36 cit.);
c) ai Comuni, infine, si riconosce l'esercizio di una
potestà regolamentare finalizzata ad assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici (art. 8, comma 6, l. n. 36 cit.).
Ciò premesso, nel caso di specie, non pare sussistere il
primo vizio lamentato in ricorso sotto il profilo della
carenza di potere regolamentare in capo al Comune.
Dal tenore del testo normativo emerge che
il potere de quo non è condizionato dalla previa
regolamentazione da parte della Regione, ma solo al rispetto
delle norme generali poste dall’ente territoriale maggiore,
laddove già immesse nell’ordinamento giuridico; traendo
viceversa il Comune la propria potestà normativa
direttamente dalla legge sopracitata.
Né sembra sussistere il secondo vizio dedotto, atteso che le
prescrizioni introdotte con l’atto impugnato presentano un
indubbio carattere di specialità rispetto alla
pianificazione urbanistica comunale, il cui procedimento non
doveva essere seguito, in disparte quanto appresso si dirà
circa gli ulteriori profili di illegittimità che inficiano
il regolamento gravato.
Deve invece rilevarsi come, sulla scorta della
giurisprudenza costituzionale (cfr., tra le altre, Corte
cost. n. 331/2003, n. 307/2003 e n. 336/2005 ), la
giurisprudenza amministrativa abbia più volte chiarito che
la potestà assegnata ai Comuni dall'art. 8, comma 6, l. cit.
prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento
c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire "il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e a
minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici"; tale potestà deve tradursi
nell'introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a
tutela di zone e beni di particolare pregio ambientale,
paesaggistico o storico-artistico (ovvero, per ciò che
riguarda la minimizzazione dell'esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici, nell'individuazione
di siti che per destinazione d'uso e qualità degli utenti
possano essere considerati sensibili alle immissioni
radioelettriche), senza trasformarsi in limitazioni alla
localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere
ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di
una plausibile ragione giustificativa
(cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 04.04.2013,
n. 1873; Cons. Stato, Sez. III, Sent., 19.03.2014, n. 1361).
La potestà regolamentare dei Comuni deve tradursi in regole
ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi
di rilievo pubblico, ma non può tradursi in un generalizzato
divieto di installazione in zone urbanistiche identificate.
Tale previsione verrebbe infatti a costituire una
inammissibile misura di carattere generale, sostanzialmente
cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti
di telefonia mobile, in contrasto con l'art. 4 l. n. 36 del
2001, che riserva alla competenza dello Stato la
determinazione, con criteri unitari, dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità, in base a parametri da applicarsi su tutto il
territorio dello Stato
(così, Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27.12.2010, n. 9414;
Cons. St., sez. VI, 08.09.2009, n. 5258).
Ed, infatti, è principio consolidato in giurisprudenza che "ai
sensi dell'art. 87, codice delle comunicazioni elettroniche
approvato con d.lgs. 01.08.2003, n. 259, il Comune non ha
alcuna potestà di introdurre un divieto generalizzato di
installazione delle stazioni radio base, né di introdurre
misure che, pur essendo di natura tipicamente urbanistica
(distanze, altezze, quote, ecc.) non siano funzionali al
governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela dai
rischi dell'elettromagnetismo che, ai sensi dell'art. 8, l.
22.02.2001 n. 36, rientra nelle esclusive attribuzioni
statali, non già in quelle comunali; di conseguenza la
localizzazione degli impianti nelle sole zone in cui il
regolamento li consente si pone in contrasto non solo con
l'esigenza di permettere la copertura del servizio di
telefonia mobile sull'intero territorio comunale, ma anche
con la loro natura di infrastrutture primarie e impianti di
interesse generale, posti al servizio della comunità e
quindi compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica"
(ex multis TAR Molise 07.04.2011 n. 176; TAR Lazio
Latina Sez. I, Sent., 30/01/2015, n. 114).
Sotto tale specifico riguardo il gravato regolamento deve
essere ritenuto illegittimo e per l’effetto, già in forza di
tale vizio, il gravame si palesa nella sua fondatezza.
3. Pur tuttavia, il Collegio reputa opportuno scrutinare
specificamente le singole prescrizioni regolamentari,
censurate con il terzo motivo di ricorso, al fine di
evidenziarne i singoli profili di irregolarità.
a) Del tutto sproporzionata e irragionevole è, innanzitutto,
la prescrizione di cui all’art. 5, che esclude la
realizzazione degli impianti nelle zone residenziali, nelle
zone vincolate, nelle zone destinate ad insediamenti
produttivi, nei parchi e nelle zone adiacenti a scuole,
ospedali ed edifici di culto. Al riguardo
deve ribadirsi quanto già sopra esposto in ordine alla
inammissibilità dell’introduzione, in sede di
regolamentazione degli impianti di telefonia, di un divieto
generalizzato di installazione delle stazioni radio base,
ovvero di misure finalizzate alla sola tutela della salute
anziché funzionali al governo del territorio.
b), c) Illegittima ed irragionevole è l’imposizione del
rispetto delle distanze, come individuate dall’art. 8 e 6,
comma 4 del regolamento. Anche sotto tale profilo giova
ribadire il difetto di potere regolamentare intestato al
Comune; senza contare che, proprio la natura dei manufatti
in rilievo, non consente le limitazioni contemplate dal
regolamento, le quali, se applicate rigidamente, ne
impedirebbero di fatto la realizzazione.
d) Illegittima è altresì la prescrizione dell’art. 7, che
impone ai gestori del servizio di telefonia mobile di
presentare al Comune il piano annuale degli impianti da
realizzare, entro il 31 dicembre di ogni anno (termine che,
ai sensi dell’art. 12, comma 1, è prorogato per il primo
anno a 6 mesi dall’entrata in vigore del regolamento), in
quanto nessun obbligo di fornire annualmente al Comune il
piano delle installazioni è contemplato a carico dei gestori
dal d.lgs. n. 259/2003.
e) Illegittima è la previsione della necessità del permesso
di costruire di cui al D.P.R. n. 380/2001, che il
regolamento impone per la realizzazione degli impianti.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel
ritenere che per la installazione degli impianti in
questione non è affatto necessario il permesso di costruire,
essendo essa solo subordinata all'autorizzazione prevista
dall'art. 87 del T.U. 01.10.2003, n. 259 e non occorrendo,
al riguardo, il permesso di costruire ai sensi dell'art. 3,
lett. e), del T.U. 06.06.2001 n. 380
(ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 21.01.2005, n. 100;
Cons. St., sez. VI, 15.07.2010, n. 4557).
f) Del pari illegittima risulta essere la prescrizione di
cui all’art. 6, comma 2, che impone l’altezza massima delle
antenne e comma 3, che impone che tutti i manufatti
complementari siano interrati, in quanto trattasi di limiti
che non trovano alcun riscontro nella normativa statale e
appaiono, come rilevato dalla ricorrente, insuscettibili di
essere realizzati sotto il profilo tecnico.
g) Illegittima è altresì la previsione della competenza
concorrente dell’A.R.P.A. e della A.S.L. territorialmente
competente, in merito ai controlli sanitari, perché la
normativa statale demanda tali controlli alla sola A.R.P.A.
(art. 87, d.lgs. n. 259/2003 e art. 14, l. n. 36/2001).
h) Ne consegue l’illegittimità delle sanzioni, contemplate
dall’art. 11 per il caso di trasgressione; e ciò, sia per la
inesigibilità della condotta rispetto ad una prescrizione
illegittima, sia in ragione di una chiara violazione dei
principi di riserva di legge e di tassatività, di matrice
penalistica e, come noto, recepiti pure dalla L. 689/1981.
i) Infine, deve essere ritenuta, per l’effetto, illegittima
la imposta rilocalizzazione, come prevista nel regolamento
nella disposizione transitoria finale.
Da una parte, quanto esposto circa l’irregolarità delle
prescrizioni impugnate comporta la pedissequa
irragionevolezza dello stesso obbligo di rimozione;
dall’altra, l’imposizione de qua, entro lo stringente
termine previsto, si palesa gravemente violativa del
principio di proporzionalità e di affidamento, rispetto a
posizioni già acquisite nel rispetto della (all’epoca)
vigente normativa di riferimento.
4. Alla luce delle superiori considerazioni, il ricorso deve
essere accolto con conseguente annullamento degli atti
impugnati. |
EDILIZIA PRIVATA:
Come noto, il divieto di sanatoria sancito nel
codice del 2004 è frutto di precisa scelta del legislatore
delegato che ha ritenuto così di reagire ad un orientamento
giurisprudenziale favorevole all’autorizzabilità ex post.
Tale indirizzo interpretativo, basato su un parallelismo tra
(il necessariamente successivo) accertamento di conformità
in materia edilizia, introdotto dall’art. 13 della legge n.
47 del 1985 -sostanzialmente vincolato-, e (la ben diversa)
valutazione di compatibilità, di natura essenzialmente
tecnico-discrezionale, rendeva il sistema di tutela del
paesaggio perennemente esposto a una sorta di condono
permanente, attraverso la monetizzazione dell’infrazione,
ovvero il pagamento della relativa oblazione, ex articolo 15
della legge n. 1497 del 1939.
Lo stesso decreto legislativo 22.01.2004 n. 42 ammette
l’autorizzazione paesistica postuma nelle ipotesi di cui
all'articolo 167, commi 4 e 5, quando venga realizzata
“un’opera senza creazione di superfici utili o volumi”; di
conseguenza, occorre qualificare sotto tale aspetto il caso
in esame.
---------------
L’Ufficio comunale riconduce il manufatto a “interventi di
nuova costruzione e di volumi (piattaforma in calcestruzzo
“fuori terra”, traliccio in ferro zincato di m. 15,
vano-cabinet, etc.) che comportano una irreversibile
modificazione dello stato naturale dei luoghi ed integrano
pertanto attività di trasformazione urbanistica ed
edilizia”.
È evidente che né la piattaforma in calcestruzzo, né il
traliccio, né il vano-cabinet (un’armadiatura a protezione
degli allacci elettrici) sviluppino superficie o volumetria
utile, sebbene rappresentino, come giustamente sottolinea
l’Amministrazione, pur sempre una “trasformazione
urbanistica ed edilizia”.
Di conseguenza, deve ritenersi errata la conclusione
dell’Ufficio tecnico, il quale esclude la sussumibilità del
caso concreto riguardante tale specifica opera nella
fattispecie descritta dall’articolo 167, quarto comma.
Ciò ovviamente non significa negare l’impatto visivo
dell’impianto (che, se collocato in una zona vincolata, è
dunque soggetto ad autorizzazione), ma solo rilevare che la
mancanza della previa acquisizione dell’assenso da parte
dell’autorità preposta alla tutela non comporta, di per sé,
preclusione all’esame della pratica confluente
nell’autorizzazione unica, di cui all’articolo 87 del D.Lgs.
01.08.2003, n. 259.
---------------
In secondo luogo, non è condivisibile la posizione
dell’Autorità municipale, laddove giustifica il diniego
(della compatibilità paesaggistica) sul presupposto che
"l’intervento comunque non risulta conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
La giurisprudenza che si è occupata della questione, è
partita dal presupposto che tali opere integrino impianti
tecnologici e volumi tecnici costituenti una rete di
infrastrutture, legislativamente qualificate come opere di
urbanizzazione primaria.
Ha dedotto quindi che esse siano in astratto compatibili con
qualsiasi destinazione di P.R.G. delle aree interessate,
evidenziando poi che l'insediamento degli impianti -la cui
compatibilità urbanistica va poi in concreto operata
nell'ambito della procedura autorizzatoria degli art. 86 e
seguenti del d.lgs. 01.08.2003, n. 259- non può
aprioristicamente prescindere dalla realtà di fatto di una
rete di telecomunicazione, la quale per sua natura postula
una diffusione sul territorio, segnatamente nei casi di
telefonia mobile c.d. cellulare, che compensa la debolezza
del segnale di antenna con la maggiore contiguità delle
singole stazioni radio base.
In altri termini, poiché l'art. 90 del vigente D.Lgs. n. 259
del 2003 dispone che gli impianti in questione e le opere
accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno
"carattere di pubblica utilità" e che rientrano nelle opere
di urbanizzazione primaria, a norma dell’articolo 86, essi
possono essere ubicati in qualsiasi parte del territorio
comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni
urbanistiche e, ad esempio, “non soggetti in linea di
massima (salvo disposizioni peculiari) ai limiti di altezza
e cubatura delle costruzioni circostanti”.
Il ridimensionamento del potere urbanistico dell’ente locale
che normativamente si produce non solo riflette la rilevanza
dell’interesse pubblico (che si arresta solo di fronte alle
discipline poste a tutela degli interessi differenziati -in
quanto espressione di principi fondamentali della
Costituzione- come quello naturalistico-ambientale.
Esso trova altresì giustificazione nella circostanza che le
prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti si
riferiscono a tipologie di opere diverse da questi impianti
e sono state elaborate con riferimento a possibilità di
diverso utilizzo del territorio, nell'inconsapevolezza del
fenomeno della telefonia mobile e, più in generale,
dell'inquinamento elettromagnetico. Tali strutture non
possono essere assimilate alle normali costruzioni edilizie
e, pertanto, il titolo autorizzatorio non può essere negato
se non avuto riguardo ad una specifica disciplina
conformativa, che prenda in considerazione le reti
infrastrutturali tecnologiche necessarie per il
funzionamento del servizio pubblico, attraverso l’apposito
regolamento previsto dall’articolo 8, comma sesto, della
legge 22.02.2001, n. 36.
C. Devono essere invece congiuntamente esaminati l’atto
recante motivi aggiunti depositato il 23.10.2014 e
quello prodotto il giorno 11.02.2015, in quanto il
provvedimento nel primo contestato (26.06.2014 prot. n.
13714) è stato integrato con provvedimento prot. n. 27943
del 31.12.2014 (emanato dopo l’ordinanza cautelare n.
598/2014) che ribadisce l’esito della pratica, sviluppando e
aggiungendo ragioni e argomenti a sostegno del rigetto
dell’istanza edilizia, provvedimento quest’ultimo da
qualificare come atto non meramente confermativo.
C.1. In primo luogo, il Comune ha opposto diniego
all’accertamento di conformità (con l’atto prot. n.
27943/2014 ma analogamente anche con il precedente prot. n.
13714/2014) perché non è ammessa la cosiddetta sanatoria
paesaggistica (tranne nei casi previsti dall’articolo 167 -comma 4- del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42, che, secondo
l’Ufficio tecnico, non ricorrono nella fattispecie).
Il divieto dell’autorizzazione paesistica in sanatoria è
stato introdotto dall’articolo 146, comma quarto, del
decreto legislativo 22.01.2004 n. 42 -Codice dei beni
culturali e del paesaggio-, il quale dispone che
“L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e
presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri
titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Fuori
dai casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5,
l'autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli
interventi”.
Come noto, il divieto di sanatoria sancito nel codice del
2004 è frutto di precisa scelta del legislatore delegato che
ha ritenuto così di reagire ad un orientamento
giurisprudenziale favorevole all’autorizzabilità ex post
(Consiglio Stato, Ad. gen., 11.04.2002 n. 4; Sez. VI, 09.10.2000 n. 5373; 31.10.2000 n. 5851; 27.03.2003, n. 1594 e 15.05.2003, n. 2653).
Tale indirizzo interpretativo, basato su un parallelismo tra
(il necessariamente successivo) accertamento di conformità
in materia edilizia, introdotto dall’art. 13 della legge n.
47 del 1985 -sostanzialmente vincolato-, e (la ben
diversa) valutazione di compatibilità, di natura
essenzialmente tecnico-discrezionale, rendeva il sistema di
tutela del paesaggio perennemente esposto a una sorta di
condono permanente, attraverso la monetizzazione
dell’infrazione, ovvero il pagamento della relativa
oblazione, ex articolo 15 della legge n. 1497 del 1939.
Lo stesso decreto legislativo 22.01.2004 n. 42 ammette
l’autorizzazione paesistica postuma nelle ipotesi di cui
all'articolo 167, commi 4 e 5, quando venga realizzata
“un’opera senza creazione di superfici utili o volumi”; di
conseguenza, occorre qualificare sotto tale aspetto il caso
in esame.
L’Ufficio comunale riconduce il manufatto a “interventi di
nuova costruzione e di volumi (piattaforma in calcestruzzo
“fuori terra”, traliccio in ferro zincato di m. 15, vano-cabinet, etc.) che comportano una irreversibile
modificazione dello stato naturale dei luoghi ed integrano
pertanto attività di trasformazione urbanistica ed
edilizia”.
È evidente che né la piattaforma in calcestruzzo, né il
traliccio, né il vano-cabinet (un’armadiatura a protezione
degli allacci elettrici) sviluppino superficie o volumetria
utile, sebbene rappresentino, come giustamente sottolinea
l’Amministrazione, pur sempre una “trasformazione
urbanistica ed edilizia”.
Di conseguenza, deve ritenersi errata la conclusione
dell’Ufficio tecnico, il quale esclude la sussumibilità del
caso concreto riguardante tale specifica opera nella
fattispecie descritta dall’articolo 167, quarto comma.
Ciò ovviamente non significa negare l’impatto visivo
dell’impianto (che, se collocato in una zona vincolata, è
dunque soggetto ad autorizzazione), ma solo rilevare che la
mancanza della previa acquisizione dell’assenso da parte
dell’autorità preposta alla tutela non comporta, di per sé,
preclusione all’esame della pratica confluente
nell’autorizzazione unica, di cui all’articolo 87 del D.Lgs.
01.08.2003, n. 259.
C.2. In secondo luogo, non è condivisibile la posizione
dell’Autorità municipale, laddove giustifica il diniego sul
presupposto che (b) “l’intervento comunque non risulta
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia
al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda”.
La giurisprudenza che si è occupata della questione, è
partita dal presupposto che tali opere integrino impianti
tecnologici e volumi tecnici costituenti una rete di
infrastrutture, legislativamente qualificate come opere di
urbanizzazione primaria. Ha dedotto quindi che esse siano in
astratto compatibili con qualsiasi destinazione di P.R.G.
delle aree interessate (Cons. Stato, Sez. VI, 08.10.2008, n. 4910), evidenziando poi che l'insediamento degli
impianti -la cui compatibilità urbanistica va poi in
concreto operata nell'ambito della procedura autorizzatoria
degli art. 86 e seguenti del d.lgs. 01.08.2003, n. 259-
non può aprioristicamente prescindere dalla realtà di fatto
di una rete di telecomunicazione, la quale per sua natura
postula una diffusione sul territorio, segnatamente nei casi
di telefonia mobile c.d. cellulare, che compensa la
debolezza del segnale di antenna con la maggiore contiguità
delle singole stazioni radio base.
In altri termini, poiché l'art. 90 del vigente D.Lgs. n. 259
del 2003 dispone che gli impianti in questione e le opere
accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno
"carattere di pubblica utilità" e che rientrano nelle opere
di urbanizzazione primaria, a norma dell’articolo 86, essi
possono essere ubicati in qualsiasi parte del territorio
comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni
urbanistiche e, ad esempio, “non soggetti in linea di
massima (salvo disposizioni peculiari) ai limiti di altezza
e cubatura delle costruzioni circostanti” (Cons. Stato, Sez. VI, 13.04.2010, n. 2055).
Il ridimensionamento del potere urbanistico dell’ente locale
che normativamente si produce non solo riflette la rilevanza
dell’interesse pubblico (che si arresta solo di fronte alle
discipline poste a tutela degli interessi differenziati -in
quanto espressione di principi fondamentali della
Costituzione- come quello naturalistico-ambientale (Cons.
Stato, Sez. III, 19.03.2014, n. 1361).
Esso trova altresì
giustificazione nella circostanza che le prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti si riferiscono a tipologie
di opere diverse da questi impianti e sono state elaborate
con riferimento a possibilità di diverso utilizzo del
territorio, nell'inconsapevolezza del fenomeno della
telefonia mobile e, più in generale, dell'inquinamento
elettromagnetico. Tali strutture non possono essere
assimilate alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, il
titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto
riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che
prenda in considerazione le reti infrastrutturali
tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico (C.G.A.S., 25.06.2013, n. 624; TAR Sicilia,
Palermo, Sez. II, 15.01.2015, n. 100), attraverso
l’apposito regolamento previsto dall’articolo 8, comma
sesto, della legge 22.02.2001, n. 36.
In conclusione, in accoglimento delle censure attorie -e
anche prescindendo dalla questione se l’ordinanza cautelare
n. 598/2014 consentisse un’integrazione motivazionale-,
devono ritenersi illegittimi i provvedimenti 26.06.2014 prot. n. 13714 e 31.12.2014 prot. n. 27943.
Di conseguenza, nel complesso, il ricorso originario è da
dichiararsi improcedibile, mentre i motivi aggiunti
(rispettivamente depositati il 23.10.2014 e il giorno
11.02.2015) devono essere accolti, con annullamento
del provvedimento 26.06.2014 prot. n. 13714 (e delle
ordinanze di demolizione n. 15 del 14.07.2014 e n. 17
del 27.08.2014, fondate sul primo atto), nonché del
provvedimento 31.12.2014 prot. n. 27943
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 21.05.2015 n. 1676 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche il semplice adeguamento di un impianto già esistente
di telefonia mobile, in zona paesaggisticamente vincolata,
abbisogna nelle preliminare autorizzazione paesaggistica.
L’articolo 87-bis dlgs 259/2003 espressamente
prevede che al fine di accelerare la realizzazione degli
investimenti per il completamento della rete di banda larga
mobile, nel caso di installazione di apparati con tecnologia
UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture
per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle
caratteristiche trasmissive, fermo restando il rispetto dei
limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all’articolo
87, sia sufficiente la segnalazione certificata di inizio
attività, conforme ai modelli predisposti dagli enti locali
e, ove non predisposti, al modello B di cui all’allegato n.
13.
Qualora entro trenta giorni dalla presentazione del
progetto e della relativa domanda sia stato comunicato un
provvedimento di diniego da parte dell’ente locale o un
parere negativo da parte dell’organismo competente di cui
all’ articolo 14 della legge 22.02.2001, n. 36, la
denuncia è priva di effetti.
Si devono, però, ritenere applicabili, anche a tale
procedimento semplificato, le disposizioni generali relative
alla installazione di impianti di comunicazioni elettroniche
dettate dall’articolo 86 del d.lgs. 259 del 2003 ed, in
particolare, quella di cui al comma 4, che fa salve ferme le
disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali
contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490
(riferimento da intendersi ora al d.lgs. n. 42 del 2004,
codice dei beni culturali e del paesaggio).
Ai sensi dell’articolo 146 d.lgs. n. 42 del 2004, i
proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di
immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla
legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a
termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157,
non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che
rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di
protezione.
In base al comma 2 i soggetti di cui al comma 1
hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni
competenti il progetto degli interventi che intendano
intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed
astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano
ottenuta l'autorizzazione. Il riferimento operato da tale
norma agli “interventi” comporta che qualsiasi intervento
che modifichi o alteri il paesaggio abbia necessità della
autorizzazione paesaggistica.
... per l'annullamento:
- della nota n. 13966 del 03.04.2014 del Responsabile del
servizio patrimonio del Comune di Frascati, con cui si
diffidava le società Vodafone e Telecom dall’iniziare i
lavori di cui alla richiesta di autorizzazione del
14.03.2014 prot. 11092 relativa all’adeguamento
radioelettrico della stazione radio base rm 2908 -Frascati
autostrada- area di servizio Frascati ovest 2;
- della delibera del Consiglio Comunale n. 13 del 07.05.2013
e del piano di potenziamento e riqualificazione delle aree
comunali con la stessa approvato;
- del regolamento comunale approvato con delibera n. 44 del
27.07.2006 e del relativo piano delle antenne; di ogni altro
atto presupposto e connesso;
...
Con il primo motivo di ricorso si sostiene la
violazione dell’articolo 87-bis del d.lgs. 259 del 2003, in
quanto la società ricorrente ha presentato la segnalazione
certificata di inizio attività il 28.11.2013, mentre la
diffida è stata adottata il 03.04.2014, ben oltre quindi il
termine di trenta giorni previsto dall’articolo 87-bis per
l’intervento del Comune.
Tale censura non è suscettibile di accoglimento. Infatti,
non è contestato che l’area in questione sia sottoposta a
vincolo paesaggistico. La società ricorrente contesta però
la necessità della autorizzazione paesaggistica per il tipo
di intervento richiesto, trattandosi solo di un adeguamento
di un impianto già esistente.
Si deve evidenziare che l’articolo 87-bis espressamente
prevede che al fine di accelerare la realizzazione degli
investimenti per il completamento della rete di banda larga
mobile, nel caso di installazione di apparati con tecnologia
UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture
per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle
caratteristiche trasmissive, fermo restando il rispetto dei
limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all’articolo
87, sia sufficiente la segnalazione certificata di inizio
attività, conforme ai modelli predisposti dagli enti locali
e, ove non predisposti, al modello B di cui all’allegato n.
13. Qualora entro trenta giorni dalla presentazione del
progetto e della relativa domanda sia stato comunicato un
provvedimento di diniego da parte dell’ente locale o un
parere negativo da parte dell’organismo competente di cui
all’ articolo 14 della legge 22.02.2001, n. 36, la
denuncia è priva di effetti.
Si devono, però, ritenere applicabili, anche a tale
procedimento semplificato, le disposizioni generali relative
alla installazione di impianti di comunicazioni elettroniche
dettate dall’articolo 86 del d.lgs. 259 del 2003 ed, in
particolare, quella di cui al comma 4, che fa salve ferme le
disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali
contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490
(riferimento da intendersi ora al d.lgs. n. 42 del 2004,
codice dei beni culturali e del paesaggio).
Ai sensi dell’articolo 146 d.lgs. n. 42 del 2004, i
proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di
immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla
legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a
termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157,
non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che
rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di
protezione.
In base al comma 2 i soggetti di cui al comma 1
hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni
competenti il progetto degli interventi che intendano
intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed
astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano
ottenuta l'autorizzazione. Il riferimento operato da tale
norma agli “interventi” comporta che qualsiasi intervento
che modifichi o alteri il paesaggio abbia necessità della
autorizzazione paesaggistica (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 30.01.2015 n. 1768 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell’articolo 8,
comma 6, della legge n. 36 del 2001, i comuni possono
adottare un regolamento per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di
telefonia mobile e minimizzare l'esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici.
La giurisprudenza ha precisato che tale norma deve essere
letta insieme alla previsione dell’articolo 86, comma 3, del
d.lgs. 259 del 2003, codice delle comunicazioni
elettroniche, per cui detti impianti sono assimilati alle
opere di urbanizzazione primaria: ne deriva che devono
essere localizzati in modo che sia assicurato un servizio
capillare, ed osta, evidentemente a tale fine la previsione,
di altri siti, diversi da quelli "idonei", nei quali per
motivi ambientali o storico artistici non è consentita
l'installazione, che si configuri generica (non avendo
indicato espressamente e singolarmente le ragioni della
tutela di tutte le altre aree escluse) ed eccessiva, in
quanto eccezionali devono essere solo i siti non idonei o
sensibili e non viceversa.
La potestà assegnata al Comune dall'art. 8, comma 6, della
legge n. 36 del 2001 è espressione della autonoma e
fondamentale competenza comunale alla disciplina dell'uso
del territorio purché criteri localizzativi e standard
urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione
nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da
impedire, od ostacolare ingiustificatamente, l'insediamento
degli stessi impianti; tale potestà, può, quindi, tradursi
nell'introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a
tutela di zone e beni di particolare pregio
paesaggistico-ambientale o storico-artistico ovvero, per ciò
che riguarda la minimizzazione dell'esposizione ai campi
elettromagnetici, nell'individuazione di siti che per
destinazione d'uso e qualità degli utenti possano essere
considerati sensibili alle immissioni radioelettriche, ma
non può trasformarsi in limitazioni alla localizzazione
degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese
porzioni del territorio comunale in assenza di una
plausibile ragione giustificativa.
La citata potestà dei Comuni deve tradursi in regole
ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi
di rilievo pubblico, ma non può tradursi in un generalizzato
divieto di installazione in zone urbanistiche identificate.
Tale previsione verrebbe infatti a costituire
un'inammissibile misura di carattere generale,
sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in contrasto
con l'art. 4, l. n. 36 del 2001, che riserva alla competenza
dello Stato la determinazione, con criteri unitari, dei
limiti di esposizione, dei lavori di attenzione e degli
obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi su
tutto il territorio dello Stato.
---------------
La giurisprudenza si è già pronunciata nel senso che la
potestà regolamentare dei Comuni in ordine all'introduzione
di criteri localizzativi per l'installazione degli impianti
di telefonia mobile di cui all'art. 8, comma 4, della legge
n. 36 del 2001, non può essere esercitata nei confronti di
impianti esistenti e realizzati sulla base di validi titoli
permissivi, non essendo ammissibile un'efficacia retroattiva
del piano, deve ritenersi illegittima la individuazione
delle aree operate dal Comune senza tenere in nessun conto
aree già occupate da impianti esistenti.
La irragionevolezza della scelta comunale è confermata anche
da quanto affermato nella relazione del responsabile del
servizio patrimonio depositata in giudizio dalla difesa
comunale circa l’esistenza nella medesima zona di ulteriori
aree individuate come preferenziali, senza avere considerato
proprio l’area nelle vicinanze in cui insisteva già un
impianto regolarmente autorizzato avendo anzi previsto la
delocalizzazione di tale impianto.
I poteri comunali di cui all’art. 8, comma 6 della legge n.
36 del 2001 non possono tradursi in divieti generalizzati
per molte parti del territorio comunale senza che sia
fornita la prova che il servizio di telecomunicazioni non
subisca illegittimi condizionamenti e la valutazione degli
interessi coinvolti deve essere motivata e individuabile,
perché altrimenti si giunge a vietare di dislocare gli
impianti in molte zone comunali che, se anche soggette a
vincoli, ad esempio, di natura ambientale, nondimeno in
concreto potrebbero ben sopportare un’installazione.
Sono invece fondate le ulteriori censure proposte dalla
società ricorrente.
Infatti, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge n. 36
del 2001, i comuni possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti di telefonia mobile e
minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici.
La giurisprudenza ha precisato che tale norma deve essere
letta insieme alla previsione dell’articolo 86, comma 3, del
d.lgs. 259 del 2003, codice delle comunicazioni
elettroniche, per cui detti impianti sono assimilati alle
opere di urbanizzazione primaria: ne deriva che devono
essere localizzati in modo che sia assicurato un servizio
capillare, ed osta, evidentemente a tale fine la previsione,
di altri siti, diversi da quelli "idonei", nei quali per
motivi ambientali o storico artistici non è consentita
l'installazione, che si configuri generica (non avendo
indicato espressamente e singolarmente le ragioni della
tutela di tutte le altre aree escluse) ed eccessiva, in
quanto eccezionali devono essere solo i siti non idonei o
sensibili e non viceversa (Consiglio di Stato n. 4056 del
2009).
La potestà assegnata al Comune dall'art. 8, comma 6, della
legge n. 36 del 2001 è espressione della autonoma e
fondamentale competenza comunale alla disciplina dell'uso
del territorio purché criteri localizzativi e standard
urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione
nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da
impedire, od ostacolare ingiustificatamente, l'insediamento
degli stessi impianti (Consiglio di stato n. 3282 del 2010);
tale potestà, può, quindi, tradursi nell'introduzione, sotto
il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di
particolare pregio paesaggistico-ambientale o
storico-artistico ovvero, per ciò che riguarda la
minimizzazione dell'esposizione ai campi elettromagnetici,
nell'individuazione di siti che per destinazione d'uso e
qualità degli utenti possano essere considerati sensibili
alle immissioni radioelettriche, ma non può trasformarsi in
limitazioni alla localizzazione degli impianti di telefonia
mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale
in assenza di una plausibile ragione giustificativa
(Consiglio di Stato n. 3332 del 2006; 1017 del 2007; n. 2434
del 2010).
La citata potestà dei Comuni deve tradursi in regole
ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi
di rilievo pubblico, ma non può tradursi in un generalizzato
divieto di installazione in zone urbanistiche identificate.
Tale previsione verrebbe infatti a costituire
un'inammissibile misura di carattere generale,
sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in contrasto
con l'art. 4, l. n. 36 del 2001, che riserva alla competenza
dello Stato la determinazione, con criteri unitari, dei
limiti di esposizione, dei lavori di attenzione e degli
obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi su
tutto il territorio dello Stato (Consiglio di Stato n. 9414
del 2010; n. 3646 del 15.06.2011).
Sulla base di tali principi di costante applicazione
giurisprudenziale appare evidente la illegittimità sia del
regolamento comunale del 2006 sia del piano del 2013, che ha
aggiunto ulteriori aree di proprietà comunale, nella parte
in cui individuano specifiche aree da destinare alla
installazione degli impianti, senza considerare le aree già
occupate da impianti esistenti, come quella relativa all’
impianto oggetto dell’adeguamento richiesto dalla società
ricorrente, impianto autorizzato nel 1996.
Premesso che la giurisprudenza si è già pronunciata nel
senso che la potestà regolamentare dei Comuni in ordine
all'introduzione di criteri localizzativi per
l'installazione degli impianti di telefonia mobile di cui
all'art. 8, comma 4, della legge n. 36 del 2001, non può
essere esercitata nei confronti di impianti esistenti e
realizzati sulla base di validi titoli permissivi, non
essendo ammissibile un'efficacia retroattiva del piano (Tar
Campania, Napoli, n. 18229 del 2005; Tar Calabria Catanzaro
305 del 2014), deve ritenersi illegittima la individuazione
delle aree operate dal Comune senza tenere in nessun conto
aree già occupate da impianti esistenti.
La
irragionevolezza della scelta comunale è confermata anche da
quanto affermato nella relazione del responsabile del
servizio patrimonio depositata in giudizio dalla difesa
comunale circa l’esistenza nella medesima zona di ulteriori
aree individuate come preferenziali (ap 4 e 11), senza
avere considerato proprio l’area nelle vicinanze in cui
insisteva già un impianto regolarmente autorizzato avendo
anzi previsto la delocalizzazione di tale impianto.
I poteri
comunali di cui all’art. 8, comma 6 della legge n. 36 del
2001 non possono tradursi in divieti generalizzati per molte
parti del territorio comunale senza che sia fornita la prova
che il servizio di telecomunicazioni non subisca illegittimi
condizionamenti e la valutazione degli interessi coinvolti
deve essere motivata e individuabile, perché altrimenti si
giunge a vietare di dislocare gli impianti in molte zone
comunali che, se anche soggette a vincoli, ad esempio, di
natura ambientale, nondimeno in concreto potrebbero ben
sopportare un’installazione (Consiglio di Stato n. 4056 del
2009).
Sotto tali profili il ricorso è fondato e deve essere
accolto con annullamento del provvedimento di diffida del
10.03.2014 e del regolamento comunale del 27.07.2006 e del
piano del 07.05.2013 nella parte in cui non considera
l’impianto già in funzione, salva la ulteriore attività
amministrativa anche in relazione alla autorizzazione
paesaggistica trattandosi di area sottoposta a vincolo,
nella quale qualunque intervento è sottoposto ad
autorizzazione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 30.01.2015 n. 1768 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza è ormai orientata nel senso che la pretesa
del Comune, di assoggettare l’intervento, richiesto dalla
ricorrente, al rilascio di permesso di costruire, sia
infondata. Infatti:
- “La realizzazione di impianti di telecomunicazione è
subordinata soltanto all’autorizzazione prevista dall’art.
87, d.lgs. n. 259 del 2003, che pone una normativa speciale
ed esaustiva che include anche la valutazione della
compatibilità edilizio–urbanistica dell’intervento, non
occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli artt.
3 e 10, d.P.R. n. 380 del 2001”;
- “Per effetto della disciplina sopravvenuta di cui all’art.
87 d.lgs. n. 259 del 2003, è stato implicitamente abrogato,
per incompatibilità, l’art. 3, comma 1, lett. e.3) ed e.4),
d. P. R. n. 380 del 2001, nella parte in cui qualifica gli
impianti di telecomunicazioni come “nuova costruzione”
richiedenti, ai sensi del successivo art. 10, d.P.R. n. 380
del 2001, il previo rilascio del permesso di costruire.
Invero, l’espressa assimilazione normativa fra le stazioni
radio base e le opere di urbanizzazione primaria, statuita
dall’art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003, rende
l’installazione di tali manufatti compatibile con qualunque
destinazione di zona ed assoggettata alle sole prescrizioni
di cui all’art. 87, d.lgs. n. 259 del 2003 e non anche alle
previsioni generali di cui all’art. 3, d.P.R. n. 380 del
2001”;
- “La realizzazione di un impianto per telefonia mobile non
richiede il previo rilascio del permesso di costruire ai
sensi dell’art. 3, lett. e) t.u. 06.06.2001 n. 380, ma è
subordinata solo all’autorizzazione prevista dall’art. 87
t.u. 01.08.2003 n. 259”.
Sta di fatto, però, che la giurisprudenza è ormai orientata
nel senso che la pretesa del Comune, di assoggettare
l’intervento, richiesto dalla ricorrente, al rilascio di
permesso di costruire, sia infondata (in disparte ovviamente
i profili di compatibilità paesaggistica dell’intervento,
ormai nella specie superati):
- “La realizzazione di impianti
di telecomunicazione è subordinata soltanto
all’autorizzazione prevista dall’art. 87, d.lgs. n. 259 del
2003, che pone una normativa speciale ed esaustiva che
include anche la valutazione della compatibilità edilizio–urbanistica dell’intervento, non occorrendo perciò il
permesso di costruire di cui agli artt. 3 e 10, d.P.R. n.
380 del 2001” (TAR Puglia–Bari – Sez. III,
14/05/2013, n. 733; conforme: TAR Campania–Napoli –
Sez. VIII, 09/05/2013, n. 2394);
- “Per effetto della
disciplina sopravvenuta di cui all’art. 87 d.lgs. n. 259 del
2003, è stato implicitamente abrogato, per incompatibilità,
l’art. 3, comma 1, lett. e.3) ed e.4), d. P. R. n. 380 del
2001, nella parte in cui qualifica gli impianti di
telecomunicazioni come “nuova costruzione” richiedenti, ai
sensi del successivo art. 10, d.P.R. n. 380 del 2001, il
previo rilascio del permesso di costruire. Invero,
l’espressa assimilazione normativa fra le stazioni radio
base e le opere di urbanizzazione primaria, statuita
dall’art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003, rende
l’installazione di tali manufatti compatibile con qualunque
destinazione di zona ed assoggettata alle sole prescrizioni
di cui all’art. 87, d.lgs. n. 259 del 2003 e non anche alle
previsioni generali di cui all’art. 3, d.P.R. n. 380 del
2001” (TAR Calabria–Catanzaro – Sez. I, 18/09/2012,
n. 958);
- “La realizzazione di un impianto per telefonia
mobile non richiede il previo rilascio del permesso di
costruire ai sensi dell’art. 3, lett. e) t.u. 06.06.2001
n. 380, ma è subordinata solo all’autorizzazione prevista
dall’art. 87 t.u. 01.08.2003 n. 259” (TAR
Basilicata – Sez. I, 30/04/2008, n. 140; conforme: TAR
Lombardia–Milano – Sez. II, 7/09/2007, n. 5772).
Per di più, si consideri che, come segnalato in narrativa,
questo TAR, con ordinanza n. 777, resa nella Camera dì
Consiglio del 14.07.2005, aveva accolto l’istanza cautelare
proposta dalla ricorrente e, nel sospendere l’efficacia
degli atti impugnati, aveva motivato nel modo seguente: “(...) Il ricorso ad un primo esame, appare fondato, tenuto
conto che nella fattispecie è sufficiente l’inoltro della d.i.a.“; che, successivamente, il Comune di Ispani, con
provvedimento n. 4288 dell’01.08.2005, nel richiamare
l’ordinanza cautelare di cui sopra, aveva denegato
l’autorizzazione, perché in contrasto con il Regolamento
Comunale per l’installazione delle infrastrutture della
telefonia mobile, approvato con delibera consiliare n. 15
del 29.06.2001; che, con ricorso n. R. G. 2124/2005, la
società aveva impugnato detto diniego, nonché la delibera
consiliare n. 15/2001 ed il relativo regolamento, e questo
TAR, dapprima, con ordinanza n. 1421/05, aveva accolto
l’istanza cautelare e sospeso l’efficacia del regolamento e
poi, con sentenza n. 1924/2007, aveva accolto il ricorso ed
annullato gli atti impugnati (diniego, delibera consiliare
n. 15/2001 e relativo regolamento); sicché condivisibili si
presentano le deduzioni difensive della stessa ricorrente,
nel senso che, ferme ed impregiudicate le censure avanzate
in ricorso, l’ente locale, a sostegno dei provvedimenti
impugnati, avesse posto, quale unico motivo, l’asserita
necessità del permesso a costruire, per la realizzazione
della stazione radio base per telefonia mobile; mentre la
difesa dello stesso ente, nella propria memoria del
06.07.2005, aveva richiamato, a fondamento dei medesimi, il
regolamento Comunale, per l’installazione delle
infrastrutture della telefonia mobile (mai menzionato nei
provvedimenti impugnati), approvato con delibera Consiliare
n. 15/2001 ed annullato da questo TAR, con sentenza n.
1924/2007, allegata; sicché, anche a prescindere
dall’inammissibilità di una nuova motivazione, da parte
della difesa dell’ente, a sostegno della legittimità degli
atti impugnati, le deduzioni della stessa andavano comunque
rigettate, in considerazione dell’intervenuto annullamento
del prefato regolamento, disposto con la richiamata sentenza
n. 1924/2007 di questo TAR; in ogni caso, un regolamento
Comunale non poteva imporre, per l’installazione di stazioni
radio base per telefonia mobile, il rilascio del permesso a
costruire, ponendosi altrimenti in contrasto con la
normativa statale di cui al d.lgs. 259/2003, dovendo quindi
la previsione regolamentare essere disapplicata, perché in
contrasto con una norma di rango superiore (l’osservazione è
pertinente, giusti gli esiti della giurisprudenza,
sintetizzati in precedenza)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 27.01.2015 n. 220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La previsione in un regolamento edilizio di un
generalizzato divieto di realizzazione di antenne per
telecomunicazioni nelle zone A, B, C della pianificazione
urbanistica e a meno di 200 metri da edifici adibiti a
residenza o a permanenza continuativa di persone superiore a
4 ore, costituisce atto di sviamento del potere comunale di
localizzazione dei predetti impianti nella misura in cui
introduce misure urbanistico–edilizie rispondenti non già al
fine del corretto utilizzo del territorio, ma al diverso ed
esclusivo scopo di prevenire paventati ed indimostrati
effetti nocivi sulla salute pubblica derivati da eccessiva
prossimità agli impianti in questione rispetto a luoghi
ritenuti “sensibili” perché ospitanti per un lungo lasso di
tempo popolazioni non professionalmente esposte al campo
elettromagnetico.
Essa è inoltre illogica e sproporzionata, siccome derivante
da una inadeguata istruttoria e rappresentazione della
realtà tecnica delle infrastrutture di rete per telefonia
mobile.
---------------
L’individuazione di una distanza minima delle stazioni radio
base di telefonia mobile da particolari tipologie di
insediamenti abitativi, in quanto essenzialmente preordinata
a garantire la tutela della salute pubblica da ipotizzabili
fonti di inquinamento, non costituisce attribuzione che
l’Amministrazione comunale può autonomamente esercitare,
spettando tale competenza all’Amministrazione statale, e
tale conclusione vale anche per il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio base per la telefonia
cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a
destinazione residenziale ovvero per l’introduzione di
misure che, pur essendo astrattamente e tipicamente
urbanistiche, quali le distanza, le altezze o altro, non
sono in realtà funzionali al governo del territorio, ma alla
tutela dei rischi dell’elettromagnetismo.
---------------.
La potestà regolamentare comunale ex art. 8, l. 22.02.2001
n. 36 deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe,
poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, ma non
può tradursi in un generalizzato divieto di installazione in
zone urbanistiche identificate; tale previsione verrebbe
infatti a costituire un’inammissibile misura di carattere
generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle
emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in
contrasto con l’art. 4, l. n. 36, cit., che riserva alla
competenza dello Stato la determinazione, con criteri
unitari, dei limiti di esposizione, dei lavori di attenzione
e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da
applicarsi su tutto il territorio dello Stato.
---------------
In tema di telefonia mobile, è illegittima la previsione
regolamentare di un comune che vieta l’installazione di
stazioni radio base all’interno di tutto il centro abitato,
imponendo, nelle rimanenti zone, distanze non inferiori a
500 metri dal perimetro del centro urbano, in quanto tende a
disciplinare non profili urbanistici rientranti nella
competenza dell’Ente locale, ma, con un divieto di carattere
pressoché generalizzato, a tutelare la salute umana al fine
di prevenire i rischi derivanti dall’esposizione della
popolazione a campi elettromagnetici, esorbitando, come
tale, dall’ambito normativamente riservato ai c.d.
regolamenti di minimizzazione.
Resta, quindi,
soltanto da decidere della legittimità o meno delle suddette
delibere, di Consiglio e Giunta, e del conseguente avviso
negativo espresso dalla C.E.C.I.: quanto alle due
deliberazioni citate, rileva il Collegio che, con la prima,
l’organo consiliare approvava una proposta del sindaco,
volta a consentire l’installazione degli impianti in
questione, “solo e unicamente in zone ove non ci siano
civili abitazioni, scuole e comunità in genere”; con la
seconda, l’organo esecutivo dell’Amministrazione deliberava,
in linea di stretta consequenzialità rispetto al deliberato
del Consiglio, di vietare l’installazione di stazioni radio
base per telefonia mobile “nei centri abitati, scuole,
comunità e case sparse sul territorio, sugli edifici e in
loro prossimità”; la considerazione delle due riferite
determinazioni assembleari rivestiva un ruolo fondamentale
nella motivazione del parere contrario, licenziato dalla
Commissione Edilizia Comunale Integrata, unitamente allo
“enorme impatto ambientale, pregiudizievole per l’economia
turistica della frazione Capitello e dell’intera zona”,
provocato dall’impianto a realizzarsi.
Rispetto a tali provvedimenti, la società ricorrente,
nell’atto di motivi aggiunti in esame, ha formulato una
serie di censure, tendenti a porre in risalto, tra l’altro,
l’indiscriminata estensione del divieto di realizzare
stazioni radio base per telefonia cellulare, risolventesi in
una sostanziale impossibilità di istallare antenne
nell’intero centro abitato, ed anzi in tutto il territorio
comunale, con conseguenti impossibilità di garantire la
copertura del medesimo territorio e pregiudizio per
l’efficienza del pubblico servizio di telecomunicazioni;
nonché l’incompetenza della Giunta e del Consiglio a
licenziare norme siffatte, di spettanza del legislatore
nazionale e regionale.
Tali doglianze sono fondate e determinano pertanto, con
assorbimento d’ogni altro profilo di censura, l’accoglimento
del ricorso per motivi aggiunti in esame, conformemente alla
prevalente giurisprudenza, sia coeva, sia successiva alla
proposizione del medesimo ricorso, per la quale si leggano,
tra le tante, le seguenti massime:
- “La previsione in un
regolamento edilizio di un generalizzato divieto di
realizzazione di antenne per telecomunicazioni nelle zone A,
B, C della pianificazione urbanistica e a meno di 200 metri
da edifici adibiti a residenza o a permanenza continuativa
di persone superiore a 4 ore, costituisce atto di sviamento
del potere comunale di localizzazione dei predetti impianti
nella misura in cui introduce misure urbanistico–edilizie
rispondenti non già al fine del corretto utilizzo del
territorio, ma al diverso ed esclusivo scopo di prevenire
paventati ed indimostrati effetti nocivi sulla salute
pubblica derivati da eccessiva prossimità agli impianti in
questione rispetto a luoghi ritenuti “sensibili” perché
ospitanti per un lungo lasso di tempo popolazioni non
professionalmente esposte al campo elettromagnetico. Essa è
inoltre illogica e sproporzionata, siccome derivante da una
inadeguata istruttoria e rappresentazione della realtà
tecnica delle infrastrutture di rete per telefonia mobile”
(TAR Campania–Napoli, Sez. I, 27/11/2002, n. 7481);
- “L’individuazione di una distanza minima delle stazioni
radio base di telefonia mobile da particolari tipologie di
insediamenti abitativi, in quanto essenzialmente preordinata
a garantire la tutela della salute pubblica da ipotizzabili
fonti di inquinamento, non costituisce attribuzione che
l’Amministrazione comunale può autonomamente esercitare,
spettando tale competenza all’Amministrazione statale, e
tale conclusione vale anche per il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio base per la telefonia
cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a
destinazione residenziale ovvero per l’introduzione di
misure che, pur essendo astrattamente e tipicamente
urbanistiche, quali le distanza, le altezze o altro, non
sono in realtà funzionali al governo del territorio, ma alla
tutela dei rischi dell’elettromagnetismo” (TAR Piemonte
– Sez. I, 23/07/2013, n. 901);
- “La potestà regolamentare
comunale ex art. 8, l. 22.02.2001 n. 36 deve tradursi
in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di
interessi di rilievo pubblico, ma non può tradursi in un
generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche
identificate; tale previsione verrebbe infatti a costituire
un’inammissibile misura di carattere generale,
sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in contrasto
con l’art. 4, l. n. 36, cit., che riserva alla competenza
dello Stato la determinazione, con criteri unitari, dei
limiti di esposizione, dei lavori di attenzione e degli
obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi su
tutto il territorio dello Stato” (TAR Lazio–Latina –
Sez. I, 16/07/2013, n. 625);
- “In tema di telefonia mobile, è
illegittima la previsione regolamentare di un comune che
vieta l’installazione di stazioni radio base all’interno di
tutto il centro abitato, imponendo, nelle rimanenti zone,
distanze non inferiori a 500 metri dal perimetro del centro
urbano, in quanto tende a disciplinare non profili
urbanistici rientranti nella competenza dell’Ente locale,
ma, con un divieto di carattere pressoché generalizzato, a
tutelare la salute umana al fine di prevenire i rischi
derivanti dall’esposizione della popolazione a campi
elettromagnetici, esorbitando, come tale, dall’ambito
normativamente riservato ai c.d. regolamenti di
minimizzazione” (TAR Sicilia–Palermo – Sez. II, 16/10/2007,
n. 2219)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 27.01.2015 n. 220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
APPALTI SERVIZI: Il
Collegio non ignora che, secondo un orientamento
giurisprudenziale minoritario, le norme invocate dalla
ricorrente (art. 86, comma 3-bis, e art. 87, comma 4, del
d.lgs. n. 163/2006, nonché l'art. 26, comma 6, del d.lgs. n.
81/2008) hanno un valore immediatamente precettivo e sono
come tali idonee ad eterointegrare automaticamente le regole
della singola gara ai sensi dell'art. 1374 c.c.,
determinando l'inosservanza di dette norme l'esclusione
dalla gara per incompletezza della offerta.
Secondo un diverso orientamento, le norme in questione non
trovano applicazione con riferimento agli appalti di servizi
di cui all'allegato II B, poiché esse non sono richiamate
dall'art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, non sono
espressive di principi generali e, in quanto disposizioni di
dettaglio, neppure possono trasformarsi in norme di
principio sol perché poste a presidio di interessi aventi
una rilevanza costituzionale.
Il Collegio ritiene di condividere l'orientamento espresso
dalla pronuncia da ultimo menzionata, anche in base alla
considerazione che, ove il legislatore avesse inteso rendere
obbligatoria per tutti i tipi di appalti la indicazione
degli oneri della sicurezza già nella offerta economica,
avrebbe introdotto le opportune modifiche all'art. 20, comma
1, del codice dei contratti pubblici.
Inoltre, la non applicazione dell'art. 86, commi 3-bis e
3-ter, e dell'art. 87, comma 4, agli appalti di servizi di
cui all'allegato II B non implica affatto che, in tali casi,
alle stazioni appaltanti ed alle imprese sia consentito di
non adempiere all'obbligo di remunerare i lavoratori secondo
i contratti vigenti o di sottrarsi agli obblighi inerenti la
sicurezza sui luoghi di lavoro, poiché le stazioni
appaltanti possono, comunque, vincolarsi al rispetto delle
suddette norme in punto di obbligo di indicazione,
nell'offerta economica, degli oneri della sicurezza non
soggetti a ribasso.
Invero, l'obbligo di specificare, a pena di esclusione, gli
oneri della sicurezza nell'offerta economica non può farsi
discendere automaticamente dall'art. 26, comma 6, del D.Lgs.
n. 81/2008, il quale si limita a prescrivere che gli enti
aggiudicatori, "nella predisposizione delle gare di appalto
e nella valutazione dell'anomalia delle offerte" valutino
l'adeguatezza del valore economico al costo del lavoro e
della sicurezza, sebbene quest'ultimo debba essere "indicato
e risultare congruo rispetto all'entità ed alle
caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture"
diversamente da quanto -ad esempio- statuisce l'art. 17
della legge n. 68/1999 in tema di dichiarazione sostitutiva
del rispetto della normativa sul diritto al lavoro dei
disabili.
Ne consegue che, quando si tratta di appalti diversi dai
lavori pubblici (per gli appalti di lavori pubblici,
infatti, vige la norma ad hoc dei piani di sicurezza ex art.
131 del D.Lgs. n. 163/2006) e non vi sia nel bando una
comminatoria espressa d'esclusione, ove sia omesso lo
scorporo degli oneri stessi, il relativo costo, appunto
perché coessenziale e consustanziale al prezzo offerto,
potrebbe rilevare ai soli fini dell'anomalia di
quest'ultimo, nel senso che, per scelta della stazione
appaltante (da interpretare sempre a favore del non
predisponente), il momento di valutazione degli oneri stessi
non è eliso, ma è posticipato al subprocedimento di verifica
della congruità dell'offerta nel suo complesso.
L'art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 recita: "L'aggiudicazione
degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati
nell'allegato II B è disciplinata esclusivamente dall'art.
68 (specifiche tecniche), dall'articolo 65 (avviso sui
risultati della procedura di affidamento), dall'articolo 225
(avvisi relativi agli appalti aggiudicati)", tale
disposizione va integrata con quella del successivo art. 27,
ai sensi del quale l'affidamento dei contratti pubblici
esclusi, in tutto o in parte, dall'applicazione dello stesso
d.lgs. n. 163/2006 deve avvenire "nel rispetto dei
principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza, proporzionalità".
Orbene, il Collegio non ignora che, secondo un orientamento
giurisprudenziale minoritario, le norme invocate dalla
ricorrente (art. 86, comma 3-bis, e art. 87, comma 4, del
d.lgs. n. 163/2006, nonché l'art. 26, comma 6, del d.lgs. n.
81/2008) hanno un valore immediatamente precettivo e sono
come tali idonee ad eterointegrare automaticamente le regole
della singola gara ai sensi dell'art. 1374 c.c.,
determinando l'inosservanza di dette norme l'esclusione
dalla gara per incompletezza della offerta: (conf.: Cons.
Stato, Sez. III, 28.08.2012 n. 4622, avente ad oggetto
l'affidamento di un servizio di ristorazione il cui bando
non prevedeva l'obbligo della indicazione degli oneri della
sicurezza, in relazione ad appalti di servizi compresi
nell'allegato II A del D.Lgs. n. 163/2006; TAR Lombardia, n.
1217/2011, avente ad oggetto un appalto per la manutenzione
di verde pubblico; TAR Piemonte, I, 21.12.2012, n. 1376;
Cons. Stato, Sez. III, 03.07.2013 n. 3565).
Secondo un diverso orientamento, le norme in questione non
trovano applicazione con riferimento agli appalti di servizi
di cui all'allegato II B, poiché esse non sono richiamate
dall'art. 20, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, non sono
espressive di principi generali e, in quanto disposizioni di
dettaglio, neppure possono trasformarsi in norme di
principio sol perché poste a presidio di interessi aventi
una rilevanza costituzionale (ex plurimis: Cons.
Stato, Sez. III, 18.10.2013, n. 5070).
Il Collegio ritiene di condividere l'orientamento espresso
dalla pronuncia da ultimo menzionata, anche in base alla
considerazione che, ove il legislatore avesse inteso rendere
obbligatoria per tutti i tipi di appalti la indicazione
degli oneri della sicurezza già nella offerta economica,
avrebbe introdotto le opportune modifiche all'art. 20, comma
1, del codice dei contratti pubblici.
Inoltre, la non applicazione dell'art. 86, commi 3-bis e
3-ter, e dell'art. 87, comma 4, agli appalti di servizi di
cui all'allegato II B non implica affatto che, in tali casi,
alle stazioni appaltanti ed alle imprese sia consentito di
non adempiere all'obbligo di remunerare i lavoratori secondo
i contratti vigenti o di sottrarsi agli obblighi inerenti la
sicurezza sui luoghi di lavoro, poiché le stazioni
appaltanti possono, comunque, vincolarsi al rispetto delle
suddette norme in punto di obbligo di indicazione,
nell'offerta economica, degli oneri della sicurezza non
soggetti a ribasso.
Invero, l'obbligo di specificare, a pena di esclusione, gli
oneri della sicurezza nell'offerta economica non può farsi
discendere automaticamente dall'art. 26, comma 6, del D.Lgs.
n. 81/2008, il quale si limita a prescrivere che gli enti
aggiudicatori, "nella predisposizione delle gare di
appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte"
valutino l'adeguatezza del valore economico al costo del
lavoro e della sicurezza, sebbene quest'ultimo debba essere
"indicato e risultare congruo rispetto all'entità ed alle
caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture"
diversamente da quanto -ad esempio- statuisce l'art. 17
della legge n. 68/1999 in tema di dichiarazione sostitutiva
del rispetto della normativa sul diritto al lavoro dei
disabili (conf.: TAR Basilicata, I, 23.12.2013, n. 810; TAR
Piemonte, I, 21.12.2012, n. 1376).
Ne consegue che, quando si tratta di appalti diversi dai
lavori pubblici (per gli appalti di lavori pubblici,
infatti, vige la norma ad hoc dei piani di sicurezza
ex art. 131 del D.Lgs. n. 163/2006) e non vi sia nel bando
una comminatoria espressa d'esclusione, ove sia omesso lo
scorporo degli oneri stessi, il relativo costo, appunto
perché coessenziale e consustanziale al prezzo offerto,
potrebbe rilevare ai soli fini dell'anomalia di
quest'ultimo, nel senso che, per scelta della stazione
appaltante (da interpretare sempre a favore del non
predisponente), il momento di valutazione degli oneri stessi
non è eliso, ma è posticipato al subprocedimento di verifica
della congruità dell'offerta nel suo complesso (ex
plurimis: Cons. Stato, Sez. III, 18.10.2013, n. 5070)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 05.12.2014 n. 2132 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
10-bis della legge n. 241 del 1990 prevede che, nei
procedimenti ad istanza di parte, l’adozione di un
provvedimento negativo sia preceduta dalla comunicazione
agli interessati dei motivi che ostano all'accoglimento
della domanda.
Tale disposizione, avente portata generale, trova
applicazione anche nei procedimenti diretti alla
realizzazione degli impianti di telefonia mobile
disciplinati dall'art. 87, d.lgs. n. 259 del 2003, fermo
restando ovviamente che la comunicazione delle ragioni
ostative interrompe il termine per concludere il
procedimento, ovvero per la formazione del silenzio assenso,
fino alla presentazione delle osservazioni da parte degli
interessati o in mancanza fino alla scadenza dei dieci
giorni per l’esercizio del diritto di partecipazione al
contraddittorio.
Ne consegue che l'omissione del preavviso di rigetto
comporta l'illegittimità del provvedimento conclusivo emesso
in violazione dei diritti di partecipazione procedimentale
del destinatario.
---------------
Gli artt. 86 e 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 disciplinano il
rilascio dei titoli abilitativi relativi alle infrastrutture
di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici,
con un procedimento semplificato ai fini urbanistici,
edilizi ed igienico sanitari, destinato a prevalere sulla
disciplina edilizia dettata dal d.P.R. n. 380 del 2001,
assorbendo e sostituendo i procedimenti ordinari per il
rilascio dei titoli abilitativi.
Nel contempo, in base all’art. 86, co. 4, del citato d.lgs.
n. 259, sono fatte espressamente salve le disposizioni a
tutela dei beni ambientali e culturali, ora contenute nel
d.lgs. n. 42 del 2004.
Pertanto in presenza di un immobile o di un’area di
interesse paesaggistico, l’intervento è comunque subordinato
all’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo, con il parere vincolante della competente
Soprintendenza ai sensi dell’art. 146 del citato d.lgs. n.
42.
---------------
I gestori di impianti di telefonia mobile sono tenuti ad
allegare esclusivamente i documenti indicati dal Codice
delle Comunicazioni, ferma restando comunque l’esigenza di
fornire un'appropriata dimostrazione della disponibilità
dell’immobile interessato dall’intervento.
Infatti il procedimento dettato dall'art. 87, d.lgs. n. 259
del 2003 per l’installazione di impianti di telefonia mobile
è improntato a finalità essenzialmente acceleratorie e
semplificatorie, per cui è da escludere che l’autorità
amministrativa possa aggravare il procedimento esigendo
documentazione diversa e ulteriore da quella prevista
dall'allegato 13, modello A o B, del d.lgs. n. 259 del 2003,
per lo scrutinio in ordine al rilascio del titolo
abilitativo secondo le previsioni regolamentari in materia
edilizia.
Sull’argomento vanno innanzitutto
esaminate le censure relative a vizi del procedimento.
L'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 prevede che,
nei procedimenti ad istanza di parte, l’adozione di un
provvedimento negativo sia preceduta dalla comunicazione
agli interessati dei motivi che ostano all'accoglimento
della domanda.
Tale disposizione, avente portata generale, trova
applicazione anche nei procedimenti diretti alla
realizzazione degli impianti di telefonia mobile
disciplinati dall'art. 87, d.lgs. n. 259 del 2003, fermo
restando ovviamente che la comunicazione delle ragioni
ostative interrompe il termine per concludere il
procedimento, ovvero per la formazione del silenzio assenso,
fino alla presentazione delle osservazioni da parte degli
interessati o in mancanza fino alla scadenza dei dieci
giorni per l’esercizio del diritto di partecipazione al
contraddittorio.
Ne consegue che l'omissione del preavviso di rigetto
comporta l'illegittimità del provvedimento conclusivo emesso
in violazione dei diritti di partecipazione procedimentale
del destinatario (cfr. TAR Piemonte, 08/01/2014, n. 18).
Le considerazioni di seguito svolte nel paragrafo 3.1
escludono che il procedimento in questione debba concludersi
necessariamente con una determinazione di diniego, per gli
effetti previsti dall’art. 21-octies della legge n. 241 del
1990.
E’ inoltre da osservare che gli artt. 86 e 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 disciplinano il rilascio dei titoli
abilitativi relativi alle infrastrutture di comunicazione
elettronica per impianti radioelettrici, con un procedimento
semplificato ai fini urbanistici, edilizi ed igienico
sanitari, destinato a prevalere sulla disciplina edilizia
dettata dal d.P.R. n. 380 del 2001, assorbendo e sostituendo
i procedimenti ordinari per il rilascio dei titoli
abilitativi.
Nel contempo, in base all’art. 86, co. 4, del citato d.lgs.
n. 259, sono fatte espressamente salve le disposizioni a
tutela dei beni ambientali e culturali, ora contenute nel
d.lgs. n. 42 del 2004. Pertanto in presenza di un immobile o
di un’area di interesse paesaggistico, l’intervento è
comunque subordinato all’autorizzazione dell’autorità
preposta alla tutela del vincolo, con il parere vincolante
della competente Soprintendenza ai sensi dell’art. 146 del
citato d.lgs. n. 42 (cfr., Cons. St., sez. III, 13/01/2014,
n. 96).
Sennonché non risulta che l’istanza di autorizzazione
paesaggistica, risalente al 10.06.2011, sia stata
inoltrata alla Soprintendenza, accompagnata da una relazione
istruttoria e da una proposta di provvedimento in ordine
alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento.
---------------
Per il resto, è opportuno
osservare che i gestori di impianti di telefonia mobile sono
tenuti ad allegare esclusivamente i documenti indicati dal
Codice delle Comunicazioni, ferma restando comunque
l’esigenza di fornire un'appropriata dimostrazione della
disponibilità dell’immobile interessato dall’intervento
(cfr. TAR Campania, sez. VII, 20/12/2006, n. 10647).
Infatti il procedimento dettato dall'art. 87, d.lgs. n. 259
del 2003 per l’installazione di impianti di telefonia mobile
è improntato a finalità essenzialmente acceleratorie e
semplificatorie, per cui è da escludere che l’autorità
amministrativa possa aggravare il procedimento esigendo
documentazione diversa e ulteriore da quella prevista
dall'allegato 13, modello A o B, del d.lgs. n. 259 del 2003,
per lo scrutinio in ordine al rilascio del titolo
abilitativo secondo le previsioni regolamentari in materia
edilizia (cfr., TAR Campania, sez. VII, 21/4/2009, n. 2077)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 14.11.2014 n. 5886 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Infrastrutture di telecomunicazioni: sono tenute al rispetto
delle distanze previste dai regolamenti locali.
Pur essendo le infrastrutture di
comunicazione elettronica per impianti radioelettrici
soggette ad una disciplina unitaria del procedimento
autorizzatorio, restano, in ogni caso, nuova costruzione che
introducono trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio.
Come tali sono soggette al rispetto dei regolamenti edilizi
in materia di distanza delle costruzioni, dal confine e da
altri fabbricati, non potendo questo elemento essere inteso
come un indebito limite all’espansione della rete di
telecomunicazione.
La recente e significativa pronuncia dei giudici di Palazzo
Spada, prende spunto da due provvedimenti emessi da parte di
una PA locale nei confronti di un Operatore. In particolare
da una prima ingiunzione di immediata sospensione dei
lavori, relativi alla realizzazione di una stazione radio
base sul rilievo della mancata osservanza della distanza
minima dai confini da osservare tra il manufatto shelter
ed i confini interni del lotto e dalle strade, e da un
successivo provvedimento di annullamento, in autotutela,
dell’idonea autorizzazione, già rilasciata al medesimo
Operatore ai sensi dell'art. 87 del d.lgs. 259 del 2003, per
la realizzazione di una stazione radio.
Il giudice di prime cure -TAR Puglia-sez. staccata di Lecce,
sez. II, sent. n. 1136 del 2012–, che aveva già respinto le
domande di annullamento dei provvedimenti formulate
dall’Operatore, aveva altresì precisato che l’impianto di
telecomunicazione, ancorché oggetto della disciplina
speciale dettata dagli artt. 86 e 87 del d.lgs. n. 259 del
2003 relativa al rilascio dell’autorizzazione per
l’installazione delle infrastrutture di t.l.c., non restava
sottratto, in relazione al non contenuto impatto sul
territorio del manufatto accessorio (shelter), alla
disciplina sulle regole dell’edificazione; oltre al fatto
che non venivano in rilievo prescrizioni del Comune che
potevano qualificarsi impeditive della capillare espansione
sul territorio della rete di telecomunicazione.
A tale proposito il Consiglio di Stato, con la recente
sentenza in commento, ha in primo luogo posto l’accento sul
dato testuale dell’art. 3, comma 1, lett. e), punto e.4),
del d.lgs. n. 380 del 2001, il quale include nella categoria
degli interventi di “nuova costruzione” -che introducono “trasformazione
edilizia e urbanistica territorio” e, quindi, sono
soggetti a controllo ai sensi del successivo art. 10- “l’installazione
di torri e tralicci per impianti radio-trasmittenti e di
ripetitori per servizi di telecomunicazione”.
Questo principio non trova eccezione per effetto della
disciplina dettata dall’art. 87 del codice della
comunicazioni elettroniche approvato con d.lgs. n. 259 del
2003. In tal senso, come già ampiamente sottolineato, il
citato Codice delle comunicazioni elettroniche reca una
disciplina unitaria del procedimento autorizzatorio delle
infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti
radioelettrici, abbinando all’interno di un unico
procedimento -a fini di semplificazione ed accelerazione del
rilascio dell’atto conclusivo- la verifica dell’osservanza
dei limiti di esposizione alle emissioni radio-elettriche e
di ogni altro interesse di rilievo pubblico che si colleghi
alla porzione di territorio su cui interviene
l’installazione dell’impianto, ma non reca alcuna
prescrizione volta a derogare al disciplina
urbanistico/edilizia del sito interessato.
La sottrazione al regime autorizzatorio non trova, inoltre,
sostegno nell’assimilazione, ai sensi dell’art. 86, terzo
comma, del d.lgs. n. 259 del 2003, delle infrastrutture di
comunicazione elettronica alle “opere di urbanizzazione
primaria”. Anche tali ultimi interventi -come
espressamente previsto dall’art. 3, comma 1, lett. e), punto
e.2) del d.lgs. n. 380 del 2001- per l’effetto modificativo
dell’assetto del territorio ad essi peculiare si qualificano
come “nuova costruzione” e non sono sottratti al controllo
comunale previsto dall’art. 10 del d.lgs. citato.
In quest’ottica, l’applicazione della regole sulla distanza
delle costruzioni dal confine e da altri fabbricati,
previste dal regolamento edilizio comunale, non può neppure
essere intesa come un indebito limite all’espansione della
rete di telecomunicazione, che necessariamente deve
estendersi al servizio di tutto il territorio comunale.
Ne deriva che la richiesta unicamente diretta all’osservanza
dei limiti di distanza, comuni ad ogni altra nuova
costruzione, in relazione alla collocazione del manufatto
sul lotto asservito all’edificazione, non riporta ad una
radicale preclusione della capillare espansione della rete
di telefonia mobile, che si verifica in presenza di
prescrizioni restrittive che indirizzino l’installazione
degli impianti solo in talune delle zone indicate dallo
strumento urbanistico o in siti all’uopo individuati dal
Comune.
Con la recente pronuncia in commento il Consiglio di Stato
mette, pertanto, in evidenza un importante principio secondo
il quale il corretto sviluppo del tessuto edilizio, che non
può essere pregiudicato da una disordinata ed estemporanea
ubicazione degli impianti di t.l.c., che integrano una nuova
costruzione, in elusione di ogni regola sull’esercizio dello
jus aedificandi. Nel caso in esame la non limitata
consistenza strutturale dell'opera determina un impatto non
contenuto introducendo una trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, che si configura come un
intervento di nuova costruzione, pertanto non sottraibile al
controllo del Comune, e di conseguenza soggetta alle norme
in materia di edilizia e urbanistica.
La pronuncia in commento rappresenta tuttavia un indirizzo
contrario rispetto a quanto già sancito dal medesimo
Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza n. 3536 del
25/06/2007, dove si precisava come non si possano imporre,
mediante regolamento comunale edilizio, l’osservanza di
determinate distanze dagli edifici esistenti, ugualmente, ed
anzi a maggior ragione, non si poteva pretendere di
localizzare gli impianti ad una determinata distanza dal
confine di proprietà, trattandosi di previsione che
apparivano priva di giustificazione alcuna e rappresentativa
solo un indebito impedimento nella realizzazione di una rete
completa di telecomunicazioni.
Orientamento, questo, che si colloca nel solco
dell'indirizzo secondo il quale gli impianti di telefonia
mobile non possono essere assimilati alle normali
costruzioni edilizie in quanto normalmente non sviluppano
volumetria o cubatura, non determinano ingombro visivo
paragonabile a quello delle costruzioni e non hanno un
impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici
in cemento armato o muratura (cfr., tra le tante si ricorda:
Consiglio Stato, VI, 26/08/2003, n. 4847; 24/11/2003,
n.7725; TAR Campania Napoli, sez. I, 04/03/2005, n. 16110;
TAR Sicilia Catania, sez. IV, 03/05/2008, n. 711; TAR
Sicilia-Palermo, sez. II, 11/11/2011, n. 2100) (commento
tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 19.05.2014 n. 2521 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. SRB illegittimità obbligo d’installazione degli
impianti di telefonia mobile in soli tre siti.
La scelta del Comune di localizzare nell’ambito dell’intero
territorio comunale, l’installazione degli impianti di
telefonia mobile in soli tre siti, si pone in evidente
contrasto con la natura di opere di urbanizzazione primaria
delle anzidette strutture, che devono essere poste al
servizio degli insediamenti abitativi e seguire il loro
sviluppo, garantendo una capillare distribuzione sul
territorio della rete di telecomunicazione.
Inoltre, la
disposizione censurata si configura indirizzata a scopi di
radioprotezione che esulano dalla sfera dei poteri assegnati
al Comune dall’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001
sull’insediamento degli impianti di telecomunicazione nel
proprio territorio e rientrano, invece, nelle attribuzioni
degli organi dello Stato individuati dall’art. 4 della legge
citata.
Quanto al merito della vicenda, la scelta del Comune di
Veroli di localizzare, nell’ambito dell’intero territorio
comunale, l’installazione degli impianti di telefonia mobile
in soli tre siti, si pone in evidente contrasto con la
natura di opere di urbanizzazione primaria delle anzidette
strutture, che devono essere poste al servizio degli
insediamenti abitativi e seguire il loro sviluppo,
garantendo una capillare distribuzione sul territorio della
rete di telecomunicazione.
Inoltre, come reso evidente dalla stessa intestazione del
regolamento approvato con delibera n. 23 del 2003, la
disposizione censurata si configura indirizzata a scopi di
radioprotezione che esulano dalla sfera dei poteri assegnati
al Comune dall’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001
sull’insediamento degli impianti di telecomunicazione nel
proprio territorio e rientrano, invece, nelle attribuzioni
degli organi dello Stato individuati dall’art. 4 della legge
citata (cfr. ex multis Cons. St. Sez. VI, n. 1567 del
06.04.2007; n. 3332 del 05.06.2006) (massima
tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 13.05.2014 n. 2455 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. D.I.A. (ora S.C.I.A.) in sanatoria anche per gli
impianti di telefonia mobile.
Non si può disconoscere, infatti, la possibilità di
richiedere la d.i.a. (ora s.c.i.a.) in sanatoria anche per
gli impianti di telefonia mobile, non ostando a ciò la sola
mancata espressa previsione di tale possibilità nell’art. 87
del d.lgs. 259/2003, dato che lo stesso art. 87, comma 3,
del d.lgs. 259/2003 richiama sic et simpliciter il
procedimento della s.c.i.a. (un tempo d.i.a.) e, con esso,
non esclude affatto anche la d.i.a. in sanatoria.
A nulla
giova invocare, in senso ostativo a tale conclusione, il
principio di cautela nel rilascio di titoli autorizzatori
per l’installazione degli impianti in questione, e trarne il
corollario che tale regime debba essere necessariamente
preventivo a tutela della salute umana, poiché la stessa
scelta legislativa della d.i.a. (ora s.c.i.a.) e il favor
che assiste l’installazione degli impianti e la
semplificazione delle procedure, “fermo restando il rispetto
dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli
obiettivi di qualità” indicati dall’art. 87 del d.lgs.
259/2003, consente di affermare la legittimità della d.i.a.
in sanatoria, in presenza di tutte le autorizzazioni
richieste dalla normativa in materia.
16. Non si può disconoscere, infatti, la possibilità di
richiedere la d.i.a. (ora s.c.i.a.) in sanatoria anche per
gli impianti di telefonia mobile, non ostando a ciò la sola
mancata espressa previsione di tale possibilità nell’art. 87
del d.lgs. 259/2003, dato che lo stesso art. 87, comma 3,
del d.lgs. 259/2003 richiama sic et simpliciter il
procedimento della s.c.i.a. (un tempo d.i.a.) e, con esso,
non esclude affatto anche la d.i.a. in sanatoria.
16.1. A nulla giova invocare, in senso ostativo a tale
conclusione, il principio di cautela nel rilascio di titoli
autorizzatori per l’installazione degli impianti in
questione, come fa il TAR nella sentenza impugnata, e trarne
il corollario che tale regime debba essere necessariamente
preventivo a tutela della salute umana, poiché la stessa
scelta legislativa della d.i.a. (ora s.c.i.a.) e il favor
che assiste l’installazione degli impianti e la
semplificazione delle procedure, “fermo restando il
rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione
e degli obiettivi di qualità” indicati dall’art. 87 del
d.lgs. 259/2003, consente di affermare la legittimità della
d.i.a. in sanatoria, in presenza di tutte le autorizzazioni
richieste dalla normativa in materia (massima tratta da
www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 30.04.2014 n. 2247 -
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EDILIZIA PRIVATA: Gli
impianti di telefonia mobile non possono essere assimilati
alle normali costruzioni edilizie, in quanto normalmente non
sviluppano volumetria o cubatura, non determinano ingombro
visivo paragonabile a quello delle costruzioni, non hanno un
impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici
in cemento armato o muratura.
Infatti, l'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003 dispone
espressamente che le infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazioni di cui agli art. 87 e 88 sono assimilate ad
ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria cui
all'art. 16, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, pur restando
di proprietà dei rispettivi operatori e ad esse si applica
la normativa vigente in materia. Pertanto, già la sola
assimilazione fatta per legge delle stazioni radio base ad
opere di urbanizzazione primaria, rende per l'effetto la
compatibilità delle stesse a qualsiasi destinazione
urbanistica di tutte le zone dei territori comunali.
---------------
Al riguardo viene ormai costantemente affermato:
- che “gli impianti di telefonia mobile vanno qualificati
come opere di pubblica utilità assimilabili alla categoria
delle opere di urbanizzazione primaria” e che
“l'installazione di una ‘stazione radio-base’ va considerata
quale infrastruttura astrattamente compatibile, di regola,
con qualsiasi destinazione di zona”;
- che “l’attuale disciplina in tema di installazione di
strutture operanti quali cc.dd. stazioni ‘radio–base per
telefonia mobile’, risultante dal combinato disposto. delle
norme contenute nella L .n. 36 del 2001 (legge quadro sulla
protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici) e nel D.Lgs. n. 259 del 2003 (c.d. “codice
delle comunicazioni”), introduce i principi secondo cui le
funzioni (legislative ed amministrative) relative alla
determinazione dei limiti di esposizione alle onde
elettromagnetiche (nonché, per quanto qui interessa, alle
tecniche di misurazione e di rilevamento dell’inquinamento
elettromagnetico e di elaborazione dei criteri per
l’adozione di misure preventive e di piani di risanamento),
sono attribuite allo Stato;
- che sono di competenza delle Regioni le funzioni relative
alla localizzazione dei siti di trasmissione ed alla
regolamentazione delle modalità procedimentali per il
rilascio delle autorizzazioni; dal che deriva che le
fondamentali competenza in materia in materia risultano
suddivise fra lo Stato e le Regioni”;
- pertanto “ai Comuni è riservata, in subjecta materia, una
potestà del tutto sussidiaria, potendo Essi adottare
regolamenti finalizzati esclusivamente ad assicurare il
corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti, nonché a minimizzare, sempre che in conformità ed
in attuazione alle direttive ed ai criteri introdotti dallo
Stato e dalle Regioni, l’esposizione della popolazione ai
campi elettromagnetici (restando esclusa, cioè, ogni potestà
normativa in capo agli Enti Locali in ordine alla
determinazione di criteri, maggiormente limitativi o rigidi,
di valutazione della soglia di inquinamento elettromagnetico
o alla introduzione di divieti generali e/o di misure
generali interdittive a contenuto igienico-sanitario)”.
---------------
L’assetto normativo vigente ha condotto, dunque, la
giurisprudenza amministrativa ad affermare:
- che “non può ammettersi che, nell'esercizio della potestà
volta ad emanare norme regolamentari con valenza
urbanistico-edilizia, possa surrettiziamente introdursi una
disciplina di natura radioprotezionistica; in tal caso, si
configurerebbe, invero, un'interferenza con la competenza
riservata allo Stato, cui spetta di fissare i limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici, nel presupposto
indefettibile che la tutela della salute è un'esigenza
indeclinabile, ma di carattere essenzialmente unitario sul
territorio nazionale”; e che pertanto “Il divieto
generalizzato di installare le stazioni radio base per la
telefonia cellulare in ampie zone del territorio comunale …
(omissis) …appare perseguire palesemente il fine di
sovrapporre una determinazione di stretta matrice
cautelativa, ispirata al principio di precauzione, alla
normativa statale che ha fissato a tal fine puntuali limiti
di radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa”;
- che “in materia di installazione di stazione radio base
per la telefonia cellulare, anche il formale utilizzo degli
strumenti urbanistico-edilizi e il dichiarato intento di
esercitare competenze in materia di governo del territorio
non possono giustificare l'imposizione da parte di un Comune
di misure che, attraverso divieti generalizzati di
installazione delle stazioni radio base, di fatto vengono a
costituire indiretta deroga ai limiti di esposizione alle
onde elettromagnetiche indicati dalla normativa statale, con
la precisazione che l'autorizzazione rilasciata ex art. 87
d.lgs. 01.08.2003, n. 259, non costituisce titolo
abilitativo aggiuntivo rispetto a quello richiesto dalla
disciplina urbanistico-edilizia, ma assorbe in sé e
sintetizza ogni relativa valutazione”;
- che “in materia di emissioni elettromagnetiche, le norme
di riferimento sono la legge quadro n. 36 del 2001 ed il
d.lgs. 01.08.2003 n. 259 … (…) …”; e che “… il Comune non è
legittimato a sovrapporre le proprie valutazioni in ordine
alla fissazione dei limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici, una volta che sia stato rilasciato il
parere del PMP competente per zona e prodotto in atti”;
- che “l'installazione di una stazione radio base di
telefonia cellulare è subordinata soltanto
all'autorizzazione prevista dall'art. 87, t.u. 01.08.2003 n.
259 (codice delle comunicazioni elettroniche), non
occorrendo all'uopo il permesso di costruire di cui all'art.
3 lett. e), t.u. 06.06.2001 n. 380”;
- che “l'installazione di un impianto radio base é sottratto
alla normativa edilizia ed ai provvedimenti a tutela della
salute pubblica”; e che “per la realizzazione degli impianti
di stazione radio base si devono applicare i criteri
stabiliti dal d.lgs. n. 259 del 2003 in base ai quali gli
impianti di telefonia mobile vanno qualificati come opere di
pubblica utilità assimilabili alla categoria delle opere di
urbanizzazione primaria compatibili in astratto con ogni
tipo di zonizzazione e, come tali, non si prevede per essi
il titolo edilizio, né è possibile un interevento del
Sindaco a tutela della salute pubblica, ove non si deduca il
rispetto dei limiti di emissione di legge”;
- che “è illegittimo il regolamento comunale che prevede
l'esclusione da tutto il territorio comunale urbanizzato di
qualsiasi impianto di telefonia mobile, radioelettrico e per
radiodiffusione, dato che l'installazione di una stazione
radio base va considerata quale infrastruttura, compatibile
con qualsiasi destinazione di zona”;
- che “è illegittimo, poiché opera una non consentita
applicazione analogica di una normativa dettata per gli
edifici alle stazioni radio, il provvedimento comunale di
diniego di una concessione edilizia in sanatoria per una
stazione radio base (Srb) per la telefonia mobile, fondato
sul contrasto tra l'impianto ed il limite di altezza degli
edifici prescritto per il centro abitato, non potendosi
equiparare costruzioni (che sviluppano volumetria o
cubatura, ingombri visibili ecc.) ed impianti tecnologici”;
- che “è illegittimo il diniego di concessione edilizia per
la costruzione di una stazione radio per telefonia mobile,
che sia motivato esclusivamente in riferimento al contrasto
col regolamento, comunale per l'installazione di impianti
radiomobili, in quanto che a detto regolamento non può
riconoscersi valenza di strumento urbanistico”;
- che “il titolo abilitativo alla realizzazione di una
stazione radio base può essere negato esclusivamente con
riguardo ad una specifica disciplina conformativa relativa
alle reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il
funzionamento del servizio pubblico di telefonia”; e che
“pertanto, è illegittimo il diniego di concessione edilizia
per superamento dei limiti di altezza dettati con
riferimento a strutture e manufatti di rilievo urbanistico
ed edilizio”;
- che “ai sensi dell'art. 231, comma 4, T.U. 29.03.1973 n.
156, l'installazione di una stazione radio base del servizio
di telefonia mobile deve essere qualificata come opera di
urbanizzazione primaria, attesa la funzione di pubblica
utilità dell'opera e, in quanto tale, ubicabile in qualsiasi
parte del territorio comunale”;
- che “ai sensi dell'art. 4, comma 7, L.reg. Lombardia
11.05.2001 n. 11, gli impianti radiobase di telefonia mobile
di potenza totale non superiore a 300 Watt non richiedono
specifica regolamentazione urbanistica, con conseguente
illegittimità delle disposizioni pianificatorie comunali che
introducano in termini assoluti divieti di installazione per
tali impianti, anche solo su porzioni del territorio
comunale”;
- che “in tema di installazione di impianti di telefonia
mobile, nella Regione Friuli Venezia Giulia la L.reg.
06.12.2004 n. 28 consente, a regime, l'installazione di tali
impianti nelle zone residenziali, mentre l'art. 15 della
stessa legge fissa in via transitoria i parametri ai quali
soltanto si devono attenere i Comuni in attesa dei piani di
settore”; e che “pertanto, l'Amministrazione non può erigere
contro la domanda di concessione edilizia per la
realizzazione di una stazione radio base per la telefonia
mobile la barriera di un divieto nascente da una norma
tecnica di attuazione del piano regolatore comunale, che per
tali categorie di impianti impone una determinata distanza
minima (… omissis …) dagli edifici residenziali esistenti,
trattandosi di disposizione desueta e incompatibile con la
legge sopravvenuta e, in ogni caso, illegittima ove integri
un divieto generalizzato di installazione di impianti di
telefonia mobile in ingenti porzioni del territorio
comunale”.
La giurisprudenza pacifica e consolidata di questa Sezione,
nonché quella nazionale, è assolutamente orientata nel
ritenere che gli impianti di telefonia mobile non possono
essere assimilati alle normali costruzioni edilizie, in
quanto normalmente non sviluppano volumetria o cubatura, non
determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle
costruzioni, non hanno un impatto sul territorio
paragonabile a quello degli edifici in cemento armato o
muratura (TAR Palermo, sez. II, 27.03.2012, n. 622, ed ivi
per altri riferimenti giurisprudenziali; id., 09.05.2006 n.
1010; Cons. St., sez. VI, 08.06.2010 n. 3412; TAR Campania,
sez. VII, 28.10.2011 n. 5030; TAR Calabria, sez. I,
24.06.2009 n. 678).
Infatti, l'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003 dispone
espressamente che le infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazioni di cui agli art. 87 e 88 sono assimilate ad
ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria cui
all'art. 16, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, pur restando
di proprietà dei rispettivi operatori e ad esse si applica
la normativa vigente in materia. Pertanto, già la sola
assimilazione fatta per legge delle stazioni radio base ad
opere di urbanizzazione primaria, rende per l'effetto la
compatibilità delle stesse a qualsiasi destinazione
urbanistica di tutte le zone dei territori comunali (ex
multis, Cons. St., sez. VI, 15.07.2010 n. 4557).
Al riguardo viene ormai costantemente affermato:
- che “gli impianti di telefonia mobile vanno qualificati
come opere di pubblica utilità assimilabili alla categoria
delle opere di urbanizzazione primaria” e che “l'installazione
di una ‘stazione radio-base’ va considerata quale
infrastruttura astrattamente compatibile, di regola, con
qualsiasi destinazione di zona” (TAR Sicilia, Palermo,
II, 27.03.2012 n. 622);
- che “l’attuale disciplina in tema di installazione di
strutture operanti quali cc.dd. stazioni ‘radio–base per
telefonia mobile’, risultante dal combinato disposto. delle
norme contenute nella L .n. 36 del 2001 (legge quadro sulla
protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici) e nel D.Lgs. n. 259 del 2003 (c.d. “codice
delle comunicazioni”), introduce i principi secondo cui le
funzioni (legislative ed amministrative) relative alla
determinazione dei limiti di esposizione alle onde
elettromagnetiche (nonché, per quanto qui interessa, alle
tecniche di misurazione e di rilevamento dell’inquinamento
elettromagnetico e di elaborazione dei criteri per
l’adozione di misure preventive e di piani di risanamento),
sono attribuite allo Stato; e che sono di competenza delle
Regioni le funzioni relative alla localizzazione dei siti di
trasmissione ed alla regolamentazione delle modalità
procedimentali per il rilascio delle autorizzazioni; dal che
deriva che le fondamentali competenza in materia in materia
risultano suddivise fra lo Stato e le Regioni” (TAR
Sicilia, Palermo, II, 27.03.2012 n. 622); e che pertanto “ai
Comuni è riservata, in subjecta materia, una potestà del
tutto sussidiaria, potendo Essi adottare regolamenti
finalizzati esclusivamente ad assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti,
nonché a minimizzare, sempre che in conformità ed in
attuazione alle direttive ed ai criteri introdotti dallo
Stato e dalle Regioni, l’esposizione della popolazione ai
campi elettromagnetici (restando esclusa, cioè, ogni potestà
normativa in capo agli Enti Locali in ordine alla
determinazione di criteri, maggiormente limitativi o rigidi,
di valutazione della soglia di inquinamento elettromagnetico
o alla introduzione di divieti generali e/o di misure
generali interdittive a contenuto igienico-sanitario)”
(TAR Sicilia, Palermo, II, 27.03.2012 n. 622).
L’assetto normativo vigente ha condotto, dunque, la
giurisprudenza amministrativa ad affermare:
- che “non può ammettersi che, nell'esercizio della
potestà volta ad emanare norme regolamentari con valenza
urbanistico-edilizia, possa surrettiziamente introdursi una
disciplina di natura radioprotezionistica; in tal caso, si
configurerebbe, invero, un'interferenza con la competenza
riservata allo Stato, cui spetta di fissare i limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici, nel presupposto
indefettibile che la tutela della salute è un'esigenza
indeclinabile, ma di carattere essenzialmente unitario sul
territorio nazionale”; e che pertanto “Il divieto
generalizzato di installare le stazioni radio base per la
telefonia cellulare in ampie zone del territorio comunale …
(omissis) …appare perseguire palesemente il fine di
sovrapporre una determinazione di stretta matrice
cautelativa, ispirata al principio di precauzione, alla
normativa statale che ha fissato a tal fine puntuali limiti
di radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa”
(TAR Trentino Alto Adige Trento, I, 11.06.2010, n. 160);
- che “in materia di installazione di stazione radio base
per la telefonia cellulare, anche il formale utilizzo degli
strumenti urbanistico-edilizi e il dichiarato intento di
esercitare competenze in materia di governo del territorio
non possono giustificare l'imposizione da parte di un Comune
di misure che, attraverso divieti generalizzati di
installazione delle stazioni radio base, di fatto vengono a
costituire indiretta deroga ai limiti di esposizione alle
onde elettromagnetiche indicati dalla normativa statale, con
la precisazione che l'autorizzazione rilasciata ex art. 87
d.lgs. 01.08.2003, n. 259, non costituisce titolo
abilitativo aggiuntivo rispetto a quello richiesto dalla
disciplina urbanistico-edilizia, ma assorbe in sé e
sintetizza ogni relativa valutazione” (C.S., VI,
03.06.2010 n. 3492);
- che “in materia di emissioni elettromagnetiche, le
norme di riferimento sono la legge quadro n. 36 del 2001 ed
il d.lgs. 01.08.2003 n. 259 … (…) …”; e che “… il
Comune non è legittimato a sovrapporre le proprie
valutazioni in ordine alla fissazione dei limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici, una volta che sia
stato rilasciato il parere del PMP competente per zona e
prodotto in atti” (TAR Calabria Catanzaro, II,
06.03.2008, n. 269);
- che “l'installazione di una stazione radio base di
telefonia cellulare è subordinata soltanto
all'autorizzazione prevista dall'art. 87, t.u. 01.08.2003 n.
259 (codice delle comunicazioni elettroniche), non
occorrendo all'uopo il permesso di costruire di cui all'art.
3 lett. e), t.u. 06.06.2001 n. 380” (TAR Lombardia,
Milano, II, 07.09.2007, n. 5772);
- che “l'installazione di un impianto radio base é
sottratto alla normativa edilizia ed ai provvedimenti a
tutela della salute pubblica”; e che “per la
realizzazione degli impianti di stazione radio base si
devono applicare i criteri stabiliti dal d.lgs. n. 259 del
2003 in base ai quali gli impianti di telefonia mobile vanno
qualificati come opere di pubblica utilità assimilabili alla
categoria delle opere di urbanizzazione primaria compatibili
in astratto con ogni tipo di zonizzazione e, come tali, non
si prevede per essi il titolo edilizio, né è possibile un
interevento del Sindaco a tutela della salute pubblica, ove
non si deduca il rispetto dei limiti di emissione di legge”
(TAR Sicilia Catania, II, 01.08.2007, n. 1337);
- che “è illegittimo il regolamento comunale che prevede
l'esclusione da tutto il territorio comunale urbanizzato di
qualsiasi impianto di telefonia mobile, radioelettrico e per
radiodiffusione, dato che l'installazione di una stazione
radio base va considerata quale infrastruttura, compatibile
con qualsiasi destinazione di zona” (TAR Calabria
Catanzaro, II, 17.04.2007, n. 330);
- che “è illegittimo, poiché opera una non consentita
applicazione analogica di una normativa dettata per gli
edifici alle stazioni radio, il provvedimento comunale di
diniego di una concessione edilizia in sanatoria per una
stazione radio base (Srb) per la telefonia mobile, fondato
sul contrasto tra l'impianto ed il limite di altezza degli
edifici prescritto per il centro abitato, non potendosi
equiparare costruzioni (che sviluppano volumetria o
cubatura, ingombri visibili ecc.) ed impianti tecnologici”
(CS, VI, 07.06.2006, n. 3425);
- che “è illegittimo il diniego di concessione edilizia
per la costruzione di una stazione radio per telefonia
mobile, che sia motivato esclusivamente in riferimento al
contrasto col regolamento, comunale per l'installazione di
impianti radiomobili, in quanto che a detto regolamento non
può riconoscersi valenza di strumento urbanistico” (TAR
Piemonte, I, 18.05.2500 n.1700; Cfr. conformi, tra le tante,
TAR Milano, I, 02.10.2002 n. 1997; C.S., VI 02.10.2001 n.
5442);
- che “il titolo abilitativo alla realizzazione di una
stazione radio base può essere negato esclusivamente con
riguardo ad una specifica disciplina conformativa relativa
alle reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il
funzionamento del servizio pubblico di telefonia”; e che
“pertanto, è illegittimo il diniego di concessione edilizia
per superamento dei limiti di altezza dettati con
riferimento a strutture e manufatti di rilievo urbanistico
ed edilizio” (TAR Milano, 18.01.2005 n. 71);
- che “ai sensi dell'art. 231, comma 4, T.U. 29.03.1973
n. 156, l'installazione di una stazione radio base del
servizio di telefonia mobile deve essere qualificata come
opera di urbanizzazione primaria, attesa la funzione di
pubblica utilità dell'opera e, in quanto tale, ubicabile in
qualsiasi parte del territorio comunale” (TAR Salerno,
Sez. Unica, 16.9.2003 n. 885);
- che “ai sensi dell'art. 4, comma 7, L.reg. Lombardia
11.05.2001 n. 11, gli impianti radiobase di telefonia mobile
di potenza totale non superiore a 300 Watt non richiedono
specifica regolamentazione urbanistica, con conseguente
illegittimità delle disposizioni pianificatorie comunali che
introducano in termini assoluti divieti di installazione per
tali impianti, anche solo su porzioni del territorio
comunale” (TAR Milano, IV, 11.06.2008 n. 1971);
- che “in tema di installazione di impianti di telefonia
mobile, nella Regione Friuli Venezia Giulia la L.reg.
06.12.2004 n. 28 consente, a regime, l'installazione di tali
impianti nelle zone residenziali, mentre l'art. 15 della
stessa legge fissa in via transitoria i parametri ai quali
soltanto si devono attenere i Comuni in attesa dei piani di
settore”; e che “pertanto, l'Amministrazione non può
erigere contro la domanda di concessione edilizia per la
realizzazione di una stazione radio base per la telefonia
mobile la barriera di un divieto nascente da una norma
tecnica di attuazione del piano regolatore comunale, che per
tali categorie di impianti impone una determinata distanza
minima (… omissis …) dagli edifici residenziali esistenti,
trattandosi di disposizione desueta e incompatibile con la
legge sopravvenuta e, in ogni caso, illegittima ove integri
un divieto generalizzato di installazione di impianti di
telefonia mobile in ingenti porzioni del territorio comunale”
(TAR Friuli Venezia Giulia, 08.03.2007 n. 173).
Ragioni, queste, per le quali va affermato che il diniego
opposto dal Comune alla richiesta della società ricorrente,
non resiste alle dedotte censure
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 01.04.2014 n. 951 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. SRB illegittimità obbligo conferma della
validità dell’autorizzazione posseduta alla data di entrata
in vigore del regolamento comunale.
Esula dai poteri riconosciuti dall’art. 8, comma 6, della l.
n. 36/2001 ai Comuni la potestà di aggravare, senza che ve
ne siano le specifiche ragioni da tale legge previste, il
procedimento finalizzato al rilascio dei titoli abilitativi
contemplati dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche,
onerando gli operatori, di nuove e/o periodiche procedure di
“conferma” di titoli già validi ed efficaci, ai sensi della
normativa nazionale, sotto comminatoria di decadenza, dato
che tale potestà non si può mai tradurre nel potere di
sospendere la efficacia e validità dei titoli abilitativi
formati e di incidere, come appunto accade nel caso di
specie, sul procedimento di formazione della d.i.a.
presentata per l’ammodernamento tecnologico dell’impianto,
così introducendo un’inammissibile misura di carattere
generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle
emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile.
---------------
La potestà assegnata ai Comuni dall’art. 8, comma 6, della
legge quadro n. 36/2001 (che prevede la possibilità che i
Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione
finalizzato a garantire "il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e a minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici")
deve tradursi nell’introduzione, sotto il profilo
urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di
particolare pregio ambientale, paesaggistico o
storico-artistico (ovvero, per ciò che riguarda la
minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici, nell’individuazione di siti che per
destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere
considerati sensibili alle immissioni radioelettriche),
senza trasformarsi in limitazioni alla localizzazione degli
impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni
del territorio comunale, in assenza di una plausibile
ragione giustificativa.
