dossier CANCELLO, BARRIERA,
INFERRIATA, RINGHIERA in ferro - SBARRA/STANGA - NEW JERSEY |
anno 2023 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La sostituzione di una sbarra manuale, posta a
confine della lottizzazione, con una nuova sbarra di tipo
meccanico azionata tramite delle fotocellule e che si alza e
si abbassa automaticamente all’avvicinarsi di un pedone o
automezzo, per tipologia -sbarra metallica, infissa al
suolo- non necessita di alcun titolo abilitativo, essendo
riconducibile all’attività di manutenzione ordinaria, nonché
esplicazione del diritto di recinzione della proprietà
privata.
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Ricorso al Presidente della Repubblica proposto dal
Co.St.Co.Ba., in persona del legale
rappresentante pro tempore, contro il Comune di
Stintino per l’annullamento:
- della determinazione del Responsabile del Servizio Tecnico n.
37/2011 del 27.09.2011, notificata nella stessa data, di
diniego dell’autorizzazione edilizia di accertamento di
conformità per l’installazione di una barriera
elettromeccanica a braccio per passo carrabile, nonché di
tutti i provvedimenti presupposti, connessi e conseguenti.
...
4. Il ricorso è fondato e merita di essere accolto per le
seguenti ragioni.
5. Oggetto del presente giudizio è la sostituzione, avvenuta
nel 2009, di una sbarra manuale, posta a confine della
lottizzazione Punta Su Torrione realizzata in Stintino,
località Ridundadu, con una nuova sbarra di tipo meccanico
azionata tramite delle fotocellule e che si alza e si
abbassa automaticamente all’avvicinarsi di un pedone o
automezzo.
Dalla documentazione in atti, non contestata da parte
resistente, emerge che si tratta di un modello di sbarra che
funziona con un rilevatore di prossimità, consentendo a
chiunque la possibilità di accedere all’area, come previsto
dall’articolo 12 della Convenzione di lottizzazione che
grava tutte le strade, parcheggi e passaggi pedonali del
villaggio, con una servitù perpetua di uso pubblico per il
libero utilizzo della fascia costiera.
5.1. Dalla documentazione depositata da parte ricorrente si
evince, inoltre, che l'intervento ha avuto il parere
favorevole della Commissione paesaggio e della Commissione
edilizia (verbale n. 205 del 14.12.2009), che il Comune di
Stintino, con provvedimento n. 273 del 14.01.2010, ha dato
parere favorevole al mantenimento delle opere, che la
Soprintendenza, con nota prot. n. 5255 del 20.04.2010, ha
espresso parere favorevole alla compatibilità paesaggistica
e che la Regione Sardegna, con provvedimento prot. n. 153
del 2010, ha ritenuto assentito la compatibilità
paesaggistica, irrogando una sanzione pecuniaria.
5.2. Ritiene il Collegio che l’intervento edilizio in
questione, per tipologia -sbarra metallica, infissa al
suolo- non necessiti di alcun titolo abilitativo, essendo
riconducibile all’attività di manutenzione ordinaria, nonché
esplicazione del diritto di recinzione della proprietà
privata (Consiglio di Stato, VI, n. 436 del 2018; Consiglio
Stato, VI, n. 5513 del 2013).
5.3. Peraltro, nel provvedimento gravato non viene citata
nessuna normativa ostativa alla modifica di un dispositivo
già installato, modifica che non inibisce il libero accesso
di terzi al mare e agli spazi di uso pubblico del villaggio.
Infatti la sbarra, come modificata, alzandosi all’arrivo di
chiunque è conforme all’articolo 12 della Convenzione
operando un contemperamento tra l’interesse pubblico
dell’accesso al mare e l’interesse privato della tutela
della proprietà.
6. Alla luce delle predette considerazioni, la Sezione
esprime parere che il ricorso sia accolto e, per l’effetto,
sia annullata la determinazione del Responsabile del
Servizio Tecnico del Comune di Stintino n. 37 del 27.09.2011 (Consiglio
di Stato, Sez. I,
parere 07.11.2023 n. 1420 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi di edilizia libera – Regime giuridico delle
barriere new jersey (blocchi ostruttivi l’accesso
nelle strade) – Giurisprudenza – Art. 6, lett. e-bis, D.P.R.
n. 380/2001.
L’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies),
D.P.R. n. 380 del 2001, qualifica come interventi di
edilizia libera “le aree ludiche senza fini di lucro e gli
elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”,
pertanto, non rientrano le barriere denominate new jersey.
Dette barriere, essendo attrezzature di sicurezza modulare
realizzate, come nella specie, in cemento armato, sono
impiegate per ostruire od incanalare il flusso stradale, o
per circoscrivere momentaneamente un’area di cantiere oppure
utilizzate anche in situazioni di emergenza, e non
certamente quali elementi di arredo.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che
possono qualificarsi come “elementi di arredo”, con
riferimento in particolare ai manufatti accessori di
limitate dimensioni e non stabilmente infissi al suolo,
anche le installazioni esterne fisse, in muratura o
prefabbricate (quali fioriere, fontane ornamentali, forni
esterni in muratura o prefabbricati, gazebo), ma non quelle
–come le barriere new jersey di cui si discute– non
qualificabili come elementi di arredo urbano, ma come
semplici blocchi ostruttivi dell’accesso della strada, per
di più destinate a permanere su quell’area sine die.
Infatti, dette installazioni, non rispondono al requisito,
richiesto per la sottrazione al regime di controllo
edilizio, di precarietà strutturale e funzionale, così da
trasformarsi, di fatto, in beni immobili necessitanti di
permesso di costruire.
In conclusione dette opere sono realizzabili in regime di
edilizia libera, senza necessità del preventivo rilascio del
permesso di costruire, solo quando sono funzionali a
soddisfare esigenze contingenti e temporanee e destinate ad
essere immediatamente rimosse entro un termine non superiore
ai centottanta giorni (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.10.2023 n. 42243 - link a www.ambientediritto.it).
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SENTENZA
5. Tanto premesso, venendo all’analisi delle singole
questioni proposte dai ricorrenti, muovendo dal primo
motivo, privo di pregio è l’assunto difensivo secondo il
quale i tre manufatti contestati sarebbero sussumibili
nell’ambito di applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. e-quinquies), D.P.R. n. 380 del 2001, il quale qualifica come
interventi di edilizia libera “le aree ludiche senza fini di
lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici”.
Orbene, quand’anche si ritenesse di trovarsi in presenza di
un’area pertinenziale, come ritenuto dalla difesa,
discutibile sarebbe la sussunzione delle barriere in
questione, denominate new jersey, tra gli elementi di
arredo. Invero, dette barriere, essendo attrezzature di
sicurezza modulare realizzate, come nella specie, in cemento
armato, sono impiegate per ostruire od incanalare il flusso
stradale, o per circoscrivere momentaneamente un’area di
cantiere oppure utilizzate anche in situazioni di emergenza,
e non certamente quali elementi di arredo.
La difesa, a tal proposito, ha ritenuto che le opere
contestate trovino espressa collocazione nella Tabella A,
allegata al D.Lgs. n. 222 del 2016, alla voce 11.29
“Edilizia libera” ed ulteriore specificazione nel Glossario
dell’edilizia libera, approvato con D.M. del 02.03.2018, che,
ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 25.11.2016, n. 222,
contiene un elenco non esaustivo delle principali opere
eseguibili in detto regime.
In particolare, in
corrispondenza della categoria di interventi individuati
all’art. 6, lett. e-quinquies), D.Lgs. n. 380 del 2001, le
voci richiamate dai ricorrenti sono la n. 48 “Ripostiglio
per attrezzi, manufatto accessorio di limitate dimensioni e
non stabilmente infisso al suolo” e la n. 49 “Sbarra,
separatore, dissuasore e simili, stallo biciclette”.
Tuttavia, appare chiaro che le barriere new jersey,
impiegate nel caso di specie, non rientrano in nessuna delle
voci indicate, difettando il presupposto normativo che
avrebbe giustificato la loro sussunzione nella categoria
degli interventi di edilizia libera ex art. 6, lett.
e-quinquies), D.Lgs. n. 380 del 2001, ossia la loro
qualificazione di “elementi di arredo”.
5.1. Del resto, i manufatti contestati, diversamente da
quanto sostenuto dalla difesa, non sono assimilabili alle
fioriere, in quanto non dotate di vasi. Al contrario, essi
sono esclusivamente finalizzati ad ostruire l’accesso alla
strada.
Invero, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito
che possono qualificarsi come “elementi di arredo”, con
riferimento in particolare ai manufatti accessori di
limitate dimensioni e non stabilmente infissi al suolo (voce
48), anche le installazioni esterne fisse, in muratura o
prefabbricate (quali fioriere, fontane ornamentali, forni
esterni in muratura o prefabbricati, gazebo), ma non quelle
–come le barriere new jersey di cui si discute– non
qualificabili come elementi di arredo urbano, ma come
semplici blocchi ostruttivi dell’accesso della strada, perdi
più destinate a permanere su quell’area sine die, come del
resto dimostra la presentazione della CILA in sanatoria.
Infatti, dette installazioni, non rispondono al requisito,
richiesto per la sottrazione al regime di controllo
edilizio, di precarietà strutturale e funzionale, così da
trasformarsi, di fatto, in beni immobili necessitanti di
permesso di costruire (TAR Napoli, Campania, sez. VIII,
15.02.2018, n. 1041).
5.2. Peraltro, occorre chiarire che il D.M. Ministero
Infrastrutture 02.03.2018, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 07.04.2018, riporta il «glossario» relativo
alle opere edilizie realizzabili in regime di attività
edilizia libera «in fase di prima attuazione dell’art. 1,
comma 2, del decreto legislativo 25.11.2016, n. 222»,
il quale aveva previsto la formazione di un «glossario
unico, che contiene
l’elenco delle principali opere edilizie, con
l’individuazione della categoria di intervento a cui le
stesse appartengono e del conseguente regime giuridico a cui
sono sottoposte».
In particolare, per quanto di specifico
interesse in questa sede, il «glossario» prevede sì le voci
«manufatto accessorio di limitate dimensioni e non
stabilmente infisso al suolo» e «sbarra, separatore,
dissuasore e simili» come opere edilizie realizzabili in
regime di attività di edilizia libera, ma in riferimento
alla categoria di intervento di cui alla lett. e-bis)
dell’art. 6 D.P.R. n. 380 del 2001, la quale, ha riguardo
alle «opere dirette a soddisfare obiettive esigenze
contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse
al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non
superiore a centottanta giorni, previa comunicazione di
avvio lavori all’amministrazione comunale».
Sembra quindi
corretto concludere che dette opere sono realizzabili in
regime di edilizia libera, senza necessità del preventivo
rilascio del permesso di costruire, solo quando sono
funzionali a soddisfare esigenze contingenti e temporanee e
destinate ad essere immediatamente rimosse entro un termine
non superiore ai centottanta giorni.
5.3. Tanto premesso, proprio il richiamo da parte dei
ricorrenti all’art. 6, comma 1, lett. e-bis), D.P.R. n. 380
del 2001, porta a ritenere destituito di fondamento
l’argomento difensivo teso ad affermare il carattere
precario e temporaneo delle installazioni contestate, le
quali sarebbero state preordinate a soddisfare un’esigenza
contingente.
Orbene, l’assoluta impossibilità di sussumere
l’intervento edilizio in questione nella c.d. attività
edilizia libera ex art. 6, lett. e-bis, D.P.R. n. 380 del
2001, è stata correttamente rilevata da parte dei giudici di
appello che hanno, infatti, richiamato la costante e
consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale
l’intervento precario deve necessariamente possedere alcune
specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere
desunta dalla temporaneità della destinazione
soggettivamente data all’opera dall’utilizzatore; sono
irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali
impiegati e l’agevole amovibilità deve avere una intrinseca
destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini
specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere
destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione
dell’uso (Sez. 3, n. 38473 del 31/05/2019, Rv. 277837 – 01).
Tali principi, pienamente condivisi dal Collegio, sono stati
correttamente applicati nella sentenza impugnata. Invero, la
Corte territoriale ha riscontrato l’assenza delle condizioni
richieste dalla giurisprudenza di legittimità ai fini
dell’applicazione dell’istituto in commento, rilevando al
contrario, che le installazioni contestate avevano connotati
di stabilità e non certo di temporaneità o di transitorietà,
in considerazione delle caratteristiche tipologiche e
funzionali.
Infatti, è pacifico che le opere de quibus insistettero sul
posto per oltre cinque anni, né, allo stato, risultano
rimosse. Ancora, ha escluso la possibilità di ravvisare alla
base dell’intervento effettuato alcuna esigenza contingente,
atteso che i manufatti contestati sono stati realizzati al
fine di ostruire l’accesso alla Via Giuseppe Conversi;
“accesso che, ad onta delle allegate modeste dimensioni dei
manufatti stessi, fu sistematicamente interdetto su uno
degli accessi alla strada in questione, comunque di
incontestato utilizzo pubblico, in forza della collocazione,
duratura ed ininterrotta nel tempo, di tre barriere in
cemento armato con le modalità oggettivamente evincibili
dalle riproduzioni fotografiche rifuse in atti” (pagg. 19 e
20 sentenza di appello).
Infine, ulteriore conferma della correttezza dell’assunto
accusatorio si rinviene nella circostanza che, in data
20.07.2021, è stata presentata una CILA in sanatoria, cui è
seguito il provvedimento del Comune di inefficacia della
stessa, essendo stata richiesta, invece, la presentazione di
una richiesta di permesso di costruire in sanatoria.
5.4. Appare chiaro, pertanto, che non si tratta di opere
installabili in regime di attività edilizia libera, ma
necessitanti, proprio per la loro tendenziale stabilità e
finalizzazione al soddisfacimento di esigenze di carattere
non temporaneo ma definitivo, di un permesso di costruire,
in quanto stabilmente destinate ad alterare l’assetto
urbanistico dell’area in questione.
A fronte di tali
coerenti ed inequivocabili considerazioni, il ricorrente
ribadisce le medesime censure formulate con l’atto di
appello ed efficacemente confutate dai giudici di seconde
cure, riproponendo la inverosimile giustificazione della
temporanea destinazione dell’opera abusivamente realizzata
attraverso una personale lettura delle emergenze
processuali, non proponibile in questa sede di legittimità
ed una ancor più personale interpretazione della richiamata
giurisprudenza. |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza ha ritenuto che “La
realizzazione di una recinzione a protezione di dimensioni
limitate già prima dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 380
del 2001 era considerata quale opera di manifestazione dello
ius excludendi alios, insito nel diritto di proprietà e
comunque quale opera minore di carattere pertinenziale,
soggetta non a concessione edilizia (ora permesso di
costruire), bensì ad autorizzazione e, in assenza di quest'ultima,
a sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 10 della L.
28.02.1985, n. 47”.
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L’installazione di una sbarra metallica, infissa al suolo,
di modesta lunghezza, per la sua tipologia e per
l'irrilevanza dell'impatto non necessita di permesso di
costruire, essendo riconducibile all'attività di
manutenzione ordinaria ed esplicazione del diritto di lecita
recinzione della proprietà privata.
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Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con
istanza di sospensiva, proposto, con presentazione diretta,
ex art. 11 d.P.R. n. 1199/1971, da Comunione Villaggio delle
Mimose, contro il Comune di Sinnai, avverso l’ordinanza
3/2018 di demolizione di opere realizzate in assenza di
idoneo titolo edilizio;
...
Premesso:
1. - Con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica la
Comunione Villaggio delle Mimose ha chiesto l'annullamento,
previa sospensiva, dell'ordinanza n. 3/2018 del 10/05/2018
di demolizione della sbarra apposta all’inizio della
Comunione, in quanto realizzata in assenza di titolo
edilizio, emessa dal Responsabile del Settore Edilizia
Privata e SUAP del Comune di Sinnai unitamente alla nota
prot. n. 4742 del 20/08/2018.
Il ricorso è stato notificato a mezzo servizio postale il
07.09.2018 (data di spedizione) ed è stato ricevuto dal
Comune di Sinnai il 10.09.2018; è stato depositato
direttamente presso il Consiglio di Stato il 24.10.2018.
1.1 – La ricorrente ha esposto che, con deliberazione del Consiglio
Comunale di Sinnai n. 6 in data 13/03/1964, è stato
approvato il piano di lottizzazione denominato "Villaggio
delle Mimose", avente ad oggetto la realizzazione di
residenze con giardino, suddivise in sessanta lotti. Il
02/04/1964 sono state rilasciate le autorizzazioni edilizie
e, con deliberazione del Consiglio comunale n. 53 del
06/10/1964, è stato approvato un progetto di ampliamento.
È stata quindi costituita la Comunione "Villaggio delle
Mimose".
La ricorrente ha precisato che, sin dall'avvio dei lavori,
il libero ingresso era stato interdetto mediante una catena
metallica chiusa con lucchetto; tale catena è stata
sostituita nel 1981 da una sbarra, successivamente
automatizzata nel 1991.
1.2 - In data 10/05/2018, il Responsabile del Settore Edilizia
Privata e SUAP del Comune di Sinnai ha emesso l'impugnata
ordinanza di demolizione della sbarra apposta all'ingresso
della Comunione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 6
e 14 L.R. n. 23/1985.
1.3 - La Comunione ha impugnato tale provvedimento articolando
plurime doglianze proponendo anche l’istanza cautelare, poi
respinta da questa Sezione nell'adunanza del 20.02.2019.
1.4 - Con parere interlocutorio n. 1905/2019 sono stati disposti
incombenti istruttori.
1.5 - Il Ministero ha acquisito la relazione redatta dal Comune di
Sinnai nella quale sono state formulate le controdeduzioni
al ricorso.
In particolare, in tale relazione è stata sollevata
l’eccezione di improcedibilità del ricorso, tenuto conto
dell’avvenuta rimozione della sbarra (cfr. nota del
Presidente della Comunione in data 02.10.2018); il Comune ha
quindi sostenuto l’infondatezza dell’impugnativa.
2. - Il Ministero delle Infrastrutture ha condiviso il parere del
Comune di Sinnai ed ha concluso per la declaratoria di
improcedibilità del ricorso o per la sua infondatezza.
Considerato:
3. - Preliminarmente va respinta l’eccezione di improcedibilità del
ricorso, in quanto la rimozione della sbarra è stata
disposta in esecuzione del provvedimento impugnato, la cui
efficacia non è stata mai sospesa.
Peraltro, nelle proprie osservazioni in data 14/10/2021, la
ricorrente ha precisato di avere ancora interesse al
ricorso, ben potendo provvedere alla nuova installazione
della sbarra in caso di esito positivo dell’impugnazione; ha
inoltre sottolineato di aver interesse alla pronuncia anche
ai fini risarcitori.
4. - Con il primo motivo l’appellante ha lamentato
l’illegittimità del provvedimento di demolizione sostenendo
che l’intervento in questione non avrebbe richiesto alcun
titolo abilitativo, rientrando nel novero della c.d.
edilizia libera.
Non sarebbe stata necessaria neppure la SCIA; in ogni caso
la mancanza di SCIA avrebbe comportato l’applicazione della
sola sanzione pecuniaria.
