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71-LOTTO INTERCLUSO
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78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
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80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
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93-PUBBLICO IMPIEGO
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dossier CANCELLO, BARRIERA, INFERRIATA, RINGHIERA in ferro - SBARRA/STANGA - NEW JERSEY
anno 2023

EDILIZIA PRIVATA: La sostituzione di una sbarra manuale, posta a confine della lottizzazione, con una nuova sbarra di tipo meccanico azionata tramite delle fotocellule e che si alza e si abbassa automaticamente all’avvicinarsi di un pedone o automezzo, per tipologia -sbarra metallica, infissa al suolo- non necessita di alcun titolo abilitativo, essendo riconducibile all’attività di manutenzione ordinaria, nonché esplicazione del diritto di recinzione della proprietà privata.
---------------

Ricorso al Presidente della Repubblica proposto dal Co.St.Co.Ba., in persona del legale rappresentante pro tempore, contro il Comune di Stintino per l’annullamento:
   - della determinazione del Responsabile del Servizio Tecnico n. 37/2011 del 27.09.2011, notificata nella stessa data, di diniego dell’autorizzazione edilizia di accertamento di conformità per l’installazione di una barriera elettromeccanica a braccio per passo carrabile, nonché di tutti i provvedimenti presupposti, connessi e conseguenti.
...
4. Il ricorso è fondato e merita di essere accolto per le seguenti ragioni.
5. Oggetto del presente giudizio è la sostituzione, avvenuta nel 2009, di una sbarra manuale, posta a confine della lottizzazione Punta Su Torrione realizzata in Stintino, località Ridundadu, con una nuova sbarra di tipo meccanico azionata tramite delle fotocellule e che si alza e si abbassa automaticamente all’avvicinarsi di un pedone o automezzo.
Dalla documentazione in atti, non contestata da parte resistente, emerge che si tratta di un modello di sbarra che funziona con un rilevatore di prossimità, consentendo a chiunque la possibilità di accedere all’area, come previsto dall’articolo 12 della Convenzione di lottizzazione che grava tutte le strade, parcheggi e passaggi pedonali del villaggio, con una servitù perpetua di uso pubblico per il libero utilizzo della fascia costiera.
5.1. Dalla documentazione depositata da parte ricorrente si evince, inoltre, che l'intervento ha avuto il parere favorevole della Commissione paesaggio e della Commissione edilizia (verbale n. 205 del 14.12.2009), che il Comune di Stintino, con provvedimento n. 273 del 14.01.2010, ha dato parere favorevole al mantenimento delle opere, che la Soprintendenza, con nota prot. n. 5255 del 20.04.2010, ha espresso parere favorevole alla compatibilità paesaggistica e che la Regione Sardegna, con provvedimento prot. n. 153 del 2010, ha ritenuto assentito la compatibilità paesaggistica, irrogando una sanzione pecuniaria.
5.2. Ritiene il Collegio che l’intervento edilizio in questione, per tipologia -sbarra metallica, infissa al suolo- non necessiti di alcun titolo abilitativo, essendo riconducibile all’attività di manutenzione ordinaria, nonché esplicazione del diritto di recinzione della proprietà privata (Consiglio di Stato, VI, n. 436 del 2018; Consiglio Stato, VI, n. 5513 del 2013).
5.3. Peraltro, nel provvedimento gravato non viene citata nessuna normativa ostativa alla modifica di un dispositivo già installato, modifica che non inibisce il libero accesso di terzi al mare e agli spazi di uso pubblico del villaggio. Infatti la sbarra, come modificata, alzandosi all’arrivo di chiunque è conforme all’articolo 12 della Convenzione operando un contemperamento tra l’interesse pubblico dell’accesso al mare e l’interesse privato della tutela della proprietà.
6. Alla luce delle predette considerazioni, la Sezione esprime parere che il ricorso sia accolto e, per l’effetto, sia annullata la determinazione del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Stintino n. 37 del 27.09.2011 (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 07.11.2023 n. 1420 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi di edilizia libera – Regime giuridico delle barriere new jersey (blocchi ostruttivi l’accesso nelle strade) – Giurisprudenza – Art. 6, lett. e-bis, D.P.R. n. 380/2001.
L’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies), D.P.R. n. 380 del 2001, qualifica come interventi di edilizia libera “le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”, pertanto, non rientrano le barriere denominate new jersey.
Dette barriere, essendo attrezzature di sicurezza modulare realizzate, come nella specie, in cemento armato, sono impiegate per ostruire od incanalare il flusso stradale, o per circoscrivere momentaneamente un’area di cantiere oppure utilizzate anche in situazioni di emergenza, e non certamente quali elementi di arredo.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che possono qualificarsi come “elementi di arredo”, con riferimento in particolare ai manufatti accessori di limitate dimensioni e non stabilmente infissi al suolo, anche le installazioni esterne fisse, in muratura o prefabbricate (quali fioriere, fontane ornamentali, forni esterni in muratura o prefabbricati, gazebo), ma non quelle –come le barriere new jersey di cui si discute– non qualificabili come elementi di arredo urbano, ma come semplici blocchi ostruttivi dell’accesso della strada, per di più destinate a permanere su quell’area sine die.
Infatti, dette installazioni, non rispondono al requisito, richiesto per la sottrazione al regime di controllo edilizio, di precarietà strutturale e funzionale, così da trasformarsi, di fatto, in beni immobili necessitanti di permesso di costruire.
In conclusione dette opere sono realizzabili in regime di edilizia libera, senza necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire, solo quando sono funzionali a soddisfare esigenze contingenti e temporanee e destinate ad essere immediatamente rimosse entro un termine non superiore ai centottanta giorni
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.10.2023 n. 42243 - link a www.ambientediritto.it).
---------------
SENTENZA
5. Tanto premesso, venendo all’analisi delle singole questioni proposte dai ricorrenti, muovendo dal primo motivo, privo di pregio è l’assunto difensivo secondo il quale i tre manufatti contestati sarebbero sussumibili nell’ambito di applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies), D.P.R. n. 380 del 2001, il quale qualifica come interventi di edilizia libera “le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”.
Orbene, quand’anche si ritenesse di trovarsi in presenza di un’area pertinenziale, come ritenuto dalla difesa, discutibile sarebbe la sussunzione delle barriere in questione, denominate new jersey, tra gli elementi di arredo. Invero, dette barriere, essendo attrezzature di sicurezza modulare realizzate, come nella specie, in cemento armato, sono impiegate per ostruire od incanalare il flusso stradale, o per circoscrivere momentaneamente un’area di cantiere oppure utilizzate anche in situazioni di emergenza, e non certamente quali elementi di arredo.
La difesa, a tal proposito, ha ritenuto che le opere contestate trovino espressa collocazione nella Tabella A, allegata al D.Lgs. n. 222 del 2016, alla voce 11.29 “Edilizia libera” ed ulteriore specificazione nel Glossario dell’edilizia libera, approvato con D.M. del 02.03.2018, che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 25.11.2016, n. 222, contiene un elenco non esaustivo delle principali opere eseguibili in detto regime.
In particolare, in corrispondenza della categoria di interventi individuati all’art. 6, lett. e-quinquies), D.Lgs. n. 380 del 2001, le voci richiamate dai ricorrenti sono la n. 48 “Ripostiglio per attrezzi, manufatto accessorio di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo” e la n. 49 “Sbarra, separatore, dissuasore e simili, stallo biciclette”.
Tuttavia, appare chiaro che le barriere new jersey, impiegate nel caso di specie, non rientrano in nessuna delle voci indicate, difettando il presupposto normativo che avrebbe giustificato la loro sussunzione nella categoria degli interventi di edilizia libera ex art. 6, lett. e-quinquies), D.Lgs. n. 380 del 2001, ossia la loro qualificazione di “elementi di arredo”.
5.1. Del resto, i manufatti contestati, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non sono assimilabili alle fioriere, in quanto non dotate di vasi. Al contrario, essi sono esclusivamente finalizzati ad ostruire l’accesso alla strada.
Invero, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che possono qualificarsi come “elementi di arredo”, con riferimento in particolare ai manufatti accessori di limitate dimensioni e non stabilmente infissi al suolo (voce 48), anche le installazioni esterne fisse, in muratura o prefabbricate (quali fioriere, fontane ornamentali, forni esterni in muratura o prefabbricati, gazebo), ma non quelle –come le barriere new jersey di cui si discute– non qualificabili come elementi di arredo urbano, ma come semplici blocchi ostruttivi dell’accesso della strada, perdi più destinate a permanere su quell’area sine die, come del resto dimostra la presentazione della CILA in sanatoria.
Infatti, dette installazioni, non rispondono al requisito, richiesto per la sottrazione al regime di controllo edilizio, di precarietà strutturale e funzionale, così da trasformarsi, di fatto, in beni immobili necessitanti di permesso di costruire (TAR Napoli, Campania, sez. VIII, 15.02.2018, n. 1041).
5.2. Peraltro, occorre chiarire che il D.M. Ministero Infrastrutture 02.03.2018, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 07.04.2018, riporta il «glossario» relativo alle opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera «in fase di prima attuazione dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 25.11.2016, n. 222», il quale aveva previsto la formazione di un «glossario unico, che contiene l’elenco delle principali opere edilizie, con l’individuazione della categoria di intervento a cui le stesse appartengono e del conseguente regime giuridico a cui sono sottoposte».
In particolare, per quanto di specifico interesse in questa sede, il «glossario» prevede sì le voci «manufatto accessorio di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo» e «sbarra, separatore, dissuasore e simili» come opere edilizie realizzabili in regime di attività di edilizia libera, ma in riferimento alla categoria di intervento di cui alla lett. e-bis) dell’art. 6 D.P.R. n. 380 del 2001, la quale, ha riguardo alle «opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale».
Sembra quindi corretto concludere che dette opere sono realizzabili in regime di edilizia libera, senza necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire, solo quando sono funzionali a soddisfare esigenze contingenti e temporanee e destinate ad essere immediatamente rimosse entro un termine non superiore ai centottanta giorni.
5.3. Tanto premesso, proprio il richiamo da parte dei ricorrenti all’art. 6, comma 1, lett. e-bis), D.P.R. n. 380 del 2001, porta a ritenere destituito di fondamento l’argomento difensivo teso ad affermare il carattere precario e temporaneo delle installazioni contestate, le quali sarebbero state preordinate a soddisfare un’esigenza contingente.
Orbene, l’assoluta impossibilità di sussumere l’intervento edilizio in questione nella c.d. attività edilizia libera ex art. 6, lett. e-bis, D.P.R. n. 380 del 2001, è stata correttamente rilevata da parte dei giudici di appello che hanno, infatti, richiamato la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dall’utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l’agevole amovibilità deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso (Sez. 3, n. 38473 del 31/05/2019, Rv. 277837 – 01).
Tali principi, pienamente condivisi dal Collegio, sono stati correttamente applicati nella sentenza impugnata. Invero, la Corte territoriale ha riscontrato l’assenza delle condizioni richieste dalla giurisprudenza di legittimità ai fini dell’applicazione dell’istituto in commento, rilevando al contrario, che le installazioni contestate avevano connotati di stabilità e non certo di temporaneità o di transitorietà, in considerazione delle caratteristiche tipologiche e funzionali.
Infatti, è pacifico che le opere de quibus insistettero sul posto per oltre cinque anni, né, allo stato, risultano rimosse. Ancora, ha escluso la possibilità di ravvisare alla base dell’intervento effettuato alcuna esigenza contingente, atteso che i manufatti contestati sono stati realizzati al fine di ostruire l’accesso alla Via Giuseppe Conversi; “accesso che, ad onta delle allegate modeste dimensioni dei manufatti stessi, fu sistematicamente interdetto su uno degli accessi alla strada in questione, comunque di incontestato utilizzo pubblico, in forza della collocazione, duratura ed ininterrotta nel tempo, di tre barriere in cemento armato con le modalità oggettivamente evincibili dalle riproduzioni fotografiche rifuse in atti” (pagg. 19 e 20 sentenza di appello).
Infine, ulteriore conferma della correttezza dell’assunto accusatorio si rinviene nella circostanza che, in data 20.07.2021, è stata presentata una CILA in sanatoria, cui è seguito il provvedimento del Comune di inefficacia della stessa, essendo stata richiesta, invece, la presentazione di una richiesta di permesso di costruire in sanatoria.
5.4. Appare chiaro, pertanto, che non si tratta di opere installabili in regime di attività edilizia libera, ma necessitanti, proprio per la loro tendenziale stabilità e finalizzazione al soddisfacimento di esigenze di carattere non temporaneo ma definitivo, di un permesso di costruire, in quanto stabilmente destinate ad alterare l’assetto urbanistico dell’area in questione.
A fronte di tali coerenti ed inequivocabili considerazioni, il ricorrente ribadisce le medesime censure formulate con l’atto di appello ed efficacemente confutate dai giudici di seconde cure, riproponendo la inverosimile giustificazione della temporanea destinazione dell’opera abusivamente realizzata attraverso una personale lettura delle emergenze processuali, non proponibile in questa sede di legittimità ed una ancor più personale interpretazione della richiamata giurisprudenza.

anno 2022

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza ha ritenuto che “La realizzazione di una recinzione a protezione di dimensioni limitate già prima dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001 era considerata quale opera di manifestazione dello ius excludendi alios, insito nel diritto di proprietà e comunque quale opera minore di carattere pertinenziale, soggetta non a concessione edilizia (ora permesso di costruire), bensì ad autorizzazione e, in assenza di quest'ultima, a sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 10 della L. 28.02.1985, n. 47”.
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L’installazione di una sbarra metallica, infissa al suolo, di modesta lunghezza, per la sua tipologia e per l'irrilevanza dell'impatto non necessita di permesso di costruire, essendo riconducibile all'attività di manutenzione ordinaria ed esplicazione del diritto di lecita recinzione della proprietà privata.
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Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza di sospensiva, proposto, con presentazione diretta, ex art. 11 d.P.R. n. 1199/1971, da Comunione Villaggio delle Mimose, contro il Comune di Sinnai, avverso l’ordinanza 3/2018 di demolizione di opere realizzate in assenza di idoneo titolo edilizio;
...
Premesso:
   1. - Con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica la Comunione Villaggio delle Mimose ha chiesto l'annullamento, previa sospensiva, dell'ordinanza n. 3/2018 del 10/05/2018 di demolizione della sbarra apposta all’inizio della Comunione, in quanto realizzata in assenza di titolo edilizio, emessa dal Responsabile del Settore Edilizia Privata e SUAP del Comune di Sinnai unitamente alla nota prot. n. 4742 del 20/08/2018.
Il ricorso è stato notificato a mezzo servizio postale il 07.09.2018 (data di spedizione) ed è stato ricevuto dal Comune di Sinnai il 10.09.2018; è stato depositato direttamente presso il Consiglio di Stato il 24.10.2018.
   1.1 – La ricorrente ha esposto che, con deliberazione del Consiglio Comunale di Sinnai n. 6 in data 13/03/1964, è stato approvato il piano di lottizzazione denominato "Villaggio delle Mimose", avente ad oggetto la realizzazione di residenze con giardino, suddivise in sessanta lotti. Il 02/04/1964 sono state rilasciate le autorizzazioni edilizie e, con deliberazione del Consiglio comunale n. 53 del 06/10/1964, è stato approvato un progetto di ampliamento.
È stata quindi costituita la Comunione "Villaggio delle Mimose".
La ricorrente ha precisato che, sin dall'avvio dei lavori, il libero ingresso era stato interdetto mediante una catena metallica chiusa con lucchetto; tale catena è stata sostituita nel 1981 da una sbarra, successivamente automatizzata nel 1991.
   1.2 - In data 10/05/2018, il Responsabile del Settore Edilizia Privata e SUAP del Comune di Sinnai ha emesso l'impugnata ordinanza di demolizione della sbarra apposta all'ingresso della Comunione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 6 e 14 L.R. n. 23/1985.
   1.3 - La Comunione ha impugnato tale provvedimento articolando plurime doglianze proponendo anche l’istanza cautelare, poi respinta da questa Sezione nell'adunanza del 20.02.2019.
   1.4 - Con parere interlocutorio n. 1905/2019 sono stati disposti incombenti istruttori.
   1.5 - Il Ministero ha acquisito la relazione redatta dal Comune di Sinnai nella quale sono state formulate le controdeduzioni al ricorso.
In particolare, in tale relazione è stata sollevata l’eccezione di improcedibilità del ricorso, tenuto conto dell’avvenuta rimozione della sbarra (cfr. nota del Presidente della Comunione in data 02.10.2018); il Comune ha quindi sostenuto l’infondatezza dell’impugnativa.
   2. - Il Ministero delle Infrastrutture ha condiviso il parere del Comune di Sinnai ed ha concluso per la declaratoria di improcedibilità del ricorso o per la sua infondatezza.
Considerato:
   3. - Preliminarmente va respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso, in quanto la rimozione della sbarra è stata disposta in esecuzione del provvedimento impugnato, la cui efficacia non è stata mai sospesa.
Peraltro, nelle proprie osservazioni in data 14/10/2021, la ricorrente ha precisato di avere ancora interesse al ricorso, ben potendo provvedere alla nuova installazione della sbarra in caso di esito positivo dell’impugnazione; ha inoltre sottolineato di aver interesse alla pronuncia anche ai fini risarcitori.
4. - Con il primo motivo l’appellante ha lamentato l’illegittimità del provvedimento di demolizione sostenendo che l’intervento in questione non avrebbe richiesto alcun titolo abilitativo, rientrando nel novero della c.d. edilizia libera.
Non sarebbe stata necessaria neppure la SCIA; in ogni caso la mancanza di SCIA avrebbe comportato l’applicazione della sola sanzione pecuniaria.
Il provvedimento di demolizione, fondato sugli artt. 6 e 14 della L.R. n. 23/1985 sarebbe dunque illegittimo.
5. - Con il secondo motivo ha contestato gli ulteriori presupposti sui quali si fonda il provvedimento impugnato, sostenendo che erroneamente il Comune avrebbe fondato l’ordine di rimozione ritenendo che sarebbe stata collocata sulla strada vicinale “Figu Niedda” laddove, invece, tale strada sarebbe stata inglobata nella lottizzazione.
A questo proposito ha poi aggiunto che l’esercizio del potere di autotutela possessoria sarebbe spettato al Sindaco e non al dirigente comunale che aveva adottato l’atto.
6. - Il ricorso è fondato.
Il provvedimento impugnato è stato adottato dal dirigente del settore edilizia privata e SUAP del Comune di Sinnai per violazione della normativa recata dalla L.R. n. 23/1985 che disciplina le “Sanzioni per interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”; il posizionamento della sbarra non è un intervento soggetto al rilascio del permesso di costruire sicché non può essere ordinata la sua demolizione.
6.1 - La giurisprudenza ha ritenuto che “La realizzazione di una recinzione a protezione di dimensioni limitate già prima dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001 era considerata quale opera di manifestazione dello ius excludendi alios, insito nel diritto di proprietà e comunque quale opera minore di carattere pertinenziale, soggetta non a concessione edilizia (ora permesso di costruire), bensì ad autorizzazione e, in assenza di quest'ultima, a sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 10 della L. 28.02.1985, n. 47” (Cons. Stato Sez. II, 20/03/2020, n. 1997).
L’installazione di una sbarra metallica, infissa al suolo, di modesta lunghezza, per la sua tipologia e per l'irrilevanza dell'impatto non necessita di permesso di costruire, essendo riconducibile all'attività di manutenzione ordinaria ed esplicazione del diritto di lecita recinzione della proprietà privata (cfr. TAR Lombardia Milano Sez. II, 16/07/2020, n. 1330; in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 07.08.2015, n. 3898 e TAR Umbria, Sez. I, 02.02.2017, n. 120; in tal senso, seppure obiter dictum, Cons. Stato, Sez. VI, 23.01.2018, n. 436).
Ne consegue che il primo motivo deve essere accolto.
6.2 - Altrettanto fondato si appalesa il secondo motivo, atteso che l’ordinanza di demolizione si fonda sulla asserita violazione della normativa edilizia; il riferimento all’impossibilità di accedere liberamente al villaggio da parte delle forze dell’ordine, non può giustificare un provvedimento di rimozione fondato sulla violazione della disciplina edilizia (artt. 6 e 14 della L.R. Sardegna n. 23/1985) del tutto estranea alla dedotta problematica relativa all’accesso degli organi di polizia e dei mezzi di soccorso.
Peraltro, la ricorrente ha chiarito che non vi è stata alcuna chiusura della preesistente strada vicinale, il che implica la possibilità per la Comunione di delimitare l’accesso al villaggio, di proprietà privata.
In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e va dunque accolto (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 30.06.2022 n. 1111 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sulla vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge.
Il
permesso di costruire conseguito dalla ricorrente si appalesa ultroneo rispetto alla natura minimale dell’intervento, atteso che “l'apposizione di un cancello, funzionale alla delimitazione della proprietà, si inquadra tra gli interventi di finitura di spazi esterni, per cui rientra fra le ipotesi di edilizia libera, con la conseguenza che non risulta suscettibile di incidere su valori paesaggistici protetti, salva l'esistenza di specifiche prescrizioni particolarmente restrittive, nella specie non evocata”.
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Il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt.
1175, 1337, 1366 e 1375 c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell'ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, sia da un punto di vista sostanziale che anche sul piano della loro tutela processuale.