--------------
L’autorizzazione, di cui all’art. 87 del d.lgs. 259/2003,
non costituisce atto che presuppone o è presupposto a quello
richiesto dal testo unico in materia edilizia, ma assorbe in
sé e sintetizza, all’esito del procedimento previsto dallo
stesso art. 87, anche la valutazione urbanistico-edilizia
che presiede al titolo, facendo salve le sole disposizioni,
non rilevanti nel caso all’esame, del D.Lgs. n. 42/2004.
Laddove infatti il nuovo procedimento fosse destinato non a
sostituire, ma ad abbinarsi a quello edilizio ordinario,
verrebbero di fatto vanificati i principi ispiratori del
Codice delle Comunicazioni Elettroniche e, in particolare,
quelli della previsione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto
di installazione e della riduzione dei termini per la
conclusione dei procedimenti nonché della regolazione
uniforme dei medesimi.
Deve insomma escludersi, in applicazione degli ordinari
principi in materia di gerarchia delle fonti, che i
regolamenti comunali possano derogare al modulo
procedimentale previsto in materia dalla legge, ispirato
alla ratio di semplificazione e di concentrazione al suo
interno di tutte le relative valutazioni di carattere
urbanistico-edilizio ed igienico-sanitario.
15.1. È anzitutto evidente che il Regolamento comunale abbia
imposto agli operatori e, in particolare, ad H3G s.p.a. un
ingiustificato aggravio procedimentale, richiedendo la “conferma”
dei titoli autorizzatori già rilasciati, addirittura a pena
di decadenza dei titoli stessi, con una previsione che è
contraria alla ratio di semplificazione e di
speditezza, che informa l’intera disciplina dettata dal
Codice delle Comunicazioni Elettroniche in questa materia;
aggravio che appare tanto più irragionevole e penalizzante,
nel caso di specie, quanto più si consideri che H3G s.p.a.,
già dotata di regolare autorizzazione, aveva richiesto solo
l’ammodernamento tecnologico del proprio impianto ai sensi
dell’art. 87-bis del d.lgs. n. 259/2003.
15.2. Esula invero dai poteri riconosciuti dall’art. 8,
comma 6, della l. n. 36/2001 ai Comuni la potestà di
aggravare, senza che ve ne siano le specifiche ragioni da
tale legge previste, il procedimento finalizzato al rilascio
dei titoli abilitativi contemplati dal Codice delle
Comunicazioni Eletrtroniche, onerando gli operatori, come
nel caso di specie, di nuove e/o periodiche procedure di “conferma”
di titoli già validi ed efficaci, ai sensi della normativa
nazionale, sotto comminatoria di decadenza, dato che tale
potestà non si può mai tradurre nel potere di sospendere la
efficacia e validità dei titoli abilitativi formati e di
incidere, come appunto accade nel caso di specie, sul
procedimento di formazione della d.i.a. presentata per
l’ammodernamento tecnologico dell’impianto, così
introducendo un’inammissibile misura di carattere generale,
sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia mobile (v., ex
plurimis, Cons. St., sez. VI, 15.06.2011, n. 3646).
15.3. Vero è che la Sezione non ha mancato di ribadire,
nella sua costante giurisprudenza e ancor di recente, che il
favor assicurato, soprattutto dagli artt. 86 ss. del d.lgs.
259/2003, alla diffusione delle infrastrutture a rete della
comunicazione elettronica, se comporta una forte
compressione dei poteri urbanistici conformativi
ordinariamente spettanti ai Comuni, non arriva a derogare
alle discipline poste a tutela degli interessi differenziati
(in quanto espressione di principi fondamentali della
Costituzione), come quello naturalistico-ambientale.
15.4. Ma questa stessa Sezione ha anche chiaramente
precisato, nel solco della giurisprudenza costituzionale
(cfr., tra le altre, Corte cost. n. 331/2003, n. 307/2003 e
n. 336/2005 ), che la potestà assegnata ai Comuni dall’art.
8, comma 6, della legge quadro n. 36/2001 (che prevede la
possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di
minimizzazione finalizzato a garantire "il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e a
minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici") deve tradursi nell’introduzione,
sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio ambientale, paesaggistico o
storico-artistico (ovvero, per ciò che riguarda la
minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici, nell’individuazione di siti che per
destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere
considerati sensibili alle immissioni radioelettriche),
senza trasformarsi in limitazioni alla localizzazione degli
impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni
del territorio comunale, in assenza di una plausibile
ragione giustificativa (cfr., ex plurimis, Cons. St.,
sez. III, 04.04.2013, n. 1873).
---------------
16.3. Il Collegio
non può al riguardo che ribadire, anche in questa sede, il
consolidato orientamento di questo Consiglio, secondo cui
l’autorizzazione, di cui all’art. 87 del d.lgs. 259/2003,
non costituisce atto che presuppone o è presupposto a quello
richiesto dal testo unico in materia edilizia, ma assorbe in
sé e sintetizza, all’esito del procedimento previsto dallo
stesso art. 87, anche la valutazione urbanistico-edilizia
che presiede al titolo, facendo salve le sole disposizioni,
non rilevanti nel caso all’esame, del D.Lgs. n. 42/2004.
16.4. Laddove infatti il nuovo procedimento fosse destinato
non a sostituire, ma ad abbinarsi a quello edilizio
ordinario, verrebbero di fatto vanificati i principi
ispiratori del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e, in
particolare, quelli della previsione di procedure
tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la
concessione del diritto di installazione e della riduzione
dei termini per la conclusione dei procedimenti nonché della
regolazione uniforme dei medesimi (v., ex plurimis,
Cons. St., sez. VI, 12.01.2011, n. 98).
Deve insomma escludersi, in applicazione degli ordinari
principi in materia di gerarchia delle fonti, che i
regolamenti comunali possano derogare al modulo
procedimentale previsto in materia dalla legge, ispirato
alla ratio di semplificazione e di concentrazione al
suo interno di tutte le relative valutazioni di carattere
urbanistico-edilizio ed igienico-sanitario.
16.5. Ne deriva, quindi, l’illegittimità del provvedimento
di diniego anche nella parte in cui, in pretesa applicazione
dell’art. 22 del d.P.R. 380/2001, ha richiesto ad H3G s.p.a.
il nominativo dell’impresa commissionaria degli interventi,
aggiungendo indebitamente requisiti ulteriori rispetto a
quelli esclusivamente richiesti, in subiecta materia,
dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche e dal modello B
da esso previsto, sicché l’impugnata sentenza, anche laddove
ha ritenuto legittima tale richiesta, ha fatto erronea
applicazione del d.P.R. 380/2001 in tale materia, sì da non
poter essere condivisa e meritare quindi riforma
(massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 19.03.2014 n. 1361 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di impianti di
telecomunicazione è subordinata soltanto
all'autorizzazione prevista dall'art. 87 del D.Lgs 259/2003, che pone una normativa speciale ed esaustiva che include anche la valutazione della compatibilità edilizio-urbanistica dell'intervento, non occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380/2001. La ratio di tale disciplina va ricercata nella necessità di approntare una procedura tempestiva, non discriminatoria e trasparente per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture, nella riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché nella regolazione uniforme dei medesimi procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni per l'installazione di infrastrutture di reti mobili, in conformità ai principi di cui alla L. 241/1990. E evidente che tali finalità verrebbero irrimediabilmente vanificate se il nuovo procedimento fosse destinato non a sostituire ma ad aggiungersi a quello previsto dal T.U. in materia edilizia, sicché le procedure di cui all'art. 87 sono destinate ad assorbire ogni altro procedimento, anche di natura edilizia.
--------------- Il ricorso è fondato e merita accoglimento per le ragioni di seguito illustrate. Merita condivisione il motivo di diritto con cui parte ricorrente contesta il difetto dei presupposti per l’irrogazione della sanzione demolitoria ex art. 31 D.P.R.
06.06.2001 n. 380 che, come noto, richiede l’assenza del permesso di costruire, la totale difformità rispetto al medesimo ovvero variazioni essenziali. Invero, secondo condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26.01.2009 n. 355; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII,
09.05.2013 n. 2394; Sez. VII, 27.01.2012 n. 426), la realizzazione di impianti di telecomunicazione è subordinata soltanto all'autorizzazione prevista dall'art. 87 del D.Lgs 259/2003, che pone una normativa speciale ed esaustiva che include anche la valutazione della compatibilità edilizio-urbanistica dell'intervento, non occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380/2001. La
ratio di tale disciplina va ricercata nella necessità di approntare una procedura tempestiva, non discriminatoria e trasparente per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture, nella riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché nella regolazione uniforme dei medesimi procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni per l'installazione di infrastrutture di reti mobili, in conformità ai principi di cui alla L. 241/1990. E evidente che tali finalità verrebbero irrimediabilmente vanificate se il nuovo procedimento fosse destinato non a sostituire ma ad aggiungersi a quello previsto dal T.U. in materia edilizia, sicché le procedure di cui all'art. 87 sono destinate ad assorbire ogni altro procedimento, anche di natura edilizia. Il provvedimento impugnato si fonda quindi su un erroneo presupposto, ovvero sulla supposta equivalenza in termini edilizi fra il concetto di costruzione e quello di impianto tecnologico, nella specie antenne di telefonia mobile dotate di caratteristiche del tutto diverse da quelle delle costruzioni in senso proprio.
Peraltro, trattandosi di struttura emittente con potenza inferiore ai 20 watt, trova applicazione l’art. 87 del D.Lgs.
259/2003 che richiede la mera segnalazione
certificata di inizio attività (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 25.02.2014 n. 1190 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Stoppata la mega antenna appiccicata alla scuola.
Stop alla mega antenna per cellulari troppo vicina alle
scuole: la spuntano due condomini che fanno annullare il
silenzio-assenso di Roma Capitale all'installazione della
stazione radio-base per i telefoni, intervenuta senza che al
procedimento autorizzatorio prendesse parte il municipio
interessato, mentre la presenza è prevista dal protocollo
d'intesa siglato fra il comune e gli operatori delle
telecomunicazioni.
È quanto emerge dalla
sentenza
27.01.2014 n. 1021
pubblicata dalla Sez. II-bis del TAR Lazio-Roma.
Accolto il ricorso dei residenti nella zona fra Casilina e
Tuscolana per l'impianto autorizzato sotto la distanza
minima da istituti scolastici prevista dal codice delle
comunicazioni oltre che dallo stesso accordo intervenuto fra
l'amministrazione e i gestori telefonici: in particolare il
ripetitore risulta posizionato a meno di 40 metri dalla
scuola materna e a circa 85 da un istituto comprensivo,
medio ed elementare. Le carte risultano inviate a una
circoscrizione diversa da quella interessata dal progetto
(nella Capitale si chiamano municipi) e nella mappa della
zona gli istituti frequentati dai bambini non sono
segnalati.
Risultato: dall'iter che ha fatto avere il nulla
osta al big della telefonia sono rimasti fuori i
rappresentanti di quartiere. E non conta che il municipio
non abbia svolto rilievi tali da bloccare il progetto dopo
essere venuto a conoscenza del progetto: la comunicazione
non vale come sanatoria e il silenzio-assenso non può
formarsi quando manca un parere necessario o, come nella
specie, una fase istruttoria propedeutica sia addirittura
saltata.
Inutile per l'operatore della categoria tentare di mettere
in discussione i paletti sulle distanze minime degli
impianti rispetto a siti sensibili come le scuole. Non
convince la tesi del gruppo imprenditoriale secondo cui la
distanza minima di 100 metri prevista dal protocollo
d'intesa con Roma Capitale sarebbe applicabile soltanto ai
ripetitori installati su edifici di proprietà comunale e non
anche a quelli da installare su fabbricati di proprietà
privata: non c'è ragione di fare distinzioni fra gli
immobili. Dunque: atti annullati e spese di giudizio
compensate (articolo ItaliaOggi
del 27.02.2014). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
norma regolamentare comunale, limitatamente alla parte in
cui vieta "comunque" l'installazione in zone residenziali di
impianti di teleradiocomunicazioni, quindi anche di
telefonia mobile, è illegittima e va annullata.
E’ opportuno ricordare che l'art. 8, comma 6, della legge
22.02.2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni
adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a
garantire "il corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e a minimizzare l'esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici".
In merito all’interpretazione della disposizione in esame si
è ormai consolidato in giurisprudenza un condiviso
orientamento secondo il quale le previsioni dei regolamenti
c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo
qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate
dalla norma e non anche quando tendano a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio è ritenuta lecita l’introduzione
di regole finalizzate a tutelare, sotto il profilo
urbanistico, zone e beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o storico/artistico, ovvero, con
riferimento alla minimizzazione dell'esposizione ai campi
elettromagnetici, volte a controllare il rispetto dei limiti
delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a
disciplinare profili tipicamente urbanistici.
Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle
previsioni che si sostanzino in "limitazioni alla
localizzazione" degli impianti di telefonia mobile
relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio
comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione
giustificativa.
In ipotesi siffatte, sotto il formale utilizzo degli
strumenti di natura edilizia-urbanistica, si cela
l’introduzione di deroghe ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici, materia questa che esula dal governo del
territorio (sul quale i Comuni hanno competenza) e che
impinge sulla tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo, materia soggetta a riserva
legislativa in favore dello Stato in forza dell'art. 4 della
legge n. 36/2000.
Va poi osservato che i regolamenti comunali devono
suffragare le relative disposizioni mediante adeguata
istruttoria tecnica che dia conto delle ragioni per cui
certe localizzazioni siano da preferire ad altre e non
impediscano in concreto l'erogazione del servizio,
sussistendo in particolare l'obbligo di effettuare
approfondimenti tecnico-scientifici in funzione, per quanto
già si è detto, non già della determinazione di valori di
campo diversi da quelli stabiliti dalla normativa statale,
ma della disciplina del corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti.
La casistica conosce due tipologie di previsioni
regolamentari eccedenti i limiti della competenza comunale.
In alcuni casi di tratta di norme recanti divieti
generalizzati di installazione delle stazioni radio-base per
telefonia cellulare in vaste zone omogenee del territorio
comunale; in altri casi, si tratta di limiti distanziali
indifferenziati e fissi, da osservare rispetto a determinati
edifici o siti genericamente classificati per tipologie.
Dunque, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale cui si intende qui aderire, l’introduzione
di generalizzati divieti di installazione delle stazioni
radio base per la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione residenziale, comprese
nel perimetro comunale, in quanto essenzialmente preordinata
a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili
fonti di inquinamento, non costituisce attribuzione che
l'amministrazione comunale può autonomamente esercitare, e
tale conclusione vale anche per l'introduzione di misure
che, pur essendo astrattamente e tipicamente urbanistiche,
quali le distanze, le altezze o le localizzazioni, non sono
in realtà funzionali al governo del territorio, ma alla
tutela dei rischi dell'elettromagnetismo.
In particolare, appare meritevole di
accoglimento la censura dedotta con il primo motivo di
ricorso, riferito alla norma regolamentare presupposta.
Si tratta delle N.T.A. del vigente P.R.G.C., come
integrate dalla delibera C.C. n. 42 del 09.10.2003, le
quali, nel disciplinare le "Prescrizioni di zona",
dispongono che "da tutte le zone residenziali sono escluse
attrezzature e attività destinate a: …. – teleradiocomunicazioni per qualsiasi uso” (cfr. N.T.A.,
Destinazioni e prescrizioni di zona, capo II, zone
residenziali, pag. 27).
Il Comune di Pontecurone ha ricavato da tale previsione
l’incompatibilità dell’impianto Telecom con l’area
individuata in progetto, in quanto zona residenziale
qualificata R2. Ha inoltre negato, in replica alle
osservazioni della parte istante, la sussistenza di un
divieto generalizzato all’installazione di infrastrutture di
telecomunicazione, per effetto delle menzionate disposizioni
di piano, osservando come “le norme di cui trattasi
consentono invero la localizzazione dei predetti impianti
radioelettrici nelle zone agricole, dove, peraltro, già si
registrano analoghe iniziative”.
Osserva il Collegio che la predetta norma
regolamentare, limitatamente alla parte in cui vieta
"comunque" l'installazione in zone residenziali di impianti
di teleradiocomunicazioni, quindi anche di telefonia mobile,
è illegittima e va annullata.
E’ opportuno ricordare che l'art. 8, comma 6, della
legge 22.02.2001, n. 36, prevede la possibilità che i
Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione
finalizzato a garantire "il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e a minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".
In merito all’interpretazione della disposizione in
esame si è ormai consolidato in giurisprudenza un condiviso
orientamento secondo il quale le previsioni dei regolamenti
c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo
qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate
dalla norma e non anche quando tendano a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio è ritenuta lecita l’introduzione
di regole finalizzate a tutelare, sotto il profilo
urbanistico, zone e beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o storico/artistico, ovvero, con
riferimento alla minimizzazione dell'esposizione ai campi
elettromagnetici, volte a controllare il rispetto dei limiti
delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a
disciplinare profili tipicamente urbanistici.
Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle
previsioni che si sostanzino in "limitazioni alla
localizzazione" degli impianti di telefonia mobile
relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio
comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione
giustificativa (cfr. Corte Costituzionale, 07.11.2003,
n. 331; 07.10.2003, n. 307; 27.07.2005, n. 336).
In ipotesi siffatte, sotto il formale utilizzo degli
strumenti di natura edilizia-urbanistica, si cela
l’introduzione di deroghe ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici, materia questa che esula dal governo del
territorio (sul quale i Comuni hanno competenza) e che
impinge sulla tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo, materia soggetta a riserva
legislativa in favore dello Stato in forza dell'art. 4 della
legge n. 36/2000 (in tal senso, tra le tante, Cons. St. sez.
VI, 09.01.2013 n. 44 e sez. III, 10.07.2013, n.
3690; id., sez. VI, 27.12.2010, n. 9414 e 15.06.2006, n. 3534; TAR Piemonte sez. I, 23.07.2013, n.
901).
Va poi osservato che i regolamenti comunali devono
suffragare le relative disposizioni mediante adeguata
istruttoria tecnica che dia conto delle ragioni per cui
certe localizzazioni siano da preferire ad altre e non
impediscano in concreto l'erogazione del servizio,
sussistendo in particolare l'obbligo di effettuare
approfondimenti tecnico-scientifici in funzione, per quanto
già si è detto, non già della determinazione di valori di
campo diversi da quelli stabiliti dalla normativa statale,
ma della disciplina del corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti (TAR Salerno, Sez. II, 26.09.2007, n. 1923 e TAR Lecce, Sez. II,
03.11.2006, n. 5142).
La casistica conosce due tipologie di previsioni
regolamentari eccedenti i limiti della competenza comunale.
In alcuni casi di tratta di norme recanti divieti
generalizzati di installazione delle stazioni radio-base per
telefonia cellulare in vaste zone omogenee del territorio
comunale; in altri casi, si tratta di limiti distanziali
indifferenziati e fissi, da osservare rispetto a determinati
edifici o siti genericamente classificati per tipologie.
Dunque, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale cui si intende qui aderire,
l’introduzione di generalizzati divieti di installazione
delle stazioni radio base per la telefonia cellulare in
tutte le zone territoriali omogenee a destinazione
residenziale, comprese nel perimetro comunale, in quanto
essenzialmente preordinata a garantire la tutela della
pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento, non
costituisce attribuzione che l'amministrazione comunale può
autonomamente esercitare, e tale conclusione vale anche per
l'introduzione di misure che, pur essendo astrattamente e
tipicamente urbanistiche, quali le distanze, le altezze o le
localizzazioni, non sono in realtà funzionali al governo del
territorio, ma alla tutela dei rischi dell'elettromagnetismo
(TAR Piemonte, sez. I 23.07.2013 n. 901; id., sez. I,
19.12.2008, n. 3150; TAR Catanzaro, sez. I, 03.10.2012, n. 981; Cons. St., sez, VI,
06.09.2010,
n. 6473).
Orbene, tenendo conto del quadro normativo e
interpretativo brevemente delineato, nella fattispecie in
esame il regolamento impugnato -introducendo un
generalizzato divieto di localizzazione degli impianti di
telefonia mobile all'interno di tutte le aree residenziali
del territorio comunale- pare tendere a disciplinare l'uso
del territorio sotto un profilo non strettamente
urbanistico, bensì sanitario, fondandosi sull'implicita ma
inequivocabile esigenza di rendere possibile la
localizzazione degli impianti esclusivamente in zone
agricole, quindi distanti dalle aree abitate e più
intensamente frequentate.
Il Comune, peraltro, non ha dimostrato di aver verificato
che i siti individuati fossero tecnicamente idonei alle
esigenze di funzionamento del servizio di telefonia in
argomento, né ha provato di aver tenuto in debito conto la
finalità, legislativamente prevista, di assicurare la
diffusione capillare del servizio nell'intero territorio
comunale
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1360 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - SICUREZZA LAVORO: Esposizione
a campi elettromagnetici.
Domanda
Vorrei sapere se è obbligatorio effettuare la valutazione
dei rischi da esposizione a campi elettromagnetici sui
luoghi di lavoro.
Risposta
Nella Gazzetta Ufficiale Europea del 29.06.2013 è stata
pubblicata la direttiva n. 2013/35/Ce, sulle esposizioni
occupazionali ai campi elettromagnetici, che abroga e
sostituisce la precedente direttiva 2004/40. Il termine
ultimo di recepimento della nuova direttiva è il 01.07.2016. Bisogna tuttavia considerare che sono immediatamente
vigenti le disposizioni generali sulla protezione dagli
agenti fisici, contenute nel capo I del titolo VIII del dlgs
81/2008, indipendentemente dall'entrata in vigore dei
successivi capi specifici.
Il vincolo più stringente ad oggi
in vigore riguarda pertanto l'obbligatorietà della
valutazione del rischio elettromagnetico, la cui mancanza è
sanzionabile già attualmente. Come chiarito dagli organi
istituzionali, ad oggi la valutazione del rischio
elettromagnetico va condotta confrontandosi con il nuovo
sistema di limiti, contenuto nella nuova direttiva e non più
con quello proposto dalla precedente direttiva 2004/40 e
ripreso dal dlgs 81/2008, al titolo VIII, capo IV (che sarà
riscritto).
L'impianto della valutazione di rischi da
esposizione a campi elettromagnetici si presenta fortemente
rinnovato a partire dal sistema di limiti. Se la direttiva
2004/40 presentava lo stesso sistema di limiti che Icnirp ha
proposto con le linee guida emanate nel 1998, il sistema di
limiti presente nella nuova direttiva è aggiornato con le
revisioni che la stessa Icnirp ha compiuto delle proprie
linee guida nel 2009, con riferimento ai campi magnetici
statici e nel 2010, con riferimento ai campi elettrici e
magnetici nell'intervallo di frequenze 1 Hz-10 MHz.
La
Commissione europea ha inoltre arricchito il sistema di
limiti Icnirp alle basse frequenze, introducendo altre due
soglie non di derivazione Icnirp denominate «livelli di
azione superiori» e «livelli di azione per gli arti».
La nuova direttiva identifica inoltre in modo esplicito il
metodo del picco ponderato come quello elettivo ai fini
della valutazione dell'esposizione
(articolo ItaliaOggi Sette del
18.11.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per pacifica giurisprudenza, ai sensi dell'art. 1
della legge 28.01.1977 n. 10 è soggetta al rilascio della
concessione edilizia ogni attività che comporti la
trasformazione del territorio attraverso l'esecuzione di
opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed
edilizi, ove il mutamento e l'alterazione abbiano un qualche
rilievo ambientale ed estetico, o anche solo funzionale, e
dunque anche quando si tratti della realizzazione di una
antenna destinata a stazione radio, poiché col termine
“costruzione” si intende non soltanto un edificio
caratterizzato da volumetria e superfici calpestabili, ma
qualsiasi opera o manufatto da collocare sul territorio, la
cui realizzazione è consentita nei limiti previsti dallo
strumento urbanistico o da un atto ad esso equivalente.
Più puntualmente in relazione a fattispecie analoga al caso
in esame, è stato affermato che l'installazione di
un'antenna, visibile dai luoghi circostanti, comporta
alterazione del territorio avente rilievo ambientale ed
estetico, sicché, ai sensi del cit. art. 1 della legge n. 10
del 1977 n. 10, essa è soggetta al rilascio di concessione
edilizia e che tale principio è stato recepito dal d.P.R.
06.06.2001 n. 380, il quale, all'art. 3, assoggetta a
permesso di costruire “l'installazione di torri e tralicci
per impianti radio -ricetrasmittenti e di ripetitori per i
servizi di telecomunicazione”, appunto in quanto "interventi
di nuova costruzione”.
La Sezione concorda col primo giudice laddove ha
ricordato che, per pacifica giurisprudenza, ai sensi
dell'art. 1 della legge 28.01.1977 n. 10 è soggetta al
rilascio della concessione edilizia ogni attività che
comporti la trasformazione del territorio attraverso
l'esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti
urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e l'alterazione
abbiano un qualche rilievo ambientale ed estetico, o anche
solo funzionale, e dunque anche quando si tratti della
realizzazione di una antenna destinata a stazione radio,
poiché col termine “costruzione” si intende non soltanto un
edificio caratterizzato da volumetria e superfici
calpestabili, ma qualsiasi opera o manufatto da collocare
sul territorio, la cui realizzazione è consentita nei limiti
previsti dallo strumento urbanistico o da un atto ad esso
equivalente (cfr. Cons. St., sez. VI 26.09.2003 n.
5502, richiamata dal TAR).
Più puntualmente in relazione a
fattispecie analoga al caso in esame, è stato affermato che
l'installazione di un'antenna, visibile dai luoghi
circostanti, comporta alterazione del territorio avente
rilievo ambientale ed estetico, sicché, ai sensi del cit.
art. 1 della legge n. 10 del 1977 n. 10, essa è soggetta al
rilascio di concessione edilizia e che tale principio è
stato recepito dal d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il quale,
all'art. 3, assoggetta a permesso di costruire
“l'installazione di torri e tralicci per impianti radio
-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di
telecomunicazione”, appunto in quanto "interventi di nuova
costruzione” (cfr. Cons. St., sez. VI 18.05.2004 n.
3193).
Tuttavia il primo giudice non ha correttamente applicato i
principi suesposti.
Nella specie, il Comune di Parma ha ingiunto la demolizione
di antenne/parabole ad Elemedia (ed all’INAIL) ai sensi
dell’art. 10, co. 1, della legge 28.02.1985 n. 47,
concernente “Opere eseguite senza autorizzazione”, non già
ai sensi del precedente art. 7, concernente “Opere eseguite
in assenza di concessione, in totale difformità o con
variazioni essenziali”, sicché esso stesso si è reso conto
che l’installazione dell’antenna/parabola non necessitava di
concessione edilizia, bensì di autorizzazione (ovvero di d.i.a.).
Del resto, a prescindere dal dato giuridico che la sanzione
della demolizione non è applicabile nell’ipotesi di cui
all’art. 10 della legge n. 47 del 1985, prevedente la sola
sanzione pecuniaria, nella specie –come dedotto
dall’attuale appellante– il Comune non si è dato carico di
enucleare gli elementi di fatto in base ai quali
l’antenna/parabola, di cui non è controversa l’installazione
su un traliccio preesistente e regolarmente assentito,
avrebbe rilievo quanto meno sul piano ambientale ed estetico
e di conseguenza costituisca significativa trasformazione
del territorio, dovendosi ovviamente aver riguardo a
unicamente alla stessa antenna/parabola e non anche
all’insieme di analoghe strutture eventualmente già presenti
sull’immobile, in ipotesi sanzionabili autonomamente qualora
ricorrano i prescritti presupposti.
Non senza dire che, com’è ben noto, un’antenna di modeste
dimensioni, irrilevante sotto il profilo edilizio, neppure
necessita di mera autorizzazione parimenti edilizia,
occorrendo invece, trattandosi di impianto di emittenza
radio, unicamente la ben diversa e specifica autorizzazione
tecnica (nella specie, ex art. 6 della legge regionale
Emilia Romagna 31.10.2000, n. 30, recante “Norme per la
tutela della salute e la salvaguardia dell’ambiente
dall’inquinamento elettromagnetico”).
In conclusione, condivise le censure attinenti ai profili
trattati contenute nel secondo motivo di gravame ed
assorbita ogni ulteriore doglianza, l’appello va accolto,
con conseguente riforma della sentenza appellata nel senso
dell’annullamento dell’impugnata ordinanza comunale di
ingiunzione di demolizione in accoglimento del ricorso di
primo grado
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 06.11.2013 n. 5313 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quanto ai diritti di segreteria, la
giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che la relativa
imposizione contrasta con l'art. 93, comma 2, del d.lgs. n.
259 del 2003, che vieta di subordinare il rilascio delle
autorizzazioni in materia di telecomunicazioni ad oneri
economici diversi rispetto a quelli individuati dal
legislatore statale e non rientranti nell'ambito
dell'elencazione ammessa dal Codice delle telecomunicazioni.
Per le stesse ragioni, inoltre, risulta illegittima la
previsione dell’onere di adempiere ad un deposito cauzionale
o ad altre forme di garanzia per l’adempimento degli
obblighi di cui all’articolo 93 cit..
In ultima analisi, anche la prestazione di depositi
cauzionali rientra pur sempre nell’ambito della categoria
degli oneri (finanziari), espressamente vietati dalla norma
citata.
In tal senso, e su fattispecie analoga, del resto, si è già
espressa la giurisprudenza, secondo cui, appunto, l'art. 93
del d.lgs. n. 259 del 2003 vieta espressamente l'imposizione
ai gestori di oneri non previsti dalla legge, sicché
l'imposizione di una polizza assicurativa a garanzia dello
smontaggio dell'impianto e del ripristino dello stato dei
luoghi, deve ritenersi senz'altro illegittimo.
... per l'annullamento dei provvedimenti n. 003541 del 26.11.2010 e n. 00372 del 20.12.2010 con cui il
Consorzio dell'area di sviluppo industriale del vastese ha
subordinato il rilascio dell'autorizzazione richiesta dalla
ricorrente per la posa cavo su pali su strada consortile, al
versamento di somme pecuniarie.
...
Il ricorso è fondato.
Quanto ai diritti di segreteria, la
giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che la relativa
imposizione contrasta con l'art. 93, comma 2, del d.lgs. n.
259 del 2003, che vieta di subordinare il rilascio delle
autorizzazioni in materia di telecomunicazioni ad oneri
economici diversi rispetto a quelli individuati dal
legislatore statale e non rientranti nell'ambito
dell'elencazione ammessa dal Codice delle telecomunicazioni
(cfr. Tar Cagliari, sentenza 02.02.2010 n. 119).
Per le stesse ragioni, inoltre, risulta illegittima la
previsione dell’onere di adempiere ad un deposito cauzionale
o ad altre forme di garanzia per l’adempimento degli
obblighi di cui all’articolo 93 cit..
In ultima analisi, anche la prestazione di depositi
cauzionali rientra pur sempre nell’ambito della categoria
degli oneri (finanziari), espressamente vietati dalla norma
citata.
In tal senso, e su fattispecie analoga, del resto, si è già
espressa la giurisprudenza, secondo cui, appunto, l'art. 93
del d.lgs. n. 259 del 2003 vieta espressamente l'imposizione
ai gestori di oneri non previsti dalla legge, sicché
l'imposizione di una polizza assicurativa a garanzia dello
smontaggio dell'impianto e del ripristino dello stato dei
luoghi, deve ritenersi senz'altro illegittimo (cfr. TAR
Napoli sentenza 22.12.2004 n. 19627).
Quanto, infine, alla disposizione di cui all’articolo 27 del
codice della strada, ad avviso del Collegio anche qui
colgono nel segno le censure di parte ricorrente, atteso
che, ai sensi dell’articolo 231, comma 3, del d.lgs. n. 285
del 1992, in deroga a quanto previsto dal capo I del titolo II (articoli da 13 a 34-bis), si applicano le disposizioni
di cui al capo V del titolo II del codice delle
comunicazioni elettroniche (articoli da 86 a 95), di cui al
decreto legislativo 01.08.2003, n. 259, e successive
modificazioni.
Ne consegue che la norma di cui all’articolo 27 del codice
della strada, invocata dalla parte resistente, non può
essere considerata integrativa della disciplina di cui
all’articolo 93, comma 1, del codice delle
telecomunicazione, proprio perché per espressa previsione
non si applica alle concessioni e autorizzazioni per la
realizzazione di opere di telecomunicazioni
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 05.11.2013 n. 511 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO: Telefonia
mobile.
Domanda
Il contributo per i diritti di installazione di strutture su
proprietà pubbliche o private deve esse corrisposto dagli
operatori non proprietari di tali strutture che utilizzino
le stesse per prestare servizi di telefonia mobile?
Risposta
La Corte di giustizia delle Comunità europee, sezione
quarta, con la sentenza del 12.07.2012 (cause riunite
C-55/11, C57/11; C58/11) – Vodafone España SA, ha
interpretato l'articolo 13 della direttiva 2002/20/Ce nel
senso che non si applica il contributo per i diritti di
installazione di strutture su proprietà pubbliche o private,
al di sopra o sotto di esse, agli operatori non proprietari
di tali strutture che utilizzino le stesse per prestare
servizi di telefonia mobile.
Detta normativa, per i giudici europei, ha un'efficacia
diretta atteso che essa attribuisce ai singoli il diritto di
avvalersene dinnanzi al giudice nazionale, anche per
chiedere la disapplicazione dei provvedimenti nazionali che
vengono ad assoggettare a contributo diritti non ricompresi
in detta normativa. Pertanto, ai legislatori nazionali o
locali viene vietata la facoltà di imporre oneri fiscali
contributivi agli operatori che non siano proprietari delle
strutture per il solo fatto che le utilizzano per prestare
servizi di comunicazione elettronica, quali quelli di
telefonia mobile.
Infatti, le frequenze, alla luce di tale principio, sono un
bene di proprietà pubblica, per cui, alla luce di detta
configurazione giuridica, deve esser meglio garantita
l'utilizzazione ottimale dello spettro radio. Ciò comporta
che deve essere garantita al meglio l'utilizzazione e
distribuzione di servizi sulle stesse frequenze, nel
rispetto dei limiti degli standard di compatibilità con il
divieto delle interferenze dannose.
Nel caso, è da sottolineare che, pure a distanza di tempo, i
principi internazionali relativi alle frequenze radio sono
ancora oggi attuali e devono essere rispettati in tutto il
mondo per una corretta ripartizione delle frequenze e delle
loro allocazioni
(articolo ItaliaOggi Sette del 14.10.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Comune non può fissare
limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da
quelli stabiliti dallo Stato e altresì non può, attraverso
l'utilizzo di atti di natura edilizia ed urbanistica,
adottare misure che in buona sostanza costituiscono una
deroga ai limiti di esposizione fissati dallo Stato.
Più in particolare, i Comuni, non possono adottare misure
che ostacolino o impediscano in modo irragionevole
l'insediamento degli impianti di telefonia, e comunque non
posso prevedere il divieto d'installazione delle stazioni
radio base per intere zone territoriali omogenee ovvero
introdurre misure che nella veste urbanistica sono dirette
alla tutela dei rischi dell'elettromagnetismo.
---------------
L'art. 86, comma terzo, del codice delle comunicazioni
elettromagnetiche, ha equiparato le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria, e come tali, devono ritenersi poste al servizio
dell'insediamento abitativo.
In altre parole gli atti impugnati non tengono conto del
fatto che tali opere hanno carattere infrastrutturale ex
articoli 86 e 90 del decreto legislativo 259 del 2003 e
quindi devono ritenersi assimilate, ad ogni effetto, a
quelle di urbanizzazione primaria con caratteri di pubblica
utilità, con la conseguenza che, in via di principio, devono
ritenersi compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica.
Ed infatti come correttamente rilevato
dalla ricorrente, con la legge 22.02.2001 n. 36, è
stata riservata allo Stato la competenza in materia di
fissazione dei limiti alle esposizioni elettromagnetiche
mentre alla Regioni e agli Enti Locali è stato affidato il
compito di individuare i criteri localizzativi di detti
impianti di telecomunicazioni;
Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale chiarendo
che “la fissazione a livello nazionale dei valori soglia,
non derogabili da parte delle Regioni nemmeno il senso più
restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio tra le
esigenze contrapposte di evitare al massimo l'impatto delle
emissioni elettromagnetiche e di realizzare impianti
necessari al paese, nella logica per cui le competenze delle
Regioni in materia di trasporto dell'energia e di
ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente,
vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi
dello Stato. Tutt'altro discorso è da farsi circa le
discipline localizzative territoriali. A questo proposito è
logico che riprenda pieno vigore l'autonoma capacità delle
Regioni e degli Enti Locali di regolare l'uso del proprio
territorio, purché, ovviamente, criteri localizzativi è
standard urbanistici rispettino le esigenze della
pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel
merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente
l'insediamento degli stessi" (corte costituzionale
07.10.2003 n. 307);
Pertanto, alla luce di tale principio, il Comune non può
fissare limiti di esposizione ai campi elettromagnetici
diversi da quelli stabiliti dallo Stato, e d'altro lato, non
può, attraverso l'utilizzo di atti di natura edilizia ed
urbanistica, adottare misure che in buona sostanza
costituiscono una deroga ai limiti di esposizione fissati
dallo Stato. Più in particolare, i Comuni, non possono
adottare misure che ostacolino o impediscano in modo
irragionevole l'insediamento degli impianti di telefonia, e
comunque non posso prevedere il divieto d'installazione
delle stazioni radio base per intere zone territoriali
omogenee ovvero introdurre misure che nella veste
urbanistica sono dirette alla tutela dei rischi
dell'elettromagnetismo.
Nella specie, l'amministrazione comunale ha limitato la
possibilità di installazione degli impianti per la telefonia
nelle sole zone agricole e F4 e pertanto ha di fatto
introdotto una misura cautelativa che va a sovrapporsi a
quella fissata dallo Stato;
A ciò va aggiunto che l'articolo 86, comma terzo, del codice
delle comunicazioni elettromagnetiche, ha equiparato le
infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere
di urbanizzazione primaria, e come tali, devono ritenersi
poste al servizio dell'insediamento abitativo. In altre
parole gli atti impugnati non tengono conto del fatto che
tali opere hanno carattere infrastrutturale ex articoli 86 e
90 del decreto legislativo 259 del 2003 e quindi devono
ritenersi assimilate, ad ogni effetto, a quelle di
urbanizzazione primaria con caratteri di pubblica utilità,
con la conseguenza che, in via di principio, devono
ritenersi compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica.
Essendo al contrario i provvedimenti impugnati fondati sulla
non compatibilità degli impianti con la zonizzazione
vigente, gli stessi anche per tale ragione, devono ritenersi
illegittimi
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 05.10.2013 n. 837 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Delocalizzazione di impianto ripetitore per
telefonia cellulare.
Deve considerarsi legittima la
previsione di spostamento di un impianto per telefonia
cellulare inserita nel piano di localizzazione delle
stazioni radio base di un comune, integrando essa una
prescrizione non generalizzata attinente all'urbanistica ed
alla pianificazione del territorio che ha natura consentita
dalla legge quadro n. 36/2001.
L'autorizzazione di cui all'art. 87 del d.Lgs. n. 259/2003 è
necessaria, perché espressamente prevista anche per “la
modifica delle caratteristiche di emissione" e l’intervento
eseguito nella fattispecie, per le sue connotazioni
innovative concrete, non può considerarsi di mera
manutenzione dell’esistente ma (essendo anche assimilato in
via normativa ad un incremento dell’urbanizzazione primaria)
non può ritenersi sottratto ad una doverosa valutazione pure
sotto il profilo urbanistico.
Il silenzio-assenso di cui al comma 9 dell’art. 87 del
d.Lgs. n. 259/2003 non può ritenersi formato in mancanza di
conformità dell'opera realizzata alle prescrizioni contenute
nell’anzidetto piano di localizzazione
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.09.2013 n. 39415 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ripetitori di telefonia cellulare: le modifiche necessitano
di autorizzazione espressa.
L'autorizzazione per l'installazione di
stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche
mobili GSM/UMTS (art. 87, d.Lgs. n. 259/2003) in quanto
espressamente prevista anche per "la modifica delle
caratteristiche di emissione", è necessaria per la
realizzazione di lavori di installazione di ulteriori
ripetitori, intervento che - per le sue connotazioni
innovative concrete - non può considerarsi di mera
manutenzione straordinaria dell'esistente.
Il caso
Il G.I.P. del Tribunale sottoponeva a sequestro preventivo
l'antenna e gli apparati di una stazione per la telefonia
cellulare della "Vodafone Omnitel N.V.", ipotizzando
la violazione dell'art. 44, lett. b), del D.P.R. n.
380/2001, poiché sull'antenna in oggetto,della quale era già
stata prevista la delocalizzazione in altra area del
territorio comunale, erano stati realizzati lavori di
installazione di ulteriori ripetitori in difetto di permesso
di costruire ed anzi in presenza di un diniego espresso
opposto dall'amministrazione comunale. La società "Vodafone"
proponeva istanza di riesame, deducendo di avere inoltrato
al Comune una SCIA in data antecedente all’accertamento di
polizia, in relazione alla quale doveva ritenersi formato il
silenzio-assenso mentre quell'amministrazione aveva adottato
la misura della sospensione dei lavori ben oltre il termine
di 90 giorni previsto per il formarsi dell'assentimento
tacito.
Il Tribunale aveva respinto l'istanza di riesame,
evidenziando che il piano di localizzazione delle stazioni
radio base (SRB)approvato dal Comune escludeva che
l'installazione in oggetto potesse essere realizzata, tanto
che la società proprietaria dell'impianto (Telecom s.p.a.)
ne aveva concordato con l'amministrazione locale la
delocalizzazione in altro sito. Esistendo una specifica
previsione di allocazione non trova applicazione il
principio secondo il quale le SRB possono essere installate
in qualsiasi zona del territorio comunale attesa la
sostanziale compatibilità dell'impianto con qualsiasi
destinazione urbanistica.
I motivi di ricorso
Contro l'ordinanza proponeva ricorso la società "Vodafone
Omnitel N.V.", censurandola sotto diversi profili. Per
quanto qui di interesse, sosteneva, da un lato, l'erronea
applicazione del d.Lgs. n. 259/2003 e del T.U. n. 380/2001,
in quanto non si sarebbe tenuto conto del carattere
omnicomprensivo dell'autorizzazione prevista dal d.Lgs. n.
259/2003, esteso anche ai profili urbanistici ed edilizi
connessi alla realizzazione ed all'attivazione degli
impianti di telefonia cellulare; dall’altro, l’irrilevanza,
sotto il profilo urbanistico, dell'intervento in concreto
realizzato, che -essendo consistito nel montaggio, sul palo
già posizionato, di nuovi apparati in tecnologia UMTS e
nella sostituzione di alcune antenne di Telecom –avrebbe
dovuto essere assimilato ad un intervento di manutenzione
straordinaria del sito esistente, non assoggettato a
permesso di costruire.
La soluzione
La Cassazione ha disatteso i motivi di ricorso.
In particolare, in risposta alle due doglianze prima
evidenziate, la Corte ha affermato che:
a) doveva considerarsi legittima la previsione di
spostamento dell'impianto de quo inserita nel piano
di localizzazione delle stazioni radio base del Comune (e
già concordata dalla Telecom con l'amministrazione locale),
integrando essa una prescrizione non generalizzata attinente
all'urbanistica ed alla pianificazione del territorio che ha
natura consentita dalla legge quadro n. 36/2001;
b) che l'autorizzazione di cui all'art. 87 del d.Lgs. n.
259/2003 era necessaria, perché espressamente prevista anche
per "la modifica delle caratteristiche di emissione"
e l'intervento eseguito, per le sue connotazioni innovative
concrete, non poteva considerarsi di mera manutenzione
dell'esistente ma (essendo anche assimilato in via normativa
ad un incremento dell'urbanizzazione primaria) non può
ritenersi sottratto ad una doverosa valutazione pure sotto
il profilo urbanistico;
c) infine, il silenzio-assenso di cui al comma 9 dell'art.
87 del d.Lgs. n. 259/2003 non poteva ritenersi formato per
la mancanza di conformità dell'opera realizzata alle
prescrizioni contenute nell'anzidetto piano di
localizzazione.
I precedenti ed il panorama complessivo
La sentenza della Suprema Corte si muove nel solco di una
giurisprudenza che, sulla questione, è andata
progressivamente consolidandosi.
l'orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza
amministrativa -che ha ricevuto l'avallo della Corte
Costituzionale con la sentenza 28.03.2006, n. 129- riconosce
carattere omnicomprensivo all'autorizzazione prevista dal
D.Lgs. n. 259/2003, esteso a tutti i profili connessi alla
realizzazione ed all'attivazione degli impianti di telefonia
cellulare,inclusi quelli urbanistici ed edilizi [vedi, ad
esempio, Tar Puglia, Bari, sez. III, 13.05.2005, n. 2143;
Tar Veneto, sez. II, 13.09.2004, n. 3295; Tar Veneto, sez.
II, 30.07.2004, n. 2579; Tar Puglia, Bari, sez. III,
22.07.2004, n. 3217; Tar Piemonte,sez. I, 23.06.2004, n.
1176].
Tale orientamento -fatto proprio dal Consiglio di Stato,
Sez. VI, con le decisioni 11.01.2005, n. 100 e 22.10.2004,
n. 6910- è stato condiviso dalla giurisprudenza di
legittimità (vedi Cass. pen., Sez. III: 16.09.2005, n.
33735, Vodafone Omnitel; 21.03.2006, n. 9631, Vodafone
Omnitel), ove sono stati affermati i principi secondo i
quali:
- il provvedimento autorizzatorio e la procedura di denunzia
di inizio dell'attività (oggi SCIA) previsti dall'art. 87
del d.Lgs. 01.08.2003, n. 259, per l'autorizzazione
all'installazione di infrastrutture di comunicazione
elettronica per impianti radioelettrici,hanno come contenuto
imprescindibile anche la verifica della compatibilità
urbanistico-edilizia dell'intervento e non è richiesta,
pertanto, la necessità di un distinto titolo abilitativo a
fini edilizi;
- l'installazione e la modifica delle caratteristiche di
emissione delle infrastrutture di comunicazione elettronica
costituiscono pur sempre interventi di nuova costruzione [ex
art. 3, lettere e.2) ed e.4), del T.U. n. 380/2001] soggetti
al regime sostanziale del permesso di costruire (anche se
tale titolo non deve essere formalmente rilasciato in
aggiunta all'autorizzazione prevista dalla legge speciale).
Ne consegue che la denunzia di inizio dell'attività,
prevista dall'art. 87, 3° comma - ultima parte, del D.Lgs.
n. 259/2003 per la realizzazione di impianti "con potenza
in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt", non
è quella disciplinata dagli artt. 22 e 23 del T.U. n.
380/2001,ma va ricondotta al modello generale di cui
all'art. 19 della legge n. 241/1990, come sostituito
dall'art. 49, comma 4-bis, della legge n. 122/2010 [sicché
deve ritenersi attualmente sostituita dalla disciplina della
SCIA posta dall'anzidetto art. 19]. Nel relativo
procedimento, pertanto, dovranno essere comunque valutati i
profili urbanistico-edilizi del realizzando intervento,
tenendo conto che la semplificazione è soltanto procedurale.
- Non resta influenzato, in ogni caso, il regime
sanzionatorio penale di cui all'art. 44del T.U. n. 380/2001
e le infrastrutture di comunicazione elettronica specificate
al comma 1 dell'art. 87 del d.Lgs. n. 259/2003 restano
sottoposte, pur sempre, alle sanzioni penali specifiche
delle opere soggette a permesso di costruire.
Le disposizioni dell'art. 44 del T.U. n. 380/2001 si
applicano altresì agli impianti "con potenza in singola
antenna uguale od inferiore ai 20 Watt" (di cui al comma
3, ultima parte, del medesimo art. 87) -suscettibili di
realizzazione mediante denunzia di inizio attività (oggi
SCIA) ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241/1990, come
successivamente sostituito- allorché questi siano eseguiti
in assenza o in difformità dalla denunzia medesima. Il
mutamento della disciplina per l'abilitazione all'intervento
edilizio non incide, infatti,sulla disciplina sanzionatoria
penale, che non viene correlata alla tipologia del titolo
abilitativo, bensì alla consistenza concreta
dell'intervento.
Questione dibattuta in dottrina e giurisprudenza è quella
relativa all'eventuale consumazione del potere della
pubblica amministrazione di intervenire sul provvedimento
formatosi per silenzio-assenso una volta decorso il termine
di 90 giorni dalla ricezione della domanda (ai sensi del
comma 9 dell'art. 87 del d.Lgs. n. 259/2003).
Un potere siffatto è stato riconosciuto, ad esempio, dal Tar
Lazio, Roma, Sez. ll-bis, con la sentenza n. 2690 del
16.03.2009, in seguito all'accertamento della insussistenza
dei requisiti e presupposti di legge già dichiarati dagli
interessati nella loro domanda di autorizzazione.
In senso contrario, invece, appare orientata la
giurisprudenza amministrativa prevalente, secondo la quale,
ammettendosi ad libitum l'intervento dell'autorità locale
anche dopo la formazione della fattispecie assentiva per
silentium, si provocherebbe un'ingiustificata anomalia,
sul piano dell'aggravamento procedi mentale, al principio
fondamentale di semplificazione, fermo restando comunque
l'eventuale accesso all'autotutela sul provvedimento
abilitativo in tal modo formatosi.
A giudizio della Cassazione, nel caso in esame, per quanto
rileva ai fini penali, il contrasto può essere superato
allorché si consideri che costituisce condizione per la
formazione del silenzio assenso la sussistenza dei
presupposti e dei requisiti di legge richiesti. [In materia
urbanistica, ad esempio, è stata ritenuta condizione
indefettibile per il formarsi del silenzio-assenso la
conformità dell'intervento che si intende realizzare agli
strumenti urbanistici vigenti - vedi Cass.: Sez. Unite,
23.04.1993, n. 3, Totaro, nonché Sez. III, 09.02.1998, Svara].
---------------
Esito del ricorso
Rigetta
Riferimenti
Tribunale del riesame di Macerata, ordinanza 05.10.2012
Decisioni conformi
Cassazione penale, Sez. III, 01.09.2010, n. 32527;
Cassazione penale, Sez. III, 21.03.2006, n. 9631;
Cassazione penale, Sez. III, 18.11.2005, n. 41598;
Cassazione penale, Sez. III, 16.09.2005, n. 33735
Note esplicative
Ai fini della installazione di ripetitori telefonici è
insufficiente la presentazione di d.i.a., essendo invece
necessario il rilascio delle autorizzazioni previste al
termine della specifica procedura disciplinata dagli artt.
87 e ss. del d.lgs. n. 259 del 2003 il cui mancato rispetto
rende le opere abusive e suscettibili delle sanzioni di cui
all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001. Secondo la sentenza
qui commentata, ciò è necessario anche per la realizzazione
di lavori di installazione di ulteriori ripetitori, non
costituendo interventi di “manutenzione straordinaria”
Riferimenti normativi:
D.Lgs. 01.8.2003, n. 259, art. 87 d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
art. 44, lett. b) (commento tratto da www.ipsoa.it -
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.09.2013 n. 39415). |
EDILIZIA PRIVATA:
In base alla procedura
delineata dall'art. 87, comma 9, del D.Lgs. n. 259/2003, il
decorso del termine di 90 giorni dalla presentazione
dell'istanza di installazione di un impianto di telefonia
mobile e la mancanza di un provvedimento di diniego
comunicato entro il detto termine comportano la formazione
del silenzio-assenso sulla relativa istanza costituente
titolo abilitativo alla realizzazione dell'impianto con
conseguente illegittimità dei provvedimenti di diniego o di
rimozione postumi, precisandosi che siffatto titolo
abilitativo è rimuovibile solo in sede di autotutela nel
rispetto dei requisiti formali e sostanziali previsti per
l'esercizio di siffatto potere.
E’, invece, di rilievo assorbente la
fondatezza del primo motivo di gravame col quale si deduce
l’avvenuta formazione del titolo autorizzatorio per
silentium.
Al riguardo si deve premettere che l’impugnato provvedimento
dell’inefficacia della d.i.a. e di sospensione dei lavori e
di rimozione delle opere realizzate è adottato in ragione
dell’illegittimità della d.i.a. in quanto mancante del
consenso unanime dei condomini del fabbricato su cui si
ubica l’impianto di telefonia, ed in ragione del contrasto
dell’impianto di condizionamento con il regolamento
edilizio.
Ciò posto, e premesso che, per affermazione di parte
ricorrente non contraddetta ex adverso, il provvedimento
impugnato è stato adottato dopo il decorso di giorni 90
dall’ultimo deposito d’integrazione documentale richiesto
dal Comune, si deve osservare che l’art. 87, comma 9, del
Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n.
259/2003), puntualmente invocato col motivo di gravame in
esame, stabilisce che, qualora entro il detto termine di
giorni 90 dalla presentazione della d.i.a., non sia stato
comunicato il diniego di autorizzazione, la d.i.a. s’intende
accolta; e si deve considerare che è consolidato principio
giurisprudenziale, condiviso da questo Tribunale, quello
secondo cui, in base alla procedura delineata dall'art. 87,
comma 9, del D.Lgs. n. 259/2003, il decorso del termine di 90
giorni dalla presentazione dell'istanza di installazione di
un impianto di telefonia mobile e la mancanza di un
provvedimento di diniego comunicato entro il detto termine
comportano la formazione del silenzio-assenso sulla relativa
istanza costituente titolo abilitativo alla realizzazione
dell'impianto con conseguente illegittimità dei
provvedimenti di diniego o di rimozione postumi,
precisandosi che siffatto titolo abilitativo è rimuovibile
solo in sede di autotutela nel rispetto dei requisiti
formali e sostanziali previsti per l'esercizio di siffatto
potere (Cfr. Cons. di Stato – Sez. III – 30/09/ 2011 n.
4294; TAR Calabria – CZ – Sez. I – 03/10/2012 n. 981)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 12.09.2013 n. 1869 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 87, comma 5, del
D.Lgs. n. 259/2003 stabilisce che, nelle fattispecie come
quella in esame concernente le d.i.a. per l’installazione di
impianti di telefonia mobile, il responsabile del
procedimento può richiedere per una sola volta dichiarazioni
e/o integrazioni documentali “entro il termine di quindici
giorni” dalla data di ricezione delle domande.
Al riguardo, la giurisprudenza, consolidatasi nel tempo che
appare da condividere, ha avuto modo di affermare
costantemente la perentorietà del detto termine tenendosi
conto della ratio acceleratoria sottesa ai procedimenti de
quibus anche in vista dell’eventuale vanificazione che i
tardivi eventi interruttivi del procedimento potrebbero
sortire sulla formazione del titolo autorizzatorio per
silentium previsto in materia al decorso di giorni 90 dalla
presentazione della d.i.a. dal comma 9 del medesimo 87 del
D.Lgs. n. 259/2003.
Nel merito è di rilievo assorbente la
fondatezza del primo motivo di gravame col quale la società
ricorrente, deducendo la violazione dell’art. 87, comma 5, del D.Lgs.
01/08/2003 n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche), assume l’illegittimità degli atti impugnati
perché emessi oltre il termine prescritto.
Il menzionato art. 87, comma 5, del D.Lgs. n. 259/2003
stabilisce che, nelle fattispecie come quella in esame
concernente le d.i.a. per l’installazione di impianti di
telefonia mobile, il responsabile del procedimento può
richiedere per una sola volta dichiarazioni e/o integrazioni
documentali “entro il termine di quindici giorni” dalla data
di ricezione delle domande; ed, al riguardo, la
giurisprudenza, consolidatasi nel tempo che appare da
condividere, ha avuto modo di affermare costantemente la
perentorietà del detto termine tenendosi conto della ratio
acceleratoria sottesa ai procedimenti de quibus anche in
vista dell’eventuale vanificazione che i tardivi eventi
interruttivi del procedimento potrebbero sortire sulla
formazione del titolo autorizzatorio per silentium previsto
in materia al decorso di giorni 90 dalla presentazione della
d.i.a. dal comma 9 del medesimo 87 del D.Lgs. n. 259/2003
(Cfr. Cons. di Stato – Sez. VI – 31/03/2011 n. 1993; id.
26/01/2009 n. 355; id. 16/09/2011 n. 5165; TAR Campania – NA –
Sez. VII – 03/08/2006 n. 7822; id. 21/04/2009 n. 2077; TAR
Basilicata – PZ – Sez. I - 25/06/2008 n. 312)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 12.09.2013 n. 1868 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA: Antenna telefonica nociva va rimossa. Col traliccio.
Gli impianti di telefonia che causano immissioni
potenzialmente pericolose per la salute umana vanno rimossi.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza
04.09.2013 n.
20340.
I giudici di legittimità hanno dichiarato che alla luce
delle più recenti scoperte scientifiche, l'esposizione ai
campi elettrici e magnetici prodotti dai sistemi di
telefonia, può essere a buon diritto considerata fonte di
possibili effetti negativi per la salute; pertanto,
l'impianto che genera, seppure per periodi limitati, dei
valori di emissione di onde elettromagnetiche superiori ai
limiti massimi consentiti dalle norme in vigore, deve essere
eliminato.
La suprema corte ha ricordato l'esistenza di una specifica
normativa relativa ai valori limite di esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici connessi al
funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo
di frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz, normativa,
quindi, che ha riguardo alla fondamentale finalità della
prevenzione delle malattie, con lo scopo di impedire
qualsiasi comportamento contrastante. Si viene pertanto ad
applicare il c.d. principio di precauzione per cui il
superamento dei limiti fissati, di volta in volta, nelle
emissioni, comporta una presunzione di pericolosità per la
salute umana il che farebbe scattare le norme di tutela.
Inoltre gli Ermellini hanno, nella stessa sentenza,
affermato che il traliccio su cui vengono installate le
antenne non può essere considerato una pertinenza, perché
equiparato ad una “nuova costruzione” peraltro abusiva.
La corte di legittimità ha, poi, osservato che la soggezione
ad autorizzazione gratuita, e non a concessione, ai sensi
dell'art. 7, secondo comma, lett. a), del dl 23/01/1982 n. 9
convertito in legge n. 94 del 1982, concerne le opere
costituenti pertinenze o impianti tecnologici di edifici già
esistenti. Soggiace a concessione edilizia la realizzazione
di un'opera di rilevanti dimensioni che modifica l'assetto
del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto
alla «res principalis», indipendentemente dal vincolo
di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa (Cons. di
stato 2/2/2012 n. 615).
Pertanto il suddetto traliccio non era un accessorio
dell'edificio su cui era stato installato, ma uno strumento
dell'attività industriale che in esso si svolgeva
(articolo ItaliaOggi Sette del
23.09.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: In
base alla legge 22.02.2001 n. 36, i Comuni possono, in
un'ottica di ottimale disciplina d'uso del territorio,
adottare misure per la localizzazione delle stazioni radio
base, anche integrative rispetto alla disciplina vigente, in
modo tale da minimizzare l'esposizione dei cittadini
residenti ai campi elettromagnetici, senza tuttavia per
questo potersi spingere fino ad impedire -o a rendere
eccessivamente onerosa- la possibilità di installare
impianti di telefonia sul territorio comunale.
In sostanza, come precisato ripetutamente
in giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sentenze n. 4631
del 2009, n. 9414 del 2010, n. 3783 del 2011), in base alla
legge 22.02.2001 n. 36, i Comuni possono, in un'ottica
di ottimale disciplina d'uso del territorio, adottare misure
per la localizzazione delle stazioni radio base, anche
integrative rispetto alla disciplina vigente, in modo tale
da minimizzare l'esposizione dei cittadini residenti ai
campi elettromagnetici, senza tuttavia per questo potersi
spingere fino ad impedire -o a rendere eccessivamente
onerosa- la possibilità di installare impianti di telefonia
sul territorio comunale
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 03.09.2013 n. 451 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Palmisano,
Inquinamento elettromagnetico e principio di precauzione:
dal Tar Sicilia un provvedimento che fa bene alla salute (04.08.2013
- link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 86,
comma 3, del D.lgs. n. 259/2003, le infrastrutture di reti
di telecomunicazioni sono assimilate, ad ogni effetto, alle
opere di urbanizzazione primaria, per cui risultano
compatibili con qualsiasi zonizzazione prevista dagli
strumenti urbanistici vigenti (così da essere installabili
anche in zona di rispetto cimiteriale).
E’ fondata e assorbente la censura con la quale parte
ricorrente deduce l’illegittimità del diniego impugnato
poiché essendo gli impianti di telefonia mobile equiparati
alle opere di urbanizzazione primaria ex art. 16 del D.P.R.
n. 380/2001 sono installabili anche in zona sottoposta a
vincolo cimiteriale.
E, infatti, in ordine alla sussistenza di un contrasto con
le prescrizioni del P.R.G., posto a base del diniego e
ribadito dalla difesa dell’Ente, va ribadito che, ai sensi
dell'art. 86, comma 3, del D.lgs. n. 259/2003, le
infrastrutture di reti di telecomunicazioni sono assimilate,
ad ogni effetto, alle opere di urbanizzazione primaria, per
cui risultano compatibili con qualsiasi zonizzazione
prevista dagli strumenti urbanistici vigenti (così da essere
installabili anche in zona di rispetto cimiteriale), e che
perciò non può non concordarsi con le pronunce
giurisprudenziali amministrative richiamate da parte
ricorrente, secondo cui la ratio sottesa alla
previsione di una fascia di rispetto cimiteriale non risulta
in alcun modo compromessa da una scelta localizzativa ivi
delle stesse infrastrutture (cfr. TAR Campania, Napoli, VII,
25.10.2012, n. 4223; Consiglio Stato, VI, 28.02.2006 n. 894;
TAR Toscana 05.05.2010, n. 1239; TAR Lazio, II-bis,
19.04.2007 n. 4367)
(TAR Basilicata,
sentenza 03.08.2013 n. 489 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Illegittimità diniego installazione
s.r.b. senza verifica tecnica copertura segnale UMTS.
E’ illegittimo il diniego all’installazione di una stazione
radio base per la telefonia mobile motivato dal fato che
l’area individuata dal gestore per l’installazione, risulta
in contrasto con il Programma comunale delle Installazioni.
Il Comune non poteva limitarsi al mero richiamo della
regolamentazione comunale, attribuendo ad essa assoluto
valore cogente e non derogabile, ma doveva valutare i
concreti aspetti tecnici collegati alla istanza, tenendo
conto delle specifiche esigenze di connettività sul
territorio e di sviluppo della rete di telecomunicazione del
gestore, che implicavano, come da verifica tecnica
effettuata, la realizzazione dell’impianto radio base nel
sito indicato, in quanto unico a consentire la efficace
copertura dell’intero territorio comunale secondo i criteri
indicati dalla licenza di esercizio UMTS (massima
tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 03.07.2013 n. 3575 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Rete cellulari, capillarità da garantire.
La selezione dei criteri di insediamento degli impianti di
telefonia mobile da parte delle amministrazioni a vario
titolo interessate, deve tener conto della nozione di «rete
di telecomunicazione», che per definizione richiede una
diffusione capillare sul territorio, segnatamente nei casi
di telefonia mobile (c.d. «cellulare»), che, alla debolezza
del segnale di antenna, associa la necessità di un rapporto
di contiguità delle singole stazioni radio base.
Questo ha
stabilito la III Sez. del Consiglio di Stato con
sentenza
03.07.2013 n. 3575, che si è espressa
circa i caratteri e i limiti della pianificazione
urbanistica da parte comunale in materia di impianti di
telefonia mobile.
In via preliminare, in sintonia con quanto affermato dallo
stesso collegio, sembra opportuno sottolineare come «il
servizio pubblico di comunicazione mobile è preordinato a
consentire a tutta la popolazione, sia residente che in
transito sul territorio dei singoli comuni, di potere essere
adeguatamente servita nelle diverse condizioni di
comunicazione, in movimento o fissa, entro e fuori dagli
edifici, entro e fuori dal centro abitato, in tutte le ore
del giorno e della notte e anche negli orari di massima
concentrazione del traffico».
Pertanto, per effetto dell'art. 86 del dlgs 01.08.2003,
n. 259, delle infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, si
deduce che le stesse debbano collegarsi ed essere poste al
servizio dell'insediamento abitativo e non essere dalle
stesso avulse.
Il Consiglio di stato ha poi ribadito che è stato anche
rilevato che la determinazione, da parte delle
amministrazioni locali, di limiti di localizzazione degli
impianti non può tradursi in una misura surrettizia di
tutela della popolazione da immissioni radioelettriche che
l'art. 4 della legge 22.02.2001, n. 36 riserva allo
stato attraverso l'individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità, da
introdursi con decreto del presidente del consiglio dei
ministri su proposta del ministro dell'ambiente, di concerto
con il ministro della salute (cfr. Cons. stato, VI, 03.03.2007, n. 1017;
05.06.2006, n. 3332; 05.08.2005, n.
4159; 20.12.2002, n. 7274; 03.06.2002, n. 3095;
cfr. anche Corte cost. sentenza n. 336 del 27.07.2005).
È pur vero, hanno concluso i giudici di Palazzo Spada, che
ai sensi dell'art. 8, c. 6, legge n. 36 del 2001 «i comuni
possono adottare un regolamento per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici» ma, al riguardo, la giurisprudenza ha più
volte affermato che da tale previsione debbono discendere
regole comunali ragionevoli, motivate e certe, poste a
presidio di interessi di rilievo specifico a livello locale,
per il particolare valore paesaggistico e ambientale o
storico-artistico di certe porzioni del territorio, ovvero
per la presenza di siti che, per la loro destinazione d'uso,
possano essere qualificati particolarmente sensibili alle
immissioni elettromagnetiche, non potendo comunque imporsi
un generalizzato divieto di installazione in identificate
zone urbanistiche del territorio comunale (tra le altre:
Cons. stato, VI, 15.07.2010, n. 4557; cfr. anche Corte cost.
sentenza n. 336 del 27.07.2005)»
(tratto da ItaliaOggi del
15.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Giannone,
L’istituto della sanatoria disciplinata dall’art. 36 del
D.P.R. 380/2001 e la sua estensibilità all’Autorizzazione
Unica alla realizzazione ed all’esercizio di impianti per la
produzione di energia elettrica mediante utilizzo di
fonti energetiche rinnovabili di cui all'art. 12, comma 3,
del D.Lgs. 387/2003 - PARTE 1^ (link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Venturi,
Limiti alla potestà regolamentare comunale in tema di
inquinamento elettromagnetico (04.06.2013 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
- la realizzazione di impianti di
telecomunicazione è subordinata soltanto all'autorizzazione
prevista dall'art. 87 del D.Lgs 259/2003, che pone una
normativa speciale ed esaustiva che include anche la
valutazione della compatibilità edilizio-urbanistica
dell'intervento, non occorrendo perciò il permesso di
costruire di cui agli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380/2001;
- l'art. 87 del codice delle comunicazioni prevede al nono
comma che “Le istanze di autorizzazione e le denunce di
attività di cui al presente articolo, nonché quelle relative
alla modifica delle caratteristiche di emissione degli
impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro
novanta giorni dalla presentazione del progetto e della
relativa domanda … non sia stato comunicato un provvedimento
di diniego o un parere negativo da parte dell'organismo
competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14
della legge 22.02.2001, n. 36…”;
- la ratio della summenzionata disposizione va ricercata
nella previsione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto
di installazione di infrastrutture, nella riduzione dei
termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi,
nonché nella regolazione uniforme dei medesimi procedimenti
anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di
autorizzazioni per l'installazione di infrastrutture di reti
mobili, in conformità ai principi di cui alla L. 241/1990;
- è evidente che tali criteri risulterebbero
irrimediabilmente vanificati se il nuovo procedimento fosse
destinato non a sostituire ma ad aggiungersi a quello
previsto dal T.U. in materia edilizia, sicché le procedure
di cui all'art. 87 sono destinate ad assorbire ogni altro
procedimento, anche di natura edilizia.
---------------
E' illegittimo un regolamento comunale in tema di fissazione
dei criteri per la localizzazione delle SRB laddove l'ente
territoriale si sia posto quale obiettivo (non dichiarato,
ma evincibile dal contenuto dell'atto regolamentare) quello
di preservare la salute umana dalle emissioni
elettromagnetiche promananti da impianti di
radiocomunicazione, ad esempio attraverso la fissazione di
distanze minime delle stazioni radio base da particolari
tipologie d'insediamenti abitativi, essendo tale materia
attribuita alla legislazione concorrente Stato-Regioni
dell'art. 117 Cost..
Al riguardo, si è inoltre precisato che occorre distinguere
tra criteri localizzativi (consentiti) e limitazioni alla
localizzazione (vietate) ritenendo che “è consentito alle
Regioni ed ai Comuni, ciascuno per la sua competenza,
introdurre criteri localizzativi degli impianti de quibus,
nell’ambito della funzione di definizione degli ‘obiettivi
di qualità’ …. di cui all’art. 3, comma 1, lettera d, ed
all’art. 8, comma 1, lettera e, e comma 6 della legge quadro
(n.d.r. L. 22.02.2001 n. 36); non è invece consentito
introdurre limitazioni alla localizzazione.
Sono criteri localizzativi (legittimi, ancorché espressi ‘in
negativo’) i divieti di installazione su ospedali, case di
cura e di riposo, scuole e asili nido, siccome riferiti a
specifici edifici; sono, invece, limitazioni alla
localizzazione (vietate) i criteri distanziali generici ed
eterogenei, quali la prescrizione di distanze minime, da
rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro
esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di
lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente
connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali,
case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole
ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della
legislazione sui beni storico–artistici o individuati come
edifici di pregio storico–architettonico, di parchi
pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti
sportivi.
In conclusione, i comuni possono legittimamente vietare
l’installazione su specifici edifici e dettare criteri
distanziali concreti, omogenei e specifici. Non possono
introdurre misure di cautela distanziali generiche ed
eterogenee”.
Orbene, quanto al primo rilievo, ai sensi
dell’art. 74 cod. proc. amm. il Collegio non ritiene di
discostarsi dalla richiamata pronuncia di questo TAR n.
426/2012, secondo cui:
- la realizzazione di impianti di telecomunicazione è
subordinata soltanto all'autorizzazione prevista dall'art.
87 del D.Lgs 259/2003, che pone una normativa speciale ed
esaustiva che include anche la valutazione della
compatibilità edilizio-urbanistica dell'intervento, non
occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli artt.
3 e 10 del D.P.R. n. 380/2001 (cfr. anche Consiglio di
Stato, Sez. VI, 28.04.2010 n. 2436 e 15.07.2010 n.
4557);
- l'art. 87 del codice delle comunicazioni prevede al nono
comma che “Le istanze di autorizzazione e le denunce di
attività di cui al presente articolo, nonché quelle relative
alla modifica delle caratteristiche di emissione degli
impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro
novanta giorni dalla presentazione del progetto e della
relativa domanda … non sia stato comunicato un provvedimento
di diniego o un parere negativo da parte dell'organismo
competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14
della legge 22.02.2001, n. 36…”;
- la ratio della summenzionata disposizione va ricercata
nella previsione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto
di installazione di infrastrutture, nella riduzione dei
termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi,
nonché nella regolazione uniforme dei medesimi procedimenti
anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di
autorizzazioni per l'installazione di infrastrutture di reti
mobili, in conformità ai principi di cui alla L. 241/1990;
- è evidente che tali criteri risulterebbero
irrimediabilmente vanificati se il nuovo procedimento fosse
destinato non a sostituire ma ad aggiungersi a quello
previsto dal T.U. in materia edilizia, sicché le procedure
di cui all'art. 87 sono destinate ad assorbire ogni altro
procedimento, anche di natura edilizia (cfr. anche TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 05.06.2009 n. 3098);
- in data 29.09.2010 la società Vodafone inoltrava
istanza di autorizzazione ex art. 87 e, rispetto a tale dies
a quo ed in mancanza di atti di autotutela del Comune di
Sessa Aurunca, è maturato il termine di 90 giorni per il
silenzio–assenso ex art. 87, nono comma, D.Lgs. 259/2003
con la conseguenza che l’intervento edilizio della
ricorrente deve ritenersi assistito da idoneo titolo
abilitativo (cfr. TAR Napoli, 426/2012).
---------------
Nel merito,
l’impugnazione della citata delibera è fondata alla luce
dell’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa
(Consiglio di Stato, Sez. VI, 24.09.2010 n. 7128; 28.04.2010 n. 2436; 20.12.2002 n. 7274; TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 14.07.2005 n. 9668 e Sez. I,
10.03.2005 n. 1708).
In argomento, si è condivisibilmente osservato che è
illegittimo un regolamento comunale in tema di fissazione
dei criteri per la localizzazione delle SRB laddove l'ente
territoriale si sia posto quale obiettivo (non dichiarato,
ma evincibile dal contenuto dell'atto regolamentare) quello
di preservare la salute umana dalle emissioni
elettromagnetiche promananti da impianti di
radiocomunicazione, ad esempio attraverso la fissazione di
distanze minime delle stazioni radio base da particolari
tipologie d'insediamenti abitativi (come nella fattispecie
in esame), essendo tale materia attribuita alla legislazione
concorrente Stato-Regioni dell'art. 117 Cost..
Al riguardo, si è inoltre precisato (TAR Napoli, sent.
cit. 9668/2005) che occorre distinguere tra criteri
localizzativi (consentiti) e limitazioni alla localizzazione
(vietate) ritenendo che “è consentito alle Regioni ed ai
Comuni, ciascuno per la sua competenza, introdurre criteri
localizzativi degli impianti de quibus, nell’ambito della
funzione di definizione degli ‘obiettivi di qualità’ …. di
cui all’art. 3, comma 1, lettera d, ed all’art. 8, comma 1,
lettera e, e comma 6 della legge quadro (n.d.r. L.
22.02.2001 n. 36); non è invece consentito introdurre
limitazioni alla localizzazione. Sono criteri localizzativi
(legittimi, ancorché espressi ‘in negativo’) i divieti di
installazione su ospedali, case di cura e di riposo, scuole
e asili nido, siccome riferiti a specifici edifici; sono,
invece, limitazioni alla localizzazione (vietate) i criteri
distanziali generici ed eterogenei, quali la prescrizione di
distanze minime, da rispettare nell’installazione degli
impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad
abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da
quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti
stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici
adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili
vincolati ai sensi della legislazione sui beni
storico–artistici o individuati come edifici di pregio
storico–architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco,
aree verdi attrezzate ed impianti sportivi. In conclusione,
i comuni possono legittimamente vietare l’installazione su
specifici edifici e dettare criteri distanziali concreti,
omogenei e specifici. Non possono introdurre misure di
cautela distanziali generiche ed eterogenee”
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 09.05.2013 n. 2394 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione d’impianti radioelettrici
consenso del proprietario e sanzioni penali.
Il combinato degli artt. 90, 91 e 92 del
D.lgs. n. 259/2003: “Codice delle Comunicazioni
elettroniche”, relativi alla procedura di espropriazione in
caso di mancato consenso del proprietario, dispone che detto
consenso, ove non si faccia luogo dell’espropriazione, debba
essere richiesto e ottenuto in quanto necessario ai fini
dell’autorizzazione dell’impianto.
Più in generale il consenso dei proprietari degli immobili
interessati ad attività edilizia, che ricomprende
l’installazione degli impianti radioelettrici, è principio
generale del nostro ordinamento desumibile dall’art. 11 del
D.P.R. n. 380 del 2001, volto a tutelare la ordinata
gestione del territorio e la tutela della proprietà privata
e dunque deve configurarsi come presupposto di carattere
sostanziale di avvio del procedimento e non un suo aggravio.
Inoltre, le infrastrutture di comunicazione elettronica
specificate al co. 1 dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003
restano sottoposte pur sempre, alle sanzioni penali
specifiche delle opere soggette a permesso di costruire di
cui all’art. 44 del T.U. n. 380/2001 in quanto il mutamento
della disciplina per l’abilitazione all’intervento edilizio
non incide, sulla disciplina sanzionatoria penale, che non
viene correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì
alla consistenza concreta dell’intervento; correlativamente,
se sono applicabili le sanzioni penali, a maggior ragione
devono ritenersi applicabili anche le sanzioni
amministrative di competenza del Comune.
Il fatto che l’art. 87 del D.lgs. n. 359/2003 preveda che
dopo 90 giorni l’intervento debba intendersi assentito per
silenzio-assenso, non comporta l’assimilazione della
procedura alla DIA e non esclude che la disciplina
sanzionatoria sia quella relativa al permesso a costruire.
Nel sesto motivo
la società Wind censura la sentenza appellata per avere
ritenuta legittima la ordinanza di demolizione emessa dal
Comune ed in specie:
- per avere erroneamente applicato il regime sanzionatorio
di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (opere realizzate
in assenza di permesso di costruire), laddove, secondo la
società, le sanzioni edilizie non si applicano alla materia
disciplinata dal D.Lgs. n. 259/2003 e dalla L. n. 36/2001;
- anche a voler applicare il D.P.R. n. 380/2001, il
riferimento andrebbe piuttosto individuato negli artt. 37 (“Interventi
eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio
attività e accertamento di conformità”) e 38 (“Interventi
eseguiti in base a permesso annullato”), nella parte in
cui prevedono l’applicazione di una sanzione pecuniaria;
- non potrebbe consentirsi agli enti locali il potere di
incidere in maniera così radicale su un impianto che è
diretto a garantire la diffusione del segnale telefonico di
pubblica utilità, per il quale al più è consentita la
disattivazione, che comunque spetterebbe all’Amministrazione
centrale;
- occorrerebbe infine tenere conto del disposto dell’art.
2933 c.c., che impedisce la distruzione della cosa ove la
stessa sia di pregiudizio all’economia nazionale.
Tutte le censure di cui sopra non meritano accoglimento.
La sezione osserva come nel nostro ordinamento non è
possibile escludere a priori ogni possibile rilevanza,
quantomeno concorrente, dell’ordinario regime sanzionatorio
edilizio, con riferimento alle strutture del genere di
quella in esame, in quanto anche siffatti manufatti sono
potenzialmente suscettibili di incidere sull’assetto del
territorio e sulla estetica e stabilità degli immobili.
Anche la giurisprudenza della Cassazione Penale ha rilevato
che “…le infrastrutture di comunicazione elettronica
specificate al co. 1 dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003
restano sottoposte pur sempre, alle sanzioni penali
specifiche delle opere soggette a permesso di costruire” di
cui all’art. 44 del T.U. n. 380/2001 in quanto “Il mutamento
della disciplina per l’abilitazione all’intervento edilizio
non incide, infatti, sulla disciplina sanzionatoria penale,
che non viene correlata alla tipologia del titolo
abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell’intervento”
(Cass. Pen. III, 16.09.2005 n. 33735); correlativamente, se
sono applicabili le sanzioni penali, a maggior ragione
devono ritenersi applicabili anche le sanzioni
amministrative di competenza del Comune.
Il fatto che l’art. 87 del D.lgs. n. 359/2003 preveda che
dopo 90 giorni l’intervento debba intendersi assentito per
silenzio assenso poi non comporta la assimilazione della
procedura alla DIA e non esclude che la disciplina
sanzionatoria sia quella relativa al permesso a costruire.
Esattamente quindi il primo giudice ha richiamato come
termine di riferimento normativo la disposizione dell’art.
38 del D.P.R. n. 380/2001, co. 1, applicabile, in specie,
per la parte relativa alla riduzione in pristino che con
riferimento alle antenne è normalmente praticabile e non
applicabile per la parte relativa alla rimozione di vizi
procedurali venendo in rilevo la mancanza di un presupposto
sostanziale quale la disponibilità di un titolo di
disponibilità.
Né appare conferente il richiamo alla nota del Ministero
delle Comunicazioni del 28.02.2003 che si riferisce al caso
in disattivazione e spostamento di antenne già autorizzate e
che vengano gestite in difformità alle autorizzazioni
ricevute o alle norme applicabili mentre il caso in esame
attiene ad una antenna priva di autorizzazione in una
fattispecie rientrante nel potere di controllo del
territorio spettante al Comune.
Inapplicabile è infine l’art. 2933, secondo co., che si
riferisce ad ipotesi del tutto eccezionali, di beni volti a
produrre e distribuire ricchezza la cui distruzione
recherebbe un danno irreparabile all’economia nazionale là
dove il caso esame attiene ad un semplice smantellamento di
una antenna facilmente allocabile in altro luogo
(massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 22.04.2013 n. 2238 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Legittimità contributo per il costo di
costruzione di una stazione radio base.
E' legittima la richiesta del contributo per il costo di
costruzione di una stazione radio base, in applicazione del
regolamento comunale.
L’installazione di stazioni radio
base, seppur sottoposta al procedimento autorizzatorio
semplificato previsto dal codice delle
comunicazioni, costituisce comunque un’attività
edilizia che, qualora il codice stesso non
prevedesse alcunché, richiederebbe il rilascio del
permesso di costruire, con obbligo di pagamento del
connesso contributo.
In altri termini, la semplificazione introdotta dal
d.lgs. n. 259/2003 opera esclusivamente sul piano
procedimentale, ma non comporta che l’installazione
delle stazioni radio base sia esclusa dal contributo
previsto dal legislatore per tutte le attività
edilizie assoggettate a permesso di costruire.
Non è corretto il riferimento all’art. 93 del d.lgs.
n. 259/2003, il quale, laddove introduce il divieto
per le Pubbliche Amministrazioni di imporre oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge, si limita
a prevedere una riserva di legge per l’imposizione
di nuovi oneri o canoni, ferme restando le leggi in
materia edilizia (art. 16 del d.p.r. n. 380/2001),
quest’ultime, dunque, subordinano le attività
soggette a permesso di costruire al pagamento del
contributo relativo al costo di costruzione.
Non depone in senso contrario l’art. 17, comma 3,
del d.p.r. n. 380/2001, il quale esonera dal
predetto contributo le opere di interesse generale e
le opere di urbanizzazione, sempre che le stesse
siano espressamente previste negli strumenti
urbanistici. Invero tale norma non dispone
un’esenzione generalizzata, ma subordinata alla
specifica previsione dell’opera nello strumento
urbanistico.
---------------
Il contributo relativo al costo di costruzione trova
fondamento in specifiche norme sull’attività
edilizia, comprendente le modifiche dell’assetto del
territorio prodotte, come nel caso di specie,
dall’installazione di stazioni radio base.
Su tale aspetto, oggetto della disciplina di cui al
d.p.r. n. 380/2001, non interferiscono le suddette
direttive, riguardanti questioni procedimentali che
non escludono la potestà del Comune di esigere i
contributi economici connessi alla trasformazione
del territorio.
---------------
E' legittima la previsione regolamentare che
quantifica nella misura di euro 380.000,00 il costo
medio di realizzazione di un impianto di telefonia
sul quale viene applicata la percentuale del costo
di costruzione pari al 10%.
Invero, qualora il costo di realizzazione della
stazione radio base della ricorrente fosse superiore
a quello indicato dall’art. 14 del regolamento, la
stessa non riceverebbe alcun pregiudizio
dall’applicazione della norma, in quanto l’auspicato
riferimento dell’Amministrazione al costo effettivo
esporrebbe la società istante ad un più elevato
onere economico.
Né appare sproporzionata la percentuale applicata
dal Comune di Carrara (10%), a fronte dell’art. 16
del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 121 della L.R. n.
1/2005, i quali demandano all’Ente la determinazione
discrezionale di una quota variabile dal 5% al 20%
del costo di costruzione.
Con la prima censura la ricorrente sostiene
che il manufatto in questione, essendo assimilabile
alle opere di urbanizzazione primaria e rivestendo
interesse generale, è esonerato, per effetto
dell’art. 17 del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 124
della L.R. n. 1/2005, dal pagamento del costo di
costruzione, come è confermato dall’art. 93 del
d.lgs. n. 259/2003, che vieta l’imposizione di oneri
o canoni per l’impianto di reti o per l’esercizio
dei servizi di comunicazione elettronica.
Il rilievo è infondato.
L’installazione di stazioni radio base, seppur
sottoposta al procedimento autorizzatorio
semplificato previsto dal codice delle
comunicazioni, costituisce comunque un’attività
edilizia che, qualora il codice stesso non
prevedesse alcunché, richiederebbe il rilascio del
permesso di costruire, con obbligo di pagamento del
connesso contributo. In altri termini, la
semplificazione introdotta dal d.lgs. n. 259/2003
opera esclusivamente sul piano procedimentale, ma
non comporta che l’installazione delle stazioni
radio base sia esclusa dal contributo previsto dal
legislatore per tutte le attività edilizie
assoggettate a permesso di costruire.
Pertanto emerge l’infondatezza del riferimento, da
parte della deducente, all’art. 93 del d.lgs. n.
259/2003, il quale, laddove introduce il divieto per
le Pubbliche Amministrazioni di imporre oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge, si limita
a prevedere una riserva di legge per l’imposizione
di nuovi oneri o canoni, ferme restando le leggi in
materia edilizia (art. 16 del d.p.r. n. 380/2001 e
art. 119 della L.R. n. 1/2005); quest’ultime
subordinano le attività soggette a permesso di
costruire al pagamento del contributo relativo al
costo di costruzione e legittimano quindi gli atti
impugnati (TAR Toscana, I, 11.09.2008, n. 1950).
Non depone in senso contrario l’art. 17, comma 3,
del d.p.r. n. 380/2001, il quale esonera dal
predetto contributo le opere di interesse generale e
le opere di urbanizzazione, sempre che le stesse
siano espressamente previste negli strumenti
urbanistici. Invero tale norma non dispone
un’esenzione generalizzata, ma subordinata alla
specifica previsione dell’opera nello strumento
urbanistico; previsione che, nel caso in esame, non
sussiste.
Ad analoghe conclusioni si presta l’art. 124 della
L.R. n. 1/2005, il quale esonera dall’obbligo del
pagamento del contributo gli impianti, le opere di
interesse pubblico e le opere di urbanizzazione,
ancorché eseguite da privati, alla condizione che vi
sia una convenzione tra gli stessi ed il Comune.
Tuttavia, non è stata sottoscritta alcuna
convenzione dalla ricorrente e dal Comune di
Carrara, con la conseguenza che non sussistono i
presupposti di applicazione nemmeno della norma
regionale.
---------------
La terza
doglianza è incentrata sulla violazione delle
direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE e 2002/22/CE, le
quali, ispirate ai principi di semplificazione,
trasparenza e celerità dei procedimenti
autorizzatori, non contemplano oneri a carico dei
gestori.
Il rilievo non ha pregio.
Il contributo relativo al costo di costruzione trova
fondamento in specifiche norme sull’attività
edilizia, comprendente le modifiche dell’assetto del
territorio prodotte, come nel caso di specie,
dall’installazione di stazioni radio base. Su tale
aspetto, oggetto della disciplina di cui al d.p.r.
n. 380/2001, non interferiscono le suddette
direttive, riguardanti questioni procedimentali che
non escludono la potestà del Comune di esigere i
contributi economici connessi alla trasformazione
del territorio.
---------------
Con il quarto motivo l’esponente deduce che
l’art. 14 del contestato regolamento comunale
quantifica arbitrariamente, senza approfondimenti
istruttori e in modo indifferenziato, astratto e
aprioristico, nella misura di euro 380.000, il costo
medio di realizzazione di un impianto di telefonia
sul quale viene applicata la percentuale del costo
di costruzione pari al 10%.
La censura è inammissibile.
La ricorrente non ha specificato in alcun modo il
costo di realizzazione del proprio impianto,
omettendo così di fornire prova circa la natura
concretamente lesiva, nei suoi confronti, della
contestata quantificazione del contributo.
Invero, qualora il costo di realizzazione della
stazione radio base della ricorrente fosse superiore
a quello indicato dall’art. 14 del regolamento, la
stessa non riceverebbe alcun pregiudizio
dall’applicazione della norma, in quanto l’auspicato
riferimento dell’Amministrazione al costo effettivo
esporrebbe la società istante ad un più elevato
onere economico.
Né appare sproporzionata la percentuale applicata
dal Comune di Carrara (10%), a fronte dell’art. 16
del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 121 della L.R. n.
1/2005, i quali demandano all’Ente la determinazione
discrezionale di una quota variabile dal 5% al 20%
del costo di costruzione (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 11.04.2013 n. 539 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimità la
previsione regolamentare del pagamento di un canone annuo a
fronte del rilascio di una concessione edilizia per
l’installazione di antenne ricetrasmittenti per telefonia
mobile, impianti similari e pertinenze tecnologiche.
Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso la
nota, meglio descritta in epigrafe nei suoi estremi, con cui
l’intimata Amministrazione Comunale ha richiesto alla
società ricorrente il versamento del canone annuo di lire
20.000.000 a fronte del rilascio della concessione edilizia
per l’installazione di una stazione radio base per la
prestazione del servizio radiomobile, nonché avverso l’art.
3, punto 4, del Regolamento comunale per l’installazione
degli impianti di trasmissione radiotelevisiva, della rete
di telefonia mobile e per gli apparecchi di ricezione nei
centri urbani, approvato con delibera C.C. n. 4 del 26.01.2001, che prevede il pagamento di tale canone annuo
a fronte della concessione edilizia per l’installazione di
antenne ricetrasmittenti per telefonia mobile.
Chiede, altresì, parte ricorrente l’accertamento del proprio
diritto alla restituzione di quanto versato a titolo di
canone annuo.
Il ricorso è fondato e va accolto per le seguenti
considerazioni.
La gravata nota regolamentare ricollega il pagamento del
canone annuo al rilascio della concessione edilizia cui sono
soggette le installazioni di antenne ricetrasmittenti per
telefonia mobile, impianti similari e relative pertinenze
tecnologiche.
In relazione a tale previsto nesso tra il rilascio della
concessione edilizia ed il pagamento di un canone annuo,
viene in rilievo, quale parametro sulla cui scorta
positivamente delibare in ordine all’illegittimità della
gravata disposizione, l’art. 3 della legge n. 10 del 1977,
il quale subordina la concessione edilizia al pagamento di
un contributo commisurato all’incidenza delle opere di
urbanizzazione e al costo di costruzione, dovendo quindi
escludersi che, ai sensi della normativa statale
applicabile, il rilascio della concessione edilizia possa
essere subordinato o comunque ricollegato al pagamento di un
canone annuo che risulta estraneo rispetto alla natura di
corrispettivo di diritto pubblico commisurato all'aumento
del carico urbanistico di zona ed ai costi di costruzione.
E’, pertanto, evidente il carattere arbitrario del previsto
canone annuo, avente carattere periodico e continuativo, il
quale non trova alcun fondamento nella normativa statale e
prescinde peraltro, nella sua quantificazione, dal calcolo
dell’incidenza dell’opera sui costi di urbanizzazione e di
costruzione.
Né è possibile evincere una qualche causa giustificatrice
della pretesa, non essendovi alcuna controprestazione
gravante sull’Amministrazione Comunale che possa legittimare
la corresponsione di un canone annuo, tenuto altresì conto
che il terreno sul quale insiste l’impianto risulta essere
di proprietà di privati, e non del Comune.
L’assenza di una causa giustificatrice del previsto canone
annuo che possa allo stesso conferire carattere di
corrispettivo nell’ambito di un rapporto sinallagmatico,
conduce ad ascrivere tale canone nel novero delle
prestazioni patrimoniali la cui previsione, a fini
impositivi, è tuttavia riservata alla legge, precluso
essendo quindi all’intimata Amministrazione Comunale la
possibilità di introdurre prestazioni patrimoniali, quale il
contestato canone annuo, in assenza di una previsione di
legge.
La contestata previsione, unilateralmente adottata dal
Comune per via di un atto regolamentare, nel tradursi in una
prestazione imposta, risulta inoltre illegittima per difetto
della copertura legislativa richiesta dall’art. 23 della
Carta fondamentale.
Prevede tale norma che “Nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”
istituendo così una riserva di legge, qualificata di tipo
relativo, essendo sufficiente che la legge determini la c.d.
base legislativa indicante i presupposti, i soggetti passivi
e il nucleo della prestazione patrimoniale da porre a carco
dei privati, correlativamente potendo demandare alla potestà
regolamentare la definizione dei profili di dettaglio e
delle modalità di attuazione del prelievo.
La riserva di legge in parola deve, dunque, ritenersi
rispettata anche in assenza di una espressa indicazione
legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a
delimitare l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione
purché la concreta entità della prestazione imposta sia
chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che
riguardano l'attività dell'amministrazione (Corte
Costituzionale, 14.06.2007, n. 190).
Nell’alveo della garanzia apprestata dalla predetta norma
costituzionale la dottrina e la giurisprudenza della Corte
pacificamente riconducono non solo le prestazioni
patrimoniali di natura tributaria ma anche quelle di diversa
natura come i contributi (Corte Costituzionale, 14.06.2007 n. 190; 26.02.1998, n. 26) e, in genere, tutte
le prestazioni patrimoniali determinate con atto unilaterale autoritativo, alla cui adozione non concorra la volontà del
privato (Corte costituzionale, 14.06.2007, n. 190; 31.05.1996, n. 180), qualificando la giurisprudenza della
Corte costituzionale come prestazione imposta anche un
canone per un'utilizzazione di beni demaniali che, pur
avendo a base un negozio fra la p.a. ed il privato, sia
imposto autoritativamente per la fruizione di un bene
pubblico (Corte Costituzionale, 10.06.1994, n. 236).
Poste le brevi coordinate interpretative appena
tratteggiate, ritiene il Collegio che non possa essere
esclusa la natura di prestazione patrimoniale imposta, ai
sensi e per gli effetti della copertura e della riserva di
legge scolpita all’art. 23 della Costituzione, al previsto
canone annuo cui è sottoposta la concessione edilizia per
l’installazione degli impianti di che trattasi.
Invero, richiamandosi quanto testé ricordato, ovverosia che
il Giudice delle leggi annette natura di prestazione
patrimoniale imposta ex art. 23 Cost., in genere, a tutte le
prestazioni patrimoniali determinate con unilaterale atto
autoritativo alla cui adozione non concorra la volontà del
privato (Corte costituzionale, 14.06.2007, n. 190; 31.05.1996, n. 180), il carattere di prestazione imposta
deve essere alla censurata norma regolamentare conferito se
non altro in considerazione della fonte che lo contiene, che
è un atto generale, ossia un Regolamento locale approvato
con deliberazione di Consiglio comunale.
Richiedendo l’art. 23 della Costituzione che ogni
prestazione patrimoniale imposta sia legittimata da una
fonte normativa avente valore di legge, nella specie
insussistente, la censurata disposizione regolamentare
risulta illegittima anche sotto tale profilo.
Ritiene, dunque, il Collegio che la riserva relativa di
legge recata dall’art. 23 Cost. richiede per il contestato
canone annuo cui è soggetta la concessione edilizia per
l’installazione di impianti di telefonia, di cui alla
gravata norma regolamentare, una copertura legislativa, in
difetto della quale detta norma è illegittima.
In ragione delle superiori considerazioni il ricorso va,
quindi, accolto, stante la rilevata illegittimità della
gravata previsione regolamentare del pagamento di un canone
annuo a fronte del rilascio di una concessione edilizia per
l’installazione di antenne ricetrasmittenti per telefonia
mobile, impianti similari e pertinenze tecnologiche, il che
conduce all’annullamento della relativa norma.
Va parimenti disposto l’annullamento della gravata nota con
la quale è stato richiesto alla società ricorrente il
versamento del canone annuo, riverberandosi sulla stessa in
via derivata i medesimi vizi che affligono la norma
regolamentare (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 09.04.2013 n. 3579 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’impianto
di telefonia in argomento è annoverabile tra le
infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione e, come
tale, può essere equiparato, a tenore dell’art. 86 comma
terzo del D.Lgs. 01.08.2003 n. 259 (Codice delle
comunicazioni elettroniche), alle ordinarie opere di
urbanizzazione primaria, compatibili con qualsiasi
destinazione urbanistica.
Inoltre, a tenore dell’art. 231 del Codice postale (D.P.R.
n. 156/1973), <<gli impianti di teleradio-comunicazioni e le
opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti
impianti, sempreché siano esercitati dallo Stato o dai
concessionari per i servizi ad uso pubblico, hanno carattere
di pubblica utilità>>.
---------------
Il Comune non ha, per legge, la potestà di introdurre un
divieto generalizzato di installazione degli impianti di
telefonia, né di introdurre misure che, pur essendo di
natura tipicamente urbanistica (distanze, altezze, quote,
eccetera) non siano funzionali al governo del territorio,
quanto piuttosto alla tutela dai rischi
dell’elettromagnetismo che –a tenore dell’art. 8 della legge
22.02.2001 n. 36– rientra nelle esclusive attribuzioni
statali, non già in quelle comunali.
La localizzazione degli impianti nelle sole zone in cui il
Regolamento li consente si pone in contrasto non solo con
l’esigenza di permettere la copertura del servizio di
telefonia mobile sull’intero territorio comunale, ma anche
con la loro natura di infrastrutture primarie e impianti di
interesse generale, posti al servizio della comunità e
quindi compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica.
La società ricorrente vuole implementare un impianto di
telefonia già esistente ma riceve il diniego del Comune,
motivato con il fatto che la zona prescelta, a tenore del
Regolamento comunale, non sarebbe idonea.
Le deduzioni del
Comune non considerano che l’impianto di telefonia in
argomento è annoverabile tra le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione e, come tale, può essere
equiparato, a tenore dell’art. 86 comma terzo del D.Lgs. 01.08.2003 n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche), alle ordinarie opere di urbanizzazione
primaria, compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica
(cfr.: TAR Sicilia Palermo II, 11.01.2011 n. 22).
Inoltre,
a tenore dell’art. 231 del Codice postale (D.P.R. n.
156/1973), <<gli impianti di teleradio-comunicazioni e le
opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti
impianti, sempreché siano esercitati dallo Stato o dai
concessionari per i servizi ad uso pubblico, hanno carattere
di pubblica utilità>>.
Ebbene, la società ricorrente risulta
essere concessionaria di un pubblico servizio di
telecomunicazioni, pertanto, la realizzazione delle dette
infrastrutture non è soggetta alle prescrizioni urbanistico-edilizie che si riferiscono a diverse tipologie di opere
edilizie. La conseguenza di ciò è che il titolo autorizzatorio non può essere negato, se non avuto riguardo
a una specifica disciplina conformativa, da assoggettare al
procedimento della variante urbanistica, che prenda in
considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio pubblico.
Tale
disciplina, in effetti, sarebbe quella adottata dal Comune
resistente, con le impugnate deliberazioni di Consiglio
Comunale nn. 26/2002 e 9/2004, sennonché tali atti,
difettando dell’approvazione regionale, non sono coerenti
con il parametro del procedimento di variante urbanistica.