Il provvedimento di demolizione, fondato sugli artt. 6 e 14
della L.R. n. 23/1985 sarebbe dunque illegittimo.
5. - Con il secondo motivo ha contestato gli
ulteriori presupposti sui quali si fonda il provvedimento
impugnato, sostenendo che erroneamente il Comune avrebbe
fondato l’ordine di rimozione ritenendo che sarebbe stata
collocata sulla strada vicinale “Figu Niedda”
laddove, invece, tale strada sarebbe stata inglobata nella
lottizzazione.
A questo proposito ha poi aggiunto che l’esercizio del
potere di autotutela possessoria sarebbe spettato al Sindaco
e non al dirigente comunale che aveva adottato l’atto.
6. - Il ricorso è fondato.
Il provvedimento impugnato è stato adottato dal dirigente
del settore edilizia privata e SUAP del Comune di Sinnai per
violazione della normativa recata dalla L.R. n. 23/1985 che
disciplina le “Sanzioni per interventi eseguiti in
assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con
variazioni essenziali”; il posizionamento della sbarra
non è un intervento soggetto al rilascio del permesso di
costruire sicché non può essere ordinata la sua demolizione.
6.1 - La giurisprudenza ha ritenuto che “La realizzazione
di una recinzione a protezione di dimensioni limitate già
prima dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001 era
considerata quale opera di manifestazione dello ius
excludendi alios, insito nel diritto di proprietà e comunque
quale opera minore di carattere pertinenziale, soggetta non
a concessione edilizia (ora permesso di costruire), bensì ad
autorizzazione e, in assenza di quest'ultima, a sanzione
pecuniaria, ai sensi dell'art. 10 della L. 28.02.1985, n. 47”
(Cons. Stato Sez. II, 20/03/2020, n. 1997).
L’installazione di una sbarra metallica, infissa al suolo,
di modesta lunghezza, per la sua tipologia e per
l'irrilevanza dell'impatto non necessita di permesso di
costruire, essendo riconducibile all'attività di
manutenzione ordinaria ed esplicazione del diritto di lecita
recinzione della proprietà privata (cfr. TAR Lombardia
Milano Sez. II, 16/07/2020, n. 1330; in termini, Cons.
Stato, Sez. VI, 07.08.2015, n. 3898 e TAR Umbria, Sez. I,
02.02.2017, n. 120; in tal senso, seppure obiter dictum,
Cons. Stato, Sez. VI, 23.01.2018, n. 436).
Ne consegue che il primo motivo deve essere accolto.
6.2 - Altrettanto fondato si appalesa il secondo motivo,
atteso che l’ordinanza di demolizione si fonda sulla
asserita violazione della normativa edilizia; il riferimento
all’impossibilità di accedere liberamente al villaggio da
parte delle forze dell’ordine, non può giustificare un
provvedimento di rimozione fondato sulla violazione della
disciplina edilizia (artt. 6 e 14 della L.R. Sardegna n.
23/1985) del tutto estranea alla dedotta problematica
relativa all’accesso degli organi di polizia e dei mezzi di
soccorso.
Peraltro, la ricorrente ha chiarito che non vi è stata
alcuna chiusura della preesistente strada vicinale, il che
implica la possibilità per la Comunione di delimitare
l’accesso al villaggio, di proprietà privata.
In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e va dunque
accolto (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 30.06.2022 n. 1111 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso
del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi
in cui un diritto cessa di ricevere tutela poiché esercitato al di fuori dei
limiti stabiliti dalla legge.
Il
permesso di costruire conseguito dalla ricorrente si appalesa ultroneo
rispetto alla natura minimale dell’intervento, atteso che “l'apposizione di
un cancello, funzionale alla delimitazione della proprietà, si inquadra tra
gli interventi di finitura di spazi esterni, per cui rientra fra le ipotesi
di edilizia libera, con la conseguenza che non risulta suscettibile di
incidere su valori paesaggistici protetti, salva l'esistenza di specifiche
prescrizioni particolarmente restrittive, nella specie non evocata”.
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Il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt.
1175,
1337,
1366 e
1375 c.c., alla luce
del parametro di solidarietà,
sancito dall'art. 2
della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come
criterio per valutare la condotta delle parti nell'ambito dei rapporti
obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e
ai poteri dei titolari di diritti, sia da un punto di vista sostanziale che
anche sul piano della loro tutela processuale.
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2.5. Non fondato è anche il mezzo formulato con l’atto recante motivi
aggiunti, e relativo alla pretesa illegittimità del titolo giusta la carenza
della autorizzazione sismica contemplata all’art. 94 del DPR 380/2001.
2.5.1. All’uopo, è sufficiente quivi il rilevare che:
- l’art. 94-bis, comma 1, lett. c), DPR 380/2001, definisce nei
termini di “privi di rilevanza” nei riguardi della pubblica
incolumità, le opere che “per loro caratteristiche intrinseche e per
destinazione d'uso, non costituiscono pericolo per la pubblica incolumità”;
- al comma 4 della ridetta norma, di poi, è testualmente dato
leggere che “fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo
all'intervento edilizio, e in deroga a quanto previsto all'articolo 94,
comma 1, le disposizioni di cui al comma 3 non si applicano per lavori
relativi ad interventi di "minore rilevanza" o "privi di rilevanza" di cui
al comma 1, lettera b) o lettera c)”.
2.5.2. In claris non fit interpretatio.
Le caratteristiche per vero minimali degli interventi che ne occupano
–cancello e cancelletto pedonale, posa in opera di recinzione in ferro su
muretti esistenti- sono agevolmente sussumibili nel paradigma normativo di
cui all’art. 94-bis, comma 1, lett. c), in quanto tali non costituenti
pericolo per la pubblica incolumità e, indi, non necessitanti della
autorizzazione sismica generalmente prescritta.
2.5.3. D’altra, sia detto per incidens, lo stesso permesso di
costruire conseguito dalla ricorrente si appalesa ultroneo rispetto alla
natura minimale dell’intervento, atteso che “l'apposizione di un
cancello, funzionale alla delimitazione della proprietà, si inquadra tra gli
interventi di finitura di spazi esterni, per cui rientra fra le ipotesi di
edilizia libera (Cons. Stato Sez. VI Sent., 02/01/2020, n. 34), con la
conseguenza che non risulta suscettibile di incidere su valori paesaggistici
protetti, salva l'esistenza di specifiche prescrizioni particolarmente
restrittive, nella specie non evocata (Cons. Stato, Sez.VI, 20/11/2013, n.
5513)” (CdS, VI, 13.05.2020, n. 3036).
2.6. Ne discende la infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti che, in
ogni caso, non sarebbero sfuggiti ad un giudizio di inammissibilità, sotto
un duplice profilo, id est:
- per carenza di interesse, giusta l’insegnamento reso dalla
Adunanza Plenaria (sentenza n. 22/2021) e da ultimo diffusamente rimarcato
da questo TAR (sentenza 10.01.2022, n. 151), atteso che dal complesso delle
allegazioni contenute negli scritti di parte ricorrente non è dato rinvenire
l’asserito nocumento inferto dalle opere de quibus alla sfera
giuridica di esse ricorrenti, che peraltro hanno ben chiesto ed ottenuto in
sede civile “possessoria” la declaratoria di cessazione della materia
del contendere –all’esito della eliminazione del cancelletto pedonale- in
tal guisa espressamente confirmando la natura pienamente satisfattiva, delle
proprie esigenze e ragioni, dello status quo, con la esistenza del cancello
automatizzato che quivi, di contro ed in guisa contraddittoria, si contesta;
trattasi, invero, di allegazioni e censure collidenti con lo stesso contegno
serbato in sede civile e smentite dal provvedimento giudiziale in quella
sede già intervenuto; talché, adoprando ed applicando alla fattispecie in
esame le categorie concettuali forgiate nella pronunzia n. 22/2021 della
Adunanza Plenaria sopra citata, e riprese dalla decisione n. 151/2022 di
questo TAR, a fronte di specifiche contestazioni circa la effettiva
concretezza ed attualità del lamentato pregiudizio derivante dagli
interventi edilizi de quibus:
i) non solo la ricorrente non ha adeguatamente
assolto all’onus probandi posto a suo carico;
ii) ma, di più e in via risolutiva, sono le
chiare emergenze documentali –ed i plurimi provvedimenti giudiziali già
intervenuti ex professo sulla vicenda- a smentire l’assunto di essa
parte ricorrente; in carenza di un concreto ed attuale nocumento, non è dato
rinvenire quale ragionevole utilitas possano ritrarre le ricorrenti
dalla invocata caducazione del titolo abilitativo, con la consequenziale
demolizione del cancello; ciò che vale a deprivare l’actio de qua agitur
di interesse, ovvero di legitimatio ad processum, id est
dell’altra condizione dell’azione, per la quale non basta in questo caso il
requisito della cd. vicinitas;
- perché concretante una actio emulativa, non essendo dato
rinvenire un concreto e meritevole interesse ad opporsi ad interventi
edilizi:
i) di lieve entità, inidonei ad alterare
sostanzialmente la conformazione strutturale dell’immobile;
ii) non mai incidenti sulla servitù di passaggio
vantata de iure, e pacificamente esercitata de facto dalle ricorrenti;
iii) di più, tali da preservare la sicurezza di
tutte le persone dimoranti nei fabbricati viciniori e, indi, financo di
arricchire la sfera giuridica di esse ricorrenti; né un effettivo interesse
“contrario” è stato puntualmente circostanziato e lumeggiato dalle
ricorrenti, al fine di poterne concretamente apprezzare la meritevolezza e
la ragionevolezza; gli obblighi di buona fede e correttezza che devono
sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto
giuridico si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) successiva
fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del
contatto inter partes; di talché, le iniziative processuali, la
meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno
disvelate e poste in rilievo anche in forza dell’apprezzamento degli
antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere
dalle parti, in sede procedimentale ovvero in altre e diverse sedi
giurisdizionali; la giurisprudenza (CdS, V, 27/03/2015, n. 1605; CdS, V,
27.04.2015, n. 2064; Cass., 07.05.2013, n. 10568; TAR Campania, VI,
22.12.2020, n. 6353; TAR Lazio, I, 09.09.2019, n. 10797; TAR Lombardia, I,
14.06.2019, n. 1376; TAR Lombardia, I, 19.11.2018, n. 2603) da tempo
riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di
divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale
rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché
esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge; il dovere di buona
fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla
luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e
dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la
condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come
canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di
diritti, sia da un punto di vista sostanziale che anche sul piano della loro
tutela processuale; di qui la non meritevolezza:
i) del dissenso manifestato
dalle ricorrenti in sede “sostanziale e procedimentale”;
ii) della conseguente
iniziativa processuale quivi intentata, che continua ad inverare anche in
sede giurisdizionale l’abusivo esercizio di un potere, come che privo di
oggettive ragioni giustificative, non essendo dato rinvenire la sostanziale
utilitas che alle ricorrenti sarebbe rivenuta dalla mancata
esecuzione in allora, ovvero che riverrebbe dalla demolizione ex post,
di un cancello che non lede il loro diritto di passaggio, né altera
sostanzialmente lo stato dei luoghi, e che anzi è preordinato a preservare e
tutelare le prerogative dominicali vantate sugli immobili insistenti
nell’area, ivi compresi quelli di titolarità di esse ricorrenti (cfr., sul
punto, anche le argomentazioni contenute in TAR Campania, VI, 22.12.2020, n.
6353, cit.) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 28.01.2022 n. 620 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Installazione
di una sbarra sollevabile in metallo: è
attività edilizia libera
oppure necessita di un titolo
abilitativo?
L’installazione di una sbarra sollevabile in metallo, delimitante il
confine dell’area di parcheggio
condominiale, non rappresenta un intervento
meramente manutentivo, non soggetto ad
autorizzazione edilizia, ma richiede la
presentazione di una previa s.c.i.a, ex art.
22 del D.P.R. n. 380 del 2001, e, in sua
assenza, implica l’assunzione di un’apposita
misura sanzionatoria a carattere pecuniario,
ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del
2001 e dell’art. 19, comma 1, della L.R. n.
15 del 2008.
---------------
Circa l'irrogazione di sanzione
amministrativa pecuniaria ex art. 37 del
D.P.R. n. 380 del 2001, trattasi di
provvedimento a carattere vincolato,
rigidamente ancorato a ben precisi
presupposti in fatto e diritto, non
richiedendosi motivazioni sulle ragioni di
ordine pubblico che impongono la sua
adozione, neanche qualora intervenga a
notevole distanza di tempo dalla
realizzazione dell’abuso, nonché a carattere
reale, applicandosi anche a carico di chi si
trovi allo stato, come il Condominio
ricorrente, in rapporto materiale con
l’opera.
---------------
Roma Capitale emetteva determina n. 1201 del
13.10.2020, indirizzata al Condominio di via
..., 56, recante irrogazione di sanzione
amministrativa pecuniaria di € 1.500,00, ex
art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001 e art.
19, comma 1, della L.R. n. 15 del 2008,
avente ad oggetto l’abusiva installazione in
loco di una sbarra sollevabile in metallo,
delimitante il confine dell’area di
parcheggio condominiale, in zona T3 del PRG.
Il Condominio predetto impugnava allora il
cennato provvedimento, censurandolo nullità,
per violazione degli artt. 3, 19 della Legge
n. 241 del 1990, del D.P.R. n. 380 del 2001.
Il ricorrente in particolare ha fatto
presente che la sanzione gli veniva
notificata incompleta e che era mancata la
comunicazione di avvio del procedimento; che
difettava una congrua motivazione; che
trattavasi poi di intervento di manutenzione
ordinaria su area privata, non necessitante
dunque di alcun previo titolo edilizio; che
la sbarra era stata apposta dal costruttore
in epoca risalente, che si era formato un
affidamento sulla legittima permanenza
dell’opera e che difettava l’evidenziazione
dell’interesse pubblico alla sanzione
dell’abuso.
Roma Capitale si costituiva in giudizio per
la reiezione del gravame, depositando
documentazione a supporto dell’assunto.
Nella camera di consiglio del 03.02.2021,
fissata per l’esame dell’istanza cautelare,
questo Tribunale, accertata la completezza
del contraddittorio e dell’istruttoria,
ricorrendone i presupposti ex art. 60 c.p.a.
e art. 25, comma 2, del D.L. n. 137 del 2020
(conv. in legge n. 176 del 2020), ha
trattenuto la causa per la decisione nel
merito.
Il ricorso appare destituito di fondamento e
dunque da respingere, per le assorbenti
ragioni di seguito esposte.
Invero è necessario evidenziare al riguardo
che l’installazione di una sbarra
sollevabile in metallo, delimitante il
confine dell’area di parcheggio
condominiale, non rappresenta un intervento
meramente manutentivo, non soggetto ad
autorizzazione edilizia, ma richiede la
presentazione di una previa s.c.i.a, ex art.
22 del D.P.R. n. 380 del 2001, e, in sua
assenza, implica l’assunzione di un’apposita
misura sanzionatoria a carattere pecuniario,
ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del
2001 e dell’art. 19, comma 1, della L.R. n.
15 del 2008 (cfr. TAR Puglia-Lecce, III, n.
1801 del 2013).
Occorre inoltre rilevare che trattasi di
provvedimento a carattere vincolato,
rigidamente ancorato a ben precisi
presupposti in fatto e diritto, pienamente
riscontrati nel caso di specie, non
richiedendosi motivazioni sulle ragioni di
ordine pubblico che impongono la sua
adozione, neanche qualora intervenga a
notevole distanza di tempo dalla
realizzazione dell’abuso, nonché a carattere
reale, applicandosi anche a carico di chi si
trovi allo stato, come il Condominio
ricorrente, in rapporto materiale con
l’opera (cfr. Cons. Stato, A.P., n. 9 del
2017).
Va altresì evidenziato che il provvedimento
de quo appare corredato da congrua e
adeguata motivazione, in fatto nel
descrivere l’abuso e in diritto con richiamo
nell’oggetto alle norme assunte violate (cfr.
doc. 2 al ricorso); che nessun rilievo può
assumere il fatto che l’opera sia collocata
in area privata, essendo la necessità del
titolo edilizio rapportata all’entità e alle
caratteristiche dell’intervento e non alla
sua collocazione su suolo pubblico piuttosto
che privato (arg. ex art. 35 del D.P.R. n.
380 del 2001).
Giova in ultimo segnalare, quanto
all’asserita incompleta notifica dell’atto
del 13.10.2020, che lo stesso è stato
impugnato integralmente, così come
depositato dal medesimo Condominio in
giudizio, e con ricorso rituale; che la
mancata comunicazione di avvio del
procedimento non conduce, per ciò solo, ex
art. 21-octies, comma 2 della Legge n. 241
del 1990, all’annullamento del predetto
atto, non potendo lo stesso avere, per
quanto su esposto, un contenuto diverso da
quello in concreto assunto (cfr., in ultimo,
TAR Lazio, II-bis, n. 1388 del 2021).
Ne consegue che il provvedimento impugnato
risulta esente dalle censure dedotte (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 05.05.2021 n. 5251 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Con specifico riguardo all’installazione di condizionatori climatici
all'esterno degli edifici, essa è stata considerata quale opera del tutto
minore e sostanzialmente libera, inidonea a ledere in modo apprezzabile
l'interesse paesaggistico né, tanto meno, quello urbanistico
ovvero, al più, quale opera di manutenzione straordinaria, dacché
finalizzata a integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, senza
incrementare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari né
modificare le destinazioni di uso, ossia, nell’uno e nell’altro
caso, a guisa di opera non sanzionabile in via demolitoria.
---------------
Quanto all’apposizione del cancello in ferro (rispetto alla quale
l’installazione del paravento in ferro-vetro rappresenta, all’evidenza,
quale mera sistemazione di arredo esterno, un quid minus), trattasi di
manufatto avente dimensioni contenute e infisso al suolo con elementi
minimali di ancoraggio.
Ebbene,
secondo gli arresti giurisprudenziali sanciti in subiecta materia, una
simile opera, in quanto volta, in base ad un rapporto pertinenziale tra cosa
accessoria e principale, ad assicurare il miglior uso, godimento e
funzionalità dell'immobile, ossia all'esercizio di una facoltà insita nel
diritto di proprietà, è da reputarsi insuscettibile di comportare una
trasformazione urbanistico-edilizia del territorio e, come tale, non
necessitante del preventivo rilascio del permesso di costruire né della SCIA
ex art. 23 del d.p.r. n. 380/2001, potendo, al più, annoverarsi tra i c.d.
interventi minori di cui al precedente art. 22, commi 1 e 2, né, ai sensi dell’art. 149
del d.lgs. n. 42/2004, del preventivo rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica.
---------------
9. Ad opposte conclusioni, favorevoli all’ordine di doglianze rubricato
retro, sub n. 3.a, occorre, invece, addivenire con riferimento alle
contestazioni sub n. 1, n. 3, n. 5 e n. 6 dell’ordinanza di demolizione n. 4
del 14.01.2019 («apposizione di n. 2 motori per impianto di
condizionamento ed un pannello solare sul piano coperture»; «apposizione
sulla zona di ingresso del terrazzo di una cancellata in ferro di circa m
3,70 x h 2,10»; «rivestimento della cupola emergente dal piano coperture con
l’apposizione di maioliche colorate»; «posa in opera sul terrazzo esterno di
n. 1 paravento in ferro-vetro di circa m 3,60 x h 2,30»).