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2.5. Non fondato è anche il mezzo formulato con l’atto recante motivi aggiunti, e relativo alla pretesa illegittimità del titolo giusta la carenza della autorizzazione sismica contemplata all’art. 94 del DPR 380/2001.
2.5.1. All’uopo, è sufficiente quivi il rilevare che:
   - l’art. 94-bis, comma 1, lett. c), DPR 380/2001, definisce nei termini di “privi di rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità, le opere che “per loro caratteristiche intrinseche e per destinazione d'uso, non costituiscono pericolo per la pubblica incolumità”;
   - al comma 4 della ridetta norma, di poi, è testualmente dato leggere che “fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, e in deroga a quanto previsto all'articolo 94, comma 1, le disposizioni di cui al comma 3 non si applicano per lavori relativi ad interventi di "minore rilevanza" o "privi di rilevanza" di cui al comma 1, lettera b) o lettera c)”.
2.5.2. In claris non fit interpretatio.
Le caratteristiche per vero minimali degli interventi che ne occupano –cancello e cancelletto pedonale, posa in opera di recinzione in ferro su muretti esistenti- sono agevolmente sussumibili nel paradigma normativo di cui all’art. 94-bis, comma 1, lett. c), in quanto tali non costituenti pericolo per la pubblica incolumità e, indi, non necessitanti della autorizzazione sismica generalmente prescritta.
2.5.3. D’altra, sia detto per incidens, lo stesso permesso di costruire conseguito dalla ricorrente si appalesa ultroneo rispetto alla natura minimale dell’intervento, atteso che “l'apposizione di un cancello, funzionale alla delimitazione della proprietà, si inquadra tra gli interventi di finitura di spazi esterni, per cui rientra fra le ipotesi di edilizia libera (Cons. Stato Sez. VI Sent., 02/01/2020, n. 34), con la conseguenza che non risulta suscettibile di incidere su valori paesaggistici protetti, salva l'esistenza di specifiche prescrizioni particolarmente restrittive, nella specie non evocata (Cons. Stato, Sez.VI, 20/11/2013, n. 5513)” (CdS, VI, 13.05.2020, n. 3036).
2.6. Ne discende la infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti che, in ogni caso, non sarebbero sfuggiti ad un giudizio di inammissibilità, sotto un duplice profilo, id est:
   - per carenza di interesse, giusta l’insegnamento reso dalla Adunanza Plenaria (sentenza n. 22/2021) e da ultimo diffusamente rimarcato da questo TAR (sentenza 10.01.2022, n. 151), atteso che dal complesso delle allegazioni contenute negli scritti di parte ricorrente non è dato rinvenire l’asserito nocumento inferto dalle opere de quibus alla sfera giuridica di esse ricorrenti, che peraltro hanno ben chiesto ed ottenuto in sede civile “possessoria” la declaratoria di cessazione della materia del contendere –all’esito della eliminazione del cancelletto pedonale- in tal guisa espressamente confirmando la natura pienamente satisfattiva, delle proprie esigenze e ragioni, dello status quo, con la esistenza del cancello automatizzato che quivi, di contro ed in guisa contraddittoria, si contesta; trattasi, invero, di allegazioni e censure collidenti con lo stesso contegno serbato in sede civile e smentite dal provvedimento giudiziale in quella sede già intervenuto; talché, adoprando ed applicando alla fattispecie in esame le categorie concettuali forgiate nella pronunzia n. 22/2021 della Adunanza Plenaria sopra citata, e riprese dalla decisione n. 151/2022 di questo TAR, a fronte di specifiche contestazioni circa la effettiva concretezza ed attualità del lamentato pregiudizio derivante dagli interventi edilizi de quibus:
      i) non solo la ricorrente non ha adeguatamente assolto all’onus probandi posto a suo carico;
      ii) ma, di più e in via risolutiva, sono le chiare emergenze documentali –ed i plurimi provvedimenti giudiziali già intervenuti ex professo sulla vicenda- a smentire l’assunto di essa parte ricorrente; in carenza di un concreto ed attuale nocumento, non è dato rinvenire quale ragionevole utilitas possano ritrarre le ricorrenti dalla invocata caducazione del titolo abilitativo, con la consequenziale demolizione del cancello; ciò che vale a deprivare l’actio de qua agitur di interesse, ovvero di legitimatio ad processum, id est dell’altra condizione dell’azione, per la quale non basta in questo caso il requisito della cd. vicinitas;
   - perché concretante una actio emulativa, non essendo dato rinvenire un concreto e meritevole interesse ad opporsi ad interventi edilizi:
      i) di lieve entità, inidonei ad alterare sostanzialmente la conformazione strutturale dell’immobile;
      ii) non mai incidenti sulla servitù di passaggio vantata de iure, e pacificamente esercitata de facto dalle ricorrenti;
      iii) di più, tali da preservare la sicurezza di tutte le persone dimoranti nei fabbricati viciniori e, indi, financo di arricchire la sfera giuridica di esse ricorrenti; né un effettivo interesse “contrario” è stato puntualmente circostanziato e lumeggiato dalle ricorrenti, al fine di poterne concretamente apprezzare la meritevolezza e la ragionevolezza; gli obblighi di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes; di talché, le iniziative processuali, la meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno disvelate e poste in rilievo anche in forza dell’apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti, in sede procedimentale ovvero in altre e diverse sedi giurisdizionali; la giurisprudenza (CdS, V, 27/03/2015, n. 1605; CdS, V, 27.04.2015, n. 2064; Cass., 07.05.2013, n. 10568; TAR Campania, VI, 22.12.2020, n. 6353; TAR Lazio, I, 09.09.2019, n. 10797; TAR Lombardia, I, 14.06.2019, n. 1376; TAR Lombardia, I, 19.11.2018, n. 2603) da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge; il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, sia da un punto di vista sostanziale che anche sul piano della loro tutela processuale; di qui la non meritevolezza:
         i) del dissenso manifestato dalle ricorrenti in sede “sostanziale e procedimentale”;
         ii) della conseguente iniziativa processuale quivi intentata, che continua ad inverare anche in sede giurisdizionale l’abusivo esercizio di un potere, come che privo di oggettive ragioni giustificative, non essendo dato rinvenire la sostanziale utilitas che alle ricorrenti sarebbe rivenuta dalla mancata esecuzione in allora, ovvero che riverrebbe dalla demolizione ex post, di un cancello che non lede il loro diritto di passaggio, né altera sostanzialmente lo stato dei luoghi, e che anzi è preordinato a preservare e tutelare le prerogative dominicali vantate sugli immobili insistenti nell’area, ivi compresi quelli di titolarità di esse ricorrenti (cfr., sul punto, anche le argomentazioni contenute in TAR Campania, VI, 22.12.2020, n. 6353, cit.) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 28.01.2022 n. 620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Installazione di una sbarra sollevabile in metallo: è attività edilizia libera oppure necessita di un titolo abilitativo?
L’installazione di una sbarra sollevabile in metallo, delimitante il confine dell’area di parcheggio condominiale, non rappresenta un intervento meramente manutentivo, non soggetto ad autorizzazione edilizia, ma richiede la presentazione di una previa s.c.i.a, ex art. 22 del D.P.R. n. 380 del 2001, e, in sua assenza, implica l’assunzione di un’apposita misura sanzionatoria a carattere pecuniario, ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 19, comma 1, della L.R. n. 15 del 2008.
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Circa l'irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, trattasi di provvedimento a carattere vincolato, rigidamente ancorato a ben precisi presupposti in fatto e diritto, non richiedendosi motivazioni sulle ragioni di ordine pubblico che impongono la sua adozione, neanche qualora intervenga a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, nonché a carattere reale, applicandosi anche a carico di chi si trovi allo stato, come il Condominio ricorrente, in rapporto materiale con l’opera.
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Roma Capitale emetteva determina n. 1201 del 13.10.2020, indirizzata al Condominio di via ..., 56, recante irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria di € 1.500,00, ex art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001 e art. 19, comma 1, della L.R. n. 15 del 2008, avente ad oggetto l’abusiva installazione in loco di una sbarra sollevabile in metallo, delimitante il confine dell’area di parcheggio condominiale, in zona T3 del PRG.
Il Condominio predetto impugnava allora il cennato provvedimento, censurandolo nullità, per violazione degli artt. 3, 19 della Legge n. 241 del 1990, del D.P.R. n. 380 del 2001.
Il ricorrente in particolare ha fatto presente che la sanzione gli veniva notificata incompleta e che era mancata la comunicazione di avvio del procedimento; che difettava una congrua motivazione; che trattavasi poi di intervento di manutenzione ordinaria su area privata, non necessitante dunque di alcun previo titolo edilizio; che la sbarra era stata apposta dal costruttore in epoca risalente, che si era formato un affidamento sulla legittima permanenza dell’opera e che difettava l’evidenziazione dell’interesse pubblico alla sanzione dell’abuso.
Roma Capitale si costituiva in giudizio per la reiezione del gravame, depositando documentazione a supporto dell’assunto.
Nella camera di consiglio del 03.02.2021, fissata per l’esame dell’istanza cautelare, questo Tribunale, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, ricorrendone i presupposti ex art. 60 c.p.a. e art. 25, comma 2, del D.L. n. 137 del 2020 (conv. in legge n. 176 del 2020), ha trattenuto la causa per la decisione nel merito.
Il ricorso appare destituito di fondamento e dunque da respingere, per le assorbenti ragioni di seguito esposte.
Invero è necessario evidenziare al riguardo che l’installazione di una sbarra sollevabile in metallo, delimitante il confine dell’area di parcheggio condominiale, non rappresenta un intervento meramente manutentivo, non soggetto ad autorizzazione edilizia, ma richiede la presentazione di una previa s.c.i.a, ex art. 22 del D.P.R. n. 380 del 2001, e, in sua assenza, implica l’assunzione di un’apposita misura sanzionatoria a carattere pecuniario, ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 19, comma 1, della L.R. n. 15 del 2008 (cfr. TAR Puglia-Lecce, III, n. 1801 del 2013).
Occorre inoltre rilevare che trattasi di provvedimento a carattere vincolato, rigidamente ancorato a ben precisi presupposti in fatto e diritto, pienamente riscontrati nel caso di specie, non richiedendosi motivazioni sulle ragioni di ordine pubblico che impongono la sua adozione, neanche qualora intervenga a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, nonché a carattere reale, applicandosi anche a carico di chi si trovi allo stato, come il Condominio ricorrente, in rapporto materiale con l’opera (cfr. Cons. Stato, A.P., n. 9 del 2017).
Va altresì evidenziato che il provvedimento de quo appare corredato da congrua e adeguata motivazione, in fatto nel descrivere l’abuso e in diritto con richiamo nell’oggetto alle norme assunte violate (cfr. doc. 2 al ricorso); che nessun rilievo può assumere il fatto che l’opera sia collocata in area privata, essendo la necessità del titolo edilizio rapportata all’entità e alle caratteristiche dell’intervento e non alla sua collocazione su suolo pubblico piuttosto che privato (arg. ex art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001).
Giova in ultimo segnalare, quanto all’asserita incompleta notifica dell’atto del 13.10.2020, che lo stesso è stato impugnato integralmente, così come depositato dal medesimo Condominio in giudizio, e con ricorso rituale; che la mancata comunicazione di avvio del procedimento non conduce, per ciò solo, ex art. 21-octies, comma 2 della Legge n. 241 del 1990, all’annullamento del predetto atto, non potendo lo stesso avere, per quanto su esposto, un contenuto diverso da quello in concreto assunto (cfr., in ultimo, TAR Lazio, II-bis, n. 1388 del 2021).
Ne consegue che il provvedimento impugnato risulta esente dalle censure dedotte (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 05.05.2021 n. 5251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Con specifico riguardo all’installazione di condizionatori climatici all'esterno degli edifici, essa è stata considerata quale opera del tutto minore e sostanzialmente libera, inidonea a ledere in modo apprezzabile l'interesse paesaggistico né, tanto meno, quello urbanistico ovvero, al più, quale opera di manutenzione straordinaria, dacché finalizzata a integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, senza incrementare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari né modificare le destinazioni di uso, ossia, nell’uno e nell’altro caso, a guisa di opera non sanzionabile in via demolitoria.
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Quanto all’apposizione del cancello in ferro (rispetto alla quale l’installazione del paravento in ferro-vetro rappresenta, all’evidenza, quale mera sistemazione di arredo esterno, un quid minus), trattasi di manufatto avente dimensioni contenute e infisso al suolo con elementi minimali di ancoraggio.
Ebbene, secondo gli arresti giurisprudenziali sanciti in subiecta materia, una simile opera, in quanto volta, in base ad un rapporto pertinenziale tra cosa accessoria e principale, ad assicurare il miglior uso, godimento e funzionalità dell'immobile, ossia all'esercizio di una facoltà insita nel diritto di proprietà, è da reputarsi insuscettibile di comportare una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio e, come tale, non necessitante del preventivo rilascio del permesso di costruire né della SCIA ex art. 23 del d.p.r. n. 380/2001, potendo, al più, annoverarsi tra i c.d. interventi minori di cui al precedente art. 22, commi 1 e 2, né, ai sensi dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, del preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
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9. Ad opposte conclusioni, favorevoli all’ordine di doglianze rubricato retro, sub n. 3.a, occorre, invece, addivenire con riferimento alle contestazioni sub n. 1, n. 3, n. 5 e n. 6 dell’ordinanza di demolizione n. 4 del 14.01.2019 («apposizione di n. 2 motori per impianto di condizionamento ed un pannello solare sul piano coperture»; «apposizione sulla zona di ingresso del terrazzo di una cancellata in ferro di circa m 3,70 x h 2,10»; «rivestimento della cupola emergente dal piano coperture con l’apposizione di maioliche colorate»; «posa in opera sul terrazzo esterno di n. 1 paravento in ferro-vetro di circa m 3,60 x h 2,30»).
Si tratta, all’evidenza, di opere che, per natura e consistenza, non avrebbero potuto legittimamente sanzionarsi in via demolitoria.
In questo senso, occorre rimarcare che:
   - la Tabella allegata al d.m. 02.03.2018 (recante l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 222/2016) qualifica come attività edilizia libera l’installazione degli impianti di climatizzazione (sub n. 22), dei pannelli solari (sub n. 42), delle inferriate (sub n. 7), degli elementi divisori verticali, anche di tipo ornamentale e similare (sub n. 51), nonché la riparazione, il rinnovamento, la sostituzione del manto di copertura nel rispetto delle caratteristiche tipologiche e dei materiali (comprese le opere correlate quali l’inserimento di strati isolanti e coibenti) (sub n. 11);
   - nel contempo, l’Allegato A al d.p.r. n. 31/2017 (“Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”) annovera tra gli interventi ed opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica:
      -- le «installazioni di impianti tecnologici esterni a servizio di singoli edifici non soggette ad alcun titolo abilitativo edilizio, quali condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole, antenne, purché effettuate su prospetti secondari, o in spazi pertinenziali interni, o in posizioni comunque non visibili dallo spazio pubblico, o purché si tratti di impianti integrati nella configurazione esterna degli edifici, ed a condizione che tali installazioni non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a, b e c, limitatamente, per quest'ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l'edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici» (lett. A.5);
      -- la «installazione di pannelli solari (termici o fotovoltaici) a servizio di singoli edifici, laddove posti su coperture piane e in modo da non essere visibili dagli spazi pubblici esterni; installazione di pannelli solari (termici o fotovoltaici) a servizio di singoli edifici, purché integrati nella configurazione delle coperture, o posti in aderenza ai tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda degli edifici, ai sensi dell’art. 7-bis del decreto legislativo 03.03.2011, n. 28, non ricadenti fra quelli di cui all’art. 136, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42» (lett. A.6);
      -- gli «interventi di manutenzione, sostituzione o adeguamento di cancelli, recinzioni, muri di cinta o di contenimento del terreno… eseguiti nel rispetto delle caratteristiche morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti che non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a, b e c limitatamente, per quest’ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici» (lett. A.13);
      -- gli «interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici, purché eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti, quali: rifacimento di intonaci, tinteggiature, rivestimenti esterni o manti di copertura» (lett. A.2);
   - con specifico riguardo all’installazione di condizionatori climatici all'esterno degli edifici, essa è stata considerata quale opera del tutto minore e sostanzialmente libera, inidonea a ledere in modo apprezzabile l'interesse paesaggistico né, tanto meno, quello urbanistico (cfr. Cons. Stato, parere n. 2602/2003; TAR Puglia, Bari, sez. III, ord. n. 847/2011) ovvero, al più, quale opera di manutenzione straordinaria, dacché finalizzata a integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, senza incrementare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari né modificare le destinazioni di uso (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4744/2008; TAR Campania, Napoli, sez. IV, n. 2157/2011), ossia, nell’uno e nell’altro caso, a guisa di opera non sanzionabile in via demolitoria (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 901/2015);
   - quanto, poi, all’apposizione del cancello in ferro (rispetto alla quale l’installazione del paravento in ferro-vetro rappresenta, all’evidenza, quale mera sistemazione di arredo esterno, un quid minus), alla luce delle risultanze fotografiche e descrittive della relazione di sopralluogo prot. n. 11755 del 01.10.2018, trattasi di manufatto avente dimensioni contenute e infisso al suolo con elementi minimali di ancoraggio: ebbene, secondo gli arresti giurisprudenziali sanciti in subiecta materia, una simile opera, in quanto volta, in base ad un rapporto pertinenziale tra cosa accessoria e principale, ad assicurare il miglior uso, godimento e funzionalità dell'immobile, ossia all'esercizio di una facoltà insita nel diritto di proprietà, è da reputarsi insuscettibile di comportare una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio e, come tale, non necessitante del preventivo rilascio del permesso di costruire né della SCIA ex art. 23 del d.p.r. n. 380/2001, potendo, al più, annoverarsi tra i c.d. interventi minori di cui al precedente art. 22, commi 1 e 2 (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, n. 574/2011; TAR Campania, Napoli, sez. VI, n. 1113/2012; sez. II, n. 4572/2013; TAR Molise, Campobasso, n. 351/2013; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, n. 555/2014; TAR Marche, Ancona, n. 706/2014; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, n. 270/2019), né, ai sensi dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, del preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 2600/2015);
   - infine, il rivestimento della cupola sovrastante il piano secondo sottostrada si caratterizza come mera rifinitura di una preesistente copertura, riconducibile, perciò, se non all’orbita della manutenzione ordinaria, di certo, a quella della manutenzione straordinaria (leggera), subordinata a CILA ex art. 6-bis del d.p.r. n. 380/2001 (cfr. Sezione II, Edilizia, sub n. 3 della Tabella allegata al d.lgs. n. 222/2016).
10. In conclusione, stante la ravvisata fondatezza dei soli profili di censura scrutinati retro, sub n. 9, il ricorso in epigrafe va accolto limitatamente ad essi, con conseguente annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 4 del 14.01.2019, nella parte in cui sanziona le opere contestate sub n. 1, n. 3, n. 5 e n. 6 («apposizione di n. 2 motori per impianto di condizionamento ed un pannello solare sul piano coperture»; «apposizione sulla zona di ingresso del terrazzo di una cancellata in ferro di circa m 3,70 x h 2,10»; «rivestimento della cupola emergente dal piano coperture con l’apposizione di maioliche colorate»; «posa in opera sul terrazzo esterno di n. 1 paravento in ferro-vetro di circa m 3,60 x h 2,30») (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 28.07.2020 n. 951 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASenza le opere visibili servitù di uso pubblico ko.
Si può installare senza permesso di costruire la sbarra metallica che chiude il cortile. È attività di manutenzione ordinaria l'intervento garantito dal diritto di lecita recinzione della proprietà privata. Niente servitù di uso pubblico senza opere visibili destinate all'esercizio del parcheggio.