La regolamentazione comunale, che è stata adottata per fini
meramente radio-protezionistici, esclude la possibilità di
installare impianti in aree sensibili, introduce un divieto
generalizzato di installare impianti al di fuori dei siti
comunali individuati nella zonizzazione, dispone il divieto
di rilasciare titoli abilitativi al di fuori delle zone
consentite.
Il Regolamento e il Piano sono palesemente
illegittimi, non soltanto perché difformi dal parametro dei
piani urbanistici, ma anche perché il Comune non ha, per
legge, la potestà di introdurre un divieto generalizzato di
installazione degli impianti di telefonia, né di introdurre
misure –come è accaduto nella specie– che, pur essendo di
natura tipicamente urbanistica (distanze, altezze, quote,
eccetera) non siano funzionali al governo del territorio,
quanto piuttosto alla tutela dai rischi
dell’elettromagnetismo che –a tenore dell’art. 8 della
legge 22.02.2001 n. 36– rientra nelle esclusive
attribuzioni statali, non già in quelle comunali (cfr.:
Corte Cost. 07.10.2003 n. 307; Cons. Stato VI, 10.02.2003 n.
673; TAR Lazio Roma, II-bis, 18.05.2006 n. 3565).
La
localizzazione degli impianti nelle sole zone in cui il
Regolamento li consente si pone in contrasto non solo con
l’esigenza di permettere la copertura del servizio di
telefonia mobile sull’intero territorio comunale, ma anche
con la loro natura di infrastrutture primarie e impianti di
interesse generale, posti al servizio della comunità e
quindi compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica
(cfr.: Cons. Stato VI, 10.02.2003 n. 673; TAR Veneto
Venezia, II, 17.03.2004 n. 749; TAR Molise I, 07.04.2011 n.
176).
Il Comune ha esorbitato dalle proprie attribuzioni
anche per un altro ordine di ragioni: invero, l’art. 8 comma
primo lett. a) della legge n. 36/2001 (legge-quadro sulla
protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici) attribuisce la funzione di individuazione
dei siti di trasmissione per impianti di telefonia mobile
non già ai Comuni, ma alle Regioni. Pertanto, in assenza dei
criteri regionali per l’individuazione delle aree nelle
quali consentire l’installazione, una così stringente e
generale regolamentazione comunale è da ritenersi
esorbitante ed eccessiva
(TAR Molise,
sentenza 29.03.2013 n. 229 - link a
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J. Cortinovis, A. Galbiati e L. Spallino,
Impianti di telefonia mobile: legislazione, giurisprudenza,
dottrina, schema rilascio n.o. paesaggistico (digesto di
normativa e giurisprudenza in tema di impianti di telefonia
mobile aggiornato al 13.03.2013) (13.03.2013 - link a
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PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 87, comma 4, del D.lgs. n. 259 del 2003, il
deposito del parere preventivo favorevole dell’ARPA non è
prescritto per la formazione dell’autorizzazione ovvero per
l’inizio dei lavori, ma solo per l’attivazione
dell’impianto.
---------------
E' coerente con i principi generali dell’ordinamento
nazionale e comunitario ritenere che, per effetto della
disciplina sopravvenuta di cui all’art. 87 d.lgs. n.
259/2003, sia stato implicitamente abrogato, per
incompatibilità, l’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 cit., nella
parte in cui qualifica gli impianti di telecomunicazioni
come “nuova costruzione”, richiedenti, ai sensi del
successivo art. 10 DPR n. 380/2001, il previo rilascio del
permesso di costruire.
Difatti, l’espressa assimilazione normativa fra le stazioni
radio base e le opere di urbanizzazione primaria, statuita
dall’art. 86, comma 3, del D.lgs. n. 259/2003 rende
l’installazione di tali manufatti compatibile con qualunque
destinazione di zona e assoggettata alle sole prescrizioni
di cui all’art. 87 del D.lgs. n. 259/2003 e non anche alle
previsioni generali di cui all’art. 3 del D.P.R. n.
380/2001.
Il provvedimento di diniego per
l’installazione dell’impianto contiene valutazioni della
conformazione della zona e della destinazione di tipo
squisitamente urbanistico, articolate nei seguenti due
ordini di motivi:
- l’area ove è prevista l’installazione
del manufatto è destinata a “verde privato e/o mitigazione
ambientale”, classificata dall’art. 75 delle n.t.a. al
p.g.t. come inedifìcabile;
- la suddetta area, inoltre, è
ubicata nelle immediate vicinanze di un oratorio
parrocchiale e tale eventualità è espressamente indicata dal P.G.T. come circostanza ostativa.
In disparte restando le censure con cui la ricorrente
lamenta la mancanza di comunicazione d’avvio del
procedimento, il difetto di motivazione e la genericità
dell’istruttoria, ovvero il vizio di eccesso di potere per
disparità di trattamento, è dirimente, ai fini
dell’accoglimento della domanda di annullamento, constatare
come la disciplina urbanistica impressa al territorio non si
opponga affatto alla installazione della stazione radio base
sul sito individuato dalla ricorrente. Sono necessari alcuni
spunti ricostruttivi.
Il codice delle comunicazioni elettroniche, approvato
con d.lgs. 01.8.2003, n. 259, con riferimento alle
infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, prevede
la confluenza in un solo procedimento di tutte le tematiche
rilevanti, con finale rilascio (in forma espressa o tacita)
di un titolo abilitativo, qualificato come autorizzazione.
La fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica
è considerata dal legislatore di preminente interesse
generale, oltre che libera (artt. 3 e 86 del D.lgs. n.
259/2003).
L’art. 86, al comma 3, recita che “Le
infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui
agli articoli 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle
opere di urbanizzazione primaria di cui all'articolo 16,
comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, pur restando di proprietà dei
rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa
vigente in materia”. L’art. 90 dispone che gli impianti in
questione e le opere accessorie occorrenti per la loro
funzionalità hanno “carattere di pubblica utilità”, con
possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte
del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le
destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola).
Occorre, tuttavia sottolineare che, nonostante il
riconoscimento del carattere di opere di pubblica utilità e
malgrado l’assimilazione ad ogni effetto alle opere di
urbanizzazione primaria, le stazioni radio base di un
impianto di telefonia mobile non possono essere localizzate
indiscriminatamente in ogni sito del territorio comunale
perché, al cospetto di rilevanti interessi di natura
pubblica, come nel caso della tutela dei beni ambientali e
culturali, la realizzazione dell’opera di pubblica utilità
può risultare cedevole. Non a caso, il successivo comma 4
dello stesso art. 86 si affretta a stabilire che “Restano
ferme le disposizioni a tutela dei beni ambientali e
culturali contenute nel decreto legislativo 29.10.1999,
n. 490, nonché le disposizioni a tutela delle servitù
militari di cui al titolo VI, del libro II, del codice
dell’ordinamento militare”.
Sotto altro profilo, sempre ai sensi dell’art. 86, del
D.lgs. n. 259 del 2003, l’installazione di infrastrutture
viene autorizzata dagli enti locali, previo accertamento, da
parte dell’organismo competente ad effettuare i controlli,
di cui all’art. 14 della L. n. 22.02.2001, n. 36,
della compatibilità del progetto con i limiti di
esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di
qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in
relazione al disposto della l. 22.02.2001 n. 36 e
relativi provvedimenti di attuazione.
Sul punto, occorre
porre in evidenza che l’art. 8 della legge 22.02.2001,
n. 36 (il quale nel disciplinare il riparto di competenze
tra Regioni, province e comuni in materia stabilisce che “i
Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il
corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai
campi elettromagnetici”), è stato interpretato nel senso che
l’ente locale può senz'altro disciplinare, con proprio
regolamento, l’individuazione di siti del territorio
comunale interdetti all’installazione di impianti del genere
di cui si discute, ma ciò può avvenire senza che la facoltà
di regolamentazione si traduca in un divieto generalizzato
di installazione in identificate zone urbanistiche (la
stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 331/2003 ha,
infatti, chiarito che nell’esercizio dei suoi poteri, il
Comune non può rendere di fatto impossibile la realizzazione
di una rete completa di infrastrutture per le
telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione,
che pure il comune può fissare, in limitazioni alla
localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da
quella consentita dalla legge quadro n. 36 del 2001). Del
pari, i comuni non possono introdurre limitazioni alla
localizzazione che, in quanto funzionali non al governo del
territorio, ma alla tutela della salute dai rischi
dell’elettromagnetismo, invaderebbero la competenza che
l’art. 4 della legge n. 36/2001 riserva allo Stato.
Sul versante procedimentale, ai sensi dell’art. 87, comma 4,
del D.lgs. n. 259 del 2003, il deposito del parere
preventivo favorevole dell’ARPA non è prescritto per la
formazione dell’autorizzazione ovvero per l’inizio dei
lavori, ma solo per l’attivazione dell’impianto (cfr.
Consiglio Stato, sez. VI, 24.09.2010, n. 7128;
precedentemente TAR Sicilia Palermo, sez. II, 09.01.2008, n. 9).
Tanto premesso e passando all’esame del primo “corno”
della motivazione di diniego, rileva il Collegio come la
stessa disciplina urbanistica, invocata dal comune
resistente, contempli per il sito in questione un divieto di
costruzioni per uso primario solo per il caso di opere
aventi carattere edificatorio (cfr. l’art. 75 NTA, rubricato
“Ambito a verde privato e/o di mitigazione ambientale”;
cfr., altresì, l’art. 4.7. dello stesso PGT, il quale
prevede espressamente la possibilità di installare gli
impianti tecnologici, tra cui quelli telefonici, in
qualsiasi zona urbanistica).
Tale assetto urbanistico, del
resto, è assolutamente coerente sia con l’assimilazione ad
ogni effetto (ex art. 86, comma 3, cit.) delle
infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere
di urbanizzazione primaria, la quale (come si è detto sopra)
postula la compatibilità delle stesse con qualsiasi
destinazione urbanistica; sia con la legislazione regionale
che, per gli impianti radio base per la telefonia mobile di
potenza totale ai connettori di antenna non superiore a 300
W, stabilisce che essi non richiedono una specifica
regolamentazione urbanistica (art. 4, comma 7, della L.r.
Lombardia n. 11 del 2001).
Neppure può sostenersi che l’impossibilità di
assentire la tipologia di intervento in parola deriverebbe
dall’espressa definizione legislativa di esso in termini di
nuova edificazione. Effettivamente, il testo unico
dell’edilizia (D.lgs. n. 378/2001), all’art. 3, comma 1,
lett. e. 3) ed e. 4) prescrive, per “l’installazione di
torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di
ripetitori per i servizi di telecomunicazione”,
espressamente catalogata come intervento di nuova
costruzione, il permesso di costruire.
Tuttavia, al
riguardo, è sufficiente richiamare la condivisa
giurisprudenza, secondo cui è coerente con i principi
generali dell’ordinamento nazionale e comunitario ritenere
che, per effetto della disciplina sopravvenuta di cui
all’art. 87 d.lgs. n. 259/2003, sia stato implicitamente
abrogato, per incompatibilità, l’art. 3 del d.P.R. n.
380/2001 cit., nella parte in cui qualifica gli impianti di
telecomunicazioni come “nuova costruzione”, richiedenti, ai
sensi del successivo art. 10 DPR n. 380/2001, il previo
rilascio del permesso di costruire (cfr. Cons. Stato. sez. VI, n. 5044 del 17.10.2008; Cons. Stato sez. VI n. 3534 del
15.6.2006; TAR Napoli sez. VII n. 2702 del 22.3.2007; TAR
Lecce sez. II n. 4279 del 22.8.2006). Difatti, l’espressa
assimilazione normativa fra le stazioni radio base e le
opere di urbanizzazione primaria, statuita dall’art. 86,
comma 3, del D.lgs. n. 259/2003 rende l’installazione di
tali manufatti compatibile con qualunque destinazione di
zona e assoggettata alle sole prescrizioni di cui all’art.
87 del D.lgs. n. 259/2003 e non anche alle previsioni
generali di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.02.2013 n. 398 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Dopo la sentenza della
Corte costituzionale 14-27.07.2005, n. 336, pur non
potendosi escludere un potere di localizzazione del Comune
per le stazioni radio-base, tale possibilità è esclusa in
Lombardia dall'art. 4, comma 7, della L.r. n. 11 del 2001,
secondo il quale i detti impianti di telefonia mobile, se di
potenza totale non superore a 300 watt, non sottostanno ad
alcuna specifica regolamentazione urbanistica.
Ne consegue che sono illegittime le disposizioni
pianificatorie comunali che introducano in termini assoluti
divieti di installazione per simili impianti.
Venendo al merito del ricorso il primo motivo di
ricorso è fondato, atteso che, dopo la sentenza della Corte
costituzionale 14-27.07.2005, n. 336, pur non potendosi
escludere un potere di localizzazione del Comune per le
stazioni radio-base, tale possibilità è esclusa in Lombardia
dall'art. 4, comma 7, della L.r. n. 11 del 2001, secondo il
quale i detti impianti di telefonia mobile, se di potenza
totale non superore a 300 watt, non sottostanno ad alcuna
specifica regolamentazione urbanistica; ne consegue che sono
illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che
introducano in termini assoluti divieti di installazione per
simili impianti (TAR Lombardia Milano, sez. I, 13.01.2010, n. 23; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.05.2005,
n. 1113)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.01.2013 n. 261 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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PRIVATA:
In materia di
realizzazione di antenne per la telefonia mobile, il Comune
che ravvisi la divergenza del titolo in formazione rispetto
a disposizioni di rango nazionale o locale ben può
intervenire, a mezzo del responsabile del procedimento, con
richieste istruttorie (entro 15 giorni dalla presentazione
della domanda) ovvero con esplicito diniego di
autorizzazione (entro 90 giorni dalla presentazione della
domanda), ma pur sempre nel rispetto dei termini
procedimentali fissati nella disposizione nazionale,
integrante un principio fondamentale di semplificazione
della materia.
Altrimenti, ammettendo ad libitum l'intervento dell'autorità
locale, anche al di fuori dei prescritti termini
procedimentali e, quindi, dopo la formazione della
fattispecie assentiva per silentium (cit. art. 87, comma 9,
D.Lgs. n. 259/2003), si provocherebbe un'ingiustificabile
anomalia, sul piano dell'aggravamento procedimentale, al
suddetto principio fondamentale di semplificazione,
apparendo invece coerente con il quadro normativo delineato
che l'Amministrazione locale possa esercitare ogni proficuo
controllo sulla formazione del titolo soltanto nel rispetto
delle scansioni temporali imposte dalla legge sul
procedimentale più volte citata (art. 87 D.Lgs. n. 259 del
2003, cit.).
Come già rilevato da questa Sezione l'art. 87 del Codice
delle Comunicazioni prevede, per gli impianti di telefonia
mobile, la D.I.A. ovvero il silenzio-assenso, conformemente
alla ratio sottesa all'intero Codice delle
Comunicazioni elettroniche, come desumibile dai criteri di
delega contenuti nell'art. 41, L. n. 166 del 2002 e prima
ancora nelle direttive comunitarie da recepire: previsione
di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti
per la concessione del diritto di installazione di
infrastrutture e ricorso alla condivisione delle strutture;
riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti
amministrativi, nonché regolazione uniforme dei medesimi
procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al
rilascio di autorizzazioni per l'installazione di
infrastrutture di reti mobili, in conformità ai principi di
cui alla L. 07.08.1990, n. 241 (cfr. Tar Campania, Napoli,
VII, 27.01.2012, n. 426).
Tanto premesso l'atto diniego impugnato è illegittimo, in
quanto intervenuto dopo il decorso del termine di novanta
giorni, a decorrere dalla presentazione della domanda
corredata dal progetto e finanche dalla nota prodotta da
parte ricorrente in risposta alla ultima -e tardiva
richiesta- di integrazione documentale (21.12.2011).
In tema di autorizzazione per la costruzione di una stazione
radio-base il termine per la formazione del silenzio-assenso
di cui all'art. 87, comma 9, D.Lgs. n. 259/2003 decorre
dalla presentazione della domanda corredata dal progetto. Da
ciò l'illegittimità del diniego, intervenuto solo il
17.07.2012, dopo la formazione del silenzio-assenso, non
valendo a tal fine a interrompere ulteriormente il decorso
del termine di 90 giorni il preavviso di rigetto adottato
solo il 29.05.2012, a distanza di oltre 5 mesi
dall’adempimento da parte della società ricorrente
dell’ultima integrazione richiesta (21.12.2011). Ne discende
che l'Amministrazione comunale poteva intervenire solo in
autotutela.
Secondo la consolidata giurisprudenza, infatti, "in
materia di realizzazione di antenne per la telefonia mobile,
il Comune che ravvisi la divergenza del titolo in formazione
rispetto a disposizioni di rango nazionale o locale ben può
intervenire, a mezzo del responsabile del procedimento, con
richieste istruttorie (entro 15 giorni dalla presentazione
della domanda) ovvero con esplicito diniego di
autorizzazione (entro 90 giorni dalla presentazione della
domanda), ma pur sempre nel rispetto dei termini
procedimentali fissati nella disposizione nazionale,
integrante un principio fondamentale di semplificazione
della materia. Altrimenti, ammettendo ad libitum
l'intervento dell'autorità locale, anche al di fuori dei
prescritti termini procedimentali e, quindi, dopo la
formazione della fattispecie assentiva per silentium (cit.
art. 87, comma 9, D.Lgs. n. 259/2003), si provocherebbe
un'ingiustificabile anomalia, sul piano dell'aggravamento
procedimentale, al suddetto principio fondamentale di
semplificazione, apparendo invece coerente con il quadro
normativo delineato che l'Amministrazione locale possa
esercitare ogni proficuo controllo sulla formazione del
titolo soltanto nel rispetto delle scansioni temporali
imposte dalla legge sul procedimentale più volte citata
(art. 87 D.Lgs. n. 259 del 2003, cit.)" (cfr. in termini
Tar Campania, Napoli, VII, 27.01.2012, n. 426; Consiglio
Stato, VI, 26.01.2009, n. 355) (TAR Campania-Napoli, Sez.
VII,
sentenza 25.01.2013 n. 628 - link a
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PRIVATA:
Per la costruzione di
un’antenna o di un traliccio stabilmente ancorato al suolo,
occorre il previo rilascio della concessione edilizia.
La costante giurisprudenza amministrativa ha, infatti, più
volte osservato che ai sensi dell'art. 1 della legge n.
10/1977, è soggetta al rilascio della concessione edilizia
ogni attività che comporti la trasformazione del territorio
attraverso l'esecuzione di opere comunque attinenti agli
aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e
l'alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale ed
estetico, o anche solo funzionale.
In particolare, il rilascio della concessione edilizia, e
dunque il necessario riscontro di conformità, è richiesto
quando si intenda realizzare un intervento sul territorio
con la perdurante modifica dello stato dei luoghi con
materiale posto sul suolo, pur in assenza di opere in
muratura, anche quando si tratti di una "antenna saldamente
ancorata al suolo e visibile dai luoghi circostanti", quale
è quella per cui è causa.
Contrariamente a quanto sostenuto dalle società ricorrenti, per la
costruzione di un’antenna o di un traliccio stabilmente
ancorato al suolo, occorre il previo rilascio della
concessione edilizia.
La costante giurisprudenza amministrativa ha, infatti, più
volte osservato che ai sensi dell'art. 1 della legge n.
10/1977, è soggetta al rilascio della concessione edilizia
ogni attività che comporti la trasformazione del territorio
attraverso l'esecuzione di opere comunque attinenti agli
aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e
l'alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale ed
estetico, o anche solo funzionale (cfr. in termini Tar
Toscana, III, 09.07.2012, n. 1292 che a sua volta richiama
Cons. Stato, V, 14.12.1994, n. 1486 ; Cons. Stato, V,
23.01.1991, n. 64).
In particolare, il rilascio della concessione
edilizia, e dunque il necessario riscontro di conformità, è
richiesto quando si intenda realizzare un intervento sul
territorio con la perdurante modifica dello stato dei luoghi
con materiale posto sul suolo, pur in assenza di opere in
muratura (cfr. Cons. Stato, V, 01.03.1993, n. 319; Cons.
Stato, V, 23.01.1991; Cons. Stato, VI, n. 5253/2001), anche
quando si tratti di una "antenna saldamente ancorata al
suolo e visibile dai luoghi circostanti" (Cons. Stato, V,
06.04.1998, n. 415), quale è quella per cui è causa.
Ne discende, pertanto, che vanno disattese tutte le
censure con le quali le società ricorrenti asseriscono la
non necessità del previo rilascio di titoli autorizzatori
per l’esecuzione delle opere oggetto di demolizione, come
del resto dimostra anche la successiva presentazione da
parte delle stesse società di un’istanza ex art. 13 della
legge n. 47/1985 (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 25.01.2013 n. 627 - link a
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E' opportuno porre in luce che per
consolidata giurisprudenza, l’installazione di stazioni
radio base per la telefonia mobile risulta compiutamente
disciplinata, con normativa speciale, dall’art. 87 Decr.
Leg.vo 259/2003, il quale prevede che tutte le problematiche
coinvolte, ivi comprese quelle edilizie, vengano valutate
nell’ambito di un unico procedimento (attivato
dall’interessato con istanza di autorizzazione o D.I.A.); ed
altresì come, sempre il citato art. 87, al co. 9, stabilisca
che “Le istanze di autorizzazione e le denunce di attività
di cui al presente articolo, nonché quelle relative alla
modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti
già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta
giorni dalla presentazione del progetto e della relativa
domanda, fatta eccezione per il dissenso di cui al co. 8,
non sia stato comunicato un provvedimento di diniego”,
mentre al precedente co. 5 è precisato che “Il responsabile
del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro
quindici giorni dalla data di ricezione dell’istanza, il
rilascio di dichiarazioni e l’integrazione della
documentazione prodotta. Il termine di cui al co. 9 inizia
nuovamente a decorrere dal momento dell’intervenuta
integrazione documentale”.
---------------
Il nulla osta dell’ARPAC non condiziona il perfezionamento
del titolo abilitativo, dovendo la sua acquisizione soltanto
precedere l’attivazione dell’impianto di telecomunicazioni.
---------------
Si è già posto in evidenza come l’art. 87 Decr. Leg.vo
259/2003 preveda uno specifico e unitario procedimento per
l’installazione delle infrastrutture di telefonia mobile,
nell’ambito del quale valutare tutti gli interessi
coinvolti.
Approfondendo l’esame sul punto, va ora chiarito che, il
termine di gg. 90 assegnato al co. 9 per la definizione del
procedimento autorizzatorio è indiscutibilmente perentorio,
in tal senso deponendo sia la formulazione letterale della
disposizione (“Le istanze….si intendono accolte qualora
entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e
della relativa domanda…non sia stato comunicato alcun
provvedimento di diniego”), sia la sua interpretazione
logico-sistematica (posto che le esigenze avute di mira dal
legislatore nell’occasione sono certamente quelle
acceleratorie e semplificatorie dell’iter): quindi, alla
scadenza del termine suddetto, viene ex lege a formarsi un
provvedimento silenzioso, autorizzatorio a tutti gli effetti
e sul quale la P.A. potrà pure poi incidere negativamente,
ma soltanto esercitando (in presenza dei necessari
presupposti) i propri poteri di autotutela.
Così sommariamente delineato l’oggetto del giudizio, è, in punto di
diritto, opportuno porre in luce che, per consolidata
giurisprudenza (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n. 5044 del
17.10.2008; Cons. di Stato sez. VI, n. 1767 del 21.04.2008;
Cons. di Stato sez. VI, n. 889 del 28.02.2006; Cons. di Stato
sez. VI, n. 4159 del 05.08.2005; TAR Abruzzo-Pescara n. 886
del 06.11.2008; TAR Basilicata n. 140 del 30.04.2008;
TAR Campania-Napoli n. 1890 del 04.04.2008; TAR Campania-Napoli n. 1480 del 21.03.2008; TAR Campania-Napoli n. 9325 del 25.06.2008), l’installazione di
stazioni radio base per la telefonia mobile risulta
compiutamente disciplinata, con normativa speciale,
dall’art. 87 Decr. Leg.vo 259/2003, il quale prevede che
tutte le problematiche coinvolte, ivi comprese quelle
edilizie, vengano valutate nell’ambito di un unico
procedimento (attivato dall’interessato con istanza di
autorizzazione o D.I.A.); ed altresì come, sempre il citato
art. 87, al co. 9, stabilisca che “Le istanze di
autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente
articolo, nonché quelle relative alla modifica delle
caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti,
si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla
presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta
eccezione per il dissenso di cui al co. 8, non sia stato
comunicato un provvedimento di diniego”, mentre al
precedente co. 5 è precisato che “Il responsabile del
procedimento può richiedere, per una sola volta, entro
quindici giorni dalla data di ricezione dell’istanza, il
rilascio di dichiarazioni e l’integrazione della
documentazione prodotta. Il termine di cui al co. 9 inizia
nuovamente a decorrere dal momento dell’intervenuta
integrazione documentale”.
Altresì, va sottolineato come per giurisprudenza consolidata
(cfr. TAR Basilicata n° 633 del 26.09.2008; TAR Campania-Salerno n° 1942 del 16.06.2008; TAR Sicilia-Catania n° 256 del 14.02.2008; TAR Campania-Napoli
n° 1888 del 12.03.2008; TAR Veneto n° 1283 del 23.04.2007;
TAR Campania-Napoli n° 10647 del 20.12.2006) il nulla
osta dell’ARPAC non condizioni il perfezionamento del titolo
abilitativo, dovendo la sua acquisizione soltanto precedere
l’attivazione dell’impianto.
Ancora, va evidenziato come l’art. 86, co. 3, Decr. Leg.vo
259/2003 stabilisca che “Le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazione, di cui agli artt. 87 e 88, sono assimilate
ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria cui
all’art. 16, co. 7, del D.P.R. 06.06.2001 n° 380, pur restando
di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica
la normativa vigente in materia”.
A tanto, va soggiunto che, con la propria ordinanza n°
40/2012 (confermata in sede di appello dal Consiglio di
Stato con ordinanza n. 15601/2012), questo Tribunale,
nell’accogliere l’istanza cautelare formulata dalla
ricorrente, si è così espresso: “Considerato che sulla
istanza di autorizzazione all’installazione di una stazione
radio base per telefonia mobile (in località S. Venditto del
Comune di Sessa Aurunca – codice sito CE208) presentata
dalla Nokia Siemens Network Italia spa in data 2.2.2011 (prot.
n. 2381) si è formato, con il decorso di gg. 90 e in assenza
di tempestivi interventi amministrativi, il silenzio-assenso
previsto dall’art. 87, co. 9, Decr. Leg.vo 259/2003 (posto che
il parere ARPAC favorevole, peraltro intervenuto in data
16.03.2011, è necessario solo per l’attivazione dell’impianto
– cfr. Cons. di Stato sez. VI, n° 7128 del 24.9.2010; TAR
Basilicata n° 633 del 26.09.2008; TAR Sicilia-Catania n°
256 del 14.02.2008; TAR Sicilia-Palermo n° 9 del 9.1.2008;
TAR Campania-Napoli n° 10647 del 20.12.2006; e che
l’autorizzazione sismica, pure intervenuta in data
27.5.2011, condiziona soltanto la possibilità di eseguire i
lavori – cfr. TAR Lazio-Latina n° 696 del 15.07.2009), la cui
rimozione è possibile soltanto in sede di autotutela e a
mezzo di un apposito atto che costituisca esplicazione del
relativo potere; Considerato che gli impugnati provvedimenti
del Comune di Sessa Aurunca non hanno tenuto in alcun conto
tale circostanza, per cui risultano illegittimamente
adottate la diffida prot. 1556 del 30.6.2011 e il successivo
diniego dell’autorizzazione (prot. gen. n. 17794 del
18.09.2011) oggetto di gravame a mezzo di motivi aggiunti”;
e che tali affermazioni vanno ribadite anche nella presente
sede, di definizione del merito del giudizio.
Invero, risulta fondata l’assorbente censura incentrata su
una pretesa tardività degli impugnati provvedimenti
negativi, per essere questi intervenuti quando si era ormai
formato il titolo autorizzatorio silenzioso ex lege, così
che l’Amministrazione avrebbe potuto incidere sulla
situazione determinatasi soltanto esercitando poteri di
autotutela, e non certo mediante diffida a non continuare i
lavori già in corso, ovvero opponendo un tardivo diniego
all’originaria richiesta (come invece fatto).
In proposito, si è già posto in evidenza come l’art. 87
Decr. Leg.vo 259/2003 preveda uno specifico e unitario
procedimento per l’installazione delle infrastrutture di
telefonia mobile, nell’ambito del quale valutare tutti gli
interessi coinvolti. Approfondendo l’esame sul punto, va ora
chiarito che, il termine di gg. 90 assegnato al co. 9 per la
definizione del procedimento autorizzatorio è
indiscutibilmente perentorio, in tal senso deponendo sia la
formulazione letterale della disposizione (“Le istanze….si
intendono accolte qualora entro novanta giorni dalla
presentazione del progetto e della relativa domanda…non sia
stato comunicato alcun provvedimento di diniego”), sia la
sua interpretazione logico-sistematica (posto che le
esigenze avute di mira dal legislatore nell’occasione sono
certamente quelle acceleratorie e semplificatorie dell’iter
– cfr. TAR Campania-Napoli n° 21389/2008; TAR Campania-Napoli n° 5447/2007): quindi, alla scadenza del
termine suddetto, viene ex lege a formarsi un provvedimento
silenzioso, autorizzatorio a tutti gli effetti e sul quale
la P.A. potrà pure poi incidere negativamente, ma soltanto
esercitando (in presenza dei necessari presupposti) i propri
poteri di autotutela (TAR Campania- Napoli, Sez. VII,
sentenza 25.01.2013 n. 606 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’avvenuta
equiparazione, ad opera dell’art. 86 del D.lgs. 259/2003,
alle opere di urbanizzazione primaria degli impianti di
telecomunicazione non priva l’Ente locale della prerogativa
di esercitare il potere di pianificazione anche nei riguardi
di detti impianti, sempre che, anche per l’aspetto
urbanistico, le misure previste non impediscano, in ragione
della loro eventuale portata restrittiva, l’attuarsi
dell’interesse, di rilievo nazionale, alla capillare
distribuzione del servizio.
Le stazioni radio-base per la telefonia mobile non possono,
infatti, essere considerate opere di scarsa "rilevanza
urbanistica", trattandosi, anzi, assai spesso di strutture
imponenti idonee a determinare una significativa
trasformazione della morfologia di un determinato
territorio, tant’è che è che lo stesso DPR 380/2001 sancisce
expressis verbis che la loro realizzazione deve essere
subordinata al previo ottenimento di un titolo edilizio.
---------------
La qualificazione nell’ambito di tale categoria non
comporta, infatti, la esenzione da ogni forma di
regolamentazione urbanistica, ma soltanto il fatto che la
disciplina del piano regolatore debba tener presente la
necessità che tutto il territorio comunale debba essere
coperto da un segnale sufficiente affinché che gli utenti
possano fruire del servizio di telefonia e collegarsi con la
rete ad una velocità adeguata agli standard odierni.
Sicché, mentre debbono considerarsi illegittime quelle
previsioni urbanistiche che precludono in toto
l’installazione delle s.r.b. in intere zone del territorio
comunale o in altro modo ostacolano il corretto svolgimento
del servizio, non altrettanto può dirsi di quelle previsioni
localizzative che, nel disciplinare la collocazione sul
territorio dei predetti impianti, non presentino elementi di
irragionevolezza e arbitrarietà tali da costituire un
ingiustificato ostacolo allo sviluppo della rete.
La giurisprudenza amministrativa ha,
infatti, avuto modo di statuire come l’avvenuta
equiparazione, ad opera dell’art. 86 del citato
D.lgs. 259/2003, alle opere di urbanizzazione primaria degli
impianti di telecomunicazione non priva l’Ente locale della
prerogativa di esercitare il potere di pianificazione anche
nei riguardi di detti impianti, sempre che, anche per
l’aspetto urbanistico, le misure previste non impediscano,
in ragione della loro eventuale portata restrittiva,
l’attuarsi dell’interesse, di rilievo nazionale, alla
capillare distribuzione del servizio.
Le stazioni radio-base per la telefonia mobile non
possono, infatti, essere considerate opere di scarsa
"rilevanza urbanistica", trattandosi, anzi, assai spesso di
strutture imponenti idonee a determinare una significativa
trasformazione della morfologia di un determinato
territorio, tant’è che è che lo stesso DPR 380/2001 sancisce
expressis verbis che la loro realizzazione deve essere
subordinata al previo ottenimento di un titolo edilizio.
Chiarito ciò a nulla rileva che si tratti di opere di
urbanizzazione.
La qualificazione nell’ambito di tale categoria non
comporta, infatti, la esenzione da ogni forma di
regolamentazione urbanistica, ma soltanto il fatto che la
disciplina del piano regolatore debba tener presente la
necessità che tutto il territorio comunale debba essere
coperto da un segnale sufficiente affinché che gli utenti
possano fruire del servizio di telefonia e collegarsi con la
rete ad una velocità adeguata agli standard odierni.
Sicché, mentre debbono considerarsi illegittime quelle
previsioni urbanistiche che precludono in toto
l’installazione delle s.r.b. in intere zone del territorio
comunale o in altro modo ostacolano il corretto svolgimento
del servizio, non altrettanto può dirsi di quelle previsioni
localizzative che, nel disciplinare la collocazione sul
territorio dei predetti impianti, non presentino elementi di
irragionevolezza e arbitrarietà tali da costituire un
ingiustificato ostacolo allo sviluppo della rete (Consiglio
di Stato Sezione VI nn. 3040/2005 e 6961/2005; TAR Toscana
sez. I, 05.03.2007, n. 285)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.01.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
termine per la formazione del silenzio-assenso di cui
all'art. 87, comma 9, del D.Lgs. n. 259 del 2003 decorre
dalla presentazione della domanda corredata dal progetto; né
rileva la data della ricezione da parte del Comune del
parere dell'A.R.P.A., in quanto il deposito del parere
preventivo favorevole dell'A.R.P.A. non è prescritto per la
formazione del titolo edilizio ovvero per l'inizio dei
lavori, ma solo per l'attivazione dell'impianto.
RITENUTO che il ricorso è fondato sotto il profilo
dell’illegittimità dei provvedimenti negativi adottati dal
Comune di Capo d’Orlando dopo la formazione del titolo
autorizzativo.
Infatti, secondo giurisprudenza consolidata, il termine per
la formazione del silenzio-assenso di cui all'art. 87, comma
9, del D.Lgs. n. 259 del 2003 decorre dalla presentazione
della domanda corredata dal progetto (cfr. Cons. Stato, sez.
VI, 18.08.2009, n. 4941 e 17.03.2009, n. 1578); né rileva la
data della ricezione da parte del Comune del parere dell'A.R.P.A.,
in quanto il deposito del parere preventivo favorevole dell'A.R.P.A.
non è prescritto per la formazione del titolo edilizio
ovvero per l'inizio dei lavori, ma solo per l'attivazione
dell'impianto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24.09.2010, n.
7128).
Né, infine, la nota del 17.05.2012 può ritenersi idonea ad
interrompere il termine per la formazione del
silenzio-assenso, giacché ai sensi del comma 5° dell’art. 87
del D.Lgs. 259/2003 “Il responsabile del procedimento può
richiedere, per una sola volta, entro quindici giorni dalla
data di ricezione dell'istanza, il rilascio di dichiarazioni
e l'integrazione della documentazione prodotta”, mentre
nel caso in esame, a fronte della domanda di autorizzazione
ricevuta il 23.04.2012, il predetto termine di quindici
giorni non è stato precisato
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 18.01.2013 n. 149 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
Sezione ha già avuto modo di rilevare che:
a) “la verifica circa il mancato rispetto della distanza dal
confine di proprietà private non costituisce incombente
istruttorio, atteso che le stazioni radio base, per le loro
caratteristiche strutturali, non paiono equiparabili alle
costruzioni ex art. 873 del codice civile, e che, di
conseguenza, l’onere di contestazione sullo specifico
profilo incombe sul proprietario privato eventualmente
leso”, quest’ultimo risultando l’unico legittimato attivo a
proporre la relativa azione;
b) in merito al rapporto tra i criteri di localizzazione e
gli standard urbanistici, la giurisprudenza costituzionale
ha statuito che “la genericità ed eterogeneità delle
categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di
distanza minima viene previsto, configurano non già un
quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un
potere amministrativo in contrasto con il principio di
legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare
l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla
realizzazione delle reti di telecomunicazione”.
---------------
In tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti
urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e
nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in
aderenza” o “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà
non consente l’operatività del principio della prevenzione;
nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si
versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata
dall’articolo 873 c.c. e segg., con la conseguenza che è
consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il
vicino, che intenda a sua volta edificare, nell’alternativa
di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza
(eventualmente esercitando le opzioni previste dall’articolo
875 c.c. e articolo 877 c.c., comma 2), ovvero di arretrare
la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera
distanza imposta dallo strumento urbanistico.
Di qui la funzione e la rilevanza della deroga, diretta a
consentire l’esercizio delle predette facoltà che,
diversamente, sarebbero precluse dalla regola ordinaria
sulle distanze dal confine e tra fabbricati.
Con il terzo, quarto e quinto motivo –anche questi da
esaminare congiuntamente, in quanto incentrati sulla
violazione delle medesime disposizioni– la società
ricorrente ha dedotto che le caratteristiche costruttive e
dimensionali dello shelter (si tratta della cabina adibita
al contenimento degli apparati di trasmissione e ricezione
dei segnali telefonici) e la distanza di tale pertinenza dal
vicino magazzino non sarebbero ostative alla legittima
realizzazione della stazione radio-base (cfr. pag. 9); che
non vi sarebbe violazione della disciplina delle distanze
alla luce dell’assenza di intersoggettività (“vale a dire
dalla diversa proprietà dei due edifici”, cfr. pag. 10);
che, infine, le norme sul rispetto delle distanze non
sarebbero “automaticamente né analogicamente applicabili
agli impianti di telefonìa cellulare che hanno peculiarità e
caratteristiche costruttive tali da imporne una separata
valutazione” (cfr. pag. 12).
Sul punto, il Comune di Cesano Maderno ha replicato che
l’art. 9 del D.M. 1444/1968 per i nuovi edifici stabilisce
che “è prescritta in tutti i casi la distanza minima
assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti” (cfr. pag. 12).
Anche tali motivi meritano accoglimento, per tre diverse
ragioni.
In primo luogo, la Sezione (cfr. ordinanza TAR Lombardia–Milano, sez. I,
06.12.2012, n. 1681), ha già avuto modo
di rilevare che:
a) “la verifica circa il mancato rispetto della distanza dal
confine di proprietà private non costituisce incombente
istruttorio, atteso che le stazioni radio base, per le loro
caratteristiche strutturali, non paiono equiparabili alle
costruzioni ex art. 873 del codice civile, e che, di
conseguenza, l’onere di contestazione sullo specifico
profilo incombe sul proprietario privato eventualmente
leso”, quest’ultimo risultando l’unico legittimato attivo a
proporre la relativa azione (Corte di Cassazione, sez. II,
11.01.2006, n. 213);
b) in merito al rapporto tra i criteri di localizzazione e
gli standard urbanistici, la giurisprudenza costituzionale
ha statuito che “la genericità ed eterogeneità delle
categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di
distanza minima viene previsto, configurano non già un
quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un
potere amministrativo in contrasto con il principio di
legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare
l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla
realizzazione delle reti di telecomunicazione” (cfr. Corte
Costituzionale, 07.10.2003, n. 307).
In seconda battuta, osserva il Collegio che l’art. 40 del
regolamento edilizio, pur fissando il rispetto di una
distanza minima di 10 metri tra le costruzioni, ha nondimeno
previsto che “i privati possono convenzionare tra loro la
costruzione in aderenza, a confine”.
Trova, pertanto, applicazione il principio, di recente
ribadito dalla Corte di Cassazione, secondo cui “in tema di
distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti
urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e
nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in
aderenza” o “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà
non consente l’operatività del principio della prevenzione;
nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si
versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata
dall’articolo 873 c.c. e segg., con la conseguenza che è
consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il
vicino, che intenda a sua volta edificare, nell’alternativa
di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza
(eventualmente esercitando le opzioni previste dall’articolo
875 c.c. e articolo 877 c.c., comma 2), ovvero di arretrare
la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera
distanza imposta dallo strumento urbanistico (Cass. nn.
8465/2010, 11899/2002, 13286/2000 e 12103/1998). Di qui la funzione
e la rilevanza della deroga, diretta a consentire
l’esercizio delle predette facoltà che, diversamente,
sarebbero precluse dalla regola ordinaria sulle distanze dal
confine e tra fabbricati” (cfr. Corte di Cassazione, sez. II,
12.10.2012, n. 17472)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.01.2013 n. 141 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Gli
impianti radio-base di telefonia mobile di potenza totale
non superiore a 300 Watt non richiedono, in ossequio al
disposto della normativa della regione Lombardia, specifica
regolamentazione urbanistica, per cui sono illegittime le
disposizioni pianificatorie comunali che introducano in
termini assoluti divieti di installazione per simili
impianti.
---------------
E' da escludere che il gestore del servizio di telefonia
mobile abbia la necessità di ottenere un ulteriore titolo
edilizio, diverso dall’autorizzazione ex d.lgs. n. 259/2003.
Invero, come già più volte ribadito anche
dalla giurisprudenza di questa Sezione, gli impianti
radio-base di telefonia mobile di potenza totale non
superiore a 300 Watt (come quello di cui è causa) non
richiedono, in ossequio al disposto della normativa della
regione Lombardia, specifica regolamentazione urbanistica,
per cui sono illegittime le disposizioni pianificatorie
comunali che introducano in termini assoluti divieti di
installazione per simili impianti (cfr., da ultimo: TAR
Lombardia, sez. I, sent. 23.10.2012, n. 2567).
Risulta altresì fondata l’affermazione della ricorrente
secondo cui avrebbe errato il comune di Lodi a pretendere,
nel caso di specie, una d.i.a. in forma di variante alla
concessione edilizia originaria, in quanto è da escludere
che il gestore del servizio di telefonia mobile abbia la
necessità di ottenere un ulteriore titolo edilizio, diverso
dall’autorizzazione ex d.lgs. n. 259/2003 (così, tra le
altre, Cons. di Stato, sez. VI, 12.01.2011, n. 98)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.01.2013 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Mega-antenne. Il comune deve tacere. Lo dice il
cds.
Non si può espellere la mega-antenna per cellulari dal
centro abitato. Illegittima la delibera del comune che
indica distanze minime per l'installazione delle stazioni
radio base, che forniscono un servizio di interesse
nazionale. È così che risulta illegittima la delibera
dell'amministrazione che autorizza sì astrattamente la
realizzazione degli impianti, ma a patto che ciò avvenga
fuori dal centro abitato: l'ente locale deve adottare
precisi criteri di localizzazione senza poter porre limiti
generici.
È quanto emerge dalla
sentenza 09.01.2013 n. 44, pubblicata dalla VI
Sez. del Consiglio di stato, che dimostra come oggi più che
mai la questione sia tutt'altro che pacifica in
giurisprudenza.
Ha ragione la società che vuole installare la mega-antenna e
ha ottenuto l'annullamento della delibera consiliare. Ai
comuni è consentito individuare criteri localizzativi degli
impianti di telefonia mobile, ad esempio il divieto di
collocare antenne su specifici edifici, come ospedali, case
di cura e altri fabbricati del genere. L'amministrazione,
tuttavia, non può introdurre astratte limitazioni alla
localizzazione, che consistono criteri distanziali generici.
In particolare risultano illegittime le norme che
prescrivono distanze minime, da rispettare
nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di
edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad
attività diverse da quelle connesse all'esercizio degli
impianti. E altrettanto vale per scuole, asili nido,
immobili vincolati dalle soprintendenze e aree verdi. La
copertura dei cellulari è interesse di tutti.
La pronuncia è in contrasto con una recente sentenza del Tar
Puglia, la 1984/2012, secondo cui la mega-antenna nel centro
storico non s'ha da fare perché l'impianto di quasi venti
metri di altezza stonerebbe senz'altro a pochi metri da un
luogo di culto di interesse storico. In quel caso i giudici
hanno invece sottolineato che la giurisprudenza interpreta
la normativa nel senso che l'ente locale ha senz'altro
facoltà di disciplinare, con un suo regolamento, i divieti
d'installazione di impianti (articolo ItaliaOggi del 09.02.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Alle Regioni ed ai Comuni
è consentito -nell’ambito delle proprie e rispettive
competenze- individuare criteri localizzativi degli impianti
di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto)
quali ad esempio il divieto di collocare antenne su
specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è
loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione,
consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei
(prescrizione di distanze minime, da rispettare
nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di
edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad
attività diverse da quelle specificamente connesse
all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di
cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili
nido nonché di immobili vincolati ai sensi della
legislazione sui beni storico-artistici o individuati come
edifici di pregio storico-architettonico, di parchi
pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti
sportivi).
Ne deriva che la scelta di individuare, come nel caso di
specie, un’area ove collocare gli impianti in base al
criterio della massima distanza possibile dal centro abitato
non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla
localizzazione (non consentito) e non un criterio di
localizzazione (consentito).
A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita
all’amministrazione comunale di individuare aree dove
collocare gli impianti è condizionata dal fatto che
l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla
realizzazione di una rete completa di infrastrutture di
telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto
dalla giurisprudenza, l’interesse nazionale alla copertura
del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio.
Nel merito, il Collegio osserva che i criteri con cui procedere
all’individuazione dei siti dove collocare gli impianti di
telefonia mobile sono stati già oggetto di decisione del
Consiglio di Stato (Sez. VI, 09.06.2006, n. 3452), da cui
il Collegio non ravvisa motivate ragioni per discostarsi.
In base a tali indirizzi giurisprudenziali è stato ritenuto
che alle Regioni ed ai Comuni è consentito -nell’ambito
delle proprie e rispettive competenze- individuare criteri
localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche
espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto
di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di
cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre
limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri
distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze
minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal
perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a
luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle
specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi,
di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al
culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai
sensi della legislazione sui beni storico-artistici o
individuati come edifici di pregio storico-architettonico,
di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed
impianti sportivi).
Ne deriva che la scelta di individuare, come nel caso di
specie, un’area ove collocare gli impianti in base al
criterio della massima distanza possibile dal centro abitato
non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla
localizzazione (non consentito) e non un criterio di
localizzazione (consentito).
A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita
all’amministrazione comunale di individuare aree dove
collocare gli impianti è condizionata dal fatto che
l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla
realizzazione di una rete completa di infrastrutture di
telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto
dalla giurisprudenza, l’interesse nazionale alla copertura
del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio
(Cons. di Stato, Sez. VI, 05.12.2005, n. 6961) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.01.2013 n. 44 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: S.
Fifi,
AMPIEZZA DEI POTERI COMUNALI IN TEMA DI INSEDIAMENTI
URBANISTICI DI IMPIANTI TELEFONICI
(Gazzetta Amministrativa
n. 4/2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
sottoporre la realizzazione di una stazione radio base di
potenza inferiore ai 20 W al procedimento edilizio proprio
del permesso di costruire rappresenta una violazione
dell’art. 4 del d.lgs. 259/2003 e dell’art. 1 della legge n.
241/1990 e cioè di quelle norme che impongono la
semplificazione dei procedimenti preordinati all’esercizio
dell’attività di radiocomunicazione.
Come chiarito dal Consiglio di Stato, la realizzazione di
impianti di telecomunicazione è subordinata soltanto
all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del d.lgs. n.
259/2003, ….non occorrendo perciò il permesso di costruire
di cui agli artt. 3 e 10 del DPR n. 380/2001.
In ogni caso, gli impianti di telefonia mobile “non possono
essere assimilati alle normali costruzioni edilizie” e vanno
comunque qualificati come opere di infrastrutturazione del
territorio, realizzabili in qualsiasi zona del territorio
comunale ai sensi dell’art. 16 del D.P.R. 280/2001.
Con riferimento alla prima censura dedotta, il
Collegio non ravvisa ragione alcuna di discostarsi dal
costante orientamento giurisprudenziale, anche di questo
Tribunale, in ragione del quale il sottoporre la
realizzazione di una stazione radio base di potenza
inferiore ai 20 W al procedimento edilizio proprio del
permesso di costruire rappresenta una violazione dell’art. 4
del d.lgs. 259/2003 e dell’art. 1 della legge n. 241/1990 e
cioè di quelle norme che impongono la semplificazione dei
procedimenti preordinati all’esercizio dell’attività di
radiocomunicazione.
Deve pertanto ritenersi fondato il ricorso, nella parte in
cui ha dedotto l’illegittimità della sottoposizione della
realizzazione dell’impianto in questione alla disciplina
edilizia propria degli interventi di ristrutturazione, con
conseguente esclusione della possibilità di fare ricorso
all’istituto della D.I.A. edilizia. Come chiarito dal
Consiglio di Stato nella sentenza della sez. VI, n. 2436 del
28.04.2010, la realizzazione di impianti di
telecomunicazione è subordinata soltanto all’autorizzazione
prevista dall’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003, ….non
occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli artt.
3 e 10 del DPR n. 380/2001.
In ogni caso, gli impianti di telefonia mobile “non possono
essere assimilati alle normali costruzioni edilizie” (in
senso conforme cfr. TAR Palermo, sentenza 4557 del 15.07.2010) e vanno comunque qualificati come opere di infrastrutturazione del territorio, realizzabili in
qualsiasi zona del territorio comunale ai sensi dell’art. 16
del D.P.R. 280/2001 (cfr. Cons. Stato, VI, sentenza 4056 del
19.06.2009).
Conseguentemente il provvedimento impugnato, che si fonda
sulla mera collocazione dell’impianto in zona “A” del
territorio comunale, appare privo di un’idonea motivazione,
anche nella parte in cui richiama la deliberazione della
giunta comunale n. 25009 dell’08.09.1999, la quale
prescriveva un divieto generalizzato di installazione di
tralicci in zona A. Non solo, infatti, tale previsione non
ha natura regolamentare e, quindi, non può avere un valore
di parametro di riferimento laddove la legge prescrive, per
l’eventuale limitazione nella collocazione di impianti di
radiofonia, l’espressa esistenza di un divieto puntuale, ma
ha anche un contenuto generico e generalmente applicabile a
tutte le fattispecie che la rende incompatibile con la
disciplina specifica della materia, la quale consente la
limitazione all’istallazione solo laddove ciò risulti
motivato da specifici motivi che ne impongono la
collocazione in un diverso e specifico punto della zona in
questione.
Pertanto, fermo restando l’obbligo del rispetto dei limiti
delle emissioni, peraltro garantito, nel caso di specie, dal
parere positivo dell’ARPA, la realizzazione della SRB è
stata illegittimamente denegata in ragione di un, non
ravvisabile alla luce di quanto sin qui detto, contrasto del
progetto con l’allora vigente normativa urbanistica, di
fatto non esistente
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 18.12.2012 n. 1979 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nel centro storico mega-antenne ko.
No alla mega-antenna per telefoni cellulari nel centro
storico, dove l'impianto di quasi 20 metri stonerebbe
senz'altro, a pochi metri da un luogo di culto o di
interesse storico. Il Consiglio comunale con delibera ad hoc
può ben impedire la realizzazione della stazione radio base.
È quanto emerge dalla
sentenza 12.12.2012 n. 1984, pubblicata dalla II
Sez. del TAR Puglia-Lecce.
Vittoria dunque dell'amministrazione locale di un piccolo
paese del Salento. E ciò benché, una volta tanto, non è
stata la Soprintendenza a bloccare i lavori:
l'amministrazione competente per i beni architettonici e il
paesaggio si chiama fuori, chiarendo che la zona interessata
non risulta soggetta a vincolo.
Ma attenzione, la legge parla chiaro: «I comuni possono
adottare un regolamento per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici». E la giurisprudenza interpreta la
normativa nel senso che l'ente locale ha senz'altro facoltà
di disciplinare, con un suo regolamento, l'individuazione di
siti del territorio comunale dove è vietata l'installazione
di impianti come quello «incriminato».
La regolamentazione può avvenire attraverso regole ispirate
a canoni di ragionevolezza, mediante scelte motivate e a
presidio di rilevanti interessi di natura pubblica senza che
la facoltà di regolamentazione si traduca in un divieto
generalizzato di installazione in identificate zone
urbanistiche. Insomma: è meglio che il colosso delle
comunicazioni si cerchi un'altra location
(articolo ItaliaOggi del 20.12.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
J. Cortinovis,
Impianti telecomunicazione e accatastamento: circolare Ag.
del Territorio n. 6/2012 (07.12.2012 - link a
http://studiospallino.blogspot.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
tema di stazioni radio base l’ente locale non può prevedere
“limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli
previsti dallo Stato” ovvero una “deroga generalizzata” a
tali limiti, ma deve se mai adottare limiti tradotti in
“specifiche e diverse misure, la cui idoneità… emerga dallo
svolgimento di compiuti e approfonditi rilievi istruttori
sulla base di risultanze di carattere scientifico”.
E’ infatti fondato ed assorbente il terzo motivo di
ricorso, incentrato sulla presunta illegittimità delle norme
comunali sulla localizzazione delle stazioni radio base
descritte in narrativa. In proposito, non occorre
dilungarsi, atteso che proprio sul censurato art. 51, comma 8,
delle NTA del vigente PRG, cui l’art. 6 del regolamento
specifico si limita a rinviare, si è pronunciato questo TAR,
nel senso della sua illegittimità, con le sentenze sez. II
13.06.2011 n. 898 e 899, che qui interamente si
condividono.
A fondamento di tali sentenze, in sintesi estrema, vi è
infatti l’indirizzo, proprio ormai di costante
giurisprudenza, per cui in tema di stazioni radio base
l’ente locale non può prevedere “limiti generalizzati di
esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato” ovvero
una “deroga generalizzata” a tali limiti, ma deve se mai
adottare limiti tradotti in “specifiche e diverse misure, la
cui idoneità… emerga dallo svolgimento di compiuti e
approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di
carattere scientifico”: così, fra le molte C.d.S. sez. VI
15.07.2010 n. 4557, nonché in via di principio C. cost.
07.11.2003 n. 331 e 07.10.2003 n. 307
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 15.11.2012 n. 1804 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
merito alla portata applicativa dell'art. 8, comma 6, l.
36/2001 il Consiglio di Stato ha chiarito "la differenza fra
'criteri localizzativi" e "limiti alla localizzazione"
ritenendosi consentiti i primi, in quanto recanti criteri
specifici rispetto a localizzazioni puntuali, e non i
secondi, in quanto recanti divieti generalizzati per intere
aree".
E’ stata quindi dichiarata l'illegittimità di un regolamento
comunale adottato ai sensi dell'art. 8, comma 6, l.
22.02.2001 n. 36, laddove l'ente territoriale si sia posto
quale obiettivo, sebbene non dichiarato, ma evincibile dal
contenuto dell'atto regolamentare, quello di preservare la
salute umana dalle emissioni elettromagnetiche promananti da
impianti di radiocomunicazione (ad esempio attraverso la
fissazione di distanze minime delle stazioni radio base da
particolari tipologie d'insediamenti abitativi), essendo
tale materia attribuita alla legislazione concorrente
Stato-regioni dell'art. 117 cost., come riformato dalla l.
cost. 18.10.2001 n. 3.
E’ stato ancora affermato che in base alla richiamata
disciplina nazionale i comuni possono adottare un
regolamento atto ad assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione comunale ai campi
elettromagnetici, ma non possono adottare misure derogatorie
ai limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali, ad
esempio, il generalizzato divieto di installazione delle
stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero,
introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc.) non siano funzionali al governo
del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute
dai rischi dell'elettromagnetismo.
Ciò perché "spetta allo Stato la funzione di fissazione dei
criteri e dei limiti rilevanti ai fini della protezione
della popolazione dalle potenzialità nocive insite
nell'esposizione ai campi magnetici”.
Il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti di telefonia mobile e la minimizzazione
dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici
deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste
a presidio di interessi di rilievo pubblico, ma non può
tradursi in un generalizzato divieto di installazione in
zone urbanistiche identificate. Tale previsione verrebbe
infatti a costituire un'inammissibile misura di carattere
generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle
emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in
contrasto con l'art. 4, l. n. 36 del 2001, che riserva alla
competenza dello Stato la determinazione, con criteri
unitari, dei limiti di esposizione, dei lavori di attenzione
e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da
applicarsi su tutto il territorio dello Stato.
L'introduzione, da parte del Comune, tramite regolamento
edilizio, di misure tipicamente di governo del territorio
(distanze, altezze, localizzazioni, e così via) si
giustifica solo se conforme al principio di ragionevolezza
ed alla natura delle competenze urbanistico-edilizie
esercitate, e qualora sia sorretta da una sufficiente
motivazione sulla base di risultanze acquisite attraverso
un'istruttoria idonea a dimostrare la ragionevolezza della
misura e l'idoneità della stessa rispetto al fine
perseguito. Le misure di minimizzazione da ritenersi
distinte da quelle urbanistico-edilizie, non possono
prevedere limiti generalizzati di esposizione diversi da
quelli previsti dallo Stato, né possono di fatto costituire
una deroga generalizzata a tali limiti.
Il comma 6 dell’articolo 8 della legge 36/2001, Legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici,
magnetici ed elettromagnetici, dispone che “ I comuni
possono adottare un regolamento per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici”.
In merito alla portata applicativa di questa norma il
Consiglio di Stato ha chiarito "la differenza fra 'criteri
localizzativi" e "limiti alla localizzazione" ritenendosi
consentiti i primi, in quanto recanti criteri specifici
rispetto a localizzazioni puntuali, e non i secondi, in
quanto recanti divieti generalizzati per intere aree" (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, 19.06.2009 n. 4056; Cons.
Stato, Sez. VI, 17.12.2009 n. 8214 e n. 8215; Cons.
Stato, Sez. VI, 05.06.2006, n. 3452; 19.05.2008, n.
2287; 17.07.2008, n. 3596).
E’ stata quindi dichiarata l'illegittimità di un regolamento
comunale adottato ai sensi dell'art. 8, comma 6, l. 22.02.2001 n. 36, laddove l'ente territoriale si sia
posto quale obiettivo, sebbene non dichiarato, ma evincibile
dal contenuto dell'atto regolamentare, quello di preservare
la salute umana dalle emissioni elettromagnetiche promananti
da impianti di radiocomunicazione (ad esempio attraverso la
fissazione di distanze minime delle stazioni radio base da
particolari tipologie d'insediamenti abitativi), essendo
tale materia attribuita alla legislazione concorrente Stato-regioni dell'art. 117 cost., come riformato dalla l.
cost. 18.10.2001 n. 3 (Consiglio Stato , Sez. VI,
sent. n. 6473 del 06-09-2010, sez. VI, 20.12.2002, n.
7274).
E’ stato ancora affermato che in base alla richiamata
disciplina nazionale i comuni possono adottare un
regolamento atto ad assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione comunale ai campi
elettromagnetici, ma non possono adottare misure derogatorie
ai limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali, ad
esempio, il generalizzato divieto di installazione delle
stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero,
introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc.) non siano funzionali al governo
del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute
dai rischi dell'elettromagnetismo (Consiglio di Stato sez.
VI, 27.04.2010 n. 2371).
Ciò perché "spetta allo Stato la funzione di fissazione dei
criteri e dei limiti rilevanti ai fini della protezione
della popolazione dalle potenzialità nocive insite
nell'esposizione ai campi magnetici” (cfr. Consiglio Stato ,
sez. VI, 03.10.2007, n. 5098, ma si veda anche
Consiglio Stato, sez. VI, 05.06.2006, n. 3332).
Il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti di telefonia mobile e la minimizzazione
dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici
deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste
a presidio di interessi di rilievo pubblico, ma non può
tradursi in un generalizzato divieto di installazione in
zone urbanistiche identificate. Tale previsione verrebbe
infatti a costituire un'inammissibile misura di carattere
generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle
emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in
contrasto con l'art. 4, l. n. 36 del 2001, che riserva alla
competenza dello Stato la determinazione, con criteri
unitari, dei limiti di esposizione, dei lavori di attenzione
e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da
applicarsi su tutto il territorio dello Stato (Consiglio di
Stato Sez. VI, sent. n. 3646 del 15-06-2011).
L'introduzione, da parte del Comune, tramite regolamento
edilizio, di misure tipicamente di governo del territorio
(distanze, altezze, localizzazioni, e così via) si
giustifica solo se conforme al principio di ragionevolezza
ed alla natura delle competenze urbanistico-edilizie
esercitate, e qualora sia sorretta da una sufficiente
motivazione sulla base di risultanze acquisite attraverso
un'istruttoria idonea a dimostrare la ragionevolezza della
misura e l'idoneità della stessa rispetto al fine
perseguito. Le misure di minimizzazione da ritenersi
distinte da quelle urbanistico-edilizie, non possono
prevedere limiti generalizzati di esposizione diversi da
quelli previsti dallo Stato, né possono di fatto costituire
una deroga generalizzata a tali limiti (Consiglio di Stato,
Sez. VI, Sent. n. 3157 del 13-06-2007).
Alla luce di tale consolidato orientamento, dal quale il
Collegio non intende discostarsi, deve ritenersi che i
provvedimenti impugnati risultano affetti dai vizi
censurati. In particolare deve ritenersi che l’articolo 7
del regolamento comunale, che ha fondato il successivo
parere negativo dell’amministrazione, nella parte in cui
impone il rispetto dei 500 metri per la localizzazione degli
impianti “da edifici ed aree in cui risiedono, operino
professionalmente o permangono persone per almeno 4 ore al
giorno”, pone un precetto che può porsi in contrasto con la
disciplina nazionale di riferimento se diretto a
salvaguardare solo la salute pubblica e non anche il
corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti per come prescritto dalla legge.
Il parere negativo
reso dall’Ufficio tecnico Comunale, adottato in attuazione
della citata norma regolamentare, con il quale è stata
vietata la richiesta installazione per la presenza di un
ufficio scolastico e di un edificio per attività sportiva
all’interno di un raggio di 500 metri dal punto previsto per
l’istallazione della stazione radio base, si pone in
contrasto con la normativa nazionale in quanto diretto solo
a tutelare la salute pubblica, in merito alla quale si è
comunque espressa l’Arpa Cal. che con atto del 05.08.2011
ha attestato la conformità e la compatibilità del progetto
di installazione dell’impianto di telefonia cellulare, con i
limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli
obiettivi di cui alla legge 36/2001 e al D.P.C.M. 08.07.2003.
Né risulta che il parere negativo del Comune sia supportato
da ulteriori motivazioni derivanti da risultanze istruttorie
che dimostrino la ragionevolezza della misura e l'idoneità
della stessa rispetto al fine perseguito per come richiesto
dalla giurisprudenza, risultanze che pur potrebbero
costituire una deroga alla normativa richiamata (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 10.11.2012 n. 1092 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In assenza dei
presupposti per l'applicazione di una misura di
salvaguardia, un provvedimento di sospensione della
valutazione dell'istanza del privato costituisce atto
atipico e, pertanto, illegittimo.
Peraltro la sospensione della procedura stabilita con la
nota gravata, in attesa di un futuro piano di localizzazione
degli impianti di telefonia mobile, finisce per risolversi
in un illegittimo arresto sine die del procedimento, in
contrasto con le esigenze di speditezza proprie di tale
settore che trovano testuale riscontro nell'art. 87 del
D.lgs. n. 259/2003.
Né sussiste un potere dell'Amministrazione comunale di
adottare una misura del tipo di quella contenuta nel
provvedimento impugnato, suscettibile di sospendere la
proposta attività per una durata temporale assolutamente
indefinita: in proposito, deve osservarsi che nessuna norma
di legge attribuisce all'ente comunale il potere di emettere
una pronunzia soprassessoria sine die, peraltro contraria ad
ogni canone di certezza giuridica e alle esigenze di
celerità riferibili alle infrastrutture di telefonia mobile.
Né, infine, l'assenza di una regolamentazione ad hoc a
livello comunale della materia specifica potrebbe frapporsi
al rilascio dell'autorizzazione. Invero, come affermato
dalla costante giurisprudenza condivisa dal Collegio,
“l’assenza di una disciplina specifica, volta a individuare
il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti di cui trattasi ed a minimizzare l'esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici ..." non
preclude di per sé l’assentibilità dell’istanza.
... per l'annullamento del provvedimento prot. n. 0011866
U/2012 del 23.07.2012, notificato il 27.07.2012, con cui
l’istanza presentata dalla società ricorrente per
l’installazione di un impianto di telefonia mobile è stata
sospesa in attesa dell’approvazione del regolamento comunale
regolante la specifica materia e, per l’effetto, è stata
inibita l’esecuzione dei lavori.
...
Oggetto del presente giudizio è l'atto con il quale l’Amministrazione
comunale ha dichiarato improcedibile la D.I.A., presentata
ai sensi dell’art. 87 del D.lgs. n. 259/2003, in attesa
dell’adozione del Regolamento comunale disciplinante la
specifica materia.
Premesso che la previsione della futura adozione di un
Regolamento disciplinante la specifica materia da parte del
Regolamento edilizio comunale, non rende quest’ultimo atto
presupposto del provvedimento impugnato, trattandosi di
disposizione a carattere generale, priva di una propria
forza vincolante sulla declaratoria di improcedibilità della
D.I.A., il Collegio ritiene fondato il motivo con il quale
la società ricorrente denuncia l'illegittimità della
sospensione sine die dell'esame dell’istanza presentata.
E, infatti, in assenza dei presupposti per
l'applicazione di una misura di salvaguardia, un
provvedimento di sospensione della valutazione dell'istanza
del privato costituisce atto atipico e, pertanto,
illegittimo (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. I,
14.04.2011, n. 520). Peraltro la sospensione della procedura
stabilita con la nota gravata, in attesa di un futuro piano
di localizzazione degli impianti di telefonia mobile,
finisce per risolversi in un illegittimo arresto sine die
del procedimento, in contrasto con le esigenze di speditezza
proprie di tale settore che trovano testuale riscontro
nell'art. 87 del D.lgs. n. 259/2003 (cfr. in termini TAR
Campania, Napoli VII, 29.05.2006, n. 6199; TAR
Abruzzo,15.06.2006, n. 420; TAR Puglia, Lecce, 03.11.2006, n.
5142).
Né sussiste un potere dell'Amministrazione comunale di
adottare una misura del tipo di quella contenuta nel
provvedimento impugnato, suscettibile di sospendere la
proposta attività per una durata temporale assolutamente
indefinita: in proposito, deve osservarsi che nessuna norma
di legge attribuisce all'ente comunale il potere di emettere
una pronunzia soprassessoria sine die, peraltro contraria ad
ogni canone di certezza giuridica e alle esigenze di
celerità riferibili alle infrastrutture di telefonia mobile.
Né, infine, l'assenza di una regolamentazione ad hoc a
livello comunale della materia specifica potrebbe frapporsi
al rilascio dell'autorizzazione. Invero, come affermato
dalla costante giurisprudenza condivisa dal Collegio,
“l’assenza di una disciplina specifica, volta a individuare
il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti di cui trattasi ed a minimizzare l'esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici ..." non
preclude di per sé l’assentibilità dell’istanza (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 21.04.2008, n. 1767) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 09.11.2012 n. 4561 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il termine di cui
all’art. 87, comma 9, del decreto legislativo n. 259 del
2003 (codice delle comunicazioni) ha natura perentoria.
Al suo spirare si forma dunque il silenzio-assenso con
riferimento alla realizzazione dell’intervento richiesto e
l’amministrazione comunale, qualora intenda successivamente
opporsi al medesimo, può esercitare soltanto il potere di
autotutela sulla base dei presupposti, dei criteri e del
procedimento di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241
del 1990.
Considerato che per giurisprudenza pacifica
(cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. VII, 07.08.2007, n. 7365) il termine di cui all’art. 87, comma 9, del
decreto legislativo n. 259 del 2003 (codice delle
comunicazioni) ha natura perentoria.
Al suo spirare si forma dunque il silenzio-assenso con
riferimento alla realizzazione dell’intervento richiesto e
l’amministrazione comunale, qualora intenda successivamente
opporsi al medesimo, può esercitare soltanto il potere di
autotutela sulla base dei presupposti, dei criteri e del
procedimento di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241
del 1990.
Parametri questi che nella specie non sono stati rispettati.
Di qui l’illegittimità dell’operato del Comune intimato, il
quale è dunque intervenuto una volta formatosi il
silenzio-assenso e senza soprattutto esercitare il potere di
autotutela nei limiti e nelle forme consentite dalla legge
generale sul procedimento amministrativo
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 09.11.2012 n.
4530 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A
regioni e comuni, ciascuno per la parte di sua competenza, è
consentito introdurre criteri localizzativi degli impianti
di stazione radio mobile ai sensi degli artt. 3, comma 1,
lett. d) e 8, commi 1, lett. e), e 6 della L. 22.02.2001 n.
36, mentre non è consentito introdurre limitazioni alla
localizzazione.
---------------
Non è consentito agli enti territoriali introdurre criteri
distanziali generici ed eterogenei, come la prescrizione di
distanze minime dal perimetro esterno di edifici destinati
ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da
quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti
stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici
adibiti al culto, scuole e asili nido nonché di immobili
vincolati ai sensi della legislazione sui beni
storico-artistici o individuati come edifici di pregio
storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco,
aree verdi attrezzate ed impianti sportivi.
Eventuali disposizioni regolamentari in contrasto con la
normativa imperativa nazionale devono essere direttamente
disapplicate dal giudice amministrativo, configurando le
richieste dei soggetti interessati all’installazione degli
impianti espressione di un diritto soggettivo che non può
essere limitato da discipline locali che, se in contrasto
con la normativa nazionale, sono recessive.
Comunque, anche a fronte di posizioni di interesse
legittimo, il giudice amministrativo ha il potere-dovere di
disapplicare d’ufficio le norme regolamentari illegittime
per palese contrasto con la disposizione legislativa per
l’esecuzione della quale il regolamento è stato emanato.
- Rilevato che la domanda di autorizzazione per la
realizzazione di stazione radio base, avanzata dalla società
ricorrente in data 29.12.2011, è stata respinta dal comune
di Baiano in ragione della sua localizzazione in aree
qualificate come “territoriale urbanizzata” e come
“sensibile” dall’art. 3 del regolamento comunale per
l’insediamento di impianti di telecomunicazione e
radiotelevisivi, sulle quali “non possono essere installati
impianti”;
-
Ritenuto che, nell’ambito della definizione degli obiettivi
di qualità, a regioni e comuni, ciascuno per la parte di sua
competenza, è consentito introdurre criteri localizzativi
degli impianti di stazione radio mobile ai sensi degli artt.
3, comma 1, lett. d) e 8, commi 1, lett. e), e 6 della L. 22.02.2001 n. 36, mentre non è consentito introdurre
limitazioni alla localizzazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI,
09.06.2006 n. 3452);
-
Ritenuto che per giurisprudenza anche di questo Tribunale:
--- non è consentito agli enti territoriali introdurre criteri
distanziali generici ed eterogenei, come la prescrizione di
distanze minime dal perimetro esterno di edifici destinati
ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da
quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti
stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici
adibiti al culto, scuole e asili nido nonché di immobili
vincolati ai sensi della legislazione sui beni
storico-artistici o individuati come edifici di pregio
storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco,
aree verdi attrezzate ed impianti sportivi (cfr. TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 14.03.2007 n. 5445; Sez. I,
10.03.2005 n. 1708);
--- eventuali disposizioni regolamentari in contrasto con la
normativa imperativa nazionale devono essere direttamente
disapplicate dal giudice amministrativo, configurando le
richieste dei soggetti interessati all’installazione degli
impianti espressione di un diritto soggettivo che non può
essere limitato da discipline locali che, se in contrasto
con la normativa nazionale, sono recessive (cfr. TAR
Campania, Napoli, Sez. I, 05.04.2004, n. 4044 e Sez. VII,
14.03.2007 n. 5445; TAR Abruzzo, L’Aquila, 04.07.2006, n. 500);
--- comunque, anche a fronte di posizioni di interesse
legittimo, il giudice amministrativo ha il potere-dovere di
disapplicare d’ufficio le norme regolamentari illegittime
per palese contrasto con la disposizione legislativa per
l’esecuzione della quale il regolamento è stato emanato
(cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 29.05.2008 n. 2535; C.G.A.
09.07.2007 n. 561)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza
19.10.2012 n. 1893 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI:
Elettrosmog. Uso di telefoni cordless e cellulari
e patologie tumorali.
Questione concernente la contrazione di grave patologia in
conseguenza dell'uso lavorativo protratto, per dodici anni e
per 5-6 ore al giorno, di telefoni cordless e cellulari
all'orecchio sinistro (Corte
di Cassazione, Sez. Lavoro,
sentenza 12.10.2012 n. 17438
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Le
prescrizioni dettate a livello regolamentare non possono
tradursi nell’imposizione di limitazioni o divieti
generalizzati incompatibili con la possibilità di realizzare
una rete completa di infrastrutture per la
telecomunicazione, e ciò ancor più quando dette prescrizioni
sono palesemente rivolte a tutelare aspetti collegati alla
salute umana, dal momento che siffatte esigenze sono
valutate dagli organi statali a ciò deputati, stante la
previsione dell’art. 4 della legge n. 36/2001.
L’art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001 prevede che “I
comuni possono adottare un regolamento per assicurare il
corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai
campi elettromagnetici”.
Per principio pacifico in giurisprudenza, le prescrizioni
dettate a livello regolamentare non possono tradursi
nell’imposizione di limitazioni o divieti generalizzati
incompatibili con la possibilità di realizzare una rete
completa di infrastrutture per la telecomunicazione, e ciò
ancor più quando dette prescrizioni sono palesemente rivolte
a tutelare aspetti collegati alla salute umana, dal momento
che siffatte esigenze sono valutate dagli organi statali a
ciò deputati, stante la previsione dell’art. 4 della legge
n. 36/2001 (Consiglio Stato, sez. VI, 27.12.2010, n. 9414;
TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I, 21.03.2012, n. 231;
TAR Campania–Napoli, sez. VII, 28.10.2011, n. 5030; TAR
Molise–Campobasso, sez. I, 04.08.2011, n. 533)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 05.10.2012
n. 1647 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Appare
coerente con i principi generali dell’ordinamento nazionale
e comunitario ritenere che, per effetto della disciplina
sopravvenuta di cui all'art. 87 D. Lg.vo n. 259/2003, sia
stato implicitamente abrogato, per incompatibilità, l'art.
3, comma 1, lett. e. 3) ed e. 4) del DPR n. 380/2001, nella
parte in cui qualifica gli impianti di telecomunicazioni
come “nuova costruzione”, richiedenti, ai sensi del
successivo art. 10 DPR n. 380/2001, il previo rilascio del
permesso di costruire.
Invero, l'espressa assimilazione normativa fra le stazioni
radio base e le opere di urbanizzazione primaria, statuita
dall’art. 86, comma 3, del D.Lgs n. 259/2003 rende
l'installazione di tali manufatti compatibile con qualunque
destinazione di zona ed assoggettata alle sole prescrizioni
di cui all'art. 87 del D.Lgs n. 259/2003 e non anche alle
previsioni generali di cui all'art. 3 del D.P.R. n.
380/2001.
Pertanto, l’art. 87-bis del D.Lgs n. 259/2003 (introdotto
dall’art. 5-bis del D. L. 25.03.2010 n. 40) delinea un
procedimento per il caso in cui l’impianto radio base abbia
potenza in singola antenna superiore ai 20 Watt, con
riferimento al quale il gestore di telefonia mobile deve
chiedere “autorizzazione alla installazione”, ed un
procedimento semplificato, per il caso in cui la predetta
potenza sia uguale o inferiore ai 20 Watt, per il quale si
richiede la mera “denuncia di inizio attività”, trasmessa
alle amministrazioni competenti (Comune e Agenzia Regionale
per la Protezione Ambientale).
---------------
E' consentito alle regioni ed ai comuni, ciascuno per la sua
competenza, introdurre criteri localizzativi degli impianti
de quibus, nell'ambito della funzione di definizione degli
"obiettivi di qualità", consistenti in criteri
localizzativi, di cui all'art. 3, comma 1, lettera d, ed
all'art. 8, comma 1, lettera e, e comma 6 della legge
quadro, mentre non è consentito introdurre limitazioni alla
localizzazione.
Coerentemente, vanno considerati criteri localizzativi
(legittimi, ancorché espressi "in negativo") i divieti di
installazione su ospedali, case di cura e di riposo, scuole
e asili nido, siccome riferiti a specifici edifici, mentre
vanno ritenute limitazioni alla localizzazione (vietate) i
criteri distanziali generici ed eterogenei, quali la
prescrizione di distanze minime, da rispettare
nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di
edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad
attività diverse da quelle specificamente connesse
all'esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di
cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili
nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della
legislazione sui beni storico-artistici o individuati come
edifici di pregio storico-architettonico, di parchi
pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti
sportivi.
Il cosiddetto “Codice delle Comunicazioni Elettroniche”,
approvato con D.Lgs. 01.08.2003, n. 259, con gli artt. 86,
87 e 88, con riferimento alle infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione, affronta i molteplici profili di
interesse pubblico coinvolti e prevede lo svolgimento di
apposite conferenze di servizi, per un adeguato
coordinamento di tali interessi, con finale rilascio -in
forma espressa o tacita- di un titolo abilitativo,
qualificato come autorizzazione, in coerenza con i criteri
-rilevanti anche sul piano comunitario- di semplificazione
amministrativa, mediante la confluenza in un solo
procedimento di tutte le tematiche rilevanti, pur senza
cancellare l'incidenza delle installazioni stesse sotto il
profilo urbanistico-edilizio, tenuto conto della concreta
consistenza dell'intervento e senza esclusione di eventuali
conseguenze penali, connesse ad ipotesi di abusivismo, ex
art. 44 D.P.R. n. 380/2001 (conf.: Corte Cost. 28.03.2006,
n. 259; Corte Cost. 18.05.2006, ord. n. 203).
L'art. 86, comma 3, del precitato D.Lgs n. 259/2003
stabilisce che tutte le infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione, tra cui anche gli impianti di telefonia
mobile, "sono assimilate ad ogni effetto alle opere di
urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7, DPR n.
380/2001, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori".
Il D.Lgs. 06.06.2001 n. 380 (Testo Unico dell'Edilizia), con
l’art. 3, comma 1°, lett. e. 3) ed e. 4), prescrive, per "l'installazione
di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di
ripetitori per i servizi di telecomunicazione"
-espressamente catalogata come intervento di nuova
costruzione- il permesso di costruire, introdotto dalla
medesima normativa come nuova qualificazione formale della
concessione edilizia, ai sensi del successivo art. 10, comma
1.
L’art. 87 del suddetto D.Lgs n. 259/2003 richiede, per il
caso di installazione di impianti, con tecnologia UMTS od
altre, con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai
20 Watt, la mera denuncia di inizio attività, conforme ai
modelli predisposti dagli Enti locali e, ove non
predisposti, “al modello B di cui all'allegato n. 13",
conformemente alla “ratio acceleratoria”, desumibile
anche dai criteri di delega contenuti nell'art. 41 della
legge n. 166/2002 .
Appare, quindi, coerente con i principi generali
dell’ordinamento nazionale e comunitario ritenere che, per
effetto della disciplina sopravvenuta di cui all'art. 87 D.
Lg.vo n. 259/2003, sia stato implicitamente abrogato, per
incompatibilità, l'art. 3, comma 1, lett. e. 3) ed e. 4) del
DPR n. 380/2001, nella parte in cui qualifica gli impianti
di telecomunicazioni come “nuova costruzione”,
richiedenti, ai sensi del successivo art. 10 DPR n.
380/2001, il previo rilascio del permesso di costruire (conf.:
Cons. Stato. Sez. VI, sent. n. 5044 del 17.10.2008; Cons.
Stato Sez. VI: sent. n. 3534 del 15.06.2006; sent. n. 4000
del 26.7.2005; sent. n. 100 del 21.01.2005; TAR Napoli Sez.
VII sent. n. 2702 del 22.03.2007; TAR Lecce Sez. II sent. n.
4279 del 22.08.2006).
Invero, l'espressa assimilazione normativa fra le stazioni
radio base e le opere di urbanizzazione primaria, statuita
dall’art. 86, comma 3, del D.Lgs n. 259/2003 rende
l'installazione di tali manufatti compatibile con qualunque
destinazione di zona ed assoggettata alle sole prescrizioni
di cui all'art. 87 del D.Lgs n. 259/2003 e non anche alle
previsioni generali di cui all'art. 3 del D.P.R. n.
380/2001.
Pertanto, come correttamente rilevato dalla ricorrente,
l’art. 87-bis del D.Lgs n. 259/2003 (introdotto dall’art.
5-bis del D. L. 25.03.2010 n. 40) delinea un procedimento
per il caso in cui l’impianto radio base abbia potenza in
singola antenna superiore ai 20 Watt, con riferimento al
quale il gestore di telefonia mobile deve chiedere “autorizzazione
alla installazione”, ed un procedimento semplificato,
per il caso in cui la predetta potenza sia uguale o
inferiore ai 20 Watt, per il quale si richiede la mera “denuncia
di inizio attività”, trasmessa alle amministrazioni
competenti (Comune e Agenzia Regionale per la Protezione
Ambientale).
E’ questo secondo il procedimento pacificamente applicabile
al caso che occupa.
Secondo il quadro emergente della giurisprudenza
costituzionale, è consentito alle regioni ed ai comuni,
ciascuno per la sua competenza, introdurre criteri
localizzativi degli impianti de quibus, nell'ambito
della funzione di definizione degli "obiettivi di qualità",
consistenti in criteri localizzativi, di cui all'art. 3,
comma 1, lettera d, ed all'art. 8, comma 1, lettera e, e
comma 6 della legge quadro, mentre non è consentito
introdurre limitazioni alla localizzazione (conf.: Corte
Cost.: 07.10. 2003 n. 307; 07.11.2003, n. 331; 28.03.2006,
n. 129).
Coerentemente, vanno considerati criteri localizzativi
(legittimi, ancorché espressi "in negativo") i
divieti di installazione su ospedali, case di cura e di
riposo, scuole e asili nido, siccome riferiti a specifici
edifici, mentre vanno ritenute limitazioni alla
localizzazione (vietate) i criteri distanziali generici ed
eterogenei, quali la prescrizione di distanze minime, da
rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro
esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di
lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente
connesse all'esercizio degli impianti stessi, di ospedali,
case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole
ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della
legislazione sui beni storico-artistici o individuati come
edifici di pregio storico-architettonico, di parchi
pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti
sportivi (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 03.10.2012 n. 981 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’installazione
di una antenna, visibile dai luoghi circostanti, comporta
alterazione del territorio avente rilievo ambientale ed
estetico, sicché, ai sensi dell’art. 1 della legge
28.01.1977 n. 10, essa è soggetta al rilascio di concessione
edilizia.
Tale principio giurisprudenziale è stato recepito dal T.U.
n. 380 del 06.06.2001, il quale, all’art. 3, assoggetta a
permesso di costruire (è questa la nuova denominazione della
concessione edilizia) “l’installazione di torri e tralicci
per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i
servizi di telecomunicazione”, in quanto “interventi di
nuova costruzione”.
Anche il nuovo Codice delle Comunicazioni ha previsto
specifici procedimenti di autorizzazione per le
infrastrutture di comunicazione.
Ciò premesso, appare evidente come la modestia dell’impianto
installato (antenna di altezza pari a circa 4 metri) escluda
la necessità di una concessione edilizia, poiché non
comporta una trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio tale da alterare stabilmente lo stato di luoghi.
... per l'annullamento dell’ordinanza n. 197 del 23.08.2001
a firma del Responsabile U.O. Edilizia privata del comune di
Bollate di demolizione di una stazione radio base per
telefonia cellulare in Bollate, e di ogni altro atto
presupposto, tra cui gli artt. 12 e 20 del vigente
regolamento edilizio ed il provvedimento ignoto di
archiviazione della pratica edilizia in data 03.07.2001.
...
In particolare, appare evidente come la modestia
dell’impianto installato (antenna di altezza pari a circa 4
metri) escluda la necessità di una concessione edilizia,
poiché non comporta una trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio tale da alterare stabilmente lo
stato di luoghi.
Invero, “deve essere richiamato il costante orientamento
giurisprudenziale secondo il quale l’installazione di una
antenna, visibile dai luoghi circostanti, comporta
alterazione del territorio avente rilievo ambientale ed
estetico, sicché, ai sensi dell’art. 1 della legge
28.01.1977 n. 10, essa è soggetta al rilascio di concessione
edilizia (per tutte, C.S., sez. V, 06.04.1998, n. 415). Tale
principio giurisprudenziale è stato recepito dal T.U. n. 380
del 06.06.2001, il quale, all’art. 3, assoggetta a permesso
di costruire (è questa la nuova denominazione della
concessione edilizia) “l’installazione di torri e tralicci
per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i
servizi di telecomunicazione”, in quanto “interventi di
nuova costruzione”. Anche il nuovo Codice delle
Comunicazioni ha previsto specifici procedimenti di
autorizzazione per le infrastrutture di comunicazione (artt.
87 e 88 del D.lgs. 01.08.2003, n. 259)” (così, Cons. di
Stato, sez. IV, n. 3193/2004).
Siccome nel caso di specie il manufatto di cui si discute
non può essere paragonato ad un traliccio o ad una torre, ma
più appropriatamente ad una mera antenna, esso, per
dimensioni e volume, appare sottratto al regime
autorizzatorio evidenziato dal comune nel suo provvedimento.
Di conseguente, l’atto impugnato va annullato; sussistono
peraltro gravi ragioni, in relazione alle oscillazioni
interpretative che hanno caratterizzato in giurisprudenza la
materia de qua, per compensare le spese del giudizio tra le
parti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 30.08.2012 n. 2198 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Per
quanto sia indubbiamente nella facoltà dell’ente comunale la
possibilità di regolamentare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia
-tenendo comunque presente che l’art. 86, comma 3, del
d.lgs. 01.08.2003 n. 259, stabilendo che le infrastrutture
di reti pubbliche di comunicazione sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione primaria, postula la
compatibilità delle stesse con qualsiasi destinazione
urbanistica, onde le eventuali discipline locali
d’individuazione di specifiche aree ritenute idonee per
l’insediamento delle strutture in argomento devono essere
coerenti con le finalità e con gli obiettivi della legge
statale e non devono essere tali da ostacolare
l’insediamento e il funzionamento delle infrastrutture
stesse- non è però ammesso far dipendere la realizzazione di
detti impianti da un futuro intervento pianificatorio del
Comune, negando nel frattempo ogni installazione.
Il divieto di rilascio di autorizzazioni alla installazione
di antenne radio base in attesa della approvazione del Piano
Strutturale Comunale “si traduce in una immotivata ed
illegittima compressione ad nutum delle posizioni rivestite
da parte ricorrente, laddove se è vero che ai Comuni spetta
adottare un regolamento per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione delle popolazioni ai CEM, tuttavia
il Comune non può inibire totalmente l’attività di
installazione di antenne sul territorio, atteso che tali
impianti sono divenuti opere di urbanizzazione primaria,
compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica ai sensi
dell’art. 86 del D.Lgs. n. 259 del 2003”.
E' parimenti illegittima la sospensione della procedura per
l’esame di istanze quali quella qui in esame, in attesa di
un futuro piano di localizzazione degli impianti di
telefonia: tale sospensione, infatti “finisce per risolversi
in un illegittimo arresto sine die, in contrasto con le
esigenze di speditezza proprie di tale settore, che oggi
hanno trovato testuale riscontro nell’art. 87, d.lgs. n. 259
del 2003, a partire dal quale è ormai generalmente
affermata, in sede giurisprudenziale, l'illegittimità dei
provvedimenti comunali di sospensione dell'esame delle
domande di autorizzazione all'installazione di stazioni
radio base in attesa dell'approvazione di un apposito
regolamento”.
Con il provvedimento impugnato, il Comune resistente,
pur precisando di aver adottato un regolamento per
l’installazione, monitoraggio e localizzazione degli
impianti di telefonia mobile, specifica che esso dovrà
essere recepito dal regolamento urbanistico, parte
integrante del redigendo P.S.C. Aggiunge l’Amministrazione
comunale che “con il redigendo P.S.C. si provvederà ad
individuare le aree del territorio dove saranno possibili
eventuali installazioni di stazioni radio base per telefonia
mobile e/o cellulare”.
In buona sostanza, il Comune, pur
disponendo di un regolamento per l’installazione degli
impianti di telefonia, rinvia alla futura redazione del P.S.C. l’individuazione delle aree a ciò deputate,
rigettando, nel frattempo, ogni istanza diretta ad ottenere
l’autorizzazione all’installazione degli apparati in
questione.
Tale motivazione non è idonea a supportare legittimamente il
diniego impugnato.
Per quanto sia indubbiamente nella facoltà dell’ente
comunale la possibilità di regolamentare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di
telefonia -tenendo comunque presente che l’art. 86, comma 3,
del d.lgs. 01.08.2003 n. 259, stabilendo che le
infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono
assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione
primaria, postula la compatibilità delle stesse con
qualsiasi destinazione urbanistica, onde le eventuali
discipline locali d’individuazione di specifiche aree
ritenute idonee per l’insediamento delle strutture in
argomento devono essere coerenti con le finalità e con gli
obiettivi della legge statale e non devono essere tali da
ostacolare l’insediamento e il funzionamento delle
infrastrutture stesse- non è però ammesso far dipendere la
realizzazione di detti impianti da un futuro intervento pianificatorio del Comune, negando nel frattempo ogni
installazione.
Come questo Tribunale ha già avuto modo di
evidenziare, infatti, il divieto di rilascio di
autorizzazioni alla installazione di antenne radio base in
attesa della approvazione del Piano Strutturale Comunale “si
traduce in una immotivata ed illegittima compressione ad nutum delle posizioni rivestite da parte ricorrente, laddove
se è vero che ai Comuni spetta adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione
delle popolazioni ai CEM, tuttavia il Comune non può inibire
totalmente l’attività di installazione di antenne sul
territorio, atteso che tali impianti sono divenuti opere di
urbanizzazione primaria, compatibili con qualsiasi
destinazione urbanistica ai sensi dell’art. 86 del D.Lgs. n.
259 del 2003” (sez. II, 06.03.2008, n. 269).
Questo Tribunale, peraltro, ha avuto modo di chiarire anche
che è parimenti illegittima la sospensione della procedura
per l’esame di istanze quali quella qui in esame, in attesa
di un futuro piano di localizzazione degli impianti di
telefonia: tale sospensione, infatti “finisce per risolversi
in un illegittimo arresto sine die, in contrasto con le
esigenze di speditezza proprie di tale settore, che oggi
hanno trovato testuale riscontro nell’art. 87, d.lgs. n. 259
del 2003, a partire dal quale è ormai generalmente
affermata, in sede giurisprudenziale, l'illegittimità dei
provvedimenti comunali di sospensione dell'esame delle
domande di autorizzazione all'installazione di stazioni
radio base in attesa dell'approvazione di un apposito
regolamento” (sez. II, 07.04.2010, n. 407; cfr. anche
TAR Campobasso, sez. I, 23.05.2009, n. 249)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 25.08.2012 n. 893 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
zonizzazione elettromagnetica è legittima se
rimane entro i confini della funzione
urbanistica senza interferire con interessi
di altra natura e in particolare con la
tutela della salute.
L’adozione di criteri localizzativi da parte
degli enti locali non deve pregiudicare
l'interesse nazionale alla realizzazione
delle reti di telecomunicazione: di
conseguenza non possono considerarsi
legittime previsioni generiche o
eccessivamente discrezionali.
In definitiva attraverso i suddetti criteri
possono essere imposte localizzazioni
alternative purché siano garantiti lo
sviluppo delle reti e la copertura del
territorio.
Proprio per questo la zonizzazione è
normalmente preceduta da accordi con i
gestori delle reti di telefonia, che sono
tenuti a prospettare tutti i punti
equivalenti sotto il profilo della copertura
ottimale delle varie aree del territorio per
consentire poi ai comuni di effettuare le
proprie valutazioni urbanistiche.
La zonizzazione elettromagnetica è legittima
se rimane entro i confini della funzione
urbanistica senza interferire con interessi
di altra natura e in particolare con la
tutela della salute (v. art. 4, comma 11,
della LR 11.05.2001 n. 11).
La giurisprudenza costituzionale ha
precisato che l’adozione di criteri
localizzativi da parte degli enti locali non
deve pregiudicare l'interesse nazionale alla
realizzazione delle reti di
telecomunicazione: di conseguenza non
possono considerarsi legittime previsioni
generiche o eccessivamente discrezionali (v.
C.Cost. 07.10.2003 n. 307 punti 7 e 21;
C.Cost. 07.11.2003 n. 331 punto 6; C.Cost.
27.07.2005 n. 336 punto 9.1; C.Cost.
28.03.2006 n. 129 punto 7.3).
In definitiva attraverso i suddetti criteri
possono essere imposte localizzazioni
alternative purché siano garantiti lo
sviluppo delle reti e la copertura del
territorio.
Proprio per questo la zonizzazione è
normalmente preceduta da accordi con i
gestori delle reti di telefonia, che sono
tenuti a prospettare tutti i punti
equivalenti sotto il profilo della copertura
ottimale delle varie aree del territorio per
consentire poi ai comuni di effettuare le
proprie valutazioni urbanistiche
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 24.08.2012 n. 1461 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Secondo
jus receptum, il potere esercitato in base all'art. 54 dlgs
267/2000 presuppone una situazione di pericolo effettivo –da
indicare espressamente- avente i caratteri della
temporaneità, che non può essere affrontata con nessun altro
tipo di provvedimento.
Invero, tale provvedimento atipico, di natura eccezionale,
previsto per fronteggiare gravi pericoli che minacciano
l'incolumità dei cittadini, non può essere utilizzato ai
fini della cura di esigenze prevedibili e ordinarie e va
giustificato dalla sussistenza di situazioni eccezionali ed
impreviste, incompatibili con i tempi occorrenti per
l’espletamento degli ordinari procedimenti e con l’utilizzo
dei provvedimenti tipizzati previsti dall'ordinamento
giuridico.
-----------------
Non compete all'ente locale la valutazione in ordine alla
lesività o meno dell'esposizione ai campi elettromagnetici
della popolazione, poiché i limiti dì esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, i criteri
e le modalità sono stati fissati dallo Stato, nell’esercizio
delle proprie potestà, facendo salve le competenze delle
Autorità Indipendenti.
Né il potere regolamentare dei Comuni di fissare, ai sensi
dell'art. 8 ultimo comma della legge n. 36 del 2001, criteri
localizzativi per assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici
può mai trasmodare nel potere di sospendere gli effetti dei
titoli abilitativi già formati, ai sensi degli artt. 86 e 87
del Codice delle comunicazioni elettroniche.
Possono essere esaminati congiuntamente il
primo motivo del ricorso principale ed il motivo aggiunto,
con cui parte ricorrente deduce, in sostanza, che, nel caso
di specie, difetterebbero i presupposti per l'adozione di
una ordinanza contingibile ed urgente, ai sensi dell’art. 54
del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, poiché l'installazione
della stazioni radio base in questione potrebbe determinare
pericolo di inquinamento elettromagnetico nonché rischi di
gravi tensioni sociali nella comunità.
La distinzione tra “indirizzo politico” e “gestione
amministrativa”, a presidio dei canoni costituzionali di
buon andamento e imparzialità dell'amministrazione (art. 97
Cost.), è stata sancita per la prima volta nell’ordinamento
degli enti locali con l'art. 51, comma 2°, della legge
08.06.1990 n.142, a mente del quale: "spettano ai dirigenti
tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, che la legge o lo statuto
non riservino espressamente agli organi di governo".
Il principio è stato poi recepito dall'art. 3 del D.Lgs.
03.02.1993 n. 29, che lo ha esteso a tutte le pubbliche
amministrazioni, affermando che "gli organi di governo
definiscono gli obiettivi e i programmi da attuare e
verificano la rispondenza dei risultati della gestione
amministrativa alle direttive generali impartite" e che, ai
dirigenti, responsabili della gestione e dei relativi
risultati, spetta, in generale, "la gestione finanziaria,
tecnica e amministrativa, compresa l'adozione di tutti gli
atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno,
mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle
risorse umane e strumentali e di controllo".
La successiva legge 15.05.1997 n. 127 (cosiddetta “Bassanini
bis”) ha provveduto ad elencare una serie di provvedimenti,
la cui adozione è esplicitamente riservata ai dirigenti,
introducendo, nel contempo, una disciplina che rende
applicabile il principio anche nei comuni di minori
dimensioni demografiche, privi della dirigenza: del resto,
tutte le amministrazioni (ivi compresi gli enti locali) sono
destinatarie dell'obbligo, espressamente sancito dal D.Lgs.
31.03.1998 n. 80 (art. 17, che inserisce nel D.lgs. 29/1993
l'art. 27-bis) di adeguare i propri ordinamenti al principio
di separazione "nell'esercizio della propria potestà
statutaria e regolamentare [...] tenendo conto delle
relative peculiarità".
Tutte queste disposizioni risultano ora trasposte nel D.Lgs.
18.08.2000 n. 267 (c.d. “Testo unico degli Enti Locali”) e
nel D.Lgs. 30/03/2001 n. 165 (c.d. “Testo Unico sul
Pubblico Impiego”) ed hanno, successivamente, subito alcune
limitazioni .
L'art. 54, comma 2, del D.Lgs. 18.11.2000 n. 267
prevede che: "Il sindaco, quale ufficiale del Governo,
adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi
generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare
gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini;
per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al
prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica".
Secondo jus receptum, il potere esercitato in base alla
disposizione in questione presuppone una situazione di
pericolo effettivo –da indicare espressamente- avente i
caratteri della temporaneità, che non può essere affrontata
con nessun altro tipo di provvedimento.
Invero, tale provvedimento atipico, di natura eccezionale,
previsto per fronteggiare gravi pericoli che minacciano
l'incolumità dei cittadini, non può essere utilizzato ai
fini della cura di esigenze prevedibili e ordinarie e va
giustificato dalla sussistenza di situazioni eccezionali ed
impreviste, incompatibili con i tempi occorrenti per
l’espletamento degli ordinari procedimenti e con l’utilizzo
dei provvedimenti tipizzati previsti dall'ordinamento
giuridico.