Si tratta, all’evidenza, di opere che, per natura e consistenza, non
avrebbero potuto legittimamente sanzionarsi in via demolitoria.
In questo senso, occorre rimarcare che:
- la Tabella allegata al d.m. 02.03.2018 (recante l'elenco non esaustivo
delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia
libera, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 222/2016) qualifica
come attività edilizia libera l’installazione degli impianti di
climatizzazione (sub n. 22), dei pannelli solari (sub n. 42), delle
inferriate (sub n. 7), degli elementi divisori verticali, anche di tipo
ornamentale e similare (sub n. 51), nonché la riparazione, il rinnovamento,
la sostituzione del manto di copertura nel rispetto delle caratteristiche
tipologiche e dei materiali (comprese le opere correlate quali l’inserimento
di strati isolanti e coibenti) (sub n. 11);
- nel contempo, l’Allegato A al d.p.r. n. 31/2017 (“Regolamento recante
individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o
sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”) annovera tra gli
interventi ed opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione
paesaggistica:
-- le «installazioni di impianti tecnologici esterni a
servizio di singoli edifici non soggette ad alcun titolo abilitativo
edilizio, quali condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità
esterna, caldaie, parabole, antenne, purché effettuate su prospetti
secondari, o in spazi pertinenziali interni, o in posizioni comunque non
visibili dallo spazio pubblico, o purché si tratti di impianti integrati
nella configurazione esterna degli edifici, ed a condizione che tali
installazioni non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art.
136, comma 1, lettere a, b e c, limitatamente, per quest'ultima, agli
immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi
compresa l'edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o
nuclei storici» (lett. A.5);
-- la «installazione di pannelli solari
(termici o fotovoltaici) a servizio di singoli edifici, laddove posti su
coperture piane e in modo da non essere visibili dagli spazi pubblici
esterni; installazione di pannelli solari (termici o fotovoltaici) a
servizio di singoli edifici, purché integrati nella configurazione delle
coperture, o posti in aderenza ai tetti degli edifici con la stessa
inclinazione e lo stesso orientamento della falda degli edifici, ai sensi
dell’art. 7-bis del decreto legislativo 03.03.2011, n. 28, non ricadenti
fra quelli di cui all’art. 136, comma 1, lettere b) e c), del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42» (lett. A.6);
-- gli «interventi di
manutenzione, sostituzione o adeguamento di cancelli, recinzioni, muri di
cinta o di contenimento del terreno… eseguiti nel rispetto delle
caratteristiche morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti
che non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1,
lettere a, b e c limitatamente, per quest’ultima, agli immobili di interesse
storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia
rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici»
(lett. A.13);
-- gli «interventi sui prospetti o sulle coperture degli
edifici, purché eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore
vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti, quali:
rifacimento di intonaci, tinteggiature, rivestimenti esterni o manti di
copertura» (lett. A.2);
- con specifico riguardo all’installazione di condizionatori climatici
all'esterno degli edifici, essa è stata considerata quale opera del tutto
minore e sostanzialmente libera, inidonea a ledere in modo apprezzabile
l'interesse paesaggistico né, tanto meno, quello urbanistico (cfr. Cons.
Stato, parere n. 2602/2003; TAR Puglia, Bari, sez. III, ord. n. 847/2011)
ovvero, al più, quale opera di manutenzione straordinaria, dacché
finalizzata a integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, senza
incrementare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari né
modificare le destinazioni di uso (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4744/2008;
TAR Campania, Napoli, sez. IV, n. 2157/2011), ossia, nell’uno e nell’altro
caso, a guisa di opera non sanzionabile in via demolitoria (cfr. TAR
Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 901/2015);
- quanto, poi, all’apposizione del cancello in ferro (rispetto alla quale
l’installazione del paravento in ferro-vetro rappresenta, all’evidenza,
quale mera sistemazione di arredo esterno, un quid minus), alla luce delle
risultanze fotografiche e descrittive della relazione di sopralluogo prot.
n. 11755 del 01.10.2018, trattasi di manufatto avente dimensioni
contenute e infisso al suolo con elementi minimali di ancoraggio: ebbene,
secondo gli arresti giurisprudenziali sanciti in subiecta materia, una
simile opera, in quanto volta, in base ad un rapporto pertinenziale tra cosa
accessoria e principale, ad assicurare il miglior uso, godimento e
funzionalità dell'immobile, ossia all'esercizio di una facoltà insita nel
diritto di proprietà, è da reputarsi insuscettibile di comportare una
trasformazione urbanistico-edilizia del territorio e, come tale, non
necessitante del preventivo rilascio del permesso di costruire né della SCIA
ex art. 23 del d.p.r. n. 380/2001, potendo, al più, annoverarsi tra i c.d.
interventi minori di cui al precedente art. 22, commi 1 e 2 (cfr. TAR
Lombardia, Brescia, sez. I, n. 574/2011; TAR Campania, Napoli, sez. VI, n.
1113/2012; sez. II, n. 4572/2013; TAR Molise, Campobasso, n. 351/2013; TAR
Sardegna, Cagliari, sez. II, n. 555/2014; TAR Marche, Ancona, n. 706/2014;
TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, n. 270/2019), né, ai sensi dell’art. 149
del d.lgs. n. 42/2004, del preventivo rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 2600/2015);
- infine, il rivestimento della cupola sovrastante il piano secondo
sottostrada si caratterizza come mera rifinitura di una preesistente
copertura, riconducibile, perciò, se non all’orbita della manutenzione
ordinaria, di certo, a quella della manutenzione straordinaria (leggera),
subordinata a CILA ex art. 6-bis del d.p.r. n. 380/2001 (cfr. Sezione II,
Edilizia, sub n. 3 della Tabella allegata al d.lgs. n. 222/2016).
10. In conclusione, stante la ravvisata fondatezza dei soli profili di
censura scrutinati retro, sub n. 9, il ricorso in epigrafe va accolto
limitatamente ad essi, con conseguente annullamento dell’ordinanza di
demolizione n. 4 del 14.01.2019, nella parte in cui sanziona le opere
contestate sub n. 1, n. 3, n. 5 e n. 6 («apposizione di n. 2 motori per
impianto di condizionamento ed un pannello solare sul piano coperture»;
«apposizione sulla zona di ingresso del terrazzo di una cancellata in ferro
di circa m 3,70 x h 2,10»; «rivestimento della cupola emergente dal piano
coperture con l’apposizione di maioliche colorate»; «posa in opera sul
terrazzo esterno di n. 1 paravento in ferro-vetro di circa m 3,60 x h 2,30»)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.07.2020 n. 951 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Senza le opere visibili servitù di uso pubblico ko.
Si può installare senza permesso di costruire la sbarra metallica che chiude
il cortile. È attività di manutenzione ordinaria l'intervento garantito dal
diritto di lecita recinzione della proprietà privata. Niente servitù di uso
pubblico senza opere visibili destinate all'esercizio del parcheggio.
È quanto emerge dalla
sentenza
16.07.2020 n. 1330 della II Sez. del TAR Lombardia-Milano.
Entità e dimensioni
Accolto il ricorso proposto dalla società immobiliare che ha rilevato di
recente l'area di circa cento metri quadri alla quale si accede da una
strada privata: annullato l'ordine di demolizione del manufatto. E lo stop
al provvedimento non scatta soltanto perché l'azienda si è limitata a
sostituire la precedente sbarra ormai «ammalorata» con un prodotto più
avanzato dal punto di vista tecnologico.
Trova ingresso il motivo di ricorso secondo cui si tratta di un intervento
soggetto a mera denuncia di inizio attività e dunque il Comune si sarebbe
dovuto limitare a infliggere una sanzione pecuniaria alla società. In realtà
il titolo edilizio non è necessario perché il manufatto è di dimensioni
modeste e ha un impatto irrilevante sull'area: si tratta dunque di una di
quelle opere che «per la sua entità e tipologia deve ricondursi in quelli di
«manutenzione ordinaria».
Nessun segnale
L'installazione del congegno di chiusura all'ingresso del cortile, peraltro,
costituisce l'esplicazione del diritto di lecita recinzione della proprietà
privata: manca infatti la prova della costituzione di servitù di uso
pubblico e la società immobiliare ottiene l'annullamento che dispone il
ripristino dell'utilizzo pubblico dell'area a parcheggio.
E ciò perché non risulta dimostrata in giudizio l'esistenza di opere
visibili destinate a posteggio, come la segnaletica orizzontale e verticale
che delimita gli spazi di sosta per le auto. Spese di giudizio compensate,
il comune paga il contributo unificato alla società immobiliare
(articolo ItaliaOggi Sette del 24.08.2020).
---------------
SENTENZA
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce poi
l’illegittimità dell’ordine di demolizione della sbarra poiché, da un punto
di vista edilizio, l’intervento di apposizione di una sbarra metallica non
necessiterebbe del permesso di costruire; peraltro, la società Im.Pr. nel
2012 si sarebbe limitata a sostituire una precedente sbarra “ammalorata”,
con nuova sbarra tecnologicamente più avanzata; si tratterebbe quindi di un
intervento modesto, assoggettabile a DIA, in assenza della quale il Comune
avrebbe dovuto limitarsi a irrogare una sanzione pecuniaria.
Il motivo è fondato.
A prescindere dalla sostituzione operata, in ogni caso, l’intervento
edilizio in questione, per la sua tipologia e per l’irrilevanza dell’impatto
(trattasi di sbarra metallica, infissa al suolo, di modesta lunghezza) non
necessita di permesso di costruire, essendo riconducibile all’attività di
manutenzione ordinaria (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 07.08.2015,
n. 3898 e TAR Umbria, Sez. I, 02.02.2017, n. 120) ed esplicazione del
diritto di lecita recinzione della proprietà privata (cfr., in tal senso,
seppure obiter dictum, Cons. Stato, Sez. VI, 23.01.2018, n. 436); a quest’ultimo
proposito, si è già evidenziata la mancanza di prova della costituzione di
servitù di uso pubblico.
Alla luce di quanto sopra, l’ordine di demolizione della sbarra, impartito
sul presupposto dell’assenza di titolo edilizio per l’opera, è illegittimo e
deve essere annullato. |
EDILIZIA PRIVATA: L’intervento
edilizio in questione, per la sua tipologia e per l’irrilevanza dell’impatto
(trattasi di sbarra metallica, infissa al suolo, di modesta lunghezza) non
necessita di permesso di costruire, essendo riconducibile all’attività di
manutenzione ordinaria ed esplicazione del diritto di lecita recinzione
della proprietà privata.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento del 22.12.2015 del Direttore
dell’Area pianificazione recante diffida alla demolizione di sbarra
metallica e ripristino dell’uso pubblico del parcheggio esistente;
...
1. Con il ricorso in epigrafe, notificato in date 19/23.02.2016 e depositato
il successivo 8 marzo, Im.Pr. s.r.l. ha impugnato il provvedimento comunale
del 22.12.2015 con cui le venivano ingiunti (i) la demolizione di una sbarra
metallica, posta all’ingresso di un’area –identificata catastalmente al
foglio 21, mapp. 834– e (ii) il “ripristino dell’uso pubblico del
parcheggio esistente”.
...
1. Si è evidenziato in narrativa che il provvedimento di diffida oggetto di
impugnazione ha un duplice contenuto: demolizione del manufatto realizzato
senza titolo, da un lato, e ripristino dell’uso pubblico dell’area a
parcheggio, dall’altro lato.
Avverso ciascuno dei due ordini contenuti nel provvedimento è sviluppato un
motivo di ricorso, entrambi fondati.
2. Il primo motivo si rivolge avverso l’ordine di ripristino dell’uso
pubblico dell’area di parcheggio.
2.1. In particolare, la ricorrente deduce che il provvedimento impugnato è
imperniato sull’erroneo presupposto che l’area di cui al mappale 834 sia
soggetta a servitù di uso pubblico in forza della concessione edilizia n.
25/1991 e successiva variante.
2.2. Ebbene, dall’analisi del titolo edilizio non emerge tale asservimento,
limitandosi la concessione edilizia n. 25/1991 relativa ai mappali 107 e 108
(attualmente mappali 833 e 834) a prevedere la realizzazione di un “fabbricato
di civile abitazione” sull’attuale mappale 833 e di un “parcheggio di
servizio” sull’attuale mappale 834.
A ben vedere, è solo da un’interpretazione dell’art. 4 delle NTA del PRG
allora vigente che il Comune ricava l’asservimento all’uso pubblico
dell’area, per cui è a tale norma che deve farsi riferimento.
Per la zona in questione –“residenziale di completamento B1”–
l’art. 4 (Indici urbanistici e residenziali) delle NTA (cfr. doc. 5a del
Comune) prevedeva quale “Ps: 3 mq/ab e comunque un posto macchina/170 mq di
superficie lorda”, dove per “Ps”, ai sensi della medesima norma, si
intendeva un “parcheggio di servizio ad uso pubblico la cui area è
utilizzabile ai fini della realizzazione volumetrica”.
L’art. 38 delle NTA (cfr. doc. 5b del Comune) prevedeva poi (in conformità
alle norme civilistiche) la cessione gratuita dell’area o la costituzione di
servitù di uso pubblico.
2.3. Pacifico tra le parti che l’area non sia stata ceduta né detta servitù
sia stata costituita per contratto ai sensi dell’art. 1058 c.c., la difesa
comunale evidenzia allora che la costituzione sarebbe avvenuta “attraverso
la realizzazione di opere visibili”, ovverosia il parcheggio, e
l’utilizzo dello stesso, sin dai tempi della costruzione, dai proprietari
delle abitazioni del Condominio “Le Az.”, salvo che nel 2003/2004 (quando
veniva apposta la prima sbarra), nel 2009 (quando veniva occupata l’area per
esigenze di cantiere) e dal 2012 (quando veniva apposta l’ultima sbarra, qui
in contestazione).
Con ciò la difesa comunale lascia intendere, senza menzionare espressamente
l’istituto, che la servitù di uso pubblico sarebbe quindi stata acquisita
per usucapione ai sensi degli artt. 1031 e 1061 c.c.
2.4. In via incidentale, al fine di valutare in via principale la
legittimità dell’ordine di ripristino dell’uso pubblico dell’area, deve
dunque essere vagliata la tesi della difesa comunale, che è infondata.
Non è infatti stata fornita in giudizio prova:
(i) dell’esistenza di opere visibili e permanenti destinate
all’esercizio del parcheggio (ad esempio, con apposizione di segnaletica
orizzontale e verticale delimitante gli spazi a parcheggio),
(ii) né del fatto che le opere in questione fossero effettivamente
destinate all’uso pubblico e non solo a servizio dei proprietari del
Condominio “Le Az.” (in quest’ultimo caso si discuterebbe, in ipotesi, di
costituzione di servitù tra fondi privati, e non a uso pubblico), a maggior
ragione se si consideri che la strada di accesso alla particella 834
destinata a parcheggio è privata e non percorribile da chiunque,
(iii) né della data di inizio del possesso (conoscendosi solo la
data di rilascio della concessione edilizia nel 1991),
(iv) né del possesso ininterrotto per venti anni ai sensi dell’art.
1158 c.c., essendo invece pacifico che detto possesso veniva interrotto
almeno per tre volte, anche per significativi periodi di tempo, dal 1991
(data della concessione edilizia, ovviamente non coincidente con quella
della fine dei lavori) al 2012.
2.5. Da quanto sopra esposto, deriva l’accoglimento del primo motivo, con
annullamento del provvedimento comunale impugnato, nella parte in cui ordina
il ripristino dell’uso pubblico a parcheggio dell’area.
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce poi l’illegittimità
dell’ordine di demolizione della sbarra poiché, da un punto di vista
edilizio, l’intervento di apposizione di una sbarra metallica non
necessiterebbe del permesso di costruire; peraltro, la società Im.Pr. nel
2012 si sarebbe limitata a sostituire una precedente sbarra “ammalorata”,
con nuova sbarra tecnologicamente più avanzata; si tratterebbe quindi di un
intervento modesto, assoggettabile a DIA, in assenza della quale il Comune
avrebbe dovuto limitarsi a irrogare una sanzione pecuniaria.
Il motivo è fondato.
A prescindere dalla sostituzione operata, in ogni caso, l’intervento
edilizio in questione, per la sua tipologia e per l’irrilevanza dell’impatto
(trattasi di sbarra metallica, infissa al suolo, di modesta lunghezza) non
necessita di permesso di costruire, essendo riconducibile all’attività di
manutenzione ordinaria (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 07.08.2015,
n. 3898 e TAR Umbria, Sez. I, 02.02.2017, n. 120) ed esplicazione del
diritto di lecita recinzione della proprietà privata (cfr., in tal senso,
seppure obiter dictum, Cons. Stato, Sez. VI, 23.01.2018, n. 436); a
quest’ultimo proposito, si è già evidenziata la mancanza di prova della
costituzione di servitù di uso pubblico.
Alla luce di quanto sopra, l’ordine di demolizione della sbarra, impartito
sul presupposto dell’assenza di titolo edilizio per l’opera, è illegittimo e
deve essere annullato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.07.2020 n. 1330 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’apposizione di un cancello non comporta
trasformazione urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire
e “in
quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera
manutenzione ordinaria, esula dall’assoggettamento ad autorizzazione
paesaggistica in ossequio all’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, non potendosi
conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della
riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione".
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5. - Parte ricorrente contesta gli atti con cui il Comune di
Massa Lubrense ha sanzionato la realizzazione di opere
edilizie in assenza di titolo sull’immobile di sua
proprietà, sito in via ..., n. 28.
L’intervento contestato è descritto nel rapporto del Comando
di Polizia Municipale, prot. 11866 del 07.06.2014, che
costituisce parte integrante dell’ordinanza di ingiunzione
impugnata con il ricorso introduttivo del presente giudizio.
La Polizia Municipale ha rilevato la presenza delle seguenti
opere:
- “Manufatto allo stato rustico di non recente realizzazione, in
blocchi di lapilcemento con copertura in lamiere, adibito a
deposito agricolo (tale manufatto è oggetto della domanda di
condono edilizio prot. n. 29502 del 09.12.2004 con allegata
una fotografia riportante il fabbricato in oggetto);
- vecchia roulot allocata all’interno del fondo ed utilizzata quale
ricovero di attrezzi agricoli;
- varco carrabile di accesso al fondo, con cancello a due ante in
ferro (per tali lavori non risultano atti autorizzativi).”
Nell’ordinanza il Comune rileva che “l’intervento in
questione ha comportato la realizzazione di un organismo
edilizio con specifica rilevanza ed autonomamente
utilizzabile”.
6. - Il ricorso è fondato.
...
6.3. – Analogamente, trovano favorevole apprezzamento le doglianze riferite
all’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi del varco carrabile e
del cancello a due ante in ferro.
