dossier ARIA (emissioni,
esalazioni) |
anno 2017 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Aria e molestie
olfattive - Emissioni odorigene nauseabonde ed emissioni in
atmosfera di composti organici volatili - Getto pericoloso
di cose e requisiti del reato - Criterio della "stretta
tollerabilità" - Sequestro preventivo - Restituzione
dell'intero impianto produttivo Fonderie - Abuso d'ufficio -
Falsità ideologica e falsità materiale commessa dal pubblico
ufficiale in atti pubblici - VIA VAS AIA - Autorizzazione
Integrata Ambientale (A.I.A.) - Assenza - Articoli 323,
479-476, codice penale - Artt. 29-ter, 137, 256 e 279
decreto legislativo n. 152 del 2006 - Sito natura 2000 ZPS -
Art. 181 d.lgs. n.42/2004.
Il reato di cui all'articolo 674 del codice penale è
configurabile anche in presenza di "molestie olfattive"
promananti da impianto munito di autorizzazione per le
emissioni in atmosfera (e rispettoso dei relativi limiti), e
ciò perché non esiste una normativa statale che preveda
disposizioni specifiche -e, quindi, valori soglia- in
materia di odori (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015, Pippi;
Sez. 3, n. 37037 del 29/05/2012, Guzzo); con conseguente
individuazione del criterio della "stretta tollerabilità"
quale parametro di legalità dell'emissione.
Né vale, in senso contrario, l'assunto, anche contenuto
nell'ordinanza impugnata, per il quale, in alcune occasioni,
la configurabilità dell'articolo 674 del codice penale è
esclusa in presenza di immissioni provenienti da attività
autorizzata e contenute nei limiti di legge, o
dell'autorizzazione, perché tali pronunce si riferiscono a
casi nei quali vi è piena corrispondenza "qualitativa"
e "tipologica" tra le immissioni riscontrate e quelle
oggetto del provvedimento amministrativo o disciplinate
dalla legge ossia tra quelle accertate e quelle che l'agente
si era impegnato a contenere entro determinati limiti;
situazione nella quale, come in precedenza precisato, il
rispetto di questi ultimi implica una presunzione di
legittimità del comportamento, concepita dall'ordinamento
come necessaria per contemperare le esigenze di tutela
pubblica con quelle della produzione economica (Sez. 3, n.
37495 del 13/07/2011, Dradi; Sez. 3, n. 40849 del
21/10/2010, Rocchi; Sez. 3, n. 15707 del 09/01/2009, Abbaneo).
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni da
un'attività autorizzata o da un'attività prevista e
disciplinata da atti normativi speciali - Presunzione di
legittimità del comportamento ed evento del reato di cui
all'art. 674 c.p..
In linea generale, il reato di cui all'articolo 674 del
codice penale, capo d) della rubrica, non è configurabile
nel caso in cui le emissioni provengano da un'attività
autorizzata o da un'attività prevista e disciplinata da atti
normativi speciali perché l'osservanza delle leggi di
settore e la presenza di specifici provvedimenti
amministrativi che disciplinano l'attività produttiva,
regolamentando le emissioni, implicano una presunzione di
legittimità del comportamento.
Tuttavia, l’evento del reato di cui all'art. 674 c.p.
consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di
eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo
sufficiente quello del limite della stretta tollerabilità,
pertanto, qualora difetti la possibilità di accertare
obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle
emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non
tollerabilità delle stesse ben può basarsi sulle
dichiarazioni di testimoni, specie se a diretta conoscenza
dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano
nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in
giudizi di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a
quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.12.2017 n. 57958
- link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 38 del
21.09.2017, "Nuove misure per il
miglioramento della qualità dell’aria in attuazione
del piano regionale degli interventi per la qualità
dell’aria (PRIA) e dell’accordo di programma di
bacino Padano 2017" (deliberazione
G.R. 18.09.2017 n. 7095). |
anno 2016 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA: Cattivi odori.
Concimi, il disagio ha un limite.
Chi gestisce un impianto di produzione di concime organico
deve prestare attenzione alle esalazioni rilasciate
nell'ambiente adottando ogni precauzione per limitare il
disagio dei residenti. Diversamente scatteranno prescrizioni
tecniche obbligatorie da parte della provincia.
Lo ha
chiarito il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza
28.04.2016 n.
1633.
Un comune romagnolo da anni convive
con un insediamento produttivo che trasforma le deiezioni
avicole in concimi. Tante le doglianze dei residenti.
A
seguito di una serie di sopralluoghi si è quindi reso
necessario adottare una misura limitativa delle emissioni e
contro questo provvedimento l'azienda ha proposto ricorso,
ma senza successo. Il testo unico ambientale permette di
adottare aggiornamenti ad hoc delle autorizzazioni già
rilasciate.
Nel caso esaminato dal collegio la negligenza
del gestore, unitamente al superamento della soglia di
normale tollerabilità degli odori, ha permesso alla
provincia di adottare un provvedimento limitativo, ai sensi
del dlgs 152/2006
(articolo ItaliaOggi del 04.05.2016).
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MASSIMA
L’appello è infondato.
Il nucleo argomentativo da cui muovono le censure è che la
situazione ambientale, scaturente dalle emissioni in
atmosfera prodotte dallo stabilimento, presa in
considerazione dall’amministrazione resistente, non
consentisse, in assenza della richiesta di modifica
sostanziale, di imporre nuove prescrizioni rispetto a quelle
già contenute nell’autorizzazione prima del decorso del
termine quindicennale della sua efficacia.
Tuttavia, a supporto di quanto dedotto, l’appellante
richiama solo una parte degli accertamenti effettuati dagli
organi tecnici preposti alla vigilanza ed al controllo della
salubrità dell’ambiente che, complessivamente considerati,
hanno indotto l’amministrazione ad adottare l’atto
impugnato.
Dai rilievi effettuati dal Corpo Forestale dello Stato,
dalla Polizia municipale e dal Servizio antinquinamento
(doc. 10 del fascicolo della Provincia) s’evidenzia una
gestione non oculata dell’impianto e delle prescrizioni
provinciali contenute nel provvedimento n. 476 del
19.10.2005.
A quelli facevano riscontro le note dell’Arpa (in data
29.05.2006 e 20.07.2006) che ribadivano la necessità di
predisporre i congegni necessari ad abbattere le emissioni
in atmosfera, nonché il rapporto effettuato dai Carabinieri
del nucleo tutela ambientale (datato 18.08.2006) laddove
rilevano l’assenza di chiusura della parti dello
stabilimento da cui provenivano le emissioni.
L’ASL, nella conferenza di servizi del 28.02.2007, ribadiva
la necessità di analoghe prescrizioni.
In definitiva l’indagine diacronica della
vicenda, alla luce degli atti versati in causa, mostra una
situazione altra da quella descritta dalla ricorrente,
integrante il presupposto previsto dall’art. 269 d.lgs. n.
152 del 2006 per modificare, nel senso dell’aggiornamento,
l’autorizzazione già rilasciata mediante l’adozione di nuove
prescrizioni necessarie per garantire la salubrità
ambientale e rispettare il valore limite di concentrazione
di odore.
Del resto l’art. 269, commi 7 e 8, d.lgs.
n. 152 del 2006 parla di “aggiornamento”
dell’autorizzazione. Il comma 8 precisa che è cosa diversa
dal mero rinnovo, e consiste nell’adeguamento modificativo
delle prescrizioni alle mutate situazioni di fatto e di
diritto, e che deve inerire alla originaria autorizzazione,
costituente espressione del potere esercitato
dall’amministrazione.
Il che trae altresì fondamento dall’accordo transattivo qui
stipulato dalla società appellante con la Provincia,
recepita nella Conferenza dei servizi (in data 07.05.2007),
ed infine nell’atto impugnato.
L’accordo transattivo –stipulato durante il procedimento
istruttorio– esemplifica e documenta la partecipazione al
procedimento della società. Ne segue l’infondatezza delle
censure che lamentano il difetto del contraddittorio e di
motivazione del provvedimento impugnato.
Da ultimo mette conto rilevare che l’insediamento
produttivo, essendosi adeguata la società ricorrente alle
prescrizioni per cui è causa, opera attualmente in forza
dell’autorizzazione unica ambientale rilasciata
dall’amministrazione competente (n. 2043 del 09.07.2014).
Conclusivamente l’appello deve essere respinto. |
anno 2015 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Il giudizio
sull'esistenza e sulla non tollerabilità di odori molesti
ben può basarsi sulle dichiarazioni rese da testimoni a
condizione che le testimonianze si limitino a riferire
quanto oggettivamente percepito.
Costituisce principio consolidato in giurisprudenza, e qui
ribadito, che la contravvenzione di cui all'art. 674 Cod.
pen. (Getto pericoloso di cose - Chiunque getta
o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo
privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere
o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non
consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori
o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con
l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a duecentosei
euro) è reato di pericolo, configurabile
in presenza anche di "molestie olfattive" promananti da
impianto munito di autorizzazione, in quanto non esiste una
normativa statale che prevede disposizioni specifiche e
valori limite in materia di odori, con conseguente
individuazione del criterio della "stretta tollerabilità"
quale parametro di legalità dell'emissione, attesa
l'inidoneità ad approntare una protezione adeguata
all'ambiente ed alla salute umana di quello della "normale
tollerabilità", previsto dall'art. 844 Cod. civ.
(Immissioni - Il proprietario di un fondo non può
impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i
rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal
fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità,
avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi).
Il criterio della normale tollerabilità previsto
dall’art. 844 Cod. civ. va, infatti, riferito esclusivamente
al contenuto del diritto di proprietà e non può essere
utilizzato per giudicare della liceità di immissioni che
rechino pregiudizio anche alla salute umana o all'integrità
dell'ambiente naturale, alla cui tutela è rivolto, in via
immediata, tutto un altro ordine di norme di natura
repressiva e preventiva, come il T.U. delle leggi sanitarie
di cui al R.D. 27/07/1934, n. 1265, la L. 31/12/1962, n.
1860 sull'impiego pacifico della energia nucleare, nonché,
con particolare riferimento agli inquinamenti atmosferici,
la L. 13/07/1966, n. 615.
La natura del reato (di pericolo concreto) e il diverso
criterio di valutazione della tollerabilità delle emissioni
olfattive comporta che sia sufficiente l'apprezzamento
diretto delle conseguenze moleste da parte anche solo di
alcune persone, dalla cui testimonianza il giudice può
logicamente trarre elementi per ritenere l'oggettiva
sussistenza del reato, a prescindere dal fatto che tutte le
persone siano state interessate o meno dallo stesso fenomeno
o che alcune non l'abbiano percepito affatto; né è
necessario un accertamento tecnico.
La Corte rileva dunque che «laddove manchi
la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati
strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio
sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni
stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni dei testi,
soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei
fatti, come i vicini, o particolarmente
qualificate, come gli agenti di polizia e gli
organi di controllo della USL. Ove risulti
l'intollerabilità, non rileva, al fine di escludere
l'elemento soggettivo del reato, l'eventuale adozione di
tecnologie dirette a limitare le emissioni, essendo
evidente che non sono state idonee o sufficienti ad
eliminare l'evento che la normativa intende evitare e
sanziona. Quel che conta è che le testimonianze non
si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente
soggettive o di giudizi di natura tecnica, ma si limitino a
riferire quanto oggettivamente percepito da
dichiaranti medesimi».
Nel caso di specie si trattava delle emissioni maleodoranti
prodotte dall’attività all’aria aperta di un impianto
autorizzato di compostaggio di qualità posta in essere a
distanza di poco più di un chilometro dall’abitato e atte a
molestare gli abitanti delle zone limitrofe; a nulla era
valsa la successiva realizzazione di un capannone di
copertura (commento tratto da www.legislazionetecnica.it).
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3. I primi tre motivi possono essere esaminati
congiuntamente.
3.1. L'imputato risponde del reato di cui all'art. 674, cod.
pen., in relazione alle molestie olfattive provenienti
dall'impianto di compostaggio.
3.2. Trattandosi di molestie olfattive e non delle emissioni
di cui alla seconda parte della norma, non rileva il fatto
che l'impianto fosse autorizzato, né il dedotto rispetto dei
limiti di emissione, né il criterio discretivo della "normale
tollerabilità" di cui all'art. 844, cod. civ..
3.3. Costituisce, infatti, principio consolidato di questa
Suprema Corte (che va qui ribadito) che la
contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. è reato di
pericolo, configurabile in presenza anche di "molestie
olfattive" promananti da impianto munito di
autorizzazione, in quanto non esiste una normativa statale
che prevede disposizioni specifiche e valori limite in
materia di odori, con conseguente individuazione del
criterio della "stretta tollerabilità" quale
parametro di legalità dell'emissione, attesa l'inidoneità ad
approntare una protezione adeguata all'ambiente ed alla
salute umana di quello della "normale tollerabilità",
previsto dall'art. 844 cod. civ.
(Sez. 3, n. 2475 del 09/10/2007, Alghisi, Rv. 238447, alla
cui ampia e articolata motivazione si rimanda; nello stesso
senso cfr. anche Sez. 3, n. 11556 del 21/02/2006, Davito, Rv.
233565; Sez. 3, n. 19898 del 21/04/2005, Pandolfini, Rv.
231651).
3.4. Come ricordato dalla Corte Costituzionale,
l'art. 844, cod. civ.
(cui l'imputato fa ampio riferimento nel fondare le proprie
censure) è norma <<destinata a risolvere
il conflitto tra proprietari di fondi vicini per le
influenze negative derivanti da attività svolte nei
rispettivi fondi. Si comprende quindi che il criterio della
normale tollerabilità in essa accolto vada riferito
esclusivamente al contenuto del diritto di proprietà e non
possa essere utilizzato per giudicare della liceità di
immissioni che rechino pregiudizio anche alla salute umana o
all'integrità dell'ambiente naturale, alla cui tutela è
rivolto in via immediata tutto un altro ordine di norme di
natura repressiva e preventiva: basti menzionare il t.u.
delle leggi sanitarie di cui al r.d. 27.07.1934, n. 1265, e
la legge 31.12.1962, n. 1860, sull'impiego pacifico della
energia nucleare nonché, con particolare riferimento agli
inquinamenti atmosferici, la legge 13.07.1966, n. 615. Resta
salva in ogni caso l'applicabilità del principio generale di
cui all'art. 2043 del codice civile>>
(Sent. n. 247 del 10.07.1974, citata anche da Sez. 3, n.
2475 del 2007, cit.).
3.5. La natura del reato (di pericolo
concreto) e il diverso criterio di valutazione della
tollerabilità delle emissioni olfattive, comporta che sia
sufficiente l'apprezzamento diretto delle conseguenze
moleste da parte anche solo di alcune persone, dalla cui
testimonianza il giudice può logicamente trarre elementi per
ritenere l'oggettiva sussistenza del reato, a prescindere
dal fatto che tutte le persone siano state interessate o
meno dallo stesso fenomeno o che alcune non l'abbiano
percepito affatto. Né è necessario un accertamento tecnico.
3.6. Questa Corte ha già spiegato che
laddove trattandosi di odori manchi la possibilità di
accertare obiettivamente, con adeguati strumenti,
l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e
sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può
basarsi sulle dichiarazioni dei testi, soprattutto se si
tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i
vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di
polizia e gli organi di controllo della USL. Ove risulti
l'intollerabilità, non rileva, al fine di escludere
l'elemento soggettivo del reato, l'eventuale adozione di
tecnologie dirette a limitare le emissioni, essendo evidente
che non sono state idonee o sufficienti ad eliminare
l'evento che la normativa intende evitare e sanziona
(così, Sez. 1, n. 407 del 14/12/1999, Rv. 215147; nello
stesso senso anche Sez. 1, n. 13083 del 19/02/2003, Attisano,
Rv. 223801; Sez. 1, n. 26782 del 01/04/2003, Tornati, Rv.
225000).
Quel che conta è che le testimonianze non
si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente
soggettive o di giudizi di natura tecnica, ma si limitino a
riferire quanto oggettivamente percepito da dichiaranti
medesimi (Sez. 1,
n. 5215 del 07/04/1995, Silvestro, Rv. 201195; Sez. 1, n.
7042 del 27/05/1996, Fontana, Rv. 205324; Sez. 1, n. 739 del
04/12/1997, Tilli, Rv. 209451; Sez. 3, n. 6141 del
30/01/1998, Labita, Rv. 210959; Sez. 3, n. 12019 del
10/02/2015, Pippi, Rv. 262711).
3.7. Nel caso di specie, lo svolgimento
all'aria aperta dell'attività di compostaggio, posta in
essere a distanza di poco più di un chilometro dall'abitato,
fornisce di ragionevole sostrato oggettivo la percezione
degli odori molesti da parte di chi ha testimoniato in tal
senso.
3.8. La successiva realizzazione del
capannone di copertura, cui ha fatto seguito l'incontestata
attenuazione del fenomeno, concorre a rendere non
manifestamente illogiche le conclusioni cui è pervenuto il
Tribunale.
3.9. La sentenza dà conto della testimonianza di varie
persone (compreso il Commissario Aggiunto della Polizia
Provinciale, pubblico ufficiale la cui terzietà il
ricorrente non contesta) che hanno riferito in modo chiaro e
preciso circa la natura degli odori molesti, la loro
persistenza e insopportabilità, la loro chiara riferibilità
all'impianto di che trattasi, le numerose denunce dei
cittadini. Il Tribunale dà altresì conto delle dichiarazioni
rese dai testimoni addotti dalla difesa e della CT da
quest'ultima prodotta circa l'inesistenza del concreto
pericolo di diffusione degli odori verso l'abitato del
Comune di Martinengo in considerazione dei venti che spirano
in senso contrario.