Nella specie, il provvedimento impugnato risulta
giustificato, sostanzialmente, dal rischio di inquinamento
elettromagnetico, che ha determinato elementi di criticità
sociale nonché dalla finalità di evitare e prevenire
situazioni di forte tensione sociale con implicazioni di
ordine pubblico.
Trattasi, a ben vedere, di situazioni suscettibili di poter
essere fronteggiate con l'esercizio dei poteri attribuiti in
via ordinaria in materia di regolamentazione dell'uso del
territorio agli enti locali, con la conseguenza che, nella
specie, deve ritenersi carente il presupposto normativo
fondamentale per l'applicazione dell'art. 54 del TUEELL.
Inoltre, sul piano del periculum in mora, in materia di
impianti di telefonia, mancano ancora certezze scientifiche
(come peraltro riconosciuto nello stesso provvedimento
impugnato) e vige il principio di precauzione, in base al
quale sono stati fissati, con il D.M. 10.09.1998, n.
381, dei limiti di esposizione, al cui mancato rispetto il
Comune non fa esaustivo riferimento.
Invero, alla salvaguardia della salute pubblica si è
provveduto a livello nazionale con il Regolamento recante
norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza, di
cui al D.M. 10.09.1998 n. 381.
Non compete, dunque, all'ente locale la valutazione in
ordine alla lesività o meno dell'esposizione ai campi
elettromagnetici della popolazione, poiché i limiti dì
esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità, i criteri e le modalità sono stati fissati dallo
Stato, nell’esercizio delle proprie potestà, facendo salve
le competenze delle Autorità Indipendenti (conf.: Cons.
Stato Sez. IV, 03.06.2002, n. 3095 e TAR Friuli Venezia
Giulia, 23.08.2002 n. 613).
Né il potere regolamentare dei Comuni di fissare, ai sensi
dell'art. 8 ultimo comma della legge n. 36 del 2001, criteri
localizzativi per assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici
può mai trasmodare nel potere di sospendere gli effetti dei
titoli abilitativi già formati, ai sensi degli artt. 86 e 87
del Codice delle comunicazioni elettroniche.
Ed invero, la precitata potestà regolamentare dei Comuni
deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste
a presidio di interessi di rilievo pubblico, ma non può
tradursi in un generalizzato divieto di installazione in
zone urbanistiche identificate.
Siffatta previsione, verrebbe, infatti, a costituire una
inammissibile misura di carattere generale, sostanzialmente
cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti
di telefonia mobile, in violazione dell'art. 4 della ridetta
legge n. 36 del 2001, che riserva alla competenza dello
Stato la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità, in base a parametri da applicarsi su tutto il
territorio dello Stato.
Conseguentemente, nel caso di specie, l’impugnata
ordinanza sindacale non resisterebbe alla censura svolta
neanche nel caso in cui alla medesima dovesse riconoscersi
natura di ordinanza contingibile ed urgente, sia perché
evidenzierebbe l’esorbitanza della misura sospensiva
rispetto allo scopo perseguito, alla luce della non inerenza
alla sfera comunale di compiti afferenti la tutela della
salute, sia perché la pendenza dell'iter approvativo del
regolamento comunale non potrebbe giustificare la
sterilizzazione del titolo edilizio già formato, avuto
riguardo alla natura urgente e indifferibile delle opere
riguardanti gli impianti di telefonia mobile nonché alla
loro assimilazione ope legis alle opere di urbanizzazione
primaria
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 21.08.2012 n. 864 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza amministrativa, anteriore
all’entrata in vigore del codice delle
comunicazioni, risultava propensa a
ritenere necessaria l’acquisizione di un
titolo autorizzatorio edilizio, di regola la
concessione edilizia (o, in subordine, altro
atto di assenso previsto dalla legislazione
regionale o dai regolamenti comunali), nel
caso di impianti di telefonìa che
effettivamente comportassero una
trasformazione edilizia, evincibile,
quest’ultima, dalle dimensioni delle opere
realizzate, dai relativi ingombri, e dalla
visibilità dei manufatti dai luoghi
circostanti.
... per l'annullamento dell’ordinanza n. 214
del 13.09.2001, con cui il responsabile del
settore edilizia del Comune di Bollate ha
ingiunto la demolizione di un impianto
realizzato in Via Magenta n. 27, intimando
altresì la rimessione in pristino dei
luoghi, nonché del provvedimento di
archiviazione del 05.09.2001, relativo al
procedimento edilizio avviato dalla stessa
società ricorrente in data 23.03.2000.
...
Ai fini di una più agevole esposizione il
Collegio ritiene opportuno premettere che:
A) la società ricorrente ha proposto una
domanda di concessione edilizia in data
23.03.2000, anteriormente, cioè, all’entrata
in vigore della legge regionale n. 11/2001,
che ha regolato la materia dell’elettrosmog
sul territorio lombardo, ma il provvedimento
impugnato, emesso in data 13.09.2001, e lo
stesso vale per l’archiviazione del
procedimento edilizio, disposta in data 05.09.2001, sono entrambi successivi a tale
normativa;
B) la giurisprudenza amministrativa
anteriore all’entrata in vigore del codice
delle comunicazioni –riferibile, quindi, a
fattispecie analoghe a quella oggetto del
presente giudizio– risultava propensa a
ritenere necessaria l’acquisizione di un
titolo autorizzatorio edilizio, di regola la
concessione edilizia (o, in subordine, altro
atto di assenso previsto dalla legislazione
regionale o dai regolamenti comunali), nel
caso di impianti di telefonìa che
effettivamente comportassero una
trasformazione edilizia, evincibile,
quest’ultima, dalle dimensioni delle opere
realizzate, dai relativi ingombri, e dalla
visibilità dei manufatti dai luoghi
circostanti (cfr., tra le prime pronunce,
Consiglio di Stato, sez. V, 06.04.1998,
n. 415; TAR Lombardia–Milano, sez. II,
07.04.1997, n. 430; TAR Puglia-Bari,
sez. II, 17.03.2000, n. 1041; TAR
Emilia Romagna–Parma, 20.04.2001, n.
226).
Tanto precisato, il Collegio ritiene
dirimenti le seguenti osservazioni:
1) è pregiudiziale stabilire quale sia
l’effettiva struttura oggetto dell’ordine di
demolizione. Ciò in quanto:
- dalla relazione di servizio della Polizia
municipale del 27.02.2001, atto di
accertamento costituente presupposto del
provvedimento impugnato, “risulta in opera
una installazione che si configura come un
traliccio portante, avente altezza di ca. mt.
4,50. Alla sommità di tale manufatto sono
installate n° 3 antenne ricetrasmittenti
aventi a loro volta altezza di mt. 1,30
cadauna”;
- in sede di delibazione cautelare, questo
Tribunale ha accertato trattarsi, invece, di
un “piccolo palo di altezza di circa 4 mt.,
recante antenna”.
Ora, pur non potendosi direttamente
applicare, alla fattispecie, il D.P.R. 06.06.2001, n. 380, “testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia”, in quanto entrato in
vigore il 30.06.2003, quindi
successivamente all’adozione del
provvedimento impugnato, nondimeno è
opportuno considerare, come utile indice di
riferimento, che l’art. 3, comma 1 lett. e)
di tale normativa –che comunque ha
riprodotto, implicitamente abrogandola, la
disposizione di cui all’art. 31 della legge
05.08.1978, n. 457– ha qualificato come
“interventi di nuova costruzione”
l’installazione di “torri e tralicci per
impianti radio-ricetrasmittenti e di
ripetitori per i servizi di
telecomunicazione” (cfr. in particolare, la
lett. e.4, anche questa implicitamente
abrogata dal codice delle comunicazioni di
cui al d.lgs. 259/2003);
2) nel corso di giudizio non sono emersi
elementi tali da smentire quanto rilevato da
questo Tribunale in riferimento alle modeste
dimensioni del palo collocato sul lastrico
di Via Magenta n. 27, che dunque
confermerebbero l’assenza di una
trasformazione edilizia: pertanto, anche in
sede di merito il Collegio non ravvisa
alcuna ragione per discostarsi dalla
valutazione di non necessità del previo
conseguimento di una concessione edilizia,
espressa nell’ordinanza cautelare n.
168/2002;
3) né a diversa conclusione può pervenirsi
in ragione di quanto l’Amministrazione ha
opposto nei propri scritti difensivi,
affermando che “è la stessa società che
implicitamente ammette l’incidenza di tale
opera sul territorio; con la richiesta di
rilascio della concessione edilizia,
l’intervento veniva definito come “nuova
edificazione”” (cfr. pag. 4 della memoria
dell’08.06.2012).
Nulla, infatti, avrebbe potuto impedire
all’Amministrazione comunale –in esito ad
un’approfondita e puntuale verifica (ben
oltre i riferimenti, meramente letterali,
contenuti nella relazione di servizio della
polizia municipale) sull’effettiva
consistenza delle opere realizzate, esulanti
dall’ipotesi di una trasformazione edilizia– di assentire l’installazione dell’impianto
sulla scorta del regime amministrativo
semplificato, quello fondato su mera
denuncia di inizio di attività, già
previsto, al tempo, sia dalla legge 24.12.1993, n. 537 sia, ancor più
organicamente, dalla legge 23.12.1996,
n. 662;
4) è pacifico che nel provvedimento
impugnato l’Amministrazione resistente non
ha contestato la violazione dell’altezza
massima degli edifici, indirettamente
confermandosi le contenute dimensioni
dell’impianto realizzato dalla società
ricorrente; né tantomeno ha specificamente
contestato –limitandosi, piuttosto, ad un
generico richiamo nel preambolo del
provvedimento impugnato– la violazione
delle disposizioni del regolamento comunale,
quest’ultimo comunque approvato in epoca
notevolmente successiva (27.07.2001)
all’accertamento dello stato dei luoghi
(27.02.2001), e quindi inidoneo a costituire
disciplina utilmente applicabile;
5) risulta, altresì, pacificamente ai sensi
dell’art. 64, comma 4, del codice del
processo amministrativo, che la potenza
dell’impianto di che trattasi non fosse
superiore ai 7 watt: circostanza, questa,
oggetto di una disposizione della legge
regionale n. 11/2001 (segnatamente, l’art.
6, comma 1, lett. a) efficace al momento
dell’adozione dell’ordinanza di demolizione,
ma nondimeno ignorata nelle valutazioni
istruttorie esperite dall’Amministrazione
comunale;
6) è invece infondato il terzo motivo di
ricorso, con cui è stata dedotta la mancata
comunicazione del provvedimento di
archiviazione della pratica edilizia,
risultando in atti prova documentale della
trasmissione di tale provvedimento con nota
fax del 05.09.2001.
In conclusione il ricorso è fondato e va,
pertanto, accolto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
27.07.2012 n.
2118 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
Comune non può adottare, mediante il formale
utilizzo di strumenti di carattere edilizio
o urbanistico, misure sostanzialmente
derogatorie dei limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici, quali il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare “su tutto
il territorio comunale”.
---------------
Il potere comunale di stabilire, mediante
gli strumenti urbanistici, la specifica
destinazione d’uso in cui è consentita
l'installazione degli impianti di telefonia
è rinvenibile nella legge urbanistica
fondamentale (n. 1150/1942), in cui è
previsto che il piano regolatore generale
deve indicare, oltre alle localizzazioni
(art. 7, comma 2, n. 1), la “divisione in
zone del territorio comunale con la
precisazione delle zone destinate
all’espansione dell’aggregato urbano e la
determinazione dei vincoli e dei caratteri
da osservare in ciascuna zona”, nonché “le
aree da riservare ad edifici pubblici o di
uso pubblico nonché ad opere ed impianti di
interesse collettivo o sociale” (art. 7,
comma 2, n. 4).
Si tratta, con tutta evidenza, di
disposizioni pienamente applicabili alla
disciplina amministrativa sull’elettrosmog,
essendone stata, invece, dichiarata
l’illegittimità costituzionale solo in
riferimento alla reiterazione dei vincoli
preordinati all’esproprio.
Pertanto, il Comune è pienamente
legittimato, ai sensi dell'art. 8, comma 6,
della legge 36/2001, ad adottare delle
previsioni regolamentari volte ad assicurare
il corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici, in sintonìa con la
pianificazione urbanistica.
... per l'annullamento del provvedimento del
19.07.2001, con cui il Comune di San Giuliano
Milanese ha negato l’autorizzazione
all’installazione di una stazione radio base
in Via Milano 14, nonché ogni atto
presupposto, connesso e consequenziale, con
particolare riguardo al regolamento comunale
per la localizzazione degli impianti di telefonìa, approvato con deliberazione del
Consiglio comunale n. 16 del 21.02.2001.
...
Ritiene il Collegio che i
motivi siano fondati, e ciò sulla scorta
dell’analisi del fondamento e dei limiti di
esercizio del potere regolamentare
attribuito alle Amministrazioni comunali
dall’art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001, n. 36, finalizzato a
garantire “il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici”.
Sul punto, risulta da tempo consolidato, in
giurisprudenza, l’orientamento che considera
legittime soltanto le previsioni
regolamentari che non dissimulino intenti
differenti da quelli indicati dalla citata
disposizione.
Si è, in particolare, ritenuto che un Comune
non possa adottare, mediante il formale
utilizzo di strumenti di carattere edilizio
o urbanistico, misure sostanzialmente
derogatorie dei limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici (la disciplina di
questi ultimi, come fondatamente dedotto da
parte ricorrente, è ascritta alle
prerogative legislative dello Stato), quali
–come nel caso della previsione di cui
all’art. 2, comma 1 del regolamento del
Comune di San Giuliano Milanese– il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare “su tutto
il territorio comunale” (non potendosi
ritenere che tale previsione possa ritenersi
legittima per effetto dell’individuazione,
operata al comma 2 del medesimo art. 2,
dell’area programmata per la futura
realizzazione di un impianto di
compostaggio), ovvero l’introduzione di
distanze fisse da osservare (una fascia di
duecento metri dalla vista area) (cfr., tra
le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15.06.2006, n. 3534; TAR Abruzzo–Pescara,
03.04.2007, n. 376).
Ad avviso del Collegio, la disposizione di
cui all’art. 2 del regolamento comunale
(erroneamente indicata nell’art. 4 da parte
della Commissione edilizia) va quindi
ritenuta esulante dai profili urbanistici
riconducibili alla competenza dell’ente
locale, palesandosi in essa uno sviamento
dell’attività amministrativa dalla funzione
regolatoria insita nella previsione di cui
al citato art. 8 della legge n. 36/2001.
Con riferimento al perseguimento
dell’obiettivo di minimizzazione del
rischio, rileva inoltre il Collegio:
A) un evidente contrasto tra la
regolamentazione comunale e la disciplina di
cui al comma 8 dell’art. 4 della legge
regionale n. 11/2001. Tale disposizione (la
cui formulazione applicabile ratione
temporis, poi riformata dall’art. 3 della
legge regionale n. 4/2002, è stata
successivamente ripristinata per effetto
della sentenza della Corte costituzionale n.
331/2003) prevedeva, allora come oggi, che
“è comunque vietata l'installazione di
impianti per le telecomunicazioni e per la
radiotelevisione in corrispondenza di asili,
edifici scolastici nonché strutture di
accoglienza socio-assistenziali, ospedali,
carceri, oratori, parco giochi, orfanotrofi
e strutture similari, e relative pertinenze,
che ospitano soggetti minorenni”.
Sull’apparente rigore di tale disposizione
ha fatto chiarezza la circolare regionale n.
58/2001, nella quale si è precisato che “la
prescrizione è da ritenersi soddisfatta
quando gli impianti per le telecomunicazioni
e la radiodiffusione siano installati in
punti che non ricadano in pianta entro il
perimetro degli edifici e strutture di cui
al suddetto comma e delle loro pertinenze”
(cfr. punto n. 5, lett. b).
Di conseguenza, va ritenuta illegittima
qualsiasi disposizione che imponga, come si
ravvisa nell’art. 2 del regolamento
comunale, un divieto generalizzato su tutto
il territorio;
B) che sulla legittimità dei divieti di
installazione risulta dirimente un passaggio
della motivazione con cui la Corte
costituzionale ha dichiarato, con sentenza
27.10.2003, n. 331, l’illegittimità
costituzionale di una disposizione
legislativa, approvata dalla Regione
Lombardia, che aveva reintrodotto il
criterio della distanza dai recettori
sensibili come rimedio volto a conseguire la
minimizzazione del rischio, statuendosi che
alle prerogative regionali in materia di
criteri localizzativi “non possono infatti
ricondursi divieti (…) che, in particolari
condizioni di concentrazione urbanistica di
luoghi specialmente protetti, potrebbe
addirittura rendere impossibile la
realizzazione di una rete completa di
infrastrutture per le telecomunicazioni,
trasformandosi così da «criteri di
localizzazione» in «limitazioni alla
localizzazione», dunque in prescrizioni
aventi natura diversa da quella consentita
dalla citata norma della legge n. 36. Questa
interpretazione, d'altra parte, non è senza
una ragione di ordine generale,
corrispondendo a impegni di origine europea
e all'evidente nesso di strumentalità tra
impianti di ripetizione e diritti
costituzionali di comunicazione, attivi e
passivi”.
Alla luce di quanto rilevato, è da ritenersi
illegittimo, e va quindi annullato, il
regolamento comunale oggetto di impugnazione
e, in via derivata, il diniego opposto
dall’Amministrazione comunale.
Con il secondo motivo di ricorso la società
ricorrente ha, invece, dedotto che “il
regolamento impugnato non costituisce
variante del vigente p.r.g.” (cfr. pag. 11
del ricorso).
Trattasi però, ad avviso del Collegio, di
censura infondata, in quanto il potere
comunale di stabilire, mediante gli
strumenti urbanistici, la specifica
destinazione d’uso in cui è consentita
l'installazione degli impianti di telefonia
è rinvenibile nella legge urbanistica
fondamentale (n. 1150/1942), in cui è
previsto che il piano regolatore generale
deve indicare, oltre alle localizzazioni
(art. 7, comma 2, n. 1), la “divisione in
zone del territorio comunale con la
precisazione delle zone destinate
all’espansione dell’aggregato urbano e la
determinazione dei vincoli e dei caratteri
da osservare in ciascuna zona”, nonché “le
aree da riservare ad edifici pubblici o di
uso pubblico nonché ad opere ed impianti di
interesse collettivo o sociale” (art. 7,
comma 2, n. 4).
Si tratta, con tutta evidenza, di
disposizioni pienamente applicabili alla
disciplina amministrativa sull’elettrosmog,
essendone stata, invece, dichiarata
l’illegittimità costituzionale solo in
riferimento alla reiterazione dei vincoli
preordinati all’esproprio (cfr. Corte cost.,
20.05.1999, n. 179): profilo estraneo
all’odierna materia del contendere.
Pertanto, il Comune è pienamente
legittimato, ai sensi dell'art. 8, comma 6,
della legge 36/2001, ad adottare delle
previsioni regolamentari volte ad assicurare
il corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici, in sintonìa con la
pianificazione urbanistica.
In conclusione il ricorso è fondato e va,
pertanto, accolto, nei termini espressi in
motivazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
27.07.2012 n.
2117 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tralicci per antenne: se la Soprintendenza
dice no, il comune deve convocare la
conferenza di servizi.
Con la
sentenza 22.06.2012 n. 878, il
TAR Veneto, Sez. II, ha esaminato un caso
nel quale il dirigente dello sportello unico
attività produttive del comune ha negato il
permesso di costruire in sanatoria richiesto
dalla ricorrente per la realizzazione di un
traliccio porta antenne per
radiocomunicazioni con contestuale riavvio
del procedimento sanzionatorio, a seguito
dei provvedimenti con i quali il
soprintendente ha espresso il parere
vincolante negativo per l'installazione di
un traliccio porta antenne per
radiocomunicazioni.
Il TAR ha ritenuto illegittimo quanto deciso
del comune: "Va rilevato in primo luogo
l’esistenza di un vizio di violazione di
legge in quanto riferita agli art. 86 e 87
del D.Lgs 01/08/2003 n. 259. Dette norme,
nel rilevare come le infrastrutture di
comunicazione elettronica per impianti
radioelettrici costituiscano delle opere di
urbanizzazione primaria di cui all’art. 16,
comma 7, del DPR 380/2001, subordinano il
rilascio dell’autorizzazione alla
convocazione di una conferenza di servizi ai
sensi dell’art. 87 del D.Lgs 01/08/2003 n.
259 e, ciò, in presenza di un dissenso da
parte di un’Amministrazione interessata.
Nulla di tutto ciò ha posto in essere il
Comune che si è limitato a fare proprio il
parere della Soprintendenza e ad emettere il
provvedimento di diniego impugnato".
Il TAR afferma, dunque, che la legge
speciale n. 259/2003 prevale sulla
disciplina generale del vincolo
paesaggistico (decreto legislativo 42 del
2004).
In conclusione, di fronte a un diniego da
parte della Soprintendenza, bisogna
convocare una conferenza di servizi,
convocando anche la Soprintendenza, per
svolgere approfondimenti istruttori
(commento tratto da e link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio di concessione edilizia in deroga
ex art. 41 della legge n. 1150/1942 può
giustificarsi soltanto in vista della
soddisfazione di esigenze straordinarie
rispetto agli interessi primari tutelati
dalla disciplina urbanistica generale.
In alcune, risalenti, decisioni della
giurisprudenza si è delineato un improprio
allargamento del campo di applicazione di
siffatta disciplina, estesa fino al punto di
comprendere i tralicci per gli impianti
televisivi o, ancora, gli edifici destinati
all’ampliamento di una sede consolare di uno
Stato estero e, perfino, un impianto per il
tiro a volo.
Nel caso controverso, la realizzazione di
uno dei tanti impianti di telefonia,
nell’ambito della diffusa rete distribuita
sul territorio, non può rivestire importanza
tale da giustificare l’eccezionalità della
valutazione prevista dalla disposizione
censurata.
Legittimo
è il denegato rilascio di concessione in
deroga ex art. 41 della legge n. 1150/1942,
atteso che l’esercizio del relativo potere
può giustificarsi soltanto in vista della
soddisfazione di esigenze straordinarie
rispetto agli interessi primari tutelati
dalla disciplina urbanistica generale.
Il Collegio, sul punto, rileva che in
alcune, risalenti, decisioni della
giurisprudenza si è delineato un improprio
allargamento del campo di applicazione di
siffatta disciplina, estesa fino al punto di
comprendere i tralicci per gli impianti
televisivi (cfr., TAR Puglia–Bari,
09.02.1996, n. 29) o, ancora, gli edifici
destinati all’ampliamento di una sede
consolare di uno Stato estero (cfr., Cons.
St., sez. IV, 23.05.1988, n. 434) e, perfino,
un impianto per il tiro a volo (cfr., TAR
Calabria–Catanzaro, 10.01.1995, n. 3).
Nel caso controverso, la realizzazione di
uno dei tanti impianti di telefonia,
nell’ambito della diffusa rete distribuita
sul territorio, non può rivestire importanza
tale da giustificare l’eccezionalità della
valutazione prevista dalla disposizione
censurata
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.06.2012 n. 1660 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo il diniego avverso l'istanza di
installazione di n. 3 antenne paraboliche su
di un campanile tenuto conto che:
- l’impianto (con le 3 nuove
antenne paraboliche)
non sembra possa ritenersi di semplice
adeguamento tecnologico del preesistente
impianto di telefonia mobile;
- l’indicato immobile risulta
collocato in un’area sottoposta a vincolo
paesaggistico e che il Comune ha negato, a
seguito di motivato parere, la necessaria
autorizzazione paesaggistica (che era stata
richiesta in forma semplificata);
- la Chiesa di S. Maria
Assunta in Cielo ed il suo campanile devono
ritenersi sottoposti anche al vincolo
storico artistico, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs n. 42 del 2004 (Codice dei beni
culturali);
- il Comune ha depositato un atto con il
quale il Parroco della predetta Chiesa ha
diffidato la Ericsson a non installare le
tre nuove parabole in quanto il contratto di
locazione in essere (ed oggetto di disdetta)
consente solo l’installazione dei pannelli
presenti sulle facciate del campanile.
... per la riforma dell'ordinanza cautelare
del TAR per il Lazio, Sezione Staccata di
Latina, Sezione I, n. 92 del 2012, resa tra
le parti, concernente la richiesta di
autorizzazione per adeguamento tecnologico
di una stazione radio per la telefonia
mobile cellulare.
...
-
Considerato che l’impianto (con le 3 nuove
antenne paraboliche) che la Ericsson ha
chiesto di poter installare sul campanile
della Chiesa di S. Maria Assunta in Cielo
non sembra possa ritenersi di semplice
adeguamento tecnologico del preesistente
impianto di telefonia mobile;
-
Considerato che l’indicato immobile risulta
collocato in un’area sottoposta a vincolo
paesaggistico e che il Comune ha negato, a
seguito di motivato parere di un esperto in
materia (arch. Castelluccio), la necessaria
autorizzazione paesaggistica (che era stata
richiesta in forma semplificata);
-
Considerato che, come è stato affermato dal
Comune ed è chiaramente indicato nel
suddetto parere, la Chiesa di S. Maria
Assunta in Cielo ed il suo campanile devono
ritenersi sottoposti anche al vincolo
storico artistico, ai sensi dell’art. 10 del
d.lgs n. 42 del 2004 (Codice dei beni
culturali);
-
Considerato che il Comune ha depositato un
atto con il quale il Parroco della predetta
Chiesa ha diffidato la Ericsson a non
installare le tre nuove parabole in quanto
il contratto di locazione in essere (ed
oggetto di disdetta) consente solo
l’installazione dei pannelli presenti sulle
facciate del campanile (Consiglio di Stato,
Sez. III,
ordinanza 08.06.2012 n. 2232 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
J. Cortinovis,
Semplificazione amministrativa per gli
impianti di telecomunicazione: D.Lgs. n.
259/2003 e SCIA.
Con
sentenza 18.05.2012 n. 580 la Sez. I del
TAR Piemonte si è occupata del tema della
sostituzione, ad opera della Legge n. 122
del 2010, della denunzia di inizio attività,
prevista nel Codice delle comunicazioni
elettroniche (D.Lgs. n. 259/2003)
relativamente ad alcune tipologie di
impianti di telefonia, con la segnalazione
certificata di inizio attività.
La vicenda trae origine dal deposito, da
parte di un Operatore, di una DIA ai sensi
dell'art. 87-bis del D.Lgs. n. 259/2003 per
l'installazione di un impianto per la
trasmissione di segnale con tecnologia UMTS
su preesistente infrastruttura di
telecomunicazioni. Il Dirigente competente,
tuttavia, comunicava all'Operatore che, a
seguito dell'avvenuta sostituzione della DIA
ad opera della SCIA, la denuncia presentata
non sarebbe potuta esser presa in
considerazione, non senza considerare che,
trattandosi di impianto con potenza in
antenna superiore a 20 watt, sarebbe stato
necessario richiedere un'autorizzazione ai
sensi dell’art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003.
Con la citata pronuncia, il TAR Piemonte ha
evidenziato come il Legislatore, nell’ottica
della semplificazione delle procedure
finalizzate al completamento della rete di
banda larga mobile, abbia introdotto nel
Codice delle comunicazioni elettroniche,
relativamente ad alcune tipologie di
impianti, la possibilità di assentire gli
impianti mediante DIA, indipendentemente
dalla potenza sviluppata in antenna. Se ne
deve dedurre, conseguentemente, l'assentibilità
a mezzo di DIA per tutti gli impianti che
utilizzano tecnologia UMTS o tecnologia
derivata, nonché tutti gli impianti che si
avvalgono di infrastrutture esistenti.
In relazione al rapporto tra la DIA,
contemplata del D.Lgs. n. 259/2003 e la
SCIA, introdotta dalla L. n. 122/2010, il
Collegio ha invece sottolineato di non
aderire all’orientamento giurisprudenziale
secondo il quale la disciplina contenuta nel
codice delle comunicazioni elettroniche
costituirebbe una normativa speciale e
compiuta, nei confronti della quale la SCIA
non troverebbe applicazione. Sottolinea
infatti il Collegio come, la L. n. 122/2010,
pubblicata il 30.07.2010 ed entrata in
vigore il giorno successivo, nel convertire
in legge il D.L. n. 78/2010, abbia previsto
che la disciplina della SCIA vada a
sostituire "in ogni normativa statale e
regionale" la disciplina della DIA,
senza possibili ritagli di spazi di
sopravvivenza della DIA se non laddove
espressamente contemplati. Neppure
l'utilizzo dell'espressione "denuncia di
inizio attività", in luogo a "dichiarazione
di inizio attività", nel Codice delle
comunicazioni elettroniche può portare alla
conclusione che tale "denuncia" (DIA) non
sia stata sostituita dalla SCIA, trattandosi
in tal senso di espressioni equivalenti.
In conclusione, ritiene il Collegio che la
sostituzione della SCIA alla DIA non si pone
in contrasto con il processo di
semplificazione voluto dal Legislatore per
gli impianti di telecomunicazione. Se é vero
che la SCIA sembra imporre all’interessato
l’onere di allegare alla domanda una
documentazione più articolata, si deve
tuttavia rilevare che si tratta pur sempre
di documentazione nella disponibilità della
parte (autocertificazioni, atti di
notorietà), alla quale si accompagna la
possibilità per la stessa di dare immediato
inizio ai lavori (link a http://studiospallino.blogspot.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Borzi,
Inquinamento elettromagnetico: spunti sulla
disciplina comunitaria e nazionale, tra
precauzione e sostenibilità (parte prima)
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In linea generale, a seguito
dell'entrata in vigore del d.lgs. n.
259/2003 (Codice delle Comunicazioni) le
valutazioni urbanistico-edilizie sono
assorbite nel procedimento delineato
dall'art. 87, che prevede un unico
procedimento autorizzatorio per
l'installazione delle infrastrutture di
comunicazione elettronica.
Detto procedimento è finalizzato a
garantire, tramite procedure tempestive e
semplificate, la parità delle condizioni
concorrenziali fra i diversi gestori nella
realizzazione delle proprie reti di
comunicazione sul territorio nazionale,
nonché la osservanza di livelli uniformi di
compatibilità ambientale delle emissioni
radioelettriche, stante che l'intento
perseguito dal legislatore comunitario e da
quello nazionale è quello di consentire la
installazione di “stazioni radio base” in
forza di un unico provvedimento
autorizzatorio, che deve essere rilasciato
sulla base di un procedimento unitario, nel
contesto del quale devono essere fatte
confluire le valutazioni sia di tipo
ambientale che di tipo urbanistico.
L'installazione di stazioni radio base per
la telefonia mobile risulta compiutamente
disciplinata dalla normativa summenzionata,
che prevede che tutte le problematiche
coinvolte vengano valutate nell'ambito di un
unico procedimento attivato
dall'interessato, che assorbe in sé le
valutazioni a carattere edilizio.
Non fa eccezione a tale conclusione neanche
la valutazione dell’impatto della stazione
radio base sui limiti previsti dalla legge
per limitare l’inquinamento
elettromagnetico: da un lato, infatti,
l’art. 87, nel disciplinare unitariamente il
procedimento autorizzatorio, non ammette
eccezioni; dall’altro, fa espresso
riferimento all’A.R.P.A. ai fini della
valutazione della compatibilità del progetto
con i limiti di esposizione, i valori di
attenzione e gli obiettivi di qualità,
stabiliti uniformemente a livello nazionale
dalla legge 36 del 2001.
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di
rigetto dell’autorizzazione alla
installazione di un impianto di trasmissione
presentata ai sensi dell'art. 87, d.lgs.
01.08.2003 n. 259, ove esso contrasti con le
valutazioni favorevoli al progetto
rassegnate dell’A.R.P.A., unica autorità
competente a pronunciarsi per gli aspetti
strettamente tecnici in ordine alla
compatibilità dell'impianto, al rispetto dei
limiti di esposizione, dei valori di
attenzione e degli obiettivi di qualità
relativi alle emissioni elettromagnetiche.
---------------
La valutazione di compatibilità
edilizio-urbanistica dell'intervento per
l’installazione di un impianto di telefonia
costituisce un sub-procedimento del Comune
da compiersi nell'ambito dei 90 giorni
complessivi previsti dal comma 9 dell'art.
87 per la formazione del silenzio assenso,
ed è subordinata soltanto all'autorizzazione
prevista dall'art. 87, d.lgs. n. 259 del
2003, che pone una normativa speciale ed
esaustiva che include anche la valutazione
della compatibilità urbanistico-edilizia
dell'intervento.
D’altra parte laddove il nuovo procedimento
fosse destinato non a sostituire, ma ad
abbinarsi a quello edilizio ordinario,
verrebbero di fatto vanificati i principi
ispiratori del Codice delle Comunicazioni
Elettroniche, in particolare quelli della
previsione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti per la
concessione del diritto di installazione e
della riduzione dei termini per la
conclusione dei procedimenti, nonché della
regolazione uniforme dei medesimi.
---------------
Il comma 9 dell’art. 87 del d.lgs. 259 del
2003 stabilisce che “le istanze di
autorizzazione e le denunce di attività di
cui al presente articolo (…) si intendono
accolte qualora, entro novanta giorni dalla
presentazione del progetto e della relativa
domanda, fatta eccezione per il dissenso di
cui al comma 8, non sia stato comunicato un
provvedimento di diniego o un parere
negativo da parte dell'organismo competente
ad effettuare i controlli, di cui
all'articolo 14 della legge 22.02.2001, n.
36”.
Tale termine, ai sensi del comma 5, può
essere interrotto solo per una sola volta,
entro quindici giorni dalla data di
ricezione dell'istanza, per consentire il
rilascio di dichiarazioni e l'integrazione
della documentazione prodotta.
Tale termine, per giurisprudenza pacifica,
decorre, infatti, dalla presentazione della
domanda.
Ne consegue che è illegittimo il
provvedimento impugnato, laddove nega
l’esistenza del titolo abilitativo e impone
la demolizione delle opere realizzate, non
essendo tale ordine preceduto da alcuna
valutazione in ordine all’interesse pubblico
esistente nonché da alcun provvedimento di
annullamento dell’atto tacitamente
formatosi, e non essendo neppure necessario
il rispetto delle disposizioni di cui
all'art. 20, comma 4, della legge n.
241/1990, stante il principio di specialità
vigente nel nostro ordinamento giuridico.
Anche
recentemente questa Sezione (sentenze
09.03.2011, n. 419; 11.01.2011 n. 22;
08.07.2009, n. 1213, confermata dal C.G.A.
con decisione n.1448 del 02.12.2010) ha
affermato che, in linea generale, a seguito
dell'entrata in vigore del d.lgs. n.
259/2003 (Codice delle Comunicazioni),
recepito nella Regione Siciliana con l'art.
103 della l.r. 28.12.2004, n. 17, le
valutazioni urbanistico-edilizie sono
assorbite nel procedimento delineato
dall'art. 87, che prevede un unico
procedimento autorizzatorio per
l'installazione delle infrastrutture di
comunicazione elettronica.
Detto procedimento è finalizzato a
garantire, tramite procedure tempestive e
semplificate, la parità delle condizioni
concorrenziali fra i diversi gestori nella
realizzazione delle proprie reti di
comunicazione sul territorio nazionale,
nonché la osservanza di livelli uniformi di
compatibilità ambientale delle emissioni
radioelettriche, stante che l'intento
perseguito dal legislatore comunitario e da
quello nazionale è quello di consentire la
installazione di “stazioni radio base”
in forza di un unico provvedimento
autorizzatorio, che deve essere rilasciato
sulla base di un procedimento unitario, nel
contesto del quale devono essere fatte
confluire le valutazioni sia di tipo
ambientale che di tipo urbanistico (cfr.
Corte Costituzionale, 28.03.2006, n. 129;
06.07.2006, n. 265).
In particolare, il comma 1 dell’art. 87 del
d.lgs. 259/2003 stabilisce espressamente che
l’installazione di “(…) stazioni radio
base per reti di comunicazioni elettroniche
mobili GSM/UMTS (…) , viene autorizzata
dagli Enti locali, previo accertamento, da
parte dell'Organismo competente ad
effettuare i controlli, di cui all'articolo
14 della legge 22.02.2001, n. 36, della
compatibilità del progetto con i limiti di
esposizione, i valori di attenzione e gli
obiettivi di qualità, stabiliti
uniformemente a livello nazionale in
relazione al disposto della citata legge
22.02.2001, n. 36, e relativi provvedimenti
di attuazione.”
Detto organismo altri non è che l’A.R.P.A.
(Agenzia regionale per la protezione
dell'ambiente), espressamente deputata, per
legge, alla tutela dei cittadini
dall’esposizione ai campi elettromagnetici.
Ai sensi del comma 3 “l'istanza, conforme
al modello di cui al modello A dell'allegato
n. 13, realizzato al fine della sua
acquisizione su supporti informatici e
destinato alla formazione del catasto
nazionale delle sorgenti elettromagnetiche
di origine industriale, deve essere
corredata della documentazione atta a
comprovare il rispetto dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità, relativi alle
emissioni elettromagnetiche, di cui alla
legge 22.02.2001, n. 36, e relativi
provvedimenti di attuazione, attraverso
l'utilizzo di modelli predittivi conformi
alle prescrizioni della CEI, non appena
emanate. (…) Nel caso di installazione di
impianti, con tecnologia UMTS od altre, con
potenza in singola antenna uguale od
inferiore ai 20 Watt, fermo restando il
rispetto dei limiti di esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità sopra indicati, è sufficiente la
denuncia di inizio attività”.
Appare dunque evidente che l'installazione
di stazioni radio base per la telefonia
mobile risulta compiutamente disciplinata
dalla normativa summenzionata, che prevede
che tutte le problematiche coinvolte vengano
valutate nell'ambito di un unico
procedimento attivato dall'interessato, che
assorbe in sé le valutazioni a carattere
edilizio (ex multis Cons. St., sez.
VI, 12.01.2011 n. 98; id., 08.06.2010 n.
3412; id., 03.06.2010 n. 3492; C.G.A.,
17.08.2009 n. 678; Tar Campania, sez. VII,
28.10.2011 n. 5030; Tar Palermo, sez. II,
09.03.2011, n. 419; id., 14.02.2011 n. 267;
id., 19.02.2009, n. 374; Tar Lazio, sez. II,
19.07.2006 n. 6056).
Non fa eccezione a tale conclusione neanche
la valutazione dell’impatto della stazione
radio base sui limiti previsti dalla legge
per limitare l’inquinamento
elettromagnetico: da un lato, infatti,
l’art. 87, nel disciplinare unitariamente il
procedimento autorizzatorio, non ammette
eccezioni; dall’altro, fa espresso
riferimento all’A.R.P.A. ai fini della
valutazione della compatibilità del progetto
con i limiti di esposizione, i valori di
attenzione e gli obiettivi di qualità,
stabiliti uniformemente a livello nazionale
dalla legge 36 del 2001.
Pertanto, in fattispecie simili, la
giurisprudenza amministrativa ha ritenuto
che sia illegittimo il provvedimento di
rigetto dell’autorizzazione alla
installazione di un impianto di trasmissione
presentata ai sensi dell'art. 87, d.lgs.
01.08.2003 n. 259, ove esso contrasti con le
valutazioni favorevoli al progetto
rassegnate dell’A.R.P.A., unica autorità
competente a pronunciarsi per gli aspetti
strettamente tecnici in ordine alla
compatibilità dell'impianto, al rispetto dei
limiti di esposizione, dei valori di
attenzione e degli obiettivi di qualità
relativi alle emissioni elettromagnetiche
(TAR Latina, 02.07.2007, n. 468).
È quindi altamente probabile che il Comune
abbia confuso la fase autorizzatoria
dell’impianto con la successiva fase di
controllo e di verifica del rispetto dei
valori di campo elettromagnetico
dell'impianto già attivato, per la quale
occorre rinviare alla fase successiva di
monitoraggio dei valori e controllo,
quest’ultima legittimamente demandata alla
competenza di autorità diverse dall’A.R.P.A.,
i cui pareri si inseriscono nel procedimento
per l'installazione degli impianti di
telefonia ope legis, alla stregua di
pareri tecnici sulla base del riscontro del
progetto e della documentazione presentata
dalla società che intende installare e sono
richiesti soltanto ed esclusivamente per la
concreta attivazione dell'impianto, ciò al
fine anche di stabilire se il volume
complessivo delle emissioni prodotte da
tutti gli impianti insistenti sullo stesso
sito risulti superiore ai limiti fissati dal
d.P.C.M. 08.07.2003 (Tar Napoli, sez. VII,
22.03.2007 n. 2702).
Sul punto, recentemente il Consiglio di
Stato (sez. VI, 24.09.2010 n. 7128) ha
ribadito che la circostanza che il parere
dell'A.R.P.A. sia richiesto solo ed
esclusivamente ai fini della concreta
attivazione dell'impianto, rende
insussistente l’onere per il richiedente di
allegare il parere dell’amministrazione
suddetta in sede di presentazione
dell'istanza (ovvero della d.i.a.), né un
puntuale obbligo di far pervenire il parere
medesimo all'Ente procedente entro il
termine di novanta giorni di cui al comma 9
dell'art. 87, d.lgs. n. 259/2003.
Parimenti, è anche possibile che il Comune
abbia sovrapposto alla disciplina dell’art.
87 del d.lgs. 259/2003, quella del d.P.R.
380/2001 (testo Unico in materia Edilizia),
che all’art. 5, comma 3, lett. a) prevede il
rilascio del parere della ASL ai fini del
rilascio del certificato di agibilità degli
edifici, ossia di quel certificato che, ai
sensi dell’art. 24 del T.U., attesta la
sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità, risparmio energetico
degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone
la normativa vigente.
Tuttavia, come ormai pacificamente stabilito
dalla giurisprudenza amministrativa
consolidata, la valutazione di compatibilità
edilizio-urbanistica dell'intervento per
l’installazione di un impianto di telefonia
costituisce un sub procedimento del Comune
da compiersi nell'ambito dei 90 giorni
complessivi previsti dal comma 9 dell'art.
87 per la formazione del silenzio assenso,
ed è subordinata soltanto all'autorizzazione
prevista dall'art. 87, d.lgs. n. 259 del
2003, che pone una normativa speciale ed
esaustiva che include anche la valutazione
della compatibilità urbanistico-edilizia
dell'intervento (Tar Bari, sez. III,
06.10.2011 n. 1488)
D’altra parte laddove il nuovo procedimento
fosse destinato non a sostituire, ma ad
abbinarsi a quello edilizio ordinario,
verrebbero di fatto vanificati i principi
ispiratori del Codice delle Comunicazioni
Elettroniche, in particolare quelli della
previsione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti per la
concessione del diritto di installazione e
della riduzione dei termini per la
conclusione dei procedimenti, nonché della
regolazione uniforme dei medesimi (Cons.
St., 98/2011, cit.).
---------------
Deve essere accolta anche la prima censura
dei motivi aggiunti, con la quale la
Vodafone prospetta la avvenuta formazione
del silenzio assenso.
Infatti, il comma 9 dell’art. 87 del d.lgs.
259 del 2003 stabilisce che “le istanze
di autorizzazione e le denunce di attività
di cui al presente articolo (…) si intendono
accolte qualora, entro novanta giorni dalla
presentazione del progetto e della relativa
domanda, fatta eccezione per il dissenso di
cui al comma 8, non sia stato comunicato un
provvedimento di diniego o un parere
negativo da parte dell'organismo competente
ad effettuare i controlli, di cui
all'articolo 14 della legge 22.02.2001, n.
36”.
Tale termine, ai sensi del comma 5, può
essere interrotto solo per una sola volta,
entro quindici giorni dalla data di
ricezione dell'istanza, per consentire il
rilascio di dichiarazioni e l'integrazione
della documentazione prodotta.
Nel caso concreto, la Vodafone ha presentato
l’istanza in data 10.03.2009, ed ha
integrato la documentazione l’11.12.2009.
Considerando che il provvedimento impugnato
è stato adottato il 28.02.2011, è evidente
che il termine di novanta giorni per la
formazione del silenzio assenso è decorso,
con conseguente formazione dell’atto.
Tale termine, per giurisprudenza pacifica,
decorre, infatti, dalla presentazione della
domanda (tra le più recenti Tar Bari, sez.
III, 25.02.2012 n. 402; id., 06.10.2011 n.
1488; Tar Catania, sez. I, 24.02.2012 n.
485).
Ne consegue che è illegittimo il
provvedimento impugnato, laddove nega
l’esistenza del titolo abilitativo e impone
la demolizione delle opere realizzate, non
essendo tale ordine preceduto da alcuna
valutazione in ordine all’interesse pubblico
esistente nonché da alcun provvedimento di
annullamento dell’atto tacitamente
formatosi, e non essendo neppure necessario
il rispetto delle disposizioni di cui
all'art. 20, comma 4, della legge n.
241/1990, stante il principio di specialità
vigente nel nostro ordinamento giuridico
(Cons. St., sez. III, 30.09.2011 n. 4294)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 19.04.2012 n. 821 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
potere comunale di adottare norme
regolamentari per il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti,
che trova la sua specifica fonte nell’art.
8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, non
può tradursi in una sostanziale previsione
di divieto generalizzato di installazione
nell’intero territorio comunale ovvero nella
previsione volta a relegare in limitate zone
dello stesso la relativa installazione.
Al contrario la potestà regolamentare
comunale deve essere esercitata in modo da
farne derivare regole ragionevoli, motivate
e certe, poste a presidio di interessi di
rilievo pubblico e di stampo urbanistico,
tenuto conto che la tutela della popolazione
dalle immissioni radioelettriche è
riservata, dall’art. 4 della legge n. 36 del
2001, allo Stato, attraverso
l’individuazione di limiti di esposizione,
di valori di attenzione e di obiettivi di
qualità.
È noto che le stazioni radio base per la
telefonia mobile, al fine di dar luogo alla
c.d. “rete di telecomunicazione”,
richiedono per definizione una capillare
distribuzione sul territorio, in particolare
laddove, com’è proprio nel caso della
telefonia mobile, alla debolezza del segnale
d’antenna si associa un rapporto di maggiore
contiguità tra le varie s.r.b. (in termini
Cons. Stato, sez. VI, 20.10.2010, n. 7588).
A ciò si correla il fatto che il potere
comunale di adottare norme regolamentari per
il corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti, che trova la
sua specifica fonte nell’art. 8, comma 6,
della legge n. 36 del 2001, non può tradursi
in una sostanziale previsione di divieto
generalizzato di installazione nell’intero
territorio comunale ovvero nella previsione
volta a relegare in limitate zone dello
stesso la relativa installazione (TAR
Toscana, sez. II; 17.02.2011, n. 335).
Al contrario la potestà regolamentare
comunale deve essere esercitata in modo da
farne derivare regole ragionevoli, motivate
e certe, poste a presidio di interessi di
rilievo pubblico e di stampo urbanistico,
tenuto conto che la tutela della popolazione
dalle immissioni radioelettriche è
riservata, dall’art. 4 della legge n. 36 del
2001, allo Stato, attraverso
l’individuazione di limiti di esposizione,
di valori di attenzione e di obiettivi di
qualità (in termini anche TAR Toscana, sez.
II, 06.07.2011, n. 1156) (TAR Toscana, Sez.
I,
sentenza 18.04.2012 n.
751 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Comune non può, mediante il
formale utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure le
quali nella sostanza costituiscono una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato.
In particolare è stato ribadito che non può
essere consentito al Comune prevedere, esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero
stabilire criteri con i quali introdurre
distanze fisse da osservare rispetto alle
abitazioni e ai luoghi destinati alla
permanenza prolungata delle persone o al
centro cittadino.
Tali disposizioni sono,
infatti, funzionali non al governo del
territorio, ma alla tutela della salute dai
rischi dell'elettromagnetismo e si
trasformano in una misura surrettizia di
tutela della popolazione da immissioni
radioelettriche, che l’art. 4 della legge n.
36/2000 riserva allo Stato attraverso
l’individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione ed
obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M.,
su proposta del Ministro dell’Ambiente di
concerto con il Ministro della Salute.
Per altro è stato ribadito che le stazioni
radio base, attesa la loro natura di opere
di urbanizzazione, possono essere installate
sull’intero territorio comunale, non
assumendo carattere ostativo le specifiche
destinazioni di zona rispetto ad impianti di
carattere generale che, quali quello di
telefonia mobile, presuppongono la
realizzazione di una rete che dia uniforme
copertura al territorio.
La questione attiene al diniego
di autorizzazione in sanatoria ex art. 13
L. 47/1985 di un impianto di telefonia mobile
istallato dalla OMNITEL su un terreno di
proprietà dell’interveniente ad adiuvandum
(giusto contratto di affitto stipulato tra
le parti) in assenza di titolo idoneo. Il
diniego, nonché gli ulteriori atti connessi
presupposti e conseguenti, sono motivati in
ragione della modifica apportata al
regolamento edilizio comunale ai sensi del
quale non possono essere autorizzati
impianti di tal fatta ad una distanza
inferiore ai mt.1000 dalle abitazioni.
Occorre quindi sindacare preliminarmente
tale aspetto della questione qui dibattuta,
sia in ordine al ricorso R.G.4991/2001 che
al ricorso R.G. 1499/2002.
...
Questa Sezione, in fattispecie analoghe alla
presente (fra le tante, 02.07.2011,
n. 194; 21.07.2006, n. 1743; 12.03.2008, n. 340;
06.04.2009, n. 661, 27.10.2010, n. 13720), ha già infatti
evidenziato come il Comune non possa,
mediante il formale utilizzo degli strumenti
di natura edilizia-urbanistica, adottare
misure le quali nella sostanza costituiscano
una deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato. In
particolare è stato ribadito che non può
essere consentito al Comune prevedere, esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero
stabilire criteri con i quali introdurre
distanze fisse da osservare rispetto alle
abitazioni e ai luoghi destinati alla
permanenza prolungata delle persone o al
centro cittadino.
Tali disposizioni sono,
infatti, funzionali non al governo del
territorio, ma alla tutela della salute dai
rischi dell'elettromagnetismo e si
trasformano in una misura surrettizia di
tutela della popolazione da immissioni
radioelettriche, che l’art. 4 della legge n.
36/2000 riserva allo Stato attraverso
l’individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione ed
obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro
dell’Ambiente di concerto con il Ministro
della Salute (in tal senso, tra le tante,
Consiglio di Stato, sez. VI, 15.06.2006,
n. 3534, C.G.A. 12.11.2009, n. 929;
TAR Sicilia, sez. II, 06.04.2009, n.
661).
Per altro è stato ribadito che le stazioni
radio base, attesa la loro natura di opere
di urbanizzazione, possono essere installate
sull’intero territorio comunale, non
assumendo carattere ostativo le specifiche
destinazioni di zona rispetto ad impianti di
carattere generale che, quali quello di
telefonia mobile, presuppongono la
realizzazione di una rete che dia uniforme
copertura al territorio (C.G.A. 14.04.2010, n. 514).
Alla stregua delle considerazioni che
precedono, le modifiche apportate al
regolamento edilizio comunale, approvato con
provvedimento regionale, non resistono alle
censure articolate nei ricorsi qui riuniti
risultando quindi illegittime. Per l’effetto
detta modifica va annullata in accoglimento
di entrambi i ricorsi. L’annullamento della
suddetta modifica al regolamento edilizio
travolge altresì il diniego opposto dal
Comune di Valederice all’istanza di
accertamento di conformità ex art. 13
l. 47/1985 (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza
13.04.2012 n.
767 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’assenza
di una regolamentazione comunale non può, di
per sé, essere di ostacolo alla
realizzazione di nuovi impianti di telefonia
mobile, che sono dalla legge considerati
opera di pubblica utilità, urbanizzazione
primaria e come tali compatibili con
qualsiasi zonizzazione.
Quanto al primo aspetto va rilevato che é
ormai consolidato in Giurisprudenza il
principio per cui l’assenza di una
regolamentazione comunale non può, di per
sé, essere di ostacolo alla realizzazione di
nuovi impianti, che sono dalla legge
considerati opera di pubblica utilità,
urbanizzazione primaria e come tali
compatibili con qualsiasi zonizzazione
(C.d.S. sez. VI n. 1767/2008; C.d.S. sez. VI
n. 9414/2010)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 02.04.2012 n. 634 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’attuale disciplina in tema di
installazione di strutture operanti quali
cc.dd. “stazioni radio–base” per telefonia
mobile, risultante dal combinato disposto
delle norme contenute nella L. n. 36 del 2001
(legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici) e nel D.Lgs. n. 259 del
2003 (c.d. “codice delle comunicazioni”),
introduce i principi secondo cui:
-
le funzioni (legislative ed amministrative)
relative alla determinazione dei limiti di
esposizione alle onde elettromagnetiche
(nonché, per quanto qui interessa, alle
tecniche di misurazione e di rilevamento
dell’inquinamento elettromagnetico e di
elaborazione dei criteri per l’adozione di
misure preventive e di piani di
risanamento), sono attribuite allo Stato; e
che sono di competenza delle Regioni le
funzioni relative alla localizzazione dei
siti di trasmissione ed alla
regolamentazione delle modalità
procedimentali per il rilascio delle
autorizzazioni; dal che deriva che le
fondamentali competenza in materia in
materia risultano suddivise fra lo Stato e
le Regioni;
-
che pertanto ai Comuni è riservata, in subjecta materia, una potestà del tutto
sussidiaria, potendo essi adottare
regolamenti finalizzati esclusivamente ad
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti,
nonché a minimizzare, sempreché in
conformità ed in attuazione alle direttive
ed ai criteri introdotti dallo Stato e dalle
Regioni, l’esposizione della popolazione ai
campi elettromagnetici (restando esclusa,
cioè, ogni potestà normativa in capo agli
Enti Locali in ordine alla determinazione di
criteri, maggiormente limitativi o rigidi,
di valutazione della soglia di inquinamento
elettromagnetico o alla introduzione di
divieti generali e/o di misure generali
interdittive a contenuto
igienico-sanitario);
-
che gli impianti di telefonia mobile vanno
qualificati come opere di pubblica utilità
assimilabili alla categoria delle opere di
urbanizzazione primaria;
-
che l'installazione di una “stazione
radio-base” va considerata quale
infrastruttura astrattamente compatibile, di
regola, con qualsiasi destinazione di zona.
---------------
Tale assetto normativo ha condotto, la
giurisprudenza amministrativa ad affermare:
- che “non può ammettersi che,
nell'esercizio della potestà volta ad
emanare norme regolamentari con valenza
urbanistico-edilizia, possa surrettiziamente
introdursi una disciplina di natura
radioprotezionistica; in tal caso, si
configurerebbe, invero, un'interferenza con
la competenza riservata allo Stato, cui
spetta di fissare i limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici, nel presupposto
indefettibile che la tutela della salute è
un'esigenza indeclinabile, ma di carattere
essenzialmente unitario sul territorio
nazionale”; e che pertanto “Il divieto
generalizzato di installare le stazioni
radio base per la telefonia cellulare in
ampie zone del territorio comunale …
(omissis) …appare perseguire palesemente il
fine di sovrapporre una determinazione di
stretta matrice cautelativa, ispirata al
principio di precauzione, alla normativa
statale che ha fissato a tal fine puntuali
limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo
tale normativa”;
- che “in materia di installazione di
stazione radio base per la telefonia
cellulare, anche il formale utilizzo degli
strumenti urbanistico-edilizi e il
dichiarato intento di esercitare competenze
in materia di governo del territorio non
possono giustificare l'imposizione da parte
di un Comune di misure che, attraverso
divieti generalizzati di installazione delle
stazioni radio base, di fatto vengono a
costituire indiretta deroga ai limiti di
esposizione alle onde elettromagnetiche
indicati dalla normativa statale, con la
precisazione che l'autorizzazione rilasciata
ex art. 87 d.lgs. 01.08.2003, n. 259, non
costituisce titolo abilitativo aggiuntivo
rispetto a quello richiesto dalla disciplina
urbanistico-edilizia, ma assorbe in sé e
sintetizza ogni relativa valutazione”;
- che “in materia di emissioni
elettromagnetiche, le norme di riferimento
sono la legge quadro n. 36 del 2001 ed il
d.lgs. 01.08.2003 n. 259 … (…) …”; e che “…
il Comune non è legittimato a sovrapporre le
proprie valutazioni in ordine alla
fissazione dei limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici, una volta che sia
stato rilasciato il parere del PMP
competente per zona e prodotto in atti”;
- che “l'installazione di una stazione radio
base di telefonia cellulare è subordinata
soltanto all'autorizzazione prevista
dall'art. 87, t.u. 01.08.2003 n. 259 (codice
delle comunicazioni elettroniche), non
occorrendo all'uopo il permesso di costruire
di cui all'art. 3, lett. e), t.u. 06.06.2001
n. 380";
- che “l'installazione di un impianto radio
base é sottratto alla normativa edilizia ed
ai provvedimenti a tutela della salute
pubblica”; e che “per la realizzazione degli
impianti di stazione radio base si devono
applicare i criteri stabiliti dal d.lgs. n.
259 del 2003 in base ai quali gli impianti
di telefonia mobile vanno qualificati come
opere di pubblica utilità assimilabili alla
categoria delle opere di urbanizzazione
primaria compatibili in astratto con ogni
tipo di zonizzazione e, come tali, non si
prevede per essi il titolo edilizio, né è
possibile un interevento del Sindaco a
tutela della salute pubblica, ove non si
deduca il rispetto dei limiti di emissione
di legge”;
- che “è illegittimo il regolamento comunale
che prevede l'esclusione da tutto il
territorio comunale urbanizzato di qualsiasi
impianto di telefonia mobile, radioelettrico
e per radiodiffusione, dato che
l'installazione di una stazione radio base
va considerata quale infrastruttura,
compatibile con qualsiasi destinazione di
zona”;
- che “è illegittimo, poiché opera una non
consentita applicazione analogica di una
normativa dettata per gli edifici alle
stazioni radio, il provvedimento comunale di
diniego di una concessione edilizia in
sanatoria per una stazione radio base (Srb)
per la telefonia mobile, fondato sul
contrasto tra l'impianto ed il limite di
altezza degli edifici prescritto per il
centro abitato, non potendosi equiparare
costruzioni (che sviluppano volumetria o
cubatura, ingombri visibili ecc.) ed
impianti tecnologici”;
- che “è illegittimo il diniego di
concessione edilizia per la costruzione di
una stazione radio per telefonia mobile, che
sia motivato esclusivamente in riferimento
al contrasto col regolamento, comunale per
l'installazione di impianti radiomobili, in
quanto che a detto regolamento non può
riconoscersi valenza di strumento
urbanistico”;
- che “il titolo abilitativo alla
realizzazione di una stazione radio base può
essere negato esclusivamente con riguardo ad
una specifica disciplina conformativa
relativa alle reti infrastrutturali
tecnologiche necessarie per il funzionamento
del servizio pubblico di telefonia”; e che
“pertanto, è illegittimo il diniego di
concessione edilizia per superamento dei
limiti di altezza dettati con riferimento a
strutture e manufatti di rilievo urbanistico
ed edilizio”;
- che “ai sensi dell'art. 231, comma 4, T.U.
29.03.1973 n. 156, l'installazione di una
stazione radio base del servizio di
telefonia mobile deve essere qualificata
come opera di urbanizzazione primaria,
attesa la funzione di pubblica utilità
dell'opera e, in quanto tale, ubicabile in
qualsiasi parte del territorio comunale”;
- che “ai sensi dell'art. 4, comma 7, L.
reg. Lombardia 11.05.2001 n. 11, gli
impianti radio-base di telefonia mobile di
potenza totale non superiore a 300 Watt non
richiedono specifica regolamentazione
urbanistica, con conseguente illegittimità
delle disposizioni pianificatorie comunali
che introducano in termini assoluti divieti
di installazione per tali impianti, anche
solo su porzioni del territorio comunale”;
- che “in tema di installazione di impianti
di telefonia mobile, nella Regione Friuli
Venezia Giulia la L. reg. 06.12.2004 n. 28
consente, a regime, l'installazione di tali
impianti nelle zone residenziali, mentre
l'art. 15 della stessa legge fissa in via
transitoria i parametri ai quali soltanto si
devono attenere i Comuni in attesa dei piani
di settore”; e che “pertanto,
l'Amministrazione non può erigere contro la
domanda di concessione edilizia per la
realizzazione di una stazione radio base per
la telefonia mobile la barriera di un
divieto nascente da una norma tecnica di
attuazione del piano regolatore comunale,
che per tali categorie di impianti impone
una determinata distanza minima (nella
specie, 200 metri) dagli edifici
residenziali esistenti, trattandosi di
disposizione desueta e incompatibile con la
legge sopravvenuta e, in ogni caso,
illegittima ove integri un divieto
generalizzato di installazione di impianti
di telefonia mobile in ingenti porzioni del
territorio comunale”.
---------------
E' illegittima la norma regolamentare che
impone la distanza minima tra l’impianto di
telefonia cellulare e gli edifici pubblici.
Invero, delle due l’una:
- o la disposizione ha come fine la tutela
della salute pubblica, ed allora la sua
inutilità ed ingiustizia è palese, posto che
la stessa finirebbe con il salvaguardare
esclusivamente i fruitori degli uffici
pubblici ed i diretti vicini;
- o la disposizione è stata considerata (dal
Comune) alla stregua di una norma di natura
urbanistica; ed allora ne sfuggono il senso
e la ratio, posto che con essa non si tutela
alcuno degli interessi (decoro urbano,
rispetto del carico urbanistico, rispetto
degli indici di edificabilità; rispetto
delle destinazioni d’uso, rispetto delle
zonizzazioni etc.) alla cui cura si dirige
l’urbanistica.
L’attuale disciplina in tema di
installazione di strutture operanti quali
cc.dd. “stazioni radio–base” per telefonia
mobile, risultante dal combinato disposto
delle norme contenute nella L. n. 36 del 2001
(legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici) e nel D.Lgs. n. 259 del
2003 (c.d. “codice delle comunicazioni”),
introduce i principi secondo cui:
-
le funzioni (legislative ed amministrative)
relative alla determinazione dei limiti di
esposizione alle onde elettromagnetiche
(nonché, per quanto qui interessa, alle
tecniche di misurazione e di rilevamento
dell’inquinamento elettromagnetico e di
elaborazione dei criteri per l’adozione di
misure preventive e di piani di
risanamento), sono attribuite allo Stato; e
che sono di competenza delle Regioni le
funzioni relative alla localizzazione dei
siti di trasmissione ed alla
regolamentazione delle modalità
procedimentali per il rilascio delle
autorizzazioni; dal che deriva che le
fondamentali competenza in materia in
materia risultano suddivise fra lo Stato e
le Regioni;
-
che pertanto ai Comuni è riservata, in subjecta materia, una potestà del tutto
sussidiaria, potendo essi adottare
regolamenti finalizzati esclusivamente ad
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti,
nonché a minimizzare, sempreché in
conformità ed in attuazione alle direttive
ed ai criteri introdotti dallo Stato e dalle
Regioni, l’esposizione della popolazione ai
campi elettromagnetici (restando esclusa,
cioè, ogni potestà normativa in capo agli
Enti Locali in ordine alla determinazione di
criteri, maggiormente limitativi o rigidi,
di valutazione della soglia di inquinamento
elettromagnetico o alla introduzione di
divieti generali e/o di misure generali
interdittive a contenuto
igienico-sanitario);
-
che gli impianti di telefonia mobile vanno
qualificati come opere di pubblica utilità
assimilabili alla categoria delle opere di
urbanizzazione primaria;
-
che l'installazione di una “stazione
radio-base” va considerata quale
infrastruttura astrattamente compatibile, di
regola, con qualsiasi destinazione di zona.
Tale assetto normativo ha condotto, la
giurisprudenza amministrativa ad affermare:
-
che “non può ammettersi che, nell'esercizio
della potestà volta ad emanare norme
regolamentari con valenza urbanistico-edilizia, possa surrettiziamente introdursi
una disciplina di natura radioprotezionistica; in tal caso, si
configurerebbe, invero, un'interferenza con
la competenza riservata allo Stato, cui
spetta di fissare i limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici, nel presupposto
indefettibile che la tutela della salute è
un'esigenza indeclinabile, ma di carattere
essenzialmente unitario sul territorio
nazionale”; e che pertanto “Il divieto
generalizzato di installare le stazioni
radio base per la telefonia cellulare in
ampie zone del territorio comunale …
(omissis) …appare perseguire palesemente il
fine di sovrapporre una determinazione di
stretta matrice cautelativa, ispirata al
principio di precauzione, alla normativa
statale che ha fissato a tal fine puntuali
limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo
tale normativa” (TAR Trentino Alto Adige
Trento, I, 11.06.2010, n. 160);
-
che “in materia di installazione di stazione
radio base per la telefonia cellulare, anche
il formale utilizzo degli strumenti urbanistico-edilizi e il dichiarato intento
di esercitare competenze in materia di
governo del territorio non possono
giustificare l'imposizione da parte di un
Comune di misure che, attraverso divieti
generalizzati di installazione delle
stazioni radio base, di fatto vengono a
costituire indiretta deroga ai limiti di
esposizione alle onde elettromagnetiche
indicati dalla normativa statale, con la
precisazione che l'autorizzazione rilasciata
ex art. 87 d.lgs. 01.08.2003, n. 259, non
costituisce titolo abilitativo aggiuntivo
rispetto a quello richiesto dalla disciplina urbanistico-edilizia, ma assorbe in sé e
sintetizza ogni relativa valutazione” (C.S., VI,
03.06.2010 n. 3492);
-
che “in materia di emissioni
elettromagnetiche, le norme di riferimento
sono la legge quadro n. 36 del 2001 ed il d.lgs.
01.08.2003 n. 259 … (…) …”; e che “…
il Comune non è legittimato a sovrapporre le
proprie valutazioni in ordine alla
fissazione dei limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici, una volta che sia
stato rilasciato il parere del PMP
competente per zona e prodotto in atti”
(TAR Calabria Catanzaro, II, 06.03.2008,
n. 269);
-
che “l'installazione di una stazione radio
base di telefonia cellulare è subordinata
soltanto all'autorizzazione prevista
dall'art. 87, t.u. 01.08.2003 n. 259
(codice delle comunicazioni elettroniche),
non occorrendo all'uopo il permesso di
costruire di cui all'art. 3, lett. e), t.u.
06.06.2001 n. 380” (TAR Lombardia,
Milano, II, 07.09.2007, n. 5772);
-
che “l'installazione di un impianto radio
base é sottratto alla normativa edilizia ed
ai provvedimenti a tutela della salute
pubblica”; e che “per la realizzazione degli
impianti di stazione radio base si devono
applicare i criteri stabiliti dal d.lgs. n.
259 del 2003 in base ai quali gli impianti
di telefonia mobile vanno qualificati come
opere di pubblica utilità assimilabili alla
categoria delle opere di urbanizzazione
primaria compatibili in astratto con ogni
tipo di zonizzazione e, come tali, non si
prevede per essi il titolo edilizio, né è
possibile un interevento del Sindaco a
tutela della salute pubblica, ove non si
deduca il rispetto dei limiti di emissione
di legge” (TAR Sicilia Catania, II,
01.08.2007, n. 1337);
-
che “è illegittimo il regolamento comunale
che prevede l'esclusione da tutto il
territorio comunale urbanizzato di qualsiasi
impianto di telefonia mobile, radioelettrico
e per radiodiffusione, dato che
l'installazione di una stazione radio base
va considerata quale infrastruttura,
compatibile con qualsiasi destinazione di
zona” (TAR Calabria Catanzaro, II,
17.04.2007, n. 330);
-
che “è illegittimo, poiché opera una non
consentita applicazione analogica di una
normativa dettata per gli edifici alle
stazioni radio, il provvedimento comunale di
diniego di una concessione edilizia in
sanatoria per una stazione radio base (Srb)
per la telefonia mobile, fondato sul
contrasto tra l'impianto ed il limite di
altezza degli edifici prescritto per il
centro abitato, non potendosi equiparare
costruzioni (che sviluppano volumetria o
cubatura, ingombri visibili ecc.) ed
impianti tecnologici” (CS, VI, 07.06.2006,
n. 3425);
-
che “è illegittimo il diniego di concessione
edilizia per la costruzione di una stazione
radio per telefonia mobile, che sia motivato
esclusivamente in riferimento al contrasto
col regolamento, comunale per
l'installazione di impianti radiomobili, in
quanto che a detto regolamento non può
riconoscersi valenza di strumento
urbanistico” (TAR Piemonte, I, 18.05.2500
n. 1700; Cfr. conformi, tra le tante, TAR
Milano, I, 02.10.2002 n. 1997; C.S., VI 02.10.2001 n. 5442);
-
che “il titolo abilitativo alla
realizzazione di una stazione radio base può
essere negato esclusivamente con riguardo ad
una specifica disciplina conformativa
relativa alle reti infrastrutturali
tecnologiche necessarie per il funzionamento
del servizio pubblico di telefonia”; e
che “pertanto, è illegittimo il diniego
di concessione edilizia per superamento dei
limiti di altezza dettati con riferimento a
strutture e manufatti di rilievo urbanistico
ed edilizio” (TAR Milano, 18.01.2005 n. 71);
-
che “ai sensi dell'art. 231, comma 4, T.U. 29.03.1973 n. 156, l'installazione di una
stazione radio base del servizio di
telefonia mobile deve essere qualificata
come opera di urbanizzazione primaria,
attesa la funzione di pubblica utilità
dell'opera e, in quanto tale, ubicabile in
qualsiasi parte del territorio comunale”
(TAR Salerno, Sez. Unica, 16.09.2003 n. 885);
-
che “ai sensi dell'art. 4, comma 7, L. reg.
Lombardia 11.05.2001 n. 11, gli impianti radio-base di telefonia mobile di potenza
totale non superiore a 300 Watt non
richiedono specifica regolamentazione
urbanistica, con conseguente illegittimità
delle disposizioni pianificatorie comunali
che introducano in termini assoluti divieti
di installazione per tali impianti, anche
solo su porzioni del territorio comunale”
(TAR Milano, IV, 11.06.2008 n. 1971);
-
che “in tema di installazione di impianti di
telefonia mobile, nella Regione Friuli
Venezia Giulia la L. reg. 06.12.2004 n.
28 consente, a regime, l'installazione di
tali impianti nelle zone residenziali,
mentre l'art. 15 della stessa legge fissa in
via transitoria i parametri ai quali
soltanto si devono attenere i Comuni in
attesa dei piani di settore”; e che
“pertanto, l'Amministrazione non può erigere
contro la domanda di concessione edilizia
per la realizzazione di una stazione radio
base per la telefonia mobile la barriera di
un divieto nascente da una norma tecnica di
attuazione del piano regolatore comunale,
che per tali categorie di impianti impone
una determinata distanza minima (nella
specie, 200 metri) dagli edifici
residenziali esistenti, trattandosi di
disposizione desueta e incompatibile con la
legge sopravvenuta e, in ogni caso,
illegittima ove integri un divieto
generalizzato di installazione di impianti
di telefonia mobile in ingenti porzioni del
territorio comunale” (TAR Friuli Venezia
Giulia, 08.03.2007 n. 173).
Orbene, nella fattispecie dedotta in
giudizio con il Regolamento di polizia
urbana -impugnato in parte qua- il Comune
resistente ha introdotto un divieto
generalizzato all’installazione di “stazioni
radio-base”, sulla base di un criterio (a
contenuto limitativo) ben più rigido di
quelli stabiliti dalle competenti Autorità
statali e regionali, e senza alcuna palesata
(o comunque apprezzabile) ragione di
carattere urbanistico.
E così operando ha agito con evidente
“straripamento di potere”: sia dal potere
regolamentare ad Esso spettante in forza del
TU sull’edilizia (DPR 06.06.2001 n. 380); sia
dal potere regolamentare ad Esso devoluto
dall’art. 8 della L. n. 36 del 2001 (c.d.
“legge quadro in materia di protezione dalle
esposizione ai campi elettromagnetici”).
E’ infatti evidente che nell’esercizio di
entrambi i succitati poteri regolamentari,
il Comune deve conformarsi alla disciplina
di settore imposta dalle fonti normative di
rango superiore.
---------------
Meritevole
di accoglimento, si appalesa anche il terzo
motivo di gravame, con cui la ricorrente
società lamenta eccesso di potere per
sviamento dall’interesse pubblico, deducendo
che “la norma regolamentare che impone la
distanza minima tra l’impianto di telefonia
cellulare e gli edifici pubblici, non trova
alcuna giustificazione non comprendendosi
quale sia il bene meritevole della tutela e
nemmeno la tutela che si vuole realizzare”.
La doglianza merita di essere condivisa.
Ed invero, delle due l’una:
-
o la disposizione ha come fine la tutela
della salute pubblica, ed allora la sua
inutilità ed ingiustizia è palese, posto che
la stessa finirebbe con il salvaguardare
esclusivamente i fruitori degli uffici
pubblici ed i diretti vicini;
-
o la disposizione è stata considerata (dal
Comune) alla stregua di una norma di natura
urbanistica; ed allora ne sfuggono il senso
e la ratio, posto che con essa non si tutela
alcuno degli interessi (decoro urbano,
rispetto del carico urbanistico, rispetto
degli indici di edificabilità; rispetto
delle destinazioni d’uso, rispetto delle
zonizzazioni etc.) alla cui cura si dirige
l’urbanistica
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 27.03.2012 n. 622 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell'art.
8, comma 6, L. 22.02.2001 n. 36, pur se
i Comuni possono adottare un regolamento
atto ad assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici, tuttavia, ciò non
implica la fissazione di limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici
diversi da quelli stabiliti dallo Stato, non
rientrando tale potere nelle competenze
comunali; pertanto, il Comune, mediante il
formale utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, non può adottare
misure derogatorie ai predetti limiti di
esposizione fissati dallo Stato, quali il
generalizzato divieto di installazione delle
stazioni radiobase per telefonia cellulare
in tutte le zone territoriali omogenee a
destinazione residenziale ovvero introdurre
misure che, pur essendo tipicamente
urbanistiche (distanze, altezze, etc.), non
siano funzionali al governo del territorio,
ma alla tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo.
... per l'annullamento del provvedimento del
Dirigente del Settore Sportello per
l'Edilizia Centro Storico ed Isole del
Comune di Venezia 19/12/2011 prot. n.
527063, con cui si ordina a Vodafone di non
effettuare l'intervento di cui alla D.I.A.
presentata in data 29/09/2011 e si dichiara improcedibile la domanda di autorizzazione
paesaggistica presentata contestualmente,
nonché della istruttoria in data 07/12/2011,
non conosciuta e dell'art. 50 del
Regolamento Edilizio Comunale, di cui alla
Variante al P.R.G., adottata con
deliberazione di Consiglio Comunale
13/10/2003 n. 158, modificata ed integrata
con delibera di Consiglio Comunale 13/06/2006
n. 83 e approvata con deliberazione della
Giunta Regionale del Veneto 28/07/2009 n.
2311 nonché delle deliberazioni medesime,
nella parte in cui vieta la installazione
delle S.R.B. nella fascia di rispetto dei
c.d. siti sensibili.
...
Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Infatti, l’art. 50 del regolamento edilizio
del Comune di Venezia, posto a fondamento
del provvedimento di diffida impugnato, deve
essere ritenuto illegittimo per le seguenti
ragioni.
- La legge 22.02.2001 n. 36, in
materia di protezione dalle esposizioni ai
campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici, all’art. 4, stabilisce che
sono riservate allo Stato “le funzioni
relative alla determinazione dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità…in considerazione
del preminente interesse nazionale alla
definizione di criteri unitari e di
normative omogenee in relazione alle
finalità di cui all’art. 1”. Tali limiti,
valori e obiettivi sono stati posti con il D.P.C.M.
08.07.2003, sulla base del
criterio dei limiti di immissione delle
irradiazioni nei luoghi particolarmente
protetti. Viceversa, l’art. 8 della legge n.
36/2001, stabilisce le competenze in materia
delle Regioni, cui spetta determinare i
criteri localizzativi degli impianti di
telefonia, e dei Comuni (comma 6), i quali
“possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici”.
- La circolare regionale n. 12 del 12.07.2001 nel fissare i criteri e gli indirizzi
ai quali il regolamento comunale si dovrà
attenere nel dare applicazione all’art. 8,
comma 6, della legge n. 36 del 2001, ha
stabilito che il regolamento comunale,
mentre “potrà definire i siti sensibili
(scuole, asili, ospedali, case di cura,
parchi e aree per il gioco e lo sport), in
corrispondenza dei quali può essere esclusa
l’installazione d’impianti di
telecomunicazione”, “in nessun caso potrà
prevedere deroghe ai parametri del D.M. n.
381/1998 perché i limiti di tutela sanitaria
sono di competenza dello Stato (art. 4 comma
2, della legge quadro)”, quindi non è
consentito imporre delle distanze di
rispetto predeterminate che gli impianti
devono osservare”. Pertanto, la circolare
regionale, da una parte vieta la
localizzazione degli impianti di telefonia
in corrispondenza dei siti sensibili,
dall’altro, preclude al Comune l’adozione
del criterio distanziale.
- Da tale quadro normativo si evince che non
spetta ai Comuni la competenza a stabilire
criteri, volti a proteggere la salute dei
cittadini dall’esposizione ai campi
elettromagnetici, diversi da quelli
stabiliti dallo Stato.
- Sul punto si è più volte pronunciato anche
il Coniglio di Stato: si veda tra le ultime,
la sentenza n. 2371 del 27.04.2010, VI
sez., secondo la quale: “ai sensi dell'art.
8, comma 6, L. 22.02.2001 n. 36, pur se
i Comuni possono adottare un regolamento
atto ad assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici, tuttavia, ciò non
implica la fissazione di limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici
diversi da quelli stabiliti dallo Stato, non
rientrando tale potere nelle competenze
comunali; pertanto, il Comune, mediante il
formale utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, non può adottare
misure derogatorie ai predetti limiti di
esposizione fissati dallo Stato, quali il
generalizzato divieto di installazione delle
stazioni radiobase per telefonia cellulare
in tutte le zone territoriali omogenee a
destinazione residenziale ovvero introdurre
misure che, pur essendo tipicamente
urbanistiche (distanze, altezze, etc.), non
siano funzionali al governo del territorio,
ma alla tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo".
- Nel caso di specie, la disposizione
impugnata, avendo l’effetto di sovrapporre
una determinazione cautelativa, ispirata al
principio di precauzione, alla normativa
statale che ha fissato i limiti di
radiofrequenza, deve essere ritenuta
illegittima, sia per violazione della legge
36/2001 e del DPCM 08.07.2003, sia per
eccesso di potere per violazione della
circolare citata, e deve, pertanto essere
annullata.
- Segue, per invalidità derivata,
l’annullamento del provvedimento impugnato
di diffida a non effettuare l’intervento di
cui alla DIA, non trovandosi, peraltro,
l’impianto in questione, in corrispondenza
di un sito sensibile (il che sarebbe vietato
dalla circolare regionale e dal regolamento
edilizio comunale), bensì a distanza di
esso
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza
14.03.2012 n.
377 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Deve
ritenersi illegittimo un regolamento comunale che
stabilisce in quali zone del territorio
possono essere installati gli impianti radio
base di telefonia cellulare e quali distanze
devono avere dalle abitazioni o dalle aree
sensibili. I comuni possono solo
regolamentare le installazioni delle
stazioni radio base sotto il profilo
urbanistico e territoriale, non potendo
neppure regolamentare l'individuazione dei
siti idonei all'installazione. I comuni
possono esercitare in materia una potestà
regolamentare del tutto sussidiaria, che
concerne esclusivamente i profili
urbanistici e territoriali (con esclusione
dell'individuazione dei siti) e l'eventuale
indicazione di ulteriori, particolari
accorgimenti edilizi che possano utilmente
concorrere alla minimizzazione
dell'esposizione.
A norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259
del 2003, relativo alla localizzazione di
infrastrutture di telecomunicazioni, è
possibile prescindere dalla destinazione
urbanistica del sito individuato per la loro
installazione in quanto le infrastrutture di
reti pubbliche di comunicazione, di cui agli
art. 87 e 88, sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.P.R.
06.06.2001 n. 380. Ne deriva che, anche alla
luce dell'art. 4, comma 7, l. reg. n. 11 del
2001 gli impianti radiobase di telefonia
mobile di potenza totale non superore a 300
watt non richiedono specifica
regolamentazione urbanistica, per cui sono
illegittime le disposizioni pianificatorie
comunali che introducono in termini assoluti
divieti di installazione per simili
impianti, anche solo su porzioni del
territorio comunale.
La giurisprudenza è ormai da tempo costante nell’affermare
l’inammissibilità della possibilità di
introdurre divieti generalizzati di
collocazioni delle SRB sul territorio
comunale. Deve ritenersi, infatti, “illegittimo un regolamento comunale che
stabilisce in quali zone del territorio
possono essere installati gli impianti radio
base di telefonia cellulare e quali distanze
devono avere dalle abitazioni o dalle aree
sensibili. I comuni possono solo
regolamentare le installazioni delle
stazioni radio base sotto il profilo
urbanistico e territoriale, non potendo
neppure regolamentare l'individuazione dei
siti idonei all'installazione. I comuni
possono esercitare in materia una potestà
regolamentare del tutto sussidiaria, che
concerne esclusivamente i profili
urbanistici e territoriali (con esclusione
dell'individuazione dei siti) e l'eventuale
indicazione di ulteriori, particolari
accorgimenti edilizi che possano utilmente
concorrere alla minimizzazione
dell'esposizione” (così TAR Sicilia
Catania, sez. III, 29.01.2002, n. 140,
successivamente ripresa da TAR Calabria
Catanzaro, sez. II, 05.12.2006, n.
1573, di analogo contenuto).
Ne discende l’illegittimità del
provvedimento di diffida impugnato che trova
il fondamento, almeno in parte,
nell’esistenza di un provvedimento di
localizzazione degli impianti in questione.
Si deve ritenere, infatti, che sia preclusa
la possibilità per il Comune di introdurre,
di fatto, tutele ulteriori rispetto a quelle
già garantite attraverso la corretta
applicazione della norma, non solo
prevedendo la collocazione degli impianti
all’esterno del centro abitato, ma anche
escludendo ogni collocazione di impianti in
intere aree come la “Zona A” (in tal senso
TAR Brescia, sentenza n. 898/2011) ed in
particolare applicando anche in relazione ad
impianti di potenza inferiore a 300 Watt il
limite, previsto solo per quelli di potenza
superiore, della possibilità della loro
realizzazione solo in siti specificamente
individuati.
Il ricorso appare altresì fondato nella
parte in cui tende a far discendere
l’illegittimità dei provvedimenti impugnati
dalla pretesa incompatibilità urbanistica,
secondo il principio sinteticamente e
puntualmente ricordato nella sentenza del
TAR Milano, I, 13.01.2010, n. 23, nella
quale si legge che: “A norma dell'art. 86,
comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003, relativo alla
localizzazione di infrastrutture di
telecomunicazioni, è possibile prescindere
dalla destinazione urbanistica del sito
individuato per la loro installazione in
quanto le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazione, di cui agli art. 87 e 88,
sono assimilate ad ogni effetto alle opere
di urbanizzazione primaria di cui all'art.
16, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380. Ne
deriva che, anche alla luce dell'art. 4,
comma 7, l. reg. n. 11 del 2001 gli impianti radiobase di telefonia mobile di potenza
totale non superore a 300 watt non
richiedono specifica regolamentazione
urbanistica, per cui sono illegittime le
disposizioni pianificatorie comunali che
introducono in termini assoluti divieti di
installazione per simili impianti, anche
solo su porzioni del territorio comunale”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.03.2012 n. 351 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003, relativo alla
localizzazione di infrastrutture di
telecomunicazioni, è possibile prescindere
dalla destinazione urbanistica del sito
individuato per la loro installazione in
quanto le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazione, di cui agli art. 87 e 88,
sono assimilate ad ogni effetto alle opere
di urbanizzazione primaria di cui all'art.
16, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380. Ne
deriva che, anche alla luce dell'art. 4,
comma 7, l. reg. n. 11 del 2001 gli impianti radiobase di telefonia mobile di potenza
totale non superore a 300 watt non
richiedono specifica regolamentazione
urbanistica, per cui sono illegittime le
disposizioni pianificatorie comunali che
introducono in termini assoluti divieti di
installazione per simili impianti, anche
solo su porzioni del territorio comunale.
Con riferimento alla dedotta questione della compatibilità
urbanistica degli impianti di telefonia di
potenza inferiore a 300 W, l’orientamento
ormai consolidato della giurisprudenza è ben
rappresentato nella sentenza del TAR Milano,
I, 13.01.2010, n. 23, nella quale si
legge che: “A norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003, relativo alla
localizzazione di infrastrutture di
telecomunicazioni, è possibile prescindere
dalla destinazione urbanistica del sito
individuato per la loro installazione in
quanto le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazione, di cui agli art. 87 e 88,
sono assimilate ad ogni effetto alle opere
di urbanizzazione primaria di cui all'art.
16, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380. Ne
deriva che, anche alla luce dell'art. 4,
comma 7, l. reg. n. 11 del 2001 gli impianti radiobase di telefonia mobile di potenza
totale non superore a 300 watt non
richiedono specifica regolamentazione
urbanistica, per cui sono illegittime le
disposizioni pianificatorie comunali che
introducono in termini assoluti divieti di
installazione per simili impianti, anche
solo su porzioni del territorio comunale”.
Lo stesso è stato da tempo fatto proprio
anche da questo Tribunale (da ultimo con la
sentenza TAR Brescia, 13.06.2011, n.
898), che, quindi, ravvisa le condizioni per
l’accoglimento del ricorso e il conseguente
annullamento dell’impugnato diniego e
dell’art. 22 delle N.T.A. nella misura in
cui allo stesso è stato attribuito un
significato preclusivo della collocazione di
impianti di telefonia mobile nella zona
urbanistica in questione.
Le previsioni contenute nel PRG del Comune
di Ceto non possono, quindi, considerarsi
ostative all’installazione di detti impianti
in zona D
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.03.2012 n. 350 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
L.r. 11/2001
stabilisce (art. 4, comma 7) che
gli impianti radiobase per la telefonia
mobile di potenza totale ai connettori di
antenna non superiore a 300 W non richiedono
una specifica regolamentazione urbanistica,
in ragione delle caratteristiche tecniche e
della natura di pubblico servizio
dell'attività svolta i quali consentono una
diffusione capillare delle stazioni
impiegate a tale scopo: sulla base di tale
premessa … il Collegio ha più volte
evidenziato in sede cautelare che
l'installazione di impianti radiobase per la
telefonia mobile di potenza totale ai
connettori di antenna non superiore a 300 W
deve ritenersi consentita, in difetto di
espressi divieti, su tutto il territorio
comunale, senza che sia necessaria
l'individuazione preventiva da parte
dell'amministrazione locale di aree da
destinarsi all'ubicazione di detti impianti.
Tali impianti sono compatibili
anche con le aree di particolare tutela così
come previsto dalla deliberazione della
Giunta Regionale 11/12/2001 n. 7/7351,
recante i criteri per l'individuazione delle
aree nelle quali è consentita
l'installazione degli impianti per le
telecomunicazioni e la radiotelevisione e
per l'installazione dei medesimi, ai sensi
dell'art. 4, comma 2, della L.r. 11/2001.
Il servizio
di telefonia mobile deve essere considerato
un servizio pubblico già ai sensi
dell’allora vigente art. 2, comma 1, del
D.P.R. 19/09/1997 n. 318, a tenore del quale
“L'installazione, l'esercizio e la fornitura
di reti di telecomunicazioni nonché la
prestazione dei servizi ad esse relativi
accessibili al pubblico sono attività di
preminente interesse generale”, mentre
analoga natura rivestono i relativi impianti
trattandosi di infrastrutture gestite da
soggetti privati con criteri
imprenditoriali, per cui la loro corretta
qualificazione è di opere private di
pubblica utilità.
Già in passato la giurisprudenza aveva
ritenuto che, in assenza di una specifica
previsione urbanistica, la collocazione
degli impianti di telefonia mobile deve
ritenersi consentita sull'intero territorio
comunale, non assumendo carattere ostativo
le specifiche destinazioni di zona
(residenziale, verde, agricola, etc.)
rispetto ad infrastrutture di interesse
generale che presuppongono la realizzazione
di una rete che dia uniforme copertura al
territorio, in quanto la loro localizzazione
nelle sole zone in cui ciò è espressamente
consentito si porrebbe in contrasto proprio
con l'esigenza di permettere la copertura
del servizio sull'intero territorio.
A tale orientamento ha aderito anche
questa Sezione, la quale ha richiamato
l'art. 231 del D.P.R. 29.3.1973 n. 156 per
qualificare un impianto come quello in
questione come opera di urbanizzazione
primaria, in quanto tale ubicabile in
qualsiasi parte del territorio comunale: seguendo tale
ragionamento il Collegio aveva infatti
concluso che “… la localizzazione di
impianti come quello considerato è possibile
in qualsiasi zona omogenea, atteso che
senz'altro quello in questione deve
qualificarsi come attrezzatura tecnologica
per le telecomunicazioni, funzionale
all'esercizio di un servizio pubblico”.
Esaminando infine il contenuto del vigente D.Lgs. 259/2003 –non in vigore all'epoca
dell’adozione degli atti impugnati ma che ha
una portata parzialmente ricognitiva delle
precedenti elaborazioni giurisprudenziali–
non si può fare a meno di sottolineare che
l’art. 86, comma 3, assimila ad ogni effetto
le infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'art. 16, comma 7, del
D.P.R. 06/06/2001 n. 380, rendendole senza
ombra di dubbio compatibili con ogni tipo di
zonizzazione anche in deroga a contrastanti
statuizioni della normativa urbanistica
locale.
Sotto un diverso profilo si può richiamare il contenuto della sentenza
del TAR Brescia 03/12/2004 n. 1757, per
cui “… la L.r. 11/2001 –in virtù della
quale l’amministrazione ha emesso il
provvedimento autorizzatorio confermativo–
stabilisce anzitutto (art. 4, comma 7) che
gli impianti radiobase per la telefonia
mobile di potenza totale ai connettori di
antenna non superiore a 300 W non richiedono
una specifica regolamentazione urbanistica,
in ragione delle caratteristiche tecniche e
della natura di pubblico servizio
dell'attività svolta i quali consentono una
diffusione capillare delle stazioni
impiegate a tale scopo: sulla base di tale
premessa … il Collegio ha più volte
evidenziato in sede cautelare che
l'installazione di impianti radiobase per la
telefonia mobile di potenza totale ai
connettori di antenna non superiore a 300 W
deve ritenersi consentita, in difetto di
espressi divieti, su tutto il territorio
comunale, senza che sia necessaria
l'individuazione preventiva da parte
dell'amministrazione locale di aree da
destinarsi all'ubicazione di detti impianti
(cfr. ordinanze conformi della Sezione n.
169 in data 30/01/2004, n. 561 in data 08/04/2004 e n. 1271 in data 23/07/2004).
Peraltro, tali impianti sono compatibili
anche con le aree di particolare tutela così
come previsto dalla deliberazione della
Giunta Regionale 11/12/2001 n. 7/7351,
recante i criteri per l'individuazione delle
aree nelle quali è consentita
l'installazione degli impianti per le
telecomunicazioni e la radiotelevisione e
per l'installazione dei medesimi, ai sensi
dell'art. 4, comma 2, della L.r. 11/2001.
Osserva inoltre il Collegio che il servizio
di telefonia mobile deve essere considerato
un servizio pubblico già ai sensi
dell’allora vigente art. 2, comma 1, del
D.P.R. 19/09/1997 n. 318, a tenore del quale
“L'installazione, l'esercizio e la fornitura
di reti di telecomunicazioni nonché la
prestazione dei servizi ad esse relativi
accessibili al pubblico sono attività di
preminente interesse generale”, mentre
analoga natura rivestono i relativi impianti
trattandosi di infrastrutture gestite da
soggetti privati con criteri
imprenditoriali, per cui la loro corretta
qualificazione è di opere private di
pubblica utilità (cfr. Consiglio di Stato,
sez. VI – 26/08/2003 n. 4847).
Già in passato
la giurisprudenza aveva ritenuto che, in
assenza di una specifica previsione
urbanistica, la collocazione degli impianti
di telefonia mobile deve ritenersi
consentita sull'intero territorio comunale,
non assumendo carattere ostativo le
specifiche destinazioni di zona
(residenziale, verde, agricola, etc.)
rispetto ad infrastrutture di interesse
generale che presuppongono la realizzazione
di una rete che dia uniforme copertura al
territorio, in quanto la loro localizzazione
nelle sole zone in cui ciò è espressamente
consentito si porrebbe in contrasto proprio
con l'esigenza di permettere la copertura
del servizio sull'intero territorio
(Consiglio di Stato, sez. VI – 10/02/2003 n.
673).
A tale orientamento ha aderito anche
questa Sezione, la quale ha richiamato
l'art. 231 del D.P.R. 29.3.1973 n. 156 per
qualificare un impianto come quello in
questione come opera di urbanizzazione
primaria, in quanto tale ubicabile in
qualsiasi parte del territorio comunale
(sentenza 18/09/2002 n. 1177): seguendo tale
ragionamento il Collegio aveva infatti
concluso che “… la localizzazione di
impianti come quello considerato è possibile
in qualsiasi zona omogenea, atteso che
senz'altro quello in questione deve
qualificarsi come attrezzatura tecnologica
per le telecomunicazioni, funzionale
all'esercizio di un servizio pubblico”.
Esaminando infine il contenuto del vigente D.Lgs. 259/2003 –non in vigore all'epoca
dell’adozione degli atti impugnati ma che ha
una portata parzialmente ricognitiva delle
precedenti elaborazioni giurisprudenziali–
non si può fare a meno di sottolineare che
l’art. 86, comma 3, assimila ad ogni effetto
le infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'art. 16, comma 7, del
D.P.R. 06/06/2001 n. 380, rendendole senza
ombra di dubbio compatibili con ogni tipo di
zonizzazione anche in deroga a contrastanti
statuizioni della normativa urbanistica
locale (Tar Veneto, sez. II – 14/06/2004 n.
2041)”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.03.2012 n. 343 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Limiti alla localizzazione.
Domanda.
In materia di competenza regolamentare dei
comuni per il corretto insediamento degli
impianti radioelettrici, vorrei che mi
venisse puntualizzata la differenza tra
«criteri localizzativi» e «limiti alla
localizzazione».
Risposta.
L'articolo 8, comma 6, della legge quadro
sulla protezione dalle esposizioni a campi
elettrici ed elettromagnetici del 22.02.2001, n. 36, dispone che i
comuni possono adottare regolamenti per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici.
Il comune, però,
alla luce di detta normativa, che, per la
giurisprudenza (Consiglio di stato, sezione VI, sentenza del 27.04.2010, n.
2371), attribuisce una particolare
competenza che è distinta dalla competenza
urbanistica ed edilizia di esclusiva
competenza dei comuni, non può adottare
misure che in concreto vengano a derogare i
limiti di esposizione fissati dal decreto
del presidente del consiglio dei ministri
dell'08.07.2003. Limiti che vengono
individuati:
- nel generalizzato divieto di installazione
delle stazioni radio base per la telefonia
cellulare in tutte le zone territoriali
omogenee a destinazione residenziale;
- nell'introduzione di misure che, pur
essendo di tipo urbanistico, quali le
distanze, le altezze ecc., non sono
funzionali al governo del territorio, in
quanto, come affermato dal Consiglio di
stato, sezione VI, con la sentenza del 02.11.2007, n. 5673, attengono alla
tutela dai rischi dell'elettromagnetismo.
Peraltro, in tema di competenza
regolamentare dei comuni per il corretto
insediamento degli impianti radioelettrici,
attribuita dal citato articolo 8, comma 6,
della legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici ed
elettromagnetici del 22.02.2001,
n. 36, il Consiglio di stato, sezione VI,
con le sentenze del 05.06.2006, n.
3452, 19.05.2008, numero 2287, 17.07.2008, numero 3596, ha puntualizzato la
differenza tra «criteri localizzativi» e
«limiti alla localizzazione».
I primi, per i
supremi giudici amministrativi, competono ai
comuni, perché recano criteri specifici
rispetto a localizzazioni puntuali, mentre i
secondi non competono in quanto portatori di
divieti generalizzati per intere aree. La
giurisprudenza, quindi, ha ridimensionato la
portata applicativa del suddetto articolo,
8, comma 6, della legge quadro sulla
protezione dalle esposizioni a campi
elettrici ed elettromagnetici del 22.02.2001,
n. 36.
Infatti sono illegittimi i regolamenti
comunali, relativi alla fissazione di
criteri per la localizzazione di
elettrodotti o stazioni base, se l'Ente
territoriale, con essi, si sia posto
l'obiettivo, anche indiretto, di tutelare la
salute umana dalle emissioni
elettromagnetiche, provenienti da impianti
di radiocomunicazione, stabilendo, ad
esempio, distanze minime delle stazioni
radio base da di insediamenti abitativi,
atteso che l'articolo 117 della costituzione
attribuisce la competenza in materia alla
legislazione concorrente stato-regioni (articolo ItaliaOggi
sette del 27.02.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
Antenne e disponibilità di aree gravate da
uso civico (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Spallino,
Impianti di telefonia mobile: digesto di
legislazione, giurisprudenza e dottrina
(link a http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
I limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici, fissati dal d.m. n.
381/1998, sono posti a salvaguardia del
diritto fondamentale alla salute dai rischi
dell’elettromagnetismo, sulla base del
principio generale di precauzione.
Condizione per la realizzazione e il
funzionamento delle stazioni radio base di
telefonia mobile è l’accertato rispetto
delle soglie di tollerabilità identificate
in via generale dal predetto decreto
ministeriale.
Invero, ai sensi dell’art. 2-bis del d.l. n.
115/1997, convertito nella legge n.
189/1997, non solo l’uso, ma anche
l’installazione di impianti di telefonia
deve essere preceduta dalla garanzia della
loro compatibilità con le norme relative ai
rischi sanitari derivanti dai campi
elettromagnetici.
La valutazione di impatto sulla salute e
sull’ambiente, incentrata sulla verifica del
rispetto dei limiti ex d.m. n. 381/1998 e
costituente elemento imprescindibile per
l’autorizzazione all’installazione, non
incontra deroghe nel procedimento di
sanatoria dell’impianto già esistente, in
quanto l’inosservanza o la non comprovata
osservanza dei limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici costituisce, ai sensi
dell’art. 2-bis del citato d.l. n. 115/1997,
causa preclusiva dell’installazione, e
quindi anche del rilascio della relativa
autorizzazione, preventiva o successiva che
sia.