È quanto emerge dalla sentenza 16.07.2020 n. 1330 della II Sez. del TAR Lombardia-Milano.
Entità e dimensioni
Accolto il ricorso proposto dalla società immobiliare che ha rilevato di recente l'area di circa cento metri quadri alla quale si accede da una strada privata: annullato l'ordine di demolizione del manufatto. E lo stop al provvedimento non scatta soltanto perché l'azienda si è limitata a sostituire la precedente sbarra ormai «ammalorata» con un prodotto più avanzato dal punto di vista tecnologico.
Trova ingresso il motivo di ricorso secondo cui si tratta di un intervento soggetto a mera denuncia di inizio attività e dunque il Comune si sarebbe dovuto limitare a infliggere una sanzione pecuniaria alla società. In realtà il titolo edilizio non è necessario perché il manufatto è di dimensioni modeste e ha un impatto irrilevante sull'area: si tratta dunque di una di quelle opere che «per la sua entità e tipologia deve ricondursi in quelli di «manutenzione ordinaria».
Nessun segnale
L'installazione del congegno di chiusura all'ingresso del cortile, peraltro, costituisce l'esplicazione del diritto di lecita recinzione della proprietà privata: manca infatti la prova della costituzione di servitù di uso pubblico e la società immobiliare ottiene l'annullamento che dispone il ripristino dell'utilizzo pubblico dell'area a parcheggio.
E ciò perché non risulta dimostrata in giudizio l'esistenza di opere visibili destinate a posteggio, come la segnaletica orizzontale e verticale che delimita gli spazi di sosta per le auto. Spese di giudizio compensate, il comune paga il contributo unificato alla società immobiliare (articolo ItaliaOggi Sette del 24.08.2020).
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SENTENZA
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce poi l’illegittimità dell’ordine di demolizione della sbarra poiché, da un punto di vista edilizio, l’intervento di apposizione di una sbarra metallica non necessiterebbe del permesso di costruire; peraltro, la società Im.Pr. nel 2012 si sarebbe limitata a sostituire una precedente sbarra “ammalorata”, con nuova sbarra tecnologicamente più avanzata; si tratterebbe quindi di un intervento modesto, assoggettabile a DIA, in assenza della quale il Comune avrebbe dovuto limitarsi a irrogare una sanzione pecuniaria.
Il motivo è fondato.
A prescindere dalla sostituzione operata, in ogni caso, l’intervento edilizio in questione, per la sua tipologia e per l’irrilevanza dell’impatto (trattasi di sbarra metallica, infissa al suolo, di modesta lunghezza) non necessita di permesso di costruire, essendo riconducibile all’attività di manutenzione ordinaria (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 07.08.2015, n. 3898 e TAR Umbria, Sez. I, 02.02.2017, n. 120) ed esplicazione del diritto di lecita recinzione della proprietà privata (cfr., in tal senso, seppure obiter dictum, Cons. Stato, Sez. VI, 23.01.2018, n. 436); a quest’ultimo proposito, si è già evidenziata la mancanza di prova della costituzione di servitù di uso pubblico.
Alla luce di quanto sopra, l’ordine di demolizione della sbarra, impartito sul presupposto dell’assenza di titolo edilizio per l’opera, è illegittimo e deve essere annullato.

EDILIZIA PRIVATAL’intervento edilizio in questione, per la sua tipologia e per l’irrilevanza dell’impatto (trattasi di sbarra metallica, infissa al suolo, di modesta lunghezza) non necessita di permesso di costruire, essendo riconducibile all’attività di manutenzione ordinaria ed esplicazione del diritto di lecita recinzione della proprietà privata.
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... per l'annullamento del provvedimento del 22.12.2015 del Direttore dell’Area pianificazione recante diffida alla demolizione di sbarra metallica e ripristino dell’uso pubblico del parcheggio esistente;
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1. Con il ricorso in epigrafe, notificato in date 19/23.02.2016 e depositato il successivo 8 marzo, Im.Pr. s.r.l. ha impugnato il provvedimento comunale del 22.12.2015 con cui le venivano ingiunti (i) la demolizione di una sbarra metallica, posta all’ingresso di un’area –identificata catastalmente al foglio 21, mapp. 834– e (ii) il “ripristino dell’uso pubblico del parcheggio esistente”.
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1. Si è evidenziato in narrativa che il provvedimento di diffida oggetto di impugnazione ha un duplice contenuto: demolizione del manufatto realizzato senza titolo, da un lato, e ripristino dell’uso pubblico dell’area a parcheggio, dall’altro lato.
Avverso ciascuno dei due ordini contenuti nel provvedimento è sviluppato un motivo di ricorso, entrambi fondati.
2. Il primo motivo si rivolge avverso l’ordine di ripristino dell’uso pubblico dell’area di parcheggio.
2.1. In particolare, la ricorrente deduce che il provvedimento impugnato è imperniato sull’erroneo presupposto che l’area di cui al mappale 834 sia soggetta a servitù di uso pubblico in forza della concessione edilizia n. 25/1991 e successiva variante.
2.2. Ebbene, dall’analisi del titolo edilizio non emerge tale asservimento, limitandosi la concessione edilizia n. 25/1991 relativa ai mappali 107 e 108 (attualmente mappali 833 e 834) a prevedere la realizzazione di un “fabbricato di civile abitazione” sull’attuale mappale 833 e di un “parcheggio di servizio” sull’attuale mappale 834.
A ben vedere, è solo da un’interpretazione dell’art. 4 delle NTA del PRG allora vigente che il Comune ricava l’asservimento all’uso pubblico dell’area, per cui è a tale norma che deve farsi riferimento.
Per la zona in questione –“residenziale di completamento B1”– l’art. 4 (Indici urbanistici e residenziali) delle NTA (cfr. doc. 5a del Comune) prevedeva quale “Ps: 3 mq/ab e comunque un posto macchina/170 mq di superficie lorda”, dove per “Ps”, ai sensi della medesima norma, si intendeva un “parcheggio di servizio ad uso pubblico la cui area è utilizzabile ai fini della realizzazione volumetrica”.
L’art. 38 delle NTA (cfr. doc. 5b del Comune) prevedeva poi (in conformità alle norme civilistiche) la cessione gratuita dell’area o la costituzione di servitù di uso pubblico.
2.3. Pacifico tra le parti che l’area non sia stata ceduta né detta servitù sia stata costituita per contratto ai sensi dell’art. 1058 c.c., la difesa comunale evidenzia allora che la costituzione sarebbe avvenuta “attraverso la realizzazione di opere visibili”, ovverosia il parcheggio, e l’utilizzo dello stesso, sin dai tempi della costruzione, dai proprietari delle abitazioni del Condominio “Le Az.”, salvo che nel 2003/2004 (quando veniva apposta la prima sbarra), nel 2009 (quando veniva occupata l’area per esigenze di cantiere) e dal 2012 (quando veniva apposta l’ultima sbarra, qui in contestazione).
Con ciò la difesa comunale lascia intendere, senza menzionare espressamente l’istituto, che la servitù di uso pubblico sarebbe quindi stata acquisita per usucapione ai sensi degli artt. 1031 e 1061 c.c.
2.4. In via incidentale, al fine di valutare in via principale la legittimità dell’ordine di ripristino dell’uso pubblico dell’area, deve dunque essere vagliata la tesi della difesa comunale, che è infondata.
Non è infatti stata fornita in giudizio prova:
   (i) dell’esistenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio del parcheggio (ad esempio, con apposizione di segnaletica orizzontale e verticale delimitante gli spazi a parcheggio),
   (ii) né del fatto che le opere in questione fossero effettivamente destinate all’uso pubblico e non solo a servizio dei proprietari del Condominio “Le Az.” (in quest’ultimo caso si discuterebbe, in ipotesi, di costituzione di servitù tra fondi privati, e non a uso pubblico), a maggior ragione se si consideri che la strada di accesso alla particella 834 destinata a parcheggio è privata e non percorribile da chiunque,
   (iii) né della data di inizio del possesso (conoscendosi solo la data di rilascio della concessione edilizia nel 1991),
   (iv) né del possesso ininterrotto per venti anni ai sensi dell’art. 1158 c.c., essendo invece pacifico che detto possesso veniva interrotto almeno per tre volte, anche per significativi periodi di tempo, dal 1991 (data della concessione edilizia, ovviamente non coincidente con quella della fine dei lavori) al 2012.
2.5. Da quanto sopra esposto, deriva l’accoglimento del primo motivo, con annullamento del provvedimento comunale impugnato, nella parte in cui ordina il ripristino dell’uso pubblico a parcheggio dell’area.
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce poi l’illegittimità dell’ordine di demolizione della sbarra poiché, da un punto di vista edilizio, l’intervento di apposizione di una sbarra metallica non necessiterebbe del permesso di costruire; peraltro, la società Im.Pr. nel 2012 si sarebbe limitata a sostituire una precedente sbarra “ammalorata”, con nuova sbarra tecnologicamente più avanzata; si tratterebbe quindi di un intervento modesto, assoggettabile a DIA, in assenza della quale il Comune avrebbe dovuto limitarsi a irrogare una sanzione pecuniaria.
Il motivo è fondato.
A prescindere dalla sostituzione operata, in ogni caso, l’intervento edilizio in questione, per la sua tipologia e per l’irrilevanza dell’impatto (trattasi di sbarra metallica, infissa al suolo, di modesta lunghezza) non necessita di permesso di costruire, essendo riconducibile all’attività di manutenzione ordinaria (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 07.08.2015, n. 3898 e TAR Umbria, Sez. I, 02.02.2017, n. 120) ed esplicazione del diritto di lecita recinzione della proprietà privata (cfr., in tal senso, seppure obiter dictum, Cons. Stato, Sez. VI, 23.01.2018, n. 436); a quest’ultimo proposito, si è già evidenziata la mancanza di prova della costituzione di servitù di uso pubblico.
Alla luce di quanto sopra, l’ordine di demolizione della sbarra, impartito sul presupposto dell’assenza di titolo edilizio per l’opera, è illegittimo e deve essere annullato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.07.2020 n. 1330 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’apposizione di un cancello non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire e “in quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera manutenzione ordinaria, esula dall’assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica in ossequio all’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione".
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5. - Parte ricorrente contesta gli atti con cui il Comune di Massa Lubrense ha sanzionato la realizzazione di opere edilizie in assenza di titolo sull’immobile di sua proprietà, sito in via ..., n. 28.
L’intervento contestato è descritto nel rapporto del Comando di Polizia Municipale, prot. 11866 del 07.06.2014, che costituisce parte integrante dell’ordinanza di ingiunzione impugnata con il ricorso introduttivo del presente giudizio.
La Polizia Municipale ha rilevato la presenza delle seguenti opere:
   - “Manufatto allo stato rustico di non recente realizzazione, in blocchi di lapilcemento con copertura in lamiere, adibito a deposito agricolo (tale manufatto è oggetto della domanda di condono edilizio prot. n. 29502 del 09.12.2004 con allegata una fotografia riportante il fabbricato in oggetto);
   - vecchia roulot allocata all’interno del fondo ed utilizzata quale ricovero di attrezzi agricoli;
   - varco carrabile di accesso al fondo, con cancello a due ante in ferro (per tali lavori non risultano atti autorizzativi)
.”
Nell’ordinanza il Comune rileva che “l’intervento in questione ha comportato la realizzazione di un organismo edilizio con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.
6. - Il ricorso è fondato.
...
6.3. – Analogamente, trovano favorevole apprezzamento le doglianze riferite all’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi del varco carrabile e del cancello a due ante in ferro.
Il provvedimento gravato si limita a richiamare quanto rilevato dalla polizia municipale circa l’esistenza di un varco carrabile di accesso al fondo, con cancello a due ante in ferro, senza null’altro precisare circa le relative caratteristiche.
Come chiarito dalla giurisprudenza di questo tribunale “
l’apposizione di un cancello non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia (TAR Marche, 08.07.2014 n. 706; TAR Emilia Romagna–Parma, Sez. I 13.03.2014 n. 81) tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire (TAR Lazio–Latina, 26.10.2011 n. 840; TAR Molise, 30.05.2013 n. 351)” e “in quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera manutenzione ordinaria, esula dall’assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica in ossequio all’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione” (TAR Napoli. Sez. III, sent. 2600 del 10.05.2015).
La genericità del riferimento all’intervento contestato (che, peraltro, dalle foto versate in atti si desume connotato da limitata grandezza e da essenzialità delle ante del cancello, nonché dalla non evidenza di particolare pavimentazione del varco) non consente di discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale sopra menzionato (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 25.03.2020 n. 1252 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Sulla posa di un "cancello".
L’apposizione di un cancello costituisce, tradizionalmente, espressione della facoltà di godimento del proprietario e, in particolare, dello jus escludendi alios connaturato a questo diritto, cosicché anch’essa non necessita di un titolo abilitativo edilizio e non sottostà al regime dell’autorizzazione paesaggistica.
Invero, “L'apposizione di un cancello non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire. Inoltre, in quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera manutenzione ordinaria, esula dall'assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica in ossequio all'art. 149 del D.Lgs. n. 42 del 2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione”.
Si può dunque pronunciare l’annullamento del provvedimento gravato nella parte in cui, al punto 7, dispone il diniego di accertamento di conformità per quest’opera.
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5.3 Continuando l’esame della censura, va delibata quella inerente all’apposizione di un cancello a chiusura della proprietà della ricorrente.
5.3.1 Come rilevato anche in precedenti di questa Sezione (cfr. TAR Campania-Salerno, Sez. II, 04/03/2019, n. 358; TAR Campania–Salerno, Sez. II, 13/11/2018, n. 1623; TAR Campania–Salerno, Sez. II, 31/08/2018, n. 1235) l’apposizione di un cancello costituisce, tradizionalmente, espressione della facoltà di godimento del proprietario e, in particolare, dello jus escludendi alios connaturato a questo diritto, cosicché anch’essa non necessita di un titolo abilitativo edilizio e non sottostà al regime dell’autorizzazione paesaggistica.
5.3.2 L’assunto è corroborato anche da altre decisioni del Giudice Amministrativo.
Secondo quanto affermato dal TAR Campania-Napoli Sez. III, 11/05/2015, n. 2600, “L'apposizione di un cancello non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire. Inoltre, in quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera manutenzione ordinaria, esula dall'assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica in ossequio all'art. 149 del D.Lgs. n. 42 del 2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione” (cfr., altresì, TAR Basilicata–Potenza, Sez. I, 31/05/2016, n. 575; TAR Umbria–Perugia, Sez. I, 11/06/2014, n. 307).
5.3.3 Si può dunque pronunciare l’annullamento del provvedimento gravato nella parte in cui, al punto 7, dispone il diniego di accertamento di conformità per quest’opera (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 25.06.2019 n. 1125 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sull'installazione di una "ringhiera in ferro battuto in sostituzione di un parapetto in pietra".
Non può accogliersi la doglianza prospettata che concerne l’installazione di una ringhiera in ferro battuto in sostituzione di un parapetto in pietra.
L’opera infatti incide sul c.d. prospetto dell’edificio, poiché va a mutare quella che è la sua conformazione estetica fruibile dall’esterno.
Un simile intervento, per poter essere effettuato, è soggetto a permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001.
E’ legittimo dunque, in questo caso, il diniego opposto dal Comune e motivato in ragione dell’inedificabilità della zona in cui si situa l’immobile, nella quale, in virtù del P.R.G. e del P.U.T., sono possibili soltanto interventi di manutenzione ordinaria, di consolidamento statico, di eliminazione delle barriere architettoniche e relativi all’adeguamento funzionale degli alberghi e delle altre strutture ricettive, nonché degli edifici adibiti alla produzione di beni e servizi, nei termini strettamente necessari ad ottemperare a disposizioni di norme di legge specifiche, mentre quello compiuto dalla ricorrente, in forza dell’art. 10, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, poc’anzi richiamato, è sussumibile all’interno della categoria della ristrutturazione edilizia.
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5.4 Non può invece accogliersi la doglianza prospettata, relativamente al punto 8) del provvedimento, che concerne l’installazione di una ringhiera in ferro battuto in sostituzione di un parapetto in pietra.
L’opera infatti incide sul c.d. prospetto dell’edificio, poiché va a mutare quella che è la sua conformazione estetica fruibile dall’esterno.
Un simile intervento, per poter essere effettuato, è soggetto a permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001 (TAR Calabria–Catanzaro, Sez. I, 26/01/2018, n. 244).
5.4.1 E’ legittimo dunque, in questo caso, il diniego opposto dal Comune di Positano e motivato in ragione dell’inedificabilità della zona in cui si situa l’immobile, nella quale, in virtù del P.R.G. e del P.U.T., sono possibili soltanto interventi di manutenzione ordinaria, di consolidamento statico, di eliminazione delle barriere architettoniche e relativi all’adeguamento funzionale degli alberghi e delle altre strutture ricettive, nonché degli edifici adibiti alla produzione di beni e servizi, nei termini strettamente necessari ad ottemperare a disposizioni di norme di legge specifiche, mentre quello compiuto dalla ricorrente, in forza dell’art. 10, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, poc’anzi richiamato, è sussumibile all’interno della categoria della ristrutturazione edilizia (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 25.06.2019 n. 1125 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATAPaletti anti-sosta, basta la Scia. Non serve il permesso di costruire. Stop alle demolizioni. Lo indica una sentenza del Tar Campania sui dissuasori per auto e rifiuti in condominio.
Tornano a sperare i condomini assediati dalle auto e dal deposito incontrollato di rifiuti. Non vanno abbattuti i paletti anti-sosta e immondizia selvaggi perché la demolizione è la sanzione che colpisce le opere realizzate senza permesso di costruire, mentre per i dissuasori basta la segnalazione certificata d'inizio attività.