3.10. Il Giudice qualifica come conniventi o compiacenti le
testimonianze difensive ma dà atto che anche il Commissario
Aggiunto della Polizia Municipale di Ghisalba (testimone
della difesa) aveva riferito che dopo la realizzazione del
capannone non aveva più ricevuto nemmeno denunce informali
(tema che si salda con l'attenuazione del fenomeno percepita
anche dai testimoni dell'accusa). Gli altri testimoni della
difesa avevano riferito di odori provenienti
dall'insediamento, definendoli come "normali".
Questo continuo richiamo alla "normalità" degli odori
(che sottende un giudizio esso sì di natura soggettiva)
cozza con quanto già affermato circa il diverso criterio di
giudizio che deve presiedere alla valutazione di sussistenza
del reato per il quale si procede, né si pone in logico
contrasto con il fatto che un elevato numero di altre
persone fosse concretamente esposta a esalazioni
nauseabonde, tanto più che per farle cessare l'imputato ha
ammesso di aver investito una somma considerevole.
3.11. Il Giudice peraltro ha escluso, sulla base di un
giudizio di fatto non contestato, che i risultati della CT
della difesa potessero applicarsi al caso in esame sulla
decisiva considerazione che le rilevazioni anemologiche non
erano state effettuate nella zona ma in base a modelli non
applicabili alla concreta realtà. Né possono avere
rilevanza, per escludere la positiva sussistenza del reato e
la responsabilità dell'imputato, elementi fattuali estranei
al testo della sentenza impugnata, direttamente quanto
inammissibilmente sottoposti alla diretta valutazione del
Collegio, quali fatti negativi, mancate denunzie, ecc. ecc..
3.12. Dunque tutte le censure che riguardano la materiale
sussistenza del reato e la colpevolezza dell'imputato sono
infondate.
4. E' fondato, per quanto di ragione, l'ultimo motivo di
ricorso.
4.1. Il Collegio non entra nel merito delle scelte in base
alle quali il Tribunale ha ritenuto di escludere la
sussistenza di circostanze attenuanti.
4.2. Il Tribunale dà atto della persistenza della condotta
(protrattasi dal giugno 2011 all'aprile 2013) e del
precedente specifico dell'imputato (che questi contesta), ma
anche dell'assenza di elementi positivi valutabili a tal
fine.
4.3. Non ha rilevanza l'omessa contestazione della recidiva,
giuridicamente possibile solo tra delitti (art. 99, cod. pen.);
conta l'apprezzamento posto in essere dal Tribunale per la
cui insindacabilità è esaustiva la considerazione anche solo
della gravità oggettiva della condotta, parametrata alla
durata temporale, all'intensità del fenomeno e alla sua
dimensione.
4.4. Né, per l'assoluta autonomia che la distingue, la
coerenza della decisione del Tribunale in materia
sanzionatoria può essere valutata alla stregua del diverso
trattamento riservato con il decreto penale di condanna
emesso da altro Giudice.
4.5. E' fondata invece l'eccezione relativa al trattamento
sanzionatorio.
4.6. Il reato di cui all'art. 674, cod. pen.,
ha di regola carattere istantaneo, e solo eventualmente
permanente. La permanenza va ravvisata quando le illegittime
emissioni siano connesse, come nel caso di specie,
all'esercizio di attività economiche e legate al ciclo
produttivo (Sez.
1, n. 9356 del 05/06/1985, Ferrofino, Rv. 170759; Sez. 1, n.
3162 del 10/11/1988, Mazzoni, Rv. 180652; Sez. 1, n. 2598
del 13/11/1997, Garbo, Rv. 209960).
4.7. Ancor più chiaramente Sez. 1, n. 9293 del 10/08/1995,
Zanforlini, Rv. 202403, ha affermato che la
contravvenzione prevista e punita dall'art. 674 cod. pen.,
quando abbia per oggetto l'illegittima emissione di gas, di
vapori, di fumi atti ad offendere o imbrattare o molestare
le persone, connessa all'esercizio di attività economiche e
legata al ciclo produttivo, assume il carattere della
permanenza, non potendosi ravvisare la consumazione di
definiti episodi in ogni singola emissione di durata
temporale non sempre individuabile
(nello stesso senso anche Sez. 5, n. 41137 del 15710/2001,
Piscitelli, Rv. 220054; cfr. altresì Sez. 3, n. 19637 del
27/01/2012, Ghidini, Rv. 252890, secondo cui il carattere
continuativo del reato di getto pericoloso di cose, che ha
natura permanente, non si identifica con la ripetitività
giornaliera delle emissioni moleste, essendo sufficiente che
esse si protraggano, senza interruzioni di rilevante entità,
per un apprezzabile lasso di tempo a cagione della duratura
condotta colpevole del soggetto agente).
4.8. Correttamente, pertanto, il Pubblico Ministero ha
contestato la consumazione del reato in forma aperta,
altrettanto correttamente il Giudice all'esito del
dibattimento ha individuato il termine finale della condotta
(aprile 2013) senza con ciò violare l'obbligo di
correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in
sentenza.
4.9. In disparte l'abnorme aumento della pena base, quel che
il Tribunale non avrebbe potuto fare era ritenere la
pluralità delle condotte (e quindi la continuazione) sol
perché le emissioni non erano state continue in quanto
condizionate dalle fasi di produzione e dal variare della
situazione atmosferica (pressione, venti, pioggia) «pur
essendo state ricorrenti e nell'ampio arco di tempo anche
costanti».
4.10. Questo concetto di "continuità" non è in linea
con l'insegnamento di questa Corte perché non equivale, come
detto, a "costanza" delle emissioni, ma all'unica
causa che le produce che rende unica la condotta ed il
relativo atteggiamento psicologico.
4.11. Ne consegue che, ferma restando l'irrevocabile
accertamento della responsabilità penale dell'imputato, la
sentenza deve essere annullata limitatamente al trattamento
sanzionatorio, con rinvio al Tribunale di Bergamo
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.09.2015 n. 36905). |
anno 2014 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Aria - Emissioni -
Rilevanza limiti tabellari - Responsabilità in ordine al
reato previsto dall'art. 674 c.p. - Presupposti e limiti.
Ai fini dell'affermazione di responsabilità in ordine al
reato previsto dall'art. 674 c.p., nell'ipotesi di attività
industriali che trovano la loro regolamentazione in una
specifica normativa di settore, non è sufficiente ad
integrare la fattispecie l'idoneità delle emissioni a recare
disturbo o fastidio, occorrendo invece la puntuale e
specifica dimostrazione che tali emissioni superino gli
standards fissati dalla legge (in termini Sez. 3",
03.03.2004, n. 9757; Sez. 1^, 12.03.2002, n. 15717, Pagano
ed altri) sez. 3, 2005 n. 9503, Montanaro; idem, 2006 n.
8299, P.M. in proc. Tortora ed altri).
Pertanto, quando esistono precisi limiti tabellari fissati
dalla legge, non possono ritenersi "non consentite"
le emissioni che abbiano, in concreto, le caratteristiche
qualitative e quantitative già valutate ed ammesse dal
legislatore. Discorso diverso va fatto in quei casi nei
quali non esiste una predeterminazione normativa, gravando
sul giudice penale l'obbligo di valutare la tollerabilità
consentita, ma pur sempre con riferimento ai principi
ispiranti le specifiche normative di settore, (Cass. Sez.
3^, 27.02.2008 n. 15653, Colombo ed altri). Fattispecie:
emissione e deposito di polveri conseguenti da attività
industriale.
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Getto
pericoloso di cose - Configurabilità del reato - Presupposti
- Art. 674 cod. pen..
La configurabilità del reato di getto pericoloso di cose è
esclusa in caso di emissioni (nella specie, di polveri)
provenienti da attività autorizzata o disciplinata dalla
legge, e contenute nei limiti normativi o
dell'autorizzazione, in quanto il rispetto dei predetti
limiti implica una presunzione di legittimità del
comportamento (Cass. Sez. 3^ 21.10.2010 n. 40849 Rocchi,
idem 13.07.2011 n. 37495, P.M. in proc. Dradi e altro,
secondo la quale all'espressione "nei casi non consentiti
dalla legge" contenuta nella seconda parte dell'art. 674
cod. pen. deve attribuirsi un valore rigido; ancora, Sez. 3^
09.01.2009 n. 15707, Abbaneo).
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Immissioni e
limiti di tollerabilità - Criterio della "stretta
tollerabilità" - Protezione dell'ambiente ed della salute
umana - Valutazione da parte del giudice - Art. 844 cod. civ..
L'art. 844, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui
prevede la valutazione, da parte del giudice, del
contemperamento delle esigenze della produzione con le
ragioni della proprietà che impone di leggere il cd. "preuso",
tenendo conto che il limite della tutela della salute, è da
ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre
che nei rapporti di vicinato, alla luce di una
interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo
considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della
produzione il soddisfacimento di una normale qualità della
vita (Sez. 2^ Civ. 08.03.2010 n. 5564; in senso analogo Sez.
3^ 11.04.2006 n. 8420, secondo la quale deve ritenersi
illegittima una produzione industriale, ancorché iniziata
prima della edificazione dell'immobile limitrofo, che si sia
svolta e poi proseguita senza la predisposizione di apposite
misure di cautela idonee ad evitare o limitare
l'inquinamento atmosferico).
Rientra, pertanto, nella facoltà del giudice disattendere la
regola della priorità di uso la quale ha carattere di
sussidiarietà, a condizione che sulla base degli
accertamenti di fatto dallo stesso compiuti venga fornita
idonea motivazione in ordine al superamento della soglia di
tollerabilità (Sez. 2^ Civ. 11.5.2005 n. 9865; idem
10.01.1996 n. 161).
Il criterio della "stretta tollerabilità", deve
essere inteso in termini più rigorosi rispetto al concetto
civilistico di normale tollerabilità dettato dal menzionato
art. 844 cod. civ., attesa l'inidoneità del criterio della "normale
tollerabilità" ad approntare una protezione adeguata
all'ambiente ed alla salute umana, allorché non vengano
rispettati, nell'esercizio di un'attività industriale o più
genericamente produttiva, i limiti e le prescrizioni
previste dai provvedimenti autorizzatoli che la disciplinano
(Corte di
Cassazione, Sez. III,
sentenza 08.05.2014 n. 18896
- link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quando sia accertato il superamento della soglia
di normale tollerabilità delle immissioni (nella
fattispecie, di fumi), si versa in una situazione di
illiceità che, evidentemente, esclude il ricorso al giudizio
di bilanciamento e quindi all’indennizzo, e introduce il
diverso tema della inibitoria delle immissioni e
dell’eventuale risarcimento del danno.
1. – Il ricorso deve essere accolto.
1.1. – Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli artt. 844, 2043, 1032 cod. civ., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
Si contesta, sotto plurimi profili, l’interpretazione e
l’applicazione della norma che disciplina le immissioni,
alla luce dei consolidati principi affermati dalla
giurisprudenza di legittimità sul tema (sono citate, ex
plurimis, Cass., sez. Ili, sentenza n. 4963 del 2001;
Cass., sezioni unite, sentenza n. 10186 del 1998).
In particolare, la ricorrente censura la sentenza d’appello
nella parte in cui, dopo aver accertato l’intollerabilità
delle immissioni, ha operato la comparazione tra le opposte
esigenze della proprietà e della produzione, e, all’interno
di tale giudizio, ha tenuto conto della “inammissibile
soluzione alternativa” consistente nell’obbligare
l’attrice a prestare il consenso alla installazione della
canna fumaria –dunque alla costituzione di una servitù– o a
subire le immissioni.
Sono, inoltre, contestate il rigetto della domanda di
risarcimento del danno alla salute e la decisione in punto
di spese.
1.2. – In ossequio al disposto dell’art. 366-bis cod. proc.
civ., applicabile ratione temporis, la ricorrente
formula un complesso quesito di diritto, riassumibile nei
seguenti termini: “se, in caso di intollerabilità di
immissioni, tanto costituisca, per chi le subisce, lesione
dei suoi diritti, sia personali che della salute, beni
primari rispetto ad ogni altro bene pure tutelato in
Costituzione”, con la conseguenza che “siffatta
intollerabilità non possa comportare una valutazione del
contemperamento delle esigenze fra quelle del proprietario
di un bene che subisce le immissioni intollerabili con
quelle relative alla esigenza della produzione che, anzi, va
inibita”, e con l’ulteriore conseguenza che “per
ovviare all’eliminazione delle immissioni, colui che le
subisce non debba sopportare un ulteriore pati, dato dal
fatto di dover subire una deminutio della sua proprietà,
quale quella data dalla apposizione di una canna fumaria,
che costituisce una vera e propria servitù”; e inoltre,
“[se], accertata la natura di immissioni intollerabili,
le stesse, di per sé sole, comportano un danno alla salute,
come tale suscettibile di risarcimento, anche in via
equitativa”; e infine, “[se], là dove venga comunque
accertata la ragione della domanda, poi disattesa per altre
motivazioni, debba essere disposta la compensazione delle
spese”.
2. – La doglianza è fondata con riguardo alla erronea
applicazione dell’art. 844 cod. civ., in quanto il giudice
d’appello ha proceduto al contemperamento delle opposte
esigenze delle parti dopo aver accertato l’intollerabilità
delle immissioni, che concretizzano una situazione di
illecito extracontrattuale.
2.1. – L’art. 844, secondo comma, cod. civ.
prevede il giudizio di comparazione a fronte di accertate
immissioni ai limiti della normale tollerabilità: in tal
caso, il legislatore consente di imporre al proprietario
l’obbligo di sopportare le immissioni, ove ciò sia
funzionale alle esigenze della produzione, eventualmente
previa corresponsione di indennizzo.
Si tratta di un tipico giudizio di bilanciamento, affidato
al giudice del caso concreto, a partire da una situazione in
cui nessuna delle contrapposte esigenze prevale sull’altra,
azzerandola.
Viceversa, quando sia accertato il superamento della soglia
di normale tollerabilità delle immissioni, si versa in una
situazione di illiceità che, evidentemente, esclude il
ricorso al giudizio di bilanciamento e quindi
all’indennizzo, e introduce il diverso tema della inibitoria
delle immissioni e dell’eventuale risarcimento del danno
(ex plurimis, Cass., sez. II, sentenza n. 939 del
2011; Cass., sez. III, sentenza n. 5844 del 2007; Cass.,
sez. 25820 del 2009).
2.2. – Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto di
poter effettuare il giudizio di bilanciamento, pur in
presenza dell’accertamento di immissioni intollerabili, ed
ha inoltre giudicato pretestuosa l’opposizione della
ricorrente alla installazione della canna fumaria, che era
stata individuata, nel corso dell’istruttoria, come unico
rimedio per evitare le immissioni consentendo, al contempo,
la prosecuzione dell’attività commerciale della convenuta.
La sentenza d’appello ha dunque affermato, sia pure
indirettamente, che il proprietario il quale lamenti –a
ragione- il superamento della normale tollerabilità delle
immissioni provenienti dal fondo del vicino è tenuto a
prestare il consenso alla costituzione di servitù, ove
necessaria alla eliminazione dell’inconveniente, in caso
contrario rimanendo assoggettato alle immissioni.
Si tratta, all’evidenza, di una affermazione carente di
qualsiasi supporto normativo.
3. – L’accoglimento della censura riguardante l’erronea
applicazione dell’art. 844 cod. civ., e la conseguente la
cassazione della sentenza impugnata sul punto, determina
l’assorbimento delle ulteriori censure proposte dalla
ricorrente.
Con il secondo motivo di ricorso, infatti, sono denunciati i
limiti motivazionali della sentenza d’appello in riferimento
al medesimo profilo già prospettato come violazione
dell’art. 844 cod. civ..
Quanto alle restanti censure contenute nel primo motivo di
ricorso, va osservato che sia la violazione dell’art. 1032
cod. civ. in tema di servitù coattive, sia la violazione
dell’art. 2043 cod. civ. in tema di risarcimento danni da
illecito aquiliano, non presentano autonomia rispetto alla
questione principale, sulla quale il giudice del rinvio
dovrà pronunciarsi, e rimangono pertanto impregiudicate (Corte
di Cassazione, Sez. II,
sentenza 07.04.2014 n. 8094 -
link a http://renatodisa.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: SUPERAMENTO DELLA SOGLIA DI NORMALE TOLLERABILITA'.
Immissioni, soglia di normale tollerabilità, superamento,
inibitoria
delle immissioni, risarcimento del danno.
Quando sia accertato il superamento della soglia di normale
tollerabilità delle immissioni si versa in una situazione
di illiceità
che esclude il ricorso al giudizio di bilanciamento e
quindi all’indennizzo di cui all’art. 844, comma 2, cod.
civ. e che introduce il diverso tema della inibitoria delle
immissioni
e dell’eventuale risarcimento del danno.
La pronuncia in commento assume rilievo in quanto definisce
i limiti di applicazione dell’art. 844 cod. civ. ed, in
particolare,
del secondo comma del medesimo articolo il quale, come
noto, consente di imporre al proprietario che subisce le
immissioni
(eventualmente previa corresponsione di indennizzo)
l’obbligo di sopportare le medesime ove ciò sia funzionale
alle
esigenze della produzione.