Il provvedimento gravato si limita a richiamare quanto rilevato dalla
polizia municipale circa l’esistenza di un varco carrabile di accesso al
fondo, con cancello a due ante in ferro, senza null’altro precisare circa le
relative caratteristiche.
Come chiarito dalla giurisprudenza di questo tribunale “l’apposizione di un
cancello non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia (TAR Marche,
08.07.2014 n. 706; TAR Emilia Romagna–Parma, Sez. I 13.03.2014 n.
81) tale da richiedere il rilascio del permesso di costruire (TAR Lazio–Latina, 26.10.2011 n. 840; TAR Molise, 30.05.2013 n. 351)” e “in
quanto attività edilizia libera o al più integrante intervento di mera
manutenzione ordinaria, esula dall’assoggettamento ad autorizzazione
paesaggistica in ossequio all’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, non potendosi
conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della
riduzione in pristino per la sua mancata previa acquisizione” (TAR
Napoli. Sez. III, sent. 2600 del 10.05.2015).
La genericità del riferimento all’intervento contestato (che, peraltro,
dalle foto versate in atti si desume connotato da limitata grandezza e da
essenzialità delle ante del cancello, nonché dalla non evidenza di
particolare pavimentazione del varco) non consente di discostarsi
dall’orientamento giurisprudenziale sopra menzionato
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 25.03.2020 n. 1252 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
posa di un "cancello".
L’apposizione di un cancello costituisce,
tradizionalmente, espressione della facoltà di godimento del proprietario e,
in particolare, dello jus escludendi alios connaturato a questo diritto,
cosicché anch’essa non necessita di un titolo abilitativo edilizio e non
sottostà al regime dell’autorizzazione paesaggistica.
Invero, “L'apposizione di un cancello non comporta trasformazione
urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di
costruire. Inoltre, in quanto attività edilizia libera o al più integrante
intervento di mera manutenzione ordinaria, esula dall'assoggettamento ad
autorizzazione paesaggistica in ossequio all'art. 149 del D.Lgs. n. 42 del
2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto,
la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa
acquisizione”.
Si può dunque pronunciare l’annullamento del provvedimento gravato
nella parte in cui, al punto 7, dispone il diniego di accertamento di
conformità per quest’opera.
---------------
5.3 Continuando l’esame della censura, va delibata quella inerente
all’apposizione di un cancello a chiusura della proprietà della ricorrente.
5.3.1 Come rilevato anche in precedenti di questa Sezione (cfr. TAR Campania-Salerno, Sez. II, 04/03/2019, n. 358; TAR Campania–Salerno, Sez. II, 13/11/2018, n. 1623; TAR Campania–Salerno, Sez. II,
31/08/2018, n. 1235) l’apposizione di un cancello costituisce,
tradizionalmente, espressione della facoltà di godimento del proprietario e,
in particolare, dello jus escludendi alios connaturato a questo diritto,
cosicché anch’essa non necessita di un titolo abilitativo edilizio e non
sottostà al regime dell’autorizzazione paesaggistica.
5.3.2 L’assunto è corroborato anche da altre decisioni del Giudice
Amministrativo.
Secondo quanto affermato dal TAR Campania-Napoli Sez. III, 11/05/2015,
n. 2600, “L'apposizione di un cancello non comporta trasformazione
urbanistica ed edilizia tale da richiedere il rilascio del permesso di
costruire. Inoltre, in quanto attività edilizia libera o al più integrante
intervento di mera manutenzione ordinaria, esula dall'assoggettamento ad
autorizzazione paesaggistica in ossequio all'art. 149 del D.Lgs. n. 42 del
2004, non potendosi conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto,
la sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata previa
acquisizione” (cfr., altresì, TAR Basilicata–Potenza, Sez. I,
31/05/2016, n. 575; TAR Umbria–Perugia, Sez. I, 11/06/2014, n. 307).
5.3.3 Si può dunque pronunciare l’annullamento del provvedimento gravato
nella parte in cui, al punto 7, dispone il diniego di accertamento di
conformità per quest’opera
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 25.06.2019 n. 1125 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'installazione
di una "ringhiera in ferro battuto in sostituzione di un parapetto in
pietra".
Non può accogliersi la doglianza prospettata che concerne l’installazione di una ringhiera in
ferro battuto in sostituzione di un parapetto in pietra.
L’opera infatti incide sul c.d. prospetto dell’edificio, poiché va a mutare
quella che è la sua conformazione estetica fruibile dall’esterno.
Un simile intervento, per poter essere effettuato, è soggetto a permesso di
costruire, ai sensi dell’art. 10, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001.
E’ legittimo dunque, in questo caso, il diniego opposto dal Comune e motivato in ragione dell’inedificabilità della zona in cui si
situa l’immobile, nella quale, in virtù del P.R.G. e del P.U.T., sono
possibili soltanto interventi di manutenzione ordinaria, di consolidamento
statico, di eliminazione delle barriere architettoniche e relativi
all’adeguamento funzionale degli alberghi e delle altre strutture ricettive,
nonché degli edifici adibiti alla produzione di beni e servizi, nei termini
strettamente necessari ad ottemperare a disposizioni di norme di legge
specifiche, mentre quello compiuto dalla ricorrente, in forza dell’art. 10,
lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, poc’anzi richiamato, è sussumibile
all’interno della categoria della ristrutturazione edilizia.
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5.4 Non può invece accogliersi la doglianza prospettata, relativamente al
punto 8) del provvedimento, che concerne l’installazione di una ringhiera in
ferro battuto in sostituzione di un parapetto in pietra.
L’opera infatti incide sul c.d. prospetto dell’edificio, poiché va a mutare
quella che è la sua conformazione estetica fruibile dall’esterno.
Un simile intervento, per poter essere effettuato, è soggetto a permesso di
costruire, ai sensi dell’art. 10, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001 (TAR
Calabria–Catanzaro, Sez. I, 26/01/2018, n. 244).
5.4.1 E’ legittimo dunque, in questo caso, il diniego opposto dal Comune di
Positano e motivato in ragione dell’inedificabilità della zona in cui si
situa l’immobile, nella quale, in virtù del P.R.G. e del P.U.T., sono
possibili soltanto interventi di manutenzione ordinaria, di consolidamento
statico, di eliminazione delle barriere architettoniche e relativi
all’adeguamento funzionale degli alberghi e delle altre strutture ricettive,
nonché degli edifici adibiti alla produzione di beni e servizi, nei termini
strettamente necessari ad ottemperare a disposizioni di norme di legge
specifiche, mentre quello compiuto dalla ricorrente, in forza dell’art. 10,
lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, poc’anzi richiamato, è sussumibile
all’interno della categoria della ristrutturazione edilizia
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 25.06.2019 n. 1125 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Paletti
anti-sosta, basta la Scia. Non serve il permesso di
costruire. Stop alle demolizioni. Lo
indica una sentenza del Tar Campania sui dissuasori per auto
e rifiuti in condominio.
Tornano a sperare i condomini assediati dalle auto e dal
deposito incontrollato di rifiuti. Non vanno abbattuti i
paletti anti-sosta e immondizia selvaggi perché la
demolizione è la sanzione che colpisce le opere realizzate
senza permesso di costruire, mentre per i dissuasori basta
la segnalazione certificata d'inizio attività.
È quanto emerge dalla
sentenza 05.03.2019 n. 1255, pubblicata dalla III
Sez. del TAR Campania-Napoli, che spezza una lancia per gli
edifici dei centri storici ostaggio di auto, moto e
immondizia.
Secondo la giurisprudenza amministrativa il comune non può
ignorare le richieste del condominio che vuole mettere un
divieto di sosta con dissuasori, tutelare con paletti il
passo carrabile o allargare il marciapiede all'ingresso del
comprensorio. Ma se l'immobile è di pregio niente paletti in
ferro. Senza dimenticare che l'amministrazione può far
rimuovere le opere abusive dal parcheggio condominiale anche
se la strada è chiusa da un lato.
Restano dove sono i paletti piantati dal condominio: sbaglia
l'ente locale a ordinarne la rimozione. Per i dissuasori
basta la semplice Scia perché contano soltanto natura e
dimensioni delle opere e dopo la posa dei manufatti l'area
resta accessibile a tutti, in primis ai pedoni, tranne che
alle macchine.
Il ricorso dell'ente di gestione contro il comune del
Napoletano è accolto perché l'installazione dei paletti
rientra nell'inserimento degli elementi accessori ex
articolo 3, lettera c), del Testo unico dell'edilizia:
l'unica sanzione che può scattare è quella pecuniaria di cui
all'articolo 37, comma primo, dello stesso dpr 308/2001. I
paletti «incriminati» dalla polizia municipale, in effetti,
sono alti soltanto un metro e hanno un diametro di dieci
centimetri per dieci: non si tratta di manufatti in grado di
incidere in modo permanente sull'assetto del territorio
perché possono essere facilmente rimossi.
D'altronde neppure l'amministrazione locale contesta che
facciano da dissuasori al parcheggio non autorizzato e
all'abbandono dei rifiuti. Né conta che l'area sia soggetta
a vincolo paesaggistico: l'ente locale non indica in modo
esplicito quale sarebbe l'incidenza negativa delle opere.
I precedenti.
Nuovo contraddittorio.
È illegittimo il
silenzio-inadempimento serbato dal comune sulla segnalazione
dei condomini che chiedono sia allargato il marciapiede
oppure installato un divieto di sosta con dissuasori: così
neppure riescono a entrare nel palazzo. Il parcheggio
selvaggio si trasforma in barriera architettonica e
l'amministrazione locale ha l'obbligo almeno di pronunciarsi
sull'istanza del condominio sulla base dei poteri che gli
derivano dal codice della strada sulla gestione della
circolazione stradale dei veicoli e dei pedoni in città.
È quanto emerge dalla sentenza 423/2018, pubblicata dalla I
Sez. del Tar Toscana.
Accolto il ricorso dell'ente di gestione e dei singoli
condomini: non giova al comune obiettare che nell'edificio
non risultano residenti che abbiano difficoltà motorie. Il
punto è che il condominio è certificato contro le barriere
architettoniche interne, ma risulta difficilmente
accessibile da fuori: a impedire il passaggio sul
marciapiede poco profondo sono le auto parcheggiate l'una a
ridosso dell'altra e i bauletti che sporgono dagli scooter.
Ed è dalle stesse relazioni depositate dall'amministrazione
che emerge come siano fondate le istanze del condominio. In
effetti gli uffici dell'ente stanno valutando l'allargamento
del marciapiede e l'installazione del divieto di sosta, ma
senza dissuasori. Su questo il giudice non può intervenire,
ma la scelta discrezionale che sarà adottata dall'ente dovrà
di nuovo essere vagliata nel contraddittorio.
Obbligo di manutenzione.
Il comune non può far finta di niente anche quando è il
passo carrabile dello stabile nella strada stretta a essere
schiavo del parcheggio selvaggio: deve rispondere entro un
mese all'istanza dei condomini che chiedono l'installazione
di paletti o di un divieto di sosta all'altezza del numero
civico in modo da poter entrare e uscire dal palazzo usando
anche loro l'auto. E se l'amministrazione non provvede in
tempo arriva il commissario indicato dal prefetto.
Lo stabilisce la sentenza 4280/2015, pubblicata dalla I Sez.
del Tar Campania.
La grana scoppia perché uno dei condomini in preda a una
colica non può uscire dal cancello con la macchina per
essere accompagnato al pronto soccorso. La polizia
municipale conferma: lo spazio di manovra davanti al passo
carrabile è troppo angusto anche a causa dei veicoli
parcheggiati sul marciapiede. E in caso di emergenza
un'ambulanza avrebbe difficoltà a intervenire in zona.
L'ente locale, dunque, non può rimanere inerte: ha un
preciso obbligo di vigilanza sulle strade e sulle relative
pertinenza in quanto proprietaria delle infrastrutture, ne
deve garantire «la destinazione pubblica e il pacifico
utilizzo da parte degli utenti».
Ed è lo stesso codice della strada a imporre al comune di
installare la segnaletica stradale a partire dal divieto di
sosta (articolo 37) e i paletti dissuasori autorizzati dal
ministero dei Trasporti da «utilizzare come impedimento
materiale alla sosta abusiva» dei veicoli (art. 42). Se
l'amministrazione locale non provvede, a rispondere
all'istanza dei cittadini sarà un funzionario dell'ufficio
territoriale del governo indicato dal prefetto.
Utilizzo legittimo.
Bisogna fare i conti anche con le Soprintendenze, però. Il
comune non può vietare al condominio di utilizzare il
cortile come parcheggio dei veicoli di proprietari e
inquilini anche se l'edificio in pieno centro storico
risulta sottoposto a vincolo dai Beni culturali. E ciò
perché lo stabile si trova in un'area che è «residenziale»
secondo il piano regolatore generale: la destinazione
indicata dalle norme di attuazione prg risulta estesa agli
spazi di pertinenza. L'ente di gestione, tuttavia, non può
delimitare l'area di sosta con paletti di ferro perché
rovinano l'acciottolato di pregio, come ha stabilito la
Soprintendenza.
È quanto emerge dalla sentenza 98/2019, pubblicata dalla II
Sez. del Tar Piemonte.
Il condominio fa annullare l'ordinanza del dirigente del
servizio edilizia che vieta di parcheggiare in cortile. Pesa
l'esposto di uno dei proprietari esclusivi che denuncia il
posteggio selvaggio sotto il suo balcone. L'amministrazione
minaccia di applicare sanzioni all'ente di gestione in caso
d'inottemperanza ex articolo 7-bis primo comma Tuel. In
realtà sono più di quarant'anni che le macchine vengono
parcheggiate in cortile con il permesso dell'assemblea:
l'impiego dell'area risulta legittimo in quanto costituisce
una delle possibili forme ordinarie utilizzazione dell'area
di pertinenza all'edificio residenziale.
Il condominio, comunque, deve provvedere a delimitare gli
spazi della sosta con elementi a terra come stalli o strisce
dipinte perché i paletti stop-auto sono incompatibili con il
decoro architettonico dell'edificio.
Apertura sufficiente.
Attenzione, infine, ai paletti in ferro nel parcheggio
condominiale. La rimozione ordinata dal comune scatta anche
se l'area su cui i dissuasori sono installati risulta
proprietà dell'edificio: ciò che conta è l'uso pubblico
della strada su cui affaccia il caseggiato, mentre il fatto
che la via sia chiusa da un lato non basta a renderla
privata.
È quanto emerge dalla sentenza 1224/2015, pubblicata dalla
II Sez. del Tar Sicilia.
Niente da fare, stavolta, per il condominio: deve
rassegnarsi a far sparire catene e lucchetti che blindano le
auto parcheggiate sotto il palazzo come ha ordinato il
servizio edilizia pubblica e privata del comune.
All'amministrazione non può disconoscersi il potere di far
abbattere le opere abusive. E i dissuasori messi a bordo
strada ostacolano il passaggio di eventuali mezzi di
soccorso.
È poi escluso che la strada dove sorge il fabbricato possa
davvero essere ritenuta privata: inutile eccepire il fatto
che la via sia chiusa da un lato e non metta in
comunicazione due pubbliche vie, risulta infatti sufficiente
che l'apertura da un lato consenta l'accesso da e per una
strada pubblica.
Affinché una strada possa rientrare nella categoria vicinale
pubblica è prevista una serie di requisiti, fra i quali il
passaggio esercitato a titolo di servitù da una collettività
di persone appartenenti a un gruppo territoriale. E il
diritto di uso pubblico può ben essere affermato solo perché
l'utilizzo si protrae da tempo (articolo
ItaliaOggi Sette del 18.03.2019).
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MASSIMA
Il ricorso è fondato alla stregua delle seguenti
considerazioni.
In primo luogo, diversamente da quanto sostiene parte
ricorrente l’intervento effettuato non
ricade tra le attività libere (indicate tra l’altro in modo
tassativo all’art. 6 del t.u. n. 380 del 2001, in deroga al
generale obbligo di munirsi di un titolo abilitativo per
eseguire interventi edilizi, ciò di cui occorre tenere conto
per una corretta lettura e interpretazione dello stesso art.
6), avendo riguardo da un lato alle tipologie delle
fattispecie liberalizzate e, dall’altro, all’entità
dell’opera posta in essere, che non corrisponde alla
descrizione delle attività di cui alle lettere c) e d) del
citato art. 6.
Tuttavia coglie nel segno il profilo di censura con cui
parte ricorrente ritiene che nel caso qui in esame non venga
in discussione un’ipotesi di trasformazione
edilizio–urbanistica, o di alterazione permanente
dell’assetto del territorio, o di nuova costruzione, tale da
esigere il previo rilascio del permesso di costruire ai
sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380
del 2001.
Deve invece ritenersi,
sulla falsariga di quanto affermato dal Giudice di appello
in una fattispecie del tutto simile a quella oggetto di
causa, che l’intervento ricada nel campo di
applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, in tema di
SCIA (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 16.07.2015, n. 3554).
Sulla questione, intuitivamente affine,
dell’assoggettamento, o meno, delle recinzioni, a permesso
di costruire, la giurisprudenza amministrativa di primo
grado, afferma che la valutazione sulla
necessità, o meno, del permesso di costruire, va compiuta in
base ai parametri della natura e delle dimensioni delle
opere, e della loro destinazione e funzione
(si vedano, tra le altre, TAR Campania, n. 3328/2013 e n.
1542/2012, TAR Lombardia, n. 6266/2009, TAR Lazio, n.
8644/2009, TAR Veneto, n. 1215/2011, TAR Calabria, n.
1299/2014, TAR Lombardia–Brescia, n. 118/2013 e altre),
sicché quando, ad esempio, vengono eseguite
opere in muratura e la recinzione non è facilmente
rimuovibile, l’intervento, essendo idoneo a incidere in modo
permanente sull’assetto edilizio del territorio, esige il
previo rilascio del permesso di costruire, ma a tal fine
occorre avere riguardo a tutte le opere realizzate nel loro
complesso.
Invero questa Sezione di recente ha ritenuto che: <<la
posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a
sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere
murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto
urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo
di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per
cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di
costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli
paesaggistici (cfr.
TAR Brescia, sez. II, 25/09/2018, n. 907; TAR Roma, sez. II,
04/09/2017, n. 9529; Cons. St., sez. IV, 15/12/2017, n.
5908)>> (cfr.
TAR Campania, Sez. III, 24.12.2018, n. 7333).
Ciò posto, l’intervento in argomento, alla
luce delle caratteristiche e delle dimensioni dello stesso
(10 paletti dell’altezza di mt. 1 ciascuno e diametro 10x10,
si vedano le foto prodotte in giudizio), ricade nel campo di
applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, cioè, tra
quelli realizzabili con il regime semplificato della d.i.a.,
la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la
demolizione, previste dall'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001
per l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di
costruire, o in totale difformità del medesimo ovvero con
variazioni essenziali, ma con l'applicazione della mera
sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per
l'esecuzione di interventi in assenza della prescritta
denuncia di inizio di attività.