I limiti
di esposizione ai campi elettromagnetici,
fissati dal d.m. n. 381/1998, sono posti a
salvaguardia del diritto fondamentale alla
salute dai rischi dell’elettromagnetismo,
sulla base del principio generale di
precauzione.
Condizione per la realizzazione e il
funzionamento delle stazioni radio base di
telefonia mobile è l’accertato rispetto
delle soglie di tollerabilità identificate
in via generale dal predetto decreto
ministeriale.
Invero, ai sensi dell’art. 2-bis del d.l. n.
115/1997, convertito nella legge n.
189/1997, non solo l’uso, ma anche
l’installazione di impianti di telefonia
deve essere preceduta dalla garanzia della
loro compatibilità con le norme relative ai
rischi sanitari derivanti dai campi
elettromagnetici (TAR Campania, Napoli, II,
05.12.2001, n. 5232).
La valutazione di impatto sulla salute e
sull’ambiente, incentrata sulla verifica del
rispetto dei limiti ex d.m. n. 381/1998 e
costituente elemento imprescindibile per
l’autorizzazione all’installazione, non
incontra deroghe nel procedimento di
sanatoria dell’impianto già esistente, in
quanto l’inosservanza o la non comprovata
osservanza dei limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici costituisce, ai sensi
dell’art. 2-bis del citato d.l. n. 115/1997,
causa preclusiva dell’installazione, e
quindi anche del rilascio della relativa
autorizzazione, preventiva o successiva che
sia
(TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza
17.02.2012 n.
358 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Premesso
che la nozione di rete di telecomunicazione,
per definizione, richiede una distribuzione
capillare nei diversi punti del territorio,
ed è assimilata, in via normativa, alle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3,
del D.lgs. n. 259/2003), devono ritenersi
illegittime le prescrizioni di piano e di
regolamento che si traducono in limiti alla
localizzazione e allo sviluppo della rete
per intere zone, per di più con scelta
generale ed astratta ed in assenza di
giustificazioni afferenti alla specifica
tipologia dei luoghi o alla presenza di siti
che per destinazioni d' uso possano essere
qualificati come sensibili.
Nella materia la giurisprudenza ha
condivisibilmente affermato:
- che i "criteri di localizzazione" degli
impianti non possono trasformarsi in
"limitazioni alla localizzazione", così da
configurarsi incompatibili con la
possibilità di realizzare una rete completa
di infrastrutture per la telecomunicazione;
- che non può tradursi la determinazione a
regime di limiti di localizzazione degli
impianti -atteso il suo carattere
generalizzato e il riferimento al dato
oggettivo dell'esistenza di insediamenti
abitativi- in una misura surrettizia di
tutela della popolazione da immissioni
radioelettriche, che l'art. 4 della legge n.
36/2000 riserva allo Stato attraverso
l'individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione ed
obiettivi di qualità, da introdursi con
D.P.C.M., su proposta del Ministro
dell'Ambiente di concerto con il Ministro
della Salute;
- che la scelta dei criteri di insediamento
degli impianti deve tenere conto della
nozione di "rete di telecomunicazione, che
richiede una diffusione capillare sul
territorio”;
- che deve tenersi conto, infine, anche del
fatto che l'assimilazione in via normativa
delle infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
medesime non siano avulse dall'insediamento
abitativo, ma debbano porsi al servizio
dello stesso.
Il Comune, ancorché mantenga intatte le
proprie competenze in materia di governo del
territorio, per espressa valutazione
legislativa, non può interferire con le
competenze relative alla installazione delle
reti di telecomunicazione e, in particolare,
non può determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere generalizzato di installazione
degli impianti in zone urbanistiche
identificate (senza prevedere alcuna
possibile localizzazione alternativa) in
contrasto con le esigenze tecniche
necessarie a consentire la realizzazione
effettiva della rete di telefonia cellulare
che assicuri la copertura del servizio
nell'intero nel territorio comunale.
Ai sensi del D.lgs. n. 259/2003, gli
impianti in questione e le opere accessorie
occorrenti per la loro funzionalità hanno
"carattere di pubblica utilità", con
possibilità, quindi, di essere ubicati in
qualsiasi parte del territorio comunale,
essendo compatibili con tutte le
destinazioni urbanistiche.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, condiviso dal
Collegio, premesso che la nozione di rete di
telecomunicazione, per definizione, richiede
una distribuzione capillare nei diversi
punti del territorio, ed è assimilata, in
via normativa, alle infrastrutture di reti
pubbliche di telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3,
del D.lgs. n. 259/2003), devono ritenersi
illegittime le prescrizioni di piano e di
regolamento che si traducono in limiti alla
localizzazione e allo sviluppo della rete
per intere zone, per di più con scelta
generale ed astratta ed in assenza di
giustificazioni afferenti alla specifica
tipologia dei luoghi o alla presenza di siti
che per destinazioni d' uso possano essere
qualificati come sensibili (cfr. Cons. di
Stato, VI, n. 1567/2007).
Nella materia la giurisprudenza ha condivisibilmente affermato:
- che i "criteri di localizzazione" degli
impianti non possono trasformarsi in
"limitazioni alla localizzazione", così da
configurarsi incompatibili con la
possibilità di realizzare una rete completa
di infrastrutture per la telecomunicazione
(cfr. Corte Costituzionale, sentenza
15.10/7.11.2003 n. 331 e 07.10.2003 n. 307);
- che non può tradursi la determinazione a
regime di limiti di localizzazione degli
impianti -atteso il suo carattere
generalizzato e il riferimento al dato
oggettivo dell'esistenza di insediamenti
abitativi- in una misura surrettizia di
tutela della popolazione da immissioni
radioelettriche, che l'art. 4 della legge n.
36/2000 riserva allo Stato attraverso
l'individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione ed
obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro
dell'Ambiente di concerto con il Ministro
della Salute (cfr., Cons. di Stato, VI, n.
7274 /2002; n. 4159/2005);
- che la scelta dei criteri di insediamento
degli impianti deve tenere conto della
nozione di "rete di telecomunicazione, che
richiede una diffusione capillare sul
territorio”;
- che deve tenersi conto, infine, anche del
fatto che l'assimilazione in via normativa
delle infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
medesime non siano avulse dall'insediamento
abitativo, ma debbano porsi al servizio
dello stesso (cfr. Cons. di Stato, VI,
08.09.2009, n. 5258) .
Alla stregua dei predetti principi, la
scelta operata nella specie dal Comune
resistente non sfugge dunque alle doglianze
di violazione dell'art. 86 del D.lgs. n.
259/2003 e della legge n. 36/2001 dedotte
nel ricorso, né si configura conforme a
criteri di ragionevolezza, di adeguatezza e
di proporzionalità delle misure stabilite
negli atti impugnati, in quanto il Comune,
ancorché mantenga intatte le proprie
competenze in materia di governo del
territorio, per espressa valutazione
legislativa, non può interferire con le
competenze relative alla installazione delle
reti di telecomunicazione e, in particolare,
non può determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere generalizzato di installazione
degli impianti in zone urbanistiche
identificate (senza prevedere alcuna
possibile localizzazione alternativa) in
contrasto con le esigenze tecniche
necessarie a consentire la realizzazione
effettiva della rete di telefonia cellulare
che assicuri la copertura del servizio
nell'intero nel territorio comunale (cfr.
Cons. di Stato, VI, 08.09.2009 , n. 5258).
Vi è, infine, da osservare che, ai
sensi del D.lgs. n. 259/2003, gli impianti
in questione e le opere accessorie
occorrenti per la loro funzionalità hanno
"carattere di pubblica utilità", con
possibilità, quindi, di essere ubicati in
qualsiasi parte del territorio comunale,
essendo compatibili con tutte le
destinazioni urbanistiche (residenziale,
verde, agricola, ecc.: cfr. in tal senso, C.G.A. ordinanza
05.07.2006, n. 543; Cons.
Stato, VI, 04.09.2006, n. 5096; TAR
Campania, Napoli, VII, 10.06.2011, n. 3074;
TAR Sicilia, Palermo II, 09.03.2011, n.
419).
Il Collegio ritiene, pertanto, che il
Comune resistente abbia errato
nell’interpretazione e nell’applicazione
delle disposizioni delle N.T.A. richiamate
nel diniego impugnato laddove ha incluso tra
gli interventi vietati, di cui al secondo
comma dell’art. 30 delle N.T.A., anche le
S.R.B. per la telefonia mobile. Ne discende,
quindi, sotto tale profilo la carenza di
interesse della società ricorrente, una
volta ottenuto l’annullamento del diniego
impugnato per le ragioni suesposte,
all’eliminazione anche delle predette N.T.A.
in quanto non contenenti specifiche
disposizioni in materia di installazione
delle S.R.B.
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza
08.02.2012 n. 199 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Comunicazioni elettroniche - D.Lgs. n.
259/2003 - Procedimento autorizzatorio
relativo a infrastrutture di comunicazione
elettronica per impianti radioelettrici -
D.G.R. Lombardia n. 7/111045/2002 - Istanza
per l'istallazione di una SRB di potenza
inferiore ai 300 W - Diniego del Comune -
Motivazioni legate alle scelte
pianificatorie ed al mancato rispetto dei
limiti di esposizione - Illegittimità.
Non può essere legittimamente rigettata
dal Comune l'istanza presentata da una
società operante nel settore delle
comunicazioni elettroniche ai sensi
dell'articolo 87 del D. Lgs. n. 259/2003,
prodromica all'installazione di una stazione
radio base per telefonia mobile, laddove il
diniego si fondi sull'asserito mancato
rispetto dei limiti di esposizione, in
contrasto con il parere rilasciato dall'A.R.P.A..
Infatti, la verifica circa il rispetto dei
limiti di esposizione spetta unicamente
all'organo tecnico, senza che residuino
competenze in capo al Comune. Le SRB di
potenza inferiore ai 300 W non soffrono
limitazioni alla loro installazione, che
possano derivare dalla normativa
pianificatoria comunale, ovvero da quella
regionale di cui alla D.G.R. n.
7/111045/2002
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 31.01.2012 n.
335 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
decorso del termine di 90 giorni dalla
presentazione dell’istanza di autorizzazione
alla installazione di un impianto di
telefonia mobile, senza la tempestiva
richiesta di integrazioni documentali e
senza il formale diniego della domanda,
comporta la costituzione di un titolo
abilitativo idoneo a legittimare il privato
alla realizzazione dell’impianto, mentre gli
eventuali successivi provvedimenti di
rigetto e di ordine di
sospensione/demolizione, per non potere
essere il silenzio-assenso considerato
tamquam non esset dall’Amministrazione, si
presentano per ciò solo illegittimi, salvo
l’eccezionale esercizio del potere di
autotutela da parte dell’Autorità competente
e quindi l’annullamento d’ufficio o la
revoca dell’assenso costituitosi per
silentium, nel rispetto naturalmente dei
requisiti formali e sostanziali a tal fine
stabiliti in generale dalla legge.
In quanto espressione di una norma di
carattere generale– il preavviso di rigetto
ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990
interrompe il termine per la conclusione del
procedimento di cui all’art. 87 del d.lgs.
n. 259 del 2003, termine che inizia
nuovamente a decorrere dal momento di
presentazione delle osservazioni del privato
sempreché avvenuta nei 10 giorni a questo
scopo previsti, nel senso che, per trattarsi
di un caso di “interruzione”, e non di
“sospensione”, del termine per concludere il
procedimento, esso riprende a decorrere
nella propria interezza, senza tener conto
del periodo già trascorso prima
dell’interruzione stessa.
Nel merito, va premesso che, in sede di
regolamentazione generale dei «procedimenti
autorizzatori relativi alle infrastrutture
di comunicazione elettronica per impianti
radioelettrici», l’art. 87 del d.lgs. n.
259 del 2003 –nel testo applicabile alla
fattispecie ratione temporis– prevede
che le “istanze di autorizzazione e le
denunce di attività di cui al presente
articolo … si intendono accolte qualora,
entro novanta giorni dalla presentazione del
progetto e della relativa domanda, fatta
eccezione per il dissenso di cui al comma 8,
non sia stato comunicato un provvedimento di
diniego. Gli Enti locali possono prevedere
termini più brevi per la conclusione dei
relativi procedimenti ovvero ulteriori forme
di semplificazione amministrativa, nel
rispetto delle disposizioni stabilite dal
presente comma” (comma 9) e che il “responsabile
del procedimento può richiedere, per una
sola volta, entro quindici giorni dalla data
di ricezione dell’istanza, il rilascio di
dichiarazioni e l’integrazione della
documentazione prodotta. Il termine di cui
al comma 9 inizia nuovamente a decorrere dal
momento dell’avvenuta integrazione
documentale” (comma 5).
La giurisprudenza ha chiarito che,
nell’ambito di un più vasto disegno di
semplificazione dell’attività amministrativa
volto a favorire lo sviluppo economico,
sociale e territoriale del Paese, attraverso
la rimozione dei limiti burocratici che si
frappongono alla libera iniziativa dei
privati (v. Cons. Stato, Sez. VI, 17.03.2009
n. 1578), il decorso del termine di novanta
giorni dalla presentazione dell’istanza di
autorizzazione alla installazione di un
impianto di telefonia mobile, senza la
tempestiva richiesta di integrazioni
documentali e senza il formale diniego della
domanda, comporta la costituzione di un
titolo abilitativo idoneo a legittimare il
privato alla realizzazione dell’impianto,
mentre gli eventuali successivi
provvedimenti di rigetto e di ordine di
sospensione/demolizione, per non potere
essere il silenzio-assenso considerato
tamquam non esset dall’Amministrazione,
si presentano per ciò solo illegittimi (v.,
ex multis, TAR Calabria, Catanzaro,
Sez. II, 16.04.2007 n. 323), salvo
l’eccezionale esercizio del potere di
autotutela da parte dell’Autorità competente
e quindi l’annullamento d’ufficio o la
revoca dell’assenso costituitosi per
silentium, nel rispetto naturalmente dei
requisiti formali e sostanziali a tal fine
stabiliti in generale dalla legge (v., tra
le altre, TAR Sardegna, Sez. II, 12.05.2008
n. 943).
E’ stato altresì chiarito, poi, che –in
quanto espressione di una norma di carattere
generale– il preavviso di rigetto ex art.
10-bis della legge n. 241 del 1990
interrompe il termine per la conclusione del
procedimento di cui all’art. 87 del d.lgs.
n. 259 del 2003, termine che inizia
nuovamente a decorrere dal momento di
presentazione delle osservazioni del privato
sempreché avvenuta nei dieci giorni a questo
scopo previsti (v., ex multis, Cons.
Stato, Sez. VI, 07.01.2008 n. 32; TAR
Veneto, Sez. III, 07.05.2008 n. 1256), nel
senso che, per trattarsi di un caso di “interruzione”,
e non di “sospensione”, del termine
per concludere il procedimento, esso
riprende a decorrere nella propria
interezza, senza tener conto del periodo già
trascorso prima dell’interruzione stessa
(v., tra le altre, TAR Lazio, Sez. II,
16.03.2009 n. 2690; TAR Lombardia, Milano,
Sez. III, 21.04.2008 n. 1232)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza
25.01.2012 n.
60 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo il rigetto
generico dell’istanza di autorizzazione ai
sensi dell’art. 87 del D.Lgs. 259/2003 per
l’installazione di impianti di telefonia
mobile.
Infatti, oltre ad essere stato adottato in
violazione delle regole del giusto
procedimento (non risulta alcuna previa
comunicazione dei motivi ostativi ai sensi
dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990) è
privo di adeguata motivazione, essendosi
basata l’amministrazione esclusivamente su
un generico richiamo al regolamento comunale
per l’insediamento delle stazioni radio
base, e avendo omesso di indicare in che
modo l’impianto progettato sarebbe in
contrasto con il regolamento comunale,
mentre per giurisprudenza uniforme il
provvedimento di diniego deve essere
sorretto da motivazioni dettagliate, non
essendo sufficiente un generico richiamo
alle vigenti disposizioni dei vari strumenti
urbanistici o a generiche previsioni
contenute nei regolamenti per la disciplina
dell’insediamento delle stazioni radio base.
...
VISTO il ricorso introduttivo con il quale
la società H3G s.p.a. ha impugnato il
provvedimento indicato in epigrafe, con il
quale il Comune di Aidone si è limitato a
rigettare genericamente l’istanza di
autorizzazione ai sensi dell’art. 87 del
D.Lgs. 259/2003 per l’installazione di
impianti di telefonia mobile.
Nel ricorso
sono dedotte censure di violazione di legge,
difetto di motivazione ed eccesso di potere
sotto diversi profili articolati in 5 motivi
di ricorso.
RITENUTO che il ricorso è fondato giacché il
provvedimento impugnato -oltre ad essere
stato adottato in violazione delle regole
del giusto procedimento (non risulta alcuna
previa comunicazione dei motivi ostativi ai
sensi dell’art. 10-bis della legge n.
241/1990)- è privo di adeguata motivazione,
essendosi basata l’amministrazione
esclusivamente su un generico richiamo al
regolamento comunale per l’insediamento
delle stazioni radio base, e avendo omesso
di indicare in che modo l’impianto
progettato sarebbe in contrasto con il
regolamento comunale, mentre per
giurisprudenza uniforme il provvedimento di
diniego deve essere sorretto da motivazioni
dettagliate, non essendo sufficiente un
generico richiamo alle vigenti disposizioni
dei vari strumenti urbanistici o a generiche
previsioni contenute nei regolamenti per la
disciplina dell’insediamento delle stazioni
radio base (tra le tante, cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 17.10.2008, n. 5044)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 104 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’assimilazione
in via normativa delle infrastrutture di
reti pubbliche di comunicazione alle opere
di urbanizzazione primaria, ai sensi
dell’art. 86, comma terzo, del d.lgs. n. 259
del 2003, comporta che le stesse debbano
collegarsi ed essere poste al servizio
dell’insediamento abitativo, non da questo
avulse con localizzazione lontana dai centri
di utenza, onde la potestà assegnata alle
amministrazioni comunali dall’art. 8, comma
6, della legge n. 36 del 2001 (“i comuni
possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnatici”) può tradursi, ad
esempio, nell’introduzione, sotto il profilo
urbanistico, di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o
storico/artistico, ma non può trasformarsi
in “limitazioni alla localizzazione” degli
impianti di telefonia mobile per intere ed
estese porzioni del territorio comunale, in
assenza di una plausibile ragione
giustificativa; in definitiva, tale
disciplina non deve risolversi in un
impedimento che rende in concreto
impossibile, o comunque estremamente
difficoltosa, la realizzazione di una rete
completa di infrastrutture di
telecomunicazioni.
Con la conseguente illegittimità dei
regolamenti locali che prevedano una
“zonizzazione” indipendente dalle esigenze
dei gestori del servizio di telefonia
mobile, e che cioè circoscrivano gli
impianti a specifiche aree, appositamente
individuate, senza subordinare le relative
scelte alla previa e puntuale verifica della
coerenza della disciplina pianificatoria con
la necessità che venga assicurata,
nell’intero territorio comunale, l’uniforme
copertura del servizio.
Come è stato rilevato in giurisprudenza (v.,
tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI,
05.06.2006 n. 3332), l’assimilazione in via
normativa delle infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, ai sensi dell’art.
86, comma terzo, del d.lgs. n. 259 del 2003,
comporta che le stesse debbano collegarsi ed
essere poste al servizio dell’insediamento
abitativo, non da questo avulse con
localizzazione lontana dai centri di utenza,
onde la potestà assegnata alle
amministrazioni comunali dall’art. 8, comma
6, della legge n. 36 del 2001 (“i comuni
possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnatici”) può
tradursi, ad esempio, nell’introduzione,
sotto il profilo urbanistico, di regole a
tutela di zone e beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o
storico/artistico, ma non può trasformarsi
in “limitazioni alla localizzazione”
degli impianti di telefonia mobile per
intere ed estese porzioni del territorio
comunale, in assenza di una plausibile
ragione giustificativa; in definitiva, tale
disciplina non deve risolversi in un
impedimento che rende in concreto
impossibile, o comunque estremamente
difficoltosa, la realizzazione di una rete
completa di infrastrutture di
telecomunicazioni.
Con la conseguente illegittimità dei
regolamenti locali che prevedano una “zonizzazione”
indipendente dalle esigenze dei gestori del
servizio di telefonia mobile, e che cioè
circoscrivano gli impianti a specifiche
aree, appositamente individuate, senza
subordinare le relative scelte alla previa e
puntuale verifica della coerenza della
disciplina pianificatoria con la necessità
che venga assicurata, nell’intero territorio
comunale, l’uniforme copertura del servizio
(v. Cons. Stato, Sez. VI, 28.03.2007 n.
1431)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza
16.01.2012 n.
14 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Diniego di
installazione infrastruttura di
telecomunicazione - Art. 86, D.Lgs. n.
259/2003 - Opere di urbanizzazione primaria
- Misure a tutela dai rischi
dell'elettromagnetismo - Illegittimità.
Il Comune non ha alcuna potestà di
introdurre un divieto generalizzato di
installazione di impianti di telefonia, né
di introdurre misure che, pur essendo di
natura tipicamente urbanistica, non siano
funzionali al governo del territorio,
quanto, piuttosto, alla tutela dai rischi
dell'elettromagnetismo che rientra nelle
esclusive attribuzioni statali; di
conseguenza la localizzazione degli impianti
solo in determinate zone si pone in
contrasto, non solo con l'esigenza di
permettere la copertura del servizio di
telefonia mobile sull'intero territorio
comunale, ma anche con la loro natura di
infrastrutture primarie e di impianti di
interesse generale, così come dispone l'art.
86 D.Lgs. n. 259/2003, posti al servizio
della comunità e quindi compatibili con
qualsiasi destinazione urbanistica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n.
35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune non ha alcuna potestà di introdurre
un divieto generalizzato di installazione
delle stazioni radio base, né di introdurre
misure che, pur essendo di natura
tipicamente urbanistica (distanze, altezze,
quote, ecc.) non siano funzionali al governo
del territorio, quanto piuttosto alla tutela
dai rischi dell'elettromagnetismo che
rientra nelle esclusive attribuzioni
statali, non già in quelle comunali; di
conseguenza la localizzazione degli impianti
solo in determinate zona si pone in
contrasto non solo con l'esigenza di
permettere la copertura del servizio di
telefonia mobile sull'intero territorio
comunale, ma anche con la loro natura di
infrastrutture primarie e impianti di
interesse generale, posti al servizio della
comunità e quindi compatibili con qualsiasi
destinazione urbanistica.
L'assimilazione, per effetto dell'art. 86,
d.lgs. 01.08.2003 n. 259, delle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
stesse debbano avere una diffusione
capillare sul territorio, collegarsi ed
essere poste al servizio dell'insediamento
abitativo e non essere dalle stesso avulse.
E illegittimo il diniego comunale nella
parte in cui richiama un presunto contrasto
con la zona, in quanto l’Amministrazione non
ha considerato che l'impianto di telefonia
mobile in argomento è annoverabile tra le
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione e, come tale, esso può essere
equiparato -a tenore dell'art. 86, comma
terzo, del citato Codice delle comunicazioni
elettroniche- alle ordinarie opere di
urbanizzazione primaria, che sono
compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica
Secondo la giurisprudenza prevalente e
pacifica il Comune non ha alcuna potestà di
introdurre un divieto generalizzato di
installazione delle stazioni radio base, né
di introdurre misure che, pur essendo di
natura tipicamente urbanistica (distanze,
altezze, quote, ecc.) non siano funzionali
al governo del territorio, quanto piuttosto
alla tutela dai rischi
dell'elettromagnetismo che rientra nelle
esclusive attribuzioni statali, non già in
quelle comunali; di conseguenza la
localizzazione degli impianti solo in
determinate zona si pone in contrasto non
solo con l'esigenza di permettere la
copertura del servizio di telefonia mobile
sull'intero territorio comunale, ma anche
con la loro natura di infrastrutture
primarie e impianti di interesse generale,
posti al servizio della comunità e quindi
compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica.
L'assimilazione, per effetto dell'art. 86,
d.lgs. 01.08.2003 n. 259, delle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
stesse debbano avere una diffusione
capillare sul territorio, collegarsi ed
essere poste al servizio dell'insediamento
abitativo e non essere dalle stesso avulse.
Va poi richiamata la disciplina regionale
per gli impianti inferiori a 300 W, per i
quali l'art. 4 comma 7, l. reg. Lombardia n.
11 del 2001 stabilisce che gli impianti
radio base di tale potenza "non
richiedono una specifica regolamentazione
urbanistica".
Pertanto, indipendentemente dalla questione
della applicabilità del Regolamento Comunale
al caso de quo, è illegittimo il
diniego nella parte in cui richiama un
presunto contrasto con la zona, in quanto
l’Amministrazione non ha considerato che
l'impianto di telefonia mobile in argomento
è annoverabile tra le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione e, come tale,
esso può essere equiparato -a tenore
dell'art. 86, comma terzo, del citato Codice
delle comunicazioni elettroniche- alle
ordinarie opere di urbanizzazione primaria,
che sono compatibili con qualsiasi
destinazione urbanistica (cfr. TAR Sicilia
Palermo II, 11.01.2011 n. 22)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le infrastrutture strumentali alle stazioni
radio per la telefonia mobile rientrano
nella categoria delle opere di pubblica
utilità e non in quella delle opere
pubbliche.
E' legittimo l'esercizio del potere
espropriativo da parte dell'Amministrazione
Comunale per la realizzazione di siti
attrezzati da destinare agli impianti di
telefonia mobile. In tal senso, si rileva,
corretto l'operato della medesima
Amministrazione che abbia fatto luogo
all'applicazione della normativa
dell'espropriazione per pubblica utilità per
l'assegnazione dell'area in uso a gestori di
telefonia mobile, non potendo certo
condividersi il diverso assunto secondo cui
questi dovrebbero procurarsi con mezzi
privatistici la disponibilità delle aree
necessarie per la realizzazione degli
impianti in oggetto.
Ad avviso del Collegio, non sono
condivisibili neanche le censure dedotte
avverso la procedura di espropriazione
utilizzata dal Comune di Salsomaggiore nei
confronti dell’appellata, al fine di
realizzare sull’area di cui è proprietaria
le infrastrutture necessarie per
l’installazione di stazione di telefonia
mobile.
In effetti, premesso che le infrastrutture
strumentali alle stazioni radio per la
telefonia rientrano nella categoria delle
opere di pubblica utilità (come ha statuito
la sentenza C.d.S. n. 4847/2003) e non in
quella delle opere pubbliche, in punto di
fatto la motivazione della sentenza del TAR
non è suffragata dagli atti esibiti in
giudizio.
Infatti, ad avviso del Giudice di primo
grado, il Comune di Salsomaggiore avrebbe
illegittimamente iniziato la procedura di
esproprio delle aree in questione al fine di
assegnarle in affitto agli operatori di
telefonia mobile; invece dagli atti risulta
che in realtà il Comune (a seguito di una
apposita procedura ad evidenza pubblica) ha
disposto la realizzazione di una piattaforma
attrezzata (idonea all’istallazione di
impianti di trasmissione del segnale per la
telefonia mobile) che viene messa a
disposizione dei vari gestori del servizio
in questione, previo pagamento di un canone
ed in specifica esecuzione di apposito
accordo in precedenza raggiunto tra l’Amm.ne
locale e tutti i gestori interessati ad
installare nel territorio comunale una
propria stazione radio base.
Tra l’altro la stessa sentenza C.d.S. n.
4847/2003 (a differenza di quanto ritenuto
dal TAR) riconosce il legittimo esercizio da
parte del Comune di Salsomaggiore del potere
espropriativo “per la realizzazione di
siti attrezzati da destinare agli impianti
di telefonia mobile”. Gli esposti
argomenti, quindi, consentono di non
condividere la motivazione della sentenza
appellata laddove ha ritenuto “evidente
che l’espropriazione è volta alla
realizzazione di opere private, anche se ne
è stato ormai dichiarato dal legislatore il
carattere di pubblica utilità” (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Stazioni radio base: legittimo il ricorso
all'esproprio per i proprietari renitenti.
Con
sentenza 04.01.2012 n. 11 il
Consiglio di Stato, Sez. III, ha riformato
la sentenza n. 98 del TAR Emilia Romagna,
Sez. di Parma, del 2011,
riconoscendo la legittimità dei
provvedimenti approvati del Comune di
Salsomaggiore diretti ad attuare il piano
comunale di coordinamento per la
installazione di antenne di telefonia
mobile, all’individuazione delle aree
interessate e all'espropriazione delle
stesse, nulla ostando la circostanza della
loro successiva concessione in via onerosa
ai gestori.
L’art. 90 del Decreto legislativo 01.08.2003
n. 259 e s.m.i. dispone:
1. Gli impianti di reti di comunicazione
elettronica ad uso pubblico, ovvero
esercitati dallo Stato, e le opere
accessorie occorrenti per la funzionalità di
detti impianti hanno carattere di pubblica
utilità, ai sensi degli articoli 12 e
seguenti del decreto del Presidente della
Repubblica 08.06.2001, n. 327.
2. Gli impianti di reti di comunicazioni
elettronica e le opere accessorie di uso
esclusivamente privato possono essere
dichiarati di pubblica utilità con decreto
del Ministro delle comunicazioni, ove
concorrano motivi di pubblico interesse.
3. Per l'acquisizione patrimoniale dei beni
immobili necessari alla realizzazione degli
impianti e delle opere di cui ai commi 1 e
2, può esperirsi la procedura di esproprio
prevista dal decreto del Presidente della
Repubblica 08.06.2001, n. 327. Tale
procedura può essere esperita dopo che siano
andati falliti, o non sia stato possibile
effettuare, i tentativi di bonario
componimento con i proprietari dei fondi sul
prezzo di vendita offerto, da valutarsi da
parte degli uffici tecnici erariali
competenti .
Con delibera consiliare n. 10/2004 il Comune
di Salsomaggiore approvava la variante al
vigente strumento urbanistico (P.R.G.) al
fine di poter destinare specifiche aree alla
localizzazione di antenne per telefonia
mobile e, più precisamente, per la
realizzazione delle infrastrutture
necessarie per concedere in uso, a titolo
oneroso, tali infrastrutture agli enti
gestori.
Successivamente, con determinazione n. 356
del 2004, il dirigente del settore tecnico
comunale deliberava di: a) convalidare il
progetto esecutivo delle opere di
urbanizzazione necessarie per realizzare le
suddette stazioni radio base di telefonia
mobile; b) dichiarare la pubblica utilità
delle opere; c) emanare il decreto di
occupazione d’urgenza ai sensi della legge
Reg. n. 37/2002, art. 27.
Avverso i provvedimenti in questione la
proprietà di un area interessata proponeva
ricorso al TAR Emilia Romagna, Sez. di
Parma.
Con sentenza 05.04.2011 n. 98 il TAR
accoglieva il ricorso, annullando i
provvedimenti impugnati per i seguenti
motivi:
1. la variante urbanistica al P.R.G. era
illegittima in quanto effettuata ai sensi
della L.R. Emilia Romagna n. 47 del 1978,
art. 15, non più applicabile a seguito
dell’entrata in vigore della successiva L.R.
n. 20 del 2000;
2. illegittimamente il Comune aveva
applicato nei confronti delle proprietà
delle aree interessate la normativa
dell’espropriazione per pubblica utilità
trattandosi in realtà dell’assegnazione
delle aree in questione in uso a gestori di
telefonia mobile, i quali avrebbero dovuto
procurarsi con mezzi privatistici la
disponibilità delle aree necessarie
all’installazione di impianti per la
telefonia mobile.
Con sentenza n. 11 del 2012 il Consiglio di
Stato ha riformato la sentenza n. 98/2011
del TAR Emilia Romagna riconoscendo la
legittimità dei provvedimenti adottati del
Comune di Salsomaggiore.
Mentre con riferimento ai rilievi mossi alla
procedura di variante urbanistica, il
Collegio ha riconosciuto il corretto operato
del Comune di Salsomaggiore in applicazione
della previgente L.R. n. 47 del 1978, con
riferimento alla procedura di espropriazione
utilizzata dal Comune, il Collegio ha
sottolineato che le infrastrutture,
strumentali alle stazioni radio per la
telefonia, rientrano nella categoria delle
opere di pubblica utilità, come peraltro già
statuito nella sentenza del Consiglio di
Stato n. 4847 del 2003, e non in quella
delle opere pubbliche, con quanto ne
consegue in termini di corretta applicazione
del comma 3 dell'art. 90 d.lgs. 259/2003 ai
fini dell'acquisizione alla mano pubblica
delle aree interessate (commento tratto da e
link a http://studiospallino.blogspot.com). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
J. Cortinovis,
Regime edilizio della telefonia mobile: le
nozioni di "stazione radio base”, “infrastrutture”
e “impianti” (link a
www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti di telefonia mobile: non
occorre la concessione edilizia.
Gli impianti di
telefonia mobile non possono essere
assimilati alle normali costruzioni edilizie
in quanto normalmente non sviluppano
volumetria o cubatura, non determinano
ingombro visivo paragonabile a quello delle
costruzioni, non hanno un impatto sul
territorio paragonabile a quello degli
edifici in cemento armato o muratura.
Va rilevato
anzitutto che per l’installazione degli
impianti di telefonia mobile non occorre la
concessione edilizia e tantomeno alcuna
variante urbanistica e che la loro
collocazione deve ritenersi consentita
sull'intero territorio comunale, non
assumendo carattere ostativo le specifiche
destinazioni di zona (residenziale, verde,
agricola, etc.) rispetto appunto ad
infrastrutture di interesse generale che
presuppongono la realizzazione di una rete
capillare sul territorio, in quanto la loro
localizzazione nelle sole zone espressamente
e preventivamente individuate si porrebbe in
contrasto proprio con l'esigenza di
assicurare l’uniforme erogazione del
servizio (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
10.02.2003, n. 673; C.G.A. ordinanza
28.06.2006, n. 543).
In particolare, il Collegio ritiene di
ribadire quanto affermato da questa Sezione
con la sentenza n. 1010 del 09.05.2006,
nella quale, nel riesaminare funditus
la dibattuta questione dei poteri comunali
in materia di installazione delle stazioni
radio base necessarie per fornire il sistema
di telefonia mobile nel territorio
nazionale, si è, in particolare, osservato
che, secondo un consolidato e condiviso
orientamento giurisprudenziale, gli impianti
di telefonia mobile non possono essere
assimilati alle normali costruzioni
edilizie, in quanto normalmente non
sviluppano volumetria o cubatura, non
determinano ingombro visivo paragonabile a
quello delle costruzioni, non hanno un
impatto sul territorio paragonabile a quello
degli edifici in cemento armato o muratura.
Trattasi, difatti, di strutture, che, per
esigenze di irradiamento del segnale, si
sviluppano normalmente in altezza, tramite
strutture metalliche, pali o tralicci,
talora collocate su strutture preesistenti,
su lastrici solari, su tetti, a ridosso di
pali. Tali caratteristiche peculiari
impongono, quindi, una valutazione separata
e distinta del fenomeno, che deve essere
compiuta con specifico riferimento alle
infrastrutture telefoniche, escludendosi la
legittimità di una estensione analogica di
una normativa edilizia concepita per altri
scopi e diretta a regolamentare altre forme
di utilizzazione del territorio (cfr., tra
le tante, Cons. Stato, VI, 26.08.2003, n.
4847; 24.11.2003, n. 7725, TAR Campania
Napoli, sez. I, 04.03.2005, n. 16110).
Sotto diverso profilo, va poi osservato che
la disciplina di riferimento -ratione
temporis- è contenuta nell’art. 8 della
legge 22.02.2001, n. 36, il quale recita: “1.
Sono di competenza delle regioni, nel
rispetto dei limiti dì esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità nonché dei criteri e delle modalità
fissati dallo Stato, fatte salve le
competenze dello Stato e delle autorità
indipendenti: a) l'esercizio delle funzioni
relative all'individuazione dei siti dì
trasmissione e degli impianti per telefonia
mobile, degli impianti radioelettrici e
degli impianti per radiodiffusione, ai sensi
della legge 31.07.1997, n. 249, e nel
rispetto del decreto di cui all'articolo 4,
comma 2, lettera a), e dei principi
stabiliti dal regolamento di cui
all'articolo 5; b) … omissis; c) le modalità
per il rilascio delle autorizzazioni alla
installazione degli impianti di cui al
presente articolo, in conformità a criteri
di semplificazione amministrativa, tenendo
conto dei campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici preesistenti; d)… omissis.
6) i comuni possono adottare un regolamento
per assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici.”
In relazione all’interpretazione di tale
norma il Consiglio di Stato, sez. VI, si è
già pronunciato più volte (cfr sentenze n.
2997 del 30.05.2003 e 03.06.2002, n. 3095)
affermando che “La fissazione di limiti
di esposizione ai campi elettromagnetici
diversi da quelli stabiliti dallo Stato (con
il d.m. 381 del 1998) non rientra
nell'ambito delle competenze attribuite ai
comuni dall'art. 8 l. 22.02.2001 n. 36. Ma
alla stregua della disposizione in esame
nemmeno è consentito che il comune,
attraverso il formale utilizzo degli
strumenti di natura edilizia-urbanistica,
adotti misure che nella sostanza
costituiscono una deroga ai predetti limiti
di esposizione fissati dallo Stato, quali ad
esempio il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio-base per
la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale; ovvero di introdurre misure
che pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc..) non siano
funzionali al governo del territorio, quanto
piuttosto alla tutela della salute dai
rischi dell'elettromagnetismo.”
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 11.11.2011 n. 2100 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se è pur vero che i Comuni non
possono introdurre un divieto generalizzato
di istallazione delle stazioni radio base
per telefonia cellulare in tutte o in intere
zone territoriali omogenee, va ritenuta
legittima la previsione, contenuta in
apposito regolamento comunale, della
prescrizione di distanze minime da strutture
sanitarie e scolastiche, da ritenersi quali
siti particolarmente sensibili, perché ciò
risponde a un principio di precauzione con
riferimento a un criterio di localizzazione
che tiene conto della realtà secondo dati di
comune esperienza, che consigliano e
giustificano una particolare disciplina
relativamente a quei siti, senza, però, che
questo impedisca una ragionevole
dislocazione degli impianti nel territorio
comunale in modo da assicurare la fruizione
del servizio pubblico delle
telecomunicazioni.
Se è pur vero che -come pacificamente
affermato dalla giurisprudenza
amministrativa ed anche, più volte, da
questa stessa Sezione- i Comuni non possono
introdurre un divieto generalizzato di
istallazione delle stazioni radio base per
telefonia cellulare in tutte o in intere
zone territoriali omogenee, va ritenuta
legittima la previsione, contenuta in
apposito regolamento comunale, della
prescrizione di distanze minime da strutture
sanitarie e scolastiche, da ritenersi quali
siti particolarmente sensibili, perché ciò
risponde a un principio di precauzione con
riferimento a un criterio di localizzazione
che tiene conto della realtà secondo dati di
comune esperienza, che consigliano e
giustificano una particolare disciplina
relativamente a quei siti, senza, però, che
questo impedisca una ragionevole
dislocazione degli impianti nel territorio
comunale in modo da assicurare la fruizione
del servizio pubblico delle
telecomunicazioni (Cons. St., sez. VI,
12.11.2009, n. 7023, 08.09.2009, n. 5258, e
19.06.2009, n. 4056) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 03.11.2011 n. 588 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
N. Durante,
La non idoneità delle aree e dei siti
all'installazione di impianti di produzione
di energia alternativa (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO –
Stazioni radio base – Procedimento
autorizzatorio ex art. 87 cod. com.
elettroniche – Valutazione
urbanistico-edilizia – Assorbimento.
Il procedimento indicato dall’art. 87 del
d.lgs. n. 259/2003 ha finalità
semplificatorie ai fini della realizzazione
di opere aventi una particolare rilevanza
pubblicistica (stazioni radio base), di
talché il titolo autorizzatorio previsto
dall’art. 87 d.lgs. n. 259/2003 assorbe in
sé la valutazione urbanistico–edilizia che
presiede al rilascio del titolo disciplinato
dal d.p.r. n. 380/2001 (Cons. Stato sez. VI
n. 98/2011; Cons. Stato sez. VI n.
4557/2010).
Infatti, ove si ritenesse che il
procedimento previsto dal d.lgs. n. 259/2003
fosse destinato non a sostituire ma ad
abbinarsi a quello edilizio ordinario,
verrebbero vanificati i principi ispiratori
del codice delle comunicazioni elettroniche,
in particolare quelli della previsione di
procedure tempestive, non discriminatorie e
trasparenti per la concessione del diritto
di installazione e della riduzione dei
termini per la conclusione dei procedimenti,
nonché della regolazione uniforme dei
medesimi (Cons. Stato, VI, 19.10.2008, n.
5044) (massima tratta da
www.ambientediritto.it - TAR Lazio-Roma,
Sez. I-quater,
sentenza 12.10.2011 n. 7905 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telefonia mobile. Il TAR detta
l'indirizzo interpretativo della normativa
statale.
Il TAR di Bologna ha
affermato che e' illegittimo il no
dell'amministrazione comunale
all'installazione di un impianto di
telefonia mobile, quando il rifiuto viene
motivato con l'incompatibilità tra
l'impianto e la destinazione urbanistica
della zona, qualificata come zona in
espansione da attuarsi mediante un piano
urbanistico.
Il caso.
Il caso riguarda una società gestrice di
rete ed impianti di telefonia mobile che
aveva chiesto al Comune l’installazione di
una stazione radio base. L’amministrazione
comunale ha respinto l’istanza di
autorizzazione all’installazione di una
stazione radio base.
Il Comune avena negato l’autorizzazione in
quanto sosteneva che vi era incompatibilità
tra l’impianto progettato e la disciplina
urbanistica della zona in cui esso sarebbe
stato installato.
La società gestrice di rete ed impianti di
telefonia mobile ha impugnato il diniego
davanti al Tar che ha accolto il ricorso.
La posizione del Tar
dell’Emilia Romagna.
Il Collegio giudicante nell’accogliere il
ricorso presentato dalla società gestrice di
rete ed impianti di telefonia mobile ha
affermato i seguenti principi:
1) l’art. 86, comma 3, del D.Lgs. n. 259 del
2003 ha ricondotto gli impianti di telefonia
mobile alle opere di urbanizzazione
primarie;
2) conseguentemente gli impianti di
telefonia mobile (qualificati come opere
aventi carattere di pubblica utilità) sono
ora ricondotti alle opere di urbanizzazione
e sono stati svincolati dalla destinazione
urbanistica di zona;
3) da questo deriva la conseguente
illegittimità del provvedimento comunale che
–come è avvenuto nel caso di specie– sulla
base della disciplina di zona che prevede
l’approvazione di uno strumento urbanistico
attuativo, nega al gestore di impianti di
telefonia mobile la richiesta autorizzazione
proprio in ragione della mancata
pianificazione dell’area mediante detto
strumento urbanistico attuativo.
I giudici del Tar dell’Emilia Romagna con la
sentenza in commento hanno interpretato la
normativa statale sulla telefonia mobile e
hanno tracciato le linee di comportamento
dei Comuni su questi problemi.
Ora ogni Amministrazione comunale potrebbe
per assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici adottare il
regolamento previsto dall’articolo 8 della
legge 36/2001 (commento tratto da
www.ipsoa.it -
TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.10.2011 n. 691 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Cellulari,
impianti di utilità pubblica.
È illegittimo il «no»
del Comune alla domanda di installazione di
un impianto di telefonia mobile, se il
rifiuto è motivato con l'incompatibilità tra
l'impianto e la destinazione urbanistica
della zona, qualificata come zona in
espansione e da attuarsi mediante un piano
urbanistico.
Così ha deciso il TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza
04.10.2011 n. 691, che ha
interpretato la nuova normativa statale
sulla telefonia mobile, e ha indicato le
linee di comportamento dei Comuni su questi
problemi.
Il caso riguardava una società di
telecomunicazioni che aveva chiesto al
Comune l'autorizzazione all'installazione di
una stazione radio base di telefonia mobile.
Il Comune aveva negato l'autorizzazione,
sostenendo che vi era incompatibilità tra
l'impianto progettato e la disciplina
urbanistica della zona in cui esso sarebbe
stato installato. La società aveva però
impugnato il diniego davanti al Tar, che ha
accolto il ricorso, per diversi motivi.
La precedente disciplina normativa stabilita
nella legge 22.02.2001, n. 36 è stata in
parte modificata, e il problema deve ora
essere considerato sulla base delle norme
del Codice delle comunicazioni elettroniche
(Dlgs 01.08.2003, n. 259), il quale
all'articolo 86, comma 3, stabilisce che le
«infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione (…) sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione
primaria (…)».
Di conseguenza, gli impianti di telefonia
mobile (considerati opere di pubblica
utilità) sono ora ricondotti alle opere di
urbanizzazione, e la loro installazione è
svincolata dalla destinazione urbanistica di
zona, che prevedeva l'approvazione di uno
strumento urbanistico attuativo.
Da questo deriva l'illegittimità del
provvedimento che ha negato
l'autorizzazione, per la mancata
pianificazione dell'area mediante questo
strumento urbanistico attuativo.
La sentenza è esatta ed è puntualmente
motivata. Essa ha chiarito alcuni problemi
sull'installazione degli impianti di
telefonia mobile, che ora ogni Comune
potrebbe prevedere e risolvere, adottando il
regolamento (previsto dall'articolo 8 della
legge 36/2001) per «assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione della
popolazione ai campi elettromagnetici»
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.10.2011 - link a
www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 86, comma 3, del D.Lgs. n.
259 del 2003, nel ricondurre gli impianti di
telefonia mobile (qualificati come opere
aventi carattere di pubblica utilità) alle
opere di urbanizzazione, ha inteso
svincolare l’installazione di tali impianti
sul territorio comunale dalla destinazione
urbanistica di zona, con conseguente
illegittimità del provvedimento comunale che
sulla base della disciplina di zona che
prevede l’approvazione di uno strumento
urbanistico attuativo, nega al gestore di
impianti di telefonia mobile la richiesta
autorizzazione proprio in ragione della
mancata pianificazione dell’area mediante
detto strumento.
Il Collegio osserva che il ricorso merita
accoglimento, risultando fondato il terzo
motivo, rilevante eccesso di potere per
carenza di motivazione e di adeguata
istruttoria, nonché omessa applicazione
degli artt. 86 e 87 del D.Lgs. n. 259 del
2003.
In particolare, il diniego comunale risulta
motivato non già esponendo oggettive e
documentate valutazioni circa la non
correttezza dell’insediamento urbanistico e
territoriale dell’impianto, ma sulla base di
una presunta e non meglio individuata
incompatibilità tra l’impianto progettato e
la disciplina urbanistica della zona in cui
esso avrebbe dovuto essere installato, in
quanto zona “…di espansione di iniziativa
privata da attuarsi attraverso un piano
urbanistico preventivo…”.
Il Collegio deve osservare che l’art. 86,
comma 3, del D.Lgs. n. 259 del 2003, nel
ricondurre gli impianti di telefonia mobile
(qualificati come opere aventi carattere di
pubblica utilità) alle opere di
urbanizzazione, ha inteso svincolare
l’installazione di tali impianti sul
territorio comunale dalla destinazione
urbanistica di zona, con conseguente
illegittimità del provvedimento comunale che
–come è avvenuto nel caso di specie– sulla
base della disciplina di zona che prevede
l’approvazione di uno strumento urbanistico
attuativo, nega al gestore di impianti di
telefonia mobile la richiesta autorizzazione
proprio in ragione della mancata
pianificazione dell’area mediante detto
strumento (v. in termini: TAR Veneto, sez.
II, 22/05/2006 n. 1428; TAR Calabria –CZ-
sez. II, 06/03/2008 n. 269) (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.10.2011 n. 691 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della formazione del
silenzio-assenso (per la realizzazione
impianti radioelettrici e di
telecomunicazione) non è sufficiente la sola
presentazione della domanda e il decorso del
tempo indicato dalla norma che lo prevede,
ma è necessario altresì che essa sia
corredata dalla indispensabile
documentazione prevista dalla normativa, non
implicando il meccanismo del
silenzio-assenso alcuna deroga al
potere-dovere dell'Amministrazione pubblica
di curare gli interessi pubblici nel
rispetto dei principi fondamentali sanciti
dall'art. 97, Cost. e presupponendo quindi
che l'Amministrazione sia posta nella
condizione di verificare la sussistenza di
tutti i presupposti legali per il rilascio
dell'autorizzazione.
---------------
Qualora le strutture di
telecomunicazioni vengano allocate in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico è
necessaria la relativa autorizzazione.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, in
una fattispecie analoga a quella in esame,
ha ritenuto che “Il silenzio-assenso di
cui all'art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003 non è
applicabile (come, in verità, "in radice",
l'intera procedura ex art. 87 cit.) al caso
di manufatti già realizzati, nel caso fin
dal 1990, e non dunque di futura
edificazione, come è desumibile dallo stesso
comma 10 dell'art. 87, il quale, sebbene
fondi la conclusione dell'assorbimento della
concessione edilizia nell'ambito
dell'autorizzazione disciplinata da tale
norma, rende del pari evidente che la
fattispecie autorizzativa (anche) silenziosa
è riferibile esclusivamente ad opere che
"devono essere realizzate" (entro il termine
perentorio di dodici mesi dalla formazione
del silenzio-assenso) e quindi, appunto, non
già edificate” (Cons. St., sez. VI,
17.12.2008, n. 6276).
In particolare, è stato chiarito che “anche
per i suoi più volte chiariti fini
acceleratori della realizzazione degli
impianti radioelettrici e di
telecomunicazione, la norma riguarda,
proprio alla luce della sua ratio, future
realizzazioni impiantistiche” (Cons.
St., n. 6276 del 2008 cit.)
Nel caso in esame, è indiscusso che
l’antenna era già preesistente, essendo
stata installata nel 1989, e quindi, in
applicazione del principio sopra riportato,
non può ritenersi che il mancato diniego nel
termine di novanta giorni possa aver
comportato l’accoglimento dell’istanza.
È da evidenziare poi che il silenzio non può
ritenersi formato neanche applicando al caso
in esame la disciplina prevista dall’art. 20
l. 241/1990.
In primo luogo, il comma 4 dell’articolo in
esame, prevede espressamente che “Le
disposizioni del presente articolo non si
applicano agli atti e procedimenti
riguardanti il patrimonio culturale e
paesaggistico”.
In secondo luogo, la giurisprudenza
prevalente ritiene che, ai fini della
formazione del silenzio assenso, non è
sufficiente la sola presentazione della
domanda e il decorso del tempo indicato
dalla norma che lo prevede, ma è necessario
altresì che essa sia corredata dalla
indispensabile documentazione prevista dalla
normativa, non implicando il meccanismo del
silenzio-assenso alcuna deroga al
potere-dovere dell'Amministrazione pubblica
di curare gli interessi pubblici nel
rispetto dei principi fondamentali sanciti
dall'art. 97, Cost. e presupponendo quindi
che l'Amministrazione sia posta nella
condizione di verificare la sussistenza di
tutti i presupposti legali per il rilascio
dell'autorizzazione (Cons. St., sez. V,
01.04.2011, n. 2019; Cons. St., sez. V,
29.12.2009, n. 8831; Cons. St., sez. V,
19.06.2009, n. 4053).
Nel caso in esame, l’amministrazione
comunale ha rilevato la mancanza di una
serie di documenti necessari ai fini della
valutazione dell’istanza e comunque, come
verrà specificato nel prosieguo, si ritiene
che l’autorizzazione in questione
necessitava di una preventiva autorizzazione
paesaggistica; da qui la conseguenza che la
documentazione inviata dalla ricorrente al
Comune non poteva ritenersi completa.
---------------
La ricorrente ritiene che le strutture di
telecomunicazioni non sono soggette alle
prescrizioni urbanistico-edilizie e quindi
neanche alla preventiva autorizzazione
paesaggistica, in quanto deve ritenersi
prevalente l’interesse alla diffusione del
servizio radio rispetto alla tutela del
vincolo paesaggistico.
È da rilevare in proposito che la stessa
disciplina del d.lgs. 259/2003, con l’art.
86, comma 4, nel prevedere espressamente che
“restano ferme le disposizioni a tutela
dei beni ambientali e culturali contenute
nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490”,
fa salve le disposizioni a tutela dei beni
culturali con la logica conseguenza che
qualora ,come nel caso in esame, l’impianto
viene allocato in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico, è necessario richiedere una
preventiva autorizzazione paesaggistica.
D’altronde, non si può ritenere, come invece
dedotto dalla ricorrente, che il Comune non
ha alcuna competenza in ordine alla
localizzazione delle strutture di
telecomunicazioni.
La giurisprudenza ha affrontato la questione
del riparto di attribuzioni tra Stato ed
enti locali per la disciplina delle
installazioni produttive di inquinamento
elettromagnetico e per la regolamentazione
dei relativi impianti sotto il profilo
urbanistico sulla scia della sentenza della
Corte Costituzionale n. 303/2003, che ha
dichiarato l’incostituzionalità del decreto
legislativo 04.09.2002, n. 198 per la parte
in cui (art. 3, comma 2) sanciva la
compatibilità “con qualsiasi destinazione
urbanistica” e la realizzabilità “in
ogni parte del territorio comunale”
delle infrastrutture in questione, anche in
deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni
altra disposizione di legge o di
regolamento, ledendo in tal modo la potestà
pianificatoria della Regione riconosciuta
dall’art. 117, comma 3, della Costituzione,
il quale cita espressamente, tra le altre,
le materie del governo del territorio, della
tutela della salute e dell’ordinamento della
comunicazione.
La Corte costituzionale, in particolare, ha
ritenuto che è rimessa alle Regioni e agli
enti territoriali minori la localizzazione
degli impianti, come questione attinente
alla disciplina dell’uso del territorio,
purché la pianificazione adottata non sia
tale da impedire o da ostacolare
ingiustificatamente l’insediamento degli
impianti stessi (Corte cost., 01.10.2003, n.
303).
La giurisprudenza ha quindi chiarito che “la
disciplina degli impianti di
telecomunicazione e radiotelevisivi
coinvolge profili sia di tutela
dell’ambiente che di governo del territorio,
in quanto impone standards di protezione
dalle onde elettromagnetiche uniformi su
tutto il territorio nazionale a garanzia del
diritto alla salute, ma anche modalità di
localizzazione degli impianti stessi, tali
da consentire il rispetto sia dei parametri
urbanistici che di corrette regole di
ottimale diffusione delle reti di
comunicazione, secondo un ben preciso
riparto di competenze” (Tar Lazio, sez.
II-bis, 16.03.2009, n. 2690).
Pertanto, in base ai principi individuati
dalla giurisprudenza citata, “non si può
oggi seriamente sostenere che gli artt. 86
ed 87 del D.Lgs. 01.08.2003, n. 259, lascino
al Comune esclusivamente un mero
coordinamento formale della procedura
autorizzatoria, privandolo di ogni
competenza propria, solo perché riservano la
verifica iniziale del rispetto dei limiti di
esposizione ai campi elettrici ed
elettromagnetici fissati dallo Stato
all’ARPA, ente tecnico istituzionalmente
preposto ad effettuare verifiche istruttorie
del tipo in esame. La normativa specifica in
materia di antenne e l’ordinaria normativa
edilizia soccorrono a dirimere ogni dubbio
al riguardo. In particolare, l’art. 86,
comma 3, del citato D.Lgs. n. 259/2003
assimila le stazioni radio base alle opere
di urbanizzazione primaria. Ad esse si
applica, pertanto, la normativa vigente in
materia (DPR n. 380 del 2001). Il comma 4
prevede che restano ferme anche le
disposizioni in materia di tutela ambientale
(DLgs. n. 490 del 1999) e di servitù
militari.” (Tar Lazio, n. 2690/2009
cit.) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 29.09.2011 n. 1691 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Impianto di radiodiffusione sonora -
Scostamento dai parametri di emissione
autorizzati - Controllo degli Ispettorati
Territoriali del Ministero - Provvedimento
sanzionatorio definitivo - In assenza di
comunicazione di avvio del procedimento -
Illegittimità.
In materia di impianti di radiodiffusione,
in presenza di uno scostamento dai parametri
tecnici di emissione autorizzati, l'attività
di controllo degli organi ministeriali a ciò
preposti si esplica, non già con l'adozione
di provvedimenti sanzionatori definitivi,
bensì mediante la diffida al ripristino
delle modalità di esercizio dell'impianto in
conformità del titolo, accompagnata dalla
disattivazione dell'impianto sino al
predetto ripristino.
Nel caso di specie,
l'Ispettorato Territoriale del Ministero ha
illegittimamente adottato un provvedimento
definitivo, non preceduto dall'avviso di
avvio del procedimento e non riconducibile
all'attività di controllo di spettanza degli
organi periferici del Ministero, cui pertiene,
semmai, il potere di diffida
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.09.2011 n.
2153 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di edificare entro il raggio di 200
metri dal perimetro cimiteriale non può
riguardare anche gli impianti di telefonia
mobile, sia perché la realizzazione di tali
infrastrutture non appare in contrasto con
nessuna delle tre finalità sottese alla
disciplina posta dall’art. 338, comma 1, del
R.D. n. 1265/1934 (assicurare condizioni di
igiene e di salubrità mediante la
conservazione di una “cintura sanitaria”
intorno al cimitero, consentire futuri
ampliamenti del cimitero, garantendo il
rispetto della tranquillità ed il decoro dei
luoghi di sepoltura), sia perché l’art. 86
del decreto legislativo n. 259/2003
assimila, ad ogni effetto, tali impianti
alle opere di urbanizzazione primaria di cui
all’articolo 16, comma 7, del D.P.R. n.
380/2001, e tale assimilazione rende gli
impianti di cui trattasi compatibili con
qualsiasi destinazione urbanistica delle
diverse zone del territorio comunale.
Si registrano orientamenti contrastanti in
merito alla compatibilità degli impianti di
telefonia mobile con il vincolo di
inedificabilità posto dall’art. 338, comma
1, del R.D. n. 1265 del 27.07.1934, secondo
il quale “i cimiteri devono essere
collocati alla distanza di almeno 200 metri
dal centro abitato. È vietato costruire
intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il
raggio di 200 metri dal perimetro
dell’impianto cimiteriale, quale risultante
dagli strumenti urbanistici vigenti nel
comune o, in difetto di essi, comunque quale
esistente in fatto, salve le deroghe ed
eccezioni previste dalla legge”. In
particolare:
- il primo orientamento (ex multis,
TAR Lombardia Brescia, Sez. I, 01.12.2009,
n. 2381; TAR Toscana Firenze, Sez. I,
ordinanza 20.05.2009, n. 397), invocato dal
Comune di Orta di Atella nella motivazione
del provvedimento impugnato, si fonda sul
seguente ragionamento:
a) il vincolo cimiteriale ha una triplice
finalità -perché, oltre a soddisfare
esigenze di carattere sanitarie ed a
salvaguardare le possibilità di espansione
del perimetro cimiteriale, tutela anche la
c.d. pietas nei confronti dei
defunti, garantendo il rispetto della
tranquillità ed il decoro dei luoghi di
sepoltura- e tali finalità vengono
pregiudicate anche dalla realizzazione di
una struttura ad elevato impatto
sull’ambiente, quale è un traliccio per le
telecomunicazioni;
b) il vincolo cimiteriale non è riferito
soltanto agli immobili destinati alla
stabile residenza di persone, perché l’art.
338 del R.D. n. 1265/1934 reca un divieto
generalizzato di costruire nella fascia di
rispetto cimiteriale, senza limitare tale
divieto a specifiche tipologie di manufatti;
c) le valutazioni in fatto sulla concreta
compatibilità di un manufatto con la fascia
di rispetto cimiteriale sono quindi estranee
alla disciplina del vincolo di cui trattasi,
che si fonda su valutazioni astratte operate
una volta per tutte dal legislatore;
- a fronte di tale orientamento, la
giurisprudenza attualmente maggioritaria (in
particolare, Cons. Stato, Sez. VI, ordinanza
16.07.2009, n. 3657, che riforma l’ordinanza
del TAR Toscana Firenze, Sez. I, n.
397/2009; Cons. Stato, Sez. VI, ordinanza
24.02.2010, n. 877, che sospende la sentenza
del TAR Lombardia Brescia, Sez. I, n.
2381/2009; TAR Toscana Firenze, Sez. I,
05.05.2010, n. 1239; TAR Lazio Roma, Sez.
II-bis, 14.05.2007, n. 4367) afferma che gli
impianti di telefonia mobile risultano
compatibili con il vincolo di rispetto
cimiteriale, la cui ratio non risulta
in alcun modo compromessa da una scelta
localizzativa degli stessi nella fascia di
rispetto cimiteriale.
Sulla scorta del richiamato orientamento
maggioritario, il Collegio ritiene di dover
confermare in questa sede la decisione
assunta in sede cautelare per le seguenti
ragioni:
- innanzitutto deve ritenersi che il divieto
di edificare entro il raggio di 200 metri
dal perimetro cimiteriale non possa
riguardare anche gli impianti di telefonia
mobile, sia perché la realizzazione di tali
infrastrutture non appare in contrasto con
nessuna delle tre finalità sottese alla
disciplina posta dall’art. 338, comma 1, del
R.D. n. 1265/1934 (assicurare condizioni di
igiene e di salubrità mediante la
conservazione di una “cintura sanitaria”
intorno al cimitero, consentire futuri
ampliamenti del cimitero, garantendo il
rispetto della tranquillità ed il decoro dei
luoghi di sepoltura), sia perché l’art. 86
del decreto legislativo n. 259/2003
assimila, ad ogni effetto, tali impianti
alle opere di urbanizzazione primaria di cui
all’articolo 16, comma 7, del D.P.R. n.
380/2001, e tale assimilazione rende gli
impianti di cui trattasi compatibili con
qualsiasi destinazione urbanistica delle
diverse zone del territorio comunale (ex
multis, Cons. Stato, Sez. VI,
15.07.2010, n. 4557);
- inoltre -quand’anche si opinasse
diversamente- si deve ribadire in questa
sede che il Comune di Orta di Atella non ha
operato un’adeguata ponderazione
dell’interesse della società ricorrente ad
evitare la rimozione di una stazione radio
base già realizzata, così violando la
disposizione generale in materia di
autotutela decisoria posta dall’art.
21-nonies della legge n. 241/1990. In
particolare l’Amministrazione comunale non
ha tenuto conto del fatto che i lavori per
la realizzazione dell’impianto risultano
ultimati da oltre un anno (a seguito della
decadenza -per effetto del decorso del
termine di 45 giorni previsto dall’art. 27,
comma 3, del D.P.R. n. 380/2001- dell’ordine
di sospensione dei lavori inizialmente
adottato con l’ordinanza n. 66 del
04.11.2009, ritualmente notificata in pari
data al sig. ..., in qualità dipendente
della società ricorrente), né delle spese
sostenute dalla società ricorrente per la
realizzazione dell’impianto stesso, ma si è
limitata ad evidenziare in motivazione che «l’impianto
non è entrato in funzione in quanto
sottoposto a sequestro probatorio e
preventivo da parte della competente procura
della Repubblica», sequestro peraltro
revocato dal G.I.P. del Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere con provvedimento del
17.03.2010
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 01.09.2011 n. 4261 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Ceruti,
Lo stato della normativa e del contenzioso
amministrativo in materia di inquinamento
elettromagnetico (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: TELEFONIA/
Una sentenza del Consiglio di stato.
Mega-antenna ko.
Autorizzazione data. E ritirata.
Il Comune dice il sospirato “sì”
all'installazione della stazione radio base
per la telefonia cellulare. Ma poi si
accorge che l'impianto è in contrasto con le
norme urbanistiche e annulla
l'autorizzazione in via di autotutela. E in
seguito, dopo una lunga controversia
giudiziaria, decreta la demolizione della
mega-antenna, vale a dire la sorte che tocca
(o dovrebbe toccare) a tutte le strutture
abusive.
Possibile? Sì, l'amministrazione ne ha
facoltà.
È quanto emerge dalla
sentenza 22.06.2011 n. 3783 della
IV sezione del Consiglio di Stato.
Zero tituli.
Accolto il ricorso di un Comune veneto.
Sbaglia il Tar, sia pure nell'ambito di
un'intricata vicenda: l'unificazione
procedimentale e il conseguente assorbimento
dei profili edilizi nell'unico titolo
autoritativo ex articolo 87 del codice delle
comunicazioni non possono comunque
comportare la variazione della natura
giuridica del medesimo titolo edilizio
assorbito. Né possono implicare
assolutamente il venir meno dei poteri di
governo del territorio da parte del Comune.
In base alla legge 36/2001, infatti, gli
enti locali possono adottare misure «programmatorie
integrative» per localizzare gli
impianti, in modo tale da minimizzare
l'esposizione dei cittadini residenti ai
campi elettromagnetici.
Gli obiettivi sono disciplinare al meglio
l'utilizzo del territorio e combattere
l'elettrosmog. L'amministrazione, tuttavia,
non si può spingere fino a impedire -o a
rendere eccessivamente onerosa- la
possibilità di installare le stazioni radio
base di telefonia sul territorio comunale.
Il titolo abilitativo per la realizzazione
della mega-antenna si costituisce in forza
di una Dia oppure di un silenzio-assenso,
nel senso che le istanze e denunce di inizio
di attività si intendono accolte se, entro
novanta giorni dalla relativa domanda, non
sia stato comunicato un provvedimento di
diniego in conformità ai principi di cui
alla legge 241/1990.
Via alle ruspe.
L'impianto, nel caso di specie, è stato
installato in base ad un'autorizzazione
annullata in autotutela in quanto
contrastante con la programmazione comunale:
risulta dunque privo di un titolo giuridico
valido.
L'amministrazione preposta alla vigilanza,
quindi, deve adottare i poteri sanzionatori
e ripristinatori di cui al testo unico
dell'edilizia (Dpr 380/2001), proprio perché
in casi come questo manca del tutto la
verifica dei profili di conformità
urbanistica
(articolo ItaliaOggi
del 25.06.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è necessaria la presentazione
della scia per l’adeguamento di un impianto
radioelettrico preesistente.
Nella pronuncia in rassegna il titolare di
un impianto di telefonia GSM regolarmente
autorizzato, ubicato in un Comune lombardo,
ha presentato allo stesso Ente una DIA, ai
sensi dell’art. 87-bis del Codice delle
Comunicazioni, al fine di adeguarlo alle più
moderne tecnologie. Dopo aver ricevuto la
nota con cui il Responsabile dello Sportello
Unico del Comune ha comunicato che
l’intervento denunciato non sarebbe più
soggetto a DIA ma a SCIA, ritenendo l’atto
illegittimo, la società lo ha impugnato
deducendo violazione di legge ed eccesso di
potere sotto diversi profili.
I giudici del Tribunale amministrativo di
Brescia, accogliendo il ricorso, ricordano
che la materia delle telecomunicazioni è
disciplinata dal Testo Unico approvato con
D.Lgs. 01.08.2003, n. 259, cosiddetto Codice
delle Comunicazioni Elettroniche, il quale
all’art. 4, tra gli obiettivi generali della
disciplina, prevede la promozione della
semplificazione dei procedimenti
amministrativi e la partecipazione ad essi
dei soggetti interessati, attraverso
l'adozione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti nei confronti
delle imprese che forniscono reti e servizi
di comunicazione elettronica.
Nell’ottica della semplificazione, spiegano
i giudici lombardi, per evitare il
proliferare di reti di telefonia, il
legislatore, in sede di conversione del D.L.
25.03.2010, n. 40, è intervenuto, con la L.
22.05.2010, n. 73, aggiungendo al corpo del
Decreto l’art. 5-bis, con cui è stato
inserito nel Codice delle Comunicazioni
Elettroniche l’art. 87-bis a mente del quale
“Al fine di accelerare la realizzazione
degli investimenti per il completamento
della rete di banda larga mobile, nel caso
di installazione di apparati con tecnologia
UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su
infrastrutture per impianti radioelettrici
preesistenti o di modifica delle
caratteristiche trasmissive, fermo restando
il rispetto dei limiti, dei valori e degli
obiettivi di cui all'articolo 87 nonché di
quanto disposto al comma 3-bis del medesimo
articolo, è sufficiente la denuncia di
inizio attività, conforme ai modelli
predisposti dagli enti locali e, ove non
predisposti, al modello B di cui
all'allegato n. 13. Qualora entro trenta
giorni dalla presentazione del progetto e
della relativa domanda sia stato comunicato
un provvedimento di diniego da parte
dell'ente locale o un parere negativo da
parte dell'organismo competente di cui
all'articolo 14 della legge 22.02.2001, n.
36, la denuncia è priva di effetti”.
Detta norma è entrata in vigore, in uno con
la legge di conversione n. 73/2010, il
26.05.2010.
A distanza di circa due mesi il D.L.
31.05.2010, n. 78 (Manovra economica), con
l’art. 49, comma 4-bis ha sostituito l'art.
19 della legge 07.08.1990, n. 241, con
l’art. 19 (Segnalazione certificata di
inizio attività - SCIA). Dopo alcune
iniziali incertezze interpretative è
intervenuto il Ministro per la
Semplificazione, con la nota P.C.M. del
16.09.2010, chiarendo che la S.C.I.A. deve
ritenersi applicabile al T.U. dell’edilizia
n. 380/2001, mediante il meccanismo della
sostituzione automatica di norme; osservano
i giudici bresciani, tuttavia, come identico
discorso non possa farsi per il Codice delle
Comunicazioni Elettroniche in quanto la
disciplina in esso contenuta si pone in
rapporto di specialità rispetto al Testo
unico dell’Edilizia.
In proposito deve ribadirsi la sostanziale
esigenza di semplificazione sottesa a tale
disciplina, che risulterebbe vanificata
dall’applicabilità della SCIA, richiamandosi
quanto affermato dal Giudice delle Leggi
nella pronuncia n. 223/2005 laddove afferma
che la disposizione che ammette la
formazione del titolo per silentium
prevede moduli di definizione del
procedimento, informati alle regole della
semplificazione amministrativa e della
celerità, espressivi in quanto tali di un
principio fondamentale di diretta
derivazione comunitaria. In altri termini,
la disciplina dettata dal D.Lgs. 259/2003
costituisce normativa speciale e, come tale,
non suscettibile di essere modificata da
quella generale dettata dal T.U.
dell'edilizia.
La compiutezza della suddetta disciplina
speciale induce a ritenere che i titoli
abilitativi da esso previsti (autorizzazione
e denuncia di inizio attività) malgrado la
identità del nomen con gli istituti
previsti dal T.U. dell'edilizia, siano
provvedimenti del tutto autonomi che
assolvono integralmente le esigenze proprie
delle telecomunicazioni e quelle
territoriali alla cura degli enti locali,
come è desumibile dalla singolarità del
procedimento, dalla qualificazione di opere
di urbanizzazione primaria, nonché dalla
necessità cui è finalizzata la disciplina
del D.Lgs. 259/2003 di semplificare
l'attività edilizia relativa alle
infrastrutture di comunicazione elettronica
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.07.2010, n.
4557; v. anche TAR Lazio Roma, sez. II,
19.07.2006, n. 6056) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza
22.06.2011 n. 1660 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Telecomunicazioni:
la disciplina dettata dal D.Lgs. 259/2003
costituisce normativa speciale e, come tale,
non suscettibile di essere modificata da
quella generale dettata dal T.U.
dell'edilizia.
La compiutezza della suddetta disciplina
speciale induce a ritenere che i titoli
abilitativi da esso previsti (autorizzazione
e denuncia di inizio attività) malgrado la
identità del nomen con gli istituti previsti
dal T.U. dell'edilizia, siano provvedimenti
del tutto autonomi che assolvono
integralmente le esigenze proprie delle
telecomunicazioni e quelle territoriali alla
cura degli enti locali, come è desumibile
dalla singolarità del procedimento, dalla
qualificazione di opere di urbanizzazione
primaria, nonché dalla necessità cui è
finalizzata la disciplina del D.Lgs.
259/2003 di semplificare l'attività edilizia
relativa alle infrastrutture di
comunicazione elettronica.
La materia delle telecomunicazioni è
disciplinata dal Testo Unico approvato con
D.Lgs. 01.08.2003, n. 259, cosiddetto Codice
delle Comunicazioni Elettroniche, il quale
all’art. 4, tra gli obiettivi generali della
disciplina, prevede la promozione della
semplificazione dei procedimenti
amministrativi e la partecipazione ad essi
dei soggetti interessati, attraverso
l'adozione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti nei confronti
delle imprese che forniscono reti e servizi
di comunicazione elettronica.
In tale ottica l’art. 87 prevede che
l’installazione di tali impianti avvenga con
autorizzazione unica da richiedere all’Ente
locale, conseguibile con il sistema del
silenzio-assenso: procedura ritenuta
conforme al parametro costituzionale con
sentenza della Corte cost. n. 336 del
27.07.2005; è inoltre specificato che nel
caso di installazione di impianti, con
tecnologia UMTS od altre, con potenza in
singola antenna uguale od inferiore ai 20
Watt, fermo restando il rispetto dei limiti
di esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità indicati, è
sufficiente la denuncia di inizio attività,
conforme ai modelli predisposti dagli Enti
locali e, ove non predisposti, al modello B
di cui all'allegato n. 13.
Sempre nell’ottica della semplificazione,
per evitare il proliferare di reti di
telefonia, il legislatore, in sede di
conversione del D.L. 25.03.2010, n. 40, è
intervenuto, con la L. 22.05.2010, n. 73,
aggiungendo al corpo del Decreto l’art.
5-bis, con cui è stato inserito nel Codice
delle Comunicazioni Elettroniche l’art.
87-bis a mente del quale “Al fine di
accelerare la realizzazione degli
investimenti per il completamento della rete
di banda larga mobile, nel caso di
installazione di apparati con tecnologia
UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su
infrastrutture per impianti radioelettrici
preesistenti o di modifica delle
caratteristiche trasmissive, fermo restando
il rispetto dei limiti, dei valori e degli
obiettivi di cui all'articolo 87 nonché di
quanto disposto al comma 3bis del medesimo
articolo, è sufficiente la denuncia di
inizio attività, conforme ai modelli
predisposti dagli enti locali e, ove non
predisposti, al modello B di cui
all'allegato n. 13. Qualora entro trenta
giorni dalla presentazione del progetto e
della relativa domanda sia stato comunicato
un provvedimento di diniego da parte
dell'ente locale o un parere negativo da
parte dell'organismo competente di cui
all'articolo 14 della legge 22.02.2001, n.
36, la denuncia è priva di effetti”.
Detta norma è entrata in vigore, in uno con
la legge di conversione n. 73/2010, il
26.05.2010.
A distanza di circa due mesi il D.L.
31.05.2010, n. 78 (Manovra economica), con
l’art. 49, comma 4-bis, ha sostituito l'art.
19 della legge 07.08.1990, n. 241, con il
seguente: "Art. 19. (Segnalazione
certificata di inizio attività - SCIA) - 1.
Ogni atto di autorizzazione, licenza,
concessione non costitutiva, permesso o
nulla osta comunque denominato, comprese le
domande per le iscrizioni in albi o ruoli
richieste per l'esercizio di attività
imprenditoriale, commerciale o artigianale
il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall'accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o da atti
amministrativi a contenuto generale, e non
sia previsto alcun limite o contingente
complessivo o specifici strumenti di
programmazione settoriale per il rilascio
degli atti stessi, è sostituito da una
segnalazione dell'interessato, con la sola
esclusione dei casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa
nazionale, alla pubblica sicurezza,
all'immigrazione, all'asilo, alla
cittadinanza, all'amministrazione della
giustizia, all'amministrazione delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti
le reti di acquisizione del gettito, anche
derivante dal gioco, nonché di quelli
imposti dalla normativa comunitaria. ……2.
L'attività oggetto della segnalazione può
essere iniziata dalla data della
presentazione della segnalazione
all'amministrazione competente. 3.
L'amministrazione competente, in caso di
accertata carenza dei requisiti e dei
presupposti di cui al comma 1, nel termine
di sessanta giorni dal ricevimento della
segnalazione di cui al medesimo comma,
adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa,
salvo che, ove ciò sia possibile,
l'interessato provveda a conformare alla
normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato
dall'amministrazione, in ogni caso non
inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque
salvo il potere dell'amministrazione
competente di assumere determinazioni in via
di autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies…..4. Decorso il
termine per l'adozione dei provvedimenti di
cui al primo periodo del comma 3,
all'amministrazione è consentito intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno
per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente…..".
L'art. 1 della L. 30.07.2010, n. 122, in
sede di conversione, ha poi aggiunto il
comma 4ter, il quale precisa che “Il
comma 4-bis attiene alla tutela della
concorrenza ai sensi dell'articolo 117,
secondo comma, lettera e), della
Costituzione, e costituisce livello
essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali ai sensi della
lettera m) del medesimo comma. Le
espressioni "segnalazione certificata di
inizio attività" e "SCIA" sostituiscono,
rispettivamente, quelle di "dichiarazione di
inizio attività” e "DIA", ovunque ricorrano,
anche come parte di una espressione più
ampia, e la disciplina di cui al comma 4bis
sostituisce direttamente, dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto, quella della
dichiarazione di inizio attività recata da
ogni normativa statale e regionale”.
Detta norma è entrata in vigore il
31.07.2010.
Dopo alcune iniziali incertezze
interpretative è intervenuto il Ministro per
la Semplificazione, con la nota P.C.M. del
16.09.2010, chiarendo che la S.C.I.A. deve
ritenersi applicabile al T.U. dell’edilizia
n. 380/2001, mediante il meccanismo della
sostituzione automatica di norme; peraltro
da ultimo tale applicabilità è stata
espressamente sancita dall’art. 5 del D.L.
13.05.2011 n. 70, a tenore del quale: ”1.
Per liberalizzare le costruzioni private
sono apportate modificazioni alla disciplina
vigente nei termini che seguono: ….b)
estensione della segnalazione certificata di
inizio attivita' (SCIA) agli interventi
edilizi precedentemente compiuti con
denuncia di inizio attivita' (DIA)…”.
Osserva il Collegio come identico discorso
non possa, tuttavia, farsi per il Codice
delle Comunicazioni Elettroniche in quanto
la disciplina in esso contenuta si pone in
rapporto di specialità rispetto al Testo
unico dell’Edilizia.
In proposito deve ribadirsi la sostanziale
esigenza di semplificazione sottesa a tale
disciplina, che risulterebbe vanificata
dall’applicabilità della SCIA, richiamandosi
quanto affermato dal Giudice delle Leggi
nella suindicata pronuncia n. 223/2005
laddove afferma che la disposizione che
ammette la formazione del titolo per
silentium “prevede moduli di
definizione del procedimento, informati alle
regole della semplificazione amministrativa
e della celerità, espressivi in quanto tali
di un principio fondamentale di diretta
derivazione comunitaria. Del resto,
l'evoluzione attuale dell'intero sistema
amministrativo si caratterizza per una
sempre più accentuata valenza dei "principi
di semplificazione" nella regolamentazione
di talune tipologie procedimentali ed in
relazione a determinati interessi che
vengono in rilievo (cfr. artt. 19 e 20 della
legge n. 241 del 1990, come modificati
dall'art. 3 del decreto-legge 14.03.2005, n.
35, recante «Disposizioni urgenti
nell'ambito del Piano di azione per lo
sviluppo economico, sociale e territoriale»,
convertito, con modificazioni, nella legge
14.05.2005, n. 80). Nel caso di specie, la
pluralità delle esigenze e dei valori di
rilevanza costituzionale sottesi alle
"materie" nel cui ambito rientrano le
disposizioni censurate, in una con la
finalità complessiva di garantire un rapido
sviluppo dell'intero sistema delle
comunicazioni elettroniche (cfr. sentenza n.
307 del 2003) secondo i dettami sanciti a
livello comunitario, induce a ritenere che
le norme in esame siano espressione di
principi fondamentali….. In definitiva, le
norme impugnate perseguono il fine, che
costituisce un principio dell'urbanistica,
che la legislazione regionale e le funzioni
amministrative in materia non risultino
inutilmente gravose per gli amministrati e
siano dirette a semplificare le procedure
(sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2. del
Considerato in diritto)”.
In altri termini, la disciplina dettata dal
D.Lgs. 259/2003 costituisce normativa
speciale e, come tale, non suscettibile di
essere modificata da quella generale dettata
dal T.U. dell'edilizia.
La compiutezza della suddetta disciplina
speciale induce a ritenere che i titoli
abilitativi da esso previsti (autorizzazione
e denuncia di inizio attività) malgrado la
identità del nomen con gli istituti
previsti dal T.U. dell'edilizia, siano
provvedimenti del tutto autonomi che
assolvono integralmente le esigenze proprie
delle telecomunicazioni e quelle
territoriali alla cura degli enti locali,
come è desumibile dalla singolarità del
procedimento, dalla qualificazione di opere
di urbanizzazione primaria, nonché dalla
necessità cui è finalizzata la disciplina
del D.Lgs. 259/2003 di semplificare
l'attività edilizia relativa alle
infrastrutture di comunicazione elettronica
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.07.2010, n.
4557; v. anche TAR Lazio Roma, sez. II,
19.07.2006, n. 6056).
Da quanto precede discende l’illegittimità
del provvedimento comunale impugnato per
aver postulato la necessità di presentare la
SCIA per l’adeguamento di un impianto
radioelettrico preesistente mediante
modifica della SRB per il sistema GSM, per
il sistema DCS e per il sistema UMTS,
laddove l’art. 87-bis del D.Lgs. 259/2003
espressamente indica come “sufficiente”
la DIA
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.06.2011 n. 1660 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Modifiche impianto radioelettrico - Titolo
abilitativo - DIA prevista dal Codice delle
Comunicazioni (d.lgs. n. 259/2003) -
Sostituibilità con la SCIA di cui all'art.
49, comma 4-bis, del D.L. 31.05.2010, n.
78 - Esclusione.
Per apportare le modifiche ad un impianto
radioelettrico preesistente mediante
installazione di apparati con tecnologia
UMTS è sufficiente la presentazione della
Denuncia di Inizio Attività (DIA), così come
previsto dall'art. 87-bis del D. Lgs.
259/2003 (c.d. Codice delle comunicazioni
elettroniche), non essendo necessaria la
presentazione della Segnalazione Certificata
di Inizio Attività (SCIA) di cui all'art.
49, comma 4bis, del D.L. 31.05.2010, n.
78, (conv. L. 122/2010).
Il Ministro per la Semplificazione, con la
nota P.C.M. del 16.09.2010, ha
chiarito che la SCIA si applica al DPR n.
380/2001 (c.d. Testo Unico dell'edilizia),
mediante il meccanismo della sostituzione
automatica nelle norme in esso contenute
della parola DIA con SCIA. Ciò però non
comporta, in mancanza di un'espressa
previsione legislativa, anche l'automatica
sostituzione nelle norme contenute nel
Codice delle comunicazioni elettroniche
della parola DIA con SCIA.
Ed infatti, i
titoli abilitativi previsti dal d.lgs. n.
259/2003 (autorizzazione e denuncia di
inizio attività), malgrado l'identità del nomen
con gli istituti previsti dal T.U.
dell'edilizia, sono del tutto autonomi ed
assolvono le diverse e esigenze proprie del
settore delle telecomunicazioni rispetto a
quelle dell'edilizia territoriale (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 15.07.2010, n. 4557)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
22.06.2011 n.
1610 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lo Stato determina, con criteri
unitari, i limiti di esposizione, i lavori
di attenzione e gli obiettivi di qualità
delle infrastrutture di reti di
telecomunicazione.
Con la legge 01.08.2002, n. 166, in
esecuzione delle direttive 2002/19/CE,
2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE, del
Parlamento europeo e del Consiglio, del
07.03.2002, la disciplina della copertura
del sistema di comunicazioni mediante
telefonia mobile è stata accentrata presso
lo Stato, che ha posto la disciplina
specifica con il d.lgs. 01.08.2003, n. 259,
emanato in attuazione della delega contenuta
nell’art. 41 della predetta legge n. 166.
In questo quadro, la scelta di inserire le
infrastrutture di reti di telecomunicazione
fra le opere di urbanizzazione primaria
esprime un principio fondamentale della
legislazione urbanistica, come tale di
competenza dello Stato (Cons. Stato, VI,
27.12.2010, n. 9404).
Di conseguenza, il potere a contenuto
pianificatorio dei comuni di fissare, ai
sensi dell'art. 8, u.c., della citata l. n.
36 del 2001, criteri localizzativi per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici non si può mai
tradurre nel potere di sospendere la
formazione dei titoli abilitativi formati o
in corso di formazione ai sensi degli artt.
86 e 87 Codice delle comunicazioni
elettroniche. La citata potestà dei Comuni
deve tradursi in regole ragionevoli,
motivate e certe, poste a presidio di
interessi di rilievo pubblico, ma non può
tradursi in un generalizzato divieto di
installazione in zone urbanistiche
identificate.
Tale previsione verrebbe infatti a
costituire un'inammissibile misura di
carattere generale, sostanzialmente
cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia
mobile, in contrasto con l'art. 4, l. n. 36
del 2001, che riserva alla competenza dello
Stato la determinazione, con criteri
unitari, dei limiti di esposizione, dei
lavori di attenzione e degli obiettivi di
qualità, in base a parametri da applicarsi
su tutto il territorio dello Stato (Cons.
Stato, VI, 27.12.2010, n. 9414) (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.06.2011 n. 3646 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Deve considerarsi illegittimo il
regolamento comunale che stabilisca le zone
del territorio in cui possono essere
installati gli impianti radio base di
telefonia cellulare e le distanze che gli
stessi devono avere dalle civili abitazioni
o dalle aree sensibili. Agli enti locali,
infatti, spetta solo regolamentare
l'installazione dei suddetti impianti da un
punto di vista urbanistico e territoriale,
dando rilievo a particolari accorgimenti
edilizi che possano ridurre ulteriormente
l'esposizione alle onde elettromagnetiche.
Ai fini della determinazione della potenza
dell'impianto di telecomunicazione, occorre
tenere in considerazione solo quella del
singolo impianto e non anche quella di altri
impianti eventualmente esistenti sul
medesimo traliccio.
Il Collegio non
ravvisa ragione di discostarsi dalla
giurisprudenza secondo cui “è illegittimo
un regolamento comunale che stabilisce in
quali zone del territorio possono essere
installati gli impianti radio base di
telefonia cellulare e quali distanze devono
avere dalle abitazioni o dalle aree
sensibili. I comuni possono solo
regolamentare le installazioni delle
stazioni radio base sotto il profilo
urbanistico e territoriale, non potendo
neppure regolamentare l'individuazione dei
siti idonei all'installazione. I comuni
possono esercitare in materia una potestà
regolamentare del tutto sussidiaria, che
concerne esclusivamente i profili
urbanistici e territoriali (con esclusione
dell'individuazione dei siti) e l'eventuale
indicazione di ulteriori, particolari
accorgimenti edilizi che possano utilmente
concorrere alla minimizzazione
dell'esposizione” (così TAR Sicilia
Catania, sez. III, 29.01.2002, n. 140,
successivamente ripresa da TAR Calabria
Catanzaro, sez. II, 05.12.2006, n. 1573, di
analogo contenuto).
Come già affermato da questo Tribunale nella
sentenza n. 16 del 12.01.2007, quindi, è
illegittimo il regolamento che
esplicitamente estenda i vincoli stabiliti
unicamente per impianti di potenza superiore
-i quali possono essere realizzati solo
previa individuazione dei siti per la
localizzazione- anche alle SRB di potenza
inferiore a 300W. Per quest’ultime la
disciplina è dettata direttamente dalla
legge regionale che ne consente la
realizzazione in tutto il territorio
comunale, salvo gli espliciti divieti di cui
alla medesima legge regionale.
Come già affermato dalla giurisprudenza, ai
fini della determinazione della potenza
dell’impianto si deve considerare solo
quella del singolo impianto e non anche
quella degli altri impianti eventualmente
esistenti sul medesimo traliccio (cfr la
sentenza TAR Milano, 10.04.2002, n. 3713,
con cui si è esclusa la sommatoria delle
potenze di due stazioni presenti sul
medesimo traliccio). In tal caso si deve
valutare singolarmente l’impianto, fatto
salvo l’aspetto dei contributi di campo
elettromagnetico, che, nel caso in esame
sono stati ritenuti rispettosi degli stretti
parametri di legge da parte dell’ARPA
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 13.06.2011 n. 899
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo un
regolamento comunale che stabilisce in quali
zone del territorio possono essere
installati gli impianti radio base di
telefonia cellulare e quali distanze devono
avere dalle abitazioni o dalle aree
sensibili. I comuni possono solo
regolamentare le installazioni delle
stazioni radio base sotto il profilo
urbanistico e territoriale, non potendo
neppure regolamentare l'individuazione dei
siti idonei all'installazione. I comuni
possono esercitare in materia una potestà
regolamentare del tutto sussidiaria, che
concerne esclusivamente i profili
urbanistici e territoriali (con esclusione
dell'individuazione dei siti) e l'eventuale
indicazione di ulteriori, particolari
accorgimenti edilizi che possano utilmente
concorrere alla minimizzazione
dell'esposizione.
- E' illegittimo il regolamento che
esplicitamente estenda i vincoli stabiliti
unicamente per impianti di potenza superiore
-i quali possono essere realizzati solo
previa individuazione dei siti per la
localizzazione- anche alle SRB di potenza
inferiore a 300W. Per quest’ultime la
disciplina è dettata direttamente dalla
legge regionale che ne consente la
realizzazione in tutto il territorio
comunale, salvo gli espliciti divieti di cui
alla medesima legge regionale, non
ravvisabili nel caso di specie.
- Il concetto di “corrispondenza” deve
intendersi come coincidente con il perimetro
dei c.d. siti sensibili (scuole, asili,
ospedali, oratori, ecc.), ma non può
comunque ritenersi sussistere nel caso di
specie in cui le distanze sono di 134 mt.
dal distretto ASL, 185 mt. dall’oratorio (e
74 dalle pertinenze), 172 dalla scuola e 64
dalla caserma dei carabinieri.
- A norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n.
259 del 2003, relativo alla localizzazione
di infrastrutture di telecomunicazioni, è
possibile prescindere dalla destinazione
urbanistica del sito individuato per la loro
installazione in quanto le infrastrutture di
reti pubbliche di comunicazione, di cui agli
art. 87 e 88, sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.P.R.
06.06.2001 n. 380. Ne deriva che, anche alla
luce dell'art. 4, comma 7, l. reg. n. 11 del
2001 gli impianti radiobase di telefonia
mobile di potenza totale non superore a 300
watt non richiedono specifica
regolamentazione urbanistica, per cui sono
illegittime le disposizioni pianificatorie
comunali che introducono in termini assoluti
divieti di installazione per simili
impianti, anche solo su porzioni del
territorio comunale.
Circa l’inammissibilità della possibilità di
introdurre divieti generalizzati di
collocazioni delle SRB sul territorio
comunale, da tempo la giurisprudenza ha
chiarito che “è illegittimo un
regolamento comunale che stabilisce in quali
zone del territorio possono essere
installati gli impianti radio base di
telefonia cellulare e quali distanze devono
avere dalle abitazioni o dalle aree
sensibili. I comuni possono solo
regolamentare le installazioni delle
stazioni radio base sotto il profilo
urbanistico e territoriale, non potendo
neppure regolamentare l'individuazione dei
siti idonei all'installazione. I comuni
possono esercitare in materia una potestà
regolamentare del tutto sussidiaria, che
concerne esclusivamente i profili
urbanistici e territoriali (con esclusione
dell'individuazione dei siti) e l'eventuale
indicazione di ulteriori, particolari
accorgimenti edilizi che possano utilmente
concorrere alla minimizzazione
dell'esposizione” (così TAR Sicilia
Catania, sez. III, 29.01.2002, n. 140,
successivamente ripresa da TAR
Calabria-Catanzaro, sez. II, 05.12.2006, n.
1573, di analogo contenuto). Ne discende
l’incompetenza del Comune, dedotta con la
sesta censura.
Ciò esclude, conseguentemente, anche la
possibilità per il Comune, esercitata nel
caso di specie e censurata al quarto motivo
di ricorso, di introdurre, di fatto, tutele
ulteriori rispetto a quelle già garantite
attraverso la corretta applicazione della
norma, non solo prevedendo la collocazione
degli impianti all’esterno del centro
abitato, ma anche escludendo ogni
collocazione di impianti in intere aree come
l”Area1”.
Anche la quinta censura appare fondata. Dal
combinato disposto della L.R. 11/2001 e
della deliberazione della G.R. 7351 dell’11.12.2001, emerge come, definite le
“aree di particolare tutela”,
l’installazione degli impianti di
telecomunicazione, sia comunque possibile
per quelli con potenza totale ai connettori
di antenna non superiore a 300W.
Come già affermato da questo Tribunale nella
sentenza n. 16 del 12.01.2007, da cui non si
ravvisa ragione di discostarsi, quindi, è
illegittimo il regolamento che
esplicitamente estenda i vincoli stabiliti
unicamente per impianti di potenza superiore
-i quali possono essere realizzati solo
previa individuazione dei siti per la
localizzazione- anche alle SRB di potenza
inferiore a 300W. Per quest’ultime la
disciplina è dettata direttamente dalla
legge regionale che ne consente la
realizzazione in tutto il territorio
comunale, salvo gli espliciti divieti di cui
alla medesima legge regionale, non
ravvisabili nel caso di specie.
Invero la legge regionale escludeva la
collocazione di SRB di potenza anche
inferiore a 300W nel raggio di 75 metri dal
perimetri di siti c.d. “sensibili”
(scuole, asili, ospedali, oratori, ecc.), ma
la Corte costituzionale, con sentenza n. 331
del 2003 ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale della suddetta norma,
introdotta, modificando il comma 8 della
L.R. 11/2001, dalla l. reg. lombarda
06.03.2002 n. 4, art. 3, comma 12, lett. a).
Più precisamente la Corte ha chiarito che: “Per
far fronte alle esigenze di protezione
ambientale e sanitaria dall'esposizione a
campi elettromagnetici, il legislatore
statale, con le anzidette norme fondamentali
di principio, ha prescelto un criterio
basato esclusivamente su limiti di
immissione delle irradiazioni nei luoghi
particolarmente protetti, un criterio che è
essenzialmente diverso da quello stabilito
(sia pure non in alternativa, ma in
aggiunta) dalla legge regionale, basato
sulla distanza tra luoghi di emissione e
luoghi di immissione. Né, a giustificare il
tipo di intervento della legge lombarda, è
sufficiente il richiamo alla competenza
regionale in materia di governo del
territorio, che la legge quadro, al numero
1) della lettera d) dell'art. 3, riconosce
quanto a determinazione dei «criteri
localizzativi». A tale concetto non possono
infatti ricondursi divieti come quello in
esame, un divieto che, in particolari
condizioni di concentrazione urbanistica di
luoghi specialmente protetti, potrebbe
addirittura rendere impossibile la
realizzazione di una rete completa di
infrastrutture per le telecomunicazioni,
trasformandosi così da «criteri di
localizzazione» in «limitazioni alla
localizzazione», dunque in prescrizioni
aventi natura diversa da quella consentita
dalla citata norma della legge n. 36. Questa
interpretazione, d'altra parte, non è senza
una ragione di ordine generale,
corrispondendo a impegni di origine europea
e all'evidente nesso di strumentalità tra
impianti di ripetizione e diritti
costituzionali di comunicazione, attivi e
passivi.” (così Corte Costituzionale
sentenza n. 331 del 2003 citata).
Conseguentemente la norma è stata modificata
ed oggi prevede che “È comunque vietata
l’installazione di impianti per le
telecomunicazioni e per la radiotelevisione
in corrispondenza di asili, edifici
scolastici nonché strutture di accoglienza
socio-assistenziali, ospedali, carceri,
oratori, parco giochi, orfanotrofi e
strutture similari, e relative pertinenze,
che ospitano soggetti minorenni, salvo che
si tratti di impianti con potenze al
connettore d’antenna non superiori a 7 watt.”.
Il concetto di “corrispondenza” deve
intendersi come coincidente con il perimetro
dei c.d. siti sensibili, ma non può comunque
ritenersi sussistere nel caso di specie in
cui le distanze sono di 134 mt. dal
distretto ASL, 185 mt. dall’oratorio (e 74
dalle pertinenze), 172 dalla scuola e 64
dalla caserma dei carabinieri. In tal senso
si pone anche la pronuncia della Corte
Costituzionale n. 307 del 2003 che, con
riferimento alla legge della Regione Puglia,
ha ritenuto che la previsione del divieto di
localizzazione di SRB “su” siti
sensibili non eccedesse l’ambito di un
“criterio di localizzazione” la cui
previsione rientra nella competenza delle
Regioni ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett.
d), e dell’art. 8, comma 1, lett. e), della
legge quadro (36/2001).
Né può ritenersi rilevante, al fine di
contestare la potenza massima dell’impianto,
il fatto che sul medesimo traliccio sia
stata, molto tempo dopo il diniego
censurato, inoltrata la domanda di Vodafone
di collocamento di un nuovo impianto (che ha
portato al diniego del 2009 impugnato con il
ricorso sub R.G. 1088/2009).
Conclusivamente, quindi, il Collegio ritiene
di poter condividere il principio espresso
nella sentenza del TAR Milano, I,
13.01.2010, n. 23, in forza del quale: “A
norma dell'art. 86, comma 3, d.lgs. n. 259
del 2003, relativo alla localizzazione di
infrastrutture di telecomunicazioni, è
possibile prescindere dalla destinazione
urbanistica del sito individuato per la loro
installazione in quanto le infrastrutture di
reti pubbliche di comunicazione, di cui agli
art. 87 e 88, sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.P.R.
06.06.2001 n. 380. Ne deriva che, anche alla
luce dell'art. 4, comma 7, l. reg. n. 11 del
2001 gli impianti radiobase di telefonia
mobile di potenza totale non superore a 300
watt non richiedono specifica
regolamentazione urbanistica, per cui sono
illegittime le disposizioni pianificatorie
comunali che introducono in termini assoluti
divieti di installazione per simili
impianti, anche solo su porzioni del
territorio comunale” (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 13.06.2011 n. 898 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti radiomobili, vincoli di
localizzazione limitati.
E' consentito alle
Regioni ed ai Comuni, ciascuno per la sua
competenza, introdurre criteri localizzativi
degli impianti di telefonia mobile. Sono
considerati criteri localizzativi legittimi
i divieti di installazione su ospedali, case
di cura e di riposo, scuole e asili nido,
siccome riferiti a specifici edifici, mentre
vanno ritenute limitazioni alla
localizzazione (vietate) i criteri
distanziali generici ed eterogenei.