Nel caso di specie l’attore domandava la conferma del
provvedimento
d’urgenza che aveva accertato la provenienza di
immissioni intollerabili (di fumo, rumore e odori) dai
locali
del convenuto, nonché l’inibitoria della sua attività ed
il risarcimento
dei danni patiti.
La società convenuta deduceva di avere ottemperato alle
prescrizioni
contenute nel provvedimento d’urgenza, ma di non
aver potuto procedere alla installazione di una canna
fumaria
che convogliasse i fumi -unica soluzione che, secondo
quanto
suggerito dal CTU, avrebbe risolto l’inconveniente- perché
l’attrice non aveva prestato il consenso all’appoggio della
canna
fumaria al muro esterno dell’immobile di sua proprietà.
Il Tribunale, pur avendo accertato l’intollerabilità delle
immissioni
in questione, riteneva prevalenti le esigenze della
produzione su quelle della proprietà e, quindi, riconosceva
all’attore un indennizzo, ma rigettava le sue domande di
inibitoria
di risarcimento dei danni. Tale decisione veniva confermata
in appello.
L’originario attore, pertanto, ricorreva in cassazione
deducendo
la non corretta interpretazione e applicazione della norma
che disciplina le immissioni, alla luce dei principi
affermati
dalla giurisprudenza di legittimità sul tema (si veda al
riguardo,
ex plurimis, Cass. n. 4963/2001 e Cass., sez. un. n. 10186/
1998): in particolare il ricorrente contesta la sentenza
d’appello
nella parte in cui, dopo aver accertato l’intollerabilità
delle
immissioni, ha operato la comparazione tra le opposte
esigenze
della proprietà e della produzione, tenendo peraltro conto,
all’interno di tale giudizio, della soluzione proposta dal
CTU
(consistente, in sostanza, nell’obbligare l’attore a
prestare il
proprio consenso alla installazione della canna fumaria -
dunque
alla costituzione di una servitù - o a subire le
immissioni).
La Cassazione giudica il motivo fondato, illustrando, in
linea
con la giurisprudenza di legittimità (si veda al riguardo,
ex plurimis, Cass. n. 939/2011, Cass. n. 5844/2007 e Cass. n.
25820/2009), che:
– a fronte di accertate immissioni ai limiti della normale
tollerabilità, l’art. 844, comma 2, cod. civ. prevede il
giudizio
di comparazione (in tal caso, precisa la Cassazione, «il
legislatore
consente di imporre al proprietario l’obbligo di sopportare
le immissioni, ove ciò sia funzionale alle esigenze della
produzione,
eventualmente previa corresponsione di indennizzo»);
– viceversa, quando sia accertato il superamento della
soglia
di normale tollerabilità delle immissioni si versa in una
«situazione
di illiceità che, evidentemente, esclude il ricorso al
giudizio di bilanciamento e quindi all’indennizzo, e
introduce
il diverso tema della inibitoria delle immissioni e
dell’eventuale
risarcimento del danno».
Nel caso in esame, la Corte d’appello non si è attenuta a
tali
principi in quanto:
a) ha ritenuto di poter effettuare il giudizio di
bilanciamento,
pur in presenza dell’accertamento di immissioni
intollerabili;
b) ha affermato, sia pure indirettamente, che il
proprietario il
quale lamenti -a ragione- il superamento della normale tollerabilità
delle immissioni provenienti dal fondo del vicino è
tenuto a prestare il consenso alla costituzione di servitù,
ove
necessaria alla eliminazione dell’inconveniente, in caso
contrario
rimanendo assoggettato alle immissioni (ciò in quanto i
giudici d’appello avevano giudicato pretestuosa
l’opposizione
dell’originario attore all’installazione della canna fumaria
-unico rimedio individuato nel corso dell’istruttoria per
evitare
le immissioni- consentendo, al contempo, la prosecuzione
dell’attività commerciale della convenuta).
In conclusione, quindi, è erronea la pronuncia che abbia
proceduto
al contemperamento delle opposte esigenze delle parti
ex art. 844, comma 2, cod. civ. pur avendo accertato l’intollerabilità
delle immissioni, che, invece, concretizza una situazione di
illecito extracontrattuale (Corte
di
Cassazione, Sez. II civile, sentenza 07.04.2014 n. 8094 - tratto da
Ambiente & Sviluppo n. 7/2014). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Inquinamento atmosferico. Industrie insalubri: quali i
poteri del Sindaco nel valutare la tollerabilità delle
emissioni?
Domanda
Quali sono i poteri di un Sindaco nel valutare la
tollerabilità delle emissioni delle industrie insalubri? Può
ordinarne la chiusura per impedire il pericolo per la salute
pubblica?
Risposta
Sulla base di quanto disposto dagli artt. 216 e 217 del
TULLSS spetta al sindaco la valutazione della tollerabilità
o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie
classificate insalubri.
L’esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo,
anche dopo l’attivazione dell’impianto industriale, e si può
estrinsecare con l’adozione cautelativa di interventi
finalizzati ad impedire la continuazione o l’evolversi di
attività che presentano i caratteri di possibile
pericolosità, al fine di contemperare le esigenze di
pubblico interesse con quelle dell’attività produttiva.
L’autorizzazione per l’esercizio di un’industria
classificata insalubre è concessa e può essere mantenuta a
condizione che l’esercizio non superi i limiti della più
stretta tollerabilità e che siano adottate tutte le misure
specifiche per evitare esalazioni moleste: pertanto a
seguito dell’avvenuta constatazione dell’assenza di
interventi per prevenire ed impedire il danno da esalazioni,
il sindaco può disporre la revoca del nulla osta e,
pertanto, la cessazione dell’attività.
Inoltre, è legittimo il provvedimento sindacale volto a
sollecitare (sulla base del parametro della “normale
tollerabilità” delle emissioni) l’elaborazione di misure
tecniche idonee a far cessare le esalazioni maleodoranti
provenienti da attività produttiva, anche a prescindere da
situazioni di emergenza e dall’autorizzazione a suo tempo
rilasciata, a condizione però che siano congruamente
dimostrati gli inconvenienti igienici.
La discrezionalità esercitata in questa materia è ampia:
l’art. 216 riferisce la valutazione ad un concetto (“lontananza”)
molto duttile, avuto riguardo, in particolare, alla
tipologia di industria di cui concretamente si tratta (02.01.2014
- tratto da www.ipsoa.it). |
anno 2013 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Esercizio di impianto o attività inquinante ed elemento
soggettivo del reato.
La responsabilità penale posta dalla norma incriminatrice
(art. 279, comma 2, d.lgs. 152/2006) a carico dei soggetti
che esercitano un impianto o un’attività inquinante discende
da colpa, intesa in senso ampio, ossia negligenza,
imprudenza o imperizia, conseguente non solo a comportamenti
commissivi, ma anche ad inosservanza di prescrizioni pure
individuali impartite dall’autorità competente nel generale
contesto del dovere positivo di adozione di tutte le misure
tecniche ed organizzative di prevenzione del danno
ambientale.
Si configura, nella materia, un dovere di controllo e di
prudente vigilanza di colui che esercita l'impianto, imposto
per legge, e soltanto un evento eccezionale del tutto
imponderabile ed imprevedibile (non ravvisabile in relazione
ad eventi riconducibili ad omissioni negligenti) può
costituire causa di esclusione della punibilità
(Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 24.09.2013 n. 39404 -
tratto da www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Spina,
Le immissioni intollerabili nella recente giurisprudenza di
legittimità (Ambiente & Sviluppo n. 8-9/2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria. Articolo 674 codice penale e limiti di tollerabilità
delle emissioni.
La necessità di accertare il superamento del limiti di
tollerabilità delle emissioni ai fini della configurabilità
del reato previsto dall'art. 674 cod. pen. si pone soltanto
per le attività autorizzate in quanto le emissioni di fumo
gas o vapori siano una conseguenza diretta dell‘attività;
diversamente, nel caso di attività non autorizzata ovvero di
emissioni autorizzate, ma che non siano conseguenza naturale
dell'attività, in quanto imputabili a deficienze
dell'impianto o a negligenza del gestore, ai fini della
configurabilità del reato è sufficiente la semplice idoneità
a recare molestia alle persone (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.05.2013 n. 21138 - tratto da
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Cattivi odori dalle stalle? Rischio multe.
L'allevatore non ottempera all'ordine del sindaco di
chiudere la stalla, causa di esalazioni maleodoranti e viene
punito, quindi, con 50 euro di ammenda. La sentenza di 1°
grado, impugnata dall'imprenditore agricolo è stata ritenuta
esente da vizi anche se non era stata effettuata alcuna
misurazione, ovvero senza compiere nessun accertamento circa
l'entità delle emissioni, ai fini della verifica del reato,
che sussiste ogni qualvolta viene ad essere superata la
normale tollerabilità secondo la previsione dell'art. 844
cc..
Ma se manca la possibilità di accertare obiettivamente,
con adeguati strumenti, com'è il caso degli odori,
l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e
sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può
basarsi su dichiarazioni di testi, specie se a diretta
conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni consistano
nel riferimento a quanto oggettivamente percepito.
Lo ha
stabilito la Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la
sentenza 14.05.2013 n. 20748
(articolo ItaliaOggi del 18.05.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Ordinanze inutilizzabili per eliminare gli odori
di un allevamento.
Oggetto del contendere, nella sentenza in commento, era un
ordinanza con la quale il Sindaco di un comune pugliese
aveva interdetto l’allevamento zootecnico avi-cunicolo al
proprietario di un terreno, “sino alla data di esecuzione
dei lavori per abbattere la percezione di odori molesti”.
I giudici del Tribunale amministrativo di Lecce, hanno
accolto il ricorso decretando l’impossibilità di ricorrere
allo strumento atipico in questione in circostanze come
questa, visto che il Sindaco si è limitato a prendere atto
del persistere di inconvenienti igienico-sanitari. Tale
inconvenienti, tuttavia, lungi dal costituire un concreto
pericolo per la collettività (non enunciato affatto),
secondo gli stessi giudici erano fronteggiabili con gli
ordinari strumenti, imponendo ad esempio l’osservanza di
specifici e puntuali obblighi nella tenuta dell’allevamento
(cfr. Cons. Stato – Sez. VI, 13.06.2012 n. 3490, cit.: “le
ordinanze contingibili ed urgenti possono essere adottate
dal Sindaco nella veste di ufficiale di governo solamente
quando si tratti di affrontare situazioni di carattere
eccezionale e impreviste, costituenti concreta minaccia per
la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile
utilizzare i normali mezzi apprestati dall'ordinamento
giuridico: tali requisiti non ricorrono, di conseguenza,
quando le pubbliche amministrazioni possono adottare i
rimedi di carattere ordinario”).
È giurisprudenza costante, infatti, che i caratteri
dell’urgenza e della contingibilità, che legittimano le
ordinanze in questione, sono rinvenibili nell’esistenza di
un evento eccezionale ed imprevedibile, accompagnato a una
situazione di pericolo, e nel contempo nell’inesistenza di
ordinari strumenti con cui provvedere. Più in particolare, è
stato affermato che la situazione di pericolo è
individuabile nella “ragionevole probabilità che accada
un evento dannoso nel caso in cui l’amministrazione non
intervenga prontamente”.
E la conclusione non muta, secondo i giudici salentini,
anche a voler ritenere applicabile l’art. 50, quinto comma,
TUEL (per il quale il Sindaco provvede a fronteggiare “emergenze
sanitarie o di igiene pubblica”), non essendo
ipotizzabile il carattere emergenziale della situazione
derivante dalla percezione di odori, ancorché nauseabondi,
provenienti da allevamento sito in zona agricola e che gli
stessi accertatori hanno descritto come “caratteristici
dell’allevamento in questione”.
---------------
Dal preambolo del
provvedimento (“Letto ed applicato l’art. 54, comma 2°
del D. Leg.vo 267/2000”) è palese che il Sindaco di
Francavilla abbia inteso far ricorso al potere “extra
ordinem”, accordato dalla norma (correttamente, quarto
comma art. cit.) “al fine di prevenire e di eliminare gravi
pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza
urbana”.
Come affermato costantemente, i caratteri dell’urgenza e
della contingibilità che legittimano le ordinanze in
questione sono rinvenibili nell’esistenza di un evento
eccezionale ed imprevedibile, accompagnato a una situazione
di pericolo, e nel contempo nell’inesistenza di ordinari
strumenti con cui provvedere (giurisprudenza pacifica; per
tutte, Cons. Stato – Sez. VI, 13.06.2012 n. 3490).
Più in particolare, è stato affermato che la situazione di
pericolo è individuabile nella “ragionevole probabilità
che accada un evento dannoso nel caso in cui
l’amministrazione non intervenga prontamente” (TAR
Toscana – Sez. II, 09.04.2004 n. 1006).
La conclusione non muta, anche a voler ritenere applicabile
l’art. 50, quinto comma, TUEL (per il quale il Sindaco
provvede a fronteggiare “emergenze sanitarie o di igiene
pubblica”), non essendo ipotizzabile il carattere
emergenziale della situazione derivante dalla percezione di
odori, ancorché nauseabondi, provenienti da allevamento sito
in zona agricola e che gli stessi accertatori hanno
descritto come “caratteristici dell’allevamento in
questione” (cfr. la stessa ordinanza impugnata).
A ciò consegue l’impossibilità di ricorrere allo strumento
atipico in questione, posto che il Sindaco di Francavilla
Fontana si è limitato a prendere atto che persistono gli
inconvenienti igienico-sanitari; essi tuttavia, lungi dal
costituire un concreto pericolo per la collettività (non
enunciato affatto), sono fronteggiabili con gli ordinari
strumenti, imponendo ad esempio l’osservanza di specifici e
puntuali obblighi nella tenuta dell’allevamento (cfr. Cons.
Stato – Sez. VI, 13.06.2012 n. 3490, cit.: “le ordinanze
contingibili ed urgenti possono essere adottate dal Sindaco
nella veste di ufficiale di governo solamente quando si
tratti di affrontare situazioni di carattere eccezionale e
impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica
incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i
normali mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico: tali
requisiti non ricorrono, di conseguenza, quando le pubbliche
amministrazioni possono adottare i rimedi di carattere
ordinario”) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it -
TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 08.05.2013 n. 1012 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Realizzazione di impianto in difetto di autorizzazione.
Il reato di realizzazione di impianto in difetto di
autorizzazione era previsto dall’art. 24, comma 1, del d.P.R.
n. 203 del 1998, ora sostituito dall'art. 279, comma 1, del
d.lgs. 03.04.2006, n. 152.
Appare evidente dalla lettura
della disposizione che l’avvio delle operazioni di
costruzione di un impianto che possa produrre immissioni in
atmosfera deve essere preceduto dal rilascio delle
autorizzazioni previste dalla disciplina vigente.
Appare,
altresì, evidente che la formulazione della norma e la
struttura del reato impongono di attribuire a quest’ultimo
natura di reato permanente (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.01.2013 n. 192 -
tratto da www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
E' illegittima
l’ingiunzione adottata dal dirigente
dello Sportello unico delle attività produttive avente ad
oggetto l’ordine di messa in atto di opere finalizzate alla
cessazione della propagazione di fumo proveniente da canna
fumaria dell'attività di pizzeria condotta dalla ricorrente.
Invero, l’ingiunzione non trova riscontro in alcuna
specifica norma di legge che, in relazione alla situazione
di fatto assunta a giustificazione della sua adozione,
attribuisca all’amministrazione comunale la potestà
esercitata in materia.
È impugnata l’ingiunzione
adottata dal dirigente dello Sportello unico delle attività
produttive di Genova del 05.03.2009 avente ad oggetto
l’ordine di messa in atto di opere finalizzate alla
cessazione della propagazione di fumo proveniente da canna
fumaria dell'attività di pizzeria condotta dalla ricorrente.
Il motivo principale da cui muove il gravame è che
l’ingiunzione non troverebbe riscontro in alcuna specifica
norma di legge che, in relazione alla situazione di fatto
assunta a giustificazione della sua adozione, attribuisca
l’amministrazione comunale la potestà esercitata in materia.
La censura è fondata.
L’obbligo di fare avente ad oggetto l’esecuzione di opere
finalizzate a contenere la propagazione di fumi, oltre ad
essere genericamente imposto, non ha fonte di legge.
Non soddisfa affatto i principi di legalità sostanziale e
nominatività che presidiano e, ad un tempo, circoscrivono,
ai sensi dell’art. 23 cost., l’adozione da parte
dell’autorità amministrativa di prescrizioni di fare
incidenti sui cittadini o sugli operatori economici.
Detti principi, analiticamente declinati, rispettivamente,
esigono: per un verso, che la fonte normativa non solo
preveda genericamente la potestà in capo all’amministrazione
ma che, in senso sostanziale, ne disciplini contenuto,
oggetto ed efficacia prescrittiva; per l’altro, che risulti
esattamente individuata la norma che tale potestà
espressamente riconosca all’autorità procedente.
Nel caso in esame nessuna delle due.
Non ricorre nella situazione posta a base dell’ingiunzione
alcuna situazione di pericolo per la salute pubblica di cui
all’art. 217 r.d. n. 1265/1934, enfaticamente richiamato
nell’atto impugnato.