È quanto emerge dalla sentenza 05.03.2019 n. 1255, pubblicata dalla III Sez. del TAR Campania-Napoli, che spezza una lancia per gli edifici dei centri storici ostaggio di auto, moto e immondizia.
Secondo la giurisprudenza amministrativa il comune non può ignorare le richieste del condominio che vuole mettere un divieto di sosta con dissuasori, tutelare con paletti il passo carrabile o allargare il marciapiede all'ingresso del comprensorio. Ma se l'immobile è di pregio niente paletti in ferro. Senza dimenticare che l'amministrazione può far rimuovere le opere abusive dal parcheggio condominiale anche se la strada è chiusa da un lato.
Restano dove sono i paletti piantati dal condominio: sbaglia l'ente locale a ordinarne la rimozione. Per i dissuasori basta la semplice Scia perché contano soltanto natura e dimensioni delle opere e dopo la posa dei manufatti l'area resta accessibile a tutti, in primis ai pedoni, tranne che alle macchine.
Il ricorso dell'ente di gestione contro il comune del Napoletano è accolto perché l'installazione dei paletti rientra nell'inserimento degli elementi accessori ex articolo 3, lettera c), del Testo unico dell'edilizia: l'unica sanzione che può scattare è quella pecuniaria di cui all'articolo 37, comma primo, dello stesso dpr 308/2001. I paletti «incriminati» dalla polizia municipale, in effetti, sono alti soltanto un metro e hanno un diametro di dieci centimetri per dieci: non si tratta di manufatti in grado di incidere in modo permanente sull'assetto del territorio perché possono essere facilmente rimossi.
D'altronde neppure l'amministrazione locale contesta che facciano da dissuasori al parcheggio non autorizzato e all'abbandono dei rifiuti. Né conta che l'area sia soggetta a vincolo paesaggistico: l'ente locale non indica in modo esplicito quale sarebbe l'incidenza negativa delle opere.
I precedenti.
Nuovo contraddittorio. È illegittimo il silenzio-inadempimento serbato dal comune sulla segnalazione dei condomini che chiedono sia allargato il marciapiede oppure installato un divieto di sosta con dissuasori: così neppure riescono a entrare nel palazzo. Il parcheggio selvaggio si trasforma in barriera architettonica e l'amministrazione locale ha l'obbligo almeno di pronunciarsi sull'istanza del condominio sulla base dei poteri che gli derivano dal codice della strada sulla gestione della circolazione stradale dei veicoli e dei pedoni in città.
È quanto emerge dalla sentenza 423/2018, pubblicata dalla I Sez. del Tar Toscana.
Accolto il ricorso dell'ente di gestione e dei singoli condomini: non giova al comune obiettare che nell'edificio non risultano residenti che abbiano difficoltà motorie. Il punto è che il condominio è certificato contro le barriere architettoniche interne, ma risulta difficilmente accessibile da fuori: a impedire il passaggio sul marciapiede poco profondo sono le auto parcheggiate l'una a ridosso dell'altra e i bauletti che sporgono dagli scooter.
Ed è dalle stesse relazioni depositate dall'amministrazione che emerge come siano fondate le istanze del condominio. In effetti gli uffici dell'ente stanno valutando l'allargamento del marciapiede e l'installazione del divieto di sosta, ma senza dissuasori. Su questo il giudice non può intervenire, ma la scelta discrezionale che sarà adottata dall'ente dovrà di nuovo essere vagliata nel contraddittorio.
Obbligo di manutenzione. Il comune non può far finta di niente anche quando è il passo carrabile dello stabile nella strada stretta a essere schiavo del parcheggio selvaggio: deve rispondere entro un mese all'istanza dei condomini che chiedono l'installazione di paletti o di un divieto di sosta all'altezza del numero civico in modo da poter entrare e uscire dal palazzo usando anche loro l'auto. E se l'amministrazione non provvede in tempo arriva il commissario indicato dal prefetto.
Lo stabilisce la sentenza 4280/2015, pubblicata dalla I Sez. del Tar Campania.
La grana scoppia perché uno dei condomini in preda a una colica non può uscire dal cancello con la macchina per essere accompagnato al pronto soccorso. La polizia municipale conferma: lo spazio di manovra davanti al passo carrabile è troppo angusto anche a causa dei veicoli parcheggiati sul marciapiede. E in caso di emergenza un'ambulanza avrebbe difficoltà a intervenire in zona. L'ente locale, dunque, non può rimanere inerte: ha un preciso obbligo di vigilanza sulle strade e sulle relative pertinenza in quanto proprietaria delle infrastrutture, ne deve garantire «la destinazione pubblica e il pacifico utilizzo da parte degli utenti».
Ed è lo stesso codice della strada a imporre al comune di installare la segnaletica stradale a partire dal divieto di sosta (articolo 37) e i paletti dissuasori autorizzati dal ministero dei Trasporti da «utilizzare come impedimento materiale alla sosta abusiva» dei veicoli (art. 42). Se l'amministrazione locale non provvede, a rispondere all'istanza dei cittadini sarà un funzionario dell'ufficio territoriale del governo indicato dal prefetto.
Utilizzo legittimo. Bisogna fare i conti anche con le Soprintendenze, però. Il comune non può vietare al condominio di utilizzare il cortile come parcheggio dei veicoli di proprietari e inquilini anche se l'edificio in pieno centro storico risulta sottoposto a vincolo dai Beni culturali. E ciò perché lo stabile si trova in un'area che è «residenziale» secondo il piano regolatore generale: la destinazione indicata dalle norme di attuazione prg risulta estesa agli spazi di pertinenza. L'ente di gestione, tuttavia, non può delimitare l'area di sosta con paletti di ferro perché rovinano l'acciottolato di pregio, come ha stabilito la Soprintendenza.
È quanto emerge dalla sentenza 98/2019, pubblicata dalla II Sez. del Tar Piemonte.
Il condominio fa annullare l'ordinanza del dirigente del servizio edilizia che vieta di parcheggiare in cortile. Pesa l'esposto di uno dei proprietari esclusivi che denuncia il posteggio selvaggio sotto il suo balcone. L'amministrazione minaccia di applicare sanzioni all'ente di gestione in caso d'inottemperanza ex articolo 7-bis primo comma Tuel. In realtà sono più di quarant'anni che le macchine vengono parcheggiate in cortile con il permesso dell'assemblea: l'impiego dell'area risulta legittimo in quanto costituisce una delle possibili forme ordinarie utilizzazione dell'area di pertinenza all'edificio residenziale.
Il condominio, comunque, deve provvedere a delimitare gli spazi della sosta con elementi a terra come stalli o strisce dipinte perché i paletti stop-auto sono incompatibili con il decoro architettonico dell'edificio.
Apertura sufficiente. Attenzione, infine, ai paletti in ferro nel parcheggio condominiale. La rimozione ordinata dal comune scatta anche se l'area su cui i dissuasori sono installati risulta proprietà dell'edificio: ciò che conta è l'uso pubblico della strada su cui affaccia il caseggiato, mentre il fatto che la via sia chiusa da un lato non basta a renderla privata.
È quanto emerge dalla sentenza 1224/2015, pubblicata dalla II Sez. del Tar Sicilia.
Niente da fare, stavolta, per il condominio: deve rassegnarsi a far sparire catene e lucchetti che blindano le auto parcheggiate sotto il palazzo come ha ordinato il servizio edilizia pubblica e privata del comune. All'amministrazione non può disconoscersi il potere di far abbattere le opere abusive. E i dissuasori messi a bordo strada ostacolano il passaggio di eventuali mezzi di soccorso.
È poi escluso che la strada dove sorge il fabbricato possa davvero essere ritenuta privata: inutile eccepire il fatto che la via sia chiusa da un lato e non metta in comunicazione due pubbliche vie, risulta infatti sufficiente che l'apertura da un lato consenta l'accesso da e per una strada pubblica.
Affinché una strada possa rientrare nella categoria vicinale pubblica è prevista una serie di requisiti, fra i quali il passaggio esercitato a titolo di servitù da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale. E il diritto di uso pubblico può ben essere affermato solo perché l'utilizzo si protrae da tempo (articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2019).
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MASSIMA
Il ricorso è fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
In primo luogo, diversamente da quanto sostiene parte ricorrente
l’intervento effettuato non ricade tra le attività libere (indicate tra l’altro in modo tassativo all’art. 6 del t.u. n. 380 del 2001, in deroga al generale obbligo di munirsi di un titolo abilitativo per eseguire interventi edilizi, ciò di cui occorre tenere conto per una corretta lettura e interpretazione dello stesso art. 6), avendo riguardo da un lato alle tipologie delle fattispecie liberalizzate e, dall’altro, all’entità dell’opera posta in essere, che non corrisponde alla descrizione delle attività di cui alle lettere c) e d) del citato art. 6.
Tuttavia coglie nel segno il profilo di censura con cui parte ricorrente ritiene che nel caso qui in esame non venga in discussione un’ipotesi di trasformazione edilizio–urbanistica, o di alterazione permanente dell’assetto del territorio, o di nuova costruzione, tale da esigere il previo rilascio del permesso di costruire ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Deve invece ritenersi, sulla falsariga di quanto affermato dal Giudice di appello in una fattispecie del tutto simile a quella oggetto di causa, che l’intervento ricada nel campo di applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, in tema di SCIA (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16.07.2015, n. 3554).
Sulla questione, intuitivamente affine, dell’assoggettamento, o meno, delle recinzioni, a permesso di costruire, la giurisprudenza amministrativa di primo grado, afferma che
la valutazione sulla necessità, o meno, del permesso di costruire, va compiuta in base ai parametri della natura e delle dimensioni delle opere, e della loro destinazione e funzione (si vedano, tra le altre, TAR Campania, n. 3328/2013 e n. 1542/2012, TAR Lombardia, n. 6266/2009, TAR Lazio, n. 8644/2009, TAR Veneto, n. 1215/2011, TAR Calabria, n. 1299/2014, TAR Lombardia–Brescia, n. 118/2013 e altre), sicché quando, ad esempio, vengono eseguite opere in muratura e la recinzione non è facilmente rimuovibile, l’intervento, essendo idoneo a incidere in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio, esige il previo rilascio del permesso di costruire, ma a tal fine occorre avere riguardo a tutte le opere realizzate nel loro complesso.
Invero questa Sezione di recente ha ritenuto che: <<
la posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli paesaggistici (cfr. TAR Brescia, sez. II, 25/09/2018, n. 907; TAR Roma, sez. II, 04/09/2017, n. 9529; Cons. St., sez. IV, 15/12/2017, n. 5908)>> (cfr. TAR Campania, Sez. III, 24.12.2018, n. 7333).
Ciò posto,
l’intervento in argomento, alla luce delle caratteristiche e delle dimensioni dello stesso (10 paletti dell’altezza di mt. 1 ciascuno e diametro 10x10, si vedano le foto prodotte in giudizio), ricade nel campo di applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, cioè, tra quelli realizzabili con il regime semplificato della d.i.a., la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la demolizione, previste dall'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 per l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire, o in totale difformità del medesimo ovvero con variazioni essenziali, ma con l'applicazione della mera sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza della prescritta denuncia di inizio di attività.
In primo luogo, non è stata eseguita nessuna opera muraria significativa. I paletti apposti, uniti al suolo mediante un basamento di calcestruzzo assai sottile, risultano distanziati tra loro in modo tale da consentire un facile accesso pedonale all’area ed effettivamente sembrano svolgere una funzione, non contestata dal Comune, di dissuasori della sosta e dell’abbandono dei rifiuti. Viene in rilievo, nel complesso, un’opera finalizzata a delimitare la proprietà del condominio ricorrente (non si tratta neppure di una recinzione, essendo l’area “tuttora liberamente accessibile a tutti, salvo che alle autovetture”), rimovibile in maniera tutt’altro che disagevole e, come tale, inidonea a incidere sull’assetto edilizio del territorio.
Non vi è poi alcun concreto elemento, a parte la generica e immotivata asserzione del Comune resistente, di incidenza negativa sul paesaggio nei termini di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, come invece addotto nel gravato provvedimento, laddove la limitata evidenza dell’intervento avrebbe richiesto una più esplicita indicazione in tal senso.
Poiché dunque la realizzazione dei paletti per cui è causa doveva farsi rientrare nella fattispecie dell’inserimento di elementi accessori di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del t.u. n. 380 del 2001, ne consegue che l’intervento eseguito in assenza di titolo ex art. 22 d.P.R. n. 380/2001 porterebbe alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 37, co. 1 d.P.R. n. 380/2001.
In definitiva il ricorso deve essere accolto e l’ordinanza impugnata conseguentemente deve essere annullata.