Secondo il quadro emergente della
giurisprudenza costituzionale, è consentito
alle regioni ed ai comuni, ciascuno per la
sua competenza, introdurre criteri
localizzativi degli impianti de quibus,
nell'ambito della funzione di definizione
degli "obiettivi di qualità",
consistenti in criteri localizzativi, di cui
all'art. 3, comma 1, lettera d, ed all'art.
8, comma 1, lettera e, e comma 6 della legge
quadro, mentre non è consentito introdurre
limitazioni alla localizzazione ( conf.:
Corte Cost.: 07.10. 2003 n. 307; 07.11.2003,
n. 331; 28.03.2006, n. 129).
Coerentemente, vanno considerati criteri
localizzativi (legittimi, ancorché espressi
"in negativo") i divieti di
installazione su ospedali, case di cura e di
riposo, scuole e asili nido, siccome
riferiti a specifici edifici, mentre vanno
ritenute limitazioni alla localizzazione
(vietate) i criteri distanziali generici ed
eterogenei, quali la prescrizione di
distanze minime, da rispettare
nell'installazione degli impianti, dal
perimetro esterno di edifici destinati ad
abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività
diverse da quelle specificamente connesse
all'esercizio degli impianti stessi, di
ospedali, case di cura e di riposo, edifici
adibiti al culto, scuole ed asili nido,
nonché di immobili vincolati ai sensi della
legislazione sui beni storico-artistici o
individuati come edifici di pregio
storico-architettonico, di parchi pubblici,
parchi gioco, aree verdi attrezzate ed
impianti sportivi.
Ritiene, quindi, il Collegio, alla stregua
dei superiori principi che il Comune
potrebbe dotarsi di un Piano o di un
Regolamento di localizzazione degli impianti
di telefonia mobile, ex art. 8, comma 6, L.
n. 36/2001 e art. 5 L.R. n. 30/2000, purché
finalizzato a consentire il completamento
della rete cellulare e l'efficace copertura
di tale servizio su tutto il territorio
comunale e non a porre inammissibili
limitazioni di localizzazione.
Invero, alla stregua dei superiori principi,
nella specie, il Comune non poteva
giustificare il parere negativo della
procedura edilizia decisa con la nota
gravata, in contrasto proprio con le
esigenze di speditezza propria di tale
settore, che oggi hanno trovato testuale
riscontro negli artt. 87 e 87-bis del D.Lgs
n. 259 del 2003 (ex plurimis cfr. Tar
Lazio, Roma, Sez. II, 9816/2007, TAR
Campania, Sez. VII, 29.05.2006, n. 6199; TAR
Abruzzo, 15.06.2006, n. 420; TAR Puglia,
Sez. Lecce, 03.11.2006, n. 5142).
Va, infine, precisato che detto arresto
procedimentale non poteva neppure essere
giustificato in riferimento alle esigenze di
tutela della salute della popolazione del
Comune (di cui, comunque, non vi è traccia
nel corpo motivazionale del provvedimento
impugnato), atteso che, ai sensi dell'art. 4
della legge 22.02.2001 n. 36, la materia
della salute pubblica inerente
all'esposizione ai campi elettromagnetici è
riservata alla competenza dello Stato e non
del comune (cfr.: Cons. Stato, Sez. VI,
20.12.2002 n. 7274).
Invero, nella specie, le accertate
violazioni di legge e discrasie rispetto al
paradigma procedimentale previsto dalla
legge si traducono anche in un deficit
motivazionale ed istruttorio, considerato,
in particolare che, nella specie, era
intervenuta la nota prot. n. 842/NIR-R/10
del 03.06.2010 dell’Agenzia Regionale per la
Protezione dell’Ambiente della Calabria (A.R.P.A.C.A.L.),
attestante la conformità della D.I.A. e la
compatibilità del progetto con i limiti di
esposizione, i valori di attenzione e gli
obiettivi di qualità di cui alla legge
22.02.2001 n. 36 e D.C.P.M 08.07.2003
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Calabria-Catanzaro,
sentenza 10.06.2011 n. 822 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione per
l'installazione di una antenna per la
telefonia mobile al di sopra di un edificio
sito nel centro storico.
Appare legittimo il diniego opposto da un
ente locale in merito ad una istanza
avanzata dalla società Wind tendente ad
ottenere l’autorizzazione per la
installazione di una antenna per la
telefonia mobile al di sopra di un edificio
situato nel centro storico, nel caso in cui
sia motivato con riferimento al fatto che:
a) l’antenna è di non irrilevanti
dimensioni,
b) la relativa installazione determinerebbe
una grave alterazione delle caratteristiche
del centro storico e delle visuali di
immobili anche di interesse storico
artistico; e ciò tanto più che, in
considerazione della molteplicità degli
interessi anche pubblici coinvolti, la
questione circa la migliore sistemazione
possibile dell’impianto può essere risolta
individuando una possibile diversa
collocazione dello stesso in un sito -che lo
stesso Comune può contribuire ad
individuare- che risulti compatibile sia con
le esigenze di sviluppo delle comunicazioni
telefoniche sia con l’interesse pubblico
alla tutela del centro storico dell’ente
locale (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
ordinanza 13.05.2011 n. 2115 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Telecomunicazioni - Ordinanza di
disattivazione di un impianto di
radiodiffusione - Precedente istanza di
autorizzazione allo spostamento
dell'impianto - Silenzio - Irrilevanza.
Il silenzio serbato dall'Amministrazione su
un'istanza volta ad ottenere
un'autorizzazione allo spostamento di un
impianto di radiodiffusione -tranne
l'ipotesi in cui esso abbia valore di
provvedimento di tacito assenso- non
legittima colui che l'ha presentata ad agire
in assenza di essa, e non può essere
invocata a giustificazione in quanto
l'inerzia serbata dalla ricorrente in
relazione alla violazione dell'obbligo di
provvedere da parte della P.A. configura
acquiescenza a tale silenzio (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 13.05.2011 n.
1243 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telecomunicazione - DIA -
Incompletezza documentale - Rigetto
dell’istanza - Illegittimità - Onere
dell'amministrazione di invitare
l'interessato ad integrare la documentazione
mancante.
La mancata allegazione, alla denuncia di
inizio attività (d.i.a) presentata ai sensi
del d.lgs. n. 259 del 2003, di taluni
documenti, non è idonea a sorreggere la
decisione, di dichiarare "improcedibile",
"inefficace e come mai presentata" la
stessa denuncia.
L'incompletezza documentale non è infatti di
per sé solo causa di rigetto di istanze
prodotte alla pubblica amministrazione, in
quanto sussiste, per principio generale del
procedimento amministrativo desumibile
dall'art. 6, lett. b), della legge n. 241
del 1990, l'onere dell'amministrazione di
invitare l'interessato ad integrare la
documentazione mancante (cfr. per tutte, Tar
Campania, sez. IV, n. 500/2004).
Tale principio è pacificamente applicabile
anche alla d.i.a. relativa ad impianti di
telecomunicazioni, posto che l'art. 87,
comma 5, del d.lgs. n. 259 del 2003, recante
il Codice delle comunicazioni elettroniche,
espressamente prevede la possibilità di
integrazioni documentali.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Potestà regolamentare del
Comune - Sospensione generalizzata degli
interventi di installazione di stazioni
radio base nelle more dell’approvazione del
regolamento - Illegittimità.
Ferma la potestà regolamentare dei Comuni
-nell'ambito del perimetro delineato dagli
artt. 86 ed 87 del d.l.vo 259/2003 e l. 36
del 2001 nell'interpretazione operatane
dalla giurisprudenza costituzionale (cfr.,
in particolare, Corte cost., sentenze n. 307
e n. 331 del 2003; n. 336 del 2005 e n. 103
del 2006)- nelle more dell'adozione dei
regolamenti non può ritenersi sussistere un
potere, generale ed assoluto, di sospensione
della realizzabilità degli interventi
finalizzati all’installazione degli impianti
di telefonia mobile (v. anche C.d.S., Sez.
VI, 27.12.2010, n. 9414).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - DIRITTO URBANISTICO -
Formazione del titolo abilitativo -
Sospensione dell’efficacia per mancanza del
certificato di regolarità contributiva.
Formatosi il titolo abilitativo, anche per
silentium, prima dell'inizio dei
lavori deve essere prodotto il certificato
di regolarità contributiva, di cui alla
lettera b-bis, dell’art. 3, comma 8, del
d.l.vo 14.08.1996, n. 494 (recante le
prescrizioni minime di sicurezza e di salute
da attuare nei cantieri temporanei o mobili
in attuazione della direttiva 92/57/CEE),
quale vigente a seguito delle modifiche da
ultimo apportate dal d.l.vo 06.10.2004, n.
251: nelle more di tale incombente
l'efficacia del titolo resta sospesa, per
diretta previsione di legge (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 06.05.2011 n. 2555 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telefonia
mobile - Realizzazione di impianti di
telecomunicazione - Presupposti - Parere
preventivo di un'autorità preposta alla
tutela ambientale, della salute o del
patrimonio storico-artistico - Necessità.
In materia di installazione per impianti
di Stazioni Radio Base per telefonia
cellulare, la necessità della preventiva
acquisizione di un parere di
un'amministrazione preposta alla tutela
ambientale, della salute o del patrimonio
storico-artistico è desunta, a contrario,
dall'art. 87, commi 6-9, D.Lgs. 259/2003
che, nel prevedere espressamente che il
parere contrario -c.d. motivato dissenso-
assunto dalla P.A. impedisce la formazione
del silenzio assenso, postula la necessità
che un parere comunque venga espresso
(TAR Napoli, sent. n. 3454/2006; TAR
Palermo, sent. n. 203/2005) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
1080 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti per radiofrequenze,
silenzio-assenso ad ostacoli.
Il silenzio assenso nei procedimenti ad
istanza di parte e' divenuto istituto di
carattere generale, nel senso che esso opera
senza necessità di una espressa previsione.
Ma I problemi applicativi del silenzio
assenso sono spesso legati al verificarsi
dei suoi presupposti.
L'art. 87, comma 9, D.Lgs. 01.08.2003, n.
259 stabilisce che le istanze di
autorizzazione e le denunce di attività
concernenti l'installazione di
infrastrutture per impianti radioelettrici e
la modifica delle caratteristiche di
emissione di questi ultimi e, in specie,
l'installazione di torri, di tralicci, di
impianti radio-trasmittenti, di ripetitori
di servizi di comunicazione elettronica, di
stazioni radio base per reti di
comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS,
per reti di diffusione, distribuzione e
contribuzione dedicate alla televisione
digitale terrestre, per reti a
radiofrequenza dedicate alle emergenze
sanitarie ed alla protezione civile, nonché
per reti radio a larga banda
punto-multipunto nelle bande di frequenza
all'uopo assegnate, nonché quelle relative
alla modifica delle caratteristiche di
emissione degli impianti già esistenti, si
intendono accolte qualora, entro novanta
giorni dalla presentazione del progetto e
della relativa domanda, fatta eccezione per
il dissenso di cui al comma 8, non sia stato
comunicato un provvedimento di diniego.
Secondo l'interpretazione costante della
giurisprudenza, ai sensi della norma
richiamata il titolo abilitativo per la
realizzazione degli impianti di telefonia
mobile si costituisce in forza di una d.i.a.
ovvero di un silenzio-assenso, atteso che
istanze e denunce di inizio di attività si
intendono accolte qualora, entro novanta
giorni dalla relativa domanda, non sia stato
comunicato un provvedimento di diniego (TAR
Sardegna, Sez. II, 03.03.2011, n. 188).
La norma trova il proprio fondamento
nell'art. 41, L. n. 166 del 2002 e prima
ancora nelle direttive comunitarie da
recepire, che imponevano per le
comunicazioni elettroniche procedure
tempestive, non discriminatorie e
trasparenti per la concessione del diritto
di installazione di infrastrutture e ricorso
alla condivisione delle strutture, riduzione
dei termini per la conclusione dei
procedimenti amministrativi, nonché
regolazione uniforme dei medesimi
procedimenti anche con riguardo a quelli
relativi al rilascio di autorizzazioni per
l'installazione delle infrastrutture di reti
mobili, in conformità ai principi di cui
alla L. 07.08.1990, n. 241.
Essa prevede un'ipotesi di silenzio
significativo con valore di accoglimento
dell'istanza del privato.
La figura del silenzio assenso è, oggi, la
più rilevante tra le ipotesi di silenzio
significativo, in considerazione dell'ampia
previsione di carattere generale contenuta
nell'attuale testo dell'art. 20, L. n. 241
del 1990, come modificata dall'art. 3, comma
6-ter, D.L. n. 35 del 2005, convertito nella
L. n. 80 del 2005, il quale stabilisce che "Fatta
salva l'applicazione dell'art. 19, nei
procedimenti ad istanza di parte per il
rilascio di provvedimenti amministrativi il
silenzio dell'amministrazione competente
equivale a provvedimento di accoglimento
della domanda, senza necessità di ulteriori
istanze o diffide, se la medesima
amministrazione non comunica
all'interessato, nel termine di cui all'art.
2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego,
ovvero non procede ai sensi del comma 2.".
Il silenzio assenso nei procedimenti ad
istanza di parte è, dunque, divenuto
istituto di carattere generale, nel senso
che esso opera senza necessità di una
espressa previsione.
Continuano però a sopravvivere le ipotesi
normative previgenti di silenzio assenso
purché le stesse non risultino in contrasto
con le previsioni di esclusione contenute
nell'art. 20, L. n. 241 del 1990.
I problemi applicativi del silenzio assenso
sono spesso legati al verificarsi dei suoi
presupposti.
Sebbene la figura si presti ad essere letta
nel senso che basti la presentazione di una
domanda ed il decorso del termine di
conclusione del procedimento, la
giurisprudenza ha chiarito che l'istanza dev'essere
corredata in modo completo dalla
documentazione prescritta eventualmente
dalla disposizione che la prevede (Cons. di
Stato Sez. VI, 20.10.2005, n. 5921).
Tornando al silenzio assenso previsto
dall'art. 87, comma 9, D.Lgs. 01.08.2003, n.
259 la giurisprudenza ha chiarito che il
termine di cui all'art. 87, comma 9, del
D.Lgs. 01.08.2003, n. 259 decorre dalla
presentazione della domanda corredata dal
progetto (Cons. di Stato, Sez. VI,
24.09.2010, n. 7128).
Ulteriormente la sentenza in commento
ricorda che "la giurisprudenza è concorde
nel ritenere che tale disposizione, facendo
espresso richiamo al "dissenso di cui al
comma 8" -che prevede il motivato dissenso
espresso da un'amministrazione preposta alla
tutela ambientale, alla tutela della salute
o alla tutela del patrimonio
storico-artistico- chiarisca che
l'automaticità del silenzio assenso non
opera qualora sia necessaria la pronuncia di
un'autorità preposta alla tutela dei
particolari beni di rilevante importanza
sociale individuati dal richiamato comma 8,
dovendosi attendere una pronuncia espressa
in tal senso (TAR Toscana, Firenze, Sez. II,
03.03.2010, n. 589)".
A ciò si aggiunge la previsione dell'art.
87, comma 8, D.Lgs. n. 259 del 2003, secondo
il quale "Qualora il motivato dissenso, a
fronte di una decisione positiva assunta
dalla conferenza di servizi, sia espresso da
un'Amministrazione preposta alla tutela
ambientale, alla tutela della salute o alla
tutela del patrimonio storico-artistico, la
decisione è rimessa al Consiglio dei
Ministri e trovano applicazione, in quanto
compatibili con il Codice, le disposizioni
di cui agli artt. 14 e seguenti della L.
07.08.1990, n. 241, e successive
modificazioni".
Da tale disposizione la giurisprudenza ha
desunto che l'obbligo di indire una
conferenza di servizi in caso di motivato
dissenso può spiegarsi solo con il fatto che
non si sia formato il silenzio assenso (TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 06.04.2006, n.
3454; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II,
22.02.2005, n. 203).
Tuttavia la norma medesima impedisce
all'amministrazione titolare del potere di
autorizzazione di chiudere sic et
simpliciter il procedimento
autorizzativo con un provvedimento negativo
in quanto le impone di attivare il
procedimento aggravato previsto dall'art.
87, commi 6-9, D.Lgs. n. 259 del 2003
costituito da una conferenza dei servizi e
della successiva rimessione della questione,
nel caso il parere negativo persistesse,
alla decisione al Consiglio dei Ministri
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n. 1080 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Telefonia mobile
- Stazioni Radio Base - Localizzazione -
Piani urbanistici comunali - Divieto di
localizzazione di ordine generale -
Illegittimità.
2. Telefonia mobile
- Stazioni Radio Base - Localizzazione -
Intervento conforme agli strumenti
urbanistici vigenti - Diniego del titolo
edilizio - Illegittimità.
3. Telefonia mobile
- Realizzazione di impianti di
telecomunicazione - Presupposti -
Autorizzazione ex art. 87 D.Lgs. 259/2003 -
Sufficienza - Permesso di costruire ex artt.
3 e 10, D.P.R. 380/2001 - Non necessita.
4. Telefonia mobile
- Realizzazione di impianti di
telecomunicazione - Valutazione di impatto
ambientale - Non necessita.
5. Telefonia mobile
- Infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione e opere di urbanizzazione
primaria - Assimilabilità - Conseguenze -
Vicinanza al centro storico - Possibilità.
1. Sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che introducano in
termini assoluti divieti di installazione
per impianti di Stazioni Radio Base per
telefonia cellulare, anche solo su porzioni
del territorio comunale (cfr. TAR Milano,
n. 7030/2010, n. 210/209, 2845/2008, n.
1872/2008, n. 1815/2008, n. 6260/2007, n.
5777/2007; Cons. di Stato, sent. n.
6473/2010, n. 3332/2006, n. 3534/2006).
2. Ai sensi dell'art. 8, Legge 36/2001,
sulla protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici, i
comuni possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici: tuttavia, ove la
P.A. non abbia adottato alcun regolamento
per disciplinare la localizzazione di detti
impianti, permane l'illegittimità di un
diniego del prescritto titolo edilizio ove
l'intervento sia conforme agli strumenti
urbanistici vigenti (cfr., Cons. di Stato,
sent. n. 1767/2008).
3. La realizzazione di impianti di
telecomunicazione è subordinata soltanto
all'autorizzazione prevista dall'art. 87 D.Lgs. 259/2003, che pone una normativa
speciale ed esaustiva che include anche la
valutazione della compatibilità
edilizio-urbanistica dell'intervento, non
occorrendo perciò il permesso di costruire
di cui agli artt. 3 e 10, D.P.R. 380/2001
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2436/2010,
n.100/2005; TAR Napoli, sent. n.
19380/2004).
4. In materia di installazione per impianti
di Stazioni Radio Base per telefonia
cellulare, non occorre alcuna valutazione di
impatto ambientale: infatti, solo l'art.
2-bis, comma 2, D.L. 01.05.1997, n. 115,
convertito dalla legge 01.07.1997, n. 189
-ed ora abrogato- dispone genericamente che
"la installazione di infrastrutture dovrà
essere sottoposta ad opportune procedure di
valutazione di impatto ambientale", senza
affatto disporre di sottoporre tutti i
progetti di strutture per la telefonia
mobile a valutazione d'impatto ambientale:
inoltre, il contenuto del richiamato art.
2-bis non è stato riprodotto nella
legislazione successiva (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 8377/2010).
5. Alla luce dell'assimilazione, ex art. 86, D.Lgs.
259/2003, delle infrastrutture di reti
pubbliche di telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, è necessario che
tali opere siano collegate e poste al
servizio dell'insediamento abitativo e non
siano avulse dallo stesso: è, pertanto,
ammissibile l'insediamento dell'impianto di
telefonia mobile nelle vicinanze del centro
storico del Comune (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 9404/2010, n. 7588/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.04.2011 n.
1043 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telecomunicazione - L.r.
Lombardia n. 11/2001, art. 7, c. 9, -
Aumento della potenza di emissione - Nuovo
procedimento autorizzativo.
In tema di impianti di telecomunicazione, il
“nuovo procedimento autorizzativo” di
cui all’art. 7, c. 9, della L.r. Lombardia
n. 11/2001 è richiesto non per qualunque
modifica degli impianti esistenti, ma solo
per quelle modifiche che si risolvano in un
“aumento”, quale che ne sia l’entità,
della “potenza di emissione”.
La norma regionale non distingue in base
alla misura dell’incremento di potenza di
cui si ragiona, con valutazione che rientra
senz’altro nell’ampia discrezionalità del
legislatore.
La modifica di un impianto esistente in caso
di aumento di potenza, non può pertanto
essere apprezzata come opera di manutenzione
ordinaria, non soggetta ad autorizzazione
alcuna.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Misure di minimizzazione
di cui all’art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 -
Estensione.
L’art. 8, c. 6, della legge quadro in
materia di protezione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici (L. 22.02.2001 n. 36)
prevede “misure di minimizzazione”,
che quindi non possono tradursi in limiti
generalizzati di esposizione diversi da
quelli previsti dallo Stato ovvero
costituire deroga generalizzata a tali
limiti, ma devono tradursi in specifiche e
diverse misure, la cui idoneità emerga dallo
svolgimento di compiuti e approfonditi
rilievi istruttori sulla base di risultanze
di carattere scientifico (C.d.S. sez. VI
15.07.2010 n. 4557).
Dette misure non possono in particolare
essere incompatibili con la possibilità di
realizzare una rete completa di
infrastrutture per la telecomunicazione e
debbono tener conto della nozione di "rete
di telecomunicazione”, che richiede una
diffusione capillare sul territorio, e del
fatto che l'assimilazione in via normativa
delle infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
medesime non siano avulse dall'insediamento
abitativo, ma debbano porsi al servizio
dello stesso.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Impianti radiobase di
potenza inferiore a 300 W - Art. 4, c. 7,
L.r. Lombardia n. 11/2001 - Regolamentazione
urbanistica - Facoltà.
In forza dell’art. 4, c. 7, della L.r.
Lombardia n. 11/2001, non è necessaria una
regolamentazione urbanistica specifica per
gli impianti radiobase per telefonia mobile
di potenza inferiore a 300 W; la norma non
intende tuttavia proibirla, e fa quindi
salvo l’esercizio, da parte dei Comuni,
delle competenze loro proprie (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.04.2011 n. 618 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Codice delle
comunicazioni elettroniche - Art. 87, c. 5,
d.lgs. n. 259/2003 - Termine perentorio
- Perfezionamento D.I.A. - Nota di richiesta
di documenti integrativi tardiva -
Illegittimità.
Il termine di quindici giorni previsto
dall'art. 87, c. 5, del codice delle
comunicazioni elettroniche, entro il quale
il Comune, attraverso la richiesta di
dichiarazioni o ulteriori documenti, può
interrompere il decorrere dei novanta giorni
previsti per il formarsi del silenzio
assenso in relazione ad una D.I.A. (di cui
all'art. 87, c. 9, d.lgs. n. 259/2003) ha
natura perentoria.
Conseguentemente la nota
di richiesta di documenti adottata oltre
tale termine, che collega a tale richiesta
una effetto sospensivo o interruttivo del
termine per l'acquisto d'efficacia di una
D.I.A., è illegittima
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.03.2011 n.
852 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di
stazione radio-base - Art. 87, comma 9, D.Lgs. n. 259/2003 - Silenzio-assenso -
Provvedimento di diniego sull'istanza -
Necessità del previo annullamento in
autotutela del titolo tacitamente formatosi
- Sussiste.
Ove sia prevista la formazione del
silenzio-assenso della P.A. sull'istanza del
privato, come nel caso dell'art. 87, comma
9, D.Lgs. n. 259/2003 per la domanda del
privato intesa ad ottenere l'autorizzazione
all'installazione di un impianto di
telefonia mobile, l'amministrazione può
adottare un provvedimento di diniego solo
previo annullamento, in sede di autotutela,
del titolo tacitamente formatosi, in
presenza dei presupposti e con il rispetto
delle garanzie procedimentali di cui alla L.
n. 241/1990 (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
839 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di
stazione radio-base - Art. 87, comma 5, D.Lgs. n. 259/2003 - Silenzio-assenso -
Termine interruttivo - Natura perentoria -
Sussiste - Decorrenza del termine -
Possibilità di richiedere documentazione
integrativa - Non sussiste - Effetto
sospensivo o interruttivo del termine -
Revocabilità o annullabilità d'ufficio ai
sensi dell'art. 20, comma 3, L. n. 241/1990
- Sussistono.
Il termine di quindici giorni accordato alla
P.A. dall'art. 87, comma 5, D.Lgs. n.
259/2003, per interrompere il termine per la
formazione del silenzio-assenso della P.A.
sulla domanda del privato intesa ad ottenere
l'autorizzazione all'installazione di un
impianto di telefonia mobile, ha natura
perentoria.
Una volta decorsi quindici
giorni dal deposito dell'istanza
l'amministrazione non può dunque chiedere
documentazione integrativa collegando a tale
richiesta un effetto sospensivo o
interruttivo del termine per l'acquisto di
efficacia della d.i.a., salva l'ipotesi di
adottare gli atti di revoca o annullamento
d'ufficio ai sensi dell'art. 20, comma 3, L.
n. 241/1990 (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
838 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telecomunicazioni - Autorizzazione alla
riattivazione di un impianto radiofonico -
Interferenze su frequenze già occupate -
Carenza di verifica - Illegittimità.
Il rilascio di nuove autorizzazioni non può
prescindere dalla verifica che il nuovo
impianto radiofonico non implichi
interferenze su frequenze occupate da
impianti di titolarità di altri operatori in
quanto i provvedimenti che autorizzano
l'esercizio della radiodiffusione non
possono interferire sugli impianti già in
esercizio, occupandone le frequenze e
peggiorandone la ricezione
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
837 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Installazione di stazioni radio per
telefonia mobile - Valutazione di impatto
ambientale - Art. 2-bis d.l. n. 115/1997 -
Verifica dei limiti di esposizione.
L’art. 2-bis d.l. 115/1997, nella parte in
cui subordina alle opportune procedure di
valutazione di impatto ambientale
l’installazione di stazioni radio per
telefonia mobile, non ha inteso richiamare
la v.i.a. quale istituto previsto dall'art.
6 l. 08.07.1986 n. 349 ma solo rinviare ad
una futura normativa, poi introdotta con
l’art. 1, comma 6, lett. a), L. 31.07.1997
n. 249 e con il d.l. 10.09.1998 n. 381, che
hanno stabilito i limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici.
Con la conseguenza che dopo l’introduzione
della detta disciplina l’osservanza del
citato art. 2-bis si concreta nella verifica
dei detti limiti, demandata agli uffici
competenti in sede di accertamento
preventivo sulla compatibilità degli
impianti con le norme in vigore, anche
perché la citata l. n. 249 del 1997 ha
chiarito che l’installazione degli impianti
di telefonia mobile è soggetta alla verifica
del rispetto dei tetti di radiofrequenza
compatibili con la salute umana, senza alcun
riferimento a procedure di v.i.a. (Cons.
St., sez. VI, 12.07.2007, n. 3938; Tar
Bologna, sez. II, 06.12.2001, 1186; Cos.
St., sez. VI, 10.07.2001, n. 3923).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Impianti di telefonia
mobile - Strutture edilizie soggette a
previa autorizzazione - Assoggettamento a
vincoli di inedificabilità - L.r. Puglia n.
30/1990 - Territorio coperti da boschi e
fasce contermini di 100 metri -
Inedificabilità assoluta.
La l.r. Puglia n. 30/1990 individua,
all’art. 1, le aree soggette a divieto di
modificazione, tra cui sono inserite i
territori coperti da boschi o macchia
mediterranea e le fasce contermini di 100
metri.
La giurisprudenza è costante nel ritenere
che la realizzazione di impianti di
telefonia mobile è soggetta, sotto il
profilo urbanistico, ai principi di
carattere generale, nel senso che i tralicci
e le antenne di rilevanti dimensioni sono
pur sempre strutture edilizie soggette a
previa autorizzazione e comunque non possono
essere realizzati in zone di rispetto o
soggette, per altre cause, a vincoli
assoluti di inedificabilità (cfr. Tar
Napoli, 05.06.2009, 23094; Cons. St.,
21.04.2008, n. 1767; Tar Torino, 09.10.2008,
n. 2538).
Pertanto, deve ritenersi illegittimo il
provvedimento di autorizzazione perché
l’opera ricade sul limitare di una vasta
pineta a 4-5 mt. dagli alberi, e quindi in
una zona in cui vige il vincolo assoluto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 28.03.2011 n. 584 - link
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EDILIZIA PRIVATA: In
materia di telecomunicazioni, gli Enti non
possono imporre oneri o canoni che non siano
stabiliti per legge.
E' escluso che il Comune possa domandare
agli operatori telefonici, corresponsioni
finanziarie non correlate ad una spesa,
determinata o determinabile con il
meccanismo di funzionamento dell’indennizzo.
Con i provvedimenti impugnati il Comune
resistente ha imposto al sig. Elvio Coati,
quale proprietario del terreno sul quale
insiste l’impianto telefonico di Wind
Telecomunicazioni s.p.a., di pagare la somma
annuale di euro 2.060,00 in forza dell’art.
10 del «Regolamento comunale recante
disposizioni per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di cui alla legge 22.02.2001
n. 36 e minimizzare l'esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici»,
approvato con delibera consiliare n. 34 del
07.07.2003.
Il Collegio ritiene meritevole di
accoglimento e assorbente la deduzione della
violazione da parte dell’art. 10 del
Regolamento comunale impugnato degli artt.
88, comma 10, e 93 del D.Lgs. n. 259/2003 e
del principio di legalità.
Ad avviso del Collegio occorre procedere al
confronto della norma regolamentare
impugnata con i rammentati artt. 93 e 88,
comma 10, del d.lgs. n. 259/2003.
L'art. 10 del Regolamento comunale in
questione stabilisce testualmente che «I
proprietari degli immobili su cui sono
collocati gli impianti, dovranno
corrispondere annualmente al Comune di
Pescantina, a titolo di contributo per tutta
la durata dell’impianto stesso, le seguenti
somme: (….) euro 2.060.00 per gli impianti
ricadenti in aree definite ai sensi del
precedente art. 5.». L'art. 93 del
Codice delle Telecomunicazioni prevede che "1.
Le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le
Province ed i Comuni non possono imporre,
per l' impianto di reti o per l'esercizio
dei servizi di comunicazione elettronica,
oneri o canoni che non siano stabiliti per
legge. 2. Gli operatori che forniscono reti
di comunicazione elettronica hanno l'obbligo
di tenere indenne l'Ente locale, ovvero
l'Ente proprietario, dalle spese necessarie
per le opere di sistemazione delle aree
pubbliche specificamente coinvolte dagli
interventi di installazione e manutenzione e
di ripristinare a regola d'arte le aree
medesime nei tempi stabiliti dall'Ente
locale".
Secondo l’orientamento della giurisprudenza
condiviso dal Collegio, la norma da ultimo
citata ha un'impostazione tassativa ed è
chiaramente orientata a limitare, definire e
circoscrivere in termini assai precisi il
potere degli Enti locali di imporre oneri
economici agli operatori di
telecomunicazioni.
Tale impostazione emerge, innanzitutto,
dall'incipit della norma che ricalca
il disposto dell'art. 23 Cost. sulle
prestazioni imposte. In armonia e in
attuazione legislativa del precetto
costituzionale, dunque, l'art. 93 del D.lgs.
n. 259/1993 pone il principio secondo il
quale gli Enti non possono imporre oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge
(cfr. Tar Piemonte, I, 08.05.2010, n. 2302).
Tanto premesso il legislatore indica, poi al
comma 2 del citato art. 93, le causali che
legittimano la richiesta di oneri agli
operatori: da un lato, le spese necessarie
per le opere di sistemazione delle aree
pubbliche specificamente coinvolte dagli
interventi, dall’altro lato il ripristino a
regola d'arte delle aree medesime nei tempi
stabiliti dall'Ente locale.
Ebbene, in forza del disposto dell’art. 93 è
escluso, ad avviso del Collegio, che il
Comune possa domandare agli operatori
telefonici, corresponsioni finanziarie non
correlate ad una spesa, determinata o
determinabile con il meccanismo di
funzionamento dell’indennizzo.
Ne discende, dunque, che l'impianto testuale
dell'art. 93 del D.lgs. n. 259/2003 esclude
la legittimità di previsioni locali di
imposizione agli operatori di comunicazione,
di oneri economici non collegati ad una
quantificazione effettiva dei costi delle
opere di sistemazione e di ripristino delle
aree, con l'ulteriore precisazione che
queste ultime devono essere solo quelle
specificamente coinvolte dagli interventi di
installazione e manutenzione delle
infrastrutture di telecomunicazione.
Orbene, la tassatività e la necessaria
determinatezza su cui è imperniata la prima
parte della rammentata norma, trova
un’ulteriore conferma nel secondo comma
dell’art. 93 che esclude la possibilità di
imporre agli operatori oneri diversi da
quelli ivi menzionati (Tosap e Cosap o il
contributo una tantum per le gallerie).
A tale ultimo riguardo va rammentato che
anche il Consiglio di Stato ha affermato che
«L'art. 93 d.lgs. 01.08.2003 n. 259
(codice delle comunicazioni elettroniche),
al comma 2, sebbene precluda
all'amministrazione comunale di subordinare
il rilascio delle autorizzazioni per l'
impianto di reti o per l'esercizio dei
servizi di comunicazione elettronica al
pagamento di importi ulteriori rispetto a
quelli ivi espressamente previsti (nella
specie "indennità di civico ristoro" ed il
"canone metro/tubo") non impedisce tuttavia
che l'amministrazione "ex post" chieda al
gestore il pagamento dell'importo che abbia
effettivamente speso per il ripristino dello
stato dei luoghi, che il gestore abbia
omesso di realizzare, in base al rilievo di
carattere generale posseduto dall'art. 2041
c.c. che consente all'amministrazione, una
volta constatata la spesa pubblica con cui i
luoghi sono stati ripristinati, in assenza
di corrispondenti lavori di ripristino a
regola d'arte da parte del gestore, di
formulare la relativa richiesta e di agire
in giudizio, conseguentemente, per la
condanna del debitore.» (cfr. Cons.
Stato, VI, 07.03.2008, n. 1005; Cons. Stato,
VI, 09.06.2006, n. 3453).
Tutto ciò premesso ad avviso del Collegio la
riserva relativa di legge di cui all'art. 23
Cost., ribadita anche dal legislatore
ordinario con l'art. 93 del D.lgs. n.
259/2003 richiede per il contestato onere di
corresponsione di euro 2.060,00 annuali una
copertura legislativa, in difetto della
quale detta norma è illegittima.
Per tali ragioni il ricorso è meritevole di
accoglimento con annullamento dell’art. 10
del «Regolamento comunale recante
disposizioni per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di cui alla legge 22.02.2001
n. 36 e minimizzare l'esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici»,
approvato con delibera consiliare n. 34 del
07.07.2003, e degli ulteriori provvedimenti
impugnati in quanto emessi in applicazione
della predetta disposizione regolamentare
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.03.2011 n. 478 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Va riservato allo Stato e non allo strumento
urbanistico il potere di individuare i
limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino.
Tali
disposizioni sono, infatti, funzionali non
al governo del territorio, ma alla tutela
della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (in tal senso, tra le
tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15.06.2006, n. 3534, C.G.A.R.S. 12.11.2009, n. 929; TAR Sicilia, sez. II,
06.04.2009, n. 661).
• V. TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza
14.02.2011 n. 268;
• V. TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza
02.02.2011 n. 194 (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 09.03.2011 n.
426 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Termine ex art. 87 d.lgs, n. 259/2003 -
Decorrenza - Formazione del titolo
abilitativo - D.I.A. o silenzio assenso.
Il termine di cui all’art. 87, comma 9, del
D.Lgvo 01.08.2003 n. 259 decorre dalla
presentazione della domanda corredata dal
progetto (Cons. Stato, 24.9.2010 n. 7128).
Secondo l'interpretazione costante della
giurisprudenza, ai sensi della norma
richiamata il titolo abilitativo per la
realizzazione degli impianti di telefonia
mobile si costituisce in forza di una d.i.a.
ovvero di un silenzio-assenso, atteso che
istanze e denunce di inizio di attività si
intendono accolte qualora, entro novanta
giorni dalla relativa domanda, non sia stato
comunicato un provvedimento di diniego (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 03.03.2011 n. 188 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Prescrizioni
di piano e regolamento - Limiti generali e
astratti alla localizzazione -
Illegittimità.
Sono illegittime le prescrizioni di piano e
di regolamento che si sostanziano in limiti
alla localizzazione ed allo sviluppo della
rete per intere zone, per di più con scelta
generale ed astratta ed in assenza di
giustificazioni afferenti alla specifica
tipologia dei luoghi o alla presenza di siti
qualificabili per destinazioni d’uso come
sensibili (cfr., ex multis, C.d.S.,
Sez. VI, 03.06.2010, n. 3492, con i richiami
giurisprudenziali ivi menzionati).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Regolamento comunale -
Suddivisione del territorio in aree idonee,
di attenzione e sensibili - Contrasto con il
d.lgs. n. 259/2003.
Ove il regolamento comunale suddivida il
territorio in tre tipi di aree, in funzione
della procedura ex art. 87 del d.lgs. n.
259/2003 (maggiormente idonee, di attenzione
e sensibili), esso è illegittimo per
contrasto con il menzionato d.lgs., che non
consente ai Comuni di estendere le proprie
competenze sino a selezionare le aree del
territorio, individuandone solo alcune come
idonee ad ospitare gli impianti: ciò, perché
l’installazione di impianti di
telecomunicazione si deve ritenere
consentita in generale sull’intero
territorio comunale, in modo da poter
realizzare, con riferimento a quelli di
interesse generale, un’uniforme copertura di
tutta l’area comunale interessata (C.d.S.,
Sez. VI, 28.03.2007, n. 1431; id.,
23.06.2008, n. 3133).
Tanto in forza dell’esigenza di trovare un
punto di mediazione ordinata, onde evitare
che le competenze di cui sono titolari i
Comuni nella materia in esame si esplichino
in ambiti, diversi da quelli strettamente
urbanistici, riservati ad altri Enti (cfr.
C.d.S., Sez. VI, n. 6473 del 2010).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Criteri di insediamento
degli impianti - Diffusione capillare sul
territorio - Limiti di localizzazione -
Divieto generalizzato - Illegittimità -
Estensione della potestà regolamentare in
materia.
Nella scelta dei criteri di insediamento
degli impianti si deve tener conto del fatto
che la “rete di telecomunicazione”
richiede per definizione una capillare
diffusione sul territorio; l’assimilazione
alle opere di urbanizzazione primaria
implica, poi, che le infrastrutture di rete
debbano essere poste al servizio
dell’insediamento abitativo, e non essere
dallo stesso avulse.
Ne discende che la determinazione dei limiti
di localizzazione degli impianti non può
tradursi, per il suo carattere
generalizzato, in una misura surrettizia di
tutela della popolazione dalle immissioni
radioelettriche, anche perché siffatta
tutela è riservata dall’art. 4 della l. n.
36/2001 allo Stato.
Se quindi, ex art. 8, comma 6, della l. n.
36/2001, i Comuni possono adottare un
regolamento al fine di un corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti e di minimizzare
l’esposizione delle persone ai campi
elettromagnetici, tuttavia da esso debbono
discendere regole ragionevoli, motivate e
certe, poste a presidio di interessi di
rilievo pubblico, e non un divieto
generalizzato di installazione in
identificate zone urbanistiche (C.d.S., Sez.
VI, 15.07.2010, n. 4557).
Se ne desume, tra l’altro, che
l’Amministrazione comunale -nel pronunciarsi
sulla richiesta di autorizzazione ex art. 87
del d.lgs. n. 259 cit.- non può limitarsi
alla mera ricognizione della disciplina del
P.R.G. sui siti di localizzazione
preferenziale degli impianti, attribuendo ad
essa valore cogente ed inderogabile, ma deve
verificare l’idoneità della localizzazione a
soddisfare lo sviluppo di rete prefigurato
dal gestore di telefonia mobile, con
riferimento alla stessa presenza e
distribuzione della popolazione sul
territorio cui deve garantirsi il servizio
di telefonia in discorso (C.d.S., Sez. VI,
n. 7588 del 2010) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 17.02.2011 n. 335 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Santopadre - Parere in merito al regime
sanzionatorio da applicare in caso di installazione di
impianti di telecomunicazioni e radiotelevisivi in assenza
di titolo abilitativo edilizio (Regione Lazio,
parere
14.02.2011 n.
149559 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Potere regolamentare comunale - Introduzione
di limiti generalizzati di esposizione a
campi magnetici diversi da quelli previsti
dallo Stato - Illegittimità.
Il potere regolamentare comunale non può
spingersi fino al punto di introdurre limiti
generalizzati di esposizione ai campi
magnetici diversi da quelli previsti dallo
Stato, ovvero di costituire deroghe
pressoché generalizzate rispetto a tali
limiti statali per il tramite di
generalizzate interdizioni localizzative,
essendo al più consentita l'individuazione
di specifiche e diverse misure
precauzionali, la cui idoneità al fine della
"minimizzazione" emerga dallo
svolgimento di compiuti ed approfonditi
rilievi istruttori sulla base di risultanze
di carattere scientifico (così, fra le
altre, Cons. Stato, sez. VI, 16.12.2009, n.
8103).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Impianti di
telecomunicazione - Assimilazione alle opere
di urbanizzazione primaria - Art. 86 d.lgs.
n. 259/2003.
L’art. 86 del D.Lgs. n. 259/2003 ha
assimilato gli impianti di telecomunicazione
alle opere di urbanizzazione primaria, come
tali compatibili con ogni destinazione di
zona prevista dalla pianificazione
urbanistica (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 14.02.2011 n. 299 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Campi elettromagnetici: riservata allo Stato
la competenza in materia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente,
il divieto generalizzato di installare
stazioni radio-base per telefonia cellulare
in tutte le zone territoriali omogenee,
ovvero la introduzione di distanze fisse da
osservare rispetto alle abitazioni e ai
luoghi destinati alla permanenza prolungata
delle persone o al centro cittadino.
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato (conforme a Tar Palermo Sez. II, sentenza n.
194 del 02.02.2011) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Siclia-Palermo, Sez. II,
sentenza 14.02.2011 n.
268 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO –
Impianti di telecomunicazione – Regolamento
comunale edilizio – Imposizione di distanze
– Illegittimità – Fattispecie: limite di 200
metri rispetto alle strade extraurbane.
L'installazione di impianti di
telecomunicazione deve ritenersi in generale
consentita sull'intero territorio comunale
in modo da poter realizzare un'uniforme
copertura di tutta l'area comunale
interessata(cfr., ex multis, C.d.S.,
Sez. VI, 28.03.2007, n. 1431).
Precipitato di tale principio è poi quello
per cui non può essere imposta, mediante
regolamento comunale edilizio, l'osservanza
di determinate distanze dagli edifici
esistenti ed ugualmente non si può
pretendere di localizzare gli impianti ad
una determinata distanza dal confine di
proprietà, trattandosi di previsione che
appare priva di giustificazione alcuna e
rappresenta solo un indebito impedimento
nella realizzazione di una rete completa di
telecomunicazioni (fattispecie relativa
all’imposizione, attraverso regolamento
comunale, di un limite di 200 metri rispetto
alle strade extraurbane) (in termini,
C.d.S., Sez. VI, 25.06.2007, n. 3536,
C.d.S., Sez. VI, 06.09.2010, n. 6473).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Impianti di
telecomunicazione – Potestà regolamentare
comunale – Art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 –
Limiti.
La potestà assegnata al Comune dall'art. 8,
comma 6, della legge 22.02.2001 n. 36 (legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici) di regolamentare "il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e di minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
radioelettrici" non può trasformarsi in
"limitazioni alla localizzazione"
degli impianti di telefonia mobile per
intere ed estese porzioni del territorio
comunale in assenza di una plausibile
ragione giustificativa (C.d.S., Sez. III, 3
marzo 2010 , n. 4280).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Impianti di telefonia
mobile – Titolo abilitativo – Art. 87 d.lgs.
n. 259/2003.
Ai sensi dell'art. 87, comma 9, del codice
delle Comunicazioni (d.lg. n. 259 del 2003),
il titolo abilitativo per la realizzazione
degli impianti di telefonia mobile si
costituisce in forza di una d.i.a. ovvero di
un silenzio-assenso, atteso che le istanze e
denunce di inizio di attività si intendono
accolte qualora, entro novanta giorni dalla
relativa domanda, non sia stato comunicato
un provvedimento di diniego (cfr. sul punto,
TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 07.05.2010,
n. 3083) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 11.02.2011 n. 911 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La potestà del Comune di
regolamentare gli impianti di telefonia
mobile non può trasformarsi in
ingiustificate limitazioni alla
localizzazione.
Occorre rammentare come la giurisprudenza
amministrativa sia ferma nel ritenere che
l'installazione di impianti di
telecomunicazione deve ritenersi in generale
consentita sull'intero territorio comunale
in modo da poter realizzare un'uniforme
copertura di tutta l'area comunale
interessata (cfr., ex multis, C.d.S.,
Sez. VI, 28.03.2007, n. 1431).
Precipitato di tale principio è poi quello
per cui non può essere imposta, mediante
regolamento comunale edilizio, l'osservanza
di determinate distanze dagli edifici
esistenti ed ugualmente, ed anzi a maggior
ragione, non si può pretendere di
localizzare gli impianti ad una determinata
distanza dal confine di proprietà,
trattandosi di previsione che appare priva
di giustificazione alcuna e rappresenta solo
un indebito impedimento nella realizzazione
di una rete completa di telecomunicazioni
(in termini, C.d.S., Sez. VI, 25.06.2007, n.
3536, C.d.S., Sez. VI, 06.09.2010, n. 6473).
Più nello specifico, la potestà assegnata al
Comune dall'art. 8, comma 6, della legge
22.02.2001 n. 36 (legge quadro sulla
protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici) di
regolamentare "il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
di minimizzare l'esposizione della
popolazione ai campi radioelettrici" non
può trasformarsi in "limitazioni alla
localizzazione" degli impianti di
telefonia mobile per intere ed estese
porzioni del territorio comunale in assenza
di una plausibile ragione giustificativa
(C.d.S., Sez. III, 03.03.2010, n. 4280) (TAR Campania-Napoli,
Sez. VII,
sentenza 11.02.2011 n. 911 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Unico il titolo abilitativo per
l'installazione di stazioni radio-base per
la telefonia cellulare.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino. Tali
disposizioni sono, infatti, funzionali non
al governo del territorio, ma alla tutela
della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato.
L’installazione di stazioni radio base è
soggetta al rilascio di un unico titolo
abilitativo, come contemplato e disciplinato
dall’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003,
suscettibile di comprendere tutte le
valutazioni anche di natura urbanistica e
territoriale proprie del titolo abilitativo
edilizio.
Il principio di unicità del titolo
abilitativo per l’installazione di stazioni
radio base è vincolante anche per le Regioni
a Statuto speciale e dunque anche per la
Regione Sicilia, trattandosi di principio
affermato dal legislatore statale del d.lgs.
n. 259/2003 nell’esercizio della potestà
legislativa nella materia “trasversale”
della tutela della concorrenza.
Ne deriva che le norme di legge della
Regione siciliana che regolano il rilascio
dei titoli abilitativi edilizi devono essere
interpretate in senso conforme al principio
di onnicomprensività di valutazioni
urbanistico-edilizie, suscettibili di
trovare spazio nell’unico procedimento
preordinato al rilascio dell’autorizzazione
per l’installazione di stazioni radio base,
come previsto e disciplinato dall’art. 87
del d.lgs. n. 259/2003 (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 02.02.2011 n.
194 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Limiti di esposizione - D.P.C.M. 08/07/2003
- Enti locali - Atti di pianificazione
urbanistica - Ampliamento dei limiti
previsti dalla normativa statale -
Illegittimità.
La disciplina statale recata dal D.P.C.M.
dell’08/07/2003 prevede dei limiti di
esposizione della popolazione restrittivi e
cautelativi a tutela della salute umana,
limiti che non sono suscettibili di essere
ulteriormente ampliati da parte degli Enti
locali con atti di pianificazione
urbanistico-edilizia.
Ne consegue l’illegittimità della
pianificazione comunale che disponga un
divieto generalizzato di realizzazione di
impianti di telefonia mobile all’interno
delle aree residenziali (TAR Emilia
Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 27.01.2011 n. 21 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di comunicazione elettronica -
Parere dell’ARPA Art. 87 d.lgs. n. 259/2003
- Necessità al fine del perfezionamento del
titolo abilitativo - Esclusione.
L’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003 postula che
il parere dell’A.R.P.A. sia richiesto
esclusivamente ai fini della concreta
attivazione dell’impianto di comunicazioni
elettroniche e non anche ai fini del
perfezionamento del titolo abilitativo,
perché non sussiste un onere per il
richiedente di allegare siffatto parere in
sede di presentazione dell’istanza di titolo
edilizio (della denuncia di inizio di
attività), né un obbligo di far pervenire il
parere medesimo all’ente procedente entro il
termine di novanta giorni di cui al comma 9
dell’art. 87, cit. (Cons. Stato, Sez. VI,
28.04.2010, n. 2436).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Autorizzazione ex art. 87
d.lgs. n. 259/2003 - Rapporto con le
disposizioni in materia urbanistico-edilizia.
L'autorizzazione (ovvero la formazione
tacita del titolo abilitativo) di cui
all'art. 87 del d.lgs. 01.08.2003, n.259
(Codice delle comunicazioni elettroniche),
non costituisce atto che presuppone o è
presupposto rispetto a quello richiesto dal
t.u. delle disposizioni in materia edilizia,
ma assorbe in sé e sintetizza anche la
valutazione urbanistico-edilizia che
presiede al titolo edilizio.
Infatti, laddove il nuovo procedimento fosse
destinato non a sostituire, ma ad abbinarsi
a quello edilizio ordinario, verrebbero di
fatto vanificati i principi ispiratori del
Codice delle comunicazioni elettroniche, in
particolare quelli della previsione di
procedure tempestive, non discriminatorie e
trasparenti per la concessione del diritto
di installazione e della riduzione dei
termini per la conclusione dei procedimenti,
nonché della regolazione uniforme dei
medesimi (in tal senso: Cons. Stato, VI,
19.10.2008, n. 5044).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Installazione di stazioni
radio base - Certificato di abitabilità -
Necessità - Esclusione.
La disciplina nazionale in tema di rilascio
dei titoli abilitativi per l’installazione
delle S.R.B. per telefonia mobile non
richiede il certificato di abitabilità.
Un’eventuale esigenza in tal senso
risulterebbe ultronea, trattandosi di
installazioni assimilate per legge ad opere
di urbanizzazione primaria ed in ordine alla
cui realizzabilità non sembra ostare la
carenza di un requisito (quello
dell’abitabilità) finalizzato a ben diversi
scopi (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.01.2011 n. 98 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai Comuni non spetta
disciplinare, nei loro regolamenti,
l'installazione degli impianti di telefonia
mobile con limitazioni o divieti
generalizzati e tali da non consentire una
diffusa localizzazione sul territorio del
servizio pubblico relativo, e ciò
specificamente quando tale potere sia
palesemente rivolto a tutelare aspetti
collegati con la salute umana, dal momento
che siffatte esigenze sono valutate dagli
organi statali a ciò deputati; mentre al
Comune è consentito solo regolamentare “il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti” e, dettare
prescrizioni volte a “minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici”.
Risulta illegittima la prescrizione posta
dall’ultimo periodo dell’art. 5 del
Regolamento comunale per l’installazione e
l’esercizio degli impianti di
telecomunicazioni, che recita: “Si
stabilisce, inoltre, che nella fascia di mt.
100 dai confini comunali non è consentita
l’installazione degli impianti su indicati,
salvo acquisizione preventiva del parere
favorevole del Comune limitrofo interessato”;
ed in virtù della quale è stato chiesto (e
poi reso) il parere di cui si discute.
Invero, come ripetutamente statuito dalla
giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di
Stato sez. III, parere n. 4280 del
03.03.2010; Cons. di Stato sez. VI, n. 4056
del 19.06.2009; Cons. di Stato sez. VI, n.
3735 del 21.06.2006; Cons. di Stato sez. IV,
n. 450 del 14.02.2005; TAR Trentino Alto
Adige n. 160 dell’11.06.2010; TAR
Campania-Napoli n. 1721 del 03.04.2009; TAR
Campania-Napoli n. 3524 del 07.05.2008; TAR
Toscana n. 2686 del 19.09.2007), ai Comuni
non spetta disciplinare, nei loro
regolamenti, l'installazione degli impianti
di telefonia mobile con limitazioni o
divieti generalizzati e tali da non
consentire una diffusa localizzazione sul
territorio del servizio pubblico relativo, e
ciò specificamente quando tale potere sia
palesemente rivolto a tutelare aspetti
collegati con la salute umana, dal momento
che siffatte esigenze sono valutate dagli
organi statali a ciò deputati; mentre al
Comune è consentito solo (ai sensi dell’art.
8, co. 6, L. 35/2001) regolamentare “il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti” e, dettare
prescrizioni volte a “minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici”: ma appunto con la
prescrizione regolamentare in esame risulta
posto un divieto generalizzato di
installazione delle strutture di telefonia
mobile (nonostante la loro compatibilità con
tutte le zone omogenee comunali, stante la
loro assimilazione, ai sensi dell’art. 86
Decr. Leg.vo 259/2003, alle opere di
urbanizzazione primaria), che, in assenza di
una chiara e diversa ragione giustificativa,
risulta palesemente volto alla tutela della
salute umana, come del resto dimostrato
dalla sua rimovibilità a seguito di un
eventuale parere favorevole del Comune
limitrofo, a sua volta suscettibile di
fondarsi esclusivamente su ragioni sanitarie
(come meglio si dirà più avanti, infatti non
è ipotizzabile l’effettuazione, in tale
contesto, di valutazioni di natura
urbanistica, stante la riferibilità
dell’installazione al territorio di un
diverso Comune) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 11.02.2011 n. 893 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
D.lgs. n. 259/2003 - Infrastrutture di
comunicazione elettronica - Procedimento
autorizzatorio unitario - Valutazioni
ambientali e urbanistiche.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs.
n. 259/2003, recepito nella Regione
Siciliana con l’art. 103 della l.r.
28.12.2004, n. 17, le valutazioni
urbanistiche edilizie sono assorbite nel
procedimento delineato dall’art. 87 che
prevede un procedimento autorizzatorio
unitario per l'installazione delle
infrastrutture di comunicazione elettronica,
nel contesto del quale devono essere fatte
confluire le valutazioni sia di tipo
ambientale che di tipo urbanistico (cfr.
Corte Costituzionale, 28.03.2006, n. 129;
06.07.2006, n. 265).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Art. 86 d.lgs. n.
259/2003 - Infrastrutture di comunicazione -
Assimilazione alle opere di urbanizzazione
primaria - Titolo autorizzatorio -
Assoggettamento alle prescrizioni
urbanistico-edilizie preesistenti -
Esclusione.
In presenza della specifica previsione di
cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il
quale assimila, ad ogni effetto, le
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria, ed in assenza di specifiche
previsioni, deve ritenersi che gli impianti
di telefonia mobile non possano essere
assimilati alle normali costruzioni edilizie
e, pertanto, la loro realizzazione non sia
soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie
preesistenti. Conseguentemente, il titolo
autorizzatorio non può essere negato se non
avuto riguardo ad una specifica disciplina
conformativa, che prenda in considerazione
le reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
17.10.2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I,
13.02.2002, n. 983, 20.12.2004, n. 14908).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Installazione delle reti
di telecomunicazione - Competenze comunali -
Determinazione di vincoli e limiti - Divieto
generalizzato - Illegittimità.
Ancorché il Comune mantenga intatte le
proprie competenze in materia di governo del
territorio, queste tuttavia, per espressa
valutazione legislativa, non possono
interferire con quelle relative alla
installazione delle reti di
telecomunicazione e, in particolare, non
possono determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere pressoché generalizzato (e
senza prevedere alcuna possibile
localizzazione alternativa), in contrasto
con le esigenze tecniche necessarie a
consentire la realizzazione effettiva della
rete di telefonia cellulare che assicuri la
copertura del servizio nell’intero nel
territorio comunale (cfr. Corte
Costituzionale n. 331/2003).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Reti di telecomunicazione
- Comune - Regolamentazione - deroga i
limiti di esposizione - Disposizioni
funzionale alla tutela della salute -
Competenza statale.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino (cfr. in tal
senso, Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2006, n.
6994; TAR Sicilia-Palermo, sez. I,
06.04.2009, n. 661).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Reti di telecomunicazione
- Carattere di pubblica utilità - Art. 90
d.lgs. n. 259/2003.
L’art. 90 del D.Lgs. n. 259/2003 dispone che
gli impianti di comunicazione elettronica e
le opere accessorie occorrenti per la loro
funzionalità hanno “carattere di pubblica
utilità”, con possibilità, quindi, di
essere ubicati in qualsiasi parte del
territorio comunale, essendo compatibili con
tutte le destinazioni urbanistiche
(residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr.,
in tal senso, C.G.A. ordinanza 05.07.2006,
n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 04.09.2006, n.
5096) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 11.01.2011 n. 22 - link
a www.ambientediritto.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telefonia - Compagnia telefonica
- Localizzazione di un impianto -
Conclusione di accordi con un privato -
Rapporto amministrativo con il Comune -
Sottrazione alla disciplina del Codice delle
Comunicazioni elettroniche - Esclusione.
La circostanza che una società telefonica
abbia concluso un accordo con un privato per
la localizzazione di un impianto di
telefonia in un’area a quest’ultimo
appartenente non esclude che il rapporto
amministrativo con l’ente comunale, ai fini
del rilascio del titolo abilitativo ad
installare la stazione radio-base, non
rientri nel campo applicativo del Codice
delle comunicazioni elettroniche e non debba
quindi scontare il procedimento semplificato
ivi previsto la formazione del titolo
abilitativo.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comuni - Criteri
localizzativi - Potere regolamentare -
Limiti - Art. 8 L. n. 36/2001.
Il potere regolamentare dei Comuni di
fissare, ai sensi dell’art. 8 ultimo comma
della legge n. 36 del 2001, criteri
localizzativi per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti e minimizzare l'esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici
non si può mai tradurre nel potere di
sospendere la formazione dei titoli
abilitativi formati o in corso di formazione
ai sensi degli artt. 86 e 87 del Codice
delle comunicazioni elettroniche.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comuni -Potestà
regolamentare Generalizzato divieto di
installazione in zone urbanistiche
identificate - Illegittimità - Ragioni.
In materia di impianti di comunicazioni
elettroniche, la potestà regolamentare dei
Comuni deve tradursi in regole ragionevoli,
motivate e certe, poste a presidio di
interessi di rilievo pubblico, ma non può
tradursi in un generalizzato divieto di
installazione in zone urbanistiche
identificate.
Tale previsione verrebbe infatti a
costituire una inammissibile misura di
carattere generale, sostanzialmente
cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia
mobile, in contrasto con l'art. 4 l. n. 36
del 2001, che riserva alla competenza dello
Stato la determinazione, con criteri
unitari, dei limiti di esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità, in base a parametri da applicarsi
su tutto il territorio dello Stato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.12.2010 n. 9414 -
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EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione di infrastrutture
per impianti radioelettrici non può
ritenersi implicitamente autorizzata in
virtù della concessione ministeriale per
l’attività di radiodiffusione.
Ai sensi dell’art. 86, d.lgs. n. 259/2003, l'installazione di
infrastrutture per impianti radioelettrici e
la modifica delle caratteristiche di
emissione di questi ultimi e, in specie,
l'installazione di torri, di tralicci, di
impianti radio-trasmittenti, di ripetitori
di servizi di comunicazione elettronica, di
stazioni radio base per reti di
comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS,
per reti di diffusione, distribuzione e
contribuzione dedicate alla televisione
digitale terrestre, per reti a
radiofrequenza dedicate alle emergenze
sanitarie ed alla protezione civile, nonché
per reti radio a larga banda
punto-multipunto nelle bande di frequenza
all'uopo assegnate, viene autorizzata dagli
Enti locali, previo accertamento, da parte
dell'Organismo competente ad effettuare i
controlli, di cui all'articolo 14 della
legge 22.02.2001, n. 36, della compatibilità
del progetto con i limiti di esposizione, i
valori di attenzione e gli obiettivi di
qualità, stabiliti uniformemente a livello
nazionale in relazione al disposto della
citata legge 22.02.2001, n. 36, e relativi
provvedimenti di attuazione.
Nel caso di specie, era stato acclarato che
l’antenna era stata installata senza alcuna
autorizzazione; pur non essendo necessaria
quella edilizia, occorreva quella di cui
all’art. 86 citato, che difettava, non
potendo l’autorizzazione di cui al citato
art. 86, di competenza comunale, essere
ritenuta implicita nella concessione
ministeriale per l’esercizio dell’attività
di radiodiffusione.
Né l’Amministrazione era tenuta a sospendere
l’ordine di rimozione, nelle more del nuovo
procedimento autorizzatorio attivato
dall’interessato, perché il nuovo
procedimento non ha natura giuridica di
condono (con il conseguente effetto
sospensivo), per l’elementare ragione che il
nuovo procedimento riguarda un nuovo e
diverso impianto da ubicarsi in diversa
località, e non la sanatoria dell’impianto
preesistente (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.11.2010 n. 8099 -
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Comuni - Regolamento di minimizzazione -
Art. 8 L n. 36/2001 - Limiti.
L’art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001,
n. 36, prevede la possibilità che i Comuni
adottino un regolamento c.d. di
minimizzazione finalizzato a garantire “il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici”.
Le previsioni dei regolamenti c.d. di
minimizzazione possono ritenersi legittime
solo qualora finalizzate al perseguimento
delle finalità indicate dalla norma e non
anche quando tendono a scopi differenti.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comune - Adozione di
misure che costituiscono deroghe ai limiti
di esposizione ai campi elettromagnetici -
Illegittimità - Art. 4 L. n. 36/2001 -
Competenza esclusiva statale.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino.
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2001 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (in tal senso, tra le
tante Consiglio di Stato, sez. VI,
15.06.2006, n. 3534, C.G.A. 12.11.2009, n.
929; TAR Sicilia, sez. II, 06.04.2009, n.
661) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 21.10.2010 n. 12965 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Telefonia -
Stazioni radio base - Localizzazione - Art.
8, L. n. 36/2001 - Art. 4, comma 7°, L.R. n.
11/2001 - Piani urbanistici comunali -
Divieto di localizzazione di ordine generale
su parti del territorio non interessate da
obiettivi sensibili - Illegittimità -
Sussiste.
In tema di localizzazione delle stazioni
radio base di telefonia cellulare, i Comuni
non possono, attraverso i propri atti di
pianificazione urbanistica, introdurre
divieti di localizzazione di ordine generale
per talune porzioni di territorio,
considerato che la potestà riconosciuta agli
enti locali dall'art. 8, L. n. 36/2001 non
può tradursi in divieti assoluti di
localizzazione di impianti di telefonia
mobile su parti del territorio non
interessate da obiettivi sensibili.
Tale
conclusione è confermata alla luce dell'art.
4, comma 7°, L.R. Lombardia n. 11/2001 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 21.10.2010 n.
7030 - link
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Criteri di insediamento degli impianti -
Rete di telecomunicazione - Diffusione
capillare sul territorio.
La selezione dei criteri di insediamento
degli impianti deve tener conto della
nozione di “rete di telecomunicazione”,
che per definizione richiede una diffusione
capillare sul territorio, segnatamente nei
casi di telefonia mobile (c.d. “cellulare”),
che alla debolezza del segnale di antenna
associa un rapporto di maggiore contiguità
delle singole stazioni radio base.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Infrastrutture di reti
pubbliche di telecomunicazioni -
Assimilazione alle opere di urbanizzazione
primaria - Art. 86 d.lgs. n. 259/2003 -
Insediamenti abitativi.
L’assimilazione per effetto del’art. 86 del
d.lgs. 01.08.2003, n. 259, delle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
stesse debbano collegarsi ed essere poste al
servizio dell’insediamento abitativo e non
essere dalle stesso avulse (cfr. da ultimo
Cons. Stato, VI, 28.04.2010, n. 304).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Impianti di telefonia
mobile - Limiti di localizzazioni - Misura
surrettizia di tutela della popolazione da
immissioni radioelettriche - Art. 4 L. n.
36/2001 - Competenza esclusiva dello Stato.
La determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti non può
tradursi per il suo carattere generalizzato
e il riferimento al dato oggettivo
dell’esistenza di insediamenti abitativi, in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge 22.02.2001, n. 36
riserva allo Stato attraverso
l’individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione e
obiettivi di qualità, da introdursi con
decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro
dell’Ambiente di concerto con il Ministro
della Salute (cfr. Cons. Stato, VI,
03.03.2007, n. 1017; 05.06.2006, n. 3332;
05.08.2005, n. 4159; 20.12.2002, n. 7274;
03.06.2002, n. 3095).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comuni - Regolamento
volto ad assicurare un corretto insediamento
urbanistico - Art. 8, c. 6 L. n. 36/2001 -
Limiti.
È pur vero che ai sensi dell’art. 8, comma
6, l. n. 36 del 2001 “i comuni possono
adottare un regolamento per assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici”.
Ma la giurisprudenza ha affermato che ne
debbono discendere regole comunali
ragionevoli, motivate e certe, poste a
presidio di interessi di rilievo pubblico
(es., per il particolare valore
paesaggistico e ambientale o
storico-artistico di certe porzioni del
territorio, ovvero alla presenza di siti che
per la loro destinazione d’uso possano
essere qualificati particolarmente sensibili
alle immissioni elettromagnetiche), non già
un generalizzato divieto di installazione in
identificate zone urbanistiche (Cons. Stato,
VI, 15.07.2010, n. 4557) (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 20.10.2010 n. 7588 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Dai regolamenti comunali per il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale non può derivare un
generalizzato divieto di installazione di
impianti di telefonia in identificate zone
urbanistiche.
Nella pronuncia in rassegna, con ricorso al
Tribunale amministrativo per il Veneto, un
operatore telefonico impugnava il diniego di
autorizzazione all’ installazione di una
stazione radiobase di telefonia cellulare da
parte del Comune in causa. A motivazione
dell’atto era posto in rilievo il contrasto
della richiesta “con la variante al p.r.g.
ai sensi del 3° comma dell’ art. 50 della
L.R. n. 61/1985, adottata don d.d.c. n. 4
del 25.02.2005, con la quale sono stati
individuati alcuni siti nei quali è
possibile installare antenne per telefonia
mobile”.
Il Tribunale amministrativo in
particolare, sul rilievo che la menzionata
delibera consiliare non esclude che le
antenne di telefonia mobile possono trovare
collocazione, oltre che nei siti individuati
nella variante al P.r.g., anche in altre
porzioni del territorio comunale, se ciò
necessario ai fini della sua intera
copertura per l’irradiazione del segnale,
dichiarava in conseguenza l’illegittimità
dell’ atto di diniego impugnato.
Il Comune
ha proposto appello contro questa sentenza,
ma il Consiglio di Stato ha considerato
l’appello infondato. Questi i fatti in
dettaglio: con la delibera consigliare di
variante parziale al P.r.g. il Comune
individuava tre siti per l’installazione di
impianti di telefonia mobile rispettivamente
in area industriale nord, in area
industriale sud ed in zona limitrofa al
cimitero.
La localizzazione di detti
impianti di telecomunicazione dà seguito
alla circolare della Regione Veneto n. 12
del 12.07.2001 volta a sollecitare i
Comuni a “definire le aree maggiormente
idonee all’installazione degli impianti nel
rispetto delle caratteristiche storiche,
ambientali e paesaggistiche del contesto
territoriale comunale”, favorendo, in
particolare, la scelta di ambiti
territoriali già compromessi dal punto di
vista urbanistico edilizio, ed indirizzando,
ove possibile, i gestori a localizzare gli
impianti in aree produttive o comunque
interessate già dalla presenza di impianti
tecnologici. La circolare precisava,
inoltre, che “l’eventuale installazione in
siti diversi debba essere accompagnata da
un’ adeguata motivazione”.
Alla luce del
riferito atto di indirizzo, la selezione di
aree nel cui ambito localizzare gli impianti
di telefonia mobile non assume carattere
tassativo e non preclude -proprio in
relazione alla peculiarità degli impianti di
telefoni cellulare ed all’esigenza sul piano
tecnico, per la bassa intensità del segnale
irradiato, di una loro capillare ed organica
distribuzione sul territorio- la
possibilità di installazione anche al di
fuori dei siti a ciò appositamente
individuati. Tanto più che i criteri di
localizzazione recepiti dal Comune assumono
a riferimento tre zone (con destinazione
cimiteriale ed industriale) tutte esterne al
centro abitato, nel quale è maggiore la
presenza dell’utenza e sussiste, pertanto,
l’esigenza di assicurare l’idonea
irradiazione del segnale di telefonia
mobile.
In fattispecie analoghe la
giurisprudenza della V Sezione ha
ripetutamente posto in rilievo che la
selezione dei criteri di insediamento degli
impianti deve tener conto della nozione di
“rete di telecomunicazione”, che per
definizione richiede una diffusione
capillare sul territorio, segnatamente nei
casi di telefonia mobile (c.d. “cellulare”),
che alla debolezza del segnale di antenna
associa un rapporto di maggiore contiguità
delle singole stazioni radio base. L’assimilazione per effetto del’ art. 86 del
d.lgs. 01.08.2003, n. 259, delle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
stesse debbano collegarsi ed essere poste al
servizio dell’insediamento abitativo e non
essere dalle stesso avulse (cfr. da ultimo
Cons. Stato, VI, 28.04.2010, n. 304).
La
determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti non può
tradursi, inoltre, per il suo carattere
generalizzato e il riferimento al dato
oggettivo dell’esistenza di insediamenti
abitativi, in una misura surrettizia di
tutela della popolazione da immissioni
radioelettriche, che l’art. 4 della legge 22.02.2001, n. 36 riserva allo Stato
attraverso l’individuazione di puntuali
limiti di esposizione, valori di attenzione
e obiettivi di qualità, da introdursi con
decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro
dell’Ambiente di concerto con il Ministro
della Salute (cfr. Cons. Stato, VI, 03.03.2007, n. 1017;
05.06.2006, n. 3332; 05.08.2005, n. 4159; 20.12.2002, n.
7274; 03.06.2002, n. 3095).
Alla luce dei
riferiti principi, come correttamente posto
in rilievo dal Tribunale amministrativo, il
Comune nel pronunciarsi sulla domanda della
Soc. di installazione dell’ impianto di
telefonia mobile non doveva limitarsi alla
mera ricognizione della regolamentazione di P.r.g. sui siti di localizzazione
preferenziale degli impianti, attribuendo ad
essa assoluto valore cogente e non
derogabile in presenza di specifiche
esigenze di sviluppo della rete di
telecomunicazione di cui un’altra società è
gestore. È pur vero che ai sensi dell’art.
8, comma 6, l. n. 36 del 2001 “i comuni
possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici”.
Ma la
giurisprudenza, anche recente, di questa
Sezione ha affermato che ne debbono
discendere regole comunali ragionevoli,
motivate e certe, poste a presidio di
interessi di rilievo pubblico (es., per il
particolare valore paesaggistico e
ambientale o storico-artistico di certe
porzioni del territorio, ovvero alla
presenza di siti che per la loro
destinazione d’uso possano essere
qualificati particolarmente sensibili alle
immissioni elettromagnetiche), non già un
generalizzato divieto di installazione in
identificate zone urbanistiche (Cons. Stato, VI,
15.07.2010, n. 4557) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 20.10.2010 n. 7588 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Realizzazione di una stazione radio base -
Provvedimento di sospensione delle pratiche
edilizie in attesa di apposita
regolamentazione comunale - Illegittimità -
Misura soprassessoria di salvaguardia
atipica - Divieto assoluto e generalizzato.
E’ illegittimo il provvedimento di
sospensione delle pratiche edilizie aventi
ad oggetto la realizzazione di una stazione
radio base per telefonia cellulare, disposto
in attesa di apposita regolamentazione
comunale dell’individuazione dei siti e
delle caratteristiche strutturali degli
impianti.
Trattasi infatti di una misura
soprassessoria di salvaguardia atipica in
quanto tale inammissibile poiché non
espressamente prevista dalla legge e volta
ad introdurre sostanzialmente un divieto
assoluto e generalizzato, senza previsione
di durata e che si estende
indiscriminatamente a tutte le zone del
territorio comunale (cfr. sul punto TAR
Puglia Bari, Sez. III, 23.12.2004, n. 6239 e
TAR Puglia Bari, Sez. II, 01.02.2010, n.
221) (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.10.2010 n. 3683 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Purché la disciplina urbanistica non
impedisca l’efficienza della rete di
telefonia mobile, l’ente
locale può prevedere misure che disciplinino
la localizzazione, per minimizzare
l’esposizione dei cittadini e disciplinare
in modo ottimale l’uso del territorio.
Con la recente decisione n. 1767 del
21.04.2008 il Consiglio di Stato ha
nuovamente ribadito il principio in forza
del quale i Comuni, nell’ambito della
potestà regolatoria in materia di uso e
tutela del territorio, possono adottare
misure programmatorie per la localizzazione
degli impianti per la telefonia mobile, in
modo tale da minimizzare l’esposizione ai
campi elettromagnetici dei cittadini
residenti, anche in un’ottica di ottimale
disciplina d’uso del territorio (TAR Emilia
Romagna, Bologna, Sez. II 05.04.2006, n.
357; TAR Campania, Napoli, 13.09.2007, n.
75596; Cons. Stato, Sez. VI, 03.03.2001, n.
1017; TAR Toscana, Firenze, 19.09.2007, n.
2686; TAR Puglia, Lecce, 14.05.2007, n.
1901; Cons. Stato, Sez. VI 28.03.2007, n.
1431), e che tali manufatti sono compatibili
con qualsiasi destinazione di PRG, in quanto
opere di urbanizzazione.
Ne deriva che, purché la disciplina
urbanistica comunale non impedisca od
ostacoli l’insediamento e l’efficienza della
rete, l’ente locale può prevedere, in via
regolamentare, misure che disciplinino la
localizzazione, per minimizzare
l’esposizione dei cittadini e disciplinare
in modo ottimale l’uso del territorio (Cons.
Stato, Sez. VI, 21.04.2008, n. 1767;
03.06.2002, n. 3095; 20.12.2002, n. 7274;
10.02.2003, n. 673; 26.08.2003 n. 4841) (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza 11.10.2010 n.
7944 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Stazioni radio base - Obbligo di
installazione in siti predeterminati - Norme
tecniche di attuazione - Effetto lesivo -
Momento in cui è adottato l’atto
applicativo.
Le disposizioni contenute nelle norme
tecniche di attuazione che impongono
l’installazione di stazioni radio base di
telefonia mobile in siti predeterminati,
producono effetto lesivo nel momento in cui
è adottato l'atto applicativo; e dunque sono
tempestivamente impugnate insieme a
quest'ultimo.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Limiti di esposizione -
Valori di attenzione - Obiettivi di qualità
- Competenze di Stato, Regioni ed Enti
locali - Individuazione.
Compete allo Stato la fissazione di "limiti
di esposizione", definiti come valori di
campo elettrico, magnetico ed
elettromagnetico che non devono essere
superati in alcuna condizione di esposizione
della popolazione e dei lavoratori per
assicurare la tutela della salute e "valori
di attenzione" intesi come valori di
campo da non superare, a titolo di cautela
rispetto ai possibili effetti a lungo
termine, negli ambienti abitativi e
scolastici e nei luoghi stabiliti a
permanenze prolungate.
Compete invece alle Regioni ed agli Enti
Locali il perseguimento di "obiettivi di
qualità" che non possono però portare
alla fissazione di valori-soglia diversi e
contrastanti con quelli fissati dallo Stato
ma sono diretti alla indicazione di criteri
di localizzazione, standard urbanistici,
prescrizioni e incentivazioni all'utilizzo
della miglior tecnologia disponibile, o alla
cura dell'interesse regionale e locale
all'uso più congruo del territorio, sia pur
nel quadro dei vincoli che derivano dalla
pianificazione nazionale delle reti e dai
relativi parametri tecnici, nonché dai già
citati valori- soglia stabiliti dallo Stato
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 27.09.2010 n. 7907 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il pertinente quadro normativo non impone in
alcun modo di allegare la denuncia di verifica sismica della
struttura già in sede di presentazione dell’istanza di
autorizzazione o della denuncia di cui all’art. 87, d.lgs.
259 del 2003, limitandosi -piuttosto- a prescrivere che la
denuncia in parola avvenga prima del concreto inizio dei
lavori.
---------------
2.2. Quanto al secondo motivo ostativo trasfuso nel
provvedimento annullato dal TAR (si tratta della mancata
presentazione della certificazione di avvenuta denuncia
della verifica sismica della struttura al competente Ufficio
del Genio Civile), il TAR ha osservato che la denuncia in
questione deve essere effettuata prima dell’inizio dei
lavori, ma non risulta contemplata fra i documenti che
devono essere tassativamente allegati
all’istanza/comunicazione ex art. 87, d.lgs. 259 del 2003.
Il Tribunale, del resto, ha osservato che “anche ammessa
la necessità di tale denuncia, l’Amministrazione non può
negare la D.I.A. sol per la mancanza della stessa, dovendo
piuttosto richiedere l’integrazione dei documenti entro il
termine di quindici giorni dalla data di ricezione
dell’istanza, ai sensi del comma 5 dell’art. 87, d.lvo n.
259/2003”.
Nella tesi dell’appellante, la pronuncia in epigrafe
risulterebbe in parte qua erronea e meritevole di riforma
per non aver fatto corretto governo della pertinente
normativa.
In particolare, il Tribunale avrebbe omesso di tenere in
adeguata considerazione:
- la l. 05.11.1971, n. 1086 (recante ‘norme per la disciplina
delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e
precompresso ed a struttura metallica’), il cui art. 4
stabilisce che le opere a struttura metallica (come
l’impianto destinato ad ospitare l’installazione della cui
realizzazione si discute) “devono essere denunciate dal
costruttore all’ufficio del genio civile competente per
territorio, prima del loro inizio (…)”.
Ancora, il TAR avrebbe omesso di tenere in considerazione il
successivo art. 10, a tenore del quale “il Sindaco del
Comune, nel cui territorio vengono realizzate le opere
indicate nell’art. 1, ha il compito di vigilare
sull’osservanza degli adempimenti preposti alla presente
legge: a tal fine si avvale dei funzionari ed agenti
comunali”;
- la l. 02.02.1974, n. 64 (recante ‘provvedimenti per le
costruzioni con particolari prescrizioni per le zone
sismiche’), il cui art. 17 stabilisce che “nelle zone
sismiche di cui all'articolo 3 della presente legge,
chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e
sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso scritto,
notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera
raccomandata con ricevuta di ritorno, contemporaneamente, al
sindaco ed all'ufficio tecnico della regione o all'ufficio
del genio civile secondo le competenze vigenti (…)”;
- la L.R. Campania 07.01.1983, n. 9 (recante ‘norme per
l’esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa
del territorio dal rischio sismico’), il cui art. 2, al
comma 1 stabilisce che “il committente o il costruttore
che esegue in proprio devono depositare il progetto
esecutivo delle opere di cui all'art. 1 presso l'Ufficio
provinciale del Genio civile o Sezione autonoma competente
per territorio, prima dell'inizio dei lavori”.
Ancora, risulterebbe rilevante ai fini del decidere il
successivo art. 5 (nella formulazione vigente all’epoca dei
fatti), secondo cui “il Sindaco del Comune nel cui
territorio si eseguono le opere è tenuto ad accertare, a
mezzo degli agenti e dei tecnici comunali, che chiunque
inizi l'esecuzione delle opere di cui all'art. 1 sia in
possesso dell'attestazione dell'Ufficio provinciale del
Genio civile dell'avvenuto deposito degli atti prescritti”.
Questo essendo il pertinente quadro normativo, il Comune
appellante ritiene l’erroneità della pronuncia in epigrafe,
per la parte in cui ha ritenuto l’illegittimità del
provvedimento di divieto in data 23.11.2004. Al contrario.
Il Comune ritiene che il divieto in parola costituisse un
esito necessario della vicenda, se solo si consideri:
i) che, al momento della presentazione della D.I.A. (06.09.2004),
la soc. H3G non avesse neppure presentato al competente
Genio civile la prescritta denuncia di verifica sismica;
ii) che, secondo le risultanze in atti, la società appellata avesse
a tanto provveduto solo in data 13.01.2005, ossia dopo il
decorso del termine di 90 giorni di cui al comma 9 dell’art.
87, d.lgs. 259 del 2003 e dopo l’adozione da parte del
Comune del più volte richiamato provvedimento negativo.
2.2.1. Il motivo di doglianza in parola non può trovare
accoglimento.
Ed infatti, il pertinente quadro normativo (pure
correttamente richiamato dal Comune appellante) non impone
in alcun modo di allegare la denuncia di verifica sismica
della struttura già in sede di presentazione dell’istanza di
autorizzazione o della denuncia di cui all’art. 87, d.lgs.
259 del 2003, limitandosi -piuttosto- a prescrivere che la
denuncia in parola avvenga prima del concreto inizio dei
lavori (in tal senso: il primo comma dell’art. 4, l. 1086
del 1971; il primo comma dell’art. 17, l. 64 del 1974,
nonché il comma 3 dell’art. 2, L.R. 9 del 1983).
Conseguentemente, la pronuncia in epigrafe deve trovare
puntuale conferma per la parte in cui ha ritenuto
l’illegittimità del provvedimento comunale di divieto,
laddove fondato sulla pretesa necessità di allegare la
certificazione di avvenuta denuncia della verifica sismica
già in sede di presentazione della D.I.A.
Non rileva, invece, ai fini della presente decisione la
circostanza secondo cui la denuncia in parola sia stata
presentata solo dopo il decorso dei 90 giorni di cui al
comma 9 dell’art. 87, d.lgs. 259, cit. vuoi perché il
provvedimento impugnato in prime cure si limitava ad
affermare il carattere ostativo della mancata presentazione
della denuncia in sé intesa (senza ammetterne la
presentazione entro i termini di cui all’art. 87, co. 9, cit.),
vuoi perché ciò che rileva in base al pertinente quadro
normativo non è il momento in sé della presentazione della
denuncia, quanto, piuttosto, la circostanza relativa al se
la denuncia in parola sia intervenuta prima o dopo
l’effettivo inizio dei lavori (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2010 n. 7128 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
È illegittimo un regolamento comunale in
tema di fissazione dei criteri per la
localizzazione delle SRB laddove si sia
posto quale obiettivo quello di preservare
la salute umana dalle emissioni
elettromagnetiche promananti da impianti di
radiocomunicazione.
Deve, pertanto, trovare puntuale conferma
nella presente sede l’orientamento
giurisprudenziale (dal quale non si
rinvengono nella specie ragioni onde
discostarsi) secondo cui è illegittimo un
regolamento comunale in tema di fissazione
dei criteri per la localizzazione delle SRB
laddove l'ente territoriale si sia posto
quale obiettivo (non dichiarato, ma
evincibile dal contenuto dell'atto
regolamentare) quello di preservare la
salute umana dalle emissioni
elettromagnetiche promananti da impianti di
radiocomunicazione (ad esempio attraverso la
fissazione di distanze minime delle stazioni
radio base da particolari tipologie
d'insediamenti abitativi), essendo tale
materia attribuita alla legislazione
concorrente Stato-Regioni dell'art. 117
cost., come riformato dalla l. cost.
18.10.2001 n. 3 (in tal senso: Cons. Stato,
Sez. VI, sent. 28.04.2010, n. 2436; id.,
Sez. VI, sent. 20.12.2002, n. 7274) (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 24.09.2010 n.
7128 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Localizzazione delle SRB -
Regolamento comunale -Tutela della salute
umana dalle emissioni - Attribuzione alla
legislazione concorrente Stato-Regioni.
E’ illegittimo un regolamento comunale in
tema di fissazione dei criteri per la
localizzazione delle SRB laddove l'ente
territoriale si sia posto quale obiettivo
(non dichiarato, ma evincibile dal contenuto
dell'atto regolamentare) quello di
preservare la salute umana dalle emissioni
elettromagnetiche promananti da impianti di
radiocomunicazione (ad esempio attraverso la
fissazione di distanze minime delle stazioni
radio base da particolari tipologie
d'insediamenti abitativi), essendo tale
materia attribuita alla legislazione
concorrente Stato-Regioni dell'art. 117
cost., come riformato dalla l. cost.
18.10.2001 n. 3 (in tal senso: Cons. Stato,
Sez. VI, sent. 28.04.2010, n. 2436; id.,
Sez. VI, sent. 20.12.2002, n. 7274).
Istanza di
autorizzazione ex art. 87 d.lgs. n. 259/2003
- Allegazione della denuncia di verifica
sismica - Inizio dei lavori.
Il quadro normativo vigente non impone in
alcun modo di allegare la denuncia di
verifica sismica della SRB già in sede di
presentazione dell’istanza di autorizzazione
o della denuncia di cui all’art. 87, d.lgs.
259 del 2003, limitandosi -piuttosto- a
prescrivere che la denuncia in parola
avvenga prima del concreto inizio dei lavori
(in tal senso: il primo comma dell’art. 4,
l. 1086 del 1971; il primo comma dell’art.
17, l. 64 del 1974, nonché il comma 3
dell’art. 2, L.R. Campania 9 del 1983).
SRB - Istanza di
autorizzazione ex art. 87 d.lgs. n. 259/2003
- Parere dell’ARPA - Attivazione
dell’impianto.
La previsione ci cui all’art. 87, d.lgs. 259
del 2003 postula che il parere dell’ARPA sia
richiesto solo ed esclusivamente ai fini
della concreta attivazione dell’impianto,
non sussistendo un onere per il richiedente
di allegare il parere in questione in sede
di presentazione dell’istanza (ovvero della
D.I.A.), né un puntuale obbligo di far
pervenire il parere medesimo all’Ente
procedente entro il termine di novanta
giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, cit..
L'accertamento, da parte dell'Organismo
competente ad effettuare i controlli, di cui
all'articolo 14 della legge 22.02.2001, n.
36 della compatibilità del progetto con i
limiti di esposizione, i valori di
attenzione e gli obiettivi di qualità,
stabiliti uniformemente a livello nazionale
in relazione al disposto della citata legge
22.02.2001, n. 36 deve infatti seguire, e
non già precedere, la produzione
dell'istanza (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2010 n. 7128 -
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EDILIZIA PRIVATA:
ELETTROSMOG
- Costruzione ripetitore telefonico e titolo
abilitativo - Testo Unico in materia
edilizia - Art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Art.
44 d.P.R. n. 380/2001.
Le disposizioni presenti nell'art. 87 del
d.lgs. 01.08.2003, n. 259 contengono una
deroga al regime ordinario del Testo Unico
in materia edilizia (d.P.R. 06.06.2001, n.
380), deroga che la Corte costituzionale ha
ritenuto possa essere condivisa all'interno
di un complessivo bilanciamento tra i
principi costituzionali; tuttavia, da questo
regime non risulta affatto escluso che
l'ente territoriale conservi un potere di
valutazione circa la compatibilità delle
opere necessarie per l'installazione del
ripetitore con le regole in materia
urbanistica e ambientale.
In sostanza, il rilascio del permesso di
costruire, altrimenti necessario, viene
sostituito dal rilascio delle autorizzazioni
come previste dal citato art. 87 al termine
della specifica procedura ivi disciplinata,
con la conseguenza che il mancato rispetto
di queste disposizioni rende le opere
abusive e suscettibili di sanzione ai sensi
dell'art. 44 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380
(fattispecie: costruzione ripetitore
telefonico e titolo abilitativo) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.09.2010 n. 32527 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Il sindaco non può bloccare
l'antenna di telefonia mobile.
È illegittima
l'ordinanza del sindaco che ha disposto la
sospensione della costruzione degli impianti
di telefonia mobile, motivata con l'allarme
suscitato nella popolazione per il pericolo
di inquinamento elettromagnetico e con la
mancanza dei pareri necessari per il
permesso di costruire.
Così ha stabilito il Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 27.07.2010 n. 4889,
confermando le decisioni emanate dal Tar
Puglia-Lecce.
L'iter.
Il caso riguardava i lavori di costruzione
degli impianti di telefonia mobile del
comune, e il sindaco, sulla base di timori
espressi da alcuni abitanti, ha emanato
un'ordinanza d'urgenza di sospensione dei
lavori. Il Tar ha accolto i ricorsi (specie
per la mancanza di una congrua motivazione)
e il Consiglio di Stato ha confermato le
sentenze, sulla base dei seguenti argomenti:
- in materia di emissioni elettromagnetiche,
la tutela della salute è affidata in via
ordinaria agli organi dello Stato, che la
esercitano nel rispetto di norme di rango
primario, in particolare della legge 36/2001
e dei relativi decreti attuativi;
- questa competenza non può essere derogata
da provvedimenti extra ordinem del
sindaco, che possono essere emanati soltanto
se l'autorità competente non può intervenire
con i mezzi giuridici ordinari; di
conseguenza, l'ordinanza del sindaco è
illegittima e ne viene confermato
l'annullamento.
La regola generale.
Il dispositivo della sentenza è esatto, ma
la motivazione indica una regola generale
che non collima con l' attuale sistema delle
norme. Infatti, il sindaco è pur sempre «autorità
sanitaria locale» (articolo 13 della
legge 833/1978) e potrebbe quindi
legittimamente intervenire, sia nell'ipotesi
del superamento dei limiti di inquinamento
elettromagnetico stabiliti dal Dm Ambiente
del 10.09.1998, n. 381, sia nell'ipotesi del
superamento dei limiti stabiliti
dall'apposito regolamento comunale, previsto
dall'articolo 8, comma 6, della stessa legge
36/2001.
Il punto rilevante è però che l' attuale
sistema delle norme in materia di sanità è
frammentario e disorganico. Le norme
attribuiscono sovente identiche competenze
ad autorità diverse e sarebbe perciò
necessaria, oltre a una semplificazione
abrogatrice, una meditata risistemazione di
tutte queste competenze (articolo
Il Sole 24 Ore del 20.09.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Stazione radio base - Nota comunale con cui
si prospetta la necessità di sottoposizione
a VIA del progetto - Decorso dei quindici
giorni di cui all’art. 87, c. 5, del codice
delle comunicazioni - Idoneità ad
interrompere il decorso del termine per la
formazione del silenzio assenso - Esclusione
- Provvedimento sospensivo - Illegittimità.
La nota comunale con cui, successivamente al
decorso dei quindici giorni dalla
presentazione dell’istanza per la
realizzazione di una stazione radio base,
viene prospettata la sussistenza della
necessità di assoggettare a procedura di VIA
il progetto prodotto a corredo della
domanda, senza tuttavia richiedere, come
previsto dalla legge, alcuna integrazione di
atti o documenti, non è idonea ad
interrompere la formazione del provvedimento
assentivo per silentium di cui
all’art. 87, nono comma, del codice delle
comunicazioni elettroniche.
Pertanto, una volta intervenuto detto
provvedimento di assenso, deve ritenersi
l’illegittimità del provvedimento di
sospensione, di per sé inidoneo a provocare
effetti inibitori su una fattispecie legale
ormai integrata da tutti i suoi elementi
costitutivi (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.07.2010 n. 4785 -
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO –
Stazioni radio base per telefonia mobile –
Prescrizioni urbanistiche-edilizie
preesistenti – Applicabilità – Esclusione –
Specifica disciplina conformativa.
In assenza di specifiche prescrizioni, la
realizzazione delle stazioni radio base per
la telefonia mobile non è soggetta a
prescrizioni urbanistiche-edilizie
preesistenti, dettate con riferimento ad
altre tipologie di opere (nella specie:
previsione di altezze massime quali le
costruzioni), elaborate
nell'inconsapevolezza del fenomeno della
telefonia e dell'inquinamento
elettromagnetico in generale; il titolo
concessorio non può quindi essere negato se
non con riguardo ad una specifica disciplina
conformativa che prenda in considerazione le
reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico, dovendosi rilevare, peraltro, che
gli impianti tecnologici non sviluppano di
norma volumetria o cubatura se non
limitatamente ai basamenti o alle cabine
accessorie.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Impianti di comunicazione
elettronica – Permesso di costruire –
Necessità – Esclusione – Normativa speciale
di cui al d.lgs. n. 259/2003 – Titoli
abilitativi ivi previsti – Autonomia e
sufficienza.
Per l’installazione degli impianti di
comunicazione elettronica non è necessario
il permesso di costruire, essendo
l’installazione subordinata soltanto
all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del
T.U. 01.10.2003, n. 259 (c.d. codice delle
comunicazioni) e non occorrendo al riguardo
il permesso di costruire ai sensi dell’art.
3, lett. e), del T.U. 06.06.2001 n. 380
(cfr., tra le tante Cons. St., Sez. VI
21.01.2005 n. 100).
La disciplina dettata dal D.Lgs. 259/2003
costituisce, infatti, normativa speciale e
compiuta, per cui prevale sulla disciplina
generale dettata dal T.u. dell'edilizia
approvato nel 2001, che, per gli interventi
in questione, richiedeva il permesso di
costruire.
I titoli abilitativi previsti dal d.lgs. n.
259/2003 (autorizzazione e denuncia di
inizio attività), dunque, malgrado la
identità del nomen con gli istituti
previsti dal T.U. dell'edilizia sono
provvedimenti del tutto autonomi che
assolvono integralmente le esigenze proprie
delle telecomunicazioni e le esigenze
territoriali alla cura degli enti locali.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Reti pubbliche di
comunicazioni – Art. 86, c. 3 d.lgs. n.
259/2003 – Assimilabilità alle opere di
urbanizzazione primaria – Compatibilità con
qualsiasi destinazione urbanistica.
L'art. 86 comma 3, del D.Lgs. 259/2003,
disponendo espressamente l’assimilabilità
delle reti pubbliche di comunicazione alle
opere di urbanizzazione privata, rende per
l'effetto le stesse compatibili a qualsiasi
destinazione urbanistica di tutte le zone
dei territori comunali.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Stazioni radio base –
Utilizzo formale degli strumenti di natura
edilizio-urbanistica – Deroga ai limiti di
esposizione fissati dallo Stato –
Illegittimità.
Il formale utilizzo degli strumenti di
natura edilizio–urbanistica (con la
necessaria osservanza delle relative
procedure di approvazione) e il dichiarato
intento di esercitare le proprie competenze
in materia di governo del territorio, non
possono giustificare l’adozione di misure
che nella sostanza costituiscono
indirettamente una deroga ai limiti di
esposizione fissati dallo Stato; quali, ad
esempio, il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio base per
la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale, che ha lo stesso effetto di
sovrapporre una determinazione cautelativa,
ispirata al principio di precauzione, alla
normativa statale che ha fissato i limiti di
radiofrequenza, di fatto eludendo tale
normativa.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Stazioni radio base –
Adozione di misure di minimizzazione (art.
8, c. 6, L. n. 36/2001) – Limiti
generalizzati di esposizione diversi da
quelli stati – Illegittimità.
Le misure di minimizzazione (distinte
dall’art. 8, c. 6, L. n. 36/2001 da quelle
urbanistico-edilizie) non possono quindi in
alcun modo prevedere limiti generalizzati di
esposizione diversi da quelli previsti dallo
Stato, né possono di fatto costituire una
deroga generalizzata, o quasi, a tali
limiti, essendo invece consentita
l’individuazione di specifiche e diverse
misure, la cui idoneità al fine della “minimizzazione”
emerga dallo svolgimento di compiuti e
approfonditi rilievi istruttori sulla base
di risultanze di carattere scientifico
(decisione n. 3098/2002).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Determinazione di limiti
di localizzazione degli impianti – Misura
surrettizia di tutela della popolazione da
immissioni elettromagnetiche – Illegittimità
- Competenza esclusiva statale.
La determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti –atteso il suo
carattere generalizzato e il riferimento al
dato oggettivo dell’esistenza di
insediamenti abitativi– non può tradursi in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (cfr., n. 7274/2002;
n. 4159/2005).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO – Art. 8, c. 6, L. n.
36/2001 – Impianti di telecomunicazione -
Ente locale – Potestà di disciplinare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale – Limiti.
La potestà attribuita all’ente locale
dall’art. 8, comma 6, della L. n. 36/2001 di
disciplinare “il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
a campi elettromagnetici” deve tradursi
in regole ragionevoli, motivate e certe,
poste a presidio di interessi di rilievo
pubblico (in relazione, ad esempio, al
particolare valore paesaggistico/ambientale
o storico/artistico di individuate porzioni
del territorio, ovvero alla presenza di siti
che per la loro destinazione d’uso possano
essere qualificati particolarmente sensibili
alle immissioni elettromagnetiche), ma non
può introdurre un generalizzato divieto di
installazione in zone urbanistiche
identificate; mentre, dall’altra, tale
previsione viene a costituire una misura di
carattere generale, sostanzialmente
cautelativa rispetto alle emissioni
derivanti dagli impianti di telefonia
mobile, riservando, tuttavia, l’art. 4 della
L. n. 36/2001, alla competenza dello Stato,
la determinazione, con criteri unitari, dei
limiti di esposizione, dei valori di
attenzione e degli obiettivi di qualità, in
base a parametri da applicarsi uniformemente
su tutto il territorio dello Stato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.07.2010 n. 4557 -
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EDILIZIA PRIVATA:
STAZIONI RADIO-BASE E RUOLO DEL
COMUNE.
1. Telecomunicazioni -
Telefonia mobile - Stazione radio base -
Regolamenti comunali - Misure di
minimizzazione - Limiti contemplabili.
2. Telecomunicazioni - Telefonia mobile -
Stazione radio base - Limiti compatibilità -
Determinazione - Competenza statale -
Sussistenza - Ragioni.
3. Telecomunicazioni - Telefonia mobile -
Stazione radio base - Regolamenti comunali -
Illegittimità - Casi - Ragioni.
4. Giurisdizione
amministrativa - Poteri del G.A. - Profili.
5. Giudizio amministrativo - Procedura -
Termini - Per impugnare - Atto applicativo -
Disciplina.
1. Ai sensi dell'art. 8, co. 6, L.
22.02.2001 n. 36, i comuni possono adottare
un regolamento per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti e minimizzare l'esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici.