I fumi molesti, a cui fa riferimento la stessa ingiunzione
nella parte dispositiva, non sono infatti realisticamente
annoverabili fra le esalazioni pericolose per la salute
pubblica.
Non è altresì utilmente invocabile l’art. 36 del Regolamento
per l’igiene del suolo e dell’abitato del comune di Genova
che, in disparte la natura di atto normativo secondario, non
ascrivibile a fonte di legge idonea ad soddisfare la
relativa riserva prevista all’art. 23 cost., disciplina
propriamente l’installazione di canne fumarie.
Per quella per cui è causa, e dalla quale provengono i fumi
–va sottolineato– la ricorrente ha ottenuto a suo tempo,
ossia a fare data dal 2003, la prescritta autorizzazione.
Inoltre nel necessario riscontro dei requisiti di
tempestività e continuità dell’azione amministrativa che
caratterizza ab imis lo scrutinio di legittimità dei
provvedimenti atti a fronteggiare supposte situazioni di
pericolo per la salute pubblica, non va passato sotto
silenzio che la nota dell’ASL n. 3, avente riguardo alle
opere necessarie ad evitare la propagazione dal camino della
pizzeria di fumi pericolosi, risale al 07.06.2007: vale a
dire a ben due anni prima l’adozione dell’atto impugnato.
In definitiva, a tacer d’altro, si è assunta a fondamento di
fatto dell’ingiunzione una situazione contingente maturata
(non solo in un momento, bensì addirittura) in epoca
anteriore a quella specificamente considerata nell’otto
impugnato.
Del resto, conclusivamente, è significativo che gli abitanti
del condominio che lamentano i fumi molesti, invocando la
disciplina delle immissioni di cui all’art. 844 c. c., hanno
promosso la causa civile innanzi al Tribunale di Genova,
definita con sentenza di reiezione n. 2748/2012.
A testimonianza che, allo stato ed in difetto di
sopravvenute situazioni o emergenze debitamente accertate,
la controversia sui fumi provenienti dalla pizzeria della
ricorrente è questione che riguarda esclusivamente i privati
(TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Emissione in atmosfera di sostanze in assenza di
autorizzazione.
Il reato di cui all'art. 279 d.lgs. 152/2006 (per l'assenza
della prescritta autorizzazione) prevede, quale presupposto,
non la generica possibilità, ma la concreta attività di
produzione delle emissioni da parte dell'impianto.
L'affermazione di responsabilità per il reato di cui
all'art. 279 per l'emissione in atmosfera di sostanze
(pericolose o non) in assenza di autorizzazione, comporta la
prova della concreta produzione delle emissioni da parte
dell'impianto, non potendo dirsi sufficiente la mera
potenzialità produttiva di emissioni inquinanti, per cui
sussiste l'obbligo dell'autorizzazione di cui al D.L.vo
152/2006, art. 269, soltanto in relazione agli stabilimenti
che producono effettivamente emissione in atmosfera con
esclusione di quelli che sono solo potenzialmente idonei a
produrre emissioni.
E' necessario, quindi, per la
configurabilità il superamento dei valori limite stabiliti
dalla legge, che le emissioni siano effettivamente
sussistenti (tratto da www.lexambiente.it -
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.12.2012 n. 46835 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia serie ordinaria n. 46 del 13.11.2012 "Presa
d’atto della proposta di documento di pianificazione e
programmazione regionale di interventi per la qualità
dell’aria, della proposta di rapporto ambientale, della
proposta di sintesi non tecnica e della proposta di studio
di incidenza ambientale (art. 2, l.r. 24/2006 e art. 9,
d.lgs. 155/2010)" (deliberazione
G.R. 07.11.2012 n. 4384). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Appestare l'aria non è concesso.
Neanche a impianti autorizzati.
Le immissioni olfattive –provenienti da un impianto munito
di autorizzazione ai fini dell'inquinamento atmosferico e
che abbia rispettato i relativi valori-limite– sono
ascrivibili alla fattispecie di cui all'art. 674 c.p.: è
quanto si legge nella
sentenza 26.09.2012 n. 37037.
Secondo la
III Sez. penale della Corte di Cassazione «poiché l'ordinamento
non prevede specifici valori-limite per le immissioni
olfattive, le quali non rientrano nell'ambito della
disciplina dell'inquinamento atmosferico, il reato di cui
all'art. 674 cod. pen. è configurabile anche nel caso in cui
tali immissioni provengano da un impianto munito di
autorizzazione per le emissioni in atmosfera, essendo
sufficiente il superamento del limite della normale
tollerabilità ex art. 844 cod. civ.; limite che funge da
criterio di legittimità delle emissioni ai sensi della
seconda parte dello stesso art. 674 cod. pen.».
Così argomentando, ha in parte respinto il ricorso
presentato da due uomini condannati, sia in primo che
secondo grado, perché, quali soci amministratori di una
società semplice avente ad oggetto un allevamento avicolo,
avevano provocato emissioni di polveri ed effluenti gassosi
tali da «offendere e molestare le persone dimoranti nelle
vicinanze».
In particolare, gli imputati, tra i diversi motivi di
doglianza, lamentavano non solo il fatto che pur dando atto
che l'impianto di abbattimento degli odori era stato
autorizzato con delibera della giunta regionale, la Corte
territoriale aveva finito con il ritenere comunque
configurabile il reato, ma anche che, era stato applicato
erroneamente l'art. 81 c.p., ritenendo la fattispecie «permanente».
Anche per i giudici di legittimità, però, il fatto andava «qualificato
come reato continuato», in quanto la fattispecie
prevista dall'art. 674 sarebbe stata «costruita dal
legislatore intorno alla condotta di emissione, che si
configura ordinariamente come istantanea, in mancanza di
specifici elementi di fatto dai quali desumere la sua
permanenza».
Purtroppo, però, la Corte distrettuale non aveva proceduto
a: collocare nel tempo, con sufficiente precisione, tali
episodi; individuare fra di essi il più grave; procedere,
conseguentemente, alla determinazione della pena-base e
degli aumenti di pena per gli episodi minori
(articolo ItaliaOggi del 03.01.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Molestie olfattive e criteri di accertamento del reato.
In caso di
molestie olfattive l'evento del reato consiste nella
molestia, che prescinde dal superamento di eventuali limiti
previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del
limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c.; se
manca la possibilità di accertare obiettivamente, con
adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio
sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni
stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie
se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni
non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente
soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nei
riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi
dichiaranti (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.09.2012 n. 37037 - tratto da
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Ricciarello,
Gli adempimenti previsti dalla parte V del dlgs. 152/2006
(link a www.industrieambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: Emissioni in atmosfera di
stabilimenti esistenti: chiarimenti
regionali (ANCE Bergamo,
circolare 24.07.2012 n. 187). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto:
Disposizioni applicative in materia di
emissione in atmosfera in applicazione della
Parte Quinta del d.lgs. 152/2006 e smi:
chiarimenti in merito alle procedure
autorizzative per gli impianti/attività
ricadenti nell'ambito di applicazione
dell'art. 281, comma 3, del d.lgs. 152/2006
e smi - circolare esplicativa in merito
all'attuazione del dduo del 23.12.2011 n.
12772 inerenti le attività di ...
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Ambiente, Energia e Reti, Protezione Aria e
Prevenzione Inquinamenti Fisici e
Industriali, Attività Produttive e Rischio
Industriale,
nota 20.07.2012 n. 15030 di prot.).
---------------
Autorizzazioni in deroga art.
272, comma 1, dlgs 152/2006.
L'entrata in vigore del D.lgs. 128/2010 che
ha modificato e integrato la Parte Quinta
del D.Lgs. 152/2006 "Norme in materia di
tutela dell'aria e di riduzione delle
emissioni in atmosfera ha apportato
modifiche alla disciplina delle emissioni
cosiddette scarsamente rilevanti ai fini
dell'inquinamento atmosferico" di cui
all'art. 272, comma 1, del D.Lgs 152/2006.
La Regione Lombardia ha aggiornato i
contenuti della CIRCOLARE esplicativa del
28/01/2010 prot. n. 1711 emanando l'allegato
4 alla
circolare
20.07.2012 n. 15030 di prot..
In particolare la Regione Lombardia con la
nuova circolare ha:
• aggiornato l'elenco delle attività in
riferimento a quanto riportato nell'allegato
IV, parte I alla Parte Quinta del D.Lgs.
152/2006 come modificato dal D.lgs. 128/2010
• confermato le modalità e procedure
applicative per gli impianti/attività con
emissioni cosiddette scarsamente rilevanti
• definito le tempistiche per la
presentazione delle comunicazioni in accordo
a quanto riportato nell'art. 281 del D.lgs.
152/2006 come modificato dal d.Lgs.
128/2010.
Per ATTIVITA' NUOVE:
I gestori di attività ad emissioni
scarsamente rilevanti, prima dell'avvio
dell'attività o dell'impianto devono
comunicare, al comune competente per
territorio, di ricadere nella casistica di
cui all'art. 272, comma 1, del D.lgs.
152/2006 e s.m.i.; qualora non venga
effettuata tale comunicazione, che può
essere ricompresa all'interno della SCIA, il
gestore incorre nelle sanzioni previste
dall'art. 279, comma 3, del D.Lgs. 152/2006
e s.m.i.
Per le ATTIVITA' ESISTENTI:
I gestori di impianti e attività individuate
dall'art. 272, comma 1, in esercizio alla
data di entrata in vigore della Parte Quinta
del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. che non
ricadevano nel campo di applicazione del DPR
203/1988 o che erano esentati
dall'autorizzazione alle emissioni (ad
esempio attività di cui ai punti da bb) a kk)
) si adeguano alle disposizioni della Parte
Quinta D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., ossia
trasmettono la comunicazione al Comune
competente per territorio, entro il
01.09.2013 (commento tratto da
www.provincia.bergamo.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Autorizzazione alle emissioni e valori limite e
prescrizioni più severi di quelli contenuti negli allegati.
E’ la legge a prevedere il potere dell’amministrazione di
stabilire, nel provvedimento autorizzativo, valori limite e
prescrizioni “più severi di quelli contenuti negli allegati
I, II, III, e V alla parte quinta del presente decreto,
nelle normative di cui al comma 3 e nei piani e programmi di
cui al comma 4” (art. 271, comma 7, D.Lgs. 03.04.2006, n.
152).
L’esercizio di tale potere non presuppone l’esistenza
di Piani regionali per il risanamento della qualità
dell’aria, pur dovendo fondarsi su ragioni connesse alla
tutela della qualità dell’aria, emerse in sede istruttoria e
adeguatamente evidenziate in sede procedimentale (massima
tratta www.lexambiente.it - TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 29.06.2012 n. 782
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Se
le emissioni moleste non sono quotidiane si
ha diritto al risarcimento del danno?
(21.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
- Emissioni di fumi - Idoneità della
molestia - Accertamento mediante perizia -
Necessità - Esclusione - Elementi probatori
di diversa natura - Art. 674 C.P - D.L.vo
n.152/06.
Ai fini della configurabilità del reato di
cui all'art. 674 cod. pen. l'attitudine
delle emissioni di gas, vapori o fumi a
molestare le persone non deve essere
accertata necessariamente mediante perizia,
ben potendo il giudice fondare il proprio
convincimento, secondo le regole generali,
su elementi probatori di diversa natura,
quali le dichiarazioni testimoniali di
coloro che siano in grado di riferire
caratteristiche ed effetti delle emissioni,
quando tali dichiarazioni non si risolvano
nell'espressione di valutazioni meramente
soggettive o in giudizi di natura tecnica,
ma si limitino a riferire quanto
oggettivamente percepito dagli stessi
dichiaranti (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.06.2012 n. 23222 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: Nuove disposizioni per le
emissioni in atmosfera di stabilimenti
esistenti
(ANCE di Bergamo,
circolare 08.06.2012 n. 153). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI: Scarichi,
bollino blu fuorigioco.
Dal 10 febbraio scorso il tradizionale
bollino blu è andato definitivamente
fuorigioco. Non può più essere ne richiesto
ne rilasciato agli utenti stradali in quanto
il controllo obbligatorio dei dispositivi di
combustione e scarico degli autoveicoli e
motoveicoli è effettuato esclusivamente al
momento della revisione periodica del mezzo.
Sono state infatti abrogate dal dl 5/2012
tutte le diverse disposizioni locali che
impongono operazioni tecniche ulteriori sul
controllo dello smog dei veicoli.
Lo ha
messo nero su bianco il Ministero dei
Trasporti con la
circolare
30.05.2012 n. 15241 di prot..
L'art. 11, comma 8, del decreto legge
09.02.2012, n. 5, convertito nella legge
04.04.2012, n. 35, ha specificato
chiaramente che a decorrere dall'anno 2012 «il
controllo obbligatorio delle emissioni dei
gas di scarico degli autoveicoli e dei
motoveicoli è effettuato esclusivamente al
momento della revisione obbligatoria
periodica del mezzo».
Per chiarire definitivamente la portata
della semplificazione in relazione alla
vigenza delle diverse e a volte contrastanti
indicazioni locali è però dovuto intervenire
il ministero dei trasporti. La formulazione
della disposizione a parere dell'organo
tecnico centrale lascia spazio a poche
incertezze applicative. Dal 10.02.2012, data
di entrata in vigore del dl semplificazione,
l'unica verifica obbligatoria relativa al
rispetto delle emissioni dei gas di scarico
dei veicoli a motore è quella che si
effettua in occasione della revisione
periodica dei mezzi in conformità all'art.
80 del codice stradale.
In buona sostanza la novella ha tacitamente
abrogato ogni diversa disposizione comunale,
provinciale o regionale inerente al
controllo programmato dello smog prodotto
dai veicoli a combustione. La verifica
periodica del rispetto dei limiti di
emissione, prosegue la circolare a firma del
direttore generale del dipartimento per i
trasporti terrestri, Maurizio Vitelli, si
effettua solo in occasione della revisione
periodica del veicolo.
Qualsiasi operazione tecnica, diversa da
quella di revisione, finalizzata al
controllo delle emissioni di scarico a
parere del ministero deve considerarsi
arbitraria. E pure inefficace il relativo
titolo. In buona sostanza il bollino blu non
ha neppure alcun valore in caso di controllo
stradale
(articolo ItaliaOggi
del 31.05.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Emissioni moleste e
ripetitività della condotta.
Reati permanenti sono quelli nei quali
l'offesa al bene giuridico tutelato si
protrae nel tempo per effetto della
persistente condotta del soggetto agente: la
condotta illecita deve avere, dunque,
carattere continuativo e ad essa l'agente
può porre fine con condotta volontaria.
Il carattere continuativo delle emissioni
moleste non si identifica con la
ripetitività giornaliera delle stesse,
bastando che esse si protraggano -senza
interruzioni di rilevante entità- per un
lasso apprezzabile di tempo a cagione delta
duratura condotta colpevole del soggetto
agente (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza
24.05.2012 n. 19637 - tratto da
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Paone,
Emissioni in atmosfera, molestia alle
persone e intervento giudiziario (nota a
Cass. pen. n. 37495/2011) (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Vale
sempre il criterio della “normale
tollerabilità”per valutare le emissioni
moleste?
(21.05.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quando i fumi e gli odori
sprigionati dalla cottura dei cibi di un bar
molestano la famiglia che abita
l’appartamento, nei pressi del quale passa
il tubo di scarico della cucina, il gestore
dell’esercizio è responsabile per il reato
di “emissioni moleste”.
Ciò anche se gli accertamenti sono stati
eseguiti sotto la vigenza di un’altra
gestione del bar, se la famiglia molestata
non ha sollevato alcun reclamo nei confronti
della nuova gestione, e se il provvedimento
comunale che autorizza l’esercizio attesta
che le immissioni non avrebbero potuto
raggiungere livelli di intollerabilità.
---------------
Fumi e odori sgradevoli: Cassazione condanna
il gestore di un bar.
Il tubo di scarico della
cucina di un bar arriva sotto il solaio di
un appartamento: i fumi e gli odori
sprigionati dalla cottura dei cibi molestano
la famiglia che vi abita.
La III Sez. penale della Corte di
Cassazione, con la
sentenza 04.05.2012 n. 16670, condanna
il gestore dell’esercizio per il reato di “emissioni
moleste”, statuendo un’ammenda pari a
cento euro, nonché duemila euro, a titolo di
risarcimento dei danni, a favore della
famiglia.
La ricorrente, titolare di una nuova
gestione di un bar, lamenta che in sede di
merito non è stato considerato che gli
accertamenti erano stati eseguiti nel tempo
in cui il bar era gestito da un altro
soggetto e che la famiglia molestata non
aveva sollevato alcun reclamo verso la nuova
titolare dell’esercizio commerciale. Infine
precisa che il Comune aveva autorizzato la
ristorazione con un provvedimento dove si
attestava che le immissioni non avrebbero
potuto raggiungere livelli di
intollerabilità. Lamentele, tutte, che gli
ermellini hanno ritenuto infondate.
Motivando il rigetto, la terza sezione
penale richiama e conferma quanto
esplicitato dai giudici di merito, anche
citando la propria pronuncia n. 2475 del
2007 secondo la quale risulta “configurabile
il reato di cui all’art. 674 c. p.