In primo luogo, non è stata eseguita nessuna opera muraria
significativa. I paletti apposti, uniti al suolo mediante un
basamento di calcestruzzo assai sottile, risultano
distanziati tra loro in modo tale da consentire un facile
accesso pedonale all’area ed effettivamente sembrano
svolgere una funzione, non contestata dal Comune, di
dissuasori della sosta e dell’abbandono dei rifiuti. Viene
in rilievo, nel complesso, un’opera finalizzata a delimitare
la proprietà del condominio ricorrente (non si tratta
neppure di una recinzione, essendo l’area “tuttora
liberamente accessibile a tutti, salvo che alle autovetture”),
rimovibile in maniera tutt’altro che disagevole e, come
tale, inidonea a incidere sull’assetto edilizio del
territorio.
Non vi è poi alcun concreto elemento, a parte la generica e
immotivata asserzione del Comune resistente, di incidenza
negativa sul paesaggio nei termini di cui all’art. 146 del
d.lgs. n. 42/2004, come invece addotto nel gravato
provvedimento, laddove la limitata evidenza dell’intervento
avrebbe richiesto una più esplicita indicazione in tal
senso.
Poiché dunque la realizzazione dei paletti
per cui è causa doveva farsi rientrare nella fattispecie
dell’inserimento di elementi accessori di cui all’art. 3,
comma 1, lett. c), del t.u. n. 380 del 2001, ne consegue che
l’intervento eseguito in assenza di titolo ex art. 22 d.P.R.
n. 380/2001 porterebbe alla sanzione pecuniaria di cui
all’art. 37, co. 1 d.P.R. n. 380/2001.
In definitiva il ricorso deve essere accolto e l’ordinanza
impugnata conseguentemente deve essere annullata. |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il Comune legittimamente ordina la riduzione in
pristino ove individui la violazione edilizia rappresentata
dalla mancanza di un presupposto che deve essere presente
per l’ottenimento di qualunque titolo edilizio, compreso
quello che si forma secondo il meccanismo peculiare della
segnalazione certificata di inizio attività.
Nella specie, risulta, infatti, che –pur se il paletto
insiste nel terreno di proprietà degli appellanti– la sbarra
quando è aperta insiste, in questa parte, sul terreno di
proprietà comunale.
Così come un privato non può installare senza il consenso
del vicino una sbarra che –quando è aperta– incide
sull’altrui proprietà e sul libero passaggio, allo stesso
modo un privato non può installare senza il consenso del
Comune una sbarra che –quando è aperta– incide sul passaggio
della strada comunale.
Nella specie, l’Amministrazione –che non ha esercitato il
potere derivante dalla legge per rimuovere gli impedimenti
incidenti sul libero transito di una strada– ha
legittimamente esercitato il potere di natura edilizia,
avendo riscontrato che la sbarra in questione quando è
chiusa insiste su un terreno che non è di proprietà di chi
la ha installata.
---------------
Né si può ritenere che vi sia stato, nella fattispecie, un
esercizio illegittimo del potere comunale per perseguire
finalità di risoluzione di una controversia privata.
Infatti, da un lato l’accordo stipulato a suo tempo
tra amministrazione provinciale e gli appellanti prevedeva
solo gli aspetti del transito su quell’area e non anche la
possibilità di installare una sbarra e, dall’altro,
l’Amministrazione resta comunque titolare del potere-dovere
di far proseguire il transito di una strada, quando un
privato con le sue opere intenda alterare la relativa
situazione di fatto.
---------------
1.−I signori Gi. e Br. sono comproprietari di un immobile
sito in Sesta Godano, via ..., n. 12, censito al mappale
704. Esso confina con un immobile, adibito a magazzino ed
officina, censito al mappale 770, che un tempo era di
proprietà della Provincia di La Spezia e poi è stato
trasferito al Comune di Sesta Godano.
I signori sopra indicati hanno presentato, in data
14.04.2016, una segnalazione certificata di inizio attività
per la realizzazione di un «dissuasore di transito di
tipo girevole, costituito da un paletto di altezza pari a
metri 1,00 e sbarra girevole ortogonale».
Il Comune, con determinazione 19.11.2016, n. 37, ha rilevato
che «l’area interessata dalla realizzazione delle
predette opere, catastalmente individuata al foglio 42,
particella 770, è di proprietà del Comune di Sesta Godano e
che, in persona del Sindaco, ha chiarito nell’ambito della
corrispondenza intervenuta con le parti, la propria volontà
di non autorizzare il posizionamento della predetta sbarra».
Per le suddette ragioni, il Comune ha ordinato la
demolizione delle opere realizzate.
2.− Le parti hanno impugnato tale determinazione innanzi al
Tribunale amministrativo regionale per la Liguria,
prospettando plurimi motivi di illegittimità, riproposti in
sede di appello e riportati nei successivi punti.
3.− Il Tribunale amministrativo, con la sentenza 04.09.2017,
n. 712, ha rigettato il ricorso.
4.− I ricorrenti di primo grado hanno proposto appello ed
hanno chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, sia
accolto il ricorso di primo grado.
4.1.− Si è costituiti in giudizio il Comune di Sesta Godano,
chiedendo il rigetto dell’appello.
5.− La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica
del 03.05.2018.
6.− L’appello non è fondato.
7.− Con il primo ed il terzo motivo, si è
dedotta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in
cui non ha ravvisato l’illegittimità della determinazione
comunale derivante dal fatto che non si comprenderebbe quale
sarebbe la violazione edilizia commessa, atteso che l’opera
sarebbe stata realizzata su un’area di proprietà degli
appellanti.
Si deduce che il Comune avrebbe fatto una applicazione
distorta dei poteri repressivi in materia edilizia, per
perseguire finalità di risoluzione di una controversia
privata.
In particolare, si rileva che tra il precedente proprietario
dell’area, la Provincia di La Spezia, e gli odierni
proprietari era stato stipulato un accordo che prevedeva:
(i) la cessione gratuita da parte degli appellanti del diritto di
passaggio sulla contigua striscia di terreno del fondo del
mappale 704 di loro proprietà, al fine di ampliare l’accesso
dalla via ... per assicurare, al contempo, maggiore
sicurezza al traffico;
ii) l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione provinciale
agli appellanti di «apertura dell’accesso carrabile sul
mappale 770» e di contestuale «transito carraio sul
medesimo mappale».
Ritiene la Sezione che tali motivi non siano fondati.
Il Comune, con il provvedimento impugnato, ha chiaramente
individuato la violazione edilizia rappresentata dalla
mancanza di un presupposto che deve essere presente per
l’ottenimento di qualunque titolo edilizio, compreso quello
che si forma secondo il meccanismo peculiare della
segnalazione certificata di inizio attività.
Nella specie, risulta, infatti, che –pur se il paletto
insiste nel terreno di proprietà degli appellanti– la sbarra
quando è aperta insiste, in questa parte, sul terreno di
proprietà comunale.
Così come un privato non può installare senza il consenso
del vicino una sbarra che –quando è aperta– incide
sull’altrui proprietà e sul libero passaggio, allo stesso
modo un privato non può installare senza il consenso del
Comune una sbarra che –quando è aperta– incide sul passaggio
della strada comunale.
Nella specie, l’Amministrazione –che non ha esercitato il
potere derivante dalla legge per rimuovere gli impedimenti
incidenti sul libero transito di una strada– ha
legittimamente esercitato il potere di natura edilizia,
avendo riscontrato che la sbarra in questione quando è
chiusa insiste su un terreno che non è di proprietà di chi
la ha installata.
Né si può ritenere che vi sia stato un esercizio illegittimo
del potere per perseguire finalità di risoluzione di una
controversia privata.
Infatti, da un lato l’accordo stipulato a suo tempo
tra amministrazione provinciale e gli appellanti prevedeva
solo gli aspetti del transito su quell’area e non anche la
possibilità di installare una sbarra e, dall’altro,
l’Amministrazione resta comunque titolare del potere-dovere
di far proseguire il transito di una strada, quando un
privato con le sue opere intenda alterare la relativa
situazione di fatto (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.06.2018 n. 3454 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Quanto all'installazione della sbarra di legno su pilastrini,
il Collegio ritiene che tale intervento non
necessitasse di titolo autorizzatorio in quanto è stata realizzata senza interventi
in muratura e non costituisce espressione dello jus
aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios
che non necessita di titolo edilizio.
Il Collegio condivide, sul punto, l’impostazione
giurisprudenziale secondo cui la realizzazione della
recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in
presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di
materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni
dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale. Con la conseguenza che la
distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus
excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta
delle caratteristiche del manufatto.
Nella fattispecie la sbarra in questione si
presenta quale opera riconducibile al legittimo esercizio
dello ius excludendi alios, come tale non bisognevole d’un
titolo edilizio a proprio fondamento.
---------------
1. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato,
è impugnata l'ordinanza n. 6 del 18.02.2016 con la quale il
Comune di Alcamo ha ordinato la rimozione delle seguenti
opere, eseguite alla data del 06.03.2015, perché
realizzate senza l’autorizzazione di cui all’ art. 5 della l.r. 37/1985:
1. stradella ricoperta di materiale inerte di collegamento,
attraverso la spiaggia (arenile demaniale) tra la strada
comunale e il fabbricato insistente sul terreno in catasto
al fg. 1, p.lle 381 e 3 (in parte);
2. spiazzo antistante il predetto fabbricato, sulla spiaggia
(arenile demaniale);
3. barra di legno (longitudinale posta su due pilastrini)
che ostruisce l’accesso pedonale alla stradella di cui al
punto 1.
Trattasi di opere insistenti sull’aerea demaniale marittima
di mq 248 concessa con atto n. 520 del 16.12.2004, per mq 65
(spazio antistante in fabbricato) in uso esclusivo e per i
restanti mq 183 in uso non esclusivo.
Nella motivazione dell’atto è spiegato che:
- nella suddetta concessione demaniale non è previsto il
collocamento della sbarra di legno;
- ai sensi dell’art. 23 del R.E. per le opere realizzate era
necessario il titolo abilitativo;
- l’area di che trattasi ricade in Z.T.O. Fp6 nella quale
l’edilizia libera può concernere la realizzazione di strada
poderali con caratteristiche di ruralità, di cui sarebbe
priva l’opera in questione;
- la concessione demaniale n. 520 del 16.12.2004, all’art. 2,
obbligava il concessionario a richiedere al Comune il titolo
edilizio prima dell’inizio dei lavori.
Il sig. Si.Pi., in qualità di comproprietario, ne
chiede l’annullamento previa sospensione cautelare,
deducendone l’illegittimità per i motivi di violazione degli artt. 4, 5, 6, 7 e 9 della legge regionale n. 37/1985, degli artt. 31, 34 e 37 del D.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 23 del
regolamento edilizio, nonché per eccesso di potere e difetto
di motivazione, in quanto sia la stradella sia lo spiazzo
esisterebbero almeno dal 1968, come accertato in fatto dal
Tribunale di Trapani con la sentenza n. 47/2014 (relativa a
controversia tra proprietari, in cui il ricorrente era
parte) e di cui l’A.R.T.A. ha preso atto con la nota n. 44856
del 02.10.2014.
Le opere eseguite, quindi, sarebbero di mera manutenzione e
come tali rientranti nella tipologia dell’edilizia libera di
cui all’art. 6 della l.r. 37/1985 che, invero, riguarderebbe
anche le strade poderali e non solo quelle rurali; parimenti
non rileverebbe il fatto che le opere ricadono in zona Fp6
poiché l’area ricade nel demanio marittimo; non troverebbe
applicazione l’art. 23 del regolamento edilizio che
disciplina la costruzione di strade interpoderali
assoggettandola ad autorizzazione, poiché quella oggetto di
lite servirebbe soltanto l’abitazione del ricorrente.
Quanto alla sbarra in legno, si sostiene che la sua
collocazione –comunque da ricondurre alla fattispecie
dell’edilizia libera di cui all’art. 6 della l.r. 37/1985-
sarebbe stata autorizzata dall’A.R.T.A. con la concessione
demaniale marittima n. 520/2014 oltre che imposta dallo
stesso assessorato con la nota n. 23634/2014 (1° motivo).
Trattandosi di opere soggette a autorizzazione l’unica
sanzione applicabile sarebbe quella pecuniaria e comunque la
demolizione non sarebbe attuabile per la stradella,
esistente ab immemorabile (2° motivo).
Lamenta anche la violazione delle norme sulla partecipazione
procedimentale di cui alla legge 241 del 1990 a causa
dell’omessa valutazione delle controdeduzioni presentate e
il difetto di istruttoria e di motivazione (3° motivo).
Con l’ordinanza collegiale n. 759 del 04.07.2016, è stata
accolta la domanda di sospensione cautelare dell'esecuzione
del provvedimento impugnato.
Il Comune di Alcamo si è costituito in giudizio con memoria,
il 10.05.2017, controdeducendo che ai sensi dell’art. 74
(“Fp6 zona delle dune e della spiaggia”) delle N.T.A.
del P.R.G. –che espressamente disciplina sia le aree
private, sia le aere demaniali- nella zona Fp6 non sono
ammesse opere stabili come la sbarra sorretta da pilastrini,
né la copertura di un sentiero naturale in terra battuta con
misto granulometrico calcareo in quanto “nella zona Fp6 sono
consentiti soltanto interventi con applicazione di tecniche
naturalistiche volti a ristabilire l’equilibrio delle dune e
dello specifico habitat dunale.
Nella spiaggia lungo il litorale sono ammesse solo attività
per la diretta fruizione del mare che non comportino
installazioni o impianti stabili, al fine di garantire
l’azione eolica di ripascimento delle dune.
Nelle aeree di proprietà privata ricadenti in zona Fp6 sono
ammesse destinazioni d’uso relative a giardini e verde
privato, purché compatibili con le finalità e gli interventi
della zona Fp6”.
...
Quanto all'installazione della sbarra di legno su pilastrini,
il Collegio, invece, ritiene che tale intervento non
necessitasse di titolo autorizzatorio –prescindendosi in
questa sede dagli aspetti connessi alle limitazioni
all’accesso alla spiaggia da parte del pubblico discendenti
dalla concessione demaniale marittima che non sono oggetto
del giudizio- in quanto è stata realizzata senza interventi
in muratura e non costituisce espressione dello jus
aedificandi, bensì del diverso jus excludendi omnes alios
che non necessita di titolo edilizio.
Il Collegio condivide, sul punto, l’impostazione
giurisprudenziale secondo cui la realizzazione della
recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in
presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di
materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni
dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione
ambientale, estetica e funzionale. Con la conseguenza che la
distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello
jus
excludendi alios va rintracciata nella verifica concreta
delle caratteristiche del manufatto (cfr. TAR Lombardia,
Milano, II, 05/06/2013, n. 1460; Cons. di Stato, Sez. V,
09/04/2013, n. 1922; Cons. St., Sez. V, 23/02/2012, n. 976).
Nella fattispecie la sbarra in questione -così come
descritta nell’atto impugnato, negli atti istruttori ed
evincibile dal materiale fotografico versato in atti- si
presenta quale opera riconducibile al legittimo esercizio
dello ius excludendi alios, come tale non bisognevole d’un
titolo edilizio a proprio fondamento.
In parte qua, dunque, l’atto impugnato è illegittimo
e va annullato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 28.11.2017 n. 2758 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
caratteristiche proprie della copertura di cui si tratta
costituiscono una conferma che quest’ultima ha le funzioni e
la destinazione propria di una vera e propria terrazza,
funzioni queste ultime del tutto differenti da quelle che
contraddistinguono un lastrico solare, destinato
com’è a costituire esclusivamente un tetto, privo
un’utilizzazione da parte dei dimoranti nell’immobile.
---------------
In presenza di un utilizzo protratto della copertura come
terrazzo, l’avvenuta realizzazione di una ringhiera
protettiva costituisce un intervento per il quale non è
richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire.
Infatti, tali opere seppure finalizzate a consentire
l'utilizzo del solaio di copertura di un immobile non
determinano una significativa trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come
mere pertinenze, essendo preordinate ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale, funzionalmente inserite
al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di
mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non
consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile al quale accedono e, comunque, tale
da non comportare un aumento del carico urbanistico.
---------------
2.2 Altrettanto legittima è la realizzazione del terrazzo.
2.3 Sul punto è necessario premettere che i coniugi Ni.
hanno ottenuto la sanatoria, con provvedimento del nr.
75/88, di un bagno con ripostiglio in ampliamento sulla
corte posta sul retro dell’edificio di loro proprietà.
2.4 Parte ricorrente afferma di aver collocato delle
ringhiere sul lastrico solare riferito ai manufatti oggetto
di sanatoria e, ciò, in considerazione del fatto che lo
stesso lastrico solare sarebbe stato da sempre utilizzato
come terrazzo, pertinente all’abitazione.
2.5 Le affermazioni dei ricorrenti risultano confermate dai
documenti allegati al ricorso, nell’ambito dei quali è
possibile evincere che la copertura sovrastante gli ambienti
condonati si trova a livello delle porte finestre di un
locale adibito a “sala”, esplicando così le funzioni
tipiche di una terrazza o di un balcone prospiciente le
aperture della stessa unità abitativa.
Detta circostanza, desumibile dalla documentazione
fotografica, unitamente alle caratteristiche proprie della
copertura di cui si tratta, costituisce una conferma che
quest’ultima ha le funzioni e la destinazione propria di una
vera e propria terrazza, funzioni queste ultime del tutto
differenti da quelle che contraddistinguono un lastrico
solare, destinato com’è a costituire esclusivamente un
tetto, privo un’utilizzazione da parte dei dimoranti
nell’immobile (sulla diversità di funzioni tra lastrico e
terrazza si veda anche TAR Sicilia Catania Sez. I,
10/11/2008, n. 2068).
2.6 In presenza di un utilizzo protratto della copertura
come terrazzo, non assume carattere dirimente nemmeno
l’avvenuta installazione delle ringhiere da parte dei
ricorrenti e, ciò, considerando che secondo un costante
orientamento giurisprudenziale l’avvenuta realizzazione di
una ringhiera protettiva costituisce un intervento per il
quale non è richiesto il preventivo rilascio del permesso di
costruire; “infatti, tali opere seppure finalizzate a
consentire l'utilizzo del solaio di copertura di un immobile
non determinano una significativa trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come
mere pertinenze, essendo preordinate ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale, funzionalmente inserite
al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di
mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non
consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile al quale accedono e, comunque, tale
da non comportare un aumento del carico urbanistico (TAR
Campania Salerno Sez. II, 27.06.2014, n. 1139)”.
Le censure di cui al secondo e al terzo motivo sono,
pertanto, fondate
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 13.06.2017 n. 824 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’installazione di una sbarra
metallica a delimitazione della proprietà privata è
intervento che, “per la sua entità e tipologia, deve
ricondursi in quelli di <<manutenzione ordinaria>>
per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo”.
---------------
1. Con atto di ricorso ritualmente notificato e
depositato, il sig. Ev.Pe. ha adito l’intestato
Tribunale per chiedere l’annullamento del
provvedimento, meglio in epigrafe specificato, con
il quale gli è stata ordinata al ricorrente predetto
la rimozione di due cartelli di segnalazione di
proprietà privata posti su due alberi e di una
sbarra in ferro installati su strada vicinale
privata, in quanto ritenuti abusivi per mancanza dei
necessari titoli abilitativi.