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: Il Comune legittimamente ordina la riduzione in pristino ove individui la violazione edilizia rappresentata dalla mancanza di un presupposto che deve essere presente per l’ottenimento di qualunque titolo edilizio, compreso quello che si forma secondo il meccanismo peculiare della segnalazione certificata di inizio attività.
Nella specie, risulta, infatti, che –pur se il paletto insiste nel terreno di proprietà degli appellanti– la sbarra quando è aperta insiste, in questa parte, sul terreno di proprietà comunale.
Così come un privato non può installare senza il consenso del vicino una sbarra che –quando è aperta– incide sull’altrui proprietà e sul libero passaggio, allo stesso modo un privato non può installare senza il consenso del Comune una sbarra che –quando è aperta– incide sul passaggio della strada comunale.
Nella specie, l’Amministrazione –che non ha esercitato il potere derivante dalla legge per rimuovere gli impedimenti incidenti sul libero transito di una strada– ha legittimamente esercitato il potere di natura edilizia, avendo riscontrato che la sbarra in questione quando è chiusa insiste su un terreno che non è di proprietà di chi la ha installata.
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Né si può ritenere che vi sia stato, nella fattispecie, un esercizio illegittimo del potere comunale per perseguire finalità di risoluzione di una controversia privata.
Infatti, da un lato l’accordo stipulato a suo tempo tra amministrazione provinciale e gli appellanti prevedeva solo gli aspetti del transito su quell’area e non anche la possibilità di installare una sbarra e, dall’altro, l’Amministrazione resta comunque titolare del potere-dovere di far proseguire il transito di una strada, quando un privato con le sue opere intenda alterare la relativa situazione di fatto.
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1.−I signori Gi. e Br. sono comproprietari di un immobile sito in Sesta Godano, via ..., n. 12, censito al mappale 704. Esso confina con un immobile, adibito a magazzino ed officina, censito al mappale 770, che un tempo era di proprietà della Provincia di La Spezia e poi è stato trasferito al Comune di Sesta Godano.
I signori sopra indicati hanno presentato, in data 14.04.2016, una segnalazione certificata di inizio attività per la realizzazione di un «dissuasore di transito di tipo girevole, costituito da un paletto di altezza pari a metri 1,00 e sbarra girevole ortogonale».
Il Comune, con determinazione 19.11.2016, n. 37, ha rilevato che «l’area interessata dalla realizzazione delle predette opere, catastalmente individuata al foglio 42, particella 770, è di proprietà del Comune di Sesta Godano e che, in persona del Sindaco, ha chiarito nell’ambito della corrispondenza intervenuta con le parti, la propria volontà di non autorizzare il posizionamento della predetta sbarra».
Per le suddette ragioni, il Comune ha ordinato la demolizione delle opere realizzate.
2.− Le parti hanno impugnato tale determinazione innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, prospettando plurimi motivi di illegittimità, riproposti in sede di appello e riportati nei successivi punti.
3.− Il Tribunale amministrativo, con la sentenza 04.09.2017, n. 712, ha rigettato il ricorso.
4.− I ricorrenti di primo grado hanno proposto appello ed hanno chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, sia accolto il ricorso di primo grado.
4.1.− Si è costituiti in giudizio il Comune di Sesta Godano, chiedendo il rigetto dell’appello.
5.− La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 03.05.2018.
6.− L’appello non è fondato.
7.− Con il primo ed il terzo motivo, si è dedotta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ravvisato l’illegittimità della determinazione comunale derivante dal fatto che non si comprenderebbe quale sarebbe la violazione edilizia commessa, atteso che l’opera sarebbe stata realizzata su un’area di proprietà degli appellanti.
Si deduce che il Comune avrebbe fatto una applicazione distorta dei poteri repressivi in materia edilizia, per perseguire finalità di risoluzione di una controversia privata.
In particolare, si rileva che tra il precedente proprietario dell’area, la Provincia di La Spezia, e gli odierni proprietari era stato stipulato un accordo che prevedeva:
   (i) la cessione gratuita da parte degli appellanti del diritto di passaggio sulla contigua striscia di terreno del fondo del mappale 704 di loro proprietà, al fine di ampliare l’accesso dalla via ... per assicurare, al contempo, maggiore sicurezza al traffico;
   ii) l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione provinciale agli appellanti di «apertura dell’accesso carrabile sul mappale 770» e di contestuale «transito carraio sul medesimo mappale».
Ritiene la Sezione che tali motivi non siano fondati.
Il Comune, con il provvedimento impugnato, ha chiaramente individuato la violazione edilizia rappresentata dalla mancanza di un presupposto che deve essere presente per l’ottenimento di qualunque titolo edilizio, compreso quello che si forma secondo il meccanismo peculiare della segnalazione certificata di inizio attività.
Nella specie, risulta, infatti, che –pur se il paletto insiste nel terreno di proprietà degli appellanti– la sbarra quando è aperta insiste, in questa parte, sul terreno di proprietà comunale.
Così come un privato non può installare senza il consenso del vicino una sbarra che –quando è aperta– incide sull’altrui proprietà e sul libero passaggio, allo stesso modo un privato non può installare senza il consenso del Comune una sbarra che –quando è aperta– incide sul passaggio della strada comunale.
Nella specie, l’Amministrazione –che non ha esercitato il potere derivante dalla legge per rimuovere gli impedimenti incidenti sul libero transito di una strada– ha legittimamente esercitato il potere di natura edilizia, avendo riscontrato che la sbarra in questione quando è chiusa insiste su un terreno che non è di proprietà di chi la ha installata.
Né si può ritenere che vi sia stato un esercizio illegittimo del potere per perseguire finalità di risoluzione di una controversia privata.
Infatti, da un lato l’accordo stipulato a suo tempo tra amministrazione provinciale e gli appellanti prevedeva solo gli aspetti del transito su quell’area e non anche la possibilità di installare una sbarra e, dall’altro, l’Amministrazione resta comunque titolare del potere-dovere di far proseguire il transito di una strada, quando un privato con le sue opere intenda alterare la relativa situazione di fatto (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.06.2018 n. 3454 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Quanto all'installazione della sbarra di legno su pilastrini, il Collegio ritiene che tale intervento non necessitasse di titolo autorizzatorio in quanto è stata realizzata senza interventi in muratura e non costituisce espressione dello jus aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios che non necessita di titolo edilizio.
Il Collegio condivide, sul punto, l’impostazione giurisprudenziale secondo cui la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. Con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.
Nella fattispecie la sbarra in questione si presenta quale opera riconducibile al legittimo esercizio dello ius excludendi alios, come tale non bisognevole d’un titolo edilizio a proprio fondamento.
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1. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, è impugnata l'ordinanza n. 6 del 18.02.2016 con la quale il Comune di Alcamo ha ordinato la rimozione delle seguenti opere, eseguite alla data del 06.03.2015, perché realizzate senza l’autorizzazione di cui all’ art. 5 della l.r. 37/1985:
   1. stradella ricoperta di materiale inerte di collegamento, attraverso la spiaggia (arenile demaniale) tra la strada comunale e il fabbricato insistente sul terreno in catasto al fg. 1, p.lle 381 e 3 (in parte);
   2. spiazzo antistante il predetto fabbricato, sulla spiaggia (arenile demaniale);
   3. barra di legno (longitudinale posta su due pilastrini) che ostruisce l’accesso pedonale alla stradella di cui al punto 1.
Trattasi di opere insistenti sull’aerea demaniale marittima di mq 248 concessa con atto n. 520 del 16.12.2004, per mq 65 (spazio antistante in fabbricato) in uso esclusivo e per i restanti mq 183 in uso non esclusivo.
Nella motivazione dell’atto è spiegato che:
   - nella suddetta concessione demaniale non è previsto il collocamento della sbarra di legno;
   - ai sensi dell’art. 23 del R.E. per le opere realizzate era necessario il titolo abilitativo;
   - l’area di che trattasi ricade in Z.T.O. Fp6 nella quale l’edilizia libera può concernere la realizzazione di strada poderali con caratteristiche di ruralità, di cui sarebbe priva l’opera in questione;
   - la concessione demaniale n. 520 del 16.12.2004, all’art. 2, obbligava il concessionario a richiedere al Comune il titolo edilizio prima dell’inizio dei lavori.
Il sig. Si.Pi., in qualità di comproprietario, ne chiede l’annullamento previa sospensione cautelare, deducendone l’illegittimità per i motivi di violazione degli artt. 4, 5, 6, 7 e 9 della legge regionale n. 37/1985, degli artt. 31, 34 e 37 del D.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 23 del regolamento edilizio, nonché per eccesso di potere e difetto di motivazione, in quanto sia la stradella sia lo spiazzo esisterebbero almeno dal 1968, come accertato in fatto dal Tribunale di Trapani con la sentenza n. 47/2014 (relativa a controversia tra proprietari, in cui il ricorrente era parte) e di cui l’A.R.T.A. ha preso atto con la nota n. 44856 del 02.10.2014.
Le opere eseguite, quindi, sarebbero di mera manutenzione e come tali rientranti nella tipologia dell’edilizia libera di cui all’art. 6 della l.r. 37/1985 che, invero, riguarderebbe anche le strade poderali e non solo quelle rurali; parimenti non rileverebbe il fatto che le opere ricadono in zona Fp6 poiché l’area ricade nel demanio marittimo; non troverebbe applicazione l’art. 23 del regolamento edilizio che disciplina la costruzione di strade interpoderali assoggettandola ad autorizzazione, poiché quella oggetto di lite servirebbe soltanto l’abitazione del ricorrente.
Quanto alla sbarra in legno, si sostiene che la sua collocazione –comunque da ricondurre alla fattispecie dell’edilizia libera di cui all’art. 6 della l.r. 37/1985- sarebbe stata autorizzata dall’A.R.T.A. con la concessione demaniale marittima n. 520/2014 oltre che imposta dallo stesso assessorato con la nota n. 23634/2014 (1° motivo).
Trattandosi di opere soggette a autorizzazione l’unica sanzione applicabile sarebbe quella pecuniaria e comunque la demolizione non sarebbe attuabile per la stradella, esistente ab immemorabile (2° motivo).
Lamenta anche la violazione delle norme sulla partecipazione procedimentale di cui alla legge 241 del 1990 a causa dell’omessa valutazione delle controdeduzioni presentate e il difetto di istruttoria e di motivazione (3° motivo).
Con l’ordinanza collegiale n. 759 del 04.07.2016, è stata accolta la domanda di sospensione cautelare dell'esecuzione del provvedimento impugnato.
Il Comune di Alcamo si è costituito in giudizio con memoria, il 10.05.2017, controdeducendo che ai sensi dell’art. 74 (“Fp6 zona delle dune e della spiaggia”) delle N.T.A. del P.R.G. –che espressamente disciplina sia le aree private, sia le aere demaniali- nella zona Fp6 non sono ammesse opere stabili come la sbarra sorretta da pilastrini, né la copertura di un sentiero naturale in terra battuta con misto granulometrico calcareo in quanto “nella zona Fp6 sono consentiti soltanto interventi con applicazione di tecniche naturalistiche volti a ristabilire l’equilibrio delle dune e dello specifico habitat dunale.
Nella spiaggia lungo il litorale sono ammesse solo attività per la diretta fruizione del mare che non comportino installazioni o impianti stabili, al fine di garantire l’azione eolica di ripascimento delle dune.
Nelle aeree di proprietà privata ricadenti in zona Fp6 sono ammesse destinazioni d’uso relative a giardini e verde privato, purché compatibili con le finalità e gli interventi della zona Fp6
”.
...
Quanto all'installazione della sbarra di legno su pilastrini, il Collegio, invece, ritiene che tale intervento non necessitasse di titolo autorizzatorio –prescindendosi in questa sede dagli aspetti connessi alle limitazioni all’accesso alla spiaggia da parte del pubblico discendenti dalla concessione demaniale marittima che non sono oggetto del giudizio- in quanto è stata realizzata senza interventi in muratura e non costituisce espressione dello jus aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios che non necessita di titolo edilizio.
Il Collegio condivide, sul punto, l’impostazione giurisprudenziale secondo cui la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. Con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 05/06/2013, n. 1460; Cons. di Stato, Sez. V, 09/04/2013, n. 1922; Cons. St., Sez. V, 23/02/2012, n. 976).
Nella fattispecie la sbarra in questione -così come descritta nell’atto impugnato, negli atti istruttori ed evincibile dal materiale fotografico versato in atti- si presenta quale opera riconducibile al legittimo esercizio dello ius excludendi alios, come tale non bisognevole d’un titolo edilizio a proprio fondamento.
In parte qua, dunque, l’atto impugnato è illegittimo e va annullato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 28.11.2017 n. 2758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe caratteristiche proprie della copertura di cui si tratta costituiscono una conferma che quest’ultima ha le funzioni e la destinazione propria di una vera e propria terrazza, funzioni queste ultime del tutto differenti da quelle che contraddistinguono un lastrico solare, destinato com’è a costituire esclusivamente un tetto, privo un’utilizzazione da parte dei dimoranti nell’immobile.
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In presenza di un utilizzo protratto della copertura come terrazzo, l’avvenuta realizzazione di una ringhiera protettiva costituisce un intervento per il quale non è richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire.
Infatti, tali opere seppure finalizzate a consentire l'utilizzo del solaio di copertura di un immobile non determinano una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come mere pertinenze, essendo preordinate ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente inserite al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile al quale accedono e, comunque, tale da non comportare un aumento del carico urbanistico.
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2.2 Altrettanto legittima è la realizzazione del terrazzo.
2.3 Sul punto è necessario premettere che i coniugi Ni. hanno ottenuto la sanatoria, con provvedimento del nr. 75/88, di un bagno con ripostiglio in ampliamento sulla corte posta sul retro dell’edificio di loro proprietà.
2.4 Parte ricorrente afferma di aver collocato delle ringhiere sul lastrico solare riferito ai manufatti oggetto di sanatoria e, ciò, in considerazione del fatto che lo stesso lastrico solare sarebbe stato da sempre utilizzato come terrazzo, pertinente all’abitazione.
2.5 Le affermazioni dei ricorrenti risultano confermate dai documenti allegati al ricorso, nell’ambito dei quali è possibile evincere che la copertura sovrastante gli ambienti condonati si trova a livello delle porte finestre di un locale adibito a “sala”, esplicando così le funzioni tipiche di una terrazza o di un balcone prospiciente le aperture della stessa unità abitativa.
Detta circostanza, desumibile dalla documentazione fotografica, unitamente alle caratteristiche proprie della copertura di cui si tratta, costituisce una conferma che quest’ultima ha le funzioni e la destinazione propria di una vera e propria terrazza, funzioni queste ultime del tutto differenti da quelle che contraddistinguono un lastrico solare, destinato com’è a costituire esclusivamente un tetto, privo un’utilizzazione da parte dei dimoranti nell’immobile (sulla diversità di funzioni tra lastrico e terrazza si veda anche TAR Sicilia Catania Sez. I, 10/11/2008, n. 2068).
2.6 In presenza di un utilizzo protratto della copertura come terrazzo, non assume carattere dirimente nemmeno l’avvenuta installazione delle ringhiere da parte dei ricorrenti e, ciò, considerando che secondo un costante orientamento giurisprudenziale l’avvenuta realizzazione di una ringhiera protettiva costituisce un intervento per il quale non è richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire; “infatti, tali opere seppure finalizzate a consentire l'utilizzo del solaio di copertura di un immobile non determinano una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come mere pertinenze, essendo preordinate ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente inserite al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile al quale accedono e, comunque, tale da non comportare un aumento del carico urbanistico (TAR Campania Salerno Sez. II, 27.06.2014, n. 1139)”.
Le censure di cui al secondo e al terzo motivo sono, pertanto, fondate (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 13.06.2017 n. 824 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’installazione di una sbarra metallica a delimitazione della proprietà privata è intervento che, “per la sua entità e tipologia, deve ricondursi in quelli di <<manutenzione ordinaria>> per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo”.
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1. Con atto di ricorso ritualmente notificato e depositato, il sig. Ev.Pe. ha adito l’intestato Tribunale per chiedere l’annullamento del provvedimento, meglio in epigrafe specificato, con il quale gli è stata ordinata al ricorrente predetto la rimozione di due cartelli di segnalazione di proprietà privata posti su due alberi e di una sbarra in ferro installati su strada vicinale privata, in quanto ritenuti abusivi per mancanza dei necessari titoli abilitativi.
...
2. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per carenza di motivazione e contraddittorietà dell’istruttoria condotta dall’amministrazione comunale, in quanto le opere di cui è stata ordinata la demolizione sarebbero state realizzate prima del 1954, ossia prima dell’apposizione vincolo paesaggistico asseritamente violato.
2.1. Il motivo è fondato.
2.2. Dalla documentazione versata in atti e, in particolare, dalla relazione prodotta dall’Ufficio Servizi Operativi del Comune resistente (cfr., nota del 28.05.2015, prot. n. 28/2015 U.S.O) -peraltro non citata nelle premesse del provvedimento impugnato- risulta infatti che la strada in argomento, “è chiusa con una sbarra da tempo immemorabile” ed appare “utilizzata esclusivamente ad uso privato”.
2.3. Ciò conduce a ritenere inattendibile l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato secondo cui “la strada era libera da impedimenti al libero transito almeno dall’inizio degli anni 80”, trattandosi peraltro di determinazione alla quale l’amministrazione è giunta sulla scorta “di sommarie informazioni acquisite da tre persone” (cfr., verbale di polizia municipale in data 11.09.2015), che sul punto risultano contraddette da dichiarazioni prodotte da altri soggetti, concludenti, al contrario, per la presenza della sbarra in contestazione fin “dagli inizi degli anni 50” (cfr., dichiarazione di cui al doc. n. 6 di parte ricorrente, acquisita agli atti del Comune di Assisi in data 03.02.2015).
2.4. Deve pertanto confermarsi, ad avviso del Collegio, la sussistenza del dedotto vizio di contraddittorietà dell’istruttoria, risultando invero inequivocabile la mancata ponderazione di tutte le risultanze probatorie istruttorie in possesso dell’amministrazione resistente, la quale ha trascurato di verificare mediante accertamenti attendibili e non contradditori, in merito all’apposizione della sbarra in questione nonché dei relativi cartelli di segnalazione di proprietà privata, dopo l’apposizione del vincolo paesaggistico del quale è stata contestata la violazione.
2.5. Occorre peraltro aggiungere che, a prescindere dal menzionato vincolo paesaggistico, l’installazione di una sbarra metallica a delimitazione della proprietà privata è intervento che, “per la sua entità e tipologia, deve ricondursi in quelli di <<manutenzione ordinaria>> per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo” (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 20.11.2013, 5513, idem, sez. VI, 07.08.2015, n. 3898), per il che risulta parimenti sconfessata, sotto questo ulteriore profilo, la dedotta assenza dei necessari titoli abilitativi, anche con riferimento alla asserita sostituzione della sbarra stessa (TAR Umbria, sentenza 02.02.2017 n. 120 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: Sulla rimozione di una sbarra in ferro di mt. 4,80 circa x m. 1,00 di altezza, posta all'ingresso della strada.
In punto di diritto il Collegio non ha rinvenuto significativi precedenti giurisprudenziali specificamente inerenti alla tipologia di opera in questione e ben conosce quella giurisprudenza secondo cui un intervento quale l’installazione di un cancello non costituisce un abuso edilizio soggetto a demolizione, trattandosi di un intervento non subordinato al preventivo rilascio del permesso di costruire.
Ed ancora che la sostituzione di un cancello non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire, in quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera manutenzione ordinaria.
Il Collegio rileva come un altro orientamento giurisprudenziale dia rilevanza urbanistica, seppure a fini paesaggistici, all’installazione ex novo di un cancello in ferro (a differenza della mera sostituzione), stante la sua idoneità a produrre una sensibile alterazione dello stato dei luoghi e conseguente trasformazione edilizia.
Ritiene, in ogni caso, il medesimo Collegio che la realizzazione di un’opera come quella in questione, consistente nell’istallazione di una sbarra di ferro, con relativo basamento nel terreno, fissa e lunga mt. 4,80, a chiusura di una strada, richiedesse il permesso di costruire, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Ciò anche in considerazione della tipologia di intervento, diversa rispetto alla posa in opera di un cancello in sostituzione, che comporta una rilevanza ben maggiore di impatto sul territorio, avendo a oggetto un’opera avente carattere di stabilità e volta ad interdire, in maniera permanente, la percorrenza di una via.