(emissione di gas, vapori o fumi atti a
offendere o molestare le persone) in
presenza di molestie olfattive promananti da
impianto produttivo in quanto non esiste una
normativa statale che prevede disposizioni
specifiche e valori limite in materia di
odori, con conseguente individuazione del
criterio della stretta tollerabilità quale
parametro di legalità dell’emissione, attesa
l’inidoneità ad approntare una protezione
adeguata all’ambiente e alla salute umana di
quello della normale tollerabilità, previsto
dall’art. 844 c.c.” (link a
www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Emissioni
nocive.
Domanda.
La semplice inerzia degli amministratori
locali di fronte al superamento delle
concentrazioni massime di inquinanti ammessi
dalla legislazione comunitaria può
configurare un rifiuto di atti d'ufficio di
cui all'articolo 328 del codice penale?
Risposta.
La Corte di cassazione, sezione VI, con la
sentenza del 20.02.1998, numero 5482,
ha affermato: «Se, invero, non c'è dubbio
che la nozione di rifiuto di cui al comma 1,
dell'articolo 328 del codice penale, come
novellato dalla legge numero 86, del 1990,
implica, di per sé, un atteggiamento di
diniego (esplicito od implicito) a fronte di
una qualche sollecitazione “esterna”,
dall'altro il pregnante rilievo dato dalla
norma alla oggettiva impellenza di
determinati interventi induce a ritenere che
la sollecitazione stessa, ove non sia
espressamente prevista la necessità di una
richiesta o di un ordine, possa anche essere
costituita dalla evidente sopravvenienza in
sé dei presupposti oggettivi che richiedono
l'intervento. A fronte di una urgenza
sostanziale impositiva dell'atto, resa
evidente dai fatti oggettivi posti
all'attenzione del soggetto obbligato ad
intervenire, non c'è dubbio che l'inerzia
omissiva del medesimo assuma intrinsecamente
valenza di rifiuto ed integri quindi la
condotta punita dalla norma scaturente dalla
novella».
Il Tribunale di Firenze, sezione II penale,
con la sentenza del 23.11.2010, numero
3217, in tema di emissioni nocive e di
responsabilità degli amministratori locali,
ha affermato che, alla luce della normativa
sulle polveri sottili, che ha per scopo
ultimo la protezione della salute umana, ha
affermato che, alla luce della normativa
sulle polveri sottili, che ha per scopo
ultimo la protezione della salute umana, non
è possibile «stabilire quanta inerzia
segnalino i (_) superamenti, e a quale
conseguente livello di debba fissare la
soglia medesima, se non facendo scelte del
tutto arbitrarie e soggettive, cioè violando
sostanzialmente il principio di legalità»
con la conseguenza di dar luogo ad «una
norma penale a contenuto variabile, da
completarsi secondo la più assoluta
discrezionalità della pubblica accusa».
Il Gup di Palermo, in tema di sindacato
sull'esercizio della discrezionalità
amministrativa, con la pronuncia del
10.03.2009, ha affermato, per un caso
simile, «ovviamente la natura
discrezionale tecnica della maggior parte
dei contenuti dei provvedimenti (ordinanze
d'urgenza, delibere consiliari), espressione
di poteri degli enti territoriali del genere
enunciato, non toglie nulla alla
obbligatorietà del loro esercizio, ed alle
responsabilità civili e penali che ne
possono derivare, proprio in considerazione
della preminenza sociale e dell'essenzialità
costituzionale dei diritti soggettivi
implicati nelle vicende del loro esercizio e
delle finalità strettamente connesse, per i
quali la legge li attribuisce».
Pertanto, per il predetto giudice, «potrà
sempre sindacarsi da parte del giudice,
sotto profili penali civili e
amministrativi, come palesemente inadeguata,
ed equivalente al nulla e lesiva degli
interessi e dei diritti soggettivi
implicati, l'azione amministrativa
assolutamente illogica rispetto ad un
intervento conforme ai dettami delle
elaborazioni del settore ed alle esperienze
di tecnici competenti»
(articolo ItaliaOggi
Sette del 30.04.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Polveri
sottili.
Domanda.
Agli amministratori locali, quali soggetti
garanti, è da imputare, ai sensi
dell'articolo 40 del codice penale, il
superamento delle concentrazioni massime di
inquinanti ammessi dalla legislazione
comunitaria?
Risposta.
L'articolo 40 del codice penale dispone, in
tema di rapporto di causalità, che: «Nessuno
può essere punito per un fatto preveduto
dalla legge come reato, se l'evento dannoso
o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del
reato, non è conseguenza della sua azione od
omissione».
Il Tribunale di Firenze, sezione II penale,
con la sentenza del 23.11.2010, numero 3217,
in tema di emissioni nocive e di
responsabilità degli amministratori locali,
ha affermato che, alla luce della normativa
sulle polveri sottili, che ha per scopo
ultimo la protezione della salute umana, «agli
amministratori imputati non può essere
addebitata la totale omissione di misure
volte a impedire la concentrazione di
inquinanti in atmosfera superiore ai limiti,
perché di misure dirette a tali fini ne sono
state emesse moltissime; peraltro la
eventuale, presunta omissione di ulteriori
misure intese a quello scopo non è
equiparabile in alcun modo, né
concettualmente né praticamente, al mancato
impedimento dell'evento perché, sotto il
primo profilo, la mera omissione di atti e
l'impedimento di un evento criminoso non
sono teoricamente corrispondenti né sono la
inevitabile conseguenza l'uno dell'altra, ed
inoltre perché, sotto il secondo profilo,
non vi è prova alcuna nel processo che
l'adozione di misure ulteriori volte a
limitare le emissioni potenzialmente
inquinanti avrebbe sicuramente impedito
l'evento, cioè il superamento dei limiti
delle concentrazioni».
Aggiungono, poi, i Giudici fiorentini, «in
realtà, per potere configurare il reato
contestato sotto il profilo dell'articolo 40
codice penale, la condotta tenuta o l'evento
verificatosi, entrambi da impedire da parte
di chi avesse avuto il dovere di farlo,
devono necessariamente essere di per sé
condotte o eventi criminosi, e non potrà
essere la contestazione dell'articolo 40 a
produrre “il miracolo” di trasformare in
reato condotte o eventi che tali di per sé
non sono sin dall'origine».
Nella fattispecie è da provare, sempre
secondo il tribunale di Firenze, la
indispensabile correlazione (il nesso di
causa) tra la presunta condotta omissiva
degli amministratori locali e l'evento,
cioè: il superamento dei limiti delle
concentrazioni
(articolo ItaliaOggi
Sette del 30.04.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Installazione impianto di verniciatura
industriale.
La installazione di un impianto di
verniciatura industriale con due camini di
aspirazione per le emissioni in atmosfera,
in una azienda per attività di carrozzeria
che non prevedeva tale tipo di lavorazione,
costituisce indubbiamente una modificazione
sostanziale dello stabilimento soggetta
anche essa a preventiva autorizzazione, la
cui carenza è punita con la stessa pena di
quella prevista per la totale mancanza di
autorizzazione (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza
23.04.2012 n. 15500 - tratto da
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Polveri sottili.
DOMANDA.
Gli amministratori locali sono responsabili
per l'omesso contenimento delle emissioni di
polveri sottili?
RISPOSTA.
Il Tribunale di Firenze, sezione II penale,
con la sentenza del 23.11.2010, numero
3217, in tema di emissioni nocive e di
responsabilità degli amministratori locali,
ha affermato che, alla luce della normativa
sulle polveri sottili, che ha per scopo
ultimo la protezione della salute umana,
occorre prendere in considerazione, nel
valutare se sussista o meno il superamento
dei limiti massimi di emissioni nocive, i
soli dati forniti dalle centraline di «fondo
urbano», oggettivamente rappresentative
dell'esposizione media agli inquinanti della
popolazione urbana generale, non essendo
integrati i reati di cui agli articoli 328 e
674 del codice penale quando le stesse non
indichino il superamento di tali limiti.
Il
Tribunale fiorentino ha precisato, pure,
che, per i comuni prossimi ad autostrade o
superstrade, le relative centraline «di
fondo urbano» vanno intese quali centraline
di «traffico», con correlativa impossibilità
di limitare le emissioni da parte degli
amministratori locali. Ha aggiunto, poi, che
in ogni caso, se i superamenti della
quantità di emissioni consentite, calcolati
sui dati delle centraline «di fondo urbano»
rientrano nei margini di tolleranza previsti
dall'articolo 22. commi 1 e 2, della
direttiva 50/08/Ce, i fatti di reato di cui
agli articoli 328 e 674 codice penale non
possono ritenersi sussistenti.
Infatti, per
il citato Tribunale, ai fini della
configurabilità del delitto di cui
all'articolo 328 del codice penale (rifiuto
di atti d'ufficio, omissione) non è
sufficiente il generico rimprovero al
pubblico ufficiale di avere omesso o
rifiutato atti ulteriori rispetto a quelli
in precedenza adottati, non potendo il
giudice penale entrare nel merito
dell'esercizio della discrezionalità
amministrativa ed essendo, in ogni caso,
onere dell'accusa la precisa individuazione
dell'atto ulteriore omesso.
In un caso simile, il Gup di Palermo, con la
pronuncia del 10.03.2009, ha manifestato un
diverso avviso. Per il detto giudice, il
sindaco e gli assessori comunali aventi
delega in materia ambientale sono
responsabili di omissione di atti d'ufficio
e di emissione di sostanze pericolose e
nocive per non avere adottato le misure
necessarie a contenere il fenomeno
dell'inquinamento nella città, gravando
sull'Amministrazione territoriale i poteri
d'imposizione in materie direttamente ed
indirettamente influenti sulla qualità
dell'ambiente, di coercizione e sanzionatori
dei comportamenti che violino le regole di
legge ed incidano sulla salubrità
dell'ambiente, nonché l'attuazione di
efficaci piani di traffico veicolare, di
piani urbanistici, e la cura, la
realizzazione e l'incremento di giardini ed
aree verdi in ogni settore della città (articolo ItaliaOggi Sette
del 16.04.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: La fuliggine diventa «molesta» anche se non
si superano i limiti. Prevale la «comune
tollerabilità» dei condòmini.
La fuliggine che esce dalla canna fumaria di
un forno è molesta anche se le emissioni non
superano il limite di legge. Se è vero che è
buono il profumo del pane appena sfornato,
certamente non è altrettanto gradevole avere
la casa annerita dai vapori che escono
dall'impianto di aereazione di una
panetteria. Almeno così la pensavano gli
abitanti del condominio che ha dichiarato
guerra al proprietario di un forno, il cui
impianto di smaltimento spargeva la nera
fuliggine sulla facciata del palazzo.
La Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la
sentenza
27.02.2012 n. 7605, dà
partita vinta ai condomini e conferma la
condanna, inflitta al panettiere dal
Tribunale di Sassari, per il reato di "getto
pericoloso" di cose previsto dall'articolo
674 del Codice penale.
Inutile il tentativo del fornaio di
denunciare la contraddizione in cui, a suo
avviso, erano caduti i giudici di merito che
lo avevano invece assolto dall'accusa di
aver violato l'articolo 24 del decreto del
presidente della Repubblica n. 203 del 1988
con il quale sono state recepite le
direttive comunitarie sull'inquinamento
prodotto dalle realtà industriali. Una
decisione che sarebbe, a parere del
panificatore, un implicito via libera a
svolgere la sua attività.
Ma non è così. Gli ermellini spiegano,
infatti, che la molestia non c'è soltanto
nel caso in cui le emissioni superino il
tetto imposto da speciali norme giuridiche
ma anche quando si oltrepassa la misura
della comune tollerabilità per come fissata
dall'articolo 844 del Codice civile, il
quale stabilisce che nel giudizio devono
avere un peso lo stato dei luoghi e anche il
giusto bilanciamento tra le esigenze di
produzione e quelle della proprietà.
In
questo caso si affermano senz'altro le
seconde, al punto che la Corte di cassazione
avalla, considerando sufficienti le prove
raccolte, anche il rifiuto di assumere come
teste a discarico, oltre al tecnico addetto
alla manutenzione del forno anche un
condomino. Troppo poco per essere assolto.
In maniera diversa è andata invece a un
collega del ricorrente che non ha pagato
pegno pur avendo un impianto rumoroso. La
Cassazione, con la sentenza 05.09.2011 n.
33072 lo ha infatti "graziato" perché
del rumore si era lamentata soltanto una
famiglia. Per il reato di molestia serve,
infatti, che il fastidio sia avvertito da un
«numero indeterminato di persone»
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.02.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 8 del
20.02.2012, "Determinazioni generali in
merito alla caratterizzazione delle
emissioni gassose in atmosfera derivanti da
attività a forte impatto odorigeno" (deliberazione
G.R. 15.02.2012 n. 3018). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Aria. Canne fumarie o sistemi di
evacuazione dei prodotti di combustione.
La disciplina vigente in tema di sbocco dei
sistemi di evacuazione dei fumi, oltre a far
salve diverse disposizioni, anche contenute
nei regolamenti edilizi locali, consente una
deroga all’obbligo di carattere generale nel
caso di sostituzione di precedenti impianti
autonomi con nuovi impianti (in sostanza, se
l’impianto da sostituire ha già uno scarico
esterno, che non raggiunge il tetto
dell’edificio, è possibile conservare tale
configurazione senza realizzare lo scarico a
tetto, purché si adotti un generatore di
calore che soddisfi determinate
caratteristiche) (massima tratta da
www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza
29.12.2011 n. 6978 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Le
emissioni inquinanti integrano reato contravvenzionale
penale: la costante giurisprudenza di legittimità ne ha
interpretato l’ambito oggettivo in senso largamente
estensivo (“ai fini della sussistenza del reato di cui
all'art. 674 c.p. non è richiesta la prova di un concreto
pericolo per la salute delle persone in quanto tale norma fa
riferimento al concetto più attenuato di molestia") ed ha
costantemente affermato che esso è configurabile
“indipendentemente dal superamento dei valori limite di
emissione stabiliti dalla legge qualora le emissioni moleste
non siano una diretta conseguenza dell'attività autorizzata,
ma siano dovute all'omessa attuazione degli accorgimenti
tecnici idonei ad eliminarle o contenerle.”.
La contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. sussiste anche
in presenza di rituali autorizzazioni amministrative per
l'esercizio di un'attività d'impresa, ove da tale esercizio
derivino esalazioni odorifere moleste alle persone, poiché
l'imprenditore ha comunque il dovere di adottare tutte le
misure consigliate dall'esperienza e dalla tecnica atte a
evitare il disagio, fastidio o disturbo generalizzati ovvero
a turbare il modo di vivere quotidiano.
Né in proposito rileva che la competente autorità
amministrativa abbia attestato che l'impianto "non produce
inquinamento atmosferico", giacché la norma incriminatrice
"de qua" non tutela il bene giuridico "aria" in sé
considerato, bensì le persone che possono ricevere
pregiudizio diretto da eventuali emissioni, eccedenti il
limite della normale tollerabilità.”.
---------------
In tema di immissioni, l'art. 844, comma 2, c.c., nella
parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice,
del contemperamento delle esigenze della produzione con le
ragioni della proprietà, considerando eventualmente la
priorità di un determinato uso, deve essere letto, tenendo
conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi
ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei
rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione
costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi
prevalente rispetto alle esigenze della produzione il
soddisfacimento ad una normale qualità della vita.
Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da
un'attività produttiva che superino i normali limiti di
tollerabilità fissati, nel pubblico interesse, da leggi o
regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni
del fondo che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché
il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire
ad un contemperamento delle esigenze della produzione
soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che
consentano l'esercizio della attività produttiva nel
rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni
superiori alla normale tollerabilità.”.
Ciò si inquadra nel condivisibile orientamento per cui
“l'art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale
tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle
esigenze della proprietà con quelle della produzione,
l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili
propagazioni attuate nell'ambito delle norme generali e
speciali che ne disciplinano l'esercizio. Viceversa,
l'accertamento del superamento della soglia di normale
tollerabilità di cui all'art. 844 c.c., comporta, nella
liquidazione del danno da immissioni, sussistente "in re
ipsa", l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento
di interessi contrastanti e di priorità dell'uso, in quanto
venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente
l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi,
si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento
danni di cui all'art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto
concerne il danno alla salute, nello schema del danno non
patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c..
Secondariamente, si evidenzia
che le emissioni inquinanti integrano reato
contravvenzionale penale: la costante giurisprudenza di
legittimità ne ha interpretato l’ambito oggettivo in senso
largamente estensivo (“ai fini della sussistenza del
reato di cui all'art. 674 c.p. non è richiesta la prova di
un concreto pericolo per la salute delle persone in quanto
tale norma fa riferimento al concetto più attenuato di
molestia". -Cassazione penale, sez. III, 07.04.1994-) ed
ha costantemente affermato che esso è configurabile “indipendentemente
dal superamento dei valori limite di emissione stabiliti
dalla legge qualora le emissioni moleste non siano una
diretta conseguenza dell'attività autorizzata, ma siano
dovute all'omessa attuazione degli accorgimenti tecnici
idonei ad eliminarle o contenerle.” (Cassazione penale,
sez. III, 16.05.2007, n. 23796).
Appare poi sintomatico della correttezza della impostazione
prevenzionistica dell’autorità sanitaria -e del comune che
ad essa si è pedissequamente riportato- l’orientamento della
costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “la
contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. sussiste anche in
presenza di rituali autorizzazioni amministrative per
l'esercizio di un'attività d'impresa, ove da tale esercizio
derivino esalazioni odorifere moleste alle persone, poiché
l'imprenditore ha comunque il dovere di adottare tutte le
misure consigliate dall'esperienza e dalla tecnica atte a
evitare il disagio, fastidio o disturbo generalizzati ovvero
a turbare il modo di vivere quotidiano.