Le misure di minimizzazione suddette non
possono tuttavia, in alcun modo, prevedere
limiti generalizzati di esposizione diversi
da quelli previsti dallo Stato, né possono
di fatto costituire una deroga
generalizzata, o quasi, a tali limiti,
essendo invece consentita l'individuazione
di specifiche e diverse misure, la cui
idoneità al fine della minimizzazione emerga
dallo svolgimento di compiuti e approfonditi
rilievi istruttori sulla base di risultanze
di carattere scientifico (Cons. Stato, sez.
VI, n. 5258/2009).
2. I criteri di localizzazione degli
impianti non possono trasformarsi in
limitazioni alla localizzazione, così da
configurarsi incompatibili con la
possibilità di realizzare una rete completa
d'infrastrutture per la telecomunicazione e
la determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti -atteso il
suo carattere generalizzato ed il
riferimento al dato oggettivo dell'esistenza
di insediamenti abitativi- non può tradursi
in una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l'art. 4, L. n. 36/2000 riserva allo
Stato attraverso l'individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità.
Né va
dimenticato come la scelta dei criteri
d'insediamento degli impianti deve tenere
conto della nozione di rete di
telecomunicazione, la quale richiede una
diffusione capillare sul territorio.
D'altronde l'assimilazione in via normativa
delle infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
medesime non siano avulse dall'insediamento
abitativo, ma debbano porsi al servizio
dello stesso (Corte Costituzionale n.
307/2003; Corte Costituzionale n. 331/2003;
Cons. Stato, sez. VI, n. 5258/2009; Cons.
Stato, sez. VI, 17-07-2008 n. 3594; cfr.
anche Cons. Stato, sez. VI, 28-03-2007 n.
1431).
3. Il potere comunale non può spingersi fino
al punto di ritenere che al comune sia
consentito di introdurre limiti
generalizzati d'esposizione ai campi
magnetici diversi da quelli previsti dallo
Stato, ovvero di costituire deroghe
pressoché generalizzate rispetto a tali
limiti statali per il tramite di
generalizzate interdizioni localizzative,
essendo al più consentita l'individuazione
di specifiche e diverse misure
precauzionali, la cui idoneità al fine della
minimizzazione emerga dallo svolgimento di
compiuti ed approfonditi rilievi istruttori
sulla base di risultanze di carattere
scientifico, sicché deve ritenersi esulare
dalle competenze comunali l'imposizione, in
sede di pianificazione urbanistica, di
generalizzati divieti di installazione degli
impianti di telefonia mobile, e ciò sia per
la inammissibile finalità indirettamente
sanitaria della misura, sia per l'avvenuta
assimilazione normativa di tali impianti
alle opere di urbanizzazione primaria,
compatibili come tali con ogni destinazione
di zona (Cons. Stato, sez. VI, 10-05-2007 n.
2241; Cons. Stato, sez. VI, 03-09-2007 n.
5098; Cons. Stato, sez. VI, 27-07-2007 n.
4162; Cons. Stato, sez. VI, 16-12-2009 n.
8103, che conferma TAR Veneto, sez. II, n.
149/2004).
4. Al Giudice Amministrativo è consentito
disapplicare la norma secondaria di
regolamento, qualora essa contrasti con la
norma di legge, ai fini della decisione
sulla legittimità del provvedimento
amministrativo (Cons. Stato, sez. VI,
29-05-2008 n. 2536; Cons. Stato, sez. VI,
03-10-2007 n. 5098; TAR Lombardia Milano,
sez. II, 19-02-2009 n. 1322).
5. Allorché la lesione consegua
all'emanazione del provvedimento applicativo
di quello generale, il termine per
impugnare, contestando le prescrizioni
generali in concreto applicate, decorre
dalla conoscenza del provvedimento che ne fa
applicazione; quest'ultimo, infatti, è
quello che comporta l'attualità e la
concretezza della lesione della situazione
soggettiva protetta (Cons. Stato, sez. VI,
08-09-2009 n. 5258) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.07.2010 n. 2949 -
link a http://mondolegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
I limiti di esposizione, per gli impianti di
telefonia, stabiliti con disciplina statale
non sono derogabili dagli enti locali.
Il Decreto ministeriale 10.09.1998 n. 381 ha
fissato all’articolo 3 i limiti massimi di
esposizione della popolazione
differenziandoli in base alla frequenza
degli impianti e all’articolo 4 ha previsto
che debba essere rispettato un principio di
minimizzazione dell’esposizione nella
progettazione e realizzazione di quelli
esistenti. In particolare negli edifici
adibiti a residenza per periodi di tempo non
inferiori a quattro ore deve essere
rispettato il ben più restrittivo valore di
6 V/m.
La disciplina statale ha, quindi, recato
dei limiti particolarmente restrittivi e
cautelativi a tutela della salute umana, che
non sono suscettibili di essere
ulteriormente ampliati da parte delle
Regioni e degli Enti locali.
La pianificazione comunale impugnata è
pertanto illegittima per avere vietato la
localizzazione di qualsiasi impianto di
telefonia mobile a una distanza inferiore ai
300 metri dai centri abitati in contrasto
con l’articolo 9 della legge regionale n.
30/2000 (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 06.07.2010 n. 369 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di installazione di impianti di
telefonia mobile, l'Amministrazione non può
esigere, in sede di presentazione
dell'istanza di autorizzazione e/o di
denuncia di inizio attività, documentazione
diversa da quella prevista dall'allegato 13
- modello B, d.lgs. n. 259 del 2003 (in
relazione a tale fase), fatti salvi
adempimenti di minimo impatto che non si
traducano in un indebito aggravamento del
procedimento, quale qui dato e voluto dal
legislatore speciale per favorire la
ripetuta celere realizzazione della rete.
La
giurisprudenza, alla quale presta adesione
il Collegio, ha rilevato che, alla luce
delle finalità acceleratorie e
semplificatorie che presiedono il
procedimento dettato dall'art. 87, d.lgs. n.
259 del 2003 in materia di installazione di
impianti di telefonia mobile,
l'Amministrazione non può esigere, in sede
di presentazione dell'istanza di
autorizzazione e/o di denuncia di inizio
attività, documentazione diversa da quella
prevista dall'allegato 13 - modello B,
d.lgs. n. 259 del 2003 (in relazione a tale
fase), fatti salvi adempimenti di minimo
impatto che non si traducano in un indebito
aggravamento del procedimento, quale qui
dato e voluto dal legislatore speciale per
favorire la ripetuta celere realizzazione
della rete.
Fra questi ultimi non vi è spazio per
richieste di documentazione che afferiscano
direttamente a previsioni regolamentari
dettate per le vicende puramente edilizie;
ovvero, per ottenere il rilascio del
permesso di costruire o per accompagnare la
denuncia di inizio attività sempre in campo
edilizio, né per imporre oneri esclusi
dall'art. 93 del codice delle Comunicazioni
che pone il divieto di imporre nuovi oneri "che
non siano stabiliti dalla legge" (Così
TAR Campania Napoli, sez. VII, 21.04.2009,
n. 2077) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 30.06.2010 n. 1371 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Installazione di una stazione radio base -
Strutture edilizie - Assoggettamento ai
principi urbanistici di carattere generale -
Limiti di altezza e cubatura -
Assoggettabilità - Esclusione - Normativa
antisismica - Procedimento unitario - d.lgs.
n. 259/2003.
L’installazione di una stazione radio base
non può che restare soggetta, sotto il
profilo urbanistico, ai principi di
carattere generale, che vedono tralicci ed
antenne di rilevanti dimensioni, da una
parte, valutabili come strutture edilizie
soggette a permesso di costruire (ora, ai
sensi del d.lgs. n. 259/2003, ad assenso
autorizzativo, assorbente rispetto a tale
permesso), pur dovendosi d’altra parte
considerare tali manufatti -in quanto parte
di una rete di infrastrutture, qualificate
come opere di urbanizzazione primaria,
nonché in quanto impianti tecnologici e
volumi tecnici- compatibili con qualsiasi
destinazione di P.R.G. delle aree
interessate e non soggetti in linea di
massima ai limiti di altezza e cubatura
delle costruzioni circostanti (cfr. Cons.
St., sez. VI, 29.05.2006, n. 3243 e
07.06.2006, n. 3425).
Non preclude, dunque, l’assentibilità
dell’intervento l’assenza di una disciplina
specifica, volta ad individuare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di cui trattasi ed a
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici (nei limiti di
ragionevolezza e rispetto delle norme
statali, in cui tale localizzazione è
ritenuta possibile dalla giurisprudenza,
ormai consolidata sul punto: cfr., fra le
tante, Cons. St., sez. VI, 13.06. 2007, n.
3162, 03.03.2007, n. 1017, 28.03.2007, n.
1431 e 25.9.2006, n. 5593), così come può
trovare considerazione -all’interno del
procedimento unitario previsto- ogni altra
esigenza di tutela di interessi pubblici
rilevanti, come quelli connessi al rispetto
della normativa antisismica (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 28.06.2010 n. 4135 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. P. Francica,
Le antenne per telefonia mobile nella fascia
di rispetto cimiteriale
(Urbanistica e appalti n. 5/2010). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di impianti per la telefonia mobile.
In materia di telefonia mobile (articoli 86,
87 e 88 del d.lgs. n. 259/2003), la
giurisprudenza amministrativa ha statuito
che:
- ferma l’osservanza dei limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità fissati dallo Stato a livello
nazionale, la normativa è volta a
semplificare ed a rendere celere e certo il
procedimento per la realizzazione degli
impianti (ex multis: Cons. Stato,
Sez. VI, 28.02.2006, n. 889);
- a questo fine sono dirette, in
particolare, la subordinazione della
realizzazione degli impianti al solo
procedimento di autorizzazione degli Enti
locali, su istanza o denuncia di inizio di
attività da parte del richiedente, ai sensi
dell’art. 87, che pone una normativa
speciale esaustiva dell’esame di diversi
profili implicati, incluso quello della
compatibilità edilizio-urbanistica
dell’intervento, non occorrendo perciò il
permesso di costruire di cui agli articoli 3
e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 (ex
multis: Cons. Stato, Sez. VI:
17.12.2009, n. 8214; 17.10.2008, 5044;
05.08.2005, n. 4159), e l’assimilazione
delle infrastrutture in questione, ad ogni
effetto, ad opere di urbanizzazione primaria
(art. 86, comma 3), per cui in assenza di
esplicite e chiare disposizioni di segno
contrario la realizzazione dell’impianto è
compatibile con qualsiasi destinazione
urbanistica (ex multis: C.G.A.R.S.,
11.05.2009, n. 395; Cons. Stato, Sez. VI,
11.10.2007, n. 5342);
- in questo quadro il potere regolamentare
attribuito ai comuni dall’art. 8, comma 6,
della legge n. 36 del 2001, per il quale
essi “possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici”, è
espressione della loro autonoma e
fondamentale competenza alla disciplina
dell’uso del territorio “purché,
ovviamente, criteri localizzativi e standard
urbanistici rispettino le esigenze della
pianificazione nazionale degli impianti e
non siano, nel merito, tali da impedire od
ostacolare ingiustificatamente
l’insediamento degli stessi (cfr. Corte
costituzionale 07.10.2003, n. 307 e, in
senso conforme, la successiva sentenza
07.11.2003, n. 331)” (Cons. Stato, Sez.
VI, 26.07.2005, n. 4000; idem Sez. VI,
17.10.2008, n. 5044);
- con la conseguenza che la subordinazione
dell’insediamento degli impianti, da parte
del Comune, al perfezionamento a tempo
indeterminato di uno strumento
pianificatorio produce un ostacolo
ingiustificato alla loro realizzazione, in
contrasto con la finalità generale della
normativa in materia che, come visto, è
diretta alla definizione certa e celere del
procedimento autorizzatorio avviato su
istanza o con denuncia di inizio di
attività, e altresì in contrasto con la
finalità specifica del potere regolamentare
dei comuni stessi, che è quella di
disciplinare positivamente l’uso del
territorio ma non di pervenire di fatto ad
impedire, con il generico rinvio
all’esercizio di tale potere, le condizioni
per l’attività di telefonia mobile, poiché
con ciò verrebbero superati lo scopo e i
limiti della potestà conferita
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 25.05.2010 n. 3282 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Inquinamento
elettromagnetico - Impianto di
telecomunicazione - Regolamentazione
urbanistica - Competenza Statale.
2. Inquinamento
elettromagnetico - Impianto di
telecomunicazione - Regolamentazione
urbanistica - Competenza Statale -
Disposizioni regolamentari restrittive o
singoli provvedimenti negativi delle
Amministrazioni Comunali - Illegittimità.
3. Inquinamento
elettromagnetico - Impianto di
telecomunicazione - Installazione -
Necessità rilascio autonomo titolo edilizio
da parte delle Amministrazioni Comunali -
Non sussiste.
1. La tutela sanitaria della popolazione
dalle emissioni elettromagnetiche esula
dalle competenze dei Comuni, essendo
affidata al legislatore statale, il quale ha
prescelto un criterio basato esclusivamente
su limiti di immissione delle irradiazioni
nei luoghi particolarmente protetti:
pertanto, i Comuni non possono, attraverso
atti regolamentari o di pianificazione
urbanistica, introdurre divieti di
localizzazione di ordine generale per talune
porzioni di territorio, dal momento che la
potestà riconosciuta agli enti locali
dall'art. 8, Legge 36/2001 non può tradursi
in divieti assoluti di localizzazione di
impianti di telefonia mobile su parti del
territorio non interessate da obiettivi
sensibili (cfr. TAR, Milano, sent. n.
1815/2008; Cons. di Stato, sent. n.
7274/2002).
2. Sono illegittime le disposizioni
regolamentari ovvero i singoli provvedimenti
negativi con i quali le Amministrazioni
Comunali mirino a limitare o escludere la
collocazione di impianti di
telecomunicazioni, inferiori a 300W, in
determinate zone del territorio.
3. Gli impianti di telecomunicazione,
equiparati ad ogni effetto alle opere di
urbanizzazione primaria, non solo possono
essere collocati sul territorio a
prescindere dalla destinazione urbanistica
del sito individuato per la loro
installazione, ma neppure necessitano di
valutazione in materia edilizia da parte del
Comune, in quanto l'autorizzazione
rilasciata ai sensi dell'art. 87 D.Lgs.
259/2003 non costituisce titolo abilitativo
aggiuntivo rispetto a quello richiesto dal
T.U. delle disposizioni in materia edilizia,
ma assorbe in sé ogni valutazione
urbanistico-edilizia (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 100/2005) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenze 24.05.2010 nn.
1656,
1657,
1658,
1659,
1661 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di radio-comunicazione - Norma
regolamentare comunale - Divieto di
localizzazione nelle zone interessate da
vincolo paesaggistico, panoramico e
archeologico - Illegittimità - Contrasto con
i principi di cui al d.lgs. n. 259/2003.
La norma regolamentare comunale con la quale
è fatto divieto di localizzare impianti di
radio telecomunicazione in tutte le zone
interessate da vincolo paesaggistico,
panoramico e archeologico è incompatibile
con i principi desumibili dal D.L.vo
259/2003, dai quali emerge un evidente favor
per la installazione degli impianti di che
trattasi, i quali vengono espressamente
considerati quali opere di pubblica utilità
ed assimilati ad opere di urbanizzazione
primaria.
E’, pertanto, evidente che laddove una norma
regolamentare di fatto impedisca la
installazione di impianti soggetti al D.L.vo
259/2003 in ampie zone del territorio,
mettendo così a rischio l’efficacia del
sistema di comunicazione, essa, benché
ispirata dall’intento di salvaguardare
l’integrità di beni soggetti a tutela, non
può che considerarsi incompatibile con il
menzionato testo legislativo (TAR Puglia-
Bari, Sez. II,
sentenza 20.05.2010 n. 1963 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telefonia
mobile - Regolamento recante disciplina
temporanea dell'installazione di
stazioni-radio base - Impugnabilità del
regolamento unitamente all'impugnazione del
relativo atto applicativo - Possibilità - Ratio.
Il regolamento comunale recante la
disciplina temporanea dell'installazione di
stazioni radio base per telefonia mobile, in
considerazione della sua natura
regolamentare, è suscettibile di ripetuta
applicazione ed esplica effetto lesivo nel
momento in cui è adottato l'atto applicativo
e, pertanto, esso può formare oggetto di
censura in occasione della impugnazione di
quest'ultimo: ciò, dal momento che l'effetto
lesivo del regolamento si rinnova in
occasione dell'adozione di ogni
provvedimento applicativo ed è da tale
momento che decorre, ogni volta, il termine
per l'impugnazione dell'atto regolamentare
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1567/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.05.2010 n.
1571 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telecomunicazione -
Assimilabilità alle infrastrutture -
Installazione sull’intero territorio
comunale - Ammissibilità.
Gli impianti di telecomunicazione sono
assimilabili alle infrastrutture, e dunque
la loro installazione deve ritenersi in
generale consentita sull’intero territorio
comunale in modo da poter realizzare
un’uniforme copertura di tutta l’area
comunale interessata (Cons. St., sez. VI,
23.06.2008 n. 3133; Cons. St., sez. VI,
11.10.2007 n. 5342) (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 13.05.2010 n. 2955 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
impianti di telefonia mobile risultano
compatibili con il vincolo di rispetto
cimiteriale.
Le finalità della fascia di rispetto
cimiteriale sono quelle della tutela
dell’interesse pubblico sotto il profilo
sanitario, urbanistico e di garanzia della
tranquillità dei luoghi, ovverosia profili
rispetto ai quali in nessun modo la
realizzazione dell’opera per cui è causa si
appalesa lesiva.
Gli impianti di telefonia mobile risultano
pertanto compatibili con il vincolo di
rispetto cimiteriale, la cui ratio
non risulta in alcun modo compromessa da una
scelta localizzativa degli stessi nella
fascia di rispetto cimiteriale (cfr., Cons.
Stato, VI, 28.2.2006 n. 894; TAR Lazio, II-bis,
19.04.2007 n. 4367; TAR Veneto, II, 11.02.2005
n. 644)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2010 n. 1239 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti per le comunicazioni
elettroniche - Struttura progettata -
Impiego di cemento armato - Zona sismica -
Art. 18 L. n. 64/1974 - Applicabilità -
Fondamento.
In tema di impianti per le comunicazioni
elettroniche, ove la struttura progettata
prevede anche l’impiego di cemento armato e
si trova in zona sismica, trova applicazione
l’art. 18 della L. 64/1974: è irrilevante il
fatto che detta disposizione di legge non
sia espressamente richiamata nel catalogo
dei documenti previsto dall’allegato 13 del
Codice della Comunicazioni Elettroniche,
trattandosi di norma che deve essere
necessariamente applicata nel particolare
caso in cui le infrastrutture di
telecomunicazioni siano in concreto
progettate con particolari modalità tali da
rientrare sotto l’ambito previsionale della
predetta legge (TAR icilia-Catania, Sez. I,
sentenza 28.04.2010 n. 1255 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di impianti
radioelettrici - Titoli abilitativi - Ente
competente al rilascio - Art. 87 d.lgs. n.
259/2003 - Ente Locale - Interpretazione ex
art. 118 Cost. - Comune.
L'individuazione del Comune quale ente
abilitato al rilascio dei titoli
autorizzatori necessari per la realizzazione
degli impianti radioelettrici discende, dal
d.lgs. n. 259/2003, letto alla luce
dell'art. 118 Cost..
L'art. 87, commi 2 e 9, del d.lgs. n.
259/2003, pur indicando in modo generico
l'ente locale competente al ricevimento
delle istanze ed al rilascio dei titoli
abilitativi (utilizzando la testuale
espressione "l'ente locale"), deve
infatti essere interpretato nel senso che
attribuisca al Comune tale competenza
(Consiglio Stato , sez. VI, 28.06.2007, n.
3792).
Stazione radio base -
Autorizzazione - Formazione del silenzio
assenso - Decorrenza - Individuazione -
Parere favorevole dell’ARPA - Necessità ai
soli fini dell’attivazione.
In tema di autorizzazione per la costruzione
di una stazione radio-base, il termine per
la formazione del silenzio-assenso di cui
all'art. 87, IX comma del DLgs n. 259/2003
decorre dalla presentazione della domanda
corredata dal progetto, e non dalla
ricezione, da parte del Comune, del parere
dell'Arpa, in quanto ai sensi dell'art. 87,
IV comma del citato DLgs n. 259 il deposito
del parere preventivo favorevole dell'Arpa
non è prescritto per la formazione del
titolo edilizio ovvero per l'inizio dei
lavori, ma solo per l'attivazione
dell'impianto (Tar Veneto n. 1283/2007 TAR
Lecce, II, 24.08.2006 n. 4279; TAR Catania,
II, 23.09.2005 n. 1478).
Impianti radioelettrici
- Insediamento - Competenza regolamentare
comunale - Art. 8 L. n. 36/2001 - Differenza
tra “criteri localizzativi” e “limiti alla
localizzazione”.
In tema di competenza regolamentare per il
corretto insediamento degli impianti
radioelettrici, attribuita ai Comuni con
l’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del
2001, la giurisprudenza ha precisato la
differenza fra ‘criteri localizzativi” e “limiti
alla localizzazione” ritenendosi
consentiti i primi, in quanto recanti
criteri specifici rispetto a localizzazioni
puntuali, e non i secondi, in quanto recanti
divieti generalizzati per intere aree (ex
multis: Cons. Stato, Sez. VI:
05.06.2006, n. 3452; 19.05.2008, n.2287;
17.07.2008, n. 3596).
Impianti radioelettrici
- Realizzazione - Autorizzazione ex art. 87
Cod. telecomunicazioni - Permesso di
costruire ex d.p.r. n. 380/2001 - Necessità
- Esclusione.
La realizzazione degli impianti
radioelettrici è subordinata soltanto
all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del
Codice delle telecomunicazioni, che pone una
normativa speciale esaustiva dell’esame di
diversi profili implicati, incluso quello
della compatibilità edilizio-urbanistica
dell’intervento, non occorrendo perciò il
permesso di costruire di cui agli articoli 3
e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 (ex
multis: Cons. Stato, Sez. VI:
17.10.2008, 5044; 05.08.2005, n. 4159).
Installazione di
impianti di telecomunicazione - Regolamento
comunale - Suddivisione del territorio
comunale in tre tipologie, di cui solo una
idonea ad ospitare impianti - Illegittimità
- Fondamento.
Il regolamento comunale che delinei la
suddivisione del territorio comunale in tre
tipologie di aree (maggiormente idonee, di
attenzione e sensibili) si pone in contrasto
con il d.lgs. n. 259 del 2003, non
consentendo tale decreto alle
amministrazioni comunali di estendere la
propria competenza sino a selezionare le
aree del territorio, individuandone solo
alcune come idonee ad ospitare gli impianti.
L'installazione di impianti di
telecomunicazione, infatti, deve ritenersi
in generale consentita sull'intero
territorio comunale in modo da poter
realizzare, con riferimento a quelli di
interesse generale, un'uniforme copertura di
tutta l'area comunale interessata.(Consiglio
Stato, sez. VI, 28.03.2007, n. 1431).
Localizzazione degli
impianti di telecomunicazione - Regolamento
comunale - Obbligo di rispettare determinate
distanze dai confini - Illegittimità.
Come non può essere imposto, mediante
regolamento comunale edilizio l'osservanza
di determinate distanze dagli edifici
esistenti, ugualmente, ed anzi a maggior
ragione, non si può pretendere di
localizzare gli impianti ad una determinata
distanza dal confine di proprietà,
trattandosi di previsione che appare priva
di giustificazione alcuna e rappresenta solo
un indebito impedimento nella realizzazione
di una rete completa di telecomunicazioni
(Consiglio Stato , sez. VI, 25.06.2007, n.
3536).
Insediamento urbanistico
e territoriale degli impianti - Potere
regolamentare comunale - Art. 8, c. 6 L. n.
36/2001 - Fissazione di limiti di
esposizione diversi da quelli stabiliti
dallo Stato - Illegittimità - Introduzione
di misure funzionali alla tutela della
salute - Competenze comunali - Estraneità.
Ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge
22.02.2001 n. 36, i comuni possono adottare
un regolamento atto ad assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione comunale ai
campi elettromagnetici.
Tuttavia, il potere regolamentare comunale
non può implicare la fissazione di limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici
diversi da quelli stabiliti dallo Stato, non
rientrando tale potere nell'ambito delle
competenze comunali.
Non può, pertanto, il comune, attraverso il
formale utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure
derogatorie ai predetti limiti di
esposizione fissati dallo Stato, quali, ad
esempio, il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radiobase per
telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale; ovvero, introdurre misure che
pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc.) non siano
funzionali al governo del territorio, quanto
piuttosto alla tutela della salute dai
rischi dell'elettromagnetismo (Consiglio
Stato , sez. VI, 03.10.2007, n. 5098;
Consiglio Stato, sez. VI, 05.06.2006, n.
3332) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.04.2010 n. 2371 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di infrastrutture
di comunicazione elettronica - Istanza -
Pubblicità - Art. 87, c. 4 d.lgs. n.
259/2003 - Partecipazione al procedimento
dei soggetti interessati - Assenza di
specifiche prescrizioni sulle specifiche
forme pubblicitarie da adottare - Forma più
idonea nel caso concreto.
In tema di installazione di infrastrutture
di comunicazioni elettronica, il precetto
contenuto nell’art. 87, c. 4 del d.lgs. n.
259/2003 (“lo sportello locale competente
provvede a pubblicizzare l’istanza, pur
senza diffondere i dati caratteristici
dell’impianto”) va osservato
dall’Amministrazione al fine di mettere in
condizione i soggetti interessati di
partecipare al procedimento volto al
rilascio del titolo abilitativo; in assenza
di specifiche prescrizioni in ordine alle
modalità delle forme pubblicitarie da
adottare, l’Amministrazione è comunque
tenuta a prediligere quella che si riveli
più idonea, nel caso concreto, a rendere
nota la pendenza del procedimento ai
cittadini che ne vogliano prendere parte
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18.04.2005, n.
1773; TAR Puglia-Lecce, Sez. II, n.
3758/2008).
Installazione di
infrastrutture di comunicazione elettronica
- Normativa statale e regionale (Puglia) -
Promozione della coubicazione.
La normativa statale e regionale
disciplinante la materia delle installazioni
delle infrastrutture di comunicazioni
elettronica (artt. 49, comma 1, lett. f, 86,
comma 2 e 89, commi 1 e 2, del d.lgs. n.
259/2003, L.r. Puglia n. 5/2002 e
Regolamento regionale n. 14/2006), sulla
scia del legislatore comunitario, promuove
la coubicazione degli impianti di telefonia
anche per ridurre l’impatto ambientale
prodotto dalle strutture di sostegno.
Impianti di
comunicazione elettronica - Acquisizione del
parere ARPA - Condizione per il
perfezionamento del titolo edilizio -
Esclusione - Necessità al solo fine
dell’attivazione.
L’acquisizione del parere tecnico preventivo
dell’ARPA è necessaria solo al fine di
procedere all’attivazione dell’impianto di
comunicazioni elettronica, non anche per il
perfezionamento del titolo edilizio.
Ciò, peraltro, oltre ad essere stato
confermato da diverse pronunce, è stato
prima ancora chiarito in sede normativa
(cfr. punto A1 del Regolamento regionale
della Puglia n. 14/2006) (TAR Puglia-Lecce,
Sez. II,
sentenza 27.04.2010 n. 1024 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione
impianti di radiodiffusione.
Non integra il reato di installazione e/o
esercizio senza autorizzazione di impianti
di radiodiffusione sonora o televisiva in
ambito locale (art. 98, comma terzo, Codice
delle comunicazioni elettroniche di cui al
D.Lgs. 01.08.2003, n. 259) la modifica "in
riduzione" di un impianto già assentito,
non essendo necessaria in tale ipotesi
l'autorizzazione preventiva, ma una semplice
comunicazione da parte del soggetto che ne è
titolare (in motivazione la Corte, in una
fattispecie nella quale si era verificata la
delocalizzazione e riduzione dell'area
originariamente servita dall'impianto
autorizzato, ha precisato che a tale ipotesi
è applicabile il principio del silenzio
assenso, da ritenersi formato una volta
decorso il termine di 60 giorni dalla
comunicazione) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 14.04.2010 n. 14284 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1.
Inquinamento elettromagnetico - Tutela
sanitaria della popolazione - Competenza -
Spetta alla normativa statale.
2. Inquinamento
elettromagnetico - Tutela sanitaria della
popolazione - Regolamenti locali o strumenti
urbanistici con obiettivi di protezione
sanitaria più ampi delle ipotesi previste
dalla normativa regionale di settore -
Illegittimità.
3. Edilizia ed urbanistica - Infrastrutture
di reti pubbliche di comunicazione -
Assimilabilità alle opere di urbanizzazione
primaria - Sussiste - Compatibilità con la
zona agricola - Sussiste.
4. Inquinamento
elettromagnetico - Tutela sanitaria della
popolazione - Individuazione dei siti di trasmissione e di
impianti per telefonia mobile - Competenza -
Spetta alla normativa regionale.
1. La tutela sanitaria della popolazione
dalle esposizioni ai campi elettromagnetici
non rientra nelle competenze dei Comuni, in
quanto tale tutela è assicurata dalla
normativa statale -Legge 36/2001- mediante
norme già improntate al principio di
precauzione (cfr. Cons. di Stato, sent. nn.
3095/2002, 673/2003, 4841/2003).
2. Sono illegittime le norme di regolamenti
locali o di strumenti urbanistici che
perseguano obiettivi di protezione sanitaria
estesi ben oltre le specifiche ipotesi
previste dalla normativa regionale di
settore e che prescrivano in via
generalizzata, per gli impianti di telefonia
cellulare e similari, distanze minime da
insediamenti residenziali, da edifici e
attrezzature di uso collettivo, ovvero dal
confine delle zone territoriali omogenee che
prevedono tali destinazioni (cfr. Corte
Cost., sent. 331/2003; Cons. di Stato, sent.
n. 450/2005; TAR Lazio, sent. n.
8170/2001).
3. Ai sensi dell'art. 86, comma 3, D.Lgs.
259/2003 -codice delle comunicazioni
elettroniche- le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione sono ad ogni
effetto assimilate alle opere di
urbanizzazione primaria: ne consegue che
tali infrastrutture sono compatibili anche
con la destinazione agricola (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 673/2003; TAR Milano,
sent. n. 5305/2008).
4. Ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. a),
legge-quadro n. 36/2001 è di competenza
delle regioni l'esercizio delle funzioni
relative all'individuazione dei siti di
trasmissione e degli impianti per telefonia
mobile, ossia stabilire i criteri di
localizzazione degli impianti e affidare ai
comuni il compito di definire, nel p.r.g. o
nelle sue varianti, i siti dove localizzare
o delocalizzare le antenne per la telefonia
mobile, nel rispetto dei criteri di
funzionamento della rete e dei servizi (cfr.
Corte Cost., sent. n. 103/2006) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 06.04.2010 n.
999 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Tutela sanitaria della popolazione -
Competenze comunali - Estraneità.
Non rientra nelle competenze dei Comuni la
tutela sanitaria della popolazione dalle
esposizioni ai campi elettromagnetici (Cons.
Stato VI, 03.06.2002 n. 3095, 10.02.2003 n.
673, 26.08.2003 n. 4841), assicurata dalla
normativa statale mediante norme già
improntate al principio di precauzione.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Emissioni - Tutela
sanitaria della popolazione - Competenza
statale - Divieti di installazione connessi
alla destinazione urbanistica delle aree -
Illegittimità - Prescrizioni di distanze
minime tra impianti e abitazioni -
Illegittimità.
La tutela sanitaria della popolazione dalle
emissioni elettromagnetiche esula dalle
competenze dei comuni (cfr. Cons. Stato VI,
20.12.2002 n. 7274), essendo affidata dalla
legge quadro (n. 36/2001) al legislatore
statale, il quale ha prescelto un criterio
basato esclusivamente sui limiti di
immissione delle irradiazioni nei luoghi
particolarmente protetti.
Si discostano da tale criterio sia i divieti
di localizzazione e di installazione
connessi alla mera destinazione urbanistica
delle aree, sia le prescrizioni di distanze
minime fisse, tra impianti e abitazioni,
diverse dalle distanze ordinarie previste
per gli edifici (cfr. Cons. Stato VI, ord.za
15.01.2002 n. 277; TAR Veneto 2^, 02.02.2002
n. 347; TAR Lazio 2^ 06.10.2001 n. 8170).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Regolamenti locali -
Strumenti urbanistici - Previsione di
distanze minime da insediamenti residenziali
- Obiettivi di protezione sanitaria -
Illegittimità.
Non possono considerarsi legittime le norme
di regolamenti locali o di strumenti
urbanistici che, con obiettivi di protezione
sanitaria estesi ben oltre le specifiche
ipotesi previste dalla normativa regionale
di settore, prescrive in via generalizzata,
per gli impianti di telefonia cellulare e
similari, distanze minime da insediamenti
residenziali, da edifici e attrezzature di
uso collettivo, ovvero dal confine delle
zone territoriali omogenee che prevedono
tali destinazioni (cfr. Corte cost.
331/2003; Cons. Stato IV, 14.02.2005 n. 450;
TAR Lazio 2^, 06.10.2001 n. 8170).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione - Assimilazione
alle opere di urbanizzazione primaria -
Compatibilità con la destinazione agricola -
Art. 86, c. 3, d.lgs. n. 259/2003.
L’art. 86, comma 3, d.lgs. 01.08.2003 n. 259
(codice delle comunicazioni elettroniche)
assimila le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazione ad ogni effetto alle opere
di urbanizzazione primaria, il che le rende
compatibili anche con la destinazione
agricola (cfr. Cons. Stato VI, 10.02.2003 n.
673).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Potestà regolamentare dei
comuni - Limiti - Art. 8, c. 6, L. n.
36/2001.
La potestà regolamentare dei Comuni in
materia di emissioni elettromagnetiche (art.
8, c. 6, L. n. 36/2001) può tradursi
nell’introduzione, sotto il profilo
urbanistico, di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio
paesaggistico-ambientale o
storico-artistico, ovvero, per quanto
riguarda la minimizzazione dell’esposizione
ai campi elettromagnetici,
nell’individuazione di siti che per
destinazione d’uso e qualità degli utenti
possano essere considerati sensibili alle
immissioni radioelettriche (Cons. Stato VI
03.03.2007 n. 1017); ma non consente ai
comuni di introdurre limitazioni e divieti
generalizzati riferiti alle zone
territoriali omogenee, né consente
l’introduzione di distanze fisse, da
osservare rispetto alle abitazioni e ai
luoghi destinati alla permanenza prolungata
delle persone o al centro cittadino, quando
tale potere sia rivolto a disciplinare la
compatibilità dei detti impianti con la
tutela della salute umana al fine di
prevenire i rischi derivanti
dall’esposizione della popolazione a campi
elettromagnetici, anziché a controllare
soltanto il rispetto dei limiti delle
radiofrequenze fissati dalla normativa
statale e a disciplinare profili tipicamente
urbanistici (cfr. Cons. Stato V, 14.02.2005
n. 450) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.04.2010 n. 999 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Infrastrutture contemplate dal codice delle
comunicazioni - Procedimento ex art. 87
d.lgs. n. 259/2003 - Procedura abilitativa
di cui al D.P.R. n. 380/2001 - Cumulatività
- Esclusione.
In materia di infrastrutture contemplate dal
cd. codice delle comunicazioni, il
procedimento di cui all’art.87 del d.lgs.
n.259/03 non può essere applicato
cumulativamente alla procedura abilitativa
di cui al D.P.R. n.380/2001.
Devono pertanto ritenersi illegittime le
determinazioni comunali che pretendono di
subordinare l’installazione degli impianti
di telefonia al permesso di costruire di cui
T.U. edilizia.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - D.lgs. n. 259/2003 -
Principi fondamentali - Limiti all’esercizio
della potestà legislativa regionale - Norme
regionali previgenti - Contrasto con il
d.lgs. n. 259/2003 - Abrogazione implicita.
Il d.lgs. n. 259/2003 contiene disposizioni
qualificabili in termini di “principi
fondamentali” che si pongono quali
limiti all’esercizio della potestà
legislativa regionale concorrente; tali
limiti si qualificano in termini di
legittimità con riferimento a disposizioni
regionali che vengano emanate dopo la
definizione dei principi fondamentali, in
termini di efficacia per quelle già in
vigore.
Nel primo caso sarà necessaria una pronunzia
di incostituzionalità; nel secondo caso, si
determinerà un’automatica perdita di
efficacia delle norme regionali anteriori
per effetto delle disposizioni statali
sopravvenute, alla stregua di costante
orientamento della Corte costituzionale.
In altri termini, le norme statali di cui al
d.lgs. menzionato determinano l’abrogazione
implicita delle norme regionali previgenti
che si pongano in contrasto con le nuove
disposizioni (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 02.04.2010 n. 1257 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di impianti
di telefonia mobile - Rilascio contemporaneo
di due autorizzazioni - Spoglio -
giurisdizione g.o..
L'interferenza tecnica che si è creata per
effetto del rilascio di due regolari titoli
autorizzatori non si risolve dichiarando
illegittima una delle due autorizzazioni, ma
si risolve in base alle norme civilistiche
sullo spoglio: il gestore del traliccio che
si ritiene spogliato del possesso del
segnale per opera del comportamento illecito
tenuto da altri deve adire il giudice della
tutela possessoria per far valere in quella
sede le proprie ragioni e contestare
l'interferenza tecnica tra i due impianti,
ma non può far rifluire la questione davanti
al giudice amministrativo trasformandola in
un giudizio sulla legittimità di un
provvedimento rilasciato a monte (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
16.03.2010 n.
1216 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione degli impianti per
l’esercizio della radiodiffusione sonora o
televisiva - Attività edilizia di
costruzione degli impianti - Concessione
alla radiodiffusione - Titolo necessario di
legittimazione all’istanza edilizia.
L’art. 16 della legge 06.08.1990, n. 223
assoggetta a regime concessorio tanto
l’esercizio della radiodiffusione sonora o
televisiva quanto l'installazione dei
relativi impianti.
Nel settore della radiodiffusione, il regime
pubblicistico di concessione appare un
ragionevole strumento utilizzato dal
legislatore al fine di regolamentare lo
sviluppo ed esercizio del servizio e
dell’attività stessa. Tale ratio,
sottesa alla norma, e al più generale
impianto della legge, postula che l’attività
edilizia di costruzione degli impianti non
possa essere considerata funzionalmente
autonoma ma accessoria all’attività di
radiodiffusione (cfr. art. 25 D.Lgs.
259/2003).
Deve pertanto evincersi che l’art. 4 della
stessa legge n. 223/1990, nel richiamare
espressamente l’art. 16, pone la concessione
alla radiodiffusione quale necessario titolo
di legittimazione all’istanza edilizia
(Cass. Pen., III, 06.11.2007, n. 172)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.03.2010 n. 1387 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Nardelli,
LE IMMISSIONI ELETTROMAGNETICHE TRA
INCERTEZZE SCIENTIFICHE E CERTEZZE
LEGISLATIVE (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti di telefonia mobile - Atti di
pianificazione urbanistica che stabiliscono
il divieto generalizzato di installazione su
ambiti territoriali comunali non interessato
da obiettivi sensibili - Illegittimità.
Per giurisprudenza ormai consolidata, i
Comuni non possono, attraverso atti
regolamentari o di pianificazione
urbanistica, introdurre divieti di
localizzazione degli impianti di telefonia
mobile che abbiano carattere generale per
talune porzioni di territorio (tanto più per
gli impianti di potenza inferiore ai 300
WATT, come è nel caso di specie),
considerato che la potestà riconosciuta agli
enti locali dall'art. 8 della legge n.
36/2001 in materia di "individuazione dei
siti di trasmissione" non può tradursi in
divieti assoluti di localizzazione su parti
del territorio non interessate da obiettivi
sensibili (cfr. ex multis: Consiglio di
Stato, sez. VI, n. 3332/2006 e TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1815/2008) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.02.2010 n.
415 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telefonia mobile -
Localizzazione - Esigenze dei gestori - Art.
86, c. 3, d.lgs. n. 259/2003.
La scelta dei siti su cui localizzare gli
impianti di telefonia mobile non può
prescindere dalla preventiva valutazione
delle esigenze dei gestori della rete
telefonica di assicurare una corretta
erogazione del servizio attraverso la
migliore copertura possibile del segnale su
tutto il territorio.
Come è noto, infatti, l’art. 86, comma 3,
del d.lgs. n. 259/2003 equipara
espressamente gli impianti per la telefonia
mobile alle opere di urbanizzazione primaria
ed il successivo art. 90 li qualifica come
opere di pubblica utilità. Ne consegue che i
gestori sono obbligati ad installare la rete
telefonica secondo criteri
tecnico-scientifici precisi e ciò al fine di
erogare il servizio pubblico di telefonia
mobile in maniera omogenea su tutto il
territorio.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Impianti di telefonia -
Installazione in zone residenziali -
Osservanza dei valori di campo
elettromagnetico fissati dal legislatore -
Principio di precauzione - Art. 3, c. 1,
lett. c) del d.lgs. n. 36/2001 - Art. 3,
comma 2, del D.P.C.M. dell’08.07.2003.
La normativa attualmente vigente in materia
di esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici non esclude in maniera
tassativa l’installazione degli impianti di
telefonia nelle zone residenziali, ma
piuttosto la subordina all’osservanza di
valori di campo elettromagnetico fissati dal
legislatore in attuazione del principio di
precauzione (cfr. art. 3, c. 1, lett. c),
del d.lgs. n. 36/2001 e art. 3, comma 2, del
D.P.C.M. 08.07.2003) (TAR Puglia-Lecce, Sez.
II,
sentenza 11.02.2010 n. 545 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le antenne installate dalle
emittenti televisive e radiofoniche e dai
gestori di servizi telefonici hanno
rilevanza edilizia se determinano
l'alterazione del territorio.
In questi casi è evidente che per procedere
all'installazione, occorra acquisire il
titolo edilizio abilitativo. Pertanto se per
l’obiettiva consistenza degli impianti e per
le peculiari condizioni locali, la
realizzazione di simile opere determina
un’alterazione del territorio avente un
qualche risalto ambientale ed estetico, o
anche solo funzionale, la rilevanza edilizia
è assicurata.
Ne consegue che l'installazione, in assenza
di titolo è considerata alla stregua di un
abuso, giustificando l'intervento di
repressione da parte del comune.
Il titolo è necessario anche nel caso di
antenne installate su tralicci
precedentemente autorizzati, come è accaduto
per la sentenza assunta dai giudici
parmensi: la preesistenza di tralicci
autorizzati non esonerava la società
ricorrente dall’obbligo di acquisire il
necessario titolo abilitativo anche per i
manufatti aggiuntivi, onde consentire
all’Amministrazione comunale, in ossequio
all’ordinario modus pro cedendi, la
verifica della conformità delle
antenne/parabole, per numero e
caratteristiche, alla normativa
urbanistico-edilizia applicabile in loco
(commento tratto da
www.doumentazione.ancitel.it - TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza
26.01.2010 n. 34 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di impianti di
telefonia - Divieti generalizzati da parte
dei Comuni - Illegittimità.
L'illegittimità di disposizioni che
impongano generalizzati divieti di
installazione di impianti per la telefonia è
stata già riconosciuta dalla giurisprudenza
di questo Tribunale che in più occasioni ha
avuto modo di affermare come i poteri
riconosciuti alle amministrazioni comunali
in materia di governo del territorio non
consentano di operare esclusioni in via
generalizzata, ma solo l'individuazione di
criteri di localizzazione (TAR Lombardia,
Milano, Sez. IV, n. 797/2008. In senso
conforme anche n. 5777/2007, n. 2833/2006,
n. 6260/2007 e n. 554/2008).
Come, peraltro più volte chiarito anche dal
Consiglio di Stato, sez. VI, 05.06.2006, n.
3332 e sez. VI, 15.06.2006, n. 3534; TAR
Lazio, sez. II-bis, 17.01.2007, n. 323 è
ormai pacifico che "i Comuni non possono,
attraverso atti regolamentari o di
pianificazione urbanistica, introdurre
divieti di localizzazione di ordine generale
per talune porzioni di territorio,
considerato che la potestà riconosciuta agli
enti locali dall'art. 8 della legge 36/2001
non può tradursi in divieti assoluti di
localizzazione di impianti di telefonia
mobile su parti del territorio non
interessate da obiettivi sensibili" (TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1815/2008).
Nel caso di specie, inoltre, la circostanza
che la potenza dell'impianto non superi i
300 W, consente di localizzare i medesimi
prescindendo da una specifica previsione
urbanistica.
A norma dell'art. 86, comma 3, del D. L.vo
n. 259/2003, relativo alla localizzazione di
infrastrutture di telecomunicazioni, è,
infatti, possibile prescindere dalla
destinazione urbanistica del sito
individuato per la loro installazione in
quanto "le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione, di cui agli
articoli 87 e 88, sono assimilate ad ogni
effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'articolo 16, comma 7,
del decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380" (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 13.01.2010 n. 23 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
I limiti delle altezze, dettati
per le costruzioni, non si applicano agli
impianti tecnologici di cui al D.Lgs.
259/2003, essendo stati posti per
l’edificazione di strutture e manufatti
aventi un rilievo urbanistico ed edilizio
diverso da quello dei detti impianti, i
quali non sviluppano normalmente volumetria
o cubatura, se non limitatamente ai
basamenti e alle cabine accessorie, e non
determinano perciò ingombro visivo
paragonabile a quello delle costruzioni né
simile impatto sul territorio.
Questo Consiglio ha chiarito (C. di S., VI,
07.06.2006, n. 3425) che i limiti delle
altezze, dettati per le costruzioni, non si
applicano agli impianti tecnologici di cui
al D.Lgs. 259/2003, essendo stati posti per
l’edificazione di strutture e manufatti
aventi un rilievo urbanistico ed edilizio
diverso da quello dei detti impianti, i
quali non sviluppano normalmente volumetria
o cubatura, se non limitatamente ai
basamenti e alle cabine accessorie, e non
determinano perciò ingombro visivo
paragonabile a quello delle costruzioni né
simile impatto sul territorio, dovendosi
anche considerare che spesso “Le stazioni
radio base, per esigenze di irradiamento del
segnale, si sviluppano normalmente in
altezza, tramite strutture metalliche, pali
o tralicci, talora collocate su strutture
preesistenti, su lastrici solari, su tetti,
a ridosso di pali” come è nel caso in
esame in cui l’impianto da adeguare si trova
su un terrazzo.
Il richiamato art. 83 del regolamento
edilizio comunale deve, in conclusione,
essere disapplicato, essendo stato da tempo
ammesso “che il giudice amministrativo,
in applicazione del principio della
gerarchia delle fonti possa valutare
direttamente, attraverso lo strumento della
disapplicazione del regolamento, il
contrasto tra provvedimento e legge,
eventualmente annullando il provvedimento a
prescindere dall’impugnazione congiunta del
regolamento” (C. di S., VI, 03.10.2007,
n. 5098)
(Consiglio di Stato, Sez. Vi,
sentenza 18.12.2009 n. 8394 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Impianti ed
equiparazione agli edifici.
Le stazioni radiobase per le loro
caratteristiche strutturali, non sono
equiparabili alle costruzioni ex art. 873
del codice civile e la disciplina comunale
non può assimilare tout-court gli impianti
in questione agli edifici sotto il profilo
edilizio-urbanistico (ad es.: assoggettando
i primi ai limiti di altezza o in tema di
distanze propri dei secondi), in ragione
dell’inammissibile assimilazione ai fini
urbanistici fra le costruzioni e gli
impianti tecnologici (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 09.12.2009 n. 2861 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
stazioni radio base, per le loro
caratteristiche strutturali, non sono
equiparabili alle costruzioni ex art. 873
del codice civile e la disciplina comunale
non può assimilare tout-court gli impianti
in questione agli edifici sotto il profilo
edilizio-urbanistico in ragione
dell’inammissibile assimilazione ai fini
urbanistici fra le costruzioni e gli
impianti tecnologici.
In merito alla costruzione di una stazione
radio base sul confine, è stata dedotta nel
ricorso introduttivo la violazione degli
artt. 29 e ss. del Regolamento edilizio e
degli artt. 873 e ss. Codice civile.
Neppure questa censura può essere accolta,
poiché la giurisprudenza ritiene che tali
stazioni, per le loro caratteristiche
strutturali, non siano equiparabili alle
costruzioni ex art. 873 del codice civile
(TAR Toscana Firenze, sez. I, 06.11.2006, n.
5088), ed ha ripetutamente chiarito che “la
disciplina comunale non può assimilare
tout-court gli impianti in questione agli
edifici sotto il profilo
edilizio-urbanistico (ad es.: assoggettando
i primi ai limiti di altezza o in tema di
distanze propri dei secondi” (Cons.
Stato, VI, 5044/2008), in ragione
dell’inammissibile assimilazione ai fini
urbanistici fra le costruzioni e gli
impianti tecnologici (in tale senso, ex
plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, sent.
07.06.2006, n. 3425; id, Sez. IV, sent.
14.02.2005, n. 450)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 07.12.2009 n. 2861 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
No alle antenne dei telefonini in
zona a vincolo cimiteriale.
Il vincolo cimiteriale ha una triplice
finalità, in quanto, oltre alle esigenze
sanitarie ed alla salvaguardia della
possibilità di espansioni del perimetro
cimiteriale, esso garantisce anche il
rispetto della tranquillità e del decoro dei
luoghi di sepoltura, che vengono incise da
una struttura impattante quale un traliccio
di telecomunicazioni che non è più
rispettoso della pietas nei confronti dei
defunti di quanto non lo sia una abitazione
di residenza.
Le valutazioni in fatto sulla concreta
compatibilità dell’opera con l’area
cimiteriale (quali quelle sulla non lesione
delle esigenze sanitarie, e sulla
impossibilità di espansione in fatto
dell’area cimiteriale) sono estranee alla
disciplina del vincolo di inedificabilità,
che si fonda su valutazioni astratte prese
in considerazione una volta per tutte dal
legislatore.
La valutazione introdotta in giudizio sulla
estraneità di un traliccio di
telecomunicazioni dalla disciplina del
vincolo di inedificabilità non trovano alcun
fondamento nella norma attributiva del
potere. In nessuna disposizione dell’art.
338 sopra citato, infatti, il vincolo di
inedificabilità viene limitato soltanto alle
abitazioni dove è prevista la stabile
residenza di persone (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 01.12.2009 n. 2381 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Fascia di rispetto cimiteriale - Vincolo di
inedificabilità - Triplice finalità -
Manufatti edilizi diversi dalle abitazioni -
Tralicci per telecomunicazioni.
In materia di vincolo cimiteriale, la
salvaguardia del rispetto dei 200 metri
prevista dall'art. 338 del T.U. delle leggi
sanitarie di cui al r.d. 27.07.1934 n. 1265
nonché dall'art. 57 del d.P.R. 10.09.1990 n.
285 si pone alla stregua di un vincolo
assoluto di inedificabilità, valevole per
qualsiasi manufatto edilizio anche ad uso
diverso da quello di abitazione.
Il vincolo cimiteriale ha infatti una
triplice finalità, in quanto, oltre alle
esigenze sanitarie ed alla salvaguardia
della possibilità di espansioni del
perimetro cimiteriale, esso garantisce anche
il rispetto della tranquillità, del decoro e
della speciale sacralità dei luoghi di
sepoltura.
Di conseguenza, devono ritenersi compresi
nel divieto di edificazione anche i tralicci
per telecomunicazioni (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 01.12.2009 n. 2381 -
link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Impianti
di telefonia mobile - Atti di pianificazione
urbanistica che stabiliscono il divieto
generalizzato di installazione su ambiti
territoriali comunali non sensibili -
Illegittimità.
Per giurisprudenza ormai consolidata, i
Comuni non possono, attraverso atti
regolamentari o di pianificazione
urbanistica, introdurre divieti di
localizzazione degli impianti di telefonia
mobile che abbiano carattere generale per
talune porzioni di territorio, considerato
che la potestà riconosciuta agli enti locali
dall'art. 8 della legge n. 36/2001 in
materia di "individuazione dei siti di
trasmissione" non può tradursi in divieti
assoluti di localizzazione su parti del
territorio non interessate da obiettivi
sensibili (cfr. ex multis: Consiglio di
Stato, sez. VI, n. 3332/2006 e TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1815/2008)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
26.11.2009 n.
5169 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di impianti radiofonici -
Applicazione del procedimento amministrativo
disciplinato dall'art. 87 del d.lgs. n.
259/2003 e non dell'art. 28 del d.lgs.
177/2005.
Ai fini della realizzazione e
dell'installazione di un nuovo impianto di
comunicazione radioelettrica per il
potenziamento della trasmissione dei segnali
radio trova applicazione il procedimento
amministrativo di cui all'art. 87, co. 9,
del D.Lgs. n. 259 del 2003 (cd. Codice
delle Comunicazioni elettroniche) e non
quello disciplinato dall'art. 28 del d.lgs.
177/2005 (c.d. T.U. della radiotelevisione).
Il D.Lgs. n. 259 del 2003 ha infatti
introdotto una normativa di carattere
speciale e compiuta proprio in materia di
impianti radiofonici, destinata a prevalere
tanto sulla disciplina generale dettata dal
T.U. per l'edilizia, approvato con d.p.r. n.
380/2001, quanto su quella settoriale di cui
al d.lgs. 177/2005 (Cfr. Tar Lazio, Roma,
sez. II, n. 6056/2006) (l'individuazione
della normativa applicabile rileva in
quanto, mentre il citato art. 87 prevede che
decorsi 90 giorni dalla presentazione
dell'istanza di realizzazione dell'impianto,
senza che sia stato comunicato il diniego
espresso, questa si intenda accolta, l'art.
28 del T.U. della radiotelevisione subordina
l'intervento al previo rilascio del permesso
di costruire da parte dell'Amministrazione)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
26.11.2009 n.
5163 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
tralicci per la radiodiffusione sonora o
televisiva.
Il procedimento da
seguire in materia di realizzazione delle
infrastrutture di comunicazione per impianti
radioelettrici è unico ed é quello di cui
agli articoli 87 e seguenti del Codice delle
Comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259
del 2003). La previsione contenuta nell'art.
28 del d.lgs. 177/2005, laddove prescrive
che “la titolarità di autorizzazione o di
altro legittimo titolo per la
radiodiffusione sonora o televisiva dà
diritto ad ottenere dal comune competente il
rilascio di permesso di costruire per gli
impianti di diffusione e di collegamento
eserciti e per le relative infrastrutture”,
contiene una espressa clausola di salvezza
in favore del titolare di autorizzazione per
la radiodiffusione il diritto, il quale ha
la facoltà -ma non l’obbligo- di chiedere il
rilascio del permesso a costruire,
analogamente a quanto previsto, con maggiore
chiarezza, dal t.u. dell’edilizia il cui
art. 22 u.c. riconosce la facoltà
dell’interessato di chiedere il rilascio del
permesso di costruire per la realizzazione
di interventi (altrimenti) subordinati alla
(presentazione di una) semplice denuncia di
inizio attività.
Nella soluzione
della questione di diritto in esame, sulla
quale non constano precedenti in termini, è
necessario richiamare l’indirizzo
giurisprudenziale formatosi sul tema più
generale della disciplina applicabile ai
procedimenti autorizzatori relativi alle
infrastrutture di comunicazioni elettroniche
per impianti radioelettrici (comprendenti
non solo l'installazione delle stazioni
radio base di telefonia mobile, ma anche
l'espletamento dei servizi di trasmissione
radioelettrica e televisiva, a prescindere
dalla consistenza dei relativi impianti,
come si ricava dagli artt. 1 e 2 del Codice
– v. Tar Lazio, Roma, II, n. 6056/2006
cit.).
Secondo tale indirizzo, alla luce degli
obiettivi generali della disciplina delle
reti e dei servizi di comunicazione
elettronica, che risultano fissati dall'art.
41, comma 2, lettera a), n. 3 della
legge-delega 01/08/2002, n. 166 e che mirano
a promuovere "la semplificazione dei
procedimenti amministrativi e la
partecipazione ad essi dei soggetti
interessati, attraverso l'adozione di
procedure tempestive, non discriminatorie e
trasparenti" (cfr. art. 4, comma 3,
lett. a) del Codice delle comunicazioni
elettroniche), deve ritenersi unico il
procedimento da seguire in materia di
realizzazione delle infrastrutture di
comunicazione per impianti radioelettrici
(cfr. Cons. Stato, VI, n. 3040/2005, n.
100/2005, n. 4159/2005; Tar Lazio, Roma, II,
n. 2902/2005. v. altresì Corte cost. n.
129/2006 nel senso dell’illegittimità della
disposizione della l.r. Lombardia 12/2005
nella parte in cui stabiliva la necessità
del permesso a costruire per la
realizzazione di strutture radio). Con la
precisazione che non solo l’interpretazione
finalistica ma anche quella più strettamente
letterale conducono a considerare
omnicomprensivo l'iter procedimentale
delineato dalla disciplina speciale,
introdotta all'art. 87 del Codice delle
comunicazioni elettroniche, nel senso che in
quel contesto devono essere compiute le
valutazioni relative a tutti gli interessi
coinvolti dall'installazione delle
infrastrutture di telecomunicazione, com'è
dimostrato dalla previsione, racchiusa nel
comma 6 di tale disposizione, della
convocazione di una conferenza di servizi,
nel caso di motivato dissenso di una delle
amministrazioni interessate, per l'adozione,
a maggioranza ed in via sostitutiva, di atti
di competenza di singole Amministrazioni
(cfr. Cons. st., VI, n. 4159/2005, cit.).
Orbene, reputa il Collegio che le stesse
considerazioni di ordine generale possano
valere anche nel caso di specie, al fine di
ribadire la necessità di applicare
unicamente la disciplina speciale di cui al
d.lgs. 259/2003.
Nella vicenda in esame si può sottolineare,
in aggiunta a quanto sinora evidenziato,
come lo stesso art. 28 del d.lgs. 177/2005,
laddove prescrive che “la titolarità di
autorizzazione o di altro legittimo titolo
per la radiodiffusione sonora o televisiva
dà diritto ad ottenere dal comune competente
il rilascio di permesso di costruire per gli
impianti di diffusione e di collegamento
eserciti e per le relative infrastrutture”,
contenga una espressa clausola di salvezza
relativamente alla “disciplina vigente in
materia di realizzazione di infrastrutture
di comunicazione elettronica”. Sicché
sembra possibile ritenere che, nella materia
qui in esame, il legislatore abbia voluto
prevedere in favore del titolare di
autorizzazione per la radiodiffusione il
diritto (rectius la facoltà), ma non
l’obbligo, di chiedere il rilascio del
permesso a costruire, analogamente a quanto
previsto, con maggiore chiarezza, dal t.u.
dell’edilizia il cui art. 22 u.c. riconosce,
come noto, la facoltà dell’interessato di
chiedere il rilascio del permesso di
costruire per la realizzazione di interventi
(altrimenti) subordinati alla (presentazione
di una) semplice denuncia di inizio
attività.
Nel caso di specie, poiché l’istante non si
era avvalsa di tale facoltà ma aveva
attivato la procedura semplificata di cui
all’art. 87 d.lgs. 259/2003, e poiché
l’amministrazione nell’ambito di tale
procedimento non aveva espresso alcun
motivato dissenso nel termine di 90 giorni,
in applicazione del comma 9, l’istanza
doveva ritenersi già accolta, nella forma
del silenzio-assenso, alla data di
emanazione dell’atto di diffida.
Ne consegue la fondatezza del ricorso e, per
l’effetto, l’annullamento del provvedimento
impugnato in uno con l’accertamento che,
decorso il termine ex art. 87 d.lgs.
259/2003, l’originaria istanza presentata
dalla ricorrente deve intendersi accolta e
che, pertanto, le opere assentite potranno
essere realizzate, fatte salve naturalmente
eventuali determinazioni in autotutela
dell’amministrazione competente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 26.11.2009 n. 5163 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO –
Regolamento comunale – Previsione di
distanze da edifici adibiti alla permanenza
di persone – Finalità di tutela della
popolazione – Divieti insediativi
generalizzati – Competenza comunale –
Esclusione – Interpretazione
sostanzialistica.
Il riferimento alle distanze degli impianti
di telefonia mobile da edifici adibiti alla
permanenza di persone per un periodo
superiore alle quattro ore persegue una
evidente finalità di tutela della
popolazione dall'esposizione ai campi
elettromagnetici mediante la previsione di
divieti insediativi generalizzati, e non di
semplici criteri localizzativi, che sfuggono
alla competenza comunale nella misura in cui
invadono la sfera riservata dalla legge
quadro n. 36/2001 alla competenza statale:
un'interpretazione sostanzialistica della
portata dei confini delle competenze
comunali, volta ad evitare tecniche di
agevole elusione di dette regole, rende
irrilevante la circostanza che l'adozione di
misure che si sovrappongono al limiti
statali di esposizione sia avvenuta alla
stregua di strumenti formalmente
urbanistici, dovendosi valutare il profilo
effettivo del potere speso piuttosto che la
veste formale dell'atto adottato (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 24.11.2009 n. 6915 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telefonia mobile - Realizzazione
- Compatibilità urbanistica - Verifica -
Procedimento ex art. 87, c. 9, d.lgs. n.
259/2003.
Se è vero che nell’attuale ordinamento la
realizzazione di un impianto di telefonia
mobile non richiede il previo rilascio del
permesso di costruire, è altresì vero che
nel corso del procedimento disciplinato
dall’art. 87, comma 9, del d.lgs. n. 259 del
2003 vanno comunque svolte le verifiche di
compatibilità edilizia ed urbanistica dei
suddetti impianti, e ciò in coerenza con la
ratio della riforma, che è stata quella
di semplificare il procedimento e
concentrare al suo interno tutte le relative
valutazioni, comprese quelle di carattere
urbanistico-edilizio (v., ex multis,
Cons. Stato, Sez. VI, 28.02. 2006 n. 889).
L’installazione di simili infrastrutture,
pertanto, non può prescindere dal possesso,
tra gli altri, del requisito della «conformità
urbanistica».
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telefonia mobile -
Localizzazione - Amministrazioni comunali -
Competenze - Contemperamento degli interessi
coinvolti.
In tema di localizzazione ed installazione
degli impianti di telefonia mobile le
Amministrazioni comunali conservano le loro
tipiche competenze in ordine al governo del
territorio, da esercitare in modo tale da
contemperare i vari interessi coinvolti,
evitando in particolare l’adozione di misure
che si risolvano in un ingiustificato
ostacolo alla funzionalità della rete delle
infrastrutture di comunicazione elettronica
(TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 17.11.2009 n. 766 - link
a
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telefonia mobile - Installazione
- Strumenti programmatori comunali - Criteri
minimi di conoscenza preventiva e di
pianificazione - Legittimità - Condizioni -
Termini perentori per la redazione del
piano.
Gli strumenti programmatori attraverso i
quali il Comune, sulla base delle proposte
dei gestori, definisce complessivamente le
installazioni degli impianti di telefonia
mobile ammesse sul territorio comunale e a
queste previsioni subordina il rilascio
delle varie autorizzazioni, per assolvere la
funzione di introduzione di criteri minimi
di conoscenza preventiva e di pianificazione
dell’installazione degli impianti,
soddisfano la fondamentale esigenza di
razionalità dell’azione amministrativa, onde
non sono in sé illegittimi, a meno che ne
risulti in concreto scaturire una
dilatazione dei tempi per il rilascio delle
prescritte autorizzazioni -incompatibile con
la necessità di una disciplina uniforme sul
piano nazionale alla stregua delle superiori
norme statali-, situazione di contrasto che
non sussiste però quando la disciplina
locale prevede, in coerenza con l’assetto
normativo della materia, termini perentori
per la redazione del piano (v. Cons. Stato,
Sez. VI, 21.06.2006 n. 3734; e, da ultimo,
TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 21.03.2008
n. 1480).
Sicché, è illegittima la normativa comunale
che preveda una procedura di approvazione
del programma complessivo annuale svincolato
da termini perentori per la conclusione
dell’iter e che quindi consenta
all’Amministrazione di subordinare la
prosecuzione dell’istruttoria sulla domanda
concernente il singolo impianto al
sopraggiungere di un «piano» la cui
definizione resta priva di tempi certi (TAR
Emilia Romagna, Parma, n. 639/2009) (TAR
Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 17.11.2009 n. 765 - link
a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
CAMPI ELETTROMAGNETICI.
1.- Telecomunicazioni - Radio e
televisione - Impianto di
teleradiodiffusione - L.R. n. 29/1993 -
Ratio.
2.- Telecomunicazioni - Radio e
televisione - Impianto di
teleradiodiffusione - L.R. 29/1993 -
Presupposto di applicazione - Esistenza di
popolazione nella zona dove sorge l'impianto
- In assenza - Applicazione normativa - Non
sussiste.
1.-
La "ratio" della normativa contenuta
nella L.R. n. 29/1993 che stabilisce i
valori massimi a cui la popolazione può
essere esposta alle radiazioni di un campo
elettrico va ravvisata nell'esigenza di
tutelare la popolazione stessa dai
potenziali rischi alla salute connessi con
le fonti di radiazioni non ionizzanti. Ma se
questo è lo scopo della predetta normativa
va da sé che il presupposto per la sua
applicazione è costituito dalla presenza
della popolazione, specifico oggetto della
tutela legislativa: talché in assenza di
essa, e cioè nelle zone ove non esiste né
popolazione stanziale, né di transito, la
richiamata normativa è inapplicabile.
2.-
Qualora la popolazione locale non sia
minacciata dal superamento dei limiti
massimi delle radiazioni, in quanto l'area
interessata da tale fenomeno, sia
completamente interdetta, non sussiste
alcuna necessità di ridurre l'intensità del
campo elettromagnetico degli impianti di
radiodiffusione ivi collocati, ed è
conseguentemente illegittimo il
provvedimento con cui l'Amministrazione,
riscontrato il mancato rispetto della
riduzione di campo da parte di una
emittente, ordini la disattivazione del
relativo apparato radiante (TAR Veneto, Sez.
I,
sentenza 30.10.2009 n. 2696 -
link a
http://mondolegale.it). |
APPALTI:
AUTORIZZAZIONE PER
L'INSTALLAZIONE DI IMPIANTI STAZIONI RADIO
BASE.
1- Telefonia mobile -
Stazione radio base - Autorizzazione -
Condizioni - Art. 87, D.Lgs. n. 259/2003 -
Finalità - Istanza - Deve essere conforme al
modello "A" dell'allegato n. 13.
2- Telefonia mobile - Stazione radio base -
Installazione - Autorizzazione rilasciata ai
sensi dell'art. 87, Cod. Comunicazioni
Elettroniche - Natura - Non costituisce
titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a
quello richiesto dal T.U. edilizia in quanto
assorbe e sintetizza ogni valutazione
urbanistico - Edilizia - Ratio - Principi
applicativi.
1-
La normativa riguardante gli impianti di
telefonia individua le condizioni di
autorizzabilità delle stazioni radio base è
prevista dall'art. 87, D.Lgs. n. 259/2003,
ossia il Codice delle Comunicazioni
Elettroniche.
L'istanza, conforme al modello di cui al
modello "A" dell'allegato n. 13, realizzato
al fine della sua acquisizione su supporti
informatici e destinato alla formazione del
catasto nazionale delle sorgenti
elettromagnetiche di origine industriale,
deve essere corredata della documentazione
atta a comprovare il rispetto dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità, relativi alle
emissioni elettromagnetiche, di cui alla L.
22.02.2001 n. 36, e relativi provvedimenti
di attuazione, attraverso l'utilizzo di
modelli predittivi conformi alle
prescrizioni della CEI, non appena emanate".
2-
L'attività volta all'installazione di
impianti Stazioni Radio Base, a seguito
dell'entrata in vigore del D.Lgs. n.
259/2003, c.d. Codice delle Comunicazioni
Elettroniche, resta assoggettata alle sole
prescrizioni di cui all'art. 87, D.Lgs. n.
259/2003 e non anche alle previsioni
generali di cui all'art. 3, D.P.R. n.
380/2001 (1).
---------------
(1) È stato condivisibilmente osservato
al riguardo che l'autorizzazione rilasciata
ai sensi dell'art. 87 del Codice delle
comunicazioni elettroniche non costituisce
titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a
quello richiesto dal T.U. delle disposizioni
in materia edilizia, ma assorbe in sé e
sintetizza ogni valutazione
urbanistico-edilizia. Se il nuovo
procedimento fosse destinato non a
sostituire, ma ad abbinarsi a quello
previsto dal T.U. edilizia, verrebbero
vanificati i principi ispiratori del Codice
delle comunicazioni, ed in particolare
quelli della previsione di procedure
tempestive, non discriminatorie e
trasparenti per la concessione del diritto
di installazione e della riduzione dei
termini per la conclusione dei procedimenti,
nonché della regolazione uniforme dei
medesimi.
In particolare sono stati individuati dalla
giurisprudenza citata i seguenti principi
applicativi:
- dal punto di vista urbanistico, i Comuni
possono incidere sulla collocazione delle
antenne radio base, a condizione che la
regolamentazione introdotta non abbia
l'effetto di impedire in modo indiscriminato
la loro installazione nell'ambito del
territorio comunale, ovvero non la
assoggetti a limiti non adeguati al fine
della salvaguardia dei concomitanti
interessi oggetto di tutela;
- la disciplina comunale non può assimilare
tout-court gli impianti in questione agli
edifici sotto il profilo
edilizio-urbanistico (ad es.: assoggettando
i primi ai limiti di altezza o in tema di
distanze propri dei secondi);
- la medesima disciplina non può introdurre
limiti procedurali ulteriori rispetto a
quelli previsti dall'art. 87 del Codice
delle comunicazioni elettroniche (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 17-10-2008 n. 5044; Cons.
Stato, sez. VI, 15-06-2006 n. 3534; Cons.
Stato, sez. VI, 05-12-2005 n. 6961; Cons.
Stato, sez. VI, 21-01-2005 n. 100) (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 26.10.2009 n. 2472 -
link a http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Inquinamento - Inquinamento
elettromagnetico - Impianto di
telecomunicazione - Concessione edilizia -
Necessità (Disciplina pre D.lgs. 259/2003).
Nel regime normativo previgente alla
semplificazione del settore (D.Lgs.
259/2003) la realizzazione di impianti di
telecomunicazioni era soggetta a concessione
edilizia (ed al pagamento degli oneri di
urbanizzazione, senza il beneficio della
gratuità, previsto solo ex art. 9, lettera
f), legge 28.01.1977 n. 10 per gli impianti,
le attrezzature, le opere pubbliche o di
interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti nonché per le
opere di urbanizzazione, eseguite anche da
privati, in attuazione di strumenti
urbanistici
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
29.09.2009 n.
4746 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione amministrativa: il
patema d'animo non integra la "turbativa
pubblica".
Laddove una
autorizzazione sia rilasciata con la
clausola di salvezza della c.d. “turbativa
pubblica” essa non può essere
rintracciata nel semplice fatto che la “quasi
totalità dei residenti”, di una zona non
meglio identificata, avrebbe sottoscritto
due esposti nei quali si riferirebbe -
quanto é dato comprendere– di danni
irreversibili provocati dalle radiazioni
emanate dalla stazione radio base oggetto
della autorizzazione.
Così facendo l’Amministrazione ha
erroneamente interpretato il significato di
“turbativa pubblica”, locuzione che
deve essere intesa in senso oggettivo, ossia
come situazione che turba la collettività
procurando alla stessa disturbi, danni, o
alterazioni di qualsiasi tipo ma comunque
oggettivamente riscontrabili, e non, invece,
come situazione che viene percepita dai
cittadini come possibile fonte di danni o
disturbi: il semplice patema d’animo
generato da una determinata situazione,
insomma, non é idoneo ad integrare una
situazione di “turbativa pubblica”.
Così si è pronunciato il TAR Puglia in
ordine al ricorso promosso da un operatore
del settore della telefonia mobile avverso
un provvedimento amministrativo finalizzato
alla revoca di precedente autorizzazione
rilasciata per il posizionamento di una
antenna “su gomma” all’interno di un
appezzamento di terreno privato
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 25.09.2009 n. 2124 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione
stazioni radiobase e turbativa pubblica.
“Turbativa pubblica” è locuzione che
deve essere intesa in senso oggettivo, ossìa
come situazione che turba la collettività
procurando alla stessa disturbi, danni, o
alterazioni di qualsiasi tipo ma comunque
oggettivamente riscontrabili, e non, invece,
come situazione che viene percepita dai
cittadini come possibile fonte di danni o
disturbi: il semplice patema d’animo
generato da una determinata situazione,
insomma, non é idoneo ad integrare una
situazione di “turbativa pubblica”
(fattispecie relativa a revoca di
autorizzazione alla installazione di
stazione radiobase (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 25.09.2009 n. 2124 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Localizzazione ed insediamento
degli impianti di telefonia mobile - Piano
comunale - Uso del territorio - Standard
urbanistici - Competenza - Regioni ed enti
locali - Installazioni degli impianti su
proposte dei gestori - Cd. «soglie di
esposizione» - Competenza - Stato - L. n.
36/2001.
L’approvazione di un piano con cui il
Comune, sulla base delle proposte dei
gestori, definisce complessivamente le
installazioni degli impianti di telefonia
mobile ammesse sul territorio comunale e a
queste previsioni subordina il rilascio
delle autorizzazioni, legittimamente
contempera l’esigenza di copertura del
servizio sul territorio con quella
pianificatoria di un corretto insediamento
degli impianti, oltre che con l’esigenza di
minimizzare l’esposizione ai campi
elettromagnetici, assicurando al contempo ai
gestori uniformità di trattamento in sede di
vaglio congiunto delle relative richieste: a
tale conclusione induce il riparto di
competenze desumibile dalla legge n. 36 del
2001, nel senso che allo Stato è affidata la
fissazione delle c.d. «soglie di
esposizione», mentre alle Regioni e agli
enti locali spetta la disciplina dell’uso
del territorio in funzione della
localizzazione degli impianti, cioè le
ulteriori misure e prescrizioni dirette a
ridurne il più possibile l’incidenza
negativa sul territorio, sempreché
naturalmente i criteri localizzativi e gli
standard urbanistici non siano tali da
impedire o ostacolare ingiustificatamente
l’insediamento degli impianti medesimi (v.
Corte cost. sentenza 07.10.2003 n. 307).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Installazioni degli
impianti di telefonia mobile - Strumenti
programmatori comunali - Termini perentori
per la redazione del piano - Legittimità.
Gli strumenti programmatori con i quali il
comune definisce le installazioni degli
impianti di telefonia mobile e ad essi
subordina il rilascio delle autorizzazioni,
per assolvere la funzione di introduzione di
criteri minimi di conoscenza preventiva e di
pianificazione dell’installazione degli
impianti, soddisfano la fondamentale
esigenza di razionalità dell’azione
amministrativa, onde non sono in sé
illegittimi, a meno che in concreto non ne
derivi una dilatazione dei tempi per il
rilascio delle prescritte autorizzazioni -
incompatibile con la necessità di una
disciplina uniforme sul piano nazionale alla
stregua delle superiori norme statali.
Tale situazione di contrasto non sussiste,
tuttavia, quando la disciplina locale
prevede, in coerenza con l’assetto normativo
della materia, termini perentori per la
redazione del piano (v. Cons. Stato, Sez. VI,
21.06.2006 n. 3734; e, da ultimo, TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 21.03.2008 n.
1480) (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 22.09.2009 n. 673 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Localizzazione
impianti.
L’approvazione annuale di un piano con cui
il Comune, sulla base delle proposte dei
gestori, definisce complessivamente le
installazioni degli impianti di telefonia
mobile ammesse sul territorio comunale e a
queste previsioni subordina il rilascio
delle varie autorizzazioni legittimamente
contempera l’esigenza di copertura del
servizio sul territorio comunale con quella
pianificatoria di un corretto insediamento
degli impianti -per lo più di rilevante
impatto urbanistico-ambientale- oltre che
con l’esigenza di minimizzare l’esposizione
ai campi elettromagnetici, assicurando al
contempo ai gestori uniformità di
trattamento in sede di vaglio congiunto
delle relative richieste; che a tale
conclusione induce il riparto di competenze
desumibile dalla legge n. 36 del 2001 (“Legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici”), nel senso che allo
Stato è affidata la fissazione delle c.d.
«soglie di esposizione», mentre alle Regioni
e agli enti locali spetta la disciplina
dell’uso del territorio in funzione della
localizzazione degli impianti, cioè le
ulteriori misure e prescrizioni dirette a
ridurne il più possibile l’incidenza
negativa sul territorio, sempreché
naturalmente i criteri localizzativi e gli
standard urbanistici non siano tali da
impedire o ostacolare ingiustificatamente
l’insediamento degli impianti medesimi (TAR
Emilia Romagna-Parma,
sentenza 22.09.2009 n. 673 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'autorizzazione
rilasciata ai sensi dell'art. 87 del codice
delle comunicazioni non costituisce titolo
abilitativo aggiuntivo rispetto a quello
richiesto dal t.u. delle disposizioni in
materia edilizia.
In base al recente e prevalente insegnamento
giurisprudenziale:
- l'autorizzazione rilasciata ai sensi
dell'art. 87 del codice delle comunicazioni
(d.lgs n. 259 del 2003) non costituisce
titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a
quello richiesto dal t.u. delle disposizioni
in materia edilizia, ma assorbe in sé e
sintetizza ogni valutazione
urbanistico-edilizia (cfr. Consiglio di
Stato VI, 17.10.2008 n. 5044);
- ai Comuni non spetta disciplinare, nei
loro regolamenti, l’installazione di
impianti di telefonia mobile con limitazioni
o divieti generalizzati e tali da non
consentire una diffusa localizzazione sul
territorio del servizio pubblico relativo,
quando tale potere sia rivolto ad aspetti
collegati con la salute umana, dal momento
che siffatte esigenze sono valutate dagli
organi statali a ciò deputati; al Comune è
consentito solo, con disposizione innovativa
rispetto alle precedenti competenze in
materia urbanistica, dettare prescrizioni
volte a "minimizzare l’esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici"
(art. 8, comma 6, legge n. 36 del 2001); a
tale scopo può prevedere siti sensibili,
quali scuole o ospedali, ma non può
estendere siffatti siti a intere zone del
territorio comunale, in conformità anche
alla circolare regionale n. 12 del 2001 la
quale aveva precisato che i Comuni potevano
escludere dalla localizzazione "singoli
edifici sensibili" purché fosse prevista una
localizzazione alternativa "compatibile con
il funzionamento della telefonia che deve
essere garantito" (cfr. Consiglio di
Stato, VI 19.06.2009 n. 4056);
- le verifiche di compatibilità edilizia e
urbanistica delle infrastrutture di
comunicazioni elettroniche vanno svolte nel
corso del procedimento disciplinato
dall’art. 87 d.lgs. n. 259/2003 ed escludono
la necessità di un autonomo permesso
comunale di costruire (cfr. C.S., VI,
28.02.2006, n. 889 e 27.10.2006, n. 6439).
- il titolo abilitativo per gli impianti di
telefonia mobile si costituisce in forza di
DIA o per silenzio assenso decorsi 90 giorni
dalla presentazione del progetto senza che
sia nelle more intervenuto un provvedimento
espresso di diniego: dispone, invero, la
norma (articolo 87, co. 9) che: "Le
istanze di autorizzazione e le denunce di
attività di cui al presente articolo, nonché
quelle relative alla modifica delle
caratteristiche di emissione degli impianti
già esistenti, si intendono accolte qualora,
entro novanta giorni dalla presentazione del
progetto e della relativa domanda, fatta
eccezione per il dissenso di cui al comma 8,
non sia stato comunicato un provvedimento di
diniego. Gli Enti locali possono prevedere
termini più brevi per la conclusione dei
relativi procedimenti ovvero ulteriori forme
di semplificazione amministrativa, nel
rispetto delle disposizioni stabilite dal
presente comma" (cfr. Consiglio di
Stato, VI, 26.01.2009 n. 355)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 10.09.2009 n. 1345 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
richiesta la concessione edilizia per
l'installazione di tralicci o antenne di
notevoli dimensioni e situati in prossimità
di edifici.
E' pienamente condivisa dal Collegio la
giurisprudenza secondo la quale “Se, in
astratto, l'installazione dell'antenna di
una stazione radioelettrica non costituisce
trasformazione del territorio comunale agli
effetti delle leggi urbanistiche, sicché non
necessita ex art. 397 d.P.R. 29.03.1973 n.
156, di concessione o autorizzazione
edilizia più di quanto ne necessitino le
antenne televisive poste sui tetti delle
case, la realizzazione di simili manufatti
va considerata anche in concreto ed in
relazione alla obiettiva consistenza degli
impianti, richiedendosi la concessione
edilizia in caso di installazione di
tralicci o antenne di notevoli dimensioni e
situati in prossimità di edifici” (cfr.
TAR Sicilia, sede di Palermo, Sez. II,
07.03.2008 n. 310).
Ne consegue che già le dimensioni
dell’antenna realizzata avrebbero comportato
la preventiva richiesta di una concessione
edilizia.
Giova, altresì, rilevare che comunque
l’installazione di un'antenna, visibile dai
luoghi circostanti, comporta alterazione del
territorio avente rilievo ambientale ed
estetico, sicché, già ai sensi dell'art. 1,
l. 28.01.1977 n. 10, essa è soggetta al
rilascio di concessione edilizia.
Tale principio è stato recepito dal d.P.R.
06.06.2001 n. 380, il quale, all'art. 3,
assoggetta a permesso di costruire (è questa
la nuova denominazione della concessione
edilizia) "l'installazione di torri e
tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti
e di ripetitori per i servizi di
telecomunicazione", in quanto
"interventi di nuova costruzione" (Cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 18.05.2004 n. 3193)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 21.07.2009 n. 7284 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Comune
di Gaeta - Parere in merito all'ipotesi di contrasto tra il
regolamento comunale per la telefonia mobile ed il nulla
osta paesaggistico rilasciato dalla Regione Lazio
(Regione Lazio,
parere
13.07.2009 n.
113301 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
D.lgs. n. 259/2003 - L.R. Sicilia n.
17/2004, art. 103 - Procedimento
autorizzatorio - Procedimento unico ex art.
87 - Confluenza delle valutazioni di tipo
ambientale ed urbanistico.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs.
n. 259/2003, recepito nella Regione
Siciliana con l’art. 103 della l.r.
28.12.2004, n. 17, le valutazioni
urbanistiche edilizie sono assorbite nel
procedimento delineato dall’art. 87 che
prevede un unico procedimento autorizzatorio
per l'installazione delle infrastrutture di
comunicazione elettronica. Procedimento che
è finalizzato a garantire, tramite procedure
tempestive e semplificate, la parità delle
condizioni concorrenziali fra i diversi
gestori nella realizzazione delle proprie
reti di comunicazione sul territorio
nazionale, nonché la osservanza di livelli
uniformi di compatibilità ambientale delle
emissioni radioelettriche, stante che
l’intento perseguito dal legislatore
comunitario e da quello nazionale è quello
di consentire la installazione di stazioni
radio base in forza di un unico
provvedimento autorizzatorio, che deve
essere rilasciato sulla base di un
procedimento unitario, nel contesto del
quale devono essere fatte confluire le
valutazioni sia di tipo ambientale che di
tipo urbanistico (cfr. Corte Costituzionale,
28.03.2006, n. 129; 06.06.2006, n. 265).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione - Art. 86 d.lgs.
n. 259/2003 - Assimilazione alle opere di
urbanizzazione primaria - Assoggettamento
alle prescrizioni urbanistico edilizie -
Esclusione.
In presenza della specifica previsione di
cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il
quale assimila, ad ogni effetto, le
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria, ed in assenza di specifiche
previsioni, deve ritenersi che gli impianti
di telefonia mobile non possano essere
assimilati alle normali costruzioni edilizie
e, pertanto, la loro realizzazione non sia
soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie
preesistenti. Conseguentemente, il titolo
autorizzatorio non può essere negato se non
avuto riguardo ad una specifica disciplina
conformativa, che prenda in considerazione
le reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
17.10.2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I,
13.02.2002, n. 983, 20.12.2004, n. 14908).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comune - Governo del
territorio - Reti di telecomunicazione -
Divieto di installazione di carattere
generalizzato - Illegittimità.
Ancorché il Comune mantenga intatte le
proprie competenze in materia di governo del
territorio, queste tuttavia, per espressa
valutazione legislativa, non possono
interferire con quelle relative alla
installazione delle reti di
telecomunicazione e, in particolare, non
possono determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere pressoché generalizzato (e
senza prevedere alcuna possibile
localizzazione alternativa), in contrasto
con le esigenze tecniche necessarie a
consentire la realizzazione effettiva della
rete di telefonia cellulare che assicuri la
copertura del servizio nell’intero nel
territorio comunale. (cfr. Corte
Costituzionale n. 331/2003.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comune - Utilizzo degli
strumenti urbanistici per il perseguimento
di finalità di tutela della salute -
Illegittimità - Art. 4 L. n. 36/2000 -
Individuazione di limiti di esposizione e
valori di attenzione - Riserva statale.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino (cfr. anche,
in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
29.11.2006, n. 6994; TAR Sicilia-PA - Sez.
I, TAR Sicilia Palermo, sez. I, 06.04.2009,
n. 661).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (in tal senso, fra le
tante, Cons. Stato, IV, 03.06.2002, n. 3095,
20.12.2002, n. 7274, 14.02.2005, n. 450,
05.08.2005, n. 4159; sez. VI, 01.04.2003, n.
1226, 30.05.2003, n. 2997, 30.07.2003, n.
4391; 26.08.2003, n. 4841, 15.06.2006, n.
3534).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Art. 90 d.lgs. n.
259/2003 - Impianti di telecomunicazione -
Carattere di pubblica utilità -
Compatibilità con tutte le destinazioni
urbanistiche.
L’art. 90 del citato D.Lgs. n. 259/2003
dispone che gli impianti di
telecomunicazione e le opere accessorie
occorrenti per la loro funzionalità hanno
“carattere di pubblica utilità”, con
possibilità, quindi, di essere ubicati in
qualsiasi parte del territorio comunale,
essendo compatibili con tutte le
destinazioni urbanistiche (residenziale,
verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso,
C.G.A. ordinanza 05.07.2006, n. 543; Cons.
Stato, sez. VI, 04.09.2006, n. 5096) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 08.07.2009 n. 1213 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Infrastrutture di
reti pubbliche di comunicazione.
Si deve poi
considerare che, in presenza della specifica
previsione di cui all’art. 86 del D.lgs. n.
259/2003, il quale assimila, ad ogni
effetto, le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, ed in assenza di
specifiche previsioni, deve ritenersi che
gli impianti di telefonia mobile non possano
essere assimilati alle normali costruzioni
edilizie e, pertanto, la loro realizzazione
non sia soggetta a prescrizioni
urbanistico-edilizie preesistenti, le quali
si riferiscono a tipologie di opere diverse
e sono state elaborate con riferimento a
possibilità di diverso utilizzo del
territorio, nell’inconsapevolezza del
fenomeno della telefonia mobile e, più in
generale, dell’inquinamento elettromagnetico
in generale.
Conseguentemente, il titolo autorizzatorio
non può essere negato se non avuto riguardo
ad una specifica disciplina conformativa,
che prenda in considerazione le reti
infrastrutturali tecnologiche necessarie per
il funzionamento del servizio pubblico (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 08.07.2009 n. 1213 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione e concessione - Impianto
di telecomunicazione - D.Lgs. 259/2003,
art. 93, comma 2 - Portata.
L'art. 93, comma 2, D.Lgs. 259/2003
preclude che il rilascio dell'autorizzazione
e la gestione dell'impianto di
telecomunicazione siano subordinati al
pagamento di importi ulteriori rispetto a
quelli ivi espressamente previsti, anche se
non preclude che l'amministrazione ex post
chieda al gestore il pagamento dell'importo
che abbia effettivamente speso per il
ripristino, che il medesimo gestore abbia
omesso di realizzare (cfr. Cons. di Stato,
sent. nn. 1005/2008; 1775/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
17.06.2009 n.
4064 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telecomunicazioni – Telefonia
mobile – Stazioni radio base – Installazione
– Titolo abilitativo – E’ suscettibile di
comprendere tutte le valutazioni proprie del
titolo abilitativo edilizio – Decreto
legislativo numero 259/2003 – E’ vincolante
anche per le Regioni a Statuto speciale.
L’installazione di stazioni radio base è
soggetta al rilascio di un unico titolo
abilitativo, come contemplato e disciplinato
dall’articolo 87 del decreto legislativo
numero 259/2003, suscettibile di comprendere
tutte le valutazioni anche di natura
urbanistica e territoriale proprie del
titolo abilitativo edilizio (Corte
Costituzionale numero 336/2005; Consiglio di
Stato, Sezione VI, 889/2006, 4159/2005 e
4000/2005,).
Il principio di unicità del titolo
abilitativo per l’installazione di stazioni
radio base è vincolante anche per le Regioni
a Statuto speciale e dunque anche per la
Regione Sicilia, trattandosi di principio
affermato dal legislatore statale del
decreto legislativo numero 259/2003
nell’esercizio della potestà legislativa
nella materia “trasversale” della tutela
della concorrenza (TAR Sicilia-Palermo, Sez.
II,
sentenza 10.06.2009 n. 615 - link
a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione
impianti e disciplina urbanistica.
L’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 sancisce il
principio dell’unicità del procedimento
(ribadito anche dalla Corte costituzionale),
nel senso di ricomprendervi anche i profili
riguardanti la disciplina edilizia, pertanto
il soggetto che richiede l’autorizzazione ad
installare impianti di telefonia mobile non
è tenuto a dimostrare la conformità alla
normativa e agli strumenti edilizi dei
manufatti sede dell’installazione, ma,
invece, “il rispetto dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità, relativi alle
emissioni elettromagnetiche…” (comma 3)
e, per quanto concerne l’aspetto
urbanistico-edilizio, (solo) a descrivere la
situazione fisica dei luoghi (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 27.05.2009 n. 1629 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’introduzione
del d.lgs. n. 259/2003 non ha messo in
discussione il potere del comune di
disciplinare la localizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazioni
nell'ambito del proprio territorio, purché
tale disciplina non si risolta in un
impedimento che renda impossibile, in
concreto, la realizzazione di una rete
completa di infrastrutture di
telecomunicazioni.
Il Comune, nell’ambito delle competenze
legislativamente stabilite, può
regolamentare la collocazione degli
impianti, sia sotto il profilo
urbanistico-edilizio, sia al fine di
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici compatibilmente
con la qualità del servizio e le esigenze
degli operatori della telecomunicazione.
Ma per raggiungere tale obiettivo, è
necessario –come chiarito dalla
giurisprudenza– che le competenze comunali
in materia siano esercitate in modo da
superare una visione atomistica tendente a
prendere in considerazione i singoli
impianti, anziché la rete di comunicazione,
e che, a tal fine, l’installazione di
infrastrutture in materia di telefonia
mobile, presentando caratteristiche
funzionali di relativa infungibilità per
quanto riguarda la localizzazione degli
impianti, sia sottoposta ad opportune
procedure di valutazione di compatibilità
con le esigenze operative del servizio, da
effettuarsi attraverso un confronto
dialettico con i gestori delle reti e la
loro partecipazione propositiva al
procedimento (cfr. TAR Umbria, 20.12.2001 n.
702).
Tale principio è stato ripetutamente
sottolineato dalla giurisprudenza
amministrativa che ha evidenziato che “la
introduzione del D.L.vo n. 259/2003 non ha
messo in discussione il potere del Comune di
disciplinare la localizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazioni
nell’ambito del proprio territorio, purché
ovviamente tale disciplina non si risolva in
un impedimento che renda impossibile in
concreto, e comunque estremamente difficile,
la realizzazione di una rete completa di
infrastrutture di telecomunicazioni (così
Cons. St. VI, 18.05.2004, n. 3193). In
particolare la assimilazione di tali
infrastrutture alle opere di urbanizzazione
primaria (stabilita dall’art. 86, 3° c.,
D.L.vo cit.) non preclude ai Comuni,
nell’esercizio del potere di pianificazione
urbanistica, di provvedere alla
localizzazione degli impianti in determinati
ambiti di territorio, sempreché sia
assicurato l’interesse nazionale ad una
capillare distribuzione del servizio. (In
tal senso Cons. St. VI, ord. 06.04.2004, n.
1612). Sennonché, … , la introduzione di
misure tipicamente di governo del territorio
(distanze, altezze, localizzazioni, ecc….)
tramite un regolamento edilizio comunale (ex
art. 8, 6° comma, L. n. 36/2001), trova
giustificazione solo se sia conforme al
principio di ragionevolezza e alla natura
delle competenze urbanistico-edilizie
esercitate, e sia sorretta da una
sufficiente motivazione sulla base delle
risultanze acquisite attraverso
un’istruttoria idonea a dimostrare la
ragionevolezza della misura e la sua
idoneità rispetto al fine perseguito”
(così Cons. St. VI, 03.06.2002, n. 3095;
16.11.2004, n. 7502; nelle stesso senso, tra
le tante, Cons. Stato, sez. VI, 03.06.2002
n. 3095; 16.11.2004 n. 7502)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 26.05.2009 n. 903 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
No alle antenne per telefonini in
zona a vincolo cimiteriale di
inedificabilità assoluta.
Il vincolo cimiteriale si pone alla stregua
di un vincolo assoluto di inedificabilità
che non consente in alcun modo l’allocazione
sia di edifici, che di opere incompatibili
col vincolo medesimo, in considerazione dei
molteplici interessi pubblici che tale
fascia di rispetto intende tutelare (TAR
Toscana, Sez. I,
ordinanza 20.05.2009 n. 397 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
L’attivazione dell’impianto radioelettrico
ex art. 87 del D.Lgs 259/2003, un’invenzione
giurisprudenziale discutibile
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Abuso in atti
d’ufficio e installazione impianti a titolo
precario.
Un’autorizzazione a costruire di tipo
precario -come quella con la quale si
autorizza l'installazione di una stazione
radiobase costituita da un traliccio di 24
metri, un gruppo elettrogeno con supporto in
calcestruzzo armato e relativa cisterna-
oltre ad essere extra legem, in
quanto non prevista da alcuna disposizione
legislativa, è anche illegittima e contra
legem perché non potrebbe avere altra
funzione che quella di tollerare una
situazione di evidente abuso (nella
fattispecie la malafede del pubblico
amministratore si è desunta proprio dal
fatto che aveva rilasciato un autorizzazione
precaria non prevista da alcuna norma. Il
pubblico amministratore, non potendo
rilasciare la concessione edilizia per la
vicinanza della stazione al centro abitato,
tanto è vero che neppure successivamente è
stata rilasciata , ha emesso un titolo
provvisorio).
Detta autorizzazione, a prescindere pure
dalla sua illegittimità, non può comunque
essere equiparata a quella di cui
all’articolo 87 del decreto legislativo n.
259 del 2003, perché questa presuppone il
previo accertamento, da parte dell’organismo
preposto ad effettuare i controlli, previsto
dall’articolo 14 della legge 22.02.2001 n.
36 in ordine alla compatibilità del progetto
con i limiti di esposizione ecc. (comma 1) e
fa salve le disposizioni a tutela dei beni
ambientali (art. 86, comma 4) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.04.2009 n. 15921 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Localizzazione
impianti.
L’assimilazione in via normativa delle
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria, ai sensi dell’art. 86, comma
terzo, del d.lgs. n. 259 del 2003, comporta
che le stesse debbano collegarsi ed essere
poste al servizio dell’insediamento
abitativo, non da questo avulse con
localizzazione lontana dai centri di utenza,
onde la potestà assegnata alle
amministrazioni comunali dall’art. 8, comma
6, della legge n. 36 del 2001 (“i comuni
possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnatici”) può
tradursi, ad esempio, nell’introduzione,
sotto il profilo urbanistico, di regole a
tutela di zone e beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o
storico/artistico, ma non può trasformarsi
in “limitazioni alla localizzazione”
degli impianti di telefonia mobile per
intere ed estese porzioni del territorio
comunale, in assenza di una plausibile
ragione giustificativa; in definitiva, tale
disciplina non deve risolversi in un
impedimento che rende in concreto
impossibile, o comunque estremamente
difficoltosa, la realizzazione di una rete
completa di infrastrutture di
telecomunicazioni. Con la conseguente
illegittimità dei regolamenti locali che
prevedano una “zonizzazione”
indipendente dalle esigenze dei gestori del
servizio di telefonia mobile, e che cioè
circoscrivano gli impianti a specifiche
aree, appositamente individuate, senza
subordinare le relative scelte alla previa e
puntuale verifica della coerenza della
disciplina pianificatoria con la necessità
che venga assicurata, nell’intero territorio
comunale, l’uniforme copertura del servizio
(TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 07.04.2009 n. 105 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Fase
istruttoria - Provvedimento di rigetto -
Atto di preavviso del rigetto - Art. 10-bis
L. n. 241/1990.
L’art. 87 del Codice delle comunicazioni
elettroniche, di cui al d.l.vo 01.08.2003,
n. 259, prevede, al suo comma 5, una
possibile fase istruttoria pur nell’ambito
del procedimento speciale da esso normato. E
ciò, in un contesto in cui l'intera
disciplina del Codice è orientata verso
forme di semplificazione amministrativa, in
ossequio al divieto di aggravare il
procedimento amministrativo ex art. 1, comma
2, legge n. 241/1990. Ne deriva che
l’amministrazione non può emanare un
provvedimento di rigetto senza far luogo
alla fase istruttoria o, il che poi si
risolve nella medesima cosa quanto agli
aspetti sostanziali (salvo cioè il rito ed i
termini diversi), senza adottare prima
l’atto di preavviso del rigetto, di cui
all’art. 10-bis della l. 241 del 1990 (cfr.
Tar Campania, Sez VII, 03.08.2006, n. 7822).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Oneri procedurali - Art.
87 d.lgs. n. 259/03 - Esigenze di
semplificazione - Adempimenti imponibili -
Esempi - DURC - Parere ARPAC - Dimostrazione
di disponibilità dell’area.
Se è vero che oneri procedurali ulteriori
rispetto a quelli previsti dal d.l.vo
259/2003 contrastano con le esigenze di
semplificazione del procedimento
amministrativo connesse alla riconosciuta
natura di opere di urbanizzazione delle
stazioni radio base ed alla natura di
interesse pubblico del servizio attraverso
di esse garantito, ciò non esclude ogni e
qualsiasi, pur minimo, adempimento che non
sia indicato espressamente dall’art. 87 del
Codice: a meno che esso non si traduca in un
indebito aggravamento del procedimento, in
una situazione che vede il legislatore
speciale favorire una celere realizzazione
della rete (cfr. Tar Campania, sezione
settima, sentenza n. 3421 del 12.04.2007,
che richiama Corte Costituzionale,
27.07.2005, n. 336).