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FATTO
Il Comune di Mondragone, con Disposizione Dirigenziale n. 14/2011, ordinava alla parte ricorrente la rimozione di una sbarra in ferro di mt. 4,80 circa x m. 1,00 di altezza, posta all'ingresso della via De Amicis.
Motivava l’ordine ripristinatorio sulla base della circostanza che la sbarra in questione sarebbe stata installata abusivamente.
Le parti ricorrenti, con ricorso notificato il 23.11.2011, hanno impugnato la suindicata ordinanza, nonché ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, in quanto l’ordine di demolizione sarebbe stato adottato sul presupposto non veritiero che la strada di fatto interrotta con la sbarra metallica risulterebbe essere pubblica o di uso pubblico.
In realtà, asseriscono i ricorrenti, si tratterebbe di una strada privata non interessata da alcun diritto di uso pubblico. Inoltre, dal punto di vista del titolo abilitativo edilizio, l’edificazione dell’opera in questione non avrebbe necessitato del rilascio di un permesso di costruire.
E’ intervenuta in giudizio ad opponendum Al.Me., che ha formulato argomentazioni difensive e sostenuto che l’istallazione oggetto di ordine di demolizione le impediva l’accesso al proprio fondo.
L’adito TAR, con ordinanza n. 265/2012, ha rigettato l’istanza cautelare “considerato che i ricorrenti non risultano aver addotto elementi probatori sufficienti ad escludere l’assoggettamento a servitù pubblica della strada attinta dall’intervento abusivo di cui alla gravata ordinanza n. 14 del 14.09.2011”.
Il Consiglio di Stato, adito in sede di appello, ha confermato con ordinanza n. 1902/2012, il provvedimento di rigetto rilevando, sull'assenza del fumus boni iuris, che “l’intervento è stato realizzato in assenza di titolo abilitativo”.
DIRITTO
Il ricorso si rivela infondato.
L’ordine di demolizione è stato motivato dal Comune con l’assenza di un titolo abilitativo edilizio, senza espressa menzione del carattere pubblico dell’area o dell’esistenza di un diritto di uso pubblico.
In punto di fatto appare pacifico che l’intervento realizzato non è suffragato da alcun titolo abilitativo edilizio.
In punto di diritto il Collegio non ha rinvenuto significativi precedenti giurisprudenziali specificamente inerenti alla tipologia di opera in questione e ben conosce quella giurisprudenza secondo cui un intervento quale l’installazione di un cancello non costituisce un abuso edilizio soggetto a demolizione, trattandosi di un intervento non subordinato al preventivo rilascio del permesso di costruire (TAR Basilicata Potenza Sez. I, 31.05.2016, n. 575; TAR Liguria, I, 09.12.2009, n. 3562); e ancora che la sostituzione di un cancello non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire, in quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera manutenzione ordinaria (TAR Campania Napoli Sez. III, 11/05/2015, n. 2600).
Il Collegio rileva come un altro orientamento giurisprudenziale dia rilevanza urbanistica, seppure a fini paesaggistici, all’installazione ex novo di un cancello in ferro (a differenza della mera sostituzione), stante la sua idoneità a produrre una sensibile alterazione dello stato dei luoghi e conseguente trasformazione edilizia (TAR Campania Napoli, Sez. III, sentenze n. 439 e 1306 del 2016).
Ritiene, in ogni caso, il medesimo Collegio che la realizzazione di un’opera come quella in questione, consistente nell’istallazione di una sbarra di ferro, con relativo basamento nel terreno, fissa e lunga mt. 4,80, a chiusura di una strada, richiedesse il permesso di costruire, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Ciò anche in considerazione della tipologia di intervento, diversa rispetto alla posa in opera di un cancello in sostituzione, che comporta una rilevanza ben maggiore di impatto sul territorio, avendo a oggetto un’opera avente carattere di stabilità e volta ad interdire, in maniera permanente, la percorrenza di una via.
Per le suindicate ragioni il ricorso deve essere rigettato.
Stante l’assenza di precedenti giurisprudenziali consolidati in ordine alla soluzione adottata, il Collegio ritiene sussistano gravi ed eccezionali motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 21.11.2016 n. 5365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 consente di eseguire interventi edilizi senza titolo abilitativo per specifiche previsioni (lavori per eliminare barriere architettoniche, opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, connesse all’attività agricola, dirette a soddisfare esigenze contingenti, ecc.), ivi comprese le opere di manutenzione di cui all’art. 3, co. 1, lett. a), nonché, previa comunicazione di inizio dei lavori, gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, co. 1, lett. b).
Orbene, l’installazione di una sbarra automatica in sostituzione del precedente manufatto manuale rappresenta appunto un lavoro di manutenzione straordinaria soggetto a C.I.L., la cui inosservanza è sanzionata dallo stesso art. 6, co. 7, con una pena pecuniaria pari a 1.000 euro.

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Con ricorso notificato il 19/05/2015, Lo.Ag. e Lo.An., nella dedotta qualità di proprietarie di due unità edilizie in San Giorgio a Cremano nel fabbricato denominato C al prolungamento di via Manzoni, impugnavano gli atti in epigrafe concernenti l’apposizione di una sbarra metallica automatizzata in asserita sostituzione di preesistente sbarra in ferro, per il cui intervento, oggetto di accertamento da parte della Polizia Municipale, era stata presentata istanza di accertamento di conformità e di compatibilità paesaggistica.
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1. Nel merito le ricorrenti deducono che:
   - l’intervento in questione non sarebbe soggetto a permesso di costruire, per cui sarebbe da escludere la sanzione della demolizione; neppure sarebbe applicabile il ripristino dello stato dei luoghi per la mancanza del nulla-osta paesaggistico in quanto l’opera sarebbe priva di impatto ambientale;
   - il silenzio sull’istanza di conformità urbanistica ed il provvedimento di demolizione deriverebbero dal mancata pronuncia dell’autorità preposta alla tutela del vincolo; nessuna preclusione vi sarebbe al rilascio dell’autorizzazione in sanatoria attesa la tipologia dell’intervento ed i materiali impiegati; l’intervento sarebbe comunque sanabile sotto il profilo edilizio;
   - gli atti impugnati sarebbero in contrasto con gli artt. 146, co. 4, 167, co. 4 e 5, 181, co. 1-quater, del d.lgs. n. 42 del 2004 e con l’art. 25 del decreto-legge n. 133 del 2014; l’accertamento di compatibilità paesaggistica sarebbe ammissibile in sanatoria per cui l’amministrazione aveva l’obbligo di provvedere sull’istanza presentata dalle ricorrenti; né peraltro sussisterebbero ragioni ostative all’accertamento di conformità sotto il profilo urbanistico;
   - lo stesso Comune rappresenta nel provvedimento di demolizione la possibilità di chiedere l’accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 181, co. 1-quater, del d.lgs. n. 42 del 2004, senza considerare che l’istanza era già stata presentata;
   - la nuova sbarra sarebbe in sostituzione di una preesistente sbarra in ferro;
   - mancherebbe la comunicazione di avvio del procedimento, in violazione degli artt. 7 e 10-bis della legge n. 241 del 1990.
1.1. Giova premettere che l’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 consente di eseguire interventi edilizi senza titolo abilitativo per specifiche previsioni (lavori per eliminare barriere architettoniche, opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, connesse all’attività agricola, dirette a soddisfare esigenze contingenti, ecc.), ivi comprese le opere di manutenzione di cui all’art. 3, co. 1, lett. a), nonché, previa comunicazione di inizio dei lavori, gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, co. 1, lett. b).
Orbene l’installazione di una sbarra automatica in sostituzione del precedente manufatto manuale rappresenta appunto un lavoro di manutenzione straordinaria soggetto a C.I.L., la cui inosservanza è sanzionata dallo stesso art. 6, co. 7, con una pena pecuniaria pari a 1.000 euro.
Appunto in esplicita applicazione di tale disposizione il Comune ha correttamente e doverosamente sanzionato l’opera abusiva in questione, per cui vanno disattese in parte qua le censure dedotte (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 24.02.2016 n. 992 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il passo carrabile non comprende la sbarra.
I proprietari di alcuni garage che ottengono le licenza per passo carrabile da posizionare all'ingresso del condominio non possono installare anche una sbarra automatica finalizzata a regolare meglio l'accesso dei veicoli ai box. Anche se la strada è cieca infatti si tratta pur sempre di una via pubblica che non può essere chiusa in modalità arbitraria.

Lo ha chiarito il TAR Liguria, Sez. II, con la sentenza 11.01.2016 n. 17.
I proprietari di alcune autorimesse posizionate in fondo a una strada senza uscita hanno ottenuto dal comune l'autorizzazione al posizionamento di un passo carrabile in prossimità del varco di accesso al fabbricato. Conseguentemente gli interessati hanno installato anche una sbarra automatica per regolare meglio l'accesso alla zona dei garage. A seguito di alcune segnalazioni dei vicini il comune ha ordinato la rimozione immediata della sbarra, posizionata in un'area pubblica, annullando anche la licenza di passo carrabile.
Contro questa severa misura gli interessati hanno proposto ricorso ai giudici amministrativi. La revoca della licenza di passo carrabile è illegittima perché anche se si tratta di una strettoia stradale pubblica la necessità di accedere ai fabbricati laterali deve essere riconosciuta ai proprietari dei veicoli. Ma non è possibile installare una sbarra sulla stessa area dove insiste un passo carrabile. Al massimo potranno essere utilizzati dei dissuasori di sosta regolarmente autorizzati (articolo ItaliaOggi Sette del 22.02.2016).
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MASSIMA
Occorre premettere come, alla luce delle emergenze documentali in atti (cfr. la documentazione di progetto dei box – doc. 10 delle produzioni 01.06.2015 di parte comunale, nonché il doc. 15 delle produzioni 04.11.2015), non possa seriamente contestarsi la natura pubblica della porzione di via Toti antistante i box, cui si accede per il tramite del passo carraio.
Stando così le cose,
pare al collegio che la revoca dell’autorizzazione per passo carrabile sia illegittima: la proprietà pubblica del sedime del varco non fa infatti venire meno il presupposto dell’autorizzazione, che è costituito, ex art. 22 del codice della strada, proprio dalla necessità di accedere –tramite esso– ai fabbricati laterali (nel caso di specie, i box).
Infondato è invece il ricorso avverso l’ingiunzione di rimozione della sbarra.
Premesso che il provvedimento di autorizzazione revocato (doc. 5 delle produzioni 13.5.2015 di parte ricorrente) non reca alcuna menzione della sbarra, che dunque è stata abusivamente installata, è evidente come la stessa precluda di fatto l’utilizzo pubblico del tratto di via abusivamente intercluso, per esempio per effettuare inversione di marcia (specialmente ai mezzi di soccorso).
L’ingiunzione di rimozione della sbarra, non consistendo in un atto di ritiro, non deve del resto necessariamente motivare in ordine alla sussistenza –ex art. 21-nonies L. n. 241/1990– di un interesse pubblico prevalente, interesse che pure è insito nella finalità di ripristino dell’uso pubblico della strada, ben potendo il contrapposto interesse privato all’effettivo utilizzo dell’accesso carraio essere adeguatamente tutelato altrimenti, per esempio mediante la posa di dissuasori negli spazi impropriamente utilizzati per la sosta dei veicoli, previa richiesta di occupazione del suolo pubblico ex art. 46, comma 3, del D.P.R. 16.12.1992, n. 495 (regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: L’installazione di una sbarra metallica, per la sua entità e tipologia, deve ricondursi negli interventi di «manutenzione ordinaria» per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo.
... per la riforma della sentenza 26.05.2014, n. 5554 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione I-quater;
...
1.– La A.i. s.p.a., proprietaria di un immobile adibito ad ufficio sito in una strada privata, ha installato, con due paletti in ferro, una sbarra di metallo.
Il Comune di Roma, con determinazione 14.05.2009, n. 1067, ha contestato l’abusività dell’intervento perché realizzato senza che la società abbia presentato la dichiarazione di inizio attività e ha, conseguentemente, irrogato, previa richiesta di determinazione della somma dovuta all’Agenzia del territorio competente, la sanzione pecuniaria di euro 44.412,00.
La società ha impugnato la suddetta determinazione innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, deducendo la violazione:
   i) degli articoli 2, 3 e 10-bis della legge 07.08.1990 n. 241, nonché eccesso di potere, per non avere l’amministrazione comunale tenuto conto della richiesta di autorizzazione che la società aveva presentato in data 09.06.2003;
   ii) dell’art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, in quanto l’istallazione di una sbarra metallica rientrerebbe nell’ambito dell’attività edilizia libera;
   iii) degli articoli 22 e 37 del d.p.r. n. 380 del 2001, per erroneità nella determinazione dell’entità della sanzione da corrispondere.
2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 26.05.2014, n. 5554, ha rigettato il ricorso, ritenendo che, venendo in rilievo interventi consistenti nella «delimitazione dell’ultimo tratto di strada con sbarra in ferro bloccata con lucchetti di sicurezza e fissata al suolo a mezzo di pali murati, con lo scopo di realizzare un parcheggio privato», sarebbe necessario il titolo edilizio richiesto dal Comune.
3.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello rilevando come lo scopo della sbarra fosse esclusivamente quello di «controllare l’accesso e la sosta di terzi» nella propria proprietà, come risulterebbe anche dalla richiesta di autorizzazione all’istallazione presentata dalla società stessa nel 2003. Si è, inoltre, fatta valere l’erroneità della sentenza per la mancata pronuncia in ordine agli altri motivi del ricorso introduttivo del giudizio che vengono riproposti in appello.
...
5.– L’appello è fondato.
6.– Il d.p.r. n. 380 del 2001, nell’individuare le forme di intervento pubblico richieste ai fini dell’effettuazione di interventi edilizi sul territorio, distingue tra:
   i) interventi per i quali non è necessario ottenere un titolo abilitativo venendo in rilievo una attività edilizia libera (art. 6);
   ii) interventi subordinati al rilascio di un permesso di costruire (art. 10);
   iii) interventi subordinati a denuncia di inizio attività (art. 22).
Nell’ambito dell’attività edilizia libera l’art. 6 indica «gli interventi di manutenzione ordinaria».
7.– Nel caso in esame risulta che l’appellante ha installato, nel terreno di propria proprietà, una sbarra metallica.
Tale tipologia di intervento, per la sua entità e tipologia, deve ricondursi in quelli di «manutenzione ordinaria» per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20.11.2013, n. 5513). A ciò si aggiunga che la società aveva comunque chiesto, nel 2003, l’autorizzazione all’istallazione della predetta sbarra senza che il Comune avesse mai adottato alcun provvedimento.
Né ad una diversa conclusione può giungersi in ragione della finalità, valorizzata nella sentenza impugnata, di realizzare un parcheggio. Questo dato non è stato, infatti, oggetto di puntuale dimostrazione da parte delle autorità preposte alla vigilanza del territorio.
E’ bene aggiungere che qualora la società dovesse effettivamente provvedere a cambiare destinazione all’area il Comune rimane titolare dei poteri di controllo e sanzionatori previsti dalla legge di disciplina della materia (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.08.2015 n. 3898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Serve l'autorizzazione comunale per installare le inferriate? Installazione inferriate è necessaria l'autorizzazione comunale?
Abito al piano rialzato di un edificio in condominio e dopo alcuni furti nella zona ho deciso d'installare delle inferriate alle mie finestre e portefinestre per ovvie ragioni di sicurezza.
Per l'installazione devo domandare l'autorizzazione al comune di residenza?