...
2. Con il primo motivo, parte ricorrente
lamenta che il provvedimento impugnato sarebbe
illegittimo per carenza di motivazione e
contraddittorietà dell’istruttoria condotta
dall’amministrazione comunale, in quanto le opere di
cui è stata ordinata la demolizione sarebbero state
realizzate prima del 1954, ossia prima
dell’apposizione vincolo paesaggistico asseritamente
violato.
2.1. Il motivo è fondato.
2.2. Dalla documentazione versata in atti e, in
particolare, dalla relazione prodotta dall’Ufficio
Servizi Operativi del Comune resistente (cfr., nota
del 28.05.2015, prot. n. 28/2015 U.S.O) -peraltro
non citata nelle premesse del provvedimento
impugnato- risulta infatti che la strada in
argomento, “è chiusa con una sbarra da tempo
immemorabile” ed appare “utilizzata
esclusivamente ad uso privato”.
2.3. Ciò conduce a ritenere inattendibile
l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato
secondo cui “la strada era libera da impedimenti
al libero transito almeno dall’inizio degli anni 80”,
trattandosi peraltro di determinazione alla quale
l’amministrazione è giunta sulla scorta “di
sommarie informazioni acquisite da tre persone”
(cfr., verbale di polizia municipale in data
11.09.2015), che sul punto risultano contraddette da
dichiarazioni prodotte da altri soggetti,
concludenti, al contrario, per la presenza della
sbarra in contestazione fin “dagli inizi degli
anni 50” (cfr., dichiarazione di cui al doc. n.
6 di parte ricorrente, acquisita agli atti del
Comune di Assisi in data 03.02.2015).
2.4. Deve pertanto confermarsi, ad avviso del
Collegio, la sussistenza del dedotto vizio di
contraddittorietà dell’istruttoria, risultando
invero inequivocabile la mancata ponderazione di
tutte le risultanze probatorie istruttorie in
possesso dell’amministrazione resistente, la quale
ha trascurato di verificare mediante accertamenti
attendibili e non contradditori, in merito
all’apposizione della sbarra in questione nonché dei
relativi cartelli di segnalazione di proprietà
privata, dopo l’apposizione del vincolo
paesaggistico del quale è stata contestata la
violazione.
2.5. Occorre peraltro aggiungere che, a prescindere
dal menzionato vincolo paesaggistico,
l’installazione di una sbarra metallica a
delimitazione della proprietà privata è intervento
che, “per la sua entità e tipologia, deve
ricondursi in quelli di <<manutenzione ordinaria>>
per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo”
(cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI,
20.11.2013, 5513, idem, sez. VI, 07.08.2015, n.
3898), per il che risulta parimenti sconfessata,
sotto questo ulteriore profilo, la dedotta assenza
dei necessari titoli abilitativi, anche con
riferimento alla asserita sostituzione della sbarra
stessa (TAR Umbria,
sentenza 02.02.2017 n. 120 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
rimozione di una sbarra in ferro di mt. 4,80 circa x
m. 1,00 di altezza, posta all'ingresso della strada.
In punto di diritto il Collegio non ha rinvenuto
significativi precedenti giurisprudenziali
specificamente inerenti alla tipologia di opera in
questione e ben conosce quella giurisprudenza
secondo cui un intervento quale l’installazione di
un cancello non costituisce un abuso edilizio
soggetto a demolizione, trattandosi di un intervento
non subordinato al preventivo rilascio del permesso
di costruire.
Ed ancora che la sostituzione di un cancello non
comporta trasformazione urbanistica ed edilizia tale
da richiedere il rilascio del permesso di costruire,
in quanto attività edilizia libera o al più
integrante intervento di mera manutenzione
ordinaria.
Il Collegio rileva come un altro orientamento
giurisprudenziale dia rilevanza urbanistica, seppure
a fini paesaggistici, all’installazione ex novo di
un cancello in ferro (a differenza della mera
sostituzione), stante la sua idoneità a produrre una
sensibile alterazione dello stato dei luoghi e
conseguente trasformazione edilizia.
Ritiene, in ogni caso, il medesimo Collegio che la
realizzazione di un’opera come quella in questione,
consistente nell’istallazione di una sbarra di
ferro, con relativo basamento nel terreno, fissa e
lunga mt. 4,80, a chiusura di una strada,
richiedesse il permesso di costruire, incidendo in
modo permanente e non precario sull'assetto edilizio
del territorio.
Ciò anche in considerazione della tipologia di
intervento, diversa rispetto alla posa in opera di
un cancello in sostituzione, che comporta una
rilevanza ben maggiore di impatto sul territorio,
avendo a oggetto un’opera avente carattere di
stabilità e volta ad interdire, in maniera
permanente, la percorrenza di una via.
---------------
FATTO
Il Comune di Mondragone, con Disposizione
Dirigenziale n. 14/2011, ordinava alla parte
ricorrente la rimozione di una sbarra in ferro di
mt. 4,80 circa x m. 1,00 di altezza, posta
all'ingresso della via De Amicis.
Motivava l’ordine ripristinatorio sulla base della
circostanza che la sbarra in questione sarebbe stata
installata abusivamente.
Le parti ricorrenti, con ricorso notificato il
23.11.2011, hanno impugnato la suindicata ordinanza,
nonché ogni altro atto preordinato, connesso o
consequenziale, chiedendone l’annullamento, previa
sospensione, in quanto l’ordine di demolizione
sarebbe stato adottato sul presupposto non veritiero
che la strada di fatto interrotta con la sbarra
metallica risulterebbe essere pubblica o di uso
pubblico.
In realtà, asseriscono i ricorrenti, si tratterebbe
di una strada privata non interessata da alcun
diritto di uso pubblico. Inoltre, dal punto di vista
del titolo abilitativo edilizio, l’edificazione
dell’opera in questione non avrebbe necessitato del
rilascio di un permesso di costruire.
E’ intervenuta in giudizio ad opponendum
Al.Me., che ha formulato argomentazioni difensive e
sostenuto che l’istallazione oggetto di ordine di
demolizione le impediva l’accesso al proprio fondo.
L’adito TAR, con ordinanza n. 265/2012, ha rigettato
l’istanza cautelare “considerato che i ricorrenti
non risultano aver addotto elementi probatori
sufficienti ad escludere l’assoggettamento a servitù
pubblica della strada attinta dall’intervento
abusivo di cui alla gravata ordinanza n. 14 del
14.09.2011”.
Il Consiglio di Stato, adito in sede di appello, ha
confermato con ordinanza n. 1902/2012, il
provvedimento di rigetto rilevando, sull'assenza del
fumus boni iuris, che “l’intervento è
stato realizzato in assenza di titolo abilitativo”.
DIRITTO
Il ricorso si rivela infondato.
L’ordine di demolizione è stato motivato dal Comune
con l’assenza di un titolo abilitativo edilizio,
senza espressa menzione del carattere pubblico
dell’area o dell’esistenza di un diritto di uso
pubblico.
In punto di fatto appare pacifico che l’intervento
realizzato non è suffragato da alcun titolo
abilitativo edilizio.
In punto di diritto il Collegio non ha rinvenuto
significativi precedenti giurisprudenziali
specificamente inerenti alla tipologia di opera in
questione e ben conosce quella giurisprudenza
secondo cui un intervento quale l’installazione di
un cancello non costituisce un abuso edilizio
soggetto a demolizione, trattandosi di un intervento
non subordinato al preventivo rilascio del permesso
di costruire (TAR Basilicata Potenza Sez. I,
31.05.2016, n. 575; TAR Liguria, I, 09.12.2009, n.
3562); e ancora che la sostituzione di un cancello
non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia
tale da richiedere il rilascio del permesso di
costruire, in quanto attività edilizia libera o al
più integrante intervento di mera manutenzione
ordinaria (TAR Campania Napoli Sez. III, 11/05/2015,
n. 2600).
Il Collegio rileva come un altro orientamento
giurisprudenziale dia rilevanza urbanistica, seppure
a fini paesaggistici, all’installazione ex novo
di un cancello in ferro (a differenza della mera
sostituzione), stante la sua idoneità a produrre una
sensibile alterazione dello stato dei luoghi e
conseguente trasformazione edilizia (TAR Campania
Napoli, Sez. III, sentenze n. 439 e 1306 del 2016).
Ritiene, in ogni caso, il medesimo Collegio che la
realizzazione di un’opera come quella in questione,
consistente nell’istallazione di una sbarra di
ferro, con relativo basamento nel terreno, fissa e
lunga mt. 4,80, a chiusura di una strada,
richiedesse il permesso di costruire, incidendo in
modo permanente e non precario sull'assetto edilizio
del territorio.
Ciò anche in considerazione della tipologia di
intervento, diversa rispetto alla posa in opera di
un cancello in sostituzione, che comporta una
rilevanza ben maggiore di impatto sul territorio,
avendo a oggetto un’opera avente carattere di
stabilità e volta ad interdire, in maniera
permanente, la percorrenza di una via.
Per le suindicate ragioni il ricorso deve essere
rigettato.
Stante l’assenza di precedenti giurisprudenziali
consolidati in ordine alla soluzione adottata, il
Collegio ritiene sussistano gravi ed eccezionali
motivi per disporre la compensazione tra le parti
delle spese di lite (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 21.11.2016 n. 5365 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
6 del d.P.R. n. 380 del 2001 consente di eseguire interventi
edilizi senza titolo abilitativo per specifiche previsioni
(lavori per eliminare barriere architettoniche, opere
temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, connesse
all’attività agricola, dirette a soddisfare esigenze
contingenti, ecc.), ivi comprese le opere di manutenzione di
cui all’art. 3, co. 1, lett. a), nonché, previa
comunicazione di inizio dei lavori, gli interventi di
manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, co. 1, lett.
b).
Orbene, l’installazione di una sbarra automatica in
sostituzione del precedente manufatto manuale rappresenta
appunto un lavoro di
manutenzione straordinaria soggetto a C.I.L., la cui
inosservanza è sanzionata dallo stesso art. 6, co. 7, con
una pena pecuniaria pari a 1.000 euro.
---------------
Con ricorso notificato il 19/05/2015, Lo.Ag. e Lo.An., nella
dedotta qualità di proprietarie di due unità edilizie in San
Giorgio a Cremano nel fabbricato denominato C al
prolungamento di via Manzoni, impugnavano gli atti in
epigrafe concernenti l’apposizione di una sbarra metallica
automatizzata in asserita sostituzione di preesistente
sbarra in ferro, per il cui intervento, oggetto di
accertamento da parte della Polizia Municipale, era stata
presentata istanza di accertamento di conformità e di
compatibilità paesaggistica.
...
1. Nel merito le ricorrenti deducono che:
- l’intervento in questione non sarebbe soggetto a permesso di
costruire, per cui sarebbe da escludere la sanzione della
demolizione; neppure sarebbe applicabile il ripristino dello
stato dei luoghi per la mancanza del nulla-osta
paesaggistico in quanto l’opera sarebbe priva di impatto
ambientale;
- il silenzio sull’istanza di conformità urbanistica ed il
provvedimento di demolizione deriverebbero dal mancata
pronuncia dell’autorità preposta alla tutela del vincolo;
nessuna preclusione vi sarebbe al rilascio
dell’autorizzazione in sanatoria attesa la tipologia
dell’intervento ed i materiali impiegati; l’intervento
sarebbe comunque sanabile sotto il profilo edilizio;
- gli atti impugnati sarebbero in contrasto con gli artt. 146, co.
4, 167, co. 4 e 5, 181, co. 1-quater, del d.lgs. n. 42 del
2004 e con l’art. 25 del decreto-legge n. 133 del 2014;
l’accertamento di compatibilità paesaggistica sarebbe
ammissibile in sanatoria per cui l’amministrazione aveva
l’obbligo di provvedere sull’istanza presentata dalle
ricorrenti; né peraltro sussisterebbero ragioni ostative
all’accertamento di conformità sotto il profilo urbanistico;
- lo stesso Comune rappresenta nel provvedimento di demolizione la
possibilità di chiedere l’accertamento di compatibilità
paesaggistica ex art. 181, co. 1-quater, del d.lgs. n. 42
del 2004, senza considerare che l’istanza era già stata
presentata;
- la nuova sbarra sarebbe in sostituzione di una preesistente
sbarra in ferro;
- mancherebbe la comunicazione di avvio del procedimento, in
violazione degli artt. 7 e 10-bis della legge n. 241 del
1990.
1.1. Giova premettere che l’art. 6 del d.P.R. n. 380 del
2001 consente di eseguire interventi edilizi senza titolo
abilitativo per specifiche previsioni (lavori per eliminare
barriere architettoniche, opere temporanee per attività di
ricerca nel sottosuolo, connesse all’attività agricola,
dirette a soddisfare esigenze contingenti, ecc.), ivi
comprese le opere di manutenzione di cui all’art. 3, co. 1,
lett. a), nonché, previa comunicazione di inizio dei lavori,
gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art.
3, co. 1, lett. b).
Orbene l’installazione di una sbarra automatica in
sostituzione del precedente manufatto manuale rappresenta
appunto un lavoro di
manutenzione straordinaria soggetto a C.I.L., la cui
inosservanza è sanzionata dallo stesso art. 6, co. 7, con
una pena pecuniaria pari a 1.000 euro.
Appunto in esplicita applicazione di tale disposizione il
Comune ha correttamente e doverosamente sanzionato l’opera
abusiva in questione, per cui vanno disattese in parte
qua le censure dedotte (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 24.02.2016 n. 992 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il passo carrabile non comprende la sbarra.
I proprietari di alcuni garage che ottengono le licenza per
passo carrabile da posizionare all'ingresso del condominio
non possono installare anche una sbarra automatica
finalizzata a regolare meglio l'accesso dei veicoli ai box.
Anche se la strada è cieca infatti si tratta pur sempre di
una via pubblica che non può essere chiusa in modalità
arbitraria.
Lo ha chiarito il TAR Liguria, Sez. II, con la
sentenza 11.01.2016 n. 17.
I proprietari di alcune autorimesse posizionate in fondo a
una strada senza uscita hanno ottenuto dal comune
l'autorizzazione al posizionamento di un passo carrabile in
prossimità del varco di accesso al fabbricato.
Conseguentemente gli interessati hanno installato anche una
sbarra automatica per regolare meglio l'accesso alla zona
dei garage. A seguito di alcune segnalazioni dei vicini il
comune ha ordinato la rimozione immediata della sbarra,
posizionata in un'area pubblica, annullando anche la licenza
di passo carrabile.
Contro questa severa misura gli interessati hanno proposto
ricorso ai giudici amministrativi. La revoca della licenza
di passo carrabile è illegittima perché anche se si tratta
di una strettoia stradale pubblica la necessità di accedere
ai fabbricati laterali deve essere riconosciuta ai
proprietari dei veicoli. Ma non è possibile installare una
sbarra sulla stessa area dove insiste un passo carrabile. Al
massimo potranno essere utilizzati dei dissuasori di sosta
regolarmente autorizzati (articolo ItaliaOggi Sette del
22.02.2016).
---------------
MASSIMA
Occorre premettere come, alla luce delle emergenze
documentali in atti (cfr. la documentazione di progetto dei
box – doc. 10 delle produzioni 01.06.2015 di parte comunale,
nonché il doc. 15 delle produzioni 04.11.2015), non possa
seriamente contestarsi la natura pubblica della porzione di
via Toti antistante i box, cui si accede per il tramite del
passo carraio.
Stando così le cose,
pare al collegio che la revoca dell’autorizzazione per passo
carrabile sia illegittima: la proprietà pubblica del sedime
del varco non fa infatti venire meno il presupposto
dell’autorizzazione, che è costituito, ex art. 22 del codice
della strada, proprio dalla necessità di accedere –tramite
esso– ai fabbricati laterali (nel caso di specie, i box).
Infondato è invece il ricorso avverso l’ingiunzione di
rimozione della sbarra.
Premesso che il provvedimento di autorizzazione revocato
(doc. 5 delle produzioni 13.5.2015 di parte ricorrente) non
reca alcuna menzione della sbarra, che dunque è stata
abusivamente installata, è evidente come la stessa precluda
di fatto l’utilizzo pubblico del tratto di via abusivamente
intercluso, per esempio per effettuare inversione di marcia
(specialmente ai mezzi di soccorso).
L’ingiunzione di rimozione della sbarra, non consistendo in
un atto di ritiro, non deve del resto necessariamente
motivare in ordine alla sussistenza –ex art. 21-nonies L. n.
241/1990– di un interesse pubblico prevalente, interesse che
pure è insito nella finalità di ripristino dell’uso pubblico
della strada, ben potendo il contrapposto interesse privato
all’effettivo utilizzo dell’accesso carraio essere
adeguatamente tutelato altrimenti, per esempio mediante la
posa di dissuasori negli spazi impropriamente utilizzati per
la sosta dei veicoli, previa richiesta di occupazione del
suolo pubblico ex art. 46, comma 3, del D.P.R. 16.12.1992,
n. 495
(regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice
della strada). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L’installazione di una sbarra
metallica, per la sua entità e tipologia, deve
ricondursi negli interventi di «manutenzione
ordinaria» per i quali non è richiesto alcun titolo
abilitativo.
... per la riforma della sentenza 26.05.2014, n.
5554 del Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, Roma, Sezione I-quater;
...
1.– La A.i. s.p.a., proprietaria di un immobile
adibito ad ufficio sito in una strada privata, ha
installato, con due paletti in ferro, una sbarra di
metallo.
Il Comune di Roma, con determinazione 14.05.2009, n.
1067, ha contestato l’abusività dell’intervento
perché realizzato senza che la società abbia
presentato la dichiarazione di inizio attività e ha,
conseguentemente, irrogato, previa richiesta di
determinazione della somma dovuta all’Agenzia del
territorio competente, la sanzione pecuniaria di
euro 44.412,00.
La società ha impugnato la suddetta determinazione
innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, deducendo la violazione:
i) degli articoli 2, 3 e 10-bis della legge
07.08.1990 n. 241, nonché eccesso di potere, per non
avere l’amministrazione comunale tenuto conto della
richiesta di autorizzazione che la società aveva
presentato in data 09.06.2003;
ii) dell’art. 22 del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) e dell’art. 19 della legge n. 241 del
1990, in quanto l’istallazione di una sbarra
metallica rientrerebbe nell’ambito dell’attività
edilizia libera;
iii) degli articoli 22 e 37 del d.p.r. n. 380 del
2001, per erroneità nella determinazione dell’entità
della sanzione da corrispondere.
2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza
26.05.2014, n. 5554, ha rigettato il ricorso,
ritenendo che, venendo in rilievo interventi
consistenti nella «delimitazione dell’ultimo
tratto di strada con sbarra in ferro bloccata con
lucchetti di sicurezza e fissata al suolo a mezzo di
pali murati, con lo scopo di realizzare un
parcheggio privato», sarebbe necessario il
titolo edilizio richiesto dal Comune.