Fra i possibili ulteriori adempimenti
imponibili non vi è spazio per richieste di
documentazione che afferiscano direttamente
a previsioni regolamentari dettate per le
vicende puramente edilizie: ovvero, per
ottenere il rilascio del permesso di
costruire o per accompagnare la denuncia di
inizio attività sempre in campo edilizio, né
per imporre oneri esclusi dall’art. 93 del
Codice ripetuto.
Quanto al DURC, l’Amministrazione non può
dunque impedire la formazione del titolo
abilitativo, o annullarlo o rimuoverlo,
contestando la mancanza del DURC. Tuttavia,
al fine dell’esecuzione materiale dei
lavori, la certificazione di regolarità
contributiva è necessaria ex art. 3, comma
8, lett. b)-ter, del d.l.gs. 494/1996.
Nello stesso modo, per quanto attiene
all’imposizione della previa acquisizione
del parere dell’ARPAC, questo non è
necessario ai fini del rilascio
dell’autorizzazione, ma solo a quelli della
concreta attivazione dell’impianto (cfr.,
Tar Campania, sentt. n. 1888 del 12.03.2008,
n. 4797 del 20.05.2008 e n. 1796 del
12.03.2007 cit.).
Quanto, infine, alla relazione fra soggetto
richiedente e immobile sul quale l’impianto
ha ad essere realizzato, è sufficiente, e
quindi possibile richiedere, la
dimostrazione della disponibilità dell’area,
senza necessità di produrre l’assenso
specifico del proprietario della stessa
(Cons. Stato, sez. VI, 3534/2006; Tar
Campania, sent. n. 14454/2007); il che non
esclude, evidentemente, che in presenza di
peculiari circostanze siano richieste
all’amministrazione più puntuali
approfondimenti e conseguenti decisioni,
nell’ovvio previo rispetto degli obblighi
procedurali che si impongono a seconda delle
situazioni in concreto date (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1722 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Procedure.
Se è vero che oneri procedurali ulteriori
rispetto a quelli previsti dal d.l.vo
259/2003 contrastano con le esigenze di
semplificazione del procedimento
amministrativo connesse alla riconosciuta
natura di opere di urbanizzazione delle
stazioni radio base ed alla natura di
interesse pubblico del servizio attraverso
di esse garantito ciò non esclude ogni e
qualsiasi, pur minimo, adempimento che non
sia indicato espressamente dall’art. 87 del
Codice, secondo cui le istanze debbano
essere redatte in conformità ai modelli A
(per le istanze di autorizzazioni) e B (per
le denunce di inizio attività) dell’allegato
13 al Codice stesso: a meno che, per
l’appunto, esso non si traduca in un
indebito aggravamento del procedimento, in
una situazione, quale qui data, che vede il
legislatore speciale favorire una celere
realizzazione della rete (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1722 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Stazioni radio base - Divieto di
installazione su tutto il centro abitato -
Illegittimità.
Il divieto di istallazione delle stazioni
radio base in tutto il centro abitato -in
quanto criterio generico ed eterogeneo (cfr.
Consiglio di Stato, VI, n. 3452/2006)- è
illegittimo (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1721 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Stazioni radio nei terreni
agricoli.
Le stazioni radio per i telefoni cellulari
possono essere installate anche sui terreni
agricoli. E se il comune si oppone
tardivamente alla comunicazione di inizio
attività, ciò non preclude la formazione del
silenzio-accoglimento.
L’art. 87 del decreto legislativo
01.08.2003, n. 259, prevede un particolare
procedimento per il rilascio
dell’autorizzazione comunale per la
realizzazione delle opere relative alle
infrastrutture di comunicazione elettronica
per impianti radioelettrici, caratterizzata,
per quel che qui interessa, da due termini,
che il giudice di primo grado qualifica
correttamente come perentori.
Il primo (comma 5) di 15 giorni decorrenti
dalla data di ricezione dell'istanza, entro
i quali il responsabile del procedimento può
richiedere, per una sola volta, “il
rilascio di dichiarazioni e l'integrazione
della documentazione prodotta”.
Il secondo (comma 9) di 90 giorni dalla
presentazione del progetto e della relativa
domanda, decorsi i quali, qualora non sia
stato comunicato un provvedimento di
diniego, “le istanze di autorizzazione e
le denunce di attività di cui al presente
articolo, nonché quelle relative alla
modifica delle caratteristiche di emissione
degli impianti già esistenti, si intendono
accolte”.
Ora, l’unico effetto giuridico, che può
essere ricollegato all’accoglimento da parte
del Tar della domanda di adozione di misure
cautelari, nei riguardi del provvedimento di
diniego dell’autorizzazione in questione, è
l’obbligo per l’Amministrazione di riaprire,
sia pur interinalmente, il procedimento che
la stessa riteneva essere stato concluso con
il provvedimento impugnato. Ragionando
diversamente, infatti, la domanda cautelare
non poteva essere accolta ma avrebbe dovuto
essere dichiarata inammissibile per difetto
di interesse all’adozione di una misura
giurisdizionale priva di effetti
sostanziali.
D’altronde la stessa Amministrazione ha
ragionato in questi sensi, perché, in
effetti, a seguito dell’ordinanza del Tar,
con nota in data 07.09.2006, ha proceduto
alla nomina dei responsabili del
procedimento, pur avvertendo che, a suo
avviso, “i tempi di cui all’art. 87
D.Lgs. n. 259/2003 decorrono dalla data del
25.08.2006, data in cui la Civica
Amministrazione è venuta a conoscenza della
sopracitata ordinanza.” Limitandosi,
poi, a chiedere, con nota in data
08.09.2006, alla ricorrente di integrare
l’istanza con ulteriori documenti.
Sennonché, la richiesta è stata prima
sospesa, con ordinanza cautelare, e poi
annullata dal Tar, che l’ha ritenuta
palesemente tardiva, con un capo della
sentenza di cui in epigrafe che non ha
formato oggetto di appello ed è quindi
passato in giudicato.
Pertanto, in mancanza di ulteriori
provvedimenti adottati dall'Amministrazione
comunale, non può che concludersi nel senso
che si sia formata sull'istanza il silenzio
accoglimento, dapprima con efficacia
interinale, ma successivamente consolidatosi
con l'annullamento definitivo della
richiesta ulteriore documentazione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.03.2009 n. 1578 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Impianti telefonia
mobile e titolo abilitativo.
Deve ritenersi che gli impianti di telefonia
mobile non possano essere assimilati alle
normali costruzioni edilizie e, pertanto, la
loro realizzazione non sia soggetta a
prescrizioni urbanistico-edilizie
preesistenti, le quali si riferiscono a
tipologie di opere diverse e sono state
elaborate con riferimento a possibilità di
diverso utilizzo del territorio,
nell'inconsapevolezza del fenomeno della
telefonia mobile e, più in generale,
dell'inquinamento elettromagnetico in
generale.
Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non
avuto riguardo ad una specifica disciplina
conformativa, che prenda in considerazione
le reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico di telefonia (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. II,
sentenza 09.03.2009 n. 499 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione
impianti telefonia.
In tema di installazione di impianto di
telefonia cellulare il Comune è titolare di
una potestà regolamentare del tutto
sussidiaria, che concerne esclusivamente i
profili urbanistici e territoriali, ma con
esclusione del potere di individuazione dei
siti, che spetta alla regione (TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 26.02.2009 n. 156 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
potere regolamentare -in materia di
ubicazione delle antenne per la telefonia
mobile- non può spingersi fino ad impedire
–o a rendere eccessivamente onerosa– la
possibilità di installare impianti di
telefonia sul territorio comunale.
In base alla L.
22.02.2001 n. 36 si ammette che i Comuni
adottino misure programmatorie integrative
per la localizzazione degli impianti di cui
si discute, in modo tale da minimizzare
l’esposizione dei cittadini residenti ai
campi elettromagnetici, ma anche in
un’ottica di ottimale disciplina d’uso del
territorio (cfr. Cons. St., sez. VI,
03.06.2002, n. 3095; 20.12.2002, n. 7274;
10.02.2003, n. 673; 26.08.2003, n. 4841).
Al riguardo, la giurisprudenza ha tuttavia
chiarito che il potere regolamentare in
questione non può spingersi fino ad impedire
–o a rendere eccessivamente onerosa– la
possibilità di installare impianti di
telefonia sul territorio comunale
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.02.2009 n.
733 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianto telefonia mobile -
Silenzio assenso - Configurabilità ex art.
87, D.Lgs. 259/2003 - Diffida tardiva -
Illegittimità.
Ex art. 87 D. Lgs. 259/2003 le istanze di
autorizzazione e le denunce di attività di
cui al detto articolo nonché quelle relative
alla modifica delle caratteristiche di
emissione degli impianti già esistenti si
intendono accolte qualora entro 90 giorni
dalla presentazione del progetto e della
relativa domanda, fatta eccezione per il
dissenso di cui al comma 8, non sia stato
comunicato un provvedimento di diniego:
pertanto, in caso di diffida dal dare corso
ai lavori intervenuta una volta decorsi i 90
giorni dalla presentazione dell'istanza, la
diffida è illegittima per intempestività (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.02.2009 n. 1177 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nella
Regione Lombardia, l’installazione di
stazioni radio base di telefonia cellulare
di potenza inferiore a 300 Watt, vista la
previsione dell’art. 4, comma 7°, della
legge regionale 11/2001, non richiede
specifica regolamentazione urbanistica, per
cui sono illegittime le disposizioni
pianificatorie o regolamentari comunali che
introducono divieti o limitazione di
installazione per simili impianti, anche
solo su talune porzioni del territorio
comunale.
Sicché, la norma regolamentare comunale del
tipo "tralicci e pali di sostegno degli
impianti per la telefonia cellulare dovranno
essere collocati a cinque metri dal confine
e/o comunque ad un distanza dal confine non
inferiore alla metà dell’altezza del palo"
deve interpretarsi nel senso che la
previsione di distanze minime degli impianti
dal confine non valgono per le stazioni di
potenza inferiore a 300 Watt, per le ragioni
suindicate.
Parimenti insussistente, in base a quanto
sopra esposto, è la presunta violazione
dell’art. 9 del DM 1444/1968, che non pare
in ogni caso applicabile alla presente
fattispecie, visto che lo stesso riguarda le
distanze fra <<fabbricati>> e non si ritiene
che il traliccio di cui è causa rientri in
tale nozione.
Con il primo motivo, si denuncia la
violazione dell’art. 80 del Regolamento
edilizio del Comune di Nova Milanese, in
forza del quale (comma 3, lett. b), tralicci
e pali di sostegno degli impianti per la
telefonia cellulare dovranno essere
collocati a cinque metri dal confine e/o
comunque ad un distanza dal confine non
inferiore alla metà dell’altezza del palo.
Nel caso di specie, essendo il palo alto
32,5 metri, la distanza dovrebbe essere di
circa 16 metri, mentre il traliccio di cui è
causa, a detta dell’esponente, si troverebbe
a soli 2,5 metri dal confine. Da qui la
lamentata violazione dell’art. 80 del
Regolamento comunale.
Il motivo è infondato, in quanto non appare
corretta l’interpretazione dell’art. 80 del
Regolamento sostenuta dalla società istante.
Infatti, il comma 1 del citato art. 80, fa
espressamente salva l’applicazione di una
serie di fonti normative di rango primario
–e quindi sovraordinate al Regolamento– fra
cui il D.Lgs. 259/2003 e la legge della
Regione Lombardia n. 11/2001.
L’interpretazione che la giurisprudenza,
anche di questa Sezione, offre delle
disposizioni legislative suindicate è nel
senso che, nella Regione Lombardia,
l’installazione di stazioni radio base di
telefonia cellulare di potenza inferiore a
300 Watt (come quella di cui è causa), vista
la previsione dell’art. 4, comma 7°, della
legge citata regionale 11/2001, non richiede
specifica regolamentazione urbanistica, per
cui sono illegittime le disposizioni
pianificatorie o regolamentari comunali che
introducono divieti o limitazione di
installazione per simili impianti, anche
solo su talune porzioni del territorio
comunale (cfr. TAR Lombardia, sez. IV,
02.07.2008, n. 2845, con la giurisprudenza
ivi richiamata).
Ciò premesso, la previsione del comma 3
dell’art. 80, di cui la società ricorrente
lamenta l’illegittimità, deve interpretarsi,
come correttamente fatto
dall’Amministrazione resistente, nel senso
che la previsione di distanze minime degli
impianti dal confine non valgono per le
stazioni di potenza inferiore a 300 Watt,
per le ragioni suindicate.
Parimenti insussistente, in base a quanto
sopra esposto, è la presunta violazione
dell’art. 9 del DM 1444/1968, che non pare
in ogni caso applicabile alla presente
fattispecie, visto che lo stesso riguarda le
distanze fra <<fabbricati>> e non si
ritiene che il traliccio di cui è causa
rientri in tale nozione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 23.01.2009 n.
210). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordinanze elettrosmog solo se c'è
la prova.
Prima di adottare un'ordinanza sindacale
mirante a impedire l'insediamento di un
nuovo impianto di telefonia mobile occorre
che il comune effettui degli studi specifici
sul pericolo alla salute pubblica.
Lo ha affermato il TAR Puglia-Bari, Sez. III,
con
sentenza 14.01.2009 n. 49.
Il fatto
- Nelle more di adozione del Piano e/o
Regolamento Comunale il Sindaco con
ordinanza contingibile e urgente aveva
disposto la sospensione del rilascio delle
autorizzazioni alla installazione di nuovi
impianti di telefonia mobile nonché la
sospensione dell'attivazione di impianti già
realizzati.
La società ricorrente eccepiva
l'illegittimità del procedimento in quanto
concretizzante una violazione del principio
di doverosità dell'azione amministrativa
nonché del principio per cui il procedimento
va concluso con un provvedimento espresso,
e, comunque una violazione della normativa
di riferimento, che non prevede il potere
del Comune di sospendere il rilascio di
nuove autorizzazioni in attesa dell'adozione
del piano comunale di cui all'art. 8 u.c.
della L. 36/2001.
Eccepiva, altresì, la ricorrente la carenza
di motivazione dell'ordinanza in ordine alle
circostanza che ne avrebbe giustificata
l'adozione e cioè in ordine alla effettiva
ricorrenza di una situazione contingibile e
urgente tale da creare un grave pericolo per
l'incolumità dei cittadino, nonché che tale
causa era aggravata dal mancato espletamento
di un accertamento tecnico preliminare.
La decisione
- Il Collegio, accogliendo il ricorso, ha
affermato che effettivamente l'ordinanza
impugnata, che dichiaratamente si qualifica
come ordinanza contingibile ed urgente,
risulta motivata in modo assolutamente
generico con riferimento all'esigenza di
salvaguardare la salute dei cittadini, che
viene implicitamente ritenuta suscettibile
di compromissione a seguito dell'attivazione
di nuovi impianti, ancorché rispettosi dei
limiti di esposizione fissati dallo Stato.
«Giustamente» –prosegue– «la
ricorrente lamenta che, prima di affermare
la sussistenza di un pericolo per la salute
pubblica, il Comune avrebbe dovuto
effettuare degli studi specifici,
menzionandone i risultati nella ordinanza
impugnata: nulla di ciò essendo stato fatto,
l'affermazione implicitamente contenuta nel
provvedimento impugnato, secondo la quale
l'attivazione di nuovi impianti nuocerebbe
alla salute dei cittadini, rimane
assolutamente indimostrata ed immotivata,
rendendo priva di giustificazione impugnata
l'ordinanza, adottata ex art. 50 dlgs
267/2000» (articolo ItaliaOggi
dell'01.09.2009, pag. 27). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione e concessione - Servizio
pubblico essenziale - Stazione radio per
telefonia mobile - Pericolo per la sicurezza
dei trasporti e la viabilità - Revoca -
Legittimità.
Anche in caso di servizio pubblico con
carattere essenziale (nel caso di specie si
trattava dell'installazione di una stazione
radio per telefonia mobile), esso stesso
pare, comunque, destinato a configurarsi
diversamente allorquando una qualche sua
configurazione materiale e/o strutturale
metta in pericolo la sicurezza dei trasporti
e della viabilità: pur alla stregua di un
riferimento prognostico razionalmente
condivisibile in relazione alle dedotte
verifiche tecniche.
Trattasi invero, nel
caso, di tutelare il bene primario della
vita e della integrità fisica delle persone.
E, a ben vedere, non si tratta perciò di un
deterrente teso a determinare un diverso
comportamento recessivo irreversibile quanto
di un'occasione che, se vista
sinergicamente, è funzionale a conciliare il
diverso interesse pubblico su dedotto sì da
concretizzarlo in modo più compito nelle
varie circostanze materiali relative
all'inerente percorso localizzativi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 12.01.2009 n. 18 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
Impianti radioelettrici già realizzati e
silenzio-assenso ex art. 87 D.lgs. n. 259
del 2003 (link a
www.lexambiente.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Stazioni radio base
per telefonia mobile.
1.
L’assimilazione in via normativa delle
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria, ai sensi dell’art. 86, comma 3,
del d.lgs. n. 259 del 2003, comporta che le
stesse debbano collegarsi ed essere poste al
servizio dell’insediamento abitativo e non
essere da esso avulse con localizzazione
lontana dai centri di utenza (v. tra le
altre, Cons. Stato, Sez. VI, 05/06/2006 n.
3332 e, di recente TAR Emilia Romagna –PR-
15/04/2008 n. 217). Di conseguenza, la
potestà regolamentare attribuita alle
amministrazioni comunali dall’art. 8, comma
6, della L. n. 36 del 2001 (“i comuni
possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici”) può
tradursi, ad esempio, nell’introduzione,
sotto il profilo urbanistico, di regole a
tutela di zone e beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o
storico/artistico, ma non può trasformarsi
in “limitazioni alla localizzazione” degli
impianti di telefonia mobile per intere ed
estese porzioni del territorio comunale, in
assenza di una plausibile ragione
giustificativa. In definitiva, la
disposizione in parola ha attribuito ai
Comuni il potere di disciplinare, con
apposito regolamento, la localizzazione
delle infrastrutture di telecomunicazione
nell’ambito del loro territorio, purché,
tuttavia, tale disciplina non si risolva in
un impedimento che rende impossibile in
concreto, o comunque estremamente difficile,
la realizzazione di una rete completa di
infrastrutture di telecomunicazioni (v.
Corte Costituzionale sentenze n. 307 e n.
324 entrambe del 2003; Cons. Stato, sez. VI,
n. 813 del 2005).
2.
Sono illegittimi i regolamenti comunali (e/o
della disciplina urbanistica locale) laddove
sia prevista una “zonizzazione” indipendente
dalle richieste e dalle esigenze dei gestori
del servizio di telefonia mobile, mediante
l’introduzione di norme urbanistiche locali
che limitano la possibilità di insediamento
di tali impianti a determinate aree,
appositamente individuate, senza subordinare
le relative scelte alla previa e puntuale
verifica della coerenza della disciplina
pianificatoria con la necessità che sia in
concreto assicurata –sull’intero territorio
comunale– l’uniforme copertura del servizio
(v. Cons. Stato, Sez. VI, 28/03/2007 n.
1431) (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 18.11.2008 n. 436 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Impianto di
telecomunicazione - Regolamentazione
urbanistica - Competenza Statale - Deroghe.
2. Impianto di
telecomunicazione - Regolamentazione
urbanistica - Competenza Comunale - Limiti.
3. Impianto di
telecomunicazione - Localizzazione -
Competenza Regionale e competenza Comunale -
Portata.
1. La tutela sanitaria della popolazione
dalle emissioni elettromagnetiche esula
dalle competenze dei comuni, essendo
affidata dalla Legge-quadro 36/2001 al
legislatore statale, il quale ha prescelto
un criterio basato esclusivamente sui limiti
di immissione delle irradiazioni nei luoghi
particolarmente protetti (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 7274/2002). Si discostano da
tale criterio sia i divieti di
localizzazione e di installazione connessi
alla mera destinazione urbanistica delle
aree, sia le prescrizioni di distanze minime
fisse, tra impianti e abitazioni, diverse
dalle distanze ordinarie previste per gli
edifici (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
277/2002; TAR Veneto, sent. n. 347/2002;
TAR Lazio, sent. n. 8170/2001).
2. Ex art. 8, comma 6, Legge 36/2001 n. 36 i
Comuni possono adottare un regolamento per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici. Tale potestà
regolamentare, da un lato, può tradursi
nell'introduzione, sotto il profilo
urbanistico, di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio paesaggistico-ambientale o
storico-artistico, ovvero, per quanto
riguarda la minimizzazione dell'esposizione
ai campi elettromagnetici,
nell'individuazione di siti che per
destinazione d'uso e qualità degli utenti
possano essere considerati sensibili alle
immissioni radioelettriche (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 1017/2007); ma, dall'altro,
non consente ai Comuni di introdurre
limitazioni e divieti generalizzati riferiti
alle zone territoriali omogenee, né consente
l'introduzione di distanze fisse, da
osservare rispetto alle abitazioni e ai
luoghi destinati alla permanenza prolungata
delle persone o al centro cittadino, quando
tale potere sia rivolto a disciplinare la
compatibilità dei detti impianti con la
tutela della salute umana al fine di
prevenire i rischi derivanti
dall'esposizione della popolazione a campi
elettromagnetici, anziché a controllare
soltanto il rispetto dei limiti delle
radiofrequenze fissati dalla normativa
statale e a disciplinare profili tipicamente
urbanistici (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
450/2005).
3. Ex art. 8, primo comma, lett. a) Legge-quadro n. 36/2001 è di competenza
delle Regioni l'esercizio delle funzioni
relative all'individuazione dei siti di
trasmissione e degli impianti per telefonia
mobile: compete cioè alle Regioni stabilire
i criteri di localizzazione degli impianti e
affidare ai comuni il compito di definire,
nel P.R.G. o nelle sue varianti, i siti dove
localizzare o delocalizzare le antenne per
la telefonia mobile, nel rispetto dei
criteri di funzionamento della rete e dei
servizi (cfr. Corte Cost., sent. n.
103/2006) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 11.11.2008 n. 5305 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
gli impianti di radio-telecomunicazione vige
l'autorizzazione unica di cui all’art. 87
del d.lgs. n. 259/2003, la quale assorbe la
verifica della compatibilità
urbanistico-edilizia dell’intervento.
Vige il principio dell’autorizzazione unica
in materia di impianti di
radio–telecomunicazioni di cui all’art. 87
del d.lgs. n. 259/2003, la quale assorbe la
verifica della compatibilità
urbanistico-edilizia dell’intervento (TAR
Piemonte, Sez. I, ord. n. 530/2008 del
14/06/2008; Consiglio di Stato, Sez. VI,
27.10.2006, n. 6439).
Recente giurisprudenza ha affermato che il
permesso di costruire stazioni radio base
per la telefonia mobile è sostituito
dall’autorizzazione unica di cui al citato
art. 87 “in quanto rilasciata a seguito
di un procedimento unico che assorbe la
verifica della compatibilità urbanistica
dell’intervento” (TAR Calabria–Reggio
Calabria, 14.01.2008, n. 19).
Il Consiglio di Stato ha delimitato il
potere localizzativo dei Comuni, agli ambiti
circoscritti dall’art. 8 della L. n.
36/2001, statuendo che “nel caso in cui
un Comune non abbia dettato la normativa
regolamentare di cui all’art. 8, comma 6, L.
22.02.2001 n. 36, in ordine alla
localizzazione nel proprio territorio di
impianti per telefonia mobile,
l’installazione di antenne o tralicci per
detti impianti è soggetta –sotto il profilo
urbanistico– ai principi di carattere
generale, che vedono tralicci ed antenne di
rilevanti dimensioni, da una parte,
valutabili come strutture edilizie soggette
a permesso di costruire (ora ad assenso
autorizzativo, assorbente rispetto a tale
permesso) non collocabili in zone di
rispetto, o comunque soggette a vincolo di
inedificabilità assoluta, ma che dall’altra
impongono di considerare tali manufatti –in
quanto parte di una rete di infrastrutture,
qualificate come opere di urbanizzazione
primaria, nonché in quanto impianti
tecnologici e volumi tecnici– compatibili
con qualsiasi destinazione di P.R.G. delle
aree interessate” (Consiglio di Stato,
Sez. VI - sentenza 21.04.2008 n. 1767 ).
Il Consiglio ha ribadito l’impossibilità dei
Comuni di introdurre attraverso l’esercizio
del delineato potere regolamentare, limiti
generalizzati alla localizzazione degli
impianti di telefonia mobile, poiché “la
concreta individuazione dei siti deve
avvenire in modo tale che la realizzazione
della rete assicuri la copertura del
servizio pubblico nell'intero territorio
comunale” (Consiglio di Stato, Sez. VI -
sentenza 19.05.2008 n. 2287) ritenuto,
pertanto, che il Comune intimato non possa
addurre a fondamento dell’impugnato diniego
una diposizione di PRG assolutamente
generica, non dettata nell’esercizio dello
specifico potere regolamentare di
localizzazione delle stazioni radio base ai
sensi dell’art. 8 della l. n. 36/2001 e
opinato altresì che dalla invocata norma di
piano non si desume in maniera espressa un
divieto di installazione, nella zona
urbanistica considerata, di impianti e
stazioni radio base di telefonia mobile,
divieto che pure sarebbe illegittimo al lume
della richiamata giurisprudenza
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.10.2008 n. 2538 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
edificazione di tralicci ed antenne di
rilevanti dimensioni in zona di rispetto o,
comunque, soggetta a vincolo di
inedificabilità assoluta.
La disciplina degli impianti di
telecomunicazione e radiotelevisivi
coinvolge profili sia di tutela
dell’ambiente che di governo del territorio,
in quanto impone standards di protezione
dalle onde elettromagnetiche –uniformi su
tutto il territorio nazionale– a garanzia
del diritto alla salute, ma anche modalità
di localizzazione degli impianti stessi,
tali da consentire il rispetto sia dei
parametri urbanistici che di corrette regole
di produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia, nonché di ottimale
diffusione delle reti di comunicazione,
secondo un ben preciso riparto di
competenze.
Come ribadito dalla stessa Corte
Costituzionale con sentenza n. 307 del
07.10.2003 –in armonia peraltro con
l’indirizzo giurisprudenziale, già formatosi
sulla legge quadro n. 36/2001– la
determinazione degli standards di protezione
dall’inquinamento elettromagnetico è
competenza dello Stato (sotto il profilo di
valori-soglia, non derogabili dalle
Regioni), mentre è materia di legislazione
concorrente (ovvero, rientrante anche nella
potestà legislativa regionale, ma nel
rispetto di principi fondamentali, fissati
da leggi dello Stato) il trasporto
dell’energia e l’ordinamento della
comunicazione; è infine rimessa alle Regioni
e agli enti territoriali minori la
localizzazione degli impianti, come
questione attinente alla disciplina d’uso
del territorio, purché la pianificazione, a
quest’ultimo riguardo dettata, non sia tale
“da impedire o da ostacolare
ingiustificatamente l’insediamento degli
impianti stessi”.
L’interprete è quindi chiamato ad affrontare
problematiche, che attengono sia allo
sviluppo del territorio, sia a fattori di
inquinamento ambientale, questi ultimi solo
in parte superabili attraverso il verificato
rispetto dei parametri, fissati dallo Stato
come “limiti di esposizione” ai campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici,
mentre - sul piano dell’edificazione - gli
impianti tecnologici di cui trattasi trovano
parametri di riferimento anche nelle norme
urbanistico-edilizie, come recepite nel
D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Queste ultime prevedono una disciplina
differenziata, in caso di rapporto di
strumentalità necessaria degli impianti
rispetto a edifici preesistenti (situazione
rapportabile a caldaie, condizionatori,
pannelli solari e simili), ovvero di
autonomia funzionale dei medesimi quali
nuove costruzioni (come nel caso, appunto,
di tralicci ed impianti, destinati ad essere
parte di una rete di infrastrutture).
Solo per i primi, fra gli impianti sopra
indicati, risulta applicabile -in base al
citato T.U.- la disciplina dettata per gli
interventi edilizi ritenuti minori, soggetti
a mera denuncia di inizio attività
(cosiddetta D.I.A.) a norma dell’art. 4 del
D.L. 05.10.1993, n. 398, convertito con
modificazioni dalla legge 04.12.1993, n.
493, come modificato dall’art. 2, comma 60,
della legge 23.12.1996, n. 662 ed integrato
dall’art. 1, comma 6, della legge
21.12.2001, n. 443 (fino all’entrata in
vigore –il 30.6.2003– del D.P.R. 06.06.2001,
n. 380 -testo unico delle disposizioni
legislative in materia edilizia- che
raccoglie le disposizioni legislative e
regolamentari contenute nel D.Lgs. n.
378/2001 e nel DPR n. 379/2001). Per “l’installazione
di torri e tralicci per impianti
radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i
servizi di telecomunicazione”
–espressamente catalogata come intervento di
nuova costruzione– il citato D.Lgs. n.
378/2001 prescrive, nel combinato disposto
degli articoli 3, comma 1, lett. e.5 e 10,
comma 1, il permesso di costruire,
introdotto dalla medesima normativa come
nuova qualificazione formale della
concessione edilizia.
Giova sottolineare, al riguardo, che la
regolamentazione sopra ricordata non risulta
sovvertita anche dopo l’introduzione delle
nuove procedure autorizzatorie, previste per
le infrastrutture di cui trattasi dagli
articoli 86, 87 e 88 del codice delle
comunicazioni elettroniche, approvato con
D.Lgs. 01.08.2003, n. 259: una disciplina,
quest’ultima, che affronta i molteplici
profili di interesse pubblico coinvolti e
prevede al riguardo lo svolgimento di
apposite conferenze di servizi,
circoscrivendo una peculiare fattispecie,
soggetta a denuncia di inizio attività
(“installazione di impianti, con tecnologia
UMTS o altre, con potenza in singola antenna
uguale o inferiore ai 20 watt”), mentre per
le altre installazioni è prescritto il
rilascio -in forma espressa o tacita- di un
titolo abilitativo, qualificato come
autorizzazione.
Secondo l’indirizzo, ormai più volte
espresso dalla Corte Costituzionale, la
predetta nuova disciplina può ritenersi
conforme a criteri –rilevanti anche sul
piano comunitario– di semplificazione
amministrativa, con prevista confluenza in
un solo procedimento di tutte le tematiche,
rilevanti per le installazioni in questione:
quanto sopra, tuttavia, senza che sia
cancellata l’incidenza delle installazioni
stesse sotto il profilo urbanistico-edilizio,
tenuto conto della concreta consistenza
dell’intervento e senza esclusione delle
conseguenze penali, connesse ad ipotesi di
abusivismo, ex art. 44 D.P.R. n. 380/2001
(cfr. in tal senso Corte Cost. 28.03.2006,
n. 259; Corte Cost. 18.05.2006, ord. n.
203).
E’ pertanto ammesso che i Comuni adottino
misure programmatorie integrative per la
localizzazione degli impianti di cui si
discute, in modo tale da minimizzare
l’esposizione dei cittadini residenti ai
campi elettromagnetici, ma anche in
un’ottica di ottimale disciplina d’uso del
territorio (cfr. Cons. St., sez. VI,
03.06.2002, n. 3095; 20.12.2002, n. 7274;
10.02.2003, n. 673; 26.08.2003, n. 4841).
Non può ritenersi ancora oggi superata,
dunque, la problematica inerente al permesso
di costruire, previsto per tutte le
installazioni in questione dal più volte
citato T.U. dell’Edilizia e non cancellato,
anche se oggetto di speciale disciplina
procedurale, dal codice delle comunicazioni
elettroniche.
Ove dunque, a differenza di quanto avvenuto
nella situazione in esame, non fosse stata
dettata la normativa regolamentare, di cui
al già citato art. 8, comma 6, L. n.
36/2001, interventi edilizi come quello in
esame non avrebbero potuto che restare
soggetti –sotto il profilo urbanistico– ai
principi di carattere generale, che vedono
tralicci ed antenne di rilevanti dimensioni,
da una parte, valutabili come strutture
edilizie soggette a permesso di costruire
(ora ad assenso autorizzativo, assorbente
rispetto a tale permesso) e dunque, deve
ritenersi, non collocabili in zone di
rispetto, o comunque soggette a vincolo di
inedificabilità assoluta, ma che dall’altra
impongono di considerare tali manufatti –in
quanto parte di una rete di infrastrutture,
qualificate come opere di urbanizzazione
primaria, nonché in quanto impianti
tecnologici e volumi tecnici– compatibili
con qualsiasi destinazione di P.R.G. delle
aree interessate e non soggetti in linea di
massima (salvo disposizioni peculiari) ai
limiti di altezza e cubatura delle
costruzioni circostanti (cfr. in tal senso,
per il principio, Cons. St., sez. VI,
29.05.2006, n. 3243 e 07.06.2006, n. 3425).
Non precluderebbe, dunque, l’assentibilità
dell’intervento l’assenza di una disciplina
specifica, volta ad individuare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di cui trattasi ed a
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici (nei limiti di
ragionevolezza e rispetto delle norme
statali, in cui tale localizzazione è
ritenuta possibile dalla giurisprudenza,
ormai pacifica sul punto: cfr., fra le
tante, Cons. St., sez. VI, 13.06.2007, n.
3162, 03.03.2007, n. 1017, 28.03.2007, n.
1431 e 25.09.2006, n. 5593).
Nel caso in cui, però, il Comune abbia
emesso una disciplina apposita, quest’ultima
deve ritenersi in effetti vincolante in
ordine alle localizzazioni ammesse, salvo
contestazione della medesima in sede
giurisdizionale –come avvenuto nel caso di
specie– quando se ne ravvisi il contrasto
con la disciplina legislativa del settore
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 01.10.2008 n. 4744 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
Impianti radioelettrici e disponibilità
giuridica ex art. 11 D.P.R. 06.06.2001 n.
380
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Bettinelli,
Considerazioni in merito all’installazione
di impianti radio-ricetrasmittenti nonché di
ripetitori per i servizi di
telecomunicazione (link a
www.tuttoambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'installazione
di stazioni radio base per la telefonia mobile
sconta il pagamento del contributo di costruzione.
L’installazione di stazioni
radio base, seppur soggetta al procedimento
autorizzatorio semplificato di cui al Codice delle
Comunicazioni, costituisce pur sempre una attività
edilizia che, laddove il Codice non prevedesse
alcunché, sarebbe assoggettata al regime del
permesso di costruire e, conseguentemente, al
pagamento del contributo.
Ne consegue che la semplificazione prevista dal
Codice delle Comunicazioni opera esclusivamente sul
piano del procedimento, impedendo che
l’installazione delle stazioni radio base possa
essere assoggettata ad un procedimento diverso e più
gravoso rispetto a quello ivi previsto, ma non
comporta sic et simpliciter che tale attività non
possa essere assoggettata al contributo che deve
essere, per legge, corrisposto per tutte le attività
edilizie per le quali è previsto il permesso di
costruire.
L’art. 93 del Codice
delle Comunicazioni, il quale prevede che “le
Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province
ed i Comuni non possono imporre, per l’impianto di
reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione
elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti
per legge”, non fa altro che prevedere una
riserva di legge per la imposizione di nuovi oneri o
canoni. Ebbene, sono appunto le leggi in materia
edilizia che subordinano le attività soggette a
permesso di costruire al contributo.
In altri termini: l’installazione di stazioni radio
base è subordinata al pagamento del contributo in
quanto rientra tra le attività edilizie; dunque non
vi è alcun contrasto con la normativa di settore, né
può ritenersi che tale previsione comporti un
trattamento non uniforme o discriminatorio; quello
richiesto, infatti, non è un onere ulteriore che
colpisce specificatamente le stazioni radio base, ma
l’ordinario contributo previsto per qualsiasi opera
edilizia. Quindi non vi è un “aggravio”
economico in capo al gestore della rete radiomobile.
L’art. 86, comma 3 del Codice delle Comunicazioni
assimila le infrastrutture di telecomunicazioni, ad
ogni effetto, alle opere di urbanizzazione primaria
di cui all’art. 16, comma 7, del T.U. dell’edilizia,
e l’art. 90 del codice le qualifica come opere di
pubblica utilità, con conseguente esenzione dal
contributo, esenzione che discende altresì dall’art.
124 della L.R.T. n. 1/2005 e dall’art. 17 del T.U.
dell’Edilizia. Il richiamato art. 86 Codice delle
Comunicazioni precisa, altresì, che “ad esse si
applica la normativa vigente in materia”.
Ebbene, la disciplina di riferimento –per quanto
attiene l’esigibilità o meno del contributo di
costruzione per la realizzazione di opere di
urbanizzazione– è rappresentata, in primo luogo,
dall’art. 17 del T.U. dell’Edilizia (n. 380/2001) il
quale, al comma 3, prevede espressamente che “il
contributo di costruzione non è dovuto: … c) per gli
impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di
interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti nonché per le opere di
urbanizzazione, eseguite anche da privati, in
attuazione di strumenti urbanistici”. Pertanto,
la richiamata disposizione subordina esplicitamente
l’esenzione dal contributo di costruzione alla
espressa previsione, negli strumenti urbanistici,
dell’opera di urbanizzazione che il privato intende
realizzare.
E’, pertanto, evidente come del tutto inconferente
sia il richiamo operato dalla ricorrente al fine di
sostenere l’illegittimità della richiesta di
pagamento del costo di costruzione da parte del
Comune di Carrara, al ricordato art. 17 D.P.R.
380/2001, atteso che lo stesso, ben lungi dal
disporre l’esenzione in via generalizzata per la
realizzazione da parte di privati di opere di
urbanizzazione primaria, viceversa la consente –solo
e soltanto– per la realizzazione di quelle opere di
urbanizzazione espressamente indicate negli
strumenti urbanistici.
Al di fuori delle ipotesi, da considerarsi
eccezionali, in cui l’esenzione è espressamente
prevista dalla legge –come si è visto, qualora vi
sia, in base alla legge regionale toscana n. 1/2005,
una convenzione con il Comune, ovvero, per la
normativa statale di cui all’art. 17 del D.P.R.
380/2001, la previsione dell’opera negli strumenti
urbanistici– il pagamento del contributo inerente al
costo di costruzione, anche qualora i privati
realizzino opere di urbanizzazione, è la regola
generale
(TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 11.09.2008 n. 1950
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla competenza comunale ad
emanare norme sulla localizzazione delle antenne di telefonia mobile.
Anche ammettendo che l'assimilazione delle stazioni radio base di
telefonia mobile alle opere di urbanizzazione primaria non precluda ai
comuni, nell'esercizio del potere di pianificazione urbanistica (ex art
8, co. 6, legge n. 36/2001), di prevedere la localizzazione delle
antenne in determinati ambiti di territorio (così: Cons. St., VI,
6961/2005), tale potestà incontra pur sempre il limite costituito
dall’interesse, di rilievo nazionale, secondo cui dev’essere comunque
assicurata una capillare ed effettiva distribuzione del servizio
mediante uniforme copertura, con idoneo segnale, di tutte le zone del
territorio comunale (così, ancora: Cons. St., VI, 6961/2005).
Circa l’estensione ed il contenuto della potestà dei comuni di
regolamentare il corretto insediamento sul territorio degli impianti di
telecomunicazione, in relazione alla sfera di attribuzioni ad essi
riconosciuta dall'art. 8, comma sesto, della legge n. 36/2001 e,
nell’ordinamento trentino, dal citato art. 3-bis del DPGP 13-31/2000, la
giurisprudenza -condivisa dal Collegio- afferma che i criteri di
localizzazione degli impianti non possano trasformarsi in eccessive
limitazioni al loro insediamento, così da configurarsi incompatibili con
la possibilità di realizzare una rete completa di infrastrutture per la
telecomunicazione (così: Corte Costituzionale, n. 331/2003; id., n.
307/2003). In altri termini, i Comuni hanno il potere di introdurre
criteri generali limitativi ma non anche restrittive limitazioni alla
localizzazione.
Inoltre, se i Comuni hanno competenza ad
emanare norme regolamentari con valenza urbanistico-edilizia, non
possono ammettersi, invece, norme regolamentari che abbiano
esclusivamente valenza radioprotezionistica. Infatti, per essere
legittimo il potere comunale non può interferire con quello riservato
allo Stato che fissa i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici,
nel presupposto indefettibile che la tutela della salute è un’esigenza
indeclinabile, ma di carattere essenzialmente unitario sul territorio
nazionale.
Se così è, il divieto generalizzato di installare le stazioni radio base
per la telefonia cellulare in tutte le zone comunali –ad esclusione di
due soli siti (salvo quelli preesistenti), com’è previsto dal
controverso programma comunale di localizzazione del Comune di Mori- ha
lo stesso (surrettizio) effetto di sovrapporre una determinazione
cautelativa, ispirata al principio di precauzione, alla normativa
statale che ha fissato i limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo
tale normativa (cfr.: Tar Veneto, 347/2002; Cons. St., VI, n. 7274/2002;
id., n. 3095/2002). Peraltro, nell’attuale sistema tecnico di telefonia
cellulare l’auspicabile bassa potenza di emissione degli impianti
presuppone un’adeguata ed uniforme distribuzione delle antenne sul
territorio da servire, mentre la marginalizzazione degli impianti
costringe i gestori del servizio ad elevare la potenza dei segnali
irradiati per illuminare le zone più remote, con effetti paradossalmente
opposti agli interessi alla tutela della salute da un’elevata
irradiazione e sottesi alla riduzione degli spazi utili per
l’installazione degli impianti
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 10.09.2008 n. 229 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
comuni possono adottare un regolamento atto
ad assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti di
telefonia e minimizzare l’esposizione della
popolazione comunale ai campi
elettromagnetici. Tuttavia, il potere
regolamentare comunale non può implicare la
fissazione di limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici diversi da quelli stabiliti
dallo Stato.
La giurisprudenza ha chiarito che, ai sensi
dell’art. 8, comma 6, della legge quadro
sulla protezione dalle esposizioni ai campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici (l.
22-02-2001 n. 36), i comuni possono adottare
un regolamento atto ad assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l’esposizione della popolazione comunale ai
campi elettromagnetici. Tuttavia, il potere
regolamentare comunale non può implicare la
fissazione di limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici diversi da quelli stabiliti
dallo Stato, non rientrando tale potere
nell’ambito delle competenze comunali. Non
può, pertanto, l’ente locale, attraverso il
formale utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure
derogatorie ai predetti limiti di
esposizione fissati dallo Stato, quali ad
esempio il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio-base per
la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale; ovvero introdurre misure che,
pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc.), non siano
funzionali al governo del territorio, quanto
piuttosto alla tutela della salute dai
rischi dell’elettromagnetismo (cfr. Cons.
Stato, VI, 15-06-2006, n. 3534; IV,
03-06-2002, n. 3095; TAR Abruzzo, Pescara,
03-04-2007, n. 376).
E’ stato, per l’effetto, affermato che il
potere conformativo di cui dispone
l’amministrazione comunale può essere
legittimamente esercitato alla duplice
condizione che:
a) per effetto dei criteri localizzativi
stabiliti dall’ente locale, non risulti
impedita in via generalizzata la possibilità
di installare gli impianti per la telefonia
su tutto il territorio comunale o su larga
parte di esso;
b) l’adozione delle norme sulla
localizzazione delle stazioni radio base
(finalizzate anche all’obiettivo della
minimizzazione della esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici) sia
preceduta da adeguata istruttoria implicante
necessariamente accertamenti
tecnico-scientifici e/o da valutazione dei
dati acquisiti.
Con riferimento al requisito sub a), deve
essere evidenziato che opera in materia la
regola generale secondo cui l’installazione
di una stazione radio base va considerata
quale infrastruttura, compatibile con
qualsiasi destinazione di zona (cfr. TAR
Calabria, Catanzaro, II, 17-04-2007, n.
330); la relativa installazione deve,
d’altra parte, ritenersi in generale
consentita sull’intero territorio comunale
in modo da poter realizzare una uniforme
copertura di tutta l’area comunale
interessata (cfr. Cons. Stato, VI,
28-03-2007, n. 1431).
Ai Comuni spetta, alla luce delle competenze
urbanistiche ed edilizie inerenti il governo
del territorio e tenuto conto della
competenza aggiuntiva e diversa relativa
alla minimizzazione del rischio per la
salute della popolazione, disciplinare con
regolamento la localizzazione ottimale degli
impianti di telecomunicazione, potendo
dettare regole diverse, rispetto a quelle
previste per la generalità degli altri
impianti, nella misura in cui esse siano
volte a contemperare ragionevolmente gli
opposti interessi coinvolti, senza violare i
valori di campo stabiliti dallo Stato e gli
obiettivi di qualità definiti dalle Regioni.
Di poi, i
regolamenti comunali di minimizzazione
devono limitarsi a dettare prescrizioni
urbanistico-edilizie di carattere
integrativo, volte ad imporre ubicazioni
specifiche o caratteristiche tecniche
determinate.
Sulla base di tali principi, la
giurisprudenza amministrativa ha chiarito i
contenuti regolamentari vietati, in quanto
esorbitanti dai limiti delle competenze
comunali, e quelli invece consentiti.
Tra i primi rientrano: l’introduzione di
deroghe generalizzate ai limiti di emissione
ed esposizione fissati dallo Stato;
l’individuazione di zone omogenee destinate
o meno ad accogliere gli impianti
elettromagnetici; la prescrizione di limiti
che ostacolino ingiustificatamente ed
arbitrariamente l’installazione degli
impianti e le relative infrastrutture.
E’, invece, consentita: l’indicazione di
accorgimenti tecnici particolari da adottare
nella realizzazione degli impianti, quali ad
esempio schermature idonee a neutralizzare o
ridurre l’emissione di onde
elettromagnetiche all’esterno; l’indicazione
di siti idonei, nel rispetto della
zonizzazione prevista dal piano regolatore
generale, tenuto conto dell’esigenza di
evitare l’esposizione di soggetti fragili
(bambini, anziani, ammalati) e di ridurre
l’impatto sul territorio dal punto di vista
urbanistico ed edilizio.
In particolare, è stato chiarito (cfr. Cons.
Stato, VI, 05-06-2006, n. 3332) che la
potestà assegnata al Comune dal richiamato
art. 8, comma sesto, può tradursi nella
introduzione di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio
paesistico/ambientale o storico/artistico
ovvero nella individuazione di siti che, per
destinazione d’uso e qualità degli utenti,
possano essere considerati sensibili alle
immissioni radioelettriche, ma non può
trasformarsi in limitazioni alla
localizzazione per intere ed estese porzioni
di territorio comunale.
Di conseguenza, non è compatibile con la
realizzazione del servizio imporre divieti
per zone omogenee e distanze fisse (Cons.
Stato, IV, 14-02-2005, n. 450); è
illegittima l’esclusione degli impianti per
intere zone omogenee del territorio (TAR
Campania, I, 22-12-2004, n. 19627), mentre
sono legittimi i divieti di localizzazione
in determinati ambiti del territorio (Cons.
Stato, VI, 05-12-2005, n. 6961).
Ancora, le misure distanziali sono state
ritenute legittime nella misura in cui sono
sufficientemente specifiche ed omogenee,
oltre che proporzionate e non irragionevoli,
configurandosi possibilità di deroga
unicamente quando il gestore dimostri la
impossibilità altrimenti di completare la
copertura della rete.
Venendo ora alla disamina della condizione
sub b) (necessità di adeguata istruttoria
tecnica), va rilevato che la giurisprudenza
ha avuto modo di evidenziare che i
regolamenti comunali, nell’adozione di
misure tese alla minimizzazione della
esposizione della popolazione, devono
suffragare le disposizioni da adeguata
istruttoria tecnica, che dia conto delle
ragioni per cui certe localizzazioni sono da
preferire ad altre e garantisca che tali
localizzazioni non impediscono in concreto
l’erogazione del servizio (cfr. TAR Puglia,
Lecce, II, 12-09-2006, n. 4412). In
particolare, vi è obbligo di effettuare
approfondimenti tecnico-scienifici in
funzione, non già della determinazione di
valori di campo diversi da quelli stabiliti
dalla normativa statale e di misure che
surrettiziamente afferiscono ai valori di
campo, ma della disciplina del corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti, anche considerando
l’obiettivo della minimizzazione della
esposizione ai campi elettromagnetici (cfr.
TAR Puglia, Lecce, II, 03-11-2006, n. 5142)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.08.2008 n. 2242
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione dell'antenna di
una stazione radioelettrica non costituisce
trasformazione del territorio comunale agli
effetti delle leggi urbanistiche, sicché non
necessita di concessione o autorizzazione
edilizia.
L'installazione dell'antenna di una stazione
radioelettrica non costituisce
trasformazione del territorio comunale agli
effetti delle leggi urbanistiche, sicché non
necessita, ex art. 397 del D.P.R. n.
156/1973, di concessione o autorizzazione
edilizia più di quanto ne necessitino le
antenne televisive poste sui tetti delle
case (TAR Sicilia, Palermo, II, 07.03.2008,
n. 310). E tuttavia, la realizzazione di
simili manufatti va considerata anche in
concreto ed in relazione alla obiettiva
consistenza degli impianti, richiedendosi la
concessione edilizia in caso di
installazione di tralicci o antenne di
notevoli dimensioni e situati in prossimità
di edifici (TAR Sicilia, n. 310/2008, cit.).
Nella
fattispecie oggetto della presente
controversia, il traliccio è stato
realizzato dalla TIM giusta regolare
concessione edilizia del 07.07.1986 (prot.
5457/85, pratica n. 2387/1986), ha
un’altezza di 21 metri e sostiene, “ab
initio”, “2 antenne per telecomunicazioni
(paraboloidi) del diametro di m. 3,10,
installate a quota 20,00 m.”. Ne consegue
che i nuovi pannelli, successivamente
installati dalla TIM, di ben più limitate
dimensioni rispetto alle preesistenti
parabole, non comportano una rilevante
modifica della situazione già in essere e
non abbisognano dunque di concessione
edilizia, risultando sufficiente la semplice
dichiarazione di inizio attività, ex art. 4,
comma 7, lett. f), della legge n. 493 del
1993, come sostituito dall'art. 2, comma 60,
della legge n. 662 del 1996 (abrogato
dall'art. 136 del D.Lg.vo n. 378 del 2001,
ma applicabile “ratione temporis” nella
fattispecie in esame). L’omissione di
quest’ultima comporta, secondo il comma 13
dello stesso art. 4, cit., una sanzione
meramente pecuniaria.
Il provvedimento impugnato è dunque
illegittimo perché considera, erroneamente,
soggetta a concessione la messa in opera
delle nuove apparecchiature in discorso da
parte della Tim e la sanziona, altrettanto
erroneamente, con ingiunzione di demolizione
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 25.08.2008 n. 455 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
Installazione di antenne su immobili
abusivi: il potere dell’Autorità comunale
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
Stazioni radio base nei centri abitati
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che
individuano assoluti divieti di installazione impianti per telefonia
mobile (con potenza inferiore a 300 watt) anche solo con riguardo a
limitate porzioni del territorio comunale.
La vicenda portata all’attenzione del Collegio non è certo nuova e della
medesima -ovviamente per fatti analoghi in altri luoghi– la
giurisprudenza si è più volte occupata, giungendo alla conclusione che,
salvi casi eccezionali, le infrastrutture di specie (attrezzature fisse
per la trasmissione: non qualificabili come costruzioni in senso
stretto) siano da considerarsi opere di urbanizzazione primaria
strettamente funzionali al concreto svolgersi di un servizio pubblico
primario. Le stesse dunque possono essere allocate ignorando di norma la
destinazione urbanistica locale: soprattutto quando questa ne impedisca
l’allocazione medesima in toto (ex multis TAR MI – Lombardia – Sez. IV:
27.05.2005 n. 1106, 23.11.2006 n. 2833, 07.09.2007 n. 5777, 12.11.2007
n. 6260, 17.03.2008 n. 554; Tar Veneto II Sez. 12.01.2007 n. 72; TAR
Lazio roma –II Sez. Bis 07.09.2007 n. 323; CDS Sez. VI: 05.06.2006 n.
3332, 15.06.2006 n. 3534, 13.06.2007 n. 3156, 27.06.2007 n. 4162 e
02.11.2007 n. 5673; C.d.S. sez. IV 19.05.2008 n. 2287).
Più in particolare è stato invero ed anche chiarito che, ai sensi
dell’art. 4 VII comma della l.r. n. 11 del 2001, gli impianti di radio
base di telefonia mobile (vedasi anche delibera G.R. invocata n. VII/7351
dell’11.12.2001) di potenza totale non superiore a 300 watt –come nel
caso- non richiedono specifica regolamentazione urbanistica per cui sono
illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che individuano
assoluti divieti di installazione per simili impianti anche solo con
riguardo a limitate porzioni del territorio comunale stesso (v. da
ultimo TAR Lombardia Milano – Sez. IV n. 1815 del 20.05.2008) (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 30.07.2008 n. 846 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
localizzazione comunale delle antenne per telefonia mobile.
Circa i limiti ed il contenuto della potestà dei comuni di regolamentare
il corretto insediamento sul territorio degli impianti di
telecomunicazione in relazione alla sfera di attribuzioni ad essi
riconosciuta dall’art. 8, comma sesto, della legge n. 36/2001, la
giurisprudenza ha avuto occasione di pronunciarsi più volte, statuendo,
in sintesi, i seguenti principi:
- i “criteri di localizzazione” degli impianti non possono trasformarsi
in “limitazioni alla localizzazione”, così da configurarsi incompatibili
con la possibilità di realizzare una rete completa di infrastrutture per
la telecomunicazione (Corte Costituzionale, sentenza 15.10/7.11.2003 n.
331 -che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 3,
comma 12, lett. a) della L.R. Lombardia 06.03.2002 n. 4, relativo al
divieto di installazione di impianti di tlc sotto il limite dei 75 metri
dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici etc…e strutture
similari, con relative pertinenze- e sentenza 07.10.2003 n 307 che, con
riferimento specifico alla L.R. Puglia 08.03.2002, n. 5, ha stabilito,
in particolare, che non è costituzionalmente illegittimo l’art. 10,
comma 1, della L.R. Puglia che vieta l’installazione di impianti di tlc
su “ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido” e che,
viceversa è costituzionalmente illegittimo l’art. 10, comma 2, della
stessa legge regionale, che estende il divieto di localizzazione degli
impianti, tra l’altro, alle fasce di rispetto perimetrale secondo una
delibera della Giunta regionale, degli immobili “protetti”, di cui al
comma 1, ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido);
- non può tradursi la determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti –atteso il suo carattere generalizzato ed
il riferimento al dato oggettivo dell’esistenza di insediamenti
abitativi- in una misura surrettizia di tutela della popolazione da
immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi
con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (Cons. St., Sez. VI, n. 7274 /2002; n. 3095, n.
4159/2005);
- la scelta dei criteri di insediamento degli impianti deve tenere conto
della nozione di “rete di telecomunicazione, che richiede una diffusione
capillare sul territorio, in particolare per i casi di telefonia UMTS
(c.d. “cellulare”);
- deve tenersi conto, infine, anche del fatto che l’assimilazione in via
normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione
alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le medesime non siano
avulse dall’insediamento abitativo, ma debbano porsi al servizio dello
stesso.
Da una parte, la potestà attribuita al Comune dall’art. 8, comma 6,
della L. n. 36/2001 di disciplinare “il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione
della popolazione a campi elettromagnetici” deve tradursi in regole
ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio dei cennati interessi di
rilievo pubblico (in relazione, ad esempio, al particolare valore
paesaggistico/ambientale o storico/artistico di individuate porzioni del
territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione
d’uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle
immissioni elettromagnetiche) ma non può introdurre, come avvenuto nel
caso di specie, un generalizzato divieto di installazione in zone
urbanistiche identificate.
Dall’altra, tale previsione viene a costituire una misura di carattere
generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti
dagli impianti di telefonia mobile, riservando, tuttavia, l’art. 4 della
L.n. 36/2001, alla competenza dello Stato, la determinazione, con
criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi
uniformemente su tutto il territorio dello Stato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 17.07.2008 n. 3594 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le verifiche di compatibilità
edilizia ed urbanistica delle infrastrutture
di comunicazioni elettroniche devono essere
svolte nell'ambito del procedimento
disciplinato dall'art. 87 d.lg. n. 259 del
2003.
Come è stato ritenuto dal Consiglio di Stato
con sentenza sez. VI, 28.02.2006, n. 889, le
verifiche di compatibilità edilizia ed
urbanistica delle infrastrutture di
comunicazioni elettroniche devono essere
svolte nell'ambito del procedimento
disciplinato dall'art. 87 d.lg. n. 259 del
2003.
Infatti, la "ratio" della riforma è
stata quella di semplificare il procedimento
e di concentrare al suo interno tutte le
relative valutazioni di carattere
urbanistico-edilizio e igienico-sanitarie,
le quali sono state unificate sul piano
procedimentale.
Il potere del
Comune, dopo la formazione del
silenzio-assenso dei 90 gg. previsto
dall'art. 87 del D.Lgs. 259/2003, si limita
alla eventuale autotutela annullatoria, alla
presenza dei presupposti tralaticiamente
affermati dalla giurisprudenza: sussistenza
di un’illegittimità, pur non sufficiente per
sé sola a sostenere l’annullamento,
esistenza di un interesse pubblico concreto
ed attuale alla rimozione dell'atto,
adeguata motivazione
(C.G.A.R.S.,
sentenza 11.06.2008 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di localizzazione sul
territorio delle stazioni radio-base di
telefonia mobile, i Comuni non possono,
attraverso atti regolamentari o di
pianificazione urbanistica, introdurre
divieti di localizzazione di ordine generale
per talune porzioni di territorio,
considerato che la potestà riconosciuta agli
enti locali dall’art. 8 della legge 36/2001
non può tradursi in divieti assoluti di
localizzazione di impianti di telefonia
mobile su parti del territorio non
interessate da obiettivi sensibili.
Ai sensi dell’art. 4, comma 7°, della l.r.
Lombardia 11/2001, gli impianti radiobase di
telefonia mobile di potenza totale non
superiore a 300 Watt non richiedono
specifica regolamentazione urbanistica, per
cui sono illegittime le disposizioni
pianificatorie comunali che introducono in
termini assoluti divieti di installazione
per simili impianti, anche solo su porzioni
del territorio comunale.
In ordine al profilo, relativo cioè alla
collocazione sul territorio delle stazioni
radio base di telefonia cellulare, la
giurisprudenza, anche della Sezione (TAR
Lombardia, sez. IV, 07.09.2007, n. 5777;
23.11.2006, n. 2833; 12.11.2007, n. 6260 e
17.03.2008 n. 554, costituenti tutti
precedenti conformi ai quali si rinvia;
oltre a Consiglio di Stato, sez. VI,
05.06.2006, n. 3332 e sez. VI, 15.06.2006,
n. 3534; TAR Lazio, sez. II-bis, 17.01.2007,
n. 323), è ormai giunta alla conclusione che
i Comuni non possono, attraverso atti
regolamentari o di pianificazione
urbanistica, introdurre divieti di
localizzazione di ordine generale per talune
porzioni di territorio, considerato che la
potestà riconosciuta agli enti locali
dall’art. 8 della legge 36/2001 non può
tradursi in divieti assoluti di
localizzazione di impianti di telefonia
mobile su parti del territorio non
interessate da obiettivi sensibili.
Nella Regione Lombardia, inoltre, assume
rilevanza fondamentale la previsione
dell’art. 4, comma 7°, della legge regionale
11/2001, per la quale gli impianti radiobase
di telefonia mobile di potenza totale non
superiore a 300 Watt (come quello di cui è
causa), non richiedono specifica
regolamentazione urbanistica, per cui sono
illegittime le disposizioni pianificatorie
comunali che introducono in termini assoluti
divieti di installazione per simili
impianti, anche solo su porzioni del
territorio comunale (v.si, oltre alle citate
sentenze della scrivente Sezione IV, anche
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.05.2005,
n. 1106) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 20.05.2008 n. 1815 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: F.
Albanese, Sulla localizzazione degli impianti radioelettrici.
Il comune con un regolamento può prevedere la localizzazione degli
impianti radioelettrici preferibilmente in aree di proprietà comunale.
Infatti, tale disposizione appare di per sé ininfluente in ordine
all’obiettivo di assicurare la corretta diffusione del servizio di
telefonia mobile (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.05.2008 n. 2287
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione
edilizia - Opere per emissioni radiofoniche
- Competenza Autorità P.T. - Non sussiste -
Competenza Autorità Comunale - Sussiste.
2. Opere che
attuino una trasformazione
urbanistica-edilizia del territorio -
Concessione edilizia - Necessità -
Fattispecie - Tralicci radiofonici.
3. Concessione
edilizia - Concessione ex Legge 223/1990 per
impianti di diffusione sonora e televisiva -
Equivale a dichiarazione di pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza delle
opere - Conseguenze.
1. L'art. 23 della Legge 223/1990 non priva
il Comune dei poteri relativi alle sue
competenze urbanistiche ed edilizie, né
conferisce tali competenze
all'Amministrazione P.T.: l'Ente Comunale
rimane competente per gli atti abilitativi
relativi allo ius aedificandi (concessione
edilizia e autorizzazione) anche se
attinenti alle opere necessarie per
l'emissione radiofonica.
2. La posa di un traliccio in ferro (nella
fattispecie, con base in cemento e alto 31
metri) costituisce opera di trasformazione
urbanistica che richiede concessione
edilizia, ex art. 1 Legge 10/1977 e a tal
fine è irrilevante la asserita amovibilità
dello stesso, poiché ciò che rileva ai fini
della trasformazione urbanistica è la
stabilità della destinazione dell'opera
realizzata: la precarietà/mobilità di un
manufatto, che rende non necessaria la
concessione edilizia, dipende non già dal
suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua
inidoneità a determinare una stabile
trasformazione del territorio ed il
carattere di precarietà va escluso quando
trattasi di struttura destinata ad avere
un'utilità prolungata nel tempo.
3.
Ai sensi dell'art. 16 della Legge 223/1990,
il rilascio della concessione per
l'installazione di impianti di diffusione
sonora e televisiva privata equivale a
dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza delle opere
connesse e dà titolo per richiedere alle
Autorità competenti le necessarie
concessioni e autorizzazioni. L'art. 4 della
stessa legge prevede che i Comuni
territorialmente competenti provvedono ad
acquisire ed occupare d'urgenza l'area
interessata, a espropriarla ed a rilasciare
la concessione edilizia, lasciando intendere
come per l'installazione di opere per
l'emissione radiofonica siano necessarie due
autonome e distinte concessioni, quella
radiotelevisiva e quella
urbanistica-edilizia
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
13.05.2008 n.
1583
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: F.
Albanese,
Impianti radioelettrici e sanzioni ex art.
44 del DPR 380/2001
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog.
Installazione impianto radio base.
Per l'installazione di impianti si stazioni radio base il parere
dell’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale (A.R.P.A.) non è
necessario ai fini del conseguimento del titolo abilitativo, ma solo ai
fini dell’attivazione dell’impianto. L’istallazione degli impianti è
subordinata soltanto al conseguimento dei titoli abilitativi previsti
dall’art. 87 del decreto legislativo n. 259/2003, che hanno portata
assorbente rispetto ai titoli abilitativi previsti dal in materia
edilizia dal D.P.R. n. 380/2001
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 28.03.2008 n. 1630
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Installazione
di stazioni radio base - Assoggettamento a procedura di VIA -
Esclusione.
L’installazione di stazioni radio base per la telefonia non è
assoggettata alla procedura di VIA prevista dalla l. n. 349/1986 (Tar
Liguria, sez.I, 15.03.2006 n. 200) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 20.03.2008 n. 422
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog,
istallazione antenne per telefonia, assoggettabilità a VIA, non
necessità.
L’installazione di stazioni radio
base per la telefonia non è assoggettata alla procedura di VIA, poiché
tali impianti costituiscono opere di urbanizzazione e di interesse
pubblico (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza
20.03.2008 n. 422
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Localizzazione impianti.
In ordine alla localizzazione delle stazioni radio base di
telefonia cellulare, i Comuni non possono, attraverso i propri atti di
pianificazione urbanistica, introdurre divieti di localizzazione di
ordine generale per talune porzioni di territorio, considerato che la
potestà riconosciuta agli enti locali dall’art. 8 della legge 36/2001
non può tradursi in divieti assoluti di localizzazione di impianti di
telefonia mobile su parti del territorio non interessate da obiettivi
sensibili (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.03.2008 n. 554
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune, ancorché mantenga intatte intatte le
proprie competenze in materia di governo del
territorio, queste tuttavia, per espressa
valutazione legislativa, non possono
interferire con quelle relative alla
installazione delle reti di
telecomunicazione e, in particolare, non
possono determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere pressoché generalizzato (e
senza prevedere alcuna possibile
localizzazione alternativa), in contrasto
con le esigenze tecniche necessarie a
consentire la realizzazione effettiva della
rete di telefonia cellulare che assicuri la
copertura del servizio nell’intero
territorio comunale.
Il Collegio ritiene di dover confermare
l’orientamento espresso di recente da questa
stessa Sezione, in fattispecie analoghe alla
presente, con le sentenze 17.01.2006 n. 70,
09.05.2006 n. 1010, 21.07.2006 n. 1743,
19.02.2007, n. 566, 20.02.2007, n. 583,
11.04.2007, n. 1106, 10.05.2007, n. 1320, in
conformità, peraltro, a un condiviso
indirizzo giurisprudenziale ormai
consolidato (cfr., fra le tante, Cons.
Stato, sez. VI, 11.01. 2005, n. 100;
09.06.2005, n. 3040; 26.07.2005, n. 4000;
04.09.2006, n. 5096).
Va, quindi, ribadito che il Comune, ancorché
mantenga intatte intatte le proprie
competenze in materia di governo del
territorio, queste tuttavia, per espressa
valutazione legislativa, non possono
interferire con quelle relative alla
installazione delle reti di
telecomunicazione e, in particolare, non
possono determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere pressoché generalizzato (e
senza prevedere alcuna possibile
localizzazione alternativa), in contrasto
con le esigenze tecniche necessarie a
consentire la realizzazione effettiva della
rete di telefonia cellulare che assicuri la
copertura del servizio nell’intero
territorio comunale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n.
331/2003, ha, infatti, chiarito che
nell’esercizio dei suoi poteri, il Comune
non può rendere di fatto impossibile la
realizzazione di una rete completa di
infrastrutture per le telecomunicazioni,
trasformando i criteri di individuazione,
che pure il Comune può fissare, in
limitazioni alla localizzazione con
prescrizioni aventi natura diversa da quella
consentita dalla legge quadro n. 36 del
2001. Devono, pertanto, ritenersi
illegittimi per incompetenza e per eccesso
di potere gli atti del Comune che intenda
regolamentare la materia in argomento per
profili estranei all’urbanistica ed alla
pianificazione del territorio.
In particolare, il Comune non può, mediante
il formale utilizzo degli strumenti di
natura edilizia-urbanistica, adottare
misure, le quali nella sostanza
costituiscano una deroga ai limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici
fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino (cfr. anche,
in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
29.11.2006, n. 6994).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (in tal senso, fra le
tante, Cons. Stato, IV, 03.06.2002, n. 3095,
20.12.2002, n. 7274, 10.02.2003, n. 673,
14.02.2005, n. 450, 05.08.2005, n. 4159;
sez. VI, 01.04.2003, n. 1226, 30.05.2003, n.
2997, 30.07.2003, n. 4391; 26.08.2003, n.
4841, 15.06.2006, n. 3534)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 12.03.2008 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'installazione
dell'antenna di una stazione radioelettrica
non costituisce trasformazione del
territorio comunale agli effetti delle leggi
urbanistiche e, pertanto, non necessita ex
art. 397 cit. di concessione o
autorizzazione edilizia più di quanto ne
necessitino le antenne televisive poste sui
tetti delle case. Ma la realizzazione di
simili manufatti va vista anche in concreto
ed in relazione alla obiettiva consistenza
degli impianti, richiedendosi, in caso di
installazione di tralicci o antenne di
notevoli dimensioni e situati in prossimità
di edifici la concessione edilizia.
E' pur vero, in astratto, che
l'installazione dell'antenna di una stazione
radioelettrica non costituisce
trasformazione del territorio comunale agli
effetti delle leggi urbanistiche e,
pertanto, non necessita ex art. 397 cit. di
concessione o autorizzazione edilizia più di
quanto ne necessitino le antenne televisive
poste sui tetti delle case (Cons. St., Sez.
V, 20.10.1988, n. 594). Ma la realizzazione
di simili manufatti va vista anche in
concreto ed in relazione alla obiettiva
consistenza degli impianti, richiedendosi,
in caso di installazione di tralicci o
antenne di notevoli dimensioni e situati in
prossimità di edifici la concessione
edilizia (cfr. TAR Lazio 26.11.1988, n.
1503).
In giurisprudenza è stato osservato che:
- l'installazione di un'antenna per
radioamatore è priva di rilevanza edilizia
(in quanto non comporta attività di
trasformazione del territorio) e pertanto
non deve formare oggetto di concessione di
costruzione, salvo che non si componga di
opere eccedenti quelle necessarie per la
semplice posa in opera delle attrezzature
tecniche costituenti l'impianto (cfr. TAR
Piemonte, Torino, 21.12.2002, n. 2157;
16.04.1993, n. 163);
- se di non rilevanti dimensioni
l'installazione di antenne ricetrasmittenti
non necessita di concessione edilizia,
essendo sufficiente la denuncia inizio
attività (TAR Campania, Napoli, 05.06.2003,
n. 7295);
- l'installazione di un'antenna saldamente
ancorata al suolo e visibile dai luoghi
circostanti comporta alterazione del
territorio avente rilievo ambientale ed
estetico, sicché necessita del rilascio
della concessione edilizia ai sensi
dell'art. 1 L. 28.01.1977 n. 10 (Cons. St.,
Sez. VI, 10.06.2003, n. 3265; Sez. VI,
26.09.2003, n. 5502);
- l'installazione di un'antenna saldamente
ancorata al suolo e visibile dai luoghi
circostanti (nella specie un'antenna alta
circa 8 metri per stazione radio), comporta
alterazione del territorio avente rilievo
ambientale ed estetico, sicché necessita del
rilascio della concessione edilizia (Cons.
St., Sez. V, 06.04.1998, n. 415).
Ed in tali arresti giurisprudenziali ben si
vede che la consistenza degli impianti di
ricetrasmissione non può ritenersi del tutto
irrilevante al fine di stabilire se occorra
o meno un titolo abilitativo di natura
edilizia
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
antenne per telefonia mobile debbono rispettare le distanze dalle
strade.
Il Comune ha inserito la strada in
questione fra le strade comunali extraurbane e la stessa è dichiarata
“al di fuori del centro abitato”. Giustamente, quindi, il Comune afferma
l’applicabilità, nella specie, dell’art. 16 del codice della strada.
Si conferma anche l’applicabilità, nella specie, dell’art. 28 del codice
della strada, in base al quale i concessionari di ferrovie, di tranvie,
di filovie, di funivie, di teleferiche, di linee elettriche e
telefoniche, sia aeree che sotterranee, quelli di servizi di oleodotti,
di metanodotti, di distribuzione di acqua potabile o di gas, nonché
quelli di servizi di fognature e quelli dei servizi che interessano
comunque le strade, hanno l'obbligo di osservare le condizioni e le
prescrizioni imposte dall'ente proprietario per la conservazione della
strada e per la sicurezza della circolazione. Invero, la natura di
servizio pubblico della telefonia mobile impone di includere anche le
opere ad esso relative nell’ambito di applicazione della norma in
discussione, che detta i modi per attuare il bilanciamento fra
l’interesse alla sicurezza della circolazione e quello alla corretta
gestione di servizi pubblici fondamentali (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza
12.02.2008 n. 478
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Installazione
di impianti di radiocomunicazione - Strade - Fascia di
rispetto - Artt. 16-18 e 28 codice della strada -
Applicabilità.
Nei confronti dell’installazione di impianti di
radiocomunicazione trovano applicazione le norme del codice
della strada sulle distante di rispetto dalla sede stradale
(artt. 16-18 C.d.S.). Trova applicazione altresì l’art. 28
del menzionato codice, in base al quale i concessionari di
ferrovie, di tranvie, di filovie, di funivie, di
teleferiche, di linee elettriche e telefoniche, sia aeree
che sotterranee, quelli di servizi di oleodotti, di
metanodotti, di distribuzione di acqua potabile o di gas,
nonché quelli di servizi di fognature e quelli dei servizi
che interessano comunque le strade, hanno l'obbligo di
osservare le condizioni e le prescrizioni imposte dall'ente
proprietario per la conservazione della strada e per la
sicurezza della circolazione. Invero, la natura di servizio
pubblico della telefonia mobile impone di includere anche le
opere ad esso relative nell’ambito di applicazione della
norma in discussione, che detta i modi per attuare il
bilanciamento fra l’interesse alla sicurezza della
circolazione e quello alla corretta gestione di servizi
pubblici fondamentali (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.02.2008 n. 478
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Installazione
di impianti di radiocomunicazione - Silenzio assenso ex art.
87, c. 9 d.lgs. n. 259/2003 - Decorrenza - Dies a quo -
Deposito del parere preventivo dell’ARPA - Non rileva.
Il termine per la formazione del silenzio-assenso di cui
all’art. 87, c. 9 del d.lgs. n. 259/2003 decorre dalla
presentazione della domanda corredata dal progetto, e non
dalla ricezione, da parte del comune, del parere dell'Arpa,
in quanto ai sensi dell'art. 87, comma 4, del citato decreto
il deposito del parere preventivo favorevole dell'Arpa non è
prescritto per la formazione del titolo edilizio ovvero per
l'inizio dei lavori, ma solo per l'attivazione dell'impianto
(TAR Veneto, sez. II, 23.04.2007, n. 1283 TAR Lecce, sez. II,
24.08.2006 n. 4279; TAR Catania, sez. II, 23.09.2005 n.
1478; TAR Napoli, sez. I, 17.12.2004 n. 19379).
Installazione di impianti di radiocomunicazione - Art.
87 D.Lgs. n. 259/2003 - Richiesta del titolo autorizzatorio
edilizio di cui al d.P.R. n. 380/2001 - Illegittimità.
Le regole dettate dall'art. 87, d.lgs. n. 259/2003 in tema
di autorizzazione all'installazione di impianti di radio
comunicazione costituiscono principi fondamentali operanti
in materie di competenza ripartita, con la conseguenza che,
fatte salve le disposizioni a tutela dei beni ambientali e
culturali, è contraria ai suddetti principi la previsione
normativa o regolamentare di un procedimento parallelo,
volto a munire il richiedente anche del titolo
autorizzatorio edilizio di cui al d.P.R. n. 380 del 2001
(TAR Sicilia, Catania, sez. II, 19.04.2007).
Installazione di impianti di radiocomunicazione - Art.
87, c. 9, D.Lgs. n. 259/2003 - Silenzio assenso - Decorso
del termine di 90 giorni - Interruzione - Limiti.
Il decorso del termine di novanta giorni, previsto dall'art.
87 comma 9, codice delle comunicazioni elettroniche (d.l.
01.08.2003 n. 259) al fine della formazione di un titolo
abilitativo idoneo all'attività edificativa del privato, può
essere interrotto dall'amministrazione con richiesta di
integrazione documentale solo entro il limite di quindici
giorni, trascorso il quale resta preclusa
all'amministrazione qualsiasi attività interlocutoria, a
prescindere dal fatto che il mancato rispetto del termine
sia stato causato dalla necessità di procedere ad ulteriori
acquisizioni istruttorie (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez.
II, 16.04.2007, n. 323; T.A.R. Campania-Napoli, sez. VII,
05.08.2005, n. 10635) (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 11.02.2008 n. 158
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EDILIZIA
PRIVATA:
Concessione radiotelevisiva, permesso di costruire e
relativi nulla osta ambientali - Differenza - Disciplina
applicabile - Elettrosmog - Installazione impianti di
radiodiffusione sonora e televisiva privata - Art. 87 Dlgs.
n. 259/2003 Codice delle comunicazioni elettroniche - L. n.
223/1990.
In base al disposto contenuto nella legge 06.08.1990, n.
223, il rilascio della concessione per l'installazione e
l'esercizio di impianti di diffusione sonora e televisiva
privata, disciplinata dall'art. 16, equivale a dichiarazione
di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere
connesse e dà titolo per richiedere alle autorità competenti
le necessarie concessioni e autorizzazioni (art. 4, comma
primo). In particolare (ex art. 4, comma secondo) i comuni
territorialmente competenti provvedono ad acquisire od
occupare d'urgenza l'area interessata, a espropriarla, e a
rilasciare la concessione edilizia. Di conseguenza emerge,
una sostanziale differenza tra la concessione
radiotelevisiva e il permesso di costruire e i relativi
nulla osta ambientali, pertanto, il disposto normativo
richiede espressamente la necessità di due autonome e
distinte concessioni, quella radiotelevisiva e quella
urbanistica-edilizia-paesaggistica. Trattandosi
evidentemente di strumenti finalizzati alla tutela di
interessi diversi concettualmente distinti tant'è che anche
l'art. 87 del Dlgs. n. 259/2003 (codice delle comunicazioni
elettroniche), pur avendo unificato il titolo concessorio in
ossequio ad esigenze di maggiore speditezza dell'azione
amministrativa, contempla per il rilascio la necessità
dell'accordo delle varie amministrazioni interessate, tra di
esse ricomprendendo quelle preposte alla tutela del
territorio e dei vincoli ambientali (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.01.2008 n. 559
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EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog.
Installazione impianti di radiodiffusione sonora e
televisiva privata e disciplina urbanistica.
Vi è una differenza sostanziale tra la concessione per
l'installazione e l'esercizio di impianti di radiodiffusione
sonora e televisiva privata (art. 16 L. 223/1990) e la
concessione per servizio pubblico (art. 4 L. cit.) da un
lato ed il permesso di costruire ed i nulla osta ambientali
dall'altro. Si tratta evidentemente di strumenti finalizzati
alla tutela di interessi diversi concettualmente distinti
tant'è che anche l'art. 87 del D.lgs. n. 259/2003 (codice
delle comunicazioni elettroniche), pur avendo unificato il
titolo concessorio in ossequio ad esigenze di maggiore
speditezza dell'azione amministrativa, contempla per il
rilascio la necessità dell'accordo delle varie
amministrazioni interessate, tra di esse ricomprendendo
quelle preposte alla tutela del territorio e dei vincoli
ambientali (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.01.2008 n. 559
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EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Provvedimento autorizzatorio unico -
Finalità - Procedimento unitario ambientale/urbanistico.
La previsione di un unico procedimento autorizzatorio per
l'installazione delle infrastrutture di comunicazione
elettronica è finalizzata a garantire, tramite procedure
tempestive e semplificate, la parità delle condizioni
concorrenziali fra i diversi gestori nella realizzazione
delle proprie reti di comunicazione sul territorio
nazionale, nonché la osservanza di livelli uniformi di
compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche:
l’unico provvedimento autorizzatorio deve essere rilasciato
sulla base di un procedimento unitario, nel contesto del
quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di
tipo ambientale che di tipo urbanistico (cfr. Corte
Costituzionale, 28 marzo 2006, n. 129; 06.07.2006, n. 265).
Infrastrutture di comunicazione - Assimilabilità alle
normali costruzioni edilizie - Esclusione - Applicabilità
delle prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti -
Esclusione - Ragioni.
In presenza della specifica previsione di cui all’art. 86
del D.lgs. n. 259/2003, il quale assimila, ad ogni effetto,
le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle
opere di urbanizzazione primaria, ed in assenza di
specifiche previsioni, deve ritenersi che gli impianti di
telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali
costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non
sia soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie
preesistenti, le quali si riferiscono a tipologie di opere
diverse e sono state elaborate con riferimento a possibilità
di diverso utilizzo del territorio, nell’inconsapevolezza
del fenomeno della telefonia mobile e, più in generale,
dell’inquinamento elettromagnetico in generale.
Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere
negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina
conformativa, che prenda in considerazione le reti
infrastrutturali tecnologiche necessarie per il
funzionamento del servizio pubblico (in tal senso, Cons.
Stato, sez. VI, 17.10.2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I,
13.02.2002, n. 983, 20.12.2004, n. 14908).
Impianti di telefonia mobile - Pubblica utilità - Art.
90 d.lgs. n. 259/2003 - Compatibilità con ogni destinazione
urbanistica.
L’art. 90 del D.Lgs. n. 259/2003 dispone che gli impianti di
telefonia mobile e le opere accessorie occorrenti per la
loro funzionalità hanno “carattere di pubblica utilità”, con
possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte
del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le
destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola,
ecc.: cfr., in tal senso, C.G.A. ordinanza 05.07.2006, n.
543; Cons. Stato, sez. VI, 04.09.2006, n. 5096) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 09.01.2008 n. 8
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EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog.
Installazione impianto e poteri giunta comunale.
La Giunta comunale è incompetente a esprimere il dissenso
del Comune sull’installazione di un impianto radiolelettrico,
trattandosi di atto di gestione che, ai sensi dell’art. 107
del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, spetta ai dirigenti (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.01.2008 n. 32
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anno 2007 |
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EDILIZIA
PRIVATA: INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Disciplina di installazione e
mantenimento di impianti radio base per telefonia cellulare
- Fissazione di limiti "diversi" di emissione - Tutela della
salute pubblica - Competenza dell'Autorità comunale -
Esclusione.
La fissazione di limiti di emissione, ovvero,
l'individuazione di una distanza minima delle stazioni radio
base (SRB) da particolari tipologie di insediamenti
abitativi, in quanto essenzialmente preordinata a garantire
la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di
inquinamento (o, comunque, di pregiudizio) non costituisce
attribuzione che l'Amministrazione comunale possa
autonomamente esercitare, ricevendo tale considerazione
ulteriore conferma laddove le prescrizioni dettate in sede
locale si pongano in contrasto con le indicazioni rivenienti
da fonte normativa superiore; sicché l'individuazione di
limiti, parametri e/o requisiti "diversi" da quelli
rinvenibili nella normativa di derivazione statale non può,
essere considerata legittima. All'Amministrazione comunale
residua, l'esercizio di compiti di vigilanza e/o di
attuazione che, con ogni evidenza, non involgono la
titolarità di un'autonoma funzione decisoria. Appare
pertanto evidente nella fattispecie il vizio di incompetenza
nel quale è incorso il Comune di Roma nel fissare con
delibera diversi limiti, invadendo così competenze statali e
regionali.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Legge quadro n.
36/2001 (protezione della popolazione dalle esposizione a
campi elettromagnetici) - Parametri di esposizione e indici,
oltre i limiti previsti a livello nazionale - Ripartizioni
di competenze tra Stato ed Enti locali.
Ai sensi della legge quadro 22.02.2001, n. 36 (sulla
protezione della popolazione dalle esposizione a campi
elettromagnetici), che ha disciplinato in modo organico la
materia, fissandone i principi fondamentali, e che ha
indicato le ripartizioni di competenze tra Stato ed Enti
locali, ai Comuni non è consentito in alcun modo,
soprattutto in assenza delle leggi attuative regionali,
discostarsi dai criteri di valore indicati a livello
statale, per applicare criteri diversi, come sembra essere
avvenuto nella fattispecie con riguardo all’introduzione di
taluni parametri di esposizione e indici, oltre i limiti
previsti a livello nazionale. Con riguardo alla rilevata
incompetenza, va peraltro rilevato, che la Corte
Costituzionale, con sentenza 8.2.2006 n. 103, ha ribadito
che compete allo Stato la fissazione delle soglie di
esposizione e la determinazione dei limiti di esposizione,
spettando alle Regioni la disciplina dell’uso del territorio
in funzione della localizzazione degli impianti e quindi
l’indicazione dei criteri che debbono però rispettare le
esigenze della pianificazione nazionale di settore.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti di
telecomunicazioni - Localizzazione - Protezione delle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici
- Corte costituzionale - Ricostruzione delle competenze -
Legge quadro L. n. 36/2001.
La fissazione a livello nazionale dei valori soglia, non
derogabili da parte delle Regioni nemmeno in senso più
restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le
esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle
emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti
necessari al paese, nella logica per cui le competenze delle
Regioni in materia di trasporto dell’energia e di
ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente,
vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi
dello Stato e che tutt’altro discorso deve farsi circa le
discipline localizzative e territoriali, essendo a tal
proposito logico “che riprenda pieno vigore l’autonoma
capacità delle regioni e degli Enti locali di regolare l’uso
del proprio territorio, purché, ovviamente, criteri
localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze
della pianificazione nazionale degli impianti e non siano,
nel merito, tali da impedire od ostacolare
ingiustificatamente l’insediamento degli stessi (Corte
costituzionale 07.10.2003, n. 307 e, in senso conforme, la
successiva sentenza 07.11. 2003, n. 331).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Criteri di fissazione
dei limiti di esposizione - Tutela dell’ambiente Strumenti
di natura edilizia-urbanistica - Compatibilità e limiti.
La fissazione di limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato
(con il D.M. 381/1998) non rientra nell’ambito delle
competenze attribuite ai comuni dal citato art. 8; ma alla
stregua della disposizione in esame nemmeno è consentito che
il Comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di
natura edilizia-urbanistica, adotti misure che nella
sostanza costituiscono una deroga ai predetti limiti di
esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il
generalizzato divieto di installazione delle stazioni-radio
base per la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero
introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc…) non siano funzionali al governo
del territorio, quanto piuttosto alla tutela dai rischi
dell’elettromagnetismo (C.d.S. Sez. VI, sentenze 26.07.2005,
n. 4000, 10.02.2003 n. 673 e 30.05.2003, n. 2997). Inoltre,
l’attinenza della materia anche alla tutela dell’ambiente e
comunque il valore di principio fondamentale della
disciplina inerente ai criteri di fissazione dei limiti di
esposizione costituiscono elementi in base a cui ritenere la
compatibilità di una uniforme fissazione dei predetti limiti
sull’intero territorio nazionale anche alla luce del mutato
quadro costituzionale di riferimento, potendo comunque le
competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali
essere esercitate nel rispetto dei limiti di esposizione
fissati a livello centrale (C.d.S. Sez. VI, 03.06.2002,
sentenza n. 3098).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Tutela della salute -
Competenza dello Stato - Insediamento degli impianti di
telecomunicazione - Criteri per l’installazione - C.d. uso
del territorio - Principi e discipline applicabili.
La determinazione di profili di tutela della salute spetta
allo Stato, non alle Regioni, tanto meno ai Comuni, i quali
ultimi, nel regolare l’uso del proprio territorio, devono
comunque rispettare le esigenze della pianificazione
nazionale e non adottare le misure che siano tali da
ostacolare in modo ingiustificato o impedire l’insediamento
degli impianti di telecomunicazione. Nella specie, è stata
rigettata la tesi del Comune appellante secondo cui
l’installazione delle infrastrutture di telefonia mobile
potrebbe essere tollerata solo nelle aree del territorio
comunale scelte dall’Amministrazione, con conseguente
divieto di installazione in tutte le altre zone. Siffatta
tesi si pone, altresì, in contrasto anche con il
sopravvenuto D.Lgs. 01.08.2003, n. 259, che all’art. 86,
comma 3, ha equiparato le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria
(disposizione questa da cui si desume che, in linea
generale, la collocazione di tali infrastrutture è
consentita su tutto il territorio comunale) e con l’art. 87
che, in attuazione dei criteri di delega contenuti nell’art.
41 della legge n. 166 del 2002 e delle direttive comunitarie
da recepire, ha previsto uno speciale procedimento
autorizzatorio, che è informato ai principi di non
discriminazione, di trasparenza, di riduzione dei termini e
di uniformità di regolazione (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.11.2007 n. 5673
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EDILIZIA
PRIVATA:
Inquinamento elettromagnetico – Impianti
radioelettrici – Potestà regolamentare comunale – Art. 8, c.
6, L. n. 36/2001 – Minimizzazione dell’esposizione ai campi
elettromagnetici - Individuazione di siti sensibili –
Legittimità.
La potestà assegnata al Comune dall’art. 8, comma sesto,
della legge 22.06.2001, n. 36, di regolamentare “il
corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti e di minimizzare l’esposizione della popolazione ai
campi radioelettrici” può tradursi nell’introduzione,
sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o
storico/artistico ovvero, per ciò che riguarda la
minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici,
nell’individuazione di siti che per destinazione d’uso e
qualità degli utenti possano essere considerati sensibili
alle immissioni radioelettriche (cfr. tra le altre, la
decisione della Sezione 05.06.2006, n. 3332).
Inquinamento elettromagnetico – Stazioni radio base –
Norma regolamentare comunale – Divieto di installazione a
meno di 50 metri da asili nido e scuole materne – Computo
della distanza in presenza di pertinenze.
In materia di inquinamento elettromagnetico, il riferimento
al perimetro esterno di asili nido e scuole materne,
contenuto nella norma regolamentare comunale che vieta
l’installazione di stazioni radio base a meno di cinquanta
metri dai predetti edifici, va rapportato, logicamente,
anche a quegli spazi, immediatamente contigui ai detti
edifici, in cui viene pure normalmente svolta l’attività
propria di detti istituti che, altrimenti, verrebbe svuotata
di ogni efficacia di tutela di situazioni particolarmente
sensibili propria della norma in esame, volta ad escludere
che i campi elettromagnetici sprigionati dalle
apparecchiature di cui si tratta possano investire in modo
costante i giovanissimi che svolgano all’aperto la normale
attività ludica, trattandosi di soggetti maggiormente
esposti in quanto neppure protetti dalle strutture murarie
(nella specie, era contestata l’applicabilità della norma
con riferimento alle pertinenze dell’edificio destinato ad
asilo nido) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.03.2007 n. 1017
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EDILIZIA
PRIVATA: INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Regolamenti comunali - Criteri di
localizzazione non preclusivi dell’installazione -
Legittimità.
Non si pongono in contrasto con l’art. 8 della L. n. 36/2001
le norme regolamentari comunali che introducano vincoli
all’installazione di stazioni radio base secondo un criterio
di localizzazione non preclusivo dell’installazione stessa,
segnatamente ove i vincoli, che non abbiano natura
indeterminata e assolutamente discrezionale, non siano tali
da pregiudicare l’interesse protetto dalla legislazione
nazionale alla realizzazione di reti di telecomunicazione
(nella specie, il regolamento comunale non consentiva
l’installazione di apparati su edifici scolastici, sanitari,
assistenziali, sportivi, vincolati ai sensi della normativa
vigente, classificati di interesse storico architettonico,
monumentale, di pregio storico, culturale e testimoniale o
nel perimetro di 100 metri dagli stessi) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 16.02.2007 n. 303
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EDILIZIA
PRIVATA:
Installazione di una stazione radio base - Istanza di
rilascio del permesso di costruire - Formazione del silenzio
assenso ex art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003 - Esclusione.
Una volta inoltrata, in vigenza dell’art. 87 del D. Lgs. n.
259/2003, la domanda di rilascio del permesso di costruire
per l’installazione di una stazione radio base, il
richiedente non può più avvalersi dell’istituto del silenzio
assenso ex art. 87 citato.
Se è vero che l’Amministrazione ha l’obbligo di attenersi ai
principi di cui all’art. 97 della Cost. nell’espletamento
della propria attività amministrativa, in modo conforme deve
agire anche la parte privata, evitando, cioè, di chiedere un
determinato provvedimento con l’intento di avvalersi, in
caso di negato rilascio, di un altro e ben diverso
provvedimento.
Nel caso specifico, quindi, proprio perché era stato
espressamente chiesto il permesso di costruire,
l’Amministrazione non aveva alcun obbligo di intendere
diversamente la domanda.
Regione Marche - L.R. n. 124/2001 - Comuni - Potere di
individuare i siti idonei alla localizzazione degli impianti
di telefonia mobile - Sussistenza - Preventivo invito ai
gestori a presentare osservazioni - Legittimità del
regolamento comunale.
E’ legittimamente adottato un regolamento comunale per
l’installazione delle infrastrutture di comunicazione
elettronica, posto che, ai sensi della Legge regionale
Marche n. 124/2001, ai Comuni è demandata la possibilità di
individuare sul proprio territorio i siti più idonei per la
localizzazione di nuovi impianti di telefonia mobile; tanto
a maggior ragione se (come nella specie) l’individuazione è
preceduta dall’espresso invito ai gestori delle reti a
comunicare le proprie osservazioni in seno alla procedura di
variante al P.R.G. adottata (TAR Marche, Sez. I,
sentenza 31.01.2007 n. 28
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anno 2006 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Clausola
di precarietà non applicabile al titolo per l’autorizzazione
di antenne.
L’apposizione di una
clausola di precarietà in sede di rilascio di una
concessione edilizia (clausola peraltro mai richiesta dalla
ricorrente) è idonea a costituire motivo di annullamento di
una concessione edilizia, solo nel caso in cui sia
dimostrato che in assenza di tale clausola l’intervento non
era assentibile.
In tutti gli altri casi, l’illegittimità della clausola può
condurre al massimo alla eliminazione della stessa, ma non
dell’intero provvedimento, rispetto al quale la clausola non
costituiva elemento essenziale.
Questa, in sintesi, la decisione del
Consiglio di Stato con riguardo ad un
appello promosso contro la sentenza del TAR
Veneto (ivi riformata) con la quale si era
disposto l’annullamento di un provvedimento
autorizzatorio di installazione di
un’antenna, rilasciato con la clausola c.d.
“di precarietà” dell’impianto.
Mi permetto di ricordare che, in materia
edilizia, la precarietà
-sommariamente– può qualificarsi quale
presupposto ex facto necessario ed
indefettibile per il rilascio di titoli
concessori, ove:
1- si tratti di interventi aventi ad oggetto
opere la cui esistenza è temporanea, e al
termine del periodo di assenso della quale
l’autorizzazione potrà –al massimo– essere
rinnovata, previa apposita verifica della
sussistenza delle ragioni che l’hanno
legittimata ab origine (requisito
della soddisfazione esigenze temporanee: in
tal senso, TAR Piemonte, sezione I, sentenza
10.05.2006, n. 2073);
e, contestualmente,
2- trattandosi di manufatti la cui esistenza
deve (almeno in astratto) essere temporanea,
aggiungerei la necessità che essi abbiano il
carattere della “non difficile rimozione”
–attributo (di giuridica rilevanza)
ricorrente laddove l’opera qualificata tale
possa essere rimossa (e, parallelamente, lo
status quo ante ripristinato) senza
incorrere in modificazioni od operazioni che
incidano sullo stato dei luoghi, altrimenti
vertendosi in caso di opere stabili– e,
pertanto, abbiano una composizione e una
struttura tali da consentire un’azione di
rimozione incapace di interagire e
compromettere le condizioni dell’area.
La precarietà è, dunque, deroga allo
strumento urbanistico e alle sue previsioni
non sotto il profilo sostanziale (giacché la
precarietà non consente di superare le
destinazioni di zona, come evidenziato in
sentenza) bensì sotto quello di efficacia (rectius)
del titolo in ragione delle caratteristiche
intrinseche dell’opera che l’avente diritto
intende porre in essere.
Ebbene, la fattispecie giudicata sottende un
principio (logico, ancor prima che
giuridico) chiaramente espresso dal Supremo
Collegio: premesso che l’installazione di un
antenna non consente, ictu oculi, di
cimentarsi in forzature al punto tale da
ritenere un tale impianto quale avente
carattere “precario” (tecnicamente,
rammento che tali strutture necessitano di
un profondo basamento in cemento all’interno
del quale viene saldamente ancorata la
struttura in metallo e sul quale viene posto
il box di alimentazione del dispositivo
tecnologico), il titolo con il quale si è
autorizzata l’installazione deve essere
annullato solo laddove, rimossa la clausola
di “precarietà” –con la quale viene
(mi si consenta, spregiudicatamente)
qualificata una struttura la cui
installazione sul fondo precaria non è in
alcun modo– il titolo medesimo non avrebbe
alcun fondamento di legittimazione in
considerazione del fatto che le previsioni
urbanistiche dell’area non ne avrebbero
consentito in nessun caso il rilascio (pena,
l’insanabile contrasto con le previsioni di
zona).
Dunque, se un’antenna viene innalzata in
un’area nella quale la destinazione
urbanistica prevista dagli strumenti
urbanistici ed edilizi non consentono –urbanisticamente
parlando– tale tipo di intervento, la
clausola di precarietà non è certo capace di
sanare la sostanziale illegittimità
dell’intervento.
Se, viceversa, l’antenna viene installata su
un’area che consente la realizzazione di un
tale particolare manufatto, allora la
clausola di precarietà – pur restando
illegittima – non compromette la legittimità
(per così dire, complessiva) dell’opera, la
quale resta validamente legata e fondata
sulle previsioni degli strumenti di governo
del territorio.
Tuttavia, quanto detto pone a chiare lettere
le basi per poter affermare che la clausola
di precarietà non si applica alle antenne e
che tale applicazione è illegittima.
Questo –come accennato– non significa che,
ove applicata, essa determini
l’illegittimità del titolo e, dunque,
dell’installazione, ma che essa determina,
altresì, l’illegittimità del titolo
autorizzatorio ove dovesse costituire
l’unico fondamento legittimante
l’installazione altrimenti non consentita “nel
regime urbanistico-edilizio ordinario”.
Un’ultima osservazione mi preme su un punto
di diritto: ancor prima di ragionamenti
intorno al diritto urbanistico, la massima
appare conseguenza “speciale” (nel
senso, cioè, “di settore”)
dell’applicazione al caso del principio
giurisprudenziale secondo cui un atto che
sia affetto da illegittimità con riguardo ad
uno solo fra i suoi presupposti, non può
essere annullato se resta “in piedi”
la legittimità di anche uno solo dei suoi
presupposti, laddove il motivo censurato
(ovvero i motivi censurati) non faccia venir
meno il presupposto minimo essenziale per la
legittimità del rilascio del provvedimento (ex
multis, sul punto, si veda TAR Puglia,
sentenza 24.05.2005 n. 2913)
(Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza
04.09.2006 n. 5096
- link a www.altalex.com). |
anno 2005 |
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EDILIZIA PRIVATA:
S. Zarini, Installazione di impianti
telefonici. Rilevanza delle violazioni
urbanistiche e codice delle
telecomunicazioni (relazione
17.06.2005 - link a
www.castiglioneolona.it). |
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