Né in proposito rileva che la competente autorità
amministrativa abbia attestato che l'impianto "non produce
inquinamento atmosferico", giacché la norma incriminatrice
"de qua" non tutela il bene giuridico "aria" in sé
considerato, bensì le persone che possono ricevere
pregiudizio diretto da eventuali emissioni, eccedenti il
limite della normale tollerabilità.” (Cassazione penale,
sez. III, 13.10.1999, n. 11688).
Infine, costituisce elemento processuale pacificamente
provato quello per cui nell’area vicina all’impianto
sorgevano costruzioni adibite a civile abitazione.
---------------
V’è disaccordo tra le parti in ordine alla circostanza
relativa all’epoca di realizzazione di queste ultime, ed
alla diretta insistenza –o meno- delle stesse nell’area
industriale.
Ritiene tuttavia il Collegio che non sia dirimente accertare
se le stesse siano insorte anteriormente o successivamente
all’impianto per cui è causa, ovvero se esse siano state ivi
allocate legittimamente o meno.
Si rammenta in proposito che il comma 2 dell’art. 844 del
codice civile (“Il proprietario di un fondo non può
impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i
rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal
fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità,
avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve
contemperare le esigenze della produzione con le ragioni
della proprietà. Può tener conto della priorità di un
determinato uso.”) fa riferimento al criterio della “prevenzione
nell’uso”, ma ciò costituisce elemento meramente
facoltativo a fini valutativi (“Il criterio di
prevenzione, dettato per la disciplina delle immissioni,
dall'ultima parte del comma 2 dell'art. 844 c.c., ha
carattere meramente complementare e sussidiario: ne consegue
che il giudice ha la facoltà, non l'obbligo, di tener conto
della priorità di un determinato uso, e il mancato esercizio
di tale facoltà non può costituire motivo di cassazione
della sentenza”.) (Cassazione civile, sez. II,
06.03.1979, n. 1404).
Più di recente, la Cassazione ha chiarito che il principio,
dettato in tema di immissioni acustiche è agevolmente
traslabile a quelle odorigene; si è detto, così: “In tema
di immissioni, l'art. 844, comma 2, c.c., nella parte in cui
prevede la valutazione, da parte del giudice, del
contemperamento delle esigenze della produzione con le
ragioni della proprietà, considerando eventualmente la
priorità di un determinato uso, deve essere letto, tenendo
conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi
ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei
rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione
costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi
prevalente rispetto alle esigenze della produzione il
soddisfacimento ad una normale qualità della vita.
Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da
un'attività produttiva che superino i normali limiti di
tollerabilità fissati, nel pubblico interesse, da leggi o
regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni
del fondo che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché
il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire
ad un contemperamento delle esigenze della produzione
soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che
consentano l'esercizio della attività produttiva nel
rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni
superiori alla normale tollerabilità.” (Cassazione
civile, sez. II, 08.03.2010, n. 5564).
Ciò si inquadra nel condivisibile orientamento per cui “l'art.
844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e
dell'eventuale contemperamento delle esigenze della
proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di
sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate
nell'ambito delle norme generali e speciali che ne
disciplinano l'esercizio. Viceversa, l'accertamento del
superamento della soglia di normale tollerabilità di cui
all'art. 844 c.c., comporta, nella liquidazione del danno da
immissioni, sussistente "in re ipsa", l'esclusione di
qualsiasi criterio di contemperamento di interessi
contrastanti e di priorità dell'uso, in quanto venendo in
considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceità del
fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra
nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di
cui all'art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto concerne
il danno alla salute, nello schema del danno non
patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c.”
(Cassazione civile, sez. III, 13.03.2007, n. 5844)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6612 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Autoriparatori,
stretta sui rifiuti. Ritorna l'obbligo di conferimento a
operatori autorizzati. Le novità della Comunitaria 2010
approvata in via definitiva. La nuova Ippc con la 2011.
Ritorno dell'obbligo per gli
autoriparatori di conferire tutti i rifiuti derivanti dalla
manutenzione dei veicoli a operatori autorizzati e stretta
sulle emissioni di vapori di benzina degli impianti di
distribuzione.
Queste le novità di matrice ambientale previste dalla legge
«Comunitaria 2010» licenziata in via definitiva lo
scorso 30 novembre dal Parlamento e in corso di
pubblicazione in G.U..
Autoriparatori e gestione rifiuti.
Dall'entrata in vigore della «Comunitaria 2010» le
autofficine dovranno avviare tutti i rifiuti derivanti dalla
loro attività di autoriparazione a impianti di trattamento
autorizzati, con l'unica eccezione dei beni a fine vita
tecnicamente non conferibili.
Mediante il diretto intervento sull'art. 5 del dlgs
209/2003, la legge per l'allineamento alle norme comunitarie
ha infatti, ripristinando la versione del decreto precedente
alle modifiche introdotte dalla legge 96/2010, (ri)trasformato
da mera «facoltà» a vero e proprio obbligo la
consegna ai centri di raccolta dei rifiuti diversi da quelli
«di filiera».
In base al nuovo tenore del citato art. 5 del dlgs 209/2003,
le imprese di autoriparazione dovranno così gestire i beni a
fine vita in base a un «doppio binario», ossia:
conferire i rifiuti non destinati ad un consorzio
obbligatorio di raccolta a un centro di raccolta
autorizzato; continuare a conferire i rifiuti destinati a un
consorzio obbligatorio di raccolta ai relativi raccoglitori
autorizzati.
La gestione dei veicoli a fine vita, lo ricordiamo, risulta
disciplinata dal concorso di due provvedimenti, ossia: dal
dlgs 209/2003 che si applica ai veicoli a motore
appartenenti alle categorie M1 e N1 di cui all'allegato II,
parte A, della direttiva 70/156/Cee, nonché ai veicoli a
motore a tre ruote come definiti dalla direttiva 2002/24/Ce;
dal dlgs 152/2006 (cd. «Codice dell'ambiente»), che
disciplina in via residuale la gestione di tutti i rifiuti
costituiti dagli altri veicoli a motore.
Distributori benzina ed emissioni nocive.
Arriverà invece tramite due futuri provvedimenti di matrice
governativa l'upgrade delle attuali norme nazionali sul
recupero dei vapori di benzina emessi dagli impianti di
distribuzione.
La legge Comunitaria 2010 prevede infatti l'attuazione
dell'ultima direttiva comunitaria in materia (la
2009/126/Ce) mediante un dlgs che riscriverà direttamente la
Parte V del dlgs 152/2006 e un decreto dell'Ambiente che
sostituirà gli attuali requisiti costruttivi e di
installazione degli impianti di distribuzione previsti dal
punto 3, allegato VIII, parte V del «Codice ambientale».
«Rinvio» per Ippc ed efficienza energetica.
Originariamente previste dal ddl recante la «Comunitaria
2010», sono invece confluite nel parallelo schema di
provvedimento recante la «Comunitaria 2011»
(all'esame della Camera) le norme per il recepimento di due
importanti provvedimenti ambientali di matrice europea,
ossia la nuova direttiva 2010/75/Ce sull'«Ippc» e la
direttiva 2010/31/Ce sulla prestazione energetica edilizia.
Il recepimento delle nuove regole comunitarie «Ippc»
(da effettuarsi entro il gennaio 2013) comporterà la
riformulazione dell'attuale dlgs 59/2005, con un upgrade
delle misure a difesa dell'ambiente.
Con la riscrittura del dlgs 59/2005 dovranno essere infatti
tradotti sul piano nazionale: l'allargamento delle severe
norme sul controllo integrato dell'inquinamento a impianti
di combustione di potenza termica compresa tra 20 e 50 Mw,
impianti industriali per conservazione prodotti di legno,
imprese produzione pannelli a base di legno; l'introduzione
del meccanismo di scambio dei diritti di emissione per
inquinanti altamente tossici, tra cui ossidi di azoto e
zolfo; il rafforzamento del ruolo delle «migliori
tecniche disponibili»; maggiori ispezioni sugli impianti
autorizzati e più controllo sul rinnovo delle
autorizzazioni.
Con il recepimento della direttiva 2010/31/Ce sulla
prestazione energetica edilizia arriverà invece un upgrade
delle performance che i nuovi immobili dovranno soddisfare
per il raggiungimento dell'obiettivo comunitario di una
riduzione del 20% dei consumi entro il 2020. La traduzione
nazionale della direttiva 2010/31/Ce imporrà una
rivisitazione del dlgs 192/2005 riguardo ai requisiti minimi
di prestazione energetica e alla previsione di edifici a
energia «quasi a zero».
Saltano appello tutela acque e rumore.
Inizialmente previste dal ddl «Comunitaria 2010» non
risultano invece neppure traghettate nella «2011» in
itinere le deleghe per il pieno recepimento di due altre
nodali direttive comunitarie, ossia: la direttiva 2000/60/Ce
sulla protezione delle acque (atto dovuto alla luce della
procedura d'infrazione Ue n. 2007/4680 verso il governo
nazionale), la cui trasposizione imporrà la rivisitazione
della disciplina della gestione del patrimonio idrico
disegnata dal dlgs 152/2006; la direttiva 2002/49/Ce sul
rumore ambientale che dovrà essere tradotta sul piano
nazionale mediante la riformulazione delle regole
sull'insonorizzazione degli edifici attualmente previste
dalla legge 447/1995 e provvedimenti satellite (dpcm
05.12.1997) ma parzialmente sospese proprio dalla
Comunitaria 2008 proprio in vista della loro riformulazione
(articolo
ItaliaOggi Sette del 12.12.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
ARIA – INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Getto
pericoloso di cose - Emissione - Configurazione del reato -
Presunzione di legittimità delle emissioni – Nei casi non
consentiti dalla legge - Art. 674 cod. pen..
L'espressione "nei casi non consentiti dalla legge"
contenuta nell’art. 674 cod. pen., costituisce una precisa
indicazione della necessità, ai fini della configurazione
del reato, che, qualora si tratti di attività considerata
dal legislatore socialmente utile e che per tale motivo sia
prevista e disciplinata, l'emissione avvenga in violazione
delle norme o prescrizioni di settore che regolano la
specifica attività.
Deve ritenersi, infatti, che la legge contenga una sorta di
presunzione di legittimità delle emissioni che non superino
la soglia fissata dalle nonne speciali in materia. In altri
termini, all'inciso "nei casi non consentiti dalla legge"
deve riconoscersi un valore rigido e decisivo, tale da
costituire una sorta di spartiacque tra il versante
dell'illecito penale da un lato e quello dell'illecito
civile dall'altro [Cass. sez. I, 16/06/2000, Meo; Cass. sez.
I, 24/10/2001, Tulipano; Cass. sez. III, 23/01/2004, Pannone;
Cass. sez. III, 19/03/2004, n. 16728, Parodi; Cass. sez. I,
20/05/2004, Invernizzi; sez. III, 18/06/2004, Previdenti;
sez. III, 10/2/2005, Montinaro; sez. III, 21/06/2006,
Bortolato; sez. III, 26/10/2006, Gigante; sez. III,
11/05/2007, Pierangeli; sez. III, 09.10.2007, n. 41582,
Saetti].
In conclusione, il reato di cui all'art. 674 cod. pen. non è
configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una
attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista
e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute
nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici
provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui
rispetto implica una presunzione di legittimità del
comportamento [Cass., sez. III, 21/10/2010, n. 40849,
Rocchi; 09/01/2009, n. 15707, Abbaneo; 13/05/2008, n. 36845,
Tucci; 27/02/2008, n. 15653, Colombo].
ARIA – INQUINAMENTO ATMOSFERICO -
Emissioni ex art. 674 cod. pen. due distinte ed autonome
ipotesi di reato – Esclusione.
La fattispecie contravvenzionale descritta dall'art. 674
cod. pen. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di
reato ma un reato unico, in quanto la condotta consistente
nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta
una species del più ampio genus costituito dal
gettare o versare cose atte ad offendere, imbrattare o
molestare persone.
Le emissioni di cui alla seconda ipotesi (riferita a gas,
vapori o fumo) rientrano già nell'ampio significato
dell'espressione "gettare cose", di cui in realtà
costituiscono una specie, e sono state espressamente
previste dalla norma unicamente per specificare che quando
si tratta di attività disciplinata per legge -e per tale
motivo ritenuta dal legislatore di un qualche interesse
pubblico e generale- la loro rilevanza penale nasce soltanto
con il superamento dei limiti e delle prescrizioni di
settore [Cass., sez. III, 21/10/2010, n. 40849, Rocchi;
09/01/2009, n. 15707, Abbaneo].
L'elemento che caratterizza e giustifica la previsione
speciale di cui alla seconda ipotesi dell'art. 674 cod. pen.
è costituito dal riferirsi ad una attività socialmente utile
e quindi disciplinata e non già dalla natura dell'oggetto
dell'emissione (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.10.2011 n. 37495 - link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Aria -
Emissioni e disturbo olfattivo - Disposizioni specifiche e
valori limite in materia di odori - Assenza - Reato di cui
all'art. 674 c. p. - Configurabilità - Criterio della
"stretta tollerabilità" - Individuazione del parametro di
legalità dell'emissione - Fattispecie: bruciatura del
rivestimento in plastica di fili di rame - Art. 844 c.c..
Si configura il reato di cui all'art. 674 c. p., anche nel
caso di "molestie olfattive" promananti da impianto
munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera.
L'evento del reato consiste nella molestia, che, nel caso
sia provocata dalle emissioni di gas, fumi o vapori,
prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla
legge, essendo sufficiente il superamento del limite della
normale tollerabilità ex art. 844 c.c. (Cass. Sez. 1, n.
16693 del 27/3/2008, Polizzi).
Inoltre nel caso di emissioni idonee a creare molestie alle
persone rappresentate da odori, se manca la possibilità di
accertare obiettivamente, con adeguati strumenti,
l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e
sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può
basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta
conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si
risolvano nell'espressione di valutazioni meramente
soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel
riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi
dichiaranti (Cass., Sez. 3, n. 19206 del 27/03/2008, Crupi).
Fattispecie: alimentazione di un falò, che bruciando il
rivestimento in plastica di 15 Kg di rame produceva un fumo
acre che si incanalava nella valle e raggiungeva le
abitazioni fino a circa seicento metri di distanza,
provocando emissioni di fumo atte ad offendere e molestare
persone (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.09.2011 n. 34896 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Emissioni e molestie olfattive.
Il reato di cui all'art. 674 c. p. è configurabile anche nel
caso di "molestie olfattive" promananti da impianto
munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera.
L'evento del reato, infatti, consiste nella molestia, che,
nel caso sia provocata dalle emissioni di gas, fumi o
vapori, prescinde dal superamento di eventuali limiti
previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del
limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c..
Inoltre, nel caso di emissioni idonee a creare molestie alle
persone rappresentate da odori, se manca la possibilità di
accertare obiettivamente, con adeguati strumenti,
l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e
sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può
basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta
conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si
risolvano nell'espressione di valutazioni meramente
soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel
riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi
dichiaranti (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.09.2011 n. 34896 - tratto da
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
ARIA – INQUINAMENTO ATMOSFERICO -
Gestore dell’impianto o dell’attività - Emissioni in
atmosfera - Inosservanza del progetto e delle prescrizioni
in materia - Reato di cui all’art. 279, c. 2°, D.L.vo n.
152/2006 – Configurabilità - Art. 271, D.L.vo n. 152/2006.
Tra le prescrizioni di cui all’art. 279, comma 2, Decreto
Legislativo n. 152/2006, la cui inosservanza dà luogo a
sanzione penale, vanno ricomprese le disposizioni che
impongono adempimenti prodromici alla messa in esercizio
dell’impianto, tra le quali, rientrano, anche, quelle, come
nel caso di specie, attinenti all'osservanza del progetto
relativo all'esercizio delle emissioni in atmosfera
dell’impianto di compostaggio biomasse e compost.
Inoltre, il gestore dell’impianto o della attività è tenuto
a osservare le prescrizioni indicate direttamente
nell’autorizzazione: quelle contenute nell’Allegato I del
Codice dell’Ambiente; quelle indicate nei piani, nei
programmi e nella normativa di cui all’art. 271, Decreto
Legislativo n. 152/2006; nonché, qualunque altra
prescrizione imposta dalla autorità competente ai sensi del
Titolo I, Parte V, del Codice ambientale. Fattispecie:
inosservanza delle prescrizioni in materia e mancata
installazione all’interno dell’impianto del meccanismo
(pressostato differenziale) atto a misurare la depressione
che c’è a monte e a valle tra il biofiltro, che permette di
garantire il passaggio di aria e l'abbattimento delle
particelle di polvere, cosi che l’aria sia davvero pulita,
con ciò violando quanto previsto dal progetto approvato con
atto SUAP (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.07.2011 n. 29967 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Amendola,
ART. 674 C.P., EMISSIONI MOLESTE E INQUINAMENTI. E’ L’ORA
DELLE SEZIONI UNITE? (link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Emissioni odorigene -
Normativa vigente - Mancata previsione di limiti o di metodi
di misura - Applicazione delle migliori tecniche disponibili
- Art. 2, punto 7, DPR 24.05.1988, n. 203.