3.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello
rilevando come lo scopo della sbarra fosse
esclusivamente quello di «controllare l’accesso e
la sosta di terzi» nella propria proprietà, come
risulterebbe anche dalla richiesta di autorizzazione
all’istallazione presentata dalla società stessa nel
2003. Si è, inoltre, fatta valere l’erroneità della
sentenza per la mancata pronuncia in ordine agli
altri motivi del ricorso introduttivo del giudizio
che vengono riproposti in appello.
...
5.– L’appello è fondato.
6.– Il d.p.r. n. 380 del 2001, nell’individuare le
forme di intervento pubblico richieste ai fini
dell’effettuazione di interventi edilizi sul
territorio, distingue tra:
i) interventi per i quali
non è necessario ottenere un titolo abilitativo
venendo in rilievo una attività edilizia libera
(art. 6);
ii) interventi subordinati al rilascio di
un permesso di costruire (art. 10);
iii) interventi
subordinati a denuncia di inizio attività (art. 22).
Nell’ambito dell’attività edilizia libera l’art. 6
indica «gli interventi di manutenzione ordinaria».
7.– Nel caso in esame risulta che l’appellante ha
installato, nel terreno di propria proprietà, una
sbarra metallica.
Tale tipologia di intervento, per la sua entità e
tipologia, deve ricondursi in quelli di «manutenzione
ordinaria» per i quali non è richiesto alcun
titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. VI,
20.11.2013, n. 5513). A ciò si aggiunga che la
società aveva comunque chiesto, nel 2003,
l’autorizzazione all’istallazione della predetta
sbarra senza che il Comune avesse mai adottato alcun
provvedimento.
Né ad una diversa conclusione può giungersi in
ragione della finalità, valorizzata nella sentenza
impugnata, di realizzare un parcheggio. Questo dato
non è stato, infatti, oggetto di puntuale
dimostrazione da parte delle autorità preposte alla
vigilanza del territorio.
E’ bene aggiungere che qualora la società dovesse
effettivamente provvedere a cambiare destinazione
all’area il Comune rimane titolare dei poteri di
controllo e sanzionatori previsti dalla legge di
disciplina della materia (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 07.08.2015 n. 3898 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Serve l'autorizzazione comunale per installare le
inferriate? Installazione inferriate è necessaria
l'autorizzazione comunale?
Abito al piano rialzato di un edificio
in condominio e dopo alcuni furti nella zona ho deciso
d'installare delle inferriate alle mie finestre e
portefinestre per ovvie ragioni di sicurezza.
Per l'installazione devo domandare l'autorizzazione al
comune di residenza?
Questa la domanda che ci giunge da un nostro lettore.
Sebbene il suo quesito sia limitato ai rapporti con la
pubblica amministrazione riteniamo utile richiamare
l'attenzione anche sugli aspetti condominiali; lo facciamo
rimandando alla lettura di questo articolo:
Installazione inferriate su portefinestre.
L'attività edilizia è distinguibile in due categorie:
a) attività edilizia libera;
b) attività edilizia soggetta ad autorizzazioni
amministrative.
Rispetto alla prima, sebbene non sempre obbligatorio (cfr.
art. 6 d.p.r. n. 380/2001) è sempre consigliabile inviare
una comunicazione d'inizio attività al comune competente,
ossia il comune nel cui territorio è ubicato l'immobile
oggetto d'intervento.
A titolo di esempio rientra nell'ambito dell'attività
edilizia libera la
manutenzione ordinaria finalizzata alla “riparazione,
rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici”
(cfr. artt. 3 e 6 d.p.r. n. 380/2001).
Quanto alle autorizzazioni amministrative, si tratta di
procedimenti finalizzati ad ottenere un placet alla
esecuzione delle opere che s'intendono realizzare. A seconda
degli interventi si parla, ad esempio, di permesso di
costruire (il caso più significativo è la costruzione di un
nuovo edificio) o di SCIA (segnalazione certificata di
inizio attività).
Poiché l'installazione ex novo di inferriate non può
essere ricondotta nell'ambito dell'attività edilizia libera,
per rispondere alla domanda del nostro lettore è necessario
prima d'ogni cosa comprendere in quale categoria tra quelle
indicate nel testo unico in materia edilizia (d.p.r. n.
380/2001) possano essere ricondotte.
Osservate le norme definitorie contenute nell'art. 3 del
d.p.r. summenzionato, ad avviso di chi scrive,
l'installazione delle inferriate dev'essere ricompresa
nell'ambito degli interventi di restauro o risanamento
conservativo così definiti: "c) "interventi di restauro e
di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti
a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la
funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che,
nel rispetto degli elementi tipologici, formali e
strutturali dell'organismo stesso, ne consentano
destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi
comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo
degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento
degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle
esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei
all'organismo edilizio” (art. 3, primo comma, lett. c)
d.p.r. n. 380/2001).
Le inferriate possono essere considerate
elementi accessori.
In questo contesto, pertanto, deve farsi riferimento
all'art. 22 del d.p.r. n. 380/2001 a mente del quale: “Sono
realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio
attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui
all'articolo 10 e all'articolo 6, che siano conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
Prima di iniziare l'attività d'installazione, dunque, è
necessario segnalarla al comune competente non con una
semplice comunicazione, ma secondo le indicazioni previste
dal testo unico per l'edilizia e dai regolamenti edilizi
locali (relazione di un tecnico, ecc.). E' comunque
consigliabile, vista l'importanza delle norme locali,
reperire informazioni più dettagliate presso gli sportelli
unici dell'edilizia del comune competente (24.12.2015
- link a www.condominioweb.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
la posa in opera di un cancello in ferro in sostituzione di
un pregresso cancello in materiale ligneo:
- non comporta trasformazione urbanistica ed edilizia tale
da richiedere il rilascio del permesso di costruire;
- in quanto attività edilizia libera o al più integrante
intervento di mera manutenzione ordinaria, esula
dall’assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica in
ossequio all’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, non potendosi
conseguentemente comminare ex art. 167 stesso decreto, la
sanzione della riduzione in pristino per la sua mancata
previa acquisizione.
- premesso che il ricorrente ha realizzato la posa in opera
di un cancello in ferro in sostituzione di un pregresso
cancello in materiale ligneo;
- considerato che il ricorrente nella comunicazione inizio
lavori del 05.11.2014, contrariamente a quanto assume il
Comune nel gravato provvedimento, ha indicato la posa del
nuovo cancello in ferro in sostituzione del precedente quale
uno degli oggetti dell’attività che stava ponendo in essere;
- ritenuto che l’apposizione di un cancello non comporta
trasformazione urbanistica ed edilizia (TAR Marche,
08.07.2014 n. 706; TAR Emilia-Romagna – Parma, Sez. I
13.03.2014 n. 81) tale da richiedere il rilascio del
permesso di costruire (TAR Lazio–Latina, 26.10.2011 n. 840;
TAR Molise, 30.05.2013 n. 351);
- ritenuto pertanto che non sussistono i presupposti per
l’applicazione della sanzione demolitoria irrogata ai sensi
dell’art. 31 del DPR n. 380/2001;
- evidenziato che l’apposizione di un cancello, in quanto
attività edilizia libera o al più integrante intervento di
mera manutenzione ordinaria, esula dall’assoggettamento ad
autorizzazione paesaggistica in ossequio all’art. 149 del
d.lgs. n. 42/2004, non potendosi conseguentemente comminare
ex art. 167 stesso decreto, la sanzione della riduzione in
pristino per la sua mancata previa acquisizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 11.05.2015 n. 2600 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Osserva
il Collegio che le opere in questione, ai sensi dell’art. 22
del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, rientrano nella categoria
degli interventi di manutenzione straordinaria, trattandosi
nel primo caso dell’installazione di una protezione in ferro
ad una finestra, nel secondo della sostituzione di una
preesistente copertura di un solaio, senza che vi sia stato
alcun aggravio urbanistico.
Ne consegue che il regime giuridico di riferimento è stato
correttamente individuato sia da parte ricorrente che della
resistente amministrazione in quello della denuncia di
inizio di attività (assente nel caso di specie).
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 2 UT del 08/01/2013
del Comune di Capua - Settore Urbanistica, con la quale
viene ordinata la demolizione delle opere realizzate in
assenza di denuncia di inizio attività presso l'immobile
sito in Capua alla ....
...
In data 05.05.2010 la Polizia municipale di Capua accertava
che presso un immobile sito alla via ..., nella
disponibilità della “... s.r.l.”, erano stati realizzati
interventi edilizi in assenza di preventiva denuncia di
inizio attività, specificamente l’installazione di una grata
in ferro all’esterno di una finestra delle dimensioni di
circa mt. 1,50 x 1,50, nonché la copertura di un preesistente
solaio mediante la posa in opera di lamiere metalliche
ondulate.
All’esito del contraddittorio procedimentale, il Comune di
Capua, con ordinanza n. 2 U.T. dell’08.01.2013, ha ordinato
la demolizione delle predette opere, rilevando come, sebbene
risalenti al 1987, le stesse fossero prive di titolo
abilitativo.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso a questo
Tribunale la società ... s.r.l. chiedendone l’annullamento,
previa concessione di idonee misure cautelari.
Parte ricorrente ha lamentato che per interventi di tipo
manutentivo e conservativo, come quelli in oggetto,
l’assenza della denuncia di inizio attività non può
comportarne la demolizione, ma solo l’applicazione di una
sanzione pecuniaria; addirittura, le opere potrebbero
configurarsi tra quelle ricadenti nell’ipotesi di cui
all’art. 6 del d.p.r. 06.06.2001 n, 380, per cui sarebbe
stata sufficiente una mera comunicazione. Con l’ultimo
motivo è stata dedotta la carenza di motivazione, di
istruttoria, nonché la violazione dei principi di
proporzionalità, ragionevolezza e legittimo affidamento.
...
Il ricorso è fondato.
Osserva il Collegio che le opere in questione, ai sensi
dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, rientrano nella
categoria degli interventi di manutenzione straordinaria,
trattandosi nel primo caso dell’installazione di una
protezione in ferro ad una finestra, nel secondo della
sostituzione di una preesistente copertura di un solaio,
senza che vi sia stato alcun aggravio urbanistico.
Ne consegue che il regime giuridico di riferimento è stato
correttamente individuato sia da parte ricorrente che della
resistente amministrazione in quello della denuncia di
inizio di attività, incontestabilmente assente nel caso di
specie.
In tal caso, l’art. 37, primo comma, del d.p.r. 06.06.2001
n. 380 prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria
pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile
conseguente alla realizzazione degli interventi, ma non la
demolizione dei medesimi.
Ne discende che, in assenza di ulteriori specificazioni tali
da far ricadere le opere nel regime di cui al secondo comma
dell’art. 37, il provvedimento impugnato deve essere
dichiarato illegittimo e di conseguenza annullato
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 21.11.2013 n. 5280 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’elettrificazione di un
cancello esistente, o l’apposizione di un barra mobile,
integrativa delle funzioni del medesimo cancello e dalle
caratteristiche estetiche non invasive, così come
l’installazione di un sistema di illuminazione, rientrano
nella nozione di manutenzione ordinaria e non
risultano suscettibili di incidere su valori paesaggistici
protetti, salvo prescrizioni particolarmente restrittive.
---------------
Per quanto riguarda infatti, in primo luogo, l’installazione
di una barra elettrificata, retrostante al cancello
esistente di accesso al parcheggio, con impianto luce e
allacci elettrici, appare condivisibile la tesi, secondo cui
si tratterebbe di interventi corrispondenti ad “attività
edilizia libera”, disciplinata dall’art. 6 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia).
Ai sensi del comma 1, lettera a), della citata norma non
richiedono, infatti, alcun titolo abilitativo –fatte salve
specifiche prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali
o altre disposizioni, fra cui quelle dettate a tutela dei
beni culturali ed il paesaggio– gli interventi di
manutenzione ordinaria, che l’art. 3 del medesimo d.P.R. n.
380/2001 definisce come “interventi edilizi che
riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e
sostituzione delle finiture degli edifici e quelle
necessarie a mantenere in efficienza gli impianti
tecnologici esistenti”.
Ad avviso del Collegio, l’elettrificazione di un cancello
esistente, o l’apposizione (come nel caso di specie) di un
barra mobile, integrativa delle funzioni del medesimo
cancello e dalle caratteristiche estetiche non invasive,
così come l’installazione di un sistema di illuminazione,
rientravano nella nozione di manutenzione ordinaria sopra
specificata e non risultavano suscettibili di incidere su
valori paesaggistici protetti, salvo prescrizioni
particolarmente restrittive, non evidenziate nella
situazione in esame (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 20.11.2013 n. 5513 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
lavori eseguiti, consistenti nella collocazione di una
ringhiera in ferro su un lastrico solare e di un corrimano
in ferro su una scala che porta al lastrico solare, non
comportano -di per sé- né la modifica della complessiva
sagoma dell’edificio, né un aumento della superficie coperta
e dei volumi interni, né un cambio di destinazione d'uso dei
lastrico solare, che per le sue caratteristiche (posa
orizzontale in piano di materiali calpestabili) denotava già
una attitudine all’impiego pedonale ed implicava già la
presenza di una scala di accesso, di modo che gli interventi
contestati, lungi dal variarne la destinazione, consentono
solo di migliorarne la fruizione in condizioni di maggiore
comodità e sicurezza.
Pertanto, per l’intervento edilizio in esame, volto alla
messa in sicurezza di un lastrico solare già idoneo all’uso
pedonale, è quindi sufficiente la comunicazione di inizio
lavori ai sensi dell'art. 6 DPR 380/2001, alla stregua del
criterio secondo cui sono liberi, e quindi non soggetti ad
autorizzazioni o asseverazioni, tutti gli interventi edilizi
di modifica della distribuzione degli spazi interni o di
arredo e protezione degli spazi esterni volti,
indipendentemente dai materiali utilizzati e dalla natura
provvisoria o meno delle opere, solo ad ottimizzare le
qualità e potenzialità intrinseche del preesistente
manufatto, consentendone una migliore, più sicura o più
ampia fruizione in conformità alle originarie destinazioni
d’uso.
- Che, alla stregua di un criterio di efficacia sostanziale
della tutela giurisdizionale e di economia processuale, il
Collegio ritiene quindi di esaminare l’ulteriore profilo
controverso, concernente il rapporto fra infondatezza
dell’istanza di accertamento di conformità ed obbligatoria
esecuzione del precedente ordine di esecuzione;
- Che, al contrario, l’accertamento, da parte del Tribunale,
dell’obbligo di dare diretta esecuzione all’ordine di
demolizione previa reiezione della domanda di accertamento
trova un insormontabile ostacolo proprio nella palese
fondatezza della stessa domanda;
- Che dalla documentazione allegata agli atti del giudizio
risulta, infatti, che:
1) l’intervento edilizio, che il ricorrente chiede di demolire e di
cui la contro interessata chiede l’accertamento di
conformità, è avvenuto in conformità alla DIA a suo tempo
presentata e non contraddetta in termini dal Comune, così
come attestato dal sopralluogo eseguito da patte dei Vigili
Urbani a lavori ultimati;
2) lo stesso intervento, come espressamente rilevato dall'Ufficio
edilizia Privata di Roma Capitale, per il tipo di lavori
eseguiti, consistenti nella collocazione di una ringhiera in
ferro su un lastrico solare e di un corrimano in ferro su
una scala che porta al lastrico solare, non comporta di per
sé, né modifiche della sagoma, né modifiche della
superficie, né aumento di volume, né cambio di destinazione
d'uso dei lastrico solare, e quindi richiede solo la
comunicazione di inizio lavori ai sensi dell'art. 6 DPR
380/2001;
- Che il primo profilo non assume valore dirimente,
stante il carattere di illecito permanente dell’abuso
edilizio, che è destinato a veder progressivamente aggravare
il proprio impatto sul territorio, anche in relazione al
successivo uso del manufatto abusivo ed all’inevitabile
effetto emulativo, e che quindi, secondo il principio di
legalità insito al nostro sistema Costituzionale ed anche
per la presenza delle previste forme di pubblicità in
occasione degli interventi edili e delle formalità
pubblicistiche dei trasferimenti immobiliari (rogito
notarile e trascrizione), non può generare alcun
affidamento, e quindi determinare alcuna convalescenza, in
conseguenza del semplice decorso del tempo: in tal modo, il
decorso dei termini previsti in caso di DIA e SCIA preclude
l’intervento pubblico riferito ai profili formali e
procedurali, ma non il successivo accertamento della non
conformità del manufatto alle prescrizioni urbanistiche ed
edilizie ad esso applicabili;
- Che, a giudizio del Collegio, merita al contrario
apprezzamento il secondo profilo indicato, in quanto
i lavori eseguiti, consistenti nella collocazione di una
ringhiera in ferro su un lastrico solare e di un corrimano
in ferro su una scala che porta al lastrico solare, non
comportano di per sé, né la modifica della complessiva
sagoma dell’edificio, né un aumento della superficie coperta
e dei volumi interni, né un cambio di destinazione d'uso dei
lastrico solare, che per le sue caratteristiche (posa
orizzontale in piano di materiali calpestabili) denotava già
una attitudine all’impiego pedonale ed implicava già la
presenza di una scala di accesso, di modo che gli interventi
contestati, lungi dal variarne la destinazione, consentono
solo di migliorarne la fruizione in condizioni di maggiore
comodità e sicurezza;
- Che per l’intervento edilizio in esame, volto alla messa
in sicurezza di un lastrico solare già idoneo all’uso
pedonale, è quindi sufficiente la comunicazione di inizio
lavori ai sensi dell'art. 6 DPR 380/2001, alla stregua del
criterio secondo cui sono liberi, e quindi non soggetti ad
autorizzazioni o asseverazioni, tutti gli interventi edilizi
di modifica della distribuzione degli spazi interni o di
arredo e protezione degli spazi esterni volti,
indipendentemente dai materiali utilizzati e dalla natura
provvisoria o meno delle opere, solo ad ottimizzare le
qualità e potenzialità intrinseche del preesistente
manufatto, consentendone una migliore, più sicura o più
ampia fruizione in conformità alle originarie destinazioni
d’uso;
- Che la non infondatezza della domanda di accertamento di
conformità, su di cui il Comune deve pronunciarsi prima di
poter disporre la demolizione, conclusivamente osta a che
l’accoglimento del ricorso in epigrafe entri nel merito del
comportamento dovuto dal Comune intimato quanto
all’esecuzione dell’ordine di demolizione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 18.09.2013 n. 8328 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
l’apposizione della sbarra di metallo all’accesso
della strada di proprietà privata e la recinzione in muratura posta lungo il
confine sud-ovest di delimitazione dell’area di pertinenza esclusiva del
fabbricato da quella adibita a servitù di passaggio, si ritiene che tali
interventi non siano sussumibili nella fattispecie di cui all’ art. 6 del
D.P.R. n. 380/2001, come sostituito dall’art. 5, co. 1, del D.L. 25.03.2010
n. 40, conv. in legge 22.05.2010 n. 73, ma costituiscano, piuttosto,
attività assentibile mediante Scia ai sensi dell’art. 49, comma 4-bis, della
legge 122/2010, la cui mancanza risulta sanzionata mediante l’applicazione
delle misure previste dall’art. 37 del D.P.R. 380/2001.