Questa la domanda che ci giunge da un nostro lettore.
Sebbene il suo quesito sia limitato ai rapporti con la pubblica amministrazione riteniamo utile richiamare l'attenzione anche sugli aspetti condominiali; lo facciamo rimandando alla lettura di questo articolo: Installazione inferriate su portefinestre.
L'attività edilizia è distinguibile in due categorie:
a) attività edilizia libera;
b) attività edilizia soggetta ad autorizzazioni amministrative.
Rispetto alla prima, sebbene non sempre obbligatorio (cfr. art. 6 d.p.r. n. 380/2001) è sempre consigliabile inviare una comunicazione d'inizio attività al comune competente, ossia il comune nel cui territorio è ubicato l'immobile oggetto d'intervento.
A titolo di esempio rientra nell'ambito dell'attività edilizia libera la manutenzione ordinaria finalizzata alla “riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” (cfr. artt. 3 e 6 d.p.r. n. 380/2001).
Quanto alle autorizzazioni amministrative, si tratta di procedimenti finalizzati ad ottenere un placet alla esecuzione delle opere che s'intendono realizzare. A seconda degli interventi si parla, ad esempio, di permesso di costruire (il caso più significativo è la costruzione di un nuovo edificio) o di SCIA (segnalazione certificata di inizio attività).
Poiché l'installazione ex novo di inferriate non può essere ricondotta nell'ambito dell'attività edilizia libera, per rispondere alla domanda del nostro lettore è necessario prima d'ogni cosa comprendere in quale categoria tra quelle indicate nel testo unico in materia edilizia (d.p.r. n. 380/2001) possano essere ricondotte.
Osservate le norme definitorie contenute nell'art. 3 del d.p.r. summenzionato, ad avviso di chi scrive, l'installazione delle inferriate dev'essere ricompresa nell'ambito degli interventi di restauro o risanamento conservativo così definiti: "c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio” (art. 3, primo comma, lett. c) d.p.r. n. 380/2001).
Le inferriate possono essere considerate elementi accessori.
In questo contesto, pertanto, deve farsi riferimento all'art. 22 del d.p.r. n. 380/2001 a mente del quale: “Sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
Prima di iniziare l'attività d'installazione, dunque, è necessario segnalarla al comune competente non con una semplice comunicazione, ma secondo le indicazioni previste dal testo unico per l'edilizia e dai regolamenti edilizi locali (relazione di un tecnico, ecc.). E' comunque consigliabile, vista l'importanza delle norme locali, reperire informazioni più dettagliate presso gli sportelli unici dell'edilizia del comune competente (24.12.2015 - link a www.condominioweb.com).

EDILIZIA PRIVATACirca la posa in opera di un cancello in ferro in sostituzione di un pregresso cancello in materiale ligneo:
   - non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire;
   - in quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera manutenzione ordinaria, esula dall’assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica in ossequio all’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione.

- premesso che il ricorrente ha realizzato la posa in opera di un cancello in ferro in sostituzione di un pregresso cancello in materiale ligneo;
- considerato che il ricorrente nella comunicazione inizio lavori del 05.11.2014, contrariamente a quanto assume il Comune nel gravato provvedimento, ha indicato la posa del nuovo cancello in ferro in sostituzione del precedente quale uno degli oggetti dell’attività che stava ponendo in essere;
- ritenuto che l’apposizione di un cancello non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia (TAR Marche, 08.07.2014 n. 706; TAR Emilia-Romagna – Parma, Sez. I 13.03.2014 n. 81) tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire (TAR Lazio–Latina, 26.10.2011 n. 840; TAR Molise, 30.05.2013 n. 351);
- ritenuto pertanto che non sussistono i presupposti per l’applicazione della sanzione demolitoria irrogata ai sensi dell’art. 31 del DPR n. 380/2001;
- evidenziato che l’apposizione di un cancello, in quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera manutenzione ordinaria, esula dall’assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica in ossequio all’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 11.05.2015 n. 2600 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATAOsserva il Collegio che le opere in questione, ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, rientrano nella categoria degli interventi di manutenzione straordinaria, trattandosi nel primo caso dell’installazione di una protezione in ferro ad una finestra, nel secondo della sostituzione di una preesistente copertura di un solaio, senza che vi sia stato alcun aggravio urbanistico.
Ne consegue che il regime giuridico di riferimento è stato correttamente individuato sia da parte ricorrente che della resistente amministrazione in quello della denuncia di inizio di attività (assente nel caso di specie).

... per l'annullamento dell'ordinanza n. 2 UT del 08/01/2013 del Comune di Capua - Settore Urbanistica, con la quale viene ordinata la demolizione delle opere realizzate in assenza di denuncia di inizio attività presso l'immobile sito in Capua alla ....
...
In data 05.05.2010 la Polizia municipale di Capua accertava che presso un immobile sito alla via ..., nella disponibilità della “... s.r.l.”, erano stati realizzati interventi edilizi in assenza di preventiva denuncia di inizio attività, specificamente l’installazione di una grata in ferro all’esterno di una finestra delle dimensioni di circa mt. 1,50 x 1,50, nonché la copertura di un preesistente solaio mediante la posa in opera di lamiere metalliche ondulate.
All’esito del contraddittorio procedimentale, il Comune di Capua, con ordinanza n. 2 U.T. dell’08.01.2013, ha ordinato la demolizione delle predette opere, rilevando come, sebbene risalenti al 1987, le stesse fossero prive di titolo abilitativo.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso a questo Tribunale la società ... s.r.l. chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari.
Parte ricorrente ha lamentato che per interventi di tipo manutentivo e conservativo, come quelli in oggetto, l’assenza della denuncia di inizio attività non può comportarne la demolizione, ma solo l’applicazione di una sanzione pecuniaria; addirittura, le opere potrebbero configurarsi tra quelle ricadenti nell’ipotesi di cui all’art. 6 del d.p.r. 06.06.2001 n, 380, per cui sarebbe stata sufficiente una mera comunicazione. Con l’ultimo motivo è stata dedotta la carenza di motivazione, di istruttoria, nonché la violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e legittimo affidamento.
...
Il ricorso è fondato.
Osserva il Collegio che le opere in questione, ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, rientrano nella categoria degli interventi di manutenzione straordinaria, trattandosi nel primo caso dell’installazione di una protezione in ferro ad una finestra, nel secondo della sostituzione di una preesistente copertura di un solaio, senza che vi sia stato alcun aggravio urbanistico.
Ne consegue che il regime giuridico di riferimento è stato correttamente individuato sia da parte ricorrente che della resistente amministrazione in quello della denuncia di inizio di attività, incontestabilmente assente nel caso di specie.
In tal caso, l’art. 37, primo comma, del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi, ma non la demolizione dei medesimi.
Ne discende che, in assenza di ulteriori specificazioni tali da far ricadere le opere nel regime di cui al secondo comma dell’art. 37, il provvedimento impugnato deve essere dichiarato illegittimo e di conseguenza annullato (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 21.11.2013 n. 5280 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’elettrificazione di un cancello esistente, o l’apposizione di un barra mobile, integrativa delle funzioni del medesimo cancello e dalle caratteristiche estetiche non invasive, così come l’installazione di un sistema di illuminazione, rientrano nella nozione di manutenzione ordinaria e non risultano suscettibili di incidere su valori paesaggistici protetti, salvo prescrizioni particolarmente restrittive.
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Per quanto riguarda infatti, in primo luogo, l’installazione di una barra elettrificata, retrostante al cancello esistente di accesso al parcheggio, con impianto luce e allacci elettrici, appare condivisibile la tesi, secondo cui si tratterebbe di interventi corrispondenti ad “attività edilizia libera”, disciplinata dall’art. 6 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
Ai sensi del comma 1, lettera a), della citata norma non richiedono, infatti, alcun titolo abilitativo –fatte salve specifiche prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali o altre disposizioni, fra cui quelle dettate a tutela dei beni culturali ed il paesaggio– gli interventi di manutenzione ordinaria, che l’art. 3 del medesimo d.P.R. n. 380/2001 definisce come “interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie a mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”.
Ad avviso del Collegio, l’elettrificazione di un cancello esistente, o l’apposizione (come nel caso di specie) di un barra mobile, integrativa delle funzioni del medesimo cancello e dalle caratteristiche estetiche non invasive, così come l’installazione di un sistema di illuminazione, rientravano nella nozione di manutenzione ordinaria sopra specificata e non risultavano suscettibili di incidere su valori paesaggistici protetti, salvo prescrizioni particolarmente restrittive, non evidenziate nella situazione in esame (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20.11.2013 n. 5513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI lavori eseguiti, consistenti nella collocazione di una ringhiera in ferro su un lastrico solare e di un corrimano in ferro su una scala che porta al lastrico solare, non comportano -di per sé- né la modifica della complessiva sagoma dell’edificio, né un aumento della superficie coperta e dei volumi interni, né un cambio di destinazione d'uso dei lastrico solare, che per le sue caratteristiche (posa orizzontale in piano di materiali calpestabili) denotava già una attitudine all’impiego pedonale ed implicava già la presenza di una scala di accesso, di modo che gli interventi contestati, lungi dal variarne la destinazione, consentono solo di migliorarne la fruizione in condizioni di maggiore comodità e sicurezza.
Pertanto, per l’intervento edilizio in esame, volto alla messa in sicurezza di un lastrico solare già idoneo all’uso pedonale, è quindi sufficiente la comunicazione di inizio lavori ai sensi dell'art. 6 DPR 380/2001, alla stregua del criterio secondo cui sono liberi, e quindi non soggetti ad autorizzazioni o asseverazioni, tutti gli interventi edilizi di modifica della distribuzione degli spazi interni o di arredo e protezione degli spazi esterni volti, indipendentemente dai materiali utilizzati e dalla natura provvisoria o meno delle opere, solo ad ottimizzare le qualità e potenzialità intrinseche del preesistente manufatto, consentendone una migliore, più sicura o più ampia fruizione in conformità alle originarie destinazioni d’uso.