In base alla normativa vigente non è prevista la fissazione
di limiti di emissione né di metodi o di parametri idonei a
misurare la portata delle emissioni odorigene, perché manca
allo stato la possibilità tecnica di elaborare indicatori
sufficientemente validi dal punto di vista
tecnico-scientifico.
Per tali ragioni è possibile riferirsi alle migliori
tecniche disponibili che l'art. 2, punto 7, del DPR
24.05.1988, n. 203, definisce come "sistema tecnologico
adeguatamente verificato e sperimentato che consente il
contenimento e/o la riduzione delle emissioni a livelli
accettabili per la protezione della salute e dell'ambiente,
sempreché l'applicazione di tali misure non comporti costi
eccessivi".
L’applicazione del criterio comporta che devono essere
adottate tutte le tecniche e le modalità di progettazione,
costruzione, manutenzione ed esercizio degli impianti più
efficaci al fine di migliorare la sostenibilità ambientale
dell’attività produttiva, e al fine di ottenere le massime
performance ambientali esigibili, tenendo conto delle
specifiche caratteristiche degli impianti e delle
potenzialità economiche aziendali (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 03.05.2011 n. 741 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Diffusione di
polveri nell'atmosfera - Getto di cose ed emissione –
Differenza - Reato di getto di cose pericolose art. 674 c.p.
– Fattispecie: getto di particolato.
La diffusione di polveri nell'atmosfera rientra nella
nozione di "versamento di cose" ai sensi della prima
ipotesi dell'art. 674 cod. pen. e non in quella di "emissione
di fumo" contemplata dalla seconda ipotesi, in quanto
mentre il fumo è sempre prodotto della combustione, la
polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione.
(Cass. Sez. 3^, sentenza n. 16286 del 2009, Del Balzo).
Tale principio opera a fortiori per il getto del
particolato, della cui natura di "cosa" non può certo
dubitarsi. Ciò significa che sia per il getto del
particolato sia per l'emissione delle polveri che ricadevano
sul terreno trova applicazione la prima parte dell'ipotesi
prevista dall'art. 674 c.p. e non debbono essere presi in
esame ai fini della responsabilità gli ulteriori requisiti
fissati dalla seconda parte del medesimo articolo.
Fattispecie: getto di particolato con conseguenze dannose
con riferimento alle autovetture, alle colture, ai materiali
plastici.
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni
autorizzate e contenute nei limiti - Molestie alle persone e
cose – Accorgimenti tecnici utilizzabili per un loro
ulteriore abbattimento – Omissione – Configurabilità del
reato ex art. 674 c.p. - Emissioni anomale - Doveri di
attenzione e di intervento del gestore dell'impianto
industriale - Reato di danneggiamento aggravato - Art. 635
c.p. - D.P.R. n. 203/1988.
Il mantenimento delle emissioni entro i limiti consentiti
non è di per sé sufficiente ad escludere l'esistenza della
contravvenzione contestata ex art. 674 c.p., potendo
assumere rilevanza l'omessa adozione delle misure tecniche
in grado di impedire il verificarsi di molestie alle persone
(Cass. sentenza n. 15734 del 2009, Bua).
Sicché, anche in presenza di emissioni autorizzate e
contenute nei limiti "residuano doveri di attenzione e di
intervento del gestore dell'impianto industriale, il quale,
in presenza di ricadute ulteriori e diverse dalle emissioni
sull'ambiente e sulle persone, è chiamato ad adottare quegli
accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per un
loro ulteriore abbattimento” (Cass. sentenza n. 41582
del 2007, Saetti e altri).
Pertanto, per le ricadute oleose sussiste la violazione
dell'art. 674 c.p. indipendentemente dal superamento delle
soglie di emissione in atmosfera, posto che l'oggetto
dell'art. 674 c.p. (e cioè la tutela di cose e persone da
molestie e imbrattamento) differisce da quello previsto dal
d.P.R. n. 203/2088 (tutela dell'atmosfera e dell'ambiente).
Inoltre, la frequenza delle emissioni anomale, la presenza
di odori acri e di forti rumori comportino nel loro insieme
quel turbamento della tranquillità e quelle molestie
superiori alla normale tranquillità che la giurisprudenza
considera sufficiente ad integrare la contravvenzione.
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni -
Molestie alle persone e cose - Responsabilità penale ex art.
40 dell'amministratore privo di delega – Riforma diritto
societario - D.L.gs. n. 6/2003.
Pur nell'ambito dei più ristretti limiti di responsabilità
fissati per l'amministratore privo di delega con la riforma
societaria introdotta con il D.Lgs. n. 6 del 2003, afferma
il principio secondo cui "l'amministratore (con o senza
delega) è penalmente responsabile, ex art. 40, comma
secondo, cod. pen., per la commissione dell'evento che viene
a conoscere (anche al di, fuori dei prestabiliti mezzi
informativi) e che, pur potendo, non provvede ad impedire
(Cass. pen. Sez. 5^ sentenza n. 21581 del 2009, PM in proc.
Mare). Pertanto, la responsabilità può derivare dalla
dimostrazione della presenza di segnali significativi in
relazione all'evento illecito nonché del grado di anormalità
di questi sintomi, non in linea assoluta ma per
l'amministratore privo di delega."
Tale principio, per quanto fissato con riferimento ad altra
disciplina, appare decisivo nella parte in cui evidenzia
come la responsabilità dell'amministratore residui comunque,
indipendentemente dal regime delle deleghe, quando egli si
sia sottratto ai propri doveri di controllo e di intervento
in presenza di "anormalità" che egli era in grado di
apprezzare e di affrontare. Fattispecie: omessa adozione
delle misure tecniche in grado di impedire emissioni in
atmosfera e il verificarsi di molestie alle persone
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.04.2011 n. 16422 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni in
atmosfera - Obbligo di autorizzazione - Eccezione - Art. 269
D.L.vo n. 152/2006.
In tema di emissioni in atmosfera, sussiste l'obbligo
dell'autorizzazione, di cui all'art. 269 Decreto Legislativo
n. 152 del 2006, soltanto in relazione agli stabilimenti che
producono effettivamente emissione in atmosfera con
esclusione di quelli che sono solo potenzialmente idonei a
produrre emissioni. (Cass. Sez. III, 11.10.2006 n. 40964)
(Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.02.2011 n. 5347 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
E' possibile effettuare l'abbruciamento in
campo di residui vegetali derivanti da
lavorazione agricola e forestale?
Una pratica particolarmente diffusa in campo
agricolo, a seguito delle recenti modiche
introdotte dall'art. 13 del D.Lgs. 205/2010,
(che ha modificato l'art. 185 del D.Lgs.
152/2006), non può essere più realizzata.
Infatti, la norma ha stabilito che "paglia,
sfalci e potature, nonché altro materiale
agricolo o forestale naturale non pericolosi",
se non utilizzati in agricoltura, nella
selvicoltura o per la produzione di energia
mediante processi o metodi che non
danneggiano l′ambiente o mettono in pericolo
la salute umana devono essere considerati
rifiuti e come tali devono essere trattati.
La combustione sul campo dei residui
vegetali derivanti da lavorazione agricola e
forestale si configura, quindi, come
illecito smaltimento di rifiuti,
sanzionabile penalmente oltre che
amministrativamente, ai sensi dell'art. 256
del D.Lgs. 152/2006.
Si riporta per maggior completezza il testo
del sopra menzionato articolo (attività di
gestione di rifiuti non autorizzata):
"Chiunque effettua una attività di
raccolta, trasporto, recupero, smaltimento,
commercio ed intermediazione di rifiuti in
mancanza della prescritta autorizzazione,
iscrizione o comunicazione di cui agli
articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e
216 e' punito:
a) con la pena dell'arresto da tre mesi a un
anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro
a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti
non pericolosi;
b) con la pena dell'arresto da sei mesi a
due anni e con l'ammenda da duemilaseicento
euro a ventiseimila euro se si tratta di
rifiuti pericolosi. [...]".
Mentre in precedenza, quindi, i regolamenti
dei fuochi controllati in agricoltura
prevedevano il divieto di accendere fuochi
solamente durante il periodo compreso tra il
15 giugno e 15 ottobre di ogni anno e, per i
trasgressori stabilivano una sanzione
amministrativa pecuniaria di importo
compreso tra € 51,00 ed € 258,00, adesso il
divieto di bruciare sterpaglie, ramaglie e
vegetazione secca in genere è valido sempre
ed è diventato reato penale oltre a
prevedere una sanzione amministrativa minima
di € 2.600,00.
Le tre attuali possibilità consentite dalla
legge per potere pulire i terreni e
"smaltire i rifiuti" senza incorrere in
sanzioni sono:
1 - Depositarli nei contenitori, se in
piccole quantità;
2 - Conferirli nelle discariche pubbliche;
3 - Acquistare un trituratore degli scarti
vegetali e spargerli poi sul terreno
rendendoli così un composto organico
concimante.
Le amministrazioni comunali sono tenute a
mettere in atto, attraverso i vari canali a
disposizione (incontri pubblici, manifesti,
programmi radiofonici, siti telematici,
etc.), un'opera di informazione sulle nuove
disposizioni di legge e, soprattutto, a
creare le isole ecologiche comunali dove
conferire e raccogliere i residui vegetali
per il successivo corretto e legale
smaltimento (gennaio 2011 - tratto da
www3.corpoforestale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO -
Autorizzazione alle emissioni - Modifiche - Procedimento -
Modifiche sostanziali - Aumento o variazione quantitativa
delle emissioni - Alterazione delle condizioni di
convogliabilità - Indizione della conferenza di servizi -
Art. 269 d.lgs. n. 152/2006.
Ai sensi dell’art. 269 del D.Lgs. n. 152/2006, il
procedimento di autorizzazione è differenziato a seconda
della modifica sostanziale o non sostanziale
dell’autorizzazione già ottenuta dal gestore. Infatti, in
caso di modifiche sostanziali va indetta, entro trenta
giorni dalla ricezione della richiesta, una conferenza di
servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge
07.08.1990, n. 241, nel corso della quale si procede anche,
in via istruttoria, ad un contestuale esame degli interessi
coinvolti in altri procedimenti amministrativi.
In caso di modifiche non sostanziali, invece, è prevista una
mera comunicazione e se l'autorità competente non si esprime
entro sessanta giorni, il gestore può procedere
all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata,
fatto salvo il potere dell'autorità competente di provvedere
anche successivamente, nel termine di sei mesi dalla
ricezione della comunicazione all’aggiornamento
dell’autorizzazione: affinché la modifica sia sostanziale è
sufficiente che vi sia un aumento o una variazione
qualitativa delle emissioni o un’alterazione delle
condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse.
Quindi, sono sufficienti modifiche minime concernenti le
emissioni per giustificare un procedimento più completo con
la partecipazione di tutti gli enti coinvolti e titolari
istituzionalmente di un interesse alla tutela dell’ambiente,
senza che questo pregiudichi, ove siano rispettate le norme
regolanti la materia, lo svolgimento dell’attività (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 49 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. D'Isa,
Le immissioni (01.01.2011 - tratto da http://renatodisa.com). |
anno 2010 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 29 del 20.07.2010, "Testo
coordinato della l.r. 11.12.2006, n. 24 «Norme per la
prevenzione e la riduzione delle emissioni in atmosfera a
tutela della salute e dell’ambiente»" (Testo
coordinato della l.r. 11.12.2006 n. 24 - link a
www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Articolo 674 cp..
L’art. 674
c.p. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato
ma un reato unico, in quanto la condotta, consistente nel
provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una
specie del più ampio genere costituito dal gettare o versare
cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone.
La previsione della condotta di provocare emissioni ha, in
sostanza, il solo fine di specificare che, quando si tratta
di attività disciplinata dalla legge, la rilevanza penale
delle emissioni è subordinata al superamento dei limiti e
delle prescrizioni di settore. Ove tali limiti e
prescrizioni di settore non vi siano, come nel caso in
esame, l’emissione va considerata idonea ad offendere o a
molestare le persone anche sulla base del mero dato
olfattivo, come del resto riconosciuto anche a livello
europeo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.03.2010 n. 8273 - link a
www.lexambiente.it). |
anno 2009 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Utilizzo oli combustibili per
riscaldamento ad uso domestico.
Per nessun
tipo di utilizzo è vietato l’uso di oli combustibili aventi
percentuale di zolfo non superiori al 0,3% ed appare dubbio
che in tale materia le regioni possano assumere
provvedimenti ulteriormente restrittivi poiché le norme
tuttora in vigore del D.lgs. 351/1999 prevedono l’adozione
di piani per ridurre l’inquinamento nelle zone che superano
certe concentrazioni di agenti inquinanti peraltro sempre di
concerto con il Governo nazionale ed informando la
Commissione europea (vedasi il combinato disposto degli
artt. 4, 8 e 9), mentre non sembrano autorizzare misure
ulteriormente restrittive circa la commercializzazione dei
combustibili.
Peraltro appare rispondere ad un principio di ragionevolezza
e proporzionalità che eventuale restrizioni possano essere
assunte solo all’esito di studi sul tipo di emissioni
causate dai singoli combustibili autorizzati che permettano
di individuare il loro contributo all’inquinamento e di
conseguenza il beneficio che potrebbe trarsi dal divieto del
loro utilizzo (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 15.12.2009 n. 5338 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Autorizzazione alle emissioni.
L’autorizzazione alle emissioni richiede e presuppone che
sia previamente verificato il possibile pregiudizio recato
dalle emissioni agli elementi che compongono l’ambiente:
ossia l’assetto topografico-urbano; la salubrità igienica
dei luoghi (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 20.10.2009 n. 2796 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Trasferimento impianto.
Effettivamente
l’autorizzazione al trasferimento dell’impianto, la cui
carenza era sanzionata, dall’art. 25, comma 6, del DPR n.
203/1988, deve essere riferita all’ipotesi di impianti già
muniti di autorizzazione, palesandosi irrazionale la
prescrizione del mero ottenimento dell’autorizzazione al
trasferimento in relazione ad impianti che vengono
utilizzati illecitamente e continuerebbero ad essere
utilizzati senza l’autorizzazione alle emissioni in
atmosfera.
Deve essere, però, anche osservato che il trasferimento
dell’impianto in un luogo diverso determina un’interruzione
della permanenza nella commissione del reato, sicché
l’esercizio dell’impianto, dopo il trasferimento, si
configura quale nuova commissione dell’attività illecita,
sia pure legata dal vincolo della continuazione con quella
interrotta dal trasferimento dell’impianto (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.09.2009 n. 35135 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Impianti di frantumazione di
materiali da cava.
Gli impianti di frantumazione dei materiali di cava
rientrano nella previsione dell’art. 1 del D.P.R. n.
203/1988 (ora art. 279, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006) per
la loro oggettiva attitudine a dare luogo a emissioni
nell’atmosfera (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.06.2009 n. 25522 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni -
Modifica sostanziale dell’impianto - Procedimento
autorizzatorio - Art. 269, c. 8, d.lgs. n. 152/2006.
L'art. 269, comma 8, del d.lgs. 152/2006 impone al gestore
che intenda sottoporre un impianto a modifica sostanziale di
presentare una domanda di aggiornamento dell'autorizzazione
e richiama, per il procedimento autorizzatorio della
modifica, le stesse disposizioni contenute nel medesimo
articolo in relazione alla disciplina afferente il rilascio
della originaria autorizzazione.
Per modifica sostanziale la stessa disposizione intende
quella modifica che comporti un aumento o una variazione
qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di
convogliabilità tecnica delle stesse (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 29.04.2009 n. 2746 - link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Amendola,
ART. 674 C.P., EMISSIONI MOLESTE E INQUINAMENTI. LA
CASSAZIONE CI RIPENSA? (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Emissioni in atmosfera e
violazione dell’articolo 674 c.p..
1.
Nel linguaggio corrente s’intende per "polvere" un "insieme
incoerente di particelle molto minute e leggere di terra
arida, detriti, sabbia ecc., che, sollevate e trasportate
dal vento, si depositano ovunque". S’intende invece per
"fumo" il "residuo gassoso della combustione che
trascina in sospensione particelle solide in forma di nuvola
grigiastra o bianca". Ne deriva che, pur trattandosi
sempre di minuscole particelle, il fumo si distingue dalla
polvere perché è sempre un prodotto della combustione,
sicché la polvere, essendo prodotto di frantumazione, ma non
di combustione, non può essere ricompresa nella nozione di
fumo. In conclusione, quindi, la diffusione di polveri
nell’atmosfera va contestata come versamento di cose ai
sensi della prima ipotesi dell’art. 674 c.p. e non come
emissione di fumo.
2.
Si deve negare che le due ipotesi contravvenzionali previste
nell’art. 674 c.p. configurino necessariamente reati di
condotta attiva. A ben vedere esse si atteggiano come reati
di evento pericoloso, dove l’evento può essere cagionato da
una condotta attiva od omissiva, dolosa o colposa: nel caso
della contravvenzione codicistica si tratta di un evento di
pericolo concreto, consistente nell’attitudine delle cose o
delle emissioni a imbrattare, offendere o molestare le
persone, che deve essere concretamente accertata dal
giudice. Si deve pertanto concludere che il reato de quo nei
congrui casi può anche atteggiarsi come reato commissivo
mediante omissione (cd. reato omissivo improprio) ogni qual
volta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi
(anche) dalla omissione (dolosa o colposa) del soggetto che
aveva l’obbligo giuridico di evitarlo.