---------------
Con il provvedimento n. 9432 del
29.08.2012 il Comune di Maruggio ha rigettato la richiesta presentata dalla
sig. ra Co.Ro. volta a ottenere il permesso di costruire in relazione agli “interventi
eseguiti in assenza di Permesso di Costruire e per l’installazione di una
sbarra in metallo di delimitazione accesso alla proprietà, nonché per la
nuova realizzazione di una recinzione con relativi accessi” sulla base
delle seguenti argomentazioni:
- esaminato l’elaborato progettuale di rilievo del Piano terra con
riferimento alla parte di copertura priva di tamponamento, già autorizzata
con concessione edilizia in sanatoria n. 177/2001,
- premesso che la stessa deve considerarsi come portico, vista la
mancanza di una diversa e precisa indicazione di destinazione;
- se è vero che l’art. 18 del Regolamento Edilizio Comunale
vigente, recante norme per la misurazione delle altezze e dei volumi dei
fabbricati, prescrive che nel calcolo del volume non vengano computati i
portici, è anche vero che, nel caso in esame, gli interventi realizzati
dall’istante hanno determinato un mutamento di destinazione d’uso da
porticato-garage a cantina e lavanderia;
- mediante la realizzazione di opere murarie aggiuntive, si è
determinato un incremento della volumetria, non consentito nella zona “F4.2-
Verde pubblico e attrezzature collettive” in cui l’immobile ricade, in
quanto le norme tecniche di attuazione prescrivono che nelle aree a verde
pubblico è consentita unicamente la creazione di impianti sportivi e per lo
svago, di stazioni di servizio, campeggi, autoparcheggi, negozi, chioschi ed
altri impianti similari di uso pubblico;.
– la disposizione di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 380/2001,
secondo cui non possono comunque ritenersi variazioni essenziali quelle che
incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla
distribuzione interna delle singole unità abitative, non trova applicazione
al caso in esame in quanto i nuovi locali realizzati (cantina e lavanderia)
non possono qualificarsi quali volumi tecnici;
- l’apposizione della barra metallica all’ingresso della strada
privata gravata da servitù di passaggio deve qualificarsi come “opera di
recinzione” ai sensi dell’art. 49, comma 4-bis, della legge n. 122/2010
e deve considerarsi come intervento assentibile mediante Scia, la cui
mancanza determina l’applicazione della sole sanzioni previste dall’art. 37
del D.P.R. n. 380/2001;
- negli stessi termini, la realizzazione della recinzione in
muratura costituisce “opera di recinzione” assentibile mediante Scia,
per la quale, così come per la sanatoria della sbarra metallica, dovrà
pervenire all’Ufficio competente nuova e separata richiesta corredata da
tutta la documentazione tecnica prevista dalla normativa vigente a firma di
un tecnico abilitato.
Con un unico motivo di ricorso la ricorrente ha impugnato il
provvedimento denunciandone l’illegittimità per eccesso di potere,
violazione e/o falsa applicazione della legge e/o violazione e falsa
applicazione del D.P.R. n. 380/2001 e/eccesso di potere per difetto di
motivazione e/o contraddittorietà ed illogicità, violazione del giusto
procedimento e/o violazione del principio di legalità e buon andamento
dell’attività amministrativa e/o irrazionalità ed illogicità dell’azione
amministrativa e/o eccesso di potere ed erronea valutazione dei presupposti
di fatto e di diritto e/o illogicità dell’azione amministrativa.
Il provvedimento di diniego, infatti, sarebbe illegittimo in quanto, a detta
di parte ricorrente:
- la planimetria della concessione in sanatoria n. 177/2001
indicava la destinazione di utilizzo del porticato in piano garage;
- gli artt. 136 e 137 del D.P.R. 380/2001 mantengono in vigore la
legge 05.08.1978 n. 457 ad eccezione dell’art. 48;
- il porticato è stato condonato come piano garage e non è,
pertanto, applicabile l’art. 18 del Regolamento Edilizio Comunale di
Maruggio;
- l’art. 27 della citata legge non è applicabile al caso in esame
per assenza dei piani di recupero;
- la richiesta di costruire del 23.02.2012 riguarda interventi di
ristrutturazione edilizia ammissibili di cui all’art. 31 della legge n.
457/1978, trasfuso nell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001;
- l’art. 31 della legge n. 457/1978 prevede che sono ammissibili le
opere necessarie per realizzare ed integrare servizi igienico-sanitari e
tecnologici;
- l’uso del porticato con destinazione garage è pienamente
compatibile con l’uso a cantina e lavatoio, e che la cantina/lavanderia,
integrando mere cubature accessorie, e non volumi tecnici,
- la sbarra metallica, posta su una strada privata, così come la
recinzione in muratura costituiscono un’attività libera per la quale non è
richiesto alcun permesso di costruire e per le quali, in ogni modo, è fatta
salvo, per il privato, richiedere al Comune il permesso di costruire, con
conseguente obbligo dall’Amministrazione di accogliere siffatta richiesta.
I motivi di ricorso così proposti sono infondati.
...
Per ciò che concerne, invece, l’apposizione della sbarra di metallo
all’accesso della strada di proprietà privata e la recinzione in muratura
posta lungo il confine sud-ovest di delimitazione dell’area di pertinenza
esclusiva del fabbricato da quella adibita a servitù di passaggio, si
ritiene che, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, tali
interventi non siano sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 6 del
D.P.R. n. 380/2001, come sostituito dall’art. 5, co. 1, del D.L. 25.03.2010
n. 40, conv. in legge 22.05.2010 n. 73, ma costituiscano, piuttosto,
attività assentibile mediante Scia ai sensi dell’art. 49, comma 4-bis, della
legge 122/2010, la cui mancanza risulta sanzionata mediante l’applicazione
delle misure previste dall’art. 37 del D.P.R. 380/2001
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 27.08.2013 n. 1801 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una ringhiera
protettiva e di una scala in ferro per consentire l’accesso
ad un terrazzo costituiscono interventi per i quali non è
richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire.
Infatti, tali opere seppure finalizzate a consentire
l’utilizzo del solaio di copertura di un immobile non
determinano una significativa trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come
mere pertinenze, essendo preordinate ad un’oggettiva
esigenza dell’edificio principale, funzionalmente inserite
al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di
mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non
consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell’immobile al quale accedono e, comunque, tale
da non comportare un aumento del carico urbanistico.
Preliminarmente, il Tribunale ritiene di poter prescindere
dalla richiesta, avanzata da parte resistente, di riunione
del presente giudizio agli altri, originati da ulteriori
ricorsi, avverso provvedimenti resi dal Comune di Ispani, in
relazione all’immobile cui afferisce la scala in
contestazione, e tanto perché il presente gravame può essere
definito autonomamente dagli altri, concernenti la
complessiva situazione dell’immobile di che trattasi.
Esso si presta, infatti, ad essere accolto, in virtù di
aspetti, riguardanti la natura stessa dell’opera di cui è
stata ingiunta, dal Comune, la demolizione (“installazione
di una scala in ferro che si diparte dal piano di campagna
per raggiungere il terrazzo posto al primo piano del
fabbricato di proprietà della sig.ra Sansone”), quale
risalta anche dall’esame della documentazione fotografica
allegata al ricorso e la quale, per giurisprudenza pacifica
(in disparte, quindi, ogni altra considerazione circa
l’eventuale abusività dell’immobile, al cui servizio la
medesima scala è destinata) non necessitava all’epoca, per
il suo carattere pertinenziale, e non necessiterebbe del
resto ancor oggi, di alcuna concessione edilizia (o permesso
di costruire), onde illegittima si palesa l’adozione, da
parte dell’Amministrazione Comunale di Ispani, della
sanzione demolitoria.
E valga il vero: è costante in giurisprudenza la massima,
secondo la quale: “La realizzazione di una ringhiera
protettiva e di una scala in ferro per consentire l’accesso
ad un terrazzo costituiscono interventi per i quali non è
richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire;
infatti, tali opere seppure finalizzate a consentire
l’utilizzo del solaio di copertura di un immobile non
determinano una significativa trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come
mere pertinenze, essendo preordinate ad un’oggettiva
esigenza dell’edificio principale, funzionalmente inserite
al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di
mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non
consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell’immobile al quale accedono e, comunque, tale
da non comportare un aumento del carico urbanistico”
(TAR Liguria–Genova, Sez. I, 11.07.2011, n. 1088; conformi:
TAR Lazio–Latina, Sez. I, 07.05.2010, n. 740; TAR
Campania–Napoli, Sez. VII, 27.05.2009, n. 2945).
Il ricorso va dunque accolto, in aderenza a tale
orientamento diffuso in giurisprudenza, ed in accoglimento
della corrispondente censura, laddove la richiesta di
risarcimento del danno ingiusto, evidentemente subito, per
asserzione dei ricorrenti, dall’adozione dell’ordinanza
gravata, va respinta anzitutto (al di là d’ogni altra
considerazione) per la sua assoluta genericità, tale da non
consentirne, neppure in astratto, una positiva delibazione
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.07.2013 n. 1680 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costante giurisprudenza ritiene necessaria la concessione edilizia solo per
gli interventi che producano una significativa e stabile trasformazione
urbanistica del territorio
Invece, non presenta tale carattere lo spandimento di materiale
stabilizzante sul tracciato stradale, che deve invece essere ricondotto agli
interventi di tipo manutentivo–conservativo rientranti nell'attività
edilizia libera, non abbisognante di alcun titolo concessorio o
autorizzatorio.
Parimenti, non risulta abusiva nemmeno l'installazione della sbarra in
metallo, in quanto le recinzioni di fondi rustici realizzate senza
interventi in muratura non sono espressione dello
jus
aedificandi, bensì del diverso
jus
excludendi omnes alios che non necessitano di concessione edilizia.
---------------
La ricorrente, insieme agli altri destinatari dei provvedimenti repressivi
impugnati (non costituiti in giudizio), sono proprietari di fondi rustici
con annessi fabbricati situati in C.C. Daone (pp.ff. nn. 2193/4 e 2193/1,
2201, 2210/2, 2210/08 e 2210/2, nonché 2450/1) asserviti da una vecchia
strada che li attraversa, costeggiando il fiume Chiese, utilizzata anche dal
Servizio Forestale della PAT per i necessari interventi di polizia
idraulica.
Col ricorso in epigrafe la ricorrente espone che il Sindaco di Daone, con
due distinti provvedimenti, ha ingiunto ad essa, congiuntamente agli altri
proprietari, la rimessa in pristino dello stato dei luoghi sul presupposto
che, come risulta dal sopralluogo effettuato in data 30.05.2012, la suddetta
strada fosse stata oggetto di interventi abusivi consistenti
nell'installazione di una sbarra in metallo all'ingresso e di riporto di
materiale stabilizzato (ord. n. 22/12) e di ampliamento mediante
realizzazione di un nuovo tratto, con modifica del tracciato preesistente (ord.
n. 23/12) in assenza dei prescritti titoli edilizi.
...
A sostegno del presente ricorso viene dedotto:
a) che non è stato comunicato l'avvio del procedimento, in violazione
dell'art. 7 della l. n. 241 del 1990;
b) che non vi sarebbe stato un sufficiente accertamento circa la
consistenza quantitativa e/o qualitativa dell'abuso realizzato,
concretandosi così il difetto di istruttoria e la violazione degli artt. 1,
3, 6 della l. n. 241/1990;
c) che mancherebbero i presupposti di emanazione delle ordinanze
gravate, stante il carattere non abusivo degli interventi realizzati che, in
quanto di mero ripristino e non comportanti rilevante alterazione dello
stato dei luoghi, non avrebbero abbisognato di titolo edilizio (terzo e
quarto motivo di ricorso);
d) che dette ordinanze sarebbero illegittime in quanto emanate in
aperta lesione del legittimo affidamento che si sarebbe ingenerato nella
ricorrente a fronte dell'inerzia e dei ritardi dell'amministrazione
nell'accertare gli abusi, non colpiti dalle ord. nn. 64 e 71 del 2004,
sebbene all'epoca già realizzati, e che comunque i provvedimenti gravati
sarebbero privi della motivazione “rafforzata” necessaria, a detta
della ricorrente, per perseguire abusi risalenti nel tempo, in violazione
dell'art. 3 l. n. 241/1990 e del corrispondente art. 4 l. n. 23/1992;
e) che sarebbe ravvisabile sviamento di potere nel fatto che la
reiterata attività di vigilanza dell'Amministrazione sarebbe stata motivata,
non dalle esigenze di repressione degli abusi edilizi ed urbanistici ma
dall'intento di favorire la controinteressata, autrice della denuncia che ha
determinato il sopralluogo del 30.05.2012.
...
Il terzo e quarto motivo di ricorso possono essere esaminati
congiuntamente.
La ricorrente lamenta che le ordinanze censurate sarebbero state emanate
sulla base dell'erroneo presupposto del carattere abusivo degli interventi
ivi contestati, in quanto essi sarebbero stati realizzati in assenza dei
prescritti titoli edilizi, in particolare della concessione per
l'ampliamento della strada e della denuncia d'inizio attività per
l'installazione della sbarra metallica e per il riporto di materiale
stabilizzato.
Le censure avverso l'ord. n. 22/12, avente ad oggetto la realizzazione della
sbarra e la stabilizzazione del terreno, sono fondate.
La costante giurisprudenza ritiene infatti necessaria la concessione
edilizia solo per gli interventi che producano una significativa e stabile
trasformazione urbanistica del territorio (cfr., ad es.: Cons. Stato, sez.
V, n. 1922/2013).
Invece, non presenta tale carattere lo spandimento di materiale
stabilizzante sul tracciato stradale, che deve invece essere ricondotto agli
interventi di tipo manutentivo–conservativo rientranti nell'attività
edilizia libera, non abbisognante di alcun titolo concessorio o
autorizzatorio.
Parimenti, non risulta abusiva nemmeno l'installazione della sbarra in
metallo, in quanto le recinzioni di fondi rustici realizzate senza
interventi in muratura non sono espressione dello jus aedificandi,
bensì del diverso jus excludendi omnes alios che non necessitano di
concessione edilizia (cfr., ibidem: Cons. Stato, sez. V, n. 1922/2013).
Conseguentemente, dovendosi escludere il carattere abusivo delle opere
anzidette, l'ingiunzione risulta essere stata emessa in assenza dei
presupposti previsti dalla legge: da ciò la sua illegittimità.
E' invece infondata la censura di erroneità dei presupposti mossa nei
confronti dell'ord. n. 23/12, avente ad oggetto l'avvenuta modifica del
tracciato stradale rispetto a quello originario. Detto intervento è
certamente abusivo poiché non poteva essere realizzato, come invece è
avvenuto, in assenza di titolo concessorio: non rientrano infatti nel quadro
degli interventi di manutenzione, neppure straordinaria, i lavori stradali
che comportino varianti al tracciato, ampliamento della carreggiata e, più
in generale, modifica dello stato dei luoghi o di destinazione delle aree
interessate.
Come detto, l'effettiva realizzazione di tale ampliamento ed il suo
carattere abusivo sono possono essere rimessi in discussione essendo stati
positivamente accertati dalle citate ordinanze di demolizione nn. 64 e 71
del 2004 ritenute legittime da questo Tribunale con la citata sentenza n.
26/2006, passata in giudicato
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 20.06.2013 n. 210 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
L'installazione di un cancello,
non comportando di norma la trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio, non richiede il rilascio di una
concessione edilizia ma di una semplice autorizzazione e
pertanto è irrogabile -ove non sia stata previamente
acquisita detta autorizzazione- la sola sanzione pecuniaria
e giammai la misura della demolizione.
La valutazione in ordine alla necessità della concessione
edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va
effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri:
natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e
funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario
il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno
senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque
la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà;
occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è
costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con
sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo
permanente e non precario sull'assetto edilizio del
territorio.
Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti
in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è
necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio,
trattandosi di installazione precaria e rientrando tale
opera tra le attività di mera manutenzione. Ne consegue che,
non essendo necessario il previo rilascio della concessione
edilizia, in caso di opera realizzata abusivamente non ne
poteva essere intimata la demolizione, potendosi, al più,
applicarsi la relativa misura sanzionatoria pecuniaria.
Quanto alla intervenuta
realizzazione dei cancelli in ferro sia pedonali che sulla
rampa del garage, in difetto del previo rilascio della
concessione edilizia, si osserva che, per giurisprudenza
consolidata in materia, l'installazione di un cancello, non
comportando di norma la trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio, non richiede il rilascio di una
concessione edilizia ma di una semplice autorizzazione e
pertanto è irrogabile -ove non sia stata previamente
acquisita detta autorizzazione- la sola sanzione pecuniaria
e giammai la misura della demolizione (TAR Lazio Roma, sez.
II, 03.07.2007, n. 5968).
Ed infatti le opere di recinzione e di chiusura dell'area
condominiale, mediante l'apposizione di un cancello
elettrico scorrevole, sono soggette al regime
dell'autorizzazione di cui all'art. 10 della l. n. 47 del
1985; di conseguenza, il Comune, per dette opere, ove non
autorizzate, non può applicare la disciplina sanzionatoria
prevista nel caso di opere eseguite in assenza di
concessione ad edificare ovvero in totale o parziale
difformità dalla medesima (Consiglio Stato, sez. V,
19.06.2003, n. 3652).
Per quanto attiene, poi, alle opere di recinzione dell’area
condominiale valgono i principi di cui di seguito, tenuto
conto che, dal tenore testuale dell’impugnata ordinanza,
emerge come trattatasi di una recinzione realizzata in
tubolari di ferro a pettine posta al di sopra di un muretto
preesistente.
La valutazione in ordine alla necessità della concessione
edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va
effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri:
natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e
funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario
il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno
senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o
comunque la delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la
recinzione è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso
in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del
territorio (TAR Lazio Latina, sez. I, 03.09.2008, n. 1050).
Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti
in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è
necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio,
trattandosi di installazione precaria e rientrando tale
opera tra le attività di mera manutenzione (TAR Lazio Roma,
sez. II, 05.11.2004, n. 12554).
Ne consegue che, non essendo necessario il previo rilascio
della concessione edilizia, in caso di opera realizzata
abusivamente non ne poteva essere intimata la demolizione,
potendosi, al più, applicarsi la relativa misura
sanzionatoria pecuniaria
(TAR Lazio-Roma, Sez.
II-ter,
sentenza 11.09.2009 n. 8644 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2000 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Bellezze naturali e tutela paesaggistica.
Con riferimento a villino ad uso prevalentemente estivo sito
in una località calda sottoposta a vincolo paesaggistico, la
chiusura con inferriata di tre lati di un portico già murato
sul quarto lato richiede la concessione edilizia (poiché il
vano così ricavato in aggiunta a quelli preesistenti
sicuramente si presta ad uso abitativo diurno, quanto meno
nel periodo estivo) nonché l'autorizzazione dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo ambientale (posto che la
posa in opera di pesanti cancellate non può non avere un
considerevole impatto ambientale da valutarsi attentamente
ad opera dell'autorità predetta (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.10.2000 n.
6776). |
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