- Che, alla stregua di un criterio di efficacia sostanziale della tutela giurisdizionale e di economia processuale, il Collegio ritiene quindi di esaminare l’ulteriore profilo controverso, concernente il rapporto fra infondatezza dell’istanza di accertamento di conformità ed obbligatoria esecuzione del precedente ordine di esecuzione;
- Che, al contrario, l’accertamento, da parte del Tribunale, dell’obbligo di dare diretta esecuzione all’ordine di demolizione previa reiezione della domanda di accertamento trova un insormontabile ostacolo proprio nella palese fondatezza della stessa domanda;
- Che dalla documentazione allegata agli atti del giudizio risulta, infatti, che:
   1) l’intervento edilizio, che il ricorrente chiede di demolire e di cui la contro interessata chiede l’accertamento di conformità, è avvenuto in conformità alla DIA a suo tempo presentata e non contraddetta in termini dal Comune, così come attestato dal sopralluogo eseguito da patte dei Vigili Urbani a lavori ultimati;
   2) lo stesso intervento, come espressamente rilevato dall'Ufficio edilizia Privata di Roma Capitale, per il tipo di lavori eseguiti, consistenti nella collocazione di una ringhiera in ferro su un lastrico solare e di un corrimano in ferro su una scala che porta al lastrico solare, non comporta di per sé, né modifiche della sagoma, né modifiche della superficie, né aumento di volume, né cambio di destinazione d'uso dei lastrico solare, e quindi richiede solo la comunicazione di inizio lavori ai sensi dell'art. 6 DPR 380/2001;
- Che il primo profilo non assume valore dirimente, stante il carattere di illecito permanente dell’abuso edilizio, che è destinato a veder progressivamente aggravare il proprio impatto sul territorio, anche in relazione al successivo uso del manufatto abusivo ed all’inevitabile effetto emulativo, e che quindi, secondo il principio di legalità insito al nostro sistema Costituzionale ed anche per la presenza delle previste forme di pubblicità in occasione degli interventi edili e delle formalità pubblicistiche dei trasferimenti immobiliari (rogito notarile e trascrizione), non può generare alcun affidamento, e quindi determinare alcuna convalescenza, in conseguenza del semplice decorso del tempo: in tal modo, il decorso dei termini previsti in caso di DIA e SCIA preclude l’intervento pubblico riferito ai profili formali e procedurali, ma non il successivo accertamento della non conformità del manufatto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie ad esso applicabili;
- Che, a giudizio del Collegio, merita al contrario apprezzamento il secondo profilo indicato, in quanto i lavori eseguiti, consistenti nella collocazione di una ringhiera in ferro su un lastrico solare e di un corrimano in ferro su una scala che porta al lastrico solare, non comportano di per sé, né la modifica della complessiva sagoma dell’edificio, né un aumento della superficie coperta e dei volumi interni, né un cambio di destinazione d'uso dei lastrico solare, che per le sue caratteristiche (posa orizzontale in piano di materiali calpestabili) denotava già una attitudine all’impiego pedonale ed implicava già la presenza di una scala di accesso, di modo che gli interventi contestati, lungi dal variarne la destinazione, consentono solo di migliorarne la fruizione in condizioni di maggiore comodità e sicurezza;
- Che per l’intervento edilizio in esame, volto alla messa in sicurezza di un lastrico solare già idoneo all’uso pedonale, è quindi sufficiente la comunicazione di inizio lavori ai sensi dell'art. 6 DPR 380/2001, alla stregua del criterio secondo cui sono liberi, e quindi non soggetti ad autorizzazioni o asseverazioni, tutti gli interventi edilizi di modifica della distribuzione degli spazi interni o di arredo e protezione degli spazi esterni volti, indipendentemente dai materiali utilizzati e dalla natura provvisoria o meno delle opere, solo ad ottimizzare le qualità e potenzialità intrinseche del preesistente manufatto, consentendone una migliore, più sicura o più ampia fruizione in conformità alle originarie destinazioni d’uso;
- Che la non infondatezza della domanda di accertamento di conformità, su di cui il Comune deve pronunciarsi prima di poter disporre la demolizione, conclusivamente osta a che l’accoglimento del ricorso in epigrafe entri nel merito del comportamento dovuto dal Comune intimato quanto all’esecuzione dell’ordine di demolizione (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 18.09.2013 n. 8328 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACirca l’apposizione della sbarra di metallo all’accesso della strada di proprietà privata e la recinzione in muratura posta lungo il confine sud-ovest di delimitazione dell’area di pertinenza esclusiva del fabbricato da quella adibita a servitù di passaggio, si ritiene che tali interventi non siano sussumibili nella fattispecie di cui all’ art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, come sostituito dall’art. 5, co. 1, del D.L. 25.03.2010 n. 40, conv. in legge 22.05.2010 n. 73, ma costituiscano, piuttosto, attività assentibile mediante Scia ai sensi dell’art. 49, comma 4-bis, della legge 122/2010, la cui mancanza risulta sanzionata mediante l’applicazione delle misure previste dall’art. 37 del D.P.R. 380/2001.
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Con il provvedimento n. 9432 del 29.08.2012 il Comune di Maruggio ha rigettato la richiesta presentata dalla sig. ra Co.Ro. volta a ottenere il permesso di costruire in relazione agli “interventi eseguiti in assenza di Permesso di Costruire e per l’installazione di una sbarra in metallo di delimitazione accesso alla proprietà, nonché per la nuova realizzazione di una recinzione con relativi accessi” sulla base delle seguenti argomentazioni:
   - esaminato l’elaborato progettuale di rilievo del Piano terra con riferimento alla parte di copertura priva di tamponamento, già autorizzata con concessione edilizia in sanatoria n. 177/2001,
   - premesso che la stessa deve considerarsi come portico, vista la mancanza di una diversa e precisa indicazione di destinazione;
   - se è vero che l’art. 18 del Regolamento Edilizio Comunale vigente, recante norme per la misurazione delle altezze e dei volumi dei fabbricati, prescrive che nel calcolo del volume non vengano computati i portici, è anche vero che, nel caso in esame, gli interventi realizzati dall’istante hanno determinato un mutamento di destinazione d’uso da porticato-garage a cantina e lavanderia;
   - mediante la realizzazione di opere murarie aggiuntive, si è determinato un incremento della volumetria, non consentito nella zona “F4.2- Verde pubblico e attrezzature collettive” in cui l’immobile ricade, in quanto le norme tecniche di attuazione prescrivono che nelle aree a verde pubblico è consentita unicamente la creazione di impianti sportivi e per lo svago, di stazioni di servizio, campeggi, autoparcheggi, negozi, chioschi ed altri impianti similari di uso pubblico;.
   – la disposizione di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 380/2001, secondo cui non possono comunque ritenersi variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative, non trova applicazione al caso in esame in quanto i nuovi locali realizzati (cantina e lavanderia) non possono qualificarsi quali volumi tecnici;
   - l’apposizione della barra metallica all’ingresso della strada privata gravata da servitù di passaggio deve qualificarsi come “opera di recinzione” ai sensi dell’art. 49, comma 4-bis, della legge n. 122/2010 e deve considerarsi come intervento assentibile mediante Scia, la cui mancanza determina l’applicazione della sole sanzioni previste dall’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001;
   - negli stessi termini, la realizzazione della recinzione in muratura costituisce “opera di recinzione” assentibile mediante Scia, per la quale, così come per la sanatoria della sbarra metallica, dovrà pervenire all’Ufficio competente nuova e separata richiesta corredata da tutta la documentazione tecnica prevista dalla normativa vigente a firma di un tecnico abilitato.
Con un unico motivo di ricorso la ricorrente ha impugnato il provvedimento denunciandone l’illegittimità per eccesso di potere, violazione e/o falsa applicazione della legge e/o violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380/2001 e/eccesso di potere per difetto di motivazione e/o contraddittorietà ed illogicità, violazione del giusto procedimento e/o violazione del principio di legalità e buon andamento dell’attività amministrativa e/o irrazionalità ed illogicità dell’azione amministrativa e/o eccesso di potere ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto e/o illogicità dell’azione amministrativa.
Il provvedimento di diniego, infatti, sarebbe illegittimo in quanto, a detta di parte ricorrente:
   - la planimetria della concessione in sanatoria n. 177/2001 indicava la destinazione di utilizzo del porticato in piano garage;
   - gli artt. 136 e 137 del D.P.R. 380/2001 mantengono in vigore la legge 05.08.1978 n. 457 ad eccezione dell’art. 48;
   - il porticato è stato condonato come piano garage e non è, pertanto, applicabile l’art. 18 del Regolamento Edilizio Comunale di Maruggio;
   - l’art. 27 della citata legge non è applicabile al caso in esame per assenza dei piani di recupero;
   - la richiesta di costruire del 23.02.2012 riguarda interventi di ristrutturazione edilizia ammissibili di cui all’art. 31 della legge n. 457/1978, trasfuso nell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001;
   - l’art. 31 della legge n. 457/1978 prevede che sono ammissibili le opere necessarie per realizzare ed integrare servizi igienico-sanitari e tecnologici;
   - l’uso del porticato con destinazione garage è pienamente compatibile con l’uso a cantina e lavatoio, e che la cantina/lavanderia, integrando mere cubature accessorie, e non volumi tecnici,
   - la sbarra metallica, posta su una strada privata, così come la recinzione in muratura costituiscono un’attività libera per la quale non è richiesto alcun permesso di costruire e per le quali, in ogni modo, è fatta salvo, per il privato, richiedere al Comune il permesso di costruire, con conseguente obbligo dall’Amministrazione di accogliere siffatta richiesta.
I motivi di ricorso così proposti sono infondati.
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Per ciò che concerne, invece, l’apposizione della sbarra di metallo all’accesso della strada di proprietà privata e la recinzione in muratura posta lungo il confine sud-ovest di delimitazione dell’area di pertinenza esclusiva del fabbricato da quella adibita a servitù di passaggio, si ritiene che, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, tali interventi non siano sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, come sostituito dall’art. 5, co. 1, del D.L. 25.03.2010 n. 40, conv. in legge 22.05.2010 n. 73, ma costituiscano, piuttosto, attività assentibile mediante Scia ai sensi dell’art. 49, comma 4-bis, della legge 122/2010, la cui mancanza risulta sanzionata mediante l’applicazione delle misure previste dall’art. 37 del D.P.R. 380/2001 (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 27.08.2013 n. 1801 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una ringhiera protettiva e di una scala in ferro per consentire l’accesso ad un terrazzo costituiscono interventi per i quali non è richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire.
Infatti, tali opere seppure finalizzate a consentire l’utilizzo del solaio di copertura di un immobile non determinano una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come mere pertinenze, essendo preordinate ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente inserite al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile al quale accedono e, comunque, tale da non comportare un aumento del carico urbanistico.

Preliminarmente, il Tribunale ritiene di poter prescindere dalla richiesta, avanzata da parte resistente, di riunione del presente giudizio agli altri, originati da ulteriori ricorsi, avverso provvedimenti resi dal Comune di Ispani, in relazione all’immobile cui afferisce la scala in contestazione, e tanto perché il presente gravame può essere definito autonomamente dagli altri, concernenti la complessiva situazione dell’immobile di che trattasi.
Esso si presta, infatti, ad essere accolto, in virtù di aspetti, riguardanti la natura stessa dell’opera di cui è stata ingiunta, dal Comune, la demolizione (“installazione di una scala in ferro che si diparte dal piano di campagna per raggiungere il terrazzo posto al primo piano del fabbricato di proprietà della sig.ra Sansone”), quale risalta anche dall’esame della documentazione fotografica allegata al ricorso e la quale, per giurisprudenza pacifica (in disparte, quindi, ogni altra considerazione circa l’eventuale abusività dell’immobile, al cui servizio la medesima scala è destinata) non necessitava all’epoca, per il suo carattere pertinenziale, e non necessiterebbe del resto ancor oggi, di alcuna concessione edilizia (o permesso di costruire), onde illegittima si palesa l’adozione, da parte dell’Amministrazione Comunale di Ispani, della sanzione demolitoria.
E valga il vero: è costante in giurisprudenza la massima, secondo la quale: “La realizzazione di una ringhiera protettiva e di una scala in ferro per consentire l’accesso ad un terrazzo costituiscono interventi per i quali non è richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire; infatti, tali opere seppure finalizzate a consentire l’utilizzo del solaio di copertura di un immobile non determinano una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come mere pertinenze, essendo preordinate ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente inserite al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile al quale accedono e, comunque, tale da non comportare un aumento del carico urbanistico” (TAR Liguria–Genova, Sez. I, 11.07.2011, n. 1088; conformi: TAR Lazio–Latina, Sez. I, 07.05.2010, n. 740; TAR Campania–Napoli, Sez. VII, 27.05.2009, n. 2945).
Il ricorso va dunque accolto, in aderenza a tale orientamento diffuso in giurisprudenza, ed in accoglimento della corrispondente censura, laddove la richiesta di risarcimento del danno ingiusto, evidentemente subito, per asserzione dei ricorrenti, dall’adozione dell’ordinanza gravata, va respinta anzitutto (al di là d’ogni altra considerazione) per la sua assoluta genericità, tale da non consentirne, neppure in astratto, una positiva delibazione (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.07.2013 n. 1680 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa costante giurisprudenza ritiene necessaria la concessione edilizia solo per gli interventi che producano una significativa e stabile trasformazione urbanistica del territorio
Invece, non presenta tale carattere lo spandimento di materiale stabilizzante sul tracciato stradale, che deve invece essere ricondotto agli interventi di tipo manutentivo–conservativo rientranti nell'attività edilizia libera, non abbisognante di alcun titolo concessorio o autorizzatorio.
Parimenti, non risulta abusiva nemmeno l'installazione della sbarra in metallo, in quanto le recinzioni di fondi rustici realizzate senza interventi in muratura non sono espressione dello jus aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios che non necessitano di concessione edilizia.
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La ricorrente, insieme agli altri destinatari dei provvedimenti repressivi impugnati (non costituiti in giudizio), sono proprietari di fondi rustici con annessi fabbricati situati in C.C. Daone (pp.ff. nn. 2193/4 e 2193/1, 2201, 2210/2, 2210/08 e 2210/2, nonché 2450/1) asserviti da una vecchia strada che li attraversa, costeggiando il fiume Chiese, utilizzata anche dal Servizio Forestale della PAT per i necessari interventi di polizia idraulica.
Col ricorso in epigrafe la ricorrente espone che il Sindaco di Daone, con due distinti provvedimenti, ha ingiunto ad essa, congiuntamente agli altri proprietari, la rimessa in pristino dello stato dei luoghi sul presupposto che, come risulta dal sopralluogo effettuato in data 30.05.2012, la suddetta strada fosse stata oggetto di interventi abusivi consistenti nell'installazione di una sbarra in metallo all'ingresso e di riporto di materiale stabilizzato (ord. n. 22/12) e di ampliamento mediante realizzazione di un nuovo tratto, con modifica del tracciato preesistente (ord. n. 23/12) in assenza dei prescritti titoli edilizi.
...
A sostegno del presente ricorso viene dedotto:
  a) che non è stato comunicato l'avvio del procedimento, in violazione dell'art. 7 della l. n. 241 del 1990;
   b) che non vi sarebbe stato un sufficiente accertamento circa la consistenza quantitativa e/o qualitativa dell'abuso realizzato, concretandosi così il difetto di istruttoria e la violazione degli artt. 1, 3, 6 della l. n. 241/1990;
   c) che mancherebbero i presupposti di emanazione delle ordinanze gravate, stante il carattere non abusivo degli interventi realizzati che, in quanto di mero ripristino e non comportanti rilevante alterazione dello stato dei luoghi, non avrebbero abbisognato di titolo edilizio (terzo e quarto motivo di ricorso);
   d) che dette ordinanze sarebbero illegittime in quanto emanate in aperta lesione del legittimo affidamento che si sarebbe ingenerato nella ricorrente a fronte dell'inerzia e dei ritardi dell'amministrazione nell'accertare gli abusi, non colpiti dalle ord. nn. 64 e 71 del 2004, sebbene all'epoca già realizzati, e che comunque i provvedimenti gravati sarebbero privi della motivazione “rafforzata” necessaria, a detta della ricorrente, per perseguire abusi risalenti nel tempo, in violazione dell'art. 3 l. n. 241/1990 e del corrispondente art. 4 l. n. 23/1992;
   e) che sarebbe ravvisabile sviamento di potere nel fatto che la reiterata attività di vigilanza dell'Amministrazione sarebbe stata motivata, non dalle esigenze di repressione degli abusi edilizi ed urbanistici ma dall'intento di favorire la controinteressata, autrice della denuncia che ha determinato il sopralluogo del 30.05.2012.
...
Il terzo e quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
La ricorrente lamenta che le ordinanze censurate sarebbero state emanate sulla base dell'erroneo presupposto del carattere abusivo degli interventi ivi contestati, in quanto essi sarebbero stati realizzati in assenza dei prescritti titoli edilizi, in particolare della concessione per l'ampliamento della strada e della denuncia d'inizio attività per l'installazione della sbarra metallica e per il riporto di materiale stabilizzato.
Le censure avverso l'ord. n. 22/12, avente ad oggetto la realizzazione della sbarra e la stabilizzazione del terreno, sono fondate.
La costante giurisprudenza ritiene infatti necessaria la concessione edilizia solo per gli interventi che producano una significativa e stabile trasformazione urbanistica del territorio (cfr., ad es.: Cons. Stato, sez. V, n. 1922/2013).
Invece, non presenta tale carattere lo spandimento di materiale stabilizzante sul tracciato stradale, che deve invece essere ricondotto agli interventi di tipo manutentivo–conservativo rientranti nell'attività edilizia libera, non abbisognante di alcun titolo concessorio o autorizzatorio.
Parimenti, non risulta abusiva nemmeno l'installazione della sbarra in metallo, in quanto le recinzioni di fondi rustici realizzate senza interventi in muratura non sono espressione dello jus aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios che non necessitano di concessione edilizia (cfr., ibidem: Cons. Stato, sez. V, n. 1922/2013).
Conseguentemente, dovendosi escludere il carattere abusivo delle opere anzidette, l'ingiunzione risulta essere stata emessa in assenza dei presupposti previsti dalla legge: da ciò la sua illegittimità.
E' invece infondata la censura di erroneità dei presupposti mossa nei confronti dell'ord. n. 23/12, avente ad oggetto l'avvenuta modifica del tracciato stradale rispetto a quello originario. Detto intervento è certamente abusivo poiché non poteva essere realizzato, come invece è avvenuto, in assenza di titolo concessorio: non rientrano infatti nel quadro degli interventi di manutenzione, neppure straordinaria, i lavori stradali che comportino varianti al tracciato, ampliamento della carreggiata e, più in generale, modifica dello stato dei luoghi o di destinazione delle aree interessate.
Come detto, l'effettiva realizzazione di tale ampliamento ed il suo carattere abusivo sono possono essere rimessi in discussione essendo stati positivamente accertati dalle citate ordinanze di demolizione nn. 64 e 71 del 2004 ritenute legittime da questo Tribunale con la citata sentenza n. 26/2006, passata in giudicato (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 20.06.2013 n. 210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: L'installazione di un cancello, non comportando di norma la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non richiede il rilascio di una concessione edilizia ma di una semplice autorizzazione e pertanto è irrogabile -ove non sia stata previamente acquisita detta autorizzazione- la sola sanzione pecuniaria e giammai la misura della demolizione.
La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio, trattandosi di installazione precaria e rientrando tale opera tra le attività di mera manutenzione. Ne consegue che, non essendo necessario il previo rilascio della concessione edilizia, in caso di opera realizzata abusivamente non ne poteva essere intimata la demolizione, potendosi, al più, applicarsi la relativa misura sanzionatoria pecuniaria.

Quanto alla intervenuta realizzazione dei cancelli in ferro sia pedonali che sulla rampa del garage, in difetto del previo rilascio della concessione edilizia, si osserva che, per giurisprudenza consolidata in materia, l'installazione di un cancello, non comportando di norma la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non richiede il rilascio di una concessione edilizia ma di una semplice autorizzazione e pertanto è irrogabile -ove non sia stata previamente acquisita detta autorizzazione- la sola sanzione pecuniaria e giammai la misura della demolizione (TAR Lazio Roma, sez. II, 03.07.2007, n. 5968).
Ed infatti le opere di recinzione e di chiusura dell'area condominiale, mediante l'apposizione di un cancello elettrico scorrevole, sono soggette al regime dell'autorizzazione di cui all'art. 10 della l. n. 47 del 1985; di conseguenza, il Comune, per dette opere, ove non autorizzate, non può applicare la disciplina sanzionatoria prevista nel caso di opere eseguite in assenza di concessione ad edificare ovvero in totale o parziale difformità dalla medesima (Consiglio Stato, sez. V, 19.06.2003, n. 3652).
Per quanto attiene, poi, alle opere di recinzione dell’area condominiale valgono i principi di cui di seguito, tenuto conto che, dal tenore testuale dell’impugnata ordinanza, emerge come trattatasi di una recinzione realizzata in tubolari di ferro a pettine posta al di sopra di un muretto preesistente.
La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio (TAR Lazio Latina, sez. I, 03.09.2008, n. 1050).
Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio, trattandosi di installazione precaria e rientrando tale opera tra le attività di mera manutenzione (TAR Lazio Roma, sez. II, 05.11.2004, n. 12554).
Ne consegue che, non essendo necessario il previo rilascio della concessione edilizia, in caso di opera realizzata abusivamente non ne poteva essere intimata la demolizione, potendosi, al più, applicarsi la relativa misura sanzionatoria pecuniaria
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 11.09.2009 n. 8644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATA: Bellezze naturali e tutela paesaggistica.
Con riferimento a villino ad uso prevalentemente estivo sito in una località calda sottoposta a vincolo paesaggistico, la chiusura con inferriata di tre lati di un portico già murato sul quarto lato richiede la concessione edilizia (poiché il vano così ricavato in aggiunta a quelli preesistenti sicuramente si presta ad uso abitativo diurno, quanto meno nel periodo estivo) nonché l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale (posto che la posa in opera di pesanti cancellate non può non avere un considerevole impatto ambientale da valutarsi attentamente ad opera dell'autorità predetta (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.10.2000 n. 6776).