3.
La clausola "nei casi non consentiti dalla legge"
esclude il reato non per tutte le emissioni provocate dalla
attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo
per quelle emissioni che sono specificamente consentite
attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni
amministrative. Solo queste ultime emissioni si presumono
legittime. Non possono presumersi come legittime, invece, le
altre emissioni, connesse più o meno direttamente
all’attività produttiva regolamentata, che il legislatore
non disciplina specificamente o che addirittura considera
pericolose perché superiori ai limiti tabellari, o che vuole
comunque evitare attraverso misure di prevenzione e di
cautela imposte all’imprenditore (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 17.04.209 n. 16286 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Violazione articolo 674 c.p..
Il reato di
cui all'art. 674 c.p. si configura in presenza di un evento
di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori
non solo nei casi di emissioni inquinanti in violazione dei
limiti di legge, ma anche quando sia superato il limite
della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ. (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.04.2009 n. 15734 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Scarico fumi non industriali.
Viene richiesto di chiarire, in termini generali, ma anche a
concreti fini applicativi, due aspetti del quadro normativo
vigente da applicare alla realizzazione di comignoli per
l’emissione di fumi non industriali: da un lato, l’aspetto
edilizio-urbanistico; dall’altro, quello inerente agli
scarichi del tipo anzidetto (Regione
Piemonte,
parere 32/2009 -
tratto da www.regione.piemonte.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Sanna,
Procedure semplificate ed emissioni (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Inquinamento da traffico e
omissione di atti d'ufficio.
Inquinamento dell’aria. Inquinamento da traffico veicolare.
Omissione di atti d’ufficio. Getto pericoloso di cose. Artt.
110 e 328 c.p., 110, 40 comma 2, 81 e 674 c.p.
Responsabilità Giuridica degli Enti Territoriali. Poteri del
Sindaco.
I poteri attribuiti dall’ordinamento generale al sindaco in
materia di traffico veicolare e di inquinamento dell'aria,
consentono di affermare che la mancanza o la inadeguatezza
delle deliberazioni atte alla prevenzione ed alla
eliminazione di gravi livelli di inquinamento dell'aria, e
lesivi pertanto del diritto alla salute umana, sono
suscettibili in determinati casi di configurare i reati di
cui agli artt. 328 e 674 c.p., di omissione di atti di
ufficio e di emissioni atte ad offendere la salute di una
pluralità di persone.
La responsabilità giuridica di intervenire adeguatamente
deve essere riconosciuta, oltre che al sindaco, agli
assessori ed in generale a tutti gli organi che sono in
concreto dotati di poteri deliberativi, nell'ambito di
organismi amministrativi di enti territoriali, essendo tutti
questi soggetti preposti a rilevanti settori del governo del
territorio urbano e circostante. [...] (TRIBUNALE di
Palermo, Uff. GUP,
sentenza 10.03.2009 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Istruttoria per il rilascio di un titolo
abilitativo - Valutazione degli aspetti privatistici -
Esempi - Art. 11, c. 1, d.P.R. n. 380/2001 - Titolarità
dell’immobile - Innovazioni - Disciplina condominiale -
Immissioni e normale tollerabilità - Giurisdizione civile.
In materia urbanistico-edilizia (dove, per stessa previsione
del vigente Codice civile, i profili privatistici si
intersecano con quelli pubblicistici), il Comune, in sede di
istruttoria attivata sull’istanza di rilascio di un titolo
abilitativo, è certamente chiamato ad occuparsi -incidenter
tantum- dei profili privatistici, limitatamente a quelli
che siano percepibili icto oculi e con esclusione di quelli
che attengono solo ed unicamente alla sfera privatistica.
Ad esempio, in forza dell’art. 11, comma 1, del DPR n.
380/2001, il Comune deve solo verificare se il richiedente
il titolo edilizio risulti, per tabulas, titolare di una
posizione giuridica che a ciò lo abiliti, senza quindi
essere tenuto a verificare l’esistenza di controversie sulla
proprietà dell’immobile. Ancora, per quanto riguarda la
disciplina condominiale, il Comune è tenuto a verificare se,
trattandosi di innovazioni (artt. 1108 e 1120 c.c.), il
richiedente abbia ottenuto l’autorizzazione dell’assemblea,
ma non anche le questioni relative, ad esempio, alle
immissioni, salvo che non vengano in evidenza questioni
relative alla salute pubblica o alla statica degli edifici.
Con riferimento alle immissioni derivanti da un’attività di
panificazione, il Comune e l’ASL devono certamente
verificare gli aspetti legati alle emissioni di fumi , odori
e rumori notturni provenienti dal forno, ma sempre nei
limiti degli adempimenti burocratici previsti dalla legge ai
fini dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività. La
verifica della normale tollerabilità ex art. 844 c.c., in
assenza di pericoli per la salute pubblica, attiene invece
ad aspetti privatistici, a tutela dei quali l’interessato
deve proporre azione davanti al Giudice Civile (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 21.02.2009 n. 254 - link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Autorizzazioni ambientali e
sospensione attività.
La sentenza
fissa un principio di infungibilità delle autorizzazioni
ambientali già affermato dalla cassazione penale (per cui
l'autorizzazione ex art. 27 e 28 d.lgs. 22/1997 non
sostituisce di per sé quella alle emissioni in atmosfera).
Conferma che la sospensione dell'attività di un impianto è
assoggettata a due condizioni: la prima che sia stata
violata una diffida (atto pregiudiziale necessario), la
seconda che oltre a non eseguire le prescrizioni sussista un
pericolo per la salute e l'ambiente, che deve essere
attestato.
Infine, afferma la responsabilità dell'amministrazione per
risarcimento del danno provocato da reiterate illegittimità
(in particolare sulle modalità di campionamento, effettuate
in contrasto con la normativa tecnica ed i richiami
dell'Arpa) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 16.01.2009 n. 97 - link a
www.lexambiente.it). |
anno 2008 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Penna,
Regolamentazione delle emissioni in atmosfera da impianti
alla luce della parte V del D. Lgs. 152/2006
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: In
caso di «molestie olfattive» è configurabile il reato di cui
all’art. 674, seconda parte, c.p. (emissioni di gas, vapori
o fumo nei casi non consentiti dalla legge)?
(link a www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 18.08.2008, "Misure
prioritarie di limitazione alla circolazione e all’utilizzo dei veicoli
– Terzo provvedimento attuativo inerente i veicoli previsti
dall’articolo 22, commi 1, 2, 5 ed ai sensi dell’articolo 13, l.r.
11.12.2006, n. 24 – Ulteriori misure per il contenimento
dell’inquinamento da combustione di biomasse legnose ai sensi
dell’articolo 11, l.r. 24/2006" (deliberazione
G.R. 11.07.2008 n. 7635). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Odori molesti.
In tema di
emissioni idonee a creare molestie alle persone, laddove,
trattandosi di odori, manchi la possibilità di accertare
obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle
emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non
tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle
dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei
fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano
nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in
giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a
quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.05.2008 n. 19206 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Molestie,
persone, animali, feci, odori, sussistenza.
Le emissioni di gas,
vapori o fumo idonei ad imbrattare o cagionare molestie alle
persone non sono solo quelli provenienti da attività
produttive nei casi non consentiti dalla legge, ma anche
tutte quelle esalazioni maleodoranti comunque imputabili
all'attività umana, quali ad esempio quelle provenienti
dalla presenza nel proprio giardino di numerosi animali
senza l'adozione di cautele idonee ad evitare disturbo o
molestie ai vicini
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.05.2008 n. 19206
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AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria.
Emissioni moleste provenienti da attività non regolare.
E’ configurabile il reato di cui all'art. 674 c.p.
qualora le emissioni moleste siano concretamente idonee a
cagionare disturbo alle persone e provengano da un’attività
(nella fattispecie di ristorazione) non conforme alla
normativa comunale (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.04.2008 n. 16144
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO
ATMOSFERICO - Deiezione di animali - Emissione di odori
sgradevoli - Reato di pericolo - Art. 674 c.p. -
Configurabilità.
L’emissione di odori sgradevoli in assenza di
autorizzazione, può essere ricondotta alla fattispecie di
cui all’art. 674 c.p. costituendo il risultato della
liberazione dalla materia, (nella specie deiezione di
animali), di prodotti volatili percepibili all’olfatto e
considerabili, nel linguaggio comune, come gas. (Cass. Sez.
3 sentenze 407/2000, 11556/2006).
AGRICOLTURA - Smaltimento di deiezione di animali -
Fertilizzazione del terreno - Assenza di autorizzazione -
Art. 674 c.p. - Configurabilità - Criterio delle immissioni
in alienum - Art.844 cc - Esclusione.
In agricoltura lo smaltimento di deiezione di animali, in
assenza di autorizzazione, quando questi costituiscono il
risultato della liberazione dalla materia di prodotti
volatili percepibili all’olfatto, il criterio di riferimento
per la valutazione penale della condotta deve essere quello
della manifesta o stretta tollerabilità (Cass. Sez. 3, sent.
11556/2006). In queste ipotesi, non si deve avere come guida
il criterio delle immissioni in alienum, di cui all'art. 844
cc, individuato nella normale tollerabilità (che disciplina
i rapporti di vicinato in relazione alle esigenze della
civile convivenza e della funzione sociale della proprietà).
Nella fattispecie non è stata seguita una corretta tecnica
per la fertilizzazione del terreno dal momento che i liquami
non venivano interrati come una comune regola agricola
impone, giustificando la conclusione che l’emissioni
esorbitassero dal limite della stretta tollerabilità
configurando così l’ipotesi di reato prevista dall’art. 674
c.p. (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.02.2008 n. 6097
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AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI
- Incenerimento a terra di rifiuti speciali - Assenza di
idonea autorizzazione - Responsabilità - Individuazione -
Fattispecie - Art. 51, c. 1, D.L.vo n. 22/1997 - Art. 674
c.p..
L’incenerimento a terra in assenza di idonea autorizzazione
di rifiuti speciali quali legname, bancali in legno,
plastica varia, gomme, polistirolo, cartoni, materiale edile
ed altro, provocando fumi atti a molestare le persone
configura i reati previsti dal Decreto Legislativo n. 22 del
1997, articolo 51, comma 1, e dall’articolo 674 c.p.. Nella
specie, inoltre, non assume rilievo, il ruolo svolto
all'interno del cantiere dove il fatto e' avvenuto -se cioè
commesso dal titolare di una propria impresa o invece dal
dipendente della ditta- come anche non rileva lo svolgere -o
meno- professionalmente la contestata attività, posto che il
precetto contenuto nel Decreto Legislativo n. 22 del 1997,
articolo 51, comma 1, si rivolge indistintamente a "chiunque
effettua una attività di raccolta, recupero, smaltimento"
(Cass. Sez. 3, n. 21925 del 2002 Rv 221959 nonché, sul
carattere solo eventualmente abituale della attività stessa,
Cass. Sez. 3, n. 13456 del 2006 Rv 236326).
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - RIFIUTI - Emissioni
inquinanti nell'atmosfera - Combustione a terra di rifiuti
speciali - Intollerabilià del fumo e dell'odore -
Segnalazione ai C.C. da parte di cittadini - Art. 674 c.p. -
Configurabilità.
In tema di emissioni inquinanti nell'atmosfera, la
segnalazione ai Carabinieri da parte di cittadini del fatto
che siano stati investiti ed evidentemente molestati, dalle
emissioni, provocati dall’incenerimento a terra di rifiuti
speciali quali legname, plastica varia, materiale edile ed
altro in assenza di idonea autorizzazione, configura
ampliamente la contravvenzione di cui all'articolo 674 c.p.
(Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.01.2008 n. 2480
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO
ATMOSFERICO - Emissioni di vapori, gas e fumi - Molestie
olfattive provocate da impianto industriale autorizzato -
Art. 674 c. p. - Configurabilità - Condizioni - Fattispecie
- Art. 268, 1° c. lett. a), D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 - Art.
844 cod. civ..
In tema di emissioni inquinanti nell'atmosfera, il
consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la
violazione dell’art. 674 cod. pen. in presenza di emissioni
provenienti da impianti autorizzati e nel rispetto dei
valori limite fissati dalla normativa speciale trova
applicazione solo nei casi in cui esistono precisi limiti
tabellari fissati dalla legge; diversamente, il reato
contenuto nell’art. 674 cod. pen., è configurabile nel caso
di “molestie olfattive”, dal momento che non esiste una
normativa statale che prevede disposizioni specifiche e
valori limite in materia di odori (non essendo applicabile
la disciplina in materia di inquinamento atmosferico dettata
dal D.Lgs. 03.04.2006, n. 152), con conseguente necessità di
individuare il parametro di legalità nel criterio della
“stretta tollerabilità”, ritenendosi riduttivo ed inadeguato
il riferimento a quello della “normale tollerabilità”
fissato dall’art. 844 cod. civ. in quanto inidoneo ad
approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla
salute umana, attesa la sua portata individualistica e non
collettiva. Fattispecie: esalazioni maleodoranti atte a
molestare le persone, in quanto nauseanti e puzzolenti
provocate da un impianto industriale di confezionamento di
"trippa" alimentare e di lavorazione degli scarti animali
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.01.2008 n. 2475
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anno 2007 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria.
Emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone
- Reato di cui all'art. 674 cod. pen. - Parametri di
riferimento - Individuazione - Fattispecie: emissione di
fumi di combustione provenienti dalla canna fumaria di una
caldaia a metano per riscaldamento.
In tema di inquinamento atmosferico, è configurabile il
reato di cui all'art. 674 cod. pen. (emissione di gas,
vapori e fumi atti a molestare le persone) anche nel caso in
cui le emissioni provengano da un impianto non conforme alla
normativa sull'abbattimento dei fumi emessi dalla canna
fumaria di una caldaia a metano per riscaldamento (D.M.
21.03.1993), quando il disturbo concretamente arrecato alle
persone superi la normale tollerabilità con conseguente
pericolo per la salute pubblica (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 28.09.2007 n. 35730
- link a www.lexambiente.it). |
anno 2006 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Getto pericoloso di cose
(canna fumaria - pizzeria) - Emissione di gas, vapori e fumi
- Art. 674 cod. pen. - Idoneità ad arrecare molestia alle
persone - Pericolo per la salute pubblica.
E' configurabile, il reato di cui all'art. 674 cod. pen.
(emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le
persone) quando le emissioni provengano dall'esercizio di
un'attività (pizzeria) non conforme alla normativa
sull'abbattimento dei fiumi (emessi dalla canna fumaria) ed
arrecano concretamente disturbo alle persone superando la
normale tollerabilità con conseguente pericolo per la salute
pubblica, la cui tutela costituisce la "ratio" della
norma incriminatrice (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.12.2006 n. 42213
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Esalazioni maleodoranti provenienti da stalle,
allevamenti o luoghi simili - Reato di cui all'art. 674 c.p.
- Sussistenza - Risarcibilità ex art. 844 c.c. -
Fattispecie.
Le esalazioni maleodoranti provenienti da stalle,
allevamenti o luoghi simili configurano il reato di cui
all'articolo 674 c.p. e non solo un illecito penale
risarcibile ex articolo 844 c.c. allorché siano idonee a
creare offesa al benessere dei vicini e grave pregiudizio
per lo svolgimento della loro attività (Cass n. 678 del 1996
P.M. in proc. Viale; Cass n. 138 del 1995 Composto; 1293 del
1994 Sperotto). Nella specie, dai manufatti destinati
all'allevamento di suini e pollame ed ubicati ad una
distanza di circa 10 - 20 metri dalle abitazioni, si
avvertivano cattivi odori i quali provocavano nei confronti
delle persone offese ivi residenti uno stato d'ansia
accertato documentalmente, che nonostante, l'avvenuto
adeguamento della porcilaia alle prescrizioni vigenti non
escludeva la sussistenza del reato proprio perché le
emissioni maleodoranti non erano state comunque eliminate.
"Esalazioni" maleodoranti - Superamento del limite
della normale tollerabilità - Molestie - Nozione -
Fattispecie - Relazione del medico dell'azienda sanitaria e
dei sopraluoghi espletati.
Per molestia deve intendersi ogni fatto idoneo a recare
fastidio, disagio o disturbo ed in genere qualsiasi fatto
idoneo a turbare il modo di vivere quotidiano.
Il superamento del limite della normale tollerabilità
costituisce il parametro principale (ma non l'unico) per
valutare l'idoneità dell'esalazione maleodorante a recare
offesa o molestia e ciò perché le emissioni maleodorante
sono vietate nei casi non consentiti dalla legge, la quale
contiene una sorta di presunzione di legittimità delle
emissione dei fumi che non superino la soglia fissata da
leggi speciali.
Nella fattispecie, anche se non è stata espletata alcuna
perizia tecnica (ma di ciò non si è doluto il ricorrente, il
quale non ha sollevato alcuna specifica doglianza in merito
ad un eventuale mancato superamento dei limiti di
tollerabilità), si è comunque accertato per mezzo della
relazione del medico dell'azienda sanitaria e dei
sopraluoghi espletati dagli inquirenti, che si trattava di
esalazioni non tollerabili tanto e vero che creavano "una
condizione di disagio che culminava nella non vivibilità
dell'ambiente" (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 21.12.2006 n. 42087
- link a www.ambientediritto.it). |
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